ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 117

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

47o anno
30 aprile 2004


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

408a sessione plenaria del 28 e 29 aprile 2004

2004/C 117/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari (COM(2003) 689 def. - 2003/0272 (COD)

1

2004/C 117/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a pile e accumulatori usati (COM(2003) 723 def. — 2003/0282 (COD))

5

2004/C 117/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico della Comunità (COM(2003) 847 def.) — 2003/0333 (COD))

10

2004/C 117/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci (versione codificata) (COM(2004) 19 def. — 2004/0002 (COD))

11

2004/C 117/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad un quadro unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (Europass) (COM(2003) 796 def.)

12

2004/C 117/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi (COM(2003) 822 def. — 2003/0329 (CNS))

15

2004/C 117/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2003/49/CE per quanto riguarda la possibilità per alcuni Stati membri di prevedere periodi transitori per l'applicazione di un regime fiscale comune relativo ai pagamenti di interessi e canoni fra società consociate di Stati membri diversi (COM(2004) 243 def. — 2004/0076 (CNS))

21

2004/C 117/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Valutazione della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile — Parere esplorativo

22

2004/C 117/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Verso una strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali (COM(2003) 572 def.)

38

2004/C 117/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo: Un mercato interno senza ostacoli inerenti alla tassazione delle società – risultati, iniziative in corso e problemi ancora da risolvere (COM(2003) 726 def.)

41

2004/C 117/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle fusioni transfrontaliere delle società di capitali (COM(2003) 703 def. — 2003/0277 (COD))

43

2004/C 117/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che adotta un programma comunitario pluriennale inteso a rendere i contenuti digitali europei più accessibili, utilizzabili e sfruttabili (COM(2004) 96 def. — 2004/0025 (COD))

49

2004/C 117/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Århus sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale (COM(2003) 622 def. 2003/0242(COD))

52

2004/C 117/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso alla giustizia in materia ambientale (COM(2003) 624 def. — 2003/0246 (COD))

55

2004/C 117/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le ripercussioni della politica commerciale sulle trasformazioni industriali, in particolare nel settore siderurgico

58

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

408a sessione plenaria del 28 e 29 aprile 2004

30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/1


408A SESSIONE PLENARIA DEL 28 E 29 APRILE 2004

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari

(COM(2003) 689 def. - 2003/0272 (COD)

(2004/C 117/01)

Il Consiglio, in data 28 novembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 53 e 54 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari (COM(2003) 689 def. - 2003/0272 (COD)).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dalla relatrice SHARMA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 84 voti favorevoli e 2 contrari.

1.   Introduzione

1.1

La direttiva 89/109/CEE rappresenta la base per garantire un elevato livello di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione ai materiali e agli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, assicurando allo stesso tempo l'efficace funzionamento del mercato interno.

1.2

Il progresso tecnologico ha permesso di sviluppare i cosiddetti «materiali attivi», concepiti per mantenere o migliorare le condizioni degli alimenti e prolungarne la conservabilità. Altre nuove applicazioni d'imballaggio, note come materiali e oggetti «intelligenti» destinati al contatto con gli alimenti, sono utilizzate per fornire informazioni sulle condizioni dell'alimento.

1.3

Attualmente la direttiva 89/109/CEE non specifica se gli imballaggi fatti di materiali «attivi» o «intelligenti» rientrino o meno nella legislazione nazionale o comunitaria. La nuova proposta di regolamento ora in esame precisa che si applica anche a questi due tipi di materiali e oggetti destinati al contatto con gli alimenti e stabilisce norme fondamentali per il loro impiego. Essa prevede inoltre la possibilità di varare misure di attuazione specifiche.

1.4

Attualmente la valutazione delle sostanze è di competenza del comitato scientifico dell'alimentazione umana. Per motivi di trasparenza è però necessario istituire procedure più dettagliate per valutare la sicurezza e autorizzare le sostanze utilizzate per la fabbricazione di materiali destinati al contatto con gli alimenti.

1.5

I materiali e gli oggetti destinati al contatto con gli alimenti devono essere rintracciabili in tutte le fasi della fabbricazione, lavorazione e distribuzione. È pertanto necessario istituire norme generali sulla rintracciabilità dei materiali destinati al contatto con gli alimenti, in linea con le analoghe disposizioni in materia di rintracciabilità degli alimenti e mangimi previste dall'articolo 18 del regolamento (CE) n. 178/2002.

1.6

La proposta contiene anche alcune disposizioni aggiuntive in materia di etichettatura, per meglio informare i consumatori e gli utilizzatori sui materiali destinati al contatto con gli alimenti.

2.   Sintesi della proposta di regolamento della Commissione

2.1

Il documento propone di sostituire l'attuale direttiva quadro sugli imballaggi e inoltre di disciplinare la rintracciabilità dei materiali d'imballaggio attivi e intelligenti.

2.2

Sostanzialmente questi materiali possono essere classificati in due gruppi principali: materiali da imballaggio assorbenti, che eliminano le sostanze in eccesso (per esempio materiali che assorbono l'ossigeno), e materiali da imballaggio in grado di liberare lentamente sostanze conservanti o aromi negli alimenti che contengono. In tutti i casi è importante evidenziare che sia gli imballaggi che i loro componenti in grado di assorbire o liberare sostanze devono rispettare le norme comunitarie riguardanti tanto gli alimenti quanto l'etichettatura, e quindi devono essere adatti agli alimenti. La proposta deve quindi essere conforme al regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.

2.3

La proposta in esame intende modificare la direttiva 89/109/CEE in modo da tener conto degli aspetti sopra indicati. Per motivi di semplicità essa riporta inoltre il simbolo che dovrebbe accompagnare i materiali e gli oggetti destinati al contatto con gli alimenti di cui alla direttiva 80/590/CEE. La proposta di regolamento sostituisce dunque, e abroga, le direttive 89/109/CEE e 80/590/CEE.

2.4

La direttiva 89/109/CEE del Consiglio relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari (direttiva quadro) definisce i principi generali applicabili a tutti i materiali destinati appunto a venire a contatto con gli alimenti, ivi compresi i principi per cui i materiali devono essere «inerti» e gli alimenti «puri». Essa stabilisce gli elenchi delle sostanze autorizzate impiegate nella fabbricazione di materiali destinati al contatto con gli alimenti, con esclusione di tutte le altre sostanze (elenchi positivi), e i gruppi di materiali e oggetti da disciplinare mediante misure di applicazione (direttive specifiche). La direttiva prevede anche la valutazione delle sostanze da parte del comitato scientifico dell'alimentazione umana e il parere del comitato permanente per i prodotti alimentari.

2.5

L'obiettivo strategico complessivo consiste nell'ottenere i seguenti effetti:

garantire un elevato livello di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori;

garantire la libera circolazione dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari;

tener conto d'importanti sviluppi tecnologici nel settore degli imballaggi alimentari;

garantire una migliore rintracciabilità ed etichettatura dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari;

migliorare la trasparenza del processo di autorizzazione specificando le varie fasi della procedura;

dare alla Commissione la possibilità di adottare misure di esecuzione sotto forma non solo di direttive, ma anche di decisioni e regolamenti, dal momento che questi ultimi risultano più idonei a provvedimenti come gli elenchi positivi;

garantire una maggiore applicazione delle norme mediante l'istituzione di laboratori nazionali e comunitari di riferimento.

3.   Osservazioni generali

3.1

Le disposizioni relative ai materiali e agli oggetti attivi e intelligenti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari sono di tipo generale e stabiliscono la disciplina giuridica di tali applicazioni d'imballaggio nella Comunità a beneficio del comparto produttivo interessato, dei consumatori e degli Stati membri.

3.2

I requisiti aggiuntivi in materia di etichettatura garantiranno un impiego più informato dei materiali e oggetti destinati al contatto con gli alimenti da parte dell'acquirente e del consumatore finale.

3.3

Migliorare la rintracciabilità dei materiali a contatto con gli alimenti tornerà utile ai consumatori in caso di problemi e consentirà un ricorso più limitato al ritiro dei prodotti di qualità insufficiente da parte delle aziende.

3.4

Per raggiungere gli obiettivi di cui sopra si propone sostanzialmente di migliorare e armonizzare la legislazione comunitaria sui materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari introducendo le norme oggetto della proposta.

3.5

Per quanto riguarda il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, la direttiva quadro 89/109/CEE è stata adottata con la motivazione che le differenze tra gli ordinamenti nazionali dei diversi Stati membri impedivano la libera circolazione di questi materiali e oggetti. La direttiva ha avvicinato tali ordinamenti in modo da consentire la libera circolazione dei materiali e oggetti destinati al contatto con gli alimenti e da proteggere la salute e gli interessi dei consumatori. Essa ha pure istituito un elenco di materiali e oggetti che devono essere disciplinati con direttive specifiche, secondo un metodo che si è dimostrato valido e che va quindi mantenuto.

3.6

L'adozione di un regolamento anziché di una direttiva è giustificata dalla natura tecnica dell'atto e consentirà l'applicazione diretta delle norme proposte in tutta la Comunità. Si tratta di un elemento importante nella prospettiva di una Comunità allargata, che presto conterà 25 Stati membri e trarrà indubbiamente vantaggio dall'esistenza di norme omogenee e direttamente applicabili su tutto il territorio.

3.7

L'autorizzazione comunitaria per le sostanze utilizzate nella fabbricazione di materiali destinati al contatto con gli alimenti è già prevista dalla direttiva 89/109/CEE. Pertanto, le disposizioni relative alla procedura di autorizzazione non comportano nuovi obblighi per le aziende.

3.8

La proposta della Commissione impone ai richiedenti i seguenti obblighi di carattere generale.

3.8.1

Anzitutto, inviare la richiesta di autorizzazione di una sostanza all'autorità nazionale competente di uno Stato membro.

3.8.2

Comunicare all'Autorità le nuove informazioni che potrebbero influenzare la valutazione circa la sicurezza dell'impiego di una sostanza autorizzata.

3.9

Gli obblighi di carattere generale per gli operatori delle aziende responsabili della fabbricazione, lavorazione, importazione o distribuzione di materiali destinati al contatto con gli alimenti comprendono quanto segue:

3.9.1

Etichettare tutti i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, compresi quelli per i quali questo impiego è ovvio in considerazione della loro natura e che la direttiva 89/109/CEE ha finora esentato da tale obbligo.

3.9.2

Fornire istruzioni sugli impieghi consentiti per i materiali e oggetti attivi e intelligenti, onde permettere ai loro utilizzatori di conformarsi alle norme applicabili agli alimenti.

3.10

Gli operatori delle aziende sono tenuti a rispettare gli obblighi che seguono:

3.10.1

Conformarsi alle condizioni d'impiego e alle restrizioni cui è soggetta l'autorizzazione di sostanze destinate alla fabbricazione di materiali che si prevede entreranno in contatto con gli alimenti.

3.10.2

Predisporre sistemi per individuare i soggetti che hanno fornito alle loro aziende detti materiali e oggetti, e se del caso le sostanze e i prodotti utilizzati per la loro fabbricazione. Su richiesta, devono essere in grado di fornire queste informazioni alle autorità competenti.

3.10.3

Individuare a chi sono stati forniti i prodotti e, su richiesta, fornire queste informazioni alle autorità competenti.

3.10.4

Etichettare o identificare adeguatamente i materiali e gli oggetti immessi sul mercato comunitario in modo da consentirne la rintracciabilità.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE appoggia il documento COM(2003) 689 della Commissione e si compiace che essa abbia elaborato il testo finale in costante consultazione con le organizzazioni del settore e dei consumatori. Il Comitato accoglie con favore anche l'introduzione dell'elenco positivo.

4.2

Il Comitato rileva che la Commissione ha individuato gli aspetti problematici (che sono qui ripresi a titolo d'informazione) e sa che la proposta non sarà sottoposta a una valutazione approfondita. Tiene tuttavia a segnalare alla Commissione che i paragrafi iniziali della proposta presentano lacune sotto tre aspetti principali:

i)

il documento della Commissione propone di sostituire la direttiva quadro vigente sugli imballaggi e inoltre di elaborare norme in materia di rintracciabilità dei materiali da imballaggio attivi e intelligenti. Al Comitato risulta che nel prossimo futuro saranno oggetto di revisione anche gli imballaggi in materie plastiche.

ii)

Manca una definizione chiara dei materiali da imballaggio attivi e intelligenti e del loro funzionamento. Malgrado le consultazioni condotte con i rappresentanti dei consumatori, per ovviare alla penuria di conoscenze e fugare i timori sarebbero utili definizioni semplici e chiare nonché prospetti informativi per i consumatori.

iii)

Occorre specificare che sia gli imballaggi che i loro componenti in grado di assorbire o liberare sostanze devono rispettare sempre la legislazione comunitaria in materia di sicurezza alimentare e di etichettatura degli alimenti. Tutte le sostanze che passano dagli imballaggi ai prodotti alimentari e viceversa devono essere elencate fra gli ingredienti riportati sull'etichetta ed essere adatte al contatto con gli alimenti.

4.3

Le norme e procedure aggiuntive comporteranno sia ulteriori controlli per le piccole e medie imprese (PMI) che producono alimenti, sia conseguenti costi a carico dei fabbricanti di imballaggi, buona parte dei quali difficilmente potrà essere assorbita dalle imprese più piccole.

4.4

In un comparto che non è solito a questo tipo di regolamentazione le ripercussioni delle nuove procedure di autorizzazione per materiali e modelli, in particolare per quanto riguarda i tempi, la sicurezza dei modelli e la severità delle procedure, possono ostacolare l'innovazione e la competitività. È necessario procedere a controlli rigorosi sui prodotti d'importazione, in modo da salvaguardare la produttività e la competitività generale del comparto.

4.5

Il Comitato sa che la Commissione intende ridurre le onerose procedure di controllo e richiedere soltanto il rilascio di un «certificato di conformità» o «certificato di omologazione»«a monte» e «a valle» della catena di fornitura. Il documento della Commissione rischia tuttavia di creare malintesi laddove (pag. 6) utilizza le parole «e in questo contesto … almeno». La Commissione dovrebbe quindi emanare degli orientamenti destinati all'industria alimentare circa i controlli corretti da eseguire, e inoltre fornire informazioni chiare all'industria, ai responsabili dei controlli e agli Stati membri sulle norme specifiche in materia di rintracciabilità. Si eviterebbe così di estendere i requisiti o gli obblighi in sede di revisione delle indicazioni che i produttori d'imballaggi devono fornire in tutta la catena di fornitura. Ciò dovrebbe avvenire introducendo misure di accompagnamento, anziché imponendo ulteriori regole a un comparto già pesantemente regolamentato.

4.6

Il Comitato auspica che la Commissione stanzi dei fondi per finanziare una campagna di sensibilizzazione sia del pubblico che dell'industria. La campagna destinata al pubblico dovrebbe informare i consumatori e gli utenti dei materiali destinati a entrare in contatto con gli alimenti sulle nuove norme in materia di etichettatura nonché sulle tecniche per eliminare gli imballaggi in modo ecologico. La campagna di sensibilizzazione destinata all'industria alimentare e ai consumatori dovrebbe beneficiare del sostegno degli Stati membri e delle agenzie per lo sviluppo regionale. Il Comitato invita a insistere sulla corretta etichettatura dei materiali e oggetti attivi e intelligenti: le disposizioni non devono infatti fuorviare il consumatore in merito alla qualità o alle condizioni degli alimenti. L'utilizzo di materiali attivi per l'imballaggio non deve in alcun caso mascherare forme di deterioramento naturale. Il Comitato chiede inoltre alla Commissione di effettuare test sulle qualità nutrizionali dei prodotti contenuti negli imballaggi attivi in modo da confrontarle con quelle dei prodotti non imballati, in modo che il consumatore possa operare una scelta informata. Attualmente i consumatori non sanno se l'imballaggio fatto di materiale attivo conservi o riduca i contenuti nutrizionali. Il Comitato prende atto delle riflessioni attualmente in corso sull'etichettatura dettagliata degli imballaggi composti di materiali attivi e intelligenti, e ritiene che nel contesto della nuova legislazione occorra valutarne i rischi o i vantaggi dal punto di vista nutrizionale.

4.7

Il Comitato riconosce che gli imballaggi devono rispettare la legislazione in vigore sugli alimenti, ma fa anche presente che questa deve essere leggibile, chiara e comprensibile. È urgente apportare ulteriori chiarimenti in materia di etichettatura, in modo da evitare interpretazioni erronee o pretese infondate. Anche se ciò non riguarda direttamente il documento della Commissione in esame, il Comitato pone in rilievo l'esigenza d'indicazioni più esaurienti sulle etichette per gli imballaggi di materie plastiche, al fine di evitarne un utilizzo sbagliato soprattutto in caso di esposizione al calore quando siano a contatto con alimenti e grassi. A tal fine si potrebbe cogliere l'opportunità dell'introduzione di nuove regole in materia di etichettatura e della revisione delle disposizioni sugli imballaggi e sull'etichettatura delle materie plastiche.

4.8

Occorre dedicare particolare attenzione ai prodotti alimentari d'importazione, e stabilire se il simbolo da apporre sui materiali e gli oggetti destinati a entrare in contatto con gli alimenti sia utilizzato correttamente su prodotti effettivamente autorizzati. L'importatore è stato designato come il responsabile al riguardo, tuttavia potrà risultare più difficile assicurare la piena rintracciabilità quando la fonte non sia comunitaria. Considerando anche la lingua straniera dell'etichetta, una tale disposizione può favorire l'entrata nell'Unione europea di prodotti di qualità inferiore, a tutto svantaggio dei produttori europei di alimenti e d'imballaggi e con potenziali rischi per la salute dei consumatori.

4.9

Il Comitato rileva che sarà previsto un lungo periodo transitorio per consentire all'industria alimentare e degli imballaggi di smaltire gli imballaggi ancora in giacenza. Ciò è indispensabile per evitare conseguenze ambientali e per non accollare all'industria i costi dell'eliminazione degli imballaggi, e in particolare della distruzione di articoli che non possono essere riciclati.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e socale europeo

Roger BRIESCH


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/5


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a pile e accumulatori usati

(COM(2003) 723 def. — 2003/0282 (COD))

(2004/C 117/02)

Il Consiglio, in data 11 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 95 e 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a pile e accumulatori usati (COM(2003) 723 def. - 2003/0282 (COD)).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Introduzione

1.1

La problematica relativa alle pile e agli accumulatori è già da vari anni oggetto di discussioni a causa della rilevanza del fenomeno: infatti, circa 800 000 tonnellate di batterie per automobili, 190 000 tonnellate di accumulatori per uso industriale e 160 000 tonnellate di pile portatili sono immesse ogni anno sul mercato europeo.

1.2

Inoltre il comparto è in forte crescita, anche in relazione allo sviluppo di nuovi apparecchi elettronici di consumo. Il valore del mercato mondiale presenta incrementi tendenziali annui del 9 % circa. Sul piano dei quantitativi, l'incremento annuo, in tonnellate, è dell'1 % circa per le pile, e dell'1,5 % per le batterie e gli accumulatori industriali.

1.3

Occorre sottolineare, infine, che con il previsto ed auspicato aumento della produzione di elettricità originata da fonti energetiche rinnovabili come l'energia eolica o solare, il bisogno di tecnologie adeguate di stoccaggio per tale energia elettrica aumenterà notevolmente. Questo costituirà una importante ragione supplementare per un mercato crescente di pile ed accumulatori potenti e sicuri.

1.4

L'attuale legislazione europea, soprattutto quella che si riferisce alle pile, non sembra aver permesso di regolare efficacemente i rischi che si possono presentare in tema di rifiuti, né ha creato un quadro omogeneo per la loro raccolta e riciclaggio. Nel 2002, meno della metà del volume totale di pile portatili vendute è stata raccolta e riciclata mentre la maggior parte è stata dispersa nell'ambiente. Per contro, la maggior parte delle batterie e degli accumulatori d'auto e industriali formano già oggetto di raccolta, in ragione del valore commerciale del piombo riciclato e dell'esistenza di adeguati sistemi di raccolta per gli accumulatori industriali che contengono nickel/cadmio.

1.5

L'intervento normativo proposto è conforme agli obiettivi fissati dal Sesto programma d'azione comunitaria per l'ambiente (1), alle indicazioni strategiche per la prevenzione ed il riciclaggio dei rifiuti - sulle quali il Comitato ha già avuto modo di pronunciarsi positivamente (2) — e infine alla direttiva 2000/53/CE sui veicoli fuori uso (3) ed alla direttiva 2002/96/CE sui rifiuti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (4). Anche in merito a queste ultime direttive il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi a più riprese (5), caldeggiando l'introduzione di obiettivi ambiziosi di recupero, di reimpiego e di riciclo (CES 1407/2000, punto 3.4.1).

1.6

Occorre, infine, ricordare che la Commissione ha adottato una proposta di direttiva quadro relativa all'istituzione di un quadro di elaborazione di linee specifiche per la progettazione ecocompatibile di prodotti che consumano energia (6), sulla quale il Comitato ha adottato un parere (7); la Commissione intende integrare gli aspetti ambientali di tutti i prodotti che consumano energia, sin dalla loro concezione. All'interno di tale cornice, in piena coerenza, verrebbero elaborate direttive di esecuzione per prodotto, sulla base dell'articolo 95, paragrafo 3 del Trattato CE.

1.7

Prima di avanzare l'attuale proposta, la Commissione ha realizzato un'analisi d'impatto approfondita (Valutazione d'impatto estesa — VIE), in cui si sono valutate le soluzioni politiche più valide sul lungo periodo, tra l'altro attraverso una consultazione pubblica alla quale hanno partecipato circa 150 parti interessate: autorità nazionali, regionali e locali; imprese ed associazioni di produttori e di distributori di pile e di accumulatori; varie organizzazioni non governative, organizzazioni dei consumatori e dei dettaglianti.

2.   Sintesi dei principali elementi della proposta di direttiva

2.1

Gli obiettivi della proposta di direttiva, che riguarda tutte le pile e gli accumulatori, sono essenzialmente i seguenti:

imporre il divieto di discarica o incenerimento per batterie ed accumulatori,

promuovere sistemi efficaci di raccolta (minimo 160 grammi per abitante all'anno per le pile portatili) senza oneri per il consumatore,

definire obiettivi di rendimento del riciclaggio, ai fini di garantire il corretto buon funzionamento del mercato interno,

ridurre i costi di raccolta e di riciclaggio grazie ai previsti livelli di raccolta più elevati.

2.2

Le misure principali della proposta della Commissione possono così riassumersi:

a)

abrogazione delle direttive esistenti (8) sia sulle pile sia sugli accumulatori e loro sostituzione con un nuovo strumento giuridico unico;

b)

obbligo di raccolta e di riciclaggio di tutte le pile e accumulatori usati, per evitarne l'incenerimento o lo smaltimento finale e per poter recuperare i differenti metalli che li compongono;

c)

instaurazione a livello dell'Unione europea di un quadro che regoli, in termini di sussidiarietà, i sistemi nazionali di raccolta, di riciclaggio e di incentivazione. Secondo le nuove disposizioni, vi è l'obbligo per i produttori, venditori e rivenditori, importatori ed esportatori, di provvedere al ritiro delle batterie e degli accumulatori industriali, mentre i consumatori potranno restituire gratuitamente pile e batterie portatili. Per quanto riguarda le batterie e gli accumulatori d'auto, si continuano a seguire le norme previste dalla direttiva 2000/53/CE sui veicoli fuori uso;

d)

proibizione dello smaltimento finale di batterie e di accumulatori industriali e d'auto in discariche o in inceneritori;

e)

fissazione di un obiettivo minimo, uniforme in tutta l'UE, di 160 grammi per abitante per la raccolta di tutte le batterie ed accumulatori portatili, quale base per sistemi nazionali efficienti; è altresì da prevedere un ulteriore obiettivo specifico di raccolta monitorata per le batterie e gli accumulatori al nickel/cadmio, tenuto conto della loro pericolosità, che coinvolga almeno l'80 % di tali prodotti;

f)

obbligo per gli Stati membri di garantire che i produttori di batterie o accumulatori, o i terzi che operano per loro conto, istituiscano impianti di trattamento per riciclaggio, con possibilità di esportazione dei prodotti usati per ulteriori trattamenti;

g)

obbligo per gli Stati membri di promuovere l'applicazione di tecnologie di riciclaggio avanzate e l'adesione al sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS);

h)

prescrizioni di riciclaggio, più elevate per le pile al piombo ed al nickel-cadmio, da aggiornare periodicamente in funzione del progresso tecnico;

i)

obbligo per gli Stati di provvedere a che i produttori assicurino la copertura delle spese relative alla gestione delle pile e degli accumulatori usati, fornendo garanzie adeguate tramite l'iscrizione in un apposito registro. Favorire altresì la possibilità di accordi finanziari fra produttori e utenti, per le batterie industriali e d'auto;

j)

indicazione delle informazioni da fornire ai consumatori ed obbligo per i produttori di apporre un apposito contrassegno sui prodotti. Quelli contenenti mercurio, piombo o cadmio dovranno essere contrassegnati con il simbolo chimico del relativo metallo;

k)

previsione di una clausola di riesame, sulla base dei risultati del monitoraggio, con l'obbligo di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale;

l)

possibilità di recepimento di taluni aspetti della direttiva attraverso accordi ambientali con gli operatori economici;

m)

obbligo per gli Stati di fissare sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato condivide gli obiettivi di assicurare la coerenza tra le normative comunitarie che si riferiscono alle pile e agli accumulatori e di perseguire la razionalizzazione, semplificazione e accorpamento in un unico quadro normativo della complessa materia. Ciò consentirebbe di garantire, mediante standard armonizzati, una maggiore protezione dell'ambiente, in un mercato unico europeo competitivo e rispettoso delle risorse naturali e dei materiali.

3.2

D'altro canto il Comitato ritiene opportuno, nei limiti del possibile, estendere il campo di applicazione della direttiva RAEE 2002/96/CE, fino a coprire tutti i tipi di pile, di batterie e di accumulatori, per evitare sia possibili duplicazioni sia la proliferazione normativa e procedurale. In effetti, la direttiva RAEE 2002/96/CE, dovrà essere applicata dagli Stati membri nel 2004, e per taluni aspetti a partire dal 2006, con sistemi di raccolta, riciclaggio e monitoraggio, strutture di registri nazionali RAEE, termini di imputazione di responsabilità e finanziamento.

3.3

Per quanto attiene l'attuale proposta di direttiva, il Comitato attira l'attenzione sulla necessità di una base giuridica che assicuri al contempo:

standard armonizzati pienamente verificabili e sanzionabili per tutti i produttori siano essi comunitari che extracomunitari che immettono pile, batterie ed accumulatori sul mercato europeo,

elevati livelli di protezione ambientale e della salute dei cittadini,

piena parità di concorrenza tra operatori, anche di paesi diversi, sul piano della equivalenza di diritti in termini di opzioni e incentivi, obblighi di produzione e di marcatura, registrazione e monitoraggio, raccolta e riciclaggio,

promozione dell'innovazione e del progresso tecnico e tecnologico, anche in vista di un uso crescente di pile ed accumulatori sicuri per stoccaggio di energia rinnovabile,

efficacia e sostenibilità di costi e procedure, che assicurino lo sviluppo durevole di un'economia europea basata sulla conoscenza, la più competitiva al mondo, entro il 2010,

certezza e misurabilità di coefficienti predeterminati di riciclaggio ammissibili,

omogeneità delle misure nazionali di registrazione e garanzia per immissione in commercio e loro riconoscimento reciproco, ai fini di evitare l'aggravio di registrazioni multiple.

3.4

Al riguardo il Comitato ritiene che quattro siano le opzioni possibili:

lo sdoppiamento dell'attuale proposta in due proposte di direttiva, ciascuna con una base giuridica unica propria: l'articolo 95 del Trattato CE per la direttiva attinente alle specifiche tecniche; l'articolo 175 del Trattato CE per la parte delegata in sussidiarietà agli Stati membri,

l'articolo 95, in particolare al paragrafo 3, per assicurare un approccio armonizzato coerente ed un quadro normativo ugualmente vincolante in tutto il territorio dell'UE, con piena percorribilità di produzione, di vendita e di commercializzazione in tutti i mercati dell'Unione, in conformità con la globalità del mercato mondiale di pile e di batterie,

l'articolo 175, che permette differenti regolamentazioni migliorative di protezione ambientale tra le diverse realtà nazionali, ma non può garantire standard armonizzati e vincolanti per l'integrità del mercato interno europeo,

l'attuale doppia base giuridica - articolo 95 e articolo 175 — dell'unica proposta di direttiva presentata: per i Capi II, III, VIII e l'allegato II varrebbe l'articolo 95, paragrafo 1; per i Capi IV, V, VI e VII varrebbe l'articolo 175, paragrafo 1.

3.5

Il Comitato, al riguardo, sottolinea come non siano poche le direttive aventi una notevole componente di tutela ambientale, che si basano sull'articolo 95 del Trattato CE, come la direttiva sulla gestione dei rifiuti, quella sugli imballaggi e la stessa direttiva sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (RoHs) (9) nonché la stessa direttiva 91/157/CEE su pile ed accumulatori contenenti sostanze pericolose (10) che la presente proposta della Commissione intende abrogare e sostituire. Il Comitato vuole evidenziare, inoltre, che i paragrafi 5 e 6 dell'articolo 95 autorizzano gli Stati membri che lo desiderano ad andare oltre in materia di protezione ambientale, presentando argomenti ben motivati.

3.6

Tenuto conto delle esigenze relative alla base giuridica espresse al paragrafo 3.3 e delle considerazioni espresse nel precedente paragrafo 3.5, nonché della necessità di assicurare un quadro unitario, coerente e semplificato alla futura normativa, il Comitato ritiene comunque che sia appropriata l'adozione di una direttiva unica.

3.7

Per quanto attiene alla base giuridica, il Comitato — pur condividendo le possibilità e la compatibilità di ricorso ai due articoli 95 (armonizzazione di mercato interno nel progresso) e articolo 175 (tutela ambientale nel progresso) — riterrebbe utile ricorrere, per quanto possibile, ad una base giuridica unica e, nella più ampia maniera possibile, riconducibile all'articolo 95, per assicurare una omogeneità di trattamento e di costi ai prodotti immessi in libera circolazione sul mercato unico europeo, che tengano in considerazione livelli elevati di protezione ambientale senza distorsioni di concorrenza e di trattamento e senza aggravi o duplicazioni di costi ed adempimenti burocratici.

3.8

Nel caso fosse ritenuto essenziale il ricorso, oltre che all'articolo 95, anche all'articolo 175, il Comitato raccomanda che quest'ultimo trovi applicazione per quanto riguarda le disposizioni relative ai sistemi nazionali di raccolta (Capo IV) di trattamento e riciclaggio (Capo V) nonché di informazione dei consumatori (Capo VII). Per quanto riguarda invece le rimanenti disposizioni - e in particolare quelle relative ai sistemi di registrazione - esse dovrebbero essere oggetto di armonizzazione ai sensi dell'articolo 95, per assicurare unicità al mercato.

3.9

Il campo d'applicazione della proposta di direttiva riguarda tutti i tipi di pile e di accumulatori, di qualsiasi dimensione e categoria, eccettuati quelli utilizzati per la sicurezza nazionale, per la ricerca spaziale e per quella militare. Il Comitato, pur rendendosi conto delle ragioni delle esclusioni evidenziate, riterrebbe utile che - data la rilevanza di utilizzo di pile, di batterie e di accumulatori, nel campo militare e della sicurezza - agli Stati membri fosse attribuita la responsabilità, secondo metodi e modalità loro proprie, di assicurare un adeguato trattamento della problematica relativa al loro utilizzo, alla raccolta e al riciclaggio, sempre in considerazione della necessità di assicurare livelli elevati di protezione della salute e dell'ambiente.

3.10

Ai fini dell'omogeneità della legislazione UE, il Comitato ritiene importante che tutte le direttive facciano uso delle stesse definizioni. Per questo motivo la definizione di «produttore» nella proposta di direttiva deve coincidere con quella della direttiva RAEE, secondo la quale il produttore è colui che produce o vende i prodotti recanti il proprio marchio oppure colui che importa o esporta un prodotto. Il Comitato sottolinea inoltre l'importanza del principio di responsabilità individuale di ciascun «produttore» per l'immissione sul mercato, così come delle garanzie da fornire da parte dei «produttori» ai registri nazionali per la raccolta, il trattamento e il riciclaggio delle pile e degli accumulatori industriali e per autoveicoli, e per il trattamento delle pile e delle batterie portatili. Peraltro, ogni attore della catena di raccolta - municipalità, dettaglianti, consumatori, produttori-importatori, autorità pubbliche - dovrebbe essere responsabile per quanto riguarda la propria parte d'azione.

3.11

Il Comitato sottolinea l'importanza che i sistemi di raccolta siano, per quanto possibile, coincidenti o similari con quelli messi in essere da altre direttive e, in particolare, con quelli previsti nella direttiva RAEE. Il Comitato ritiene accettabili i livelli di raccolta proposti (grammi/anno pro capite) per tutte le batterie e gli accumulatori portatili usati, a partire da cinque anni e mezzo dalla adozione della direttiva. La raccolta e il riciclaggio delle batterie e degli accumulatori d'auto e industriali avvengono già tramite sistemi efficaci quali i contratti di resa e la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso. Per quanto riguarda la percentuale indicata per le batterie Ni-Cd, l'obiettivo proposto dell'80 % in 5 anni appare forse troppo ottimista e non facilmente verificabile, soprattutto per le batterie portatili.

3.12

Il Comitato ritiene opportuna, peraltro, la possibilità di prorogare i tempi di realizzazione per altri 3 anni, per quanto riguarda le zone montagnose o rurali, a bassa densità abitativa, e per le isole. Così come considera utile l'applicazione di misure particolari per i nuovi Stati membri.

3.13

Quanto alle prescrizioni di riciclaggio proposte, il Comitato condivide il principio che tutte le batterie debbano essere riciclate ad eccezione di quelle che non sono in condizione di esserlo e che sono da considerare rifiuti pericolosi. Tutte le batterie riciclabili raccolte, dovrebbero essere riciclate con le migliori tecnologie disponibili, che non comportino costi eccessivi - Batneec (11). L'obiettivo indicativo di un'efficienza di riciclaggio del 55 %, per il piombo 65 % e per il cadmio il 75 %, in peso medio dei materiali contenuti, appare condivisibile, per assicurare una adeguata competizione tra diverse tipologie di riciclaggio, aggiornate secondo gli sviluppi tecnologici.

3.14

Per quanto attiene ai sistemi di finanziamento, tutti gli attori del mercato, a parere del Comitato, devono avere la possibilità di rendere visibile al cliente e al consumatore finale i costi sostenuti, allo stesso modo con cui gli attori pubblici rendono visibili i loro costi al cittadino attraverso le tasse sui rifiuti. I «produttori» di batterie portatili sono responsabili per il finanziamento del trasporto dai punti di raccolta centrali ai depositi e del riciclaggio, mentre per quanto riguarda il finanziamento della raccolta, del trattamento e del riciclaggio delle batterie industriali e per autoveicoli, i produttori e gli utenti devono poter concludere accordi di ripartizione degli oneri finanziari. In caso di esportazione in altri Stati membri o in paesi terzi, come previsto all'articolo 16, sarebbe opportuno, ad avviso del Comitato, tener conto degli eventuali effetti esterni del trasporto.

3.15

Il Comitato ritiene essenziale per il raggiungimento degli obiettivi di mercato unico e di protezione ambientale e sanitaria proposti, una adeguata politica di informazione, formazione e coinvolgimento del consumatore e del cittadino, sin dall'età scolare e pre-scolare.

3.15.1

Se l'aumento del prezzo di vendita non sembra aver avuto alcun effetto nell'esperienza di vari paesi del Nord-Europa, è stato calcolato che, se tutti i costi di raccolta e di riciclaggio per le batterie portatili usate, fossero imputati al consumatore, «il costo aggiuntivo annuo per famiglia sarebbe compreso tra uno e due euro».

3.15.2

Il problema che si pone è, innanzitutto, quello di una migliore informazione e di una più forte sensibilizzazione del consumatore. Il Comitato suggerisce al riguardo, oltre a campagne di informazione a livello nazionale e a livello locale, l'inserimento di azioni specifiche a livello educativo, sin dall'età scolare, che facciano leva anche sull'aspetto ludico, per un maggior coinvolgimento nella raccolta delle pile e delle batterie portatili usate, nonché per meglio chiarire la simbologia di marcatura dei prodotti. Gli operatori economici della filiera produttiva-distributiva dovrebbero fornire chiare e semplici indicazioni sulle condizioni di conservazione del prodotto e sui tempi di dismissione dei punti di raccolta dedicati.

3.15.3

Possibilità di coinvolgimento attivo del consumatore potrebbero essere esperite attraverso meccanismi premianti, quali concorsi a premi con raccolta di «punti», ottenibili restituendo le pile e le batterie esauste, od altri incentivi economici.

3.16

Il Comitato ritiene che il rapporto triennale sull'attuazione della direttiva e sul suo impatto sul buon funzionamento del mercato interno e sulla tutela ambientale e della salute, dovrebbe essere corredato, oltre che dalle sintesi dei rapporti nazionali, anche dalle indicazioni delle organizzazioni dei produttori e dei consumatori, a livello comunitario, nonché di un capitolo riguardante il progresso tecnico e tecnologico in materia. Dette relazioni dovrebbero essere sottoposte all'attenzione del Comitato.

4.   Conclusioni

4.1

Il Comitato sottolinea l'importanza di assicurare un quadro di norme coerenti, per garantire, con standard armonizzati, una maggiore protezione ambientale in un mercato interno europeo competitivo, delle pile e degli accumulatori.

4.2

Il Comitato sottolinea altresì, l'importanza di preservare la sostenibilità e le capacità innovative di un mercato in crescita, evitando sovraregolamentazioni che ostacolino il progresso tecnico e tecnologico, sia in termini di estensione del ciclo di vita del prodotto - e conseguentemente di contenimento di prodotti esausti - che di miglioramento di affidabilità, potenza e sicurezza, richieste, tra l'altro, dalle crescenti necessità di stoccaggio di energia elettrica prodotta da un ricorso sempre più diffuso a fonti energetiche rinnovabili, come l'eolica e la solare.

4.3

Il Comitato ribadisce l'esigenza di evitare la proliferazione normativa e procedurale e i conseguenti rischi di aggravi burocratici nonché di ostacolo allo sviluppo di prodotti innovativi.

4.4

Il Comitato ritiene condivisibile la possibilità e la compatibilità del ricorso ad una base giuridica che contempli entrambi gli articoli 95 e 175 riferiti a parti ben specificate e distinte della direttiva. Ciò non di meno, riterrebbe preferibile per un'alta protezione ambientale in un mercato unico uguale per tutti, il ricorso nella misura massima possibile all'articolo 95, tenendo debito conto delle opzioni assicurate nei paragrafi: 3 (livello di protezione elevato); e nei paragrafi 5 e 6 (introduzione o mantenimento di norme di protezione più elevate).

4.5

Il Comitato sottolinea l'importanza, per evitare aggravi e sovrapposizioni burocratiche, che i sistemi di raccolta, di riciclaggio e di registrazione siano coordinati con quelli RAEE.

4.6

Il Comitato sottolinea l'importanza del principio di responsabilità individuale di ciascun «produttore», per l'immissione sul mercato, così come sono importanti le garanzie che devono essere fornite, da parte dei «produttori», ai registri nazionali, secondo sistemi di registrazione armonizzati. Peraltro, ogni attore della catena di raccolta: municipalità, dettaglianti, consumatori, produttori-importatori, autorità pubbliche - dovrebbe essere responsabile per la propria parte d'azione.

4.7

Il Comitato condivide il principio che tutte le batterie siano riciclate ad eccezione di quelle che non sono in condizione di esserlo e che sono da considerare rifiuti pericolosi. Tutte le batterie riciclabili raccolte, dovrebbero essere trattate con le migliori tecnologie di riciclaggio disponibili e che non comportino costi eccessivi - Batneec (12).

4.8

Per quanto attiene ai sistemi di finanziamento, tutti gli attori del mercato, a parere del Comitato, devono avere la possibilità di rendere visibili al cliente ed al consumatore finale i costi sostenuti.

4.9

Il Comitato ritiene essenziale per il raggiungimento degli obiettivi di mercato unico e di protezione ambientale e sanitaria proposti, una adeguata politica di informazione, formazione e coinvolgimento del consumatore e del cittadino, sin dall'età scolare e prescolare.

4.10

Il Comitato ritiene che il rapporto triennale sull'attuazione della direttiva e sul suo impatto sul buon funzionamento del mercato interno e sulla tutela ambientale e della salute, dovrebbe essere sottoposto anche al Comitato economico e sociale europeo per gli opportuni legami con la società civile organizzata.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  GU L 242 del 10.9.2002.

(2)  Parere CESE 1601/2003 del 10-11 dicembre 2003.

(3)  GU L 269 del 21.10.2000.

(4)  GU L 37 del 13.2.2003.

(5)  Parere CES 289/1998 del 26 febbraio 1998 e pareri CES 1407/2000 e 937/2003 del 17 luglio 2003.

(6)  COM(2003) 453 del 1o agosto 2003.

(7)  CESE 505/2004.

(8)  Direttiva 91/157/CEE del Consiglio in GU L 78 del 26.3.1991, modificata dalla direttiva 98/101/CE della Commissione in GU L 1 del 5.1.1999, con riferimenti a:

direttiva 93/86/CEE della Commissione in GU L 264 del 23.10.1993,

decisione 2000/532/CE della Commissione in GU L 226 del 6.9.2000,

Comunicazione della Commissione COM(2003) 301,

Comunicazione della Commissione COM(2003) 302.

(9)  Direttiva 2002/95/CE del 27 gennaio 2003 in GU L 37 del 13.2.2003 - parere CESE in GU C 116 del 19.12.2001.

(10)  GU L 78 del 26.3.1991.

(11)  Batneec = Best Available Technology Not Entailing Excessive Cost.

(12)  Batneec = Best Available Technology Not Entailing Excessive Cost.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico della Comunità

(COM(2003) 847 def.) — 2003/0333 (COD))

(2004/C 117/03)

Il Consiglio, in data 22 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico della Comunità (COM(2003) 847 def.) — 2003/0333 (COD)).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 97 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Introduzione

1.1

La proposta ha lo scopo di codificare la direttiva 76/464/CEE del Consiglio, del 4 maggio 1976, concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico della Comunità (1). La nuova direttiva si sostituisce ai testi in essa incorporati (2) e ne rispetta integralmente la sostanza, limitandosi a raggrupparli e ad apportarvi le sole modifiche formali rese necessarie dall'opera di codificazione.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato ritiene utile che tutti i testi vengano integrati in una unica direttiva. Nel contesto dell'Europa dei cittadini il Comitato, al pari della Commissione, attribuisce grande importanza alla semplificazione e alla chiara formulazione della normativa comunitaria, perché questa diventi più comprensibile e accessibile al cittadino comune e gli offra nuove opportunità di far valere i diritti che la normativa sancisce.

2.2

Dal momento che il legislatore si è adoperato perché questa versione codificata non contenesse alcuna modifica di carattere sostanziale ed avesse l'unico scopo di presentare la normativa comunitaria in maniera chiara e trasparente, il Comitato esprime il proprio sostegno incondizionato a tale obiettivo e, di fronte alle garanzie così fornite, accoglie con favore la proposta.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Eseguita ai sensi della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Codificazione della normativa comunitaria, COM(2001) 645 def.

(2)  Allegato II, Parte A, della proposta.


30.4.2004   

IT

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C 117/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci (versione codificata)

(COM(2004) 19 def. — 2004/0002 (COD))

(2004/C 117/04)

Il Consiglio, in data 29 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 175 e 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci (COM(2004) 19 def. — 2004/0002 (COD)).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SANTIAGO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 102 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Introduzione

La proposta ha lo scopo di codificare la direttiva 78/659/CEE del Consiglio, del 18 luglio 1978, sulla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci (1). La nuova direttiva sostituisce i testi che essa incorpora (2) e ne preserva in pieno la sostanza, limitandosi a riunirli e ad apportare le sole modifiche formali rese necessarie dall'opera di codificazione.

2.   Osservazioni generali

Il Comitato ritiene estremamente utile che tutti i testi vengano integrati in un'unica direttiva. Nel contesto dell'Europa dei cittadini il Comitato, al pari della Commissione, attribuisce grande importanza alla semplificazione e alla chiara formulazione della normativa comunitaria, perché questa diventi più comprensibile e accessibile al cittadino comune e gli offra nuove possibilità di far valere i diritti che la normativa sancisce.

3.

Dal momento che il legislatore si è adoperato perché questa versione codificata non contenesse alcuna modifica di carattere sostanziale ed avesse l'unico scopo di presentare la normativa comunitaria in maniera chiara e trasparente, il Comitato esprime il proprio sostegno incondizionato a tale obiettivo e, di fronte alle garanzie così fornite, accoglie con favore la proposta.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Eseguita ai sensi della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Codificazione della normativa comunitaria, COM(2001) 645 def.

(2)  Allegato III, parte A, della proposta.


30.4.2004   

IT

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C 117/12


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad un quadro unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (Europass)

(COM(2003) 796 def.)

(2004/C 117/05)

Il Consiglio, in data 14 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 149 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad un quadro unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (Europass) (COM(2003) 796 def.).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 6 aprile 2004 (relatore: DANTIN).

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 93 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Già nella proposta di decisione del Consiglio relativa alla promozione di percorsi europei di formazione integrata dal lavoro, ivi compreso l'apprendistato (COM(97) 572 def.) (1), la Commissione europea aveva rilevato che «nel contesto della realizzazione del mercato interno, e più in generale di quello della costruzione di uno spazio senza frontiere, la mobilità delle persone in formazione diventa una dimensione sempre più importante dell'affermazione della cittadinanza europea, nonché uno strumento d'integrazione interculturale e sociale».

1.2

La mancanza di trasparenza delle qualifiche e delle competenze è stata spesso giudicata un ostacolo per la mobilità a fini di istruzione o di lavoro e percepita come un freno per la flessibilità dei mercati del lavoro europei.

1.3

Negli ultimi anni, grande attenzione è stata dedicata a questi temi a livello nazionale ed europeo con l'intento di modificare la situazione attuale.

1.3.1

In occasione del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, la maggiore trasparenza delle qualifiche è stata indicata, nelle conclusioni della Presidenza, come una delle tre componenti principali di un approccio destinato a rendere i sistemi europei di istruzione e formazione più adeguati alle nuove esigenze della società della conoscenza in termini di livello e qualità dell'occupazione e dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita.

1.3.2

Due anni dopo, il Consiglio europeo di Barcellona ha fissato, tra l'altro, l'obiettivo di fare dei sistemi di istruzione e formazione dell'Unione europea un punto di riferimento di qualità a livello mondiale entro il 2010. A tal fine ha formulato l'invito specifico di introdurre strumenti volti a garantire la trasparenza dei diplomi e delle qualifiche.

1.3.3

Allo stesso scopo, la comunicazione della Commissione relativa al piano d'azione per le competenze e la mobilità (COM(2002) 72 def.) ha raccomandato l'attuazione e lo sviluppo di strumenti atti a corroborare la trasparenza e la trasferibilità delle qualifiche onde agevolare la mobilità all'interno dei settori di attività e fra un settore e l'altro, nonché l'istituzione di un sito di informazione sulla mobilità europea del tipo «sportello unico» quale parte di una più ampia rete europea volta a fornire ai cittadini informazioni complete e facilmente accessibili sugli aspetti principali delle opportunità lavorative, della mobilità, dell'apprendimento e della trasparenza delle qualifiche in Europa. La risoluzione del Consiglio del 3 giugno 2002 sulle competenze e la mobilità auspicava da parte sua una maggiore cooperazione, al fine, tra l'altro, di sviluppare un quadro per la trasparenza e il riconoscimento fondato sugli strumenti esistenti.

1.3.4

Nel campo dell'istruzione e della formazione professionale questa cooperazione rafforzata è stata avviata. L'iniziativa, che si ispira al «processo di Bologna» concernente l'istruzione superiore, si fonda su due documenti programmatici: la dichiarazione di Copenaghen del 30 novembre 2002 e la risoluzione del Consiglio del 19 dicembre 2002 sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale.

1.3.4.1

Nella dichiarazione di Copenaghen si sollecita espressamente un'azione intesa ad aumentare la trasparenza nell'istruzione e nella formazione professionale tramite l'attuazione e la razionalizzazione degli strumenti e delle reti di informazione, anche grazie all'inserimento in un quadro unico degli strumenti esistenti, quali il curriculum vitae (CV) europeo, i supplementi ai certificati e ai diplomi, il quadro comune europeo di riferimento per le lingue e l'Europass.

1.4

La proposta di decisione in esame istituisce il quadro unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze, come auspicato nella risoluzione del Consiglio del 19 dicembre 2002, e stabilisce le misure di attuazione e di accompagnamento più appropriate.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato condivide, nel complesso, il contenuto della proposta di decisione.

2.1.1

Al pari della Commissione, ritiene infatti che una maggiore trasparenza delle qualifiche e delle competenze sia destinata ad agevolare, in tutta Europa, la mobilità ai fini dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, promuovendo così una istruzione e formazione di qualità. Una maggiore trasparenza faciliterà inoltre la mobilità a scopo professionale tra i diversi paesi e settori di attività, contribuendo così allo sviluppo personale dei singoli cittadini.

2.1.1.1

Tale dispositivo contribuirà in tal modo alla politica e allo sviluppo dell'occupazione in quanto agevolerà la trasferibilità delle qualifiche. Fornendo una dimensione supplementare allo spazio europeo della formazione, esso è destinato a rafforzare la cittadinanza europea e a contribuire al tempo stesso al consolidamento del mercato unico.

2.2

Il Comitato approva, in linea generale, l'approccio pratico e concreto proposto per mettere in atto questo orientamento, che consiste nel creare un documento in cui figurano la descrizione e la certificazione delle competenze e delle qualifiche acquisite dal titolare tramite la formazione iniziale o permanente oppure la propria esperienza professionale.

2.2.1

Il portafoglio Europass – presentato in formato unificato – raccoglierà i seguenti documenti:

il «curriculum vitae europeo», messo a punto dal Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (CEDEFOP),

il «portafoglio europeo delle lingue», che armonizza la presentazione delle competenze linguistiche,

il «supplemento al diploma», che descrive il corso di studi seguito, agevolando così le equivalenze e, di conseguenza, la mobilità,

il «supplemento al certificato», che ha le medesime finalità del supplemento al diploma, ma riguarda la formazione professionale e, infine,

l'«Europass-Formazione» (il cui nome si ispira alla proposta in esame) che descrive le competenze acquisite nell'ambito della formazione integrata dal lavoro effettuata in un altro Stato membro; tale documento prenderà, in una fase successiva, il nome di «Mobilipass».

A questi documenti raccolti sotto la denominazione «Europass» se ne potranno aggiungere altri approvati dalla Commissione previa consultazione delle Agenzie nazionali Europass (ANE).

2.3

Il Comitato approva inoltre l'obbligo per ciascuno Stato membro di designare una ANE competente a livello nazionale per il coordinamento di tutte le attività Europass, la quale sostituirà gli organismi che svolgono attualmente attività analoghe, quali i «punti di contatto nazionali Europass-Formazione».

2.3.1

L'ANE si può considerare una sorta di «sportello unico» in quanto espleta le seguenti funzioni:

coordina, in collaborazione con gli organismi nazionali competenti, o eventualmente effettua i passi necessari per mettere a disposizione o rilasciare i documenti Europass,

promuove l'utilizzazione di Europass, anche mediante servizi basati su Internet,

si preoccupa di mettere a disposizione dei singoli cittadini informazioni e orientamenti adeguati su Europass e i relativi documenti,

fornisce ai cittadini informazioni e orientamenti sulle opportunità di apprendimento in tutta Europa, sulla struttura dei sistemi d'istruzione e di formazione e su altri aspetti relativi alla mobilità ai fini dell'apprendimento,

gestisce, a livello nazionale, i contributi finanziari comunitari per tutte le attività collegate alla proposta di decisione.

2.3.2

Il Comitato si compiace altresì dell'istituzione di una rete europea di ANE, le cui attività saranno coordinate dalla Commissione. Tale rete agevolerà la circolazione delle informazioni e prassi migliori da uno Stato membro all'altro, contribuendo così a migliorare il lavoro di ciascuna ANE in termini di qualità e di efficacia.

2.4

Nel complesso, la costituzione di un quadro coordinato degli strumenti esistenti, promosso e applicato in ciascun paese da un unico organismo – collegato in rete a livello europeo - e affiancato da idonei sistemi di informazione a livello nazionale ed europeo, accresce la coerenza e la diffusione dei documenti e agevola l'accesso a questi ultimi. Un portafoglio coordinato di documenti ha un maggiore impatto comunicativo rispetto a una serie di documenti senza alcun nesso tra loro. Si tratta di un passaporto che consente una migliore lettura e comunicazione delle qualifiche in possesso del titolare.

2.5

Il Comitato nota con interesse che il contenuto della proposta di decisione è in linea con il quadro di azioni per lo sviluppo permanente delle competenze e delle qualifiche definito dalle parti sociali nel febbraio 2002. In questo ambito le parti sociali hanno infatti insistito – oltre che sulla priorità da attribuire al riconoscimento e alla convalida delle competenze e delle qualifiche – sull'esigenza di migliorare la trasparenza e la trasferibilità, quale strumento che agevola la mobilità geografica e professionale e migliora l'efficienza del mercato del lavoro.

2.5.1

Come risulta dalla proposta di decisione della Commissione, le parti sociali devono nella fattispecie svolgere un ruolo importante e vanno pertanto coinvolte nella sua attuazione. Il comitato consultivo per la formazione professionale, composto di rappresentanti delle parti sociali e delle autorità nazionali degli Stati membri, deve essere regolarmente informato in merito all'attuazione della decisione.

2.5.2

Questo punto dovrà figurare nella relazione sull'attuazione, consistente in una valutazione della decisione, che la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio ogni quattro anni.

2.5.3

Dal momento che la relazione è parte integrante e al tempo stesso conseguenza logica della decisione e della sua attuazione, il Comitato si augura, quando verrà il momento, di essere consultato al riguardo.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

La proposta di decisione prevede la possibilità di inserire nel portafoglio Europass, oltre ai documenti concordati a livello europeo, gli strumenti attinenti alla trasparenza elaborati a livello nazionale e settoriale e approvati dalla Commissione previa consultazione delle ANE (cfr. punto 2.2).

3.1.1

A tale proposito, il Comitato giudica oscuri, perché scarsamente definiti, i criteri che regolano l'inserimento di altri documenti nel portafoglio Europass, le modalità operative, nonché, in generale, gli elementi che contribuiscono a tale procedura, che pertanto va resa più esplicita e «trasparente».

3.2

Il Comitato sottolinea l'importanza delle campagne di informazione e comunicazione da condurre a livello europeo, nazionale e settoriale.

3.2.1

Il dispositivo in esame non interessa infatti solo i giovani in cerca di prima occupazione, ma l'intero mercato del lavoro, e va dunque promosso non soltanto negli ambienti universitari, in modo da garantire una sua diffusione capillare tra le agenzie di collocamento.

3.2.2

Per essere efficace, la promozione, oltre a rispondere ai requisiti necessari, dovrà riuscire a raggiungere il grande pubblico. Da questo punto di vista, la disponibilità su Internet di tutti gli elementi dell'iniziativa Europass e la creazione di un logo che ne consenta la visualizzazione rapida e inequivocabile sono di importanza fondamentale.

3.2.3

La presenza di Europass su Internet contribuirà alla riuscita della messa in rete delle ANE, offrendo così possibilità di accesso a tutti i lavoratori, ivi inclusi quelli migranti; il Comitato esprime soddisfazione per questa iniziativa.

3.2.4

Se la possibilità di accedere a Europass II su Internet è determinante al fine di massimizzarne l'efficacia, ciò non deve andare a scapito della sua diffusione su carta, con il rischio di escludere i lavoratori che non possono utilizzare Internet.

3.3

Il Comitato condivide la decisione di estendere le competenze di Europass-Formazione. Il passaggio da Europass-Formazione a Mobilipass comporterà infatti un ampliamento del suo contenuto, che non si limiterà più alla formazione integrata dal lavoro, ma abbraccerà anche altri tipi di formazione, come Erasmus e, più in generale, tutti i programmi comunitari in materia di istruzione e formazione. Mobilipass fornirà così una panoramica più esaustiva delle conoscenze acquisite dal titolare nel quadro della mobilità sul territorio europeo.

3.4

Passando ora agli aspetti finanziari, gli stanziamenti previsti sono analoghi a quelli destinati a Europass-Formazione negli esercizi precedenti, nonostante il maggior peso acquisito dal dispositivo e l'imminente allargamento dell'Unione a 25 Stati membri. Le risorse stanziate riguardano solo il biennio 2005-2006, mentre «negli anni successivi, i costi annuali non dovrebbero subire variazioni significative».

3.4.1

Il Comitato suggerisce di non attendere il 2010 - anno in cui sarà presentata al Parlamento europeo e al Consiglio la relazione sull'attuazione della decisione - ma di effettuare nel frattempo una valutazione finanziaria dei primi due anni di funzionamento allo scopo di stabilire, alla luce dei suoi risultati, gli stanziamenti da destinare all'esercizio 2007 e a quelli successivi.

4.   Conclusioni

4.1

Il Comitato condivide, nel complesso, il contenuto della proposta in esame.

4.2

Il dispositivo risulta, in tutta coerenza, la conseguenza logica - in termini di principi e di loro applicazione - di una serie di orientamenti e di decisioni adottati dai Consigli europei di Lisbona e di Barcellona, e ribaditi nella dichiarazione di Copenaghen del novembre 2002.

4.3

Una maggior trasparenza delle qualifiche e delle competenze è destinata ad agevolare la mobilità in tutta Europa a fini di lavoro, ma anche di istruzione e formazione.

4.4

Tale dispositivo contribuirà alla politica e allo sviluppo dell'occupazione. Offrendo una dimensione supplementare allo spazio europeo dell'istruzione, della formazione e dell'apprendimento, esso è destinato a rafforzare la cittadinanza europea e a contribuire al tempo stesso al consolidamento del mercato unico.

4.5

Il Comitato approva l'istituzione in ciascuno Stato membro di una ANE, paragonabile, nella fattispecie, a uno «sportello unico».

4.6

Le parti sociali dovranno da parte loro essere coinvolte nell'attuazione del dispositivo.

4.7

La proposta di decisione risulterebbe maggiormente precisa se indicasse più chiaramente le modalità operative e i criteri adottati per definire gli strumenti, elaborati a livello europeo e settoriale, da inserire poi nel portafoglio Europass II.

4.8

Il Comitato sottolinea altresì l'importanza delle campagne di informazione e comunicazione, nonché della disponibilità su Internet di tutti gli elementi dell'iniziativa Europass ai fini di una sua riuscita.

4.9

Il Comitato suggerisce infine di effettuare una valutazione finanziaria al termine dei primi due anni di esercizio.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Parere CES 635/98 del 29 aprile 1998 (relatore: Dantin), GU C 214 del 10.7.1998.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi

(COM(2003) 822 def. — 2003/0329 (CNS))

(2004/C 117/06)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 13 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi (COM(2003) 822 def. — 2003/0329 (CNS)).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 aprile 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo nel corso della 408a sessione plenaria del 28 e 29 aprile 2004 (seduta del 28 aprile), ha adottato il seguente parere con 99 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Introduzione

1.1

Il 23 dicembre 2003, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva del Consiglio (1) che modifica la direttiva 77/388/CEE, detta sesta direttiva, per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi.

1.2

La proposta di direttiva modifica, ai fini dell'imposizione, il luogo della prestazione dei servizi tra soggetti passivi. Essa rientra nel programma di lavoro della Commissione volto a migliorare il funzionamento del mercato interno.

1.3

Il 7 luglio 2000, la Commissione europea ha infatti adottato una comunicazione in cui illustra la sua strategia volta a migliorare il funzionamento del regime IVA nel mercato interno (2). La strategia prevede l'elaborazione di un programma d'azione per il conseguimento di quattro obiettivi principali:

la semplificazione delle norme esistenti,

la modernizzazione delle norme esistenti,

un'applicazione più uniforme delle disposizioni attuali,

una nuova attuazione della cooperazione amministrativa.

La proposta sottoposta all'esame del CESE rientra nell'ambito del secondo obiettivo.

1.4

Diverse altre iniziative della Commissione hanno permesso di fare passi avanti nella realizzazione degli obiettivi sopraccitati. Per quanto concerne, ad esempio, la semplificazione, il Consiglio ha adottato la direttiva 2000/65/CE del 17 ottobre 2000 la quale ha soppresso, a partire dal 1o gennaio 2003, la possibilità per gli Stati membri di obbligare gli operatori intracomunitari che portano avanti operazioni in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti a nominare un rappresentante fiscale.

1.5

Nello stesso ordine di idee, si possono citare, giusto per ricordarle, iniziative quali la possibilità per tutti i soggetti di adempiere ai loro obblighi per via elettronica, l'armonizzazione del contenuto delle fatture, l'accettazione di una fattura elettronica, e infine la direttiva concernente il commercio elettronico.

2.   Sintesi della proposta di direttiva

2.1   Situazione attuale

2.1.1

La sesta direttiva definisce, all'articolo 9, il luogo di prestazione dei servizi ai fini dell'imposizione dell'IVA. La particolarità di questo articolo consiste nel fissare una regola generale, che è sempre più raramente applicata (articolo 9, paragrafo 1) e nel prevedere deroghe in cui rientra un numero sempre maggiore di operazioni (articolo 9, paragrafi 2 e 3):

l'articolo 9, paragrafo 1, definisce come luogo di una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha fissato la propria sede. Il principio generale è dunque quello di tassare la prestazione dei servizi nel paese di stabilimento del prestatore,

l'articolo 9, paragrafo 2, stabilisce una serie di deroghe a questa regola generale:

alla lettera a), precisa che le prestazioni di servizi relative a un bene immobile devono essere tassate nel paese dove il bene è situato,

alla lettera b), precisa che il luogo delle prestazioni di trasporto è quello dove avviene il trasporto in funzione delle distanze percorse,

alla lettera c), precisa che il luogo delle prestazioni di servizi aventi per oggetto attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, d'insegnamento, ricreative o affini è quello in cui tali prestazioni sono materialmente eseguite. Lo stesso vale per i lavori e le perizie su beni mobili materiali,

alla lettera e), fornisce l'elenco delle prestazioni per le quali il paese di imposizione corrisponde al paese di stabilimento del destinatario se quest'ultimo è un soggetto stabilito in un paese della Comunità diverso da quello del prestatore oppure stabilito al di fuori della Comunità. L'elenco completo di tali prestazioni, generalmente denominate «prestazioni immateriali», è allegato al presente documento,

alla lettera f), precisa che per quanto concerne le prestazioni di cui all'ultimo trattino della lettera e), vale a dire i servizi forniti con mezzi elettronici a persone che non siano soggetti passivi stabilite nell'Unione europea, il luogo di imposizione corrisponde al paese dell'Unione europea dove tali persone sono stabilite. Si tiene conto in tal modo dell'articolo 1 della direttiva 2002/38/CE del 7 maggio 2002, che modifica la direttiva 77/388/CEE.

2.2   Le ragioni della situazione attuale

2.2.1

Attualmente il regime relativo al luogo di imposizione della prestazione di servizi consiste in una regola generale poco applicata (le prestazioni sono tassate nel paese di stabilimento del prestatore) e in una serie di deroghe (la prestazione viene tassata nel paese in cui è materialmente eseguita oppure nel paese di stabilimento del destinatario). Questa situazione è dovuta alle scelte operate al momento dell'adozione della sesta direttiva.

2.2.2

Durante i lavori di elaborazione del testo, la Commissione ha dichiarato di essersi trovata di fronte alla difficoltà di armonizzare le diverse normative degli Stati membri che fissavano in maniera divergente il luogo delle prestazioni di servizi ai fini della loro imposizione. Alcuni Stati privilegiavano il luogo di stabilimento del prestatore, altri il luogo di stabilimento del destinatario.

2.2.3

Con l'adozione della sesta direttiva, che ha rappresentato una tappa importante nella realizzazione del mercato unico, la Commissione ha dovuto ovviamente uniformare, ai fini dell'imposizione, il luogo delle prestazioni di servizi onde limitare, per non dire eliminare, i rischi di doppia imposizione o di non imposizione di talune operazioni. La scelta operata dalla Commissione nel 1978, e approvata da tutti gli Stati membri, è in funzione delle diverse normative vigenti all'epoca e tiene conto del tipo di servizi più frequentemente prestati.

2.3   Le conseguenze della situazione attuale

2.3.1

Secondo il Comitato — che concorda con un'opinione largamente condivisa — la situazione attuale comporta due tipi di conseguenze che possono pregiudicare lo sviluppo del mercato unico.

2.3.1.1

Le norme vigenti sono estremamente complesse e contrarie all'indispensabile spirito di semplificazione su cui deve basarsi la regolamentazione in materia di IVA. Esse sono d'ostacolo all'azione delle imprese comunitarie, in particolare delle PMI, e sono in palese contrasto con l'asserita volontà della Commissione di semplificare gli adempimenti a carico degli operatori economici e dei cittadini in generale.

2.3.1.2

Le norme in vigore determinano situazioni di non imposizione o di doppia imposizione, che sono inique e possono favorire le imprese situate al di fuori dell'Unione a scapito di quelle comunitarie. La ragione principale di questo problema risiede nel fatto che l'articolo 9, paragrafo 2, lettera e), si applica esclusivamente ad una serie limitata di deroghe specificamente elencate e che un'estensione di tale elenco presuppone una modifica della direttiva e, dunque, una procedura lunga e laboriosa.

2.3.2

In base all'articolo 9, paragrafo 2, lettera e), è possibile tassare le prestazioni nel paese del destinatario anche quando il prestatore ha la sua sede fuori dell'UE e, al contrario, è possibile esonerare le prestazioni fornite da prestatori con sede nel territorio della Comunità a destinatari stabiliti al di fuori dell'UE. Un sistema del genere permette di rispettare la neutralità dell'imposta e di mettere su un piede di parità le imprese comunitarie che prestano tali servizi con quelle extracomunitarie.

2.3.3

La regola predetta, peraltro, non è imperativa: se uno Stato membro decide di non applicarla, soprattutto se i servizi in questione non figurano nell'elenco sopraccitato, allora i servizi «esportati» dalle imprese europee vengono assoggettati all'IVA (nel luogo del prestatore), mentre i servizi «importati» non lo sono, il che non garantisce la neutralità dell'imposta e arreca un indebito pregiudizio alle imprese stabilite nel territorio dell'Unione europea.

2.4   Le proposte della Commissione

2.4.1

Per risolvere questa situazione, la Commissione ha presentato la proposta di direttiva ora in esame nella quale:

propone di modificare (art. 9) il luogo di imposizione delle prestazioni fornite tra soggetti passivi. La regola generale sarà ormai quella di tassare la prestazione dei servizi nel paese del destinatario,

coglie l'occasione per chiarire (art. 1.1) che i servizi prestati nell'ambito della stessa persona giuridica - e cioè fra stabili organizzazioni della stessa società, anche se stabilite in paesi diversi - non sono considerate prestazioni di servizi.

2.4.1.1

Secondo la Commissione, l'applicazione di questa regola generale permetterebbe di rimediare agli inconvenienti citati ai punti precedenti, stabilendo il principio secondo cui le prestazioni tra soggetti passivi devono essere tassate nel luogo di effettivo consumo, che generalmente corrisponde al luogo di stabilimento del destinatario.

2.4.1.2

Per quanto concerne i servizi resi alle persone che non sono soggetti passivi, il luogo di imposizione resta il paese in cui il prestatore ha fissato la propria sede.

2.4.2

Infine, per quanto concerne i soggetti passivi che effettuano sia prestazioni soggette all'IVA sia prestazioni esenti, la Commissione propone di considerarli soggetti passivi a tutti gli effetti per le prestazioni che vengono loro rese, ad eccezione di quelle destinate ad un consumo finale.

2.4.2.1

Questa nuova formulazione dell'articolo 9 della sesta direttiva permette di rimediare in gran parte, secondo la Commissione, agli inconvenienti precedentemente evocati.

2.4.3

La proposta di direttiva prevede inoltre una serie di deroghe:

ai fini dell'imposizione, il luogo delle prestazioni di servizi relativi ad un bene immobile resta il paese dove il bene è situato,

anche i servizi alberghieri e i pedaggi autostradali sono tassati nei paesi in cui sono situati gli immobili o le autostrade,

ai fini dell'imposizione, si considera luogo delle prestazioni di trasporto di passeggeri il luogo dove avviene il trasporto in funzione delle distanze percorse,

si considera luogo delle prestazioni di servizi aventi per oggetto attività culturali, artistiche, sportive, ricreative o affini il luogo in cui tali prestazioni sono materialmente eseguite. Questa deroga alla regola principale è conforme all'economia generale dell'imposta e permette di evitare che le imprese che prestano servizi fissino la loro sede nei paesi ad aliquota bassa.

2.4.4

Tuttavia, la nuova formulazione dell'articolo non include tra le deroghe le attività scientifiche e didattiche, le quali di conseguenza rientrano nuovamente nell'ambito della regola generale. L'obiettivo è, secondo la Commissione, quello di semplificare gli obblighi delle imprese che operano nei settori fondamentali per lo sviluppo economico, della ricerca scientifica e dell'insegnamento, per i quali il rischio di delocalizzazione all'interno dell'Unione unicamente a causa di una diversa aliquota dell'IVA è minimo.

3.   Osservazioni e proposte

3.1

Il Comitato è d'accordo sulle finalità della proposta di direttiva e, in generale, sulla formulazione della nuova regolamentazione, che tuttavia appare ancora piuttosto complicata e dà quindi adito alle riserve e richieste di chiarimenti che sono indicate nei capitoli che seguono. Riconosce, d'altra parte, che la materia è complessa e che le regole di carattere generale non possono sempre risolvere i vari casi particolari che si presentano nella vita delle aziende.

3.2   Trasporto di passeggeri (art. 9 ter)

3.2.1

La Commissione propone di stabilire come luogo di prestazione «il luogo dove avviene il trasporto in funzione delle distanze percorse». La norma è di difficile interpretazione: da un lato non è chiaro quale sia «il luogo dove avviene il trasporto» (luogo di partenza? Luogo di destinazione?), soprattutto nel caso del trasporto aereo, e dall'altro sorge il dubbio se si debbano calcolare tante aliquote di IVA quante sono le tratte percorse nei vari Stati («in funzione delle distanze percorse»). Se già è difficile stabilire criteri per il trasporto terrestre, i trasporti aerei e marittimi pongono ancor più gravi problemi di interpretazione e di applicazione. Il CESE ritiene necessaria una nuova e più chiara formulazione, ma soprattutto una revisione per armonizzare il trattamento del trasporto di passeggeri con quello del trasporto merci (cfr. oltre, articolo 9 sexties).

3.2.2

La Commissione dichiara che nella materia nulla è stato innovato rispetto alla situazione esistente; il CESE attira tuttavia l'attenzione sul fatto che le norme da applicare sono, come si è detto sopra, estremamente complicate. Non solo, ma nella pratica esse danno luogo ad interpretazioni difformi da caso a caso, con conseguenti dubbi interpretativi e maggior lavoro per i soggetti d'imposta e per le Amministrazioni. Si tratta qui di un settore dove una maggior chiarezza e semplicità sono necessarie. Il CESE suggerisce che la norma venga radicalmente riveduta nella forma e, se necessario, nella sostanza.

3.3   Prestazioni di servizi specifici a soggetti passivi (art. 9 quinqies)

3.3.1

La Commissione propone di tassare i servizi di cui sopra nel paese del prestatore, purché vengano rispettate contemporaneamente le seguenti tre condizioni:

i servizi devono essere resi nello Stato membro in cui il prestatore è stabilito,

è indispensabile la presenza fisica sia del prestatore sia del destinatario,

i servizi devono essere prestati direttamente ad un privato in vista del loro consumo immediato.

3.3.2

Con riferimento alla terza condizione, se per «privato»si intende una persona fisica appartenente ad un'organizzazione soggetta a IVA, la norma sembrerebbe ragionevole; ma in tal caso il CESE ritiene che, al fine di ridurre gli obblighi degli operatori, sarebbe utile abrogare l'ottava direttiva IVA e introdurre il diritto transfrontaliero di detrazione.

3.3.3

Questa categoria di deroghe non include le operazioni del noleggio e della locazione a lungo termine (più di trenta giorni). Queste operazioni verrebbero pertanto tassate nel paese del destinatario, contrariamente a quanto avviene attualmente. Questo permetterebbe di vietare a taluni destinatari di approfittare delle norme relative al diritto di detrazione del paese del prestatore, qualora risultino più favorevoli di quelle dei loro stessi paesi.

3.3.3.1

Il CESE osserva tuttavia che in questa categoria rientrano operazioni di rilevante entità economica come il leasing aereo e il noleggio di navi: lo spostamento di entrate da un paese all'altro può essere rilevante, e il calcolo delle mutate convenienze economiche per le imprese potrebbe incoraggiare una delocalizzazione.

3.4   Trasporto di beni per persone non soggetti passivi (art. 9 sexties)

3.4.1

L'articolo 9 sexties considera come luogo di prestazione di questi servizi il luogo di partenza. Ad avviso del Comitato, occorre un chiarimento che dimostri quale coerenza esista fra il trattamento riservato al trasporto di passeggeri che non fa distinzione tra soggetti passivi e non e che prevede come luogo di imposizione quello dove avviene il trasporto in funzione delle distanze percorse, ed il presente articolo, che riguarda chiaramente i trasporti effettuati per conto di privati.

3.4.2

Il paragrafo 2 di questo articolo dice che gli Stati membri possono esentare dall'imposta la parte di trasporto effettuata in acque fuori dal territorio UE. Questa esenzione sarà magari logica, ma il CESE si oppone decisamente al riconoscimento agli Stati membri di «facoltà» (presenti anche in altri articoli) di concedere o meno esenzioni. In una materia come quella fiscale, ove l'armonizzazione è ben lontana dall'essere raggiunta, la libertà di scelta rischia di aggravare le già esistenti diversità di trattamento tra i contribuenti.

3.4.3

Per quanto riguarda l'applicazione della norma, valgono le critiche e i suggerimenti espressi nel precedente paragrafo 3.2.2.

3.5   Prestazioni di servizi tramite mezzi elettronici a favore di persone non soggetti passivi (art. 9 octies)

3.5.1

Questo articolo prescrive che le prestazioni rese da soggetti residenti fuori della Comunità siano considerate come rese nel luogo di residenza della persona non soggetto passivo. La Commissione ha chiarito che i prestatori non UE dovranno iscriversi all'IVA nel paese del destinatario, riscuotere quanto dovuto e restituirlo al paese del destinatario. La norma si applicherebbe fino al luglio 2006. A parte l'ovvia considerazione che il periodo che decorrerà sino al termine indicato sarà estremamente limitato e nulla si dice sulle decisioni che verranno prese in seguito, il CESE osserva che una norma del genere potrà forse essere osservata dai «grandi» fornitori di servizi elettronici, ma che essa si presta ad essere largamente evasa dai «piccoli» o occasionali fornitori di servizi a privati.

3.6   Altre disposizioni

3.6.1

Le altre deroghe riguardano le persone che non sono soggetti passivi, che devono essere presi in considerazione in quanto la proposta modifica in maniera globale l'articolo 9. Vengono mantenute le norme attuali, in merito alle quali non vi sono osservazioni da formulare. Il CESE rileva che se da un lato è opportuno che le regole d'imposizione tra soggetti passivi e non passivi vengano armonizzate in una fase successiva, è altrettanto opportuno che questo non renda più gravose le formalità che pesano sia sui prestatori sia sui consumatori. Questa evoluzione dovrebbe favorire una generalizzazione dello sportello unico, come avviene oramai per i servizi resi con mezzi elettronici.

4.   Conclusioni

4.1

Come considerazione di carattere generale, il CESE osserva che per quanto concerne i soggetti passivi, la proposta di direttiva permette di uniformare, in larga parte, le regole che disciplinano il luogo di imposizione dei beni con quelle applicabili alle prestazioni di servizi. Questo dovrebbe consentire di semplificare gli obblighi degli operatori e, in taluni casi, di ristabilire la parità tra le imprese comunitarie e quelle che hanno sede fuori del territorio dell'Unione, come avviene attualmente con il regime import-export di beni. Non si può che essere d'accordo su questa impostazione.

4.1.1

Con l'occasione il CESE auspica che si faccia una corretta valutazione della diversità delle prestazioni di servizi, distinguendo tra servizi di interesse generale a carattere universale e servizi di tipo privato.

4.2

La proposta di direttiva ha peraltro bisogno di essere resa più chiara in diverse sue parti; dovrebbe anche essere ridotto al minimo il numero di «eccezioni alle eccezioni», che rischiano di complicare ancor più una materia che di per se stessa è già abbastanza complessa. In definitiva, le nuove norme sono ben lungi dal raggiungere l'obiettivo della semplificazione perseguito in generale dalla Commissione. Si dovrebbe anche rivedere il testo per eliminare nei limiti del possibile il margine di interpretazione delle disposizioni da parte degli Stati membri e il margine di autonomia decisionale delle amministrazioni fiscali.

4.3

Le nuove norme hanno ridotto al minimo i casi nei quali il prestatore è obbligato ad iscriversi nei registri IVA dello Stato destinatario, e favoriscono quindi il meccanismo dell'inversione contabile: versamento da parte del soggetto passivo e conseguente diritto di detrazione per le attività imponibili.

4.3.1

Il sistema dell'inversione contabile mette in prima linea il problema dei controlli. Per garantirli la Commissione propone di estendere anche ai servizi il sistema VIES (sistema elettronico di scambio di dati sull'IVA) già esistente dal 1993 per le merci: orbene, è noto - ed è ammesso anche dalla Commissione - che tale sistema funziona in modo insoddisfacente, nonostante operi da oltre dieci anni. Sempre secondo la Commissione, l'aggiunta nel sistema dei dati relativi ai servizi a quelli già previsti per le merci «non comporterebbe oneri aggiuntivi». Il CESE non è di questo avviso: non solo gli oneri aggiuntivi sarebbero consistenti, ma è da mettere in dubbio anche la possibilità di rispettare la data prevista per la messa in opera di questa estensione (2008), considerate le difficoltà che incontra già oggi il sistema.

4.4

In conclusione, il CESE ritiene di poter fare due considerazioni finali: la prima è che l'IVA è l'imposta più largamente evasa in Europa, e che l'evasione da un lato favorisce frodi su larga scala che fra l'altro alimentano la criminalità organizzata — e dall'altro richiede agli Stati membri un imponente spiegamento di mezzi per combatterla. Il costo di riscossione di questa imposta non è noto, ma è certamente molto elevato. Si dovrebbe giungere alla conclusione che non è alle norme che si deve attribuire questo stato di cose, bensì al sistema stesso; dovrebbe essere tempo, per gli esperti, di pensare a sistemi alternativi che garantiscano un gettito almeno pari a quello attuale ma che siano meno costosi per la collettività nel suo insieme e più efficaci dal punto di vista della riscossione. Il CESE ritiene sia venuto il momento, per la Commissione e per gli Stati membri, di costituire un «think tank» di esperti, economisti, fiscalisti e tecnici per una soluzione innovativa e coraggiosa.

4.4.1

La seconda considerazione è di carattere socioeconomico: l'applicazione dell'IVA, con tutti i difetti dei quali si è parlato, crea nel mercato interno delle disparità di trattamento fra i cittadini/consumatori che sono l'esatto contrario di quella politica di coesione della quale tanto si parla ma che ancora conosce una quantità di eccezioni alla regola. Una revisione dell'IVA si impone anche sotto questo profilo.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  COM(2003) 822 def. — 2003/0329 (CNS).

(2)  Parere CESE: GU C 193 del 10.7.2001, pag. 45.


ALLEGATO

Elenco delle prestazioni di cui all'articolo 9, paragrafo 2, lettera c)

c)

il luogo delle prestazioni di servizi aventi per oggetto:

attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, d'insegnamento, ricreative o affini, ivi comprese quelle degli organizzatori di dette attività nonché, eventualmente, prestazioni di servizi accessorie a tali attività,

attività accessorie ai trasporti quali operazioni di carico, scarico, manutenzione e attività affini,

perizie di beni mobili materiali,

lavori relativi a beni mobili materiali,

è quello in cui tali prestazioni sono materialmente eseguite.

Elenco delle prestazioni di cui all'articolo 9, paragrafo 2, lettera e)

e)

si considera luogo delle prestazioni dei seguenti servizi, resi a una persona stabilita al di fuori della Comunità o a soggetti passivi stabiliti nella Comunità ma in un paese diverso da quello del prestatore, il luogo in cui il destinatario ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, o, in mancanza di tale sede, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale:

cessioni e concessioni di diritti d'autore, brevetti, diritti di licenza, marchi di fabbrica e di commercio e altri diritti analoghi,

prestazioni pubblicitarie,

prestazioni fornite da consulenti, ingegneri, uffici, studi, avvocati, periti contabili ed altre prestazioni analoghe, nonché elaborazioni di dati e fornitura d'informazioni,

obblighi di non esercitare interamente o parzialmente un'attività professionale, o un diritto di cui alla presente lettera e),

operazioni bancarie, finanziarie e assicurative, comprese le operazioni di riassicurazione, ad eccezione della locazione di casseforti,

messa a disposizione di personale,

prestazioni di servizi rese dagli intermediari che agiscono in nome e per conto altrui, quando intervengono nelle prestazioni di servizi di cui alla presente lettera e),

locazione di un bene mobile materiale, ad esclusione di qualsiasi mezzo di trasporto,

telecomunicazioni. Sono considerate «prestazioni di servizi di telecomunicazioni» le prestazioni di servizi che rendono possibile la trasmissione, l'emissione o la ricezione di segnali, scritti, immagini e suoni o informazioni di qualsiasi natura via filo, per radio, tramite mezzi ottici o altri mezzi elettromagnetici, ivi compresa la cessione e la concessione, ad esse connesse, di un diritto di utilizzazione a infrastrutture per la trasmissione, l'emissione o la ricezione,

prestazioni di servizi di telecomunicazioni, ivi compresa la messa a disposizione dell'accesso a reti globali di informazioni,

servizi di radiodiffusione e di televisione,

servizi prestati tramite mezzi elettronici, in particolare quelli di cui all'allegato L.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/21


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2003/49/CE per quanto riguarda la possibilità per alcuni Stati membri di prevedere periodi transitori per l'applicazione di un regime fiscale comune relativo ai pagamenti di interessi e canoni fra società consociate di Stati membri diversi

(COM(2004) 243 def. — 2004/0076 (CNS))

(2004/C 117/07)

Il Consiglio, in data 14 aprile 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2003/49/CE per quanto riguarda la possibilità per alcuni Stati membri di prevedere periodi transitori per l'applicazione di un regime fiscale comune relativo ai pagamenti di interessi e canoni fra società consociate di Stati membri diversi (COM(2004) 243 def. — 2004/0076 (CNS)).

Il Comitato economico e sociale europeo ha incaricato della preparazione dei suoi lavori in materia la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale.

In considerazione dell'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso nel corso della 408a sessione plenaria del 28 e 29 aprile 2004 (seduta del 28 aprile) di nominare BURANI relatore generale e ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Proposta della Commissione

1.1

L'obiettivo della presente proposta è quello di modificare la direttiva 2003/49/CE perché preveda periodi di transizione per la sua applicazione, in seguito alle richieste della Repubblica ceca, della Lettonia, della Lituania, della Polonia e della Slovacchia.

1.2

La direttiva è stata adottata il 3 giugno 2003, quindi successivamente alla firma dell'Atto di adesione avvenuta il 16 aprile 2003, e pertanto non è stata inclusa nel capitolo 9 dell'allegato II dell'Atto di adesione. La direttiva costituisce tuttavia un elemento dell'acquis comunitario e, a tale titolo, si applica a partire dalla data di adesione, vale a dire dal primo maggio 2004.

1.3

Nel maggio e nel luglio 2003 gli Stati aderenti sono stati ufficialmente invitati a presentare le loro richieste per l'applicazione di periodi di transizione. La Repubblica ceca e le Repubbliche di Lettonia, Lituania e Polonia hanno presentato una richiesta ufficiale per l'applicazione di un periodo di transizione.

1.4

Nella valutazione delle richieste di deroga, la Commissione ha preso in considerazione:

le ritenute alla fonte attualmente applicabili nei paesi richiedenti in base alla loro legislazione fiscale interna,

l'aliquota delle ritenute alla fonte sui pagamenti di interessi e di canoni previsti nelle Convenzioni fiscali sul reddito e sul capitale dei paesi richiedenti,

l'impatto finanziario dell'abolizione delle ritenute alla fonte, e

i periodi transitori concessi ad altri Stati membri (Grecia, Portogallo e Spagna).

1.5

Tenuto conto della loro situazione economica attuale, della loro condizione di paesi importatori di capitale, della transizione economica in atto e del livello abbastanza basso delle loro entrate, gli Stati aderenti potrebbero trovarsi in difficoltà finanziarie, se fossero obbligati ad abolire le ritenute alla fonte sui pagamenti di interessi e di canoni.

1.6

La Commissione ha valutato le richieste degli Stati aderenti in funzione di questo contesto, prendendo in considerazione le loro esigenze specifiche. Secondo i principi da essa applicati, ogni periodo transitorio deve essere di breve durata e commisurato al problema da risolvere.

1.7

Tenuto conto di quanto sopra, la Commissione propone di accordare un periodo transitorio di sei anni a tutti gli Stati richiedenti, ad eccezione della Slovacchia, che ha chiesto soltanto due anni, per l'applicazione della direttiva in ordine all'aspetto dell'imposizione dei pagamenti di canoni, e di accordare un periodo transitorio di sei anni alla Lettonia e alla Lituania per quanto riguarda l'imposizione dei pagamenti di interessi (nel presupposto che sei anni dovrebbero essere sufficienti per procedere agli opportuni adeguamenti). Per i primi quattro anni, l'aliquota della ritenuta applicata ai pagamenti di interessi in Lettonia e in Lituania non potrà superare il 10 %, mentre durante gli ultimi due anni non potrà superare il 5 %.

2.   Il parere del Comitato economico e sociale europeo

2.1

Il Comitato si complimenta con la Commissione per il modo adeguato e coerente con cui ha esaminato le richieste degli Stati aderenti.

2.2

Poiché la direttiva forma parte dell'acquis comunitario, gli Stati aderenti dovranno applicarla dal primo maggio, data della loro adesione. Se non viene accolta la loro richiesta di un periodo di transizione, tali paesi potranno avere difficoltà finanziarie.

2.3

Periodi transitori in questo settore sono stati accordati ad alcuni degli Stati membri attuali e quindi sembra giusto e opportuno, sia sotto il profilo dei principi che sotto quello del precedente creato, che anche i nuovi Stati membri possano beneficiare di periodi transitori quando ciò sia giustificato.

2.4

In conclusione, il Comitato raccomanda l'approvazione di questa proposta di direttiva, ritenendo che ciò rappresenterà un segnale politico importante nei confronti dei nuovi Stati membri, riaffermando l'impegno a favore del loro sviluppo. Onde evitare di mettere gli Stati aderenti in una situazione che può comportare per loro conseguenze finanziarie negative, il Comitato invita il Consiglio ad adottare questa direttiva in tempi brevissimi.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Valutazione della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile — Parere esplorativo

(2004/C 117/08)

La Commissione europea, in data 12 novembre 2003, ha invitato, con lettera del commissario LOYOLA DE PALACIO, il Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ad elaborare un parere esplorativo sul tema Valutazione della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2004 sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE (correlatore: EHNMARK).

Il Comitato economico e sociale europeo in data 28 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 77 voti favorevoli, 23 voti contrari e 14 astensioni.

0.   Riassunto

0.1

Da molti anni sono in corso iniziative per promuovere lo sviluppo sostenibile all'interno dell'UE e arginare le tendenze non sostenibili. Nel Consiglio europeo di Göteborg è stata deliberata una strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile al fine di accorpare e intensificare queste iniziative. Gli ultimi studi compiuti dalla Commissione europea indicano però che queste iniziative non sono ancora sufficienti e che, in questo ambito, l'Europa ha tuttora di fronte sfide impegnative.

0.2

Nel presente parere esplorativo, che gli è stato richiesto dalla Commissione, il Comitato analizza tutti gli aspetti relativi al percorso dell'UE verso lo sviluppo sostenibile nonché i modi in cui l'UE dovrebbe rafforzare la propria strategia di sviluppo sostenibile. Ci sono motivi di vario tipo: tra gli altri, le opinioni estremamente diversificate che esistono nella politica e nella società su cosa sia in concreto lo sviluppo sostenibile, sul grado di compatibilità con i principi di sostenibilità delle attuali abitudini di produzione e consumo oppure sull'opportunità di modificarle, insomma, concretamente, su che cosa vada fatto e da chi (cfr. sezione 2.2).

0.3

Secondo il Comitato, un compito particolarmente importante della nuova strategia di sostenibilità consisterà nello spiegare che lo sviluppo sostenibile a condizione di saper scegliere gli obiettivi e i mezzi, comporterebbe soprattutto cambiamenti positivi e che quindi, nel complesso, la società ne trarrà beneficio. Su questo punto, infatti, non esiste neanche lontanamente un consenso: vengono anzi avanzati dubbi sulla possibilità di conciliare la competitività dell'economia europea con lo sviluppo sostenibile.

0.4

Il Comitato non ha mai messo in dubbio il fatto che un'economia sana, con imprese prospere, sia non solo una premessa determinante per l'occupazione e l'ambiente e per lo sviluppo della società ma anche un risultato sempre più diretto della qualità e del livello di quest'ultima. Tuttavia, non si è ancora riusciti a far passare il messaggio che lo sviluppo sostenibile, in questo campo, crea nuove importanti opportunità. Ciò dipende anche dal fatto che molti degli interrogativi sollevati, sotto forma di rivendicazioni o di pubblicazioni, non hanno ancora trovato risposte adeguate (cfr. sezione 2.2). Non essendovi certezza sulle conclusioni, si diffonde lo scetticismo. Il Comitato, quindi, raccomanda vivamente alla Commissione di analizzare nel dettaglio e di chiarire tutte le questioni fondamentali di comprensione (cfr. sezione 2.3) per mezzo di un ampio dibattito sociale con la società civile organizzata nel quale siano affrontate anche le questioni finora rimaste tabù.

0.5

Sviluppo sostenibile vuol dire trasformare l'economia di mercato, collegare ancor più strettamente l'ambiente, l'occupazione e la competitività con le questioni della giustizia distributiva e dell'equità intergenerazionale. La strategia di sostenibilità deve quindi prendere in considerazione tempi ben più lunghi e tener conto di molti più aspetti rispetto alla strategia di Lisbona, che punta essenzialmente a fare dell'Europa, entro il 2010, l'economia basata sulla conoscenza più competitiva. Nella sezione 2.4 il Comitato descrive perciò come queste due strategie siano in rapporto tra di loro e come si possano completare a vicenda in modo ottimale. Richiama però l'attenzione anche sulle questioni ancora irrisolte.

0.6

Attualmente, le cosiddette «forze libere del mercato» sono già regolamentate da disposizioni ambientali e sociali e tale regolamentazione sarà potenziata mediante l'applicazione di un'apposita politica della sostenibilità. Di conseguenza, in alcuni settori la crescita beneficerà di nuovi impulsi mentre un eventuale sfruttamento non sostenibile delle risorse potrebbe comportare perdite economiche in altri. Questo significa che nell'ambito dello sviluppo sostenibile sarà opportuno anche controbilanciare eventuali tendenze non sostenibili, il che richiede un dibattito su questioni quali la fiscalità, le sovvenzioni, le licenze e le regolamentazioni che consenta di garantire l'applicazione di questo modello di sostenibilità.

0.7

Per il Comitato non esistono dubbi sulla necessità di rielaborare l'attuale strategia di sostenibilità dell'UE, deliberata al Consiglio europeo di Göteborg. Nel farlo si dovrà tendere a un maggiore equilibrio tra la dimensione ambientale, quella economica e quella sociale (cfr. punto 3.2 e ss.). La nuova strategia dovrà anche chiarire come le singole politiche dell'UE possano essere rese più coerenti (cfr. punti 3.8 e ss.) e come possano essere collegate tra loro adeguate strategie di sostenibilità da avviare a livello nazionale, regionale e perfino locale (cfr. sezione 5).

0.8

Oltre a presupporre mutamenti nelle modalità di produzione e di consumo in uso nell'UE, lo sviluppo sostenibile deve naturalmente avere un impatto sul commercio internazionale e, di conseguenza, sull'OMC. Una politica che, all'insegna della sostenibilità, pratichi ad esempio l'internalizzazione di tutti i costi esterni e che per giunta prenda in considerazione anche altri fattori, può comportare svantaggi concorrenziali nei confronti di altre economie che non aderiscono, o aderiscono solo in parte, a principi di sostenibilità. In questo caso deve essere possibile compensare gli svantaggi settoriali sul piano commerciale. Nella sezione 6, perciò, il Comitato sollecita la Commissione a prendere in considerazione gli aspetti esterni, il che significa anche esercitare un'opportuna pressione per rivedere le norme dell'OMC.

0.9

Il successo della futura strategia di sostenibilità sarà tanto più probabile quanto più essa conterrà obiettivi e provvedimenti il più possibile quantificabili e stabilirà indicatori comprensibili per la verifica dei progressi compiuti e la valutazione dell'efficacia delle politiche (cfr. sezione 7). Nel caso del dibattito sulla sostenibilità, ciò è complicato dal fatto che non esiste un punto raggiunto il quale si possa dire di aver conseguito l'obiettivo. Da questo punto di vista lo sviluppo sostenibile, più che un obiettivo, è un processo, cosa che non facilita affatto la politica in materia. Ciononostante, quest'ultima dovrebbe puntare a indicare finalità il più possibile chiare e, assolutamente, stabilire un calendario. Spesso risulta chiara la necessità di prevedere molte tappe intermedie, cosa che il Comitato illustra con l'esempio degli obiettivi di Kyoto.

0.10

La politica di sviluppo sostenibile ha naturalmente bisogno anche di verifiche, prima di tutto, però, di trasparenza. Lo sviluppo sostenibile è infatti subordinato a un ampio consenso sociale e a un forte sostegno e ciò presuppone che si sappiano diverse cose. Che si sappia cos'è lo sviluppo sostenibile e quali conseguenze avrebbe, oppure quali conseguenze sarebbero prevedibili se non fosse praticata una politica di sostenibilità. Già l'elaborazione della nuova strategia, in seguito anche la sua attuazione, dovrebbero quindi svolgersi nell'ambito di un vasto dialogo politico (cfr. sezione 8). Il relativo processo partecipativo dovrà però essere organizzato in modo completamente diverso rispetto a quanto avvenuto alla vigilia di Göteborg. I tempi concessi allora si sono infatti rivelati di gran lunga insufficienti e, di conseguenza, non è stato possibile tenere un vero dibattito nella società come invece è avvenuto, almeno in parte, per l'elaborazione del presente parere del Comitato.

1.   Introduzione

1.1

In una lettera del 12 novembre 2003, Loyola de PALACIO, vicepresidente della Commissione europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di redigere un parere esplorativo sulla strategia per lo sviluppo sostenibile. Tale parere costituirà un contributo ai principali orientamenti politici per la revisione della strategia che la Commissione dovrà adottare nel maggio 2004. Nelle intenzioni della Commissione, il Comitato dovrebbe:

valutare i progressi realizzati nel conseguire i principali obiettivi della strategia per lo sviluppo sostenibile,

valutare la necessità di ampliare la strategia,

analizzare le conseguenze dell'allargamento,

discutere le possibilità per sviluppare un legame più stretto con le strategie nazionali,

discutere la necessità di includere nella strategia generale gli aspetti esterni e il follow-up di Johannesburg,

discutere la necessità di definire obiettivi strategici e indicatori più chiari,

riflettere sui possibili modi per migliorare la procedura di attuazione e

fornire idee sul modo migliore per attuare una strategia di comunicazione sullo sviluppo sostenibile.

1.2

Con il presente parere esplorativo, tuttavia, il Comitato intende anche portare avanti il dibattito in corso al suo interno, poiché la società civile organizzata dovrà fornire impulsi e contributi decisivi, a tutti i livelli politici e amministrativi, se vuole consentire allo sviluppo sostenibile di diventare realtà per il bene delle generazioni attuali e di quelle future.

2.   Valutazione dei progressi realizzati nel conseguire i principali obiettivi

2.1   La situazione attuale del percorso verso lo sviluppo sostenibile

2.1.1

Il Comitato non ha alcun dubbio sul fatto che la questione dello «sviluppo sostenibile», negli ultimi anni, sia diventata sempre più importante nel dibattito politico. I servizi della Commissione hanno sicuramente riconosciuto la fondamentale importanza di questo tema e, anche sul piano formale, lo sviluppo sostenibile è sancito dai Trattati europei (1). Il Comitato prevede che la Costituzione europea in via di adozione comporterà un potenziamento dello sviluppo sostenibile come obiettivo sovraordinato.

2.1.2

Quanto ai lavori finalizzati allo sviluppo sostenibile, la Commissione vanta ormai un'ampia gamma di iniziative. Negli ultimi anni il tentativo di effettuare il necessario collegamento tra le questioni economiche, sociali e ambientali ha guadagnato nettamente in importanza e in attenzione. Ne è un esempio l'invito rivolto dal Consiglio europeo di Cardiff del luglio 1998 a tutte le formazioni pertinenti del Consiglio ad elaborare le proprie strategie per far sì che i settori politici di rispettiva competenza diano effetto all'integrazione ambientale e allo sviluppo sostenibile (2). Purtroppo questo processo non si può certo considerare definitivamente, e positivamente, concluso, eppure non se ne parla quasi più. La strategia di Lisbona, avviata nel frattempo, finora si è rivelata carente per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile, ragion per cui, con decisione del Consiglio europeo di Göteborg, le si è dovuto aggiungere un capitolo sull'ambiente.

2.1.3

Il Consiglio europeo di Göteborg ha selezionato quattro temi, sui sei proposti in una comunicazione della Commissione, definendoli prioritari per il dibattito sulla sostenibilità, vale a dire:

cambiamenti climatici,

trasporti,

sanità pubblica,

risorse naturali.

Non sono stati prescelti i temi della lotta alla povertà e dell'invecchiamento della popolazione, il che apparentemente significa che l'attuale strategia per lo sviluppo sostenibile pone l'accento sulla dimensione ambientale e presta meno attenzione agli aspetti sociali. Secondo il Comitato in questo modo viene trasmesso un messaggio inappropriato. Il Comitato ritiene che questi aspetti strutturali siano fondamentali per adottare una prospettiva a lungo termine, per tener conto della dimensione globale della strategia e, anche e soprattutto, per stimolare i cittadini ad impegnarsi nel suo miglioramento.

2.1.4

La Commissione ha iniziato a esaminare le proprie politiche, o almeno alcune, per stabilire se si trova già sulla buona strada per conseguire uno sviluppo sostenibile. L'ultimo riesame (parziale) di questo tipo è avvenuto con la presentazione della comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo «Riesame della politica ambientale — 2003» (3). In tale documento, che illustra la dimensione ambientale della sostenibilità, la Commissione giunge a conclusioni molto deludenti (4).

2.1.4.1

Per quanto riguarda la politica in materia di cambiamento climatico, al vertice di Göteborg è stato annunciato l'impegno di compiere già «entro il 2005 progressi dimostrabili» nel conseguimento degli obiettivi di Kyoto (5). Il riesame della politica ambientale giunge però alla conclusione che l'UE, mantenendo le politiche attuali, difficilmente sarà in grado di raggiungere gli obiettivi di Kyoto.

2.1.4.2

Anche per quanto riguarda i trasporti non vi è alcun indizio che induca a pensare che l'UE sia sulla strada giusta per conseguire una politica più sostenibile. La Commissione afferma ad esempio che le emissioni del settore dei trasporti nocive per il clima continuano ad aumentare e che, soprattutto nei paesi in via di adesione, «le tendenze non sono incoraggianti: l'uso di ferrovie e servizi collettivi di autotrasporto è diminuito drasticamente, mentre il tasso di crescita del comparto aereo e delle autovetture private è stato superiore a quello relativo all'UE» (6).

2.1.4.3

In campo sanitario, la Commissione richiama l'attenzione sul fatto che ogni anno, nelle metropoli dell'UE, vi sono circa 60 000 morti a causa dell'eccessivo inquinamento atmosferico. Un bambino su sette soffre di asma e il loro numero è aumentato drasticamente negli ultimi anni (7).

2.1.4.4

Anche per quanto riguarda le risorse naturali, le prospettive sono ancora piuttosto negative. Soprattutto in tema di biodiversità, la Commissione vede persistere, all'interno dell'UE, gravi problemi (8).

2.1.5

Nel dicembre 2003 la Commissione giunge infine alla conclusione che i numerosi provvedimenti di tutela già presi negli anni precedenti non hanno tuttavia consentito di «attenuare le attuali tendenze insostenibili per l'ambiente» in misura sufficiente (9). Un risultato sicuramente non piacevole, ma nemmeno del tutto sorprendente. Già nel 1999, infatti, nella sua comunicazione «L'ambiente in Europa: quali direzioni per il futuro? - Valutazione globale del programma di politica e azione della Comunità europea a favore dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile - Verso la sostenibilità» (10), la Commissione aveva ricordato che «i progressi realizzati verso la sostenibilità sono stati chiaramente limitati» e che «le tendenze evidenziate nella comunicazione mostrano (…) che l'Europa non è sulla strada giusta per garantire lo sviluppo sostenibile».

2.1.6

Secondo il Comitato ciò significa che ci troviamo solo all'inizio del cammino, sicuramente non facile, che porta allo sviluppo sostenibile. Lo testimonia anche il fatto che, su alcune delle questioni prioritarie di politica ambientale, la Commissione ha appena iniziato ad elaborare i documenti destinati a sfociare in altrettante strategie specifiche. Al Comitato non risulta che esistano ancora documenti del genere che trattano lo stato del dibattito sulla sostenibilità dal punto di vista economico e sociale.

2.1.7

Pertanto, a parere del Comitato, lo scenario attuale è il seguente:

la Commissione è sicuramente consapevole dei problemi esistenti in Europa per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile,

sicuramente, sotto il profilo sia teorico che pratico, sono stati anche messi a punto, discussi e, in parte, perfino attuati strumenti e provvedimenti in materia (p. es. soppressione di sovvenzioni dannose, maggiore sostegno ai processi sostenibili, internalizzazione dei costi esterni ecc.),

tali misure, però, non sono applicate in modo abbastanza coerente.

2.1.8

Il Comitato, quindi, non può che condividere l'affermazione della Commissione secondo la quale «molte delle attuali tendenze insostenibili per l'ambiente derivano dalla scarsa attenzione prestata ai collegamenti esistenti fra settori diversi. Anziché sostenersi a vicenda, politiche diverse hanno effetti reciprocamente deleteri. Tale incoerenza accresce il costo e riduce l'efficacia delle politiche, ostacolando i progressi verso uno sviluppo sostenibile» (11).

2.1.9

Il fatto che la Commissione abbia ammesso che alcune delle sue politiche penalizzano, più che promuovere, lo sviluppo sostenibile è tanto più grave in quanto la Commissione stessa è consapevole di quanto sia indispensabile una leadership politica in questo campo: «Occorrerà un forte impegno politico per apportare i cambiamenti resi necessari dallo sviluppo sostenibile. Se lo sviluppo sostenibile avrà indubbiamente benefici per la società nel suo complesso, saranno necessari difficili compromessi tra interessi divergenti, che dovremo affrontare apertamente e con onestà. Le politiche vanno cambiate in maniera equa ed equilibrata, senza permettere che limitati interessi settoriali prevalgano sul benessere della società nel suo complesso» (12).

2.1.10

Il Comitato rileva che, nelle osservazioni finora formulate dall'UE sulla sostenibilità, questioni centrali quali l'equità intergenerazionale (viviamo noi a spese delle generazioni future?), la giustizia distributiva (viviamo noi a spese di altre società, ad esempio il terzo mondo?) o la lotta contro la povertà nel mondo non vengono trattate in modo visibile o,quantomeno, non sono oggetto di comunicazione adeguata. Sicuramente la questione potrebbe essere affrontata più efficacemente se la Commissione sottoponesse a continua verifica, dal punto di vista dello sviluppo sostenibile, non solo la dimensione ambientale, ma anche quelle economica e sociale. Già il Consiglio europeo di Stoccolma, nel 2001, aveva chiesto di comprendere anche «negli indirizzi (…) la promozione dello sviluppo sostenibile» (13), cosa che finora, invece, non è stata fatta. Le questioni accennate andrebbero approfondite, così come ci si dovrebbe chiedere quali conseguenze ecologiche si avrebbero a lungo termine se il nostro sistema attuale di produzione e consumo fosse adottato, nella sua forma attuale, da tutti gli esseri umani del pianeta (14).

2.1.11

L'elaborazione delle prospettive finanziarie dell'UE per il periodo 2007-2013 (15) avrebbe potuto essere l'occasione per dare un impulso decisivo allo sviluppo sostenibile. Il Comitato osserva però che non è sufficiente continuare a perseguire, senza modificarle, politiche esistenti che si sono chiaramente dimostrate problematiche per lo sviluppo sostenibile e trasferirle semplicemente nel titolo di bilancio «Crescita sostenibile». Anzitutto, fa notare che lo «sviluppo sostenibile» e la «crescita sostenibile» sono due cose diverse, che dovrebbero completarsi a vicenda ma che possono senz'altro anche essere in contrasto (cfr. sezione 2.3). Ciò rende necessaria una chiara distinzione anche nelle prospettive finanziarie.

2.2   Come mai non si sono ancora fatti progressi decisivi? Quali sono i problemi da risolvere nel percorso verso lo sviluppo sostenibile?

2.2.1

A parere del Comitato il percorso verso lo sviluppo sostenibile procede a rilento per i seguenti motivi:

non vi è ancora un consenso su come valutare la situazione attuale e ancor meno su quali misure adottare, non solo a livello mondiale o europeo, ma neanche a livello nazionale, regionale o locale,

regna notevole incertezza anche su cosa sia, concretamente, lo sviluppo sostenibile e sul modo in cui gli sviluppi futuri divergeranno dalle condizioni di vita attuali, cosa che fa nascere timori e resistenze nei settori potenzialmente interessati,

è tuttora poco chiaro: sia come venga classificata e organizzata, nell'ambito dell'attività politica quotidiana, la politica per lo sviluppo sostenibile e come si intenda procedere, concretamente, per incorporare una prospettiva di sostenibilità in tutte le politiche pertinenti,

sia come si possa risolvere il potenziale conflitto tra una politica coerente di promozione della sostenibilità e, per esempio, le norme sul commercio mondiale (fissate dall'OMC) (16).

2.2.2

Il Comitato concepisce la strategia di sostenibilità come la finalità politica sovraordinata dei prossimi decenni. Tutte le politiche e i programmi attuali dovranno basarsi su di essa, soddisfare gli obiettivi di sostenibilità a lungo termine e appoggiarli. Ciò vale per la strategia di Lisbona (cfr. punto 2.4) come per tutte le altre strategie e azioni attualmente in corso.

2.2.3

A questo proposito la Commissione può contare su un ampio sostegno politico. I sondaggi effettuati rivelano che una larghissima maggioranza della popolazione condivide il principio dell'equità intergenerazionale e l'obiettivo di non utilizzare più risorse di quante se ne ricreino, mentre solo una minoranza ha già almeno sentito parlare del concetto di «sviluppo sostenibile». Ciò vuol dire che, anche se l'uomo della strada riesce a identificarsi con le finalità generali della politica su cui si fonda lo sviluppo sostenibile, solo una ristretta minoranza sa trovare una qualche utilità nel concetto stesso. Ciò è sintomatico di un notevole problema di comunicazione che deve essere risolto.

2.2.4

In merito a formule relativamente astratte del tipo: «Dobbiamo far sì che lo sviluppo soddisfi i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro» (17) un accordo è stato trovato velocemente. Nessuno può essere insensibile a una tale affermazione.

2.2.5

Anche frasi come: «Non si dovrebbero ripetere gli errori fatti in passato», spesso usate nel quadro dell'allargamento dell'UE, sono facili da pronunciare. Esse, però, restano senza conseguenze se gli errori non sono specificati chiaramente o se le strategie correttive indicate non vengono poi applicate. Un esempio pertinente è la politica dei trasporti.

2.2.6

La strategia di sostenibilità, quindi, deve puntare, oltre che ad identificare le tendenze negative più chiaramente di quanto avvenuto finora e a sviluppare contromisure, anche a promuovere più attivamente gli esempi e le tendenze evolutive di segno positivo.

2.2.7

Una strategia, per definizione, è un piano preciso dell'azione che un determinato soggetto deve intraprendere per raggiungere un obiettivo, tenendo conto fin dall'inizio dei fattori che potrebbero influire su di essa. Di conseguenza, la futura strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile dovrebbe:

stabilire obiettivi chiari,

illustrare i singoli strumenti per il raggiungimento dell'obiettivo o degli obiettivi, il che comporta anche un'accurata descrizione delle responsabilità, competenze e possibilità di influsso di ognuno,

eventualmente, suddividere gli obiettivi a lungo termine in obiettivi intermedi, il cui rispetto o raggiungimento sarebbe controllato regolarmente mediante indicatori comprensibili,

prestare attenzione ai fattori che potrebbero ostacolare un percorso così strutturato e

garantire che tutte le politiche siano costantemente analizzate e valutate in base a criteri di sostenibilità.

2.2.8

Lo sviluppo sostenibile è però un processo più che altro qualitativo, che presenta solo in parte obiettivi chiaramente quantificabili che si possono desumere da dati concreti. Nel caso dello sviluppo sostenibile - diversamente che in altre politiche in cui vi sono obiettivi definibili (x % di crescita, y % di disoccupazione o raggiungimento del valore limite z) - non si potrà mai dire che, una volta intrapresa questa o quella azione o approvata una determinata legge, l'obiettivo sarà stato raggiunto. Se però un obiettivo politico per molte persone resta piuttosto vago, è ancora più importante spiegare, mediante esempi assai concreti tratti dall'ambiente di vita tangibile, che cosa si debba intendere per sviluppo sostenibile e quali saranno le conseguenze concrete dell'attuazione di una certa strategia.

2.2.9

Nel suo parere di iniziativa del 31 maggio 2001 (18) il Comitato accoglie con favore il progetto presentato per una strategia comunitaria in materia di sviluppo sostenibile e afferma che «è consapevole del fatto che le politiche a favore dello sviluppo sostenibile presentano, in parte e per la loro stessa natura, un approccio radicale al futuro sviluppo della società. Nel corso del processo si dovranno prendere delle decisioni difficili». Su questo punto, però, la strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile manca assolutamente di concretezza: è troppo astratta e non spiega davvero quali cambiamenti siano previsti all'atto pratico e a quale livello, né quali conseguenze questa politica a lungo termine debba avere sulle attività e i comportamenti attuali.

2.2.10

Il Presidente PRODI, nella prefazione all'opuscolo dell'UE sullo sviluppo sostenibile, afferma che «quando si parla di sviluppo sostenibile non si intende affermare un'idea astratta, priva di contenuto, bensì un concetto reale, che si riferisce a questioni e scelte concrete, appuntamenti inderogabili del nostro vivere quotidiano» (19). Data la sua forte componente di astrazione, però, la strategia non mostra in modo sufficientemente concreto questo profondo nesso che sussiste con la vita quotidiana. È una delle lacune fondamentali che dovranno essere colmate in futuro.

2.2.11

Il Comitato ribadisce la sua posizione di sostegno allo sviluppo sostenibile. I suoi membri sono infatti d'accordo sul fatto che lo sviluppo sostenibile non rappresenti né un lusso che solo le società «ricche» si possono permettere, né una tra le tante opzioni disponibili. Gli schemi di produzione e di consumo che si sono dimostrati non sostenibili vanno abbandonati. In ultima analisi si tratta di preservare i fondamenti della vita umana, che sono allo stesso tempo anche i fondamenti dell'economia. Sotto questo aspetto lo sviluppo sostenibile è un imperativo assoluto per far fronte alle sfide del futuro.

2.2.12

Andrebbe costantemente sottolineato che lo sviluppo sostenibile comporta cambiamenti fondamentali nei modi di funzionamento della società. I cittadini dovranno essere messi in condizione di tradurre in realtà lo sviluppo sostenibile, sulla base delle loro conoscenze e della loro formazione, e di raccogliere le sfide che pone per il futuro.

2.2.13

Il Comitato difende questa posizione pur nella consapevolezza che vi saranno sicuramente notevoli cambiamenti. Dubita però che questi comporteranno solo situazioni favorevoli per tutte le parti (win-win situations). Tuttavia, se si vuole davvero progredire, è assolutamente necessario fare in modo che i temi e gli obiettivi astratti abbiano un riferimento chiaro al mondo della vita concreta. Va insomma reso visibile, nel proprio orizzonte immediato, ciò che sembra lontano. Ciò significa che la strategia dovrà dare una risposta a molte domande aperte, tra le quali:

come si potrebbe configurare concretamente il concetto di «fattore dieci» (20) - citato dalla Commissione nella comunicazione «Verso la sostenibilità» - che esprime come obiettivi a lungo termine la riduzione di dieci volte, in termini assoluti, dell'uso di risorse da parte dei paesi industrializzati e una ripartizione più equa delle risorse nel mondo? È opportuno rendere questo concetto generalmente vincolante nel quadro della strategia di sostenibilità? Come faranno un'economia (in crescita) e i trasporti a funzionare se sarà disponibile solo un decimo delle materie prime? Dove si collocano, realisticamente, i limiti dell'efficienza delle risorse? Attraverso quali strumenti si potrebbe o dovrebbe tradurre in pratica quest'approccio?

Come può configurarsi un'economia che si vuole competitiva (e, per di più, creatrice di posti di lavoro di qualità) se, a livello globale, le emissioni nocive per il clima vanno ridotte del 70 % (21)? Come cambierebbe la competitività se il concetto di «fattore dieci» fosse applicato anche al settore energetico e, pertanto, la quota delle fonti di energia rinnovabili dovesse crescere ben di più di quanto previsto finora?

Quali settori dell'economia avranno problemi nel momento in cui verranno loro imputati i notevoli costi esterni derivanti da un modo di produzione non sostenibile, quali invece torneranno a crescere? Come deve configurarsi, concretamente, questo cambiamento strutturale e come va strutturato e accompagnato a livello politico?

Come si configurano ad esempio, concretamente, le misure politiche tendenti a scorporare la crescita economica da quella del traffico e che significato hanno tali misure per la divisione del lavoro nell'economia?

Come si intende procedere, concretamente, alla soppressione delle sovvenzioni in contrasto con lo sviluppo sostenibile? Di quali sovvenzioni si tratta esattamente?

Come (ed entro quando) si intende garantire l'internalizzazione dei costi esterni? Che conseguenze avrà questo, ad esempio, per il settore dei trasporti, se la Commissione stessa rileva che meno della metà dei costi esterni ambientali è internalizzata nei prezzi di mercato, e che cosa significa che vengono incoraggiati modelli di domanda non sostenibili (22)? Che cosa significherebbe per il settore energetico se i costi esterni legati alla produzione di energia elettrica, pari a circa 4-5 cent per chilowattora nel caso del carbone e a circa 3-6 cent per chilowattora nel caso del petrolio (23), venissero imputati al consumatore finale?

2.2.14

Se la strategia non fornirà risposte comprensibili a tali domande, vi sarà il rischio che, in determinati ambiti, si creino paure e timori che alla fine si tradurranno in resistenze contro una politica in questo senso. Questo rischio è particolarmente elevato se sorge l'impressione che lo sviluppo sostenibile rappresenti più un ostacolo e una minaccia per l'economia e che, quindi, non venga percepito come un'opportunità per il futuro. Il Comitato teme che in Europa si sia arrivati proprio a questo punto. Per questo lo sviluppo sostenibile si è arenato e per questo non si registrano ancora sviluppi più favorevoli.

2.2.15

Neanche un'affermazione, importante e degna di essere sostenuta, formulata nel Consiglio europeo di Göteborg basta a cambiare la situazione. In tale sede si è spiegato chiaramente che «obiettivi chiari e stabili per lo sviluppo sostenibile offriranno opportunità economiche significative. Ciò costituirà un potenziale per una nuova ondata di innovazione tecnologica e di investimenti, generatrice di crescita e di occupazione» (24). Questo importante messaggio, che il Comitato condivide, finora non è stato comunicato in modo credibile ad ampie fasce della società e dell'economia, o comunque non è stato recepito. Lo sviluppo sostenibile, infatti, non è ancora riconosciuto come un vero motore per la crescita e l'economia.

2.2.16

Per il Comitato è chiaro che, per attuare lo sviluppo sostenibile, occorreranno enormi investimenti, per esempio nei settori della riqualificazione degli alloggi, dei sistemi di trasporto ecologici, della produzione energetica sostenibile e della promozione delle tecnologie ambientali. Questi investimenti, che creeranno molti posti di lavoro e innescheranno nuovi impulsi di crescita, sono premesse essenziali per tradurre in pratica lo sviluppo sostenibile.

2.2.17

Se si intende attuare una strategia in materia, andrà prestata la dovuta attenzione al problema dell'allocazione delle risorse finanziarie. La politica dovrà creare le condizioni generali per un clima propizio agli investimenti necessari, sulla base della consultazione e della partecipazione della società civile organizzata. A questo fine sarà poi necessario che i bilanci pubblici fissino opportune priorità di investimento. Per ottenere effetti positivi sul piano della politica economica e del mercato del lavoro, però, serviranno anche notevoli investimenti nel settore privato.

2.2.18

Se però non si riesce a far capire che lo sviluppo sostenibile crea nuove importanti opportunità per l'economia, non vi potrà essere un dibattito politico costruttivo sulla sostenibilità né sui modi per conseguirla.

2.2.19

Oltre all'eccessiva vaghezza e astrattezza degli obiettivi e degli strumenti politici, un'ulteriore lacuna della strategia finora attuata in materia di sostenibilità consiste sicuramente nel fatto che anche gli osservatori interessati non sanno più dove si trovino di preciso tutte le formulazioni utilizzate. Il Comitato rileva che vi è ormai una quantità enorme di documenti che affrontano la tematica, con intensità e profondità estremamente varie (25). Il lettore interessato non sa quali di queste affermazioni e richieste abbiano oggi carattere vincolante e neanche i testi pubblicati dall'UE su Internet aiutano a capirlo.

2.2.20

Il Comitato riconosce che per la Commissione è molto difficile fare in modo che i cittadini si interessino a quegli aspetti del dibattito sulla sostenibilità dai quali non si sentono direttamente toccati. Questo vale già anche per problemi relativamente vicini all'ambiente di vita (ad esempio la protezione dell'ambiente: alcuni si chiedono che male ci sia se la biodiversità diminuisce e non ci sono più cicogne; ancora più difficile è spiegare che anche carnivori di grandi dimensioni come le linci e i lupi appartengono al patrimonio culturale e naturale europeo, che va protetto). Le difficoltà sono ancora maggiori nel caso delle già citate questioni della giustizia distributiva e dell'equità intergenerazionale. Anche se viene comunemente riconosciuto il diritto delle future generazioni di poter vivere bene, in generale si registra una tendenza per cui, nella nostra società, molti aspetti della vita non quantificabili sul piano economico passano sempre più in secondo piano. Ciò non facilita certo il dibattito sulla sostenibilità.

2.3   Il necessario chiarimento di questioni fondamentali di comprensione

2.3.1

Per il Comitato lo sviluppo sostenibile rappresenta l'ulteriore sviluppo dell'economia di mercato, integrata dalle problematiche ecologiche e da aspetti quali l'equità intergenerazionale e la giustizia distributiva.

2.3.2

Il Comitato ravvisa in questo, certo non semplice, stadio successivo un'assoluta necessità: che la nuova strategia di sostenibilità spieghi che, in sede di attuazione, dovrà essere instaurato un quadro di riferimento economico, sociale e ambientale tale da impedire che la competitività dell'economia europea risenta il meno possibile dello sviluppo sostenibile e da innescare invece nuovi impulsi di crescita.

2.3.3

Il Comitato è consapevole dell'utilità dell'industria ai fini dello sviluppo e dell'applicazione di migliori tecnologie per ridimensionare le tendenze non sostenibili e il consumo di risorse. Per poter svolgere il suo ruolo, l'industria deve essere competitiva e solo le imprese competitive sono in grado di accrescere l'occupazione e di contribuire a finalità sociali.

2.3.4

Nel dibattito sulla sostenibilità, spesso e volentieri, si fa ricorso a metafore. Una di queste è quella dei tre pilastri, equiparati e equivalenti, sui quali sarebbe fondato lo sviluppo sostenibile: il pilastro economico, quello sociale e quello ambientale.

2.3.5

Si ritiene che questi tre pilastri siano in stretto rapporto tra loro e che, nella formazione delle politiche, occorra fare estremamente attenzione a non comprometterne l'attuale equilibrio. Si considera inopportuno, soprattutto in una fase di crisi economica (come quella che sta attraversando l'Europa), creare turbative nell'economia, si afferma l'assoluta esigenza di una crescita duratura e si sostiene che, in caso di necessità, andrebbero effettuati tagli, almeno provvisori, alla protezione dell'ambiente e alla politica sociale.

2.3.6

Al modello dei pilastri si contrappone la metafora del «canale navigabile, contrassegnato da boe, all'interno di uno specchio d'acqua». Le boe rappresentano i vincoli ambientali e sociali: la nave (ossia: l'economia) si può muovere liberamente entro i limiti del canale, ma non può oltrepassarli.

2.3.7

Il Comitato raccomanda vivamente alla Commissione di mettere davvero a confronto, nell'ambito del dibattito sulla sostenibilità, le diverse valutazioni su queste metafore e sulle filosofie di cui sono l'espressione. Per il Comitato non vi sono dubbi sulla necessità di un rapporto equilibrato tra le esigenze economiche, sociali e ambientali. Le tre dimensioni, o i tre pilastri/elementi, sono intrinsecamente legate. L'ambiente naturale è essenziale come base e fonte dell'attività economica, la quale può garantire ricchezza sociale e una migliore qualità di vita, quindi un ambiente naturale stabile e sano è una delle premesse per lo sviluppo sostenibile. È però altrettanto chiaro che lo «sviluppo sostenibile» è molto di più che «semplicemente» la convenzionale tutela dell'ambiente ripresentata sotto nuove vesti e con nuovi metodi.

2.3.8

Il motivo per cui i capi di Stato e di governo si sono riuniti a Rio nel 1992 e a Johannesburg nel 2002 è che, chiaramente, l'attuale attività economica si scontra a limiti di vario tipo. Ci si è resi conto di come certe forme di attività economica creassero problemi sociali e ambientali nel cui superamento la tutela ambientale si scontrava a limiti di natura tecnica.

2.3.9

Il Comitato ritiene pertanto opportuno che, nell'ambito della strategia di sostenibilità, si affrontino senz'altro questioni finora considerate pressoché tabù, tra le quali quella della continua crescita economica come finalità principale e aspetto chiave di tutte le politiche. Ovviamente il Comitato ha ripetutamente sottolineato, nel corso degli anni, quanto sia importante la crescita per l'andamento dell'economia e, anche nel quadro della strategia di Lisbona, si è pronunciato in favore di un'iniziativa per la crescita.

2.3.9.1

Sarebbe tuttavia opportuno operare maggiori distinzioni in materia di crescita e, soprattutto, impegnarsi di più per stabilire in quali settori la crescita, anche sotto il profilo della sostenibilità, sia particolarmente auspicabile. Uno di questi settori, anche secondo le valutazioni della Commissione, è quello delle energie rinnovabili: purtroppo ancora oggi le condizioni quadro le rendono spesso troppo costose, e quindi problematiche sotto il profilo economico, rispetto ad altre fonti energetiche meno sostenibili. In questo contesto vanno modificate le condizioni quadro mediante interventi politici mirati e, perché avvenga un cambiamento in tal senso, è compito della strategia di sostenibilità dettagliare i passi da compiere e prescriverli in modo vincolante.

2.3.9.2

D'altro canto andrebbe indicato più chiaramente in quali settori la prosecuzione della crescita è invece sgradita e controproducente. In Germania, ogni anno, ammonta a 40 mld EUR la cosiddetta «spesa sanitaria» (26) imputabile in realtà ad alimentazione sbagliata o a scarsa attività fisica. In tal modo ogni cittadino tedesco, solo attraverso abitudini di vita poco sane, «fornisce» al prodotto interno lordo un contributo medio che è superiore a quello fornito da ogni cittadino indiano con il complesso delle sue attività (circa 470 EUR all'anno). In questo settore la crescita, pur creando posti di lavoro, non è auspicabile sotto il profilo della sostenibilità. Da questo punto di vista la sostenibilità può indubbiamente agire da fattore parzialmente limitante per la crescita. Tra l'altro questo esempio dimostra la reale utilità del solo PIL come indicatore dell'attività economica, a patto di prescindere dalla sua adeguatezza come indicatore del benessere di una società o come misura dello stato di salute della popolazione o dell'ambiente (funzioni che peraltro non pretende di svolgere).

2.3.9.3

La questione della crescita, però, non è solo una questione qualitativa che interessa l'Europa, ma presenta anche una componente quantitativa e globale. Nella sua comunicazione «L'ambiente in Europa: quali direzioni per il futuro?» (27), la Commissione prevede che, per effetto della crescente globalizzazione, dell'incremento dei flussi commerciali e dell'adozione di schemi di comportamento occidentali, il PIL pro capite crescerà del 40 % tra il 1990 e il 2010 e del 140 % fino al 2050. Nonostante la prevedibile acquisizione di competenze tecniche e anche di tecnologie per la lotta all'inquinamento, la Commissione ritiene che ciò influirà anche «sulle emissioni totali di CO2 che, secondo le previsioni, dovrebbero triplicare entro il 2050». La catastrofe climatica sarebbe allora compiuta.

2.3.10

Sempre nel quadro del dibattito sulla sostenibilità, la Commissione dovrebbe discutere più intensamente anche sulle forme e modalità del futuro sviluppo della produttività. Il Comitato è lieto di mettersi a disposizione per contribuire. Non vi sono dubbi sul fatto che il miglioramento della produttività sia un imperativo assoluto per lo sviluppo di un'impresa. La produttività è sempre stata considerata un motore per l'occupazione e il benessere, in quanto finora una produttività elevata ha permesso di offrire più beni e più servizi a prezzi più bassi, stimolando così la domanda e creando nuovi posti di lavoro.

2.3.10.1

L'elevata produttività, in senso puramente economico, non è un indicatore di sostenibilità. Un esempio: gli zuccherifici «più produttivi» del mondo, in senso microeconomico, sono senza dubbio quelli del Brasile. Ciò però va a beneficio di un numero ristretto di multinazionali, mentre la popolazione locale e l'ambiente sono estremamente sfruttati.

2.3.10.2

La produttività, però, dovrà essere orientata verso lo sviluppo sostenibile: non più intesa solo come rapporto tra il valore del prodotto e il costo della produzione, ma valutata in un contesto più ampio dopo averla integrata con aspetti come la qualità della vita e un consumo più limitato di risorse non rinnovabili a livello globale.

2.3.10.3

I futuri sviluppi della produttività andrebbero sfruttati come forza motrice dello sviluppo sostenibile: i miglioramenti nell'uso delle risorse ambientali e delle materie prime e nell'efficienza energetica sono esempi di incrementi di produttività che promuovono lo sviluppo sostenibile. I governi e la Comunità devono avviare politiche di intervento per offrire incentivi compatibili con questo nuovo orientamento.

2.3.11

Quindi, più che in passato, il dibattito sulla sostenibilità dovrebbe mettere intenzionalmente attorno allo stesso tavolo difensori di opinioni contrapposte («Crescita a tutti i costi» contro «la crescita non può essere sostenibile», e ancora «incremento della produttività come molla dell'economia» contro «la produttività crea sempre più problemi ambientali e sociali»). Ben più di altre politiche, infatti, la politica di sviluppo sostenibile è condizionata dall'esistenza di un ampio consenso sociale.

2.4   Il rapporto tra la strategia di Lisbona e la strategia di sostenibilità

2.4.1

La strategia di Lisbona si differenzia dalla strategia di sostenibilità in tre punti decisivi, ovvero:

è chiaramente focalizzata sulla crescita economica e sulle riforme economiche, allo scopo di creare posti di lavoro in maggior numero e di migliore qualità e di conseguire la coesione sociale,

ha una tempistica chiaramente definita (orizzonte 2010) e

rivolge la sua attenzione quasi esclusivamente all'Europa (intende farne l'economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo).

2.4.2

Il Comitato ha accolto con favore il fatto che, nel Consiglio europeo di Göteborg, la strategia di Lisbona sia stata integrata da un capitolo dedicato all'ambiente e che sia stata adottata una strategia di sviluppo sostenibile, per quanto di contenuto relativamente limitato (28). Tuttavia, il fatto che di recente il Consiglio abbia nuovamente richiesto una maggiore integrazione dei principi ambientali nella strategia di Lisbona dimostra che vi è ancora molta strada da fare. Una maggiore integrazione della tutela ambientale può essere utile ad accrescere la coerenza tra la strategia di Lisbona e la strategia di sostenibilità, anche se, come risulta chiaramente, non esiste un automatismo di questo tipo.

2.4.3

Va inoltre rilevato che vi sono temi importanti, che a Rio e a Johannesburg sono stati definiti essenziali per lo sviluppo sostenibile, che non solo la strategia di Lisbona non affronta direttamente, ma non emergeranno neanche necessariamente dalla sua attuazione (p. es. la giustizia distributiva e l'equità intergenerazionale).

2.4.4

Le due strategie devono essere reciprocamente coerenti nel quadro dell'obiettivo sovraordinato di uno sviluppo sostenibile di lungo periodo. Ciò significa che gli obiettivi dello sviluppo sostenibile devono permeare tutti i settori di intervento della strategia di Lisbona, che in questo modo, pur non potendo sostituire una strategia di sostenibilità di lungo periodo, potrà essere - come è giusto - una tappa importante del percorso verso lo sviluppo sostenibile.

2.4.5

La crescita economica frutto della strategia di Lisbona dovrà essere una crescita qualitativa, più dissociata dal consumo di risorse, in modo da essere in sintonia con lo sviluppo sostenibile. Ciò però significa anche che la strategia di Lisbona potrà contribuire notevolmente alla strategia di sostenibilità se contribuirà alla riconversione dell'economia verso attività più sostenibili.

2.4.6

Di conseguenza, gli investimenti previsti dall'iniziativa dell'UE per la crescita, così come le altre spese dell'UE, dovranno soddisfare criteri di sostenibilità. Il Comitato rimanda anche alle svariate riflessioni già condotte in merito nell'ambito della società civile organizzata (29). Il Comitato esorta la Commissione, infine, a indirizzare un'apposita comunicazione al Consiglio, al Parlamento, al CdR e al CESE per illustrare la coerenza tra gli investimenti decisi dall'UE (compresa la BEI) in progetti relativi a trasporti, energia e altre infrastrutture e la politica di sostenibilità.

3.   La necessità di estendere la strategia

3.1

Il Comitato reputa senz'altro opportuno soffermarsi in modo particolare su alcuni punti, ma si sente in dovere di far notare che, in tal modo, si rischia di sfavorire aspetti importanti dello sviluppo sostenibile. Sul piano dei contenuti vanno approfondite le questioni globali che, pur essendo state abbondantemente discusse a Rio e a Johannesburg, non trovano spazio adeguato nell'attuale strategia di sostenibilità dell'UE (ad esempio: lotta contro la povertà nel mondo, perseguimento dell'equità intergenerazionale e della giustizia distributiva mediante l'attività economica).

Approfondire la dimensione sociale

3.2

Nel piano di attuazione del vertice mondiale di Rio del 1992, oltre alle quattro politiche discusse in via definitiva a Göteborg, è menzionata p. es. la lotta contro la povertà. Anche nel progetto di strategia di sostenibilità presentato al Consiglio europeo di Göteborg (30) si faceva notare che «un cittadino europeo su sei vive in povertà», ma i due elementi chiave del progetto attinenti a problemi sociali (31) non sono stati prescelti. L'UE però non deve affrontare solo la questione della povertà al suo interno, ma tener conto anche degli effetti delle attività degli europei sulla povertà globale e delle possibilità delle future generazioni. Il Comitato reputa che finora non si sia riflettuto abbastanza sui temi della giustizia distributiva e dell'equità intergenerazionale. Il fatto che l'importo degli aiuti allo sviluppo erogati sia inferiore alla metà del volume di aiuti promesso, tra le altre cose, indica che si è ben lontani dal poter parlare di una politica coerente. Questa lacuna non può essere colmata nemmeno da iniziative quali «Tutto tranne le armi».

3.3

Nella sua prima proposta di strategia di sostenibilità la Commissione aveva indicato come temi prioritari non solo la lotta alla povertà ma anche l'invecchiamento della popolazione. Entrambi i temi, pur avendo trovato spazio (almeno sulla carta) nella strategia di Lisbona, non si ritrovano nella strategia di sostenibilità, impostata più a lungo termine, poiché quest'ultima si concentra in maniera selettiva sui temi ambientali. Ciò deve essere corretto e la dimensione sociale deve essere discussa più intensamente.

3.4

La futura strategia dovrà essere dedicata, oltre che ai suddetti temi globali, anche al tema «occupazione e ambiente»: come riuscire a creare nuovi posti di lavoro qualificati attraverso la tutela ambientale e lo sviluppo sostenibile?

3.5

Data la grande importanza della dimensione sociale dello sviluppo sostenibile, i legami tra i problemi sociali e quelli economici o ambientali devono essere discussi ed espressi in termini concreti.

3.6

Il Comitato sottolinea quindi che si dovrà riservare un'estrema attenzione alla dimensione sociale nel riesaminare la strategia per lo sviluppo sostenibile. Se ciò non sarà fatto, finirà per soffrirne l'intera strategia e il sostegno su cui potrà contare.

3.7

Il Comitato, nell'ambito del prossimo riesame della strategia, propone di riservare un'attenzione particolare, anche dopo il 2010, a quattro aspetti della dimensione sociale:

3.7.1

una vita professionale sostenibile è incentrata sulla qualità del lavoro nell'ambito di una società caratterizzata da piena occupazione. Qualità del lavoro, a sua volta, significa consentire ad ognuno una vita professionale soddisfacente nell'arco di tutta la sua carriera. Vanno accolte le crescenti esigenze di mobilità e flessibilità e destinate ampie risorse per stimolare la formazione permanente e nuove forme, più consone, di protezione sociale. Deve essere più facile conciliare la vita lavorativa e la vita familiare. Sul lavoro va assegnata la priorità alla sicurezza e alla salute, all'organizzazione del lavoro e all'orario di lavoro, in modo da accrescere la soddisfazione e la fiducia in se stessi dei lavoratori. La parità tra i sessi è uno dei cardini delle politiche volte a migliorare la qualità del lavoro.

3.7.2

Le conseguenze sociali ed economiche dell'invecchiamento della popolazione meritano un'analisi approfondita che consenta di prevedere i cambiamenti nella società e di adeguare le politiche necessarie. In tutti gli Stati membri sono state attuate o sono in corso riforme per rendere i regimi previdenziali sostenibili a lungo termine. In molti paesi è soprattutto la tendenza al pensionamento anticipato, prima dei 60 anni di età, a mettere sotto pressione il regime previdenziale. Va promossa la solidarietà tra generazioni. Le politiche devono essere incentrate sul benessere dei bambini e delle loro famiglie, in modo da porre le fondamenta per il benessere delle prossime generazioni. Sono troppi i bambini che vivono in povertà, abbandonano la scuola e si trovano di fronte un futuro senza prospettive. Il Comitato elaborerà un parere sui rapporti tra le generazioni, che verterà anche sul ruolo della società civile organizzata nel colmare i divari generazionali.

3.7.3

La società deve essere inclusiva per tutti i cittadini e concedere ad ognuno di loro diritti e possibilità per esercitarli. Uno degli obiettivi fondamentali è l'eliminazione della povertà. Le persone senza fissa dimora, i tossicodipendenti, i criminali e gli altri gruppi soggetti a esclusione devono essere reinseriti nella società. Le minoranze etniche, gli immigrati e altri gruppi a rischio di esclusione sono gruppi di destinatari prioritari per politiche attive di inclusione sociale. Un'opera coerente e capillare di sostegno all'istruzione e alla formazione è uno degli strumenti principali. Formulare politiche di inclusione rivolte a tutti i cittadini è uno degli interventi cruciali per migliorare le possibilità di godere di una buona qualità della vita.

3.7.4

La questione della sanità e dei nuovi rischi emergenti per la salute si è fatta sempre più pressante negli ultimi anni. Gli Stati membri dell'UE hanno preso una serie di iniziative in risposta alla diffusione di allarmi riguardanti certi alimenti e prodotti chimici, l'acqua, il tabacco, ecc. Da parte sua l'Unione europea ha risposto con un programma quadro per la promozione della salute e delle cure sanitarie e, soprattutto, con programmi di lotta alle malattie causate da fattori ambientali e stili di vita sbagliati. I vari programmi esistenti per il sostegno alla salute e la lotta ai rischi sanitari evidenziano però carenze sul piano del coordinamento e della cooperazione, come il Comitato ha sottolineato in diversi pareri. Secondo il Comitato, la salute e la sicurezza rappresentano un dovere della collettività e un diritto fondamentale dei cittadini. Il Comitato elaborerà un parere in merito al fine di trarre conclusioni dalle emergenze verificatesi e di concepire un approccio innovativo di analisi lungimirante che servirà da futuro terreno di discussione. In questo contesto il Comitato metterà in evidenza un'analisi costi-benefici delle risorse spese a fini sanitari.

3.7.5

Uno strumento fortemente incentivante potrebbe essere una «Carta dello sviluppo sociale sostenibile» che trattasse gli ambiti citati esponendo i diritti fondamentali dei cittadini. La carta dovrebbe essere accompagnata da un programma d'azione dell'UE volto a coordinare i vari interventi e ad aiutare gli Stati membri a focalizzarsi su settori prioritari. Il Comitato fa notare che questo approccio potrebbe acquisire uno specifico valore aggiunto nella prospettiva del presente e del futuro allargamento dell'Unione europea.

La coerenza tra le politiche dell'UE

3.8

La nuova strategia dovrebbe inoltre fornire spunti sui possibili modi per conciliare con il dibattito sulla sostenibilità la futura spesa a titolo dei fondi strutturali del nuovo esercizio finanziario dell'UE (dal 2007). In questo contesto la Commissione ha formulato un'idea che meriterebbe un seguito: fare «ulteriori progressi verso [l'affermazione del] lo sviluppo sostenibile come un obiettivo fondamentale della coesione» (32). Per garantire una maggiore coerenza in tema di fondi strutturali, la Commissione dovrà impartire ai beneficiari istruzioni univoche di ordine qualitativo. Il Comitato guarda già con impazienza al dibattito sulle nuove prospettive finanziarie e all'inclusione di strumenti e meccanismi di monitoraggio volti a promuovere la sostenibilità. Non sono più ammissibili situazioni come quella che vede la Commissione criticare l'orientamento generale della politica dei trasporti (cfr. punto 2.1.4.2) mentre, all'atto pratico, in certi casi contribuisce a cofinanziarla tramite i fondi strutturali. Si deve mettere fine a queste contraddizioni. Nell'erogare i sussidi l'UE deve creare condizioni che tengano conto della sostenibilità e fare in modo che ci si attenga ad esse.

3.9

Anche lo sviluppo generale delle regioni degli Stati membri, cofinanziato dai fondi strutturali, necessita però un'attenta valutazione. L'intervento più consistente finanziato dall'UE nel settore agricolo negli ultimi anni, nel quadro dei fondi strutturali, è stato l'erogazione a una grande centrale del latte della Sassonia (Germania) di un aiuto all'investimento pari a 40 mln EUR per lavori di ampliamento. Questa centrale del latte è sicuramente tra le più efficienti e produttive d'Europa, grazie al contributo erogato dall'UE e al fatto che trasforma latte importato a basso prezzo dalla Repubblica ceca. Nel quadro della strategia di sostenibilità, la Commissione dovrebbe però chiedersi se il sostegno finanziario a un'ulteriore concentrazione delle strutture di trasformazione sia sempre compatibile con gli obiettivi di tale strategia. I contribuenti europei hanno senz'altro il diritto di sapere se i progetti di investimento cofinanziati dalla UE si conciliano con i principi dello sviluppo sostenibile. Dovrà perciò essere effettuato una specie di «esame di compatibilità con la sostenibilità».

3.10

Per garantire coerenza tra le politiche occorre anche verificare che la politica di ricerca e sviluppo sia in piena sintonia con il dibattito sulla sostenibilità.

3.11

Lo stesso vale per la politica finanziaria e tributaria, un settore nel quale, il Comitato ne è perfettamente consapevole, sono gli Stati membri, più che l'UE, ad essere sollecitati. Qual è il rapporto esistente tra il patto di stabilità e la sostenibilità? Si può promuovere la sostenibilità mediante nuove iniziative di politica fiscale (33)? Il CESE propone alla Commissione di introdurre direttamente criteri ambientali e sociali in qualsiasi revisione del patto di stabilità e crescita. Propone inoltre che tali criteri abbiano lo stesso carattere vincolante attribuito ai criteri economici e finanziari. Quanto all'evoluzione nell'impiego degli strumenti economici, negli ultimi anni vi è stato un maggiore ricorso alle tasse e ai tributi ambientali e oggi si osserva una lenta ma progressiva tendenza verso la riforma delle tasse ambientali man mano che alcuni paesi modificano la propria base imponibile, riducendo l'imposizione sul lavoro e aumentando le tasse e i tributi sull'inquinamento, sulle risorse e sui servizi ambientali (34).

3.11.1

L'elaborazione e l'attuazione di programmi di approvvigionamento formulati all'insegna dello sviluppo sostenibile da parte della pubblica amministrazione produrrebbe effetti degni di nota, gli appalti pubblici rappresentano infatti il 16 % del PIL dell'UE, e avrebbe indubbiamente anche una funzione simbolica, per es. per l'economia o per le famiglie.

3.12

Per il Comitato, inoltre, la centralità del ruolo delle imprese nel percorso verso lo sviluppo sostenibile è indiscussa.Secondo il Comitato l'UE dovrebbe formulare una politica di produzione e consumo sostenibili sulla base del dialogo e della partnership tra la comunità imprenditoriale europea e gli enti pubblici, in linea con le conclusioni del vertice mondiale di Johannesburg. Questa politica punterebbe a incoraggiare il miglioramento dell'efficienza dei prodotti e dei processi produttivi nonché schemi sostenibili di consumo diretti a ottimizzare l'uso delle risorse e a minimizzare i rifiuti prodotti. Le organizzazioni imprenditoriali di scala europea andrebbero incitate ad assumere un ruolo guida nel promuovere schemi sostenibili di produzione e di consumo che soddisfino i bisogni della società senza oltrepassare i limiti ambientali (35).

4.   Le conseguenze dell'allargamento

4.1

Nei negoziati di adesione non si è discusso lo sviluppo sostenibile, bensì l'adozione dell'acquis comunitario. Non vi sono dubbi sul fatto che i problemi che lo sviluppo sostenibile è chiamato a risolvere siano sorti non tanto dalla mancata osservanza della legislazione esistente, quanto da attività svolte nel suo ambito.

4.2

Quasi tutti i nuovi Stati membri, essendo anche membri dell'ONU, hanno ormai elaborato una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile. Come nel caso degli Stati membri attuali, esistono però notevoli contraddizioni tra le strategie di sostenibilità e le politiche effettivamente condotte (cfr. punto 5).

4.3

Il Comitato ha affrontato in diversi pareri i problemi economici, sociali e ambientali dei futuri Stati membri e dei paesi candidati. Concorda con il giudizio della Commissione secondo cui, da un lato, in alcuni casi la situazione ambientale è già drasticamente migliorata, o sta per migliorare, grazie a progressi tecnologici quali l'incorporazione di filtri o la costruzione di depuratori. Dall'altro lato, però, rileva chiaramente tendenze non sostenibili (36).

4.4

L'esempio dell'efficienza energetica, che a volte - per es. nel settore edilizio - può produrre effetti catastrofici, consente di capire che la conservazione delle risorse, la tutela dell'ambiente e la creazione di posti di lavoro, soprattutto nelle piccole e medie imprese, potrebbero tranquillamente andare di pari passo. Le politiche dei paesi in via d'adesione, tuttavia, non prevedono indirizzi strategici di questo tipo.

4.5

In genere, in questi paesi si delinea piuttosto la tendenza ad acquisire con relativa rapidità gli schemi di produzione e di consumo comuni nell'UE e, insieme a loro, anche i problemi di sostenibilità cui devono far fronte oggi gli attuali Stati membri.

4.6

Sarà particolarmente importante far comprendere ai cittadini dei nuovi Stati membri e dei paesi candidati che lo sviluppo sostenibile può portare anche a loro qualcosa di positivo, senza richiedere di rinunciare alla nuova «qualità della vita» appena raggiunta. Se ciò non riuscirà è probabile che l'attuazione della strategia di sostenibilità dell'UE risulterà più complessa, se non altro perché le corrispondenti iniziative della Commissione rischieranno di incontrare maggiore resistenza, in sede di Consiglio, da parte dei rappresentanti dei nuovi Stati membri e dei paesi candidati.

4.7

A livello dell'UE è assolutamente necessario creare condizioni tali da garantire che l'erogazione di contributi sia condizionata a criteri di sostenibilità. Nei nuovi Stati membri va svolto un lavoro di sensibilizzazione, a livello politico e della pubblica amministrazione, per aiutare concretamente le istanze competenti a prendere decisioni opportune (37).

5.   Il legame tra la strategia dell'UE e le strategie nazionali e locali

5.1

Lo sviluppo sostenibile non è una questione di esclusiva competenza dell'UE. Per quanto l'UE svolga senza dubbio un ruolo di rilievo, anche gli Stati membri, le regioni, le città, le imprese e i singoli cittadini hanno una parte di responsabilità in materia. In futuro vi dovrà essere un legame più stretto tra tutte le attività svolte: caso per caso, le specifiche responsabilità, possibilità di influsso e competenze delle istanze politiche e amministrative dovranno essere chiaramente descritte e collegate nel quadro di strategie armonizzate. Ora che quasi tutti gli Stati membri attuali, e anche quattro dei futuri, hanno sviluppato una propria strategia per lo sviluppo sostenibile, varrebbe la pena di procedere a una valutazione delle strategie nazionali, accertandone l'efficacia e verificando fino a che punto siano coerenti tra di loro e come si pongano rispetto alla strategia dell'UE.

5.2

Senza voler precorrere i risultati di un'analisi dettagliata, si può constatare che le strategie nazionali affrontano il tema della sostenibilità in modo molto diversificato. Alcune vertono principalmente sulla dimensione ambientale della sostenibilità, mentre altre toccano le tre dimensioni e presentano strategie complessive per l'evoluzione futura della società. Si può dire con certezza che la maggior parte delle strategie nazionali non è stata concepita come strumento di attuazione della strategia europea, ma piuttosto come strategia sviluppata in ambito nazionale per mantenere l'impegno preso a Rio di elaborare strategie nazionali di sviluppo sostenibile. Nonostante ciò, le priorità della strategia europea si ritrovano anche nella maggior parte delle strategie nazionali. Poiché le strategie presentano differenze sul piano delle priorità indicate, della fase di attuazione in cui si trovano e anche dei meccanismi di partecipazione e di revisione, il Comitato si attende che un'analisi approfondita produca abbondante materiale comparativo e una valida base per l'apprendimento reciproco e la trasmissione delle migliori prassi. Il Comitato è pronto a collaborare con gli organi consultivi nazionali per lo sviluppo sostenibile e con la loro organizzazione ombrello EEAC (la rete europea degli organi consultivi in materia ambientale) per stimolare scambi di questo tipo o creare una camera di compensazione per lo scambio di informazioni e di buone prassi.

5.3

Non solo le politiche dei trasporti e dell'energia, ma anche importanti riforme condotte dall'UE nel 2003 mettono palesemente in luce la necessità di una cooperazione armoniosa da parte sua con gli Stati membri. Nel quadro della riforma della politica agricola, il commissario competente FISCHLER aveva proposto di ridestinare il 20 % degli stanziamenti previsti per il primo pilastro a misure per lo sviluppo rurale e misure agroambientali; una politica che avrebbe sicuramente favorito lo sviluppo sostenibile. Gli Stati membri hanno però deciso di attuare una «modulazione» sensibilmente più ridotta. Nel quadro della riforma della Politica agricola comune, tra l'altro, l'UE ha concesso agli Stati membri la possibilità di riassegnare il 10 % dei pagamenti diretti oggi erogati al settore agricolo a misure rilevanti sotto il profilo della sostenibilità. A quanto pare nessuno Stato membro farà uso di questa facoltà nell'attuare le decisioni prese a Lussemburgo. Anche nel settore della pesca, nel quale la politica attuale, non sostenibile, minaccia ormai non solo gli stock ittici, ma anche la stessa sopravvivenza dei pescatori, ci sono voluti tempi lunghissimi per riuscire a concordare le prime misure di salvaguardia. Tutto ciò dimostra che occorre la massima cooperazione nella formulazione e nell'attuazione della politica per lo sviluppo sostenibile.

5.4

Mentre le strategie europee e nazionali hanno il compito di creare le condizioni generali per lo sviluppo sostenibile, la concreta attuazione di gran parte delle misure avviene a livello regionale e locale. Le corrispondenti finalità e azioni vanno sviluppate nel quadro della cosiddetta «Agenda locale 21» e in stretta collaborazione non solo con i responsabili politici, ma anche con la società civile organizzata. Lo sviluppo sostenibile non può essere conseguito senza un approccio bottom-up di questo tipo.

5.5

Il Comitato, quindi, concepisce lo sviluppo sostenibile anche come un concreto campo di attività socioeconomica, a tutti i livelli. Lo sviluppo sostenibile crea un quadro d'azione molto eterogeneo che però presuppone conoscenze e abilità molto specifiche; un quadro d'azione, insomma, fortemente basato sul sapere e sulla consapevolezza. Finora né i sistemi di istruzione europei né il settore dell'istruzione informale hanno contribuito in misura sufficiente alla trasmissione delle conoscenze.

5.6

Lo sviluppo sostenibile, pertanto - come quadro d'azione, ma anche come fine a se stesso - deve soprattutto essere promosso a oggetto di studio e di educazione e, pertanto, diventare una questione che, fondamentalmente, va curata e configurata nell'immediato contesto (geografico e sociale) di ogni singolo cittadino.

5.7

A questo proposito, le politiche europee volte a promuovere lo sviluppo sostenibile all'interno dell'UE acquistano particolare importanza, in quanto possono dare impulsi decisivi alle tendenze e agli interventi in materia che vengono sviluppati a livello locale.

5.8

A parere del Comitato un aspetto da trattare con la massima priorità sarebbe il riordino delle suddette politiche dell'UE in modo tale che siano di stimolo alla concezione e alla promozione, a livello locale, di programmi completi per lo sviluppo sostenibile. Il Comitato propone quindi di dare particolare sostegno ai programmi basati sulla collaborazione tra la società civile organizzata e gli enti locali che, in casi specifici, perseguano obiettivi concreti e misurabili (quantitativi e qualitativi) con l'impiego di conoscenze autentiche, istruzione e formazione permanente.

6.   Gli aspetti esterni

6.1

Uno dei problemi determinanti che si pongono è naturalmente quello della futura competitività delle economie nazionali. Il rigoroso perseguimento di una politica finalizzata allo sviluppo sostenibile, che si traduca per esempio in tecnologie ambientali all'avanguardia, nell'internalizzazione dei costi esterni, ecc. può oppure deve determinare svantaggi concorrenziali se, da un lato, altre economie non aderiscono ai principi di sostenibilità o lo fanno solo in parte e, dall'altro, gli svantaggi che ne derivano in campo commerciale non vengono compensati.

6.2

L'UE si trova appunto di fronte alla situazione descritta: il rifiuto degli Stati Uniti e della Russia di aderire al protocollo di Kyoto nonché, per esempio, l'annuncio da parte dell'amministrazione BUSH di una parziale sospensione della legislazione ambientale per dare nuovo impulso all'economia sono chiari indizi del fatto che una delle principali potenze economiche del mondo propende apparentemente per uno sviluppo di tipo diverso e non sostenibile.

6.3

È quindi tanto più importante, nel contesto dei negoziati internazionali, accrescere la pressione su quei paesi che oppongono un rifiuto, più o meno netto, ai principi di sostenibilità. Per quanto possibile, dovrebbero infatti essere indotti ad assumersi le proprie responsabilità e a varare anch'essi misure in favore dello sviluppo sostenibile.

6.4

Tutto ciò, tuttavia, non basta. Il Comitato ha già affrontato questa fondamentale problematica nel suo parere «Il futuro della PAC» (38). La Commissione dovrà quindi impegnarsi - molto più attivamente che in passato - per fare in modo che, ad esempio, i negoziati dell'OMC includano in modo vincolante criteri di sostenibilità come chiare norme in materia ambientale, sociale di benessere degli animali. La sostenibilità, quindi, non attiene solo alla produzione e al consumo, ma anche e soprattutto al commercio internazionale. Finora, però, gli aspetti della sostenibilità hanno ricevuto troppo poca attenzione da parte dell'OMC.

6.5

Così come, per esempio, va accettata la volontà dei paesi in via di sviluppo di smettere di subire le conseguenze delle sovvenzioni alle esportazioni agricole, allo stesso tempo altri paesi dovranno accettare che l'UE non può più tollerare di essere costretta a cessare determinate produzioni solo perché non risultano competitive con quelle di paesi concorrenti che ricorrono a metodi che falsano la concorrenza e sono inammissibili sotto il profilo della sostenibilità. Il Comitato rimanda qui all'esempio, già citato (cfr. punto 2.3.10.1), della produzione di zucchero.

6.6

Nella versione riveduta della sua strategia per lo sviluppo sostenibile, l'UE dovrebbe prestare grande attenzione a questa tematica e presentare un piano d'azione in merito (39).

6.7

Una strategia di questo tipo dovrebbe prevedere anche la formazione di coalizioni tra quei paesi che sono pronti a percorrere insieme il cammino verso lo sviluppo sostenibile. Ciò potrebbe interessare in particolare i paesi ACP, con i quali l'UE intrattiene rapporti privilegiati.

6.8

Il dibattito sulla sostenibilità condotto a livello dell'UE ha origine nel lavoro svolto in passato dall'ONU, che a sua volta è servito di ispirazione anche alle strategie nazionali. A lungo andare queste linee di azione non potranno più procedere separatamente: devono invece essere collegate in rete. Dovrebbe essere compito della nuova strategia di sostenibilità dell'UE descrivere modalità per riunire tutti i livelli interessati (internazionale, europeo, nazionale, ma anche regionale e locale) attorno a una politica coerente.

6.8.1

Al vertice mondiale di Johannesburg l'UE si è impegnata ad attuare gli obiettivi di sviluppo già fissati a livello internazionale, specialmente quelli della Dichiarazione del millennio, nonché diversi obiettivi specifici, nuovi e quantificabili, e il piano di attuazione frutto del vertice stesso. Tutto ciò dovrà trovare riscontro nella strategia di sostenibilità dell'UE.

7.   Discussione della necessità di definire obiettivi strategici e indicatori più chiari

7.1

Il Comitato concorda con la valutazione della Commissione secondo cui «le probabilità di riuscita delle strategie (…) aumentano se esse comprendono:

obiettivi il più possibile quantificati e possibilità di misurazione,

componenti europee, nazionali, regionali e locali,

indicatori per monitorare i progressi e valutare l'efficacia delle politiche» (40).

7.2

Una strategia di sostenibilità più approfondita dovrebbe certamente spiegare non solo che vi saranno cambiamenti strutturali (e che forma potranno verosimilmente assumere), ma anche che, sul lungo periodo, il mutamento delle condizioni quadro apporterà miglioramenti in termini di occupazione, giustizia sociale e tutela dell'ambiente. In ognuno dei diversi settori (economico, ambientale, sociale) andrebbero stabiliti indicatori chiari e facilmente comprensibili in numero sufficiente, che consentano di valutare se le tendenze evolutive stiano andando nella direzione giusta, cosa che secondo il Comitato si può dire dei lavori svolti attualmente dall'Eurostat. Il Comitato disapprova alcune delle idee ventilate nel quadro della strategia di Lisbona, per esempio quella di ridurre il numero degli indicatori di verifica (nel caso della tutela dell'ambiente, salvandone addirittura solo uno: la limitazione delle emissioni di CO2). Il core set di indicatori ambientali sviluppati dall'Agenzia europea per l'ambiente può essere utile a integrare gli indicatori strutturali.

7.3

Al di là della determinazione di tendenze evolutive per mezzo di indicatori, andrebbero costruiti scenari in base ai quali sia possibile fissare obiettivi intermedi («milestones»). Poiché lo sviluppo sostenibile è un percorso privo di traguardo finale, deve essere chiaramente spiegato a tutti gli interessati in quale direzione si stia andando e quali conseguenze avranno in definitiva le diverse tendenze evolutive, per esempio sulla situazione di un reparto dell'economia o sulla vita quotidiana dei cittadini.

7.4

Il Comitato raccomanda di realizzare un processo di benchmarking intensivo e di redigere un elenco di buoni e cattivi esempi di sviluppo sostenibile.

8.   Come si può migliorare la procedura di attuazione?

8.1

Nel presente parere il Comitato evidenzia che le cause degli scarsi progressi compiuti vanno cercate, tra l'altro, nella scarsa comprensione di cosa sia realmente lo sviluppo sostenibile, nelle paure e nelle resistenze che fanno sorgere nei settori potenzialmente interessati, nell'assenza di obiettivi chiari a breve, medio e lungo termine e, di conseguenza, nell'insufficiente incorporazione di una prospettiva di sostenibilità in tutte le politiche pertinenti. È probabile che colmare queste carenze consentirebbe anche di agevolare la procedura di attuazione.

8.2

Come rilevato in occasione del Consiglio europeo di Bruxelles del marzo 2003, «per realizzare l'intera serie di riforme proposte a Göteborg, è essenziale che le istituzioni dell'Unione europea e gli Stati membri si adoperino per rafforzare l'efficacia e la coerenza di processi, strategie e strumenti esistenti» (41). A questo riguardo il Consiglio europeo ha citato in particolare il processo di Cardiff, gli obiettivi di disaccoppiamento, gli indicatori strutturali, la verifica dei progressi realizzati e l'individuazione delle migliori pratiche (42).

8.3

Già le conclusioni di Göteborg davano mandato alla Commissione europea di migliorare la coerenza delle sue proposte mediante la valutazione dei loro effetti sulla sostenibilità. L'anno scorso la Commissione ha introdotto lo strumento della valutazione d'impatto approfondita, già utilizzata in forma analoga nelle politiche commerciali per verificarne la sostenibilità. La valutazione d'impatto approfondita viene elaborata dai servizi amministrativi della Commissione e funge da fondamento e motivazione delle sue proposte. Gli esempi prodotti fino ad oggi non forniscono ancora una visione sufficientemente integrata dei problemi trattati e mettono eccessivamente in risalto l'analisi costi-benefici. La valutazione d'impatto sostenibile, invece, viene elaborata insieme alle parti interessate in un processo partecipativo.

8.4

Il Comitato osserva che la tabella di marcia per il follow-up delle conclusioni del Consiglio europeo di Göteborg non è ancora stata aggiornata e, sebbene sia previsto di sottoporla all'esame dell'annuale Consiglio europeo di primavera del 2004 (43), al Comitato non risulta che siano in corso lavori preparatori. Non è però affatto sorprendente che, senza obiettivi chiari, l'elaborazione di una tabella di marcia si riveli impossibile.

8.5

Si è inoltre previsto di tracciare un bilancio del processo di Cardiff al Consiglio europeo di primavera del 2004 (44). Il Comitato presume che, nell'ambito di questo bilancio - purtroppo non disponibile in tempo utile, si sia constatato che le strategie settoriali delle diverse formazioni del Consiglio esistono, per il momento, quasi esclusivamente sulla carta.

8.6

Vi è chiaramente la necessità di un grado molto maggiore di impegno politico per l'obiettivo a lungo termine dello sviluppo sostenibile. Ciò richiede, a livello dell'UE, un approccio molto più chiaro e coordinato nella formulazione delle politiche da parte della Commissione europea, che dovrebbe pubblicare una relazione annuale in merito. Ciò, inoltre, impone la necessità di impegnarsi molto più intensamente per far funzionare efficacemente il processo di Cardiff e che le specifiche formazioni del Consiglio (energia, competitività, economia, trasporti, agricoltura, ecc.) elaborino relazioni annuali per rendere noti i progressi compiuti verso un approccio più sostenibile nei rispettivi settori di intervento. Il Parlamento europeo dovrebbe istituire una procedura che gli consenta di adottare un approccio coordinato ai problemi dello sviluppo sostenibile. Il Comitato dovrebbe essere invitato a stimolare il dibattito sui problemi connessi e a operare in stretta collaborazione con gli organi consultivi nazionali per innalzare il livello del dibattito pubblico e accrescere la partecipazione.

9.   Raccomandazioni sulla strategia di consultazione e comunicazione sullo sviluppo sostenibile

9.1

In tutti i suoi documenti la Commissione riconosce l'importanza della comunicazione. Le conclusioni del Consiglio europeo di Göteborg affermano la necessità di «un'ampia consultazione di tutti i soggetti interessati» (punto 23).

9.2

Nella sua comunicazione sulla strategia per lo sviluppo sostenibile (45) la Commissione afferma tra l'altro che: «vi è la preoccupazione che le risposte politiche siano state determinate maggiormente da limitati interessi settoriali piuttosto che dagli interessi più ampi della società nel suo complesso. Questa sensazione rispecchia un malessere più diffuso: molti ritengono che la politica sia diventata troppo tecnocratica e distante, e che sia troppo influenzata da determinati interessi. Per contrastare il crescente disinteresse verso il processo politico occorre un'impostazione più aperta. Un processo politico aperto consente inoltre di identificare chiaramente i compromessi necessari tra interessi divergenti e di decidere in merito in maniera trasparente. Un dialogo tempestivo e più sistematico - in particolare con i rappresentanti dei consumatori, di cui si tende spesso a trascurare gli interessi - può forse allungare i tempi di preparazione di una proposta, ma dovrebbe migliorare la qualità della normativa e accelerarne l'applicazione».

9.3

Comunicazione e consultazione sono due cose diverse. Per prima cosa, il Comitato ritiene assolutamente indispensabile elaborare la futura strategia di sostenibilità nella massima collaborazione con le parti interessate, cioè sia con gli Stati membri (per un migliore collegamento tra le strategie) che con la società civile. Non è sufficiente vendere all'esterno una strategia elaborata all'interno: la strategia deve essere frutto di un processo aperto di consultazione e di concertazione se si vuole che la sua nuova concretezza le consenta di riscuotere approvazione e sostegno nell'ampia misura che è necessaria.

9.4

Il Comitato ritiene assolutamente necessario fare della futura strategia di sostenibilità un processo nettamente più partecipativo. Ricorda tra l'altro che le date di pubblicazione del documento di consultazione e della proposta di strategia utilizzata come base per le discussioni di Göteborg sono separate da appena due mesi. Le consultazioni necessarie per ottenere un ampio consenso sociale (cfr. punti 2.2 e 2.3) necessitano di tempi più lunghi di quelli accordati finora.

9.4.1

Il presente parere esplorativo può essere senz'altro inteso come primo passo verso un processo partecipativo di questo tipo. Il Comitato presume che la Commissione manterrà il suo impegno di pubblicare la proposta di strategia nel maggio o giugno 2004.Poi andrebbe concesso alla società civile organizzata un lasso di tempo sufficiente per discuterla: secondo il Comitato sarebbero appropriati almeno tre mesi.

9.4.2

Un forum delle parti interessate - analogo a quello creato per la stesura della «strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali» - dovrebbe seguire l'ulteriore processo di elaborazione della nuova strategia.

9.4.3

Infine l'esito del processo di consultazione dovrebbe essere discusso con gli interessati. Solo al termine di tutto ciò la nuova Commissione dovrebbe prima deliberare la nuova strategia di sostenibilità, poi formulare un programma politico basato su questa strategia.

9.4.4

Il Comitato si mette volentieri a disposizione per svolgere un ruolo di accompagnamento e sostegno in questo processo e accetta l'offerta del commissario europeo per l'ambiente Margot WALLSTRÖM (46) di organizzare il processo di consultazione insieme alla Commissione.

9.5

Nella sezione 2 del presente parere il Comitato ha già raccomandato di adoperarsi, nei prossimi mesi, per concretizzare e approfondire la strategia di sostenibilità. Si tratta di una concretizzazione necessaria perché una visione politica è difficile da mettere in pratica, mentre è più semplice seguire indicazioni precise.

9.6

In futuro, inoltre, la strategia dovrebbe essere oggetto di una comunicazione nettamente più efficace e ciò presuppone che, in ultima analisi, tutte le misure siano accorpate in un unico documento.

9.7

Il Comitato auspica infine un legame più stretto tra il dibattito sulla sostenibilità e la politica in materia di istruzione e anche di ricerca. Un legame ragionevole tra l'istruzione e il dibattito sulla sostenibilità significa anche, indirettamente, dare a tutti la possibilità di partecipare a questo processo.

9.7.1

Nell'ambito di questa politica, che si può senz'altro considerare parte integrante della strategia di comunicazione, occorrerà soprattutto sviluppare, all'interno del contesto sociale, un modo di pensare in rete e a lungo termine.

9.7.2

Le analisi delle tendenze non sostenibili nelle nostre società sono in genere riferite a una prospettiva temporale di cinque - dieci anni e raramente si spingono molto più in là. Ciò è comprensibile, tenuto conto delle difficoltà insite nella loro realizzazione. Al tempo stesso, le misure tendenti a dare maggiore sostenibilità allo sviluppo dovranno spesso fare i conti con prospettive temporali di quindici - venti anni o di più (la durata di una generazione). Ciò mette in luce uno dei principali problemi nella gestione delle tendenze non sostenibili e delle misure volte a combatterle: la mancanza di metodi scientificamente attendibili per tracciare scenari alternativi. Si dovrebbe prendere in esame la creazione di una «think tank» europea per le politiche di lungo periodo, che si occuperebbe di sviluppo sostenibile e della promozione di stili di vita sostenibili. Si dovrà assolutamente lavorare sulla base di scenari alternativi, comprendenti un'ampia varietà di problemi e di tendenze, e ispirandosi al pensiero critico. Il Comitato propone che la strategia riveduta per lo sviluppo sostenibile preveda anche uno speciale sforzo di ricerca per lo sviluppo di modelli completi di simulazione. Ciò dovrà servire a descrivere non solo quali saranno gli effetti sociali ed economici di una politica coerente in favore della sostenibilità, ma anche quali effetti sociali ed ecologici si debbano prevedere se non si cesserà di seguire tendenze non sostenibili.

9.7.3

L'ammodernamento dei posti di lavoro e l'introduzione di tecnologie rispettose dell'ambiente avranno effetti sui livelli di istruzione e formazione del personale. Più saranno avanzati i metodi di produzione, più strutture gerarchiche saranno smantellate, più vi sarà bisogno di formazione continua e di istruzione permanente per tutti i partecipanti al mercato del lavoro. Una società che ha l'ambizione di pensare e di agire in termini di sviluppo sostenibile deve essere una società contraddistinta da un alto livello di istruzione e formazione.

9.7.4

Sul lungo periodo, una società ad alta intensità di conoscenza è senza dubbio necessaria per lo sviluppo sostenibile, ma ne rappresenta anche la conseguenza. Ciò significa, tra l'altro, che i sistemi scolastici dovranno trasmettere informazioni molto più complete sui problemi legati alle tendenze non sostenibili. Capire quali siano le sfide da affrontare aiuterà a capire meglio quali siano le misure da prendere.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato eonomico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Cfr. art. 2 del Trattato CE.

(2)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Cardiff del 15 e 16 giugno 1998, punto 34.

(3)  COM(2003) 745 def. del 3.12.2003, cfr. anche allegato.

(4)  Che peraltro concordano perfettamente con gli studi realizzati dall'Agenzia europea per l'ambiente: cfr. http://reports.eea.eu.int/environmental_assessment_report_2003_10/en

(5)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Göteborg del 15 e 16 giugno 2001, punto 28.

(6)  COM(2003) 745 def.

(7)  COM(2003) 745 def.

(8)  COM(2003) 745 def.

(9)  COM(2003) 745 def., pag. 21.

(10)  COM(1999) 543 def., pag. 23.

(11)  COM(2003) 745 def., pag. 23.

(12)  COM(2001) 264 def.

(13)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Stoccolma del 23 e 24 marzo 2001, punto 48.

(14)  Va ricordato che, attualmente, il 20 % della popolazione mondiale sfrutta l'80 % delle risorse. Il 5 % della popolazione mondiale (ovvero: gli abitanti degli USA), a causa del suo eccessivo consumo energetico, produce il 25 % delle emissioni di CO2.

(15)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Costruire il nostro avvenire comune - Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013, COM(2004) 101 def.

(16)  Cfr. anche il punto 6.

(17)  «Il nostro futuro comune», rapporto Brundtland della Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo, 1987.

(18)  Cfr. il parere del CESE sul tema Preparazione di una strategia dell'Unione europea sullo sviluppo sostenibile, GU C 221 del 7.8.2001, pagg. 169-177.

(19)  http://europa.eu.int/comm/sustainable/docs/strategy_en.pdf

(20)  Cfr. COM(1999) 543 del 24 novembre 1999, pag. 16, punto 4.4: «Uso e gestione efficienti delle risorse», nonché il parere del CESE sulla comunicazione della Commissione L'ambiente in Europa: quali direzioni per il futuro? Valutazione globale del programma di politica e azione della Comunità europea a favore dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile: verso la sostenibilità, GU C 204 del 18.7.2000, pagg. 59-67.

(21)  A causa del previsto tasso di incremento globale, ciò richiederebbe da parte dell'Europa una riduzione ancora maggiore.

(22)  Cfr. SEC(1999) 1942 del 24 novembre 1999, pag. 14.

(23)  Dati tratti da: «External Costs - Research results on socio-environmental damages due to electricity and transport» [Costi esterni - Risultati di una ricerca sui danni socioambientali causati dall'elettricità e dai trasporti], Commissione europea, Ricerca comunitaria, 2003.

(24)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Göteborg del 15 e 16 giugno 2001, punto 21.

(25)  Solo l'opuscolo «Strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile» contiene parti tratte dalle conclusioni del Consiglio europeo di Göteborg, la comunicazione della Commissione «Strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile», il documento di consultazione in vista di una strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile e il verbale di un'audizione organizzata congiuntamente dalla Commissione e dal Comitato economico e sociale europeo. Vi sono poi anche il sesto programma di azione in materia di ambiente, la strategia di Lisbona e altre strategie seguiranno prossimamente, tra cui quella per l'uso sostenibile delle risorse naturali (N.d.A.: citare anche le altre strategie!).

(26)  In realtà si tratta di denaro speso per finanziare determinate patologie.

(27)  Cfr. COM(1999) 543 del 24 novembre 1999, pag. 23.

(28)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Göteborg del 15 e 16 giugno 2001, (estratti dei) punti 20 e 21: «Il Consiglio europeo ha convenuto una strategia per lo sviluppo sostenibile che integra l'impegno politico dell'Unione per il rinnovamento economico e sociale, aggiunge alla strategia di Lisbona una terza dimensione, quella ambientale, e stabilisce un nuovo approccio alla definizione delle politiche.» … «Obiettivi chiari e stabili per lo sviluppo sostenibile offriranno opportunità economiche significative. Ciò costituirà un potenziale per una nuova ondata di innovazione tecnologica e di investimenti, generatrice di crescita e di occupazione.»

(29)  Cfr. anche il manifesto «Investing for a sustainable future», nel quale l'Ufficio europeo per l'ambiente (EEB), la Confederazione europea dei sindacati (CES) e la piattaforma delle ONG sociali europee («Piattaforma sociale») avanzano proposte in questo senso.

(30)  Comunicazione della Commissione Sviluppo sostenibile in Europa per un mondo migliore: strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile, COM(2001) 264 def. del 15 maggio 2001.

(31)  Lotta alla povertà e invecchiamento.

(32)  COM(2003) 745 def., pag. 23.

(33)  Per esempio, è evidente che la forza lavoro umana - anche se disponibile in quantità eccessiva - è soggetta in tutta l'Europa ad alti tassi di imposizione, mentre il bene «ambiente», che pure diventa sempre più scarso, risulta pressoché esente da imposizione.

(34)  Cfr. p. es. la recente pubblicazione di Eurostat «Environmental Taxes in the European Union 1980-2001 - First signs of a relative green tax shift» - Eurostat 2003.

(35)  Sulla base dell'esempio dato su scala mondiale dal «World Business Council for Sustainable Development».

(36)  Tra l'altro nel settore dei trasporti, ma anche in quello agricolo. Per esempio, il maggiore produttore di suini degli USA (Smithfield) sta investendo nella creazione di giganteschi impianti di allevamento in Polonia, una scelta in aperta contraddizione con l'agricoltura sostenibile (o multifunzionale).

(37)  Nel suo parere, in via di elaborazione, sull'impiego di tecnologie ambientali adeguate nei paesi candidati, il Comitato fornisce indicazioni concrete su questo tema.

(38)  Parere del CESE sul tema Il futuro della PAC, GU C 125 del 27.5.2002 pagg. 87-99, , dove si afferma: «In linea di principio, il Comitato si attende perciò che la politica commerciale mondiale permetta alle collettività e agli spazi economici, ai produttori e ai consumatori di proteggersi contro alimenti che siano stati prodotti senza osservare i criteri da loro accettati ed applicati in materia di produzione sostenibile, oppure in violazione delle norme stabilite».

(39)  Cfr. punto 2.2.5, dove si osserva che una strategia deve necessariamente tener conto preventivamente delle difficoltà prevedibili.

(40)  COM(1999) 543 def., pag. 23.

(41)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles del 20 e 21 marzo 2003, punto 57.

(42)  Ibidem.

(43)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles del 20 e 21 marzo 2003, punto 58.

(44)  Ibidem.

(45)  Cfr. COM(2001) 264 def. pag. 9 («Migliorare la comunicazione e mobilitare i cittadini e le imprese»).

(46)  Cfr. discorso tenuto al CESE il 17 marzo 2004.


ALLEGATO 1

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso del dibattito (articolo 39, paragrafo 2, del Regolamento interno).

Punto 2.1.3

Aggiungere:

… presta meno attenzione agli aspetti economici e sociali.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 37, voti contrari 51, astensioni: 8.

Punto 2.3.10.1

Sopprimere.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 33, voti contrari 65, astensioni: 2.

Punto 2.3.10.2

Sopprimere.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 33, voti contrari: 62, astensioni: 3.

Punto 3.6

Sopprimere:

Esito della votazione

Voti favorevoli: 32, voti contrari: 53, astensioni: 6.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Verso una strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali

(COM(2003) 572 def.)

(2004/C 117/09)

La Commissione, in data 1o ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Verso una strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali (COM(2003) 572 def.)

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 54 voti favorevoli, 1 contrario e 6 astensioni.

1.   Premessa

1.1

La comunicazione all'esame va intesa come un primo passo della Commissione in preparazione di una «Strategia per l'uso sostenibile delle risorse naturali» che verrà presentata nel 2004 e dovrà poi essere adottata nel 2005. La comunicazione intende avviare un dialogo con tutte le parti interessate, e quindi anche con una parte della società civile, che dovrà concludersi con un documento strategico ampiamente concordato e accettato.

1.2

Per promuovere tale processo di concertazione, i servizi della Commissione hanno istituito ad esempio un forum delle parti interessate (1) che ha già avviato intense consultazioni.

1.3

La strategia in programma avrà l'obiettivo di sviluppare e formulare idee per la necessaria ulteriore riduzione dell'impatto ambientale dell'uso delle risorse. Si tratta essenzialmente di dissociare in misura decisamente maggiore la futura crescita economica dall'uso delle risorse.

1.4

La strategia da sviluppare va quindi intesa come una specie di «strategia accessoria» volta a concretizzare la strategia comunitaria a favore della sostenibilità, attualmente in corso di revisione.

1.5

La strategia in programma deve basarsi su tre componenti strategiche:

un'ulteriore raccolta d'informazioni sulle conseguenze, spesso collegate tra loro, dell'intero «ciclo di vita» delle risorse utilizzate (e quindi dalla fase di estrazione, a quella di impiego, ai rifiuti),

una valutazione delle politiche, destinata fra l'altro a illustrare che «non esiste» (…) attualmente un meccanismo per valutare in che misura le scelte politiche (…) siano compatibili con la finalità generale di dissociare la crescita economica dagli impatti dell'uso delle risorse; in futuro la strategia sulle risorse permetterà di effettuare tale valutazione,

l'integrazione in altri ambiti delle politiche, allo scopo di tenere, appunto, maggiormente conto degli aspetti ambientali relativi alle risorse in altri settori delle politiche attuate.

1.6

Dal punto di vista tecnico il documento è strettamente collegato con altre due iniziative che, come la strategia all'esame, sono state avviate dalla Commissione nel quadro dell'attuazione del Sesto programma di azione in materia ambientale, vale a dire la preparazione di una «strategia di prevenzione e riciclo dei rifiuti» e la «politica integrata dei prodotti». Il Comitato si è pronunciato su entrambe le iniziative nella sessione plenaria del dicembre 2003 (2).

1.7

Per la futura strategia per l'uso sostenibile delle risorse naturali viene indicato un orizzonte temporale di 25 anni.

2.   Osservazioni generali

2.1

Nel documento all'esame la Commissione fornisce dapprima una definizione del concetto di «risorse naturali». Esse comprendono sia le materie prime necessarie per le attività umane (rinnovabili e non rinnovabili), sia i diversi comparti ambientali (come l'aria, l'acqua e il suolo, ma anche il paesaggio).

2.2

Il documento si riferisce espressamente al vertice mondiale di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile, nel corso del quale i partecipanti hanno convenuto che «la protezione e la gestione delle risorse naturali alla base dello sviluppo economico e sociale sono obiettivi di portata globale e requisiti essenziali per lo sviluppo sostenibile» (3).

2.3

In altre parole: senza una tutela accorta e un uso tollerabile delle risorse lo sviluppo sostenibile non è possibile. La Commissione, perciò, concepisce anche la strategia in programma letteralmente come un contributo (anzi: uno dei numerosi contributi) della tutela ambientale allo sviluppo sostenibile.

2.4

Analizzata la situazione, la Commissione giunge a una valutazione che può sorprendere molte persone interessate alla tutela ambientale e che nel quadro dello sviluppo della strategia darà adito a parecchie discussioni: infatti, se per le risorse rinnovabili (p.es. stock ittici, acqua dolce) si riscontrano talvolta problemi enormi, per le risorse non rinnovabili la situazione viene giudicata molto meno critica. Considerato che negli anni '70 e '80 molte opere basilari del nascente movimento ecologista vertevano proprio sulla minaccia della scarsità delle risorse non rinnovabili (4), affermazioni come «Il fatto che una determinata risorsa sia limitata non implica automaticamente che essa diventerà scarsa non solo richiedono una spiegazione circostanziata ma, soprattutto, rischiano di dare un segnale politico sbagliato e di essere erroneamente intese come una specie di cessato allarme».

2.5

È però chiaro che, se viste nel lungo termine, affermazioni simili ovviamente sono del tutto infondate. In effetti, anche se negli ultimi anni sono stati scoperti sempre nuovi giacimenti di risorse non rinnovabili, anche se le precedenti previsioni di una futura scarsità delle risorse (5) non si sono dimostrate del tutto precise dal punto di vista temporale, è chiaro che, ad esempio, il petrolio, il carbone e altre materie prime non rinnovabili non sono illimitati. La situazione è complicata ulteriormente dal fatto che i successi già ottenuti negli ultimi anni sul piano della dissociazione tra la crescita e l'uso delle risorse non sono ancora sufficienti per risolvere il problema nel suo complesso. Tali successi sono stati infatti più che controbilanciati, tra l'altro, dai tassi di crescita globali.

2.6

Ciò che la Commissione afferma vale solo nel quadro dell'orizzonte temporale della strategia: è effettivamente possibile che nei prossimi 25 anni le risorse non rinnovabili non scarseggeranno in misura decisiva. Tuttavia il Comitato reputa che un orizzonte temporale di 25 anni sia decisamente troppo breve nel quadro di una strategia a favore della sostenibilità e di una possibile attuazione di quel principio del «fattore 10» su cui la Commissione ha cominciato a discutere (6).

2.7

Per tale motivo nella strategia vanno formulate anche affermazioni chiare in merito alle risorse non rinnovabili ed è necessario che esse vadano oltre l'orizzonte temporale della strategia stessa. Anche in questo settore, infatti, occorre porre sin da ora le basi di una politica sostenibile adeguata.

2.8

Indubbiamente la Commissione ha ragione ad affermare che il problema ecologico centrale delle risorse non rinnovabili non sta, ad esempio, nella disponibilità o meno di giacimenti. Gli esempi del carbone, del petrolio e del gas naturale dimostrano che per l'ambiente il vero problema ecologico sta nell'uso di queste materie prime (estrazione nonché, in questo caso, combustione con la conseguente emissione di biossido di carbonio) e non nella loro esistenza o meno.

2.9

Ciò non toglie che, dal punto di vista dello sviluppo sostenibile — ed è senza dubbio questo l'obiettivo che la Commissione vuole perseguire — la questione della disponibilità abbia senz'altro la sua importanza: infatti, anche riuscendo a limitare le ricadute ambientali dell'uso delle risorse, o addirittura a ridurle a livelli prossimi allo zero, la nostra responsabilità nei confronti delle future generazioni ci impone di evitare che le risorse vengano esaurite/sfruttate entro un arco di tempo così breve della storia dell'umanità.

2.10

Attualmente l'UE sta preparando tutta una serie di nuove strategie (effettivamente necessarie) e sta rivedendo quelle già esistenti. Vanno ricordate tra l'altro la strategia più generale, e d'importanza preminente, sullo sviluppo sostenibile e quelle sulla prevenzione e il riciclo dei rifiuti, la politica integrata dei prodotti, la protezione dell'ambiente marino, l'acquacoltura, la salute e l'ambiente, ecc. Il Comitato appoggia tutte queste iniziative, ma invita la Commissione a riflettere sul fatto che vi è il rischio che quanti non sono direttamente interessati perdano la visione d'insieme e fatichino a capire dove ciascuna strategia debba intervenire e quale sia il suo ordine d'importanza rispetto alle altre.

2.11

Il Comitato reputa pertanto opportuno:

descrivere in modo molto preciso come una determinata strategia s'inserisca nel contesto delle varie politiche,

indicare le interconnessioni con le altre strategie e con le diverse politiche in atto a livello dell'UE e negli Stati membri e

descrivere come e dove convergeranno da ultimo le varie strategie. In tale contesto, per il Comitato è fuori discussione che la strategia per la sostenibilità è quella preminente e che da essa dipendono sia quella sulle risorse sia altre ancora.

2.12

Il Comitato reputa inoltre fondamentale descrivere in maniera quanto più esauriente possibile le ricadute concrete delle strategie in programma per i potenziali interessati. A tal fine è pure necessario illustrare le responsabilità e chiarire chi abbia facoltà di disciplinare che cosa e a quale livello politico, specificando anche con quale carattere vincolante e che cosa vada disciplinato. Il Comitato si aspetta non solo che la strategia in programma illustri in modo particolareggiato le possibilità dell'UE per quanto riguarda l'uso delle risorse naturali, ma anche che, al tempo stesso, precisi le responsabilità al livello degli Stati membri (o a livello regionale e locale).

2.13

Il Comitato reputa che trasmettere conoscenze adeguate ad ampi strati della popolazione costituisca un compito importante.

2.14

La strategia deve tenere in grande considerazione le possibili conseguenze per l'economia, la vita lavorativa e i mercati del lavoro. La Commissione ha ribadito in numerose occasioni e in molti documenti che la creazione di posti di lavoro e la tutela ambientale non sono in contrasto, anzi possono completarsi positivamente a vicenda. Questo è un aspetto che va dimostrato sia mediante la strategia all'esame che all'interno di essa. Le imprese, giustamente, desiderano garantirsi la sicurezza sotto il profilo giuridico e della pianificazione per un periodo di tempo quanto più lungo possibile. La strategia deve fornire indicazioni che specifichino a cosa le imprese debbano prepararsi nei prossimi anni.

Inoltre, si dovrebbe senz'altro indicare anche mediante quali modifiche delle condizioni generali si debbano ottenere siffatte sinergie. Andrebbe chiarito se mediante nuove iniziative fiscali e tributarie si possa promuovere un uso sostenibile delle risorse naturali. Quanto all'evoluzione nell'impiego degli strumenti economici, negli ultimi anni vi è stato un maggiore ricorso alle tasse e ai tributi ambientali e oggi si osserva una lenta ma progressiva tendenza verso la riforma delle tasse ambientali: alcuni paesi modificano la propria base imponibile, riducendo l'imposizione sul lavoro e aumentando le tasse e i tributi sull'inquinamento, sulle risorse e sui servizi ambientali (7).

3.   Osservazioni particolari del Comitato

3.1

Il Comitato accoglie con estremo favore la presentazione del documento della Commissione. Una strategia a favore delle risorse è assolutamente necessaria per riuscire a dissociare in misura ancora maggiore lo sfruttamento delle risorse (con conseguenti effetti nocivi per l'ambiente) e la crescita economica.

3.2

Il Comitato reputa che l'orizzonte temporale della strategia, vale a dire 25 anni, sia decisamente troppo breve. Appoggia l'intenzione della Commissione di concentrare senz'altro l'attenzione sui problemi risolvibili a breve e medio termine, ma questo non deve affatto indurre a trascurare i problemi a lungo termine già individuati.

3.3

Pertanto, andrebbe assolutamente aggiunto un capitolo sui problemi a lungo termine, soprattutto quelli relativi alle risorse non rinnovabili, altrimenti l'intera strategia rischierebbe di essere fraintesa. A questo proposito si dovrebbe tener conto non solo della problematica ambientale, ma anche della questione della disponibilità fisica o politica globale. In tale contesto il Comitato accoglie con favore le parti della comunicazione dedicate alla disponibilità delle risorse a livello regionale ed europeo. Nel caso del petrolio, ad esempio, non c'è solo il problema della quantità: la disponibilità (e quindi la dipendenza) è piuttosto un problema politico da prendere molto seriamente, come hanno dimostrato in modo impressionante la crisi petrolifera degli anni '70 ed altri eventi più recenti. A livello mondiale i grandi blocchi economici sembrano avere strategie completamente diverse per affrontare questa problematica.

3.4

A parere del Comitato, la strategia presentata dalla Commissione punta eccessivamente sull'uso materiale delle risorse, a scapito del concetto di tutela, cioè dell'aspetto immateriale legato alle risorse. Il Comitato raccomanda non solo di ampliare la denominazione della strategia inserendovi il concetto di «tutela», ma anche di attribuire maggiore importanza all'idea della tutela nel suo complesso. In tal modo ci si potrebbe anche riallacciare alle discussioni svoltesi a Johannesburg (cfr. anche punto 2.2).

3.5

Manifestamente anche i paesaggi, ad esempio, costituiscono una risorsa importante: è il caso delle Alpi, che costituiscono sia un ecosistema sensibile sia un'attrazione turistica (8). Anche l'uso eccessivo delle risorse paesaggistiche (p.es. a causa di un aumento smisurato del traffico) dev'essere tenuto ben presente nella strategia. Con questi esempi concreti si potrebbero stabilire facilmente dei legami trasversali con altre politiche – come ad esempio quella agricola – e con le summenzionate responsabilità. La molteplicità dei paesaggi europei, dovuta tra l'altro a modalità di sfruttamento agricolo molto diverse, costituisce una componente importante della cultura e dell'identità europea – elementi che vanno entrambi preservati.

3.6

La Commissione, giustamente, richiama l'attenzione sullo sfruttamento eccessivo e in parte pericoloso delle risorse rinnovabili. Per quanto riguarda il legname, la Commissione, ad esempio, spiega che solo una parte dell'incremento annuale viene utilizzato realmente; ne risulta quindi un notevole potenziale per un ulteriore sfruttamento di questo materiale (nel rispetto dell'ambiente). Se da un lato questo è sicuramente vero, occorre però tener conto di due aspetti: le foreste, come tutti gli ecosistemi, non hanno solo una funzione materiale, ma anche un significato immateriale estremamente importante, ad esempio proprio perché sono ecosistemi e luogo di ricreazione. Questi aspetti, ma anche la loro funzione protettiva (ad esempio contro le inondazioni e le valanghe) possono senz'altro essere in contraddizione con il massimo sfruttamento boschivo possibile. Inoltre, le risorse forestali sono distribuite in modo molto disomogeneo; i gravissimi danni al patrimonio forestale in alcune regioni dei paesi in via di adesione (ad esempio i monti Metalliferi, i monti dei Giganti e le montagne di Jizerske) non hanno provocato solo la distruzione di una risorsa che avrebbe potuto essere utilizzata a livello locale, ma sono anche responsabili, in parte, delle gravissime inondazioni dell'Oder (nel 1997) e dell'Elba (nel 2002).

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Al quale partecipa anche il CESE.

(2)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione «Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti» (COM(2003) 301 def.) e «Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Politica integrata dei prodotti - Sviluppare il concetto di ciclo di vita ambientale» (COM(2003) 302 def., GU C 80 del 30.3.2004, pagg. 39-44).

(3)  Piano di attuazione del vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, introduzione, paragrafo 2.

(4)  Cfr. I «limiti dello sviluppo», rapporto del Club di Roma sulla situazione dell'umanità, 1972.

(5)  Ad esempio, da parte del Club di Roma (cfr. nota 4) o del consiglio statunitense per la qualità ambientale, The Global 2000 Report to the President [Global 2000, rapporto al Presidente], 1980.

(6)  Tale principio consiste nell'ottenere, in futuro, le stesse prestazioni economiche utilizzando solo un decimo delle risorse impiegate finora.

(7)  Cfr. p. es. la recente pubblicazione di Eurostat «Environmental Taxes in the European Union 1980-2001 — First signs of a relative green tax shift» — Eurostat 2003.

(8)  Cfr. il parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema »Il futuro delle aree montane nell'Unione europea«, GU C 61 del 14.3.2003, pagg. 113-122.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo: Un mercato interno senza ostacoli inerenti alla tassazione delle società – risultati, iniziative in corso e problemi ancora da risolvere

(COM(2003) 726 def.)

(2004/C 117/10)

La Commissione europea, in data 24 novembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo: Un mercato interno senza ostacoli inerenti alla tassazione delle società – risultati, iniziative in corso e problemi ancora da risolvere (COM(2003) 726 def.).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 aprile 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore CASSIDY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 56 voti favorevoli, 14 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La comunicazione passa in rassegna le iniziative della Commissione per eliminare gli ostacoli fiscali incontrati dalle imprese operanti a livello transfrontaliero nel mercato interno. Essa non contiene alcuna proposta di armonizzazione fiscale, ma affronta unicamente la problematica della rimozione degli ostacoli fiscali che intralciano le attività economiche transfrontaliere e delle barriere che impediscono il corretto funzionamento del mercato interno, nonché quella dell'eliminazione dell'inefficienza fiscale derivante dall'esistenza di 15 basi di valutazione diverse.

1.2

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è già stato consultato dalla Commissione su testi di argomento fiscale: nel 2001 è stato interpellato in merito alla comunicazione della Commissione «La politica fiscale dell'Unione europea - Priorità per gli anni a venire» (COM(2001) 260 def.). Il parere del Comitato, predisposto dal relatore MORGAN, appoggiava in generale gli obiettivi della Commissione in materia di politica fiscale, in particolare l'esigenza di coordinare i regimi impositivi applicati alle società per superare le difficoltà legate alle differenze nazionali, un problema particolarmente sentito dalle PMI.

1.3

Nel 2002 il Comitato pubblicava un secondo parere, anch'esso predisposto dal relatore MORGAN, in merito alle proposte della Commissione in materia di concorrenza fiscale e di competitività delle imprese. In tale parere veniva sottolineata la necessità di dare priorità all'IVA, ai fondi pensione e ai prezzi di trasferimento (1). L'esistenza di normative nazionali diverse impedisce la creazione di condizioni uniformi per tutti (level playing field), a livello di tasse societarie, tra imprese aventi sede in Stati membri diversi.

1.4

Nello stesso anno veniva inoltre pubblicato un parere di iniziativa, elaborato dal relatore MALOSSE e dalla correlatrice SANCHEZ-MIGUEL, in cui si sottolineava vivamente la necessità di accelerare l'adozione di misure contro la doppia imposizione, in particolare la proposta di istituzione di un forum comunitario comune sui prezzi di trasferimento. Il parere appoggiava inoltre l'idea di un mercato interno privo di barriere fiscali, evidenziando al contempo l'importanza di stabilire principi comuni per incoraggiare tale mercato. L'obiettivo di una base imponibile comune a tutte le società presenti nell'Unione è compatibile con la sovranità fiscale degli Stati membri e delle regioni in quanto non pregiudica la loro facoltà di fissare i livelli impositivi.

1.5

Nel 2003 il Comitato pubblicava un parere in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi» (COM(2003) 462 def.). Il parere, elaborato dal relatore POLVERINI, appoggiava essenzialmente le proposte avanzate dalla Commissione per l'eliminazione o quantomeno la riduzione dell'imposizione doppia o plurima degli utili distribuiti da una società figlia nello Stato della società madre o di una stabile organizzazione.

1.6

Sempre nel 2003 il Comitato formulava inoltre un parere di iniziativa, predisposto dal relatore NYBERG, sui temi della definizione di principi impositivi comuni, della convergenza del diritto fiscale e della possibilità di estendere il voto a maggioranza qualificata alle questioni fiscali. In esso si affermava la necessità di affrontare le tre questioni seguenti:

l'uso del metodo aperto di cooperazione per individuare i sistemi fiscali più efficienti,

l'introduzione di una base comune per le imposte societarie,

il ricorso al voto a maggioranza qualificata per stabilire aliquote minime per le imposte societarie.

2.   La comunicazione in esame

2.1

La comunicazione della Commissione evidenzia gli ostacoli fiscali che incontrano le imprese, in particolare le PMI, che operano a livello transfrontaliero nel mercato interno. Nonostante siano già stati individuati nella comunicazione del 2001, gli ostacoli sussistono ancora per la maggior parte. La Commissione rammenta di aver presentato tutta una serie di proposte e iniziative specifiche per eliminare ostacoli fiscali ben precisi.

2.2

Essa continua ad adoperarsi per una soluzione di più ampio respiro e di lungo periodo, che permetta alle imprese di utilizzare un'unica base imponibile societaria (utili tassabili) per tutte le loro attività intracomunitarie. Ritiene che questo sia il solo modo per risolvere sistematicamente i problemi fiscali esistenti nel mercato interno.

2.3

Il CESE prende atto delle iniziative avviate dalla Commissione, tra cui quelle finalizzate alla revisione delle direttive 90/434/CE (direttiva sulle fusioni) e 90/435/CE (direttiva sulle società madri e figlie di Stati membri diversi).

3.   Proposte

3.1

Il Comitato ha sostenuto l'impegno della Commissione per l'eliminazione delle distorsioni del mercato interno dovute all'esistenza di norme e regolamentazioni nazionali diverse sul trattamento fiscale delle società, un problema destinato ad aggravarsi con l'adesione all'UE di dieci nuovi Stati membri il 1o maggio 2004.

3.2

Occorre dunque nuovo slancio per consolidare gli accordi sulle imposte societarie, ad esempio una convenzione tra gli Stati membri su quanto è ammissibile e quanto non lo è in relazione al regime fiscale nazionale. L'istituzione di una base imponibile comune è il passo prioritario.

3.3

Il CESE auspica che gli Stati membri prendano atto delle difficoltà incontrate dalle imprese e in special modo dalle PMI, che non dispongono delle risorse per conformarsi a 15 (presto 25) sistemi diversi. Ritiene che sia opportuno considerare il sistema della cosiddetta «tassazione vigente nel paese di residenza» (2) per le PMI, magari fissando un fatturato massimo per l'applicazione di tale regime.

3.3.1

Il progetto pilota della Commissione basato sulla «tassazione vigente nel paese di residenza» offre una soluzione alle PMI per le loro attività transfrontaliere, alleggerendo gli oneri amministrativi legati alla fiscalità da esse sopportati. Si potrebbe iniziare con un'applicazione sperimentale a livello bilaterale per poi estendere il sistema, se i risultati della prima fase saranno positivi, a tutta l'UE.

3.4

L'istituzione di una base imponibile comune a livello europeo rappresenta un passo importante. Il Comitato è contrario ad assoggettare le PMI alle norme eccessivamente gravose dell'IFRS, che sono essenzialmente destinate alle società quotate in borsa (esse potrebbero invece costituire un punto di partenza per la definizione della base imponibile). La proposta della Commissione va dunque modificata per poter essere applicata alle PMI. Occorre elaborare un insieme di norme IAS/IFRS adeguate, che tengano conto delle specifiche esigenze delle PMI in termini di oneri amministrativi e fiscali. Tuttavia l'adozione di una base imponibile comune e di nuove norme contabili potrebbe tradursi in un aumento delle imposte. Bisognerebbe che i paesi potessero compensare un tale aumento modificando le aliquote fiscali. Non si devono poi trascurare le esigenze della futura «società europea (societas europaea)».

3.5

Si potrebbe inoltre osservare che i molteplici accordi per evitare la doppia imposizione esistenti tra gli Stati membri stessi e tra questi e paesi terzi, come ad esempio gli USA, generano confusione e contraddizioni impedendo qualsiasi uniformità. Il Comitato invita la Commissione ad avviare uno studio dei trattati sulla doppia imposizione in vigore in tutti i settori al fine di fornire indicazioni sulle «buone pratiche» esistenti e trovare una soluzione accettabile a tutte le parti.

3.6

La Commissione avanza un'idea interessante, suggerendo che forse a un certo punto gli Stati membri dovranno applicare il principio della «nazione più favorita» nei loro rapporti reciproci e annuncia il prossimo avvio di discussioni con gli Stati membri su questo tema.

3.7

Il CESE ribadisce agli Stati membri, che esercitano la maggiore influenza, la necessità di un accordo che promuova l'espansione delle PMI al di là del paese di origine e con essa la creazione di posti di lavoro, di cui le PMI sono le prime artefici. Il Comitato appoggia fermamente la volontà della Commissione di giungere a un accordo tra gli Stati membri su una base imponibile comune per le società.

3.8

L'assenza di reali progressi in materia di imposizione societaria produce uno spostamento nel processo decisionale comunitario per cui le decisioni politiche, anziché dal Consiglio o dal Parlamento europeo, vengono adottate dalla Corte di giustizia. Anche in assenza di decisioni politiche, servono decisioni giudiziali sui diversi sistemi fiscali. La giurisprudenza della Corte di giustizia europea (3) inizia ad avere vasti effetti sui sistemi fiscali, in particolare per quanto riguarda i regimi applicati dagli Stati membri ai dividendi. In assenza di progressi in materia fiscale in seno al Consiglio, il Comitato si augura che la Commissione fornisca quanto prima indicazioni per l'interpretazione delle decisioni della Corte di giustizia in materia fiscale.

3.9

Il Comitato potrebbe appoggiare un rafforzamento della cooperazione, come metodo per ovviare all'attuale requisito dell'unanimità, tra gruppi di Stati membri che intendono progredire nel settore fiscale.

3.10

Il Comitato riconosce infine le difficoltà incontrate dagli Stati membri nel modificare i loro regimi attuali. Essi devono poter comparare le loro entrate fiscali attuali con la quota che spetterebbe loro probabilmente nel caso si adottasse un altro sistema. Ciò richiederà un coordinamento aperto e un atteggiamento di fiducia reciproca generale tra gli Stati membri.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Con tale espressione si indicano i prezzi dei beni e servizi forniti da una società ad altre società appartenenti al suo stesso gruppo.

(2)  Sistema per cui a tutti i versamenti fiscali di una società vengono applicate le norme fiscali del paese di residenza, ma con le aliquote in vigore in ciascuno dei paesi in cui essa svolge le sue attività.

(3)  Un esempio recente è dato dalla causa C-446/03 Marks & Spencer c. David Halsey (ispettore delle tasse di Sua Maestà britannica) sulla compensazione transfrontaliera delle perdite.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle fusioni transfrontaliere delle società di capitali

(COM(2003) 703 def. — 2003/0277 (COD))

(2004/C 117/11)

Il Consiglio, in data 3 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle fusioni transfrontaliere delle società di capitali (COM(2003) 703 def. — 2003/0277 (COD)).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 56 voti favorevoli, 11 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La proposta di direttiva sulle fusioni transfrontaliere presentata dalla Commissione è stata per lungo tempo oggetto di un blocco che si inserisce in un più ampio contesto di sospensione delle proposte normative riguardanti le cosiddette direttive sul diritto delle società. Insieme alla proposta in oggetto, relativa alla decima direttiva sulle società, sono state infatti bloccate le proposte relative alla quinta direttiva – riguardante gli organi di gestione e rappresentanza delle società per azioni – e alla quattordicesima – riguardante il trasferimento della sede statutaria – che non sono mai state presentate. Nonostante siano diverse le ragioni che sono all'origine di questa interruzione normativa, in tutti i casi è stata rilevante la difficoltà incontrata nel raggiungere un consenso sul riconoscimento del diritto dei lavoratori all'informazione e alla partecipazione a questi processi economici, un riconoscimento che richiedeva i debiti adeguamenti giuridici.

1.2

Alla luce di quanto precede, l'adozione dello statuto della Società europea (SE), della direttiva relativa al coinvolgimento dei lavoratori che lo completa (1), nonché di altre direttive che regolano i diritti di informazione e consultazione dei lavoratori e la loro tutela in caso di trasferimenti di imprese – direttive che riguardano anche le società risultanti dalle fusioni transfrontaliere (2) – ha agevolato notevolmente il rilancio del processo di presentazione delle norme, rimaste finora in sospeso, destinate ad armonizzare il diritto europeo delle società. Prova di questo rilancio è appunto la proposta di direttiva in oggetto. Il CESE ritiene importante questo nuovo impegno per l'armonizzazione comunitaria del diritto delle società in considerazione del prossimo allargamento dell'Unione europea di cui verranno a formar parte paesi con modelli di organizzazione societaria diversi da quelli degli attuali Stati membri e anche divergenti fra loro.

1.3

Fra la proposta presentata nel 2003 e quella del 1985 (3) vi sono differenze notevoli.

1.3.1

Innanzitutto, mentre la proposta del 1985 riguardava esclusivamente le fusioni delle società per azioni, la nuova proposta estende il campo d'applicazione a tutte le società di capitali. In tal modo la possibilità che società di Stati membri diversi cooperino e si raggruppino viene data anche ad altri tipi di società che meglio corrispondono al tessuto imprenditoriale europeo, ovvero le PMI.

1.3.2

In secondo luogo, vi sono differenze anche fra le basi giuridiche a cui fanno riferimento l'una e l'altra proposta. Se il documento presentato nel 1985 rinviava di continuo alla terza direttiva sulle fusioni nazionali (4), l'attuale proposta fa generalmente riferimento alle normative nazionali in materia di fusioni, fuorché per gli aspetti specificamente transfrontalieri in essa regolati. Il riferimento a dette normative è possibile, in gran parte, perché esse sono state precedentemente armonizzate con le disposizioni della terza direttiva. Ciò ha effetti positivi poiché semplifica le forme e la procedura di fusione, la quale risulta familiare ai soggetti sociali, giuridici ed economici che vi partecipano, permettendo di ridurre le incertezze e l'elevato costo economico che questo tipo di operazione comporta.

1.3.3

In terzo luogo, la differenza principale rispetto alla proposta di direttiva del 1985 è che l'articolo 14 della nuova proposta prevede la partecipazione dei lavoratori ai processi di fusione transfrontaliera, possibilità che invece era espressamente esclusa nei considerando della proposta iniziale. Le ragioni che hanno portato a introdurre detta partecipazione sono evidenti: nella maggior parte dei casi le fusioni comportano conseguenze per gli occupati nelle imprese interessate; il riconoscimento dei diritti dei lavoratori nel quadro del governo societario (corporate governance) – non soltanto a norma delle disposizioni normative comunitarie, ma anche in seguito alla conclusione di numerosi accordi volontari – rende dunque necessaria la partecipazione dei lavoratori nelle fusioni transfrontaliere. A questo proposito il CESE ritiene che il riferimento allo statuto della Società europea e alla direttiva che lo completa, per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori nei casi in cui la legislazione nazionale alla quale è soggetta la società derivante dalla fusione non impone la partecipazione dei lavoratori, faciliti l'adozione della norma proposta dal momento che consente di non dover riaprire il dibattito in seno alle istituzioni comunitarie.

1.4

Si deve tener presente che la proposta in oggetto si inserisce nel quadro del piano d'azione «Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell'Unione europea» (5) che prevede – a breve, a medio e a lungo termine – una profonda trasformazione normativa che non contempla soltanto la formulazione definitiva delle proposte di direttive – attualmente in sospeso – riguardanti il diritto delle società, ma prevede di avviare iniziative legislative (direttive) e non legislative (raccomandazioni e simili) riguardanti gli obblighi di pubblicità in materia di governo societario, il rafforzamento del ruolo degli amministratori non esecutivi, una piena democrazia degli azionisti (un'azione/un voto), ecc. In particolare, questa proposta di decima direttiva sulle fusioni transfrontaliere figurava nell'elenco delle azioni a breve termine (2003-2005) in materia di ristrutturazioni e mobilità delle imprese.

1.5

Va inoltre ricordato che la direttiva in oggetto si colloca nel percorso verso un eventuale sviluppo della Società privata europea (SPE) come forma giuridica valida per tutta l'UE – specialmente concepita per rispondere ai bisogni delle PMI – che gode fra l'altro di un ampio sostegno da parte del CESE. A riguardo segnaliamo che la comunicazione della Commissione del 21 maggio 2003 ha ripreso la raccomandazione, formulata dal gruppo ad alto livello, di adottare la decima direttiva sulle fusioni transfrontaliere prima di presentare la proposta di statuto della SPE, per la quale è richiesto uno studio di fattibilità previo.

1.6

Bisognerà inoltre tenere conto della riforma delle direttive sul regime fiscale applicabile alle società (6), sebbene essa non sia oggetto della proposta in esame, dal momento che è ormai chiaro (7) che il ritardo registrato nella costituzione della società europea è dovuto al problema irrisolto della complessità fiscale derivante dall'esistenza di norme comunitarie in materia, e soprattutto dalla doppia imposizione generata dalle operazioni di fusione. Se si considera che le fusioni transfrontaliere regolate dalla proposta in oggetto sono interessate dalla suddetta riforma fiscale e che la norma riguarda essenzialmente le PMI, appare chiara la necessità di favorire una riduzione dei costi che renda attraenti queste fusioni.

1.7

Infine è opportuno ricordare che questa decima direttiva si rende necessaria perché, al momento, in taluni Stati membri le legislazioni nazionali consentono le fusioni transfrontaliere tra le loro società di capitali (ad esempio sono state realizzate operazioni fra società spagnole e italiane) mentre in altri le vietano (8).

2.   Contenuto della proposta di direttiva

2.1

La proposta di direttiva disciplina le fusioni transfrontaliere, intese come fusioni tra società di capitali che abbiano la loro sede, come minimo, in due paesi dell'Unione europea e siano soggette alla legislazione di almeno due Stati membri diversi (articolo 1).

2.2

Le tipologie di fusione sono quelle riconosciute dallo statuto della Società europea, vale a dire: fusione per incorporazione, fusione per costituzione di una nuova società, fusione per trasferimento della totalità del patrimonio a una holding (articolo 1).

2.3

Per le operazioni di fusione si applicano le disposizioni previste dalle legislazioni degli Stati membri in cui si trovano le sedi statutarie delle società partecipanti, anche se la procedura di fusione transfrontaliera, indipendentemente dalla forma scelta, deve rispettare alcuni requisiti minimi e specifici, definiti nella proposta di direttiva (articolo 2), qui di seguito illustrati.

2.3.1

Innanzitutto, il progetto comune di fusione transfrontaliera al quale ogni società contribuisce dovrà comprendere le indicazioni contenute all'articolo 3 della proposta, riguardanti l'identificazione delle società che partecipano all'operazione, il rapporto di cambio dei titoli o delle quote di ciascuna società, i diritti accordati ai soci titolari di diritti speciali e agli altri possessori di titoli o quote rappresentativi del capitale sociale. Va sottolineato che nel progetto debbono inoltre figurare informazioni sul sistema di partecipazione dei lavoratori nella società derivante dalla fusione: è questo uno dei requisiti necessari per il proseguimento dell'operazione di fusione.

2.3.2

La proposta si sofferma poi sulla pubblicità che deve essere data alla fusione, al termine dell'elaborazione del progetto. Si tratta di una questione estremamente rilevante dal momento che, al più tardi un mese prima della data della riunione dell'assemblea generale, i creditori e i soci di minoranza potranno esercitare i propri diritti. L'articolo 4 della proposta fa riferimento all'articolo 3 della prima direttiva sulle società 68/151/CEE (9) che definisce la procedura da seguire per adempiere agli obblighi di pubblicità. Si intende in tal modo garantire la certezza giuridica per tutti i soggetti interessati dalla fusione transfrontaliera.

2.3.3

La proposta si occupa poi dell'intervento degli esperti, i quali devono redigere una relazione destinata ai soci (articolo 5), prima della data della riunione dell'assemblea generale che approverà, in ciascuna società il progetto comune di fusione (articolo 6). Va sottolineata, per l'importanza pratica che riveste ai fini del contenimento dei costi di fusione (aspetto a cui le PMI sono specialmente sensibili), la possibilità di nominare uno o più esperti indipendenti per tutte le società, introducendo domanda presso l'autorità competente: si tratta di una soluzione analoga a quella prevista dallo statuto della Società europea per la costituzione di una SE mediante fusione.

2.3.4

Dopo l'approvazione dei progetti di fusione da parte di ogni assemblea generale, l'autorità competente effettua un controllo sulla legittimità della fusione (articoli 7 e 8) e ne pubblica i risultati nel corrispondente registro pubblico (articolo 10), al fine di determinare la data in cui entrano in vigore la fusione transfrontaliera (articolo 9) e, di conseguenza, gli effetti previsti per ciascuna forma di fusione: incorporazione (articolo 11, paragrafo 1), costituzione di una nuova società (articolo 11, paragrafo 2), trasferimento della totalità del patrimonio a una holding (articolo 13). La certezza giuridica della fusione viene garantita dall'impossibilità di pronunciarne la nullità quando essa ha acquisito efficacia al termine della procedura (articolo 12).

2.4

Le modalità seguite per la partecipazione dei lavoratori nella società derivante dalla fusione dipendono dalla legislazione nazionale del paese in cui ha sede detta società. Se la normativa dello Stato membro applicabile alla società derivante dalla fusione non impone un regime di partecipazione dei lavoratori e se almeno una delle società che partecipano alla fusione è gestita in base a detto regime, si applicano le disposizioni dello statuto della Società europea e della direttiva che lo completa, che impone un modello giuridico in mancanza di accordo fra i rappresentanti dei lavoratori e la direzione della società (articolo 14).

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE giudica in maniera assai positiva la proposta di direttiva sulle fusioni transfrontaliere, sia dal punto di vista della politica legislativa perseguita che da quello della tecnica giuridica utilizzata.

3.2

Innanzitutto, la proposta di direttiva amplia le possibilità di concentrazione delle società nell'Unione europea, specie nell'ambito delle PMI:

3.2.1

lo statuto della Società europea – dalla sua entrata in vigore l'8 ottobre 2004 (articolo 70) – permetterà alle società per azioni di Stati membri diversi di costituire una Società privata europea mediante una fusione (articoli 2 e 17 e seguenti). Questo primo strumento di concentrazione verrà integrato, dopo l'entrata in vigore della futura direttiva sulle fusioni transfrontaliere, da un altro strumento che consentirà alle società di capitali situate in Stati membri diversi – siano esse società per azioni o società in accomandita per azioni, a responsabilità limitata o di altro tipo, come le società cooperative – che rispettano i requisiti della prima direttiva relativa alle società (10) di concentrare i propri patrimoni mediante una fusione transfrontaliera, al termine della quale la società derivante dall'operazione sarà soggetta alla legislazione di un solo Stato membro.

3.2.2

La decisione di ampliare le forme di società che possono avvalersi di questo nuovo strumento di concentrazione (la fusione transfrontaliera) risulterà particolarmente importante per le PMI, dal momento che queste ultime sono normalmente società a responsabilità limitata. Se a ciò si aggiunge, che come dato di fatto, l'economia reale dell'Unione europea è fondata su un sistema in cui convivono grandi imprese e PMI e che queste ultime costituiscono un fattore notevole di sviluppo economico e rappresentano in particolare la principale fonte di occupazione in Europa, disponendo di una grande capacità di adattamento all'evoluzione alle congiunture, alle crisi cicliche e all'innovazione, si può concludere affermando che rafforzare la competitività delle PMI è un obiettivo auspicabile della politica legislativa comunitaria e che uno degli strumenti più adatti per peseguirlo è la concentrazione economica in nuove forme giuridiche che ne garantiscano l'attività transfrontaliera, agevolando contemporaneamente il loro accesso a risorse produttive e finanziarie nel mercato bancario e in quello borsistico.

3.3

In secondo luogo, il CESE dà un giudizio positivo in merito alla tecnica giuridica utilizzata nella proposta, che porta a una semplificazione del modello legislativo impiegato in merito agli aspetti più importanti della nuova proposta: quelli riguardanti le società e quelli relativi alla partecipazione dei lavoratori.

3.3.1

Per quanto concerne gli aspetti riguardanti le società, nella proposta di direttiva in esame vengono affrontati soltanto quelli relativi al carattere transfrontaliero della fusione, adottando una regola generale di applicazione suppletiva della normativa sulle fusioni, riconosciuta in ogni legislazione nazionale, la quale a sua volta è già stata armonizzata mediante il recepimento della terza direttiva sulle fusioni. Sussistono tuttavia talune differenze sostanziali fra Stati membri di cui si dovrà tenere conto dopo l'approvazione della proposta in oggetto. Tale sistema crea un ulteriore elemento di certezza giuridica per tutte le parti interessate, dal momento che il modello legislativo è stato convalidato nelle pratiche nazionali. A questo proposito, nel progetto comune di fusione transfrontaliera andrebbero incluse informazioni in merito alle previste ripercussioni della fusione sull'occupazione, unitamente a una valutazione di tali conseguenze.

3.3.2

In quanto alla partecipazione dei lavoratori nelle società derivanti dalle fusioni, il rimando allo statuto della Società europea e alla direttiva riguardante il coinvolgimento dei lavoratori permette di non riaprire un dibattito che ha ritardato per lungo tempo l'adattamento di queste norme e di non mettere in discussione l'ampio consenso raggiunto da tutte le parti interessate. A questo proposito, l'articolo 14 della proposta di direttiva dovrebbe concedere, per quanto riguarda la partecipazione, quella garanzia dei diritti acquisiti che è sancita dalla direttiva 2001/86/CE nel caso della creazione di una società per azioni europea mediante una fusione. Il Comitato si esprime a favore di una modifica in tal senso del testo dell'articolo 14, per limitare il rischio, insito nella versione attuale, di una diminuzione della qualità della partecipazione nelle imprese interessate. Riteniamo pertanto che i sistemi nazionali applicabili debbano consentire a tutti i dipendenti della nuova società, ivi compresi quelli che lavorano al di fuori del paese in cui essa ha sede, di godere degli stessi diritti, tenendo conto dei sistemi di coinvolgimento dei lavoratori previsti per ciascun tipo di società.

3.4

Pur ribadendo il giudizio positivo espresso sulla proposta in esame, il CESE ritiene che la Commissione debba prendere in considerazione alcuni aspetti di rilievo.

3.4.1

La base giuridica utilizzata, che si riferisce al diritto delle società (articolo 44 del TCE), andrebbe estesa all'articolo 308 del Trattato CE, dal momento che non è in gioco soltanto la sopravvivenza delle società risultanti dalle fusioni, ma anche l'occupazione dei lavoratori. L'articolo 308 è stato scelto anche come base giuridica per la direttiva 2001/86/CE, cui rimanda l'articolo 14 della presente proposta di direttiva, per completare lo statuto della Società per azioni europea sotto l'aspetto della partecipazione dei lavoratori.

3.4.2

Un aspetto che può generare confusione nel recepimento della futura direttiva è il sistema di controllo della legittimità di cui agli articoli 7 e 8, in base al quale ogni Stato membro designa le autorità competenti per controllare la legittimità della fusione per la parte della procedura relativa a ciascuna delle società che vi partecipano e per la parte della procedura relativa alla realizzazione della fusione. L'articolo 10 della proposta di direttiva del 1985 prevedeva anche un controllo preventivo della legittimità, seppur con diverse eccezioni per le quali rinviava al procedimento di cui all'articolo 16 della terza direttiva relativa alle società (11). A giudizio del CESE, l'armonizzazione del sistema europeo dei registri permette di affermare che la legittimazione fornita dal registro – ovverosia la presunzione di esattezza e validità del suo contenuto – insieme al principio di legalità in base a cui l'autorità competente per la registrazione assume la propria responsabilità per la legalità degli atti e dei documenti iscritti, potrebbe semplificare il sistema di controllo della legittimità delle fusioni transfrontaliere ricorrendo a un rinvio.

3.4.3

Un altro aspetto che la Commissione deve considerare riguarda la protezione dei diritti di terzi, ivi compresi i crediti salariali, dal momento che un'interpretazione combinata dell'articolo 4, lettera c), e dell'articolo 11, paragrafo 3, nella pratica potrebbe causare loro un danno. Infatti mentre l'articolo 4, lettera c), obbliga ciascuna delle società che partecipano alla fusione a indicare le modalità d'esercizio dei diritti da parte dei creditori e dei soci di minoranza (i quali, se necessario, avranno un diritto di recesso se la legislazione nazionale lo prevede, sebbene la proposta non lo contempli), l'articolo 11, paragrafo 3, stabilisce espressamente che, se sono previste formalità particolari per l'opponibilità ai terzi del trasferimento di determinati beni, diritti e obbligazioni apportati dalle società che partecipano alla fusione, sia la società derivante dalla fusione ad adempiere tali formalità. Onde evitare un'interpretazione che potrebbe ledere i diritti di terzi, sarebbe opportuno inserire in una disposizione il diritto dei terzi di opporsi alla fusione fintantoché i loro diritti non sono stati garantiti: questa sembra essere la funzione dell'articolo 11, paragrafo 3.

3.4.4

Un terzo aspetto che andrebbe chiarito è la definizione dell'ambito di applicazione e gli effetti della direttiva per quanto riguarda i diritti di partecipazione dei lavoratori.

3.4.4.1

In primo luogo va tenuto presente e segnalato con un riferimento nel testo che l'informazione prevista deve contenere almeno gli elementi richiesti dalla direttiva 2001/23/CE, relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, e dalla direttiva 2002/14/CE, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori. Riteniamo che le regole nazionali in materia di informazione e di consultazione non siano sufficienti in quanto non tengono conto delle questioni di natura transfrontaliera. Le norme relative ai comitati di impresa europei non sono sempre applicabili perché riguardano solo le imprese che hanno almeno 1 000 dipendenti, di cui almeno 150 in due Stati diversi. Ribadiamo pertanto la necessità di inserire nella proposta norme che garantiscano ai lavoratori il diritto all'informazione e alla consultazione alle medesime condizioni applicabili in una società europea.

3.4.4.2

In secondo luogo, il mancato adempimento degli obblighi di informazione e consultazione dei lavoratori sta avendo nella pratica effetti negativi sull'occupazione, senza che tuttavia vengano introdotti provvedimenti specifici per tutelarla.

3.4.4.3

In terzo luogo, sarebbe opportuno precisare il contenuto dell'articolo 14, onde evitare un numero eccessivo di rinvii a norme transnazionali, come il regolamento relativo allo statuto della Società europea, e ad altre nazionali, come la direttiva riguardante il coinvolgimento dei lavoratori nella società europea. Deve essere chiaro che i sistemi applicabili sono i seguenti:

sistema nazionale di partecipazione delle società coinvolte nella fusione,

se il diritto nazionale non prescrive la partecipazione dei lavoratori va negoziato un modello, conformemente al disposto della direttiva riguardante il coinvolgimento dei lavoratori,

in caso di mancato accordo fra le parti trova applicazione il modello obbligatorio corrispondente a quello contenuto nella parte terza dell'allegato della direttiva riguardante il coinvolgimento dei lavoratori.

4.   Conclusioni

4.1

Il CESE ribadisce la propria opinione: la normativa proposta risulta positiva e pratica.

4.2

Il CESE desidera ciononostante segnalare alla Commissione due aspetti che non sono stati considerati nella proposta.

4.2.1

In primo luogo, l'assenza di regolamentazione in merito alla responsabilità degli amministratori e degli esperti che partecipano al processo di fusione. Va ricordato che l'articolo 15 della proposta del 1985 prevedeva un regime generale di responsabilità che faceva riferimento agli articoli 20 e 21 della terza direttiva sulle società. Pertanto, sarebbe giustificato in generale introdurre nella nuova proposta un articolo che stabilisca la responsabilità degli amministratori e degli esperti, non solo perché su questo punto vi è un ampio consenso in tutte le legislazioni nazionali, ma anche perché questo principio è contenuto in numerosi codici di condotta aziendali e in relazioni richieste dalla Commissione (12).

4.2.2

In secondo luogo, sarebbe opportuno coordinare la proposta con le direttive vigenti e le nuove proposte di riforma fiscale del regime da applicare alle fusioni e a operazioni analoghe (13), dal momento che la fattibilità delle fusioni transfrontaliere nell'Unione europea sarà determinata non soltanto dalla facilità e dalla certezza giuridica fornita da una regolamentazione societaria efficiente – alla quale punta la proposta di decima direttiva in esame – ma anche da un adeguato rapporto tra i costi e i vantaggi fiscali derivanti da dette operazioni di concentrazioni. Alla luce di quanto esposto, il CESE ritiene necessario il coordinamento fra la DG Mercato interno e la DG Affari economici e finanziari.

Bruxelles, 28 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Regolamento CE n. 2157/2001 e direttiva 2001/86/CE, GU L 294 del 10.11.2001.

(2)  Direttiva 97/74/CE riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo, direttiva 2001/23/CE relativa ai diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, direttiva 2002/14/CE relativa all'informazione e alla consultazione dei lavoratori.

(3)  Proposta di decima direttiva del Consiglio basata sull' articolo 54, paragrafo 3 lettera g) del Trattato, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società per azioni. COM(84)727 def., GU C 23 del 25.1.1985, pag. 11.

(4)  Terza direttiva 78/855/CEE del Consiglio, del 9 ottobre 1978, basata sull'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa alle fusioni delle società per azioni.

(5)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo »Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell'Unione europea – Un piano per progredire« COM(2003) 284 def. del 21 maggio 2003.

(6)  Direttiva 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, che modifica la direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi; Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 90/434/CEE, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati membri diversi. Parere CESE 312/2004, del 25 febbraio 2004.

(7)  Riferimento alle conclusioni della Tax Force fiscal SPE.

(8)  Negli ordinamenti nazionali che hanno recepito la direttiva 78/855/CEE, sono stati seguiti due modelli per la compatibilità delle autorizzazioni relative alle fusioni transfrontaliere. Un primo gruppo di paesi – composto da Italia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna e Regno Unito – le autorizza, mentre un secondo gruppo – composto da Paesi Bassi, Svezia, Irlanda, Grecia, Germania, Finlandia, Danimarca e Austria – non le autorizza. Il Belgio si trova in una posizione intermedia, dal momento che autorizza soltanto le fusioni per incorporazione.

(9)  Modificata dalla direttiva 2003/58/CE, GU L 221 del 4.9.2003.

(10)  Direttiva 68/151/CEE.

(11)  Direttiva 78/855/CEE.

(12)  Relazione del gruppo ad alto livello di esperti di diritto societario del 4 novembre 2002.

(13)  Cfr. nota 6.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti sono stati presentati per votazione e sono stati respinti nel corso del dibattito (articolo 54, paragrafo 3 del Regolamento interno), pur avendo ottenuto per lo meno un quarto dei voti espressi:

Punto 3.4.4.3 Modificare nel seguente modo:

Deve essere chiaro che, se i lavoratori venissero coinvolti in almeno una delle società risultanti dalla fusione, i sistemi applicabili sarebbero i seguenti:

Motivazione

Senza questa aggiunta il testo risulta impreciso. Deve essere già stato applicato in pratica un sistema di partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori affinché questo venga poi «trasferito» alla nuova società.

Esito della votazione:

favorevoli: 29, contrari: 41, astensioni: 4.

Nuovo punto 3.4.4.4

Il Comitato nutre perplessità sull'applicazione delle disposizioni obbligatorie della parte terza dell'allegato alla direttiva sul coinvolgimento dei lavoratori in quanto ciò comporterebbe l'esportazione del sistema della partecipazione dei lavoratori in altri Stati membri con un ordinamento giuridico e una tradizione giuridica completamente diversi.

Motivazione

Mediante l'applicazione di queste disposizioni obbligatorie, ad esempio una società dello Stato A (senza coinvolgimento dei lavoratori) che effettua una fusione con una società dello Stato B (con coinvolgimento dei lavoratori) e decide di fissare la propria sede nello Stato A, potrebbe essere obbligata ad applicare la legislazione dello Stato B, anche se questa non è assolutamente adattata al modello a cui appartiene la società dello Stato A (sistema monistico/duale)

Esito della votazione:

favorevoli: 25, contrari: 40, astensioni: 4.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che adotta un programma comunitario pluriennale inteso a rendere i contenuti digitali europei più accessibili, utilizzabili e sfruttabili

(COM(2004) 96 def. — 2004/0025 (COD))

(2004/C 117/12)

Il Consiglio, in data 25 febbraio 2004, ha deciso, in conformità con il disposto dell'articolo 157 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che adotta un programma comunitario pluriennale inteso a rendere i contenuti digitali europei più accessibili, utilizzabili e sfruttabili (COM(2004) 96 def. — 2004/0025 (COD)).

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 24 febbraio 2004, ha incaricato della preparazione dei lavori in materia la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione.

Il Comitato economico e sociale europeo, in considerazione dell'urgenza dei lavori, ha deciso, il 29 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, di designare Jorge PEGADO LIZ relatore generale e ha adottato il seguente parere con 56 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La presente proposta di adozione di un programma comunitario pluriennale destinato a rendere i contenuti digitali europei più flessibili, utilizzabili e sfruttabili, designato sinteticamente con eContentplus (2005-2008) (1), tiene conto dell'obiettivo strategico dell'eEurope 2005 (2), delle realizzazioni del programma eContent (2001-2004) in corso (3), della valutazione intermedia cui quest'ultimo è stato sottoposto (4) e dell'evoluzione intervenuta a livello tecnologico, regolamentare (5) e di mercato opportunamente citata nella relazione della proposta in esame.

2.   Il programma eContent (2001-2004)

2.1

Gli obiettivi del programma eContent (2001-2004), sul quale il Comitato economico e sociale (d'ora in avanti CESE) aveva espresso parere favorevole (6), erano così definiti:

a)

creare condizioni favorevoli allo sviluppo di un'industria europea dei contenuti multimediali;

b)

stimolare la domanda e l'utilizzo dei contenuti multimediali;

c)

contribuire allo sviluppo professionale, sociale e culturale dei cittadini;

d)

promuovere lo scambio di conoscenze tra utenti e fornitori.

2.2

Il programma eContent è destinato a svolgersi in un periodo di quattro anni, dal gennaio 2001 al gennaio 2005, ed è eseguito attraverso tre linee d'azione:

a)

migliorare l'accesso alle informazioni del settore pubblico e svilupparne l'utilizzazione;

b)

incrementare la produzione dei contenuti in un contesto multilinguistico e multiculturale;

b)

aumentare il dinamismo del mercato dei contenuti digitali.

3.   Valutazione intermedia del programma eContent

3.1

Nella valutazione intermedia del programma eContent (7) si è preso atto del suo impatto positivo e si è raccomandato di continuare a sostenere i contenuti digitali attraverso politiche e programmi comunitari.

3.2

Nella relazione di valutazione figurano anche raccomandazioni sull'attuazione dell'attuale programma eContent dirette sia alla Commissione che agli Stati membri, in particolare quella di dare maggiore importanza alla dimensione commerciale dei progetti e quella che insiste sulla necessità che la Commissione incoraggi la cooperazione e la comunicazione in rete tra i punti di contatto nazionali che divulgano le informazioni sul programma, in modo da migliorare la qualità del servizio offerto. La relazione arriva alla conclusione che sia necessario un programma che prosegua quello in corso e sollecita la Commissione affinché massimizzi l'impatto del programma circoscrivendo il potenziale gruppo di partecipanti.

3.3

La Commissione ha concordato sulla necessità di massimizzare l'impatto e di razionalizzare in certa misura le attività, condividendo inoltre l'impostazione secondo la quale gli elementi multilinguistici e multiculturali devono essere al centro di tutti i progetti finanziati.

4.   La proposta di istituire il programma eContentplus (2005-2008)

4.1

L'obiettivo del programma di sostegno finanziario eContentplus rimane quello di rendere i contenuti digitali in Europa più accessibili, utilizzabili e sfruttabili, facilitando la creazione e la diffusione delle informazioni e delle conoscenze - in settori di interesse pubblico - nell'Unione. Il programma potrà così contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'eEurope 2005.

4.2

Il programma, la cui dotazione finanziaria prevista è di 163 milioni di EUR per un periodo di quattro anni (2005-2008), si incentra, fondamentalmente, sui contenuti di qualità che consentano di diffondere informazioni e conoscenze e non semplicemente sulla produzione di un numero maggiore di contenuti. Esso punta alla creazione di quadri paneuropei (servizi, infrastrutture di informazione, ecc.) che facilitino la scoperta e l'utilizzazione di contenuti digitali di qualità, riutilizzabili e interoperativi, per la creazione di nuovi servizi basati sull'accesso ai contenuti digitali. Le aree d'intervento del programma saranno le informazioni del settore pubblico, i dati territoriali e i contenuti didattici e culturali.

4.3

Sinteticamente, il programma persegue tre obiettivi operativi

a.

facilitare l'accesso ai contenuti digitali europei;

b.

migliorare la qualità facilitando le migliori pratiche relative ai contenuti digitali;

c.

rafforzare la cooperazione e la sensibilizzazione tra gli interessati nel settore dei contenuti digitali (soprattutto scienziati, studenti, ricercatori, professionisti, «riutilizzatori», servizi pubblici, ecc.).

5.   Base giuridica

5.1

Il CESE approva la base giuridica proposta dalla Commissione per l'iniziativa in esame (articolo 157, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità europea), identica, del resto, alla base giuridica utilizzata nella decisione del Consiglio del 22 dicembre 2000 che adotta il programma eContent.

5.2

Il CESE considera altresì adeguato lo strumento giuridico usato, vale a dire la decisione.

6.   Osservazioni generali

6.1

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta della Commissione di adottare un programma comunitario pluriennale volto a rendere più accessibili, utilizzabili e sfruttabili i contenuti digitali in Europa, denominato eContentplus (2005-2008), dando così continuità al programma eContent.

6.2

Già in precedenti pareri il CESE aveva espresso il suo sostegno e il suo incoraggiamento a tutte le iniziative di promozione della società dell'informazione, in particolare il piano eEurope, il programma pluriennale (2003-2005) Modinis (8), la politica della sicurezza delle reti e dell'informazione (9), la lotta contro la criminalità informatica (10), lo sviluppo di una società della conoscenza senza discriminazioni (11), un diritto di accesso a Internet sicuro in termini di tutela dei dati personali delle operazioni commerciali e dei servizi informatici (12), la promozione di un uso più sicuro di Internet attraverso la lotta ai contenuti illegali e nocivi e il riutilizzo di informazioni del settore pubblico (13).

6.3

Il CESE condivide pienamente l'obiettivo della Commissione che consiste nel garantire la diversità culturale e linguistica dell'Europa, la quale deve costituire parte integrante dello sviluppo della società dell'informazione (14), ed ha recentemente approvato un parere esplorativo sulle industrie culturali in Europa (15), nel quale afferma esplicitamente che i poteri pubblici dell'Unione europea, degli Stati membri e delle regioni devono contribuire a rafforzare la diversità.

6.4

È ovvio quindi che il CESE non può non accogliere con favore la proposta di intervento comunitario in esame volta a creare le condizioni che permettano di superare le barriere tecniche e economiche che la diversità, di per sé, causa in mercati nazionali di dimensioni troppo ridotte. La linea di orientamento del programma è valida, riguardando i metodi, gli strumenti, i processi e i servizi connessi alla concezione, allo sviluppo, all'accesso e alla distribuzione di contenuti digitali di alta qualità, lasciando la produzione quantitativa di contenuti digitali agli operatori del mercato e ad eventuali iniziative comunitarie specifiche.

6.5

Il CESE ha ben presente che una delle conclusioni della relazione di valutazione intermedia del programma eContent segnala la necessità di chiarire quale sia il settore centrale di attuazione del programma, evitando in tal modo che vi sia una dispersione dei gruppi di utenti e una frammentazione dei mercati obiettivo che rendano impossibile raggiungere la massa critica indispensabile al successo dell'iniziativa.

6.5.1

Il CESE comprende quindi e accetta che il principio prevalente del programma eContentplus sia quello della massimizzazione dell'impatto in un gruppo di soggetti attivi e che a tal fine sia necessario definire in modo rigoroso l'universo dei partecipanti e il quadro degli obiettivi da perseguire.

6.5.2

Nondimeno, soprattutto al fine di evitare l'emergere di eventuali asimmetrie regionali tra i beneficiari del programma eContent, il CESE sollecita la Commissione ad approfondire l'ambito di attuazione della linea d'azione «rafforzare la cooperazione e la sensibilizzazione» e in tale ambito in particolare «le misure di accompagnamento».

7.   Osservazioni particolari

7.1

Sul piano dell'incidenza finanziaria del programma, il CESE vorrebbe che fosse spiegato il motivo della riduzione della dotazione prevista per la linea d'azione «Facilitare l'accesso, l'uso e lo sfruttamento dei contenuti digitali» nell'anno 2006 (cfr. punto 6.1.1 Intervento finanziario (stanziamenti d'impegno)), dato che si tratta di una situazione eccezionale rispetto a tutto il periodo di programmazione dell'iniziativa.

7.2

Sempre sul piano dell'incidenza finanziaria, e in linea con le osservazioni espresse in precedenza, il CESE considera insufficiente la dotazione globale prevista per la misura «Rafforzare la cooperazione e la sensibilizzazione» (tra il 6 % e il 10 %), giudicando in particolare insufficiente il bilancio per le azioni di valutazione del programma.

7.2.1

È per questo che il CESE sollecita la Commissione a rafforzare gli stanziamenti summenzionati, attribuendo maggiore importanza alla valutazione intermedia del programma.

7.3

Tenendo conto inoltre delle raccomandazioni della relazione di valutazione intermedia per quanto riguarda il profilo del programma che avrebbe dovuto dar seguito a eContent (16), segnatamente quella secondo cui i due requisiti fondamentali comuni a tutti i progetti da sostenere devono essere la commercializzazione - favorendo i progetti che possiedono un elevato potenziale di mercato e presentino un interesse dimostrabile per i gruppi di utenti futuri - e l'«europeizzazione» - i progetti devono presentare un chiaro interesse per un vasto gruppo di imprese e utenti privati europei e allo stesso tempo promuovere la diversità culturale europea - il CESE ritiene che le azioni di valutazione programmate, nonché la relazione di valutazione, cui fa riferimento l'articolo 5, paragrafo 3, della proposta di decisione, dovranno effettuare, per quanto possibile, un'analisi comparativa del grado di soddisfazione degli utenti dei progetti finanziati.

7.4

Sarebbe inoltre opportuno appoggiare e promuovere l'elaborazione di contenuti educativi e di basi di dati scientifiche e tecniche accessibili gratuitamente e liberamente; tali contenuti andrebbero predisposti da istituzioni, università o associazioni e ciò si tradurrebbe in un contributo importante alla strategia di Lisbona e alla libera circolazione delle conoscenze in Europa.

8.   Sintesi e considerazioni conclusive

8.1

Il CESE, consapevole del ruolo che i contenuti digitali svolgono nel migliorare l'accesso dei cittadini alle informazioni e nello stimolare lo sviluppo economico e sociale delle imprese europee, appoggia la creazione del programma eContentplus, come incentivo alla riutilizzazione delle informazioni del settore pubblico e alla creazione di contenuti europei multilinguistici e multiculturali.

8.2

Il CESE condivide l'obiettivo del programma eContentplus che consiste nel garantire la diversità culturale e linguistica dell'Europa, la quale deve formare parte integrante dello sviluppo della società dell'informazione; ritiene pertanto valido l'orientamento del programma che riguarda i settori della concezione, dello sviluppo, dell'accesso e della distribuzione di contenuti digitali di alta qualità.

8.3

Nonostante comprenda e accetti che il principio prevalente del programma eContentplus sia quello della massimizzazione dell'impatto in un gruppo ristretto di soggetti attivi, il CESE intende segnalare la necessità di approfondire l'ambito di attuazione, e la rispettiva incidenza finanziaria, della misura «Rafforzare la cooperazione e la sensibilizzazione», al fine di attenuare l'eventuale aggravarsi di asimmetrie regionali tra i beneficiari della presente iniziativa comunitaria.

8.4

Tenendo poi conto delle raccomandazioni della relazione di valutazione intermedia sul profilo del programma che dà seguito a eContent, il CESE raccomanda che le azioni e le relazioni di valutazione programmate prevedano, per quanto possibile, l'analisi comparativa del grado di soddisfazione degli utenti dei servizi che hanno ricevuto il sostegno del programma.

Bruxelles, 29 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che adotta un programma comunitario pluriennale inteso a rendere i contenuti digitali europei più accessibili, utilizzabili e sfruttabili, COM(2004) 96 def. — 2004/0025 (COD).

(2)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni - eEurope 2005: una società dell'informazione per tutti, COM(2002) 263 def.

(3)  Decisione 2001/48/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2000.

(4)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa alla valutazione intermedia del programma comunitario pluriennale inteso a incentivare lo sviluppo e l'utilizzo dei contenuti digitali europei nelle reti globali e a promuovere la diversità linguistica nella società dell'informazione (eContent), COM(2003) 591 def.

(5)  In particolare la direttiva relativa al riutilizzo dell'informazione del settore pubblico (direttiva 2003/98/CE del 17 novembre 2003), la direttiva sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione (direttiva 2001/29/CE del 22 maggio 2001), la direttiva relativa alla tutela giuridica delle banche di dati (direttiva 96/9/CE dell'11 marzo 1996), e tutta una serie di direttive che incentiva il commercio e i servizi on line nel mercato interno: direttive sul commercio elettronico (8 giugno 2000), sulle modalità di fatturazione (20 dicembre 2001) e inoltre la direttiva e il regolamento sull'IVA applicabile ai servizi di radiodiffusione e di televisione e a determinati servizi prestati tramite mezzi elettronici (7 maggio 2002).

(6)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che adotta un programma comunitario pluriennale inteso a incentivare lo sviluppo e l'utilizzo dei contenuti digitali europei nelle reti globali e a promuovere la diversità linguistica nella società dell'informazione, COM(2000) 323 def - 2000/0128 (CNS).

(7)  Cfr. nota precedente, COM(2003) 591 def.

(8)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di decisione del Consiglio recante adozione di un programma pluriennale (2003-2005) per il monitoraggio del piano d'azione eEurope, la diffusione della buona prassi e il miglioramento della sicurezza delle reti e dell'informazione (Modinis), COM(2002) 425 def. -2002/0187 (CNS) del 25 ottobre 2002.

(9)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Sicurezza delle reti e sicurezza dell'informazione: proposta di un approccio strategico europeo, GU C 48 del 21.2.2002.

(10)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni - Creare una società dell'informazione sicura migliorando la sicurezza delle infrastrutture dell'informazione e mediante la lotta alla criminalità informatica, GU C 311 del 7.11.2001.

(11)  Parere del Comitato economico e sociale sul tema L'informazione del settore pubblico: una risorsa fondamentale per l'Europa - Libro verde sull'informazione del settore pubblico nella società dell'informazione, GU C 169 del 16.6.1999.

(12)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, GU C 123 del 25.4.2001.

(13)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riutilizzo dei documenti del settore pubblico e al loro sfruttamento a fini commerciali, COM(2002) 207 def. - 2002/0123 (COD) dell'11 dicembre 2002.

(14)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni - Principi e orientamenti per la politica audiovisiva della Comunità nell'era digitale, COM(1999) 657 def. del 19 ottobre 2000.

(15)  Parere esplorativo del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le industrie culturali in Europa del 28 gennaio 2004.

(16)  Punto 3.2.3. Possibile configurazione del programma eContent II, COM(2003) 591 def.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Århus sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale

(COM(2003) 622 def. 2003/0242(COD))

(2004/C 117/13)

Il Consiglio, in data 7 novembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Århus sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale (COM(2003) 622 def. — 2003/0242 (COD))

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 68 voti favorevoli, 6 voti contrari e 7… astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La politica ambientale dell'Unione europea di cui all'articolo 6 del Trattato che istituisce la Comunità europea e in particolare l'obiettivo comunitario di promuovere lo sviluppo sostenibile rendono imprescindibile che i cittadini europei si sentano coinvolti in tutte le attività riguardanti la conoscenza e l'applicazione di detta politica. La DG Ambiente si è quindi avvalsa di diversi strumenti, norme, comunicazioni, convegni ecc. per potenziare l'informazione e la partecipazione dei soggetti interessati.

1.2

Gli strumenti finora utilizzati si incentravano principalmente sull'introduzione di norme sull'informazione e la partecipazione dei cittadini e, in misura minore, sull'accesso alla giustizia in caso di violazione delle disposizioni che regolano le varie materie oggetto della politica ambientale.

1.3

A norma dell'articolo 175, paragrafo 1 del Trattato, che istituisce la Comunità europea, la Commissione adotta le misure atte a conseguire gli obiettivi di politica ambientale. A questo scopo risulta necessario disciplinare la partecipazione del pubblico in modo da promuovere e migliorare la tutela dell'ambiente. Vale la pena di ricordare che questo meccanismo di informazione e consultazione è già in uso nell'ambito di altre politiche comunitarie, in particolare nella politica agricola comune e nella politica industriale. Dato il peso di queste politiche sullo sviluppo sostenibile è indispensabile farle conoscere e renderne trasparente l'applicazione al di là della cerchia dei diretti interessati attraverso l'informazione di tutti i cittadini.

1.4

Le norme attraverso le quali sono state finora sviluppate l'informazione e la partecipazione dei cittadini alla tematica ambientale sono:

il regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (1),

la direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale (2),

la direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico alla elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale (3).

1.5

Con la firma, nel 1998, della convenzione di Århus sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, la Comunità europea ha riaffermato l'obiettivo di accrescere il coinvolgimento della popolazione europea nelle tematiche ambientali per conseguire una più ampia partecipazione alla conservazione e alla tutela dell'ambiente naturale e promuovere lo sviluppo sostenibile dello spazio europeo.

1.6

Visto che non tutti gli Stati membri hanno ratificato la convenzione di Århus (4), la situazione giuridica odierna impone un duplice tipo di intervento. Occorre innanzi tutto creare uno strumento legislativo (regolamento) che consenta la completa applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia. In seconda battuta, è necessario completare le disposizioni rivolte agli Stati membri attraverso una proposta di direttiva nella quale inserire soltanto la parte relativa all'accesso alla giustizia.

2.   Contenuto della proposta di regolamento

2.1

Il regolamento ha per obiettivo l'applicazione delle disposizioni della convenzione di Århus agli organi competenti dell'Unione europea, attraverso l'introduzione delle norme necessarie per assicurare l'accesso all'informazione, la partecipazione e la giustizia in materia ambientale. A tal fine il regolamento definisce tutti i concetti utili a delimitare il campo di applicazione della norma, nonché gli organi di riferimento soggetti agli obblighi di seguito indicati. Fra le definizioni citate è opportuno evidenziare quella di «diritto ambientale».

2.2

L'accesso all'informazione ambientale è disciplinato agli articoli 3-7; esso riprende il disposto del regolamento (CE) n. 1049/2001, che viene ormai esteso agli altri organi dell'Unione europea dotati di competenze in materia ambientale e che quindi non riguarda più soltanto Parlamento, Consiglio e Commissione europea. L'informazione ambientale si configura come un obbligo, a carico dei vari organi dotati di competenze in materia, a fornirsi degli strumenti più adeguati per comunicare al pubblico e tenere costantemente aggiornate tutte le informazioni, attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione disponibile, preferibilmente mediante le reti pubbliche di telecomunicazione. Gli interessati potranno così disporre tempestivamente di sufficienti informazioni, in condizioni tali da garantire sempre:

la qualità dell'informazione e il suo aggiornamento,

l'accessibilità dell'informazione per gli interessati, rispondendo rapidamente alla relativa richiesta,

la collaborazione fra tutte le autorità competenti in materia d'informazione in situazioni di emergenza ambientale.

2.3

La partecipazione del pubblico di cui all'articolo 8 definisce a quali condizioni i cittadini hanno il diritto di partecipare all'elaborazione di piani e programmi ambientali ad opera delle istituzioni o degli organi comunitari previsti da una norma. Si rende così possibile il coinvolgimento del pubblico avente diritto e delle organizzazioni ambientaliste fin dalle fasi che precedono l'adozione.

2.4

L'accesso alla giustizia è consentito al soggetto abilitato legittimato ad agire in giudizio; sono quindi legittimate a promuovere ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle CE soltanto le organizzazioni riconosciute ai sensi degli articoli 12 e 13. Tuttavia e secondo il disposto dell'articolo 9 che sancisce la legittimazione dei soggetti abilitati, per potere giustificatamente sospendere qualsiasi atto contrario al diritto ambientale prima di agire in giustizia è necessario chiedere il riesame degli atti amministrativi emanati dalle istituzioni comunitarie.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE ha ripetutamente sostenuto che lo strumento più adatto di cui l'Unione europea dispone per attuare la legislazione ambientale è il coinvolgimento dei cittadini nella politica di sviluppo sostenibile; questo coinvolgimento deve avvenire in base alla trasparenza e al controllo del rispetto generalizzato delle norme in materia garantendo peraltro la tutela delle informazioni confidenziali. L'accesso all'informazione, la partecipazione all'elaborazione dei piani e programmi in materia ambientale e il successivo accesso alla giustizia sono gli strumenti che consentiranno non solo un maggiore rispetto delle disposizioni giuridiche, ma anche una maggiore sensibilizzazione e una migliore educazione dei cittadini in materia di conservazione e utilizzo delle risorse naturali esistenti.

3.2

In questa nuova fase che vede ormai prossima l'adesione di 10 nuovi paesi, è bene che la Commissione proponga queste nuove disposizioni di armonizzazione, ma occorre anche insistere sulla ratifica della convenzione di Århus da parte di tutti i paesi europei che l'hanno sottoscritta. Inoltre, essa dovrebbe essere ratificata anche dall'Unione europea, che così amplierebbe gli strumenti a sua disposizione per tutelare l'ambiente a livello mondiale, in particolare in sede di convenzioni internazionali.

3.3

Questo nuovo strumento giuridico destinato alle autorità comunitarie completa l'applicazione della convenzione di Århus. Gli effetti transfrontalieri di molte norme ambientali richiedono questo intervento normativo, in quanto in molti casi spetterà all'autorità comunitaria applicare la convenzione. In questo contesto è fondamentale evidenziare il ruolo dell'Agenzia europea per l'ambiente, che funge da base centrale per la raccolta di informazioni e il controllo del rispetto della normativa ambientale in tutta l'Unione.

3.4

Nonostante il carattere positivo delle norme proposte, il CESE ritiene opportuno evidenziare e precisare taluni aspetti di grande importanza ai fini del pieno conseguimento dell'obiettivo perseguito.

3.4.1

Le definizioni utilizzate nella proposta e tratte dalla convenzione di Århus presentano alcune variazioni rispetto a quelle originali. In tale contesto si segnala quanto segue:

3.4.1.1

il concetto di soggetto abilitato, presente in ambedue le proposte, non è contemplato dalla convenzione di Århus, che parla esclusivamente di «pubblico interessato» e riconosce quindi la «condizione di interessato» a tutti gli organismi che operano a favore della tutela dell'ambiente, senza pretendere che detta protezione sia il loro «unico obiettivo»; a questi organismi viene richiesto soltanto il rispetto delle norme in materia di associazionismo del rispettivo Stato membro. È chiaro comunque che altre organizzazioni senza fini di lucro, quali sindacati, organizzazioni dell'economia sociale, socioprofessionali, dei consumatori ecc. stanno realizzando un'importante opera a favore dell'ambiente a livello locale, regionale, nazionale ed europeo.

3.4.1.2

Il regolamento, che riprende il regolamento (CE) n. 1049/2001, riguarda le istituzioni e gli organi comunitari in senso lato, fra i quali va compreso anche il CESE.

3.4.1.3

Un aspetto importante da evidenziare è quello dell'uso di concetti diversi, dovuto a un problema linguistico, per indicare i settori del diritto ambientale. Il CESE raccomanda di verificare dal punto di vista linguistico alcuni titoli molto importanti, come per esempio quello del punto v). Bisognerebbe garantire l'identicità concettuale di tutti i titoli utilizzati, necessaria per armonizzare a un livello minimo la tutela dell'ambiente.

3.4.2

Ricorsi in materia ambientale. Bisognerebbe tenere in considerazione che l'articolo 9, paragrafo 5 della convenzione di Århus obbliga chiaramente le parti, in questo caso gli organi comunitari, a informare il pubblico della possibilità di proporre ricorso e a «istituire meccanismi di assistenza» volti a eliminare o ridurre gli ostacoli finanziari o di altro genere che limitano l'accesso alla giustizia in materia ambientale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Regolamento sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale

4.1.1

Il CESE considera che la proposta di regolamento rafforzi le misure di ampio respiro già previste dalla Commissione per realizzare gli obiettivi ambientali e, nella fattispecie, ritiene che si tratti del meccanismo adeguato per agevolare l'informazione, la partecipazione e l'accesso alla giustizia dei cittadini europei, tramite le organizzazioni sociali, economiche e ambientaliste, nei confronti delle istituzioni e degli organi comunitari. Tra questi ultimi devono essere compresi le agenzie e gli uffici pubblici istituiti dal Trattato CE o sulla base del medesimo, salvo quando agiscono nell'esercizio del potere giudiziario o legislativo in modo che non soltanto la Commissione, bensì tutte le istituzioni intese nel senso più esteso del termine, rispondano ai cittadini, come stipula il regolamento (CE) n. 1049/2001.

4.1.2

Un aspetto determinante è quello dell'inserimento della figura dei soggetti abilitati all'accesso alla giustizia, mentre il diritto all'informazione e alla partecipazione spetta ancora al pubblico in senso lato, come nella convenzione di Århus. Il Comitato considera in linea di principio opportuno inserire questa figura, in quanto rende più facile l'accesso alla giustizia venendo meno l'obbligo di dimostrare interesse sufficiente o di invocare la violazione di un diritto. Il CESE intende peraltro evidenziare il problema risultante dalla limitazione, prevista fra le condizioni di abilitazione, ai soggetti che non abbiano come unico obiettivo la tutela dell'ambiente. Nella situazione europea sarebbe in tal senso più indicato dare la possibilità di ottenere il riconoscimento anche ad altri organismi che, oltre ad altri obiettivi sociali ed economici, perseguano anche la protezione dell'ambiente.

4.1.3

Quanto alla partecipazione del pubblico alla preparazione di piani e programmi di cui al disposto dell'articolo 8, il CESE ricorda in primo luogo che parlare di ONG che operano a favore dell'ambiente può risultare limitativo; pur non essendolo altrettanto della definizione di soggetti abilitati, ciò potrebbe sortire lo stesso risultato, se non altro per inerzia procedurale. Il CESE ribadisce anche la propria richiesta di estendere il concetto a tutti gli organismi che contemplino fra le loro finalità la difesa dell'ambiente. Inoltre, all'articolo 8 occorre inserire l'obbligo per l'istituzione comunitaria di rendere pubblici i risultati della partecipazione. Il CESE condivide l'estensione dell'accesso alle informazioni ambientali e della partecipazione del pubblico all'elaborazione di piani e programmi in materia ambientale ad opera delle istituzioni e degli organismi comunitari, prevista dalla convenzione di Århus. Nell'auspicare che tali organismi operino in modo da assicurare una effettiva partecipazione e che i risultati di essa siano presi in adeguata considerazione, caldeggia che siano resi noti in modo trasparente e completo i criteri di finanziamento delle attività elencate nell'allegato della convenzione, e le deliberazioni relative agli OGM e alle sostanze chimiche, data la particolare sensibilità dei cittadini sulla sicurezza ambientale e sulla tutela della salute legata a tali soggetti.

4.1.4

Visto dalla prospettiva della convenzione di Århus, il Titolo IV che disciplina l'accesso alla giustizia in materia ambientale si discosta dal fine perseguito, in quanto limita ai soggetti abilitati la possibilità sia di chiedere il riesame interno degli atti amministrativi sia di promuovere ricorsi in giustizia. Pur comprendendosi la finalità limitativa della proposta, si ritiene che, ai fini della semplificazione processuale, per il riesame e i ricorsi in giustizia nell'ambito comunitario, sarebbe sufficiente dimostrare l'interesse e la competenza a proporli.

4.1.5

A giudizio del Comitato non è necessario che i soggetti abilitati siano attivi in più paesi.

4.1.6

L'articolo 12, lettera d) della proposta di regolamento prevede che per essere riconosciuta quale soggetto abilitato, un'organizzazione deve aver fatto certificare il proprio bilancio annuale da un revisore ufficiale. Conformemente al principio di sussidiarietà, dovrebbero essere gli Stati membri a controllare il rispetto dei requisiti di contabilità imposti a tali organizzazioni.

4.1.7

A giudizio del Comitato, il costo della procedura di ricorso per ottenere dallo Stato la tutela dei diritti del cittadino dovrebbe essere limitato in funzione degli interessi in causa e del sostegno finanziario, secondo quanto stabilito dalla convenzione di Århus.

Bruxelles, 29 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  GU L 145 del 31.5.2001, pag. 43. Inoltre la Commissione ha approvato una comunicazione dal titolo Verso una cultura di maggiore consultazione e dialogo - Principi generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti interessate ad opera della Commissione COM(2002) 704 def. dell'11.12.2002.

(2)  GU L 41 del 14.2.2003, pag. 26.

(3)  GU L 156 del 25.6.2003, pag. 17.

(4)  La convenzione è stata ratificata dai seguenti paesi: Portogallo, Belgio, Francia, Danimarca e Italia.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso alla giustizia in materia ambientale

(COM(2003) 624 def. — 2003/0246 (COD))

(2004/C 117/14)

Il Consiglio, in data 7 novembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso alla giustizia in materia ambientale (COM(2003) 624 def. — 2003/0246 (COD)).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 76 voti favorevoli, 5 contrari e 8 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La politica ambientale dell'Unione europea, di cui all'articolo 6 del Trattato che istituisce la Comunità europea, e in particolare l'obiettivo comunitario di promuovere lo sviluppo sostenibile, rendono imprescindibile che i cittadini europei si sentano coinvolti in tutte le attività riguardanti la conoscenza e l'applicazione di detta politica. La DG Ambiente si è quindi avvalsa di diversi strumenti quali norme, comunicazioni, convegni, ecc., per potenziare l'informazione e la partecipazione dei soggetti interessati.

1.2

Gli strumenti finora utilizzati si incentravano principalmente sull'introduzione di norme sull'informazione e la partecipazione dei cittadini e, in misura minore, sull'accesso alla giustizia in caso di violazione delle disposizioni che regolano le varie materie oggetto della politica ambientale.

1.3

A norma dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, la Commissione adotta le misure atte a conseguire gli obiettivi della politica ambientale. A questo scopo risulta necessario disciplinare la partecipazione del pubblico in modo da promuovere e migliorare la tutela dell'ambiente. Vale la pena di ricordare che questo meccanismo di informazione e consultazione è già in uso nell'ambito di altre politiche comunitarie, in particolare nella politica agricola comune e nella politica industriale. Dato il peso di queste politiche sullo sviluppo sostenibile, è indispensabile farle conoscere e renderne trasparente l'applicazione al di là della cerchia dei diretti interessati attraverso l'informazione di tutti i cittadini.

1.4

Le norme attraverso le quali sono state finora sviluppate l'informazione e la partecipazione dei cittadini alla tematica ambientale sono:

il regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (1),

la direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale (2),

la direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico alla elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale (3).

1.5

Con la firma, nel 1998, della convenzione di Århus sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, la Comunità europea ha riaffermato l'obiettivo di accrescere il coinvolgimento della popolazione europea nelle tematiche ambientali per conseguire una più ampia partecipazione alla conservazione e alla tutela dell'ambiente naturale e promuovere lo sviluppo sostenibile dello spazio europeo.

1.6

Visto che non tutti gli Stati membri hanno ratificato la convenzione di Århus (4), la situazione giuridica odierna impone un duplice tipo di intervento. Occorre innanzi tutto creare uno strumento legislativo (regolamento) che consenta la completa applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia. In seconda battuta, è necessario completare le disposizioni rivolte agli Stati membri attraverso una proposta di direttiva nella quale inserire soltanto la parte relativa all'accesso alla giustizia.

2.   Contenuto della proposta di direttiva

2.1

La proposta di direttiva stabilisce le condizioni minime per promuovere ricorsi amministrativi e giurisdizionali in materia ambientale in modo da garantire una migliore applicazione della legislazione comunitaria. Si tratta di norme minime destinate, da un lato, ad attuare le disposizioni della convenzione di Århus e, dall'altro, ad armonizzare la situazione in tutti i paesi dell'Unione europea, per evitare l'insorgere di situazioni di squilibrio fra operatori economici e autorità amministrative.

2.2

La proposta di direttiva si articola sulla definizione dei soggetti interessati, dei ricorsi e dell'atto o dell'omissione che dà origine al ricorso stesso.

2.3

L'aspetto più rilevante è quello della legittimazione ad agire in giudizio, detta anche legittimazione processuale attiva, ossia la capacità di promuovere un ricorso amministrativo o giurisdizionale. In tal senso si distingue fra cittadini in genere («membri del pubblico») e soggetti abilitati: mentre i primi devono dimostrare un interesse sufficiente oppure far valere la violazione di un diritto o di norme procedurali, i secondi non sono tenuti ad alcuna prova.

2.4

Il riconoscimento dei soggetti abilitati si fonda sui criteri di cui agli articoli 8 e 9; coloro che ottemperano a detti criteri sono legittimati ad agire senza che siano loro richiesti ulteriori requisiti.

2.5

Vale la pena di evidenziare che il disposto dell'articolo 6 consente di chiedere il riesame interno laddove un atto o un'omissione di natura amministrativa abbiano violato il diritto ambientale e tende ad uniformare i termini e le modalità di questo tipo di intervento negli Stati membri.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE ha ripetutamente sostenuto che lo strumento più adatto di cui l'Unione europea dispone per attuare la legislazione ambientale è il coinvolgimento dei cittadini nella politica di sviluppo sostenibile; questo coinvolgimento deve avvenire in base alla trasparenza e al controllo del rispetto delle norme in materia. L'accesso all'informazione, la partecipazione all'elaborazione dei piani in materia ambientale e il successivo accesso alla giustizia sono gli strumenti che consentiranno non solo un maggiore rispetto delle disposizioni giuridiche, ma anche una maggiore sensibilizzazione ed una migliore educazione dei cittadini in materia di conservazione e utilizzo delle risorse naturali esistenti.

3.2

In questa nuova fase che vede ormai prossima l'adesione di 10 nuovi paesi, è bene che la Commissione proponga queste nuove disposizioni di armonizzazione, ma occorre anche insistere sulla ratifica della convenzione di Århus da parte di tutti i paesi europei che l'hanno sottoscritta. Inoltre, essa dovrebbe essere ratificata anche dalla Comunità europea, che così amplierebbe gli strumenti a sua disposizione per tutelare l'ambiente a livello mondiale, in particolare in sede di convenzioni internazionali.

3.3

Nonostante il carattere positivo delle norme proposte, il CESE ritiene opportuno evidenziare e precisare taluni aspetti di grande importanza ai fini del pieno conseguimento dell'obiettivo perseguito.

3.3.1

Le definizioni utilizzate nella proposta e tratte dalla convenzione di Århus presentano alcune variazioni rispetto a quelle originali; in tale contesto si segnala quanto segue:

3.3.1.1

il concetto di soggetto abilitato, presente in ambedue le proposte, non è contemplato dalla convenzione di Århus, che parla esclusivamente di «pubblico interessato» e riconosce quindi la «condizione di interessato» a tutti gli organismi che operano a favore della tutela ambientale, senza pretendere che detta protezione sia il loro «unico obiettivo»; a questi organismi viene richiesto soltanto il rispetto delle norme in materia di associazionismo del rispettivo Stato membro. È chiaro comunque che altre organizzazioni senza fini di lucro, quali sindacati, organizzazioni socioprofessionali, dell'economia sociale, dei consumatori, ecc., stanno realizzando un'importante opera a favore dell'ambiente a livello locale, regionale, nazionale ed europeo.

3.3.1.2

Nella direttiva si parla di «autorità pubblica», intendendo i diversi settori della pubblica amministrazione ad esclusione delle istituzioni che agiscono nell'esercizio del potere giudiziario o legislativo.

3.3.1.3

Un aspetto importante da evidenziare è quello dell'uso di concetti diversi, dovuto ad un problema linguistico, per indicare i settori del diritto ambientale. Il CESE raccomanda di verificare dal punto di vista linguistico alcuni titoli molto importanti, come per esempio quello dell'articolo 2, lettera g, punto v). Bisognerebbe garantire l'identicità concettuale di tutti i titoli utilizzati, necessaria per armonizzare ad un livello minimo la tutela dell'ambiente.

3.3.2

Ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia. Sono limitati soltanto ai ricorsi di natura amministrativa o civile in materia ambientale all'interno dell'Unione europea, mentre restano espressamente esclusi i procedimenti penali (5). Questa situazione limita le possibilità di ricorso nella maggioranza degli Stati membri ove esistono norme penali applicabili ai reati contro l'ambiente. D'altro canto, all'articolo 9, paragrafo 3, che disciplina il ricorso contro atti od omissioni commesse dai privati o dalle autorità in violazione delle norme del diritto ambientale, la convenzione di Århus fa unicamente riferimento alle limitazioni stabilite nelle norme oggetto di violazione. In tal modo essa adegua le possibilità di ricorso alle materie oggetto di ricorso, cercando una giusta misura fra mancato rispetto e sanzione. Il CESE ritiene che l'attuale versione della proposta di direttiva potrebbe finire per limitare le possibilità di ricorso in materia ambientale rispetto a quelle previste dalle legislazioni nazionali.

3.3.3

Ricorsi in materia ambientale. Le proposte in esame contengono una formula generica attraverso la quale si affida agli Stati membri l'istituzione di procedure di ricorso «adeguate ed efficaci, che siano obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose». Secondo il Comitato, benché il principio di sussidiarietà rinvii agli ordinamenti nazionali la disciplina dei ricorsi giurisdizionali, sarebbe opportuno riprendere la formulazione di cui all'articolo 9, paragrafo 5, della convenzione di Århus, che obbliga chiaramente le parti a informare il pubblico della possibilità di proporre ricorso e a «istituire meccanismi di assistenza» volti ad eliminare o ridurre gli ostacoli finanziari o di altro genere che limitano l'accesso alla giustizia in materia ambientale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Con la proposta di direttiva si porta a termine l'adeguamento della convenzione di Århus con la legislazione degli Stati membri. Viene istituito un quadro comune di norme procedurali applicabili a tutti gli Stati membri e si garantisce al tempo stesso un'applicazione uniforme della legislazione ambientale, posto che il carattere transfrontaliero di molti problemi impone interventi a livello comunitario.

4.2

Il contenuto della proposta è compatibile con le norme comunitarie in materia di accesso contemplate in altri testi. Ciò nondimeno, all'articolo 1 andrebbe specificato che si tratta di norme minime, in modo da evitare un eventuale pregiudizio per gli Stati membri dotati di una legislazione ambientale più estesa che ammette la possibilità di ricorso per il pubblico e la responsabilità in campo penale.

4.3

Le definizioni di cui all'articolo 2 andrebbero modificate in alcuni punti:

lettera c) si dovrebbe specificare che il soggetto abilitato deve includere «fra» i propri obiettivi la tutela dell'ambiente;

lettera f) fra le procedure di ricorso in materia ambientale andrebbero inserite anche quelle di natura penale;

lettera g) per quanto riguarda i settori del «diritto ambientale», occorre armonizzare i concetti in modo da farli coincidere con quelli del regolamento (cfr. ad esempio il punto v);

paragrafo 2 questo paragrafo andrebbe redatto in modo da enunciare norme minime che il recepimento negli ordinamenti nazionali non può in nessun caso ribassare.

4.4

Gli articoli 5 e 6, che definiscono la legittimazione ad agire dei soggetti abilitati e la richiesta di riesame interno, contengono due aspetti importanti: da un lato la limitazione geografica della capacità di promuovere un ricorso giurisdizionale ambientale e, dall'altro, la dimensione transfrontaliera della richiesta di riesame interno, con la possibilità di presentare detta richiesta in un altro Stato membro qualora sussistano le condizioni di cui all'articolo 5, paragrafo 1. Tutto ciò appare contraddittorio in quanto, se si limita la possibilità di ricorrere in giustizia allo specifico ambito geografico di azione dello Stato membro, questa limitazione va mantenuta anche per i riesami interni. In ambedue i casi, il CESE ritiene più giusto, rispetto ai contenuti della convenzione di Århus, non limitare l'accesso alla giustizia in nessuna delle sue istanze e mantenere le condizioni processuali nazionali stabilite in materia.

4.4.1

Per quanto riguarda i termini fissati all'articolo 6, sarebbe opportuno calcolarli a decorrere dalla pubblicazione e non dall'adozione dell'atto amministrativo, data l'impossibilità di venirne a conoscenza in assenza di pubblicazione.

4.5

Per quanto concerne i criteri per il riconoscimento dei soggetti abilitati, il CESE ribadisce l'opportunità di estendere il requisito di cui all'articolo 8, lettera a) alle persone giuridiche che abbiano «fra» i propri obiettivi la tutela e il miglioramento dell'ambiente.

4.6

Infine, e relativamente alle disposizioni sui ricorsi in materia ambientale di cui all'articolo 10, il CESE ritiene più completo il testo dell'articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Århus. Ostacoli di tipo economico e difficoltà ad ottenere consulenza giuridica possono infatti limitare l'accesso alla giustizia degli organismi dotati di risorse limitate.

4.7

L'articolo 8, lettera d) della proposta di direttiva prevede che per essere riconosciuta quale soggetto abilitato, un'organizzazione deve aver fatto certificare il proprio bilancio da un revisore ufficiale. Conformemente al principio di sussidiarietà, dovrebbero essere gli Stati membri a controllare il rispetto dei requisiti di contabilità imposti alle varie organizzazioni.

4.8

A giudizio del Comitato, il costo della procedura di ricorso per ottenere dallo Stato la tutela dei diritti del cittadino dovrebbe essere limitato in funzione degli interessi in causa e del sostegno finanziario, secondo quanto stabilito dalla convenzione di Århus.

Bruxelles, 29 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  GU L 145 del 31.5.2001, pag. 43. Inoltre la Commissione ha approvato una comunicazione dal titolo Verso una cultura di maggiore consultazione e dialogo — Principi generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti interessate ad opera della Commissione COM(2002) 704 def. dell'11 dicembre 2002.

(2)  GU L 41 del 14.2.2003, pag. 26.

(3)  GU L 156 del 25.6.2003, pag. 17.

(4)  La convenzione è stata ratificata dai seguenti paesi: Portogallo, Belgio, Francia, Italia e Danimarca.

(5)  Articolo 2, lettera f), Proposta di direttiva.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 117/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le ripercussioni della politica commerciale sulle trasformazioni industriali, in particolare nel settore siderurgico

(2004/C 117/15)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema Le ripercussioni della politica commerciale sulle trasformazioni industriali, in particolare nel settore siderurgico.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali è stata incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 aprile 2004, nel corso della 408a sessione plenaria, ha deciso di nominare LAGERHOLM relatore generale e ha adottato il seguente parere con 46 voti favorevoli, 16 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Introduzione - Finalità e ambito del parere - Definizioni

1.1

Il settore siderurgico, con il suo processo di costante trasformazione e l'impatto su questo esercitato dalla politica commerciale, si presta per uno studio di caso estremamente prezioso per altri settori industriali.

1.2

Ai fini del presente parere d'iniziativa, per «settore siderurgico» s'intende il complesso di attività industriali connesse alla produzione e alla distribuzione dell'acciaio, ma si tiene conto anche della loro importante funzione per le attività «consumatrici» di acciaio in Europa. Di conseguenza il presente parere e le raccomandazioni ivi formulate interessano un ambito di attività ben più vasto del semplice settore della produzione di acciaio.

1.3

Nel presente parere, per «trasformazioni industriali» s'intende quel processo, normale e costante, con cui un settore industriale risponde in maniera proattiva all'evolvere del proprio contesto economico per restare competitivo e creare opportunità di crescita. Le modifiche alla struttura del settore sono quindi viste come la conseguenza di questi sviluppi, e non già come un obiettivo di tale processo. Con «ristrutturazioni» s'intende una forma particolare di trasformazione industriale che di norma costituisce un processo di adeguamento ad hoc (spesso ineludibile) al contesto economico per riconquistare la competitività, che comporta interruzioni nell'attività economica. Le ristrutturazioni hanno come obiettivo fondamentale una trasformazione radicale delle strutture nel settore industriale interessato.

1.4

Chiaramente, le trasformazioni industriali intervengono in larga misura sotto la spinta di modifiche strutturali nell'ambiente economico globale, e in particolare sotto la pressione dell'evolvere dinamico delle esigenze dei mercati. Le trasformazioni industriali risentono anche in misura notevole, e talvolta anche decisiva, di politiche interne (al livello degli Stati membri e/o dell'UE) di ogni tipo: giuridico, monetario, ambientale, energetico, senza dimenticare poi quello sociale. Ciò è evidenziato con grande chiarezza dall'evoluzione che in questi ultimi 20 anni ha caratterizzato il settore siderurgico dell'Unione europea. Il presente parere verte però unicamente sulla politica commerciale d'UE, che è per sua stessa natura un elemento esterno e costituisce la cornice politica in cui s'inquadrano i flussi commerciali fra l'UE e altri paesi o regioni economiche del mondo.

1.5

Va quindi tenuto presente che il presente parere non si propone d'illustrare le trasformazioni industriali subite dal settore siderurgico dell'UE, comprese tutte le politiche (interne) summenzionate, bensì soltanto le interdipendenze fra il settore siderurgico e la politica commerciale (esterna).

1.6

In proposito va notato che il processo di allargamento dell'UE non rappresenta più un problema di politica commerciale dell'UE, come lo è stato nelle fasi iniziali del processo di adesione con i dieci paesi candidati. Entro il maggio 2004 esisterà un unico mercato comune allargato, per cui qualsiasi altra politica dell'UE intesa a coadiuvare le trasformazioni industriali, e soprattutto la ristrutturazione del settore siderurgico nei paesi di nuova adesione (tuttora necessaria), rientrerà nel quadro delle politiche interne dell'UE.

2.   Rilevanza della politica commerciale per il settore siderurgico

2.1

Le imprese si trovano a competere in un'economia sempre più globalizzata e le condizioni che incontrano sul mercato mondiale influiscono in maniera determinante sulla loro competitività e sulle loro opportunità di crescita. Queste condizioni dipendono in misura notevole dal complesso di regole che i responsabili politici hanno creato per il mercato: ad esempio, le regole che governano la concorrenza e il mercato interno, le regole cui sono soggetti gli scambi internazionali e le regole e accordi specifici applicati a singoli comparti delle attività commerciali. Questo complesso di regole è il frutto delle politiche commerciali a livello sia nazionale che internazionale. Idealmente esso dovrebbe stimolare e agevolare un processo permanente di trasformazioni industriali che rifletta la dinamica dell'economia globale. Non dovrebbe quindi influire negativamente sulle trasformazioni industriali od ostacolare una concorrenza libera e leale a livello internazionale. Infatti, la politica commerciale dovrebbe anzitutto servire a garantire un sistema aperto degli scambi internazionali e a realizzare concretamente il «fair play» in condizioni di concorrenza eque.

2.2

In proposito va rilevato che la politica commerciale è un aspetto estremamente importante del quadro politico dell'Unione europea poiché quest'ultima ha un'economia orientata all'esportazione e mette a segno notevoli eccedenze della bilancia commerciale. La politica commerciale imprime quindi un forte impulso alla crescita economica. L'esistenza di un commissario specificamente responsabile e della DG Commercio, nell'ambito della Commissione, rivelano appieno l'interesse vitale della Comunità nella gestione della politica commerciale. La Strategia di Lisbona, che mira a sostenere la competitività dell'economia europea, punta senz'alcun dubbio, e come prima cosa, a promuovere parametri interni; ciò non toglie, però, che il successo su questo fronte si manifesterà per lo più solo sui mercati globali, e che, beninteso, ciò sarà possibile unicamente portando avanti una politica commerciale adeguata e altrettanto efficace.

2.3

Nel settore siderurgico la politica commerciale ha un peso considerevole. Insieme al petrolio, l'acciaio è il prodotto industriale oggetto di maggiori scambi a livello internazionale. Attualmente circa un terzo della produzione siderurgica complessiva forma oggetto di scambi internazionali: quasi il doppio rispetto a trent'anni fa. Le condizioni che governano tali scambi costituiscono pertanto uno dei fattori che maggiormente incidono sulla competitività di questo settore. È una situazione analoga a quella che interessa sia le numerosissime industrie consumatrici di acciaio, sia i loro prodotti: il settore automobilistico, la cantieristica e l'industria meccanica. La politica commerciale si ripercuote direttamente sul modo in cui il settore siderurgico e i suoi diversi comparti reagiscono alla concorrenza sui rispettivi mercati interni e sulle modalità di accesso ai mercati dei paesi terzi. La politica commerciale contribuisce a plasmare il complesso di regole che governa gli scambi mondiali e la misura in cui essi possono adeguarsi alle trasformazioni strutturali nel clima economico in cui intervengono.

2.4

L'importanza del commercio internazionale dell'acciaio è evidenziata dal fatto che oltre il 40 % delle attuali vertenze in sede OMC riguardano l'acciaio. Questa percentuale rispecchia i problemi costanti del settore imputabili all'esistenza di capacità produttive inefficienti, spesso finanziate da aiuti di Stato, che producono effetti distorsivi sui flussi commerciali. Essa rivela altresì l'esistenza di carenze sostanziali nell'applicazione, da parte di taluni membri dell'OMC, di accordi in vigore che regolano il commercio internazionale.

2.5

Infine, è importante ricordare che il settore siderurgico dell'UE costituisce una componente fondamentale dell'economia europea e contribuisce in misura rilevante allo sviluppo economico. L'acciaio è in effetti cruciale e rimane il materiale più importante utilizzato nelle attività industriali, con un volume globale di mercato che si stima oltrepassi i 350 miliardi di EUR (ossia dieci volte superiore alla quota di mercato di qualsiasi altro materiale usato nell'industria), ed è essenziale per lo sviluppo delle infrastrutture e per la maggior parte dei vari settori manifatturieri. Per essere molto efficiente, la produzione siderurgica dell'UE deve soddisfare qualsiasi eventuale domanda da parte degli importanti settori che utilizzano l'acciaio. A tal fine deve essere notevolmente assecondata da sistemi altrettanto efficienti di distribuzione dell'acciaio, i quali organizzano circa i due terzi dell'offerta sul mercato e prestano servizi crescenti alle attività che consumano acciaio. Senza la propria produzione siderurgica altamente competitiva la Comunità non potrebbe avvalersi delle proprie risorse e del proprio know-how per promuovere ulteriormente, fra i leader mondiali, la competitività delle attività produttive consumatrici di acciaio. Il mantenimento di un'industria siderurgica fiorente dovrebbe pertanto costituire un obiettivo politico di primo piano.

3.   Le trasformazioni industriali nella produzione siderurgica e nella politica commerciale dell'UE

3.1

Sin dall'inizio degli anni '80 il settore siderurgico dell'UE a 15 ha proceduto a ristrutturazioni di vasta portata: tagli della capacità produttiva per il mercato pari a 50 milioni di tonnellate, chiusura di oltre il 50 % degli impianti produttivi e riduzione degli addetti da 900 000 a 250 000 unità. L'UE a 15 è il secondo produttore mondiale di acciaio dopo la Cina, con una produzione annua di 160 milioni di tonnellate di acciaio grezzo, cifra che corrisponde al 20 % circa della produzione siderurgica mondiale. Il fatturato si aggira intorno ai 80 miliardi di EUR.

3.2

Attualmente il settore siderurgico europeo (UE a 15) è uno dei migliori al mondo in termini di competenze e abilità produttive degli addetti, efficienza degli impianti, qualità dei prodotti e capacità innovativa. È caratterizzato dal coesistere di alcune società veramente globali di grandissime dimensioni, di alcune imprese specializzate più piccole e di numerosi distributori e centri di servizi assai efficienti. Il doloroso processo di ristrutturazione degli anni '80 e della metà degli anni '90, seguito da un processo di privatizzazione e di consolidamento, ha dato vita ad un settore produttivo moderno e competitivo che potrebbe nutrire a giusto titolo fiducia nel futuro e nella propria capacità di vincere la sfida dell'evoluzione costante in un contesto di scambi liberi e equi.

3.3

Anzi, se operasse in un mercato veramente retto da regole di concorrenza libera e leale, il settore siderurgico dell'UE a 15 potrebbe essere ancor più competitivo di adesso. Dato però che la competitività dei produttori siderurgici dell'Unione è seriamente minacciata da misure protezionistiche e da pratiche di paesi terzi che provocano distorsioni sul mercato, ad esempio le misure di salvaguardia S. 201 decise dal governo statunitense, le quali - come statuito dai panel dell'OMC - contravvengono manifestamente alle regole della stessa Organizzazione mondiale del commercio. Inoltre, l'esistenza, in tutto il mondo, di capacità produttive eccedentarie continua a destabilizzare l'equilibrio fra l'offerta e la domanda, e quindi anche i prezzi dell'acciaio, specie quando le condizioni del mercato globale non sono soddisfacenti.

3.4

La politica commerciale ha avuto un ruolo chiave nella vasta opera di ristrutturazione intervenuta in Europa negli anni '80 e '90. A seguito dell'aumento delle importazioni dai paesi terzi, la Commissione ha varato i suoi «provvedimenti esterni» (il cosiddetto volet externe). Si è trattato di una serie di provvedimenti di salvaguardia esterna, consistenti essenzialmente in accordi bilaterali con i principali paesi esportatori di acciaio affinché frenassero le loro forniture verso la Comunità, e destinati a integrare le misure interne adottate per controllare gli aiuti di Stato, coadiuvare le ristrutturazioni e introdurre misure temporanee di regolazione del mercato. I provvedimenti sono rimasti in vigore durante l'intero periodo di crisi e hanno mantenuto le importazioni ad un livello pari al 10 % dei «consumi ufficiali».

3.5

L'industria siderurgica dei paesi che entreranno a far parte dell'Unione europea il 1omaggio 2004 è tuttora in una fase di mutamento strutturale. I fattori chiave di questo processo di trasformazione sono: tagli delle capacità eccedentarie non sostenibili, messa a norma delle tecnologie dell'industria siderurgica per adeguarle agli sviluppi più recenti, valorizzazione delle sinergie economiche e di mercato intensificando l'impegno e orientando piuttosto la produzione al mercato e l'imprenditorialità alle esigenze dei clienti. L'UE a 15 ha sostenuto questo processo stipulando una serie di accordi bilaterali con i paesi candidati negli anni precedenti la loro adesione e applicando le regole dell'UE basate sugli strumenti CECA. Queste regole riconoscevano alla Commissione europea perfino il diritto di controllo ed autorizzazione sui piani nazionali di ristrutturazione.

3.6

Ne consegue che la produzione siderurgica dell'Unione europea allargata si presenterà diversamente sul mercato mondiale. Da un lato, l'UE vedrà la sua posizione rafforzata dall'adesione di questi paesi e tornerà ad essere un esportatore netto di acciaio con un maggiore peso sul mercato. D'altro lato, le strutture della sua produzione siderurgica s'indeboliranno per il semplice fatto che le imprese siderurgiche dei nuovi Stati membri sono ancora in fase di ristrutturazione. Le politiche commerciali dovranno tener conto di tali circostanze, pur sempre nel rispetto delle regole.

4.   Future sfide per la politica commerciale e le trasformazioni industriali

Attualmente la produzione siderurgica europea sembra estremamente vulnerabile dinanzi alle politiche e pratiche che contravvengono alle regole in campo commerciale. Il mercato siderurgico europeo è il più aperto al mondo. A seguito del cosiddetto «zero for zero agreement» sull'acciaio nel quadro dell'Uruguay Round, nel 2004 sono ormai soppressi i dazi doganali sulle importazioni di prodotti siderurgici nell'UE. In questi ultimi anni le importazioni di acciaio in Europa sono aumentate ad un ritmo sostenuto, passando da 14,5 milioni di tonnellate nel 1997 a 24,6 milioni di tonnellate nel 2002 (aumento del 70 %), per cui nel 1998 l'UE, che era stata un esportatore netto per decenni, è diventata un importatore netto di acciaio (nel 2003, però, le esportazioni hanno superato di poco le importazioni).

La situazione che si va prospettando lascia intravvedere varie sfide legate alle interconnessioni fra le politiche commerciali e i mutamenti costanti che caratterizzeranno il settore dell'acciaio nei prossimi anni:

i paesi che in precedenza appartenevano alla CSI, Russia, Ucraina e Kazakistan, i quali non fanno parte dell'OMC, costituiscono una regione per la quale la politica commerciale dell'UE riserva ancora misure specifiche al settore siderurgico, con accordi bilaterali che governano gli scambi dei suoi prodotti con questi paesi. Questi accordi rappresentano una risposta matura e pragmatica alle sfide poste da tali economie in transizione: consentire uno sviluppo controllato degli scambi ed evitarne sia impennate, sia contromisure antidumping durante un periodo in cui tali paesi stiano adattando le capacità delle industrie del settore e sviluppando i propri consumi interni. La possibile adesione della Russia all'OMC costituisce un altro fattore assai importante per l'industria siderurgica dell'UE.

Rispetto agli altri settori industriali, quello dell'acciaio presenta un elevato grado di frammentazione a livello mondiale. In effetti, il processo di consolidamento è intervenuto solo in alcune regioni, come l'UE, e si può prevedere che nei prossimi anni le imprese siderurgiche tenderanno sempre più a concentrazioni e alleanze fra regioni diverse a seguito del processo di globalizzazione e consolidamento sui mercati dei loro prodotti industriali. Gli accordi commerciali multilaterali dovrebbero tener conto di tale dinamica eliminando gli ostacoli agli investimenti esteri e agli scambi all'interno delle imprese.

In un'economia globale non esiste più il concetto di «mercato nazionale». Numerose imprese di produzione e distribuzione dei prodotti siderurgici operano già in regioni diverse e vi trattano i clienti come se fossero fornitori nazionali. Le future politiche commerciali dovranno non solo tener conto di questa spinta verso l'internazionalizzazione, ma anche prendere in considerazione altri sviluppi in atto nel settore, dato che nuove zone produttrici di acciaio stanno cercando di posizionarsi sul mercato mondiale. Molte imprese siderurgiche di paesi in via di sviluppo sono già moderne e competitive, per cui il trattamento preferenziale loro riservato nel sistema degli scambi mondiali non è più giustificabile.

5.   La posizione del CESE su problemi di fondo della politica commerciale nel settore siderurgico

Data la sua situazione attuale e le sfide che si profilano per l'avvenire, il settore siderurgico dell'Unione europea, per poter reagire adeguatamente alla dinamica del contesto economico in cui opera, dovrà ottenere che i mercati dell'acciaio a livello mondiale offrano le medesime condizioni di apertura e di equità di cui godono le importazioni dirette da paesi terzi verso l'UE. Malgrado l'esito negativo della conferenza tenuta dall'OMC a Cancun nel settembre 2003, la tornata di negoziati svoltasi a Doha (Doha Round) offre ancora un'opportunità per compiere progressi significativi verso l'accesso illimitato ai mercati fra i membri dell'OMC. Essa consente altresì di discutere come migliorare le regole vigenti, e anche di perfezionare e rafforzare le discipline esistenti, specie in materia di antidumping. Più in generale, se si riuscisse ad avviare veramente i negoziati sui cosiddetti temi di Singapore (ad es. agevolazioni degli scambi, commercio e concorrenza) si avrebbero effettivi vantaggi per il settore dell'acciaio in Europa, anzi nel mondo.

Pur non escludendo completamente la possibilità di migliorare l'accesso ai mercati mediante un approccio bilaterale o regionale con le aree o i paesi che presentano maggiore interesse commerciale per l'Unione europea, la soluzione più vantaggiosa per il settore siderurgico dell'UE è quella di operare in un sistema commerciale multilaterale (OMC). Ciò dovrebbe avvenire in base a regole recepite in maniera coerente da tutti i paesi nelle rispettive legislazioni nazionali e affiancate da strumenti applicati da tutti i paesi in maniera obiettiva, senza interferenze politiche e sulla medesima base. Alla luce delle politiche e pratiche commerciali attuate da taluni paesi in questi ultimi anni, l'UE dovrebbe impegnarsi maggiormente sui punti che seguono:

priorità al miglioramento dell'accesso al mercato e alla rimozione degli ostacoli agli scambi,

regole più severe per garantire scambi equi: antidumping, sovvenzioni, salvaguardie,

ricorso mirato e responsabile agli strumenti dell'OMC: rimedi solleciti, ben ponderati e proporzionati solo per importazioni sleali,

anzitutto: fine del ricorso abusivo agli strumenti commerciali a scopi nazionalistici e protezionistici, valutando piuttosto i problemi commerciali in funzione di considerazioni economiche e tecniche anziché politiche,

le forti differenze delle norme sociali e ambientali fra le varie parti del mondo influiscono sui flussi degli scambi in numerosi settori, e quindi non esclusivamente sul commercio dei prodotti siderurgici. Queste disparità fra le aree economiche sotto il profilo delle garanzie dei diritti sociali fondamentali e della salvaguardia dell'ambiente provocano distorsioni economiche nella concorrenza a livello mondiale e devono essere considerate come un problema che interessa non soltanto i settori industriali, ma anche i responsabili di tutte le politiche, e non esclusivamente di quella commerciale.

Per meglio valutare gli elementi più importanti di questi obiettivi di fondo si possono prendere in considerazione i seguenti aspetti:

5.1   Accesso al mercato

5.1.1

Come si è accennato in precedenza, il mercato europeo dell'acciaio è il più aperto del mondo e la produzione siderurgica europea è particolarmente vulnerabile nei confronti di politiche e pratiche che violano le regole degli scambi. Di conseguenza, il settore europeo dell'acciaio deve godere della medesima apertura sugli altri mercati mondiali. Gli strumenti di politica commerciale a livello sia europeo che multilaterale devono dunque essere mobilitati costantemente allo scopo di rimuovere gli ostacoli all'accesso ai mercati dei paesi terzi offrendo al tempo stesso rimedi efficaci contro le pratiche commerciali sleali di paesi terzi che accedono al mercato siderurgico dell'UE. È interesse legittimo dell'industria siderurgica utilizzare in maniera efficace gli strumenti di politica commerciale.

5.1.2

L'obiettivo prioritario dell'UE è ottenere che il Doha Round offra benefici reali sul fronte dell'accesso al mercato grazie a riduzioni tariffarie affiancate dalla contemporanea eliminazione di ostacoli non tariffari. Per quanto concerne il trattamento speciale differenziato (SDT) a favore dei paesi in via di sviluppo, questo dovrebbe essere applicato solo caso per caso e distinguere fra paesi e settori a seconda del loro livello di competitività. Di per sé lo SDT non dovrebbe impedire l'eliminazione delle tariffe da parte dei paesi in via di sviluppo che vantano un settore siderurgico molto competitivo.

5.1.3

Miglioramenti reali in tema di accesso al mercato potranno essere realizzati solo se le riduzioni tariffarie andranno di pari passo con l'eliminazione degli ostacoli non tariffari. Inoltre, l'applicazione delle regole dell'OMC attualmente in vigore può ostacolare l'accesso al mercato. Il Doha Round offre ai governi l'opportunità di chiarire le attuali regole e di armonizzarne l'applicazione sulla base delle migliori pratiche.

5.2   Antidumping

5.2.1

Se, da un lato, dei provvedimenti antidumping permangono necessari per difendere l'industria europea dalle pratiche commerciali sleali, d'altro lato, gli strumenti antidumping devono essere applicati in maniera imparziale e non discriminatoria, in modo che le regole siano valide per tutti indiscriminatamente e senza eccezioni (tranne quelle espressamente previste dall'OMC). A tal fine occorre portare avanti scambi di vedute intesi a realizzare un'applicazione maggiormente armonizzata dell'accordo antidumping in vigore, di preferenza per avvicinarla alle regole antidumping dell'UE.

5.2.2

È importante che le iniziative per un'applicazione armonizzata e per il rafforzamento dell'accordo antidumping si adoperino soprattutto per accrescere l'efficacia e l'efficienza di tale strumento; per menzionare solo gli obiettivi più importanti: calendari equi e spediti, determinazione rapida e provvisoria del danno, adozione obbligatoria della cosiddetta lesser duty rule (regola in base alla quale il dazio deve essere pari al margine più basso tra il dumping e il danno).

5.2.3

Qualora non sia possibile realizzare l'obiettivo principale, ossia adeguare a livello mondiale le regole antidumping agli standard europei, l'UE dovrebbe ottimizzare la sua applicazione delle regole in materia in modo da conseguire maggiore efficacia, efficienza, trasparenza ed obiettività. Occorre mettere a disposizione del settore siderurgico europeo strumenti atti a contrastare validamente le importazioni provenienti da paesi terzi che beneficino di condizioni di dumping o siano favorite da sovvenzioni. La legislazione dell'UE sulle procedure antidumping e sulle sovvenzioni ha un'impronta ben più liberale delle regole decise in sede OMC o in altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti. Ciò vale ad esempio per la clausola sull'«interesse comunitario» e per la lesser duty rule. Inoltre, sul fronte dell'applicazione pratica il sistema dell'UE presenta punti deboli rispetto a quelli di altri paesi: in effetti la Commissione europea rifiuta di avviare una procedura quando incomba il rischio di un danno e chiede invece la prova di un danno già intervenuto. Per di più, la Commissione provoca ulteriori ritardi applicando i termini massimi consentiti dalle regole UE per le indagini. Infine, nell'Unione europea occorre un monitoraggio più rapido ed efficace dei flussi commerciali. Queste sono tutte carenze che andranno corrette.

5.3   Sovvenzioni

5.3.1

Il problema delle sovvenzioni è in discussione sia nella tornata di negoziati a Doha sia nell'ambito dell'OCSE. Il principale obiettivo di quest'ultima è di stipulare un accordo specifico sugli aiuti al settore siderurgico (SSA). Gli imminenti dibattiti in sede OCSE sono estremamente importanti. Un accordo internazionale che preveda un divieto generalizzato di qualsiasi tipo di aiuto (diretto o indiretto) alle imprese siderurgiche e un numero limitatissimo di eccezioni avrebbe un impatto non indifferente sulle relazioni commerciali tra i vari paesi. In effetti, l'accordo sulle sovvenzioni dovrebbe affrontare anzitutto le cause che sono all'origine delle vertenze commerciali relative al settore siderurgico: aiuti alle eccedenze e capacità produttive inefficienti. Queste capacità inefficienti acuiscono i problemi del settore nel contesto degli scambi, imponendo una produzione superiore alle capacità di assorbimento dei mercati internazionali, e indubbiamente dei mercati più aperti, come l'UE.

5.3.2

Un nuovo accordo internazionale dovrebbe essere imperniato sul divieto di qualsiasi tipo di aiuto specifico, salvo un numero ridotto di eccezioni (quelle previste dal Codice europeo degli aiuti ai prodotti siderurgici) di cui le più importanti riguarderebbero gli aiuti alle cessazioni definitive di attività, compresi gli aiuti di Stato concessi per attutire l'impatto sociale. Dovrebbero essere consentite tutte le sovvenzioni generiche, ad eccezione di quelle che contribuiscono alla creazione di nuove capacità o al mantenimento di capacità antieconomiche. Il trattamento speciale e differenziato (TSD) può essere contemplato per i paesi in via di sviluppo e per i settori siderurgici per i quali è indispensabile una ristrutturazione. Le deroghe temporanee concesse per questi paesi e settori dovrebbero essere condizionate alla capacità di sopravvivenza a lungo termine dei beneficiari e a una riduzione della capacità proporzionata all'importo delle sovvenzioni ricevute.

5.3.3

I negoziati dovrebbero inoltre proporsi l'obiettivo di regole più efficaci per le notifiche (preliminari), in modo da rafforzare un approccio preventivo e introdurre un sistema di sanzioni dissuasivo, che preveda anche sanzioni automatiche in caso di violazione dell'obbligo di notifica preliminare.

5.3.4

Tuttavia, visto il numero di partecipanti e le loro posizioni sinora fortemente divergenti, vi sono fondati motivi di temere che i negoziati in sede OCSE si concludano con un accordo di facciata, ossia un compromesso che non apporterebbe alcun miglioramento al sistema attuale. L'Unione europea non dovrebbe appoggiare un accordo del genere.

5.4   Politica commerciale, trasformazioni industriali e dimensione sociale

5.4.1

La ristrutturazione del settore europeo dell'acciaio durante gli anni '80 e '90 del secolo scorso ha avuto conseguenze drammatiche per l'occupazione. Gli strumenti di politica commerciale utilizzati dalla Commissione europea durante tale periodo furono utilizzati per assecondare il processo di ristrutturazione. Allora come oggi le politiche sociali e a favore dell'occupazione devono assicurare che le iniziative intese a promuovere la competitività e la crescita s'inquadrino in un'attuazione equilibrata delle politiche commerciali nel contesto dei processi di trasformazione industriale. Tali politiche, migliorando costantemente le qualifiche della manodopera e la qualità del lavoro, contribuiscono ad agevolare notevolmente il processo di trasformazione industriale, e ciò a vantaggio di tutte le parti interessate.

5.4.2

Inoltre, le crescenti istanze affinché le imprese si assumano le loro responsabilità sociali possono da ultimo contribuire positivamente alla competitività del settore siderurgico europeo nel quadro del modello sociale ed economico europeo.

5.4.3

Il modo migliore per curare gli interessi dei lavoratori è disporre di settori produttivi robusti, che non abbiano bisogno di aiuti di Stato per tener testa ad una concorrenza agguerrita ma leale. Solo la libertà degli scambi in condizioni di concorrenza leali può permettere di conseguire obiettivi come posti di lavoro stabili, condizioni di lavoro soddisfacenti e buone prospettive per l'avvenire. Infine, il settore siderurgico comprende attualmente la necessità di gestire il proprio processo di trasformazioni industriali in modo da prevedere in anticipo eventuali sviluppi evitando deterioramenti bruschi e danni strutturali che potrebbero avere conseguenze sociali inaccettabili.

6.   Conclusioni del CESE

Alla luce di quanto esposto nel presente parere d'iniziativa sulle ripercussioni della politica commerciale sulle trasformazioni industriali, in particolare nel settore siderurgico, il Comitato conclude quanto segue:

6.1

il settore siderurgico dell'UE riveste un'importanza vitale e strategica per l'Unione europea perché presuppone un know-how tecnologico competitivo e perché è cruciale per lo sviluppo delle infrastrutture e della maggior parte dei settori manifatturieri della stessa Unione.

6.2

Le trasformazioni industriali nel settore siderurgico dell'UE sono state effettivamente favorite dall'uso degli strumenti previsti dalla CECA nei processi di ristrutturazione, e soprattutto del dialogo sociale che ne è parte integrante. Pur non avendo potuto evitare le profonde conseguenze determinate dalla ristrutturazione sul piano occupazionale, ciò ha consentito di attenuarle sensibilmente per mezzo di svariate misure sociali (a differenza di quanto è stato possibile fare per altri settori). In questi processi hanno svolto un ruolo cruciale sia la politica commerciale, oggetto del presente parere, sia i provvedimenti di politica commerciale adottati a sostegno di altri strumenti. Il settore siderurgico, quindi, si presta per uno studio di caso circa le implicazioni delle trasformazioni industriali e le ripercussioni della politica commerciale sul potenziale successo della gestione del cambiamento e può offrire utili insegnamenti ad altri settori industriali.

6.3

La politica commerciale è una componente essenziale del complesso di regole del mercato predisposto dai responsabili politici e deve assicurare quelle condizioni di concorrenza eque e quel fair play da cui dipendono in larga misura la competitività e le future opportunità di crescita del settore interessato.

6.4

Il settore siderurgico dell'UE è caratterizzato da notevoli interdipendenze fra, da un lato, le trasformazioni industriali destinate a salvaguardare ciò che già esiste, realizzare ciò che manca o recuperare la competitività perduta e, d'altro lato, le strategie di politica commerciale destinate ad assicurare la necessaria riuscita della gestione dei cambiamenti sui mercati sia nazionali che internazionali. Il Comitato formula quindi le seguenti raccomandazioni circa la politica commerciale auspicabile per favorire i futuri mutamenti necessari nei settori industriali:

in quanto economia orientata all'esportazione, l'Unione europea dovrebbe proseguire una politica generale di libero accesso al mercato, però nel rispetto di regole comuni che garantiscano la lealtà degli scambi,

l'Unione europea dovrebbe avviare e promuovere attivamente la definizione di regolamentazioni multilaterali sugli scambi, come l'accordo previsto sugli aiuti al settore siderurgico, senza compromettere però gli standard elevati di cui l'UE gode attualmente,

l'Unione europea dovrebbe continuare a concludere accordi bilaterali con importanti partner commerciali nella misura in cui le regolamentazioni multilaterali non tengano ancora conto degli interessi della Comunità,

in tutti i casi di pratiche commerciali sleali l'Unione europea dovrebbe utilizzare efficacemente gli strumenti di difesa disponibili in materia di scambi e appoggiare il ricorso alle regole dell'OMC per la composizione delle vertenze.

Bruxelles, 29 aprile 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH