ISSN 1725-2466 |
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Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112 |
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Edizione in lingua italiana |
Comunicazioni e informazioni |
47o anno |
Numero d'informazione |
Sommario |
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II Atti preparatori |
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Comitato economico e sociale europeo |
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404a sessione plenaria del 10 e 11 dicembre 2003 |
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2004/C 112/1 |
Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema La strategia di Lisbona |
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407aa sessione plenaria del 31 marzo e 1o aprile 2004 |
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2004/C 112/2 |
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2004/C 112/3 |
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2004/C 112/4 |
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2004/C 112/6 |
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2004/C 112/7 |
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2004/C 112/8 |
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2004/C 112/9 |
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2004/C 112/7 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione sociale della cultura |
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2004/C 112/8 |
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2004/C 112/6 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla |
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2004/C 112/8 |
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2004/C 112/9 |
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IT |
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II Atti preparatori
Comitato economico e sociale europeo
404a sessione plenaria del 10 e 11 dicembre 2003
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/1 |
Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema La strategia di Lisbona
(2004/C 112/01)
Con lettera della vicepresidente Loyola de PALACIO, la Commissione ha invitato il Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, a elaborare un parere esplorativo sul tema: L'impatto globale registrato finora dalla strategia di Lisbona, unitamente alle prospettive di lungo periodo e a un'analisi qualitativa dei progressi realizzati nell'attuazione della strategia.
Per elaborare la propria posizione in materia, il Comitato ha organizzato un importante convegno per raccogliere le opinioni della società civile organizzata in Europa sui progressi finora realizzati e sulle azioni necessarie per il futuro (Allegato I).
Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato, il 10 dicembre 2003, nel corso della 404a sessione plenaria, con 116 voti favorevoli, 37 contrari e 7 astensioni, la seguente risoluzione.
1. Risoluzione
1.1 |
Il Comitato sottolinea che la strategia di Lisbona raggiungerà i propri obiettivi di competitività internazionale, di progresso economico, sociale e ambientale e di sviluppo sostenibile solo se rinnoverà profondamente il metodo, l'assetto politico istituzionale e gli strumenti di cooperazione adottati a tale scopo. |
1.1.1 |
Il CESE riconosce in particolare che la strategia di Lisbona è più complessa, più pluridimensionale e più articolata nelle sue implicazioni di qualsiasi precedente ambizione specifica in termini di conseguimento degli obiettivi per l'Unione europea. |
1.2 |
In tale contesto, il Comitato propone un approccio più dinamico che si traduca, sul piano istituzionale, in un coordinamento rafforzato volto a garantire un rilancio della crescita economica europea, conferendo un livello di importanza adeguato alle realtà economiche, sociali e ambientali, nel quadro di un'interazione permanente tra queste realtà: in altri termini, basandosi sul concetto di sviluppo sostenibile e sulla competitività del sistema Europa. |
1.3 |
Il Comitato propone:
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1.4 |
Questo coordinamento rafforzato, che non richiede alcuna modifica dei Trattati, presuppone la cooperazione e l'emulazione reciproca tra gli Stati membri sugli obiettivi della strategia di Lisbona e un impegno innovativo responsabile nelle politiche macroeconomiche, come pure un approccio di cooperazione anche sulle singole politiche di attuazione delle riforme strutturali. |
1.5 |
Al di là della necessità di rispettare il patto di stabilità, il quale è fondato sull'affidabilità degli Stati a difesa della moneta unica, permane la priorità di porre in atto una politica economica europea di crescita integrata. Ciò esige per i paesi della zona euro un sistema di applicazione del patto di crescita e stabilità tale da favorire una migliore realizzazione della strategia di Lisbona. Inoltre, è necessario riavvicinare le politiche fiscali in condizioni compatibili con le esigenze di competitività di un'economia aperta, pur garantendo la sostenibilità sociale. |
1.6 |
Questa politica economica integrata dovrà preoccuparsi anzitutto di creare le condizioni per un migliore rilancio dell'attività economica in Europa. Il Comitato sostiene l'obiettivo - già oggetto di numerose recenti proposte - di dar vita a un'iniziativa europea di crescita sia per favorire gli investimenti transeuropei, specie in materia di infrastrutture (energia, trasporti e TLC), di ricerca, di formazione, sia per migliorare il funzionamento del mercato del lavoro e dei regimi di protezione sociale in un quadro di sviluppo sostenibile. |
1.7 |
Il Comitato torna a insistere sulla necessità di accelerare il completamento del mercato unico, parallelamente al suo ampliamento. Ciò dicasi in particolare per i settori degli appalti pubblici, per le varie categorie di servizi e per quanto riguarda la semplificazione legislativa e amministrativa. L'obiettivo è sviluppare una capacità di crescita veramente autonoma, capacità che manca ancora all'Europa, sfruttando appieno il potenziale di questa zona economica integrata, che è a un tempo estesa e tecnologicamente avanzata. |
2. Il ruolo della società civile
2.1 |
Il Comitato sottolinea l'importanza centrale del dialogo con e tra le parti sociali, al livello europeo e nazionale, per condurre in porto le riforme volte in particolare al rafforzamento dell'istruzione e della formazione, a un migliore funzionamento del mercato del lavoro e dei regimi di protezione sociale, garantendone la sostenibilità e il miglioramento. |
2.2 |
Fin dall'inizio, il mandato conferito dal Consiglio europeo di Lisbona ha posto l'accento sul ruolo prioritario che, nell'attuazione di questa strategia pluriennale, spetta alle iniziative del settore privato e a un nuovo partenariato fra Stato e società civile. Il metodo di coordinamento aperto inserito in questa strategia deve vedere la piena partecipazione delle organizzazioni della società civile. |
2.3 |
In occasione della preparazione del nuovo Trattato costituzionale europeo, che farà seguito all'allargamento nel 2004, il Comitato stesso ha fortemente sostenuto il riferimento, da parte della Convenzione europea, al ruolo della democrazia partecipativa, animata dagli attori della società civile, per completare la democrazia rappresentativa senza peraltro sostituirsi a essa. |
2.4 |
Sarebbe altresì necessario aggiungere alla dimensione verticale della sussidiarietà (che distingue livelli di competenze sul piano europeo, nazionale, regionale o locale) una dimensione orizzontale o funzionale (che distingue da un lato le questioni che dipendono principalmente dall'autorità dei poteri pubblici e dall'altro quelle legate piuttosto al coinvolgimento diretto, se non autonomo, della società civile: settore privato, parti sociali, ambienti socioprofessionali e associativi). |
2.5 |
Al di là dell'impegno effettivo delle istituzioni europee e degli Stati, il successo della strategia di Lisbona presuppone quindi che essa sia:
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3. Raccomandazioni del Comitato
3.1 Sul piano europeo:
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un rafforzamento della concertazione delle istituzioni europee con gli ambienti socioeconomici e con le parti sociali, che permetta di sviluppare un dialogo europeo permanente sui diversi orientamenti comuni e sui piani d'azione della strategia di Lisbona, e che garantisca in particolare una migliore presa in considerazione e conciliazione degli imperativi di competitività economica, progresso sociale e sviluppo sostenibile, |
— |
un coinvolgimento attivo delle parti sociali nell'attuazione del programma pluriennale del dialogo sociale che esse hanno concordato, con il conseguente sviluppo di accordi europei fra di esse negli ambiti che interessano l'attuazione della strategia di Lisbona, |
— |
la valorizzazione di questo dialogo socioeconomico e di questo contributo delle parti sociali europee nella relazione annuale della Commissione europea destinata al Vertice di primavera. |
3.2 Sul piano nazionale, regionale e locale:
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uno sviluppo parallelo della concertazione e del dialogo socioeconomico che vada di pari passo con l'avvio di una campagna d'informazione dell'opinione pubblica e di un dibattito sull'oggetto e sulle modalità delle riforme avviate nel quadro della strategia di Lisbona, |
— |
un dialogo e un coinvolgimento contrattuale delle parti sociali negli ambiti di loro competenza adattato alla diversità delle culture e dei contesti economici e sociali, al fine di realizzare piani d'azione nazionali, |
— |
la valorizzazione di questi contributi della società civile, in particolare quelli delle parti sociali, nelle relazioni nazionali annuali degli Stati membri per il Vertice di primavera, il che permetterà una più ampia diffusione delle migliori pratiche in questo campo, |
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l'istituzione di un dialogo reale a livello regionale e locale. È questo il modo migliore per garantire un'effettiva partecipazione degli attori sociali ed economici capace di sfruttare appieno il potenziale locale, in termini di risorse umane, spirito imprenditoriale, patrimonio culturale e risorse naturali. |
3.2.1 |
I governi e gli altri enti statali possono contribuire ad accrescere la competitività intensificando le politiche e i servizi che contribuiscono a migliorare le prestazioni delle imprese e di altre organizzazioni. |
3.2.2 |
Il CESE conviene sulla necessità di compiere sforzi più mirati per conseguire i seguenti obiettivi:
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3.3 Il ruolo del CESE
Da parte sua, il Comitato intende fungere da osservatorio permanente dello stato di attuazione della strategia di Lisbona e, in particolare:
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contribuire a sviluppare il dialogo pubblico, coinvolgendo direttamente in tale valutazione i rappresentanti della società civile, |
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mantenere una stretta concertazione con i Consigli economici sociali nazionali e organizzazioni analoghe sull'attuazione della strategia di Lisbona. In occasione della riunione svoltasi a Madrid il 28 novembre 2003, i Presidenti dei Consigli economici e sociali degli Stati membri dell'Unione e il Presidente del CESE hanno deciso di avviare insieme una riflessione con l'obiettivo di apportare un contributo comune al Consiglio europeo di primavera (Vertice di primavera) del 2005 che si terrà nel quadro della presidenza lussemburghese, |
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promuovere la diffusione delle iniziative europee e nazionali degli ambienti socioprofessionali e delle parti sociali che contribuiscono al successo della strategia di Lisbona, |
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su tali basi proseguire la presentazione, ogni anno, al Vertice di primavera, di una relazione di valutazione sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona. |
Bruxelles, 10 dicembre 2003
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
407aa sessione plenaria del 31 marzo e 1o aprile 2004
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/4 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Aggiornare e semplificare l'acquis comunitario
(COM(2003) 71 def.)
(2004/C 112/02)
La Commissione, in data 11 febbraio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 88 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.
1. La comunicazione della Commissione, la sua prima relazione semestrale e la relazione del Parlamento
1.1 |
Nel corso della propria sessione del 13 novembre 2003, l'Osservatorio del mercato unico (OMU) ha ascoltato il relatore del Parlamento Manuel MEDINA ORTEGA (1) e i rappresentanti della Commissione in merito alla comunicazione relativa al quadro d'azione «Aggiornare e semplificare l'acquis comunitario» (2), sulla cui attuazione la Commissione ha presentato quest'anno la sua prima relazione semestrale (COM(2003) 623 def.). |
1.2 |
Secondo la relazione, «le principali azioni intese a ridurre il volume della legislazione, a semplificarla e a renderla più accessibile e logica procedono a buon ritmo». Le azioni già avviate o previste riguardano il 4 % del volume attuale dell'acquis. |
1.3 |
La comunicazione e il quadro d'azione prevedono la semplificazione e l'aggiornamento dell'acquis in diverse forme e mediante diversi mezzi:
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1.4 |
Per ciascuna forma di semplificazione i lavori procedono a ritmi diversi; non tutte le direzioni della Commissione sono interessate. Problemi sostanziali riguardanti la metodologia, il personale e il bilancio hanno rallentato l'attuazione della prima fase (febbraio-settembre 2003). La Commissione spera che nella seconda fase (ottobre 2003-marzo 2004) si possa procedere più speditamente e colmare taluni ritardi in modo che l'intero programma sia completato al termine della terza fase (aprile-dicembre 2004). |
2. Osservazioni: La semplificazione? Non così semplice …
2.1 |
Occorre distinguere fra:
Il suddetto quadro d'azione riguarda unicamente la semplificazione dell'acquis comunitario, ma la semplificazione delle procedure e dei documenti è altrettanto essenziale per i soggetti economici. Il Comitato rimanda ai suoi precedenti pareri in materia (3). |
3. Semplificazione legislativa e regolamentare, aggiornamento dei testi giuridici
3.1 |
Il Comitato accoglie con soddisfazione l'accordo interistituzionale (AII) (4) concluso da Parlamento, Consiglio e Commissione in merito alle procedure di attuazione della semplificazione nel rispetto delle competenze e responsabilità di ciascuna istituzione; la probabile estensione del ricorso alla codecisione in un futuro trattato dovrebbe accrescere il ruolo svolto dal Parlamento nell'elaborazione del diritto comunitario e nel controllo della sua applicazione. |
3.1.1 |
L'AII prevede di migliorare il coordinamento del processo legislativo tra il Parlamento e il Consiglio in base a un calendario indicativo delle diverse fasi sino all'adozione finale di ciascuna proposta legislativa; la Commissione e il Consiglio dovrebbero partecipare regolarmente, al massimo livello, alle discussioni delle commissioni parlamentari che si occupano di un progetto. |
3.1.2 |
L'accordo prevede che, in previsione della discussione di un emendamento sostanziale, possa essere elaborato uno studio dell'impatto dell'eventuale adozione dell'emendamento (anche se questo potrebbe comportare complicazioni procedurali e ritardi). |
3.1.3 |
Quanto ai «metodi di regolamentazione alternativi», ossia la coregolamentazione fra soggetti privati o l'autoregolamentazione privata, l'accordo prevede che «tali meccanismi non si applicano se sono in gioco i diritti fondamentali o scelte politiche importanti, oppure nelle situazioni in cui le regole devono essere applicate uniformemente in tutti gli Stati membri». I meccanismi devono inoltre «assicurare una regolamentazione rapida e flessibile che non incida sui principi di concorrenza né sull'unicità del mercato interno». La regolamentazione «alternativa» è dunque definita in maniera restrittiva. |
3.1.4 |
Va notato che le regole convenute tra le parti sociali europee (articoli 138-139 TCE) non dovrebbero rientrare nella categoria generale della coregolamentazione: in effetti, questa categoria riguarda soltanto le «iniziative autonome» fra soggetti privati che non presuppongono una presa di posizione da parte delle istituzioni. In Europa le contrattazioni collettive rappresentano un tipo di regolamentazione specifica disciplinata dalla legislazione dei rispettivi paesi. |
3.1.4.1 |
La Commissione esaminerà le iniziative autonome di regolamentazione per verificarne la conformità con le disposizioni del Trattato CE e ne informerà il Parlamento europeo, oltre a controllare la rappresentatività dei soggetti interessati. Questa scelta sembra un po' contraddittoria e non è chiaro quali sarebbero ora le eventuali conseguenze se il Parlamento giudicasse le informazioni insoddisfacenti: esso infatti potrebbe soltanto chiedere alla Commissione di adottare un'iniziativa legislativa che si sostituisca all'autoregolamentazione. Per il futuro il Parlamento auspica il ricorso a una procedura formale di ritiro (call back), contemplata nel nuovo Trattato costituzionale, con la quale le normative comunitarie si sostituirebbero alle iniziative di autoregolamentazione. |
3.1.5 |
Nell'AII viene infine trattato il problema serio del recepimento delle direttive comunitarie nelle legislazioni nazionali: le istituzioni si impegnano a indicare un termine di recepimento quanto più breve possibile, che non superi i due anni (il Trattato non accenna minimamente ai termini di recepimento). Il Comitato si compiace vivamente di tale decisione, ma nutre dubbi circa la sua attuazione pratica - che spetterà al Consiglio - fintanto che nel Trattato non sarà stabilito che i termini di recepimento fissati in una direttiva sono vincolanti e che il loro mancato rispetto comporta ipso facto l'avvio di una procedura di infrazione, una volta superata la scadenza prevista. |
3.1.6 |
Il Comitato avrebbe gradito esprimere un parere sull'AII allo stadio di progetto, dal momento che era interessato dall'accordo e che aveva già formulato in passato dei pareri sulle questioni in esso affrontate. Il Comitato avrebbe potuto presentare i suggerimenti della società civile organizzata, principale destinataria dell'acquis e direttamente interessata dai temi riguardanti la semplificazione, il recepimento e i «metodi di regolamentazione alternativi». |
3.2 |
Circa il numero e la natura dei testi inseriti nel quadro di valutazione della Commissione, vanno sottolineati i ritardi accumulati nella prima fase, che ricadranno sulla seconda e rendono forse ottimistiche le aspettative sul raggiungimento degli obiettivi nel 2005. Inoltre la grande maggioranza dei testi indicati dipendevano dall'attività della Commissione e dall'esercizio della comitatologia (5) in quanto «poteri di regolamentazione conferiti» (anche se questo concetto non figura nel testo attuale del TCE, che si riferisce a competenze di esecuzione conferite dal Consiglio). |
3.3 |
La massima nemo censitur ignorare legem (a nessuno è permesso ignorare la legge) costituisce oggi un'autentica finzione giuridica vista l'abbondanza e la complessità delle direttive e dei regolamenti, malgrado le iniziative encomiabili di codificazione che consentono un approccio più coerente di certi ambiti del diritto europeo. Detto ciò, le diversità per quanto riguarda il recepimento delle direttive a livello nazionale può portare a divergenze incresciose e ad una disparità delle procedure. Gli Stati membri e i legislatori nazionali hanno dunque anche la grande responsabilità di recepire le direttive comunitarie in maniera logica, accessibile e chiara, rispettandone sia la lettera che le finalità di convergenza e armonizzazione delle legislazioni nazionali. |
3.4 |
La regolamentazione frutto della comitatologia appare spesso cavillosa e poco trasparente per quanto riguarda l'elaborazione del testo. Il Parlamento auspica che in futuro essa venga orientata maggiormente verso l'attuazione e l'adattamento della legislazione (strette competenze di esecuzione), piuttosto che verso la legge in vigore propriamente detta; a giudizio del PE le modifiche sostanziali della regolamentazione dovrebbero seguire un iter legislativo normale. Se venisse seguito questo orientamento, il CESE dovrebbe essere consultato in merito a tali modifiche. |
3.5 |
Il Comitato ha costantemente sostenuto le iniziative di semplificazione, a posteriori, dell'acquis comunitario. Ma la semplicità e la chiarezza debbono essere perseguite sin dalla fase di concezione della legislazione, prevedendo in particolare la partecipazione di tutte le parti interessate, ricorrendo a questionari o a consultazioni mediante incontri o ad altri metodi ad hoc - ivi compresa la consultazione del CESE a questo stadio - dunque prima che la Commissione presenti una proposta legislativa o normativa, onde garantire che tutti i problemi vengano presi in considerazione sin dall'inizio. |
3.5.1 |
Queste consultazioni possono inoltre aiutare ad effettuare valutazioni quanto più realistiche possibile sull'impatto di un progetto e sulle sue conseguenze finanziarie o di altro tipo. Si può trattare, ma non esclusivamente, di consultazioni sui libri verdi o su altri documenti di lavoro preparatori della Commissione con un questionario allegato. Il Comitato segnala la propria disponibilità a contribuire ai processi consultivi nella sua veste di rappresentante degli interessi socioeconomici generali della società civile, a organizzare audizioni con le organizzazioni che rappresentano l'insieme di questi interessi per fornire il proprio contributo specifico al miglioramento continuo e alla semplificazione della legislazione. |
3.5.2 |
Il Comitato appoggia l'analisi costi/benefici e la valutazione dei progetti dal punto di vista della loro proporzionalità e da quello della sussidiarietà. |
3.5.3 |
Tuttavia, in materia di salute, sicurezza o ambiente, l'analisi delle implicazioni costi/benefici in termini prettamente monetari costituisce un esercizio piuttosto complesso e difficoltoso che, in taluni casi, potrebbe risultare incompleto quando la legislazione si prefigga l'obiettivo di prevenire le malattie o proteggere la vita umana. |
3.5.4 |
Occorre valutare anche l'impatto in termini di costo della legislazione per i suoi destinatari finali, specie le imprese. È certo che una normativa comunitaria o il recepimento di una direttiva nell'ordinamento nazionale possono avere costi elevati per le imprese o per i privati, soprattutto se la norma difetta di precisione giuridica, o se il progetto viene presentato senza una spiegazione chiara e precisa della portata esatta e delle finalità del testo (6). Se si deve ricorrere alla giurisprudenza per interpretare la normativa o la regolamentazione, i costi per i destinatari del diritto diventano sproporzionati. |
3.5.5 |
Pertanto la fase preliminare di consultazione deve essere riservata prioritariamente agli organismi che rappresentano effettivamente gli interessi dei principali destinatari della normativa, ivi compresi i professionisti e i singoli esperti qualificati, ma deve essere rivolta anche al Comitato economico e sociale europeo o al Comitato delle regioni. |
3.6 |
Il CESE desidera perciò essere coinvolto regolarmente nell'analisi dell'impatto ex post delle normative comunitarie e nell'esame delle relazioni periodiche previste nella legislazione, al fine di trasmettere l'opinione degli utenti e degli esperti del diritto sull'effettività delle norme; infatti il diritto si indebolisce se non è utile, efficace o applicato correttamente, o se richiede l'interpretazione previa dei tribunali per essere applicato. |
3.7 |
La verifica dell'applicazione, che può essere difficile, consiste nel valutare l'impatto, nella vita reale, della legislazione con efficacia diretta (regolamento) o indiretta (recepimento delle direttive) su scala nazionale e nella prassi delle amministrazioni ai vari livelli. |
3.8 |
Il CESE ha proposto d'istituire un organo europeo indipendente destinato a monitorare e a promuovere la semplificazione normativa e amministrativa. Occorre prendere in considerazione quanto prima una soluzione di questo tipo. Vista la situazione, risulta opportuno estendere la semplificazione, nella misura del possibile, a tutti gli ambiti dell'acquis, obiettivo che è lungi dall'essere raggiunto. L'urgenza è ancor maggiore dal momento che questa semplificazione favorirà e accelererà l'effettiva attuazione dell'acquis nei nuovi Stati membri e dovrebbe incoraggiare i paesi «ritardatari» ad affrettare il passo nel recepimento delle normative. |
3.8.1 |
La legislazione in materia di ambiente e sicurezza riguardante le attività delle imprese potrebbe costituire un ambito particolarmente promettente per le azioni di semplificazione. A termine, un «codice europeo dell'ambiente» potrebbe riunire l'acquis in materia in modo coerente, rendendolo più accessibile. Il Comitato rileva d'altronde che taluni editori privati pubblicano periodicamente dei «codici europei» non ufficiali, che riuniscono e commentano certe materie, come un «codice sociale europeo» o un «codice degli affari», spiegati e annotati con la giurisprudenza e la dottrina; tali iniziative dimostrano l'utilità di una codificazione o di una riformulazione dell'acquis per gli utenti e i professionisti del diritto comunitario. |
3.9 |
La semplificazione si ricollega direttamente al principio della buona governance (7), evidenzia le questioni pregiudiziali della proporzionalità e della sussidiarietà; in base ai testi giuridici considerati, si dovrebbe attuare una procedura di valutazione, adeguata ai vari stadi (concezione, elaborazione, adozione e pubblicazione), e di verifica dell'applicazione. Siffatta procedura non può che rafforzare le certezze giuridiche dei destinatari e il loro rispetto del diritto. |
3.10 |
È infatti evidente che gli utenti del diritto comunitario, il quale costituisce oggigiorno una grossa porzione, se non la maggior parte, dei testi giuridici applicabili negli Stati membri, richiedono formulazioni meno complesse, non equivoche, che possano essere recepite e applicate più facilmente. La proliferazione legislativa e regolamentare risulta onerosa per le imprese e crea problemi soprattutto a quelle di minori dimensioni - prive di servizi giuridici propri - e ai consumatori che vogliono avere certezze sui loro diritti e sulle eventuali vie di ricorso. |
3.11 |
La regolamentazione del mercato unico, pur essendo per sua natura evolutiva, deve fornire una certezza e una sicurezza giuridica sufficienti ai soggetti economici e sociali. Se la regolamentazione deve essere opportuna e appropriata e non creare ostacoli o difficoltà inutili, il processo di semplificazione non va però confuso con una qualsiasi deregolamentazione (8). La codificazione è una semplificazione sul piano della coerenza e della comprensione del diritto applicabile, ma in principio viene fatta senza alterarne l'essenza. Gli esercizi di semplificazione e la valutazione periodica dell'efficacia dell'acquis potrebbero condurre, secondo i casi, a una riformulazione del diritto, ricorrendo a emendamenti o a un progetto sostitutivo, qualora ciò si rendesse necessario. |
3.12 |
L'armonizzazione comunitaria e i testi comunitari forniscono già una semplificazione nel mercato unico, evitando la molteplicità dei testi nazionali e facilitando così la conoscenza del diritto da parte dei soggetti europei interessati. |
3.13 |
L'informazione e i suoi vettori sono importanti per la conoscenza del diritto applicabile e dei suoi sviluppi, ma dovrebbero essere diretti a obiettivi precisi (la semplice pubblicazione nella GU ha dei limiti; eventuali intermediari o mezzi alternativi possono essere importanti). I siti delle istituzioni comunitarie contribuiscono a informare il pubblico sin dalle fasi preliminari; inoltre, le schede legislative del sito del Parlamento danno informazioni chiare sull'iter seguito da un dossier. Svolgono infine un ruolo utile gli opuscoli comunitari destinati al grande pubblico e i comunicati stampa, generalmente ben redatti ma talvolta non bene illustrati ai lettori dai giornalisti. |
3.13.1 |
Numerose organizzazioni professionali (in particolare gli ordini professionali e i fori nazionali) e associazioni pubblicano per i loro membri i testi che li riguardano, corredandoli con spiegazioni e consigli. |
3.13.2 |
Le informazioni sono spesso fornite anche dagli Stati membri e da chi si occupa di istruzione e formazione. I manuali universitari, la dottrina e gli scambi di studenti forniscono un contributo alla formazione dei giuristi e dei futuri legislatori europei. |
3.13.3 |
Il Comitato propone alla Commissione di esaminare in quale maniera, nella pratica, i destinatari e gli esperti del diritto comunitario vengono meglio informati, per determinare se gli attuali mezzi di informazione sono utilizzati adeguatamente, se sono sufficienti o meno, in modo da poter sviluppare eventualmente una migliore strategia di comunicazione e di formazione sul diritto comunitario. |
4. Procedure e documenti amministrativi
4.1 |
Va sottolineato che diversi regolamenti stabiliscono quali sono le procedure da seguire e forniscono i modelli dei documenti da utilizzare. Il Comitato incoraggia il ricorso a questo metodo, che contribuisce a semplificare le formalità amministrative nel quadro del mercato unico e a ridurre i costi di transazione. |
4.2 |
Per quanto riguarda le procedure e i documenti amministrativi in uso, l'armonizzazione diventa un problema spinoso per gli operatori quando ciascun paese presenta esigenze diverse. Vi è qui ampio spazio, da sfruttare appieno, per un'armonizzazione che costituirebbe un'autentica semplificazione per gli scambi. |
4.3 |
Dal momento che la comitatologia svolge anche un ruolo di attuazione della legislazione, sarebbe opportuno che essa fornisca un contributo essenziale alla semplificazione e all'armonizzazione delle procedure e dei documenti amministrativi, tenendo conto del punto di vista dei professionisti e degli utenti del diritto. |
4.4 |
Anche l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) nell'amministrazione costituisce uno strumento di buona governance che andrebbe rapidamente incentivato. L'applicazione delle TIC nell'ambito delle dogane - prospettata dalla Commissione - apre la strada a una felice semplificazione di procedure e documenti (sportello unico, documenti standard per evitare blocchi alle frontiere della Comunità). Per fare ciò occorre consultare le parti interessate (industrie, personale delle dogane, trasportatori) onde evitare inutili formalità, garantire la certezza giuridica delle operazioni ed esercitare un controllo efficace, che non ostacoli la libera circolazione e rispetti la confidenzialità degli affari quando non vengano rilevate frodi o non vi siano forti sospetti di frode. |
4.5 |
Il Comitato, ribadendo il proprio deciso sostegno a favore dello sviluppo della e-administration, a condizione che essa sia associata a semplificazioni procedurali e amministrative, desidera ricordarne i principi essenziali di funzionamento. Vanno rispettate regole strette in merito alla confidenzialità, alla durata di conservazione di determinati documenti da parte delle autorità, all'anonimato a fini statistici o alla comunicazione delle informazioni raccolte. |
5. Coregolamentazione e autoregolamentazione (9)
5.1 |
Non sono state finora valutate sufficientemente le possibilità di ricorrere a una regolamentazione meno dettagliata e meno puntigliosa, che lasci spazio alla coregolamentazione e all'autoregolamentazione. Occorre dare importanza al ruolo specifico svolto dai destinatari della regolamentazione; il che non può che contribuire a generalizzarne e facilitarne l'applicazione. La banca dati PRISM del CESE (Progress Report on Initiatives in the Single Market) fornisce esempi concreti di ciò che s'intende, rispettivamente, per «regolamentazione contrattuale» e «regolamentazione unilaterale», le quali richiedono meccanismi adeguati di controllo e valutazione (marchi, certificazioni, controlli indipendenti pubblici o privati). Il mutuo riconoscimento, i rapporti con i consumatori e così via aprono la strada a possibilità di regolamentazione efficace da parte di privati. |
5.2 |
Quanto al diritto sociale e del lavoro a livello comunitario, la contrattazione collettiva delle condizioni di lavoro e di occupazione e il dialogo sociale offrono alle organizzazioni europee che rappresentano i datori di lavoro e i lavoratori la possibilità di partecipare alle attività relative ai rapporti di lavoro e alle norme sociali comunitarie. |
5.2.1 |
Per essere tramutati in normativa i testi negoziati debbono tuttavia formare oggetto di un'iniziativa della Commissione e di una decisione del Consiglio. Questa procedura non prevede la consultazione ufficiale del Parlamento, dal momento che i suoi eventuali emendamenti non vengono tenuti in considerazione. |
5.2.2 |
Qualora tuttavia i metodi di autoregolamentazione non dessero risultati accettabili o sufficienti - oppure in caso di necessità - il legislatore potrebbe sempre, nel quadro delle procedure esistenti o delle nuove procedure previste dal nuovo Trattato, come il call back, trasformare l'autoregolamentazione in coregolamentazione o la coregolamentazione in legislazione. A giudizio del Comitato, è però opportuno essere prudenti a questo proposito, in particolare per quanto riguarda i contratti collettivi tra parti sociali europee, le cui disposizioni e la cui volontà andrebbero in principio rispettate. |
5.3 |
Pertanto, se la regolamentazione pubblica (iniziativa legislativa) può sostituirsi eventualmente alla regolamentazione privata (regolamentazione contrattuale e unilaterale, organi di controllo non statali, risoluzione extragiudiziale delle vertenze, ecc.), gli eventuali interventi legislativi debbono rispondere a solide motivazioni politiche oppure a ovvi imperativi di ordine pubblico. In un quadro politico democratico la regolamentazione privata deve generalmente rappresentare uno sviluppo o un'applicazione della regolamentazione pubblica, sopperirvi eventualmente in certi ambiti, anche quando si tratta di norme non scritte di origine consuetudinaria o di regolamenti interni che il legislatore e la pubblica autorità intendono, esplicitamente o implicitamente, far rispettare: ad esempio codici deontologici di certe professioni. |
5.4 |
Quando le regolamentazioni private contengono disposizioni quasi giuridiche, il ricorso contro una decisione - obbligatoriamente motivata - dell'organo privato (consiglio disciplinare, organo di ammissione a un ordine professionale) deve sempre essere ricevibile presso una giurisdizione pubblica o eventualmente presso una giurisdizione di arbitrato concordata dalle parti. |
6. Considerazioni finali
6.1 |
Il CESE seguirà con attenzione le relazioni intermedie semestrali della Commissione. Esso appoggia l'iniziativa e il quadro d'azione che punta alla semplificazione dell'acquis comunitario e auspica che questa venga rapidamente estesa agli altri ambiti dell'acquis, in modo da facilitarne e promuoverne l'effettiva applicazione negli Stati membri attuali e futuri. |
6.2 |
Il Comitato desidera partecipare in modo più efficace all'elaborazione del diritto comunitario mediante i suoi pareri consultivi. Per fare ciò è necessario che esso venga coinvolto in una fase nettamente anteriore a quella in cui viene interpellato attualmente. Il Comitato desidera inoltre partecipare attivamente alle analisi d'impatto e di verifica, nonché all'impegno di semplificazione, in modo da contribuire a una migliore conoscenza del diritto comunitario e alla sua reale applicazione nell'Europa allargata. Queste richieste si richiamano naturalmente ai principi di democrazia e buona governance e a quelli che propugnano il riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni e alla legislazione dell'Unione europea. |
6.3 |
Il Comitato si compiace infine dell'accordo interistituzionale «Legiferare meglio», adottato il 16 dicembre 2003 fra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione. Esso predispone le condizioni per una migliore semplificazione della regolamentazione comunitaria e, in particolare, definisce il ricorso all'autoregolamentazione e alla coregolamentazione da parte degli attori economici e sociali, lo incoraggia e ne stabilisce i principi generali. Questo accordo risponde in maniera soddisfacente agli auspici formulati in proposito dal Comitato nel settembre 2000, quando aveva adottato il proprio codice di condotta invitando le istituzioni ad adottare a loro volta i rispettivi codici di condotta. Il Comitato si adopererà anch'esso per contribuire al buon funzionamento dell'accordo e continuerà ad incoraggiare il ricorso all'autoregolamentazione e alla coregolamentazione, le quali formano oggetto di una relazione informativa in preparazione al Comitato. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Relazione definitiva A5-0443/2002, del 6.12.2002, e seconda relazione definitiva A5-0235/2003, del 17.6.2003, della commissione giuridica e per il mercato interno del PE sulla comunicazione della Commissione «Semplificare e migliorare la regolamentazione». Le relazioni esplicitano in particolare le richieste di cambiamenti costituzionali avanzate dal Parlamento in merito ai poteri legislativo ed esecutivo e al potere di controllo.
(2) SEC(2003) 165 e documento di lavoro allegato: metodologia, procedure e priorità, e informazioni dettagliate sulle definizioni e sui lavori previsti.
(3) GU C 14 del 16.1.2001. Semplificazione I, relatore VEVER.
GU C 48 del 21.2.2002. Semplificazione II, relatore WALKER.
GU C 125 del 27.5.2002. Semplificazione III, relatore WALKER.
GU C 133 del 6.6.2003. Semplificazione IV, relatore SIMPSON.
(4) Accordo interistituzionale «Legiferare meglio» tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, GU C 321 del 31.12.2003; il miglioramento della qualità nella redazione delle normative era stato oggetto di un AII del 22.12.1998.
(5) Il sistema di comitatologia è fondato sull'articolo 202 del TCE; il Parlamento chiede che esso formi oggetto di una riforma profonda onde evitare una deriva della tendenza esecutiva.
(6) Ad esempio, la presentazione del progetto di direttiva riguardante le «invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici» ha creato una totale confusione circa la natura esatta, la portata e gli obiettivi del progetto della Commissione.
(7) Cfr. Il Libro bianco sulla governance (2001) e il piano d'azione «Legiferare meglio», predisposto da un gruppo di lavoro del Consiglio (gruppo Mandelkern «Legiferare meglio»).
(8) Questo aspetto è stato ben chiarito dal Comitato nei pareri citati più sopra.
(9) Si è scelto volutamente di non sviluppare ulteriormente il presente capitolo, dal momento che VEVER sta preparando un parere specifico su questo tema.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/9 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al LIBRO BIANCO Spazio: una nuova frontiera europea per un'Unione in espansione Piano di azione per attuare una politica spaziale europea
(COM(2003) 673 def.)
(2004/C 112/03)
La Commissione europea, in data 12 novembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco - Spazio: una nuova frontiera europea per un'Unione in espansione - Piano di azione per attuare una politica spaziale europea
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2004 sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 97 voti favorevoli e 2 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Il Libro bianco all'esame del Comitato economico e sociale europeo costituisce il seguito logico del Libro verde sulla politica spaziale europea, a cui era già stato dedicato un parere nel giugno 2003. |
1.2 |
In tale occasione, il Comitato si era chiesto in sostanza se in Europa esistesse una volontà politica forte e stabile nel settore spaziale, dotata delle necessarie risorse finanziarie e di un quadro istituzionale adeguato. |
1.3 |
Queste le conclusioni a cui era giunto: «… la posizione dell'Europa in campo spaziale deve essere il risultato di una forte volontà politica e di chiare decisioni di bilancio. Una condivisione delle competenze o un sistema di competenze parallele, iscritto nel futuro Trattato costituzionale europeo, darebbe all'Unione europea gli strumenti politici, legislativi e finanziari necessari per definire e attuare una politica spaziale forte, volta in particolare a:
|
1.4 |
Il Comitato intende oggi valutare il Libro bianco della Commissione alla luce di questa sua presa di posizione chiara. |
2. Sintesi del Libro bianco
2.1 |
La Commissione ribadisce le minacce che incombono sull'Europa in campo spaziale:
|
2.2 |
Partendo da questa constatazione e rilevando che lo «status quo non è un'opzione», la Commissione propone una serie di iniziative per evitare l'indebolimento della posizione dell'Europa nel settore spaziale. |
2.3 |
Il Libro bianco è strutturato in sezioni dedicate ai seguenti temi:
|
2.4 |
Per ogni ambito, la Commissione individua le sfide da affrontare e avanza delle proposte di azione. |
a) Le sfide politiche
La Commissione sottolinea che per l'Europa lo spazio è una politica orizzontale di particolare importanza per realizzare le prospettive economiche - in special modo gli obiettivi di Lisbona - le finalità della politica agricola, i livelli di occupazione, la gestione dell'ambiente, nonché la politica estera e di sicurezza.
b) Il sostegno alle principali politiche comunitarie
La Commissione enumera una serie di iniziative fondamentali e raccomanda alcune azioni a riguardo. Si tratta dell'attuazione del programma Galileo e dell'iniziativa GMES (Global Monitoring for the Environment and Security - monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza), della riduzione del divario digitale, del contributo dello spazio alle politiche europee di sicurezza e di difesa, nonché dello sviluppo dei partenariati internazionali.
c) Il mantenimento delle capacità scientifiche e tecnologiche
La garanzia di un accesso autonomo allo spazio, l'ottimizzazione e il coordinamento delle risorse per la ricerca e lo sviluppo, i voli con persone a bordo e l'esplorazione dello spazio, la necessità di disporre di ricercatori scientifici in numero sufficiente, nonché l'esigenza di un ricambio della comunità scientifica, il consolidamento della posizione europea nelle scienze spaziali, il rafforzamento di un'industria spaziale europea innovativa e competitiva sono tutti elementi essenziali perché l'Europa mantenga il suo rango di potenza spaziale.
d) Governance e risorse
L'obiettivo perseguito è quello di definire e ripartire meglio le missioni e le responsabilità tra Unione, Agenzia spaziale europea (ESA), Stati membri, agenzie e imprese, per ottenere la massima efficacia e trarre dall'attività spaziale i maggiori vantaggi per l'Europa e i suoi cittadini, il che è possibile solo con un incremento delle risorse da destinare allo spazio.
2.5 |
Nelle conclusioni del Libro bianco, la Commissione sostiene che l'Europa deve aumentare progressivamente le risorse di bilancio a favore dello spazio in una prospettiva a lungo termine, al fine di adottare politiche europee ancora più efficaci e rafforzare le proprie capacità, rendere più dinamica l'industria spaziale e aumentare la propria presenza sul mercato dei servizi spaziali. |
2.6 |
Nell'allegato 2, la Commissione procede a una valutazione delle risorse finanziarie necessarie per attuare la politica spaziale europea, proponendo tre possibili scenari di crescita della spesa annuale, corrispondenti a tre diversi gradi di volontà politica. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il Libro bianco è innanzitutto un documento politico il cui obiettivo fondamentale è quello di definire una politica spaziale europea. In tal senso, costituisce un essenziale progresso in un campo in cui l'Europa si è rivelata estremamente attiva e ha registrato successi notevoli, pur senza aver sinora espresso una reale volontà politica coerente. Il Libro bianco avanza inoltre delle proposte d'azione concrete nei principali settori i cui obiettivi strategici, economici e industriali sono connessi al controllo dei mezzi spaziali. La struttura del documento è interessante in quanto, essendo imperniata attorno alle sfide da affrontare, mette in rilievo la portata e l'urgenza degli impegni da assumere per far sì che l'Europa mantenga la sua posizione di grande potenza spaziale, la sua forza scientifica e tecnologica, la sua comunità di ricercatori e di ingegneri, la sua industria di punta e la sua presenza competitiva sui mercati. |
3.2 |
Le iniziative, le azioni e le proposte presentate appaiono coerenti con le riflessioni formulate per il Libro verde. Il Libro bianco rappresenta in sé un solido punto di partenza per realizzare un'ambizione spaziale europea integrata in una visione politica del futuro; essenziale però è - naturalmente - l'effettiva volontà politica e finanziaria degli Stati membri e dell'Unione di sostenere e di sviluppare un settore spaziale europeo autonomo. |
3.3 |
Infine, a seguito del fallimento della Conferenza intergovernativa, per l'Unione si pone il problema di disporre di una solida base giuridica per le sue azioni in campo spaziale. Fintanto che il Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa non sarà ratificato, l'articolo 13, paragrafo 3, resta infatti invariato. Pertanto, il Comitato esorta a ricorrere appieno e su base ampiamente volontaristica all'accordo-quadro concluso tra l'ESA e la Commissione in quanto le azioni in campo spaziale non possono attendere la ratifica del futuro Trattato, che appare sempre più remota. I danni che ne deriverebbero per l'autonomia strategica, l'industria spaziale e i suoi collaboratori, le equipe scientifiche e le capacità di ricerca dell'Europa, potrebbero far accumulare a quest'ultima un ritardo irrecuperabile rispetto agli altri concorrenti. |
3.3.1 |
Inoltre, gli Stati membri avevano convenuto all'unanimità di dotare l'Unione di una competenza condivisa in materia di politica spaziale, decisione che non è stata in alcuna forma rimessa in discussione. |
3.3.2 |
Il Comitato insiste pertanto che è necessario riflettere sulle modalità e sugli strumenti per sostenere questa volontà politica chiara in attesa di una base giuridica solida. In primo luogo va istituito il Consiglio Spazio ESA/UE previsto dall'accordo quadro tra l'ESA e la Commissione. Secondariamente bisogna introdurre la figura del «Signor» o della «Signora Spazio», sulla falsariga del «Signor PESC» o, in alternativa, inserire la politica spaziale tra le competenze del Presidente della Commissione, senza così escludere, un domani, l'istituzione di un commissario responsabile della dimensione spaziale. In ciascuna delle tre ipotesi troverebbe comunque affermazione l'importanza di questa politica. |
4. Osservazioni particolari
4.1 Soluzioni spaziali per le sfide politiche
4.1.1 |
La tecnica spaziale è uno strumento della ricerca fondamentale, sia per la complessità delle tecniche impiegate sia per i settori esaminati, specie l'astrofisica e la planetologia, ma anche la sismologia, l'oceanografia, la meteorologia, l'epidemiologia, ecc. Il Comitato si rammarica che nel Libro bianco non vi sia alcun riferimento esplicito a questo ruolo essenziale, che invece auspica venga in qualche forma legittimato dalla politica spaziale europea, pur se il programma obbligatorio dell'ESA soddisfa quest'esigenza - essenzialmente per le scienze dell'universo. |
4.1.2 |
D'altronde, bisogna sottolineare che nel campo dell'osservazione e della conoscenza del pianeta, esiste una relazione di interdipendenza tra le attività operative (come quelle condotte da Eumetsat) e la ricerca pura. |
4.1.3 |
Va infine sottolineato che, nella fase di ricerca e sviluppo, la tecnica spaziale ha una duplice valenza in quanto la differenziazione tra uso civile e militare avviene essenzialmente al momento di utilizzare i dati a livello operativo. Le riflessioni e le ricerche condotte a monte dovrebbero allora raccogliere tutti gli attori civili e militari in una visione concertata allo scopo di ottimizzare l'utilizzazione dei sistemi e ridurre i relativi costi. |
4.2 Azioni per lo spazio a sostegno dell'Unione ampliata
4.2.1 Navigazione satellitare
Il Comitato condivide appieno l'idea che il programma Galileo sia il simbolo della presa di coscienza da parte dell'Unione delle sfide politiche, strategiche ed economiche poste dallo spazio e ritiene vada fatto il possibile per realizzare con successo questo progetto essenziale per l'autonomia e l'indipendenza dell'Europa.
4.2.2 Monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (GMES)
4.2.2.1 |
L'interoperabilità tra sistemi spaziali, che possono essere di origine diversa, deve essere un obiettivo prioritario. |
4.2.2.2 |
Il Comitato ritiene che la Commissione non abbia dato sufficiente rilievo a due aspetti specifici che rischiano così di essere trascurati:
|
4.2.2.3 |
Questa è, a giudizio del Comitato, una lacuna del documento poiché la politica spaziale dell'Unione deve costruirsi sugli elementi esistenti, senza duplicare gli sforzi compiuti dalle agenzie spaziali, e contribuire invece con nuovi risultati, nonché strutturare la relativa domanda. |
4.2.2.4 |
Il Comitato esorta pertanto la Commissione ad adottare nei confronti di Eumetsat, partner europeo di primo piano, un approccio costruttivo paragonabile a quello adottato con l'ESA. Ritiene inoltre che il Centro satellitare dell'Unione europea occidentale di Torrejon (Madrid) andrebbe meglio sfruttato per la strutturazione dei dati satellitari, creando un'autentica banca di dati spaziali, sull'esempio degli Stati Uniti. |
4.3 Colmare il «digital divide»
4.3.1 |
Il Comitato constata la scarsa portata di questo capitolo, a livello sia di forma sia di contenuti, che stranamente contrasta con il resto del documento. È per lo meno sorprendente infatti che nella parte intitolata «La via da seguire», le comunicazioni via satellite vengano citate quasi per caso e sotto forma d'inciso, mentre nello stesso tempo si afferma la necessità di utilizzare appieno tutte le tecnologie a banda larga disponibili per colmare il divario numerico. |
4.3.2 |
Il Comitato ha l'impressione che, in merito a tale questione, il testo poggi su un certo numero di controsensi e di valutazioni errate. |
4.3.3 |
In primo luogo, la nozione di neutralità tecnologica non starebbe ad indicare che tutte le tecnologie si equivalgono ai fini della soluzione di uno specifico problema. È ovvio infatti che le scelte devono essere guidate da un'analisi costi/benefici, come del resto avevano rilevato i servizi della Commissione [documento di lavoro SEC(2003) 895]. A tale proposito, è importante che i fondi strutturali siano utilizzati in modo da non contraddire questi principi e che le autorità locali abbiano una visione chiara della complementarità tra sistemi terrestri e spaziali in funzione dei dati geografici e della densità della popolazione. |
4.3.4 |
Se la promozione di soluzioni spaziali a scapito di soluzioni terrestri più efficaci non è praticabile, non si può non riconoscere che le soluzioni spaziali sono particolarmente indicate per le zone scarsamente popolate, isolate o difficilmente accessibili. Ne risulta quindi che soluzioni spaziali e soluzioni terrestri sono complementari e hanno ambiti di eccellenza diversi. |
4.3.5 |
Il testo non considera che il ruolo delle soluzioni spaziali nella risoluzione del problema del divario digitale deve partire dal presupposto della complementarità intrinseca delle soluzioni terrestri e spaziali. |
4.3.6 |
La posta in gioco nello sviluppo delle soluzioni spaziali è rappresentata dalla parità di accesso ai vantaggi delle telecomunicazioni a banda larga, a prescindere dal luogo in cui ha sede un'attività. |
4.3.7 |
Più concretamente, in molti paesi l'80 % della popolazione oggi gode o comunque godrà nel prossimo futuro di una copertura terrestre, al contrario del territorio che è invece coperto solo per il 20 %, e tale situazione non è destinata a migliorare se non si adotta il principio della complementarità tra tecnologie spaziali e terrestri. |
4.3.8 |
Le ampie dimensioni del mercato urbano fanno sì che vengano privilegiate le soluzioni terrestri e il peso degli operatori del settore può soltanto accentuare lo squilibrio tra zone urbane e zone rurali. Di qui la domanda: è ammissibile che i progressi della società dell'informazione favoriscano la concentrazione urbana e l'abbandono delle campagne? Questa non può essere certo la scelta socio-politica né dell'Unione né degli Stati membri. |
4.3.9 |
Quando il Libro bianco fa riferimento a «un'intensa concorrenza tra gli operatori e le tecnologie» vengono confusi due elementi di natura ben diversa: la concorrenza commerciale tra gli operatori e l'equilibrio tra le tecnologie, che deriva in sostanza dalle loro rispettive qualità. |
4.3.10 |
Il Comitato ritiene quindi che le istituzioni europee debbano valutare più correttamente il ruolo specifico delle soluzioni spaziali per non perdere l'iniziativa in questo importante settore della politica spaziale. A tal fine sarebbe utile promuovere operazioni pilota sulla base di iniziative concertate tra l'ESA e la Commissione allo scopo di dimostrare i vantaggi del satellite in termini di costi/benefici rispetto agli investimenti eventualmente necessari per collegare via cavo le zone non coperte. Sarebbe ugualmente opportuno promuovere il raggruppamento delle gare d'appalto pubbliche in modo da consentire al satellite che offre una copertura europea di beneficiare di una economia di scala, incentivando così una riduzione dei costi relativi ai terminali e all'offerta di servizi e favorendo al tempo stesso la definizione di uno standard europeo unico che consentirebbe alle imprese interessate di acquisire una posizione a livello mondiale. |
4.3.11 |
Il ruolo di una politica spaziale non è quello di promuovere se stessa ad ogni costo, ma di evitare che lo sviluppo delle soluzioni spaziali venga trascurato a scapito degli interessi di alcuni utenti o di alcune regioni e delle rispettive popolazioni. |
4.4 Lo spazio come contributo alla PESC e alla PESD, lo sviluppo dei partenariati internazionali, l'indipendenza strategica e le capacità comuni per azioni comuni
4.4.1 |
Pur non avendo osservazioni di rilievo da formulare al riguardo, il Comitato tiene tuttavia a sottolineare che, essendo lo spazio percepito dai principali partner dell'Europa come un importante oggetto di potere (nel 2004 l'amministratore della NASA Sean O'KEEFE presenterà una nuova tabella di marcia improntata alla riconquista americana dello spazio), la cooperazione internazionale deve fondarsi su un approccio realista degli interessi europei. |
4.4.2 |
Il Comitato ribadisce quindi che, dato che per garantire l'autonomia dell'Europa è indispensabile un libero accesso allo spazio, non ottenibile con un approccio commerciale, occorre destinare fondi pubblici al mantenimento di questa libertà di accesso di importanza strategica primaria. |
4.4.3 |
Per quanto riguarda la politica europea di sicurezza e di difesa (PESD), il Comitato ricorda che nella relazione della Presidenza sui progressi compiuti in materia, approvata dal Consiglio europeo di Salonicco del 19 e 20 giugno 2003, si riconosce l'importanza delle applicazioni e delle funzioni spaziali in questo campo. A tale proposito, il Comitato sottolinea che le scienze e le tecnologie spaziali presentano un carattere duale che in Europa non viene sfruttato a sufficienza. |
4.4.4 |
Quanto ai voli spaziali, è opportuno valutare attentamente un'eventuale revisione della politica spaziale americana in materia. |
4.4.5 |
Il Comitato auspica il mantenimento di questo tipo di azioni per dei motivi che sono legati, da una parte, alla sete di avventura e di scoperta radicata nella natura umana e, dall'altra, al bisogno di simboli atti a suscitare l'interesse e l'adesione dell'opinione pubblica. È opportuno pertanto mettere a punto programmi realistici che, pur fondati sulla cooperazione mondiale, preservino debitamente gli interessi europei. |
4.4.6 |
A tale proposito, l'idea di una base lunare meriterebbe probabilmente di essere presa sul serio tenendo conto, per quanto possibile, degli interessi europei. |
4.5 Rafforzare l'eccellenza europea nelle scienze spaziali
4.5.1 |
Il Comitato ricorda che grazie all'ESA, le agenzie nazionali, gli istituti di ricerca e le imprese spaziali, l'Europa ha conquistato una posizione di eccellenza scientifica riconosciuta in tutto il mondo nonostante, come sottolinea la Commissione, i rigidi vincoli di bilancio che hanno imposto prestazioni all'insegna dell'efficacia e della competitività - un elemento, questo, che il Comitato accoglie con favore. |
4.5.2 |
A maggior ragione, il Comitato appoggia quindi la proposta del Libro bianco di aumentare progressivamente i fondi destinati dall'ESA e dagli Stati membri alla ricerca spaziale al fine di svilupparla maggiormente, ma anche di evitare una frammentazione delle capacità di ricerca europee e di offrire ai giovani scienziati possibilità di carriera allettanti; in caso contrario, si accentua il rischio di una fuga di cervelli verso gli Stati Uniti. |
4.5.3 |
Il Comitato ritiene che sarebbe auspicabile orientare la ricerca spaziale in ugual misura verso le scienze della terra e verso quelle dell'universo. Rispetto a queste ultime, le scienze della terra hanno la prerogativa di essere inscindibili da applicazioni concrete (meteorologia, sorveglianza, gestione ambientale, ecc.). Queste due branche della scienza vanno pertanto distinte, senza però che una risulti privilegiata rispetto all'altra. |
4.6 Instaurare un nuovo approccio per la governance delle attività spaziali
4.6.1 |
In questa fase, il Libro bianco può offrire solo degli spunti di riflessione, soprattutto per quanto riguarda l'organizzazione delle responsabilità delle attività spaziali in seno alla Commissione. |
4.6.2 |
La decisione unanime di dotare l'Unione di una competenza condivisa in materia di politica spaziale non è stata affatto rimessa in discussione nonostante il fallimento della Conferenza intergovernativa. Tuttavia, la mancanza di una base giuridica solida per l'azione comunitaria in campo spaziale può solo invitare a una certa prudenza. |
4.6.3 |
Tuttavia, riguardo all'organizzazione interna della Commissione, il Comitato desidera segnalare che, a suo avviso, vanno evitati due scogli:
|
4.6.4 |
Il Comitato crede che la creazione di un organismo di riferimento di piccole dimensioni, alle dipendenze di un servizio d'alto livello della Commissione, ad esempio la Presidenza, possa rappresentare una soluzione adeguata. |
4.6.5 |
La Commissione dovrà ovviamente disporre di risorse proprie, che si aggiungerebbero a quelle che gli Stati membri stanziano a favore dell'ESA e delle agenzie nazionali. Se si vuole realmente sviluppare l'attività spaziale dell'Unione, il «gioco» non può essere a costo zero. |
4.7 Allegato 2: valutazione delle risorse
4.7.1 |
Il Libro bianco prevede tre scenari di finanziamento:
|
4.7.2 |
Per l'Unione, l'attività spaziale è di importanza strategica fondamentale; le sue ripercussioni a livello scientifico, tecnologico, economico ed umano sono considerevoli. Essa si inserisce dunque a pieno titolo nella strategia di Lisbona e rende necessario dotarsi di mezzi commisurati alle ambizioni espresse al riguardo. Date le circostanze, è chiaro che il Comitato può soltanto opporsi con forza allo scenario C e considerare lo scenario B come l'ipotesi di lavoro minima, nella speranza di avvicinarsi il più possibile allo scenario A. |
4.7.2.1 |
Da alcune parti ci si chiede se sia possibile non tener conto, tra i requisiti imposti dal patto di stabilità, delle spese strategiche d'investimento in settori come la politica spaziale, allo scopo di non gravare il futuro con restrizioni di bilancio che interesserebbero non tanto le spese di funzionamento quanto piuttosto quelle d'investimento. |
4.7.3 |
È altresì chiaro che nessun ostacolo dovrebbe opporsi alla realizzazione di cooperazioni rafforzate in campo spaziale. Bisogna tuttavia riconoscere che il quadro offerto dal Trattato di Nizza è in tal senso scarsamente favorevole. |
5. Conclusioni
5.1 |
Il Comitato considera il Libro bianco come un documento di qualità che possiede il grande merito di esprimere con forza e in maniera sintetica la volontà politica dell'Unione in campo spaziale. |
5.2 |
Il Comitato si rammarica tuttavia della scarsa portata del capitolo sul divario digitale e le tecnologie a banda larga e chiede pertanto che questo venga riesaminato e arricchito vista la complementarità esistente tra soluzioni spaziali e terrestri. |
5.3 |
Il Comitato ribadisce la grande importanza strategica delle attività spaziali per l'Unione. Chiede che l'approccio politico dell'Unione, specie in materia di cooperazione internazionale, si basi su una visione realista e non ingenua, tanto più che le tecnologie cui ricorrono le attività spaziali hanno un carattere duale (civile e militare). |
5.4 |
Il Comitato insiste sul fatto che questo settore d'attività, che è stato ristrutturato e ha compiuto i passi necessari per far fronte alla concorrenza internazionale, impiega in via diretta 30 000 dipendenti per lo più altamente qualificati: di qui la necessità di mantenere e arricchire questo formidabile potenziale umano che ha permesso all'Europa di acquisire una posizione di eccellenza nel settore. Il Comitato sottolinea in particolare che occorre rivolgere la più grande attenzione alla formazione sia iniziale sia permanente in un settore caratterizzato da alte tecnologie che si evolvono di pari passo con la ricerca scientifica. |
5.5 |
Nonostante il fallimento della Conferenza intergovernativa, il Comitato raccomanda all'Unione di proseguire convinta, nell'ambito dell'accordo-quadro tra l'ESA e la Commissione, la sua azione volta a strutturare e a incentivare la domanda e le iniziative spaziali, senza replicare i programmi degli Stati membri, delle loro agenzie e dell'ESA, né ostacolare le cooperazioni rafforzate o i partenariati forti tra alcuni Stati membri. Raccomanda inoltre di, per così dire, agganciare la politica spaziale europea a un organo comunitario ad alto livello. |
5.6 |
Il Comitato chiede con vigore che lo sforzo di bilancio per la politica spaziale corrisponda almeno allo scenario B descritto nell'allegato 2 e che si eviti qualsiasi fenomeno di «vasi comunicanti», che vedrebbe gli Stati membri ridurre i loro contributi man mano che aumentano le risorse stanziate dall'Unione. |
5.7 |
In virtù delle sfide umane, scientifiche e strategiche che comporta, la politica spaziale rappresenta quanto c'è di più forte nell'avventura umana. Grazie ad essa, in un contesto geopolitico in cui si affermano altre grandi potenze continentali, l'Europa si trova nuovamente di fronte a un appuntamento con la storia, che non deve assolutamente mancare. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/14 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Inquadrare in modo coerente le attività in campo aerospaziale – Una risposta al rapporto STAR 21
(COM(2003) 600 def.)
(2004/C 112/04)
La Commissione europea, in data 13 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità (100 voti espressi).
1. Introduzione
1.1 |
Il documento della Commissione è innanzi tutto una risposta al rapporto del gruppo consultivo «Eurospazio» intitolato «STAR 21: Analisi strategica dell'industria aerospaziale per il 21o secolo» di cui in effetti riprende le conclusioni. |
1.2 |
La riflessione della Commissione si basa sulle conclusioni dei Consigli europei di Colonia, Lisbona, Barcellona e Salonicco. |
1.3 |
La Commissione ricorda che l'industria aerospaziale ha un'importanza fondamentale ai fini del conseguimento degli obiettivi economici e strategici fissati dall'Unione europea. Si tratta infatti di un settore caratterizzato da un'alta concentrazione di tecnologie e capacità professionali di punta, che opera nel campo sia civile che militare. |
1.4 |
Qual è dunque la situazione del settore nell'Unione europea? |
1.4.1 |
L'industria aerospaziale è un'attività ciclica soggetta a fluttuazioni. In effetti, nel settore civile, il mercato dipende dai programmi d'acquisto delle aerolinee, i quali possono risentire di avvenimenti esterni suscettibili di perturbare gravemente l'attività, ad esempio le azioni terroristiche. |
1.4.1.1 |
Nel campo della difesa, il settore è condizionato dalle scelte di bilancio e dalle politiche di acquisto dei governi, le quali a loro volta dipendono da fattori geostrategici. |
1.4.1.2 |
La fabbricazione dei velivoli civili di grandi dimensioni, sostenuta dalla competitività dell'Airbus, è e resterà un elemento d'importanza fondamentale per lo sviluppo dell'industria aerospaziale. |
1.4.1.3 |
Il settore della difesa è invece caratterizzato da una maggiore incertezza dato che il numero di nuovi programmi è limitato. Tuttavia, sul mercato degli elicotteri l'industria aerospaziale europea mantiene la sua forza e vanta una notevole presenza. |
1.4.1.4 |
L'incertezza del mercato europeo, la laboriosità e la complessità del processo decisionale nel campo della difesa influiscono sul settore e inducono le imprese europee a concentrarsi sul mercato statunitense, più ampio e più stabile, nonostante le sue regole protezionistiche e le inadeguate garanzie di un ritorno in termini tecnologici. |
1.4.1.5 |
Il settore spaziale vive una fase difficile. Settore principalmente civile, ha molto risentito del calo della domanda delle telecomunicazioni ed è oramai soggetto ad una forte concorrenza nel campo dei vettori, un mercato protetto negli Stati Uniti e nel quale sono entrati nuovi attori a livello mondiale. L'aggiornamento dei programmi degli Stati Uniti e della NASA comporta un rilancio per l'Europa. |
1.4.1.6 |
Il settore aerospaziale è un settore a due facce, in cui le competenze e le tecniche possono avere applicazioni sia civili sia militari. Punti deboli del settore sono l'inadeguatezza e la frammentazione del mercato militare. |
1.4.2 I risultati del rapporto STAR 21
1.4.2.1 |
Il rapporto sottolinea l'importanza dei seguenti fattori:
|
1.4.2.2 |
Il rapporto insiste infine sulla necessità di rivedere le condizioni del mercato della difesa. |
1.4.3 L'iniziativa e le proposte della Commissione
1.4.3.1 |
La Commissione individua, per ciascun settore, alcune questioni giudicate d'importanza fondamentale. |
1.4.4 Difesa
1.4.4.1 |
La Commissione lamenta una frammentazione del mercato, riconducibile, da un lato, al fatto che la difesa è un'attività che rientra direttamente nell'ambito della sovranità nazionale e, dall'altro, alle caratteristiche proprie del settore (riservatezza, sicurezza dell'approvvigionamento, criteri politici nelle decisioni di acquisto). La Commissione sottolinea che l'Europa spende meno degli Stati Uniti per assicurare la propria difesa e che la già citata frammentazione del mercato non permette di valorizzare in modo ottimale gli investimenti consentiti. |
1.4.4.2 |
Per il futuro, la Commissione propone, da un lato, di combattere questa frammentazione della domanda, in quanto i programmi di un unico Stato membro fanno fatica a raggiungere livelli di produzione redditizi e, dall'altro, di armonizzare le esigenze in campo militare. La Commissione ritiene che l'istituzione di una «Agenzia europea per gli armamenti, la ricerca e le capacità militari», nel quadro di una politica europea di sicurezza e difesa, sia un'iniziativa utile per la creazione di un mercato sufficientemente importante e coerente per il mantenimento e lo sviluppo della nostra industria aerospaziale. Ciò rappresenta inoltre il presupposto per un dialogo credibile con gli USA. |
1.4.4.3 |
La Commissione ritiene inoltre che le iniziative prese dai ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia, Svezia, Spagna e Regno Unito potrebbero essere estese a tutta l'Unione europea. |
1.4.5 Spazio
1.4.5.1 |
La Commissione sottolinea la mancanza di una struttura a livello europeo o multinazionale che affronti le questioni legate ai programmi spaziali nel campo della sicurezza e della difesa. Questa mancanza si fa sentire in tutta la sua gravità soprattutto a causa della brusca e accentuata flessione del mercato commerciale civile. Si tratta di una conseguenza delle disposizioni del Trattato ESA che applica in modo rigido la convenzione sullo spazio, la quale ne proibisce l'uso a fini militari. In Europa, pertanto, contrariamente agli Stati Uniti, l'attività spaziale per scopi civili e commerciali non è corroborata da un'attività spaziale di difesa sostenuta a livello istituzionale e dunque libera dai rischi di mercato. La circostanza è deplorevole, soprattutto se si considera che le tecnologie spaziali possono essere destinate a due usi e quindi prevedere applicazioni sia civili sia militari. |
1.4.5.2 |
Per il futuro, la Commissione raccomanda di elaborare una politica europea globale e di operare un più efficace coordinamento onde far sì che il settore spaziale europeo conservi le capacità acquisite e la sua eccellenza tecnologica. |
1.4.6 Ricerca
1.4.6.1 |
La necessità di un migliore coordinamento della ricerca europea in campo aerospaziale è evidente. Nonostante le iniziative interessanti prese nel settore civile (ad esempio il Consiglio consultivo per la ricerca aeronautica in Europa), la situazione non risulta soddisfacente sul piano della difesa. |
1.4.6.2 |
Per il futuro, la Commissione reputa indispensabile mantenere la stabilità delle strutture di finanziamento dell'attività di ricerca nel lungo termine. Essa auspica inoltre l'elaborazione di un piano globale di ricerca e sviluppo ed una pianificazione dei programmi di ricerca. |
1.4.7 Regolamentazione europea dell'aviazione civile
1.4.7.1 |
La Commissione chiede di istituire e rendere operativa quanto prima un'Agenzia europea per la sicurezza aerea. Chiede inoltre di portare avanti i negoziati da entrambi i lati dell'Atlantico, soprattutto in materia di certificazioni. |
1.4.7.2 |
La Commissione auspica che le questioni relative alla sicurezza aerea vengano trattate a livello europeo e raccomanda una partecipazione attiva dell'Unione europea alle attività delle organizzazioni internazionali competenti. |
1.4.7.3 |
Chiede infine la creazione di un'interfaccia civile/militare per garantire un migliore impiego dello spazio aereo. |
1.4.8 L'accesso ai mercati
1.4.8.1 |
La Commissione sottolinea in particolare le questioni legate alle difficoltà commerciali con gli Stati Uniti in materia di prodotti per la difesa, a causa soprattutto delle restrizioni e del controllo delle esportazioni da parte degli USA. |
2. Osservazioni generali
2.1 |
Il rapporto STAR 21 e il documento della Commissione presentano una serie di osservazioni oggettive, sulle quali il Comitato è sostanzialmente d'accordo. È chiaro che le industrie aerospaziali appartengono ad un settore di punta ad alta competenza, in cui vengono sviluppate tecnologie avanzate che possono avere ripercussioni importanti in altri settori. Per questo motivo, esse svolgono un ruolo fondamentale nel consentire all'Unione europea di realizzare l'obiettivo della strategia di Lisbona: trasformare l'Unione europea nella «economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». |
2.2 |
Per quanto concerne l'industria aerospaziale nel campo della difesa, la frammentazione del mercato è dovuta al carattere specifico di questo settore, legato ad un'attività che rientra nell'ambito della sovranità nazionale come è la difesa, ossia l'eventualità di un conflitto armato. È dunque logico che gli Stati abbiano voluto garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e la segretezza delle tecnologie, facendo ricorso a società nazionali, spesso molto legate allo Stato. Attualmente tale segretezza è garantita da diversi accordi bilaterali e multilaterali. |
2.3 |
Questa visione si scontra con la logica di alleanza e con il fatto che gli elevati investimenti delle industrie di difesa risultano per nulla o difficilmente redditizi sui mercati nazionali, che ne costituiscono il principale sostegno, specie in un momento di restrizioni di bilancio. Inoltre è particolarmente difficile entrare in concorrenza, a livello internazionale, con le imprese americane, le quali beneficiano del sostegno di un mercato nazionale ampio e stabile. |
2.4 |
La Commissione presenta proposte interessanti per rimediare alla frammentazione del mercato ma sembra riporre eccessiva fiducia in strutture quali l'Agenzia europea per gli armamenti. Nel settore della difesa, che per sua stessa natura rientra nella sovranità nazionale, nulla è possibile se non attraverso l'affermazione di una volontà politica, la quale può esprimersi solo nel quadro di una politica internazionale dell'Europa che sia chiara e condivisa da tutti, cosa che attualmente non corrisponde alla realtà. Nel caso di un'attività di punta che necessita di competenze e di qualificazioni di altissimo livello, è inoltre opportuno fare in modo che la cooperazione prevista produca un valore aggiunto tecnologico e non determini un indebolimento delle competenze. |
2.5 |
Il CESE sottolinea che un recente accordo siglato tra Germania, Francia e Regno Unito in materia di difesa dovrebbe essere operativo nel 2005. A livello industriale, questo potrebbe presentare delle prospettive interessanti considerando che i tre mercati (tedesco, francese e britannico) raggiungerebbero, insieme, la dimensione critica necessaria per la nostra industria aeronautica militare. |
2.6 |
Per quanto concerne lo spazio, gli ultimi sviluppi (l'accordo quadro con l'Agenzia spaziale europea, le disposizioni del progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Unione europea che non hanno inciso sul fallimento della CIG) sembrano dare ragione alla Commissione e rispondere alle richieste avanzate dal CESE. L'essenziale è disporre di risorse finanziarie adeguate che consentano all'Unione europea e agli Stati membri di soddisfare le loro ambizioni spaziali. È questo il problema principale che emerge dal Libro bianco, un documento di qualità nonostante le evidenti lacune per quanto concerne le telecomunicazioni a banda larga. |
2.7 |
Le proposte della Commissione relative alla regolamentazione europea dell'aviazione civile sembrano giustificate sia a livello pratico sia sul piano della sicurezza e della coerenza. Quanto proposto, inoltre, può solamente rafforzare la posizione dell'Unione nei negoziati transatlantici. |
3. Osservazioni specifiche
3.1 L'industria aerospaziale nel campo della difesa
3.1.1 |
Il CESE rileva il divario esistente tra i risultati ottenuti dall'industria aeronautica civile europea con l'Airbus e l'importanza relativamente scarsa dell'industria aeronautica militare, dovuta al carattere frammentario del mercato. A suo parere, la situazione trae origine dal fatto che in Europa manca una concezione politica globale della difesa; ciò non fa che rafforzare il predominio degli Stati Uniti, i quali hanno saputo mettere a frutto gli accordi conclusi con diversi paesi a favore delle loro industrie, e pertanto hanno praticamente assoggettato il mercato mondiale. L'industria aerospaziale concentra le tecnologie maggiormente strategiche, le quali condizionano la futura crescita economica. Essa dunque rientra perfettamente nella strategia di Lisbona che tende a fare dell'Europa «l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». Inoltre una delle condizioni per l'indipendenza dell'Unione europea è l'autonomia tecnologica delle sue imprese operanti nel settore della difesa. |
3.1.2 |
Il Comitato sottolinea che in materia di aeronautica militare (come nel settore delle attività spaziali), gli Stati Uniti si avvalgono di diversi strumenti o concetti giuridici che costituiscono di fatto pratiche protezionistiche. Chiede dunque alla Commissione, incaricata della politica commerciale dell'Unione europea, di agire per combattere tali pratiche, in particolare nel quadro dell'OMC al fine di riequilibrare la bilancia commerciale UE in tale settore. |
3.1.3 |
Prende atto dell'accordo concluso tra Germania, Francia e Regno Unito nel settore della difesa, che rappresenta una evoluzione nell'approccio relativo alla difesa europea. Pur non essendo auspicabile la formazione di una Unione europea separata, è opportuno non creare ostacoli ad iniziative che possono avere un effetto trainante. |
3.2 Spazio
3.2.1 |
Per il CESE, le proposte del Libro bianco rispondono alle raccomandazioni del rapporto STAR 21 e vanno anche ben oltre tali preoccupazioni. Il Comitato sottolinea nuovamente l'importanza strategica fondamentale delle attività spaziali per l'Unione europea e chiede che l'approccio politico dell'Unione in materia di cooperazione e di relazioni internazionali si basi su una visione oggettiva dei suoi interessi. |
3.2.2 |
Ricorda che il settore dà lavoro a 30 000 persone altamente qualificate e che è assolutamente necessario mantenere e rafforzare questo notevole potenziale di risorse umane. |
3.2.3 |
Dopo il fallimento della CIG e in attesa di un Trattato europeo che riconosca all'Unione competenze in ambito spaziale, il Comitato raccomanda alla Commissione di sviluppare al massimo le potenzialità dell'accordo quadro concluso con l'ESA. |
3.2.4 |
Chiede infine che la dotazione di bilancio concessa alla politica spaziale corrisponda come minimo allo scenario B «Atto politico» dell'allegato al Libro bianco. |
3.3 Regolamentazione europea dell'aviazione civile
3.3.1 |
Il Comitato concorda pienamente con la richiesta di creare quanto prima un'Agenzia europea per la sicurezza dell'aviazione e condivide la volontà di ottenere il più rapidamente possibile il riconoscimento reciproco delle certificazioni emesse dalle autorità regolamentari di entrambi i lati dell'Atlantico. |
3.3.2 |
Auspica inoltre che vengano promosse in maniera efficace norme europee in materia di sicurezza aerea, in quanto fattore di competitività dell'industria aerospaziale europea. Per tale motivo reputa necessaria la partecipazione attiva dell'Unione europea alle organizzazioni internazionali competenti in materia. |
4. Conclusioni
4.1 |
Per il Comitato economico e sociale europeo, la comunicazione della Commissione sul rapporto STAR 21 richiama giustamente l'attenzione sulle carenze dell'attività aerospaziale militare in Europa. Ritiene tuttavia che la Commissione attribuisca eccessiva importanza agli aspetti istituzionali del problema e reputa essenziale che l'Europa dia prova di un'autentica volontà politica di difesa autonoma a livello comunitario. Solo così si potrà dare alle nostre industrie una solida base. |
4.2 |
In campo spaziale, il Comitato fa osservare che il Libro bianco elaborato dalla Commissione risponde perfettamente alle richieste formulate nel rapporto STAR 21 e ritiene che l'accordo quadro Commissione/ESA e gli orientamenti politici definiti nel Libro bianco dovrebbero consentire di dare un nuovo impulso alle ambizioni europee in questo settore. |
4.3 |
Il Comitato ricorda che l'industria spaziale europea dà da vivere a milioni di cittadini e fa ricorso a personale altamente qualificato, in grado di dominare le tecnologie attualmente più avanzate. Pertanto, onde evitare che l'obiettivo di trasformare l'Europa nella «economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo» rimanga solo una formula fine a sé stessa, gli Stati membri devono trarre le dovute conseguenze definendo politiche europee ambiziose in materia di armamenti e di attività spaziali, coordinate e armonizzate a livello europeo, in modo da far sì che il nostro continente possa nuovamente occupare il posto che gli spetta nella nuova organizzazione mondiale. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/18 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'impiego di sistemi di protezione frontale sui veicoli a motore e recante modifica della direttiva 70/156/CEE del Consiglio
(COM(2003) 586 def. - 2003/0226 (COD))
(2004/C 112/05)
Il Consiglio, in data 22 ottobre 2003, ha deciso, in conformità con il disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'impiego di sistemi di protezione frontale sui veicoli a motore e recante modifica della direttiva 70/156/CEE del Consiglio
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.
Il Comitato economico sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.
1. Introduzione
1.1 |
L'obiettivo prioritario per le istituzioni comunitarie e le autorità nazionali, di aumentare la sicurezza della circolazione stradale richiede, tra l'altro, interventi progressivi su tutti gli aspetti costruttivi degli autoveicoli atti a ridurre il numero e le conseguenze degli incidenti. |
1.2 |
Un'attenzione particolare in tale ambito è giustamente dedicata alla protezione degli utenti della strada più deboli e vulnerabili in caso di collisione con autoveicoli. Come indicato nel Programma d'azione europeo sulla sicurezza stradale presentato recentemente dalla Commissione, «la realizzazione di parti anteriori di automobili meno pericolose per i pedoni e i ciclisti è una priorità d'azione dell'Unione europea». |
1.3 |
In effetti, le statistiche sull'incidentalità stradale evidenziano una quota rilevante di incidenti che coinvolgono pedoni e ciclisti nell'urto con veicoli in movimento ed in particolare con le strutture frontali delle autovetture. Le rilevazioni più recenti elaborate da CARE (1) forniscono i seguenti dati sui decessi che hanno riguardato le categorie più vulnerabili: pedoni 4 571; ciclisti 1 444. Purtroppo questi dati non forniscono dettagli sulla dinamica dell'impatto. |
1.3.1 |
È, infatti, opportuno rammentare che in questo tipo di collisione le lesioni hanno due origini: quelle che derivano dall'impatto «primario» del pedone o ciclista contro la parte frontale del veicolo e quelle che originano dall'impatto «secondario» con la sede stradale verso cui è spesso proiettato il pedone.Va in ogni caso rilevato che è illusorio sperare di proteggere il pedone se l'impatto primario avviene ad una velocità superiore a 40 km/h. È possibile per contro ridurre le conseguenze dell'impatto primario sotto a tale velocità, e quindi nel convulso traffico urbano dove avviene quasi la metà degli incidenti. |
1.3.2 |
La presente proposta di modifica della direttiva 70/156/CEE (2), vale a dire l'atto che rappresenta la base dell'omologazione dei veicoli e loro rimorchi in quanto ne disciplina e uniforma le procedure, prende spunto dall'impegno assunto nel 2001 dalle Associazioni dei costruttori di automobili europei, giapponesi e coreani (rispettivamente ACEA, JAMA e KAMA) a non installare, a partire dal 1o gennaio 2002, paraurti tubolari rigidi (detti anche «rigid bull bars», normalmente in acciaio) come equipaggiamento originale delle nuove autovetture e a non venderli come accessori nella propria rete commerciale. Va tuttavia ricordato che tali apparati sono stati concepiti all'origine per garantire una maggiore sicurezza ad automezzi utilizzati da professionisti (agricoltori, forestali ecc.) in «zone ostili» e/o con presenza di animali. |
1.4 |
La proposta si è resa peraltro necessaria per tre motivi:
|
1.5 |
La proposta è intesa a dettare le norme tecnico-costruttive dei sistemi di protezione frontale (paraurti tubolari) per i veicoli M1 e N1, vale a dire per le autovetture e per i veicoli trasporto merci di massa totale autorizzata fino a 3,5 tonnellate: essa costituisce dunque una delle direttive particolari previste nell'ambito della procedura di omologazione istituita dalla direttiva 70/156. |
1.6 |
La proposta si ricollega inoltre alla direttiva 2003/102/CE del 17 novembre 2003 (3) relativa alla protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili in caso di urto con un veicolo a motore. La sua presentazione è stata in particolare resa necessaria dal fatto che quest'ultima direttiva non prevedeva norme specifiche per i sistemi di protezione frontale (ossia i paraurti tubolari, o «bull bars»). |
1.7 |
Sulla suddetta direttiva 2003/102/CE il Comitato si è già espresso con il parere del 16 luglio 2003 (4). In tale parere il CESE approvava e sosteneva l'azione della Commissione a favore della protezione dei pedoni, rilevando tuttavia che questa va inquadrata nel più ampio contesto delle azioni intraprese a livello comunitario in materia di sicurezza stradale, ponendo altresì l'accento sulla necessità di una politica globale di prevenzione. |
1.8 |
Anche sulle altre proposte legislative concernenti la sicurezza stradale (come ad esempio quella riguardante i sistemi di ritenuta e le cinture di sicurezza o quella relativa all'estensione a quasi tutti i veicoli del montaggio obbligatorio dei limitatori di velocità) (5), il Comitato si è recentemente già pronunciato, così come sul Programma di azione europeo per la sicurezza stradale, ribadendo sempre l'importanza di sviluppare insieme i tre fattori decisivi per la sicurezza: veicoli, infrastrutture e comportamento degli utenti. |
2. Osservazioni generali
2.1 |
Il Comitato esprime la sua soddisfazione per questa ulteriore iniziativa della Commissione, che contribuisce a rendere ancora più completo il quadro delle norme volte a migliorare la sicurezza della circolazione, colmando un vuoto legislativo. |
2.2 |
Riconosciuta l'opportunità dell'iniziativa, il Comitato è però costretto ad esprimere alcune forti perplessità sul modo in cui la Commissione ha impostato la proposta di direttiva in esame. |
2.2.1 |
Alla riconosciuta pericolosità dei sistemi di protezione frontale rigidi ed al conseguente impegno delle case costruttrici di non produrre né commercializzare tali dispositivi, la Commissione dà una soluzione tecnica ed omologativa. Non definisce cioè il rigido e il non rigido, ma detta caratteristiche tecnico/omologative il cui rispetto di per sé definisce il sistema di protezione frontale sicuro, cioè non rigido. |
2.2.2 |
La proposta, così come attualmente formulata, crea invece complicazioni inattese e probabilmente irrisolvibili per le aziende produttrici, prescrivendo per i bull bars il superamento di test differenti da quelli già previsti per il veicolo base nella prima fase di attuazione della direttiva 2003/102/CE. |
2.3 |
Non bisogna infatti dimenticare il lavoro fin qui svolto sul tema della protezione dei pedoni. Tale lavoro ha consentito, prima con l'accordo negoziato con le Associazioni dei costruttori e poi con la citata direttiva 2003/102/CE, di stabilire alcuni punti fermi che rappresentano lo «stato dell'arte» del progresso tecnico in materia e sui quali la proposta in esame dovrebbe quindi logicamente incardinarsi. |
2.3.1 |
La direttiva 2003/102/CE (all. I pag. 1) aveva stabilito i test (prove d'urto) per le «superfici frontali» (che comprendono i sistemi di protezione frontale) che i veicoli devono superare per ottenere l'omologazione. Nella proposta in esame, invece, la Commissione prefigura (art. 4) delle prescrizioni tecniche per prove d'urto specifiche per i bull bars, non in linea con quanto previsto nella prima fase della suddetta, e pur recente, direttiva. Al Comitato non risulta comprensibile la necessità di questa revisione in quanto:
|
2.4 |
Il Comitato sostiene pertanto la necessità di allineare le prescrizioni della proposta in esame a quelle definite dalla direttiva 2003/102/CE e precisate nel capitolo che segue. |
2.5 |
In caso contrario appare fondato il timore che gli attuali costruttori di bull bars siano costretti a cessare la loro attività, non essendo in grado di sviluppare da subito delle unità tecniche in grado di superare le prove vincolanti previste dalla attuale proposta. |
3. Osservazioni particolari
Coerentemente con tutto quanto più sopra posto in evidenza, il Comitato invita la Commissione a:
3.1 |
vigilare sugli Stati membri affinché venga sempre verificato l'abbinamento del sistema di protezione frontale con il veicolo per il quale è stato omologato. Ciò al fine di evitare ogni possibile fonte di pericolosità. |
3.2 |
Rivedere l'articolo 3.3 della proposta - Il Comitato invita a sostituire la data del 1o luglio 2005 con quella del 1o ottobre 2005. È opportuno, infatti, come già ricordato, un allineamento ed una correlazione stretti con la direttiva 2003/102/CE. |
3.3 |
Rivedere l'articolo 4.1 e allegato 1, parte 3 della proposta (Prescrizioni relative alle prove) - Il Comitato rileva che non è necessario né opportuno definire disposizioni tecniche dettagliate e tempistiche diverse da quelle previste nella prima fase di attuazione della direttiva 2003/102/CE. Dal momento che non è il sistema frontale di protezione che deve essere sottoposto a prova in quanto tale, ma la parte frontale del veicolo (con incorporato il suddetto sistema o qualunque altro componente) non è corretto prevedere una diversa configurazione delle prove. La proposta, ad esempio, rende vincolante ai fini dell'omologazione il superamento della prova di «urto della coscia» che, nella direttiva 2003/102/CE, viene effettuata unicamente a fini di monitoraggio e quindi di raccolta dati. |
4. Conclusioni
4.1 |
Il Comitato si augura che la proposta di direttiva venga adottata quanto prima, recependo le modifiche suggerite dal Comitato stesso che la riportano nella logica del miglioramento possibile della protezione frontale dei veicoli, già prevista e approvata dalla recente direttiva sulla protezione dei pedoni. |
4.2 |
Nel caso in cui tali modifiche non vengano accolte, il Comitato teme che si finirebbe per realizzare una legislazione di tipo «proibizionistico» che porterebbe all'arresto della produzione di bull bars e magari all'avvio di un mercato difficilmente controllabile. |
4.3 |
Su un piano più generale, il Comitato auspica da parte della Commissione una strategia che definisca con chiarezza le priorità degli interventi normativi ed eviti situazioni di contraddittorietà tra gli obiettivi da raggiungere. In questo contesto ricorda che per individuare le diverse opzioni ci si dovrebbe sempre basare sulle «valutazioni d'impatto globale» delle nuove norme, in modo da poter tenere nel debito conto, tra gli altri fattori, anche i costi a carico dei costruttori e quindi la competitività internazionale dell'industria europea. |
4.4 |
Il Comitato rileva inoltre la necessità di una ristrutturazione del complesso quadro legislativo relativo ai veicoli a motore, il quale conta, per il solo sistema di omologazione delle autovetture, ben 170 direttive che occupano circa 3 500 pagine di Gazzetta ufficiale. |
4.5 |
Il Comitato sottolinea anche la necessità che tutte le soluzioni concernenti la sicurezza siano vagliate attentamente da un punto di vista tecnico, mediante un'ampia consultazione con l'industria e tutte le parti interessate, nell'intento di individuare le soluzioni più avanzate ed affidabili ma anche più efficaci ed efficienti dal punto di vista economico. |
4.6 |
Il Comitato conformemente a quanto ricordato al punto 1.8 chiede infine che un'attenzione sempre maggiore venga dedicata, ai fini dell'incremento della sicurezza stradale, anche all'educazione e sensibilizzazione di pedoni e ciclisti. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Community Road Accident Data base: raccoglie ed elabora i dati sugli incidenti stradali forniti dagli Stati membri.
(3) In GU L 321 del 6.12.2003.
(4) Relatore LEVAUX, in GU C 234 del 30.9.2003.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/21 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 73/239/CEE, 85/611/CEE, 91/675/CEE, 93/6/CEE e 94/19/CE del Consiglio e le direttive 2000/12/CE, 2002/83/CE e 2002/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di istituire una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari
(COM(2003) 659 def. – 2003/0263 (COD))
(2004/C 112/06)
Il Consiglio, in data 18 novembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FUSCO.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 95 voti favorevoli e 2 astensioni.
1 Sintesi della proposta della Commissione
1.1. Contesto e obiettivi
1.1.1 |
Nel 1999, la Commissione ha adottato un piano d'azione in materia di servizi finanziari (1) che individuava una serie di misure necessarie per la creazione di un mercato finanziario europeo unico. In occasione del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, i capi di Stato e di governo hanno sollecitato l'attuazione integrale di tale piano di azione entro il 2005. |
1.1.2 |
Il 17 luglio 2000 il Consiglio ha nominato un comitato di saggi per la regolamentazione dei mercati europei dei valori mobiliari. Nella relazione finale presentata nel febbraio 2001, il comitato di saggi raccomandava l'introduzione di una regolamentazione di tali mercati articolata su quattro livelli, affinché la normativa comunitaria in materia fosse improntata a una maggiore flessibilità, efficacia e trasparenza. |
1.1.3 |
In seguito a tale raccomandazione, la Commissione ha adottato le decisioni 2001/527/CE (2) e 2001/528/CE (3) che istituiscono rispettivamente il comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari e il comitato europeo dei valori mobiliari. |
1.1.4 |
Il 3 dicembre 2002, il Consiglio ha esortato la Commissione ad adottare disposizioni per i restanti settori dei servizi finanziari, basandosi sulla relazione finale del comitato dei saggi. |
1.1.5 |
A tal fine, la proposta in esame adatta ai settori bancario, assicurativo, pensionistico e dei fondi di investimento la struttura comitatologica definita nelle decisioni succitate. |
1.2. Elementi essenziali
1.2.1 |
La Commissione propone un sistema che prevede sia la creazione di nuovi comitati sia la soppressione di comitati già esistenti, configurando così una nuova struttura di regolamentazione dei servizi finanziari nell'Unione europea. |
1.2.2 |
È così che, per quanto riguarda l'attività degli enti creditizi, il comitato bancario europeo, istituito dalla Commissione europea con decisione del 5 novembre 2003 (4), assumerà la maggior parte delle funzioni del comitato consultivo bancario, che sarà soppresso (5). Ciò vuol dire che tale comitato eserciterà fondamentalmente funzioni consultive su richiesta della Commissione riguardo agli atti legislativi adottati dal Consiglio e dal Parlamento con procedura di codecisione, nonché funzioni di regolamentazione proprie della comitatologia. |
1.2.3 |
Dal canto suo, il comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria, istituito dalla Commissione europea con decisione del 5 novembre 2003 (6), rafforzerà la cooperazione in materia di vigilanza, promuoverà la convergenza delle pratiche di vigilanza degli Stati membri e l'applicazione uniforme della normativa comunitaria. Esso avrà inoltre il compito di assistere la Commissione, su richiesta della stessa, in merito alle questioni di politica legislativa bancaria. |
1.2.4 |
Nel settore assicurativo e delle pensioni aziendali o professionali, il comitato delle assicurazioni, istituito mediante la direttiva 91/675/CEE del Consiglio del 19 dicembre 1991 (7), sarà sostituito dal comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (8), il quale, su richiesta della Commissione, svolgerà essenzialmente funzioni consultive in materia di legislazione e funzioni di regolamentazione proprie della comitatologia. |
1.2.5 |
Per parte sua, l'istituzione del comitato delle autorità europee di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (9) promuoverà la convergenza delle pratiche di vigilanza degli Stati membri, migliorerà lo scambio di informazioni riservate sugli enti sottoposti a vigilanza e fornirà un'assistenza tecnica alla Commissione, in particolare nell'elaborazione delle misure di esecuzione che la Commissione proporrà. |
1.2.6 |
Infine, nel campo dei mercati dei valori mobiliari e conformemente con quanto disposto, tra altre normative pertinenti, dalla direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003, (10) le competenze del comitato di contatto sugli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (11) vengono trasferite a due diversi organismi. Le funzioni di comitatologia e di assistenza alla Commissione nell'elaborazione di atti legislativi vengono trasferite al comitato europeo dei valori mobiliari; (12) le funzioni consultive di assistenza nella preparazione delle misure di esecuzione della normativa pertinente in materia e quelle di promozione della cooperazione e dei contatti tra le autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari vengono invece conferite al comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (13). |
2. Osservazioni generali
2.1. |
L'ineludibile necessità di reagire rapidamente ed efficacemente ai progressi tecnologici e all'evoluzione dei mercati finanziari in un'economia globalizzata richiede una riforma dell'attuale dispositivo legislativo e comitatologico comunitario che disciplina detto settore. |
2.2 |
Pertanto, il Comitato economico e sociale europeo accoglie molto favorevolmente la proposta di direttiva in esame finalizzata a rendere coerente il quadro normativo finanziario europeo, adeguando il sistema decisionale ai principi di sussidiarietà, proporzionalità e disponibilità di risorse sufficienti. |
3. Osservazioni particolari
3.1. |
La proposta di direttiva in oggetto estende la struttura e le funzioni consultive e di regolamentazione dei comitati già esistenti nel campo dei mercati dei valori mobiliari anche ai settori bancario e assicurativo, ai settori delle pensioni aziendali o professionali e degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari. |
3.2 |
In relazione agli obiettivi e al contenuto della proposta in esame, il Comitato intende formulare osservazioni in merito a quattro elementi principali: la creazione e composizione di nuovi comitati, la diversa funzione consultiva loro attribuita, le funzioni di regolamentazione o di comitatologia conferite ad alcuni dei nuovi comitati e, infine, le funzioni di vigilanza e monitoraggio dell'applicazione della normativa comunitaria in materia. |
3.3 |
Ai tre comitati attualmente esistenti (il comitato consultivo bancario, il comitato delle assicurazioni e il comitato di contatto sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari) subentreranno quattro nuovi comitati: il comitato bancario europeo, il comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria, il comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali, il comitato delle autorità europee di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali. Secondo la Commissione, la creazione di questi quattro nuovi comitati permetterà di evitare i rischi di complessità e di duplicazione derivanti dalla sovrapposizione dei comitati già esistenti. |
3.4 |
Ciononostante e esprimendo semplicemente considerazioni di tipo quantitativo, si registra un raddoppio del numero di comitati rispetto a quelli già esistenti, allungando ulteriormente l'elenco dei comitati con l'inclusione del comitato per i servizi finanziari, istituito qualche mese prima di quelli ora proposti dalla Commissione e le cui funzioni sembrano a priori sovrapporsi a quelle di questi ultimi (14). Sebbene tale misura sia giustificata dai motivi di tecnica legislativa già illustrati, in linea di principio essa non è compatibile con le richieste di trasparenza e semplificazione relative a una sostanziale riduzione della galassia di comitati esistente nell'Unione europea (15). |
3.5 |
D'altro canto, relativamente alla composizione dei quattro nuovi comitati, il CESE giudica positivamente il fatto che nel comitato bancario europeo vi sia un unico rappresentante di alto livello per Stato membro invece del massimo di tre membri su cui possono attualmente contare le delegazioni nazionali nel comitato consultivo bancario; apprezza altresì il fatto che, mentre quest'ultimo è presieduto da un rappresentante di uno Stato membro, la presidenza del comitato bancario europeo sarà assunta da un rappresentante della Commissione. Ciò si deduce dalla lettura della relazione introduttiva, sebbene nessuna disposizione della proposta di direttiva faccia riferimento a tale aspetto. |
3.6 |
Non è tuttavia prevista la presenza di rappresentanti dei mercati dei valori mobiliari nei comitati responsabili per la loro regolamentazione. Dal momento che tutte le borse europee sono enti privati che agiscono sotto il controllo di autorità di regolamentazione pubbliche, andrebbe garantita la presenza, in veste di osservatori, di responsabili nazionali dei mercati dei valori. |
3.7 |
La proposta di direttiva in esame prevede inoltre una ridistribuzione e una separazione delle funzioni consultive conferite ai nuovi comitati, ispirandosi al modo in cui esse vengono esercitate attualmente dai comitati esistenti per i settori bancario, assicurativo e dell'investimento collettivo in valori mobiliari. |
3.8 |
Come già indicato anteriormente (punto 1.2), il comitato bancario europeo, il comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali e il comitato europeo dei valori mobiliari eserciteranno le funzioni consultive più rilevanti ai fini dell'elaborazione ed esecuzione della legislazione specifica per questi settori. |
3.9 |
In altri termini, i suddetti comitati eserciteranno le funzioni consultive relative al primo dei quattro livelli intorno ai quali si articola l'attuale struttura decisionale comunitaria in materia di valori mobiliari. |
3.10 |
Dal canto loro, il comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria, il comitato delle autorità europee di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali e il comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari svolgeranno le funzioni consultive finalizzate all'applicazione coerente ed esatta dell'intera normativa in materia – comprese le misure tecniche di esecuzione – e al miglioramento della cooperazione tra le autorità di vigilanza degli Stati membri. Eserciteranno quindi le funzioni consultive relative al terzo livello della struttura decisionale comunitaria succitata. |
3.11 |
In ogni caso, ai comitati non viene assegnata alcuna funzione consultiva diversa da quelle esistenti. A prescindere dai risultati che si otterranno con l'entrata in vigore del nuovo sistema consultivo, può essere utile una valutazione ex-ante a condizione che la qualità tecnica della normativa in questione venga migliorata e che il raddoppio del numero dei comitati non pregiudichi la flessibilità e la trasparenza dei procedimenti consultivi opportunamente lanciati dalla Commissione. |
3.12 |
Inoltre, il comitato bancario europeo, il comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali e il comitato europeo dei valori mobiliari eserciteranno le funzioni di regolamentazione o di comitatologia esclusivamente nei rispettivi ambiti di competenza. Anche in questo caso non è stata creata alcuna nuova procedura di comitato, né tanto meno sono state attribuite ai nuovi comitati funzioni diverse rispetto a quelle esercitate dai comitati esistenti. |
3.13 |
Tuttavia, il CESE ritiene necessario formulare alcune osservazioni al riguardo, dato che attualmente la comitatologia finanziaria è quasi un'incognita (16). Da un lato, in ordine alla procedura seguita nel processo decisionale, la comitatologia finanziaria è disciplinata dal disposto dell'articolo 5 della decisione 1999/468/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 (17) relativo alla procedura di regolamentazione. Com'è noto, questa procedura conferisce un diritto esclusivo di modifica al Consiglio (18) e un diritto di controllo al Parlamento europeo (19), dando un peso simile, ma non uguale, a entrambe le istituzioni nel caso in cui le loro prerogative fossero intaccate nell'ambito di una procedura di regolamentazione relativa a un atto normativo comunitario adottato con la procedura di codecisione (20). |
3.14 |
In relazione alla proposta di direttiva in esame, questa situazione deve essere considerata con una certa cautela visto che il Parlamento europeo, nella risoluzione del 5 febbraio 2002 sull'attuazione della legislazione nel quadro dei servizi finanziari (21), ha accettato l'articolazione della regolamentazione su quattro livelli raccomandata dal succitato comitato di saggi, a condizione di ricevere per quanto riguarda il 2o livello (procedure di comitato) un trattamento equivalente a quello garantito al Consiglio con la risoluzione del Consiglio europeo di Stoccolma (22). A tale proposito, il Comitato economico e sociale europeo esorta le istituzioni competenti a risolvere tempestivamente il conflitto sul controllo delle competenze di esecuzione. |
3.15 |
D'altro canto e in linea con l'osservazione precedente, colpisce il fatto che la proposta risulta in certa misura estranea al contesto generale in quanto difficilmente compatibile con alcune disposizioni contenute nella proposta di modifica dei Trattati comunitari, attualmente in fase di discussione. L'articolo 35 del progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa (23) prevederebbe infatti una revisione della procedura di regolamentazione, concedendo tanto al Parlamento europeo che al Consiglio del ministri il diritto di revocare la competenza delegata alla Commissione. |
3.16 |
L'allegato 8 della nota della Presidenza relativa al conclave ministeriale di Napoli sulla CIG 2003 (24), prevede una modifica dell'articolo III-77, paragrafo 6, del succitato progetto di Trattato, che risulta in conflitto con la proposta in oggetto sotto due aspetti. In primo luogo, la possibilità che una legge europea del Consiglio decida di attribuire alla Banca centrale europea compiti di vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione, pregiudicherebbe le funzioni consultive e di comitatologia del comitato bancario europeo, nonché le funzioni consultive del comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria (25). |
3.17 |
In secondo luogo tale modifica aprirebbe un nuovo conflitto con il Parlamento europeo in quanto stabilisce che il Consiglio può attribuire tali compiti alla BCE con una decisione all'unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, mentre il vigente articolo 105, paragrafo 6, del Trattato CE prevede che ciò sia possibile solo previo parere conforme del Parlamento europeo. Anche se le proposte della Commissione non sono tenute a far riferimento a progetti normativi che non hanno ancora forza di legge, le precedenti considerazioni sono frutto del lavoro obbligatoriamente prospettico che il Comitato deve svolgere nell'esercizio delle sue funzioni consultive. |
3.18 |
Il Comitato ritiene infine che le funzioni di vigilanza e monitoraggio dell'applicazione della normativa comunitaria in questo ambito permetteranno ai comitati di rafforzare l'attuale meccanismo mediante il quale la Commissione individua gli ostacoli presenti nei sistemi giuridici degli Stati membri e prende le misure adeguate alla loro eliminazione (26). |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) COM(1999) 232 def.
(4) GU L 3 del 7.1.2004. Il comitato è presieduto da un rappresentante della Commissione e composto di un rappresentante di alto livello per ogni Stato membro. Partecipano alle riunioni del comitato in qualità di osservatori il presidente del comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria e un rappresentante della Banca centrale europea.
(5) Articoli 57 e 59 della direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 20 marzo 2000, GU L 126 del 26.5.2000.
(6) GU L 3 del 7.1.2004. Il comitato è composto di rappresentanti di alto livello delle autorità nazionali pubbliche competenti per la vigilanza degli enti creditizi, delle banche centrali nazionali, di un rappresentante della Banca centrale europea e di uno della Commissione. Il comitato elegge il proprio presidente tra i rappresentanti delle autorità nazionali di vigilanza competenti.
(8) Decisione della Commissione del 5 novembre, GU L 3 del 7.1.2004. Il comitato è composto di rappresentanti di alto livello degli Stati membri ed è presieduto da un rappresentante della Commissione.
(9) Decisione della Commissione del 5 novembre, GU L 3 del 7.1.2004. Il comitato è composto di rappresentanti di alto livello delle autorità nazionali pubbliche competenti per la vigilanza sulle assicurazioni, le riassicurazioni e le pensioni aziendali o professionali. Il comitato è presieduto da un rappresentante degli Stati membri. Alle riunioni del comitato partecipa anche un rappresentante di alto livello della Commissione.
(11) Istituito dalla direttiva 85/611/CEE del Consiglio del 20 dicembre 1985, GU L 375 del 31.12.1985. Tale Comitato ha esercitato inizialmente funzioni consultive per coadiuvare la Commissione nell'applicazione della direttiva, agevolare una concertazione tra gli Stati membri e consigliare la Commissione sulle modifiche da apportare alla direttiva stessa e, nel caso di modifiche tecniche, esercitare le funzioni di comitato di comitatologia. A questo proposito, la direttiva 2001/108/CE (GU L 41 del 13.2.2002) ne aveva rafforzato le funzioni di comitatologia nel campo della regolamentazione tecnica degli investimenti degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari.
(12) Istituito mediante la decisione 2001/528/CE della Commissione europea (GU L 191 del 13.7.2001), modificata dalla decisione della Commissione europea del 5 novembre 2003 (GU L 3 del 7.1.2004).
(13) Istituito mediante la decisione 2001/527/CE della Commissione europea (GU L 191 del 13.7.2001), modificata dalla decisione della Commissione europea del 5 novembre 2003 (GU L 3 del 7.1.2004).
(14) Cfr. il punto 2 della decisione del Consiglio del 18 febbraio 2003, GU L 67 del 12.3.2003.
(15) Cfr. la risposta del commissario SCHREYER, a nome della Commissione, all'interrogazione scritta E-1070/01 di FERBER (GU L 318 E del 13.11.2001); cfr. anche la relazione sulla riforma del Consiglio di Jacques Poos, oggetto della risoluzione del Parlamento del 25.10.2001 (A5-0308/2001), in particolare la lettera M e il punto 13.
(16) Infatti, da quando riveste funzioni di comitatologia, ovvero dal 1989 (articolo 9 della direttiva 89/647/CEE del Consiglio relativa al coefficiente di solvibilità degli enti creditizi), il comitato consultivo bancario ha agito come comitato di comitatologia solo in quattro occasioni, mentre il comitato delle assicurazioni e il comitato di contatto sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari non hanno mai esercitato dette funzioni.
(18) Sinora la Commissione ha rinviato al Consiglio meno dello 0,25 % del totale degli atti adottati in base a questa procedura; cfr. punto 1.4 della relazione della Commissione sui lavori dei comitati nel 2002 (COM(2003) 530 def., GU C 223 E del 19.9.2003).
(19) Sinora, il Parlamento europeo non ha mai esercitato tale prerogativa; cfr. COM(2003) 530 def., GU C 223 E del 19.9.2003.
(20) Secondo la proposta COM (2002)719 def. dell'11.12.2002, tale anacronismo potrebbe essere risolto mediante una procedura congiunta di controllo tra Parlamento europeo e Consiglio. Sulla portata di tale proposta cfr. MOREIRO GONZÁLEZ, C.J: Änderungen des normativen Rahmens der Komitologie, ZEuS, 4, 2003, pagg. 561-588, pagg. 584, ss.
(21) Risoluzione A5-0011/2002.
(22) Nello stesso tempo, nella risoluzione B5-0578/2002, il Parlamento europeo subordina la propria approvazione di tale proposta a una riforma tempestiva della struttura istituzionale dei comitati del settore finanziario, chiedendo un chiaro impegno del Consiglio a modificare l'anacronismo legislativo sul controllo delle competenze di esecuzione esercitate dalla Commissione.
(23) Bruxelles, 18 luglio 2003, CONV 850/03.
(24) Bruxelles, 25 novembre 2003, CIG 52/03 ADD1, pag.12.
(25) Sebbene dal punto di vista amministrativo e teorico gli Stati membri abbiano assunto una posizione in gran parte favorevole a tale riguardo (cfr. DASSESSE, M. G. ISAAC, D.: Financial services in the Era of the Euro and E-Commerce: Does home country control work? - General Report, F.I.D.E., XX Congress, BIICL, Londra, 2003, ppag. 433-446, spec. punti 38-56, in occasione della riunione svoltasi a Oviedo il 12 e 13.4..2002), il Consiglio ECOFIN si è invece mostrato scettico su tale possibilità, soprattutto per l'opposizione manifesta delle delegazioni tedesca e britannica.
(26) Cfr. rispettivamente, la Diciottesima relazione annuale sul controllo dell'applicazione del diritto comunitario (2000), COM(2001) 309 def. e la Diciannovesima relazione annuale sul controllo dell'applicazione del diritto comunitario (2001), COM(2002) 324 def.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/25 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia e recante modifica della direttiva 92/42/CEE del Consiglio
(COM(2003) 453 def. - 2003/0172 (COD))
(2004/C 112/07)
Il Consiglio, in data 5 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 marzo 2004 sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.
1. Introduzione
1.1 |
Per «progettazione ecocompatibile» si intende l'incorporazione sistematica di considerazioni ambientali nella concezione dei prodotti allo scopo di ridurne l'eventuale impatto negativo sull'ambiente durante l'intero ciclo vitale. L'obiettivo è quello di sviluppare un quadro coerente che permetta tale tipo di progettazione dei prodotti, mantenendo però al contempo per essi standard competitivi di prezzo, performance e qualità, al fine di migliorarne la sostenibilità e la concorrenzialità sul mercato interno europeo e su quello globale. |
1.2 |
L'integrazione degli aspetti ambientali nelle caratteristiche dei prodotti sin dalla loro concezione si riallaccia, da un lato, agli sviluppi comunitari della politica integrata relativa ai prodotti (IPP) - specie per l'integrazione del concetto di «ciclo di vita» - su cui il Comitato ha già avuto modo di pronunciarsi (1) in connessione anche con il Sesto programma d'azione per l'ambiente (2)- e dall'altro, alle tre dimensioni - economica, sociale e ambientale - della sostenibilità dei prodotti che consumano energia, evidenziate nei Consigli europei di Cardiff e di Helsinki. |
1.3 |
Il nuovo quadro dovrebbe considerare, in un contesto di armonizzazione normativa tecnica (3), di nuovo approccio e di informazione preventiva (4), le direttive già esistenti in materia di requisiti minimi di rendimento energetico per varie tipologie di prodotti. |
1.4 Tra queste direttive, la cui esistenza è d'altronde stata sottolineata dalla Commissione, figurano la normativa comunitaria sulle caldaie ad acqua calda alimentate con combustibili liquidi o gassosi (5); quella sui frigoriferi e congelatori di uso domestico (6); quella sulle emissioni di rumore e sull'etichettatura del consumo di energia degli apparecchi domestici (7); quella sulle apparecchiature per ufficio (8); quella sugli alimentatori per lampade fluorescenti (9) e quella infine sugli apparecchi a gas. (10) Né va dimenticata la direttiva concernente il rendimento energetico nell'edilizia. (11)
1.4.1 |
La opportunità che tali direttive vengano «considerate come misure di esecuzione» della proposta di nuova normativa quadro in campo di consumo energetico durante l'uso dei prodotti, viene esplicitamente contemplata dalla Commissione, laddove afferma che «la legislazione comunitaria viene così consolidata e semplificata». |
1.5 |
Nel contesto di una «presa in considerazione dell'intero ciclo di vita dei prodotti che consumano energia», questi - oltre a essere sottoposti alla disciplina di gestione dei rifiuti (RAEE) (12) e alla normativa sull'impiego di sostanze pericolose (13), verrebbero assoggettati a ulteriori prescrizioni e controlli: la proposta della Commissione, infatti, è volta a «promuovere ulteriormente una progettazione atta ad agevolare il reimpiego e il riciclaggio dei prodotti, introducendo sistematicamente tali aspetti nelle fasi iniziali del processo di progettazione …». Inoltre, dal momento che le prestazioni ambientali di progettazione parziali o complessive di un prodotto troveranno specifiche minime obbligatorie: «sarà possibile considerare il consumo energetico nel corso dell'intero ciclo di vita del prodotto e non solo durante il suo impiego come avviene attualmente». |
1.6 |
Possono, poi, interagire con la disciplina per i prodotti che consumano energia misure complementari quali quelle di etichettatura volontaria previste dal sistema comunitario di marchio di qualità ecologica (14), quelle previste in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (IPPC) (15) e le norme sull'adesione volontaria al sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS) (16), così come quelle sull'etichettatura energetica delle apparecchiature elettriche che premiano il consumatore, sensibilizzandolo ad un consumo più contenuto e sicuro. |
1.7 |
A parere del Comitato, peraltro, la proposta di una «cornice» di semplificazione e di consolidamento della legislazione comunitaria dovrebbe preservare, da un lato uno sviluppo dell'Unione realmente sostenibile e competitivo a livello globale, e dall'altro i principi di responsabilità sociale dell'impresa e di libertà di scelta consapevole del cittadino-consumatore. |
2. La proposta della Commissione
2.1 |
L'obiettivo della proposta della Commissione è quello di definire un quadro coerente per l'integrazione delle caratteristiche ecologiche nella concezione e nello sviluppo dei prodotti che consumano energia nell'ambito del mercato interno europeo (17). La proposta ha lo scopo di porre in essere una direttiva quadro che - «fornendo la cornice adeguata entro cui trattare rapidamente le questioni ambientali emergenti» - permetta di considerare in modo coerente e completo le esigenze dell'ecoprogettazione al fine di:
|
2.2 |
Tale nuovo quadro, secondo la Commissione, non dovrebbe limitarsi agli aspetti di rendimento energetico, ma estendersi a tutti gli aspetti dell'impatto ambientale, specie in termini di emissioni (solide, gassose, sonore, elettromagnetiche, ecc. …) e basarsi sull'articolo 95 del Trattato CE che, meglio di altri articoli, permette di eliminare le barriere agli scambi e le distorsioni di concorrenza sul mercato interno. |
2.3 |
La direttiva quadro proposta avrebbe, comunque, un campo di applicazione vastissimo in quanto sarebbe, in linea di principio, applicabile a tutti i prodotti che utilizzano energia per svolgere le funzioni per le quali sono stati ideati. Dal campo di applicazione della proposta vengono esclusi i veicoli a motore, dato che essi sono già oggetto di un gran numero di misure sia regolamentari (sulla progettazione) che volontarie (accordi volontari sulle emissioni). Nella sua proposta, inoltre, la Commissione identifica i criteri per la selezione dei prodotti che potrebbero formare oggetto di future misure di esecuzione. |
2.4 |
Il campo d'applicazione, inoltre, copre anche le componenti dei prodotti che consumano energia e le parti da integrare in essi che sono immesse sul mercato sotto forma di pezzi distaccati destinati all'utilizzatore finale, le cui prestazioni ambientali possono essere valutate in modo indipendente. |
2.5 |
La proposta è completata da disposizioni riguardanti la dichiarazione di conformità, la marchiatura CE, la valutazione e la presunzione della conformità dei prodotti, le procedure di adozione e pubblicazione di norme tecniche armonizzate, le restrizioni all'immissione sul mercato, lo scambio di informazioni e la collaborazione tra Stati membri nonché le norme sanzionatorie da parte di questi ultimi. |
2.6 |
Secondo la Commissione, la proposta di direttiva quadro, pur senza ingenerare direttamente - vale a dire in assenza di misure esecutive - obblighi giuridici per i fabbricanti/importatori/rappresentanti, dovrebbe contribuire a integrare nella progettazione dei prodotti il concetto di «ciclo di vita», garantendo così spazi realizzativi a uno dei principi guida della politica integrata dei prodotti (IPP) dell'Unione. |
2.7 |
La proposta, infine, incoraggia le iniziative e gli accordi volontari che hanno riscosso un ampio e meritato successo in vari settori potenzialmente interessati dall'applicazione della direttiva proposta. Secondo la proposta, infatti, là dove i meccanismi di mercato o le legislazioni esistenti già operano positivamente non dovrebbero intervenire ulteriori misure di esecuzione. |
3. La situazione a livello europeo e internazionale
3.1 |
Esistono vari ostacoli all'applicazione della progettazione ecocompatibile, che sono stati rilevati a livello internazionale grazie alle inchieste realizzate presso le maggiori imprese mondiali della lista di «Fortune 500» (18). Da queste risulta che «il costo è stato classificato ad un livello significativamente più elevato di altri fattori», cosa che induce a pensare che l'aumento delle informazioni sull'ambiente e la sua tutela rappresenta un elemento critico. |
3.2 |
Del resto, l'esistenza (o assenza) di fonti informative è stata indicata - anche dalle più grandi imprese americane, giapponesi ed europee, come un fattore di grande rilevanza, così come importanti sono state giudicate dalla grande maggioranza degli intervistati (79 %) l'educazione e la formazione alla progettazione ecocompatibile sia all'interno che all'esterno dell'impresa, con la promozione di una vera e propria cultura in questo campo. |
3.3 |
Non è per contro stata rilevata una percezione chiara dei modelli di progettazione ecocompatibile: quei pochi che ne erano al corrente l'hanno collegata al sistema di gestione ambientale (Environmental Management System). Se da un lato è stata citata la carenza di personale esperto («environmentally literate product designers») e di qualificazioni adeguate, dall'altro non si sono evidenziate grandi differenze rispetto alle analisi del quinquennio precedente né mutamenti significativi nelle attività di progettazione ecocompatibile. |
3.4 |
Sul piano della normazione internazionale, la serie ISO 14000 è stata indicata come il primo risultato dell'Uruguay Round e del vertice di Rio del 1992 sulla protezione ambientale a livello mondiale. Peraltro, a livello dell'ISO, gli Stati Uniti sembrano maggiormente orientati, per quanto riguarda la progettazione ecocompatibile, verso l'adozione di linee guida piuttosto che verso norme vincolanti, contro le quali si sono d'altronde pronunciati di recente. |
3.5 |
Per quanto concerne l'Europa, gli studi comunitari (19) realizzati sembrano indicare una situazione fortemente differenziata:
|
3.6 |
Per quanto riguarda le piccole e medie imprese europee (20), viene rilevato quanto segue:
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4. Osservazioni
4.1 |
Il Comitato ha sempre considerato con favore l'impegno dell'Unione europea all'inserimento di una dimensione ambientale di risparmio ed efficienza energetica nelle politiche per le imprese e le loro produzioni, come parte integrante della strategia di competitività, che è, fra l'altro, al centro delle decisioni di Lisbona del 2000. Favorire un uso più intelligente dell'energia, attraverso una concezione che fin dall'origine la contempli nei propri prodotti, è per il Comitato un obiettivo pienamente condivisibile. |
4.2 |
Peraltro il Comitato ha sottolineato, in un proprio parere adottato a larghissima maggioranza (21) - ribadendo le preoccupazioni espresse più volte in precedenza (22) - «… la sottovalutazione del fatto che strumenti d'importanza fondamentale quali l'analisi del ciclo di vita di un prodotto - Life-Cycle Assessment (LCA) - e la progettazione ecologica dei prodotti (Eco-Design) richiedono grandi sforzi finanziari, manageriali e legislativi» nonché «la necessità di attivarsi maggiormente per promuovere misure di sostegno alla ricerca e all'innovazione appositamente concepite per le PMI, con riferimento specifico alla diffusione delle informazioni ed alla elaborazione di processi innovativi per sviluppare prodotti più ecologici». |
4.3 |
Il Comitato, quindi, vede favorevolmente l'obiettivo generale della Commissione di garantire coerenza e trasparenza alla legislazione comunitaria in materia e di evitare frammentazioni del mercato interno, come stabilito dal Trattato CE all'articolo 95, ma avanza talune preoccupazioni nei confronti dell'attuale proposta, sia in termini di contesto in cui questa si troverebbe ad operare, sia in termini di strumento giuridico prescelto (quello di legge delega), sia, infine, in termini di articolazione della proposta stessa. |
4.4 |
Secondo il Comitato, l'ampio contesto di normative comunitarie, in cui si inserisce la proposta, con lo scopo ambizioso di dare una coerenza organica alle molteplici direttive, verticali e non, interessate dall'iniziativa, meriterebbe, forse, di essere preventivamente consolidato. Esistono già direttive sui requisiti minimi di rendimento: una valutazione ambientale più integrata potrebbe dunque orientare meglio le imprese evitando di sottoporle ad un sistema di vincoli e di orientamenti, con il rischio di sovrapposizioni. |
4.5 |
Il Comitato riterrebbe opportuno procedere, quindi, ad una versione consolidata e semplificata delle regolamentazioni comunitarie che già vincolano i costruttori di prodotti - dove figurino anche sistemi di sostegno allo sviluppo di una cultura in materia, sia dal lato della domanda sia da quello dell'offerta e della progettazione, con interventi a supporto di banche dati delle buone prassi, diffusione dell'informazione e azioni di formazione appropriate alle diverse audience e ai diversi livelli tecnici di riferimento. |
4.6 |
A parere del Comitato, si dovrebbe privilegiare sia lo strumento delle linee-guida sulla progettazione ecocompatibile, sia l'instaurazione di piattaforme permanenti di dialogo e di consultazione obbligatoria tra Commissione, imprese, consumatori, costruttori e società civile. A questo fine si potrebbero, per esempio, inserire adeguati strumenti promozionali nell'attuale programma comunitario pluriennale: «Energia intelligente» e nella revisione a medio termine del Sesto programma quadro di RST dell'Unione, nonché la revisione degli interventi previsti nelle politiche strutturali e di coesione. |
4.7 |
Secondo il Comitato, nell'attuale situazione dello «stato dell'arte» sarebbe utile favorire la diffusione, di accordi volontari di settore e incentivare altri strumenti, che valorizzino gli attori economici e sociali, per favorire una cultura del cambiamento. È importante, a parere del Comitato, promuovere la responsabilità sociale dell'impresa e una consapevole politica del consumatore. |
4.8 |
Occorrerebbe anche valutare approfonditamente la piena rispondenza delle proposte della Commissione ai requisiti di proporzionalità, sussidiarietà e semplificazione burocratica-amministrativa, nonché le conseguenze che esse possono comportare in termini di abbattimento/aggravio di costi e miglioramento/peggioramento delle performance tecnico-economiche dei prodotti, in modo che si possa intervenire con politiche appropriate e coerenti e con misure fiscali e finanziarie di sostegno. |
4.9 |
Il Comitato avanza perplessità per quanto riguarda il contenuto della proposta in quanto, come sottolineato dalla Commissione stessa, essa «ha un campo di applicazione più ampio rispetto a qualsiasi altra legislazione comunitaria esistente in materia, in termini di prodotti contemplati». Per dare operatività al quadro proposto occorrerebbero misure di esecuzione, basate su criteri certi di valutazione d'impatto ambientale, nonché una serie definita di indicatori di prestazioni ambientali, per elaborare il profilo ecologico di un numero molto elevato di prodotti. Questo avverrebbe, peraltro, nell'ambito di una delega conferita alla Commissione stessa, con il solo intervento delle procedure di comitatologia. |
4.10 |
Per il Comitato, anche il ricorso a modelli fittizi di riferimento, per settori di prodotti, può sollevare preoccupazioni. A tal fine si utilizzerebbe il concetto di «stato dell'arte», inteso non come i più recenti risultati scientifici ottenuti, bensì come un «buon livello medio di prestazioni tecniche», rispettando un «ragionevole equilibrio» tra fattibilità industriale e attuali norme e pratiche. Il Comitato ritiene che occorrerebbe rispettare un equilibrio analogo anche a livello dei costi e benefici, per assicurare a tutte le fasce di consumo un rapporto qualità/prezzo commisurato alle proprie scelte e possibilità. |
4.11 |
Nella fissazione delle specifiche particolari, per la progettazione ecocompatibile, si farebbe ricorso, secondo la proposta, alla definizione di precisi metodi di misurazione, basati sull'uso normalizzato del prodotto, sulle sue prestazioni e sulle sue caratteristiche di maggior vantaggio o di confort per l'utente. A questo si dovrebbe però aggiungere, secondo il Comitato, anche un'analisi tecnico-economica di fattibilità delle soluzioni progettuali. Dato che gli indicatori necessari dovrebbero essere fissi e predeterminati, vi è il rischio di cristallizzare il progresso e l'innovazione tecnica e di mercato nonché di ingessare la competizione delle performance tecnologiche dei nuovi prodotti. |
4.12 |
Oltre ai riflessi delle suddette misure operative sulle imprese dei comparti produttivi interessati, occorrerebbe considerarne la piena applicabilità a tutti i prodotti, fabbricati nell'UE o in paesi terzi, ed estenderla alle componenti integrate nel prodotto. A parere del Comitato, i controlli sugli scambi esterni, effettuati dalle dogane dell'Unione, così come quelli nel mercato interno, potrebbero rivelarsi costosi, lenti e poco efficaci, a fronte di dinamiche globali accelerate. |
4.13 |
Il Comitato considera infatti indispensabile, da un lato garantire un uguale trattamento ai prodotti fabbricati nell'Unione e a quelli importati e, dall'altro introdurre adeguati meccanismi di controllo, per impedire che la stessa normativa abbia impatti differenti su differenti produttori. |
4.14 |
Parimenti, secondo il Comitato, occorre tener debito conto dei progressi realizzati a livello internazionale dagli standard/linee guida ISO, sull'integrazione delle considerazioni ambientali, nella progettazione dei prodotti che consumano energia. |
4.15 |
Il Comitato sottolinea con forza la situazione esistente a livello di PMI, situazione aggravata dalle forti disparità tra Stati membri e dal fatto che i settori ad alta concentrazione di PMI sono quelli dove più lento sarebbe il percorso verso il consenso all'adozione di misure volontarie. |
4.16 |
A parere del Comitato, dovrebbe prevalere, in generale e a maggior ragione per le PMI, il principio della proporzionalità e della reale pertinenza, nonché l'accertamento preventivo della percorribilità delle misure, accompagnato da un adeguato supporto finanziario e/o di incentivazione fiscale. Tutti questi elementi sono infatti essenziali per incoraggiare e sostenere l'applicazione concorrenziale dell'ecocompatibilità, l'informazione e l'accesso agevolato e tempestivo alle banche dati, la formazione dei tecnici e delle imprese, la diffusione dell'innovazione e il marketing tecnologico dei prodotti rinnovati. |
4.17 |
Il Comitato sottolinea infine l'esigenza imprescindibile di garantire il giusto equilibrio tra la necessità di requisiti minimi di tutela ambientale, la salvaguardia dello sviluppo delle imprese e dei posti di lavoro e la libertà di scelta consapevole del consumatore. |
5. Conclusioni
5.1 |
Il Comitato ha sempre considerato e considera positivamente l'inserimento della dimensione ambientale di risparmio e di efficienza energetica nelle politiche per le imprese e per il loro prodotti, come parte integrante della strategia di competitività dell'Europa. Esso sottolinea l'importanza dello sviluppo di una vera e propria cultura dell'ecocompatibilità, che faccia leva sulla responsabilità sociale e ambientale dell'impresa e del consumatore, promovendo comportamenti attivi e responsabili. |
5.2 |
Il Comitato, peraltro, auspica la predisposizione di un quadro coerente con la legislazione in materia, per evitare frammentazioni di mercato e garantire trasparenza di trattamento a tutti gli operatori e agli utenti. |
5.3 |
Il Comitato raccomanda, quindi, di fornire in via prioritaria tale quadro consolidato, per meglio orientare le imprese, soprattutto quelle piccole e medie. |
5.4 |
Le richieste di eco-concezione di nuovi prodotti dovrebbero essere contenute a livelli ragionevoli e accettabili, per assicurare lo sviluppo di nuove concezioni e la libera scelta del consumatore, tra le differenti offerte o soluzioni tecniche. |
5.5 |
Secondo il Comitato, il contesto molto ampio di normative comunitarie interessate dall'iniziativa, dovrebbe coniugarsi con la semplificazione della regolamentazione e con il rafforzamento della competitività del mercato interno di un'Europa allargata. |
5.6 |
Il Comitato raccomanda vivamente di procedere al consolidamento ed alla semplificazione preventiva delle regolamentazioni già esistenti (23) che coprono da un lato gli aspetti di efficienza e di risparmio energetico e dall'altro i differenti aspetti dell'impatto ambientale dei prodotti. L'importante è pervenire ad una visione semplificata e user-friendly delle regolamentazioni comunitarie, che attualmente disciplinano la progettazione dei prodotti che consumano energia. |
5.7 |
Il Comitato si pronuncia a favore dell'adozione, quanto prima, di linee-guida sulla progettazione ecocompatibile e sull'instaurazione di piattaforme permanenti di dialogo, per settore e per prodotti sensibili, tra Commissione/imprese/consumatori/costruttori/società civile. L'obiettivo è quello di valutare gli sviluppi e di promuovere le iniziative per un supporto consistente e coerente dei programmi e degli strumenti comunitari e nazionali ad obiettivi condivisi di ecocompatibilità, per favorire una più ampia presa di coscienza e la maturazione di una vera e propria cultura in materia sia dal lato dell'offerta che da quello della domanda del mercato. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Parere GU C 206 del 17.9.2001 in merito al Libro verde sulla politica integrata dei prodotti.
(2) Decisione 1600/2002/CE - GU C 242 del 10.9.2002.
(3) Decisione 93/465/CEE in GU L 220 del 30.8.1993.
(4) Direttive 98/34/98 CE e 98/48/CE in GU L 217 del 5.8.1998.
(5) Direttiva 92/42/CEE in GU L 167 del 22.6.1992.
(6) Direttiva 96/57/CE in GU L 236 del 18.9.1996.
(7) Direttiva 92/75/CEE.
(8) Regolamento CE 2422/2001 in GU L 332 del 12.12.2001.
(9) Direttiva 2000/55/CE in GU L 279 dell'1.11.2000.
(10) Direttiva 90/396/CEE in GU L 196 del 26.7.1990 (modificata con direttiva 93/68/CEE).
(11) Direttiva 2002/91/CE in GU L 1 del 4.1.2003.
(12) Direttiva 2002/96/CE in GU L 37 del 13.2.2003.
(13) Direttiva 2002/95/CE in GU L 37 del 13.2.2003.
(14) Regolamento CE 1980/2000 in GU L 237 del 21.9.2000.
(15) Direttiva 96/61/CE in GU L 257 del 10.10.1996.
(16) Regolamento CE 761/2001 in GU L del 19.3.2001.
(17) Lodevole il riferimento giuridico all'art. 95 sulla libera circolazione delle merci.
(18) ESTO Report 2000 - Centro comune di ricerca della Commissione europea.
(19) IPTS Report 2000 «Eco-design: Strategies for dissemination to SMEs/15 countries studies» (Part 2).
(20) Cfr. IPTS Report 2000 - Part. 1.
(21) Parere GU C 80 del 30.3.2004 sulla politica integrata dei prodotti COM(2003) 302.
(22) Parere GU C 260 del 17.9.2001 e parere in GU C 296 del 29.9.1997.
(23) Cfr. COM(2003) 71 e SEC(2003) 165 dell'11 febbraio 2003.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/30 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni per veicoli sicuri e intelligenti
(COM(2003) 542 def.)
(2004/C 112/08)
La Commissione, in data 14 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 marzo 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore Virgilio RANOCCHIARI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.
1. Antefatto
1.1 |
Come noto, la domanda di trasporto in Europa è in continuo aumento da molti anni, in particolare per quanto riguarda il trasporto su strada, sia di passeggeri che di merci. |
1.2 |
Questo aumento comporta, e potrebbe comportare ancora di più nel prossimo futuro, problemi di congestione del traffico, effetti nocivi sull'ambiente e soprattutto incidenti che causano decessi, lesioni e danni materiali. |
1.3 |
È altresì noto che l'industria dell'auto è costantemente impegnata nel miglioramento della sicurezza attiva e passiva del proprio prodotto. Basta ricordare che ora gli autoveicoli sono quattro volte più sicuri che nel 1970 e che, di conseguenza, i decessi da allora ad oggi sono diminuiti del 50 % nell'Europa a 15, mentre i volumi di traffico, nello stesso periodo, sono più che triplicati. |
1.4 |
Malgrado ciò, i costi sociali del trasporto su strada sono ancora troppo elevati: circa 1 300 000 incidenti stradali all'anno in Europa causano 40 000 morti e 1 700 000 feriti, con un costo che viene valutato in 160 miliardi di EUR, vale a dire il 2 % del PIL europeo. A livello personale, poi, anche un solo morto è un prezzo sempre eccessivo da pagare. |
1.5 |
La Commissione europea, consapevole della gravità del problema, ha avviato una serie di importanti iniziative in materia di sicurezza stradale, tra cui l'adozione del Programma di azione europeo per la sicurezza stradale. |
1.6 |
Ancor prima della redazione del Programma, le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC), già ampiamente utilizzate nei veicoli, sono state individuate come strumenti importanti per affrontare la sfida della sicurezza stradale. Lo sviluppo di processori, comunicazioni, sensori e attuatori più potenti può consentire la progettazione di sistemi di sicurezza attiva integrati, sempre più sofisticati, in grado, se non di evitare completamente, almeno di ridurre il numero degli incidenti ed attenuarne le conseguenze. |
1.7 |
In questa ottica la Commissione ha creato, nel 2002, il gruppo di lavoro eSafety, costituito da circa 40 esperti del settore automobilistico e delle altre parti interessate. Compito del gruppo era quello di proporre una strategia per accelerare la ricerca, lo sviluppo, la realizzazione e l'uso di sistemi di sicurezza intelligenti basati sulle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni per migliorare la sicurezza stradale. |
1.8 |
Nel novembre 2002 il gruppo di lavoro ha pubblicato una relazione finale contenente 28 raccomandazioni per la Commissione europea, gli Stati membri, le autorità responsabili della circolazione e della sicurezza stradale, il settore automobilistico, i fornitori di servizi, le associazioni dei consumatori, le compagnie di assicurazione e tutte le altre parti interessate. Tali raccomandazioni puntano a migliorare la sicurezza attraverso sistemi integrati che utilizzano TIC avanzate, in grado di fornire informazioni nuove e intelligenti, che considerino il coinvolgimento e le interazioni reciproche tra conducenti, veicoli e ambiente stradale. |
1.9 |
La relazione del gruppo di lavoro eSafety è stata poi discussa ed approvata nella seconda riunione del gruppo di alto livello sulla eSafety, che ha provveduto ad istituire il Forum eSafety (1) oltre a richiedere la presentazione, da parte della Commissione, di proposte programmatiche sul tema. |
1.10 |
La comunicazione che il CESE è chiamato ad esaminare rappresenta la risposta della Commissione alle attese sia del gruppo di alto livello sulla eSafety, sia di quello per la sicurezza stradale, attese condivise anche dagli Stati membri. |
2. Sintesi delle proposte contenute nella comunicazione
2.1 |
La comunicazione richiama e fa propria la relazione finale del gruppo di lavoro eSafety e propone 11 azioni che si suddividono in tre categorie principali: |
2.1.1 |
Azioni di sviluppo di sistemi intelligenti di sicurezza dei veicoli |
2.1.2 |
Azioni di adeguamento della regolamentazione e della normazione |
2.1.3 |
Azioni volte ad eliminare gli ostacoli di ordine sociale e commerciale |
2.2 Promuovere i sistemi intelligenti dei veicoli
— |
La Commissione continuerà a presiedere e sostenere il Forum eSafety, piattaforma comune per tutti i soggetti interessati alla sicurezza stradale, |
— |
la Commissione si adopererà per una maggiore ricerca e sviluppo tecnologico, anche partecipando al finanziamento di alcuni progetti di punta, |
— |
la Commissione, in tema di interazione uomo-macchina, valuterà gli effetti dell'introduzione di dispositivi «nomadi» (2) nei veicoli e, successivamente, il carico di lavoro che comporta per il guidatore l'introduzione dei nuovi sistemi di controllo e di informazione, |
— |
la Commissione proporrà una strategia integrata per i servizi di emergenza paneuropei (e-Call), appoggiandosi alle disposizioni della cosiddetta legislazione E-112, (3) |
— |
la Commissione analizzerà i progressi compiuti nell'informazione in tempo reale sulla viabilità e sui viaggi (RTTI) in Europa. |
2.3 Adattare le disposizioni regolamentari e di normazione per l'uso dei sistemi intelligenti di sicurezza
— |
La Commissione proporrà di concedere e regolamentare l'uso dello spettro di frequenza a 24 GHz per i radar di bordo a breve raggio a banda ultralarga (SRR – UWB), |
— |
la Commissione riesaminerà la legislazione sull'omologazione comunitaria dei veicoli e definirà le azioni per consentire e regolamentare l'uso dei nuovi sistemi, |
— |
la Commissione inviterà le organizzazioni di normazione (ISO, CEN ed ETSI) a prevedere un programma normativo per i nuovi sistemi: protocolli di comunicazione, architetture hardware e software, protocolli di comunicazione e interfacce uomo-macchina standardizzati. |
2.4 Eliminare gli ostacoli sociali e commerciali
— |
La Commissione valuterà i benefici socioeconomici ottenibili con l'introduzione dei sistemi intelligenti di sicurezza, |
— |
la Commissione promuoverà e finanzierà lo studio di una metodologia di valutazione dei rischi e dei benefici dei nuovi sistemi, |
— |
la Commissione promuoverà l'elaborazione di tabelle di marcia (roadmaps) sia dell'industria che del settore pubblico per lo sviluppo e l'adozione dei nuovi sistemi. |
2.5 Altre azioni
— |
La Commissione promuoverà e finanzierà lo studio di una metodologia per valutare l'impatto potenziale dell'introduzione di sistemi intelligenti di sicurezza di tipo combinato e con sensor fusion (4), |
— |
la Commissione promuoverà e finanzierà lo studio di procedure di valutazione per veicoli muniti dei nuovi sistemi, |
— |
l'industria definirà, produrrà, manterrà e certificherà una base dati cartografica europea con attributi di sicurezza stradale. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il documento della Commissione europea esprime una volontà chiara ed esemplare nei confronti dello sviluppo e dell'adozione di sistemi intelligenti per la sicurezza stradale, in un'epoca in cui i tradizionali sistemi di sicurezza passiva potrebbero aver raggiunto i propri limiti. |
3.2 |
Le linee guida generali espresse nel documento sono chiare e ben poste. Appaiono meno chiare le priorità (fatta eccezione per l'e-Call, la cui importanza è condivisibile) e soprattutto appaiono assenti le tempistiche relative al Piano d'azione; al momento è solo previsto un calendario di lavoro per il 2004. Si spera che la stesura della roadmap – uno dei risultati attesi dal Forum eSafety - possa essere determinante per stabilire priorità e tempistiche del Piano. |
3.3 |
È importante che l'industria automobilistica, già coinvolta nel gruppo di lavoro e nel Forum eSafety, continui a guidare da un punto di vista tecnico lo sviluppo di queste iniziative, contribuendo in particolare all'elaborazione della roadmap. |
3.4 |
Saranno sicuramente necessarie, per l'industria automobilistica, linee guida sull'introduzione nel mercato dei sistemi intelligenti per la sicurezza. Le singole aziende dovranno tuttavia avere la possibilità di offrire le soluzioni innovative in modo distintivo e secondo tempistiche opportune, senza perdere di vista l'indispensabile requisito dell'interoperabilità e stabilità di funzionamento dei nuovi sistemi. |
3.5 |
Occorrerà prevedere una fase di «educazione» degli utenti per il proficuo utilizzo dei nuovi sistemi intelligenti per la sicurezza. A questo fine sarebbe opportuno che al Forum eSafety partecipassero anche rappresentanti delle autoscuole. Si dovrà prestare particolare attenzione alla categoria degli autotrasportatori, che potrebbe essere vista come «pilota» nella fase di introduzione dei nuovi sistemi e comunque costituirne un importante bacino di utenza. |
3.6 |
Taluni sistemi di sicurezza, quale ad esempio l'ESP (sistema elettronico per la stabilità del veicolo in condizioni critiche), da un punto di vista puramente tecnico potrebbero già essere adottati anche su larga scala ed in breve tempo. Altri sistemi, di natura e utilizzo più articolati e complessi, richiederanno un'accurata analisi per l'ottimizzazione del carico di lavoro del guidatore, intendendo con ciò il miglior compromesso tra affaticamento e rischio di distrazione. |
3.7 |
Il documento tratta efficacemente il tema della responsabilità condivisa tra le parti in causa (Commissione europea, Stati membri, autorità responsabili delle strade e della sicurezza, industria automobilistica, fornitori di sistemi e di servizi). Tuttavia, appare indispensabile una capillare definizione e regolamentazione delle responsabilità in caso di funzionamento inadeguato dei dispositivi di sicurezza. Molto lavoro deve essere fatto trattandosi di sistemi e funzioni del tutto nuovi. Va peraltro riconosciuto che sul tema della responsabilità, la Commissione ha già finanziato tre progetti di ricerca: Response, Response 2 e Prevent. |
3.8 |
Si osserva inoltre che nel documento in oggetto la Commissione pone fortemente l'accento sulla necessità di veicoli più sicuri. Non va assolutamente trascurata l'esigenza di incidere sull'infrastruttura stradale (nuove e più sicure arterie; eliminazione delle congestioni del traffico). Inoltre, gran parte dei nuovi sistemi di sicurezza per i veicoli necessiteranno di specifiche infrastrutture «intelligenti» (ad esempio reti di telecomunicazioni predisposte per ricevere, decodificare e gestire le chiamate automatiche d'emergenza, ecc.). Su questi ultimi aspetti, e sugli impatti che questi comportano, è necessario che si focalizzi l'attenzione della Commissione. |
3.9 |
È sicuramente decisivo, in quanto in linea con la realizzazione di infrastrutture intelligenti, il programma comunitario «Galileo» che fornirà una serie di servizi di navigazione e posizionamento in grado di facilitare lo sviluppo di un'ampia gamma di applicazioni innovative in tema di eSafety. |
3.10 |
È prevedibile un aumento significativo dei costi di acquisto e di esercizio dei veicoli in conseguenza all'adozione dei sistemi intelligenti di sicurezza. Sistemi addizionali di sicurezza sono possibili quando il consumatore è disposto a pagarli. Sarà fondamentale dimostrare al consumatore stesso che il costo aggiuntivo si tramuta in riduzione del rischio di incidenti e delle loro conseguenze. Anche per questa ragione la rilevazione e l'analisi precisa delle cause di incidenti stradali prevista dalla comunicazione e affidata al Forum eSafety è fondamentale. In particolare sarà necessario riorganizzare il sistema CARE (5) includendovi le cause degli incidenti e la relativa analisi, integrata, quando possibile, con i dati raccolti da alcuni costruttori automobilistici. |
3.11 |
Un esempio concreto del problema dell'aumento dei costi si è già visto con il servizio e-Call: molte case automobilistiche hanno offerto il sistema tra gli optionals delle proprie vetture ma la domanda è stata finora scarsa poiché pochi utenti intendono pagare per un servizio che sperano di non dover mai utilizzare. L'e-Call, individuato come azione prioritaria dalla comunicazione, potrà rappresentare la cartina tornasole per tutto il programma. Solo una larga accettazione dello strumento consentirebbe di ridurre i costi di gestione del sistema e quindi i prezzi praticati al consumatore, avvalendosi di economie di scala e della competizione tra i diversi fornitori, evitando altresì posizioni monopolistiche. |
3.12 |
Una ulteriore causa di aggravio dei costi potrà essere rappresentata dalla necessità, da parte delle officine di assistenza, di dotarsi di particolari attrezzature di diagnosi, riparazione e collaudo. Va d'altra parte osservato che questo fatto potrà comportare anche conseguenze positive dal momento che si realizzerà un aumento della professionalità dei riparatori e potrebbero crearsi nuove opportunità di lavoro. |
3.13 |
Un mezzo che dovrebbe essere preso in considerazione per alleviare il problema è sicuramente quello dell'incentivazione, sotto forma di riduzione della tassazione e/o dei premi assicurativi. In ogni caso sarà indispensabile un processo di concertazione fra le varie parti. |
3.14 |
È tuttavia molto difficile, se non illusorio, ipotizzare un'adozione generalizzata dei sistemi intelligenti di sicurezza che derivi unicamente dalla sensibilità e/o dagli interessi dei privati, siano essi aziende produttrici od utenti. Dovrebbe essere valutato, in alternativa o ad integrazione con l'adozione su base volontaristica, l'obbligo di legge da attuarsi per mezzo di norme impositive. Tali norme dovrebbero prevedere l'obbligo dell'adozione dei sistemi intelligenti di sicurezza in modo graduale e dilazionato nel tempo secondo un piano opportuno. |
3.15 |
Poiché in ogni caso i costi delle funzioni di sicurezza si ripercuoteranno sul cliente e sul contribuente, è di particolare importanza che il calcolo dei costi-benefici sia attendibile ed oggettivo. |
4. Sintesi e conclusioni
4.1 |
Premesso che siamo di fronte ad una comunicazione programmatica, e quindi non ancora ad azioni concrete e vincolanti che la Commissione potrà elaborare e proporre in seguito, riteniamo comunque utile evidenziare alcuni punti che a parere del Comitato dovrebbero essere tenuti sempre presenti nello sviluppo del programma. |
4.2 |
Il documento della Commissione esprime una volontà chiara ed esemplare nei confronti dello sviluppo e dell'adozione di sistemi intelligenti per la sicurezza stradale. Dovrebbe quindi essere accolto con favore dalle parti interessate, anche perché non manca di sottolineare come la sicurezza stradale sia una responsabilità condivisa tra tutti gli stakeholders. |
4.3 |
Tuttavia, le dichiarazioni in esso contenute dovrebbero essere messe in atto secondo un piano d'azione, da definire al più presto; deve, inoltre, essere maggiormente evidenziata l'esigenza di incidere sull'infrastruttura stradale (nuove e più sicure arterie, eliminazione delle congestioni del traffico) e sulle nuove infrastrutture «intelligenti». |
4.4 |
Appare indispensabile una precisa definizione e regolamentazione delle responsabilità in caso di inadeguato funzionamento dei dispositivi di sicurezza. |
4.5 |
Le singole aziende automobilistiche dovranno avere la possibilità di offrire le soluzioni innovative in modo distintivo e secondo tempistiche opportune. |
4.6 |
È prevedibile un aumento significativo dei costi di acquisto e di esercizio dei veicoli in conseguenza all'adozione dei sistemi intelligenti di sicurezza. Questo aumento dei costi potrebbe incidere in modo importante sui segmenti di veicoli di gamma più bassa, pregiudicandone la possibilità di acquisto da parte delle fasce sociali più deboli. Sarebbe decisiva in questo caso la pronta adozione di misure di sensibilizzazione ed incentivazione mentre, a medio termine, potrebbe essere ipotizzato l'obbligo di legge per alcuni sistemi di sicurezza. |
4.7 |
È infine vitale per il successo del programma il ruolo degli Stati membri. Il dialogo già aperto con la Commissione, l'industria e le altre parti interessate deve proseguire con il coinvolgimento dei singoli Stati nell'intero processo, fin dalle fasi iniziali, sulla base di un chiaro indirizzo politico. Senza il coinvolgimento sia tecnico che economico degli Stati membri, infatti, il programma non avrebbe possibilità di successo. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Presieduto dalla DG INFSO della Commissione. Vi partecipano tutti gli stakeholders, con circa 150 membri. È attualmente strutturato in sette gruppi di lavoro guidati dall'industria automobilistica.
(2) Apparecchi che l'utente porta con sé e che possono interagire con il veicolo: telefono cellulare o PDA (agenda portatile) utililizzabili come telecomando per alcune funzioni del veicolo.
(3) Direttiva 2002/21/CE (GU L 108 del 24.4.2002), che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.
(4) Tecnica per l'integrazione dei dati forniti da sensori realizzati con diverse tecnologie, allo scopo di superare i limiti delle tecnologie stesse. Ad esempio un sensore antifurto a doppia tecnologia (radar + infrarosso) si attiva solo se entrambe le componenti rilevano un'intrusione, eliminando falsi allarmi dovuti ai limiti intrinseci ad una delle due tecnologie.
(5) Community Road Accident Data base: raccoglie ed elabora i dati sugli incidenti stradali forniti dagli Stati membri.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/34 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la patente di guida (rifusione)
(COM(2003) 621 def. - 2003/0252 (COD))
(2004/C 112/09)
Il Consiglio, in data 13 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'art. 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 99 voti favorevoli e 1 astensione.
1. Introduzione
1.1 |
La mobilità costituisce un dato di rilievo per un cospicuo numero di europei di tutte le età. La stragrande maggioranza della popolazione europea al di sopra dei 18 anni è titolare di una patente di guida, che le consente l'accesso a una forma di mobilità motorizzata. Soprattutto in un'Europa in cui l'età media della popolazione tende sempre più ad aumentare, il possesso della patente di guida spesso assume un'importanza chiave, in quanto permette di avere contatti con il mondo esterno e persino di soddisfare le esigenze primarie di vita. Ne consegue che ogni proposta di direttiva europea sulle patenti di guida interessa la totalità della popolazione europea e che la sua importanza non va quindi sottovalutata. |
1.2 |
Con la legislazione in materia di patenti di guida nel SEE (Spazio economico europeo) la Commissione europea si propone di facilitare la libera circolazione dei cittadini della Comunità, ridurre le possibilità di frodi e contribuire al miglioramento della sicurezza stradale. La Commissione aveva perseguito questi obiettivi nei precedenti provvedimenti legislativi sulle patenti di guida: essi continueranno a essere il principale punto di riferimento per tutta la legislazione futura in questo campo. |
1.3 |
Malgrado tutti i provvedimenti adottati in questi ultimi anni, l'incertezza giuridica per i cittadini della Comunità è cresciuta anziché ridursi (1). La Commissione europea giudica essenziale eliminare quest'incertezza giuridica, che ostacola la libera circolazione dei cittadini. Questo aspetto delle patenti di guida rientra nel quadro degli obiettivi ben più ampi fissati dal Consiglio europeo nella cosiddetta Agenda di Lisbona: in particolare, far sì che il mercato interno funzioni al 100 %, inclusi gli aspetti legati alla concorrenza. La Commissione considera che la rimozione degli ultimi ostacoli alla libera circolazione in tale settore costituisca il punto d'arrivo di un processo di armonizzazione graduale. |
1.4 |
Oltre alle misure per addivenire al completo riconoscimento reciproco delle patenti di guida, inteso ad agevolare la libera circolazione dei cittadini della Comunità, nella direttiva in esame la Commissione propone una serie di modifiche legislative intese a migliorare la sicurezza stradale. Esse consistono nel prevedere nuove categorie di veicoli ai fini della patente di guida, l'accesso graduale alle patenti di guida per queste categorie (in modo che i conducenti si familiarizzino anzitutto con i veicoli appartenenti alle categorie più piccole), l'armonizzazione della periodicità degli esami medici per i conducenti e un'attenzione particolare per l'accesso delle persone affette da minorazioni fisiche alla guida di veicoli a motore, come pure requisiti minimi per la formazione richiesta agli esaminatori di guida. |
1.5 |
Il terzo importante obiettivo della proposta in esame consiste nel ridurre le opportunità di frodi. Eliminando la possibilità di rilasciare la patente di guida cartacea e imponendo il formato delle schede di plastica, da un lato, e prevedendo che queste abbiano un periodo di validità amministrativa limitata, dall'altro, si cerca appunto di predisporre un documento che non si presti a frodi. |
2. Osservazioni di carattere generale
2.1 |
Il Comitato approva gli obiettivi che la Commissione europea persegue con la proposta in esame (miglioramento della sicurezza stradale, minori possibilità di frode e promozione della libera circolazione dei cittadini della Comunità). La proposta è conforme alla politica definita dalla Commissione con l'adozione del Programma d'azione europeo per la sicurezza stradale «Dimezzare il numero di vittime della strada nell'Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa» (2) e nel Libro bianco pubblicato in precedenza «La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte» (3). |
2.2 |
Il Comitato si compiace che la proposta in esame sia incentrata sul fattore umano nel traffico stradale e che si propongano misure concrete circa i problemi della sicurezza dei trasporti che interessano le persone. Il Comitato ha già richiamato l'attenzione sull'importanza del fattore umano nel traffico stradale in occasione del proprio parere sul Programma d'azione europeo per la sicurezza stradale «Dimezzare il numero di vittime della strada nell'Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa» (4): Constata dunque con particolare soddisfazione che con la proposta in esame anche la Commissione mostra interesse per questo aspetto. |
2.3 |
A giudizio del Comitato, varie misure proposte hanno conseguenze notevoli per i cittadini degli Stati membri (periodo di validità amministrativa limitato della patente di guida), per candidati alla patente di guida e detentori della medesima appartenenti a determinate categorie (controlli medici, accesso graduale alla guida di determinate categorie di veicoli, aumento delle età minime previste) e per le autoscuole (nuove categorie, requisiti modificati per le categorie C1 e D1). Si tratta di conseguenze che gli interessati non considereranno sempre come positive e che in vari casi comportano crescenti complicazioni amministrative e costi crescenti. Il Comitato invita a tener conto delle conseguenze della direttiva e fa presente alla Commissione l'opportunità di un periodo transitorio sufficientemente lungo per l'entrata in vigore delle sue disposizioni, tanto più che per alcuni Stati membri le modifiche introdotte dalla direttiva 91/439/CEE (5) sono diventate obbligatorie solo da poco. Fermi restando alcuni rilievi critici, il Comitato si esprime comunque positivamente in merito alla proposta in esame. |
3. Osservazioni particolari
3.1 |
Il Comitato conviene sull'opportunità di una validità amministrativa limitata delle patenti di guida, poiché essa è in sintonia con l'idea della libera circolazione dei cittadini della Comunità e con la riduzione della possibilità di frodi in materia di patenti di guida. Secondo la Commissione europea, non è necessario prevedere una validità limitata per le patenti di guida già in circolazione: essa ritiene infatti che, a norma del principio di sussidiarietà, gli Stati membri hanno la facoltà di ritirare i vecchi modelli che si prestassero a frodi. Il Comitato nutre tuttavia perplessità riguardo a questo esonero parziale, perché in questo modo il periodo transitorio effettivo per vari Stati viene a superare i 50 anni. Propone pertanto di rendere più rigoroso l'art. 3, par. 2, onde accrescere la certezza circa la sostituzione di vecchi modelli di patenti di guida che si prestino a frodi. Il disposto potrebbe ad esempio essere riformulato sostituendo il brano di frase «e ne informano la Commissione» con «previa autorizzazione da parte della Commissione». In tal modo si terrebbe conto del fatto che in molti paesi la patente di guida può anche essere utilizzata come documento di identità, per cui le misure di protezione antifrode vengono ad assumere un'importanza capitale. |
3.2 |
Il Comitato giudica positivamente la proposta della Commissione di sostituire la patente cartacea con una scheda di plastica, eventualmente munita di microchip: così facendo si favorisce effettivamente l'uniformità fra gli Stati membri e si riducono notevolmente le possibilità di frode riguardo alle patenti di guida. Il Comitato esorta nel contempo ad accrescere ulteriormente la protezione antifrode della patente di guida e a prevedere dispositivi ottimali di sicurezza all'interno del documento e su di esso, analogamente ai requisiti di sicurezza previsti per i passaporti. |
3.3 |
Il Comitato giudica positivamente anche l'obiettivo dell'armonizzazione dei controlli medici per i titolari delle patenti di guida del gruppo 2. Per ovviare a distorsioni di concorrenza fra i diversi Stati membri dell'Unione europea occorre uniformare sia la periodicità che il contenuto di questi controlli medici. Ciò non toglie che il Comitato nutra delle riserve circa l'equiparazione dell'obbligo ai controlli medici fra le «grandi» categorie C e D (autocarri e autobus) e le «piccole» categorie C1 e D1. Esso ritiene che per queste ultime due sarebbero giustificabili controlli medici meno frequenti. A giudizio del Comitato sarebbe inoltre opportuno che a tale obbligo fossero assoggettati anche gli altri conducenti professionali che, stando alla definizione del loro veicolo, rientrano nel gruppo 1 dei titolari di patenti di guida, come ad esempio i conducenti di taxi. |
3.4 |
Stando alla proposta della Commissione in esame, gli Stati membri non avrebbero più la facoltà di rilasciare patenti di guida a validità limitata su parere medico, come prevedeva invece la legislazione precedente. Il Comitato reputa invece che questa prerogativa statale debba essere mantenuta. |
3.5 |
Il Comitato è pienamente d'accordo riguardo alle nuove categorie di veicoli proposte ai fini delle patenti di guida. L'introduzione di una categoria di patenti AM e l'introduzione obbligatoria della patente per i motocicli leggeri (A1) all'età di 16 anni risolverà buona parte dei problemi legati a questi veicoli a motore leggeri a due ruote. In particolare il Comitato si compiace che in questo modo negli Stati membri si offra ai conducenti di 16 anni un'alternativa ai ciclomotori, particolarmente esposti agli incidenti, richiedendo obbligatoriamente una qualificazione iniziale più rigorosa, come pure una prova pratica e una prova teorica (di verifica delle cognizioni): ciò avrà infatti riflessi immediati positivi sulla sicurezza stradale. Anche l'ulteriore distinzione operata fra le categorie A2 e A, unitamente all'obbligo di una seconda prova d'idoneità alla guida e a limiti di età più elevati sono misure promettenti per un tipo di veicoli coinvolto in una percentuale sproporzionata d'incidenti. |
3.6 |
Il Comitato approva appieno la nuova definizione delle categorie di veicoli C1 e D1, per i quali è autorizzato un peso massimo non superiore a 6 000 kg, invece del limite massimo precedentemente fissato di 7 500 kg: giudica infatti positivo che si tenga così maggiormente conto delle caratteristiche tecniche di questi veicoli. Il Comitato ritiene anche opportuna l'equivalenza fra i veicoli delle categorie C1 e D1. Essa non va a detrimento della sicurezza stradale, dato che essi hanno le medesime specifiche tecniche e sono provvisti dei medesimi dispositivi frenanti. Un conducente della categoria C1 dispone quindi di una formazione tale da poter guidare un veicolo della categoria D1. Al tempo stesso questa equivalenza offre ai conducenti di tali veicoli libertà e possibilità maggiori. |
3.7 |
Il Comitato ritiene che l'introduzione obbligatoria delle «piccole» categorie C1 e D1, ancora facoltativa nella precedente direttiva (91/439/CEE), avrà pure un effetto positivo sulla sicurezza stradale, in particolare nel traffico urbano. Si attende che queste categorie di veicoli verranno utilizzate in misura crescente per le consegne di merci e il trasporto di persone nelle strade cittadine. Ciò significa che i veicoli di maggiori dimensioni non dovranno più necessariamente circolare nei centri urbani, con conseguenti riflessi positivi per gli abitanti delle città sotto il profilo della sicurezza e delle emissioni nocive. Il Comitato ritiene tuttavia necessario invogliare maggiormente a utilizzare queste categorie di veicoli, ad esempio prevedendo controlli medici meno frequenti per le categorie C1 e D1. |
3.8 |
Il Comitato si compiace che si sia precisata meglio la definizione relativa alla categoria di veicoli B+E: in effetti essa chiarisce parzialmente che in questa categoria rientrano gli insiemi di veicoli composti di una motrice della categoria B e di un rimorchio la cui massa limite autorizzata è superiore a 750 kg, e ciò è particolarmente positivo sia per i cittadini che per l'applicazione della normativa. |
3.9 |
In realtà, però, le definizioni delle categorie di veicoli B+E e C1+E potrebbero essere maggiormente chiarite. Il Comitato ritiene infatti che la definizione relativa alla categoria C1+E presenti dei problemi in quanto la massa limite autorizzata del rimorchio dipende dalla massa limite autorizzata della motrice. Ciò significa che questa categoria può essere utilizzata unicamente con rimorchi estremamente leggeri, mentre la categoria di veicoli che richiede la patente B+E può utilizzare rimorchi ben più pesanti. Dati i problemi legati alla ripartizione del peso rispettivo dei veicoli/rimorchi, nella pratica né la definizione attualmente in vigore né quella ora proposta per la categoria C1+E consentono di combinare una motrice e un semirimorchio, mentre ciò è consentito nella categoria B+E. Il Comitato ritiene peraltro inopportuna proprio la combinazione B+E: a suo giudizio questa viene utilizzata unicamente per i trasporti professionali e sarebbe invece preferibile prevedere una tale possibilità nella categoria C1+E, attualmente non consentita dalla definizione proposta. |
3.10 |
Detto ciò, il Comitato propone di rivedere le definizioni per le categorie con rimorchi. Per una maggiore chiarezza nei confronti dei cittadini e dei responsabili dell'applicazione, oltre che per accrescere la sicurezza stradale, si potrebbero prevedere definizioni che dissocino le categorie dei rimorchi dal peso delle motrici, disponendo anche un peso massimo invece di limitarsi a prevedere un peso minimo. |
3.11 |
Inoltre, il Comitato osserva che la definizione proposta per la categoria B+E impone forse un requisito eccessivo ai possessori di un autocaravan. Se, infatti, stando all'attuale definizione della categoria B, la maggior parte dei caravan possono essere guidati con una patente per i veicoli di tale categoria, nella proposta della Commissione questo diritto decade completamente per i nuovi conducenti. La proposta, infatti, fa rientrare tutti gli autocaravan nella categoria B+E, il che comporta l'obbligo per i conducenti di sostenere un esame addizionale. Il Comitato mette in rilievo le implicazioni che tale proposta potrebbe avere per l'industria e propone che, ai fini della sicurezza del traffico, si preveda una giornata obbligatoria di formazione per i conducenti di determinati tipi di rimorchi, tra cui gran parte dei caravan. L'avvenuta frequenza di tale formazione potrebbe essere registrata sulla patente tramite un codice. Il Comitato propone che a tal fine si adotti il codice 96. |
3.12 |
Il Comitato constata che molti dei conducenti titolari della patente della categoria B (furgoni per le consegne) svolgono le loro mansioni nell'esercizio della loro professione e che la direttiva in esame non propone alcuna disposizione specifica per ovviare alla frequenza degli incidenti (6) nei quali sono coinvolti i lavoratori di questa categoria. Ciò implica che essi non sono per ora soggetti alle regole relative ai periodi di guida e di riposo né a quelle sull'idoneità all'esercizio della professione, e inoltre che non è previsto l'obbligo di munire i veicoli di dispositivi di limitazione della velocità. Il Comitato giudica in particolare inaccettabile che nella Comunità europea esista un settore dei furgoni delle consegne con una massa limite autorizzata inferiore a 3 500 kg, fonte dei problemi che - è risaputo - ne derivano per la sicurezza stradale. Auspica pertanto che la Commissione adotti provvedimenti adeguati al riguardo. Le possibilità sono diverse: la più valida, a giudizio del Comitato, - sta nell'imporre a tutti i conducenti di veicoli con massa limite autorizzata inferiore a 3 500 kg e capacità di carico superiore ai 1 000 kg il possesso di una patente di guida C1, il che avrebbe l'effetto di equipararli automaticamente agli autotrasportatori professionisti. Una siffatta definizione li assoggetterebbe inoltre alle disposizioni della direttiva 2003/59/CE e all'obbligo della formazione iniziale e continua per conseguire l'idoneità alla guida di questo tipo di veicoli. Secondo il Comitato ciò significherebbe un passo avanti, perché gli autotrasportatori del gruppo 1 (conducenti di furgoni per le consegne, taxi e ambulanze) sarebbero soggetti al medesimo regime di controlli medici previsto per gli autotrasportatori del gruppo 2 (autocarri e autobus). |
3.13 |
Sulla base di quanto precede, il Comitato propone le seguenti nuove definizioni per le categorie B, B+E, C1 e C1+E:
|
3.14 |
Il Comitato nutre delle riserve circa la facoltà, concessa agli Stati membri dal par. 2 dell'art. 7, di abbassare l'età minima per il rilascio della patente di guida. Né la relazione che precede la proposta di direttiva, né l'articolo stesso operano una distinzione circa le diverse prassi degli Stati membri in proposito. Per abbassare l'età richiesta per il rilascio della patente di guida possono essere seguiti questi tre criteri:
|
3.15 |
Il Comitato non è d'accordo sull'equivalenza fra le categorie di veicoli B e A1 che emerge dalla direttiva 91/439/CEE, che la Commissione non prevede di modificare. Esso ritiene infatti che, pur accrescendo la libertà e le possibilità dei conducenti di un'autovettura, non favorisca la sicurezza stradale. Le statistiche relative ai paesi che ammettono tale equivalenza evidenziano che essa ha influito negativamente sulla frequenza degli incidenti per il tipo di veicoli a due ruote in oggetto. Il Comitato ritiene altresì che ogni tipo di veicolo richieda un'apposita formazione e un esame specifico. A suo giudizio sarebbe invece giustificabile un'equivalenza tra la categoria B e la AM, relativa ai ciclomotori: infatti, l'esame per la categoria di veicoli AM è solo teorico e richiede in gran parte le medesime conoscenze necessarie per il rilascio della patente B. |
3.16 |
Il Comitato si compiace dell'armonizzazione dei requisiti minimi proposti dalla Commissione per la formazione iniziale degli esaminatori di guida responsabili delle prove per il rilascio di patenti di guida. Un'effettiva armonizzazione fra gli Stati membri esiste unicamente se i candidati alla patente di guida sono assoggettati alle medesime condizioni. Ne consegue logicamente che le persone incaricate di verificare se i candidati ottemperano alle condizioni devono anch'esse soddisfare a requisiti armonizzati. |
4. Sintesi e conclusioni
4.1 |
Il Comitato, pur esprimendo soddisfazione per la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la patente di guida, tiene a formulare una serie di rilievi critici circa l'adozione di vari provvedimenti concreti. |
4.2 |
Trova in particolare positivo che essa punti sul miglioramento della sicurezza stradale mediante una serie di modifiche che interessano il fattore umano nei trasporti, senza minimizzare per questo gli altri obiettivi perseguiti dalla direttiva (libera circolazione dei cittadini e riduzione delle possibilità di frodi). |
4.3 |
Il Comitato invita a prestare attenzione alle reazioni che le misure proposte susciteranno in taluni Stati membri e fra talune categorie di persone. Vi si potrà ovviare in notevole misura prevedendo un periodo abbastanza lungo per la loro attuazione, evitando però, al tempo stesso, indugi eccessivi. Viste le nuove disposizioni proposte per le categorie di veicoli C, C1, D, D1 e le categorie riguardanti i loro rimorchi, e considerata la recente direttiva della Commissione e del Consiglio 2003/59/CE sulla qualificazione iniziale e formazione periodica dei conducenti di taluni veicoli stradali adibiti al trasporto di merci o passeggeri (autotrasportatori), per molti Stati membri sarebbe utile che alcune disposizioni di quest'ultima fossero introdotte simultaneamente alla direttiva ora in esame. |
4.4 |
Il Comitato richiama l'attenzione sul problema della grande frequenza degli incidenti in cui sono coinvolti gli autotrasportatori titolari di patenti della categoria B e ritiene molto auspicabile un'iniziativa legislativa della Commissione in proposito. |
4.5 |
Il Comitato consiglia di rivedere la definizione delle categorie con rimorchio B+E e C1+E. Nutre infatti delle riserve in proposito perché la sua scarsa chiarezza, come pure i problemi legati alla ripartizione del peso rispettivo dei veicoli/rimorchi per i quali sono richieste patenti della categoria C1+E e le disparità fra le patenti delle categorie B+E e C1+E, lasciano aperti degli interrogativi. |
4.6 |
Il Comitato si compiace che sia stata prevista un'equivalenza fra le categorie di patenti C1 e D1; d'altro canto teme che l'equivalenza fra le categorie B e A1 non dia risultati positivi scontati. Pur essendo al corrente del fatto che tale equivalenza esiste già in vari Stati membri, tiene a manifestare preoccupazione per le conseguenze di questa disposizione. |
4.7 |
Il Comitato reputa infine che si debba mantenere la facoltà degli Stati membri di rilasciare patenti a validità limitata sulla scorta di pareri medici. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Comunicazione interpretativa della Commissione sulle patenti comunitarie, GU C 77 del 28.3.2002, pag. 5.
(2) COM(2003) 311 def.
(3) COM(2001) 370 def. – parere del Comitato GU C 241 del 7.10. 2002, pag. 168.
(6) Riguardo alla situazione nei Paesi Bassi, cfr., tra gli altri, i seguenti due rapporti della Fondazione olandese per la ricerca scientifica sulla sicurezza del traffico (Stichting Wetenschappelijk Onderzoek Verkeersveiligheid - SWOV): Ing. C. Schoon, Ontwikkelingen in parkomvang en onveiligheid bestelauto's. Een verkenning binnen het thema Voertuigveiligheid van het SWOV-jaarprogramma 2000-2001. (Evoluzione della consistenza del parco autoveicoli e rischi connessi ai furgoni adibiti alle consegne. Uno studio sul tema «Sicurezza degli autoveicoli», previsto dal programma annuale dello SWOV 2000-2001), rapporto n. R-2001-33, e Ing. A. A. Kampen, Onveiligheid van Bestel- en Vrachtauto's binnen de bebouwde kom. (Pericoli connessi ai furgoni per le consegne e agli autocarri nei centri abitati, rapporto n. R 97-53. I due documenti evidenziano come i furgoni per le consegne siano l'unica categoria di autoveicoli coinvolta in un numero crescente d'incidenti mortali. Attribuendo all'anno 1984 l'indice di riferimento 100, per il 2002 l'indice risulta salito a 138, mentre – sempre nel 2002 – tutte le altre categorie hanno toccato livelli inferiori a 85.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/39 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce l'obbligo per gli Stati membri di mantenere un livello minimo di scorte di petrolio greggio e/o di prodotti petroliferi
(COM(2004) 35 def. - 2004/0004 (CNS))
(2004/C 112/10)
Il Consiglio, in data 10 marzo…. 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 100 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere, in data 2 marzo 2004 sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore WILKINSON.
Il Comitato economico e sociale europeo in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astensioni.
1. |
Data l'importanza che rivestono la chiarezza e la trasparenza del diritto comunitario, il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione hanno sottolineato la necessità di procedere regolarmente ad una codificazione dei testi legislativi modificati in base ad una procedura rapida e concordata. L'operazione di codificazione non prevede la possibilità di apportare modifiche sostanziali. (1) |
2. |
Il Comitato approva e incoraggia gli sforzi di semplificazione della normativa comunitaria, in particolare quando mirano al consolidamento e alla codificazione del diritto vigente. Tali sforzi contribuiscono ad una buona gestione democratica e facilitano la comprensione e la corretta applicazione della normativa comunitaria. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Per il parere del CESE sulla sostanza di questo argomento vedi GU C 133/4 - 6.6.2003.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/40 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento
(COM(2003) 555 def. – 2003/0210 (COD))
(2004/C 112/11)
Il Consiglio, in data 3 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 97 voti favorevoli e 1 astensione.
1. Introduzione
1.1 |
L'entrata in vigore della direttiva quadro in materia di acque (1) impone l'adozione di disposizioni per l'applicazione del suo contenuto normativo, affinché possa essere realizzato appieno l'obiettivo principale che essa persegue: la protezione dell'ambiente acquatico europeo. A tal fine, la Commissione ha presentato diversi testi (2) che riguardano aspetti concreti della protezione delle acque, tra i quali risalta la proposta con cui viene fissato l'elenco delle sostanze prioritarie nel settore della politica in materia di acque (3), particolarmente importante per far fronte all'inquinamento delle acque sotterranee. |
1.2 |
Attualmente la protezione delle acque sotterranee è disciplinata fondamentalmente dalla direttiva 80/68/CEE (4) che elenca le sostanze pericolose che causano l'inquinamento di tali acque, nonché dall'art. 17 della direttiva quadro in materia di acque, che costituisce la norma fondamentale per prevenirne e controllarne l'inquinamento. |
1.3 |
L'importanza delle acque sotterranee come elemento vitale per la produzione di acqua per uso domestico e per diverse attività umane, ma anche come contributo determinante alle acque superficiali, è ampiamente dimostrata. Per questo motivo, è opportuno prendere nuovamente in considerazione la protezione delle acque sotterranee, dato che sulla perdita di qualità e sulla degradazione delle falde acquifere incide non solo l'inquinamento diretto, ma anche diversi altri processi (lisciviazione, filtrazione di agenti inquinanti, ecc.) a lungo termine e in maniera sempre maggiore e determinante. |
1.4 |
Per rimediare ai casi attuali di inquinamento e prevenire quelli futuri, è necessario che la protezione delle acque sotterranee diventi uno degli obiettivi principali della legislazione europea. L'inquinamento delle acque sotterranee rappresenta un problema arduo e oneroso da risolvere. L'incidenza delle acque sotterranee sulla produzione di acqua potabile è considerevole; rafforzarne la protezione è quindi un obiettivo fondamentale di qualsiasi legislazione che sia non solo finalizzata alla protezione delle acque ma anche alla tutela della salute umana e della qualità di vita dei cittadini. |
1.5 |
Con l'entrata in vigore della direttiva quadro in materia di acque, l'art. 17 diventa la norma fondamentale per la protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento, nel quadro generale delle disposizioni relative a tutte le acque comunitarie. Occorre tuttavia segnalare che, trattandosi di un ambito sul quale incidono altre politiche comunitarie, come la PAC, la politica industriale, la politica della salute, e così via, a esso si applicano anche le norme relative agli aspetti concreti della protezione come quelle sulle acque potabili (5), sui nitrati (6), sui fitosanitari (7), sui biocidi (8), ecc. |
2. Contenuto della proposta
2.1 |
Con questa proposta, la Commissione ottempera all'obbligo, sancito dall'art. 17 della direttiva quadro, di adottare misure specifiche per prevenire e controllare l'inquinamento delle acque sotterranee allo scopo di garantirne un buono stato chimico, misure che devono essere applicate entro due anni dall'entrata in vigore della direttiva (2006). Di fatto, le norme contenute in tale proposta rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva quadro in materia di acque, per cui non è stato ritenuto opportuno riportare le disposizioni di quest'ultima, specie quelle riguardanti gli obiettivi ambientali, il coordinamento delle amministrazioni dei distretti idrografici - le quali devono disporre dell'inventario delle acque sotterranee -, l'individuazione di zone atte all'estrazione di acqua potabile e le relative zone di salvaguardia, le disposizioni sull'informazione e la consultazione pubblica degli interessati, ecc. |
2.2 |
L'obiettivo generale della proposta è di stabilire misure specifiche di prevenzione e controllo dell'inquinamento delle acque sotterranee, sulla base dei seguenti criteri:
|
2.3 |
La proposta stabilisce inoltre le condizioni in cui gli Stati membri devono fissare i valori soglia per tutte le sostanze inquinanti che figurano nell'allegato III, in modo che possano essere usati come riferimento per l'esame dello stato delle acque sotterranee, conformemente alle disposizioni della direttiva quadro in materia di acque. |
2.4 |
È necessario che gli Stati membri adottino nuove misure, oltre a quelle contenute nella direttiva quadro, per prevenire e limitare lo scarico indiretto di inquinanti nelle acque sotterranee e favorire il buono stato chimico delle stesse. |
2.5 |
Gli allegati definiscono le norme di qualità, la procedura per la valutazione dello stato chimico e i valori soglia degli inquinanti nelle acque sotterranee. Molto importante è l'allegato IV che stabilisce come gli Stati membri debbano intervenire per individuare e invertire le tendenze significative e durature all'aumento dell'inquinamento delle acque sotterranee. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il CESE apprezza la procedura seguita per elaborare la proposta di direttiva in oggetto, basata sulla consultazione e la discussione con le parti interessate ma soprattutto ne accoglie favorevolmente il contenuto in quanto, rispetto alla direttiva 80/68/CEE, essa propone una nuova metodologia per l'analisi dello stato delle acque sotterranee nell'Unione europea. In tal modo, il criterio di integrazione dell'intera politica delle acque nei piani di gestione dei bacini idrografici, con l'obbligo dell'inventario dei corpi idrici sotterranei, potrà consentire di adottare misure adeguate alle caratteristiche geografiche. |
3.2 |
Tuttavia, il CESE ritiene restrittivo l'elenco degli inquinanti che incidono sulla qualità delle acque sotterranee: infatti, nonostante la grande presenza di nitrati e fitosanitari, bisognerebbe considerare anche gli effetti prodotti da altri processi, come ad esempio le infiltrazioni dei depositi di benzina, i lisciviati nei terreni industriali e soprattutto gli effetti dell'eccessivo sfruttamento delle falde acquifere nelle zone marittime, specie nel Bacino mediterraneo, che ne hanno provocato la progressiva salinizzazione. |
3.3 |
Il CESE apprezza inoltre l'integrazione di tutte le norme comunitarie in materia di acque sotterranee, pesticidi, biocidi, ecc., finalizzata all'applicazione orizzontale di tutte le politiche connesse alla qualità delle acque. In ogni caso sarebbe utile includere in questo approccio orizzontale altre misure legislative atte ad accrescere tale qualità. |
3.4 |
In tal senso sarebbe opportuno che l'applicazione delle norme europee relative all'elenco degli inquinanti (9) (pur essendo riferite alle acque superficiali) e dei valori soglia già stabiliti, figuri nell'allegato I della proposta di direttiva. L'inserimento di un maggior numero di sostanze che possono provocare un inquinamento diffuso garantirebbe infatti risultati più vantaggiosi in termini di qualità delle acque sotterranee. |
3.5 |
Il CESE approva inoltre l'impiego di statistiche sulle tendenze significative e durature all'aumento nelle concentrazioni di inquinanti, secondo la procedura illustrata nell'allegato IV, in quanto conforme all'allegato V della direttiva quadro in materia di acque che permette agli Stati membri di fissare le tendenze per periodi prestabiliti, in modo da tener conto non solo del piano di gestione del bacino idrografico, ma anche delle condizioni climatiche e del suolo di ogni regione europea. |
3.6 |
Ciononostante, a scopo di maggiore precisione e per evitare equivoci nell'interpretazione delle tendenze, sarebbe opportuno che la Commissione introducesse criteri più concreti in relazione a parametri, indicatori, funzioni di trasformazione, ecc., consentendo di raffrontare gli effetti di tale direttiva. |
3.7 |
Per quanto riguarda le informazioni che devono figurare nel piano di gestione idrografico dei corpi idrici sotterranei, di notevole importanza è la procedura di notifica dell'elenco degli inquinanti da parte degli Stati membri che abbiano stabilito i valori soglia entro il 22 giugno 2006. |
3.8 |
In tal senso riveste grande rilevanza il futuro sistema di informazione e di consultazione delle parti interessate (10) (agricoltori, ONG, sindacati), nonché la possibilità di intervenire nel controllo del suo corretto utilizzo. Occorre pertanto rafforzare il sistema di approvazione dei piani di gestione idrografici mediante un sistema pubblico di informazione e partecipazione di tutti gli interessati. Sarebbe opportuno che la Commissione procedesse a delle verifiche per accertare che tali consultazioni vengano realizzate in modo soddisfacente. |
3.9 |
Il CESE considera necessario continuare ad applicare l'art. 5 e l'allegato II, paragrafo 2, della direttiva quadro in materia di acque, che disciplina le caratteristiche della delimitazione geografica, l'impatto ambientale, ecc. È altresì necessario tener conto dell'attività umana, in modo da includere nei piani idrografici tutti i fattori che incidono sulle acque sotterranee. Bisogna inoltre assicurare il rispetto degli altri allegati della direttiva quadro in materia di acque, poiché in caso contrario si applicano i paragrafi 4 e 5 dell'art. 17, che permettono agli Stati membri di stabilire i criteri da utilizzare per le inversioni di tendenza della qualità delle acque sotterranee. |
3.10 |
Occorre inoltre chiarire le condizioni in cui si possono autorizzare gli scarichi indiretti, incluso ad esempio l'inquinamento diffuso, attraverso programmi di misure di base stabilite all'articolo 11, paragrafo 3 della direttiva quadro sulle acque. In quest'ambito, il problema principale è rappresentato dall'inesistenza o dalla scarsa utilità delle autorizzazioni degli scarichi indiretti, che contribuiscono notevolmente all'inquinamento diffuso. |
3.11 |
Quanto alla ricerca necessaria per applicare alle acque le nuove tecnologie (11), è opportuno creare un collegamento tra questa politica ambientale e il Sesto programma di ricerca, in modo da coinvolgere le unità di ricerca delle università e delle imprese nel perfezionamento dei sistemi di miglioramento e recupero dell'ambiente acquatico europeo. |
3.12 |
Da ultimo, il CESE ritiene opportuno segnalare che l'analisi dei costi e dei benefici relativa alle nuove disposizioni è stata effettuata per il totale delle acque, basandosi sulla valutazione del costo del controllo e del risanamento dei bacini idrografici. In ogni caso la proposta presenta misure specifiche e più chiare che renderanno più omogenei i criteri per la valutazione dello stato delle acque sotterranee e permetteranno così di evitare che vengano stanziati fondi per rendere comparabile lo stato chimico dei corpi idrici sotterranei sulla base di parametri diversi, eliminando i costi superflui (12). |
4. Osservazioni particolari
4.1 |
Il CESE attribuisce una grande importanza alla proposta di direttiva delle acque sotterranee, in quanto attualmente non sono disponibili dati omogenei sulla qualità dei corpi idrici sotterranei dell'Unione europea. Anche se, conformemente alla direttiva quadro in materia di acque già in vigore, è obbligatorio che i piani idrografici presentino un inventario dei corpi idrici, ivi compresi quelli sotterranei, è opportuno sottolineare che sinora nessuno Stato ha proceduto al recepimento di tale direttiva. Il sistema usato dalla DG Ambiente, ossia la realizzazione di progetti pilota (circa 50 sono attualmente in corso) sui bacini idrografici, potrebbe essere esteso ai corpi idrici sotterranei, in modo da incentivare gli Stati membri a intervenire in maniera più efficiente e rapida per conoscere e valutare le acque sotterranee e ad agire di conseguenza. |
4.2 |
Ai fini della classificazione generale dei corpi idrici sotterranei, prescritta dalla direttiva quadro in materia di acque, per poter valutare la qualità ambientale è necessario indicare fra l'altro le fonti di inquinamento diffuso. La proposta di direttiva in oggetto menziona tra queste fonti gli «scarichi indiretti» di inquinanti che filtrano attraverso il suolo e il sottosuolo, escludendo però le altre fonti di inquinamento in grado di alterare il buono stato chimico delle acque. |
4.2.1 |
In primo luogo è necessario precisare, nella misura del possibile, l'esistenza di altre norme comunitarie vigenti - come ad esempio la direttiva sulle acque potabili e le direttive sui nitrati (13) e sui pesticidi (14) -, i cui valori di qualità differiscono da quelli contenuti nella proposta in questione. |
4.2.1.1 |
In funzione dei parametri di qualità indicati in altre direttive sulla qualità dell'acqua, relativi al loro uso principale (domestico, agricolo), è possibile determinare, in base alle informazioni scientifiche e tecniche derivate dalla pianificazione imposta dalla direttiva quadro (utilizzo delle acque del bacino idrografico, fissazione dei valori che determinano il buono stato chimico), i valori soglia per un numero di inquinanti superiore a quello piuttosto ridotto contenuto nella proposta. |
4.2.1.2 |
Le amministrazioni competenti in materia dispongono di altre fonti di informazione rigorose e comprovate, derivanti dall'applicazione di altri strumenti, come la direttiva 96/61/CEE (15) (direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento), che fissa i valori soglia nelle acque di circa 26 inquinanti. |
4.2.2 |
Occorrerebbe in secondo luogo ampliare gli elenchi, al momento piuttosto limitati, degli inquinanti che figurano all'allegato I e III della proposta di direttiva, introducendovi le sostanze indicate all'allegato VIII della direttiva quadro in materia di acqua, menzionato all'art. 6 della proposta. |
4.2.3 |
In base a quanto precede, la Commissione deve armonizzare tutti i parametri di qualità delle acque sotterranee a partire dal 2007. |
4.3 |
Infine, per l'autorizzazione dello scarico indiretto di inquinanti, di cui all'art. 6 della proposta, bisognerebbe seguire le disposizioni dell'art. 11, paragrafo 3, lettera j), della direttiva quadro in materia di acque, che stabilisce il divieto di scarico diretto di inquinanti nelle acque sotterranee senza che nessuna autorità abbia la facoltà di modificarli, piuttosto che le indicazioni contenute nel suddetto art. 6. |
4.4 |
Il CESE ribadisce l'importanza dell'informazione e della partecipazione delle parti interessate per l'applicazione delle disposizioni sulle acque. A tal fine propone che vengano prese in considerazione le nuove modalità (16) di applicazione della Convenzione di Aarhus, che facilita l'informazione, la partecipazione e l'accesso alla giustizia in materia ambientale non solo negli Stati membri ma anche nelle istituzioni comunitarie. |
4.5 |
In ultima istanza è opportuno ricordare alla Commissione che un requisito fondamentale per conseguire gli obiettivi ambientali previsti dal Sesto programma è la collaborazione e il coordinamento fra tutte le istituzioni comunitarie, specialmente fra le Direzioni generali, che devono evitare ripetizioni e divergenze e in particolar modo un doppio utilizzo dei fondi pubblici. |
4.5.1 |
In tal senso il CESE considera prioritari la raccolta e il trattamento di tutta l'informazione a carattere scientifico, tecnico e sociale, attualmente dispersa tra numerosi organi accademici e amministrativi, istituzioni, ecc. Ciò agevolerebbe notevolmente la Commissione nell'applicazione delle diverse direttive connesse alla gestione delle risorse idriche dell'Unione europea. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale
Roger BRIESCH
(1) GU L 327 del 22.12.2000, pag. 72.
(2) Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di un elenco di sostanze prioritarie nel settore della politica in materia di acque (presentata dalla Commissione) - COM(2000) 47 def.; Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale «Politiche di tariffazione per una gestione più sostenibile delle riserve idriche» - COM(2000) 477 def.
(3) Proposta concernente l'ambiente idrico della Comunità (COM(2000) 47 def.), codificata il 7 gennaio 2004. Non riguarda le acque sotterranee.
(4) GU L 20 del 26.1.1980, pag. 43.
(5) Direttiva modificata del 98/83/CE, GU L 330 del 5.12.1998, pag. 32.
(6) Direttiva 91/676/CEE, GU L 375 del 31.12.1991, pag. 1.
(7) Direttiva modificata 98/47/CE, GU L del 7.7.1998, pag. 50.
(8) Direttiva 98/8/CE, GU L 123 del 24.4. 1998, pag. 1.
(9) Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 marzo 2000, relativa all'istituzione di un elenco di sostanze prioritarie nel settore della politica in materia di acque. Per il relativo parere del Comitato, v. GU C 268 del 19.9.2000.
(10) L'articolo 14 della direttiva quadro in materia di acque prevede un ampio sistema di informazione e consultazione pubblica per l'elaborazione dei piani di gestione dei bacini idrografici, il quale può essere potenziato mediante il Convegno di Aarhus, nella proposta di regolamento e direttiva comunitaria. Relatrice del CESE: Sánchez Miguel.
(11) Parere del Comitato in merito alla comunicazione della Commissione Verso un piano d'azione per le tecnologie ambientali, GU C 32 del 5.2.2004.
(12) L'allegato III della proposta riporta l'elenco degli inquinanti per i quali devono essere fissati i valori soglia, al fine di agevolare una pur minima armonizzazione. Inoltre le informazioni che gli Stati membri dovranno fornire sui corpi idrici sotterranei caratterizzati come a rischio sono utili per intervenire sugli stessi, favorendo la riduzione dei costi per il loro risanamento.
(13) Direttiva 91/676/CEE, GU L 375 del 31.12.1991.
(14) Direttiva 91/414/CEE, GU L 230 del 19.8.1991.
(15) Proposta di modifica della direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (IPPC), COM (2003) 354 def. Parere del GU C 80 del 30.3.2004.
(16) Cfr. Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della Convenzione di Århus sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale (presentata dalla Commissione) (COM(2003) 622 def.) e Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso alla giustizia in materia ambientale (presentata dalla Commissione) (COM(2003) 624 def.).
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/44 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'aggiunta di vitamine e minerali e di talune altre sostanze agli alimenti
(COM(2003) 671 def. - 2003/0262 (COD))
(2004/C 112/12)
Il Consiglio, in data 24 novembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice HEINISCH.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 95 voti favorevoli e 3 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Le diverse norme nazionali in vigore negli Stati membri dell'Unione europea rendono molto disomogeneo il mercato degli alimenti addizionati con vitamine, minerali o altre sostanze e quindi rappresentano un ostacolo per la libera circolazione delle merci. Una disciplina europea unitaria in materia va pertanto senz'altro accolta con favore, anche a tutela del consumatore. |
1.2 |
Un'alimentazione equilibrata può infatti fornire tutte le vitamine, i minerali e le altre sostanze necessarie, ma per diversi motivi essa non è alla portata di tutti i gruppi di popolazione dell'Unione europea (1). |
1.3 |
L'aggiunta di vitamine, minerali o altre sostanze agli alimenti al fine di arricchirli, pur senza sostituire un'alimentazione equilibrata e varia, può quindi essere considerata uno dei vari modi per migliorare l'apporto di sostanze nutritive essenziali.. |
1.4 Per migliorare la situazione nutrizionale della popolazione servono però indubbiamente anche misure di più ampio respiro, come per esempio campagne informative oppure di educazione alimentare nelle scuole. In questo contesto bisogna tenere conto soprattutto di particolari categorie di persone, per esempio gli anziani, che più spesso di altre rivelano carenze di determinate sostanze nutritive; non va nemmeno trascurata l'importanza degli integratori alimentari.
1.4.1 |
In questo contesto il Comitato economico e sociale europeo (CESE) suggerisce di elaborare strategie idonee a garantire un'adeguata assunzione di acido folico da parte della popolazione; questa potrebbe essere conseguita introducendo in tutta Europa l'obbligo di addizionare acido folico a determinati alimenti oppure attraverso idonee campagne informative a livello nazionale. |
1.5 |
L'aggiunta di vitamine, minerali o altre sostanze agli alimenti al fine di arricchirli non dovrebbe però diventare la norma, così come non è opportuno discriminare gli alimenti non arricchiti né dare ai consumatori l'impressione che gli alimenti arricchiti siano da considerarsi generalmente più pregiati di quelli non arricchiti. |
2. Sintesi della proposta
2.1 |
La proposta di regolamento sull'aggiunta di vitamine, minerali e talune altre sostanze agli alimenti è tesa ad armonizzare le norme vigenti negli Stati membri riguardo all'immissione sul mercato di alimenti ai quali tali sostanze sono state addizionate su base volontaria. |
2.2 |
La proposta non è volta ad armonizzare le norme sull'aggiunta obbligatoria di vitamine e sostanze minerali agli alimenti. In alcuni Stati membri esiste già l'obbligo di arricchire determinati gruppi di alimenti per compensare carenze nutrizionali note a livello locale. Posto che queste dipendono molto dalle circostanze specifiche, un'armonizzazione in questo settore non sarebbe opportuna. |
2.3 |
La proposta si limita a considerare l'aggiunta delle sostanze (vitamine, minerali o loro composti) di cui agli allegati I e II del regolamento. Queste sostanze possono essere aggiunte agli alimenti soltanto per arricchirli, per creare un'equivalenza nutrizionale con un alimento di riferimento oppure per ripristinare il tenore delle sostanze andate perse nel corso di opportune operazioni di produzione, normale stoccaggio o movimentazione. |
2.4 |
In generale non è ammesso aggiungere vitamine e sostanze minerali ai prodotti freschi e non trasformati (fra cui frutta, verdura, carne) né alle bevande di tenore alcolico superiore all'1,2 %; è anche possibile che in futuro questo divieto venga esteso ad altri alimenti o gruppi di alimenti. |
2.5 |
Sono previste norme specifiche per l'etichettatura degli alimenti cui sono state aggiunte vitamine e sostanze minerali. |
2.6 |
La proposta di regolamento in esame disciplina anche l'aggiunta di sostanze diverse dalle vitamine e dai minerali. |
2.7 |
È infatti prevista la possibilità di vietare oppure restringere l'aggiunta di determinate sostanze agli alimenti inserendole nell'allegato III del regolamento. È altresì possibile tenere «sotto osservazione» le sostanze sulla cui sicurezza sussistano dei dubbi. |
2.8 |
Al fine di agevolare la sorveglianza, gli Stati membri hanno la possibilità di introdurre un sistema di registrazione degli alimenti arricchiti che preveda la trasmissione all'autorità competente di un campione dell'etichetta dell'alimento in questione. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione europea riguardante l'armonizzazione delle norme sull'aggiunta di vitamine, minerali e talune altre sostanze agli alimenti. La proposta appare molto equilibrata dal punto di vista sia della libera circolazione che della tutela dei consumatori. |
3.2 |
Il CESE rileva che in questa proposta è venuto meno il principio della creazione di profili nutrizionali, invece presente nella proposta preliminare della Commissione. Essendo peraltro probabile che l'aggiunta di sostanze avvenga soltanto quando essa può essere reclamizzata, il CESE concorda con quanto la Commissione afferma nella relazione, ossia che non è necessario che la proposta contenga esplicitamente norme sulla creazione di profili nutrizionali, in quanto queste sono già contemplate nella proposta della Commissione relativa alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari. |
3.3 |
Il CESE, peraltro, segnala espressamente che è imprescindibile che vi sia concordanza con il disposto di tale proposta di regolamento relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute. |
3.4 |
Il CESE è chiaramente a favore del divieto di aggiungere vitamine e minerali sia alle bevande di tenore alcolico superiore all'1,2 %, sia ai prodotti freschi e non trasformati. È indubbio che l'alcool induce potenzialmente assuefazione: il suo consumo non va pertanto stimolato con l'aggiunta di vitamine o minerali. |
3.5 |
Il CESE nota che, in mancanza di disposizioni di attuazione armonizzate, è possibile mantenere quelle nazionali, fra l'altro anche sulla definizione del tenore massimo di vitamine e minerali che possono essere aggiunti a un alimento. Il CESE auspica tuttavia che quest'ultima disposizione venga ulteriormente precisata e suggerisce di ispirarsi, per esempio, alla formulazione dell'articolo 11 della direttiva 2002/46/CE sugli integratori alimentari (2). |
4. Osservazioni particolari
4.1 Articolo 8: Il CESE rileva che – diversamente da quanto avviene per gli integratori alimentari - per gli alimenti non è affatto possibile indicare il consumo giornaliero consigliato in porzioni, in quanto il concetto di porzione varia notevolmente negli Stati membri dell'Unione europea. Bisogna tuttavia evitare l'assunzione di una dose eccessiva di vitamine e minerali: il CESE raccomanda pertanto di prevedere norme adeguate in tal senso.
4.1.1 |
Inoltre il consumatore dovrebbe essere informato dell'importanza di un'alimentazione equilibrata e soprattutto dell'impossibilità di sostituirla con alimenti cui sono state aggiunte vitamine, sostanze minerali o di altro tipo, che di un'alimentazione equilibrata possono essere soltanto una parte. Un'indicazione in tal senso dovrebbe figurare in etichetta. |
4.1.2 |
Norme analoghe sono già contenute nella direttiva 2002/46/CE (3) sugli integratori alimentari (4). |
4.2 |
Articolo 8.3: Il CESE ritiene che l'etichetta di un alimento al quale sono state addizionate vitamine o sostanze minerali debba sempre contenere un'indicazione sull'aggiunta effettuata: il CESE propone pertanto di sostituire l'indicazione in etichetta su base volontaria con un'indicazione obbligatoria. Tutti i consumatori dovrebbero infatti avere la possibilità di distinguere subito, a prima vista, gli alimenti arricchiti da quelli che non lo sono. |
4.3 |
Capitolo 3: Il CESE ritiene che le norme specifiche su etichettatura, presentazione e pubblicità di cui all'articolo 8, in particolare quelle relative all'indicazione obbligatoria delle sostanze aggiunte e del loro tenore nell'alimento, dovrebbero valere anche per sostanze diverse dalle vitamine e dai minerali. |
5. Sintesi
5.1 |
Il Comitato considera la proposta complessivamente equilibrata e ben strutturata. |
5.2 |
L'obbligo di indicare in etichetta l'aggiunta di sostanze nutritive all'alimento soddisferebbe il diritto del consumatore di essere informato. |
5.3 |
Inoltre andrebbero adottate misure adeguate per evitare l'assunzione di dosi eccessive di vitamine, minerali o altre sostanze. In questo contesto è altresì rilevante ricordare l'importanza di un'alimentazione equilibrata. |
5.4 |
Gli obblighi specifici in materia di etichettatura, previsti nella proposta in esame soltanto per gli alimenti arricchiti con vitamine e sostanze minerali, dovrebbero valere anche per gli alimenti cui sono state aggiunte sostanze diverse da queste. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Cfr. anche «Relazione sullo stato dei lavori della Commissione europea nel campo della nutrizione in Europa», ottobre 2002. http://europa.eu.int/comm/health/ph_determinants/life_style/nutrition/documents/nutrition_report_it.pdf
e «Euro Diet – Nutrition & Diet for Healthy Lifestyles in Europe», 1998
http://europa.eu.int/comm/health/ph_determinants/life_style/nutrition/report01_en.pdf.
(2) GU L 183 del 12.7.2002, pag. 51.
(3) GU L 183 del 12.7.2002, pag. 51.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/46 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti (versione codificata)
(COM(2003) 731 def – 2003/0283 (COD))
(2004/C 112/13)
Il Consiglio, in data 9 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 175 e 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore DONNELLY.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 101 voti favorevoli e 1 astensione.
1. Introduzione
1.1 |
Lo scopo della presente proposta è quello di avviare la codificazione della direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti. La nuova direttiva sostituisce le varie direttive che essa incorpora, preserva in pieno il contenuto degli atti oggetto di codificazione limitandosi quindi a riunirli in un unico testo e procedendo soltanto alle modifiche formali rese necessarie dalla codificazione. |
1.2 |
Il Comitato ritiene estremamente utile che tutti i testi vengano integrati in un'unica direttiva. Nel contesto dell'Europa dei cittadini il Comitato, al pari della Commissione, attribuisce grande importanza «alla semplificazione e alla chiara formulazione della normativa comunitaria, affinché diventi più comprensibile e accessibile al cittadino comune, offrendo al medesimo nuove possibilità di far valere i diritti che la normativa sancisce». Essendo stato garantito che questa versione codificata non contiene alcuna modifica di carattere sostanziale ed ha l'unico scopo di presentare la normativa comunitaria in maniera chiara e trasparente, il Comitato esprime il proprio sostegno incondizionato a tale obiettivo ed accoglie favorevolmente la proposta alla luce appunto di tali garanzie. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/47 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un programma comunitario concernente la conservazione, la caratterizzazione, la raccolta e l'utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura
(COM(2003) 817 def. — 2003/0185 (CNS))
(2004/C 112/14)
Il Consiglio, in data 13 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore VOSS.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 92 voti favorevoli, 3 contrari e 3 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Il regolamento (CE) n. 1467/94 del Consiglio concernente la conservazione, la caratterizzazione, la raccolta e l'utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura ha varato nel 1994 un programma d'azione quinquennale, scaduto il 31 dicembre 1999. Con tale programma d'azione la Commissione ha fatto proprie le iniziative intraprese negli anni '80 dal Parlamento europeo: quest'ultimo, infatti, aveva già posto l'accento, in alcune sue risoluzioni, sull'erosione genetica, proponendo interventi a livello comunitario per far fronte al problema. |
1.2 |
Grazie a questo programma d'azione, è stato possibile finanziare 21 progetti, molti dei quali incentrati sulla caratterizzazione (valutazione) delle risorse genetiche disponibili ex situ. A tali progetti hanno partecipato segnatamente banche di geni, istituti di ricerca, utilizzatori e, sotto la direzione degli istituti di ricerca, a volte anche le organizzazioni non governative (ONG). |
1.3 |
Come previsto dal regolamento, un gruppo di esperti indipendenti ha presentato una relazione di valutazione sull'attuazione del programma, che esprime un giudizio nel complesso positivo sulle iniziative intraprese e invita a portarle avanti e a rafforzarle, raccomandando tra l'altro di:
|
1.4 |
Nel marzo 2001 la Commissione ha presentato una proposta per un nuovo programma comunitario (COM(2001) 671 def.), che però ha ritirato quando il Parlamento europeo e il Consiglio hanno manifestato la propria opposizione alla fonte dei finanziamenti proposta, vale a dire il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) - Sezione «Garanzia». In quell'occasione era stato inoltre auspicato un potenziamento del ruolo della Commissione in materia di coordinamento e di attuazione del nuovo programma. |
1.5 |
La proposta di regolamento in esame presenta un nuovo programma d'azione della durata di tre anni, nel cui ambito sarà data priorità ai progetti che comportano l'utilizzazione di risorse genetiche ai seguenti scopi:
|
1.6 |
Il programma comunitario verrà attuato per lo più mediante azioni mirate, ma anche tramite azioni concertate e di accompagnamento. |
2. Osservazioni generali
2.1 |
Già nel parere del 24 aprile 2002 (1) relativo alla proposta (COM(2001) 617) della Commissione, successivamente ritirata, il Comitato accoglieva con estremo favore tale proposta, sottolineando «…che il depauperamento delle risorse genetiche in agricoltura è tutt'altro che finito e vanno pertanto profusi ulteriori sforzi al fine, da un lato, di valutare, inventariare e preservare il potenziale genetico e, dall'altro, di salvaguardare l'utilizzazione della diversità genetica da parte delle aziende agricole». |
2.2 |
Il Comitato tiene a sottolineare che la preservazione delle risorse genetiche acquisirà un significato ancor maggiore con l'allargamento dell'Unione europea ad altri 10 paesi. Il prevedibile cambiamento delle pratiche agricole adottate dai nuovi paesi può infatti mettere a rischio la diversità delle risorse genetiche utilizzate per la produzione agricola a livello regionale. |
2.3 |
Ancora frammentarie sono le conoscenze relative al potenziale genetico di specie a volte in grave pericolo e minacciate di estinzione. Il possibile sfruttamento di caratteristiche diverse, in parte ancora sconosciute, sta alla base di una produzione agricola all'insegna della diversità e della conformità delle specie all'habitat naturale. |
2.4 |
L'inventariazione del potenziale genetico presenta alcune carenze nelle singole banche dati o nel collegamento tra le banche in rete. Il Comitato rileva pertanto la necessità di norme chiare in materia di utilizzazione e sfruttamento economico dei dati raccolti nel quadro del programma d'azione. |
2.5 |
Il Comitato plaude all'importanza centrale attribuita dalla proposta di regolamento alla conservazione in situ e alla gestione delle risorse genetiche nell'azienda agricola. Il regolamento si allinea così al piano d'azione globale FAO (2) del 1996 per la conservazione e l'uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura. Il Comitato, anche in questo caso, auspica che venga dato il giusto rilievo a tali misure. |
2.6 |
Il Comitato plaude altresì alla maggiore attenzione riservata dal programma alle attività delle ONG. |
2.7 |
Nel precedente parere del 24 aprile 2002, il Comitato affermava che d'importanza almeno pari all'approccio scientifico è il fatto di salvaguardare l'utilizzazione della molteplicità di risorse genetiche nelle attività agricole favorendo, nel quadro del secondo pilastro della PAC, pratiche che rispettino l'ambiente, come le rotazioni di colture diversificate. Misure analoghe andrebbero altresì attuate per continuare ad utilizzare specie animali da allevamento in via d'estinzione. Il principio «conservare consumando» può costituire un prezioso elemento di una nuova cultura alimentare europea all'insegna della diversità consapevole. |
2.8 |
Il Comitato sottolinea pertanto la necessità di evidenziare e valorizzare ulteriormente le opportunità offerte dal secondo pilastro della PAC per la conservazione e l'utilizzazione delle risorse genetiche. |
3. Osservazioni particolari
3.1 |
Il programma comunitario triennale 2004-2006 proposto sarà finanziato tramite la rubrica 3 (politiche interne) delle prospettive finanziarie con un importo totale pari a 10 milioni di euro. Il Comitato si compiace del ruolo attivo che la Commissione assumerà nell'attuazione del programma. Reputa invece limitato il quadro finanziario di tre anni rispetto a quello adottato nella proposta del 22 novembre 2001 (10 milioni di euro all'anno per cinque anni) e conta su un aumento della dotazione di bilancio nel 2005. |
3.2 |
Il Comitato ritiene che, a più lungo termine, la Commissione dovrebbe sostenere e coordinare le attività necessarie in tal senso negli Stati membri dell'UE e nei paesi in via di adesione: tra tali attività figurano non soltanto i programmi e i progetti che ricevono finanziamenti pubblici, ma anche le numerose reti di ONG, che forniscono un contributo rilevante alla conservazione e all'utilizzazione più accorta della diversità genetica nel quadro di una produzione agricola sostenibile. |
3.3 |
Con il regolamento in esame, l'UE adempierebbe ad una parte degli obblighi derivanti dai trattati internazionali ONU in materia (piano d'azione globale FAO (GPA) e convenzione sulla diversità biologica). Il Comitato è dell'avviso che, prima della scadenza del programma, la Commissione dovrebbe presentare in tempo utile una proposta per quello successivo. La Commissione, inoltre, dovrebbe continuare a fornire le risorse umane necessarie per l'attuazione del programma. |
3.4 |
Il Comitato mette inoltre in rilievo la particolare importanza di tale programma alla luce dei negoziati intrapresi dall'UE in sede di OMC sulla tutela della denominazione di origine regionale e gli aiuti statali non distorsivi della concorrenza. Il programma contribuisce alla realizzazione di un'agricoltura europea multifunzionale. |
3.5 |
Il Comitato riconosce il particolare valore del regolamento di attuazione delle direttive modificate 2002/53-57/CE e 66/401-402/CEE sulla commercializzazione di sementi, che la Commissione ha già annunciato, ma non ancora presentato. Tali direttive condizioneranno infatti l'accesso alle cosiddette «varietà da conservazione» e «varietà non commerciali». Su iniziativa del Parlamento sono state infatti disciplinate l'etichettatura e la commercializzazione delle semenze che non soddisfano i criteri previsti per le varietà certificate. Ciò significa che queste non possono per il momento essere commercializzate, rischiando così di uscire dai cicli produttivi e riproduttivi e, inoltre, che non se ne può garantire la conservazione. Il regolamento per l'attuazione delle direttive di cui sopra è in preparazione dal novembre 2002. |
3.6 |
Secondo il Comitato, occorre verificare che i regolamenti relativi alle classificazioni commerciali non comportino una restrizione dell'accesso al mercato dei prodotti animali e vegetali più rari. |
3.7 |
A suo giudizio, sarebbe necessario garantire un adeguato coinvolgimento delle ONG nel comitato sulla conservazione, caratterizzazione, raccolta e utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura previsto all'articolo 15 della proposta di regolamento. |
3.8 |
All'articolo 9, paragrafo 2, di tale proposta sarebbe opportuno menzionare esplicitamente gli agricoltori. |
3.9 |
Il Comitato chiede alla Commissione di elaborare due relazioni sull'impatto della PAC che rispondano ai seguenti quesiti:
|
3.10 |
Pur in mancanza del programma di lavoro che dovrà accompagnare il regolamento, il Comitato plaude ai precisi obiettivi delineati nella proposta di regolamento. |
4. Sintesi
4.1 |
La proposta di regolamento della Commissione ha già ampiamente tenuto conto dei suggerimenti formulati dagli Stati membri, dal Parlamento e dal Comitato in relazione alla proposta, poi ritirata, del 22 novembre 2001. Il Comitato accoglie con favore la nuova proposta di regolamento, auspicando che il programma venga adottato, applicato, valutato e portato avanti in tempi brevi. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) GU C 149 del 21.6.2002, pagg. 11-13.
(2) Global Plan of Action for the Conservation and Sustainable Utilization of Plant Genetic Resources for Food and Agriculture (GPA)
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/49 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — L'applicazione della direttiva 96/71/CE negli Stati membri
(COM(2003) 458 def.)
(2004/C 112/15)
La Commissione, in data 25 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice LE NOUAIL MARLIÈRE.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 93 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.
1. Introduzione
Contesto.
1.1 La direttiva
1.1.1 |
Nel 1996 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato la direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori (1). |
1.1.2 |
Tale direttiva è intesa a ricercare un equilibrio tra, da un lato, l'aumento delle possibilità per le imprese di fornire servizi in altri Stati membri dell'UE e, dall'altro, la protezione sociale dei lavoratori. A tal fine, essa stabilisce una serie di condizioni di lavoro e di occupazione da garantire ai lavoratori distaccati nello Stato d'accoglienza, a prescindere dalla legislazione che disciplina il contratto del lavoratore in questione. La direttiva definisce un lavoratore distaccato come «un lavoratore che, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente» (articolo 2, paragrafo 1). |
1.1.3 |
Il regolamento (CE) n. 1408/71 relativo al coordinamento dei regimi di sicurezza sociale nell'UE nell'ambito della libera circolazione dei lavoratori e dei servizi, aveva introdotto il distacco come una delle possibilità per continuare a beneficiare della previdenza sociale nello Stato di residenza quando si lavora in un altro Stato membro per un periodo massimo di 12 mesi (2) o, a determinate condizioni, di 18 mesi. |
1.1.4 |
La direttiva 96/71/CE verte sul coordinamento pratico delle condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori distaccati. L'articolo 3, che costituisce il nucleo essenziale del testo, elenca le condizioni applicabili ai lavoratori distaccati. Tali condizioni sono stabilite:
|
1.1.5 |
Oltre al recepimento nella legislazione nazionale, per l'attuazione delle disposizioni della direttiva viene considerata altrettanto importante anche la cooperazione amministrativa (articolo 4), non soltanto per lo scambio di informazioni, ma anche per l'adozione di misure necessarie ad impedire una violazione delle norme contenute nella direttiva stessa. Infatti prevenire gli abusi contribuisce alla tutela sociale dei lavoratori ed alla libera circolazione dei servizi. |
1.2 Il parere del Comitato
1.2.1 |
Già nel 1991, il Comitato economico e sociale aveva elaborato un parere in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio riguardante il distacco di lavoratori nel quadro della prestazione di servizi (COM(91) 230 def., l – SYN 346 e parere CES 1512/91). |
1.3 Perché una comunicazione della Commissione?
1.3.1 |
La direttiva in questione doveva essere trasposta dagli Stati membri entro la fine del 1999. |
1.3.2 |
L'articolo 8 della direttiva prevedeva che la Commissione ne avrebbe riesaminato le modalità di applicazione entro il 16 dicembre 2001 allo scopo di proporre, all'occorrenza, le necessarie modifiche al Consiglio. Alla scadenza del termine, la Commissione ha avviato una verifica dello stato di recepimento della direttiva negli Stati membri: le conclusioni di tale verifica sono state riprese nella comunicazione in esame. Il documento riporta il contenuto e gli obiettivi della direttiva e descrive le misure legislative adottate a livello nazionale distinguendo gli Stati in tre gruppi: quelli che hanno ripreso i termini della direttiva senza indicare a quali disposizioni legislative nazionali corrispondono le materie in essa considerate, quelli che hanno individuato le disposizioni nazionali applicabili ed hanno inserito rimandi a tali disposizioni ed infine gli Stati che non hanno adottato leggi specifiche di recepimento concernenti le disposizioni del diritto interno applicabili ai lavoratori distaccati. |
1.3.3 |
Il documento ricorda le disposizioni convenzionali, l'attuazione della cooperazione in materia d'informazione (art. 4), le misure di controllo e le sanzioni volte ad assicurare il rispetto della direttiva (artt. 5 e 6). |
1.3.4 |
Nel capitolo 4, la Commissione valuta la situazione negli Stati membri riguardo al recepimento della direttiva, il metodo usato, nonché la natura delle norme e dei contratti collettivi applicabili. |
1.3.5 |
Sempre nello stesso capitolo, la Commissione espone le difficoltà di ordine pratico e amministrativo incontrate dalle autorità degli Stati membri nell'applicazione della direttiva e dedica tre brevi paragrafi a quelle incontrate dalle imprese fornitrici di servizi e dai dipendenti distaccati. |
1.3.6 |
Nella conclusione, la Commissione afferma che nessuno Stato membro ha incontrato particolari difficoltà di natura giuridica al momento del recepimento della direttiva e che i problemi di ordine pratico che la sua attuazione potrebbe tuttavia far sorgere dovrebbero tutti di norma potersi appianare progressivamente. |
1.3.7 |
Di conseguenza, la Commissione ritiene prematuro apportare modifiche alla direttiva e propone, in conclusione, di affidare ad un gruppo di esperti governativi a composizione variabile il compito di esaminare le modalità per agevolare l'accesso alle informazioni sulle disposizioni applicabili ai lavoratori distaccati nonché quello di controllare l'osservanza delle disposizioni della direttiva in attesa di appianare e risolvere le difficoltà individuate (mancato recepimento di disposizioni specifiche da parte di alcuni Stati, disposizioni di ordine pubblico, ricerca d'informazioni, grado di osservanza delle disposizioni nazionali in materia di recepimento e di applicazione delle sanzioni). |
2. Osservazioni generali
2.1 Sulle basi dell'analisi della comunicazione
2.1.1 |
Il Comitato ritiene che la comunicazione in esame sia utile ma che essa presenti delle lacune; pertanto invita la Commissione ad approfondire la sua analisi, soprattutto in materia di concorrenza sleale e dumping sociale, fenomeni che i distacchi abusivi potrebbero comportare. Il Comitato chiede alla Commissione di procedere a consultazioni settoriali con i veri interlocutori, ossia i destinatari del recepimento, soprattutto nel settore edilizio, in cui non sono state ancora consultate le parti sociali, nonostante esse abbiano sollevato i problemi legati alla definizione di «lavoratore distaccato» e alla vaghezza che circonda i «lavoratori indipendenti». Tale analisi approfondita dovrebbe incentrarsi in particolare sull'applicazione pratica dell'articolo 3 della direttiva, ovvero sul rispetto effettivo dei diritti fondamentali dei lavoratori che vengono ivi elencati. In tale contesto, il Comitato si chiede se le consultazioni nazionali effettuate nell'ambito di questa prima verifica abbiano effettivamente permesso di appurare le difficoltà di applicazione pratica e la realtà del recepimento e delle disposizioni d'applicazione. In ogni caso, il Comitato ritiene necessario svolgere una valutazione approfondita delle disposizioni più favorevoli al fine di confrontare meglio le buone prassi e di fornire una migliore informazione all'insieme dei lavoratori e delle imprese interessate. |
2.1.2 |
Per quanto riguarda i principi della direttiva, appaiono di particolare importanza le definizioni di «lavoratore distaccato» usate nelle legislazioni nazionali. Affinché la valutazione sia completa è necessario porsi alcune domande e in particolare le seguenti. In che modo gli Stati membri riconoscono un lavoratore distaccato e, di conseguenza, applicano ad esso la direttiva? Quali sono le misure adottate dagli Stati membri o dalle parti sociali per garantire il rispetto della direttiva? A tale riguardo, assumono un particolare rilievo i seguenti aspetti:
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2.2 |
A causa delle lacune della comunicazione, il Comitato chiede alla Commissione di presentare una nuova relazione che permetta di verificare
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2.2.1 |
Dato che in diversi Stati membri esistono dei contratti collettivi d'applicazione generale nel settore edilizio, è essenziale sapere in che modo le disposizioni di questi contratti collettivi vengono utilizzate per l'applicazione della direttiva. Di particolare importanza è l'interpretazione delle condizioni di lavoro elencate all'articolo 3. Quali sono, in base a questi contratti collettivi, le tariffe minime salariali, la durata minima di ferie retribuite, il periodo di riposo? Da uno Stato membro all'altro i contratti collettivi possono divergere notevolmente su questi punti. Si può citare a titolo di esempio il ricorso, in alcuni Stati membri, ai «fondi sociali» per le ferie retribuite. La partecipazione a questi fondi può garantire condizioni più favorevoli ai lavoratori distaccati. La questione essenziale è sapere in che modo queste condizioni favorevoli possono essere valutate e prese in considerazione. |
2.2.2 |
Inoltre, non tutti gli Stati membri hanno esteso l'applicazione delle condizioni di lavoro determinate su base contrattuale ai lavoratori distaccati attivi in settori diversi da quelli che figurano in allegato alla direttiva, mentre, come sottolinea la Commissione, l'art. 3, paragrafo 10, 2o trattino, lo prevede esplicitamente. |
2.2.2.1 |
Il Comitato esorta la Commissione a raccogliere dagli Stati membri attuali e dai paesi di prossima adesione le informazioni disponibili relative al numero di lavoratori distaccati ed ai settori maggiormente interessati, tenendo conto dei diversi sistemi di relazioni industriali esistenti. |
2.2.3 |
Negli ultimi anni, in diverse occasioni, la Commissione europea ha dovuto riconoscere che le aspettative della metà degli anni Ottanta sulla mobilità non sono state soddisfatte, o lo sono state soltanto in misura minima. Meno del 2 % della popolazione attiva europea lavora in un paese diverso da quello di origine e le cifre della mobilità annuale sono ancora più basse. Secondo le stime dell'Unione, i lavoratori attivi in un paese diverso dal loro sono 600 000: di essi solo alcuni hanno lo statuto di lavoratori distaccati e rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva. I casi di mobilità, inoltre, sembrano limitati, da un lato, ai quadri ed ai lavoratori particolarmente qualificati, e dall'altro, ai lavoratori del settore edilizio. L'esistenza di un dumping salariale e sociale in alcuni paesi dell'Unione e in certi settori professionali è legata al fatto che trattandosi di settori ad alto rischio, anche un numero relativamente ridotto di lavoratori che propone i propri servizi a una retribuzione nettamente inferiore può pregiudicare la struttura salariale esistente ed avviare una pericolosa spirale di ribasso dei salari e dei prezzi. |
2.3 Sulla prevenzione diretta dell'indebolimento della protezione sociale e sulla libera circolazione dei servizi
— |
La comunicazione non consente, allo stato attuale, di trarre in base alle difficoltà pratiche incontrate delle conclusioni che permettano di procedere a una semplificazione o revisione della direttiva. Una fonte di informazione preziosa a tale riguardo, è invece rappresentata dalle esperienze degli attori nazionali in materia di distacco dei lavoratori (parti sociali del settore edilizio, amministratori, ispettori del lavoro …), le quali rivestono, di conseguenza, una grande importanza. |
3. Osservazioni particolari e proposte
3.1 |
Nella nuova verifica, la Commissione dovrebbe innanzitutto valutare le ripercussioni dell'ampliamento sull'applicazione della direttiva, sia negli attuali Stati membri che nei paesi in via di adesione, tenendo ovviamente conto dei periodi di transizione concessi a questi ultimi. Inoltre, dovrebbero essere valutate anche le dimensioni regionali, transfrontaliere o settoriali, in modo particolare per quanto riguarda il settore edilizio.
|
3.2 |
Il Comitato propone altresì
|
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi, GU L 18 del 21.1.1997.
(2) Regolamento 1408/71.
(3) Cause 369/96 e 376/96, CGCE, 23 novembre 1999.
(4) Causa 272/94, CGCE, 28 marzo 1996.
(5) Cause C-49/98, C-50/98, C-51/98 e C-53/98, CGCE.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/53 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 337/75 relativo all'istituzione di un Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop)
(COM(2003) 854 def. - 2003/0334 CNS)
(2004/C 112/16)
Il Consiglio, in data 16 febbraio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore GREIF.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 99 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.
1. Sintesi della proposta della Commissione
1.1 |
L'8 gennaio 2004 la Commissione ha presentato una proposta di modifica del regolamento (CEE) n. 337/75 relativo all'istituzione di un Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop). Tale documento (1) contiene, oltre ad alcune modifiche del regolamento di base del Centro e alla loro motivazione, anche una descrizione del contesto in cui sono maturate le proposte avanzate. |
1.2 |
La proposta di revisione del regolamento è motivata dall'imminente ampliamento dell'UE e dall'esigenza che ne consegue di adeguare alle nuove circostanze le modalità di lavoro e di funzionamento del Centro, in particolare il ruolo del consiglio di direzione, dell'ufficio di presidenza e del direttore, che ne costituiscono gli organi principali. |
1.3 |
Nella motivazione della proposta di revisione la Commissione fa riferimento ai seguenti elementi:
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1.4 |
Il documento in esame costituisce la risposta della Commissione a tale invito; esso contiene in sostanza le seguenti proposte relative al Cedefop:
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1.5 |
Le proposte della Commissione prevedono inoltre le seguenti modifiche del regolamento del Centro:
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2. Osservazioni generali
2.1 |
Il Cedefop condivide con la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, di Dublino, e con l'Agenzia per la sicurezza e la salute sul lavoro, di Bilbao, la caratteristica di avere un consiglio di direzione composto per quasi due terzi da rappresentanti delle parti sociali. Questa composizione tripartita riflette l'importanza che le parti sociali rivestono nella maggior parte degli Stati membri nei campi della protezione sociale, della tutela dei lavoratori e della politica di formazione professionale. Anche a livello europeo è pertanto necessario e naturale che le parti sociali partecipino ad un'efficace e responsabile elaborazione delle politiche in questi settori. |
2.2 |
Delle tre agenzie comunitarie caratterizzate da un consiglio di direzione tripartito, il Cedefop sarà la prima a subire gli adeguamenti richiesti dal Parlamento europeo. Le altre due agenzie (Eurofond e EU-OSHA) saranno presto sottoposte ad una revisione analoga. Pertanto i cambiamenti introdotti nel funzionamento e nella struttura gestionale del Centro di Salonicco fungeranno da riferimento per cambiamenti analoghi nelle altre due agenzie. |
2.3 |
Il Comitato raccomanda quindi di verificare attentamente le proposte presentate, in particolare nell'ottica di garantire alle parti sociali la possibilità di essere coinvolte e di esercitare la loro influenza nel lavoro, nella guida e nell'amministrazione del Centro, così come è avvenuto sinora con buoni risultati. Qualsiasi modifica del ruolo e della composizione degli organi delle agenzie può influire appunto sul coinvolgimento e sulle possibilità di partecipazione dei gruppi rappresentati in seno al consiglio di direzione. |
2.4 |
L'ampliamento non può essere preso a pretesto per indebolire, in un'ottica di efficacia rispetto ai costi e di razionalizzazione delle procedure, il ruolo delle parti sociali nelle agenzie. Occorre piuttosto redigere un regolamento che permetta di adeguare il necessario forte coinvolgimento delle parti sociali ad un mutato contesto futuro. |
2.5 |
Il Comitato concorda pertanto con la Commissione nel ritenere necessario che qualsiasi proposta di revisione degli orientamenti per la guida e la gestione del Centro e della sua composizione mantenga la struttura direttiva tripartita e con essa la partecipazione su base paritetica delle parti sociali, come fattore essenziale per un lavoro efficace. Solo così si garantisce che tutti i principali soggetti siano coinvolti e che il Centro tenga conto nel suo lavoro di tutti i vari sistemi e progetti in materia di formazione professionale. |
2.6 |
Quantunque sia importante salvaguardare la capacità di azione degli organi direttivi e sebbene sia indiscutibile che gli effetti dell'ampliamento sulla composizione del consiglio di direzione si rifletteranno sui costi, nondimeno il Comitato ribadisce che, per quanto riguarda gli interessi rappresentati negli organi direttivi, la revisione non deve limitare né la loro rappresentatività, né la loro influenza, né la portata della loro capacità decisionale, né la continuità della loro partecipazione. |
2.7 |
Fatta salva questa premessa, il Comitato accoglie con favore la maggior parte delle proposte di modifica avanzate dalla Commissione. Espone nondimeno qui di seguito alcune osservazioni e perplessità, sperando che saranno tenute a mente nella revisione del regolamento del Cedefop. |
3. Osservazioni particolari
3.1 |
Formalizzazione di prassi consolidate: numerose proposte di modifica introdotte dalla Commissione non fanno altro che fissare nel regolamento delle prassi che sono già in uso e hanno dato buoni risultati. Ciò vale in particolare per il lavoro dell'ufficio di presidenza e del consiglio di direzione, la partecipazione delle parti sociali a livello nazionale ed europeo, la cooperazione con altri organismi comunitari e il coordinamento delle attività dei gruppi rappresentati negli organi direttivi del Centro. Il Comitato si compiace del fatto che vengano formalizzate delle prassi efficaci, che avevano sinora carattere informale; si augura che ciò accresca la trasparenza, l'efficienza e la responsabilizzazione e salvaguardi, rafforzandolo, il carattere tripartito del Centro. |
3.2 |
Ruolo delle parti sociali europee: il Comitato apprezza anche il fatto che, con l'introduzione esplicita nella proposta di regolamento della figura dei coordinatori dei gruppi con diritto di partecipare alle riunioni del consiglio di direzione e dell'ufficio di presidenza, venga riconosciuto alle parti sociali europee un ruolo importante nella gestione del Centro (5). In tale contesto spetta un ruolo preminente alla Confederazione europea dei sindacati (CES) e all'Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europea (UNICE). Al fine di sottolineare l'importanza di questo ruolo, il Comitato propone una modifica dell'articolo 4, paragrafo 5 dell'attuale regolamento, che conceda anche ai coordinatori il diritto di voto nel consiglio di direzione e nell'ufficio di presidenza, e propone altresì di sancire il ruolo delle parti sociali europee facendole partecipare alla nomina delle funzioni direttive del Centro (direttore e vicedirettore). |
3.3 |
Cooperazione con istituti e autorità: alla luce della strategia di Lisbona e della grande importanza che viene riconosciuta alla formazione e al perfezionamento professionale e alla formazione permanente, il Comitato si compiace del fatto che il Centro sia stato incaricato di cooperare con la Fondazione europea per la formazione professionale di Torino (6). Spera che non ci si limiterà ad una più intensa collaborazione tra le due agenzie per la formazione professionale, ciascuna delle quali dotata di compiti propri, ma che invece ciò spinga ad una cooperazione e ad una migliore intesa con altri istituti e autorità europee del settore, come per esempio l'unità Eurydice della Commissione europea, competente per l'istruzione generale e superiore. |
3.4 |
Riduzione del numero di riunioni del consiglio di direzione: la Commissione propone di ridurre da due a una le riunioni annue del consiglio di direzione, un'importante misura che servirebbe a conciliare l'aumento del numero di membri del consiglio stesso, dovuto all'ampliamento, con l'esigenza di mantenere invariati i costi (7). La minor frequenza delle riunioni viene motivata anche dal fatto che una serie di incombenze amministrative passerà all'ufficio di presidenza e al direttore e che il consiglio di direzione potrà quindi concentrarsi sulle mansioni più specificamente strategiche. Il Comitato esprime il timore che lo scambio di opinioni tra i membri del consiglio di direzione possa risentire negativamente della riduzione del numero di sedute. È ovvio inoltre che, a parte gli otto membri dell'ufficio di presidenza, tutti gli altri componenti del consiglio di direzione avrebbero difficoltà a mantenere attivo lo scambio di informazioni e i contatti reciproci tra una riunione e l'altra. Per sgombrare il campo da queste preoccupazioni e salvaguardare l'ampiezza e la profondità dello scambio di opinioni, il Comitato avanza due proposte:
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3.5 |
Continuità della partecipazione: per assicurare la continuità della partecipazione di tutti i membri occorrono delle misure supplementari che permettano di compensare la riduzione della presenza e dello scambio di informazioni e garantiscano al tempo stesso discussioni intense e approfondite. Bisogna quindi garantire il dibattito all'interno dei tre gruppi (governi, lavoratori, datori di lavoro) e dare ai coordinatori dei gruppi, che assumono un ruolo importante in questo contesto, possibilità adeguate (per esempio la facoltà di convocare riunioni di gruppo o dell'ufficio di presidenza allargato) e dotarli delle risorse necessarie. |
3.6 |
Composizione dell'ufficio di presidenza: comprenderà 8 membri (2 rappresentanti per la Commissione e 2 rappresentanti per ciascuno dei tre gruppi) (8); il Comitato considera degno di nota il rafforzamento del ruolo della Commissione e si sarebbe aspettato di vedere motivato tale cambiamento. Per il funzionamento del Centro il Comitato ritiene indispensabile che anche nella composizione dell'ufficio di presidenza sia garantita un'effettiva rappresentanza tripartita. Si augura che tale modifica preluda a un maggiore apporto di competenza specifica e si aspetta che l'equilibrio dei voti rimanga immutato. Il Comitato ricorda che il programma di azione per il 2001 del consiglio di amministrazione conteneva la proposta di istituire un ufficio di presidenza allargato, comprendente un piccolo numero di membri permanenti più altri membri a rotazione; l'obiettivo era quello di coniugare l'efficienza con la necessaria ampiezza dello scambio di vedute. Il Comitato invita a tenere conto di quella proposta, introducendo nell'articolo 4, paragrafo 10, oltre a quanto proposto più in alto circa la possibilità di tenere ulteriori riunioni, anche una disposizione che consenta al presidente di convocare, su richiesta dei membri dell'ufficio di presidenza, riunioni allargate di tale organo. |
3.7 |
Ruolo del direttore e del vicedirettore: in base alla proposta il direttore è il rappresentante legale del Centro, è responsabile della sua gestione e mette in atto le decisioni del consiglio di direzione e dell'ufficio di presidenza (9). Il CESE si chiede se questa definizione molto restrittiva del ruolo e delle responsabilità del direttore consenta di distinguere con esattezza, ai fini dell'aumento di efficienza che si persegue, tra le competenze del direttore e quelle del consiglio di direzione e dell'ufficio di presidenza. Il Comitato ritiene opportuno approfittare di questa revisione del regolamento del Cedefop per reintrodurre la figura del vicedirettore, inserendo nel nuovo regolamento una disposizione specifica. In tal modo si tornerebbe alla situazione che ha dato buoni risultati pratici per 20 anni - fino al trasferimento del Cedefop da Berlino a Salonicco nel 1995 - e che ha consentito alle parti sociali di partecipare in modo armonico alle decisioni in materia di personale. Ciò costituirebbe anche un ravvicinamento, che il Comitato considera molto positivo, alla regolamentazione e alle prassi consolidate dell'Eurofound di Dublino. Il Comitato propone pertanto di modificare di conseguenza l'articolo 6 del regolamento che corrisponde ad una analoga disposizione nel regolamento riguardante Eurofound (10). Il regolamento dovrebbe inoltre contenere una disposizione in base alla quale i contratti di assunzione del direttore debbano essere firmati dal presidente del consiglio di direzione. Altrettanto dovrebbe valere per la carica, da ripristinare, di vicedirettore; in caso contrario tale carica sarebbe assegnata su decisione del direttore, contrariamente alla prassi comune secondo cui il consiglio di direzione rispecchia l'intera gamma degli interessi. |
3.8 |
Definizione delle priorità a medio termine: l'articolo 8, paragrafo 1, del regolamento riguarda la competenza in materia di definizione dell'orientamento strategico del Centro. È previsto che il consiglio di direzione stabilisca le priorità a medio termine e il programma di lavoro annuale in base ad un progetto presentato dal direttore. La proposta formalizzerebbe quindi una prassi già in uso sin dalla metà degli anni '90. Il Comitato si compiace del fatto che venga assegnato al consiglio di direzione un ruolo più strategico. Ribadisce tuttavia il proprio timore che una sola riunione all'anno non possa garantire al consiglio di direzione quel processo decisionale ampio e solido necessario per svolgere tale ruolo. A tale proposito il Comitato rinvia a quanto affermato nei punti 3.4. e 3.6 in merito all'opportunità di prevedere delle riunioni allargate dell'ufficio di presidenza. Il Comitato capisce che le priorità debbano tenere conto «delle necessità prioritarie indicate dalle istituzioni della Comunità» (11), ma desidera ricordare che anche in futuro il lavoro del Centro non deve avere solo una funzione consultiva a beneficio delle istituzioni comunitarie e dei governi degli Stati membri, bensì deve servire anzitutto ai soggetti attivi a livello nazionale nella formazione professionale e in particolare alle parti sociali nei vari Stati membri. |
3.9 |
Pari opportunità: il Comitato si compiace infine del fatto che il regolamento modificato menzioni esplicitamente l'obiettivo di assicurare una rappresentanza equilibrata di uomini e di donne nella composizione del consiglio di direzione (12), il che rappresenta un passo in avanti verso l'attuazione dell'articolo 3 del Trattato CE; si tratta di un vero invito rivolto agli Stati membri e alle organizzazioni delle parti sociali, affinché, nella scelta dei propri rappresentanti, tengano conto della questione della parità tra i sessi. Il Comitato auspica che tali considerazioni valgano anche nella politica del personale del Centro, in particolare ai fini delle scelte relative ai livelli dirigenziali. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) COM(2003) 854 def. - 2003/0334 CNS).
(2) La relazione completa della valutazione esterna del Cedefop, nonché la risposta della Commissione e il piano d'azione adottato dal consiglio di amministrazione sulla base di tale valutazione esterna sono consultabili al seguente indirizzo: http://europa.eu.int/comm/education/programmes/evaluation/evaluation_en.html
(3) Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale - Cedefop (Salonicco), Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro - Eurofound (Dublino), Agenzia per la sicurezza e la salute sul lavoro - EU-OSHA (Bilbao).
(4) Cfr., nel contesto della procedura di discarico nel Parlamento europeo, il documento EP-Doc. Nr. A5-0079/2003, paragrafo 28.
(5) Articolo 4, paragrafo 5 della proposta di modifica del regolamento (CEE) n. 337/75.
(6) Articolo 3, paragrafo 2 della proposta di modifica del regolamento (CEE) n. 337/75.
(7) Articolo 4, paragrafo 6 della proposta di modifica del regolamento (CEE) n. 337/75.
(8) Articolo 4, paragrafo 8 della proposta di modifica del regolamento (CEE) n. 337/75.
(9) Articolo 7, paragrafo 1 della proposta di modifica del regolamento (CEE) n. 337/75.
(10) Cfr. articolo 8 del regolamento (CEE) n.1365/75 del Consiglio del 26 maggio 1975 concernente l'istituzione di una Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Articolo 8 1. il direttore della Fondazione e il direttore aggiunto sono nominati dalla Commissione in base ad un elenco di candidati presentato dal consiglio di amministrazione; 2 il direttore e il direttore aggiunto vengono scelti tra persone particolarmente competenti che offrano ogni garanzia di indipendenza; 3. il direttore e il direttore aggiunto sono nominati al massimo per cinque anni. Il loro mandato è rinnovabile.
(11) Articolo 8, paragrafo 1 della proposta di modifica del regolamento (CEE) n. 337/75.
(12) Articolo 4, paragrafo 2 della proposta di modifica del regolamento (CEE) n. 337/75.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/57 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione sociale della cultura
(2004/C 112/17)
Il Parlamento europeo, in data 20 novembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262, ultimo comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema: La dimensione sociale della cultura.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore LE SCORNET.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli e 4 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Il Parlamento europeo e il Comitato economico e sociale europeo hanno deciso di trattare la «dimensione sociale della cultura» come tema unico, poiché sono convinti che la cultura e lo sviluppo sociale siano strettamente correlati e interdipendenti e che questo aspetto avrà un'importanza sempre maggiore per la politica di integrazione europea. |
1.2 |
Già nel 1999 il Comitato aveva rilevato in un suo parere (1) che «in base alla definizione - molto ampia - di cultura intesa come sistema di orientamento dei valori che risultano fondamentali per i membri di una determinata società, la cultura struttura anche il campo d'azione della società civile». A parere del Comitato la cultura, intesa come processo e forma comune del pensare e dell'agire, attribuisce funzioni chiave all'istruzione e alla partecipazione sociale. Il progetto della Costituzione europea poggia, tra l'altro, sul fondamento di valori, obiettivi e diritti fondamentali comuni e su una nuova concezione dell'azione democratica. Questi elementi, nel loro complesso, sono alla base di una concezione europea della cultura. Quest'ultima comprende anche marcate componenti sociali, come la solidarietà, la coesione sociale, le misure di lotta all'esclusione e alla discriminazione e l'integrazione sociale. Forte di questo approccio, il Comitato ha quindi chiesto, nel contesto della Convenzione europea, di essere consultato in futuro anche per il settore della cultura. Da quanto detto emerge la particolare responsabilità spettante, in relazione a questa tematica, al Parlamento europeo, in quanto organo di rappresentanza democratica dei cittadini europei, e al Comitato economico e sociale europeo, in quanto rappresentante istituzionale delle organizzazioni della società civile. |
1.3 |
Il Parlamento europeo ha insistito, giustamente, sull'«obbligo» di dare forma a una «base culturale comune» e a uno «spazio civile europeo» (2). Ciò risulta tanto più urgente in quanto il primato della dimensione nazionale della cultura, favorito da secoli di nazionalismo esacerbato, tende a riattivarsi ogni volta che cresce la complessità. E in quanto all'allargamento, oltre ad accentuare appunto la complessità, fa accedere all'Unione paesi che hanno storie, tradizioni, culture molto diverse rispetto al contesto europeo. |
1.4 |
Nel seguito del presente parere il Comitato, dato il poco tempo a disposizione, si concentra per il momento su tre aspetti essenziali. |
2. Quale società europea vogliamo? Verso una nuova cultura delle interazioni tra pratiche economiche, sociali e ambientali
2.1 |
In questo ambito la «dimensione sociale della cultura» è decisiva non solo all'interno, per creare «un'identità europea» e per costruire un progetto e avviare un processo finalizzati al vivere comune degli europei, ma anche nei confronti dell'esterno. Ad attirare verso l'Europa non sono solo le dimensioni e la potenza del primo mercato interno del mondo, l'entità del PIL e la forza dell'euro. Sono anche, in pari misura, l'originalità e la pertinenza di un modello sociale e culturale che, forte di un patrimonio comune di valori, ha imparato, e continua a imparare, a gestire pacificamente la sua eterogeneità culturale e le sue contraddizioni sociali e politiche. |
2.2 |
I mutamenti in corso nella società, come le ripercussioni della globalizzazione, le trasformazioni (rivoluzioni) sociodemografiche, le migrazioni e le immigrazioni, la crescente importanza delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, l'affermazione del principio delle pari opportunità tra uomo e donna e altri profondi mutamenti socioeconomici, rappresentano sfide enormi per la dimensione sociale, culturale e simbolica. Le nostre società non possono più sottrarsi alla necessità di riconoscere e coinvolgere tutti gli attori, tutti gli ambienti che le costituiscono. Come ha dimostrato l'Anno europeo delle persone con disabilità e i pareri e le iniziative del Comitato in materia, esse saranno giudicate per il posto e per il ruolo che daranno a coloro che vivono situazioni svantaggiate e marginali. |
2.3 |
Ai paradigmi prettamente classici del comando gerarchico e della dipendenza assistita (cfr. le diverse forme di Stato sociale) non bisogna oggi contrapporre il paradigma dell'attiva partecipazione di ognuno, dell'empowerment di tutti i soggetti economici, sociali, familiari e culturali? |
2.4 |
Non è proprio quest'attiva partecipazione la condizione sine qua non di una vita economica e sociale compiuta e creativa? Non è quindi, inscindibilmente, un imperativo sia etico che economico? Il rispetto e la realizzazione di sé e dell'altro e il primato del principio di cooperazione costituiscono i tratti comuni dell'umanismo europeo contemporaneo e della competitività globale di questo spazio integrato. |
2.5 |
Le pratiche economiche, sociali e ambientali sono fonti inesauribili di cultura. L'individuazione e la valorizzazione dei cambiamenti nei principali paradigmi culturali che si stanno verificando in queste pratiche permetterebbe di dare valore operativo al concetto di «dimensione sociale della cultura». |
2.6 |
Ciò significa, in ultima analisi, che gli ambiti relazionali e di responsabilità dello Stato, del mercato e della società civile vanno ripensati e ridefiniti insieme. |
3. Gli effetti dei mutamenti nel mondo del lavoro sulla struttura sociale e sui valori culturali
3.1 |
È chiaro che il presente parere non può svolgere un'indagine sui rilevanti mutamenti in corso in questi contesti. Il Comitato si limita a segnalare che un'indagine del genere contribuirebbe senz'altro a esplicitare meglio il concetto di «società della conoscenza», elemento cruciale e dinamico della costruzione europea così come è stata definita dal processo di Lisbona. |
3.2 |
L'universale tendenza alla presa di coscienza e all'intellettualizzazione di tutti i contesti lavorativi, compreso il «lavoro» del consumo, e il ruolo più ampio svolto nel loro ambito dai criteri relazionali, stilistici e creativi sta prendendo in Europa una forma particolare. Quest'ultima è certamente alla base del divario di competitività, capacità di attrazione, civiltà e imprenditorialità che l'Europa presenta, e può sviluppare, rispetto alle altre aree geoculturali del pianeta. |
3.3 |
Per di più, in una società in evoluzione così profonda, i mestieri legati all'integrazione e alla mediazione si ritrovano in prima linea. Le enormi tensioni che gravano su questi mestieri vanno al di là delle difficoltà materiali e oggettive che si incontrano in questo tipo di lavoro. Mettono in dubbio tutti i riferimenti degli interventi che, nelle nostre società, sono fondati sul doppio esercizio della solidarietà e del controllo sociale. La trasformazione-modifica dello spazio simbolico che costituiva l'orizzonte di significato e l'identità professionale di questi mestieri deve essere ancora decifrata. |
3.4 |
In una società in evoluzione così profonda, non è più possibile scindere né classificare gerarchicamente la dimensione sociale della cultura e i contorni culturali del sociale. È per questa ragione che l'economico, il sociale, il politico non possono più essere disgiunti dal lavoro e dal gesto artistico e scientifico. Senza alcuna strumentalizzazione, l'importanza intrinseca della creazione artistica e scientifica ne esce nettamente rafforzata. Ciò rende necessario, in particolare, l'avvio di una riflessione sulle nuove forme dell'economia culturale (economia solidale, distribuzione delle fonti di finanziamento). |
4. Una nuova cultura della democrazia e la sua dimensione sociale
4.1 |
La politica sociale e la politica culturale non rappresentano solo politiche settoriali, ma anche una «cultura» applicabile all'intero scacchiere politico. La democrazia culturale intesa come «sicurezza culturale», «affidabilità culturale», e «governance sociale e culturale» ha bisogno di essere promossa. È giunto il momento di avviare espressamente una riflessione sulla creazione di diritti/libertà/responsabilità culturali. |
4.2 |
I principali paradigmi della democrazia culturale e sociale non vanno forse ripensati e sviluppati?
|
4.3 |
È insieme ai movimenti sociali, alle reti culturali e alle parti sociali, non solo tra le istituzioni, che meriterebbero di essere approfondite le molteplici difficoltà che si frappongono all'invenzione di un'effettiva democrazia sociale e culturale. Per far ciò, una delle principali sfide da raccogliere è probabilmente l'adozione di un'etica cooperativa da parte di tutti i partner coinvolti. |
5. Raccomandazioni
Questa prima riflessione, per definizione ovvia, sulla «dimensione sociale della cultura» induce il Comitato a formulare alcune proposte.
5.1 La vocazione culturale del Comitato economico e sociale europeo
5.1.1 |
Seguendo l'esempio di un certo numero di consigli economici e sociali nazionali o di organi equivalenti, il Comitato intende affermare la sua vocazione culturale più chiaramente di quanto non abbia fatto finora. Questo è tanto più vero se si ricorda che il Comitato ha rilevato in un precedente parere che «lo sviluppo della società civile rappresenta un processo culturale» (3). Per questo motivo il Comitato si prefigge: di avviare un intenso dialogo su questo tema con i consigli economici e sociali nazionali e con le altre istituzioni europee (Parlamento, Consiglio, Commissione e Comitato delle regioni); di ospitare dibattiti con la società civile organizzata sullo sviluppo culturale, all'insegna del pluralismo, del dinamismo e dell'innovazione, in quanto autentico forum di discussione al servizio dello sviluppo sostenibile e delle industrie culturali creative (4). |
5.2 La progressiva creazione di un osservatorio europeo della cooperazione culturale
5.2.1 |
Il Comitato propone di proseguire la riflessione, insieme alla Commissione e al Parlamento europeo, sulla proposta avanzata da quest'ultimo di istituire un osservatorio europeo della cooperazione culturale (5). |
5.2.2 |
Tanto più che il Comitato non ignora le conclusioni piuttosto scettiche dello studio di fattibilità che la Commissione ha incaricato di realizzare in merito a questa proposta. Il Comitato considera estremamente necessarie ma non sufficienti le conclusioni volte esclusivamente a sostenere le reti e gli organismi già attivi e a rivederne il finanziamento, a creare un portale web e a sviluppare la raccolta di statistiche in campo culturale (6). |
5.2.3 |
Il Comitato propone pertanto di definire rigorosamente, in un parere d'iniziativa, gli obiettivi che sarebbero perseguiti dall'osservatorio europeo della cooperazione culturale di cui caldeggia l'istituzione insieme al Parlamento europeo. Propone inoltre di verificare che l'osservatorio sia davvero una «rete» interistituzionale e transfrontaliera, dotata di snodi regionali e nazionali, che sappia mettere a frutto e collegare sinergicamente tutti gli operatori attuali - pubblici, privati e dell'economia sociale - e tutte le esperienze (comprese quelle passate e dimenticate). Che non si tratti, insomma, dell'ennesima istituzione centrale. Questa cooperazione dinamica favorirebbe un'evoluzione non difensiva del concetto di sussidiarietà applicato alla politica culturale europea. Conferirebbe agli europei la capacità di impegnarsi in prima persona nella creazione di questo spazio culturale comune e, quindi, di riconoscersi in esso. In questo contesto il Comitato potrebbe candidarsi a svolgere funzioni di segretariato, di centro di raccolta e gestione di una vera e propria banca dei dati e delle conoscenze, ma potrebbe anche essere il motore propositivo di piani di azione specifici. |
5.2.4 |
Da questo punto di vista occorre prendere in considerazione il notevole lavoro di ricerca e individuazione effettuato dall'agenzia europea di Bilbao e dalla fondazione di Dublino. Esse individuano e sviluppano le buone pratiche, i cambiamenti culturali in materia di condizioni di lavoro, di posti di lavoro, di prevenzione e di coesione sociale. Esse fanno conoscere le carte vincenti già esistenti che potrebbero contribuire a quest'osservatorio culturale europeo secondo una visione ampia della cultura. |
5.2.5 |
Esistono inoltre numerose reti incentrate sulla problematica della cultura come collante sociale, in particolare in seno alle popolazioni emarginate o in via di emarginazione (quartieri popolari, regioni industriali abbandonate e regioni rurali spopolate): lo studio commissionato dalla Commissione ne ha già identificate sessantacinque. Il Comitato, che ha svolto audizioni con un certo numero di queste reti, sostiene insieme a loro la necessità di farle uscire dall'isolamento reciproco e di dotarle di quegli strumenti di perpetuazione e sviluppo che, ancora oggi, fanno loro difetto. Per questo motivo l'osservatorio della cooperazione culturale, oltre a svolgere il ruolo di laboratorio destinato a diffondere e trasferire da un settore all'altro il sapere e il know-how già sperimentati, dovrebbe anche assolvere una funzione di valutazione. |
5.2.6 |
Tale compito implica innanzitutto il fatto di verificare che la dimensione culturale sia adeguatamente presa in considerazione nelle politiche comunitarie, e in particolare diventi uno strumento per dare maggiore spessore ai programmi «Cultura 2000» e «MEDIA Plus». In occasione del loro rinnovo, questi ultimi dovrebbero tenere conto di una realtà profondamente modificata in conseguenza dell'allargamento, e arrivare a comprendere nuovi settori di attività. Un osservatorio così concepito potrebbe redigere, eventualmente, un rapporto con cadenza annuale. |
5.3 Il contatto costante e la realizzazione di opportuni progetti comuni in campo culturale tra il Comitato economico e sociale europeo e il Parlamento europeo
5.3.1 |
In campo culturale, un lavoro a stretto contatto tra le due istituzioni che rappresentano, ciascuna con le proprie modalità distinte, i popoli europei deve poter affermarsi, imporsi, sviluppare procedure e manifestazioni comuni. |
5.3.2 |
Lo svolgimento ogni anno di una riunione comune dedicata all'affermazione di una «Europa culturale» potrebbe contribuire a misurare le evoluzioni che trasformeranno l'Unione da una comunità di diritti a una comunità di valori. A fissarsi come obiettivo annuale la promozione di almeno un valore culturale realmente condiviso. |
5.3.3 |
Sulla scia della già ricca esperienza delle capitali europee annuali della cultura, la prima riunione delle due istituzioni potrebbe prefiggersi l'obiettivo di mettere in aperta competizione proposte che portino, ogni due, tre o quattro anni (perché no sul ritmo delle Olimpiadi?), a un'iniziativa che coinvolga tutti i paesi europei. Ciascuno di questi paesi aprirà a sua volta la cultura europea sul mondo inserendo nell'iniziativa europea almeno un partner di un'altra area culturale. |
5.3.4 |
Le due istituzioni potrebbero inoltre contribuire all'istituzione di una task force europea idonea a favorire lo scambio culturale e artistico nelle zone interessate da conflitti, allo scopo sia di prevenirli, sia di costituire un elemento di ricostruzione una volta che si siano conclusi. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Cfr. parere del CESE del 23.9.1999 sul tema Il ruolo del contributo della società civile organizzata nella costruzione europea, GU C 329 del 17.11.1999.
(2) Relazione RUFFOLO - PE A.5. - 0281/2001.
(3) Parere CESE del 23 settembre 1999 sul tema Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione europea (relatrice: Anne-Marie SIGMUND) - GU C 329 del 17.11.1999.
(4) Parere del CESE del 28 gennaio 2004 sul tema Le industrie culturali in Europa (CESE 102/2004 - relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO).
(5) Relazione RUFFOLO - PE A.5. - 0281/2001.
(6) Studio di fattibilità sull'istituzione di un osservatorio europeo della cooperazione culturale (cfr. rapporto finale presentato alla Commissione europea il 18 agosto 2003) http://europa.eu.int/comm/culture/eac/sources_info/pdf-word/final_report_aout_2003.pdf (N.d.T.: disponibile solo in inglese).
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/60 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo Riesame e aggiornamento delle priorità nella strategia IVA
COM(2003) 614 def.
(2004/C 112/18)
La Commissione, in data 20 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione di cui sopra.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2004 sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 101 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.
1. Introduzione
1.1 |
All'atto dell'adozione della prima e della seconda direttiva comunitaria in materia di imposta sul valore aggiunto, la Comunità si era tra l'altro impegnata a prendere delle iniziative per l'istituzione di un regime comune che prevedesse a medio termine, nell'ambito degli scambi intracomunitari, l'abolizione dell'imposizione sulle importazioni, nonché la detassazione delle esportazioni. Detto impegno trovava fondamento nell'intento dichiarato di dare vita ad un regime che fosse in grado di funzionare sia all'interno del mercato unico che in ogni singolo Stato membro. |
1.2 |
La Commissione ha formulato le proposte per l'istituzione di un siffatto regime nel corso del 1987, nel quadro delle iniziative preordinate alla realizzazione del mercato interno prevista per il 1993. |
1.2.1 |
Detto regime contemplava in particolare l'istituzione di una struttura armonizzata fondata su due categorie di aliquote, il riavvicinamento — all'interno di un intervallo di valori predeterminato — delle aliquote in vigore nei singoli Stati membri, nonché un meccanismo di compensazione per la riallocazione delle entrate tributarie tra le varie amministrazioni finanziarie. |
1.3 |
Avendo preso atto dell'impossibilità di adottare le proposte formulate dalla Commissione prima del gennaio 1993, il Consiglio decideva, già nel 1989, di applicare un regime transitorio che consentisse da un lato di abolire qualsivoglia forma di controllo alle frontiere e dall'altro di assicurare la percezione del tributo nello Stato membro di destinazione della merce e/o del servizio. |
1.3.1 |
Al medesimo tempo il Consiglio riaffermava la volontà di istituire un regime definitivo fondato sul principio dell'imposizione dei beni e dei servizi nello Stato membro di origine, indicando nel 31 dicembre 1996 il termine per il conseguimento di tale obiettivo. |
1.4 |
In linea con la volontà espressa dal Consiglio, la Commissione formulava dunque un articolato programma di azione per la realizzazione di un regime fondato sulla modernizzazione e l'applicazione uniforme del sistema vigente, nonché sulla introduzione di modifiche graduali volte a favorire il processo di transizione verso un regime comune definitivo d'imposta sul valore aggiunto. |
1.5 |
Non di meno, a causa del permanere di orientamenti difformi all'interno dei singoli Stati circa l'opportunità di dare corso ad un vero processo di riforma del regime IVA, i risultati conseguiti sono rimasti modesti. Invero, per garantire la neutralità dell'imposta rispetto al normale svolgimento del processo concorrenziale tra le imprese, sarebbe stato necessario realizzare, come proposto ripetutamente dalla Commissione, un certo livello di armonizzazione sia delle aliquote che dei meccanismi impositivi. |
1.6 |
Nel giugno del 2000 la Commissione presentava una comunicazione al Consiglio ed al Parlamento europeo nella quale esponeva le iniziative da prendere per la definizione di una strategia sostenibile di perfezionamento del regime comune d'imposta sul valore aggiunto. Le linee guida di tale programma venivano in particolare indicate nella semplificazione e nella modernizzazione della normativa, nonché nella adozione di misure volte ad assicurare una più uniforme applicazione delle disposizioni vigenti e una più grande cooperazione tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri. |
1.7 |
Il regime transitorio, sia pur variamente modificato, è a tutt'oggi in vigore e non sussistono nell'immediato prospettive di una sua imminente sostituzione, benché secondo un'opinione largamente condivisa, esso presenti imperfezioni di non trascurabile entità, tali da pregiudicare il corretto funzionamento del mercato interno. Decorsi ormai tre anni dal lancio del programma del 2000, la Commissione propone ora, con una comunicazione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo, un riesame e un aggiornamento delle priorità nella strategia IVA, anche alla luce delle iniziative nel frattempo intraprese. |
2. Osservazioni generali
2.1 |
Il Comitato ha avuto più volte modo di ribadire nel corso degli anni il proprio incondizionato sostegno alla realizzazione di un regime comune definitivo d'imposta sul valore aggiunto, invitando ripetutamente gli Stati ad adottare le strategie più adeguate a questo fine. Ha del pari in più occasioni espresso insoddisfazione per le numerose imperfezioni dell'attuale regime provvisorio, auspicando l'adozione delle necessarie misure di modernizzazione. |
2.2 |
Già nel 1988 il Comitato segnalava l'anacronismo di un regime nel quale le operazioni tra soggetti operanti all'interno di un medesimo mercato, ancorché residenti in differenti Stati membri, venivano definite quali importazioni ed esportazioni, espressioni tutt'al più idonee ad individuare operazioni con soggetti commerciali operanti fuori da quel mercato. |
2.3 |
È peraltro opinione largamente condivisa che l'attuale regime sia complessivamente inadeguato, ed in definitiva perfino in contrasto con il funzionamento del mercato unico. |
2.3.1 |
Pur auspicando senz'altro un celere passaggio ad un regime definitivo, il Comitato è non di meno consapevole del fatto che nell'attuale fase, in cui il Consiglio sembra farsi portatore delle istanze dei governi nazionali più che degli interessi comunitari, l'unico obiettivo realisticamente perseguibile è un programma d'azione fondato sulla modernizzazione del sistema vigente, nonché sull'adozione di misure idonee a favorire la transizione verso il suddetto regime definitivo. |
2.4 |
Il Comitato apprezza che la Commissione non metta in discussione l'idea di un regime definitivo e ne condivide la cautela nel limitarsi a perseguire, nell'attuale fase, una strategia di modernizzazione progressiva del regime vigente. In tal senso si compiace dei risultati da ultimo conseguiti sul piano della semplificazione e della applicazione più uniforme del sistema. |
2.5 |
Il Comitato saluta con particolare favore l'adozione delle iniziative intraprese dalla Commissione in applicazione del programma d'azione lanciato nel corso del 2000. |
2.5.1 |
Esprime in particolare il proprio compiacimento per l'adozione della direttiva 2000/65/CE che prevedeva l'abolizione, dal primo gennaio 2003, dell'istituto della rappresentanza fiscale (1), della direttiva 2002/38/CE relativa ai servizi prestati per via elettronica (2), della direttiva 2003/92/CE relativa alle norme sul luogo di cessione del gas e dell'energia elettrica (3), della direttiva 2001/44/CE sull'assistenza reciproca in materia di recupero crediti (4), nonché per l'adozione del regolamento (CE) n.1798/2003 sulla cooperazione amministrativa nel settore dell'imposta sul valore aggiunto (5). Tiene inoltre a ricordare che nel quadro delle iniziative intese a favorire una più stretta collaborazione tra le autorità fiscali degli Stati membri nella lotta contro la frode fiscale notevole rilievo assume l'adozione del programma Fiscalis. |
2.6 |
Pur ribadendo il proprio apprezzamento per l'opera svolta dalla Commissione, il Comitato osserva che talvolta l'azione di quest'ultima è apparsa, a causa del permanere in seno al Consiglio di orientamenti intesi a preservare gli interessi degli Stati membri, caratterizzata da una certa disorganicità e da una visione non sempre chiara degli ordini di priorità. |
2.7 |
Esso ritiene che nell'ambito della strategia proposta si debba conferire il massimo rilievo all'adozione di misure atte a garantire l'applicazione uniforme a livello comunitario del regime comune d'imposta sul valore aggiunto. Al riguardo il CESE ha già in altra sede manifestato l'opinione circa l'opportunità di trasformare il comitato IVA in un comitato di regolamentazione incaricato di assistere la Commissione nella adozione di norme di esecuzione delle disposizioni vigenti, secondo le linee espresse nella proposta di direttiva del 1997, nonché nella comunicazione della Commissione del giugno 2000 sulla strategia volta a migliorare il funzionamento del regime IVA nel mercato interno (6). |
3. Le iniziative in corso di adozione
3.1 La semplificazione del sistema
3.1.1 |
Il Comitato condivide l'opinione secondo la quale la semplificazione degli obblighi fiscali posti dal vigente sistema d'imposta a carico degli operatori debba costituire una priorità della strategia della Commissione anche per venire incontro alle esigenze dei consumatori. |
3.1.2 |
In tale ambito il Comitato auspica che possano riprendere quanto prima i lavori sulla proposta di direttiva che prevede, in sostituzione del regime previsto dalla 8a direttiva IVA, la detrazione transfrontaliera dell'imposta assolta. Saluta altresì con particolare favore il suggerimento formulato dalla presidenza del Consiglio di utilizzare allo scopo un sistema di scambi di informazioni e di ridistribuzione dell'imposta tra gli Stati membri simile a quello contemplato dalla direttiva relativa al commercio elettronico. |
3.1.3 |
Il Comitato esprime altresì il proprio apprezzamento per l'iniziativa della Commissione di avviare una consultazione pubblica avente come oggetto la semplificazione e l'armonizzazione degli obblighi fiscali in materia di imposta sul valore aggiunto. In detto ambito esso auspica l'adozione di misure idonee a differenziare il sistema degli adempimenti in funzione delle caratteristiche dimensionali degli operatori coinvolti. La Commissione ha raccolto, a partire dagli anni '90, una serie di buone pratiche adottate dagli Stati membri per rendere più snello il rapporto delle micro e piccole imprese con gli obblighi imposti dalla disciplina IVA (7). Un temperamento degli obblighi di legge avrebbe, d'altra parte, un effetto di contenimento del fenomeno del sommerso. |
3.1.4 |
Il CESE apprezza e appoggia il lavoro che sta compiendo la Commissione per favorire la nascita di un sistema «a sportello unico», per cui le ditte registrate in più di uno Stato membro possano adempiere ai loro obblighi in materia di IVA a livello dell'UE, nel paese in cui sono stabilite (8). |
3.2 Armonizzazione e modernizzazione del sistema
3.2.1 |
Il CESE condivide l'opinione secondo la quale sarebbe opportuno adottare misure atte a contrastare i fenomeni di doppia imposizione fiscale. Su tale punto si allinea all'orientamento della Commissione di istituire per la soluzione dei singoli casi di doppia imposizione degli strumenti sul modello di quelli previsti dalle convenzioni internazionali vigenti nell'ambito della fiscalità diretta. |
3.2.2 |
Nel quadro delle iniziative da prendere per assicurare un maggior grado di armonizzazione del sistema comune, particolarmente importante appare la rifusione della 6a direttiva IVA: quest'ultima infatti, avendo formato oggetto di numerosi interventi, è venuta assumendo nel tempo i caratteri di un testo normativo complesso e di non facile consultazione. Dall'altra parte, lo sviluppo tecnologico, le nuove prassi commerciali, i movimenti di privatizzazione e di liberalizzazione che hanno interessato larghi comparti dell'economia dell'Unione, impongono la revisione di talune disposizioni specifiche di tale direttiva ormai non più adatte ad interpretare la realtà delle transazioni economiche. |
3.2.3 |
Il Comitato concorda altresì con la Commissione sulla necessità di addivenire a breve ad una razionalizzazione del sistema delle deroghe vigenti attraverso la eliminazione di quelle distorsive della concorrenza, nonché la generalizzazione di quelle maggiormente efficaci. |
4. Gli orientamenti per il futuro
4.1 La revisione delle norme in materia di luogo d'imposizione delle prestazioni di servizi
4.1.1 |
La Commissione ha lanciato una consultazione pubblica volta a valutare se sia o meno necessaria una modifica delle norme IVA relative al luogo di tassazione per le prestazioni di servizi. La consultazione si basa su un documento elaborato dalla direzione generale Fiscalità e Unione doganale della Commissione, nel quale si valuta l'opportunità di passare dal principio della tassazione nel paese di origine a quello della tassazione nel paese di destinazione, ovvero di considerare quale luogo d'imposizione delle prestazioni di servizi non più il luogo ove risiede il prestatore, bensì quello ove risiede il beneficiario della prestazione (9). |
4.1.2 |
La regola dell'imposizione nel luogo di residenza del prestatore ha finora funzionato: il moltiplicarsi delle prestazioni transfrontaliere è tuttavia suscettibile di creare situazioni amministrative complesse e distorsioni della concorrenza, generando situazioni di doppia imposizione o di non imposizione delle prestazioni di servizi internazionali. Il problema è stato reso particolarmente evidente dai servizi legati all'e-commerce. |
4.1.3 |
La modifica prevede pertanto che, come avviene per le cessioni di beni, anche per le prestazioni di servizi il debitore dell'IVA sia il destinatario (ove si tratti di un soggetto passivo IVA) e non il prestatore. La modifica consentirebbe tra l'altro di ridurre il carico amministrativo che grava sugli operatori, perché il prestatore del servizio non sarebbe più tenuto, come avviene attualmente, a registrarsi ai fini IVA allorché effettua operazioni imponibili in uno Stato diverso da quello di residenza. Inoltre, nella misura in cui le modifiche si armonizzassero con le regole applicabili negli Stati terzi, provvisti di proprie imposte sul consumo, ne risulterebbe una diminuzione dei rischi di doppia imposizione o non imposizione delle prestazioni di servizi internazionali. |
4.1.4 |
Il Comitato è d'accordo sulla necessità della revisione delle norme in materia di luogo d'imposizione delle prestazioni di servizi secondo le linee dianzi enunciate, ma ritiene opportuno estendere la riflessione a tutti i servizi destinati ai consumatori finali. Concorda altresì con la Commissione sull'opportunità, in un siffatto contesto, di estendere alle prestazioni di servizi il sistema di scambio delle informazioni utilizzato dalle autorità fiscali degli Stati membri (sistema «VIES»). |
4.2 La lotta contro le frodi fiscali
4.2.1 |
Il Comitato condivide l'opinione secondo la quale la lotta alle frodi in materia di imposta sul valore aggiunto debba costituire una delle priorità nell'azione della Commissione. Invero, la frode, oltre ad avere un rilevante impatto finanziario, comporta distorsioni di concorrenza a vantaggio degli operatori meno onesti. |
4.2.2 |
Il Comitato non ignora che l'attuale regime presenta un elevato livello di permeabilità alle frodi. Queste risultano infatti favorite dalla possibilità di combinare operazioni che comportano l'applicazione dell'IVA con operazioni per le quali non è previsto il pagamento effettivo dell'imposta. Non di meno il Comitato ritiene che il fenomeno della frode debba essere contrastato non già tramite l'introduzione di modifiche all'attuale regime, bensì nel quadro della disciplina vigente. Gli esiti di una strategia fondata sulla introduzione di modifiche sostanziali all'attuale sistema sarebbero infatti incerti, mentre rilevantissimi sarebbero i suoi costi amministrativi sia diretti che indiretti. |
4.2.3 |
In tal senso il CESE suggerisce di valorizzare gli strumenti esistenti di cooperazione amministrativa tra gli Stati, nonché di prevederne ulteriori. In tale ambito, d'altra parte, sono già stati conseguiti rilevanti progressi: il regolamento 1798/2003 prevede infatti in questa materia norme particolarmente incisive, atte a consentire contatti più agevoli tra le amministrazioni nazionali, mentre dal canto suo l'adozione del programma Fiscalis consentirà, grazie all'utilizzazione di sistemi elettronici perfezionati per lo scambio d'informazioni, una più stretta collaborazione degli Stati nella lotta contro le frodi fiscali. Il Comitato ritiene infine che un importante contributo alla lotta contro le più smaccate forme di evasione fiscale potrebbe essere rappresentato dalla elaborazione di strategie specifiche a livello nazionale. In tale contesto saluta con particolare favore l'iniziativa emersa in sede SCAC di elaborare una guida su alcune delle prassi adottate dalle singole amministrazioni nazionali nella lotta contro le frodi fiscali. |
5. Conclusioni
5.1 |
Il Comitato ribadisce l'opinione secondo la quale i numerosi e gravi limiti dell'attuale regime potranno essere eliminati solo con l'introduzione di un nuovo regime definitivo. È consapevole non di meno che nell'attuale fase siffatto obiettivo non potrà essere conseguito a breve termine. In tal senso apprezza il realismo della Commissione di perseguire una strategia di graduale miglioramento del regime vigente. |
5.1.1 |
Il CESE esorta gli Stati membri ed il Consiglio ad abbandonare le odierne posizioni a favore di orientamenti autenticamente inclini a favorire lo sviluppo del mercato interno a vantaggio delle imprese ma soprattutto dei consumatori. Fa osservare che un'Europa dotata di una moneta unica non può, tra l'altro, continuare a tollerare le carenze dell'attuale sistema transitorio d'imposta sul valore aggiunto. Auspica, in particolare, che nell'ambito del riassetto istituzionale in corso in seno alla Convenzione europea siano affidate alla Commissione le competenze di esecuzione della legislazione europea e che si rinunci al voto all'unanimità per quelle tasse che influiscono sulla concorrenza all'interno del mercato unico. Nel quadro di questa revisione delle norme in materia di decisioni fiscali nell'UE devono anche essere discusse le questioni relative all'IVA. |
5.2 |
Tuttavia, nell'attuale clima di reticenza all'adozione di un regime comune d'imposta a carattere definitivo, e in vista della necessità di procedere ad un ammodernamento del regime transitorio, il CESE concorda sul fatto che gli elementi centrali del miglioramento debbano essere la semplificazione, la modernizzazione delle norme attuali, una loro applicazione più uniforme e una maggiore cooperazione amministrativa tra le autorità fiscali degli Stati membri. |
5.2.1 |
Condivide altresì l'opinione della Commissione secondo la quale «modernizzazione e semplificazione» e «cooperazione e prevenzione delle frodi» costituiscono parti di un unico pacchetto e che devono pertanto procedere di pari passo. In tal senso il CESE esprime apprezzamento per le iniziative intraprese dalla Commissione, nonché per le altre, attualmente in corso di esame, di applicazione della strategia del 2000. Il Comitato condivide in particolare la revisione delle norme in materia di luogo di imposizione delle prestazioni di servizi secondo le linee tracciate nella comunicazione in esame, e ritiene che il fenomeno delle frodi debba essere contrastato nel quadro del diritto vigente. Esprime da ultimo il proprio auspicio affinché possano essere ripresi quanto prima i lavori relativi alla proposta di direttiva per la modifica dello statuto del comitato IVA. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Parere CESE: GU C 409 del 30.12.1998, pag. 10.
(2) Parere CESE: GU C 116 del 20.4.2001, pag. 59.
(3) Parere CESE: GU C 133 del 6.6.2003, pag. 58.
(4) Parere CESE: GU C 101 del 12.4.1999, pag. 26.
(5) Parere CESE: GU C 80 del 3.4.2002, pag. 76.
(6) Pareri CESE: GU C 19 del 21.1.1998, pag. 56, e GU C 32 del 5.2.2004, pag. 120.
(7) Cfr. parere d'iniziativa del CESE sul tema Carta europea delle piccole medie imprese (GU C 204 del 18.7.2000, pag. 57, punto 1.6 – 12), parere del CESE sulla Proposta di decisione del Consiglio relativa a un programma pluriennale a favore delle imprese e dell'imprenditorialità (2001/2005) (GU C 116 del 20.4.2001) ed il parere del CESE sul tema Il ruolo delle micro e piccole imprese nella vita economica e nel tessuto produttivo europeo (GU C 220 del 16.9.2003, pag. 50, punto 3.5).
(8) Cfr. punto 3.1.2 del doc. COM(2003) 614 del 20 ottobre 2003.
(9) Dal rapporto di sintesi riguardante i risultati della consultazione fatta dalla DG TAXUD: IVA – Luogo di tassazione per le prestazioni di servizi (TAXUD/C3/2357) che ha motivato il COM(2003) 822 def, è emerso che la stragrande maggioranza delle 57 organizzazioni intervistate sono favorevoli all'orientamento indicato.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/64 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa in materia di accise e alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 77/799/CEE del Consiglio relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette, di talune accise e imposte sui premi assicurativi e la direttiva 92/12/CEE del Consiglio relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa
(COM(2003) 797 def. - 2003/0309 (COD), 2003/0310 (COD))
(2004/C 112/19)
La Commissione, in data 13 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 105 voti favorevoli, 1 voto contrario e un'astensione.
1. Introduzione
1.1 |
Nel 1992 (1) veniva esteso anche alle accise il campo di applicazione della direttiva 77/799/CEE, al fine di garantire l'applicazione delle legislazioni nazionali e di consentire un'efficace lotta contro la frode. Tale estensione era da ricondurre alle allarmanti proporzioni raggiunte dalle frodi e alle loro conseguenze, vale a dire perdite sostanziali di gettito per gli Stati membri e messa a repentaglio del principio di equo trattamento degli operatori economici e del funzionamento del mercato interno. |
1.2 Il sistema attuale non è adeguato all'evoluzione degli scambi
1.2.1 |
Il sistema giuridico attuale si è rivelato però troppo rigido e inadeguato alle necessità del mercato interno nel settore delle accise, soprattutto in considerazione dell'accentuata internazionalizzazione degli scambi e della crescente movimentazione extra nazionale di persone e di merci. |
1.2.2 |
Già nel 1997, tenuto conto dell'aumento continuo di frodi nel campo della circolazione dei prodotti soggetti ad accisa, era stato creato dalla Commissione europea un gruppo ad hoc incaricato di analizzare la situazione relativa al tabacco e all'alcole e di proporre soluzioni. Nella sua relazione finale (2) tale gruppo segnalava lo scarso coordinamento tra le diverse amministrazioni, come pure tra queste e la Commissione. |
1.2.3 |
Proprio nell'ottica di un più rapido e efficace scambio di informazioni, la raccomandazione principale del gruppo ad hoc riguardava l'attuazione di un sistema di informatizzazione dei movimenti (3) e dei controlli di tutti i prodotti soggetti ad accisa (e quindi non solo tabacco e alcole) come cardine del rafforzamento dei meccanismi di assistenza reciproca e cooperazione amministrativa nel settore. |
1.2.4 |
L'eccessiva centralizzazione e staticità della cooperazione hanno determinato contatti insufficienti tra gli uffici locali o tra gli uffici nazionali antifrode e, in definitiva, hanno pregiudicato interventi rapidi e precisi nonché una maggiore flessibilità nei controlli. |
1.2.5 |
I controlli sono poi risultati poco efficaci a causa della mancanza di regole precise che disciplinassero alcuni aspetti della stessa cooperazione quali il ricorso a scambi spontanei, la presenza di funzionari stranieri al momento dei controlli, la possibilità di organizzare controlli multilaterali o l'uso che può essere fatto delle informazioni comunicate da uno Stato membro. |
1.3 Necessità di aggiornamenti
1.3.1 |
Il quadro sociale, economico e politico è radicalmente mutato rispetto alla realtà che aveva suggerito l'elaborazione, l'adozione e l'estensione della direttiva in materia di accise. Analogamente sono cambiate anche le dimensioni del mercato interno e la quantità degli scambi tra Stati membri. La crescita esponenziale delle operazioni intracomunitarie e la maggiore conoscenza dei diversi sistemi fiscali nazionali hanno comportato un'estensione del fenomeno delle frodi, compiute sfruttando le carenze della normativa europea, le significative differenze di imposizione tra Stati membri ed in generale le inefficienze dei sistemi di controllo in vigore (4). In quest'ambito appare evidente la necessità di modernizzare, rafforzare, semplificare e rendere più efficiente lo strumento della cooperazione amministrativa e dello scambio di informazioni, tra Stati membri, in materia di accise. |
1.3.2 |
Le peculiarità dei controlli nel settore delle accise impongono la necessità di eliminare dal campo di applicazione della direttiva 77/799/CEE e della direttiva 92/12/CEE le disposizioni specifiche in materia e di farle confluire, rafforzate e semplificate, in un nuovo testo, analogamente a quanto già realizzato per i controlli in materia di IVA (5). |
2. Proposte della Commissione
2.1 |
Per rafforzare la cooperazione amministrativa nel settore delle accise, la Commissione propone un quadro giuridico più preciso, sotto forma di un regolamento, e quindi di un atto direttamente applicabile in ogni Stato membro, contenente disposizioni chiare e vincolanti. In particolare si prevedono procedure più efficaci e rapide nello scambio tra le amministrazioni degli Stati membri e tra queste e la Commissione, per ottenere una maggiore efficacia nella lotta alle frodi. |
2.2 |
Il Capo I del nuovo regolamento si concentra sulle disposizioni generali e sulle procedure. Il CESE è pienamente d'accordo sui tipi di procedure suggeriti dalla Commissione, perché queste attueranno un decentramento della cooperazione e consentiranno di ridurre le numerose barriere burocratiche e normative, che troppo spesso ostacolano la lotta alla frode. |
2.2.1 |
I risultati di questi mutamenti dovrebbero essere: una maggiore rapidità negli scambi, una maggiore motivazione dei funzionari e uno sfruttamento più efficace delle risorse tecniche, soprattutto per quanto riguarda l'e-government. Il CESE prende altresì atto dei limiti che vengono attualmente posti alla cooperazione richiesta, qualora essa interferisca con procedure penali. Detti limiti pregiudicano o addirittura talvolta impediscono l'individuazione e la repressione degli autori di frodi operanti nel territorio dell'amministrazione richiedente. Il CESE auspica il superamento di tali limiti e suggerisce di lavorare nella prospettiva del coordinamento delle procedure penali nazionali, preferibilmente con l'istituzione di un organismo di polizia antifrode a livello europeo, dotato di maggiori poteri rispetto all'attuale. |
2.3 |
Il Capo II (diviso in cinque sezioni) regola la cooperazione su richiesta e ridefinisce i diritti e gli obblighi degli Stati membri. Esso delinea un quadro giuridico unico e più vincolante rispetto alla precedente disciplina. |
2.3.1 |
Con riferimento alla sezione 1, che disciplina le modalità da seguire per la richiesta di informazioni, il CESE evidenzia la troppa discrezionalità che viene ancora lasciata all'autorità interpellata nel dare seguito alla richiesta di informazioni. |
2.3.2 |
La sezione 2 stabilisce i termini entro i quali si deve dare seguito mentre la sezione 3 regola la presenza di personale dell'amministrazione fiscale di altri Stati membri negli uffici amministrativi ed alle indagini amministrative. Detto personale può intervenire, con dei limiti, solo previo accordo tra le due autorità nazionali. |
2.3.3 |
In merito alla sezione 3 si sottolinea come, anche in questo caso, la legislazione dell'autorità interpellata, soprattutto in materia penale, possa di fatto sterilizzare la cooperazione anche se questa viene d'altro lato stimolata con specifici finanziamenti (6). |
2.3.4 |
La sezione 4 regola il ricorso a controlli simultanei ed enumera in modo preciso i diritti e obblighi delle parti interessate e le procedure da seguire. |
2.3.5 |
Il CESE non condivide, anche in questo caso, la troppa discrezionalità lasciata all'autorità interpellata nel dare seguito a controlli simultanei. |
2.3.6 |
La sezione 5 regola la procedura di richiesta di notifica amministrativa. |
2.3.7 |
Il CESE è d'accordo con il contenuto della sezione 5 e in particolare con l'obbligo di ricorrere esclusivamente al formulario unico, per attuare la procedura di notifica. |
2.4 |
Il Capo III detta le regole per gli scambi di informazione senza preventiva richiesta. |
2.4.1 |
La proposta della Commissione stabilisce un quadro flessibile ed efficace per incrementare gli scambi tra le autorità nazionali. Essa si limita però a determinare in quali situazioni detti scambi debbano aver luogo, rimandando invece alla procedura di regolamentazione (7) per altri importanti aspetti. |
2.5 |
Il Capo IV disciplina le modalità di archiviazione e di scambio delle informazioni archiviate, concernenti operazioni intracomunitarie. |
2.5.1 |
Il CESE apprezza l'istituzione e/o l'aggiornamento di sistemi informatici di cooperazione. L'uso delle moderne tecnologie dell'informazione e della comunicazione è un passaggio determinante per un maggiore e più efficiente controllo. |
2.6 |
Il Capo V regola le relazioni tra le autorità nazionali e la Commissione. Quest'ultima non ha nessun ruolo operativo, ma soltanto delle funzioni di coordinamento e di stimolo in qualità di garante del buon funzionamento della cooperazione amministrativa. |
2.6.1 |
Il CESE riconosce la fondamentale importanza e la completezza dei mezzi previsti dal regolamento, che obbligano le autorità nazionali a fornire informazioni precise alla Commissione. |
2.7 |
Il Capo VI disciplina le relazioni con i paesi terzi, prevedendo una base giuridica per comunicare a qualsiasi Stato membro informazioni provenienti da un paese terzo in forza di un accordo bilaterale. |
2.7.1 |
Il CESE sottoscrive l'importanza di estendere gli scambi di informazione anche ai paesi terzi. |
2.8 |
Il Capo VII stabilisce le condizioni relative allo scambio di informazioni. |
2.8.1 |
Si sottolinea come alcuni dei limiti indicati al Capo VII siano riconducibili a prassi o legislazioni nazionali, che riducono purtroppo l'efficacia del sistema, al punto che in alcuni casi gli Stati membri evitano di avvalersi delle disposizioni relative alla reciproca assistenza, se si tratta di sospetta frode. |
2.9 |
Il Capo VIII riguarda le disposizioni finali tra le quali si sottolinea in particolare il fatto che per dare applicazione al regolamento si deve fare ricorso alla procedura di regolamentazione già citata. |
2.9.1 |
In relazione a detta parte non vi è nessuna osservazione particolare: il termine di cinque anni indicato per la presentazione della relazione sulle condizioni di applicazione del regolamento appare comunque più confacente rispetto alla vecchia cadenza biennale. |
2.10 Proposta di modifica delle direttive 77/799/CEE e 92/12/CEE
2.10.1 |
La parte che riguarda le accise, aggiornata e disciplinata dalla proposta di regolamento, va completamente eliminata dal campo di applicazione della direttiva 77/799/CEE. Lo stesso vale per gli articoli sulle accise della direttiva 92/12/CEE, ormai ripresi, previa modificazione, nel quadro della medesima proposta. |
3. Conclusioni
3.1 |
Il CESE apprezza le nuove regole di cooperazione tra Stati membri proposte dalla Commissione e condivide l'esigenza di aggiornare e rafforzare il sistema di scambi di informazioni al fine di contrastare la pratica delle frodi in materia di accise. Prende altresì atto che lo sviluppo dimensionale e operativo del mercato interno nonché il moltiplicarsi di soggetti passivi che operano in più Stati membri comporta maggiori sforzi di cooperazione tra le amministrazioni nazionali. |
3.1.1 |
Ciò è particolarmente attuale se si considera che il CESE ha ripetutamente ribadito la necessità di rafforzare e di migliorare la cooperazione tra gli Stati membri, tenuto conto della loro incapacità di avvalersi dei meccanismi di cooperazione esistenti (8) per prevenire le frodi. |
3.2 |
Il CESE, pur riconoscendo le peculiarità e specificità di ciascun settore, sottolinea che un sistema efficace di controlli e la reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri non possono prescindere da un maggiore e più costante coordinamento tra i sistemi di controllo vigenti in materia di imposte dirette, imposte indirette e accise. |
3.3 |
Il CESE ribadisce l'asserzione (9) che le differenze esistenti tra i vari Stati membri, a livello di procedure amministrative, pregiudicano l'efficacia dei controlli, ne dilatano i tempi e rappresentano un notevole ostacolo al funzionamento del mercato interno. |
3.3.1 |
In quest'ottica va attribuita priorità assoluta ad ogni misura che tenda ad introdurre più regole comuni per ogni soggetto comunitario. |
3.3.2 |
A tale proposito la relazione alla Corte dei conti europea del 1998 (10) affermava che la lotta alla frode era caratterizzata dall'assenza di una precisa strategia. Addirittura si evidenziava la contraddizione dell'esistenza di un mercato unico della frode ma non di un mercato unico dell'applicazione della legge. Anche solo in tema d'IVA la Corte quantificava (11) le frodi in 70 miliardi di euro, corrispondenti al 21 % delle entrate aggregate degli Stati membri. |
3.4 |
Ancora una volta i benefici che deriverebbero da un più efficace funzionamento del mercato unico, e nella fattispecie delle procedure atte a rilevare e combattere le frodi e l'evasione fiscale, vengono limitati dalla volontà di tutelare gli interessi nazionali. Come già richiamato dal CESE (12), «cooperazione amministrativa e prevenzione frodi» devono andare di pari passo con «modernizzazione e semplificazione» dei regimi fiscali. Ciò vale, a maggior ragione, in una Unione allargata, nella quale assume ancora più importanza l'armonizzazione. È indubbio infatti che molte pratiche di frodi sono direttamente in relazione con le differenze talvolta notevoli che esistono tra le aliquote di accisa applicate nei vari Stati membri. |
3.5 |
Sarebbe opportuno affiancare a strumenti giuridici sovranazionali, quali la società europea, adeguati strumenti fiscali e relative procedure di controllo e scambio di informazioni. In altre parole, si potrebbe ipotizzare un sistema di scambio e controllo «europeo» slegato dalle attuali procedure nazionali e da applicare gradualmente. |
3.6 |
Il CESE coglie l'occasione per denunciare i limiti legati alla vigenza del principio dell'unanimità, che attualmente governa la maggior parte delle decisioni comunitarie in materia di legislazione fiscale, e ribadisce la necessità di un superamento dello stesso a favore del principio di maggioranza, pur qualificata, quando si tratti di imposte che influiscono sul funzionamento del mercato interno o sono causa di distorsioni della concorrenza. |
3.7 |
È curioso che si faccia spesso riferimento, in generale, ai principi costituzionali di equità fiscale in relazione alle potenziali distorsioni del mercato interno europeo, per poi accettare di fatto differenze e privilegi, figli di legislazioni e di procedure nazionali, che interessano altri Stati membri. |
3.8 |
Il CESE, tenuto conto delle procedure nazionali in vigore e della volontà politica di non stravolgere dette strutture, accetta le modifiche proposte come punto di convergenza e come passo ulteriore, ancorché insufficiente, verso una modernizzazione della cooperazione tra Stati membri. Saluta con favore, ad esempio, l'equiparazione del valore giuridico delle informazioni scambiate su supporto informatico con quelle scambiate su carta. Invita peraltro le autorità competenti degli Stati membri a reagire tempestivamente alle richieste di cooperazione provenienti dalle altre amministrazioni, senza discriminare tali pratiche a favore di indagini puramente nazionali. Ricorda a tale proposito che la tecnologia degli strumenti di controllo e di scambio deve essere adeguata alle più evolute forme di frode e di evasione, che si avvalgono a loro volta delle più moderne tecnologie. |
3.9 |
Il CESE suggerisce l'opportunità di attribuire maggiori poteri operativi e investigativi alla Commissione europea, ad esempio attraverso l'OLAF che potrebbe assumere più ampie competenze sovranazionali di controllo, indagine e intervento. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale
Roger BRIESCH
(2) Relazione approvata dal Consiglio ECOFIN del 19 maggio 1998.
(3) Cfr. parere CESE su IDABC (Servizi di e-governement) GU C 80 del 30.3.2004.
(4) Cfr. parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 77/799/CEE relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette.
(5) Regolamento (CE) n. 1798/2003 del Consiglio, del 7 ottobre 2003, relativo alla cooperazione amministrativa in materia d'imposta sul valore aggiunto e che abroga il regolamento (CEE) n. 218/92 (GU L 264 del 15.10.2003, pag. 1).
(6) Decisione n. 2235/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2002, recante adozione di un programma d'azione comunitario inteso a migliorare i sistemi di imposizione nel mercato interno (Programma Fiscalis 2003-2007), GU L 341 del 17.12.2002, pag. 1.
(7) Articoli 5, 7 e 8 della decisione del Consiglio del 28 giugno 1999 recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (1999/468/CE).
(8) Parere CESE: GU C 80 del 3.4.2002, pag. 76.
(9) Parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE — GU C 19 del 21.1.1998, pag. 56.
(10) GU C 349 del 17.11.1998, pag. 15.
(11) Ibidem.
(12) Parere CESE in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 218/92 del Consiglio — GU C 116 del 20.4.2001, pag. 59.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/68 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La candidatura della Croazia all'adesione all'UE
(2004/C 112/20)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29 del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema La candidatura della Croazia all'adesione all'UE.
La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore STRASSER.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli e 3 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
La politica dell'Unione europea in tema di relazioni con i paesi dei Balcani occidentali punta a rafforzare la democrazia in questi paesi e a favorire la riconciliazione e la collaborazione. Per la Croazia, gli aiuti finanziari che l'Unione europea concede dal 1991 nell'ambito di svariati programmi hanno raggiunto, a tutto il 2002, l'importo di circa 500 milioni di euro. Nel 1999 l'Unione europea ha proposto un processo di stabilizzazione e associazione con i paesi dei Balcani occidentali. |
1.2 |
Al vertice di Zagabria del 24 novembre 2000, l'Unione europea ha prospettato ai paesi balcanici la possibilità dell'adesione e un relativo programma di aiuti, subordinandoli al rispetto dei «criteri di Copenaghen» e degli obblighi derivanti dal Trattato sull'Unione europea. I paesi dei Balcani occidentali hanno dichiarato di accettare gli obblighi imposti dall'Unione europea e di voler utilizzare il processo di stabilizzazione e associazione (PSA) - e in particolare, una volta siglati, i relativi accordi (ASA) - come strumento per la preparazione all'adesione. |
1.3 |
Il 21 febbraio 2003 il governo croato ha presentato domanda di adesione all'Unione europea. Il Consiglio ha deciso di chiedere alla Commissione europea di procedere ai sensi dell'articolo 49 del Trattato CE e di presentargli quindi il proprio parere su tale domanda. |
2. Dati generali
2.1 |
Il 25 giugno 1991 la Croazia ha dichiarato la propria indipendenza dalla Iugoslavia. La guerra con la Serbia si è conclusa soltanto nel 1995 con l'accordo di pace di Dayton. Oltre a forti perdite nella popolazione civile e a ripercussioni sociali negative, gli scontri bellici hanno anche provocato gravi danni in vaste aree del paese nonché un ingente calo del prodotto interno lordo. |
2.2 |
Tra il 1990 e il 1993 il PIL è sceso infatti del 36 % in termini reali (1). È soprattutto la produzione industriale ad aver risentito delle ripercussioni della guerra. La Croazia non deve affrontare soltanto il passaggio da un'economia pianificata di tipo socialista a un'economia di mercato funzionante, ma anche ampie ristrutturazioni in molti comparti economici, conseguenza della secessione dalla Iugoslavia e soprattutto della guerra. |
2.3 |
La Croazia ha una superficie di 56 542 km2 e circa 4,5 milioni di abitanti. Dal censimento del 2001 risulta che il 7,47 % degli abitanti appartiene a una minoranza: la più numerosa è quella serba, con il 4,5 %, mentre la percentuale rimanente è ripartita fra bosniaci, italiani, ungheresi, albanesi, sloveni, rom, ecc. |
2.4 |
Il periodo successivo alla guerra con la Serbia, fino alla morte del presidente TUDJMAN sopraggiunta nel 1999 e alle elezioni parlamentari del gennaio 2000, è stato dominato dal partito dell'HDZ, di impronta nazionalistica. Con la formazione di un governo di coalizione di centrosinistra e l'elezione di Stjepan MESIC a capo dello Stato, nel 2000 è stata creata la base politica per le necessarie riforme. Avendo ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni politiche del 23 novembre 2003, l'HDZ, da cui nel frattempo erano uscite le forze estremiste di orientamento nazionalista, ha ricevuto l'incarico di formare il nuovo governo. Il Comitato economico e sociale europeo si compiace del fatto che il nuovo governo croato continui a seguire espressamente la tabella di marcia dell'integrazione e delle riforme e che si adoperi intensamente in favore dell'adesione all'UE, approvata da una netta maggioranza della popolazione. |
2.5 |
Soprattutto a partire dal 2000 gli indicatori macroeconomici sono nettamente migliorati, con una vigorosa crescita economica (2001: + 4,1 %; 2002: + 5,2 %; fino al terzo trimestre 2003: 3,5 %). Il tasso di inflazione è diminuito, passando dal 7,4 % nel 2000 al 2,3 % nel 2002, e nel dicembre 2003 si è attestato sul 2,2 %. Questo andamento è da ricondursi principalmente a un'elevata domanda interna, alla stabilità del cambio, agli interventi di liberalizzazione del commercio, a una dinamica salariale caratterizzata da moderazione, ad aumenti produttivi e a una maggiore concorrenza (2). Ad esso si contrappongono un tasso di disoccupazione rimasto molto elevato, pari al 15 % circa, un disavanzo della bilancia commerciale che nel 2003 ha stabilito un nuovo record di 7 125 miliardi di $, e un debito pubblico che, anch'esso, ha continuato a crescere. |
2.6 |
Malgrado un'altra lieve riduzione del numero di disoccupati, la loro elevata percentuale, pari a circa il 15 % (3), resta uno dei grandi problemi sociali e politici. Secondo il Comitato deve preoccupare soprattutto che, in talune regioni, la percentuale tocchi anche il 40 %, tenendo altresì conto del fatto che il tasso di occupazione croato, che sfiora il 50 %, è molto basso rispetto a quello dell'Unione europea (oltre il 60 %). A questo proposito il Comitato fa osservare che l'economia sommersa assume notevoli proporzioni in Croazia. Sarà una delle principali sfide per il governo croato cercare di ridimensionarla, creando fra l'altro condizioni quadro favorevoli agli imprenditori. |
2.7 |
La Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale valutano negativamente il debito totale del settore pubblico. Nonostante un prelievo fiscale e contributivo molto elevato, pari secondo l'ultimo dato al 48,4 %, il debito estero in percentuale del PIL è cresciuto dal 44,8 % nel 1998 al 74,3 % nel 2003 (4). Una delle cause principali di questo forte incremento risiede nel grande fabbisogno di investimenti per infrastrutture e impianti pubblici nel dopoguerra. Il Comitato considera peraltro problematico anche l'elevato indebitamento dei privati, dovuto alla forte espansione dei consumi. |
2.8 |
Uno studio della Banca mondiale (5), fra l'altro, rileva criticamente che la Croazia spende nettamente di più per l'apparato amministrativo pubblico rispetto, ad esempio, ai paesi di prossima adesione (11,2 % del PIL contro una media del 7,2 %); lo stesso vale anche per i trasferimenti. |
3. Democrazia e stato di diritto
3.1 |
Nella relazione annuale 2003 sul processo di stabilizzazione e associazione, la Commissione europea afferma fra l'altro che:
Il Comitato accoglie questi progressi con favore, in quanto costituiscono un presupposto determinante per la partecipazione al processo di integrazione europeo. È interesse della Croazia eliminare prima possibile le carenze che ancora impediscono il pieno funzionamento della democrazia e dello stato di diritto. |
3.2 |
La relazione annuale della Commissione (6) segnala quali sono gli ambiti che richiedono ancora molto lavoro e, nel valutare la situazione nei settori dell'amministrazione della giustizia, dell'esecuzione delle sentenze e dello stato di diritto, esprime un giudizio critico
|
3.3 |
Alla fine del 2002 il governo croato ha presentato un Libro verde sulla riforma della giustizia. Con l'istituzione di un'accademia giuridica e la delega di funzioni a notai e ausiliari di giustizia sono stati fatti primi passi importanti. Il Comitato spera che gli altri interventi di riforma necessari siano realizzati coerentemente. |
3.4 |
Ancora oggi continuano a porre grandi problemi la mancanza di personale qualificato e l'insufficienza delle dotazioni tecniche. Secondo il Comitato, i ritardi accumulati dai processi e la conseguente «paralisi amministrativa» riducono la certezza del diritto e ostacolano anche le necessarie riforme strutturali. |
3.5 |
Come alcuni dei paesi in via d'adesione, anche la Croazia vanta una lunga tradizione in materia catastale. Tuttavia, poiché l'aggiornamento è stato trascurato per decenni, spesso è molto difficile appurare a chi appartengano effettivamente gli immobili, il che è di ostacolo alle necessarie privatizzazioni. Secondo il Comitato è indispensabile istituire un catasto moderno e funzionante, anche e soprattutto in previsione dell'eventuale adesione all'Unione europea. Un passo importante è stato fatto con la creazione dell'Ufficio del catasto. |
3.6 |
Un problema politico molto serio è l'insoddisfacente collaborazione fra la Croazia e il Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nell'ex Iugoslavia, la quale ha indotto alcuni Stati membri dell'Unione europea a non ratificare l'Accordo di stabilizzazione e associazione. Il Comitato ritiene che sarebbe molto controproducente se la Croazia di fatto non applicasse le raccomandazioni della Commissione in questa materia politicamente molto delicata e spera che il governo croato presti il necessario appoggio alle richieste di estradizione del Tribunale dell'Aia. |
3.7 |
La questione del rimpatrio dei rifugiati e degli sfollati, certamente di difficile soluzione, ha un'elevata valenza politica in Croazia e interessa circa 250 000 persone. I problemi riguardano la ricostruzione delle proprietà distrutte, la restituzione dei beni, la mancanza di alloggi e di possibilità di lavorare. Nel contesto dell'accordo di pace di Dayton, la Croazia ha assunto alcuni impegni in materia di rimpatrio dei rifugiati. Il Comitato si rende conto che il necessario rispetto di questi impegni costituisce un onere rilevante e spera che il problema venga risolto quanto prima. |
3.8 |
Nel dicembre 2002 il parlamento croato ha approvato una legge costituzionale di tutela delle minoranze, con la quale si è inteso assicurare loro un'adeguata rappresentanza non soltanto negli organi elettivi, ma anche nel sistema giudiziario e in altri enti dell'amministrazione statale. Il Comitato ricorda che, qui come in altri settori, ciò che conta in ultima analisi è il modo in cui le leggi sono applicate e gestite. Il Comitato dà per scontato che saranno rimosse le discriminazioni ancora esistenti contro i rom, per esempio in occasione delle elezioni, e si compiace degli sforzi compiuti ultimamente in questa direzione. |
3.9 |
Nel suo parere di iniziativa dal titolo «Per una maggiore partecipazione della società civile organizzata nell'Europa sudorientale - Esperienze passate e sfide future» (7), il Comitato ha osservato quanto segue: «l'indipendenza, la libertà e la forza dei media sono tra le principali condizioni di una democrazia sana e stabile, i cui cittadini siano opportunamente informati e possano quindi svolgere un ruolo attivo e adeguato nella gestione della cosa pubblica». |
3.10 |
Il Comitato riconosce che la Croazia si è già adoperata per migliorare l'indipendenza e la libertà dei mass media e constata con piacere l'esistenza di una vasta gamma di organi di stampa indipendenti in grado di rappresentare il pluralismo esistente nel paese e le sue minoranze culturali e linguistiche. Il Comitato auspica che l'attuazione della riforma della radiofonia e delle telecomunicazioni di Stato, già approvata, consenta sia di garantire la piena indipendenza di questi importanti media, sia di soddisfare le esigenze del pluralismo e della varietà etnica. |
4. Economia di mercato e riforme strutturali
4.1 |
La relazione annuale della Commissione rivela che in Croazia il passaggio all'economia di mercato è già in fase molto più avanzata che in altri paesi dei Balcani occidentali. La Commissione segnala peraltro che il processo di privatizzazione si è arenato nel 2002. A sua volta, il rapporto della Banca mondiale constata che questo processo è ancora ben lungi dall'essere concluso e che anche la ristrutturazione dell'economia lascia ancora a desiderare. Nel corso del 2003 il Fondo croato per le privatizzazioni (HFP) ha realizzato ulteriori operazioni in alcuni settori, per esempio quello bancario, ma non nella misura che sarebbe richiesta. Il Comitato ritiene importante che il nuovo governo porti avanti con accortezza il necessario processo di privatizzazione, specialmente nei comparti industriale, turistico e agricolo. Andrebbero sfruttate anche le possibilità di creare partnership tra i settori pubblico e privato. |
4.1.1 |
Il Comitato considera inoltre necessario che, quando si privatizza, si tenga conto anche degli interessi dei lavoratori direttamente coinvolti. Per evitare il più possibile conseguenze negative sul piano sociale servono misure di accompagnamento per il mercato del lavoro, per esempio sotto forma di finanziamenti agli interventi di riqualificazione professionale. In questo contesto il Comitato segnala che la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale raccomandano di tenere conto anche della dimensione sociale nel quadro della liberalizzazione, privatizzazione e deregolamentazione. |
4.2 |
Si valutano in termini genericamente negativi, anche in relazione al debito pubblico, i consistenti aiuti che lo Stato croato continua a concedere a imprese statali operanti in perdita. Fra il 1996 e il 2000 il numero degli occupati è sceso del 21 % nelle imprese statali e del 14 % in quelle privatizzate, mentre l'occupazione nelle imprese private è aumentata del 50 % (8). Le parti sociali croate ravvisano un ulteriore problema per l'occupazione nel fatto che non vengano create aziende manifatturiere, soprattutto PMI, in numero sufficiente. Anche il Comitato ritiene che migliorare la formazione e l'aggiornamento professionale nonché gli investimenti nelle dotazioni tecniche dei centri di formazione sia un importante primo passo per risolvere la problematica occupazionale. |
4.3 |
Attualmente l'industria produce poco più del 23 % del PIL e occupa circa 300 000 persone (pari a circa il 25 % dell'intera forza lavoro) (9). Molte imprese operano in perdita e, talvolta, sono fortemente indebitate. Data la carenza di capitale, spesso si lavora ancora con tecnologie antiquate, per cui la produzione non sempre è in grado di reggere il confronto con la concorrenza internazionale. Il Comitato ribadisce perciò la necessità che la Croazia investa più massicciamente nella ricerca e nello sviluppo (nel 2001: 1,09 % del PIL) (10) per accrescere la competitività della sua economia, che introduca incentivi alla creazione di nuove imprese, specialmente PMI, e che rimuova gli ostacoli amministrativi che vi si frappongono. |
4.4 |
La Croazia vanta un'industria chimica e farmaceutica solida, mentre è grave la situazione del suo settore tessile. L'industria pesante, e soprattutto la cantieristica, resta ancora prevalentemente nelle mani dello Stato e opera in forte perdita. |
4.5 |
Con una quota superiore al 20 % del PIL e quasi il 6 % degli occupati, il turismo è particolarmente importante per l'economia croata e procura circa un terzo del totale degli introiti in valuta. Il Comitato considera un problema il peso ancora molto elevato delle imprese turistiche statali. Proprio nel settore del turismo il progredire della privatizzazione potrebbe consentire un migliore sfruttamento del potenziale esistente. In questo settore sarebbe inoltre auspicabile un'apertura agli investimenti esteri. |
4.6 |
La crisi bancaria del 1998 è stata superata attraverso la vendita a investitori esteri di alcune banche di proprietà dello Stato. È stata così raggiunta una maggiore sicurezza e stabilità, con il contestuale miglioramento della produttività e dei servizi offerti. Il Comitato ritiene che ciò rappresenti un importante presupposto per l'attuazione degli interventi strutturali che richiede l'economia croata. Fa però notare che un costo del denaro ancora troppo elevato rende più difficili gli investimenti necessari. |
4.7 |
L'amministrazione statale è chiamata a sostenere le imprescindibili riforme strutturali e il miglioramento della competitività dell'economia. Il Comitato ritiene che la pubblica amministrazione croata non abbia ancora una struttura abbastanza efficiente per rispondere ai compiti e alle esigenze attuali con la qualità richiesta. Il Comitato considera che i diversi programmi di sostegno, quali il programma SIGMA (11), saranno d'aiuto alla realizzazione delle necessarie riforme. Nell'ambito del previsto decentramento è determinante ottimizzare la ripartizione delle competenze fra organi centrali e livelli di governo territoriali. |
4.8 |
La Croazia dispone di un sistema di sicurezza sociale relativamente ben sviluppato. Nel 2001 il paese ha realizzato una riforma del sistema previdenziale, allo scopo sia di alleviare il passivo del bilancio statale, sia di influenzare positivamente l'andamento dell'economia. Questa riforma è stata accolta per lo più con favore dalla popolazione. Le riforme del mercato del lavoro, anche nel senso di una sua flessibilizzazione, vanno introdotte insieme ad adeguati interventi in materia di sicurezza e tutela sociale; esse devono potersi basare su una giurisdizione del lavoro ben funzionante. |
4.9 |
Anche nel comparto agricolo servono interventi di rilievo. L'agricoltura croata è caratterizzata da piccole aziende con una superficie media di 5 ha. Il rapporto della Banca mondiale segnala che il 30 % della superficie agricola resta ancora di proprietà dello Stato, mentre per stabilire a chi appartiene un ulteriore 40 % saranno necessari ancora quindici anni. L'agricoltura croata oggi è poco competitiva: la sua quota relativamente alta sul PIL, pari al 9 %, è prodotta dall'8 % circa degli occupati. La scarsa competitività, tra l'altro, determina la necessità di importare materie prime per l'industria alimentare croata, un comparto relativamente produttivo. |
4.10 |
Le numerose piccole aziende contadine lavorano il 75 % della superficie coltivabile, mentre la quota residua continua a essere gestita dai pochi grandi complessi agroalimentari rimanenti. In seguito ai danni bellici (per es. collocamento di mine), molte superfici agricole produttive sono tuttora utilizzabili solo in parte. Mentre le piccole aziende contadine hanno recuperato già nel 1998 i livelli produttivi del 1990, i grandi complessi agroalimentari, ancora di proprietà statale, non reggono il passo con il nuovo contesto economico. |
4.11 |
Il fatto che tuttora la proprietà dei terreni sia spesso incerta rappresenta un grosso ostacolo per le riforme strutturali necessarie nell'agricoltura croata. Lo stesso vale per il reperimento di finanziamenti destinati all'ammodernamento delle aziende agricole. Gli elevati rischi rendono le banche poco propense a concedere crediti per effettuare investimenti in agricoltura. |
4.12 |
Nel 2003 è entrato in vigore un nuovo programma di sostegno all'agricoltura. Il Comitato spera che questa riforma da un lato accresca la competitività dell'agricoltura croata, dall'altro ne agevoli l'avvicinamento all'Unione europea. Per il Comitato, nella prospettiva di un'agricoltura croata più moderna, è essenziale non solo migliorare la formazione e la consulenza, cosa comunque necessaria, ma anche costituire presto una rappresentanza di categoria ben funzionante e politicamente indipendente. |
5. Attuazione dell'Accordo di stabilizzazione e associazione (ASA) e utilizzo dei programmi di sostegno
5.1 |
L'attuazione dell'Accordo di stabilizzazione e associazione è determinante in preparazione dell'adesione all'Unione europea. Non essendo ancora concluso il processo di ratifica da parte della Comunità e degli Stati membri, il periodo transitorio è coperto da un accordo interinale (cfr. punto 3.6). |
5.2 |
Nel mese di ottobre 2001 il governo croato ha varato un piano d'azione per l'attuazione dell'Accordo, del quale sono già state realizzate alcune misure; l'obiettivo è di preparare la Croazia all'adesione all'Unione europea entro la fine del 2006. Per poter raggiungere gli ambiziosi obiettivi definiti, in ogni ente governativo è stato nominato un coordinatore per le questioni relative all'integrazione europea. |
5.3 |
Nel mese di dicembre 2002 è stato approvato un programma governativo per il 2003 per l'integrazione della Croazia nell'Unione europea, i cui principali punti sono:
Secondo informazioni di fonte ufficiale croata, nel 2003 sono stati adottati più di 109 provvedimenti legislativi in materia. Nel gennaio 2004 è stato approvato il secondo programma d'integrazione per l'avvicinamento all'acquis comunitario. Nel 2004 saranno emanati i corrispondenti regolamenti di attuazione per garantirne la messa in opera. Pur riconoscendo l'impegno dimostrato dalla Croazia, il Comitato è consapevole che, in alcuni ambiti (per es. l'armonizzazione con Eurostat), le insufficienti capacità amministrative causeranno difficoltà nell'attuazione dei provvedimenti. |
5.4 |
Nell'ambito dell'attuazione dell'Accordo una funzione irrinunciabile spetta ai programmi CARDS per il sostegno finanziario alla Croazia, che indubbiamente danno un importante contributo non solo all'ammodernamento e alla democratizzazione, ma anche alla messa in opera delle necessarie misure ambientali. Il Comitato dà per scontato che, in caso di parere favorevole della Commissione europea sulla candidatura della Croazia, i programmi di sostegno istituiti per i paesi in via d'adesione (ISPA, Sapard, Phare, TAIEX, ecc.) saranno messi anche a sua disposizione. |
5.5 |
Perché l'avvicinamento dell'economia croata alle condizioni del mercato interno europeo vada a buon fine, bisogna che anche la società civile partecipi alle necessarie riforme e ai necessari interventi di liberalizzazione e di adeguamento al diritto comunitario. A tal fine è essenziale dare alla popolazione informazioni costanti ed esaustive sul significato e sulle ripercussioni dell'integrazione nell'Unione europea e coinvolgere le organizzazioni rappresentative della società civile nei processi di decisione politica. |
6. Problemi regionali
6.1 |
In alcuni casi le disparità di sviluppo e di benessere tra singoli agglomerati urbani e regioni rurali sono enormi. Per di più un numero consistente di regioni grandi e piccole sono state particolarmente coinvolte nelle devastazioni della guerra, che ne ha nettamente pregiudicato lo sviluppo economico, come per esempio è avvenuto soprattutto nelle regioni della Slavonia e della Lika-Senj. |
6.2 |
Nel febbraio 2002 è stato istituito un Fondo di sostegno alle regioni svantaggiate, destinato principalmente alle zone che hanno subito più di altre le conseguenze della guerra, alle aree colpite dallo spopolamento e a quelle che presentano svantaggi di altro tipo, ad esempio determinate isole o zone di montagna. |
6.3 |
Nella relazione annuale 2003 la Commissione europea ha criticato, da un lato, la mancata deliberazione di criteri per l'erogazione dei relativi fondi e, dall'altro, una scarsa chiarezza nella disciplina delle competenze gestionali. Il Comitato raccomanda di affrontare immediatamente le problematiche non risolte e ritiene che ciò sia un importante presupposto per poter utilizzare correttamente i diversi programmi messi a disposizione dalla UE, per es. Interreg. |
7. Ambiente
7.1 |
Nel rapporto della Banca mondiale la situazione dell'ambiente naturale in Croazia è descritta in termini positivi rispetto ad altri paesi dell'Europa centrale. Tuttavia, nei settori dell'approvvigionamento di acqua potabile, del trattamento delle acque reflue e dello smaltimento dei rifiuti sono ancora necessari considerevoli investimenti per raggiungere gli standard europei. |
7.2 |
Nelle zone costiere il trattamento delle acque reflue raggiunge standard quasi europei, data la sua importanza per il turismo e gli impegni internazionali di lotta contro l'inquinamento del mare Mediterraneo. Nelle altre zone, invece, servono ancora cospicui investimenti nei settori della raccolta e del trattamento delle acque reflue. Lo stesso vale per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, specialmente dei rifiuti speciali. Il Comitato rileva che la Croazia, nel perfezionare le proprie norme di legge in materia, prende come riferimento le direttive dell'UE ed è già riuscita a realizzare progressi adeguati. |
7.3 |
Nell'ultimo decennio la qualità dell'aria è migliorata, ma ciò è riconducibile in parte alla flessione della produzione industriale dovuta alla guerra e alle difficoltà dell'economia. Nelle aree urbane, infatti, la scarsa qualità dell'aria continua a rappresentare un grosso problema. Una volta iniziata la probabile ripresa dell'economia, si renderanno necessarie misure per la riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti e in quello della produzione energetica. |
7.4 |
La quota relativamente ampia di aree protette (circa il 10 % della superficie) rende giustizia alla presenza di una forte biodiversità, di diversi ecosistemi e di paesaggi unici, alcuni dei quali sono stati posti sotto tutela dall'Unesco. Nonostante i suddetti interventi di tutela, la pressione sulla biodiversità è in crescita, e le misure adottate finora e le riserve naturali non bastano a far fronte alle esigenze. |
7.5 |
Il Comitato fa notare che, come la maggior parte dei paesi in via d'adesione, anche la Croazia avrà bisogno di cospicui investimenti per raggiungere gli standard europei in campo ambientale. Il Comitato reputa quindi necessario sostenere adeguatamente l'impegno del paese per migliorare la situazione. |
8. Cooperazione internazionale e relazioni con i paesi limitrofi
8.1 |
Fondamentale per una proficua partecipazione della Croazia al processo di integrazione europeo è il rispetto degli impegni che il paese ha assunto negli accordi di pace di Dayton e di Parigi e con la sua adesione al Consiglio d'Europa nel 1996. Il Comitato rileva che il governo croato riconosce espressamente la validità di questi impegni ma che non ne assume ancora le necessarie conseguenze in alcuni ambiti. |
8.2 |
Intrattenere buoni rapporti di vicinato è un presupposto indispensabile per una convivenza pacifica. Il Comitato rileva che la cooperazione economica della Croazia con i paesi immediatamente confinanti ha registrato un'evoluzione più positiva rispetto alle relazioni politiche con alcuni paesi vicini. Il Comitato considera assolutamente necessario, tra l'altro, addivenire a una rapida soluzione del contenzioso con la Slovenia sul confine marittimo, problema ulteriormente aggravato dalla decisione del parlamento croato di estendere unilateralmente i suoi diritti sovrani sul mare Adriatico creando una zona ecologico-ittica protetta (12). In questo contesto il Comitato ricorda la necessità di rispettare gli obblighi derivanti dal diritto marittimo internazionale. |
8.3 |
L'adesione all'Organizzazione mondiale per il commercio, avvenuta nel 2000, ha rappresentato un importante passo verso l'internazionalizzazione dell'economia croata. |
8.4 |
Agli inizi del 2002 è entrato in vigore l'accordo interinale dell'ASA, firmato il 29 ottobre 2001, che dispone consistenti agevolazioni commerciali. Dal 1o marzo 2003 la Croazia è membro dell'Accordo di libero scambio centroeuropeo (CEFTA) e intrattiene scambi con ben 35 paesi partner (compresi gli Stati membri dell'Unione). Attualmente il 90 % del commercio estero croato avviene già a condizioni preferenziali e, dopo la fase transitoria dell'ASA, più di 2/3 del commercio estero si svolgerà in regime di esenzione doganale. Nel 2003 l'economia croata ha esportato beni per un valore di 5,65 miliardi $ e ne ha importati per un valore di 12,77 miliardi $; ne risulta un disavanzo della bilancia commerciale pari a 7,12 miliardi $. |
9. Società civile organizzata
9.1 |
La società civile organizzata ha un ruolo importante da svolgere sia nel passaggio all'economia di mercato che nel processo di adesione. In Croazia esistono più di 20 000 organizzazioni non governative. Il 1o gennaio 2002 è entrata in vigore una legge che ha reso meno rigide le norme in materia di libertà di riunione e associazione e di controllo sulle attività delle organizzazioni non governative. |
9.2 |
Nel parere dal titolo «Per una maggiore partecipazione della società civile organizzata nell'Europa sudorientale - Esperienze passate e sfide future», il Comitato evidenzia alcuni importanti presupposti per la stabilità e il benessere:
Nello stesso parere, il Comitato ha accolto espressamente con favore la dichiarazione delle autorità croate secondo cui il governo attribuisce la massima priorità allo sviluppo della società civile. |
9.3 |
Il precedente governo croato ha elaborato un disegno di legge volto a istituire un foro di discussione che consenta alle organizzazioni della società civile (ONG) di dibattere temi di loro interesse ed eventualmente di formulare pareri in merito, tutto ciò allo scopo di favorire il dialogo civile. Il 16 ottobre 2003 è stata istituita la Fondazione nazionale per la promozione della società civile, che assolve le funzioni del foro di discussione proposto. I rappresentanti delle ONG hanno la possibilità di far sentire adeguatamente la propria voce in seno al consiglio di amministrazione. Il Comitato valuta positivamente questo provvedimento, così come il sostegno finanziario previsto per le attività delle ONG. Inoltre, si compiace del fatto che le ONG abbiano la possibilità di collaborare ai gruppi di lavoro del Consiglio economico e sociale e spera che questa collaborazione venga ulteriormente ampliata. |
9.4 |
Nel 1999 è stato istituito il secondo Consiglio economico e sociale della Croazia, a composizione tripartita e comprendente un totale di 15 membri in rappresentanza del governo, delle organizzazioni datoriali e dei sindacati. Nell'ambito di quest'organo i datori di lavoro sono rappresentati da un'unica federazione (l'Associazione dei datori di lavoro della Croazia) e i lavoratori da cinque confederazioni sindacali (ognuna con un delegato). Le tre componenti si alternano alla presidenza a intervalli regolari. I lavori si svolgono nell'ambito di sette commissioni e le decisioni vengono adottate nel corso di una sessione plenaria che si svolge di solito trimestralmente. I compiti organizzativi sono a carico di un apposito ufficio istituito dal governo. |
9.5 |
Come in vari Stati membri dell'Unione europea, anche in Croazia il Consiglio economico e sociale ha il compito di occuparsi, fra l'altro, di questioni fondamentali relative alla politica economica e sociale, al mercato del lavoro, al bilancio o anche alle privatizzazioni. |
9.6 |
Il Consiglio economico e sociale svolge indubbiamente un'importante funzione a favore del dialogo sociale. Per il Comitato, un Consiglio economico e sociale ben funzionante è un presupposto essenziale per un'attuazione conforme agli obiettivi degli imminenti provvedimenti di riforma, che potranno così ottenere il sostegno delle categorie professionali di volta in volta interessate. È altrettanto importante finanziare un dialogo sociale autonomo fra le parti. |
9.7 |
In Croazia i gruppi di interesse sono ancora in via di costituzione e non tutte le categorie professionali dispongono di un proprio organo di rappresentanza. |
9.8 |
Prima del 1990 l'appartenenza a un sindacato era praticamente obbligatoria ma, dopo il cambiamento di sistema, i sindacati si sono sviluppati in modo molto diverso nelle repubbliche nate dalla dissoluzione dell'ex Iugoslavia. L'iscrizione obbligatoria al sindacato è stata eliminata ovunque, con la conseguenza di una completa ristrutturazione delle organizzazioni sindacali. In Croazia esistono molti sindacati di categoria e cinque confederazioni sindacali, rappresentate in funzione del loro peso anche nel Consiglio economico e sociale. |
9.9 |
La frammentazione dei sindacati in cinque confederazioni nazionali fa sì che non sempre le aspirazioni dei lavoratori siano prese in considerazione in misura soddisfacente, per esempio nell'ambito del Consiglio economico e sociale. Ci si sta quindi adoperando per creare un'organizzazione che riunisca le diverse confederazioni sindacali. Per il Comitato sarebbe motivo di rincrescimento se questa situazione impedisse al sindacato croato di svolgere appieno il ruolo di sua competenza nel nuovo sistema di relazioni industriali. |
9.10 |
I datori di lavoro sono organizzati nella Camera dell'economia croata, articolata per categoria e per regione, e nell'Associazione dei datori di lavoro della Croazia. Il compito principale della Camera consiste nel dare sostegno alle attività nazionali ed estere, per esempio organizzando manifestazioni fieristiche, e soprattutto nel curare l'aggiornamento professionale degli iscritti. L'iscrizione alla Camera dell'economia è obbligatoria per tutti gli operatori economici registrati in Croazia. |
9.11 |
Fino al 1996, la Camera dell'economia aveva anche il compito di rappresentare i datori di lavoro nelle contrattazioni collettive, ruolo assunto ora dall'Associazione dei datori di lavoro, che raccoglie 23 associazioni di categoria e si basa sull'appartenenza volontaria. Va però osservato che l'Associazione rappresenta gli interessi solo di una parte degli imprenditori croati. Le PMI, infatti, sono organizzate in una loro associazione, che però, di nuovo, comprende solo una parte delle imprese esistenti. Il Comitato ritiene necessario che le organizzazioni datoriali trovino soluzioni in grado di garantire la rappresentanza degli interessi di tutte le imprese, sia nell'ambito del Consiglio economico e sociale che nei confronti del governo. |
9.12 |
Esiste una base giuridica che consentirebbe una rappresentanza autonoma degli interessi del comparto agricolo e silvicolo, ma finora non è stata applicata. Essa prevede che gli interessi dei produttori agricoli siano seguiti da un'apposita sezione della Camera dell'economia. Il Comitato condivide la tesi presentata nel rapporto della Banca mondiale secondo cui l'insufficiente rappresentanza degli interessi degli agricoltori costituisce una notevole penalizzazione in vista dell'avvicinamento alla politica agricola comune. Il Comitato spera che la Confederazione degli agricoltori croati (Farmers' Union), attiva ormai da alcuni anni, sia riconosciuta come interlocutore ufficiale e coinvolta nelle procedure di valutazione e che possa affermarsi rapidamente in quanto gruppo di interesse efficace e indipendente degli agricoltori croati. |
10. Sintesi e raccomandazioni
10.1 |
Il 25 giugno 1991 la Croazia ha dichiarato la propria indipendenza dalla Iugoslavia. La guerra con la Serbia ha provocato, oltre a forti perdite nella popolazione civile, gravi danni in vaste aree del paese e, soprattutto, ha compromesso notevolmente lo sviluppo economico. |
10.2 |
Negli ultimi anni è cambiato molto nella politica e nell'economia della Croazia: il processo di democratizzazione ha fatto passi da gigante e, soprattutto a partire dal 2000, gli indicatori macroeconomici sono nettamente migliorati. Bisogna tener presente che, accanto alla trasformazione del vecchio sistema in un'economia di mercato funzionante, il paese deve affrontare anche le conseguenze della guerra. |
10.3 |
Da qualche anno l'andamento dell'economia è caratterizzato da una crescita per fortuna vigorosa e da una stabilizzazione dei prezzi. A ciò si contrappongono un alto tasso di disoccupazione, che resta il principale problema sociale irrisolto soprattutto nelle zone rurali, e l'enorme aumento del disavanzo della bilancia commerciale e del debito pubblico. |
10.4 |
Il Comitato evidenzia il ruolo del dialogo sociale autonomo ai fini del processo di riforma, e ricorda che il governo dovrebbe prendere in seria considerazione anche in futuro la funzione del Consiglio economico e sociale. |
10.5 |
In alcuni comparti dell'economia, per esempio in quello bancario, la Croazia ha privatizzato con grande successo. Complessivamente, però, il processo di privatizzazione si è svolto con meno coerenza che nei paesi in via d'adesione, il che funge da deterrente per gli investimenti privati almeno quanto i problemi irrisolti nei rapporti di proprietà. Il Comitato auspica che il nuovo governo, oltre a portare avanti con determinazione il processo di privatizzazione, elimini anche gli altri ostacoli che tuttora si frappongono agli investimenti privati. |
10.6 |
Per creare i nuovi posti di lavoro necessari in Croazia non basta incentivare l'apertura di nuove imprese, in particolare PMI, ma è molto importante anche migliorare la formazione e l'aggiornamento professionale. |
10.7 |
In occasione del vertice di Zagabria del 24 novembre 2000, l'Unione europea ha prospettato ai paesi dei Balcani occidentali la possibilità di aderire all'Unione europea e di usufruire dei relativi programmi d'aiuto, subordinandola al rispetto dei criteri di Copenaghen e degli obblighi discendenti dal Trattato sull'Unione europea. Il 21 febbraio 2003 la Croazia è stato il primo paese dei Balcani occidentali a presentare domanda di adesione all'Unione. Secondo il Comitato si tratta di una decisione positiva, che testimonia l'intenzione della Croazia di partecipare al processo di integrazione europea. |
10.8 |
Il Comitato riconosce che la Croazia si sta adoperando attivamente per creare le condizioni per l'adesione. Il programma d'azione approvato dal governo per dare attuazione all'Accordo di stabilizzazione e associazione svolge un'importante funzione in tal senso, così come il programma governativo per l'integrazione della Croazia nell'Unione europea, approvato alla fine del 2002. |
10.9 |
Gli obiettivi definiti sono indubbiamente molto ambiziosi e creare i presupposti per l'adesione all'Unione europea impone l'attuazione di un ampio processo di riforme. In questo contesto è assolutamente determinante che i necessari strumenti legislativi, adottati nel 2003, siano anche seguiti dalla tempestiva creazione dei presupposti amministrativi per una loro attuazione conforme agli obiettivi. |
10.10 |
Secondo il Comitato, però, è altrettanto essenziale per un esito positivo che anche i cittadini partecipino alle necessarie riforme e ai necessari interventi di liberalizzazione e di adeguamento al diritto comunitario, il che presuppone di informare la popolazione in maniera esaustiva sul significato e sulle ripercussioni dell'adesione all'Unione. Il Comitato raccomanda pertanto di coinvolgere la società civile organizzata nel suo complesso, e non solo singole associazioni di categoria, nei necessari processi decisionali. Queste organizzazioni vanno inoltre messe in condizioni di informare con obiettività i loro aderenti. |
10.11 |
Analogamente alla Commissione europea, anche il Comitato osserva con preoccupazione il persistere di problemi irrisolti nei settori della giustizia, della lotta alla corruzione, del trattamento delle domande di asilo e in particolare in relazione al Tribunale internazionale dell'Aia per i crimini di guerra nell'ex-Iugoslavia. Il Comitato avverte che la soluzione di questi problemi avrà un peso determinante nel valutare se i criteri di Copenaghen possano ritenersi rispettati. |
10.12 |
Il Comitato riconosce l'esplicita volontà del governo croato di rispettare pienamente gli impegni assunti con gli accordi di pace di Dayton e di Parigi, uno dei quali è la grande sfida rappresentata dal rimpatrio dei numerosi profughi. |
10.13 |
Dal punto di vista del Comitato, in preparazione all'adesione all'Unione è pure fondamentale migliorare le relazioni bilaterali con gli Stati confinanti. |
10.14 |
Un importante presupposto per la stabilità e il benessere risiede nell'esistenza di solide organizzazioni della società civile e di una democrazia partecipativa vissuta. Il Comitato valuta pertanto positivamente il fatto che in Croazia siano in corso di creazione i presupposti istituzionali idonei allo svolgimento del dialogo sociale e civile. Sarà determinante che tutte le categorie professionali, mediante gruppi di interesse rappresentativi e validamente organizzati, abbiano la possibilità di esercitare un influsso su questo processo. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Rapporto della Banca mondiale n. 25435 HR.
(2) Da rilevare che il PIL pro capite della Croazia corrisponde più o meno ad appena un terzo di quello della Slovenia.
(3) Questo secondo il metodo di calcolo dell'OIL, mentre l'Istituto croato di statistica indica per il 2002 un tasso di disoccupazione del 22,5 %).
(4) European Economy, Occasional Papers, n. 5, gennaio 2004.
(5) Rapporto della Banca mondiale n. 25434 HR.
(6) COM(2003) 139 def. del 26 marzo 2003.
(7) REX/123 - GU C 208 del 3.9.2003, pag. 82.
(8) Rapporto della Banca mondiale, pagg. 87 e segg.
(9) Fonte: Istituto croato di statistica.
(10) Risposte fornite al questionario della Commissione europea.
(11) Support for Improvement in Governance and Management in Central and Eastern European Countries (programma istituito come joint venture tra l'OCSE e l'UE).
(12) Protected Ecological and Fishing Zone (PEFZ).
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/76 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il Tribunale del brevetto comunitario e disciplina i ricorsi in appello dinanzi al Tribunale di primo grado
(COM(2003) 828 def. - 2003/0324 (CNS))
(2004/C 112/21)
Il Consiglio, in data 30 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale in merito alla proposta di cui sopra.
Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso di incaricare la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.
Data l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha designato RETUREAU relatore generale e ha adottato il seguente parere con 53 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.
1. Le proposte di decisione del Consiglio presentate dalla Commissione
1.1 Presentazione della proposta di decisione
1.1.1 |
La Commissione ha presentato due proposte, che recano la stessa data di adozione, la prima volta ad attribuire alla Corte di giustizia la competenza a conoscere delle controversie sul futuro brevetto comunitario, la seconda riguardante invece l'istituzione di un Tribunale del brevetto comunitario (TBC) annesso al Tribunale di primo grado della Corte (TPI) nonché di una sezione d'appello in seno allo stesso TPI. Questa seconda proposta stabilisce anche i campi d'applicazione ratione materiae, ratione personae et ratione loci per le domande presentate al TBC e per i ricorsi promossi dinanzi al TPI in materia di controversie sui brevetti comunitari, nonché l'eventuale coinvolgimento della Corte di giustizia in sede di cassazione, qualora sussista un grave rischio di alterazione dell'uniformità del diritto o della giurisprudenza sui brevetti comunitari. |
1.1.2 |
Nel marzo 2000, il Consiglio europeo ha approvato a Lisbona un programma generale destinato ad accrescere la competitività dell'Unione per farne l'economia della conoscenza più competitiva al mondo. Questo ambizioso programma abbraccia numerosi ambiti, fra cui quello della proprietà industriale, in merito al quale il Consiglio ha rilanciato l'idea di istituire un sistema di brevetti comunitari, allo scopo di ovviare ai limiti degli attuali sistemi di tutela delle invenzioni tecnologiche e così contribuire a sostenere gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo della Comunità europea. |
1.1.3 |
Nell'introduzione alla proposta, la Commissione ricorda il fallimento dei primi tentativi di istituire un brevetto comunitario all'inizio degli anni '70. La convenzione di Monaco del 1973 (Convenzione sul brevetto europeo - CBE), segnò un primo progresso introducendo un sistema di esame e di rilascio di brevetti valido in parecchi dei paesi membri della Convenzione (attualmente tutti i paesi dello Spazio economico europeo, la Confederazione elvetica, il Principato di Monaco, il Liechtenstein nonché diversi paesi candidati all'adesione), senza però modificare i sistemi e gli organi giudiziari nazionali, che mantengono la competenza in materia di validità e di controversie relative sia ai titoli concessi dall'Ufficio europeo dei brevetti (UEB) che a quelli rilasciati dagli uffici nazionali per la proprietà industriale. |
1.1.4 |
Per tentare di superare i limiti della convenzione di Monaco, il 15 dicembre 1975 venne firmata a Lussemburgo una convenzione sul brevetto comunitario destinata a istituire un titolo unico a livello comunitario; questa convenzione, troppo limitata come quella di Monaco, non entrò mai in vigore per l'insufficiente numero di ratifiche, ma a questo tentativo fece seguito nel 1989 un accordo in materia di brevetti comunitari, comprendente, tra l'altro, un protocollo sulle controversie in materia di validità e di contraffazione dei suddetti brevetti, ma neppure questi atti entrarono mai in vigore. |
1.1.5 |
Di conseguenza attualmente sul territorio dell'Unione, dello Spazio economico europeo e di alcuni paesi associati, coesistono due sistemi non comunitari: quello dei brevetti nazionali, rilasciati dagli uffici nazionali sulla proprietà industriale e soggetti alla giurisdizione territoriale del paese di deposito, e quello dei brevetti europei, derivante dalla convenzione di Monaco del 1973, la quale ha stabilito il diritto materiale applicabile e consentito il rilascio di un unico brevetto nei paesi membri della convenzione indicati dal depositante, ma non si è pronunciata sul diritto territoriale applicabile e sugli organi giudiziari nazionali competenti. |
1.1.6 |
Conseguentemente, per una stessa controversia relativa a un brevetto depositato in diversi paesi, i richiedenti sono obbligati ad avviare altrettanti procedimenti, in altrettante lingue ufficiali quante sono gli organi giudiziari nazionali competenti, il che rappresenta un notevole ostacolo all'esercizio dei diritti di proprietà industriale derivanti dal deposito di brevetti in diversi paesi, senza contare che talvolta i ricorsi possono avere un esito giurisprudenziale diverso a seconda del diritto territoriale del paese in questione. |
1.1.7 |
Per fare progredire nuovamente il progetto del brevetto comunitario, vivamente auspicato dagli ambienti economici e necessario per il mercato interno, il 25 giugno 1997 la Commissione ha pubblicato un Libro verde (1) sull'argomento, cui sono seguite consultazioni, studi e proposte pratiche. |
1.1.8 |
Dopo il Consiglio europeo di Lisbona, il 1o agosto 2000 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento del Consiglio sul brevetto comunitario comprendente tutti gli aspetti giuridici e giudiziari di tale titolo unitario che avrebbe validità su tutto il territorio dell'Unione. Il Comitato si è già pronunciato a favore della proposta (2). |
1.1.9 |
Secondo tale proposta, dopo la necessaria adesione della Comunità alla convenzione di Monaco (3), i brevetti verranno esaminati e rilasciati dall'Ufficio europeo dei brevetti sulla base dello stesso diritto materiale dei brevetti europei, i quali resteranno in vigore accanto al nuovo brevetto comunitario una volta che questo sarà stato effettivamente istituito. |
1.1.10 |
Il regolamento sul brevetto comunitario presentato dalla Commissione nel 2000 (4) solleva numerosi problemi di tipo giuridico, finanziario e linguistico ed è pertanto stato oggetto di lunghe discussioni al Consiglio, che hanno portato all'adozione del testo riveduto del 4 settembre 2003. La territorialità del diritto alla proprietà industriale sarà rimessa parzialmente in discussione per il brevetto comunitario (talune competenze nazionali verrebbero tuttavia mantenute a titolo provvisorio o definitivo, a seconda dei casi). |
1.1.11 |
In attesa della decisione definitiva sul regolamento da parte del Consiglio, che è l'unico ad avere competenza in materia secondo le basi giuridiche delle proposte in esame, la Commissione si è basata sugli aspetti giurisdizionali dell'approccio politico comune (APC) del Consiglio (esaminato ai Consigli Competitività del 3 marzo 2003 e Occupazione, politica sociale, salute e consumatori del successivo 6 marzo) (5), per presentare le due proposte riguardanti rispettivamente l'attribuzione delle competenze alla Corte di giustizia e la conseguente formazione di sezioni specializzate, la loro costituzione, il loro statuto e le loro competenze, le domande e i ricorsi presentati dinanzi a loro, nonché la modifica degli statuti della Corte e del TPI, resa necessaria dalla creazione di queste nuove sezioni e competenze. |
1.1.12 |
L'obiettivo è quello di impedire una frammentazione territoriale e materiale del contenzioso sulla validità del brevetto comunitario, dei conseguenti diritti di proprietà industriale e degli eventuali certificati complementari di protezione del suddetto brevetto, creando così una giurisdizione comunitaria unica che dovrà essere accessibile alle persone fisiche e giuridiche ed operativa entro il 2010. |
1.2 Proposta di decisione che istituisce il TBC e disciplina i ricorsi in appello dinanzi al Tribunale di primo grado
1.2.1 |
La base giuridica della proposta di decisione che istituisce il TBC e relativa agli appelli (o per meglio dire, ai ricorsi in appello) dinanzi al TPI è costituita, a titolo principale, dagli articoli 220, 225, 225 A e 245 del TCE; sono pertinenti anche altri articoli del TCE (6) nonché il protocollo sullo statuto della Corte di giustizia (7). Gli statuti della Corte e del TPI saranno modificati, nella misura dello stretto necessario, secondo il disposto della decisione definitiva del Consiglio, previa consultazione della Corte e delle istanze politiche comunitarie, su proposta della stessa Corte oppure della Commissione. |
1.2.2 |
La Commissione propone l'istituzione, entro il 2010 e presso la sede del Tribunale di prima istanza (TPI), di un Tribunale del brevetto comunitario (TBC) composto di sette giudici, fra cui un Presidente del Tribunale eletto dai suoi pari per tre anni rinnovabili. Formato da due sezioni di tre giudici ciascuna, il TBC sarà annesso al TPI e conoscerà delle controversie in materia di contraffazione e validità dei brevetti comunitari, conformemente alle competenze attribuite alla Corte di giustizia. Inoltre, a livello di TPI sarà istituita una sezione specializzata composta da tre giudici con funzione di istanza di appello per le decisioni del TBC. Qualora emerga l'esigenza di uniformare il diritto comunitario e la giurisprudenza, la Corte di giustizia potrà intervenire come istanza di revisione, entro i limiti stabiliti. I giudici saranno nominati per sei anni rinnovabili; ogni tre anni si procederà alla sostituzione alternativamente di tre e quattro giudici, allo scopo di garantire un rinnovo periodico e al contempo una certa continuità al tribunale. |
1.2.2.1 |
Quanto alle controversie private, la giurisdizione dei brevetti non riguarda in linea di principio la validità degli atti comunitari; ciò nondimeno, i privati dovranno poter contestare se del caso talune disposizioni sulla validità dei brevetti, soltanto però entro i limiti del loro ricorso, senza poter chiedere l'annullamento di un atto comunitario. |
1.2.2.2 |
Le decisioni del Tribunale del brevetto comunitario saranno opponibili anche agli Stati membri, i quali vanno considerati alla stregua dei privati quando sono titolari di un brevetto o in caso di contraffazione. |
1.2.3 |
Per il TBC, le norme relative alla nomina dei giudici, all'elezione del Presidente, ai ricorsi in appello dinanzi al TPI e le altre norme specifiche relative al Tribunale, come quelle sulla composizione, la giurisdizione e le disposizioni procedurali specifiche delle camere, che siano diverse o comportino un adeguamento dello Statuto della Corte di giustizia e del TPI, dovranno essere inserite nella misura del possibile nell'allegato allo Statuto della Corte relativo alle camere giurisdizionali. |
1.2.4 |
I giudici, scelti a partire da un elenco stabilito da un comitato consultivo e contenente un numero di nominativi pari al doppio dei posti da ricoprire, saranno nominati all'unanimità dal Consiglio e dovranno dimostrare di possedere un determinato livello di competenze ed esperienza in materia di diritto brevettuale. Il comitato consultivo designato dal Consiglio sarà composto da sette membri, essenzialmente ex giudici della Corte, del TPI oppure del TBC ed eventualmente da «eminenti giuristi», tutte personalità di elevata competenza e imparzialità. |
1.2.5 |
I giudici saranno affiancati da esperti tecnici per tutta la durata della trattazione di una causa; questi ultimi saranno selezionati nei principali settori scientifici e tecnologici cui appartengono le domande di brevetto; non è previsto nessun avvocato generale. |
1.2.6 |
La lingua procedurale sarà quella del domicilio del convenuto oppure una lingua ufficiale di sua scelta, qualora nel suo paese esista più di una lingua ufficiale comunitaria. Le parti potranno tuttavia, sempre con il consenso del tribunale, scegliere una delle lingue ufficiali come lingua procedurale; in caso di appello, la lingua del «ricorso» e della procedura di secondo grado resterà quella utilizzata in prima istanza. Alle udienze le parti presenti e i testimoni potranno esprimersi in una lingua ufficiale diversa da quella del procedimento; in tal caso dovrà essere garantita la traduzione scritta e l'interpretazione verso la lingua del procedimento. |
1.2.7 |
La parte soccombente potrà presentare ricorso (in appello) dinanzi alla sezione specializzata del TPI contro una decisione del TBC conclusiva dell'istanza di primo grado. |
1.2.8 |
L'eventuale revisione di una sentenza definitiva da parte della Corte di giustizia è soggetta a condizioni molto rigide e limitative per motivi di certezza giuridica; l'eventuale richiesta di revisione potrà essere accolta soltanto se giustificata da fatti nuovi di importanza fondamentale o da azioni di rilevanza penale che abbiano avuto un peso determinante su una sentenza che abbia acquisito forza di giudicato (res judicata). |
1.2.9 |
Le principali norme in deroga alle attuali regole della Corte di giustizia e del TPI dipendono ovviamente dalla natura delle controversie nonché dalle caratteristiche dei soggetti di diritto e sono volte anche a evitare i blocchi procedurali e a rafforzare la certezza giuridica delle sentenze. Nella misura del possibile, esse dovrebbero essere raccolte nel futuro regolamento del Tribunale e incidere il meno possibile sullo Statuto della Corte, che è parte integrante dei trattati. Le principali disposizioni specifiche previste per la giurisdizione dei brevetti sono le seguenti:
|
1.2.10 |
Ogni Stato membro designerà un numero limitato di giurisdizioni nazionali competenti a conoscere delle controversie sul brevetto comunitario insorte nel corso del periodo transitorio. Ai fini dell'esecuzione in un altro Stato membro, le decisioni di queste giurisdizioni sono soggette alle norme della Convenzione sulla competenza giudiziaria e sull'esecuzione delle decisioni, fatte salve le disposizioni speciali da inserire nel futuro regolamento (9). |
1.2.11 |
La proposta di decisione contiene numerose altre disposizioni relative al funzionamento del tribunale, al cancelliere e al personale; trattandosi di norme logiche e coerenti, corrispondenti alle normali attività e responsabilità di una giurisdizione di questo tipo, non sembra utile passarle singolarmente in rassegna in sede di presentazione della proposta. |
2. Osservazioni del Comitato
2.1 |
Il Comitato rileva che la proposta è conforme al trattato e al protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia e, in linea di principio, la sostiene con riserva delle osservazioni che seguono. |
2.1.1 |
Diversamente dalle controversie su cui si pronuncia abitualmente la Corte, si tratterà di cause fra privati relative a un ambito che richiede conoscenze giuridiche e tecniche specialistiche; con l'istituzione del TBC, annesso al TPI e composto da due camere di tre giudici di primo grado e da un presidente, nonché di una sezione d'appello specializzata composta da tre giudici e integrata al TPI, sono rispettate le regole generali di funzionamento degli organi giudiziari. Il Comitato approva altresì la nomina di esperti qualificati in brevetti, invece che di commissari o avvocati generali, per assistere la Corte; questo rafforzerà, agli occhi del Comitato, l'autorità delle sentenze e il loro valore. |
2.1.2 |
L'istituzione di un TBC annesso al TPI e di una sezione specializzata d'appello in seno al TPI della Corte di giustizia per trattare le controversie in materia di brevetti comunitari è necessaria e proporzionale, trattandosi di un titolo comunitario e unitario di proprietà industriale, quello del futuro brevetto comunitario. Il vantaggio di avere camere riservate all'esame delle controversie sul brevetto comunitario sia in prima che in seconda istanza risiederà nella possibilità, per i soggetti in diritto, di risolvere le controversie in modo più rapido e più efficace, distinguendo questo contenzioso da quello generale affrontato dal TPI. Il TPI interverrà come istanza d'appello e, in certi casi limitati, la Corte di giustizia potrà intervenire come istanza di revisione. |
2.1.3 |
Ciò offrirà tutte le garanzie procedurali per i titolari di brevetti tecnologici e titoli complementari di proprietà industriale. La procedura eviterà i rinvii del TPI al TBC e saranno ammesse le transazioni fra le parti dinanzi al Tribunale, il che consentirà di accelerare la soluzione delle controversie. Le questioni diverse dalla contraffazione e dalla validità del titolo rimarranno di competenza degli organi giudiziari nazionali conformemente al principio di sussidiarietà. |
2.1.4 |
Il Comitato ritiene che il rispetto dei diritti dei soggetti di diritto giustifichi la possibilità, riconosciuta ai privati, di contestare indirettamente taluni atti comunitari relativi alla loro controversia privata (tecnica dell'eccezione di illegittimità) per quanto concerne la validità di un brevetto, senza tuttavia attribuire al TBC la facoltà di annullare gli atti comunitari contestati. Il Comitato ritiene peraltro che sarebbe opportuno trarre le conseguenze, nel senso per esempio che la Commissione potrebbe adire obbligatoriamente la Corte di giustizia ogni qualvolta il TBC accolga un'eccezione di illegittimità. |
2.1.5 |
Per il periodo transitorio, occorre sottolineare che gli organi giudiziari nazionali designati dagli Stati membri in numero limitato per ogni paese rischiano di produrre giurisprudenze e decisioni divergenti, specie nell'interpretazione degli articoli 52-57 della CBE. Bisognerebbe prevedere la possibilità per la Corte di intervenire in sede ulteriore, qualora necessario e una volta stabilita la sua competenza, come istanza di revisione entro le condizioni limitative previste per questo tipo di procedura. |
2.1.6 |
Il Comitato si augura che il futuro TBC dia dal canto suo un'interpretazione calibrata, e conforme ai principi generali dell'interpretazione giuridica, delle condizioni di brevettabilità nelle azioni relative alla validità del titolo, specie per quanto attiene al rispetto delle esclusioni chiaramente sancite dagli articoli 52 e seguenti della CBE; inoltre il Comitato si chiede se il diritto comunitario e quello della CBE avranno un'evoluzione parallela o divergente, e nella fattispecie quale sarà l'autonomia del diritto comunitario rispetto alle eventuali future modifiche delle disposizioni sui criteri di brevettabilità della CBE e auspica che la Commissione avanzi rapidamente proposte relative all'esame e al rilascio del brevetto comunitario che garantiscano il primato del diritto comunitario della proprietà industriale rispetto a possibili future modifiche della CBE riguardanti le condizioni di rilascio e di validità del brevetto europeo da parte dell'UEB. |
2.1.7 |
Il Comitato approva le norme che consentono una rapida composizione delle controversie, come per esempio la possibilità di transazione davanti al giudice. |
2.1.8 |
Il Comitato ritiene che le proposte presentate dalla Commissione in materia di competenza e organizzazione specifica della Corte per le controversie in materia di brevetto comunitario siano ponderate e ben strutturate, equilibrate e tali da consentire un'efficace composizione delle controversie. |
2.1.9 |
A maggior ragione il Comitato lamenta che, l'11 marzo scorso, il Consiglio non sia riuscito a progredire sul regolamento del brevetto comunitario; il Comitato tiene a ricordare l'importanza della creazione del brevetto comunitario entro tempi brevi, al fine di contribuire all'innovazione e alla competitività delle imprese europee, e non può tollerare ritardi a motivo di considerazioni linguistiche o altre, che non siano di natura fondamentale, ma il cui costo potrebbe dimostrarsi eccessivo e annullare il vantaggio di un titolo comunitario. Tutti gli Stati membri sono parti contraenti della CBE, che prevede soltanto tre lingue di deposito; non vi è motivo di adottare disposizioni più vincolanti e più costose per un titolo comunitario. |
2.1.10 |
Per il bene dell'innovazione e della creazione di posti di lavoro qualificati in Europa, il Comitato spera vivamente che il Consiglio decida in tempi brevi a favore di un titolo dal costo contenuto, senza oneri procedurali aggiuntivi né soverchi obblighi che ne annullino l'interesse e l'efficacia. |
Osservazioni specifiche
2.2 |
Il TPI ha già competenza a conoscere delle controversie in materia di proprietà industriale per quanto attiene ai marchi, i disegni e i modelli, la cui gestione è compito dell'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno. Forse sarebbe stato ipotizzabile istituire un Tribunale per la proprietà industriale annesso al TPI, al quale attribuire la competenza su tutti i titoli comunitari di proprietà industriale esistenti e futuri, nonché una sezione specializzata d'appello su questi titoli in seno al TPI, al fine di accentrare il contenzioso in materia di proprietà industriale comunitaria. Si potrà comunque esaminare questo aspetto in un futuro più lontano, dopo il 2013, quando sarà stata acquisita un'esperienza pratica sufficiente per quanto attiene alla giurisdizione dei brevetti. La possibilità di una competenza più ampia esiste già a livello della camera giurisdizionale del TPI competente per i ricorsi in appello, che il Comitato approva pienamente. |
2.3 |
L'APC prevedeva che, oltre alle elevate qualifiche nel settore dei brevetti, i giudici nominati dovessero anche dimostrare ampie conoscenze linguistiche (dato che non è previsto un giudice per ogni paese). Il Comitato deplora che questa disposizione dell'APC non sia stata ripresa dalla Commissione, in quanto i soggetti di diritto, richiedenti o convenuti, dovrebbero non soltanto poter essere ascoltati, ma anche, nella misura del possibile, avere la possibilità di essere capiti in una delle lingue comunitarie da almeno uno dei giudici che statuiscono sulla causa, anche se per ogni udienza dovrà comunque essere previsto un servizio di interpretazione qualificato. A parità di competenze, si dovrebbero preferire i giudici che padroneggiano diverse lingue comunitarie. |
2.4 |
Se, da un lato, le questioni relative alla proprietà del titolo restano di competenza nazionale, dall'altro occorre invece rilevare che nei vari paesi esistono soluzioni diverse alla questione dei diritti degli inventori dipendenti oppure working for hire; varrebbe la pena di perseguire un'uniformazione più spinta del diritto applicabile al brevetto comunitario per quanto attiene ai diritti di talune categorie di inventori rispetto al detentore del titolo, per scrupolo di equità e per evitare patti leonini sulla proprietà del titolo e sulla quota oppure sull'indennità spettante agli inventori (in generale, i brevetti vengono depositati da un'impresa che ne detiene la proprietà, molto più raramente dal reale inventore, che può talvolta, per contratto oppure in base alla legislazione nazionale beneficiare di diritti economici sullo sfruttamento della propria invenzione, ma che spesso non ha invece alcun diritto). |
2.5 |
Il Comitato nota con interesse la dichiarazione della Commissione in base alla quale i costi per l'esame, il rilascio e il mantenimento del brevetto comunitario sarebbero del 50 % inferiori a quelli del brevetto europeo; ciò nondimeno, per non creare forti distorsioni a livello del costo reale di ottenimento e per garantire una prestazione qualificata ai depositanti, si dovrebbe approvare in tempo utile una regolamentazione sull'intermediazione in materia di brevetto comunitario (consiglieri, mandatari in brevetti). L'elenco degli intermediari accreditati dall'UEB può servire da riferimento, e si potrebbe prevedere un tariffario indicativo od obbligatorio per le varie prestazioni di servizio. Analogamente, si dovrebbero prendere in considerazione il ruolo e la remunerazione degli uffici nazionali dei brevetti oppure della proprietà industriale, nonché la possibilità di accreditare traduttori tecnici specializzati in brevetti, sempre in un'ottica di qualità e di costo ragionevole dei servizi. |
2.6 |
L'esame della scheda finanziaria indica che, se le parti saranno tenute a farsi carico delle spese procedurali, sarà bene che il Consiglio, il quale delibera sul tariffario a maggioranza qualificata, tenga conto dell'esigenza di garantire un accesso equo alla giustizia e non stabilisca importi che potrebbero rivelarsi dissuasivi per i privati oppure per le PMI; il Comitato ritiene che il costo dei servizi resi ai privati non potrà comunque essere dato soltanto da queste spese procedurali, considerato il progetto di bilancio del TBC e l'adozione del principio del contenimento dei costi per l'ottenimento, il mantenimento e la protezione della proprietà industriale attraverso il brevetto comunitario rispetto a quelli necessari per il brevetto europeo e i brevetti nazionali dei paesi terzi più sviluppati. Il Comitato auspica quindi che le spese procedurali in prima istanza e in appello restino contenute, al fine di mantenere il vantaggio strategico del brevetto comunitario nella competitività delle imprese comunitarie, soprattutto le PMI. |
Bruxelles, 31 marzo 2004
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Cfr. parere CESE GU C 129 del 27.4.1998.
(3) Ciò implica una revisione della convenzione di Monaco in base al metodo diplomatico che coinvolgerà tutti gli Stati, siano essi membri o meno della Comunità.
(4) Cfr. il parere del CESE sulla proposta di regolamento del Consiglio sul brevetto comunitario adottato il 29 marzo 2001 e pubblicato nella GU 155 del 29.5.2001.
(5) Nota del Segretariato del Consiglio alle delegazioni, dossier interistituzionale 2000/0177(CNS), n. 7159/03 del 7 marzo 2003.
(6) Articoli 241, 243, 244, 256 del TCE, articolo 14 dell'allegato II dello statuto; per l'articolo 256, , al fine di evitare ritardi e perdite di tempo, il Tribunale applicherà direttamente la formula esecutiva alla propria decisione.
(7) GU C 325/167 del 24.12.2002. Lo statuto della Corte può essere modificato dal Consiglio che delibera in merito all'unanimità (art. 245 del TCE) su richiesta della Corte o della Commissione. A seconda dell'origine della domanda, si procede alla consultazione della Commissione o della Corte, nonché del Parlamento. La modifica non può tuttavia riguardare il titolo I dello statuto della Corte.
(8) Parere del CESE 1385/003 del 29 ottobre 2003, relatore Retureau.
(9) Fra gli strumenti legislativi già adottati in materia civile e commerciale con l'approvazione del Comitato, si segnala fra l'altro il regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che pare applicabile nella fattispecie.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/81 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che attribuisce alla Corte di giustizia la competenza a conoscere delle controversie in materia di brevetto comunitario
COM(2003) 827 def. - 2003/0326 (CNS)
(2004/C 112/22)
Il Consiglio, in data 30 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso di incaricare la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori del Comitato in materia.
Data l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha designato relatore generale RETUREAU e ha adottato il seguente parere con 56 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.
1. La proposta di decisione del Consiglio presentata dalla Commissione
1.1 |
La proposta è volta ad attribuire alla Corte di giustizia la competenza a conoscere delle controversie sul futuro brevetto comunitario. |
1.2 |
Nel marzo 2000, il Consiglio europeo ha approvato a Lisbona un programma generale destinato ad accrescere la competitività dell'Unione per farne l'economia della conoscenza più competitiva al mondo. Questo ambizioso programma abbraccia numerosi ambiti, fra cui quello della proprietà industriale, in merito al quale il Consiglio ha rilanciato l'idea di istituire un sistema di brevetti comunitari, allo scopo di ovviare ai limiti degli attuali sistemi di tutela delle invenzioni tecnologiche e così contribuire a sostenere gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo della Comunità europea. |
1.3 |
In attesa della decisione definitiva sul regolamento da parte del Consiglio, che è l'unico ad avere competenza in materia secondo le basi giuridiche delle proposte in esame, la Commissione si è basata sugli aspetti giurisdizionali dell'approccio politico comune (APC) del Consiglio (esaminato ai Consigli Competitività del 3 marzo 2003 e Occupazione, politica sociale, salute e consumatori del successivo 6 marzo) (1) per presentare questa prima proposta riguardante l'attribuzione delle competenze alla Corte di giustizia. |
1.4 |
L'obiettivo è quello di impedire una frammentazione territoriale e materiale del contenzioso sulla validità del brevetto comunitario, dei conseguenti diritti di proprietà industriale e degli eventuali certificati complementari di tutela del suddetto brevetto, creando così una giurisdizione comunitaria unica che dovrà essere accessibile alle persone fisiche e giuridiche ed operativa entro il 2010. |
1.5 |
La base giuridica della proposta di attribuzione alla Corte di giustizia della competenza a conoscere delle controversie in materia di brevetto comunitario (2) è l'articolo 229 A del TCE introdotto con il Trattato di Nizza. Il TCE stipula che, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento, il Consiglio può attribuire alla Corte la competenza, entro limiti da esso stabiliti, a conoscere delle controversie in materia di titoli comunitari di proprietà intellettuale. Il Consiglio raccomanda l'adozione di tali disposizioni da parte degli Stati membri, i quali procedono in seguito alla loro ratifica in base alle rispettive disposizioni costituzionali. |
1.6 |
Secondo un'interpretazione rigorosa, la competenza della Corte riguarderà le controversie relative alla contraffazione e alla validità dei brevetti comunitari e dei titoli complementari. Le azioni ricevibili sono specificate nella proposta riveduta di regolamento del Consiglio sul brevetto comunitario (3): per la contraffazione, si tratterà delle azioni per impedire la stessa nonché delle azioni di accertamento negativo della contraffazione, oltre alle sanzioni della contraffazione; per la validità, si tratterà invece delle azioni di nullità e delle azioni riconvenzionali di nullità. La Corte avrà competenza altresì in materia di provvedimenti d'urgenza e di sanzioni pecuniarie eventualmente necessarie nelle controversie che sarà tenuta a conoscere. |
1.7 |
Sono previste alcune misure transitorie per i brevetti comunitari che avrebbero eventualmente effetto prima della creazione del Tribunale del brevetto comunitario (TBC) nel 2010; gli organi giudiziari designati dagli Stati membri avrebbero quindi competenza ad applicare il diritto materiale della convenzione di Monaco e il diritto comunitario pertinente alle controversie insorte prima dell'istituzione del TBC, e dovrebbero portare comunque a conclusione i procedimenti già avviati. |
2. Osservazioni generali
2.1 |
Il Comitato rileva che la proposta di decisione è conforme al Trattato CE e al protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia e, in linea di principio, la sostiene con riserva delle osservazioni che seguono. |
2.2 |
Il Comitato condivide la tesi secondo cui una giurisdizione unica dotata di competenza esclusiva e in grado di applicare regole uniformi e una giurisprudenza uniforme sono necessarie per una corretta applicazione del diritto del brevetto comunitario alle eventuali controversie che insorgessero sul territorio della Comunità. Tale soluzione dà ai soggetti in diritto le garanzie di certezza e stabilità giuridica che hanno diritto di aspettarsi. È rispettato anche il diritto di esprimersi nella propria lingua in sede di udienza. |
2.3 |
Il Comitato ritiene che il rispetto dei diritti delle parti giustifichi la possibilità, riconosciuta ai privati, di contestare indirettamente taluni atti comunitari relativi alla loro controversia privata (tecnica dell'eccezione d'illegittimità) per quanto concerne la validità di un brevetto, senza tuttavia attribuire al Tribunale del brevetto comunitario la facoltà di annullare gli atti comunitari contestati. Il Comitato ritiene peraltro che sarebbe opportuno trarre le conseguenze, nel senso per esempio che la Commissione potrebbe adire obbligatoriamente la Corte di giustizia ogni qualvolta il TBC accolga un'eccezione di illegittimità. |
2.4 |
Per il periodo transitorio, occorre sottolineare che gli organi giudiziari nazionali designati dagli Stati membri in numero limitato per ogni paese, rischiano di produrre giurisprudenze e decisioni divergenti, specie nell'interpretazione degli articoli 52-57 della Convenzione sul brevetto europeo (CBE). Bisognerebbe forse prevedere la possibilità per la Corte di intervenire in sede ulteriore, una volta stabilita la sua competenza, come istanza di revisione ed entro i limiti stabiliti per questa procedura; al fine di unificare, laddove necessario, la giurisprudenza prodotta dai giudici nazionali incaricati di statuire sulle controversie relative al brevetto comunitario, in quanto non sarebbe equo ammettere soluzioni divergenti in casi analoghi; ciò potrebbe riguardare in particolare le condizioni di validità del titolo rilasciato dall'UEB; è infatti nota la giurisprudenza talvolta contestabile delle divisioni dell'Ufficio competenti per l'opposizione e per i ricorsi sui requisiti di brevettabilità (4), giurisprudenza che non è sempre seguita dai tribunali nazionali. |
2.5 |
A livello di brevetto comunitario non esiste ancora il certificato protettivo complementare (farmaci e prodotti fitofarmaceutici), che sarà oggetto di un'ulteriore proposta della Commissione; il Comitato considera rischioso iscrivere fra le competenze della Corte le controversie su un titolo ancora allo stato di progetto e del quale non sono ancora certe l'esistenza e la natura. Si potrebbe prevedere una formulazione diversa e più ampia (brevetti comunitari e titoli equivalenti di proprietà industriale) per definire le competenze della Corte (per esempio «brevetti comunitari e altri titoli o certificati comunitari di proprietà industriale»), in modo da non pregiudicare sviluppi futuri. L'estensione delle tutele oppure la loro futura modulazione nei diversi ambiti delle invenzioni brevettabili sarà infatti probabilmente al centro di un dibattito contrastato, ed è delicato ipotecare fin d'ora eventuali soluzioni e la natura dei titoli che potrebbero essere oggetto di decisioni future del legislatore comunitario. |
2.6 |
Il Comitato approva l'attribuzione alla Corte delle competenze ad adottare eventuali provvedimenti provvisori (obblighi di fare o di non fare, tutela delle prove, cessazione immediata della contraffazione) e sanzioni, comprese le sanzioni pecuniarie, senza le quali il regolamento sulle controversie sarebbe privo di efficacia. Per ragioni di ordine pratico, l'attuazione delle decisioni esecutive finali o provvisorie del TBC dovrà essere affidata alle autorità nazionali competenti dotate di poteri di coercizione in base alle rispettive legislazioni. Per i casi non coperti dalle competenze attribuite alla Corte, restano competenti gli organi giudiziari nazionali; in particolare può trattarsi di contratti relativi ai brevetti comunitari oppure di controversie riguardanti la proprietà di un brevetto. Il Comitato approva anche queste soluzioni, ma formula alcune osservazioni specifiche in merito. |
2.7 |
Il Comitato considera infine logici e necessari i requisiti di entrata in vigore della decisione in esame, la quale richiede, da un lato, la modifica delle regole nazionali sulle competenze e l'organizzazione giudiziaria, che gli Stati membri dovranno previamente notificare alla Commissione e, dall'altro, l'effettiva e simultanea istituzione del TBC prevista dalla proposta di decisione del Consiglio esaminata in un altro parere. |
3. Osservazioni specifiche
3.1 |
Il TPI ha già competenza a conoscere delle controversie in materia di proprietà industriale per quanto attiene ai marchi, i disegni e i modelli, la cui gestione è compito dell'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno. Forse sarebbe stato ipotizzabile istituire un Tribunale per la proprietà industriale annesso al TPI, al quale attribuire la competenza su tutti i titoli comunitari di proprietà industriale esistenti e futuri, nonché una sezione specializzata d'appello su questi titoli in seno al TPI, al fine di accentrare il contenzioso in materia di proprietà industriale comunitaria. Si potrà comunque esaminare questo aspetto in un futuro più lontano, dopo il 2013, quando sarà stata acquisita un'esperienza pratica sufficiente per quanto attiene alla giurisdizione dei brevetti. La possibilità di una competenza più ampia esiste già a livello della camera giurisdizionale del TPI competente per i ricorsi in appello, che il Comitato approva pienamente. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Nota del Segretariato del Consiglio alle delegazioni, dossier interistituzionale 2000/0177(CNS), n. 7159/03 del 7 marzo 2003.
(2) COM(2003) 827 def. del 23 dicembre 2003.
(3) Nota della Presidenza al gruppo «Proprietà intellettuale» (Brevetti), testo (riveduto) della proposta n. 10404/03 PI 53 dell'11 giugno 2003, in seguito riveduta dal gruppo Brevetti il 4 settembre 2003, documento n. 12219/03.
(4) Per esempio, concessione di un brevetto per un animale geneticamente modificato (come il topo transgenico), mentre le razze e le specie animali non sono brevettabili.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/83 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Realtà e opportunità per tecnologie ambientali appropriate nei paesi in via di adesione
(2004/C 112/23)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 luglio 2003, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Realtà e opportunità per tecnologie ambientali appropriate nei paesi in via di adesione.
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 80 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.
1. Situazione attuale – Osservazioni generali sulle tecnologie ambientali
1.1 |
Numerosi studi e rapporti di enti pubblici rivelano che, sebbene si stia facendo già molto per assicurare, ad esempio, acqua e aria più pulite, è chiaro che sia negli attuali Stati membri sia nei paesi in via di adesione occorrerà continuare a impegnarsi a fondo per conservare gli elementi naturali fondamentali per la vita dell'uomo e il patrimonio naturale europeo, applicare la legislazione ambientale in vigore e realizzare lo sviluppo sostenibile in Europa. |
1.2 |
È noto che le tecnologie ambientali svolgono un ruolo importante per risolvere determinati problemi relativi all'ambiente. La Commissione, consapevole di ciò, ha messo a punto un «Piano d'azione per le tecnologie ambientali nell'Unione europea» (1), che è attualmente all'esame delle istituzioni interessate e della società civile organizzata. Il CESE ha accolto con favore l'iniziativa perché in questi ultimi anni e in questi ultimi decenni le tecnologie ambientali (basti pensare agli impianti di depurazione e filtrazione) hanno consentito notevoli progressi in materia di protezione dell'ambiente. Ciò vale sia, ad esempio, per impianti fissi, installazioni industriali o centrali elettriche, sia per impianti tecnici mobili. |
1.3 |
La fissazione di soglie sempre più rigorose per i gas di scarico degli autoveicoli testimonia il costante perfezionamento tecnico di una tecnologia a protezione dell'ambiente. Questo esempio mostra tuttavia anche che
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1.4 |
Le tecnologie ambientali sono quindi diventate un fattore importante della politica in materia di ambiente. Tuttavia, nei casi in cui le soluzioni tecniche non possono offrire, da sole, risultati sufficienti, si rendono necessarie modifiche strutturali. Nel presente parere il Comitato si limita tuttavia ad esaminare, sotto vari aspetti, il settore delle tecnologie ambientali. |
1.5 |
Le tecnologie ambientali non hanno però esclusivamente implicazioni sul fronte della politica ambientale, dato che nel frattempo la scienza e l'industria connesse sono diventate un fattore economico non trascurabile e un importante datore di lavoro, con un fatturato annuo europeo che supera i 183 miliardi di euro (2). Per questo motivo il Comitato ha già accolto con favore la comunicazione della Commissione europea «Verso un piano d'azione per le tecnologie ambientali» (3). |
1.6 |
In ogni caso, l'esperienza passata indica che – analogamente a quanto avviene in numerosi altri settori economici – nel contesto delle tecnologie ambientali non sono disponibili fondi sufficienti per realizzare nei termini auspicati tutti i progetti individuati e riconosciuti come necessari. Risulta quindi impossibile attuare numerose misure di politica ambientale giudicate indispensabili. |
La situazione nei paesi in via di adesione
1.7 |
Nel quadro del presente parere il Comitato non intende esprimere una presa di posizione generale sulla situazione e gli sviluppi che interessano l'ambiente e sulla protezione ambientale nei paesi in via di adesione: la situazione è infatti troppo complessa per poter presentare un quadro senza luci e ombre circa gli sviluppi sul fronte dell'ambiente. Manifestamente, in questi ultimi anni è stato possibile attenuare in maniera netta una parte dei numerosi inconvenienti ambientali direttamente avvertibili (a livello locale). D'altro canto, però, sono emersi nuovi effetti nocivi per l'ambiente percettibili in maniera meno immediata (4). È comunque innegabile che nel frattempo, grazie alla chiusura di industrie particolarmente aggressive per l'ambiente e al ricorso a tecnologie di protezione dell'ambiente, è stato possibile ridurre numerosi rischi diretti per la salute imputabili a inconvenienti ambientali. |
1.8 |
Moltissimo rimane però ancora da fare per soddisfare i requisiti ambientali prescritti dalla legislazione europea. Per applicare l'acquis nei PECO (5) occorrono investimenti per infrastrutture dell'ordine di 80-110 miliardi di euro. Le disponibilità finanziarie sono però scarse anche nei paesi in via di adesione: in effetti, gli investimenti pubblici in campo ambientale devono fare i conti con altre spese che incombono allo Stato per la politica sociale, l'istruzione, le infrastrutture, ecc. E anche il mondo dell'industria e i privati cittadini seguono il principio di evitare per quanto possibile il rischio di investimenti sbagliati. Sarà dunque importante utilizzare con la massima efficienza i fondi disponibili e ricercare soluzioni che assicurino una resa ottimale in rapporto ai costi. |
1.9 |
Il presente parere si propone quindi di esaminare le tecnologie ambientali nei PECO. Gran parte degli esempi qui presentati riguardano la Polonia. Trattandosi del paese più grande fra quelli in via di adesione, essa assorbirà infatti una quota rilevante dei futuri aiuti dell'UE. È anche il paese che presenta le maggiori disparità fra aree rurali e urbane, peculiarità che, come il presente parere dimostrerà, riveste una notevole importanza in materia di tecnologie ambientali. Inoltre, più di ogni altro paese in via di adesione, la Polonia è alla vigilia di altri mutamenti radicali nel settore industriale. Infine, si è scelta la Polonia perché il CESE ha maturato una lunga esperienza di collaborazione con questo paese in materia di tutela ambientale. |
1.10 |
Le prese di posizione e le richieste formulate nel presente parere sono tuttavia applicabili a tutti i paesi candidati all'adesione, e valgono anche per numerosi attuali Stati membri. |
Finanziamenti per la protezione dell'ambiente nei paesi in via di adesione
1.11 |
Già da qualche anno, ossia ben prima dell'adesione, l'Unione europea si è impegnata a offrire sovvenzioni per gli investimenti in campo ambientale. Ciò costituisce una differenza importante, e positiva, rispetto ai precedenti allargamenti dell'UE. Con i suoi aiuti finanziari la Commissione sottolinea la crescente importanza della tutela ambientale. Sinora erano disponibili i programmi Phare e ISPA, e in parte anche Sapard, ma va sottolineato che la Commissione ha ripetutamente constatato delle difficoltà nell'utilizzo dei fondi. |
1.12 |
Fra il 1995 e il 2000, grazie ai programmi Phare e ISPA, sono stati stanziati rispettivamente 398,2 milioni di euro e 460,2 milioni di euro a favore del settore dell'ambiente, per lo più destinati a progetti che interessano l'acqua (circa l'82,3 % degli importi complessivi), seguiti da progetti riguardanti i rifiuti (15,7 %) e la lotta all'inquinamento atmosferico (2 %) (6). Durante questo periodo di 6 anni la Polonia ha ricevuto complessivamente 233,4 milioni di euro (dunque in media circa 40 milioni di euro all'anno). |
1.13 |
In proposito va tuttavia tenuto presente che il programma ISPA è operativo solo dal 2000. Da allora ha erogato ai PECO circa 500 milioni di euro all'anno per investimenti in materia ambientale, di cui la Polonia ottiene una percentuale che oscilla fra il 30 e il 37 % circa. |
1.14 |
Per quanto in passato i finanziamenti dell'UE avessero indubbiamente costituito un aiuto finanziario prezioso per i paesi in via di adesione, si deve tuttavia constatare che sono stati gli stessi paesi interessati a reperire la maggior parte dei fondi occorrenti, e che ciò continuerà ad essere necessario anche per l'avvenire. Da quanto ha potuto constatare la Corte dei conti europea, i fondi dei programmi Phare e ISPA possono coprire solo una quota modesta del fabbisogno di finanziamento dei paesi in via di adesione: l'1,1 % del fabbisogno complessivo riguardante l'acqua, lo 0,75 % per i rifiuti e solo lo 0,03 % (7) per la qualità dell'aria. |
1.15 |
Fino al 2000 l'importo complessivo degli aiuti esteri per il finanziamento delle iniziative ambientali in Polonia era per lo più limitato al 5 % circa di tutti gli investimenti in materia di ambiente. Anche i contributi dell'Unione europea costituivano solo una parte del totale. |
1.16 |
Sotto questo profilo la situazione cambierà tuttavia decisamente dopo l'adesione. Stando al ministero polacco dell'Ambiente, dei 7,3 miliardi di euro che la Polonia percepirà nel periodo 2004-2006 a titolo dei fondi strutturali, 545 milioni saranno destinati a misure per l'ambiente. Al programma ISPA si sostituirà il fondo di coesione, che nel periodo 2004-2006 stanzierà poco meno di 7,6 miliardi di euro. Di questi la Polonia riceverà una percentuale variabile fra il 45 e il 52 %, pari ad un importo compreso fra 3,4 e poco meno di 4 miliardi di euro. Dato che, com'è noto, il fondo di coesione è ripartito in misura quasi uguale fra l'ambiente e i trasporti, in avvenire la Polonia riceverà fondi comunitari destinati all'ambiente per un totale di 1,3 -1,5 miliardi di euro all'anno. |
1.17 |
Finora l'utilizzo dei fondi comunitari per la protezione dell'ambiente nei paesi in via di adesione è stato tutt'altro che ottimale. Se per l'avvenire il volume dei fondi disponibili sarà di gran lunga superiore occorrerà adoperarsi in misura maggiore rispetto al passato affinché questi importi cospicui vengano impiegati in maniera efficiente, e non già sperperati in programmi di crescita troppo ambiziosi o in progetti non adeguati, adottando ad esempio tecniche eccessivamente costose o al di sopra delle possibilità. Nella sua relazione speciale n. 5/2003 in merito al «finanziamento attraverso Phare e ISPA di progetti ambientali nei paesi candidati all'adesione» la Corte dei conti europea ha fra l'altro deprecato che fossero stati autorizzati più volte progetti che presentavano il rischio di creare capacità eccedentarie, e quindi il pericolo di utilizzare i fondi comunitari in maniera antieconomica, provocando altresì costi di gestione troppo elevati. Fra i numerosi esempi il rapporto cita l'impianto di trattamento delle acque reflue di Stettino, che viene utilizzato solo al 40 %. |
2. Che cosa si intende per tecnologie appropriate, per quale motivo sono necessarie?
2.1 |
Il Comitato ritiene che le cosiddette tecnologie ambientali «appropriate» abbiano una funzione molto importante per
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2.2 |
A giudizio del Comitato, «appropriato» significa che per i singoli casi occorre cercare soluzioni che tengano conto non solo della fattibilità o dell'efficienza tecnica, ma anche della situazione in loco e di quanti vivono nella zona interessata. |
2.3 |
È anzitutto opportuno chiarire qui con alcuni esempi ciò che il Comitato intende al riguardo: |
2.3.1 Esempio: protezione dell'aria / efficienza energetica
2.3.1.1 |
Quando, alla fine degli anni '80, la Polonia si affrancò definitivamente dal suo passato comunista, i responsabili politici attribuirono grandissima importanza alla protezione dell'ambiente. Ciò è facilmente comprensibile, visto il gran numero di abitanti che risentivano pesantemente dell'inquinamento ambientale provocato anzitutto dagli impianti industriali, ma anche dall'uso del carbone nel riscaldamento domestico. |
2.3.1.2 |
A Cracovia vennero condotti studi su come ridurre non solo le conseguenze nefaste provocate dall'anidride solforosa per la salute umana, ma anche i gravissimi danni da essa arrecati alle facciate di case di grande valore culturale e architettonico. Una delle prime misure previste fu la grande opera di risanamento tecnico di due centrali elettriche. |
2.3.1.3 |
Calcoli alternativi paralleli avevano però anche mostrato che con gli stessi investimenti necessari per il risanamento delle centrali elettriche si sarebbe potuta ottenere una riduzione dell'anidride solforosa due volte più elevata sostituendo i vecchi impianti a carbone per il riscaldamento domestico e attuando misure di risparmio energetico nelle abitazioni (sistemi d'isolamento, vetri termici, ecc.). |
2.3.1.4 |
Tali misure avrebbero al tempo stesso offerto agli abitanti della zona migliori condizioni di vita e avvantaggiato le imprese artigiane locali, imprimendo così un impulso decisamente maggiore all'economia locale. Si è invece deciso di destinare i fondi all'ammodernamento delle centrali elettriche, il che ha sicuramente favorito anche gli interessi delle grandi imprese industriali estere, che in definitiva si sono assicurate buona parte dei contratti. |
2.3.2 Esempio: trattamento delle acque reflue
2.3.2.1 |
La Polonia sta intraprendendo iniziative di grande portata, e positive, per migliorare la depurazione delle acque reflue. Si è cominciato soprattutto nelle grandi città a costruire e a rimettere a norma gli impianti di depurazione, e ora si stanno varando, o sono stati già conclusi, numerosi programmi e iniziative di costruzione anche nelle località più piccole. |
2.3.2.2 |
Le soluzioni scelte a livello centrale, che indubbiamente si prestano per i grandi agglomerati urbani, risultano però spesso meno idonee per le zone rurali scarsamente popolate, e ciò per ragioni sia tecniche che finanziarie. Tali soluzioni vengono comunque prescelte, quasi senza eccezioni, per adottare le tecniche più moderne. |
2.3.2.3 |
Un esempio al riguardo è il grande comune di Sokoly nel voivodato (regione) di Podlasie (Polonia nordorientale): esso ha una superficie di oltre 160 km2 e conta 29 frazioni che, stando ai progetti, dovranno essere tutte allacciate all'impianto di depurazione delle acque reflue in costruzione nel comune centrale. |
2.3.2.4 |
Oltre alla costruzione dell'impianto vero e proprio, le canalizzazioni per le acque reflue costituiscono sempre una delle voci maggiori sul piano sia degli investimenti che della manutenzione. Il programma polacco per le fognature del dicembre 2003 precisa che solo 1/3 degli investimenti è destinato alla costruzione o all'ammodernamento degli impianti di depurazione delle acque reflue: i 2/3 dei fondi sono infatti necessari per le canalizzazioni. Nella fattispecie si prevedono condotte in pressione (con relative stazioni di pompaggio particolarmente costose) per convogliare le acque reflue verso l'impianto centrale di depurazione. Nei grandi agglomerati urbani si calcola una lunghezza media delle canalizzazioni di 0,5-2 metri per abitante. Per le zone rurali una media di 5-10 metri è ancora tollerabile, però nel programma polacco questa media supera in taluni casi i 20 metri, per toccare persino i 40 metri per abitante, senza contare le tubature di raccordo per le singole abitazioni. |
2.3.2.5 |
Le proposte dei responsabili della progettazione in materia non risultano affatto adeguate alla situazione in loco. La soluzione offerta ricorda molto da vicino gli errati progetti idrici adottati nella Germania orientale dopo la riunificazione, che hanno fatto lievitare enormemente le tariffe per i servizi di fognatura e depurazione finendo per costituire un autentico handicap per le zone interessate. In effetti, anche nei Länder orientali sono emersi progetti basati su aspettative illusorie di crescita e ispirati dall'idea erronea di poter riprodurre le grandi strutture nelle zone rurali. |
2.3.2.6 |
Le tariffe esorbitanti per i servizi di fognatura e depurazione determinate da soluzioni inadeguate nuocciono doppiamente allo sviluppo economico delle regioni interessate: da un lato, i fondi che devono essere destinati alle elevate tariffe per i suddetti servizi potrebbero essere invece utilizzati per promuovere lo sviluppo economico in altri settori e, d'altro lato, queste stesse tariffe onerose sugli scarichi possono scoraggiare l'insediamento di attività produttive che utilizzano grandi quantità d'acqua. |
2.3.2.6.1 |
Stando ad una associazione cui fanno capo diverse iniziative civiche contro i progetti costosi per la depurazione dei reflui costituita nel frattempo nel Land tedesco Turingia, da quando gli investimenti sono finanziati in parte grazie ai fondi strutturali, i costi dei consorzi per l'erogazione dell'acqua e per lo scarico delle acque reflue sono cresciuti a dismisura. Di recente il comune di Friedrichsroda ha fatto pervenire ai suoi abitanti una fattura per l'allacciamento alla rete di distribuzione dell'acqua e alla rete fognaria di oltre 10 000 euro, e in un caso l'importo è stato addirittura di 99.000 euro (8). I cittadini, cui i progetti relativi alle acque reflue erano stati presentati sotto una luce positiva, con l'accenno a cospicui contributi agli investimenti, sono ora indignati dinanzi ai costi che erano stati loro sottaciuti. |
2.3.2.7 |
Il Comitato rammenta in proposito la critica mossa dalla Corte dei conti europea, la quale parla non solo di progetti faraonici per le acque reflue, ma anche di consulenti piuttosto incompetenti che vendono progetti costosi pre-confezionati. |
2.3.2.8 |
L'esempio di Miroslawice (comune di Trzebiatow sul Mar Baltico) conferma il timore del Comitato che questo tipo di investimenti sbagliati si ripeta e che gli esempi addotti dalla Corte dei conti non costituiscano dei casi isolati. Gravi conseguenze possono derivarne anche per l'applicazione di tecnologie appropriate. Mentre a Trzebiatow gli aiuti comunitari sono stati impiegati per un enorme impianto di depurazione delle acque reflue, nella frazione di Miroslawice la Fondazione tedesca per l'ambiente intendeva promuovere un progetto dimostrativo per la costruzione di un impianto di depurazione ecologico specificamente messo a punto per piccole località sulla costa del Mar Baltico. Dopo due anni di preparazione del progetto, malgrado l'accordo del comune e l'autorizzazione edilizia ottenuta nel frattempo, il comune ha finito per rinunciare al progetto dopo aver constatato che, per risultare più economico, il megaimpianto di depurazione costruito poco prima a Trzebiatow rendeva necessario l'allacciamento con altre località. Si è quindi abbandonato il progetto relativo all'impiego e alla dimostrazione di una soluzione adeguata, a livello decentrato, per il trattamento delle acque reflue. |
2.3.3 Esempio: trattamento dei fanghi di depurazione
2.3.3.1 |
Si può affermare che la necessità aguzza l'ingegno. Nel comune di Zambrow, nella Polonia nordorientale, il responsabile del trattamento dei fanghi di depurazione non disponeva (fino a poco tempo fa) di fondi per l'installazione di un apposito impianto tecnico. La sua soluzione è duplice: usare una parte dei fanghi per farne del compost utilizzando appositi lombrichi, che egli definisce «i suoi collaboratori più fedeli ed efficienti». Un'altra parte dei fanghi viene invece distribuita su una superficie piantata a canneto che è divenuta un vero paradiso della natura. Il compost viene apprezzato dalla popolazione e dagli agricoltori perché idoneo a concimare i terreni (9). A Zambrow i costi di trattamento delle acque reflue si limitano al 5 % di quelli sostenuti dagli impianti di depurazione che trattano ed eliminano i fanghi mediante soluzioni tecniche. In questo caso il vantaggio decisivo, proprio di una tecnologia «appropriata», è che i fanghi non contengono sostanze inquinanti (come avviene invece in molti comuni rurali dei paesi in via di adesione). La conseguenza è che il comune di Zambrow sostiene i costi più bassi della regione per il trattamento delle acque reflue. Tuttavia, nonostante il comune disponga di un impianto efficiente ed economico per il trattamento delle acque reflue e dei fanghi di depurazione, solo di rado la soluzione messa a punto dallo stesso responsabile del servizio viene additata come modello. |
2.3.3.2 |
Il Comitato tiene a far presente che proprio per le zone rurali esistono tecniche (appropriate) di depuramento del tutto praticabili che non danno luogo al problema dei fanghi, ad esempio grazie ad impianti di fitodepurazione. |
Ulteriori esempi
2.3.4 |
Senza avere la minima pretesa di fornire un quadro completo della situazione, un altro esempio di tecnologie ambientali appropriate può venire dagli impianti di produzione energetica decentrati. |
2.3.5 |
La Germania, che da alcuni anni punta maggiormente sull'impiego delle energie rinnovabili, e quindi neutre in termini di CO2, può fungere da modello di come, con tecnologie ambientali appropriate, si possano abbinare contemporaneamente e in modo positivo la protezione ambientale e l'occupazione. |
2.3.6 |
In Germania attualmente si usa più acciaio per costruire impianti eolici che nella cantieristica navale. In determinate zone deboli dal punto di vista strutturale, come ad esempio la Frisia orientale, l'energia eolica ha consentito di creare diverse migliaia (!) di nuovi posti di lavoro. |
2.3.7 |
Per gli agricoltori, in Germania, sta diventando sempre più vantaggioso costruire e gestire impianti di biogas quale ulteriore fonte di reddito. Le scuole e altri edifici pubblici vengono riscaldati sempre più spesso usando energie rinnovabili disponibili in loco, come ad esempio i trucioli di legno, anziché combustibili fossili importati da lontano, quali il petrolio o il gas. Nella sola Renania Settentrionale-Vestfalia, che è una regione carbonifera, attualmente sono installati oltre 1 000 impianti per la combustione di pellet, e questo non solo riduce l'inquinamento ambientale, ma crea anche nuovi posti di lavoro. |
2.3.8 |
Per una centrale a combustione di pellet con cui, in una città di piccole dimensioni, vengono riscaldati ad esempio il municipio, le scuole, il palazzo dei congressi, la casa di riposo e l'ospedale sono necessari 3, 4 o anche 5 agricoltori per trovare i residui di legno nei boschi, tritarli e trasportarli fino alla centrale a combustione. |
2.3.9 |
Anche in Stati quali l'Austria o i paesi scandinavi si registra un forte aumento della costruzione di impianti a combustione di pellet, mentre nei paesi candidati gli impianti nel settore delle energie rinnovabili finora sono quasi inesistenti. |
3. L'insegnamento da trarre dagli esempi
3.1 |
Il Comitato economico e sociale europeo esorta la Commissione ad analizzare più attentamente, nel quadro della strategia per la promozione delle tecnologie ambientali attualmente in programma, quali siano le ragioni di un uso così diverso delle tecnologie ambientali appropriate. Ovviamente il Comitato è consapevole del fatto che sono necessarie soprattutto condizioni economiche idonee. Specie in paesi dove il settore carbonifero continua ad essere altamente sovvenzionato e, al tempo stesso, non è previsto alcun sostegno alle forme alternative di energia (come in Polonia), talvolta perfino le misure di risparmio energetico non risultano redditizie sul piano economico. |
3.2 |
Oltre alla mancanza di una base giuridica, vanno ricordate soprattutto le condizioni di finanziamento relativamente sfavorevoli. Con tassi di interesse che arrivano anche al 20 %, gli investimenti, pur offrendo un notevole potenziale di risparmio energetico, non sempre vengono ammortizzati a breve termine. Pertanto i modelli di delega ai privati dell'erogazione di servizi (modelli di contracting out finanziati privatamente, legati a fondi, ecc.) potrebbero acquistare grande importanza e andrebbero quindi promossi. |
3.3 |
Anche ai fini della promozione dello sviluppo sostenibile dev'essere nell'interesse della Commissione individuare e contribuire a colmare le lacune che ostacolano ancora l'impiego delle tecnologie ambientali appropriate. |
3.4 |
A questo proposito non ci si dovrebbe del resto concentrare solo sui paesi in via di adesione: sarebbe invece opportuno dare uno sguardo anche agli attuali Stati membri. Al riguardo risulta evidente che, oltre al contesto economico, anche altri fattori svolgono un ruolo importante. Nel corso dei suoi lavori, il Comitato ha rilevato con grande interesse che, pur partendo da situazioni quasi identiche in tutta l'UE, nei diversi Stati membri emergono notevoli differenze quanto all'impiego delle tecnologie ambientali appropriate. In Grecia, ad esempio, quasi ogni casa ormai ha sul tetto un impianto fotovoltaico (per la produzione di acqua calda e sempre più spesso anche per la produzione di energia elettrica), mentre in Italia e in Spagna tali impianti sono molto meno frequenti. |
3.5 |
Anche se, ad esempio, la Polonia e gli altri PECO sono ancora agli inizi in tale ambito, essi approfittano però già del crescente uso delle tecnologie ambientali appropriate e decentrate negli Stati membri dell'UE. In Polonia sono stati infatti creati impianti per la produzione di pellet di legno, i cui prodotti sono però destinati quasi esclusivamente all'esportazione verso la Svezia, la Finlandia e l'Austria. |
3.6 |
Il Comitato sottolinea che in tale contesto non si deve tener conto solo delle tecnologie ambientali classiche, ma anche di quelle appropriate utilizzate in settori che non sembrano direttamente collegati, perché anche queste possono avere effetti molto positivi sul piano della politica ambientale e regionale. |
3.7 |
In molti Stati membri, ad esempio, i piccoli caseifici e le latterie familiari sono addirittura la quintessenza delle specialità e dell'identità regionali, mentre in Polonia sono ancora sconosciuti. Alcuni rappresentanti delle autorità pubbliche hanno perfino sostenuto che le norme comunitarie vietano la costruzione e la conduzione dei piccoli caseifici. Ora, queste imprese di trasformazione decentrate non solo sono importanti per l'agricoltura locale e, senza dubbio, per l'artigianato locale, ma contribuiscono anche, indirettamente, a stabilizzare i circuiti economici regionali e favoriscono la produzione agricola, contribuendo così anche a preservare la natura e l'ambiente. |
3.8 |
Gli esempi citati non devono essere fraintesi deducendone che il Comitato sia contrario a soluzioni tecniche su vasta scala nel settore delle tecnologie ambientali. Non vi è alcun dubbio che in determinati casi anche tali soluzioni possano essere adeguate. Ad esempio, sapendo che l'inquinamento del Danubio in Ungheria è dovuto per metà alla città di Budapest, non è possibile né pensabile opporsi alla costruzione di un depuratore di grandi dimensioni. Il Comitato desidera piuttosto far presente che occorre trovare la soluzione più adeguata al contesto locale per
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3.9 |
Il Comitato desidera pertanto mettere un po' in guardia dal «fascino» talvolta esercitato dai progetti di grandi dimensioni, che nei paesi PECO potrebbe essere ancora più forte quando, nei prossimi anni, aumenteranno le risorse finanziarie disponibili. Non si tratta di «impedire» investimenti, ma piuttosto di convogliarli nella giusta direzione. |
3.10 |
Il Comitato rileva con preoccupazione che i paesi candidati non conoscono bene le tecnologie appropriate e che gli studi di ingegneri (peraltro poco numerosi) e le autorità preposte all'approvazione preferiscono piuttosto le soluzioni tecniche che comportano grandi progetti anche nei casi in cui non sono adeguate. La conseguenza sono investimenti spesso molto onerosi che hanno riflessi decisamente positivi sulle parcelle degli ingegneri. Inoltre, optando per le tecnologie «affermate» si crede «di andare sul sicuro» per quanto riguarda gli effetti che si vogliono avere sull'ambiente. |
3.11 |
Questo tipo di comportamento è spesso frequente anche nelle amministrazioni pubbliche – dalla Commissione europea agli enti locali. Concentrarsi su un numero limitato di progetti di grandi dimensioni comporta inoltre minori procedure amministrative – e a Bruxelles, tanto per cominciare, in molti casi manca il personale per passare a soluzioni tecniche appropriate, che spesso sono di dimensioni inferiori. Che i costi economici di questo modo di procedere siano ben più elevati di quelli per il potenziamento delle risorse umane sembra non interessare nessuno. Inoltre, per gli impianti di grandi dimensioni spesso non sarebbero necessari aiuti cospicui poiché, diversamente da quanto avviene per gli enti locali di piccole o medie dimensioni, nel loro caso è più facile trovare investitori privati. |
3.12 |
Nei paesi candidati, un tempo caratterizzati da un notevole accentramento, si aggiunge senza dubbio il fatto che la fiducia nelle soluzioni centralizzate e uniformi non è ancora affatto scomparsa definitivamente e ovunque. |
3.13 |
Gli esempi citati dimostrano che tecnologie appropriate, siano esse su media o su piccola scala, permettono di ottenere con una spesa inferiore risultati identici - e a volte perfino migliori - per quanto riguarda l'eliminazione degli inconvenienti ambientali a livello locale. Le tecnologie appropriate
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3.14 |
Curiosamente, però, spesso si ha piuttosto un'immagine negativa delle soluzioni appropriate e più economiche. |
4. Lacune e ostacoli – come superarli?
4.1 |
Nei prossimi anni verranno erogati ingenti aiuti per gli investimenti in campo ambientale da effettuare nei paesi candidati. Il loro utilizzo dipenderà soprattutto dalle decisioni prese dai responsabili di tali paesi. |
4.2 |
Il Comitato è consapevole del fatto che l'UE non ostacolerà direttamente in alcun modo i paesi candidati qualora prendano in considerazione il ricorso a tecnologie ambientali appropriate. Ritiene però che ciò non basti: a suo avviso è opportuno fornire un sostegno attivo sia sul piano tecnico che su quello finanziario. |
4.3 |
Il Comitato ribadisce che le opportunità di utilizzare maggiormente tali tecnologie aumenteranno realmente solo se:
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Promuovere la conoscenza e la consapevolezza circa le tecnologie ambientali appropriate
4.4 |
In futuro, un numero crescente di decisioni sugli investimenti ambientali andrà preso a livello locale. I responsabili delle decisioni, soprattutto nei comuni più piccoli che non dispongono di personale specializzato, devono quasi sempre far ricorso a specialisti esterni per la programmazione e la successiva realizzazione degli investimenti. Gli studi di consulenza ingegneristica a cui essi si rivolgono non sempre hanno le conoscenze necessarie né la volontà di offrire soluzioni più appropriate, più economiche e migliori, dal punto di vista sociale o ambientale, rispetto allo «stato della tecnica». Infine, le loro parcelle sono generalmente commisurate al volume delle costruzioni e non già alla scelta della soluzione più conveniente a lungo termine e maggiormente adeguata alle condizioni locali. |
4.5 |
Non di rado i responsabili della programmazione hanno relazioni con le imprese edili o quelle che forniscono le tecniche. Non va sottovalutato l'interesse che i programmatori, l'economia, ma anche la politica hanno per i progetti di grandi dimensioni «fabbricati in serie»: a loro favore depongono sia il sistema del calcolo delle parcelle degli architetti e degli ingegneri sia l'interesse dell'industria edile ad ottenere contratti importanti. Affermazioni come quella di un produttore di tubi di scarico a un giovane tecnico «Ovviamente a ogni metro ci guadagna anche Lei» non sono un caso isolato. Inoltre, per un uomo politico locale la solenne inaugurazione di un grande progetto alla presenza della stampa e della televisione può sembrare più attraente della realizzazione di 20, 50 o anche 100 piccoli progetti che passano quasi inosservati. |
4.6 |
Più spesso di quanto si possa immaginare vengono fornite informazioni errate, intenzionalmente o meno. Il Comitato, ad esempio, è a conoscenza di casi in cui ai responsabili delle decisioni politiche è stato detto che la normativa comunitaria non permetterebbe alcun'altra possibilità all'infuori della costruzione di un depuratore centrale a cui vengano collegati tutti i quartieri della zona. Anche se ovviamente si tratta di informazioni errate, questo dimostra che vi è un deficit d'informazione. |
4.7 |
Vi sono poi ulteriori aspetti in parte di ordine pratico e in parte di natura psicologica. Costruire in base allo «stato della tecnica» è spesso molto facile: basta attenersi ai progetti messi a punto dall'ingegnere nel suo studio. Le soluzioni appropriate e decentrate richiedono spesso un maggiore impegno a livello di programmazione, una conoscenza molto più approfondita dei dettagli, nonché una grande determinazione – e questo a fronte di un guadagno modesto. Tuttavia, chi è disposto a complicarsi la vita, se la soluzione più semplice è per giunta anche più lucrativa? Offrendo soluzioni tecniche che comportano progetti su grande scala conformi allo stato della tecnica, i programmatori e i decisori politici sanno di «andare sul sicuro». Non è facile aver fiducia nelle soluzioni che implicano progetti di piccole dimensioni e che spesso vengono considerate piuttosto «carenti», primitive e poco sicure. Come può un semplice addetto alla depurazione, come nel comune Zambrow (cfr. punto 2.3.3), mettere a punto soluzioni alle quali gli ingegneri non hanno pensato (o non hanno voluto pensare)? |
4.8 |
Il Comitato reputa particolarmente importante fornire informazioni e offrire una formazione sia ai responsabili politici che agli ingegneri. Sarebbe opportuno che la Commissione valutasse ad esempio la possibilità di creare centri indipendenti di competenze per le tecnologie appropriate nei paesi in via di adesione. Tali centri potrebbero avere la funzione di organizzare il trasferimento di know-how, di fornire consulenza ai decisori politici a livello comunale ma anche alla società civile e, quindi, di promuovere in un certo senso la domanda di tecnologie ambientali appropriate. Tali centri potrebbero eventualmente partecipare anche all'amministrazione di fondi speciali di sostegno (cfr. punto 4.16 e segg.). |
4.9 |
I lavori dei centri di competenze potrebbero avvalersi del supporto di una banca dati europea, alla cui creazione e al cui mantenimento potrebbe partecipare l'Agenzia europea per l'ambiente, nella quale figurino tutte le tecnologie ambientali appropriate poco costose che secondo l'UE si sono dimostrate valide e hanno quindi ottenuto una specie di «marchio di qualità». Il manuale dei metodi alternativi per la depurazione delle acque pubblicato dalla DG Ambiente può essere considerato un primo passo nella giusta direzione. |
4.10 |
Niente fa più effetto ed è più opportuno per vincere la sfiducia nei confronti delle tecnologie ambientali appropriate di esaminare personalmente esempi già realizzati (cfr. punto 2.3.2.3). Dopo aver avuto la possibilità di vedere dal vivo alternative valide, il sindaco del comune di Sokoly ha bloccato i progetti di gestione delle acque reflue che prevedevano il raccordo di tutti i quartieri del comune all'impianto centrale (11). |
4.11 |
Il Comitato ritiene pertanto che l'offerta e il trasferimento di tecnologie appropriate debbano essere anch'essi «appropriati», in particolare debbano essere sostenuti da azioni volte a costruire il consenso sociale che non è sempre e immediatamente presente tra la popolazione e gli amministratori locali. |
4.12 |
A tal fine andrebbero attivati percorsi d'informazione, consultazione e partecipazione che coinvolgano gli attori socioprofessionali e la popolazione. |
4.13 |
Potrebbe essere utile anche promuovere partnership tra regioni e/o comuni che, nella UE, abbiano realizzato esperienze interessanti di applicazione di tecnologie appropriate, e regioni e/o comuni dei nuovi paesi membri che siano in procinto di fare scelte analoghe (o anche diverse!). Bisognerebbe, inoltre, conferire una qualche priorità ai progetti che, nel quadro di Interreg o di altri programmi comunitari, abbiano integrato la promozione di tecnologie ambientali appropriate. |
4.14 |
Nel quadro del piano d'azione per le tecnologie ambientali, attualmente in corso di elaborazione, si sta valutando come eliminare le barriere che ostacolano la diffusione delle tecnologie ambientali nell'UE. Programmi di formazione e di visite in loco sono sicuramente un'opzione che il Comitato accoglierebbe con favore. Anche in questo caso tutto dipende però dal modo in cui tali programmi sono organizzati. Non sempre, infatti, essi sono necessariamente intesi a mostrare solo le soluzioni più opportune: non di rado vengono messi in primo piano piuttosto gli aspetti puramente commerciali. |
Aspetti finanziari
4.15 |
La Commissione può far presente, a giusto titolo, che per quanto riguarda l'ammissibilità ai finanziamenti comunitari, in genere non esclude le tecnologie appropriate. Si può tuttavia obiettare che, per essere ammissibili ai finanziamenti a titolo del fondo di coesione, ad esempio, i progetti devono avere un volume di investimenti non inferiore a 10 milioni di euro. Molti progetti di piccole dimensioni estremamente efficaci non possono quindi beneficiare del finanziamento fino all'85 % dell'importo investito. |
4.16 |
Analizzando l'attuale prassi in materia di aiuti si evince chiaramente che finora è stata data la precedenza alle città più grandi. Questo è comprensibile perché investimenti adeguati in tali città hanno consentito una notevole riduzione puntuale dei danni ambientali e perché la direttiva sulle acque reflue, ad esempio, prevede il trattamento delle acque reflue dapprima nelle città più grandi. Al tempo stesso occorre però promuovere attivamente le tecnologie appropriate in quanto le basi per i futuri investimenti vengono poste oggi. |
4.17 |
Il Comitato è al corrente del fatto che con il fondo di coesione non vengono finanziati solo progetti per grandi città, ma anche, ad esempio, l'attuazione di programmi di trattamento delle acque reflue in un comprensorio territoriale. Per quanto sia possibile raggruppare progetti più piccoli, di fatto questo avviene raramente. Dato che la decisione di finanziare o meno un progetto a titolo del fondo di coesione viene presa a Bruxelles, il Comitato raccomanda di prescrivere che alla richiesta di finanziamento sia allegato un calcolo chiaro dei costi (di investimento e delle fasi successive) delle soluzioni tecniche centralizzate, semicentralizzate e decentrate. Obbligando i richiedenti a prendere in considerazione, almeno nelle grandi linee, delle soluzioni alternative, si potrebbe contribuire a un notevole risparmio di fondi nella fase di investimento ed evitare costi elevati nelle fasi successive. |
4.18 |
In Polonia esistono diverse possibilità di finanziare misure ambientali, in linea di massima anche investimenti di modesta entità: fondi ambientali a livello nazionale, regionale e in parte anche locale, il «fondo ecologico» (12) e così via. In futuro, però, questi fondi verranno utilizzati maggiormente per fornire i fondi necessari ai progetti cofinanziati dall'UE. In concreto questo significa che sul piano finanziario le cose non diventeranno più facili per le tecnologie ambientali appropriate, anche se spesso queste ultime si ammortizzano rapidamente e a lungo termine comportano i costi minori. |
4.19 |
Il Comitato propone pertanto di valutare anche l'opportunità di stanziare fondi specifici per gli investimenti nelle tecnologie appropriate. Ad esempio, una determinata percentuale della dotazione del fondo di coesione potrebbe essere riservata a progetti il cui costo è inferiore ad una determinata soglia. Ovviamente i progetti finanziati in questo modo non potrebbero più essere approvati individualmente dalla Commissione europea. Un siffatto fondo speciale costituirebbe una pietra miliare per diffondere le soluzioni che comportano l'uso di tecnologie adeguate. |
4.20 |
Nel quadro dell'elaborazione del presente parere, il Comitato ha discusso nuovamente anche sulla proposta, avanzata tra l'altro dall'ex presidente della Corte dei conti europea, professor Bernhard Friedmann, di non erogare più sussidi a fondo perduto a titolo dei programmi di sostegno comunitari, bensì finanziamenti (a tasso agevolato o perfino a tasso zero) (13). |
4.20.1 |
Una conseguenza della prassi finora seguita per l'erogazione degli aiuti è, ad esempio, che la costruzione di impianti di depurazione viene sovvenzionata in alcuni comuni e in altri no a causa della scarsità di fondi. In linea di principio questo comporta delle ingiustizie. In campo ambientale ciò significa che attualmente, a causa della prassi finora seguita per l'erogazione degli aiuti, proprio gli enti locali rurali (più poveri) vengono svantaggiati rispetto alle città (che generalmente sono più ricche). |
4.20.2 |
Se invece gli aiuti venissero erogati sotto forma non già di sovvenzioni bensì di finanziamenti a titolo di un fondo rinnovabile, il vantaggio sarebbe duplice: non solo si avrebbe un maggior numero di progetti, ma, dato che si tratta di prestiti, verrebbero utilizzati in modo più cauto e responsabile di quanto non avvenga con i sussidi. |
4.20.3 |
Un problema che, ad esempio in Polonia, potrebbe rendere difficoltosa una ristrutturazione dei programmi di sostegno è dato dall'attuale indebitamento dei comuni. Già ora il forte deficit ostacola spesso la pianificazione degli investimenti intesi all'attuazione delle norme comunitarie a livello locale. L'indebitamento delle amministrazioni locali in Polonia, pari a 12,3 miliardi di zloty (vale a dire 3 miliardi di euro) nel 2001 e a 15,4 miliardi di zloty (circa 4 miliardi di euro) nel 2002, tende ad un'ulteriore crescita. Questo significa che molti enti locali hanno raggiunto il limite massimo del deficit consentito per legge e non possono più ottenere prestiti. |
4.21 |
Per gli investimenti privati nelle tecnologie appropriate (p.es. misure di risparmio energetico, potenziamento delle energie rinnovabili, edilizia e materiali da costruzione alternativi), un fondo speciale rinnovabile per prestiti a tasso agevolato o a tasso zero potrebbe essere un'opzione interessante. Andrebbe valutata l'ipotesi di un collegamento con i summenzionati «centri di competenze». |
4.22 |
Un modo per mobilitare risorse finanziarie supplementari consiste nella partecipazione del settore privato alla fornitura di servizi pubblici (partenariato pubblico-privato: PPP). |
4.23 |
I modelli di PPP non comportano però solo vantaggi, ma anche rischi. Un tipo di partenariato non equilibrato può, ad esempio, comportare un considerevole aumento dei prezzi. In Ungheria, a Budapest, in seguito ai forti rincari superiori al 200 %, sono intervenute forti tensioni fra l'amministrazione cittadina e le imprese private in concessione. |
5. Sintesi
5.1 |
Le tecnologie ambientali svolgono un ruolo importante nella riduzione del degrado ambientale e nel quadro dello sviluppo sostenibile. |
5.2 |
Onde evitare investimenti sbagliati è importante adoperarsi per scegliere la soluzione più adatta a una determinata situazione. |
5.3 |
Anche se le soluzioni appropriate possono talvolta richiedere un maggiore impegno a livello di programmazione, esse consentono però di ottenere un notevole risparmio sia nella fase di investimento che in quella operativa e di creare, a lungo termine, un maggior numero di posti di lavoro. Le economie realizzate potrebbero sgravare sia i bilanci pubblici che quelli privati. Nell'attuale situazione le tecnologie ambientali appropriate risultano quindi indispensabili. |
5.4 |
Spesso, però, le tecnologie appropriate sono sconosciute e vengono utilizzate troppo raramente sia nei paesi in via di adesione che negli attuali Stati membri. Questo dipende tra l'altro da una notevole carenza di know-how e dall'incertezza quanto alla possibilità che esse permettano realmente di raggiungere gli standard prescritti. |
5.5 |
Il Comitato esorta la Commissione ad affrontare energicamente questo problema nel quadro dell'attuazione del piano d'azione per la promozione delle tecnologie ambientali. Si potrebbe iniziare a colmare il deficit di informazione creando fra l'altro centri di competenze per le tecnologie appropriate nei paesi in via di adesione. |
5.6 |
Con una parte degli stanziamenti previsti per gli aiuti andrebbe creato un fondo destinato a finanziare soprattutto progetti più piccoli. Il fondo di coesione, infatti, non finanzia progetti inferiori ai 10 milioni di euro e quindi non promuove a sufficienza le soluzioni appropriate. Nelle domande di finanziamento a titolo del fondo di coesione sarebbe utile che il richiedente fornisse indicazioni che consentano di stabilire per quale motivo è stata scelta proprio quella tecnologia e quali alternative sono state scartate. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) COM(2004) 38 def. del 28 gennaio 2004.
(2) Rapporto della Commissione - Tecnologia ambientale per lo sviluppo sostenibile (COM(2002) 122 def.)
(3) Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione - Verso un piano d'azione per le tecnologie ambientali» (COM(2003) 131 def.), CESE 1027/2003, non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale.
(4) Ad esempio provocati dall'uso individuale più intensivo degli autoveicoli. Vanno ricordati anche i problemi di protezione delle specie e gli inconvenienti ambientali imputabili a investimenti dell'agroindustria (come gli enormi impianti per l'ingrasso dei suini della società statunitense Smithfield in Polonia).
(5) COM(2001) 304 def. «Comunicazione della Commissione: La problematica dell'ambiente e il suo finanziamento - le sfide poste ai paesi candidati all'adesione», pag. 6.
(6) Fonte: EU Nachrichten (Informazioni UE della Rappresentanza permanente della Commissione europea in Germania) n. 20 del 28.5.2003 (stime della Corte dei conti europea).
(7) Ibidem.
(8) Thüringische Landeszeitung (quotidiano del Land Turingia) /Eisenacher Presse (redazione locale di Eisenach) del 24.10.2003.
(9) Il Comitato è consapevole dei problemi connessi all'impiego di fanghi di depurazione nei terreni agricoli. Spesso, infatti, esso deve essere rigorosamente vietato a causa delle concentrazioni di sostanze inquinanti. Riguardo alla problematica generale in materia cfr. Parere del Comitato economico e sociale in merito alla «Revisione della Direttiva 86/278/CEE sull'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura», GU C 14 del 16.1.2001 pagg. 141-150,.
(10) Nel territorio del comune di Kamieniec (provincia di Grodzisk Wielkopolski), nella Polonia occidentale, sono stati progettati 917 depuratori invece di un impianto centrale. Rispetto alla soluzione consistente in una rete fognaria centrale, sia gli investimenti che i costi di gestione si riducono probabilmente del 60 %. (W. Halicki, Zielona Gόra, 2003).
(11) Nel quadro di un progetto della Fondazione tedesca per l'ambiente, del ministero per l'Ambiente e dell'organizzazione Euronatur.
(12) Tale fondo, che scadrà nel 2010, è alimentato da un alleviamento del debito concesso su base bilaterale.
(13) «Finanzkontrolle im Dienste der europäischen Idee» [Il controllo finanziario al servizio dell'idea europea], discorso del Professor Bernhard Friedmann in occasione del conferimento del premio «Toro europeo» 2001 dell'Associazione dei contribuenti europei.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/92 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla
— |
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione e l'autorizzazione delle sostanze chimiche, che istituisce un'Agenzia europea delle sostanze chimiche e modifica la direttiva 1999/45/CE e il regolamento (CE) (sugli inquinanti organici persistenti) e alla |
— |
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 67/548/CEE del Consiglio per adattarla al regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e le restrizione delle sostanze chimiche |
(COM(2003) 644 def.– 2003/0256 COD – 2003/0257 COD)
(2004/C 112/24)
Il Consiglio, in data 8 dicembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere, in data 4 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore BRAGHIN.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 129 voti favorevoli, 0 voti contrari e 2 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Nel corso degli ultimi trent'anni il controllo delle sostanze chimiche è stato progressivamente trasferito a livello comunitario, a partire dalla prima norma comunitaria in campo chimico, vale a dire la direttiva 67/548/CEE sull'armonizzazione delle regole di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze pericolose, dove insieme a dette regole era già previsto l'obbligo futuro di fornire ulteriori informazioni sulle sostanze chimiche in commercio (1). Nella VI modifica di tale direttiva (contenuta nella direttiva 79/831/CEE) si introdusse una procedura di notifica per le «nuove sostanze», intendendo per tali quelle commercializzate per la prima volta dopo il 18 settembre 1981, e nella VII modifica (contenuta nella direttiva 92/32/CEE) si definirono principi uniformi e regole applicabili alle procedure di notifica. |
1.2 |
In seguito le norme si sono allargate alla determinazione e alla valutazione e controllo del rischio sia per le sostanze nuove sia per quelle esistenti, sulla base dei principi espressi nel regolamento del Consiglio 793/93 integrato dal regolamento 1488/94 per le sostanze esistenti, e dalla direttiva 93/67/CEE per le nuove sostanze. |
1.3 |
La necessità di rivedere la normativa vigente per sviluppare un nuovo approccio coerente e integrato nella politica chimica che rispettasse i principi di precauzione e di sostenibilità, e ripartisse in modo adeguato le responsabilità tra le parti coinvolte nel controllo delle sostanze chimiche, fu definita nel Consiglio Ambiente dell'aprile 1998 a Chester, e discussa in vari successivi Consigli. La Commissione, nel contesto del più ampio approccio dello «sviluppo sostenibile» nel frattempo affermato dal Consiglio di Helsinki del dicembre 1999, ha proposto quindi il Libro bianco sulle sostanze chimiche dal titolo Strategia per una politica futura in materia di sostanze chimiche (COM (2001) 88 def.), elaborato congiuntamente dalle DG Impresa e DG Ambiente per prendere in considerazione in modo bilanciato sia gli obiettivi di competitività del settore chimico che le esigenze della protezione ambientale (2). |
1.4 |
Il nuovo sistema previsto dal Libro bianco e denominato REACH (Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals) prevedeva un quadro normativo uniforme sia per le sostanze esistenti che per le nuove, fondato sui tre elementi della registrazione, della valutazione e dell'autorizzazione per le sostanze con proprietà pericolose. L'obiettivo primario era di assicurare un elevato livello di protezione della salute umana e dell'ambiente: a tal fine, la responsabilità e l'onere di fornire informazioni adeguate ed una prima valutazione del rischio era trasferita su produttori/importatori e, in specifici casi, sugli utilizzatori a valle. L'applicazione del sistema era prevista entro precise scadenze, dando la precedenza ai prodotti con particolari aspetti problematici e alle sostanze prodotte in quantità più elevate. |
2. Elementi essenziali della proposta in esame
2.1 |
L'attuale proposta di regolamento e di direttiva mira dunque a rimpiazzare la legislazione vigente, ritenuta ormai inefficiente dalla Commissione, incapace di incentivare l'innovazione e comunque non in grado di garantire sufficiente protezione ai cittadini e all'ambiente, con un nuovo sistema più idoneo a conseguire cinque obiettivi fondamentali:
|
2.2 |
La proposta attuale, che mira a semplificare e raccogliere in un unico strumento la complessa legislazione attuale relativa all'uso delle sostanze chimiche, abrogando di conseguenza talune direttive e regolamenti in vigore, ha al suo centro il sistema REACH già citato, che richiede alle imprese che producono o importano più di una tonnellata/anno di una sostanza chimica di registrare tali sostanze in un unico Data Base centrale. Le imprese produttrici/importatrici dovranno fornire non solo informazioni tecniche sulle proprietà, usi e maneggio sicuro della sostanza, come già previsto dalla legislazione vigente, ma anche sulla loro sicurezza e sulla gestione del rischio per l'uomo e per l'ambiente. Tali informazioni dovranno poi essere trasmesse nelle successive fasi della catena produttiva, in modo che gli utilizzatori possano usare o commercializzare tali sostanze in modo responsabile e consapevole, senza mettere a rischio la salute dei lavoratori o dei consumatori finali, né l'ambiente. |
2.3 |
La proposta è stata redatta nella forma attuale con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, anche attraverso una consultazione via Internet iniziata a maggio 2003 e durata 2 mesi, su una prima bozza di regolamento, che ha fornito circa 6 000 pareri, provenienti da tutte le parti coinvolte. In base ai vari punti di vista espressi, la bozza è stata modificata fino alla versione attualmente all'esame, con semplificazioni delle richieste in funzione delle quantità prodotte o importate, che a giudizio della Commissione comportano una riduzione significativa delle previsioni dei costi diretti e indiretti di applicazione del sistema rispetto a quanto previsto originariamente. |
2.4 |
Una nuova Agenzia chimica europea gestirà il Data Base delle sostanze, riceverà i dossier di registrazione, e sarà responsabile di fornire le informazioni non confidenziali al pubblico. La sua struttura si articola in una serie di comitati aventi diverse funzioni, e comprenderà anche una Commissione di ricorso (Board of Appeal). |
2.5 |
La registrazione riguarda tutte le sostanze prodotte/importate in quantità superiore ad 1 tonnellata/anno, e la Commissione ritiene che per circa l'80 % di esse non si richiederanno azioni ulteriori. |
2.6 |
La valutazione dei dossier, affidata ad apposite autorità competenti istituite dagli Stati membri, ha lo scopo di verificare la loro rispondenza a quanto richiesto dalle norme di registrazione, che sono diverse in funzione delle quantità prodotte/importate, le prove condotte sugli animali, la qualità e la completezza degli studi sulla valutazione del rischio per la salute umana o l'ambiente. Il programma di valutazione delle sostanze sarà basato su un rolling plan preparato dalle autorità competenti dei vari Stati membri, seguendo i criteri di priorità delineati dall'Agenzia. |
2.7 |
Sostanze che destano particolare preoccupazione, quali CMRs, PBTs, vPvBs (3), e altre aventi effetti gravi e irreversibili sulla salute o sull'ambiente, richiederanno l'autorizzazione della Commissione per specifici usi. Essa sarà concessa solo se l'uso di tale sostanza potrà essere adeguatamente controllato, altrimenti si analizzerà il livello di rischio, l'importanza sociale ed economica, l'esistenza di sostituti per verificare se un'autorizzazione è giustificata. Su proposta della Commissione o di uno Stato membro si potranno introdurre delle restrizioni, sino alla proibizione dell'uso, per assicurarsi che i rischi siano accettabili, seguendo l'iter procedurale dettagliatamente descritto all'art. 130. |
2.8 |
Per garantire la competitività del settore, l'attuale versione della proposta ha ridotto in numero e complessità i requisiti per i test, rispetto alla versione iniziale che rifletteva la legislazione vigente, in particolare per le sostanze con volumi tra 1 e 10 tonnellate; ha esentato una serie di sostanze tra cui i polimeri e alcuni intermedi; ha semplificato la regolamentazione per gli utilizzatori a valle; ha proposto lo scambio di informazioni sulla sicurezza nella forma di Safety Data Sheets (SDS), già previsti dalla legislazione vigente e opportunamente modificati, per aiutare le imprese a conseguire i risultati attesi con il minimo di costi. |
2.9 |
L'innovazione verrebbe incoraggiata con meccanismi quali l'innalzamento dell'attuale soglia applicabile alle sostanze nuove, esentando dalla necessità di test per quantitativi da 10 kg a 1 tonnellata, varie facilitazioni per gli utilizzatori a valle per trovare nuove sostanze innovative, nonché l'allungamento del periodo di esenzione per le sostanze in fase di ricerca sino a 10 anni (15 nel settore farmaceutico). |
2.10 |
Con tali interventi la stima dei costi si è significativamente ridotta, sia per quanto riguarda i costi diretti dell'industria, sia per quanto riguarda quelli indiretti, che sono molto inferiori ai benefici attesi per la salute umana. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il CESE ribadisce la sua adesione agli obiettivi di sviluppo sostenibile di tutela della salute e di protezione dell'ambiente che la UE deve perseguire tra le sue priorità. In tale ottica già nel precedente parere sul Libro bianco ha sostenuto l'introduzione del sistema REACH, condividendone gli obiettivi enunciati, compresa la responsabilizzazione delle imprese produttrici, importatrici o utilizzatrici nella predisposizione della documentazione sulle sostanze chimiche ai fini della registrazione e di una prima valutazione del rischio, e valutando positivamente l'istituzione di un sistema europeo di registrazione e di un organismo comunitario per la gestione dello stesso. Il CESE riconosce che il regolamento proposto dalla Commissione individua correttamente gli obiettivi, riduce i requisiti richiesti per la registrazione delle nuove sostanze (considerato una delle cause del ridotto numero di nuove sostanze registrate nell'ultimo ventennio in Europa), favorendo di conseguenza l'innovazione, ma nello stesso tempo costituisce comunque un impegno rilevante non solo per il settore chimico ma anche per tutto il sistema produttivo. |
3.1.1 |
L'economia europea attraversa un periodo di crescita modesta, e quindi iniziative legislative che rischiano di compromettere la competitività, la crescita delle attività produttive e l'offerta di posti di lavoro, devono essere valutate con estrema cautela. L'analisi di impatto a disposizione non assicura in modo definitivo che il sistema REACH proposto garantisca un bilanciamento efficace tra costi e benefici, come segnalato da molti stakeholder. Il Comitato condivide la necessità di non intaccare, nella misura del possibile e nel rispetto delle esigenze di sicurezza, la capacità competitiva dell'industria chimica europea, che è oggi leader nel mondo, e figura tra i settori industriali più rilevanti in quasi tutti gli Stati membri; altrettanta attenzione meritano le ripercussioni su tutti i numerosi settori produttivi che utilizzano sostanze e preparati chimici, compresi settori apparentemente meno coinvolti quali la siderurgia, il tessile, la meccanica, l'elettronica e i settori nei quali le PMI possono incontrare particolare difficoltà, tenendo presente la nuova dimensione dell'Europa a 25. |
3.1.2 |
Il CESE auspica che vengano prese in considerazione modifiche del regolamento che contribuiscano alla semplificazione delle procedure, portando avanti il dialogo con gli stakeholder già proficuamente iniziato con il processo di consultazione allargata svoltosi nel 2003, per preservare le giuste esigenze di tutela della salute assieme alle altrettanto giuste esigenze di competitività e di occupazione. Per raggiungere tale obiettivo il CESE ritiene necessaria una serie più incisiva di misure concrete atte a favorire le opportunità di sviluppo e l'innovazione, misure particolarmente necessarie alle PMI per le quali gli oneri del sistema REACH rischiano di diventare una percentuale significativa del fatturato. |
3.1.2.1 |
Il CESE prende atto e condivide le iniziative avviate dalla Commissione e dall'Ufficio europeo della chimica nell'ambito di una strategia «ad interim» in attesa della finalizzazione degli atti legislativi a livello di Parlamento europeo e di Consiglio. Tale strategia comporta il coinvolgimento degli stakeholders al fine di elaborare documenti di orientamento tecnico (in particolare i Technical guidance documents) di più semplice uso, valutazioni di impatto più articolate per specifici settori e costruzione di «partenariati strategici» (strategic partnerships) per la sperimentazione di progetti pilota di implementazione. Il CESE, avendo inoltre preso diretta conoscenza dell'esperienza condotta nella Regione Nord Westfalia, plaude a tale orientamento e auspica di esservi associato, riservandosi di pronunciarsi ulteriormente sui risultati emersi da tale fase sperimentale. |
3.1.3 |
La semplificazione normativa, la possibilità di una valutazione più rapida e fondata su conoscenze più ampie, una più ampia informazione sulle caratteristiche e sui rischi connessi alla produzione e all'uso delle sostanze chimiche lungo tutta la catena produttiva possono tradursi in un aumento della produttività e in una ricaduta positiva per tutto lo sviluppo della legislazione ambientale (4), oltre che in un vantaggio competitivo. Tale vantaggio risulta evidente nel settore del trattamento di rifiuti o in altri settori che fabbricano prodotti destinati al consumatore finale, a condizione che meccanismi idonei, come per esempio un'etichetta riconoscibile dal consumatore, portino il mercato a riconoscere e «premiare» l'adeguamento ad una normativa di tutela dell'ambiente e del consumatore. Tali obiettivi vanno perciò perseguiti espressamente, e potranno diventare una realtà operativa se in sede internazionale gli standard europei diventano standard condivisi grazie all'azione mirata delle autorità comunitarie. Per conseguire tali risultati occorre in ogni caso anche un costruttivo dialogo tra le autorità responsabili, gli operatori economici e il mondo del lavoro, nonché una politica di informazione e formazione per i consumatori finali. |
3.2 Agenzia chimica europea
3.2.1 |
La proposta prevede la istituzione di una Agenzia chimica europea con il compito di gestire gli aspetti tecnici, scientifici e amministrativi del sistema REACH, e di assicurare la coerenza del processo di valutazione e decisionale a livello comunitario. Nella proposta della Commissione l'Agenzia deve fornire agli Stati membri dei criteri guida per la selezione delle sostanze ai fini della valutazione, ed esprimere opinioni e raccomandazioni nelle procedure di autorizzazione e di restrizione, nonché dare indicazioni sulla confidenzialità dei dati. |
3.2.2 |
La scelta dell'Agenzia, in luogo di un mero ampliamento (quale previsto nel Libro bianco) dei compiti dell'Ufficio chimico europeo esistente nell'ambito dei Centri comuni di ricerca (CCR) è indubbiamente positiva, e quindi pienamente condivisa dal CESE, che peraltro ritiene troppo limitati i poteri e le responsabilità ad essa attribuite. Nella proposta della Commissione l'Agenzia ha infatti solo compiti di consulenza scientifica e/o tecnica, mentre la gestione operativa del sistema sembra sostanzialmente responsabilità degli Stati membri, che opereranno sulla base di criteri guida, opinioni e raccomandazione dell'Agenzia stessa. Il CESE si domanda se tale modello permetta di conseguire una scelta di priorità veramente efficace e condivisa ai fini della valutazione e di garantire che ogni deliberazione sia il risultato del più ampio spettro di competenze e di specializzazioni presumibilmente presenti nei comitati incardinati nell'Agenzia stessa. |
3.2.3 |
Il modello dell'Agenzia europea dei medicinali, giustamente considerato nella proposta come il più affine, dimostra che l'analisi dei dossier a livello centrale permette di raggiungere più facilmente il giusto equilibrio tra punti di vista diversi, mentre le Agenzie nazionali, specie di fronte ad una nuova responsabilità, tendono di frequente ad applicare il principio di precauzione. Secondo il CESE è possibile ed auspicabile la valorizzazione delle autorità nazionali in un network in cui esse possono continuare a svolgere compiti operativi, ben coordinati e congiuntamente definiti. L'esperienza dell'Ufficio europeo della chimica conferma che il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle autorità locali in un network sono importanti per la costruzione del consenso nel processo decisionale. |
3.2.4 |
Il Comitato ritiene pertanto che all'Agenzia debbano essere attribuiti precisi compiti e responsabilità sia per quanto riguarda la definizione dei criteri di priorità per la valutazione, sia per l'elaborazione di pareri sulle domande di autorizzazione, sia per la partecipazione alla procedura di adozione di restrizioni per talune sostanze e preparati pericolosi, sia per elaborare proposte in merito all'armonizzazione delle classificazioni e delle etichettature a livello comunitario. In conseguenza di tale diversa definizione di compiti e responsabilità anche i compiti e la composizione dei suoi organismi, dal consiglio di amministrazione ai comitati, dal Forum alla commissione di ricorso, vanno rivisti. |
3.2.5 |
Il Comitato constata in particolare che per comporre le divergenze insorte e garantire una seconda istanza in caso di divergenza tra autorità nazionali non è opportuno istituire un organismo che sia espressione diretta degli Stati membri, e che per materie quali la raccolta e la diffusione delle informazioni opportune, per l'aggiornamento delle basi di dati, per l'assistenza tecnica alle autorità competenti e all'industria, specie alle piccole e medie imprese, è auspicabile la costituzione di un Forum con ampia apertura al mondo scientifico e ad esperti scelti dall'Agenzia stessa anche nel mondo produttivo. |
3.2.6 |
Il CESE in generale auspica che l'Agenzia sia strutturata e finanziata in modo da essere subito in grado di operare come organo pienamente responsabile della valutazione, sia pur coinvolgendo e appoggiandosi alle competenze e al personale delle autorità competenti nazionali se necessario od opportuno, ma senza limitare a priori i suoi poteri e le sue responsabilità. Auspica altresì che, nelle more della costituzione dell'Agenzia, l'Ufficio europeo della chimica, in collegamento con le autorità nazionali e locali e gli stakeholders, sia messo in grado di verificare il buon funzionamento dei processi individuati in iniziative pilota o in campi specifici. |
3.2.7 |
Il CESE constata in particolare l'insufficienza del meccanismo di coinvolgimento della parti interessate previsto all'art. 105, dove ci si limita a prefigurare «contatti» con i rappresentanti dell'industria, delle organizzazioni a tutela dei lavoratori, dei consumatori e dell'ambiente. |
3.3 Il sistema di registrazione
3.3.1 |
Il regolamento prevede l'obbligo per produttori e importatori di sostanze chimiche di sottomettere alle autorità competenti, per quantitativi superiori a 1 tonnellata, un dossier tecnico contenente informazioni sulla sostanza e un rapporto preliminare sulla determinazione e sulla riduzione del rischio, e – a partire da 10 tonnellate e per scaglione successivi – esigenze progressivamente crescenti sui test da utilizzare per la stesura di tale rapporto. |
3.3.1.1 |
Le imprese dovranno plausibilmente sviluppare nuovi test e conoscenze sulle sostanze in funzione delle loro esigenze di importazione o di fabbricazione, e quindi di registrazione, e utilizzare queste conoscenze per assicurare una gestione responsabile e ben informata dei rischi che tali sostanze possono presentare. Dovranno inoltre far conoscere i rischi connessi a tali usi agli utilizzatori a valle, e questi ultimi dovranno produrre una valutazione di sicurezza chimica solo per un uso diverso dal previsto. |
3.3.1.2 |
Tale sistema di registrazione costituisce indubbiamente un rilevante impegno di tempo e di risorse, specie per importatori ed utilizzatori a valle che sinora non hanno dovuto ottemperare a richieste del genere, ma rappresenta una necessità se si vogliono conseguire gli obiettivi di tutela della salute umana e dell'ambiente, e di un corretto funzionamento del mercato interno. Non va trascurato inoltre il fatto che può costituire anche un'opportunità di allargamento del mercato per le imprese più innovative e più capaci di adattarsi alle nuove condizioni. |
3.3.2 |
L'approccio di richiedere tempi più rapidi e informazioni più ampie per quantitativi più elevati di sostanze chimiche prodotte o importate ha una sua logica, in quanto di semplice e diretta applicazione, ma non necessariamente è l'approccio più idoneo ad identificare i rischi reali, sia in termini di pericolo intrinseco (intrinsic hazard) che in termini di esposizione. L'aver mantenuto un criterio – quello dei volumi – già ritenuto grossolano dal CESE può comportare oneri non giustificati per le imprese (5). |
3.3.3 |
Le analisi dei pericoli intrinseci e delle informazioni sull'uso e sulla esposizione già disponibili, o facilmente ricavabili dai dati già in possesso dei produttori e delle autorità, insieme alle conoscenze e alle analisi sulle affinità strutturali con sostanze notoriamente problematiche o pericolose, potrebbero rendere l'attuazione pratica più flessibile, sia per quanto attiene alla complessità del dossier che ogni P/I deve fornire nella domanda di registrazione, sia per individuare le sostanze che, pur se prodotte o importate in quantità inferiori alle 10 t., necessitano di una valutazione del rischio più approfondita. Il Comitato invita la Commissione ad approfondire tale approccio, che permetterebbe di meglio articolare il funzionamento del sistema REACH. |
3.3.4 |
Una serie di regole relative alla messa a disposizione dei dati sono previste per ridurre i test sugli animali e i costi per le imprese, e in particolare i dati più rilevanti possono essere condivisi, con pagamento di un corrispettivo. Si prevede altresì che vi sia un aiuto a trovare altri registranti con cui scambiare i dati, ma tale meccanismo non sembra adeguatamente sostenuto né in grado di favorire alleanze se non a livello di partner che già cooperano tra loro o sono legati da vincoli di fornitura. |
3.3.5 |
La preoccupazione di ridurre i test sugli animali è condivisibile, ma è solo un aspetto del problema. Dovrebbero essere messi in opera sistemi più efficaci per la riduzione se non l'eliminazione di inutili duplicazioni di dossier e di test, ivi compresi quelli analitici e quelli in vitro, individuando le leve per favorire la cooperazione tra produttori, importatori e utilizzatori a valle della medesima sostanza, e meccanismi di ripartizione delle spese equi e sopportabili anche per le PMI. Il Comitato ritiene opportuno studiare forme di assistenza per l'allestimento dei dossier e facilitazioni per la costituzione di consorzi (specie fra gli utilizzatori a valle e fra PMI), su base volontaria e garantendo la tutela della proprietà intellettuale e industriale. |
3.3.6 |
L'informazione lungo tutta la catena produttiva è prevista, sia a valle che a monte, e la scheda prevista nell'Allegato 1 sostituisce quanto attualmente previsto come Safety Data Sheet dalla direttiva 91/155/CEE. Il doppio regime che sicuramente esisterà per un certo numero di anni può costituire un problema per il buon funzionamento del mercato interno. |
3.4 La valutazione (Titolo VI)
3.4.1 |
È previsto che la valutazione – sia dei dossier che delle sostanze – sia condotta a livello degli Stati membri, mentre l'Agenzia avrà solo il compito di sviluppare le linee guida per le priorità di scelta delle sostanze da valutare, e di intervenire in caso di disaccordo nella valutazione fra Stati membri. Specialmente agli inizi, tale meccanismo di valutazione da parte di uno Stato membro, che deve essere accettato da altri Stati membri attraverso una procedura scritta, rischia di creare notevoli perdite di tempo se non veti incrociati. |
3.4.2 |
Presupposto per un uso sicuro delle sostanze, che minimizzi il rischio per l'uomo e per l'ambiente, è una base di solidi dati scientificamente fondati, raccolti in modo omogeneo e validati, cioè soggetti ad un processo di controllo (valutazione ai sensi del Titolo VI), e fondata su una solida analisi del rapporto costo/benefici in usi particolari. La preparazione di un Chemical safety report, che costituisce la determinazione preliminare del rischio, è richiesta alle imprese produttrici/importatrici (mentre sinora tale onere era di competenza delle autorità responsabili), insieme alla disponibilità dei dati sulle sostanze. Per la delicatezza del successivo complesso processo di valutazione del dossier e delle sostanze, che si fonda sui dati forniti dai produttori/importatori, e per la rilevanza delle decisioni conseguenti, il CESE ritiene che tale compito spetti primariamente all'Agenzia, pur in stretta collaborazione con le Autorità nazionali competenti, in quanto in grado di garantire maggiore rapidità, omogeneità di comportamenti nel tempo e il coinvolgimento di competenze più ampie. |
3.4.2.1 |
Tale attribuzione di responsabilità all'Agenzia chimica europea non implica un esautoramento delle competenti autorità nazionali: si auspica che l'Agenzia proceda – nei suoi organi tecnici e anche politici – alla definizione delle priorità di valutazione e all'attribuzione dello svolgimento delle specifiche attività di valutazione alle autorità nazionali. Queste da parte loro potrebbero sempre proporre in modo autonomo la valutazione di una sostanza, motivandone le ragioni e quindi facendola inserire nel processo decisorio centralizzato. |
3.4.3 |
Una carenza dell'attuale proposta è che non sono previste espressamente valutazioni delle possibili interazioni e dei processi di accumulo che possono renderne critico l'uso, salvo per sostanze già individuate. Il CESE ritiene che tale aspetto andrebbe inserito non tanto nel dossier di responsabilità delle imprese, quanto nei programmi operativi dell'Agenzia chimica europea, in collaborazione con le autorità nazionali competenti. |
3.4.4 |
Sostanze, preparati, prodotti e articoli importati da regioni del mondo in cui non si hanno plausibilmente controlli adeguati, né il rispetto delle GLP richieste per la raccolta dei dati da fornire ai fini della registrazione e della valutazione del rischio, possono costituire una minaccia imprevista, su cui è importante che le autorità competenti veglino con particolare attenzione, anche per evitare di concedere un vantaggio concorrenziale improprio ai produttori extraeuropei. |
3.4.5 |
Il CESE auspica che siano meglio identificate le responsabilità di produttori, importatori e utilizzatori a valle, anche attraverso norme specifiche se necessario, qualora non ottemperino con la dovuta diligenza alle richieste del regolamento relative alla documentazione, alla valutazione del rischio e alle misure che ne rendono l'uso più controllato e sicuro. |
3.5 Autorizzazione
3.5.1 |
L'obiettivo del sistema di autorizzazione è assicurare il buon funzionamento del mercato interno e assicurare che le sostanze che destano maggiore preoccupazione siano usate in modo da garantire un controllo adeguato dei rischi, o siano sostituite con tecnologie o sostanze più sicure. Il CESE condivide tale obiettivo, e quindi ritiene giustificata la richiesta al produttore/importatore di fornire ulteriori dati basati sul rischio, idonei a dimostrare le possibilità di controllo o i benefici socioeconomici che controbilanciano il rischio individuato. Condivide altresì che l'autorizzazione sia concessa per un singolo uso specifico, per meglio mantenere sotto controllo l'utilizzo, e che si abbia un apposito flusso di informazioni verso gli utilizzatori a valle. |
3.5.1.1 |
Il Comitato ritiene opportuno che l'autorizzazione sia in ogni caso limitata nel tempo e suggerisce che dopo 5 anni si proceda ad una nuova valutazione e conseguente autorizzazione, se necessaria, similmente a quanto avviene in altri processi di autorizzazione. In tal modo si incentiverebbe l'innovazione per sviluppare alternative sicure e si favorirebbe l'applicazione del principio di sostituzione come prima alternativa per le sostanze chimiche pericolose. |
3.5.2 |
Le restrizioni contenute nell'autorizzazione devono essere introdotte per l'intera UE, ed essere indipendenti dal volume di produzione/importazione onde evitare qualsivoglia rischio grave per la salute o l'ambiente. Il CESE condivide che una versione consolidata della direttiva 76/769/CEE sia il punto di partenza per la nuova procedura relativa alle restrizioni, ma auspica un rapido intervento per aggiornare gli elenchi delle sostanze pericolose, ove vi sia un fondato presupposto scientifico. |
3.5.3 |
Il Comitato ricorda che la legislazione a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei confronti dei rischi legati all'utilizzo di sostanze chimiche deve restare d'applicazione ed essere ulteriormente sviluppata indipendentemente da REACH. Sarebbe senz'altro opportuno valutare in che misura simili disposizioni possano essere inserite in REACH, e rafforzarne la compatibilità con gli obblighi di valutazione di cui alla direttiva 98/24/CE, il tutto in consultazione con le parti interessate. |
3.5.4 |
Il CESE ritiene che anche altre sostanze, che presentano rischi equivalenti a sostanze come CMR, PBT e VPVB (già identificabili con criteri chiari ed oggettivi, e quindi inserite nell'Allegato XIII), siano prese in considerazione appena identificati tali rischi, e sottoposte al processo di autorizzazione indipendentemente dalle quantità utilizzate. |
3.6 Utilizzatori a valle (downstream users)
3.6.1 |
Il CESE condivide la misura che obbliga gli utilizzatori a valle a considerare la sicurezza del loro uso delle sostanze, basata principalmente sull'informazione del fornitore, e di prendere adeguate misure di gestione del rischio, mentre sono tenuti a notificare un nuovo uso eventuale in quanto non considerato e di conseguenza documentato dal fornitore. La condizione affinché tale obbligo sia sopportabile, specialmente da parte delle PMI, è che il fornitore abbia completato la sua registrazione e metta a disposizione dell'utilizzatore a valle i dati non confidenziali relativi alla sostanza. Una debolezza della proposta attuale è la prevedibile non completezza del set di informazioni che debbono essere messe a disposizione dal produttore/imprenditore, col rischio che agli utilizzatori a valle competa un onere di documentazione eccessivamente oneroso. A parere del CESE questo aspetto, e le possibilità di ricorso all'Agenzia, vanno meglio definiti se si vogliono realmente contenere i costi di applicazione del nuovo sistema. |
3.6.2 |
È auspicabile al riguardo che in una serie di seminari e conferenze con le parti coinvolte si verifichi la situazione, sia nei settori produttivi che possono essere maggiormente colpiti dalle misure in oggetto (in particolare settori come quelli delle pitture, vernici, pigmenti, della concia, del legno e della mobilia, delle fibre sintetiche, degli apparecchi elettrici ed elettronici sembrano particolarmente colpiti dal costo della documentazione da fornire), sia per quanto riguarda le PMI, spesso dipendenti da un fornitore oligopolista e quindi prive spesso di capacità contrattuale per ottenere i dati a condizioni economicamente accettabili. Senza un approfondimento e un chiaro quadro normativo, la situazione rischia di diventare iniqua nei casi sopra citati, e in altri similari. |
3.7 Condivisione dei dati
3.7.1 |
Una serie di misure sono previste al fine di condividere i dati raccolti ed evitare test animali non necessari. Il CESE condivide l'obiettivo, e anche l'opportunità che nuovi registranti abbiano la possibilità di utilizzare tali dati, dietro pagamento diretto all'originatore o attraverso un consiglio di arbitraggio. Tuttavia ritiene ancora troppo generiche le misure previste, e auspica che si approfondiscano le modalità per far beneficiare tutti gli operatori, in particolare le PMI, di eque condizioni. |
3.7.2 |
Il CESE sostiene il meccanismo di preregistrazione per le imprese che stanno preparandosi ad una registrazione, in modo che sia possibile un'anticipata condivisione dei dati, purché sia garantita la riservatezza delle informazioni confidenziali. Analogamente condivide la creazione di un exchange forum sull'informazione relativa ad una sostanza, che potrebbe svilupparsi anche al di là dell'attuale previsione di essere finalizzato a evitare la duplicazione di test animali. |
3.8 Informazione e formazione dei lavoratori
3.8.1 |
Il CESE ritiene che le informazioni provenienti dal sistema REACH siano il presupposto per la valutazione e la riduzione dei rischi non solo ai fini della tutela della salute e della protezione dell'ambiente, ma anche della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, e di conseguenza abbiano una rilevante importanza per lo svolgimento di qualsivoglia attività professionale. |
3.8.2 |
L'esperienza del settore chimico, accumulata in questi anni grazie al costante confronto fra le parti sociali, dimostra che la disponibilità di tali informazioni ed il loro corretto uso hanno consentito a questo settore di conseguire la più bassa incidenza di infortuni sul lavoro e di danni ambientali rispetto ad altri comparti industriali. |
3.8.3 |
Per tale positiva esperienza, ancorché poco conosciuta, il CESE sottolinea il valore aggiunto rappresentato dalla messa a disposizione dei lavoratori e dei loro rappresentanti di tutte le informazioni utili, generate dalla valutazione della sicurezza chimica di una sostanza o di un preparato e contenute nelle safety data sheet. Il CESE auspica pertanto che le positive esperienze al riguardo dell'industria chimica siano estese ai settori a valle, attraverso anche specifici programmi di formazione rivolti ai lavoratori e ai loro rappresentanti, arricchendo gli strumenti di protezione previsti dalla legislazione vigente in materia di sostanze pericolose e favorendone un'applicazione più armonizzata. |
3.9 Valutazione di impatto
3.9.1 |
I dati forniti dalla Commissione sui costi diretti ed indiretti dell'applicazione del sistema, per il prossimo decennio, sono stati criticati da più parti in quanto ritenuti sottostimati. Il CESE prende atto della nuova valutazione effettuata, che tiene conto delle modifiche apportate alla bozza di documento discusso attraverso il processo di consultazione; tale valutazione di impatto, specificamente aggiornata per tener conto di dette modifiche, dovrebbe risultare più realistica, anche se permangono forti componenti di aleatorietà specie per quanto riguarda i costi indiretti e gli utilizzatori a valle, nonché l'impatto sui nuovi Stati membri. |
3.9.2 |
Il CESE invita pertanto la Commissione ad aprire un dibattito specifico sull'argomento con le varie associazioni di categoria a livello europeo e nazionale, in particolare per quei settori industriali che studi privati indicano come più colpiti dalla nuova proposta di regolamento, per trovare conferma della fondatezza della sua analisi e procedere, se del caso, alla revisione di ulteriori misure che si dimostrino eccessivamente onerose. |
3.9.3 |
Il CESE, preoccupato delle possibili ripercussioni economiche, invita la Commissione a procedere ad una valutazione di impatto più approfondita su questo specifico aspetto, tenendo conto dell'importanza dell'utilizzo di sostanze chimiche in tutti i settori dell'economia, compresa l'agricoltura e il terziario, e ad approfondire maggiormente l'impatto potenziale sui Paesi in via di adesione. |
3.9.4 |
L'innovazione è considerata una conseguenza positiva del nuovo sistema, ed indubbiamente alcune misure favoriscono l'individuazione e la commercializzazione di un maggior numero di nuove sostanze rispetto alla situazione vigente. Il CESE pertanto approva tali modifiche, ma in generale ritiene ancora generici i meccanismi – per lo più automatici – che dovrebbero incentivare l'innovazione, e debole sul piano quantitativo l'individuazione di tali effetti. |
3.9.5 |
Il rapporto costo/benefici, apparentemente molto favorevole, specie nel campo della salute, nasconde in realtà la questione che mentre i costi sono sostenuti direttamente dagli operatori economici, i benefici andranno per lo più a favore di altri soggetti o della società in generale, in un arco di tempo sfasato e più lungo di quello in cui saranno sostenuti i costi. Questa situazione è plausibilmente alla base di molte perplessità e reazioni negative: per superarle, sarebbe utile uno sforzo mirato da un lato alla creazione di un maggiore consenso, giustificato da approfondimenti ed analisi settoriali, anche quantitative, e dall'altro lato una politica proattiva in difesa della competitività, facendo diventare la normativa europea un riferimento per tutte le altre aree del globo con una azione specifica e mirata della Commissione in ogni contesto internazionale. |
4. Conclusioni
4.1 |
Il CESE pur appoggiando gli obiettivi e la realizzazione del sistema REACH, ritiene che particolare attenzione vada posta alle sue modalità di attuazione, per evitare che la opportuna evoluzione legislativa possa compromettere la competitività e la crescita dell'industria, e di conseguenza acuire il problema occupazionale. Tale esigenza, che risponde allo sforzo di perseguire uno «sviluppo sostenibile» dal punto di vista sociale, economico ed ambientale, assume un aspetto più concreto in questa proposta per la quale l'analisi di impatto a disposizione non assicura un bilanciamento comprovato del rapporto costi-benefici. |
4.2 |
Per conciliare la volontà politica di disporre di una legislazione che garantisca dal punto di vista della salute, della sicurezza e dell'impatto ambientale l'intero arco degli utilizzatori di sostanze chimiche, nonché il pubblico in generale, senza intaccare la competitività dell'industria europea, il CESE invita la Commissione, il Parlamento europeo ed il Consiglio a prendere in seria considerazione ogni modifica del regolamento che contribuisca alla semplificazione e alla riduzione del carico burocratico delle procedure e dei costi conseguenti, e a proseguire la consultazione con gli stakeholders in modo da conseguire tale risultato. |
4.3 |
Il CESE suggerisce inoltre di predisporre idonee azioni per informare e illustrare i contenuti e le modifiche apportati, in particolare verso le PMI e gli utilizzatori a valle: è importante infatti ridurre l'impatto psicologico negativo attuale, che non tiene in adeguata considerazione i vantaggi di una semplificazione della normativa vigente sulle sostanze chimiche, di una valutazione più rapida ed efficiente (con minori rischi e responsabilità conseguenti), di una più facile applicazione della normativa ambientale (sulle emissioni, sui rifiuti, sulla sicurezza dei lavoratori, ecc.). |
4.4 |
Nella stessa ottica, si deve far comprendere che gli allegati sono strumenti contenenti istruzioni applicative, generiche guideline, norme tecniche e scientifiche riguardanti la metodologia di ricerca e di sperimentazione, che non aggiungono oneri burocratici ma facilitano l'applicazione della norma, e quanto a mole non si discostano dagli allegati delle norme già in vigore. Potrebbe pertanto essere utile, ove giuridicamente possibile, operare un'appropriata distinzione tra gli allegati che devono mantenere valore legale e quelli che possono invece essere utilizzati come una sorta di «manuali operativi» o di guideline per gli esperti, e che godrebbero in tale veste di una maggiore flessibilità di aggiornamento in funzione dello sviluppo tecnico e scientifico. |
4.5 |
Il CESE apprezza la metodologia di ampia consultazione adottata dalla Commissione per mettere a punto la proposta ed auspica che il processo di consultazione e coinvolgimento degli stakeholders continui in modo da apportare ulteriori miglioramenti al testo specialmente per quanto riguarda:
|
4.6 |
Il CESE ribadisce la necessità di una più articolata valutazione di impatto, in particolare per quanto riguarda i costi indiretti, i costi per alcuni settori critici di utilizzatori a valle e l'impatto potenziale sui paesi in via di adesione, al fine di verificare la fondatezza o meno delle critiche mosse allo studio sinora condotto. |
4.7 |
Il CESE ritiene infine necessaria una forte azione politica volta al coinvolgimento di tutte le aree del globo sulle norme individuate e previste dal sistema REACH, mirando a farne condividere i contenuti, che sono fondamentali per una migliore tutela della salute dei lavoratori e delle popolazioni, per una più efficace protezione dell'ambiente, e non ultimo per la difesa della competitività dell'industria chimica europea. |
4.8 |
Il CESE saluta positivamente le iniziative di sperimentazione pratica e i progetti pilota di applicazione già avviati in alcuni Stati membri, con il coinvolgimento delle autorità regionali e di tutte le parti interessate, in vista della semplificazione e di una più concreta valutazione di impatto, nonché l'esercizio avviato dalla Commissione e dall'Ufficio europeo della chimica per predisporre, assieme agli stakeholders, guide tecniche settoriali per la messa in pratica del sistema REACH. Reputa che tutte le istituzioni europee, nel predisporre gli strumenti legislativi finali, debbano far tesoro delle esperienze accumulate in questa fase intermedia, e si riserva di elaborare un supplemento di parere per valutare i risultati dell'esercizio in corso. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) GU 196 del 16.8.1967, pag. 1.
(2) Parere CES 1327/2001 del 17 ottobre 2001, in GU C 36 dell'8.2.2002.
(3) Si tratta delle sostanze cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione (CMRs), le sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche (PBTs), e quelle molto persistenti e molto bioaccumulabili (vPvBs).
(4) A titolo di esempio, la Direttiva quadro Acque, la Direttiva IPPC, quelle relative ai rifiuti pericolosi, ecc.
(5) Cfr. Il precedente parere sul Libro bianco, punto 5.1
ALLEGATO
al parere
(art. 39 del Regolamento interno)
Qui di seguito si riportano gli emendamenti respinti durante il dibattito in sezione ma che avevano ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:
Nuovo punto 3.4.4.
Per garantire l'affidabilità delle informazioni fornite sulle sostanze chimiche registrate, il CESE ritiene indispensabile introdurre un adeguato sistema di controllo della qualità. Gli operatori economici potranno dotarsi di procedure interne di controllo della qualità certificate dall'esterno oppure ricorrere a periti indipendenti. Ciò renderà i dati e la documentazione qualitativamente confrontabili e utilizzabili a livello europeo; le autorità potranno così demandare alle imprese parte delle loro responsabilità ispettive.
Esito della votazione
Voti favorevoli: 27 Voti contrari: 64 Astensioni 13
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/100 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che abroga la direttiva 72/462/CEE
(COM(2004) 71 def. – 2004/0022 CNS)
(2004/C 112/25)
Il Consiglio, in data 27 febbraio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 24 febbraio 2004, ha deciso di affidare alla sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente l'incarico di preparare i lavori in materia.
Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, di nominare John DONNELLY relatore generale e ha adottato all'unanimità il seguente parere.
1. Introduzione
1.1 |
Con la pubblicazione del Libro bianco sulla sicurezza alimentare, nel 2000 la Commissione annunciava una profonda riforma della legislazione sull'igiene dei prodotti alimentari. Tale riforma comportava in particolare la semplificazione della legislazione nel settore della sicurezza dei prodotti alimentari e dei mangimi e nel settore della salute animale legata alla sicurezza alimentare. |
1.2 |
Gli obiettivi del Libro bianco dovevano essere realizzati attraverso un programma d'azione molto articolato, comprendente fra l'altro la proposta di istituire l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e una proposta di regolamento sulla normativa generale in materia alimentare. Questo obiettivo è stato realizzato attraverso il regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. |
1.3 |
Gli interventi in materia di semplificazione della legislazione sui prodotti alimentari e i mangimi e le riforme nel settore dei controlli ufficiali sono ormai in fase avanzata e dovrebbero essere formalmente recepiti dagli Stati membri entro il 1o gennaio 2006. Anche la piena integrazione delle norme di igiene e dei controlli ufficiali «dai campi alla tavola» era uno degli obiettivi principali di cui le proposte tengono conto. |
1.4 |
I requisiti di polizia sanitaria per l'importazione di carne e di prodotti a base di carne sono stati rifusi e aggiornati dalla direttiva 2002/99/CE del Consiglio, che dovrà essere formalmente recepita negli Stati membri entro il 1o gennaio 2005. |
1.5 |
Le recenti epidemie di afta epizootica e di peste suina classica hanno indotto anche una rifusione della legislazione in materia di polizia sanitaria riguardante l'importazione di animali vivi. Il Consiglio è già stato investito di una proposta di direttiva che stabilisce norme di polizia sanitaria per le importazioni nella Comunità di taluni animali vivi e recante modifica delle direttive 90/426/CEE e 92/65/CEE. Si propone pertanto di abrogare, in quanto non più pertinente, la direttiva 72/462/CEE relativa alle condizioni di polizia sanitaria per gli animali vivi. |
2. Sintesi della proposta della Commissione
2.1 |
La proposta in esame abroga la direttiva 72/462/CEE a partire dal 1o gennaio 2005 relativamente alle norme di polizia sanitaria vigenti per l'importazione di carne e di prodotti a base di carne. |
2.2 |
La proposta abroga la direttiva 72/462/CEE a partire dal 1o gennaio 2006 per quanto riguarda le norme sanitarie e i controlli ufficiali per le carni e i prodotti a base di carne. |
2.3 |
Resta ancora da stabilire una data, che dipenderà dalla data di attuazione formale della proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce le norme di polizia sanitaria per l'importazione di taluni animali vivi e recante modifica delle direttive 90/426/CEE e 92/65/CEE. A partire da questa data ancora da destinarsi, la direttiva 72/462/CEE è abrogata per quanto attiene alle norme di polizia sanitaria da applicare all'importazione di animali vivi. |
2.4 |
Le modalità di applicazione stabilite nelle decisioni adottate per l'importazione di animali vivi, carni e prodotti a base di carne a norma della direttiva 72/462/CEE, elencate nell'allegato della presente direttiva, rimangono in vigore fino a quando non saranno sostituite dalle misure adottate nel nuovo quadro giuridico. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il Comitato accoglie con favore la proposta in esame in quanto parte integrante della revisione in corso delle misure comunitarie in materia di polizia sanitaria. È favorevole all'idea di consolidare le norme che disciplinano le importazioni di animali vivi. |
3.2 |
Accoglie inoltre con favore l'attuale processo di semplificazione della legislazione comunitaria. |
3.3 |
Prende atto con soddisfazione dei rapidi progressi compiuti nell'attuazione dei piani d'azione sulla sicurezza alimentare mediante la realizzazione degli obiettivi del Libro bianco sulla sicurezza alimentare. |
3.4 |
Infine accoglie con favore la netta distinzione così operata fra norme che disciplinano i requisiti di polizia sanitaria per l'importazione di carne e di prodotti a base di carne, norme sanitarie in materia di igiene dei prodotti alimentari e dei mangimi, norme sui controlli ufficiali dei prodotti alimentari e dei mangimi e norme di polizia sanitaria per l'importazione di animali vivi. |
4. Osservazioni specifiche
4.1 |
Il Comitato è consapevole dell'esistenza di nuovi rischi potenziali nel settore della polizia sanitaria in particolare legati ai nuovi confini esterni dell'UE dopo l'allargamento, e raccomanda quindi alla Commissione di mettere a disposizione risorse sufficienti per le ispezioni e i controlli del recepimento e dell'attuazione delle direttive in materia. |
5. Conclusioni
5.1 |
Nell'interesse del completamento del processo di revisione e semplificazione legislativa, il Comitato appoggia la proposta della Commissione. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/102 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla
— |
Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2003/96/CE per quanto riguarda la possibilità che alcuni Stati membri applichino ai prodotti energetici e all'elettricità esenzioni o riduzioni temporanee dei livelli di tassazione (COM(2004) 42 def. - 2004/0016 (CNS)) e alla |
— |
Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2003/96/CE per quanto riguarda la possibilità che Cipro applichi ai prodotti energetici e all'elettricità esenzioni o riduzioni temporanee dei livelli di tassazione (COM(2004) 185 def.-2004/0067 (CNS)) |
(2004/C 112/26)
Il Consiglio, in data 18 febbraio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla
Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2003/96/CE per quanto riguarda la possibilità che alcuni Stati membri applichino ai prodotti energetici e all'elettricità esenzioni o riduzioni temporanee dei livelli di tassazione
(COM(2004) 42 def. – 2004/0016 (CNS)).
Inoltre, il Consiglio, in data 31 marzo 2004, ha deciso di consultare il Parlamento europeo e il Comitato economico e sociale europeo in merito alla
Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2003/96/CE per quanto riguarda la possibilità che Cipro applichi ai prodotti energetici e all'elettricità esenzioni o riduzioni temporanee dei livelli di tassazione
(COM(2004) 185 def.-2004/0067 (CNS)).
Considerata l'urgenza dei lavori, il Comitato ha deciso il 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, di nominare relatore generale (1) Frank Allen e ha adottato il seguente parere con 33 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.
1. Introduzione
1.1 |
La direttiva del Consiglio 2003/96/CE (adottata il 27 ottobre 2003) che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità è entrata in vigore il 1o gennaio 2004. Con effetto dal 31 dicembre 2003 sono state abrogate le direttive 92/81/CEE e 92/82/CEE. |
1.1.1 |
La direttiva 92/81/CEE e la direttiva 92/82/CEE stabilivano aliquote minime dell'accisa per gli oli minerali. La direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici 2003/96/CE stabiliva aliquote minime dell'accisa per quasi tutti i prodotti energetici, compresi il carbone, il gas e l'elettricità. Essa aggiornava anche le aliquote minime dell'accisa per gli oli minerali che erano rimaste invariate dal 1992. |
1.1.2 |
La direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici mirava a ridurre le distorsioni della concorrenza tra gli Stati membri risultanti da aliquote di imposta divergenti e le distorsioni della concorrenza tra oli minerali e altri prodotti energetici precedentemente non soggetti alla normativa fiscale comunitaria, ad accrescere gli incentivi ad un uso più efficiente dell'energia (in modo da ridurre la dipendenza dall'energia importata e diminuire le emissioni di anidride carbonica), a permettere agli Stati membri di offrire alle imprese agevolazioni fiscali in cambio di impegni specifici alla riduzione delle emissioni. |
1.2 |
In alcuni casi il livello delle accise applicate da molti paesi in fase di adesione è sostanzialmente più basso di quello applicato nell'UE. Alcuni di questi paesi si sono già adeguati all'aliquota minima stabilita dalla direttiva 92/82/CEE, altri si stanno preparando a farlo con l'impegno ad applicare le aliquote minime previste da questa stessa direttiva entro il 1o maggio 2004. Come risultato di negoziati in materia, il Trattato di adesione prevede delle deroghe per la Polonia e Cipro. L'accisa minima per la benzina senza piombo secondo la direttiva 92/82/CEE è di 287 EUR per 1 000 litri, ma in base alla direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici l'aliquota minima è passata a 359 EUR per 1 000 litri. |
1.3 |
A meno che la direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici in esame non venga modificata, gli Stati in fase di adesione dovranno adottare le sue disposizioni per il 1o maggio 2004. L'introduzione di queste disposizioni nelle loro economie (vale a dire la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità) potrebbe ripercuotersi molto negativamente sotto il profilo sociale ed economico date le accise molto più basse sui prodotti energetici che essi applicano attualmente. I massicci aumenti dei costi che ne deriverebbero potrebbero danneggiare gravemente le loro PMI, nonché imporre un onere enorme all'industria ed ai consumatori. Ad essere colpite in particolare sarebbero le famiglie più povere. È per questo motivo che tali paesi hanno cercato di ottenere esenzioni o riduzioni temporanee dei livelli di tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità che essi devono applicare. |
2. Sintesi delle proposte
2.1 |
Nel novembre 2003 gli Stati in fase di adesione, con l'eccezione di Cipro, hanno presentato alla Commissione richieste di esenzione dagli obblighi imposti dalla direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici. Il Trattato di adesione del 16 aprile 2003 stipula che i paesi in fase di adesione devono avere l'opportunità di presentare richieste di esenzione rispetto alla legislazione comunitaria adottata dopo il 16 marzo 2003, se lo ritengono necessario. La Commissione deve esaminare tali richieste e se le giudica giustificate presenta una proposta al Consiglio. Per ogni richiesta presentata la Commissione esige una giustificazione dettagliata. |
2.1.1 |
Cipro non aveva presentato a suo tempo alcuna richiesta di regimi transitori. Nondimeno, la situazione a Cipro è cambiata e le autorità cipriote hanno presentato all'inizio di febbraio 2004 richieste specifiche di periodi transitori. La Commissione ha pertanto presentato una proposta di direttiva di modifica della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici basata sull'articolo 93 del Trattato CE. |
2.1.2 |
Per la direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici la Commissione ha ritenuto accettabile la maggior parte delle richieste di esenzione dall'applicazione delle aliquote minime UE ricevute. La Commissione ha proposto che alcune esenzioni richieste per periodi illimitati o eccessivamente lunghi fossero soggette a limiti di tempo proporzionati e ha respinto una richiesta di esenzione fiscale per gli oli usati in quanto sarebbe stata in contraddizione con la politica ambientale dell'UE. |
2.2 |
La direttiva proposta garantirebbe che i principi che hanno retto la concessione di periodi transitori agli attuali Stati membri trovassero uguale applicazione nel caso degli Stati in fase di adesione. Le misure proposte sarebbero quindi:
|
2.3 |
Dal momento che gli attuali Stati membri dell'UE hanno ottenuto esenzioni temporanee dagli obblighi delle direttive, la Commissione europea ha accettato che i paesi candidati possano aver bisogno di un orizzonte temporale più ampio per l'applicazione delle disposizioni delle direttive. Lo scopo della proposta in esame è quindi quello di fissare un calendario preciso e l'estensione dell'esenzione temporanea o delle riduzioni temporanee dei livelli di tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità in ciascuno dei dieci paesi candidati. Per ciascun paese si procede ad una valutazione separata basata sui suoi bisogni specifici. |
2.4 |
In ultima analisi, la Commissione sostiene che la revisione proposta è motivata e proporzionata e a vantaggio degli Stati aderenti. Sollecita pertanto una rapida applicazione della proposta per evitare un vuoto giuridico al momento dell'allargamento. |
3. Osservazioni
3.1 |
Il Comitato economico sociale europeo nel suo parere in merito alla Proposta di direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità (CESE 1194/1997) approvava con forza l'idea che le tasse ambientali non dovevano determinare una pressione fiscale generale più alta. Sosteneva che per garantire una fiscalità neutrale, l'imposizione del fattore lavoro doveva essere ridotta in proporzione. A suo parere le tasse ambientali non avrebbero dovuto causare una minore competitività delle aziende europee e una perdita di posti di lavoro. Affermava poi che le categorie a basso reddito non avrebbero dovuto trovarsi ad affrontare maggiori difficoltà. Questa posizione è pertinente anche per la situazione degli Stati in fase di adesione. |
3.2 |
Il Comitato apprezza il fatto che la Commissione abbia preteso una giustificazione dettagliata per ogni richiesta presentata dagli Stati in fase di adesione e che essa abbia proceduto ad una valutazione effettiva e coerente di tali richieste. |
3.3 |
Nella maggioranza degli Stati in fase di adesione l'elettricità e i prodotti energetici usati per il riscaldamento non sono soggetti ad accise. È chiaro che l'improvvisa imposizione delle aliquote minime delle accise applicabili nell'UE potrebbe causare un fenomeno inflazionistico significativo e determinare un improvviso aumento dei costi sopportati dalle famiglie. Ciò determinerebbe nella maggioranza dei cittadini degli Stati in fase di adesione una reazione estremamente negativa nei confronti del progetto comunitario. |
3.4 |
Le economie degli Stati in fase di adesione necessitano di un'ingente assistenza finanziaria per avviarsi verso lo sviluppo e l'integrazione con gli attuali 15 Stati membri dell'UE. Un'improvvisa imposizione delle aliquote minime delle accise applicate nell'UE ostacolerebbe lo sviluppo sociale e economico, specialmente nelle aree più povere. Ciò provocherebbe un ampliamento del divario tra le aree ben sviluppate e quelle meno sviluppate; si potrebbe così assistere al manifestarsi di crescenti tensioni sociali. |
3.4.1 |
Secondo dati pubblicati di recente e relativi al 2001, il PIL pro capite nel 90 % delle regioni dei paesi in fase di adesione è inferiore al 75 % della media dell'UE a 15. Vi sono poi dieci regioni in cui il PIL pro capite è inferiore al 35 % di tale media e cinque regioni polacche con un PIL inferiore al 32 % di questa stessa media. |
3.4.2 |
A 5 paesi in fase di adesione sono stati concessi periodi transitori per applicare l'aliquota minima per i carburanti prevista dalla direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici. Ciò causerà gravi distorsioni del mercato dei carburanti specie nelle aree di confine in cui il carburante è molto meno caro dal lato della frontiera che si trova nel paese in via di adesione. Molti distributori al dettaglio di carburanti dal lato della frontiera in cui le aliquote sono più alte dovranno cessare l'attività mentre quelli dall'altro lato della frontiera otterranno profitti inattesi. |
4. Conclusioni
4.1 |
Il Comitato raccomanda che la Commissione sorvegli la situazione del mercato dei carburanti con attenzione e se necessario riveda le concessioni in materia se la distorsione della concorrenza diventa eccessiva. |
4.2 |
Il Comitato raccomanda inoltre alla Commissione di procedere a una revisione periodica delle concessioni che coprono un periodo di tempo lungo per stabilire se tali concessioni continuino a garantire un uso efficiente dell'energia, a essere compatibili con la necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica e di offrire incentivi alla riduzione di tali emissioni. |
4.3 |
Dato che gli attuali Stati membri dell'UE hanno ottenuto esenzioni temporanee in questo campo, è ovviamente opportuno, sia per ragioni di principio che per l'esistenza di un precedente, che gli Stati in fase di adesione possano avvalersi di esenzioni temporanee per un periodo di tempo leggermente più lungo laddove ciò sia giustificato. |
4.4 |
L'approvazione delle direttive in esame prima del 1o maggio 2004 sarà per gli Stati in fase di adesione un segnale politico fondamentale del nostro pieno impegno per il loro sviluppo. |
4.5 |
Il Comitato raccomanda l'approvazione delle direttive in esame. |
Bruxelles, 31 marzo 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale
Roger BRIESCH
(1) Direttiva COM (2004) 185 def.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/105 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La diversificazione economica nei paesi in via di adesione – il ruolo delle PMI e delle imprese dell'economia sociale
(2004/C 112/27)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 luglio 2003, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema La diversificazione economica nei paesi in via di adesione – il ruolo delle PMI e delle imprese dell'economia sociale.
La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FUSCO e dal correlatore GLORIEUX.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.
1. Introduzione: definizioni e obiettivi
1.1 |
L'adesione di dieci nuovi paesi all'Unione europea è un avvenimento storico senza precedenti, sia per il numero di paesi interessati che per il profondo cambiamento socioeconomico che comporta per tali Stati e per l'Europa nel suo complesso. In tale prospettiva, e conformemente all'obiettivo prioritario, indicato dal Presidente BRIESCH nel discorso dell'11 dicembre 2002, di rafforzare la presenza del CESE nei dibattiti sul futuro dell'Europa, il presente parere d'iniziativa intende contribuire a sottolineare la partecipazione della società civile e delle sue organizzazioni al processo di formazione dell'opinione politica nel corso di questo periodo di allargamento (1). |
1.2 |
Il presente parere intende inoltre contribuire al dibattito sia sulle conseguenze dell'allargamento descritte nella relazione Ampliamento dell'Unione europea - Risultati e sfide presentata da Wim KOK il 26 marzo 2003, sottolineando il ruolo svolto dalle piccole e medie imprese (PMI) e dalle imprese dell'economia sociale (IES) nell'ambito della diversificazione economica (e delle sue ripercussioni sociali) nei paesi in via di adesione, sia sulla sfida della piena integrazione di questi ultimi nel mercato unico. Il Comitato desidera contribuire alle diverse iniziative comunitarie volte a garantire che l'adesione di questi paesi all'UE abbia esito positivo su tutta la linea, anche per quanto riguarda la coesione socioeconomica nella fase di trasformazione industriale in corso. |
1.3 |
Le PMI, termine che include anche le microimprese che pure hanno caratteristiche proprie, sono imprese che rispondono a precisi criteri numerici, definiti dalla Commissione europea (cfr. tabella 1 in allegato) (2). |
1.4 |
Le IES rientrano in un insieme di quattro diverse categorie: cooperative, mutue, associazioni e fondazioni. Sono imprese caratterizzate dal primato del loro obiettivo sociale sulla massimizzazione del profitto, il che crea spesso un legame con il territorio e lo sviluppo locale, e dalla soddisfazione di bisogni che gli altri settori dell'economia non possono soddisfare da soli. I loro valori di fondo sono: solidarietà, coesione sociale, responsabilità sociale, gestione democratica, partecipazione, autonomia (3). |
1.5 |
Nel marzo del 2000 il Consiglio europeo di Lisbona ha fissato l'obiettivo di fare dell'Europa l'economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva del mondo, sottolineando nel contempo la necessità di «creare un ambiente favorevole all'avviamento e allo sviluppo di imprese innovative, specialmente di PMI» e aggiungendo che «la competitività e il dinamismo delle imprese dipendono direttamente da un contesto normativo propizio all'investimento, all'innovazione e all'imprenditorialità» (4). Su questa base il Consiglio europeo di Feira del 19 e 20 giugno 2000 ha approvato la Carta europea per le piccole imprese, in cui si afferma che «le piccole imprese sono la spina dorsale dell'economia europea» e che «sono una fonte primaria di posti di lavoro e un settore in cui fioriscono le idee commerciali» (5). Per di più la strategia di Lisbona annovera la crescita economica tra i fattori chiave per garantire la coesione sociale in Europa. La Commissione ha successivamente osservato che l'attuazione dell'agenda di Lisbona pone diverse sfide: il bisogno di aumentare l'offerta occupazionale e il tasso d'occupazione, il bisogno di migliorare le conoscenze tecniche, il bisogno di garantire un flusso ordinato dall'agricoltura e dall'industria verso i servizi senza aggravare le disparità regionali all'interno dei singoli paesi (6). |
1.6 |
Nel suo parere 242/2000 (7) il Comitato ha sottolineato l'importanza delle imprese dell'economia sociale, indicando che esse svolgono una funzione fondamentale per il pluralismo imprenditoriale e la diversificazione dell'economia (8). La maggior parte delle IES è compresa nella definizione standard di PMI adottata dall'UE (9). In genere anche quelle che, per dimensione, non rientrano nella definizione presentano caratteristiche in comune con le PMI, quali un modesto tasso di investimento esterno, l'assenza di quotazione in borsa, la vicinanza dei proprietari-azionisti e uno stretto rapporto con il tessuto locale. |
1.7 |
La Commissione ha riconosciuto che le PMI costituiscono il fondamento dell'industria europea, poiché rappresentano il 66 % dell'occupazione complessiva e il 60 % del valore aggiunto totale nell'UE escluso il settore agricolo. Nel 1999 la quota delle PMI sull'occupazione totale dei paesi candidati era ancora più elevata: il 72 %, escluso il settore agricolo. La quota di posti di lavoro più significativa è quella delle microimprese (meno di dieci dipendenti), pari al 40 % dell'occupazione totale (10), pertanto questa categoria di imprese merita un'attenzione particolare (cfr. tabella 2 in allegato). |
1.8 |
Nell'UE l'importanza socioeconomica delle imprese e delle organizzazioni dell'economia sociale è in crescita: con circa 9 milioni di unità di lavoro (o equivalente tempo pieno -ETP), rappresentano il 7,9 % del lavoro dipendente in ambito civile (11). Inoltre esse interessano una parte considerevole della società civile, dato che si stima che oltre il 25 % dei cittadini dell'UE ne facciano parte in quanto produttori, consumatori, risparmiatori, inquilini, assicurati, studenti, volontari, ecc. Nei paesi in via di adesione e candidati dell'Europa centrale e orientale, le sole cooperative sono stimate a 15 000 unità, forniscono oltre 700 000 posti di lavoro, contano quasi 15 milioni di soci e, dopo un periodo di recessione, registrano attualmente una nuova fase di crescita (12). Le IES si stanno diffondendo soprattutto in settori quali la sanità, l'ambiente, i servizi sociali e l'istruzione (13). Svolgono quindi un ruolo essenziale per la creazione di capitale sociale, la capacità di assumere persone svantaggiate, il benessere sociale, la rinascita dell'economia locale e l'ammodernamento dei modelli di gestione locale. Hanno messo a punto dei sistemi di bilancio societario, in cui è valutato il loro impatto sociale e ambientale. |
1.9 |
In diversi Stati membri attuali dell'UE esiste una notevole interazione fra le PMI convenzionali e le IES. Le banche cooperative spesso finanziano progetti di start-up e di sviluppo di PMI convenzionali. Determinate strutture dell'economia sociale hanno dimostrato la loro utilità nel rafforzamento delle PMI convenzionali, quando queste ultime le utilizzano per formare fra loro dei sistemi di impresa (reti, gruppi, strutture comuni di sostegno) o realizzare delle economie di scala, nonché per creare dei meccanismi di reciproca garanzia dei prestiti bancari. |
1.10 |
Nel suo parere del 25 settembre 2003«Le trasformazioni industriali: situazione attuale e prospettive future - Un approccio globale», predisposto dalla commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), il Comitato sottolinea la differenza esistente tra il concetto di trasformazione e quello di ristrutturazione, precisando che il primo in realtà è «un concetto molto più dinamico, che, se da una parte ingloba un processo di evoluzione permanente dell'impresa (creazione, sviluppo, diversificazione, trasformazione), dall'altra non può prescindere dal fatto che il mondo dell'impresa è strettamente legato al contesto politico e sociale europeo nel quale si sviluppa e che, a sua volta, influenza il processo di trasformazione industriale (14)». Inoltre, «è oggi importante orientarsi verso un concetto di trasformazione proattivo, nell'ottica di una migliore anticipazione e gestione delle conseguenze economiche, sociali, organizzative, ambientali ecc. delle trasformazioni industriali.» (15) Questo concetto di trasformazione assume particolare importanza di fronte al ritmo sempre più rapido delle ristrutturazioni, in un contesto caratterizzato dalla globalizzazione, dall'allargamento dell'UE, dall'approfondimento del mercato unico e dai mutamenti tecnologici, industriali e sociali. |
1.11 |
Il presente parere tiene conto in particolare della relazione della Commissione «Gestire il cambiamento», del 2 novembre 1998, elaborata da un gruppo d'alto livello presieduto da Piehr GYLLENHAMMER (16), sulla quale il CESE ha espresso un parere critico ma positivo, compiacendosi del fatto che riconosca che le trasformazioni industriali creano nuove possibilità e che ponga l'accento sulla creazione di posti di lavoro, osservando che «è valida anche la strategia generale di ricercare [stimoli con un'impostazione basata] sull'analisi comparativa (benchmarking), sull'innovazione e sulla coesione sociale». Per quanto riguarda le PMI, il Comitato sottolinea che esse non possono risolvere da sole i problemi di un settore industriale in declino o derivanti da crisi gravi e improvvise. Il Comitato è del parere che le trasformazioni più significative vadano gestite con uno sforzo collettivo e tramite partnership territoriali flessibili su base volontaria (17). |
1.12 |
Le trasformazioni industriali iniziate negli anni '90, la concorrenza globalizzata e la crescente concentrazione imprenditoriale pongono sfide enormi alle PMI e alle IES della maggior parte dei paesi in via di adesione alla vigilia del loro ingresso nel mercato unico. Allo stesso tempo, data la loro decisiva importanza socioeconomica, è urgente che l'UE nel suo complesso rifletta sul modo migliore per valorizzarne il ruolo, sostenere il loro processo di adattamento a tali sfide e promuoverne la capacità innovativa e di finanziamento, l'imprenditorialità e la competitività. |
2. Osservazioni sulle peculiarità dei paesi in via di adesione per quanto riguarda le PMI, le IES e le trasformazioni economiche
2.1 Trasformazioni e diversificazioni economiche nei paesi in via di adesione
2.1.1 |
Nel corso del passaggio dall'economia centralizzata all'economia di mercato, i paesi in via di adesione dell'Europa centrale e orientale hanno vissuto una profonda trasformazione nel settore industriale. Hanno subito una brusca liberalizzazione, accompagnata dalla relativa perdita dei tradizionali mercati d'esportazione e da una sensibile riduzione del numero di posti di lavoro nell'industria (18). |
2.1.2 |
Dopo un decennio di ristrutturazioni, le industrie manifatturiere dei paesi dell'Europa centrale e orientale sono ormai vicine al modello dell'UE in termini di strutture produttive e di occupazione. Hanno infatti approfittato degli investimenti diretti esteri per modernizzarsi, aprendo così un divario di produttività e di redditività tra le imprese di proprietà straniera e quelle nazionali. Se alcuni paesi si sono indirizzati verso settori a valore aggiunto più elevato, altri sembrano essere tuttora specializzati in attività ad alta concentrazione di manodopera scarsamente qualificata, con quote di mercato più consistenti in determinati rami industriali (19). Tra l'altro, l'industria ha recuperato posizioni soprattutto nei grandi centri urbani, cosa che in futuro rischia di accentuare il divario tra le regioni (20). Esiste anche il rischio che le imprese di questo tipo siano delocalizzate nei paesi confinanti con la futura UE man mano che nei paesi in via di adesione aumenterà il costo della manodopera. |
2.1.3 |
Le trasformazioni industriali in concomitanza con l'allargamento comprendono anche una crescita del commercio intraindustriale e di altri tipi di partnership (joint ventures, fusioni, associazioni momentanee, ecc.) tra i paesi in via di adesione e gli Stati membri dell'UE (21), oltre che degli accordi di subfornitura tra PMI e grandi imprese. Si tratta di un'evoluzione decisiva per realizzare una ripartizione più equa dei benefici dell'allargamento e un'integrazione meno conflittuale nel mercato unico. Se le economie di scala che ne risulteranno saranno significative, potrà accentuarsi la complementarità tra le grandi imprese e le PMI e queste ultime potranno svolgere un ruolo essenziale come imprese di subfornitura e prestatrici di servizi. |
2.1.4 |
La quota dei servizi di mercato sul PIL dei paesi in via di adesione continua a crescere e nel 2001 ha raggiunto il 54 %, ma in un contesto di subfornitura e di interconnessione tra industria e servizi. Ciononostante, nel 2001 l'industria forniva ancora il 33 % del PIL e anche in futuro continuerà ad avere grande peso (22). |
2.1.5 |
Se si escludono i servizi di mercato di cui sopra e si considera che, in termini assoluti, tra il 1994 e il 2000 la maggior parte dei nuovi posti di lavoro è stata creata nel settore dei servizi, si vedrà che nei servizi alla collettività l'occupazione ha conosciuto un incremento molto scarso o è addirittura diminuita (23). In questo settore, di grande importanza socioeconomica, sussiste ancora un divario considerevole tra i paesi in via di adesione e gli Stati membri dell'UE, sia a livello economico che occupazionale (24). |
2.1.6 |
Il Comitato osserva però che, nei paesi in via di transizione, le PMI tendono ad essere più flessibili e a presentare un maggiore potenziale innovativo rispetto alle grandi imprese e una produttività generalmente superiore nei servizi e in settori di nicchia dell'industria manifatturiera: sono insomma più inclini allo spirito imprenditoriale. Il tasso di mortalità delle imprese, comprese le PMI, resta tuttavia molto elevato, anche se in certi paesi (25) il rapporto tra i tassi di natalità lordo e netto delle PMI è più favorevole rispetto a diversi Stati membri dell'UE (cfr. tabella 4). |
2.2 L'impatto sociale delle trasformazioni
2.2.1 |
L'analisi dell'evoluzione dei posti di lavoro per categoria dimensionale registrata nei paesi candidati dal 1995 al 1999 indica che l'occupazione è sensibilmente cresciuta nelle PMI, mentre ha subito una contrazione nelle grandi imprese (cfr. tabella 3 in allegato). Tuttavia, secondo la relazione dell'Osservatorio delle PMI europee, questa crescita, che può essere dovuta sia alla perdita di posti di lavoro nelle grandi imprese che alla loro sostituzione da parte delle PMI, non ha compensato il calo complessivo dell'occupazione (26). |
2.2.2 |
La fase di transizione ha comportato un'accentuazione della povertà e della disuguaglianza (27). Uno dei problemi è che, stando alle analisi effettuate (basate su dati incompleti), le donne sono chiaramente svantaggiate sul mercato del lavoro (28). |
2.2.3 |
In questi ultimi anni i sistemi di protezione sociale e sanitaria dei paesi in via di adesione sono stati oggetto di numerose riforme. Certamente, i problemi che affliggono questi paesi sono in larga misura gli stessi che negli Stati membri attuali: incremento della spesa e stagnazione o diminuzione delle entrate. Tuttavia, in generale le condizioni di salute della popolazione sono nettamente peggiori rispetto alla media europea. La speranza di vita è di sei anni inferiore a quella fatta registrare negli Stati membri (29). |
2.3 Ruolo e sfide delle PMI e delle IES nei paesi in via di adesione
2.3.1 |
L'attuale disavanzo delle partite correnti nei paesi in via di adesione e i vincoli del patto di stabilità faranno pesare sulla spesa pubblica tensioni supplementari (30). È quindi necessario individuare modalità innovative per soddisfare i bisogni d'interesse generale (31), un ambito nel quale soprattutto le IES possono svolgere una funzione rilevante, come già avviene in parecchi paesi dell'UE (32). Ciò è ancora più importante nelle regioni deindustrializzate, dove in genere gli investimenti convenzionali sono carenti, e nelle regioni rurali, dove si assiste alla scomparsa di numerose PMI agricole. Già oggi, in buona parte dei paesi in via di adesione e dei paesi candidati dell'Europa centrale e orientale, le IES sono di gran lunga il principale datore di lavoro per i disabili. |
2.3.2 |
La Carta europea per le piccole imprese riconosce non solo che queste sono «la spina dorsale dell'economia europea», ma anche che sono «più sensibili ai cambiamenti del contesto economico», tanto più nei paesi in procinto di aderire all'UE, che insieme hanno adottato ufficialmente la Carta europea (33). Per la capacità delle PMI e delle IES di fronteggiare la concorrenza nel mercato unico, la sfida è nettamente più ardua che in tutti i precedenti allargamenti. Tra le principali limitazioni che pesano su queste categorie di imprese si possono ricordare la mancanza di manodopera qualificata, la difficoltà nell'accedere ai finanziamenti e gli adempimenti amministrativi (cfr. tabella 5 in allegato). |
2.3.3 |
Nel Libro verde sull'imprenditorialità in Europa, la Commissione afferma che le IES, dovendo applicare «l'efficienza e i principi imprenditoriali nel perseguire obiettivi sociali e societari, … incontrano particolari difficoltà nell'accedere ai finanziamenti, alla formazione manageriale e alla consulenza» (34). La sfida è ancora più ardua nei paesi in via di adesione, in cui le IES devono affrontare ulteriori problemi. In particolare, le cooperative sono spesso viste come un retaggio del regime precedente, pur essendo nate in realtà un secolo e mezzo fa ed essendosi generalmente bene adattate all'introduzione dell'economia di mercato. Le regole e i pregiudizi cui sono soggette spesso limitano il loro accesso al mercato. Eppure, nelle economie in transizione, l'abbinamento tra piccole cooperative di produzione, risparmio locale cooperativo, istituti di credito cooperativi ed enti locali (in veste di sostenitori, garanti e a volte detentori di una quota di partecipazione finanziaria negli organismi di produzione o di finanziamento) è un fenomeno del tutto naturale (35). |
2.3.4 |
Nei paesi in via di adesione le PMI e le IES fungono da importante strumento di occupazione e di reinserimento occupazionale nel quadro delle grandi trasformazioni industriali in corso, che vedono il passaggio da settori in declino e che riducono la forza lavoro verso settori tradizionali (artigianato, mestieri) e altri settori in espansione, quali i servizi alle imprese, le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, l'alta tecnologia, le costruzioni e i lavori pubblici, i servizi di prossimità (anche sanitari) e il turismo. |
2.3.5 |
In questa trasformazione le PMI e le IES possono svolgere un ruolo importante secondo diverse modalità, la cui sperimentazione nei paesi dell'UE ha dato origine, in molti casi, a buone pratiche: mediante l'inserimento di nuovi soggetti nel mercato del lavoro, mediante il sostegno alla capacità innovatrice delle microimprese e delle piccole imprese, mediante il reinserimento di lavoratori licenziati da industrie costrette a riduzioni collettive del personale per non chiudere, mediante la creazione di istituti di previdenza sociale, mediante la creazione di nuove imprese (start-up) nei settori in espansione, mediante lo sviluppo dei servizi e della subfornitura, mediante il trasferimento ai dipendenti della proprietà delle imprese in crisi e mediante una trasformazione qualitativa all'interno di un dato settore di attività. Inoltre, le IES possono fornire un contributo specifico alla trasformazione, sia mediante la loro capacità di formare all'imprenditorialità, di cui hanno già dato prova negli attuali Stati membri, sia attraverso i valori che promuovono, ad esempio un'imprenditoria socialmente responsabile, la democrazia e la partecipazione civica, il coinvolgimento - anche finanziario - del personale nella gestione dell'impresa, l'inclusione sociale, l'interesse per lo sviluppo locale e lo sviluppo sostenibile. |
2.3.6 |
La regolarizzazione dell'economia sommersa è un altro nodo da sciogliere nei paesi in via di adesione. Questa componente dell'economia, secondo uno studio pubblicato nel 2003 dall'Università delle Nazioni Unite (36), data la sua instabilità non può fungere da motore della crescita o dell'accumulo di capitale, poiché la sua funzione primaria consiste nel sopravvivere sostenendo i consumi. L'economia sommersa pregiudica le normative sul lavoro e a lungo termine determina effetti macroeconomici negativi, come l'erosione del sistema fiscale, della base del mercato dei cambi e della protezione sociale, compromettendo così l'efficacia della gestione macroeconomica. Questo tipo di economia mantiene una struttura settoriale irrazionale, con una predominanza assoluta delle microimprese e un basso livello di capitalizzazione, un carattere scarsamente imprenditoriale e una tecnologia in rapida obsolescenza. Data l'intensificazione della concorrenza che farà seguito all'adesione all'UE, è urgente che una politica industriale per i paesi in via di adesione affronti questa realtà preoccupante che le autorità di tali paesi dovrebbero gestire con fermezza. |
3. Raccomandazione riguardante un programma integrato per la promozione delle PMI e delle IES nell'ambito della diversificazione economica dei paesi in via di adesione
3.1 Considerazioni generali
Le caratteristiche comuni alle PMI (comprese le microimprese) e alle IES (cfr. punto 1.6) e l'interazione positiva esistente fra di loro (cfr. punti 1.9 e 2.3.5) sono argomenti convincenti per lanciare un nuovo sforzo combinato a livello dell'UE per la promozione e il sostegno di questo tipo di imprese. Le sfide particolarmente gravose che le PMI e le IES devono affrontare nella congiuntura dell'adesione (cfr. sezione 2) rendono particolarmente importante l'avvio di misure di sostegno che consentano a questi due tipi di imprese di fornire un contributo efficace allo sviluppo dei nuovi Stati membri.
Il Comitato ha preso atto dei programmi esistenti per il sostegno delle PMI in particolare, ma osserva altresì che le strutture per il sostegno alle IES e per la promozione di iniziative congiunte fra PMI e IES sono insoddisfacenti.
Di conseguenza il Comitato propone che venga lanciato un programma integrato per il sostegno delle PMI e delle IES dei paesi di prossima adesione. Un siffatto programma dovrebbe essere promosso congiuntamente dalla Commissione europea, dalla Banca europea per gli investimenti, dal Fondo europeo per gli investimenti, dai governi dei paesi interessati e dalle organizzazioni di rappresentanza e sostegno delle PMI e delle IES a livello europeo e nazionale. I fondi strutturali, che saranno accessibili ai paesi in via di adesione a partire dal maggio 2004, dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano nel finanziamento delle attività del programma integrato. Dovrebbe anche essere realizzato un collegamento con il piano d'azione legato alla comunicazione della Commissione sull'imprenditorialità.
3.2 Programma in dieci punti
3.2.1 Integrare i dati
Nella maggior parte dei paesi in via di adesione i dati statistici sulle PMI e sulle IES, nonché sulle rispettive organizzazioni di rappresentanza e sostegno, sono ancora insufficienti e mancano di uniformità (37). Le IES fanno registrare imprecisioni ancora più gravi rispetto alle PMI convenzionali. Questi paesi, infatti, non dispongono ancora di dati precisi sulle IES al di fuori di quelli forniti dalle federazioni che le riuniscono, laddove esistono. Il Comitato considera quindi particolarmente necessaria la proposta della Commissione europea di affiancare agli istituti statistici nazionali un sistema di contabilità satellite, già sperimentato in alcuni Stati membri (38), effettuando un sistema di raccolta dei dati sufficientemente semplice e chiaro, affinché le PMI e le IES possano fornire tali dati senza difficoltà (39).
3.2.2 Migliorare la conformità all'acquis comunitario e la sua effettiva attuazione, nonché il quadro giuridico e amministrativo
3.2.2.1 |
Nonostante gli sforzi considerevoli che stanno compiendo i paesi in via di adesione prima per recepire l'acquis comunitario nelle legislazioni e nelle normative nazionali, poi per dargli attuazione per mezzo di politiche pubbliche, questo lavoro è ancora molto incompleto per quanto riguarda l'acquis attinente alle PMI e alle imprese dell'economia sociale, specie negli ambiti delle politiche d'impresa, della promozione delle PMI, dell'occupazione, della politica sociale, dell'inclusione sociale, della responsabilità sociale delle imprese, in particolare per quanto riguarda il rispetto dell'ambiente, ecc. Questo processo andrà notevolmente potenziato, soprattutto fornendo indicazioni al personale amministrativo e aiutando le PMI e le IES a conformarsi progressivamente alle normative comunitarie con l'appoggio della Commissione europea. I lavori in corso nel campo dell'acquis e della sua attuazione nel quadro del Phare-Business Support Programme dovrebbero essere proseguiti. Del resto i paesi in via di adesione, pur avendo notevolmente perfezionato la propria legislazione sulle PMI (soprattutto in tema di fallimenti), fanno tuttora registrare progressi molto scarsi per quanto riguarda la legislazione tendente a promuovere le imprese dell'economia sociale. Le ultime modifiche apportate alla legislazione sulle cooperative in alcuni paesi in via di adesione equivalgono addirittura a passi indietro. In molti di questi paesi la disciplina relativa alle cooperative e agli altri tipi di IES dovrebbe quindi essere riformata e convergere maggiormente con lo statuto della società cooperativa europea (e i futuri statuti dell'associazione europea e della mutua europea). Andrebbero avviati scambi e studi comparativi sulle specifiche normative riguardanti le PMI e le IES. D'altro canto i costi previsti dalla legislazione di numerosi paesi in via di adesione in caso di costituzione di un'impresa dell'economia sociale andrebbero ridotti, considerando anche che queste imprese non possono fare appello agli investimenti esterni e in genere rimangono radicate nel tessuto locale. |
3.2.2.2 |
Perché le condizioni di accesso al mercato unico siano davvero eque, occorre modificare quanto prima le norme che, in diversi paesi in via di adesione, limitano l'accesso delle IES agli appalti pubblici. Nel settore degli appalti come in quello fiscale, occorre anche tener conto del prezzo in termini di produttività che pagano alcune PMI, soprattutto le IES (40), per aver attuato scelte come l'assunzione di persone svantaggiate o l'applicazione delle norme sociali e ambientali al di là del minimo prescritto per legge (41). |
3.2.3 Promuovere attivamente l'imprenditorialità attraverso l'informazione e l'istruzione
3.2.3.1 |
Mentre sembra che si siano compiuti notevoli progressi nella semplificazione delle procedure per costituire una PMI, soprattutto con la creazione di centri informativi a livello locale, resta ancora molto da fare, nei paesi in via di adesione, perché i poteri pubblici si impegnino attivamente in un'analoga azione informativa a favore delle IES. Inoltre, tali centri informativi dovrebbero promuovere maggiormente i mestieri tradizionali e i settori più promettenti, come i servizi alle imprese, i servizi di prossimità, i servizi sanitari, le attività legate alle TIC e il turismo. |
3.2.3.2 |
Il Comitato si compiace del fatto che, secondo la Carta europea per le piccole imprese, «specifici moduli imprenditoriali» costituiscono «una componente fondamentale dei programmi educativi a livello d'istruzione universitaria» nonché di «opportuni programmi di formazione per i manager delle piccole imprese». Tuttavia tale obiettivo sembra ben lungi dall'essere stato realizzato nella maggior parte dei paesi in via di adesione. Occorre inoltre che questi programmi formativi comprendano anche una trattazione delle imprese dell'economia sociale, cosa che in genere oggi non avviene. Il potenziale che presentano le imprese dell'economia sociale per la formazione all'imprenditoria, rilevato negli Stati membri dell'UE, dovrebbe essere valorizzato, promuovendo fra l'altro la formazione da impresa a impresa e dando ai dirigenti di tali imprese la possibilità di confrontare le loro esperienze in appositi centri per la formazione in gestione d'impresa. |
3.2.4 Promuovere i centri di sostegno e di consulenza alla creazione, allo sviluppo e ai trasferimenti di proprietà delle imprese
3.2.4.1 |
Per quanto la creazione di nuove imprese debba continuare ad essere fortemente incoraggiata, soprattutto nei settori più promettenti, non va dimenticato quanto è importante per le trasformazioni industriali in atto che abbiano esito positivo i trasferimenti di proprietà delle imprese senza eredi o in crisi. Le successioni concluse positivamente possono salvaguardare non soltanto l'attività dell'impresa, ma anche i posti di lavoro indotti e quindi una parte consistente del tessuto socioeconomico locale (42). Negli Stati membri dell'UE il trasferimento della proprietà dell'impresa ai dipendenti, soprattutto per mezzo di IES, presenta un tasso di successo particolarmente elevato nei casi in cui vi è stato un accompagnamento adeguato. Ci si può utilmente avvalere di tale esperienza per tutti i tipi di trasferimento di PMI. |
3.2.4.2 |
Nel corso di tutta la vita dell'impresa, compresa la sua costituzione e il trasferimento della proprietà, le PMI e le IES hanno bisogno di una reale politica di sostegno nonché di validi servizi di appoggio, consulenza e accompagnamento in tema di strategia d'impresa, design, innovazione, know-how tecnologico, ricerca e sviluppo, certificazione di qualità e così via, come dimostrano tra l'altro diversi esperimenti riusciti nei distretti industriali nell'UE. L'enfasi andrebbe posta, tra l'altro, sulla collaborazione fra centri di sostegno e università nonché sulla promozione dell'imprenditorialità tra le donne e i giovani. Occorre altresì incoraggiare il sostegno alla commercializzazione e all'esportazione dei prodotti delle PMI e delle IES, specie mediante il riconoscimento dei prodotti tipici, e coinvolgere le camere di commercio e dell'artigianato e le organizzazioni professionali nella promozione di tali prodotti. |
3.2.5 Migliorare le condizioni di finanziamento e di accesso ai finanziamenti
3.2.5.1 |
Per le PMI e le IES appena costituite oppure oggetto di successione la questione della disponibilità di capitale assume un rilievo fondamentale. Migliorare il quadro finanziario di sostegno alla creazione e allo sviluppo di questi tipi di imprese, migliorare l'accesso ai fondi strutturali e accogliere con favore le iniziative della Banca europea per gli investimenti, come propone la Carta europea per le piccole imprese, sono presupposti essenziali almeno quanto i servizi di sostegno. Il Comitato propone di lanciare un meccanismo finanziario comprendente diversi strumenti per intervenire sull'intero ciclo di crescita delle PMI e delle IES dei paesi in via di adesione, con la partecipazione della BEI, del Fondo europeo per gli investimenti e delle banche dell'economia sociale, nonché finanziamenti attraverso i fondi strutturali (43). Si dovrebbero incoraggiare anche sistemi finanziari per un sostegno pubblico alle PMI e alle IES appena costituite oppure oggetto di successione e sistemi volti a produrre un effetto di trascinamento tramite fondi di solidarietà, come quelli sperimentati con successo in alcuni paesi europei (44). |
3.2.5.2 |
Occorre altresì sottolineare il ruolo che possono svolgere le reti della finanza etica e solidale nell'offerta di strumenti finanziari adattati alle PMI e alle IES dei paesi di prossima adesione. Il parlamento italiano lo ha evidenziato in una risoluzione adottata all'unanimità nell'ottobre 2003. Vi si sottolinea che diverse organizzazioni della finanza alternativa stanno già lavorando a un progetto comune che possa fungere da volano per le realtà emergenti (45). |
3.2.5.3 |
Andrebbe inoltre promossa la formazione di società di reciproca garanzia tra le PMI e le IES che in tal modo potrebbero garantirsi reciprocamente crediti bancari, un sistema che ha dato buoni risultati in diversi paesi dell'UE, spesso sotto forma cooperativa, mutualistica o associativa (46). |
3.2.5.4 |
Il Comitato sottolinea che va incoraggiata anche l'opera svolta da IES specializzate, come le mutue che operano negli Stati membri dell'UE, a difesa del finanziamento solidale della spesa derivante dalle malattie, dall'invalidità e dalle pensioni. |
3.2.6 Promuovere le PMI e le IES nel quadro dello sviluppo locale
Le PMI e le IES fanno parte del tessuto economico locale e svolgono quindi un ruolo essenziale per lo sviluppo locale. Ciò dovrebbe spingere gli enti territoriali a concludere con esse partenariati attivi a questo fine (47). I partenariati tra enti territoriali e operatori dell'economia sociale già avviati nei paesi dell'UE andrebbero pubblicizzati attivamente nei paesi in via di adesione (48).
3.2.7 Sostenere lo sviluppo di sistemi imprenditoriali
La Carta europea per le piccole imprese sottolinea tra l'altro che è necessario costituire gruppi, raggruppamenti, reti e cluster di imprese. L'esperienza maturata nei paesi dell'UE, soprattutto da raggruppamenti e consorzi di cooperative e di mutue, spesso su base territoriale o settoriale, mostra che lo sviluppo di sistemi imprenditoriali può rivelarsi fondamentale per le PMI e per le IES allo scopo di definire congiuntamente strategie imprenditoriali di lungo periodo, accrescere le loro dimensioni nel settore o nella regione, svilupparne la capacità tecnologica e migliorarne la competitività, pur conservando una capacità decisionale autonoma. Del resto, l'allargamento e l'approfondimento del mercato unico depongono a favore dell'utilizzo dello strumento transeuropeo della società cooperativa europea da parte delle PMI e delle IES degli attuali e dei nuovi Stati membri dell'UE. Il Comitato ritiene che l'elaborazione di questi diversi sistemi d'impresa dovrebbe essere attivamente incoraggiato nei paesi in via di adesione.
3.2.8 Potenziare la rappresentanza istituzionale delle PMI e delle IES.
Il Comitato ritiene che, nei paesi in via di adesione, occorra sviluppare, consolidare e rendere più efficace la difesa degli interessi delle PMI e delle IES da parte di organizzazioni rappresentative, la capacità di queste ultime di negoziare con i pubblici poteri, la loro azione strategica di promozione dei servizi di sostegno all'impresa e i collegamenti tra tali organizzazioni a ogni livello. Queste due categorie di imprese devono far sentire la propria voce in quanto elementi fondamentali del tessuto socioeconomico. Di qui l'importanza di proseguire la significativa opera avviata dal Phare-Business Support Programme per contribuire al rafforzamento delle organizzazioni rappresentative delle PMI e delle IES nei paesi in via di adesione e nei paesi candidati dell'Europa centrorientale (49).
3.2.9 Sviluppare il dialogo sociale.
Le PMI e le IES dei paesi in via di adesione devono anche essere considerate nella loro veste di datori di lavoro, anche se nel loro ambito il lavoro dipendente convenzionale è affiancato da forme di lavoro autonomo e associato. In quanto datori di lavoro, tali imprese devono impegnarsi a rispettare le norme europee e mondiali sul lavoro. Inoltre, le loro organizzazioni rappresentative devono impegnarsi come soggetti indipendenti nel dialogo sociale, riguardante non solo i rapporti di lavoro ma anche l'insieme delle politiche sociali, con le organizzazioni sindacali e gli altri soggetti economici e sociali ad ogni livello. Delle attività in tal senso andrebbero attivamente promosse nel quadro del programma proposto dal Comitato.
3.2.10 Avviare e approfondire attività di scambio di buone pratiche tra le PMI e le IES dell'UE attuale e quelle dei paesi in via di adesione.
Le iniziative della Commissione europea (50) dimostrano che è necessario far beneficiare sistematicamente le PMI e le IES dei paesi in via di adesione dell'esperienza maturata da imprese comparabili dei paesi dell'UE, in ciascuno degli ambiti trattati nei punti dal 3.2.1 al 3.2.9. Sono da incoraggiare soprattutto gli sforzi compiuti dalla Commissione per creare una rete di scambio di buone pratiche in materia di qualità dei servizi di sostegno alle PMI. Tali scambi permettono ai soggetti imprenditoriali dei paesi in via di adesione di migliorare la propria strategia di sviluppo, grazie alla riflessione strategica suscitata dai modelli d'eccellenza proposti, e di affermarsi sempre più come soggetti di cui i poteri pubblici devono tener conto nelle loro politiche.
4. Conclusioni
4.1 |
Il Comitato riconosce che il successo e l'efficacia delle PMI e delle IES non sono automatici e non dipendono esclusivamente dalle imprese stesse. Le loro possibilità di svilupparsi e di assolvere al proprio ruolo nelle economie in transizione e nella diversificazione economica dei paesi in via di adesione devono essere favorite da un contesto propizio che tenga conto delle loro peculiarità. Tale contesto dovrebbe essere promosso mediante un programma specificamente destinato a questi paesi che comprenda le dieci componenti elencate sopra. Il Comitato invita la Commissione a promuovere un programma di questo tipo per le PMI e le IES dei paesi in via di adesione. |
4.2 |
Il Comitato, in linea con i suoi pareri e le sue dichiarazioni di questi ultimi anni, intende contribuire sia al lancio di nuove misure di sostegno che al loro seguito. In particolare, nel contesto dei lavori sul mercato interno, il Comitato seguirà da vicino lo sviluppo delle PMI e delle IES nell'UE, riservando particolare attenzione ai nuovi Stati membri. |
4.3 |
Il Comitato ritiene che, in un'Europa allargata, la politica industriale debba tener conto molto più efficacemente delle esigenze e delle sfide delle PMI e delle IES nei paesi in via di adesione. Richiama quindi l'attenzione sui loro bisogni, ovvero l'istruzione e la formazione in materia gestionale, l'innovazione, la qualità, il design e strumenti di finanziamento e di cooperazione come i cluster, le strutture di secondo e terzo grado, le reti e così via, che saranno sempre più necessari per far fronte alle sfide dell'allargamento e dell'internazionalizzazione. |
4.4 |
Infine il Comitato si impegna - e lancia un appello in questo senso a tutte le istituzioni europee, compresa la Commissione - a sviluppare un approfondito dialogo con tutte le istanze rappresentative e i dirigenti delle PMI e delle IES dei paesi in via di adesione, in modo da affrontare insieme le notevoli sfide con le quali tali imprese devono misurarsi nel corso del processo di adesione dei loro paesi all'UE, nella consapevolezza che è in gioco l'evoluzione storica di tutta l'Europa nel XXI secolo. |
Bruxelles, 1o aprile 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale
Roger BRIESCH
(1) Già nel corso del convegno sull'allargamento svoltosi al CESE dal 14 al 17 novembre 2000, Verso un partenariato per la crescita economica e i diritti sociali, i componenti dei comitati consultivi misti (CCM) coinvolgenti i paesi candidati avevano evidenziato i principali problemi incontrati da questi paesi e la necessità di aprire un confronto su alcuni temi essenziali, fra i quali il contributo delle PMI alle economie nazionali e la mancanza di un dialogo sociale. Cfr. parere del CESE 1635/2003.
(2) Raccomandazione 2003/361/CE, che sostituisce la raccomandazione 96/280/CE (GU L 124 del 20.5.2003, pag. 36) ed entrerà in vigore il 1o gennaio 2005. Le definizioni contenute nella nuova raccomandazione sono identiche a quelle della raccomandazione in vigore. Variano soltanto i fatturati o i totali di bilancio.
(3) B. ROELANTS (a cura di): Dossier di preparazione alla Prima conferenza dell'economia sociale nei paesi dell'Europa centrale ed orientale, 2002, pag. 34. Denominatori comuni individuati in base alle definizioni elaborate dalla Commissione europea, dal Comitato delle regioni, dalla CEP-CMAF (Conferenza europea delle cooperative, delle mutue, delle associazioni e delle fondazioni ) e dal FONDA (legato a organizzazioni che sono all'origine del concetto di economia sociale).
(4) Conclusioni della Presidenza, Lisbona, 23 e 24 marzo 2000, punto 14.
(5) Carta europea per le piccole imprese, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2002. La Commissione sostiene che la Carta è stata riconosciuta a Maribor il 23 aprile 2002 (cfr. http://europa.eu.int/comm/enterprise/enterprise_policy/sme-package/index.htm). Sia il Comitato che il Parlamento continuano a chiedere a viva voce che la Carta sia dotata di valore giuridico e inserita espressamente nel capitolo sull'industria della Convenzione europea.
«Una strategia per il pieno impiego e posti di lavoro migliori per tutti» COM(2003) 6 def.
(6) Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'economia sociale ed il mercato unico; CES 242/2000 del 3 marzo 2000.
(7) In un recente studio (N.d.T.: che non esiste in italiano), l'OCSE precisa che la categoria «economia sociale» è più vasta di quella del «settore non profit», essendo meno condizionata dal vincolo alla non distribuzione che vieta per legge a un'organizzazione del secondo tipo di ridistribuire eccedenze ai propri titolari. (Versione inglese: OECD 2003, The non-profit sector in a changing economy, Parigi, pag. 299).
(8) McINTYRE et al, Small and medium enterprises in transitional economies, Houndmills, Macmillan, pag. 10.
(9) Cfr. la comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni La politica industriale in un'Europa allargata, COM(2002) 714 def.
(10) Ciriec 2000, The enterprises and organisations of the third system: strategic challenge for employment, Università di Liegi.
(11) Calcolo basato sullo studio realizzato nel 1997 dall'Alleanza cooperativa internazionale e finanziato dalla Commissione europea.
(12) Cfr. lo statuto della CEP-CMAF (Conferenza europea permanente delle cooperative, mutue, associazioni e fondazioni).
(13) CESE 1180/2003, punto 2.1.1.
(14) Ibid.
(15) Parere del Comitato economico e sociale sul tema Gestire il cambiamento - Relazione finale del gruppo d'alto livello sulle implicazioni economiche e sociali dei mutamenti industriali, CES 698/99.
(16) Parere del CESE del 7 luglio 1999, GU C 258 del 10.9.1999, punti 3.7.2. e 3.7.3.
(17) Ad eccezione della Polonia e dell'Ungheria cfr. Commissione europea: Impact of enlargement on industry, SEC(2003) 234 del 24 febbraio 2003, pagg. 3-4 della versione inglese (N.d.T.: non esiste in italiano).
(18) Soprattutto nell'industria agroalimentare e delle bevande, nei settori tessile e del legno e nell'industria metallurgica di base.
(19) Ibid. nota 18, pag. 8.
(20) Specie nel caso della Repubblica ceca, della Slovenia, dell'Ungheria e, in misura minore, della Polonia. Questo tipo di scambi interessa i settori tessile, elettrico, ottico e delle attrezzature di trasporto.
(21) Ibid. nota 18, pag. 1 e pagg. 4-5.
(22) Specie in Bulgaria, Ungheria e Polonia.
(23) VIDOVIC, H. The service sectors in Central and Eastern Europe, in: Research Report, settembre 2002, n. 289, pag. 16.
(24) Come la Polonia e la Repubblica ceca.
(25) Sono state registrate perdite nette soprattutto in Lituania e in Slovacchia.
(26) TANG et al., Winners and losers of EU integration, Washington, Banca mondiale, 2002, pag. 8.
(27) L'età è uno dei principali fattori di discriminazione. Altri gruppi vulnerabili sono i disabili e le minoranze come le popolazioni Rom.
(28) Le donne presentano una maggiore tendenza a uscire dal mercato del lavoro in via definitiva rispetto agli uomini. In alcuni paesi in via di adesione, al momento di entrare nel mercato del lavoro sono più soggette degli uomini a restare disoccupate. Fonte: UNECE, Economic Survey of Europe, 1999-1, tabella 41, Gender differences in employment in 1997.
(29) Secondo l'AIM (Associazione internazionale della mutualità), tra i principali problemi si possono ricordare: il rapido aumento della spesa, le lunghe liste d'attesa, una carenza di dati per la valutazione e l'organizzazione dei servizi, i pagamenti sottobanco ai prestatori di servizi sanitari, ecc.
(30) KUMAR et al, Transitional impacts and the EU enlargement complexity, Lubiana, Università di Lubiana, 2002, pagg. 25-36.
(31) TANG et al, 2002, pag. 44.
(32) Soprattutto nel caso del sistema italiano di cooperative sociali. Cfr. altresì il rapporto 2001 sulla procedura BEST (SEC(2001) 1704, 29 ottobre 2001). Le misure descritte nel rapporto BEST costituiscono un'importante fonte di conoscenze per il miglioramento dell'ambiente imprenditoriale nei paesi in via di adesione.
(33) Maribor 2003.
(34) Commissione europea, Libro verde L'imprenditorialità in Europa, COM(2003) 27 def., punto C, ii.
(35) McINTYRE, R., The complex ecology of small enterprises, capitolo 3 di: McINTYRE and DALLAGO (a cura di), Small and Medium Enterprises in Transitional Economies, Palgrave, Macmillan, 2003, in collaborazione con l'Università delle Nazioni Unite e con il World Institute for Development Economics Research, pagg. 49-50.
Le conclusioni della prima Conferenza dell'economia sociale nei paesi dell'Europa centrale e orientale vanno nello stesso senso, cfr. http://www.cecop.org/praha
(36) GLINKINA, S. Small businesses, survival strategies and the shadow economy, cap. 4, in McINTYRE and DALLAGO (eds), 2003, Small and Medium Enterprises in Transitional Economies, Palgrave, Macmillan, in collaborazione con l'Università delle Nazioni Unite e con il World Institute for Development Economics Research.
(37) In particolare, è urgente che le PMI siano classificate secondo il sistema NACE.
(38) Commissione europea, documento di lavoro Le cooperative nell'Europa imprenditoriale, 7 dicembre 2001, pag. 34.
(39) Commissione europea, documento di lavoro Le cooperative nell'Europa imprenditoriale, 7 dicembre 2001, pag. 34.
(40) Va tenuto conto anche della raccomandazione 193/2002 dell'Organizzazione internazionale del lavoro, approvata quasi all'unanimità (con due astensioni) e in particolare dai governi dei quindici Stati membri dell'UE e dei dieci paesi in via d'adesione, soprattutto dell'articolo 7 sulle politiche fiscali e gli appalti pubblici e degli articoli 4 e 6 sull'appartenenza delle cooperative a un settore più vasto comprendente anche le mutue e le associazioni.
(41) Sono comportamenti che rientrano nel concetto di responsabilità sociale delle imprese. Lo sviluppo degli interventi di valutazione (reporting) permetterebbe di tener conto di questi progressi nel percorso verso lo sviluppo sostenibile.
(42) Per di più si è riscontrato che le possibilità di sopravvivenza delle imprese oggetto di successione sono in media superiori a quelle delle start-up. Cfr. Commissione europea, Aiutare la successione nelle imprese, DG Imprese, 2003.
(43) Diversi organismi finanziari europei (Crédit Coopératif, Crédit mutuel, ESFIN in Francia, Coopfond (Legacoop) in Italia e Soficatra in Belgio) lavorano già, in contatto con la Commissione europea, alla creazione di un progetto «Coop-Est» comprendente diversi strumenti finanziari che rispondono ai bisogni in materia di strutture di finanziamento delle IES.
(44) Per i meccanismi pubblici, specie in Italia e in Spagna, con il pagamento unico di sussidi di disoccupazione. Per i meccanismi di leva, alcuni sistemi di IES, in parecchi casi di eccellenza nell'UE, hanno messo a punto dei fondi di solidarietà e di capitale-rischio per il finanziamento del loro sviluppo. Tali fondi hanno generalmente un effetto di leva su altri finanziamenti, quali i prestiti delle banche commerciali e hanno dato prova della loro capacità di generare imprese e occupazione. Tali fondi esistono già all'interno di alcune federazioni di cooperative nei paesi in via di adesione, ma sarebbe opportuno sostenere energicamente questo genere di sforzo nel quadro dei fondi strutturali.
(45) Costituendo una Federazione europea delle banche etiche e alternative (Febea) e una Società europea della finanza etica e alternativa (Sefea).
(46) Cfr. André DOUETTE (2003), La garantie des prêts aux petites et moyennes entreprises - Les systèmes de garantie membres de l'Association européenne du Cautionnement Mutuel, Association européenne du Cautionnement Mutuel.
(47) Come quelli esistenti nell'ambito della Rete europea delle città e delle regioni per l'economia sociale (REVES), che si possono classificare in tre modalità distinte:
— |
la creazione di strutture miste pubblico-private, quali il Job Centre del Comune di Genova, l'Agenzia «Gagner» (Vincere) di Roubaix, il day-care centre SAKA BYAGARD/SOKOYAN KYATALO di Kokkola in Finlandia,
Altri importanti esempi di partnership multiple locali cui partecipano IES negli Stati membri dell'UE sono: il sistema delle cooperative sociali italiane integrate nel Consorzio nazionale della cooperazione di solidarietà sociale Gino Matarelli (CGM), il settore dell'aiuto a domicilio e il nuovo statuto della «società cooperativa di interesse generale» (SCIC) in Francia, la rete Solidarités des Alternatives in Vallonia, le cooperative di donne in Svezia ecc. |
(48) Ibid. Cfr. anche il parere del Comitato delle regioni sul tema Partenariato tra enti locali e regionali e organizzazioni dell'economia sociale: contributo all'occupazione, allo sviluppo locale ed alla coesione sociale CdR 384/2001 fin.
(49) Un aspetto sviluppato soprattutto nel punto 10 della Carta europea per le piccole imprese.
(50) In particolare il Phare-Business Support Programme, con il BSP1 e BSP2 dell'UAPME per le PMI e lo SCOPE 1 e 2 della CECOP per le IES, come indica il documento di lavoro dei servizi della Commissione europea Le cooperative nell'Europa imprenditoriale, 7 dicembre 2001, pag. 25, nota 27.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/113 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2003/49/CE concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi
COM(2003) 841 def. – 2003/0331 (CNS)
(2004/C 112/28)
La Commissione, in data 2 febbraio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso di incaricare la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di predisporre i lavori in materia.
Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 1o aprile 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, ha deciso di nominare BURANI relatore generale e ha adottato il seguente parere all'unanimità.
1. Premessa
1.1 |
Il 3 giugno 2003 il Consiglio Affari economici e finanziari ha adottato la direttiva 2003/49/CE riguardante il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e canoni fra società consociate di Stati membri diversi, che fa parte del cosiddetto «pacchetto fiscale». Già al momento della sua approvazione, il Consiglio precisò con una nota a verbale che «i vantaggi della direttiva non debbono spettare alle società che sono esenti dall'imposta sul reddito di cui alla direttiva stessa», e diede mandato alla Commissione di predisporre le opportune misure cautelative. |
1.2 |
D'altra parte, la Commissione aveva già previsto che «è necessario vigilare affinché i pagamenti di interessi e canoni siano assoggettati ad imposizione fiscale una sola volta in uno Stato membro». In definitiva, la direttiva, integrata dalle modifiche introdotte dalla proposta ora in esame, tende ad evitare che nella legislazione esistano lacune che si prestino ad una elusione dell'imposizione fiscale sugli interessi e canoni pagati fra società consociate di Stati membri diversi. |
1.3 |
Al fine di inquadrare la presente proposta nel suo giusto contesto, giova ricordare che la Commissione ha già presentato due proposte, tendenti ad individuare possibili rimedi alle restrizioni che la fiscalità diretta impone alle attività economiche transfrontaliere nel mercato interno:
|
1.4 |
Nell'introduzione alla proposta di direttiva si specifica (anche se ciò appare ovvio) che la società europea, il cui statuto entrerà in vigore l'8 ottobre 2004, è sin d'ora compresa nell'elenco delle società alle quali si applicheranno le disposizioni della direttiva stessa. |
1.5 |
Anche le società cooperative europee, che potranno usufruire a partire dal 2006 del nuovo statuto giuridico di «società cooperativa europea» (SCE), ricadranno nelle disposizioni della direttiva in esame: le SCE saranno trattate come società cooperative aventi sede legale in uno degli Stati membri. |
2. Osservazioni
2.1 |
L'articolo 1, paragrafo 1, della proposta modifica il corrispondente articolo e paragrafo della direttiva di base, introducendo una condizione che prima non esisteva: interessi e canoni pagati ad una società consociata sono esenti da imposizione se sono sottoposti a tassazione nello Stato membro di residenza della società beneficiaria. Il CESE non può che essere d'accordo, ma si chiede se l'accertamento di questa condizione non possa fare insorgere un problema di onerosi controlli per le autorità fiscali dello Stato membro di origine dei pagamenti, obbligate ad accertare se il beneficiario è effettivamente soggetto a tassazione e se le sue obbligazioni fiscali sono state assolte. |
2.2 |
L'articolo 1, paragrafo 2, sostituisce l'allegato alla direttiva di base, che citava sommariamente le diverse dizioni di società nella lingua di ciascun Paese, con un elenco ben più dettagliato che comprende anche la società europea (SE) e la società cooperativa europea (SCE). Tale elenco ha il pregio di essere più chiaro e forse di fugare alcuni dubbi interpretativi in relazione a taluni Paesi: sostanzialmente però non apporta innovazioni all'infuori di quelle sopraccitate, che d'altra parte erano necessarie. |
2.3 |
L'articolo 2 contiene le disposizioni di attuazione: gli Stati membri dovranno conformarsi alla direttiva entro il 31 dicembre 2004, mettendo in atto tutte le necessarie disposizioni legislative, regolamentari e amministrative; essi dovranno inoltre comunicare alla Commissione il testo delle disposizioni e una tavola di concordanza fra queste ultime e la direttiva. Il CESE osserva che, tenuto conto dei tempi necessari, particolarmente in taluni Stati membri, per tradurre le disposizioni comunitarie nella legislazione nazionale, il termine fissato sembra essere piuttosto ristretto. Dato che la direttiva dovrà entrare in vigore contemporaneamente in tutti gli Stati membri, il termine dovrebbe forse essere prorogato di almeno sei mesi. |
3. Conclusioni
3.1 |
Il CESE approva pienamente l'obiettivo della direttiva, che rientra in un quadro di progressivo affinamento delle disposizioni fiscali teso ad evitare da un lato le evasioni e dall'altro le doppie imposizioni, e che indirettamente dovrebbe contribuire ad una futura armonizzazione dei sistemi fiscali e ad eliminare distorsioni di concorrenza oggi sin troppo evidenti. |
Bruxelles, 1o aprile 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Parere CESE GU C 32 del 5.2.2004, pag. 118.
(2) Parere CESE 312/2004 del 25 febbraio 2004.
30.4.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 112/114 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alle azioni nel settore dell'apicoltura
COM(2004) 30 def. – 2004/0003 (CNS)
(2004/C 112/29)
Il Consiglio, in data 30 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 24 febbraio 2004, ha incaricato la sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente di preparare i lavori in materia.
Data l'urgenza dei lavori, il 1o aprile 2004, nel corso della 407a sessione plenaria, il Comitato economico e sociale europeo ha designato Joan CABALL I SUBIRANA come relatore generale ed ha adottato il seguente parere all'unanimità.
1. Introduzione
1.1 |
A seguito della comunicazione sulla situazione dell'apicoltura in Europa (1), pubblicata nel 1994, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento che stabilisce le regole generali di applicazione delle azioni dirette a migliorare la produzione e la commercializzazione del miele, approvata dal Consiglio nel giugno del 1997 [Reg. (CE) n. 1221/97] (2). |
1.2 |
Nel novembre del 1997, la Commissione ha definito le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1221/1997 (mediante il regolamento (CE) n. 2300/97 (3)) e, conformemente all'articolo 6 del regolamento stesso, nel giugno del 2001, ha presentato la prima relazione sull'applicazione di tale testo negli Stati membri, nella quale giudicava soddisfacente il livello di applicazione e raccomandava di non procedere ad alcuna modifica del regolamento. |
1.3 |
Nel gennaio del 2004, la Commissione ha presentato la seconda relazione sull'attuazione dei programmi nazionali negli Stati membri nella quale propone l'adozione di un nuovo regolamento al fine di adeguare gli obiettivi del settore dell'apicoltura all'attuale situazione comunitaria. |
2. Sintesi della proposta
2.1 |
La Commissione propone l'adozione di programmi nazionali triennali (denominati programmi apicoli), imperniati sulle azioni seguenti:
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2.2 |
Sono escluse dai programmi apicoli le azioni finanziate nell'ambito del regolamento (CE) n. 1257/1999 (4). |
2.3 |
Gli Stati membri dovranno effettuare uno studio sulla struttura del settore dell'apicoltura nei rispettivi territori sia in termini di produzione che di commercializzazione. Tale studio dovrà essere notificato alla Commissione contemporaneamente al programma apicolo. |
2.4 |
La Comunità partecipa al finanziamento dei programmi apicoli nella misura del 50 % delle spese sostenute dagli Stati membri. Tali spese devono essere realizzate entro il 15 ottobre di ogni anno. Ogni tre anni la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione del regolamento in oggetto. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
L'apicoltura è un'attività agricola avente alcune caratteristiche che la rendono differente dalle altre forme di allevamento; le sue funzioni principali sono quelle di contribuire allo sviluppo rurale e all'equilibrio ecologico e, in termini economici, di produrre miele e altri prodotti dell'alveare. È opportuno sottolineare l'importante ruolo svolto dalle api come principali agenti impollinatori e il loro contributo al mantenimento della biodiversità. A questo proposito, secondo la FAO, il valore economico dell'impollinazione entomofila realizzata dalle api corrisponde al valore commerciale di tutti i prodotti dell'alveare moltiplicato per 20 (5). In alcuni Stati membri, l'apicoltura viene praticata in regioni svantaggiate nelle quali non esistono alternative per il mantenimento del tessuto rurale e l'occupazione agraria. |
3.2 |
Il Comitato rileva che il regolamento (CE) n. 1221/97 è l'unico strumento di sostegno comune destinato agli apicoltori dell'Unione europea, pertanto è indispensabile mantenerlo. Tuttavia, il sistema di cofinanziamento che ne è alla base, lungi dall'essere paragonabile agli attuali aiuti concessi nell'ambito della politica agricola comune, non è affatto sufficiente per risolvere le difficoltà strutturali e di sostegno dei redditi cui devono far fronte le aziende apicole dell'Unione europea. Il settore dell'apicoltura europea è soggetto ad un mercato instabile su cui influisce il prezzo mondiale del miele, alle crescenti avversità dovute al cambiamento climatico e alla mortalità che colpisce le api in alcune regioni a causa di intossicazioni esterne. |
3.3 |
Il CESE ritiene che la complessa gestione amministrativa di tale regolamento, l'eccessiva rigidità nell'aumento dei criteri di spesa e investimento, la chiusura dell'esercizio del FEOGA (15 ottobre) non concomitante a quella degli Stati membri (31 dicembre) e infine la scadenza annuale dei programmi nazionali, siano tutti fattori che contribuiscono a rendere particolarmente ardua l'esecuzione del bilancio assegnato ad ogni paese. A tal fine, il CESE esorta la Commissione e il Consiglio a uniformare i criteri utilizzati per determinare le spese e gli investimenti ammissibili alla concessione degli aiuti, affinché nei diversi paesi tali aiuti possano garantire un livello di sostegno il più equo possibile per tutti gli apicoltori europei. |
3.4 |
La Commissione sostiene che la lotta alla varroasi e alle malattie connesse persegue l'obiettivo di diminuire le spese occasionate dai trattamenti cui devono essere sottoposti gli alveari, pertanto raccomanda di trattare gli alveari con prodotti autorizzati (che non lasciano alcun residuo sul miele) in quanto si tratta dell'unico modo di evitare le conseguenze di questa malattia. Il CESE ribadisce la necessità di sostenere le attività di studio e ricerca condotte dall'industria farmaceutica per individuare nuove molecole che riducano l'incidenza della varroasi, causa dell'insorgenza di altre patologie. La lotta alla varroasi assorbe una quota pari al 41 %, delle spese complessive previste nella maggior parte degli Stati membri. |
3.5 |
La lotta alla varroasi e alle malattie connesse deve continuare ad essere una delle priorità del settore, per cui occorre garantire il cofinanziamento di quest'azione mediante il regolamento in oggetto, nonché adoperarsi per l'avvio di una vera e propria politica veterinaria da parte delle istituzioni responsabili per combattere le malattie delle api. |
3.6 |
Il Comitato si è già espresso in diversi pareri (6) sulla necessità di fare riferimento, nella proposta di regolamento, alle questioni relative alla circolazione del miele nel mercato interno e agli altri aspetti connessi al mercato mondiale. La Commissione dovrebbe, da un lato, definire alcuni criteri di qualità per il miele prodotto nell'Unione europea e, dall'altro, promuovere il consumo di miele europeo di qualità nell'ambito della politica di promozione interna mediante l'utilizzo delle denominazioni DOP, IGP e STG. Inoltre, come riconosce la Commissione, si dovrebbe tener conto del notevole impatto che avrebbero sul mercato del miele l'adesione della Cina all'OMC, la revisione degli attuali accordi preferenziali e la conclusione di nuovi, in quanto strumenti permanenti della politica di liberalizzazione del commercio su scala mondiale. Questo favorisce una concorrenza sleale e una riduzione dei prezzi all'origine e delle entrate controproducente per gli apicoltori europei. |
3.7 |
Il Comitato fa osservare che i controlli di qualità sui diversi tipi di miele si sono rivelati utili e raccomanda pertanto che vengano intensificati sia sul miele importato che su quello prodotto nell'Unione europea (analisi sull'origine botanica e sui residui). Tali controlli costituiscono uno dei pochi fattori di stabilità del mercato e sono divenuti ancora più indispensabili a seguito dell'adozione della nuova direttiva sull'etichettatura (7) che, tra l'altro, è l'unico modo di distinguere il miele comunitario dal miele importato. Il CESE considera che in virtù di questi motivi, gli aiuti a favore dell'analisi del miele non devono essere soppressi, contrariamente a quanto suggerisce la Commissione nella sua proposta. Di conseguenza, il CESE propone che il titolo del regolamento rimanga invariato o, in ogni caso, venga modificato come segue: «Relativo alle azioni dirette a migliorare la produzione e la commercializzazione nel settore dell'apicoltura». |
3.8 |
Ai fini di una migliore gestione e di una maggiore trasparenza amministrativa dei programmi, il CESE ritiene auspicabile il rafforzamento del principio di collaborazione tra le autorità nazionali competenti e le cooperative ed organizzazioni rappresentative del settore apicolo. |
3.9 |
Il Comitato, sottolineando il contributo del patrimonio apicolo allo sviluppo rurale e al mantenimento dell'equilibrio ecologico, ritiene necessario concedere maggiore sostegno e protezione all'apicoltura, considerando che gli aiuti attualmente previsti nel quadro del regolamento (CE) n. 1221/97 non sono sufficienti né a garantire la redditività delle aziende apicole né ad evitare la scomparsa dell'apicoltura professionale europea. |
3.10 |
Il CESE mette in rilievo l'importanza degli aiuti concessi a titolo del regolamento (CE) 1221/1997 per contribuire allo sviluppo e alla professionalizzazione di questo settore, conformemente ai requisiti di multifunzionalità dell'agricoltura europea. Pertanto, nonostante i vincoli di bilancio riconosciuti dalla stessa Commissione, ritiene necessario un aumento delle risorse totali assegnate e della percentuale di cofinanziamento fissata dal regolamento stesso. |
3.11 |
Il Comitato rileva la necessità che gli Stati membri effettuino uno studio dettagliato sulla struttura del settore, da trasmettere annualmente alla Commissione nell'ambito dei programmi nazionali triennali. Tale studio verterà sulla produzione, commercializzazione e formazione dei prezzi; esso rappresenta infatti uno strumento statistico fondamentale per conoscere l'evoluzione e lo sviluppo dell'attività apicola nell'Unione europea. |
3.12 |
Al fine di sensibilizzare maggiormente i giovani all'apicoltura e informarli delle possibilità di occupazione nel settore, il Comitato ritiene che la proposta in oggetto debba includere tra gli obiettivi prioritari anche programmi di formazione professionale per giovani apicoltori. |
4. Osservazioni particolari
4.1 |
Il Comitato apprezza la proposta della Commissione riguardante l'estensione a tutti i prodotti apicoli delle misure applicate nel settore. Ciononostante, malgrado il Consiglio (8) si sia pronunciato a favore di un sostanziale miglioramento delle proposte avanzate dalla Commissione, considera la proposta limitata. |
4.2 |
Allo scopo di far fronte alle esigenze del settore, il CESE propone un incremento degli aiuti equivalente almeno al triplo dell'attuale ammontare totale (16,5 milioni di euro per l'UE composta da 15 membri). Propone inoltre di aumentare sino al 75 % la percentuale di finanziamento delle spese effettuate a titolo del FEOGA, sezione Garanzia. Inoltre, in vista dell'imminente ampliamento dell'Unione europea, il Comitato considera fondamentale un incremento del bilancio. A seguito dell'ampliamento del maggio 2004, il sesto e più importante per numero di nuovi Stati membri, l'attuale patrimonio apicolo europeo subirà un incremento del 30 %, in quanto l'apicoltura gode indubbiamente di una posizione molto importante nell'agricoltura dei paesi candidati; per tale motivo, il bilancio previsto risulterebbe particolarmente inadeguato a soddisfare le richieste dell'UE composta da 25 membri. |
4.3 |
Il Comitato considera importante la creazione di un Osservatorio europeo, cui destinare il 2 % del bilancio assegnato dal regolamento alla realizzazione di azioni congiunte tra la Commissione ed i rappresentanti del settore apicolo, conformemente al principio di collaborazione sancito dal regolamento stesso. |
4.4 |
Il CESE segnala che, in base alla legislazione comunitaria (9), a partire da1 1ogennaio 2005 dovrà essere nota la tracciabilità degli alimenti sia nella fase di produzione che in quella di trasformazione. Per tale motivo, gli aiuti per le spese al riguardo dovranno essere adeguati a quelli destinati a garantire la qualità dei prodotti. |
4.5 |
Il CESE dubita fortemente dell'utilità della proposta della Commissione di stabilire programmi nazionali con cadenza triennale, poiché, malgrado per gli Stati membri questi possano essere più semplici dal punto amministrativo, la presentazione e revisione annuale ne risulterebbe più complessa, provocando un prevedibile calo della motivazione nell'utilizzo degli aiuti concessi e un aumento delle difficoltà amministrative che si riscontrano attualmente in alcuni Stati membri. Di conseguenza vi sarebbe un danno per gli apicoltori europei i quali si lamentano del fatto che in alcuni Stati membri la maggior parte degli sforzi si orientano verso azioni da cui non traggono alcun vantaggio diretto. |
4.6 |
Il Comitato ricorda che i fondi disponibili vengono distribuiti annualmente sulla base delle stime delle spese comunicate dagli Stati membri e in funzione del patrimonio apicolo. Il CESE ritiene che i programmi nazionali possano avere cadenza triennale a condizione che si proceda a una revisione annuale che coincida con la distribuzione dei fondi, come è avvenuto sinora, e che si fissino dei meccanismi per assegnare nuovamente i fondi che presumibilmente non possono essere utilizzati da alcuni Stati membri in ogni esercizio FEOGA. |
4.7 |
Il CESE giudica molto positivamente la risoluzione (10) del Parlamento europeo adottata il 9 ottobre 2003, che si pronuncia a favore dell'adozione di misure atte a contenere la perdita del patrimonio apicolo nonché a favorire il suo immediato recupero. Di conseguenza appoggia l'inclusione dell'azione di sostegno al ripopolamento del patrimonio apicolo comunitario proposta dalla Commissione, che in tal modo riconosce esplicitamente questo grave problema. |
4.8 |
Il CESE ritiene necessaria la creazione di nuovi strumenti di sostegno tra cui un finanziamento complementare per la lotta contro la varroasi e le altre malattie delle api (tenendo conto dell'insorgenza di nuove patologie) per risarcire i costi elevati dei farmaci veterinari. |
4.9 |
Il CESE considera altresì necessario istituire un premio d'impollinazione come ricompensa per il contributo fornito dalle api al mantenimento della biodiversità e all'ambiente naturale, nonché un premio compensativo annuale per la perdita di entrate dovuta all'assenza di una preferenza comunitaria nel settore apicolo europeo. |
4.10 |
Per il Comitato, occorre che la proposta di regolamento, conformemente al titolo che porta, consideri con reale urgenza la promozione del miele di qualità e il miglioramento della commercializzazione di tale prodotto oltre alla protezione del consumatore, mediante l'inclusione di azioni comuni a sostegno della commercializzazione, investimenti per attrezzare centri di invasatura e tipizzazione e azioni di promozione dei prodotti realizzati dagli apicoltori. Per questo motivo è opportuno mantenere nel quadro di questo regolamento l'azione a favore dell'analisi del miele, che rappresenta uno strumento fondamentale e strategico per la valorizzazione dei prodotti apicoli europei, la difesa della qualità e la sicurezza alimentare dei consumatori. |
4.11 |
Al fine di disporre di migliori dati statistici sulla struttura del settore apicolo, il CESE chiede il sostegno della Commissione e raccomanda la creazione negli Stati membri di Osservatori nazionali di cui farebbero parte le organizzazioni di produttori, incaricati tra l'altro di monitorare i prezzi all'origine, il mercato interno e le frontiere, aggiornare i costi di produzione (fissi e variabili a seconda delle aziende apicole) e seguire l'evoluzione dei patrimoni apicoli nazionali, delle strutture di commercializzazione e dei costi di invasatura. |
Bruxelles, 1o aprile 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) COM(94) 256 def.
(2) GU L 173 dell'1.7.1997, pag. 1. Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 2070/98 (GU L 265 del 30.9.1998, pag. 1).
(4) GU L 160 del 26.6.1999, pag. 80. L'ultima modifica a tale testo è stata introdotta dal Regolamento (CE) n. 1783/2003 (GU L 270 del 21.10.2003, pag. 70).
(5) Juan. B. Rallo García, «Frutales y abejas», 1986, MAPA, Publicaciones de Extensión Agraria, Ministerio de Agricultura, Pesca y Alimentación, p. 13. NIPO: 253-86-034-2, ISBN: 84-341-0529-2.
(6) Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (CE) del Consiglio che stabilisce le regole generali di applicazione delle azioni intese a migliorare la produzione e la commercializzazione del miele, GU C 206 del 7.7.1997, pag. 60.
(7) Direttiva 2001/110/CE del Consiglio del 20 dicembre 2001 concernente il miele – GU L 010 del 12.1.2002, pagg. 47–52.
(8) Consiglio dei ministri dell'Agricoltura, 2410a riunione, Bruxelles, 18 febbraio 2004.
(9) Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, GU L 031 dell'1.2.2002 pagg. 1–24, .
(10) Risoluzione sulle difficoltà dell'apicoltura europea.