ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 228

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

66° anno
29 giugno 2023


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

578a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Sessione di rinnovo, 26.4.2023 - 27.4.2023

2023/C 228/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulle raccomandazioni del CESE per una solida riforma del semestre europeo (parere d’iniziativa)

1

2023/C 228/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il diritto a un ambiente sano nell’Unione europea, in particolare nel contesto della guerra in Ucraina (parere d’iniziativa)

10

2023/C 228/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: Rafforzare ulteriormente la competitività digitale dell’UE (parere esplorativo)

17

2023/C 228/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema 30 anni di mercato unico: come migliorare il funzionamento del mercato unico (parere esplorativo)

22

2023/C 228/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lavoro precario e salute mentale (parere esplorativo richiesto dalla presidenza spagnola)

28

2023/C 228/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Democrazia sul luogo di lavoro (parere esplorativo richiesto dalla presidenza spagnola del Consiglio)

43

2023/C 228/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Procedura per gli squilibri sociali (parere esplorativo elaborato su richiesta della presidenza spagnola)

58

2023/C 228/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Sviluppo di competenze e capacità nel contesto della duplice transizione verde e digitale (parere esplorativo richiesto dalla presidenza svedese)

64

2023/C 228/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla carta europea della disabilità (parere esplorativo richiesto dalla Commissione europea)

71

2023/C 228/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Iniziativa sui mondi virtuali, come il metaverso (parere esplorativo richiesto dalla Commissione europea)

76

2023/C 228/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La transizione verso un sistema di trasporto sostenibile a lungo termine (parere esplorativo richiesto dalla presidenza svedese)

81


 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

578a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Sessione di rinnovo, 26.4.2023 - 27.4.2023

2023/C 228/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di raccomandazione del Consiglio sul rafforzamento del dialogo sociale nell’Unione europea [COM(2023) 38 final — 2023/0012 (NLE)] e sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Rafforzare il dialogo sociale nell’Unione europea: sfruttarne appieno il potenziale per gestire transizioni eque [COM(2023) 40 final]

87

2023/C 228/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla raccolta e sul trasferimento delle informazioni anticipate sui passeggeri (API) al fine di migliorare e agevolare i controlli alle frontiere esterne, che modifica il regolamento (UE) 2019/817 e il regolamento (UE) 2018/1726 e abroga la direttiva 2004/82/CE del Consiglio [COM(2022) 729 final] e sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla raccolta e sul trasferimento di informazioni anticipate sui passeggeri a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale riguardo ai reati di terrorismo e ai reati gravi, e che modifica il regolamento (UE) 2019/818 [COM(2022) 731 final]

97

2023/C 228/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’omologazione di veicoli a motore e motori, nonché di sistemi, componenti ed entità tecniche indipendenti destinati a tali veicoli, per quanto riguarda le relative emissioni e la durabilità delle batterie (Euro 7), che abroga i regolamenti (CE) n. 715/2007 e (CE) n. 595/2009 [COM(2022) 586 final — 2022/0365(COD)]

103

2023/C 228/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime [COM(2022) 732 final — 2022/0426(COD)] e sulla relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sui progressi compiuti nella lotta alla tratta di esseri umani (quarta relazione) [COM(2022) 736 final]

108

2023/C 228/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, che modifica il regolamento (UE) 2019/1020 e la direttiva (UE) 2019/904 e che abroga la direttiva 94/62/CE [COM(2022) 677 final — 2022/0396 (COD)]

114

2023/C 228/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele [COM(2022) 748 final — 2022/0432 (COD)]

121

2023/C 228/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso un settore delle alghe forte e sostenibile nell’UE [COM(2022) 592 final]

126

2023/C 228/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Quadro strategico dell’UE in materia di plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili [COM(2022) 682 final]

132

2023/C 228/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme specifiche relative ai medicinali per uso umano destinati all'immissione in commercio nell'Irlanda del Nord [COM(2023) 122 final — 2023/0064 (COD)]

141

2023/C 228/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a norme specifiche riguardanti l’ingresso in Irlanda del Nord da altre parti del Regno Unito di determinate partite di merci al dettaglio, di piante da impianto, di patate da semina, di macchinari e di determinati veicoli utilizzati a fini agricoli o forestali, come pure i movimenti a carattere non commerciale di determinati animali da compagnia verso l’Irlanda del Nord [COM(2023) 124 final — 2023/0062 (COD)]

144

2023/C 228/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche europee sulla popolazione e sulle abitazioni, recante modifica del regolamento (CE) n. 862/2007 e abrogazione dei regolamenti (CE) n. 763/2008 e (UE) n. 1260/2013 [COM(2023) 31 final — 2023/0008 (COD)]

148

2023/C 228/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le norme IVA per l’era digitale [COM(2022) 701 final — 2022/0407 (CNS)] e sulla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 per quanto riguarda gli accordi di cooperazione amministrativa in materia di IVA necessari per l’era digitale [COM(2022) 703 final — 2022/0409 (CNS)]

149

2023/C 228/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva (UE) 2015/413 intesa ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale [COM(2023) 126 final]

154

2023/C 228/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul documento di lavoro dei servizi della Commissione Evaluation of the State subsidy rules for health and social services of general economic interest ( SGEIs ) and of the SGEI de minimis Regulation [Valutazione delle norme in materia di aiuti di Stato per i servizi sanitari e sociali di interesse economico generale (SIEG) e del regolamento de minimis per i SIEG] [SWD(2022) 388 final]

155


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

578a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Sessione di rinnovo, 26.4.2023 - 27.4.2023

29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulle raccomandazioni del CESE per una solida riforma del semestre europeo

(parere d’iniziativa)

(2023/C 228/01)

Relatori:

Gonçalo LOBO XAVIER

Javier DOZ ORRIT

Luca JAHIER

Decisione dell’Assemblea plenaria

27.10.2022

Base giuridica

Articolo 52, paragrafo 2, del regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

18.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

226/2/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Nonostante i suoi punti deboli, il semestre europeo ha svolto un ruolo importante nel coordinamento delle politiche economiche nazionali all’interno dell’Unione. Tuttavia, le sue procedure non hanno consentito di coinvolgere in maniera soddisfacente i cittadini e i soggetti politici, economici e sociali nazionali degli Stati membri nei suoi processi e nelle sue raccomandazioni. Nella maggior parte degli Stati membri il grado di partecipazione della società civile organizzata è insufficiente e di scarsa qualità. Sebbene si siano rilevati dei miglioramenti nella consultazione in merito all’elaborazione dei piani nazionali per la ripresa e la resilienza, tali miglioramenti non sono stati consolidati e, per motivi politici, in alcuni paesi si sono fatti dei passi indietro nell’impegno a sostenere maggiormente tale partecipazione.

1.2.

La comunicazione della Commissione europea sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell’UE (1), che il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene (2), definisce un quadro di politica di bilancio più flessibile e differenziato che richiederà dei negoziati e degli accordi tra le istituzioni dell’UE e gli Stati membri. Il loro buon esito dipende dalla titolarità a livello nazionale del processo e degli impegni assunti. Per conseguire questo obiettivo è necessaria una riforma delle procedure e dei calendari del semestre europeo.

1.3.

Secondo il CESE, la titolarità da parte degli Stati membri è possibile solo con il coinvolgimento concreto e strutturale degli attori politici, economici e sociali nel processo del semestre europeo. Il CESE ritiene che il coinvolgimento delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile debba diventare uno dei pilastri di questo semestre europeo riveduto, come pure dei parlamenti nazionali e degli enti locali e regionali. Le competenze del Parlamento europeo dovrebbero essere ampliate in modo da disporre di maggiori diritti di codecisione sugli indirizzi di politica economica e sulle proposte di carattere europeo.

1.4.

Il CESE propone una riforma del semestre europeo intesa ad accrescerne la trasparenza e la democrazia e a rafforzare il coinvolgimento della società civile organizzata e l’efficacia del suo funzionamento, in linea con gli obiettivi di crescita economica e occupazione di qualità, coesione sociale, convergenza tra gli Stati membri e accelerazione delle transizioni verde e digitale. I sistemi di indicatori esistenti devono essere riesaminati, integrati e armonizzati tra loro, in modo da contribuire al miglioramento delle procedure di valutazione.

1.5.

Il CESE ritiene che i principali strumenti di cui dispone il semestre europeo, in particolare le raccomandazioni specifiche per paese, dovrebbero coprire un periodo di tre anni e prevedere valutazioni e riesami annuali. La proposta è coerente con la comunicazione della Commissione sulla riforma del quadro di governance economica dell’UE e faciliterà i processi di titolarità nazionale e la partecipazione della società civile organizzata.

1.6.

È il rispetto delle raccomandazioni specifiche per paese che consente di valutare la validità e l’efficacia del semestre europeo. Il CESE ritiene pertanto che l’incentivo più adeguato consista nel collegare l’attuazione delle raccomandazioni specifiche per paese al bilancio dell’UE, che fornirà parte dei fondi per la loro esecuzione, sulla falsariga del dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF).

1.7.

Il CESE propone che le parti sociali e le organizzazioni della società civile siano coinvolte mediante una procedura di consultazione formale strutturata, a livello tanto europeo che nazionale, che riguardi sia le fasi di elaborazione e decisione sia quelle di attuazione, monitoraggio e valutazione. La procedura dovrebbe essere condotta da un organismo specifico o da un organismo già esistente al quale tali funzioni siano attribuite per legge. Anche i consigli economici e sociali nazionali esistenti dovrebbero svolgere un ruolo importante in questo processo.

1.8.

Il CESE ritiene che i principi e le caratteristiche generali del coinvolgimento strutturato e permanente della società civile organizzata nelle diverse fasi del semestre europeo dovrebbero essere definiti in un regolamento dell’UE, fermo restando il fatto che spetta alla legislazione nazionale definire ulteriormente le procedure e gli organi della consultazione, e in linea con i criteri di apertura, trasparenza e rappresentatività.

1.9.

Secondo il CESE, il regolamento proposto dovrebbe stabilire criteri e principi di base riguardanti, tra l’altro, i seguenti aspetti: i calendari (legati a quelli del dispositivo per la ripresa e la resilienza e del semestre europeo), il carattere ufficiale delle riunioni e l’accesso del pubblico alla documentazione in tempo utile e nella forma prevista, i verbali, la comunicazione al pubblico delle proposte e delle risposte del governo e la tabella di marcia per l’attuazione degli accordi.

1.10.

Il CESE ritiene necessario approfondire il dibattito sulla capacità di bilancio e sulle risorse proprie dell’UE e considera che le sfide geopolitiche, economiche, sociali e ambientali che l’Unione dovrà affrontare nei prossimi anni richiederanno il finanziamento di beni comuni europei.

2.   Introduzione

2.1.

Il presente parere è inteso a incoraggiare la riflessione e la formulazione di proposte relative a una solida riforma delle procedure del semestre europeo, al fine di rendere la governance economica dell’Unione più trasparente, democratica ed efficace e di coinvolgere più efficacemente le organizzazioni della società civile organizzata.

2.2.

L’analisi e le proposte presentate dal CESE tengono conto dei contenuti della governance economica dell’UE, della comunicazione della Commissione che definisce gli orientamenti per un quadro di governance economica dell’UE riveduto, del parere del CESE in merito a tale comunicazione e delle risoluzioni del Comitato sul coinvolgimento della società civile organizzata nell’elaborazione e nell’attuazione dei piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR) (2021 e 2022) (3).

2.3.

Analogamente all’approccio adottato per l’elaborazione delle suddette risoluzioni, il CESE ha condotto un’ampia consultazione dei rappresentanti della società civile organizzata attraverso le delegazioni nazionali del gruppo Semestre europeo (composto da tre membri per paese, uno per gruppo). La consultazione è stata realizzata mediante un questionario e compiendo visite in sette paesi (tavole rotonde); i suoi risultati figurano nell’allegato (4) e sono esposti in sintesi al punto 5 del presente parere.

3.   Contesto del parere

3.1.

Il semestre europeo è stato introdotto dopo la crisi del 2008 come strumento di governance economica dell’UE. Inizialmente incentrato sulla stabilità finanziaria degli Stati membri, il semestre europeo si è gradualmente ampliato per integrare questioni occupazionali e sociali, oltre alle politiche economiche e di bilancio. Attualmente consiste in un ciclo semestrale di coordinamento delle politiche economiche, occupazionali, sociali e di bilancio: gli Stati membri adattano i loro bilanci e le loro politiche economiche agli obiettivi e alle norme concordati a livello dell’UE. Dalla sua introduzione nel 2011 è diventato un forum consolidato in cui discutere delle sfide relative alle politiche di bilancio, economiche e occupazionali dei paesi dell’UE secondo questo calendario annuale comune. A seguito delle ripercussioni economiche e sociali della pandemia del 2020 e della guerra innescata dall’invasione ingiustificata e non provocata dell’Ucraina da parte della Federazione russa, è stato necessario rafforzare il coordinamento tra gli Stati membri. Pertanto, nel 2021 il semestre europeo è stato adattato per tenere conto della creazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza. L’attuazione dei piani per la ripresa e la resilienza degli Stati membri orienterà il loro programma di riforme e investimenti nei prossimi anni. Grazie all’ampliamento del suo ambito di applicazione e della sorveglianza multilaterale, il semestre europeo integra utilmente l’attuazione dei piani nazionali per la ripresa e la resilienza.

3.2.

A norma dell’articolo 18, paragrafo 4, lettera q), del regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (5), per la loro preparazione e attuazione, i piani nazionali per la ripresa e la resilienza devono presentare una sintesi del processo di consultazione, condotto conformemente al quadro giuridico nazionale, e una breve illustrazione del modo in cui tengono conto dei contributi dei portatori di interessi. Tra le parti interessate figurano gli enti locali e regionali, le parti sociali, le organizzazioni della società civile, le organizzazioni giovanili e altri portatori di interessi. Tuttavia, come sottolineato dal CESE nella sua risoluzione adottata nel maggio 2022, finora il coinvolgimento della società civile organizzata è stato generalmente considerato insoddisfacente, anche alla luce delle differenze naturali tra i paesi nei processi di consultazione esistenti.

3.3.

I quattro obiettivi principali del semestre europeo sono: (1) prevenire squilibri macroeconomici eccessivi nell’UE; (2) garantire finanze pubbliche sane e sostenibili (patto di stabilità e crescita); (3) sostenere le riforme strutturali volte a promuovere la crescita economica, l’occupazione e le politiche sociali (Europa 2020, Green Deal, obiettivi di sviluppo sostenibile, pilastro europeo dei diritti sociali); e (4) stimolare gli investimenti. A seguito della crisi della COVID-19 e dell’adozione di NextGenerationEU, un nuovo obiettivo consiste ora nel monitorare i piani nazionali per la ripresa e la resilienza.

3.4.

Nel novembre 2022 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell’UE (6), in cui propone di mantenere i valori di riferimento del patto di stabilità e crescita (3 % del PIL e 60 % del rapporto debito/PIL) e di stabilire procedure per la riduzione del debito differenziate per paese e negoziate con i rispettivi governi (con piani nazionali per il percorso di bilancio a medio termine). Questo quadro riveduto sarebbe più semplice, trasparente ed efficace, e favorirebbe una maggiore titolarità nazionale e una migliore applicazione. Nell’ambito di questa architettura riveduta, i piani di bilancio degli Stati membri più indebitati verrebbero definiti per un periodo di quattro anni (con un’eventuale proroga di tre anni), e seguirebbero un programma di investimenti e riforme specifico e concordato, soggetto a un monitoraggio annuale della conformità. La proposta rispecchia lo «spirito di NextGenerationEU», cui si è fatto riferimento. Le conclusioni del Consiglio Ecofin del 14 marzo 2023 (7) contengono molti ambiti in cui si rileva una convergenza di opinioni tra gli Stati membri e ambiti in cui sono necessari ulteriori sforzi per realizzare un quadro riveduto. Le conclusioni forniscono gli orientamenti politici per l’elaborazione delle relative proposte legislative da parte della Commissione europea. In particolare, il Consiglio ha affermato che gli Stati membri dovrebbero coinvolgere sistematicamente le parti sociali, la società civile e altri portatori di interessi in modo tempestivo e significativo in tutte le fasi del ciclo del semestre europeo e dell’elaborazione delle politiche, in quanto ciò rappresenta un aspetto fondamentale per il buon esito del coordinamento e dell’attuazione delle politiche economiche, occupazionali e sociali. Le conclusioni sono state approvate anche dal Consiglio europeo il 23 marzo.

3.5.

Grazie a questo strumento di coordinamento, il CESE ha costantemente cercato di accrescere la partecipazione della società civile organizzata alle decisioni che potrebbero interessarla, al fine di rafforzare la legittimità democratica e la fiducia della società civile nelle istituzioni dell’UE e di garantire un’attuazione più efficace dei suddetti piani e programmi. La consultazione realizzata dal CESE è stata quindi condotta per individuare le raccomandazioni della società civile organizzata negli Stati membri e rafforzarne il ruolo in questi processi. Essa ha tenuto conto dei cambiamenti in corso nell’ambito del semestre europeo (attuazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza, integrazione del capitolo dedicato al piano REPowerEU e revisione del quadro di governance economica dell’UE).

4.   Metodologia utilizzata per la consultazione

4.1.

I dati e le informazioni necessari per il presente parere sono stati raccolti tra i mesi di dicembre 2022 e marzo 2023. In totale sono pervenuti 23 contributi nazionali (sotto forma di compilazione del questionario e/o organizzazione di una tavola rotonda) (8). Le consultazioni sono state effettuate sulla base delle conoscenze dei membri e hanno coinvolto le parti sociali e le organizzazioni della società civile. In alcuni paesi sono stati coinvolti i consigli economici e sociali nazionali o organismi equivalenti, in altri sono stati consultati anche rappresentanti dei governi.

4.2.

Il presente parere si basa anche su fonti esterne, quali pubblicazioni di gruppi di riflessione, studi di ricerca comparativa e dibattiti nazionali. Inoltre, il questionario è stato inviato anche ad alcune organizzazioni europee della società civile, a membri del gruppo di collegamento del CESE e ad altri rappresentanti dei tre gruppi del CESE.

5.   Osservazioni sui risultati delle consultazioni

Sezione I: Seguito riservato ai precedenti lavori del CESE sui piani nazionali per la ripresa e la resilienza

5.1.   Domanda 1 — Coinvolgimento della società civile organizzata nell’attuazione del piano per la ripresa e la resilienza — Situazione attuale

In generale, non vi sono stati cambiamenti di rilievo. I principali ostacoli sono la mancanza di volontà politica dei governi, l’assenza di un approccio sistematico e uniforme al monitoraggio e la mancanza di procedure e strutture permanenti e formali per l’informazione e il dialogo. Le organizzazioni della società civile propongono l’istituzione di una piattaforma centrale sul semestre europeo che raccolga tutte le informazioni a livello nazionale, la creazione di meccanismi standardizzati di consultazione e monitoraggio che prevedano un ruolo più attivo per i consigli economici e sociali nazionali (e gli organismi equivalenti).

Sezione II: Punti di vista delle organizzazioni della società civile sul semestre europeo

Domanda 2 — Consultazione della società civile organizzata nel quadro del semestre europeo

In generale, la consultazione delle organizzazioni della società civile nel contesto del semestre europeo è considerata insufficiente e/o inefficace, ossia una mera formalità che risulta in un basso tasso di accettazione delle proposte formulate. I portatori di interessi nazionali intervistati propongono: un ciclo di consultazione definito e regolare, con un migliore accesso alla documentazione e una maggiore trasparenza, la pubblicazione dei risultati, un calendario coerente con il ciclo del semestre europeo e la visibilità del processo per il pubblico.

5.2.   Domanda 3 — Efficacia e legittimità del semestre europeo in quanto strumento di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio

La maggior parte dei rappresentanti delle organizzazioni della società civile valuta positivamente il ruolo del semestre europeo nel coordinamento delle politiche economiche e occupazionali, sebbene le carenze rilevate impediscano che abbia una maggiore efficacia e legittimità, e ritiene che l’interattività del processo sia ostacolata dagli oneri amministrativi e dalla mancanza di un metodo di consultazione strutturato e uniforme. Criticano inoltre il basso tasso di adozione delle raccomandazioni specifiche per paese e la scarsa integrazione del pilastro europeo dei diritti sociali e degli indicatori sociali nei meccanismi di valutazione. La maggioranza propone che la riforma del semestre europeo dia la priorità agli obiettivi a medio e lungo termine.

5.3.   Domanda 4 — Raccomandazioni specifiche per paese

La maggioranza dei partecipanti alla consultazione ritiene che le raccomandazioni specifiche per paese siano coerenti con le sfide a medio e lungo termine, sebbene siano troppo generiche o incentrate sulla sostenibilità di bilancio, trascurino questioni quali la sanità, l’istruzione e l’inclusione sociale e riflettano solo parzialmente gli interessi delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile. Per garantire una maggiore conformità alle raccomandazioni specifiche per paese è necessario assicurare un migliore allineamento con le priorità del governo e dei cittadini, meccanismi di monitoraggio e valutazione più trasparenti e partecipativi e un sistema più efficace di incentivi e sanzioni.

5.4.   Domanda 5 — Il/i pilastro/i del semestre europeo da rafforzare in via prioritaria

La pandemia ha rafforzato la priorità delle riforme strutturali e della crescita. Le riforme strutturali promuovono la resilienza dell’economia e richiedono investimenti, i quali costituiscono la seconda priorità del semestre europeo. Gli investimenti dovrebbero sostenere lo sviluppo economico e la coesione sociale. È necessario adottare un atto legislativo europeo che rafforzi il dialogo sociale e garantisca la partecipazione delle organizzazioni della società civile al semestre europeo. La sostenibilità delle finanze pubbliche, che è essenziale, non deve pregiudicare gli investimenti che promuovono la convergenza economica e sociale verso l’alto.

5.5.   Domanda 7 — fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE)

Secondo la maggioranza degli intervistati è necessario rafforzare il collegamento tra i fondi SIE e l’attuazione delle raccomandazioni specifiche per paese, nonché i dialoghi politici e sociali e le sinergie tra gli organismi nazionali responsabili della gestione del semestre europeo e dei fondi SIE, al fine di giungere a una tabella di marcia per l’attuazione delle raccomandazioni specifiche per paese. Occorre promuovere una maggiore integrazione e convergenza degli obiettivi, delle politiche e delle risorse nazionali, un migliore collegamento dei fondi con le politiche europee e un migliore utilizzo delle risorse per sostenere lo sviluppo delle regioni meno favorite.

Sezione III: Punti di vista delle organizzazioni della società civile sulla governance economica europea

5.6.   Domanda 6 — Aspetti da rafforzare per migliorare le modalità di attuazione della governance economica europea

Secondo i soggetti consultati, la trasparenza e la rendicontabilità sono gli elementi più importanti per migliorare le modalità di attuazione della governance economica europea. È essenziale garantire che tutte le parti interessate abbiano accesso alle informazioni sulle raccomandazioni di politica economica e sulla loro attuazione, al fine di definire indicatori, soglie e obiettivi macroeconomici chiari che permettano di rendere il quadro di governance economica dell’UE e il semestre europeo più dettagliati, mirati e concreti. Secondo i soggetti interpellati è inoltre necessario rafforzare il coinvolgimento del Parlamento europeo, dei parlamenti nazionali, delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile per garantire che le politiche economiche rispecchino le esigenze e le preoccupazioni di un’ampia gamma di parti interessate.

6.   Osservazioni generali

La revisione del quadro di governance economica dell’UE

6.1.

Il CESE appoggia le proposte di riforma della governance economica (9) presentate dalla Commissione e chiede che i relativi strumenti legislativi siano adottati rapidamente affinché possano entrare in vigore nel 2024, quando sarà revocata anche la clausola di salvaguardia generale del patto di stabilità e crescita (PSC).

6.2.

Le modifiche contenute nella comunicazione della Commissione, in particolare quelle volte a ridurre i livelli del debito pubblico negli Stati membri secondo i principi di differenziazione e flessibilità (10), comporteranno necessariamente delle modifiche delle procedure del semestre. Il CESE ritiene che, per salvaguardare una solida rappresentanza democratica della società nel suo complesso, tra le conseguenze inevitabili vi debba essere anche un maggiore coinvolgimento dei soggetti politici, economici e sociali nazionali. In questo importante settore della politica economica occorre tenere debitamente conto dei diversi punti di vista e dei diversi interessi, che sono rappresentati in modo particolare dalle parti sociali e dalle organizzazioni della società civile. La Commissione sottolinea l’importanza della titolarità nazionale. In tale contesto, è essenziale che i piani nazionali per il percorso di bilancio a medio termine sviluppino e rafforzino quanto è stato fatto nel contesto dei piani per la ripresa e la resilienza, ad esempio inserendo un articolo simile all’articolo 18, paragrafo 4, lettera q), del regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, introducendo l’obbligo di un maggiore controllo del modo in cui gli Stati membri consultano la società civile organizzata e ne integrano le richieste nei piani. È fondamentale avere il punto di vista delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile in merito alle riforme e agli investimenti proposti in tali piani e alla relativa attuazione.

6.3.

La Commissione ha pubblicato di recente una comunicazione dal titolo Un piano industriale del Green Deal per l’era a zero emissioni nette (11), nella quale collega la necessità di garantire il rispetto degli obiettivi del Green Deal all’attuazione del concetto di autonomia industriale strategica europea e a misure volte a rafforzare la competitività dell’industria verde europea di fronte alle conseguenze innescate dalla normativa statunitense sulla riduzione dell’inflazione. Una delle proposte del piano industriale del Green Deal è la creazione di un Fondo per la sovranità europea, nel contesto della revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027, per investire nelle tecnologie più innovative nel settore delle transizioni verde e digitale «salvaguardando in tal modo la coesione e il mercato unico dai rischi derivanti dalla disparità nella disponibilità di aiuti di Stato» (12).

6.4.

Il dibattito politico e accademico sulla governance economica dell’UE comprende questioni quali la creazione di una capacità di bilancio centrale permanente dell’UE e il livello e il tipo di risorse proprie di cui l’UE dovrebbe disporre. Con il presente parere, il CESE non intende pronunciarsi in merito a tali questioni. Il Comitato ritiene che le istituzioni dell’UE debbano condurre con urgenza una profonda riflessione su questi temi e sui modelli per giungere a un’ulteriore integrazione delle politiche monetarie, fiscali e di bilancio. Riteniamo tuttavia che il Comitato parli per la maggior parte della società civile organizzata europea quando afferma che la ricerca di soluzioni comuni europee e la costruzione di beni europei comuni sono essenziali per rispondere alle sfide geopolitiche, economiche, ambientali e sociali che l’UE e i suoi Stati membri si trovano ad affrontare e per attuare con buon esito le trasformazioni verde e digitale che portano a un modello economico maggiormente produttivo, competitivo e sostenibile sul piano ambientale e sociale. Secondo il CESE, per colmare il divario tecnologico rispetto agli Stati Uniti e alla Cina e rafforzare le catene del valore è necessaria una politica industriale europea comune. L’autonomia strategica invocata dalle istituzioni europee, in settori che vanno dalla politica estera e di difesa alle politiche industriale, tecnologica, commerciale, sanitaria, delle competenze e di ricerca e sviluppo, richiede soluzioni europee comuni e beni europei comuni. Le soluzioni nazionali basate sulla capacità di bilancio di ciascuno Stato membro non bastano, in quanto potrebbero seriamente compromettere il corretto funzionamento di uno dei migliori risultati dell’UE: il mercato unico.

6.5.

Il CESE ritiene che, al fine di finanziare adeguatamente i beni comuni europei, dobbiamo cominciare ad adoperarci per un uso corretto, efficiente ed efficace delle risorse finanziarie esistenti, sfruttando al meglio tutte le fonti disponibili nel quadro degli strumenti di investimento e di finanziamento pubblico e pubblico-privato previsti dall’UE. A tal fine, il CESE chiede la massima flessibilità nell’attuazione dei programmi come anche nelle sinergie e nel trasferimento di fondi tra di essi, accanto all’applicazione di rigorosi sistemi di valutazione e monitoraggio. La partecipazione della società civile può rendere questo processo più trasparente ed efficace.

6.6.

Fermo restando quanto detto sopra, l’entità del fabbisogno di investimenti, in termini di beni comuni e di sostegno agli investimenti che gli Stati membri dovranno realizzare, richiederà finanziamenti supplementari. Occorre inoltre creare le giuste condizioni per assicurare investimenti privati adeguati e garantire il quadro normativo più appropriato a lungo termine. Questo è il punto di vista espresso dal CESE nella risoluzione (2022) di cui sopra in merito ai piani nazionali per la ripresa e la resilienza, in relazione con il conseguimento degli obiettivi del Green Deal e l’accelerazione della transizione energetica. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che una condizione necessaria per compiere passi avanti in questa direzione è innanzitutto l’efficace attuazione dei piani nazionali per la ripresa e la resilienza.

6.7.

Il CESE ritiene che una buona governance economica e di bilancio debba risolvere quanto prima la questione del sistema delle entrate proprie dell’UE, rispettando gli impegni stabiliti nel QFP 2021-2027 e nello strumento NextGenerationEU e gettando le basi per il rafforzamento a lungo termine del bilancio europeo.

Il semestre europeo e le sue procedure

6.8.

Nonostante le sue carenze, il semestre ha svolto un ruolo importante nel coordinamento delle politiche economiche nazionali. Tuttavia, le sue procedure non consentono un coinvolgimento sufficientemente chiaro e costante dei cittadini e dei soggetti politici, economici e sociali degli Stati membri nei suoi processi e nelle sue raccomandazioni. Durante la Grande recessione di questo secolo, il semestre europeo è stato il canale di trasmissione di politiche dal chiaro carattere prociclico, frutto naturalmente dei principi dell’economia politica in base ai quali è stato gestito. Nella risposta molto diversa data dalle istituzioni europee alla crisi della COVID-19, le procedure del regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza hanno sostituito quelle del semestre. Con l’incentivo positivo delle sovvenzioni e dei prestiti, tale regolamento ha definito, attraverso i piani nazionali per la ripresa e la resilienza, un determinato modello di pianificazione indicativa degli investimenti e delle riforme strutturali. Alla scadenza del dispositivo per la ripresa e la resilienza non sarà possibile tornare al precedente modello del semestre. Da qui la necessità della riforma che il CESE propone.

6.9.

I problemi individuati dalla società civile organizzata nel funzionamento del semestre e del dispositivo per la ripresa e la resilienza sono naturalmente diversi per natura e intensità da uno Stato membro all’altro. Tuttavia, le critiche maggiormente sollevate sono in particolare le seguenti:

la qualità e la trasparenza della comunicazione con le parti interessate e la società non sono sufficienti;

la partecipazione delle parti sociali e della società civile organizzata raramente raggiunge un livello di qualità tale da consentire di riconoscerne l’utilità;

i tempi ristretti per la consultazione della società civile organizzata nel quadro del semestre rendono difficile sia il coinvolgimento di tutti i soggetti politici, economici e sociali nazionali sia il rispetto degli orientamenti contenuti nei piani nazionali di riforma e nelle raccomandazioni specifiche per paese;

in molti casi i piani nazionali di riforma e le raccomandazioni specifiche per paese non sono sufficientemente ben strutturati negli obiettivi e nelle proposte di riforma e la loro dimensione sociale è inadeguata;

il livello di conformità alle raccomandazioni specifiche per paese è carente in diversi paesi e il meccanismo sanzionatorio si è rivelato inefficace.

6.10.

Le procedure del dispositivo per la ripresa e la resilienza hanno migliorato la situazione sotto alcuni aspetti. Anche se dobbiamo ancora realizzare la valutazione intermedia (13), le consultazioni condotte per le due risoluzioni del CESE di cui sopra e per il presente parere hanno evidenziato un livello significativo di conformità con le riforme richieste. Ciò è indubbiamente legato all’incentivo positivo fornito dal ricevimento dei fondi del dispositivo per la ripresa e la resilienza. Il livello di attuazione degli investimenti è però in ritardo. Il grado di partecipazione della società civile organizzata è migliorato nelle prime fasi di attuazione dei piani nazionali per la ripresa e la resilienza rispetto a quello raggiunto nella fase di preparazione e rispetto a quello osservato abitualmente nel semestre europeo. Tuttavia, nel 2022 non si è registrato alcun miglioramento, e in alcuni paesi sono stati addirittura rilevati gravi passi indietro indotti dai cambiamenti politici intervenuti.

6.11.

Una riforma del quadro di governance economica, come proposto dalla Commissione, richiede chiaramente un adeguamento del semestre. Il quadro riveduto per una politica di bilancio comune offrirà un contesto più flessibile e differenziato che comporterà negoziati e accordi tra le istituzioni dell’UE e gli Stati membri, così come modifiche nei calendari e nelle procedure del semestre. Affinché questo rimanga efficace e continui a produrre buoni risultati, dovrà agevolare la titolarità nazionale del processo e degli impegni assunti, il che può essere conseguito solo con un più ampio coinvolgimento dei soggetti politici, economici e sociali nel processo stesso. Per il CESE, il coinvolgimento delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile deve pertanto costituire uno dei pilastri del semestre riveduto. Un altro elemento essenziale è il coinvolgimento dei parlamenti nazionali e degli enti locali e regionali.

6.12.

Il CESE ha già chiesto l’adozione di un atto legislativo europeo che disciplini il coinvolgimento delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile nel semestre. L’articolo 18, paragrafo 4, lettera q), del regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza potrebbe fungere da traccia per la formulazione della norma richiesta dal CESE. Proponiamo che tale atto abbia la forma di regolamento che stabilisca i principi e le caratteristiche fondamentali delle consultazioni con le organizzazioni della società civile. In tal modo, esso rispetterebbe le tradizioni e le procedure nazionali in materia di partecipazione sociale, imponendo nel contempo che tale partecipazione sia realizzata nel rispetto dei principi e delle caratteristiche fondamentali stabiliti dal regolamento europeo.

6.13.

La Commissione ha annunciato l’imminente pubblicazione di una comunicazione sul rafforzamento del dialogo sociale e di una raccomandazione sul ruolo del dialogo sociale a livello nazionale. Il CESE ritiene che, qualora questa iniziativa dovesse sfociare nell’adozione di una normativa, essa dovrebbe essere complementare al regolamento che il Comitato chiede di adottare.

7.   Proposte di riforma del semestre europeo

7.1.

Il CESE propone di riformare il semestre europeo al fine di rafforzare i principi, i valori e le tendenze seguenti: trasparenza, democrazia, coinvolgimento delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, efficacia a livello di funzionamento e ai fini della crescita delle economie e di un’occupazione di qualità, contributo alla coesione sociale e alla convergenza tra gli Stati membri e completamento delle transizioni verde e digitale dell’economia dell’UE.

7.2.

A tal fine, gli attuali sistemi di indicatori — economici e occupazionali, sociali e ambientali — devono essere rinnovati, integrati e resi coerenti tra loro, in modo da rafforzare le procedure di valutazione, che dovrebbero coinvolgere anche le parti sociali e le organizzazioni della società civile.

7.3.

Il CESE raccomanda di riformare il semestre in modo che tenga sempre conto della dimensione sociale delle decisioni economiche in sede di coordinamento delle economie dell’UE e di formulazione di proposte volte a promuoverne la crescita sostenibile. Le misure promosse dal semestre devono dare priorità sia alla capacità di innovazione e alla crescita della produttività sia all’attuazione di transizioni giuste nelle trasformazioni verde e digitale dell’economia europea e all’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali. Questo è il proficuo equilibrio che è stato denominato «sostenibilità competitiva dell’UE», quale definito negli ultimi due pareri sull’analisi annuale della crescita sostenibile, che il CESE ha pienamente sostenuto.

7.4.

Il CESE ritiene che i principali strumenti del semestre — la strategia annuale di crescita sostenibile, i piani nazionali di riforma e le raccomandazioni specifiche per paese — debbano avere una durata di tre anni, con valutazioni e riesami annuali. Ciò consentirebbe anche un migliore processo di partecipazione dei soggetti politici, economici e sociali, aumenterebbe la titolarità nazionale e promuoverebbe una migliore attuazione di tali strumenti.

7.5.

Il rispetto delle raccomandazioni specifiche per paese nella prospettiva a medio termine sostenuto dal CESE contribuirà a valutare la validità e l’efficacia del semestre. La consultazione condotta nel quadro del presente parere ha rilevato, in particolare, i punti di vista della società civile organizzata sul valore delle sanzioni in caso di inosservanza e sui tipi più efficaci di sanzioni. Il CESE ritiene che l’approccio più appropriato consista nel fornire incentivi per il rispetto degli impegni nazionali, collegandoli al bilancio dell’UE e all’ottenimento di determinati fondi da parte degli Stati membri, sulla falsariga del modello del dispositivo per la ripresa e la resilienza. Affinché tali impegni siano equilibrati e coerenti con tutti i pilastri della governance economica, è essenziale che il processo di titolarità nazionale sia democratico e che coinvolga i soggetti politici e sociali.

7.6.

Rendere il semestre più democratico significa coinvolgere gli organi politici democratici europei e nazionali nelle sue procedure e, in alcuni casi, nelle sue decisioni. A tal riguardo, ci riferiamo al Parlamento europeo e ai parlamenti nazionali, nonché alle istituzioni politiche locali e regionali. Non è scopo del presente parere proporre formule o competenze specifiche. Va tuttavia sottolineato che il processo di titolarità nazionale delle raccomandazioni e delle misure del semestre, tanto necessario per la loro efficacia, richiede che tali istituzioni nazionali svolgano un ruolo importante sia nell’elaborazione dei piani e delle raccomandazioni che nella loro valutazione. Analogamente, le competenze del Parlamento europeo dovrebbero essere ampliate in modo da disporre della capacità di codecisione in merito agli indirizzi di massima per le politiche economiche e alle proposte di carattere europeo.

7.7.

Il CESE propone di coinvolgere le parti sociali e le organizzazioni rappresentative della società civile attraverso una procedura di consultazione formale strutturata a livello sia europeo che nazionale. La partecipazione dovrebbe avvenire tanto nella fase di elaborazione degli orientamenti, delle raccomandazioni e delle misure quanto in quelle di attuazione e valutazione. Dovrebbe esservi un organismo specifico, possibilmente già esistente, che sia formalmente e giuridicamente incaricato della consultazione sul semestre e che coinvolga la società civile nella valutazione del semestre. I consigli economici e sociali nazionali potrebbero svolgere un ruolo importante nella consultazione in merito al semestre e nella sua valutazione in molti paesi. Tuttavia, questa scelta rimane di competenza dei singoli paesi, secondo le tradizioni e la legislazione di ciascuno Stato membro. I singoli paesi decidono attualmente anche se le parti sociali e le organizzazioni della società civile sono coinvolte attraverso la stessa procedura e lo stesso organismo o attraverso processi distinti.

7.8.

Il CESE ritiene che il coinvolgimento delle parti sociali e della società civile organizzata nelle varie fasi del semestre europeo debba essere stabilito mediante un regolamento dell’UE che definisca i valori, i principi e le caratteristiche principali da rispettare, lasciando alla legislazione nazionale il compito di indicare le procedure e gli organismi responsabili della loro attuazione. Secondo il CESE, per un efficace processo di consultazione formale a livello nazionale occorre includere in tale regolamento i seguenti requisiti principali:

il processo deve essere permanente e strutturato e le specifiche dovrebbero essere disciplinate dalla legislazione nazionale; per gli Stati membri che si sono già dotati di tale legislazione, questa dovrebbe essere riesaminata e aggiornata conformemente alle disposizioni del regolamento dell’UE;

il processo non dovrebbe essere una tantum, limitato a un periodo o a un anno specifico, ma dovrebbe essere basato su un adeguato meccanismo permanente di consultazione e scambio, che copra tutte le diverse fasi, con strutture e metodi adeguati. Il processo di consultazione dovrebbe essere oggetto di relazioni periodiche da pubblicare annualmente, trasmettere alla Commissione e ai parlamenti nazionali e mettere a disposizione della società civile organizzata e dei cittadini in generale di ciascuno Stato membro;

le procedure devono soddisfare i criteri di apertura, trasparenza e rappresentatività. L’accesso aperto alle informazioni dovrebbe riguardare l’insieme dei documenti e delle statistiche relativi al dispositivo per la ripresa e la resilienza e al semestre, compresi i dati chiave sui progetti di investimento e i risultati dei quadri di valutazione della situazione economica, sociale e ambientale. L’utilizzo di portali web che li riuniscono in modo adeguatamente strutturato dovrebbe essere esteso a tutti gli Stati membri;

ogni Stato membro deve specificare il tipo di organismo o organismi attraverso cui si svolgerà il processo partecipativo, nonché le caratteristiche che tale organismo o tali organismi dovrebbero presentare per garantire la rappresentatività dei propri membri e la non interferenza della politica nella loro designazione. La consultazione formale della società civile organizzata dovrebbe avvenire sia nella fase di elaborazione dei documenti chiave del semestre — analisi annuale della crescita sostenibile, relazione comune sull’occupazione e orientamenti in materia di occupazione, programmi nazionali di riforma, raccomandazioni specifiche per paese ecc. — sia nelle fasi di attuazione e valutazione. Il coinvolgimento della società civile organizzata dovrebbe essere esteso anche ai processi di riforma derivanti dalle raccomandazioni specifiche per paese e dalla procedura per gli squilibri macroeconomici o dal meccanismo riveduto del modello di governance economica dell’UE;

i calendari del processo di consultazione dovrebbero essere sufficientemente omogenei a livello dell’UE per consentire la convergenza su un processo comune e garantire la coerenza con quelli già in atto e con quelli adattati all’integrazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza nel semestre;

le riunioni saranno convocate in tempo utile e nelle forme stabilite, e i documenti e le informazioni necessari saranno inviati alle parti sociali e alle organizzazioni della società civile convocate, lasciando tempo sufficiente affinché siano esaminati dai rappresentanti della società civile organizzata. Durante le riunioni sarà redatto un verbale che includerà le proposte avanzate dai rappresentanti della società civile organizzata;

i governi nazionali e la Commissione dovrebbero rispondere tempestivamente alle proposte delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, integrando le proposte e le risposte motivate nei documenti di lavoro del semestre, nelle sue diverse fasi. Dovrebbe essere inclusa anche una tabella di marcia per l’attuazione delle proposte che sono state accolte;

la partecipazione della società civile organizzata attraverso i delegati delle sue organizzazioni rappresentative e le consultazioni formali strutturate possono essere integrate, ma mai sostituite, da consultazioni online, aperte o semiaperte.

7.9.

Il CESE ritiene che criteri analoghi debbano essere applicati alle procedure di dialogo sociale e di dialogo con la società civile e agli organismi che le sostengono a livello europeo. Le differenze in termini di portata, contenuto e calendario renderebbero ovviamente necessario apportare alcuni adeguamenti.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell'UE (COM(2022) 583 final).

(2)  Parere del CESE in merito alla Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell'UE (GU C 146 del 27.4.2023, pag. 53).

(3)  Risoluzione del CESE sul tema Coinvolgimento della società civile organizzata nei piani nazionali per la ripresa e la resilienza — Cosa funziona e cosa no?, adottata nel febbraio 2021 (GU C 155 del 30.4.2021, pag. 1); risoluzione del CESE sul tema Coinvolgimento della società civile organizzata nei piani nazionali per la ripresa e la resilienza — Come migliorarlo?, adottata nel maggio 2022 (GU C 323 del 26.8.2022, pag. 1).

(4)  Allegato al parere d'iniziativa sul tema Raccomandazioni del CESE per una solida riforma del semestre europeo (europa.eu).

(5)  Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (GU L 57 del 18.2.2021, pag. 17).

(6)  COM(2022) 583 final

(7)  Semestre europeo 2023 — Relazione di sintesi del Segretariato generale del Consiglio dell'Unione europea (20.3.2023).

(8)  AT, BE, BG, CZ, IE, IT, EL, ES, FI, FR, HR, CY, LT, LU, HU, MT, NL, PL, RO, SI, SK, SE e DK.

(9)  Parere del CESE in merito alla Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell’UE (GU C 146 del 27.4.2023, pag. 53).

(10)  In particolare, il CESE ha presentato una proposta in merito a tale flessibilità nei punti 3.6 e 3.7 del suddetto parere.

(11)  COM(2023) 62 final.

(12)  Intervenendo alla sessione plenaria del CESE del 24/01/2023, la vicepresidente esecutiva della Commissione europea Margrethe Vestager ha riferito che dei 677 miliardi di EUR assegnati dagli Stati membri alle imprese dall’inizio della pandemia, il 50 % è stato erogato dalla Germania e il 25 % dalla Francia.

(13)  Relazione di valutazione del CESE intitolata Valutazione intermedia del dispositivo per la ripresa e la resilienza (adozione prevista per settembre 2023).


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il diritto a un ambiente sano nell’Unione europea, in particolare nel contesto della guerra in Ucraina»

(parere d’iniziativa)

(2023/C 228/02)

Relatrice:

Ozlem YILDIRIM

Decisione dell’Assemblea plenaria

27.10.2022

Base giuridica

Articolo 52, paragrafo 2, del regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sezione

13.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

162/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il 23 giugno 2022 l’Ucraina ha ottenuto lo status di paese candidato all’adesione all’UE. Con la sua adesione all’Unione europea, l’Ucraina sarà il primo o il secondo Stato membro dell’UE per estensione territoriale. Il vasto territorio ucraino vanta una diversità di ecosistemi: secondo il segretariato della Convenzione sulla diversità biologica, infatti, l’Ucraina, pur rappresentando il 6 % del territorio del continente europeo, ospita il 35 % della sua biodiversità.

1.2.

Tra i danni ambientali causati dalla guerra figurano il degrado degli ecosistemi, l’inquinamento atmosferico e idrico e la contaminazione dei terreni coltivabili e dei pascoli. Secondo quanto viene riferito, dall’inizio della guerra 200 000 ettari di foresta sono stati colpiti da incendi, 680 000 tonnellate di combustibili fossili sono finite in fumo e 180 000 metri cubi di suolo sono stati contaminati da munizioni. La guerra ha provocato il degrado di aree protette e distrutto impianti di trattamento delle acque. Il conflitto ha causato 100 incendi boschivi che hanno rilasciato emissioni per 33 milioni di tonnellate di CO2.

1.3.

Le azioni della Russia sembrano configurarsi come «ecocidio», in base alla definizione proposta da alcuni esperti giuristi e pubblicata nel giugno 2021. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha chiesto che l’«ecocidio», secondo la definizione che ne ha dato il gruppo di esperti indipendenti per la definizione giuridica dell’ecocidio, sia previsto dai codici come un reato ai sensi del diritto dell’UE. Il riconoscimento del reato di ecocidio nella direttiva dell’UE riveduta sulla tutela penale dell’ambiente porterà a una serie di sviluppi legislativi anche al di là della sfera dell’UE, in particolare nell’ambito della Corte penale internazionale; questi sviluppi potrebbero contribuire a determinare un grado di responsabilità da parte della Russia che rifletta il livello dei danni ambientali ed ecologici causati da questo paese.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE):

1.4.

sottolinea che è necessario e urgente migliorare la protezione dell’ambiente per il rispetto dei diritti fondamentali nell’UE e anche oltre, poiché la situazione in materia è stata aggravata dai danni ambientali causati dalla guerra in Ucraina (tra cui i danni alla salute umana sia fisica che mentale, il degrado degli ecosistemi, l’inquinamento atmosferico e idrico e la contaminazione dei terreni coltivabili e dei pascoli), il che costituisce una minaccia diretta per la produzione agricola e mette in luce la fragilità della sicurezza alimentare a livello globale;

1.5.

richiama l’attenzione sull’impatto ambientale e sociale dell’invasione russa e sull’importanza e la necessità di sostenere le attività volte a documentare, mappare e misurare le conseguenze del conflitto, perseguendo l’obiettivo della protezione giuridica dell’ambiente, garantendo l’assunzione di responsabilità, gettando le basi per una ripresa postbellica verde e sostenibile e contribuendo alla valutazione del fabbisogno finanziario al momento della riassegnazione dei fondi destinati alla ripresa verde;

1.6.

invita la Commissione europea e il Consiglio ad adottare misure per individuare gli impatti negativi sull’ambiente della guerra illegale mossa dalla Russia contro l’Ucraina e le loro implicazioni in termini di rispetto dei diritti umani. Queste due istituzioni europee devono sostenere gli sforzi della società civile per documentare i danni all’ambiente, inclusi i reati ambientali, imputabili alla Russia, e coadiuvare la società civile nel ruolo che svolge nel configurare la ricostruzione dell’Ucraina;

1.7.

esorta l’UE a contribuire a proteggere l’ambiente in Ucraina e a riparare i danni ambientali causati dalla guerra. Il CESE ritiene che tutti gli sforzi di ricostruzione debbano essere realizzati nel rispetto delle norme internazionali dell’OIL e dei principi di condizionalità sociale;

1.8.

sottolinea che non è possibile separare la salute umana dalla qualità dell’ambiente — la salute degli ecosistemi e quella degli animali e delle persone sono interconnesse — e che l’UE deve tutelare il diritto a un ambiente sano. Il degrado ambientale è la causa principale dei problemi di salute. L’inquinamento acustico, ad esempio, provoca 12 000 decessi all’anno. L’interconnessione tra ambiente e salute umana è poi particolarmente evidente nel settore della sicurezza alimentare;

1.9.

invita la Commissione e il Consiglio a rafforzare i metodi di ispezione dei prodotti agroalimentari al momento dell’ingresso nel mercato unico, prestando particolare attenzione al rilevamento dell’inquinamento ambientale causato dalla guerra in Ucraina, al fine di garantire la salute di tutti i cittadini europei e del nostro ambiente;

1.10.

insiste sul fatto che il diritto a un ambiente sano è fondamentale per il benessere sociale ed economico dei popoli in Europa e nel resto del mondo. Si stima che circa il 40 % dei posti di lavoro a livello mondiale dipenda da un clima e un ecosistema sani. Alla luce del quadro giuridico internazionale e di questa drammatica realtà, non deve sorprendere che l’UE abbia adottato un gran numero di atti legislativi per dare effettiva applicazione al proprio obbligo di garantire il rispetto del diritto a un ambiente sano;

1.11.

esorta tutti gli Stati membri e le istituzioni dell’UE a intensificare gli sforzi per migliorare l’efficacia degli strumenti giuridici in vigore, dato che spesso quello che fa difetto è l’efficacia concreta delle norme. I numerosi casi di azioni in giudizio intentate contro le carenze degli Stati membri o della stessa UE in ambiti quali l’aria pulita, il clima, la pesca o l’acqua dimostrano quanto lacunoso e insufficiente sia l’intervento delle autorità pubbliche nel garantire il rispetto di questo diritto.

2.   Osservazioni generali

2.1.   Il diritto a un ambiente sano nel contesto della guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina e dell’adesione dell’Ucraina all’UE

2.1.1.

Il 16 marzo 2022 il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha espulso la Russia dal Consiglio d’Europa con effetto immediato (1). Pertanto, mentre l’UE era nel pieno dei suoi negoziati di adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo («la Convenzione»), il 16 settembre 2022 la Russia ha cessato di essere vincolata da tale Convenzione, con una conseguente, drastica diminuzione della tutela dei diritti umani in tutto il continente europeo. Tuttavia, al momento dell’invasione dell’Ucraina, e fino al 16 settembre 2022, la Russia era vincolata dalla Convenzione e, malgrado il suo successivo ritiro da diversi organismi internazionali, era, ed è tuttora, vincolata da una vasta serie di obblighi a livello internazionale. Questi obblighi riguardano non solo i diritti umani (2), ma anche la protezione dell’ambiente: nella sua aggressione contro l’Ucraina, infatti, la Russia ha violato, tra altri strumenti internazionali, la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (3) e la convenzione dell’ONU sulla diversità biologica.

2.1.2.

È essenziale garantire la tutela dei diritti umani e la protezione dell’ambiente nel resto del continente europeo, ossia non solo nei 27 Stati membri dell’Unione europea, dove la tutela dei diritti umani sarà rafforzata dall’adesione dell’UE alla Convenzione, ma anche nei rimanenti 19 Stati membri del Consiglio d’Europa, compresa l’Ucraina.

2.1.3.

Ciò è ancora più importante se si considera che, il 23 giugno 2022, l’Ucraina ha assunto lo status di paese candidato all’adesione all’UE. Dopo la sua adesione all’Unione europea, l’Ucraina sarà il primo o il secondo Stato membro dell’UE per estensione territoriale (4). Il vasto territorio ucraino vanta una diversità di ecosistemi: difatti, secondo il segretariato della Convenzione sulla diversità biologica (5), l’Ucraina, pur rappresentando il 6 % del territorio del continente europeo, ospita il 35 % della sua biodiversità. Inoltre, sia i terreni agricoli del paese — fondamentali per l’approvvigionamento alimentare mondiale — che le sue vaste infrastrutture per i combustibili fossili (da cui alcuni Stati membri limitrofi dipendono in modo particolare per il loro approvvigionamento energetico) sono stati sottoposti a un’enorme pressione nel corso dell’ultimo anno.

2.1.4.

Le azioni della Russia sembrano configurarsi come «ecocidio», in base alla definizione proposta da alcuni esperti giuristi e pubblicata nel giugno 2021 (6). Il reato di «ecocidio» è stato introdotto nel codice penale ucraino (7) nel 2001. Parallelamente alla decisione del Parlamento europeo (8), il CESE ha chiesto che l’«ecocidio», secondo la definizione che ne ha dato il gruppo di esperti indipendenti per la definizione giuridica dell’ecocidio, sia previsto dai codici come un reato ai sensi del diritto dell’UE (9). Il riconoscimento del reato di ecocidio nella direttiva dell’UE riveduta sulla tutela penale dell’ambiente porterà a una serie di sviluppi legislativi anche al di là della sfera dell’UE in particolare nell’ambito della Corte penale internazionale; questi sviluppi potrebbero contribuire a determinare un grado di responsabilità da parte della Russia che rifletta il livello dei danni ambientali ed ecologici causati da questo paese.

2.1.5.

Il 19 gennaio 2023 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione (che il CESE ha sostenuto nella sua sessione plenaria di febbraio) (10) in cui chiede l’istituzione di un tribunale che si occupi del crimine di aggressione contro l’Ucraina. La risoluzione contiene due riferimenti a questioni ambientali. In primo luogo, riconosce il collegamento tra la guerra e danni a lungo termine all’ambiente naturale e al clima. In secondo luogo, chiede l’istituzione di un registro internazionale in cui, tra l’altro, siano inventariati i danni diffusi e gravi causati all’ambiente naturale e al clima, al fine di contribuire a determinare futuri risarcimenti per i danni subiti. In tale contesto, è essenziale evidenziare e rafforzare il collegamento tra danni ambientali usati come arma di guerra, e perseguire questi reati.

2.1.6.

Tra i danni ambientali causati dalla guerra figurano il degrado degli ecosistemi, l’inquinamento atmosferico e idrico e la contaminazione dei terreni coltivabili e dei pascoli. Ad esempio, le fuoriuscite di gas da due gasdotti russi nel Mar Baltico potrebbero avere un impatto senza precedenti sul clima e su altri aspetti dell’ambiente (11). Dall’inizio della guerra 200 000 ettari di foresta sono stati colpiti da incendi, 680 000 tonnellate di combustibili fossili sono finite in fumo e 180 000 metri cubi di suolo sono stati contaminati da munizioni. La guerra ha provocato il degrado di aree protette e distrutto impianti di trattamento delle acque. E il pericolo è ancora maggiore dal momento che l’Ucraina, con i suoi 15 reattori, è il secondo paese più nuclearizzato d’Europa. Il conflitto ha causato 100 incendi boschivi che hanno rilasciato emissioni per 33 milioni di tonnellate di CO2. I bombardamenti russi stanno distruggendo la biodiversità in Ucraina. Secondo stime di esperti ucraini, i danni ambientali causati dalla Russia ammontano a 24 miliardi di EUR.

2.1.7.

La guerra in Ucraina sta ponendo sfide ambientali senza precedenti e di lunga durata, oltre ad avere effetti negativi sulla salute fisica e mentale e sull’integrità e il benessere del popolo ucraino e delle sue generazioni future. Nel caso dei gruppi vulnerabili questi effetti sono ancora più gravi, e si deve prestare particolare attenzione all’impatto psicologico del conflitto e ai problemi di salute mentale. La guerra sta provocando una contaminazione dell’aria, dell’acqua e del suolo, come pure inquinamento acustico, tutti fattori che avranno un impatto sulle vittime per generazioni. Si può ritenere che molti problemi travalichino i confini dell’Ucraina e che i gravi rischi per la salute pubblica siano quindi collettivi. Come le conseguenze della guerra, gli effetti del degrado ambientale sulla salute mentale e fisica, e in particolare quelli della contaminazione dell’aria, dell’acqua e del suolo, sono notoriamente intergenerazionali. Le vittime di questi effetti non saranno solo i bambini che oggi vivono in Ucraina o che sono stati costretti a fuggire dal paese, ma anche le generazioni future.

2.1.8.

Ciò rende particolarmente carichi di significato gli sforzi dei movimenti e delle organizzazioni giovanili dell’Ucraina per farsi portavoce della loro generazione. È importante che i loro punti di vista e le loro opinioni contribuiscano allo sforzo di ricostruzione.

2.1.9.

I danni al nostro ecosistema comune, quali il degrado del suolo, costituiscono una minaccia diretta per la futura produzione agricola e mettono in luce la fragilità della sicurezza alimentare a livello mondiale. In particolare, l’attuale struttura del mercato dei prodotti di base non sta realizzando «l’economia sostenibile di cui abbiamo bisogno» e gli obiettivi connessi allo sviluppo sostenibile, all’ambizione climatica e alla transizione giusta sanciti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dal Green Deal europeo, ma, anzi, agisce attivamente contro il raggiungimento di tutti questi traguardi (12).

2.1.10.

Prima della guerra, la società civile ha avuto un ruolo fondamentale nella difesa dell’ambiente in Ucraina. Tuttavia, il conflitto ha inciso fortemente sulle capacità della società civile ucraina di svolgere le sue attività, con un gran numero di ambientalisti costretti alla fuga dal paese o che in questo momento partecipano allo sforzo bellico. Quelli ancora in grado di operare si concentrano oggi su azioni per documentare le ripercussioni della guerra di aggressione russa sull’ambiente (13). Sarà essenziale coinvolgerli nella ricostruzione dell’ambiente dell’Ucraina e fare in modo che il paese adotti il diritto ambientale dell’UE per poter aderire all’Unione.

2.1.11.

Per gli ucraini, la protezione dell’ambiente e le ripercussioni sulla loro vita quotidiana e la loro salute continuano a essere questioni importanti. Inoltre, secondo un sondaggio d’opinione, il 95,2 % degli intervistati ritiene che il ripristino della natura sia un tema importante nel processo di ricostruzione postbellica dell’Ucraina (14).

2.1.12.

Con un sostegno adeguato a livello internazionale, la distruzione da parte della Russia delle infrastrutture dell’industria pesante ucraina potrebbe trasformarsi per il paese in un’opportunità per sfruttare il suo potenziale di energia solare ed eolica e ricostruire meglio e in modo più ecologico con fonti di energia elettrica alternative, a tutto vantaggio sia dei suoi cittadini che degli abitanti di altri paesi, il che rafforzerebbe considerevolmente la posizione dell’Ucraina nei negoziati di adesione all’UE.

2.1.13.

La situazione attuale rimane instabile. Gravi incertezze pesano sul futuro. Al di là dell’immensa catastrofe umana e umanitaria, sorgeranno interrogativi sui costi finali della ricostruzione dell’Ucraina e su fino che punto la Russia possa essere ritenuta responsabile di doverli sostenere. L’UE ha un ruolo importante da svolgere. Nella risoluzione sul tema La guerra in Ucraina e il suo impatto economico, sociale e ambientale (15), il CESE ha sottolineato che, oltre agli effetti sugli esseri umani, gli impatti ambientali causati dal conflitto — a seguito di bombardamenti, fuoriuscite di petrolio/gas, incidenti in fabbriche chimiche o centrali nucleari — sono motivo di grave preoccupazione sia per la popolazione ucraina che per quella dell’UE e non solo. Questi impatti ambientali avranno inevitabilmente delle ripercussioni durature sulla salute umana e sugli ecosistemi. L’impatto ambientale della guerra costituisce una minaccia reale per la popolazione: esperti delle Nazioni Unite avvertono (16) che eliminare l’inquinamento cagionato dal conflitto potrebbe richiedere anni, con un aumento del rischio di tumori, malattie respiratorie e ritardi di sviluppo nei bambini, per non parlare delle preoccupazioni per quel che riguarda la salute riproduttiva. Il CESE ha sottolineato che l’UE deve contribuire a proteggere l’ambiente in Ucraina e a riparare i danni ambientali causati dalla guerra. Il CESE sottolinea che tutti gli sforzi di ricostruzione devono essere realizzati nel rispetto delle norme internazionali dell’OIL e dei principi di condizionalità sociale. Il CESE ha proposto che la risposta dell’UE prenda la forma di programmi quali RescEU e LIFE, in coordinamento con meccanismi nazionali, regionali e locali e in cooperazione con il settore privato e le ONG.

2.1.14.

Mentre il conflitto è ancora in corso, è importante instaurare una cooperazione transfrontaliera tra organizzazioni della società civile, governi e organismi internazionali per la mappatura e il monitoraggio dei danni ambientali di natura transfrontaliera, per poter valutare l’entità dei danni e le esigenze finanziarie, stimolare gli investimenti e riassegnare le risorse per la ricostruzione sociale e sostenibile dell’Ucraina. Per quanto riguarda la mappatura dei danni, l’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) ha sostenuto azioni volte a migliorare la capacità di raccogliere informazioni che diano conto dello stato dell’ambiente prima della guerra e che potrebbero servire da assunto di base nei processi di monitoraggio (17).

2.1.15.

Queste due istituzioni europee devono sostenere gli sforzi della società civile per documentare i danni all’ambiente, inclusi i reati ambientali, imputabili alla Russia. L’UE deve inoltre fare in modo che i suoi sforzi a favore della ricostruzione dell’Ucraina prevengano e attenuino i disastrosi impatti ecologici e ambientali del conflitto, affinché i diritti umani trovino realizzazione concreta.

2.1.16.

L’azione dell’UE deve altresì garantire che tanto la sua economia quanto quella dell’Ucraina non dipendano più dai combustibili fossili e che gli sforzi di ricostruzione portino a un progressivo abbandono dell’uso delle infrastrutture per questi combustibili. Gli sforzi dell’UE devono inoltre far sì che l’Ucraina sia in grado di svolgere il proprio ruolo nel sistema alimentare mondiale e, nella prospettiva dell’adesione del paese all’UE, consentire all’Unione di rispettare gli impegni assunti nel quadro dell’accordo di Parigi e dell’accordo di Kunming-Montreal. L’UE dovrebbe inoltre assicurarsi che i suoi programmi di sanzioni abbiano un impatto positivo sull’ambiente. Alcune ONG hanno sollecitato, ad esempio, il ricorso a sanzioni che costituiscano un impedimento non solo alla capacità della Russia di proseguire in una guerra illegale, ma anche alla sua possibilità di trarre profitto da attività di pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata (18).

2.2.   L’obbligo giuridico dell’UE di tutelare il diritto a un ambiente sano

2.2.1.

Il 28 luglio 2022 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una storica risoluzione che riconosce il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile in quanto diritto umano (19), e in cui invita gli Stati, le organizzazioni internazionali, le imprese e tutte le altre parti interessate a intensificare gli sforzi per garantire un ambiente pulito, sano e sostenibile per tutti. I 27 Stati membri dell’UE hanno votato a favore della risoluzione, così come la stragrande maggioranza dei paesi del mondo. Facendo eco alla relazione informativa del CESE sul tema La protezione dell’ambiente quale fattore indispensabile per il rispetto dei diritti fondamentali (2021) (20), la risoluzione dell’ONU riconosce che «il degrado ambientale, i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, la desertificazione e lo sviluppo non sostenibile rappresentano alcune delle minacce più gravi e immediate alla capacità delle generazioni presenti e future di godere efficacemente di tutti i diritti umani». La risoluzione invita, tra l’altro, le organizzazioni internazionali come l’UE a «migliorare la cooperazione internazionale, rafforzare lo sviluppo di capacità e continuare a condividere le buone pratiche al fine di intensificare gli sforzi volti a garantire un ambiente pulito, sano e sostenibile per tutti».

2.2.2.

Con il diritto a un ambiente sano viene riconosciuto il collegamento fondamentale tra ambiente e salute umana. Non è possibile separare la salute umana dalla qualità dell’ambiente — la salute degli ecosistemi e quella degli animali e delle persone sono interconnesse — e l’UE deve tutelare tale diritto. Il degrado ambientale è la causa principale dei problemi di salute. Per fare un esempio, nel 2019 307 000 morti premature sono state imputate al particolato fine, 40 400 al biossido di azoto e 16 800 all’esposizione acuta all’ozono (21). Naturalmente il problema non è limitato alla sola qualità dell’aria: l’inquinamento acustico, ad esempio, provoca 12 000 decessi all’anno (22). L’interconnessione tra ambiente e salute umana è poi particolarmente evidente nel settore della sicurezza alimentare.

2.2.3.

L’ordinamento giuridico dell’UE è all’avanguardia a livello mondiale nel riconoscere, a livello sovranazionale, il diritto a un ambiente sano. Le disposizioni del trattato (l’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’articolo 11 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)] si affiancano a una serie di altre norme, in particolare l’articolo 3, paragrafo 3, e l’articolo 21, paragrafo 2, del trattato sull’Unione europea (TUE), l’articolo 191 del TFUE (23) e diverse altre disposizioni della Carta dei diritti fondamentali (24), che, considerate in associazione, equivalgono al riconoscimento del diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile. Ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, le istituzioni dell’Unione europea sono sempre soggette a questo obbligo e gli Stati membri sono soggetti al medesimo obbligo nell’attuazione del diritto dell’UE (25). Il Parlamento europeo ha chiesto che «il diritto a un ambiente sano [sia] riconosciuto dalla Carta» e che l’UE guidi «l’iniziativa a favore del riconoscimento di un diritto analogo a livello internazionale» (26).

2.2.4.

In virtù dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali, l’UE è anche tenuta a rispettare le disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, quando le disposizioni della Carta corrispondono a quelle della Convenzione. In particolare, attraverso il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare e del proprio domicilio (articolo 7 della Carta, articolo 8 della Convenzione), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha presumibilmente già riconosciuto il diritto a un ambiente sicuro e sano (27). Ciò implica non solo obblighi negativi (l’obbligo di non pregiudicare il diritto a un ambiente sano), ma anche obblighi positivi di adottare misure, ad esempio per quanto riguarda la qualità dell’aria, al fine di garantire il rispetto di questo diritto (28). Tali obblighi diventeranno ancora più vincolanti dopo che l’UE avrà aderito alla Convenzione, come richiesto dall’articolo 6, paragrafo 2, del TUE. Facendo eco alla risoluzione del Parlamento europeo, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto di adottare un protocollo alla Convenzione che riconosca esplicitamente «il diritto a un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile» (29), il che creerebbe un diritto esigibile in tutti i 27 Stati membri dell’UE e nei 19 paesi non UE che sono anch’essi membri del Consiglio d’Europa.

2.2.5.

È inoltre ampiamente riconosciuto che l’UE esercita un’enorme influenza sulla regolamentazione in materia di ambiente a livello mondiale. Vari ambiti del diritto dell’UE che hanno un’incidenza sul diritto a un ambiente sano — in particolare le norme sulle sostanze tossiche stabilite nel regolamento REACH (30) —, sono emblematici di un «effetto Bruxelles» (31) in virtù del quale le norme adottate dall’UE assurgono a standard mondiali.

2.2.6.

Il diritto a un ambiente sano è fondamentale per il benessere sociale ed economico dei popoli in Europa e nel resto del mondo. Si stima che circa il 40 % dei posti di lavoro a livello mondiale dipenda da un clima e un ecosistema sani (32). Alla luce del quadro giuridico internazionale e di questa drammatica realtà non deve sorprendere che l’UE abbia adottato un gran numero di atti legislativi per dare effettiva applicazione al proprio obbligo di garantire il rispetto del diritto a un ambiente sano. Ne sono un chiaro esempio le norme dell’UE sulla qualità dell’aria ambiente (direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (33)). Secondo le conclusioni dell’avvocato generale Kokott, «[l]e disposizioni sulla qualità dell’aria ambiente concretizzano pertanto gli obblighi di protezione dell’Unione risultanti dal diritto fondamentale alla vita ai sensi dell’articolo 2, comma 1, della Carta, nonché dall’elevato livello di tutela dell’ambiente imposto ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, TUE, dell’articolo 37 della Carta e dell’articolo 191, comma 2, TFUE» (34). Per conseguire il massimo livello di protezione della salute umana, il CESE raccomanda di allineare pienamente le norme dell’UE in materia di qualità dell’aria agli orientamenti globali aggiornati sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) al più tardi entro il 2030.

2.2.7.

Nei programmi d’azione dell’UE per l’ambiente, elaborati a norma dell’articolo 192, paragrafo 3, del TFUE, sempre più spesso quello a un ambiente sano è riconosciuto come un diritto. L’8o programma d’azione per l’ambiente (PAA) riconosce esplicitamente che la «realizzazione di progressi verso il riconoscimento del diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile, quale sancito nella risoluzione 48/13 del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, è una condizione che favorisce il conseguimento degli obiettivi prioritari dell’8o PAA» (35).

2.2.8.

Spesso, tuttavia, quello che fa difetto è l’efficacia concreta delle norme (36), e il CESE esorta tutti gli Stati membri e le istituzioni dell’UE a intensificare gli sforzi per migliorare l’efficacia degli strumenti giuridici in vigore. I numerosi casi di azioni in giudizio intentate contro le carenze degli Stati membri o della stessa UE in ambiti quali l’aria pulita, il clima, la pesca o l’acqua dimostrano quanto lacunoso e insufficiente sia l’intervento delle autorità pubbliche nel garantire il rispetto di questo diritto.

2.2.9.

Nel contesto della guerra mossa dalla Russia in Ucraina e della possibile adesione dell’Ucraina all’Unione, è più che mai importante che l’UE e i suoi Stati membri diano effettiva applicazione al diritto a un ambiente sano. Ciò significa considerare la protezione dell’ambiente un ambito prioritario tanto quanto altri settori del diritto quali la concorrenza o la protezione dei dati, nei quali l’UE è un modello a livello mondiale sia nella teoria che nella pratica.

2.2.10.

Così facendo, l’UE ha l’occasione di riconoscere la natura intergenerazionale del diritto a un ambiente sano.

2.2.11.

Non appare sorprendente che i movimenti giovanili siano particolarmente attivi nel chiedere la protezione dell’ambiente: gli effetti negativi del degrado ambientale sulla salute riproduttiva mettono infatti a rischio l’esistenza stessa delle generazioni future. L’UE dovrebbe seguire l’esempio di quegli Stati membri che hanno creato istituzioni incaricate di tutelare gli interessi delle generazioni future. La creazione di un’istituzione di questo tipo a livello dell’UE contribuirebbe a garantire che le generazioni future godano dei benefici sociali ed economici che risulteranno da una protezione dell’ambiente attuata oggi.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  CM/Del/Dec(2022) 1431/2.3, Consequences of the aggression of the Russian Federation against Ukraine [Conseguenze dell’aggressione della Federazione russa contro l’Ucraina].

(2)  Cfr., ad esempio, l’articolo 11, paragrafo 2, lettera b), del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.

(3)  Cfr., ad esempio, l’articolo 3, paragrafo 5: «Le parti collaborano per promuovere un sistema economico internazionale aperto e cooperativo, che porti ad una crescita e ad uno sviluppo economico sostenibile in tutte le parti».

(4)  Nessuno Stato membro attuale ha un territorio più esteso; tra i paesi candidati all’adesione, solo la Turchia ha una maggiore estensione territoriale.

(5)  Convenzione sulla diversità biologica: National Biodiversity Strategy and Action Plan [Strategia nazionale e piano d’azione in materia di biodiversità].

(6)  «Atti illegali o arbitrari commessi nella consapevolezza di una sostanziale probabilità di causare un danno grave e diffuso o duraturo all’ambiente», Fondazione Stop Ecocide.

(7)  Codice penale dell'Ucraina.

(8)  Decisione del 29 marzo 2023.

(9)  Parere del CESE sul tema Migliorare la tutela penale dell’ambiente (GU C 290 del 29.7.2022, pag. 143).

(10)  Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Ucraina: un anno dopo l’invasione russa — Il punto di vista della società civile europea» (GU C 146 del 27.4.2023, pag. 1).

(11)  Nord Stream: Russian gas pipe leaks could have an «unprecedented» environmental impact [Nord Stream: le fuoriuscite dal gasdotto russo potrebbero avere un impatto ambientale «senza precedenti»], Euronews.

(12)  Parere del CESE sul tema La crisi dei prezzi alimentari: ruolo della speculazione e proposte concrete di azione in seguito alla guerra in Ucraina, (GU C 100 del 16.3.2023, pag. 51).

(13)  Cfr., ad esempio, il lavoro dell’organizzazione EcoAction: Crimes against the environment after one month of Russia's war against Ukraine [Reati ambientali a un mese dall’inizio della guerra russa contro l’Ucraina], EcoAction.

(14)  How does the war change Ukrainians: public opinion poll about the war, the environment, post-war reconstrution and EU acesssion [Come il conflitto sta cambiando gli ucraini: sondaggio di opinione sulla guerra, l’ambiente, la ricostruzione postbellica e l’adesione all’UE], Centro per le risorse e l’analisi, «Società e ambiente», 2023.

(15)  GU C 290 del 29.7.2022, pag. 1.

(16)  OCSE, Conséquences environnementales de la guerre en Ukraine et perspectives pour une reconstruction verte [Impatti ambientali della guerra in Ucraina e prospettive per una ricostruzione verde] (oecd.org), luglio 2022.

(17)  ENI Shared Environmental Information System (SEIS) [Sistema comune di informazioni ambientali dello Strumento europeo di vicinato].

(18)  Thirteen NGOs call for inclusion of Russian fishing vessels in upcoming EU sanctions against Putin’s regime [Tredici ONG chiedono che il prossimo pacchetto di sanzioni contro Putin includa anche i pescherecci russi], Bollettino quotidiano Europa di Agence Europe, n. 13014, 6 settembre 2022.

(19)  Risoluzione (A/76/L.75) — UN Digital Library [Biblioteca digitale delle Nazioni Unite].

(20)  Relazione informativa del CESE sul tema La protezione dell'ambiente quale fattore indispensabile per il rispetto dei diritti fondamentali.

(21)  Agenzia europea dell’ambiente, Air Quality in Europe 2021: Health impacts of air pollution in Europe [Qualità dell’aria in Europa 2021 — L’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute in Europa], 15 novembre 2021.

(22)  Agenzia europea dell’ambiente, Health risks caused by environmental noise in Europe [Rischi per la salute causati dal rumore ambientale in Europa], 14 dicembre 2020.

(23)  Questo articolo definisce gli obiettivi di politica ambientale dell’UE.

(24)  In particolare l’articolo 2 (diritto alla vita), l’articolo 3 (diritto all’integrità della persona), l’articolo 35 (garantire un livello elevato di protezione della salute umana nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione) e l’articolo 38 (protezione dei consumatori).

(25)  «Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione».

(26)  P9_TA(2021)0277, Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 — Riportare la natura nella nostra vita, punto 143.

(27)  Irmina Kotiuk, Adam Weiss e Ugo Taddei, in Journal of Human Rights and the Environment, vol. 13, numero speciale, settembre 2022.

(28)  Sugli obblighi positivi ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione (e dunque dell’articolo 7 della Carta), cfr., ad esempio, Fadeyeva/Russia, n. 55723/00, sentenza del 9 giugno 2005 della Corte europea dei diritti umani.

(29)  Risoluzione 2396 (2021), Anchoring the right to a healthy environment: need for enhanced action by the Council of Europe [Sancire il diritto a un ambiente sano: necessità di un’azione rafforzata da parte del Consiglio d’Europa].

(30)  Regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006 , concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un'Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE (GU L 396 del 30.12.2006, pag. 1).

(31)  Anu Bradford, The Brussels Effect: How the European Union Rules the World, Oxford University Press, 2020 [trad. it. Effetto Bruxelles. Come l’Unione europea regola il mondo, Franco Angeli, 2021].

(32)  OIL: World Employment and Social Outlook 2018 — Greening with jobs [Prospettive sociali e per l’occupazione a livello mondiale nel 2018 — L’ecologizzazione dei posti di lavoro].

(33)  Direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa (GU L 152 dell'11.6.2008, pag. 1).

(34)  Conclusioni dell’avvocato generale J. Kokott, presentate il 28 febbraio 2019, nella causa C-723/17, Craeynest contro Brussels Hoofdstedelijk Gewest, punto 53.

(35)  Decisione (UE) 2022/591 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 aprile 2022, relativa a un programma generale di azione dell’Unione per l’ambiente fino al 2030 (GU L 114 del 12.4.2022, pag. 22).

(36)  Parere del CESE sul tema Attuazione della normativa ambientale dell’UE nei settori della qualità dell’aria, delle acque e dei rifiuti (GU C 110 del 22.3.2019, pag. 33).


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/17


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: «Rafforzare ulteriormente la competitività digitale dell’UE»

(parere esplorativo)

(2023/C 228/03)

Relatore:

Gonçalo LOBO XAVIER

Correlatore:

Philip VON BROCKDORFF

Consultazione

Presidenza del Consiglio europeo, 14.11.2022

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Parere esplorativo

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

145/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è assolutamente convinto che la competitività digitale sia cruciale per la competitività globale dell’UE e che dovrebbe quindi essere considerata una componente essenziale dell’agenda dell’UE per la competitività, come sottolineato in precedenti pareri del CESE. Perché l’UE abbia successo in un contesto concorrenziale mondiale, la sua competitività deve migliorare in modo considerevole. A tal fine, il CESE ha chiesto l’introduzione di una verifica della competitività conforme alle politiche e agli obiettivi dell’UE, da integrare nei processi di elaborazione delle politiche e delle normative dell’UE. Tale verifica dovrebbe includere una valutazione completa dell’impatto di eventuali nuove iniziative sulla competitività e garantire che gli aspetti relativi alla competitività siano adeguatamente considerati nel processo decisionale. Il CESE ritiene che, in questa prospettiva e in presenza di messaggi chiari, sarebbe più facile coinvolgere i cittadini e motivarli a raggiungere gli obiettivi generali.

1.2.

Il CESE sostiene la posizione secondo cui l’UE deve creare un contesto imprenditoriale favorevole, basato su una strategia globale che riunisca e allinei diversi settori politici, e in cui la competitività, la dimensione sociale e l’impatto delle imprese sul benessere dei cittadini abbiano una posizione prioritaria. Secondo il CESE, l’obiettivo dovrebbe essere quello di rafforzare la competitività basata sul digitale migliorando le condizioni, da un lato, per lo sviluppo e la fornitura di soluzioni digitali da parte delle imprese dell’UE e, dall’altro, per l’adozione e l’utilizzo di soluzioni digitali in tutta l’ampia gamma di imprese dell’UE, compresi settori quali l’industria manifatturiera, i trasporti e la logistica, il commercio al dettaglio, l’agricoltura e l’edilizia, solo per citare i più rilevanti.

1.3.

I cittadini europei devono essere coinvolti nella strategia per la competitività digitale e nutrire fiducia nei confronti di uno degli aspetti più importanti della digitalizzazione e della raccolta di dati: la cibersicurezza. Il CESE ritiene che l’UE debba promuovere un’economia dei dati europea migliorando la disponibilità, l’accessibilità e il trasferimento dei dati, accompagnati da un’adeguata protezione degli stessi. A tal fine, l’UE ha bisogno di un approccio maggiormente strategico che consenta alle parti interessate di raccogliere, conservare, mettere in comune, condividere e analizzare i dati secondo modalità sicure. È essenziale accelerare le iniziative a favore di spazi di dati transeuropei settoriali per consentire una migliore analisi e un miglior utilizzo dei dati a vantaggio della società europea, dell’UE e della competitività delle sue imprese. Gli spazi di dati potrebbero creare e promuovere nuove start-up e nuovi innovatori industriali scalabili. Un mercato unico dei dati ben funzionante è essenziale anche perché intrinsecamente legato al mercato unico dei beni, servizi, capitali e persone, nonché ai sistemi energetici e di trasporto.

1.4.

Per il CESE, investire in un’infrastruttura digitale globale, efficace e sicura è uno dei fondamenti necessari per qualsiasi sviluppo digitale, ed è quanto si riscontra chiaramente in altre aree geografiche che sono all’avanguardia, su scala mondiale, in alcuni campi. Oltre che per le reti digitali, i centri di dati, la capacità di calcolo ecc., il discorso deve valere anche per l’accesso all’energia a basse emissioni di carbonio e alle materie prime critiche richieste nei prodotti e nei sistemi digitali.

1.5.

Per assumere un ruolo guida in settori cruciali come la cibersicurezza, l’UE deve quindi, da un lato, promuovere e sostenere la cibersicurezza e, dall’altro, rafforzare la competitività delle sue imprese. A questo proposito, il CESE ritiene che la certificazione dell’UE debba continuare ad essere orientata al mercato e basata sulle norme internazionali esistenti. L’UE dovrebbe innalzare i livelli di sicurezza «europeizzando» i sistemi di certificazione nazionali esistenti per garantire un mercato armonizzato tra gli Stati membri, prima di elaborare nuove proposte di sistemi a norma del regolamento sulla cibersicurezza. Inoltre, deve assicurare un quadro legislativo coerente e armonizzato al proprio interno ed evitare incoerenze nella propria legislazione (ad esempio il rischio di requisiti non allineati con le disposizioni in materia di cibersicurezza contenute nella legislazione verticale del nuovo quadro legislativo).

1.6.

Agli occhi del CESE è chiaro che, per conseguire l’eccellenza nelle tecnologie chiave, si rendono necessari un aumento significativo degli investimenti pubblici e privati nella ricerca e nell’innovazione, lo sviluppo di infrastrutture di RSI di livello mondiale, l’attrazione di talenti e la creazione di ecosistemi basati sulla cooperazione tra imprese, università e istituti di ricerca. Sebbene sia importante migliorare la diffusione dell’intelligenza artificiale, delle tecnologie quantistiche e di altre tecnologie avanzate, va altresì riconosciuto che molte PMI hanno grandi difficoltà perfino ad adottare le tecnologie digitali di base. L’UE e gli Stati membri dovrebbero concentrare i propri sforzi in particolare sul sostegno e sull’agevolazione della digitalizzazione delle PMI. A tal fine, queste andranno coinvolte nei poli di innovazione, negli spazi di dati e negli ecosistemi commerciali. È inoltre necessario sensibilizzare le PMI alle opportunità offerte dalla digitalizzazione, al sostegno destinato allo sviluppo delle competenze, nonché alle competenze tecniche e alla consulenza disponibili in materia di regolamentazione di questo settore.

1.7.

Anche in questo caso, il CESE è convinto che i cittadini siano una delle più importanti risorse europee in grado di modificare il ritmo dello sviluppo economico e sociale. Gli Stati membri devono investire con convinzione nei sistemi di istruzione e formazione, compreso l’apprendimento permanente, al fine di venire incontro alle esigenze attuali e future dello sviluppo di strumenti e soluzioni digitali e della loro applicazione. L’UE deve inoltre incoraggiare e agevolare la mobilità transfrontaliera dei lavoratori e dei talenti, sia all’interno dell’UE che in cooperazione con i paesi terzi. Il CESE ritiene inoltre che la fascia della popolazione denominata «terza età» vada coinvolta in questo processo in cui deve impegnarsi attivamente.

1.8.

Affinché il quadro normativo possa contribuire alla competitività digitale, l’UE deve garantire norme adatte allo scopo, incoraggiare l’innovazione e gli investimenti, ed assicurare parità di condizioni e di trattamento nel mercato unico. Inoltre, deve cooperare con i paesi che condividono gli stessi principi, al fine di migliorare le norme e gli standard internazionali comuni. Qualsiasi regolamentazione deve contribuire alla riuscita della digitalizzazione e alla competitività delle imprese, mantenendo nel contempo standard elevati. Il settore pubblico deve inoltre digitalizzare le proprie operazioni e i propri servizi, compresi i processi amministrativi. L’accelerazione delle procedure di autorizzazione per gli investimenti e altre operazioni commerciali è un esempio di necessità urgente per la quale la digitalizzazione costituirebbe parte della soluzione.

1.9.

Il CESE sostiene l’idea secondo cui l’accesso ai finanziamenti, siano essi capitale di rischio, finanziamenti pubblici o qualsiasi altra fonte di finanziamento, sia un altro presupposto per una trasformazione digitale riuscita ed efficace. Per quanto riguarda il quadro finanziario pluriennale, il finanziamento del programma Europa digitale andrebbe incrementato per rafforzare, tra l’altro, il ruolo, la visibilità e l’accessibilità dei poli dell’innovazione digitale. Ciò è del tutto giustificato, visto che le imprese digitali crescono, in media, a un ritmo due volte e mezzo superiore rispetto a quelle non digitali. Evidentemente, il CESE non chiede una linea di investimento destinata esclusivamente alla «trasformazione digitale», ma una strategia combinata e ragionevole per il processo di finanziamento della digitalizzazione, al fine di creare condizioni adeguate per tutte le parti interessate coinvolte nell’ecosistema dell’innovazione.

1.10.

Come già per molti settori diversi dell’economia e della società (strategia industriale, sistemi sanitari, commercio al dettaglio ecc.), il CESE chiede una strategia intelligente e combinata in materia di competenze. Numerosi settori stanno già preparando progetti su vasta scala che riguardano la riqualificazione e il miglioramento delle competenze della loro forza lavoro e sono basati sulla digitalizzazione e la transizione verde. Il CESE chiede un programma coordinato per le competenze che consenta alla forza lavoro esistente e a quella nuova di superare le relative difficoltà. Gli Stati membri dovrebbero stanziare risorse sufficienti per affrontare questa sfida — da considerare una priorità immediata — soprattutto per sostenere le PMI ancora alle prese con le difficoltà legate alla crisi della COVID-19 e alla guerra in Ucraina.

1.11.

Il CESE ritiene che degli indicatori chiave di prestazione ambiziosi e impegnativi siano essenziali per promuovere e misurare la competitività digitale dell’UE. Gli attuali indicatori (basati sull’indice di digitalizzazione dell’economia e della società, DESI) e gli obiettivi fissati nel contesto della Bussola per il digitale dovrebbero essere valutati e integrati dal punto di vista della competitività digitale, al fine di monitorare non solo i facilitatori, ma anche i benefici dello sviluppo digitale, come i nuovi prodotti digitali e la loro quota sui mercati, processi di produzione più efficienti e il relativo impatto sulla produttività, nonché la diffusione di soluzioni digitali per le sfide per la società (ad esempio la salute e il clima). Il monitoraggio degli indicatori deve tenere conto dei progressi compiuti nel tempo nell’UE e nei suoi Stati membri e prevedere un confronto con i concorrenti internazionali. Anche la motivazione dei cittadini, attraverso una migliore comunicazione e il loro coinvolgimento nel processo, svolge un ruolo importante.

2.   Contesto del parere

2.1.

Il presente parere costituisce una risposta alla richiesta rivolta dalla presidenza svedese del Consiglio dell’Unione europea al CESE di elaborare un parere esplorativo in tema di competitività dell’Unione, sulla scia del parere INT/1000 (1) dal titolo Verifica della competitività adottato su richiesta della presidenza ceca. La presidenza svedese del Consiglio ha chiesto al CESE di esaminare il seguente tema: Cosa è necessario affinché l’UE rafforzi ulteriormente la sua competitività digitale, in particolare per consentire alle imprese di beneficiare della digitalizzazione? Il parere intende porre l’accento sulla competitività dell’UE nel contesto della transizione digitale verso un modello di crescita economica più sostenibile. Esso affronta le misure e le politiche necessarie per rafforzare ulteriormente la competitività digitale dell’UE e, in particolare, per consentire alle imprese e ai lavoratori di beneficiare del processo di digitalizzazione.

2.2.

Va ricordato che, nel parere INT/1000, il CESE riconosceva che il mercato unico e il modello di crescita dell’economia sociale di mercato dell’UE hanno contribuito notevolmente a sostenere la crescita economica e il benessere sociale in tutta l’Unione. Questa base è importante in qualunque proposta volta a rafforzare la competitività digitale, e questo caso non fa eccezione.

2.3.

Bisogna inoltre riconoscere che negli ultimi anni la competitività dell’Europa rispetto ai suoi principali paesi concorrenti si è deteriorata, come dimostrato dai principali indicatori economici della competitività e della crescita della produttività. La digitalizzazione, tuttavia, è un settore in cui l’UE ha compiuto importanti progressi e potrebbe costituire la base per aumentare la competitività e la redditività delle imprese e per migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori. È necessaria una prospettiva lungimirante a medio termine per tracciare la via da seguire nel processo verso la transizione digitale.

3.   La digitalizzazione nel contesto dell’agenda per la competitività

3.1.

Il CESE ha invitato la Commissione a fare dell’agenda per la competitività una delle sue priorità, con l’obiettivo principale di rafforzare la competitività dell’UE. Le iniziative della Commissione nel settore della digitalizzazione sono tutte volte ad agevolare la transizione digitale nelle economie e nelle società sull’intero territorio dell’UE. Una transizione riuscita richiede, tuttavia, un impegno fermo e instancabile da parte degli Stati membri. Questo impegno trova già espressione nelle misure per la ripresa e la resilienza a livello dei singoli Stati membri, ma il CESE ritiene che non tutti gli Stati membri possano procedere verso la digitalizzazione allo stesso ritmo e con la stessa intensità, aspetto questo fondamentale per rendere l’UE più competitiva.

3.2.

Ora più che mai l’UE deve affidarsi al mercato unico, ma concentrarsi sui seguenti aspetti, altrettanto importanti: l’accesso ai mercati esteri, gli investimenti e l’accesso ai finanziamenti, i sistemi fiscali, la ricerca e l’innovazione, le competenze e il rafforzamento dei mercati del lavoro, nonché le micro, piccole e medie imprese (MPMI) e la duplice transizione, tenendo anche conto del quadro per la finanza sostenibile, secondo cui la competitività deve essere coerente con gli obiettivi sociali e ambientali (2). La transizione digitale è fondamentale per tutto ciò, in quanto fornisce la base per l’innovazione, l’aumento della competitività e lo sviluppo del mercato del lavoro, offrendo nel contempo opportunità di migliori condizioni di lavoro, nel contesto di un’economia sociale di mercato.

3.3.

Il CESE ritiene che la digitalizzazione sia il motore che consente al mercato unico di realizzare il suo potenziale. Dopo 30 anni di benefici sociali ed economici derivanti dal mercato unico, il CESE è dell’avviso che si possa ottenere molto di più e che la digitalizzazione, se attuata con successo e con la medesima intensità e inclusione in tutta l’UE, farà un’enorme differenza per le imprese, i lavoratori e i cittadini di ogni età ed estrazione sociale.

3.4.

Il CESE ritiene inoltre che, per rafforzare la competitività dell’Europa, sia fondamentale il sostegno politico a un’economia imprenditoriale e basata sulle conoscenze in grado di trattenere e attrarre talenti, nonché offrire migliori condizioni di lavoro. Ed è questo ciò che il CESE intende per processo completo di transizione digitale nelle imprese. Per il CESE è chiaro che l’UE deve offrire un contesto imprenditoriale favorevole nel suo complesso, basato su una strategia globale che riunisca diversi settori politici e li allinei tra loro.

3.5.

Il CESE prende atto delle numerose iniziative e politiche introdotte in passato per aumentare la competitività — senza dubbio con le migliori intenzioni. La realtà ha però dimostrato che l’UE è attualmente in ritardo rispetto agli Stati Uniti e alla Cina in termini di produttività. In questo contesto, la digitalizzazione offre l’opportunità di recuperare terreno rispetto sia agli Stati Uniti che alla Cina, applicando nel contempo un modello di crescita economica più sostenibile, incentrato sul benessere sia economico che sociale dei cittadini dell’UE.

4.   Politiche a sostegno della digitalizzazione nel contesto dell’agenda per la competitività

4.1.

In molti dei suoi pareri il CESE ha affermato che la transizione digitale richiede ulteriori investimenti più mirati nello sviluppo delle competenze digitali. Esiste inoltre una forte argomentazione economica a favore di un aumento degli investimenti nelle risorse umane e, in particolare, nel legame tra lo sviluppo delle competenze e la produttività e, in via indiretta, la competitività. Per sostenere l’innovazione sul posto di lavoro il ventaglio di competenze digitali va sviluppato. Il CESE ritiene che l’innovazione sul posto di lavoro debba concentrarsi in particolare sui metodi di organizzazione del lavoro e sul modo in cui le competenze sono utilizzate e sviluppate sul posto di lavoro, e non solo sull’offerta di lavoratori. Le condizioni di lavoro e di occupazione sono tanto importanti quanto gli investimenti in nuove tecnologie o attrezzature. Il CESE raccomanda pertanto alle imprese e al settore pubblico di riflettere su quali tipi di politiche e forme di organizzazione del lavoro si siano dimostrati efficaci nelle storie di successo e abbiano rafforzato l’innovazione attraverso investimenti nelle competenze. Queste storie di successo potrebbero allora essere imitate da altre imprese.

4.2.

In pareri precedenti il CESE ha inoltre raccomandato di investire nelle infrastrutture necessarie a sostenere la digitalizzazione in tutta l’UE. Anche in questo caso, i piani per la ripresa e la resilienza sono destinati proprio a questo scopo. Il CESE teme però che tali investimenti possano essere in gran parte indirizzati al settore pubblico, pur riconoscendo che il passaggio a servizi pubblici digitalizzati, ad esempio nel caso del sistema giudiziario, aumenterebbe indirettamente la competitività grazie a una maggiore efficienza. Ciò detto, anche le imprese necessitano di un livello relativamente elevato di investimenti e, in mancanza di un sostegno finanziario disponibile, le imprese di tutte le dimensioni, in particolare le PMI, possono avere difficoltà a sostenere gli oneri finanziari necessari per digitalizzare i loro processi lavorativi e per investire nella forza lavoro.

4.3.

Il CESE raccomanda una revisione delle opportunità di finanziamento offerte attualmente dagli enti statali in tutta l’UE a favore della digitalizzazione. In generale, i programmi volti a fornire sostegno finanziario alle imprese nel settore della digitalizzazione ruotano su singoli progetti e richiedono la presentazione di una domanda formale che, per poter ottenere il finanziamento, deve essere approvata prima dell’inizio delle attività previste da ciascun progetto. Oltre alle procedure amministrative precedenti all’aggiudicazione che accompagnano di consueto tali programmi e che possono costituire un onere per alcune imprese (anche se nel tempo tali procedure sono state snellite), i processi attuali tendono a ritardare l’avvio di progetti e iniziative a sostegno della digitalizzazione nelle imprese.

4.4.

Queste attese possono non essere sostenibili per le imprese che necessitano di risultati immediati per avviare il processo di commercializzazione volto a migliorare i prodotti/servizi/processi al fine di mantenere un vantaggio competitivo, puntare a nuovi mercati e ridurre i costi o semplicemente soddisfare le esigenze dei clienti. Tali programmi incentrati sui progetti possono quindi dissuadere le imprese private dal presentare una domanda di finanziamento. Il CESE chiede pertanto una nuova forma di finanziamento, pur complementare, basata sulle attività digitali piuttosto che sui soli progetti. Secondo tale approccio, alle imprese sarebbero erogati crediti d’imposta o pagamenti in contanti sulla base delle loro spese annuali dichiarate per le attività digitali, con spese ammissibili definite in precedenza per motivi di chiarezza. Tra i costi ammissibili figurerebbe qualunque spesa per la formazione e lo sviluppo del personale in materia di digitalizzazione.

4.5.

Pur riconoscendo la capacità dell’UE nel campo della digitalizzazione, compresi i progressi compiuti riguardo agli aspetti legislativi e tecnologici, il CESE continua a ritenere fondamentali gli investimenti diretti a livello sia nazionale che estero, soprattutto per sostenere la ricerca e l’innovazione in materia di digitalizzazione. A suo avviso, ciò rafforzerà anche la competitività dell’UE sul mercato globale. È bene aspirare all’autonomia strategica nella produzione di semiconduttori, e il CESE ritiene che l’UE non possa permettersi di trovarsi di fronte a carenze che rischiano di perturbare le industrie europee. I semiconduttori sono al centro della politica industriale dell’UE volta a conseguire l’autonomia strategica nella sfera digitale. Pur di fronte alla necessità di attenuare questi rischi, il CESE mette in guardia contro un approccio protezionistico che metta in pericolo i partenariati di ricerca con le imprese del settore delle tecnologie digitali in tutto il mondo.

4.6.

Una crescita economica sostenibile basata sul successo della transizione digitale è fondamentale per la prosperità dell’UE. Ciò è anche in linea con l’obiettivo dell’UE di conseguire un’economia sociale di mercato altamente competitiva, che punta alla piena occupazione e al progresso sociale, nonché a un grado elevato di tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente. Il CESE ritiene che tale obiettivo possa essere conseguito solo aumentando la crescita della produttività rispetto ai livelli attuali in tutti i settori dell’economia. È dell’avviso che la digitalizzazione stia svolgendo un ruolo chiave nel conseguimento dei suddetti obiettivi economici e sociali, e possa continuare a farlo. Il CESE osserva inoltre che, nel settore manifatturiero, la crescita della produttività è stata più rapida nelle industrie basate sulla tecnologia, a conferma dell’opinione secondo cui la digitalizzazione può aumentare sia i profitti delle imprese sia i redditi reali dei lavoratori. Inoltre, la digitalizzazione è una condizione fondamentale per far progredire la transizione verde. L’UE deve pertanto massimizzare le opportunità, promuovendo contemporaneamente entrambi i percorsi della duplice transizione.

4.7.

Per conseguire una vera competitività digitale in campo economico e sociale, il CESE chiede una strategia intelligente e combinata in materia di competenze. Diversi settori stanno già preparando progetti su vasta scala che riguardano la riqualificazione e il miglioramento delle competenze della loro forza lavoro e sono basati sulla digitalizzazione e la transizione verde. Il CESE chiede, in via prioritaria, un programma coordinato per le competenze che consenta alla forza lavoro esistente e a quella nuova di superare le relative sfide.

5.   Verifica della competitività e valutazione dei programmi di digitalizzazione

5.1.

La competitività digitale è cruciale per la competitività complessiva dell’UE e dovrebbe essere considerata una parte essenziale dell’agenda dell’UE per la competitività. Perché l’UE abbia successo in un contesto di forte concorrenza mondiale, la sua competitività deve migliorare in modo considerevole. A tal fine, il CESE ha anche chiesto l’introduzione di una verifica della competitività conforme alle politiche e agli obiettivi dell’UE, da integrare nei processi decisionali e legislativi dell’UE. Servono inoltre strutture di governance adeguate, in modo da garantire che la verifica della competitività e l’agenda si concretizzino pienamente nella pratica.

5.2.

Il CESE prende atto degli attuali orientamenti e strumenti per legiferare meglio, ma osserva che, come sottolineato dal comitato per il controllo normativo, vi è un’evidente necessità di miglioramenti, in particolare per quanto riguarda l’attuazione delle misure necessarie per il rafforzamento della competitività.

5.3.

Il CESE chiede infine un uso efficace delle risorse finanziarie destinate all’innovazione e alle attività di R&S collegate al processo di digitalizzazione. In tale contesto, è altrettanto essenziale valutare l’impatto e la corretta attuazione dei programmi esistenti che possono essere stati messi a punto per creare le condizioni necessarie per la digitalizzazione. I cittadini europei e in particolare la società civile organizzata possono percepire come positiva la priorità attribuita all’accesso ai finanziamenti, per quanto riguarda gli investimenti sia privati che pubblici.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  GU C 100 del 16.3.2023, pag. 76.

(2)  GU C 100 del 16.3.2023, pag. 76.


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «30 anni di mercato unico: come migliorare il funzionamento del mercato unico»

(parere esplorativo)

(2023/C 228/04)

Relatore:

Felipe MEDINA MARTÍN

Correlatore:

Angelo PAGLIARA

Consultazione

Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, 14.11.2022

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Parere esplorativo

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

137/1/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che il mercato interno sia stato, e sia tuttora, uno dei grandi successi politici ed economici del processo di integrazione europea. I cittadini e le imprese hanno tratto vantaggio dal mercato unico, che dovrebbe essere visto come un processo di miglioramento continuo che si adatta in permanenza alle nuove esigenze man mano che queste si presentano. Negli ultimi 30 anni sono stati conseguiti molti vantaggi, ma sono ancora necessari un riesame critico e un nuovo miglioramento, concernente non solo i risultati che devono ancora essere conseguiti, ma anche le nuove sfide da affrontare, come la pandemia di COVID-19, la crisi energetica o l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il CESE vuole contribuire a questo processo di miglioramento e propone le seguenti misure per rafforzarlo.

1.2.

Il CESE auspica che il programma per il mercato unico 2021-2027, volto a migliorare il funzionamento del mercato interno, nonché la competitività e la sostenibilità delle imprese, sia accompagnato da adeguati strumenti di controllo e protezione per quanto riguarda la qualità del lavoro, la parità di condizioni per tutte le imprese, i diritti dei cittadini e la protezione dei consumatori. Al tempo stesso, il CESE chiede che siano adottate tutte le misure necessarie per superare qualsiasi forma di dumping sociale e fiscale, al fine di garantire una concorrenza leale e un corretto funzionamento del mercato unico, evitando ogni forma di distorsione.

1.3.

Le attuali sfide geopolitiche avranno un’influenza sul funzionamento del mercato unico, sui sistemi di approvvigionamento e sulla resilienza dell’economia europea. Il CESE accoglie con favore l’iniziativa di ridurre le dipendenze critiche dai paesi terzi e invita la Commissione europea ad adottare tutte le misure necessarie per aggiornare la politica industriale europea preservando e rafforzando il mercato unico e i vantaggi per i consumatori, i lavoratori e le imprese.

1.4.

La recente crisi ha dimostrato che la principale priorità del mercato unico dell’UE dovrebbe essere quella di migliorare il tenore di vita e le condizioni di lavoro, promuovendo la crescita e una competitività equa e creando un ambiente favorevole alle imprese e socialmente equo. Il CESE ritiene che la libera circolazione delle persone e dei lavoratori sia una delle pietre angolari del mercato unico e chiede pertanto di accelerare il riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi tra gli Stati membri. Occorre dedicare particolare attenzione ai lavoratori espulsi dal lavoro.

1.5.

Il CESE ritiene che le imprese europee stiano affrontando problemi legati a carenze del mercato unico che incidono fortemente sulla competitività e sulla sostenibilità. Malgrado gli immensi sforzi compiuti in materia di attuazione delle norme del mercato unico, gli oneri normativi continuano a essere generati per la maggior parte a livello nazionale. A tal fine, le istituzioni dell’UE dovrebbero mirare, garantendo da parte loro gli standard più elevati, a una piena armonizzazione, e gli Stati membri dovrebbero tenere conto dei possibili effetti delle loro aggiunte sull’integrità e sul corretto funzionamento del mercato unico e dovrebbero, ove possibile, evitare di adottare misure che possano causare distorsioni e frammentazioni significative; il CESE raccomanda che le istituzioni dell’UE agiscano in modo più proattivo e rapido, elaborando una legislazione in tempo utile per promuovere l’armonizzazione. È essenziale limitare per quanto possibile le iniziative nazionali che potrebbero compromettere il mercato interno e le sue norme comuni. A questo proposito, il CESE sottolinea che il sistema d’informazione sulle regolamentazioni tecniche (Technical Regulations Information System — TRIS) dovrebbe essere rafforzato al fine di creare le condizioni per un vero mercato unico, piuttosto che per 27 mercati distinti.

1.6.

Il CESE auspica un fermo impegno a migliorare la qualità della legislazione in Europa e negli Stati membri. Il CESE ritiene che per rendere l’iniziativa più trasparente e migliorarne gli obiettivi si debba effettuare un riesame nelle fasi preliminari della legislazione europea: un’analisi d’impatto obbligatoria prima di qualsiasi iniziativa giuridica e una consultazione pubblica. Analogamente, l’agenda Legiferare meglio e il programma REFIT dovrebbero essere rivolti anzitutto al conseguimento di una maggiore apertura e integrazione dei mercati dei beni e dei servizi, nell’ottica di garantire un massimo di benefici ai cittadini e all’economia europea, valutando se vi sia o meno legislazione superflua, concentrandosi principalmente sui settori in cui è necessaria un’armonizzazione e rafforzando la legislazione vigente in materia di protezione sociale.

1.7.

Il CESE ritiene che occorra porre maggiormente l’accento sull’attuazione, sulla semplificazione e sull’applicazione, in particolare per quanto riguarda gli Stati membri. Il CESE invita questi ultimi ad attuare e applicare rigorosamente norme comuni e a evitare di introdurre ulteriori regolamentazioni nazionali qualora queste non siano necessarie (1).

1.8.

Il CESE esorta la Commissione europea a valutare ogni regolamento alla luce del contributo alla competitività delle imprese e al benessere dei cittadini, e a individuare gli ostacoli da rimuovere ed eliminare sistematicamente.

1.9.

Il CESE ritiene che il numero attuale di strumenti giuridici a disposizione dell’Unione europea per difendere il proprio mercato interno sia sufficiente e commisurato alle esigenze: la procedura del sistema d’informazione sulle regolamentazioni tecniche (Technical Regulations Information System — TRIS), il riconoscimento reciproco della legislazione, la rete per la soluzione dei problemi nel mercato interno SOLVIT, il 28o regime, la procedura di reclamo, il CEN-Cenelec, le norme ecc. Pur trattandosi di strumenti essenziali per la protezione del mercato unico, il loro potenziale non è sempre sfruttato, ed essi devono essere resi più efficienti e utili.

1.10.

Il CESE ritiene che, tra tutte le nuove sfide cui il mercato unico fa fronte, la priorità spetti alla promozione dell’autonomia strategica aperta dell’UE in materia di approvvigionamento e di scambi, nel settore energetico, nelle materie prime critiche e, più in generale, nella leadership dell’innovazione, nella digitalizzazione e nella ricerca avanzata. Il CESE raccomanda di rafforzare la cooperazione e gli accordi con i paesi che condividono gli stessi principi.

1.11.

Nel settore dei beni e dei servizi, il CESE riconosce l’impatto positivo degli acquisti in comune in diversi settori, come il gas o il commercio al dettaglio. Questi tipi di alleanze europee hanno molti effetti favorevoli per la concorrenza e vantaggi evidenti per i consumatori, ragion per cui le istituzioni dell’UE devono sostenerle in modo chiaro.

1.12.

Il CESE è convinto che le sfide che la transizione digitale comporta per il mercato unico debbano essere affrontate attraverso il dialogo sociale e una posizione di leadership dell’UE, anche nell’applicazione di una legislazione condivisa volta a proteggere i più vulnerabili e a garantire che l’efficienza perseguita non comprometta la coesione sociale, economica e territoriale, come pure la stabilità politica.

1.13.

Il mercato unico non è perfetto, bensì deve essere costantemente adattato alle mutevoli circostanze per continuare a funzionare anche in tempi di crisi e promuoverne attivamente le libertà (la pandemia ha dimostrato che la libera circolazione non può essere data per scontata). Questo anniversario dovrebbe pertanto rappresentare un’opportunità per ricollocare questa politica nell’agenda europea e proporre miglioramenti per il prossimo futuro.

1.14.

Il CESE teme che l’allentamento delle norme in materia di aiuti di Stato in risposta alla legge statunitense per la riduzione dell’inflazione (Inflation Reduction Act — IRA) possa creare ulteriori asimmetrie tra gli Stati membri, mettendo così a repentaglio la resilienza del mercato unico, e ritiene che il modo migliore per imprimere nuovo slancio alla politica industriale europea e agli investimenti nelle tecnologie verdi sia sviluppare un Fondo europeo di sovranità.

1.15.

Il CESE sottolinea l’importante contributo del mercato unico nell’evitare il protezionismo e creare condizioni di parità nell’UE. In tale contesto il CESE ritiene che occorra analizzare approfonditamente i criteri di assegnazione degli aiuti di Stato, i loro effetti, la loro utilità e la loro resilienza. Alcuni settori economici non sono mai stati in grado di accedere a questo tipo di aiuti, i quali inoltre non sono equilibrati tra alcuni Stati membri e altri paesi dell’UE, cosa che genera differenze di competitività all’interno dell’Unione.

2.   Introduzione

2.1.

Nel 2023 ricorre il 30o anniversario di uno dei maggiori successi politici, economici e sociali conseguiti dall’UE nel processo di integrazione europea: il mercato unico. Nondimeno l’anniversario dovrebbe essere l’occasione per adattare radicalmente la filosofia del mercato unico e allinearla alle sfide attuali. Il processo è iniziato nel 1986 con l’Atto unico europeo, che ha promosso l’adozione di norme comuni, anziché nazionali, in molti settori diversi, attraverso l’approvazione di centinaia di misure legislative strategiche e l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento.

2.2.

Attualmente nessuno nega che il mercato unico comporta effetti positivi ma anche negativi. Il mercato unico può essere considerato una componente essenziale del modello europeo che ha consentito la libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali in tutta l’Unione europea, facilitando il più delle volte la vita delle imprese, delle istituzioni e dei cittadini.

2.3.

Il mercato unico ha guidato i progressi non solo in campo economico e sociale, ma anche politico, accelerando il processo di integrazione. La libera circolazione delle persone garantita dal mercato unico ha segnato la vita di varie generazioni di europei che, grazie a programmi come Erasmus, sono stati in grado fin dalla più giovane età di far proprio lo spirito europeo, stabilendo legami di unione e di comprensione con numerosi loro omologhi di differenti Stati membri, ai quali li accomuna uno stile di vita europeo condiviso.

3.   Osservazioni generali

3.1.

La pandemia ha dimostrato che l’UE ha bisogno di un nuovo modello economico e commerciale-imprenditoriale. Le recenti crisi, le attuali tensioni geopolitiche, le sfide della duplice transizione verde e digitale e la recente adozione, negli Stati Uniti, dell’IRA dimostrano che è giunto il momento di aggiornare il mercato unico e di dargli nuovo slancio, ricordando sempre che il mercato unico è uno strumento a disposizione degli europei e non uno scopo in sé.

3.2.

Il mercato unico si è evoluto con l’avanzare del processo di integrazione europea. Mentre inizialmente esso si è concentrato sull’eliminazione delle barriere non tariffarie e delle misure di effetto equivalente sugli scambi intracomunitari di beni, e sull’armonizzazione della legislazione (mercato unico europeo), le esigenze e le ambizioni politiche successive hanno ampliato il suo campo di applicazione a nuovi settori quali i servizi e l’economia digitale.

3.3.

Tutti questi progressi sono stati realizzati solo al prezzo di enormi sforzi di tutte le parti interessate, delle amministrazioni e degli operatori economici e sociali. Tuttavia, negli ultimi anni il mercato unico non è più stato visto come una priorità politica, e l’apertura e l’integrazione dei mercati dei beni e dei servizi non sono più apparse come questioni di primo piano. A tale riguardo, la prima carenza da rilevare è la mancanza di impegno dimostrata dagli Stati membri negli ultimi anni. Il Consiglio si è impegnato in numerose occasioni a migliorare e rafforzare il mercato unico, ma le sue conclusioni sono state raramente tradotte in politiche nazionali. Il CESE invita pertanto il Consiglio e gli Stati membri a intraprendere ulteriori azioni al riguardo.

3.4.

Il CESE osserva che il mercato unico deve servire a rendere le imprese europee più competitive sui mercati globali. Esso è concepito per essere un processo in continua evoluzione, cosa che rappresenta sia una debolezza che un rischio, ma gli conferisce anche un nuovo ruolo. Questo nuovo ruolo si aggiunge a quelli tradizionali, che devono rimanere dinamici e non possono essere dati per scontati.

3.5.

Il CESE invita la Commissione e il Consiglio ad adottare tutte le misure necessarie per assistere le politiche industriali e le imprese europee nel conseguimento degli obiettivi della duplice transizione verde e digitale, utilizzando gli strumenti dell’UE esistenti e dando seguito, se necessario, alla proposta di sviluppare un Fondo europeo di sovranità. Ricorda tuttavia agli Stati membri e alla Commissione che esistono già numerosi programmi e strumenti di finanziamento il cui potenziale dovrebbe essere sfruttato appieno prima di aggiungere ulteriori strumenti. Il CESE invita la Commissione europea a coinvolgerlo nelle discussioni sulle norme in materia di aiuti di Stato.

3.6.

Il CESE condivide (2) il giudizio secondo cui l’UE ha bisogno di una politica digitale solida e ambiziosa al fine di sfruttare le opportunità offerte dall’innovazione digitale per rendere l’UE più competitiva. Il CESE sottolinea che un vero mercato unico e una legislazione transfrontaliera semplice consentiranno a molti settori di rispondere alle richieste dei consumatori e di competere in un ambiente più digitale, competitivo a livello globale.

3.7.

La digitalizzazione del mercato unico può generare ulteriore crescita e benessere per i cittadini europei e le imprese europee. Il CESE invita pertanto la Commissione europea ad adottare tutte le misure necessarie per incrementare gli investimenti al fine di superare l’attuale divario digitale tra le regioni dell’UE. È fondamentale che gli Stati membri intensifichino gli investimenti nell’istruzione e nella formazione al fine di sviluppare il mercato unico digitale e di renderlo più efficiente. L’obiettivo deve essere quello di garantire la presenza di lavoratori qualificati, imprese innovative e posti di lavoro di buona qualità, contrastando il ricorso a condizioni di lavoro precarie.

3.8.

Il CESE invita la Commissione europea a concentrarsi sui rischi risultanti dalla produzione, dalla circolazione e dalla conservazione dei dati personali e sensibili derivanti dai processi di digitalizzazione, nonché dal loro utilizzo e controllo. Al tempo stesso, il CESE chiede alla Commissione di adottare tutte le misure necessarie per prevenire detti rischi e di prendere in considerazione, quale base per il quadro normativo, le conclusioni dei negoziati in corso per una convenzione del Consiglio d’Europa sull’intelligenza artificiale, i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto (3). L’obiettivo deve essere quello di proteggere i dati personali, i lavoratori e i consumatori, ma di consentirne l’uso riservato onde permettere di sfruttare i vantaggi delle nuove tecnologie.

3.9.

È essenziale accelerare le iniziative a favore della digitalizzazione e della creazione di spazi transeuropei di dati settoriali, onde consentire una migliore analisi e un miglior uso dei dati a vantaggio della società europea e della competitività delle imprese europee. Gli spazi di dati potrebbero creare e promuovere nuove start-up e nuovi innovatori industriali scalabili. Un mercato unico dei dati ben funzionante è essenziale anche perché intrinsecamente legato al mercato unico dei beni, servizi, capitali e persone, nonché ai sistemi energetici e di trasporto.

4.   Il mercato unico dei beni e dei servizi

4.1.

Il CESE ritiene che occorra ancora analizzare le carenze del mercato unico e adottare misure per eliminarle, in particolare affrontando con successo gli oneri normativi e amministrativi superflui per facilitare la competitività e la sostenibilità delle imprese europee, preservando e rafforzando al tempo stesso la legislazione vigente in materia di protezione sociale.

4.2.

Il CESE sottolinea i problemi causati dagli Stati membri quando anticipano l’adozione di misure comuni a livello europeo, e rileva come essi influenzano e guidano le soluzioni comuni individuate dalla legislazione europea. In alcuni casi ciò è dovuto al fatto che la Commissione europea non ha proposto misure, ma a volte dipende da Stati membri che sono in anticipo rispetto alla proposta europea (ad esempio, etichettatura di origine dei prodotti a base di carne, etichettatura degli alimenti sulla parte anteriore dell’imballaggio (FOP), proposta irlandese sulle avvertenze sanitarie per le bevande alcoliche ecc.), e ostacolano il processo di armonizzazione e la libera circolazione delle merci. Per questo motivo, il CESE esorta la Commissione europea ad anticipare i regolamenti, ove necessario, per evitare la proliferazione di normative nazionali che frammentano il mercato unico.

4.3.

La direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio (4) prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione a disposizione degli Stati membri. Tale misura legislativa prevede che uno Stato membro possa essere obbligato a rinviare di 12-18 mesi l’adozione di un progetto di legge se è in corso un’iniziativa dell’Unione che potrebbe essere compromessa dalla norma nazionale e che è in fase di rinnovo. In pratica tuttavia la prerogativa della Commissione europea viene pubblicata per non essere applicata e, in ultima analisi, sono gli Stati membri a condizionare la legislazione europea.

4.4.

Un altro strumento disponibile, concepito per bloccare o contrastare qualsiasi azione contraria al mercato unico, è SOLVIT. Si tratta di una procedura messa in atto da uno Stato membro nei casi in cui l’amministrazione di un altro Stato membro non applichi correttamente la legislazione europea e impedisca il pieno esercizio dei diritti dei cittadini e delle imprese nel mercato unico. È un sistema di mediazione tra amministrazioni nazionali, che in pratica si basa più sulla determinazione delle amministrazioni che sulla loro capacità giuridica di porre rimedio a una situazione, ragion per cui il CESE ritiene che la sua efficacia sia limitata e debba essere migliorata.

4.5.

Un ulteriore strumento disponibile è la procedura di denuncia dinanzi alla Commissione europea. A giudizio del CESE questo strumento è efficace perché flessibile e trasparente, ma necessita di un forte sostegno politico e la relativa procedura dovrebbe essere migliorata in termini di efficienza ed efficacia.

4.6.

Nel 2018 è stata approvata una strategia per l’apertura e lo sviluppo dei vari settori europei. Permangono tuttavia problemi, la discriminazione persiste e non tutti gli Stati membri trasmettono notifiche alla Commissione ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 7, della direttiva sui servizi.

4.7.

Il CESE sottolinea che alcuni settori, come quello dei servizi finanziari e quello del commercio al dettaglio e all’ingrosso, sono estremamente frammentati, eppure sono riusciti a unirsi e a rafforzarsi a livello europeo. Il commercio al dettaglio e il commercio all’ingrosso hanno fatto propri lo spirito e gli innegabili vantaggi del mercato unico per servire meglio i consumatori europei ogni giorno grazie alle alleanze di acquisto e al mercato unico. Permangono sfide importanti in termini di armonizzazione e attuazione efficace della libertà di stabilimento nel settore del commercio al dettaglio e all’ingrosso, dove la strategia «Un settore europeo del commercio al dettaglio adeguato al 21o secolo» continua a non essere pienamente attuata. Inoltre, il sostegno alle alleanze di acquisto nel settore del commercio al dettaglio è necessario per migliorare il benessere dei consumatori nel quadro di un effetto favorevole alla concorrenza a livello europeo.

5.   Il mercato unico per i lavoratori

5.1.

Tra le sfide cui deve far fronte il mercato unico, il CESE mette in evidenza la trasformazione del lavoro e la conseguente ridefinizione dei rapporti tra le parti, nonché i relativi rischi in termini di flessibilità (orario di lavoro, ubicazione e servizi), in particolare per quanto riguarda i lavoratori delle piattaforme digitali e, più in generale, le professioni digitali e i lavoratori che operano in regime di lavoro agile (smart working).

5.2.

Le recenti crisi hanno dimostrato che la principale priorità del mercato unico dell’UE dovrebbe essere quella di migliorare il tenore di vita e le condizioni di lavoro, al tempo stesso promuovendo la crescita e la competitività equa e creando un ambiente favorevole alle imprese e rispettoso della dimensione sociale. Nonostante i progressi compiuti, il 21,7 % della popolazione europea è ancora a rischio di povertà o di esclusione sociale (Eurostat, 2021).

5.3.

Il CESE ritiene che la libera circolazione delle persone e dei lavoratori sia una delle pietre angolari del mercato unico e chiede pertanto di accelerare il riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi tra gli Stati membri. Occorre avere particolare cura di garantire un trattamento equo dei lavoratori distaccati per quanto riguarda le retribuzioni e le condizioni di lavoro.

5.4.

Come dimostrato dalla crisi pandemica, la libera circolazione degli operatori sanitari è stata un fattore di convergenza e di autotutela per l’Unione europea, ma finora molte professioni restano ancora ai margini di questo processo (ad esempio nel campo delle professioni legali e dell’insegnamento). Il CESE (5) chiede di ridefinire le misure di sostegno all’occupazione e alle competenze e di investire nelle competenze dei futuri lavoratori, migliorando l’istruzione e la formazione professionale e l’apprendimento individuale, e sostenendo in tal modo le imprese. Si dovrebbe dedicare particolare attenzione ai posti di lavoro verdi.

5.5.

L’infrastruttura digitale è fondamentale per un’applicazione efficace dei benefici del mercato unico in tutte le zone e regioni europee, in particolare in quelle che sono in ritardo rispetto alla media. Il ritardo nello sviluppo delle infrastrutture potrebbe accrescere le disuguaglianze e incidere sulle opportunità per i cittadini e le imprese. Il CESE invita pertanto la Commissione europea ad adottare le misure necessarie per rafforzare gli investimenti al fine di superare l’attuale divario digitale nell’UE. Occorre dedicare particolare attenzione alle imprese, in particolare alle PMI.

6.   La via da seguire. Sfide future per il mercato unico

6.1.

Le istituzioni dell’UE devono rafforzare ulteriormente il mercato unico per liberare il suo pieno potenziale in termini di crescita, occupazione e una società migliore in futuro.

6.2.

Le istituzioni dell’UE dovrebbero mirare, garantendo standard più elevati, a una piena armonizzazione del diritto dell’UE, ove possibile e opportuno, per evitare un’inutile frammentazione del mercato unico, ad esempio in materia fiscale. Il CESE ricorda che le sfide che il mercato unico deve affrontare comprendono il proseguimento della transizione verso l’armonizzazione fiscale tra gli Stati membri e la prevenzione del dumping e, a medio termine, verso la convergenza salariale, che previene anch’essa il dumping sociale e/o la concorrenza sleale, in particolare per quanto riguarda l’attrazione di investimenti, la localizzazione (sede) delle imprese e l’assunzione di lavoratori.

6.3.

Per fare dell’attuazione e della semplificazione la priorità e il principio guida del mercato unico è fondamentale l’applicazione. Le istituzioni dell’UE devono garantire che il ruolo della Commissione in quanto custode dei Trattati sia salvaguardato in un ambiente europeo altamente politicizzato. Qualora i legislatori nazionali, avvalendosi del loro margine di discrezionalità, decidano di aggiungere requisiti a livello nazionale, dovrebbero farlo in modo trasparente, informando la Commissione e altre autorità nazionali e motivando i nuovi requisiti aggiunti, in linea con l’impegno assunto con l’accordo interistituzionale «Legiferare meglio». Inoltre, le sanzioni non devono variare all’interno dell’UE.

6.4.

Qualità della legislazione significa legiferare meglio. La preparazione dovrebbe includere una verifica della competitività nel processo di elaborazione delle politiche, una migliore modellizzazione delle valutazioni d’impatto e un’analisi più approfondita del modo in cui la regolamentazione incide sull’onere burocratico cumulativo delle imprese, e specialmente delle PMI.

6.5.

Eliminare gli ostacoli nazionali superflui: la Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero valutare se le norme tecniche nazionali siano ancora adatte allo scopo, adeguate alle esigenze future e proporzionate per migliorare la libera circolazione delle merci e dei servizi.

6.6.

La Commissione e gli Stati membri devono garantire parità di condizioni a tutti gli operatori, sulla base di un solido quadro giuridico che garantisca la conformità e la sicurezza di tutti i prodotti e servizi venduti sul mercato dell’UE, al fine di preservare la fiducia e la sicurezza dei consumatori conformemente al nuovo regolamento sulla sicurezza dei prodotti e dei servizi, che comprende anche i prodotti e i servizi digitali.

6.7.

Le istituzioni dell’UE devono affrontare efficacemente il protezionismo e la discriminazione degli Stati membri per garantire che gli interessi dei consumatori siano ugualmente tutelati nelle decisioni politiche nazionali e dell’UE.

6.8.

Miglioramento degli strumenti disponibili per consentire alle imprese e ai consumatori di accedere alle informazioni relative alla notifica (sportello unico di notifica) e rendere i processi più utili e flessibili, ad esempio rafforzando la rete per i reclami dei consumatori transfrontalieri. Il CESE incoraggia la creazione di reti di sistemi di risoluzione delle controversie facilmente accessibili, perché i consumatori acquisirebbero fiducia nel mercato unico se potessero ottenere senza sforzi un risarcimento da parte delle imprese stabilite in altri Stati membri.

6.9.

Per quanto riguarda un mercato unico degli appalti pubblici: si tratta di un settore con limitazioni e restrizioni nazionali per le imprese che hanno sede in un altro Stato membro, che possono distorcere il normale funzionamento del mercato unico e che richiedono una risposta forte da parte delle istituzioni dell’UE per completare il quadro normativo che contribuisce al progresso sociale dei cittadini (6).

6.10.

La Commissione europea, gli Stati membri e le altre parti interessate dovrebbero collaborare per garantire comunità sostenibili. La crisi climatica costituisce sia una sfida che un’opportunità: è necessario un rapido riallineamento del mercato unico per rispecchiare le nuove priorità del Green Deal. Occorre promuovere l’uso di tecnologie a zero emissioni e adeguare rapidamente la formazione della forza lavoro. Gli investimenti verdi potrebbero aprire le porte a un lungo periodo di crescita nel mercato interno dell’UE e al tempo stesso apportare un importante contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 28.

(2)  GU C 152 del 6.4.2022 pag. 1.

(3)  Decisione (UE) 2022/2349 del Consiglio, del 21 novembre 2022, che autorizza l’avvio di negoziati a nome dell’Unione europea per una convenzione del Consiglio d’Europa sull’intelligenza artificiale, i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto (GU L 311 del 2.12.2022, pag. 138).

(4)  Direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione (GU L 241 del 17.9.2015, pag. 1).

(5)  GU C 152 del 6.4.2022 pag. 1.

(6)  GU C 341 del 24.8.2021. pag. 20.


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Lavoro precario e salute mentale»

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza spagnola)

(2023/C 228/05)

Relatore:

José Antonio MORENO DÍAZ

Consultazione da parte della presidenza spagnola del Consiglio dell’UE

Lettera del 27.7.2022

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

(parere esplorativo)

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

3.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

158/73/12

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Secondo la risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 4 luglio 2017, il lavoro precario è «un’occupazione nella quale non vengono rispettate le norme e le disposizioni dell’UE, internazionali e nazionali e/o che non offra mezzi sufficienti per una vita dignitosa o una protezione sociale adeguata».

1.2.

Il lavoro può essere un fattore a protezione della salute mentale, ma può anche contribuire all’insorgere di malattie, ed è per questo motivo che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) lo considera un fattore sociale determinante della salute.

1.3.

Secondo solidi dati scientifici, la precarietà dell’occupazione fa aumentare le probabilità di un deterioramento della salute mentale dei lavoratori. Ad esempio, una forte incertezza sul lavoro fa aumentare le possibilità di soffrire di depressione e ansia, e anche di commettere suicidio; richieste pressanti sul lavoro associate a uno scarso controllo fanno aumentare le possibilità di congedo per malattia a causa di un disturbo mentale diagnosticato; analogamente, la combinazione di questi due rischi fa aumentare le possibilità di soffrire di disturbi depressivi.

1.4.

Le forme di lavoro precario possono comprendere: il lavoro part-time involontario; bassi salari che non permettono di sovvenire alle necessità basilari; i contratti a zero ore, a chiamata o a termine per coprire fabbisogni strutturali; un’incertezza costante per quanto riguarda la durata del lavoro, l’orario, la retribuzione, le mansioni ecc.; la mancanza di autonomia e di sviluppo professionale nello svolgimento del lavoro; richieste eccessive sul lavoro che si traducono in orari prolungati e in un conflitto tra vita professionale e vita familiare. Queste forme di lavoro costituiscono raramente una scelta volontaria dei lavoratori e delle lavoratrici, anche se ci sono persone che le scelgono.

1.5.

Il lavoro precario è più prevalente tra i lavoratori e le lavoratrici con mansioni esecutive, le donne, i giovani e gli immigrati. Questa prevalenza, che va ad aggiungersi alle disuguaglianze sociali, può moltiplicare le discriminazioni e amplificare il gradiente sociale delle malattie mentali.

1.6.

Conformemente alla direttiva 89/391/CEE del Consiglio (1) sulla sicurezza e la salute durante il lavoro, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, alla Carta sociale europea, al trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ai principi del pilastro europeo dei diritti sociali e al relativo piano d’azione, né la creazione e l’aumento dei profitti delle imprese, né la riduzione dei costi del lavoro o la garanzia di flessibilità a vantaggio dei datori di lavoro possono essere conseguite a scapito della salute e della sicurezza di lavoratori e lavoratrici.

1.7.

Il lavoro precario è incompatibile con il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) nell’UE.

1.8.

Al fine di ridurre la precarietà del lavoro e la prevalenza dei problemi di salute mentale connessi, il CESE ritiene necessario che venga garantita l’attuazione e l’applicazione della legislazione europea e di quella nazionale in cui vengono stabilite condizioni occupazionali e lavorative di qualità, sane e che permettano di vivere dignitosamente.

1.9.

A tal fine, il CESE ritiene indispensabile intensificare le attività di vigilanza e controllo sul rispetto di tale normativa, ma l’autorità pubblica competente deve essere preliminarmente dotata di risorse sufficienti (secondo i coefficienti OIL) e vanno altresì garantite sanzioni pecuniarie adeguate in caso di inosservanza.

1.10.

Il CESE propone inoltre di fare in modo che per le imprese e organizzazioni che non garantiscono il rispetto di tale normativa sia impossibile presentarsi a gare d’appalto e ricevere aiuti pubblici, in linea con le direttive vigenti in materia di appalti pubblici.

1.11.

Il CESE prende atto della comunicazione sul quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027 [COM(2021) 323 final]. Il CESE propone altresì di legiferare in particolare sulla prevenzione dei rischi psicosociali al livello dell’UE, sviluppando e modernizzando la direttiva sulla salute e la sicurezza durante il lavoro (89/391/CEE), introducendo la prevenzione alla fonte dei rischi psicosociali legati al lavoro, nonché modificando la concezione, gestione e organizzazione del lavoro, poiché i dati scientifici dimostrano che una legislazione nazionale specifica è più efficace in termini di azione preventiva e riduzione dell’esposizione a questi rischi. I suoi benefici potrebbero pertanto essere estesi a tutti i paesi dell’UE mediante una direttiva.

1.12.

Il CESE sottolinea che contrastare alla fonte i rischi psicosociali individuati legati al lavoro, ricorrendo a interventi organizzativi per ridefinire le condizioni di lavoro, significa compiere un passo avanti nel promuovere la salute mentale sul luogo di lavoro, in linea con quanto delineato dall’OMS e dall’OIL nei loro orientamenti e nel loro documento programmatico del settembre 2022 (2).

1.13.

Il CESE prende atto della proposta di direttiva presentata nel 2021 dalla Commissione relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali. Analogamente, il CESE propone di mettere a punto approcci adeguati per gestire l’uso dell’intelligenza artificiale sul lavoro in modo da evitare i rischi professionali e la violazione di altri diritti dei lavoratori.

1.14.

Infine, il CESE auspica l’elaborazione di una politica industriale a livello europeo e nazionale per creare posti di lavoro di qualità che assicurino condizioni di lavoro idonee per la salute delle persone e rafforzare la competitività.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Tra le priorità del mandato della Spagna alla testa dell’UE quale paese che detiene la presidenza di turno del Consiglio nella seconda metà del 2023, il governo spagnolo annovera la necessità di affrontare gli effetti della precarietà lavorativa sulla salute mentale, in quanto la correzione di tali effetti costituisce una necessità impellente in vista della definizione di nuove politiche del lavoro che consentano di progredire verso mercati del lavoro più sani, più inclusivi e fondati sul lavoro dignitoso (3), e per tale motivo ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo in materia.

2.2.

La precarietà del lavoro è incompatibile con il conseguimento degli obiettivi contenuti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, più precisamente con l’OSS 8 («Lavoro dignitoso e crescita economica»), ma anche con l’OSS 3 («Salute e benessere») o con l’OSS 5 («Parità di genere») (4). Secondo l’OMS (5), il lavoro dignitoso ha effetti positivi per la salute mentale, e gli ambienti di lavoro di bassa qualità — con caratteristiche quali la discriminazione e la disuguaglianza, carichi di lavoro eccessivi, il basso livello di controllo sul lavoro e la precarietà del lavoro — rappresentano un rischio per la salute mentale.

2.3.

La risoluzione del Parlamento europeo sulle condizioni di lavoro e l’occupazione precaria attribuisce al termine lavoro precario (6) il significato di un’occupazione nella quale non vengono rispettate le norme e le disposizioni dell’UE, internazionali e nazionali, e/o che non offra mezzi sufficienti per una vita dignitosa o una protezione sociale adeguata.

2.4.

Secondo il thesaurus dell’EU-OSHA, il lavoro precario è un lavoro mal retribuito, privo di certezza, non protetto e che non può sostenere una famiglia (7). Dal canto suo, la rete internazionale di ricercatori esperti nello studio del lavoro precario (Precarious Work Research) definisce la precarietà del lavoro come una situazione multidimensionale caratterizzata anche, ma non soltanto, da incertezza sul lavoro, redditi non adeguati, mancanza di diritti e assenza di protezione nel rapporto di lavoro, una condizione che potrebbe interessare sia i lavoratori informali che quelli formali (8). Come osserva Eurofound, non esiste una definizione universale di lavoro precario, ma la necessità di affrontarlo è ampiamente riconosciuta al fine di garantire condizioni di lavoro dignitose e salubri, in linea con l’agenda dell’OIL per il lavoro dignitoso (9).

2.5.

Alla luce di questi concetti, alcune forme di occupazione e condizioni di lavoro che determinano posti di lavoro di scarsa qualità possono essere considerate precarie, ad esempio: lavoro a tempo parziale involontario, orari di lavoro prolungati o continue richieste di disponibilità, salari bassi o non sicuri, utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, contratti a zero ore o a chiamata, lavoro non contrattuale o lavoro senza misure di prevenzione dei rischi.

2.6.

Il lavoro precario può comportare: intensificazione ed estensione della giornata lavorativa; mancanza di autonomia e di sviluppo professionale nel lavoro; giornate di lavoro imprevedibili e disagevoli e orari che ostacolano la vita sociale e che sfociano in un conflitto tra vita professionale e vita familiare; ore di lavoro insufficienti con conseguenti salari che non consentono di sovvenire alle esigenze di base; incertezza costante in merito alla durata dell’occupazione e alle condizioni di lavoro (in termini di orario, salario, mansioni ecc.); difficoltà per i lavoratori a esercitare i loro diritti, tra cui il diritto all’azione collettiva, con una conseguente riduzione del potere contrattuale; maggiore vulnerabilità agli abusi, alla discriminazione e al mobbing; impossibilità di condurre una vita dignitosa malgrado si abbia un lavoro (i cosiddetti «lavoratori poveri»).

2.7.

Il lavoro precario può avere un impatto su diversi settori della vita quotidiana, compresa la salute. L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) osserva che «gli studi sugli effetti del lavoro precario sulla SSL hanno rilevato l’esistenza di un’associazione negativa con la sicurezza e la salute sul lavoro; è stato inoltre riscontrato che, quanto più è instabile, tanto più l’occupazione è associata alla morbilità o alla mortalità» (10).

2.8.

Alcuni esempi concreti basati su prove scientifiche della massima qualità che mettono a confronto i lavoratori esposti e quelli non esposti (studi longitudinali e/o con ampie banche dati che consentono di escludere la casualità e isolare altri fattori di natura non professionale e professionale) segnalano che: l’elevato livello di incertezza percepita sul lavoro che caratterizza l’occupazione precaria fa aumentare le possibilità di depressione del 61 %, le possibilità di soffrire d’ansia del 77 % (11) e le possibilità di commettere suicidio del 51 % (12). Richieste pressanti sul lavoro fanno aumentare del 23 % le possibilità di congedo per malattia a causa di un disturbo mentale diagnosticato; le carenze nei controlli aumentano tali possibilità del 25 % (13) e la combinazione di questi due fattori fa aumentare le possibilità di depressione del 77 %. Analogamente, orari di lavoro prolungati fanno aumentare del 14 % le probabilità di soffrire di depressione (14).

2.9.

Se nell’UE venisse eliminata l’esposizione a rischi psicosociali professionali, l’incidenza della depressione scenderebbe tra il 17 e il 35 %, e le malattie cardiovascolari tra il 5 e l’11 % (15).

2.10.

Le forme di occupazione e le condizioni di lavoro precarie sono raramente il prodotto di una scelta volontaria. I dati dimostrano solidamente che tali forme e condizioni sono più prevalenti tra i lavoratori e le lavoratrici con mansioni esecutive, le donne, i giovani e gli immigrati (16) e — tramite lo sfruttamento delle disuguaglianze in termini di ceto sociale, genere, età, nazionalità e appartenenza etnica — esse possono avere l’effetto di moltiplicare le discriminazioni intersezionali e di amplificare non solo le disuguaglianze sanitarie già esistenti, ma anche il gradiente sociale delle malattie mentali. Sebbene queste forme di lavoro spesso non costituiscano l’opzione preferita, vi sono lavoratori che le scelgono.

2.11.

La prevalenza del lavoro precario è inoltre disomogenea tra i paesi dell’UE (17) e tra i settori di attività. L’incidenza è più elevata nelle attività che rappresentano un’estensione del lavoro domestico e assistenziale (pulizie, assistenza socio-sanitaria, ospitalità, alberghi, sicurezza, consegna a domicilio ecc.) (18), fenomeno intensificato dalla pandemia di COVID-19. Tuttavia, il lavoro precario esiste in tutti i settori, compreso quello pubblico, e in tutti i paesi.

2.12.

Conformemente alla direttiva 89/391/CEE sulla sicurezza e la salute sul luogo di lavoro, il datore di lavoro ha il dovere di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti relativi al lavoro. Secondo l’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose. Inoltre, ogni lavoratore ha diritto, tra l’altro, alla limitazione della durata massima dell’orario di lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a un periodo annuale di ferie retribuite. Queste disposizioni trovano riscontro anche nella Carta sociale europea, nel trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nei principi del pilastro europeo dei diritti sociali e nel relativo piano d’azione. Né la creazione e l’aumento dei profitti delle imprese, né la riduzione dei costi del lavoro o la garanzia di flessibilità a vantaggio dei datori di lavoro possono essere conseguiti a scapito della salute e della sicurezza dei lavoratori.

2.13.

Occorre rilevare che, per quanto riguarda la salute mentale in generale, i sistemi sanitari pubblici svolgono un ruolo importante. Senza cambiamenti e adeguamenti rapidi e necessari nei sistemi sanitari pubblici e senza la disponibilità di assistenza psicologica e psichiatrica in modalità di emergenza, remota e terapeutica, non sarà possibile occuparsi adeguatamente della salute mentale non solo dei lavoratori, ma anche di tutti i cittadini europei.

3.   Osservazioni specifiche

3.1.

Lo squilibrio di potere tra capitale e lavoro è un fattore di rischio che può generare lavoro precario. Tale squilibrio deve essere livellato sia con interventi normativi che mediante il dialogo sociale e l’azione sindacale, creando un contesto che protegga i lavoratori e le lavoratrici e mantenendo nel contempo condizioni economiche favorevoli che evitino la concorrenza sleale.

3.2.

La necessità non solo di rafforzare l’osservanza del corpus legislativo sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e dei loro rappresentanti, ma anche di sviluppare tale corpus di norme, è dimostrata dal fatto che nell’UE le tre ragioni principali che spingono i datori di lavoro a occuparsi della salute e della sicurezza sul lavoro all’interno delle loro aziende, sono: il rispetto della legislazione (89,2 %), l’azione punitiva dell’autorità competente in materia di lavoro (79,4 %) e le richieste avanzate dai lavoratori e dalle lavoratrici, anche per il tramite dei loro rappresentanti (81,8 %) (19).

3.3.

Un altro esempio dell’efficacia della legislazione nel ridurre la precarietà contrattuale è osservabile in Spagna: la riforma del lavoro recentemente approvata, che è il frutto della concertazione sociale, ha ridotto le percentuali — anormalmente elevate — di contratti a tempo determinato sul mercato del lavoro.

4.   Proposte

4.1.

Il CESE rileva che vi sono solide prove del fatto che la precarietà del lavoro aumenta le probabilità di un deterioramento della salute mentale. Pertanto, in linea sia con le raccomandazioni del settore scientifico concernenti la salute pubblica e dei lavoratori e l’epidemiologia occupazionale che con quelle delle istituzioni internazionali in materia di salute mentale sul luogo di lavoro, e alla luce dei diritti sanciti dalla direttiva 89/391/CEE sulla prevenzione alla fonte dei rischi professionali, tutte le misure di seguito proposte seguono consapevolmente un approccio volto a limitare la diffusione dei rischi associati alla precarietà del lavoro, al fine di prevenire il deterioramento della salute mentale dei lavoratori. Poiché i fattori di rischio che possono avere un impatto sulla salute mentale variano notevolmente da un settore all’altro e persino da un luogo di lavoro all’altro all’interno di uno stesso settore, nella maggior parte dei casi le soluzioni migliori possono essere trovate attraverso il dialogo sociale a livello settoriale o aziendale, che consente un approccio mirato, tenendo conto di tutti i quadri giuridici pertinenti.

4.2.

Il CESE osserva che, nel suo quadro strategico per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (2021-2027) (20), la Commissione ha indicato che, tra l’altro:

avvierà una campagna «Ambienti di lavoro sani e sicuri» dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OHSA) nel periodo 2023-2025 che verta sulla creazione di un futuro digitale sicuro e sano, affrontando in particolare i rischi psicosociali ed ergonomici;

in cooperazione con gli Stati membri e le parti sociali, preparerà un’iniziativa non legislativa a livello dell’UE in materia di salute mentale sul luogo di lavoro che valuti le questioni emergenti relative alla salute mentale dei lavoratori e presenti orientamenti per l’azione entro la fine del 2022;

svilupperà la base analitica, gli strumenti elettronici e gli orientamenti per la valutazione dei rischi connessi ai lavori e ai processi verdi e digitali, compresi in particolare i rischi psicosociali ed ergonomici.

4.3.   Garantire l’attuazione della vigente legislazione dell’UE e nazionale che stabilisce condizioni di occupazione e di lavoro di qualità

4.3.1.

Il CESE rileva che le vigenti direttive europee in materia di condizioni di lavoro e di occupazione, rappresentanza e partecipazione disciplinano i diritti, gli obblighi e le responsabilità concernenti l’organizzazione dell’orario di lavoro [2003/88/CE (21)], l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare [(UE) 2019/1158 (22)], un salario minimo adeguato [(UE) 2022/2041 (23)], la non discriminazione [2006/54/CE (24), 2000/78/CE (25), 2000/43/CE (26)], la prevedibilità e trasparenza delle condizioni di lavoro [(UE) 2019/1152 (27)], la prevenzione dei rischi professionali e la SSL (89/391/CEE e relativi sviluppi specifici), nonché l’informazione e la consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti [2009/38/CE (28), 2003/72/CE (29), 2002/14/CE (30)]. Inoltre, la libertà di associazione, contrattazione collettiva, manifestazione e sciopero è tutelata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La piena attuazione di questo corpus giuridico potrebbe consentire ai lavoratori di avere un lavoro dignitoso, ridurre l’incertezza e promuovere la salute mentale.

4.3.2.

Tuttavia, il CESE rileva che vi sono margini di miglioramento per quanto riguarda l’attuazione, l’applicazione e il rispetto di queste norme sulle condizioni di lavoro, stabilite come diritti minimi necessari, nonché l’applicazione della legislazione vigente.

4.4.

Il CESE propone pertanto di:

4.4.1.

intensificare le misure di monitoraggio e verifica del rispetto delle disposizioni vigenti in materia di lavoro contenute in tali direttive, al fine di garantirne l’effettiva attuazione. A tal fine, è necessario che gli Stati membri forniscano risorse umane sufficienti all’autorità del lavoro competente, secondo i coefficienti raccomandati dall’OIL (31);

4.4.2.

prevedere sanzioni pecuniarie in caso di violazione delle direttive di cui sopra;

4.4.3.

introdurre il divieto di partecipare ad appalti pubblici e di presentare domanda per la concessione di aiuti di Stato a livello dell’UE, nazionale o locale, a meno che non venga garantito il rispetto di tali direttive, in linea con le direttive vigenti in materia di appalti pubblici;

4.4.4.

avvalersi pienamente delle possibilità offerte dal comitato degli alti responsabili dell’ispettorato del lavoro per il coordinamento dell’UE nel monitoraggio dell’applicazione della legislazione di cui al punto 4.3.1.

4.4.5.

Il CESE sostiene i negoziati in corso sulla proposta di direttiva del 2021 relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali e prende atto dei negoziati in corso sulla posizione del Consiglio, nonché degli emendamenti proposti dalla Commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo nel dicembre 2022. Analogamente, il CESE propone di mettere a punto approcci adeguati per gestire l’uso dell’intelligenza artificiale sul lavoro in modo da evitare i rischi professionali e la violazione di altri diritti dei lavoratori.

4.5.   Concentrarsi sulla prevenzione dei rischi psicosociali legati al lavoro

4.5.1.

Il CESE prende atto della comunicazione sul quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027 [COM(2021) 323 final]. Il CESE propone altresì di legiferare in particolare sulla prevenzione dei rischi psicosociali al livello dell’UE, sviluppando e modernizzando la direttiva sulla salute e la sicurezza durante il lavoro (89/391/CEE), introducendo la prevenzione alla fonte dei rischi psicosociali legati al lavoro, nonché modificando la concezione, gestione e organizzazione del lavoro, poiché i dati scientifici dimostrano che una legislazione nazionale specifica è più efficace in termini di azione preventiva e riduzione dell’esposizione a questi rischi (32).

4.5.2.

Inoltre, il CESE sottolinea che il diritto a un ambiente di lavoro sicuro e sano è stato inserito nel quadro dei principi e dei diritti fondamentali nel lavoro dell’OIL in occasione della 110a Conferenza internazionale del lavoro del giugno 2022, e che contrastare alla fonte i rischi psicosociali legati al lavoro, ricorrendo a interventi organizzativi per ridefinire le condizioni di lavoro, è un passo essenziale per promuovere la salute mentale sul luogo di lavoro, in linea con quanto concordato dall’OMS e dall’OIL nei loro orientamenti e nel loro documento programmatico che delinea le strategie pratiche del settembre 2022 (33). Oltre alla prevenzione dei rischi psicosociali, tali istituzioni raccomandano, come secondo passo, di migliorare la salute mentale sul lavoro, proteggendola e promuovendola, in particolare attraverso la formazione e gli interventi volti a migliorare l’educazione in materia di salute mentale. La terza fase consiste nell’assistere i lavoratori affetti da disturbi della salute mentale a partecipare pienamente ed equamente al lavoro attraverso misure di accomodamento ragionevole e programmi di ritorno al lavoro. Infine, raccomandano di creare un ambiente favorevole con misure trasversali per migliorare la salute mentale sul lavoro attraverso la leadership, gli investimenti, i diritti, l’integrazione, la partecipazione, i dati scientifici e la conformità.

4.5.3.

Il CESE sottolinea, come affermato anche nell’accordo quadro delle parti sociali dell’UE sullo stress, che, ai sensi della direttiva quadro 89/391/CEE, tutti i datori di lavoro hanno l’obbligo giuridico di proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro. Tale obbligo si applica anche ai problemi di stress da lavoro, nella misura in cui comportano un rischio per la salute e la sicurezza.

4.5.4.

In tale contesto, il CESE propone che la suddetta direttiva sviluppi la prevenzione primaria dei rischi psicosociali legati al lavoro secondo un approccio organizzativo e collettivo. A tal fine, dovrebbe prevedere:

4.5.4.1.

requisiti di qualità per i metodi di valutazione utilizzati (che devono essere convalidati con dati sanitari, misurare i rischi psicosociali evidenziati dalle prove scientifiche ed evidenziare le disuguaglianze ecc.);

4.5.4.2.

ove opportuno, la definizione, la pianificazione e l’attuazione di misure preventive per l’eliminazione o la riduzione al minimo di tali rischi: 1) tenendo conto dei risultati della valutazione di rischi psicosociali; 2) modificando alla fonte le condizioni di lavoro identificate come dannose tramite la realizzazione di interventi sul piano organizzativo tesi a evitare che le misure preventive si concentrino esclusivamente sullo sviluppo di capacità e la riabilitazione;

4.5.4.3.

l’obbligo per i datori di lavoro di conseguire la riduzione dei rischi professionali attuando misure adeguate per ridurre i rischi psicosociali legati al lavoro modificando le condizioni di lavoro, ad esempio: migliorare la tecnologia e i processi di produzione di beni e servizi e incrementare gli organici per ridurre i carichi di lavoro; garantire che gli orari di lavoro siano compatibili con l’assistenza in famiglia; promuovere metodi di lavoro partecipativi e cooperativi per evitare la mancanza di voce in capitolo e aumentare il sostegno funzionale tra colleghi e da parte dei superiori; introdurre procedure eque di assunzione, assegnazione dei compiti, formazione e promozione al fine di migliorare la qualità della dirigenza; ideare compiti più interessanti che consentano non solo di applicare abilità e conoscenze, ma anche di apprenderne di nuove; promuovere la stabilità dell’occupazione e delle condizioni di lavoro e la prevedibilità dei cambiamenti, che devono essere ragionati e ragionevoli, al fine di evitare l’incertezza sul lavoro; e un salario adeguato che deve consentire una vita dignitosa conformemente alla normativa applicabile, al dialogo sociale e ai contratti collettivi. Tutte queste misure consentirebbero di ridurre il lavoro precario e di proteggere la salute mentale;

4.5.4.4.

l’obbligo di tenere debitamente conto della finalità preventiva della valutazione al fine di promuovere una gestione efficiente di tali rischi, evitando semplici rivalutazioni burocratiche;

4.5.4.5.

garantire che tutte queste azioni di prevenzione alla fonte dei rischi psicosociali — dall’impostazione della valutazione fino ai cambiamenti organizzativi e al monitoraggio della loro efficacia nel ridurre i rischi — siano basate sulla partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti sul luogo di lavoro o nell’impresa, conformemente alle norme applicabili in materia di informazione e consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti. A tal fine, e in linea con le norme nazionali vigenti, occorre garantire l’esistenza e il funzionamento degli organismi competenti, quando ciò sia previsto dalla legislazione nazionale e/o dai contratti collettivi (comitati per la salute e la sicurezza, delegati e delegate per la prevenzione, comitati aziendali ecc.) e anche la contrattazione tra i rappresentanti dei lavoratori e i datori di lavoro, conformemente alla legislazione applicabile e ai contratti collettivi.

4.6.   Una politica industriale appositamente concepita per sostenere la creazione di posti di lavoro di qualità

4.6.1.

La politica industriale dei vari paesi incide, tra gli altri fattori, sulla capacità delle imprese di creare posti di lavoro qualificati e di alta qualità in un’economia. Per questo motivo il CESE propone che nell’elaborazione della politica industriale a livello europeo si tenga conto dell’obiettivo di creare posti di lavoro qualificati e di qualità che garantiscano condizioni di lavoro sane e migliorino la competitività. Per il raggiungimento di tale obiettivo ci si potrebbe basare tra l’altro su:

4.6.1.1.

una collaborazione molto più attiva tra le autorità pubbliche per lo sviluppo economico, incentrata sulla messa a disposizione delle infrastrutture necessarie e su politiche attive dell’occupazione orientate alle esigenze specifiche delle industrie con il potenziale maggiore in termini di creazione a livello locale di posti di lavoro di qualità, richiedendo in cambio alle imprese beneficiarie di creare un numero minimo di posti di lavoro di questo tipo;

4.6.1.2.

l’orientamento degli investimenti in ricerca e sviluppo verso tecnologie che rafforzino la produttività e siano favorevoli alla manodopera, per incrementarne sinergicamente la capacità di creazione di valore;

4.6.1.3.

l’inserimento, in fase di elaborazione della politica industriale, di criteri sia per la prevenzione dei rischi sul lavoro che per la protezione della salute dei lavoratori e delle lavoratrici;

4.6.1.4.

l’inclusione di capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile che garantiscano i diritti dei lavoratori negli accordi commerciali internazionali.

4.7.

Il CESE propone che il programma di studio trasversale dell’istruzione obbligatoria e della formazione professionale di ogni paese comprenda anche le conoscenze relative ai diritti individuali e collettivi del lavoro e le competenze imprenditoriali, al fine di dotare i futuri lavoratori e datori di lavoro delle conoscenze necessarie in materia.

4.8.

Facendo seguito ai risultati delle indagini e dei dati di Eurofound, EU-OSHA e Eurostat, il CESE propone di individuare periodicamente le forme più diffuse di lavoro precario, i contesti in cui si sviluppano (paesi, settori ecc.) e i gruppi più colpiti (lavoratori con mansioni esecutive, donne, giovani ecc.) e di monitorare l’evoluzione della situazione.

4.9.

Il CESE propone di promuovere la ricerca sulla qualità del lavoro e sulla salute mentale, a cominciare dal miglioramento dei sistemi di informazione e sorveglianza epidemiologica in questi settori.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU L 183 del 29.6.1989, pag. 1).

(2)  https://www.ilo.org/rome/risorse-informative/comunicati-stampa/WCMS_856992/lang--it/index.htm

(3)  Richiesta di parere esplorativo presentata dalla seconda vicepresidente del governo spagnolo, ministero del Lavoro e dell’economia sociale della Spagna.

(4)  ONU, Assemblea Generale, settantesima sessione (2015), Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, risoluzione adottata dall’Assemblea generale il 25 settembre 2015.

(5)  https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/mental-health-at-work

(6)  https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2017-0290_IT.html

(7)  https://osha.europa.eu/en/tools-and-resources/eu-osha-thesaurus/term/62001d

(8)  https://doi.org/10.1186/s13643-021-01728-z

(9)  https://www.eurofound.europa.eu/it/node/91840

(10)  EU-OSHA (2013), Priorità di ricerca su sicurezza e salute sul lavoro in Europa: 2013-2020. Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea. 10.2802/25457.

(11)  Niedhammer, I., Bertrais, S., & Witt, K. (2021). Psychosocial work exposures and health outcomes: a meta-review of 72 literature reviews with meta-analysis, Scandinavian Journal of Work, Environment & Health, 47(7), 489-508.

(12)  Blomqvist, S., Virtanen, M., LaMontagne, A. D., & Magnusson Hanson, L. L. (2022). Perceived job insecurity and risk of suicide and suicide attempts: a study of men and women in the Swedish working population, Scandinavian Journal of Work, Environment & Health, 48(4), 293-301.

(13)  Duchaine, CS et al. (2020). Psychosocial stressors at work and the risk of sickness absence due to a diagnosed mental disorder: a systematic review and meta-analysis, JAMA psychiatry, 77(8), 842-851.

(14)  Niedhammer, Bertrais, Witt (2021) (cfr. sopra).

(15)  Niedhammer I et al. (2022). Update of the fractions of cardiovascular diseases and mental disorders attributable to psychosocial work factors in Europe, International Archives of Occupational and Environmental Health, 95(1), 233-247.

(16)  https://oshwiki.osha.europa.eu/en/themes/precarious-work-definitions-workers-affected-and-osh-consequences

(17)  Matilla-Santander N et al. (2019). Measuring precarious employment in Europe 8 years into the global crisis, J Public Health (Oxf), 41(2):259-267.

(18)  Eurofound (2021). Condizioni di lavoro e lavoro sostenibile: un’analisi sulla base del quadro della qualità del lavoro, Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea.

(19)  https://visualisation.osha.europa.eu/esener/it/survey/datavisualisation/2019

(20)  Comunicazione della Commissione — Quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027. Sicurezza e salute sul lavoro in un mondo del lavoro che cambia [COM(2021) 323 final].

(21)  Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (GU L 299 del 18.11.2003, pag. 9).

(22)  Direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio (GU L 188 del 12.7.2019, pag. 79).

(23)  Direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea (GU L 275 del 25.10.2022, pag. 33).

(24)  Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204 del 26.7.2006, pag. 23).

(25)  Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303 del 2.12.2000, pag. 16).

(26)  Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (GU L 180 del 19.7.2000, pag. 22).

(27)  Direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea (GU L 186 dell’11.7.2019, pag. 105).

(28)  Direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (GU L 122 del 16.5.2009, pag. 28).

(29)  Direttiva 2003/72/CE del Consiglio, del 22 luglio 2003, che completa lo statuto della società cooperativa europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori (GU L 207 del 18.8.2003, pag. 25).

(30)  Direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori — Dichiarazione congiunta del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione sulla rappresentanza dei lavoratori (GU L 80 del 23.3.2002, pag. 29).

(31)  https://www.ilo.org/global/topics/labour-administration-inspection/resources-library/publications/WCMS_844151/lang--en/index.htm, paragrafo 4.1.8.

(32)  Jain, A. et al (2022), The impact of national legislation on psychosocial risks on organisational action plans, psychosocial working conditions, and employee work-related stress in Europe, Social Science & Medicine 302.

(33)  https://www.ilo.org/rome/risorse-informative/comunicati-stampa/WCMS_856992/lang--it/index.htm


ALLEGATO

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso del dibattito, ma hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi (articolo 60, paragrafo 2, del regolamento interno):

EMENDAMENTO 1

Presentato da:

BLIJLEVENS René

DANISMAN Mira-Maria

MINCHEVA Mariya

PILAWSKI Lech

POTTIER Jean-Michel

VADÁSZ Borbála

SOC/745

Lavoro precario e salute mentale

Punto 2.7

Inserire un nuovo punto

Posizione: dopo l’attuale punto 2.6

Parere della sezione

Emendamento

 

La definizione utilizzata dal Parlamento europeo nella sua risoluzione del 2017  (12) da un lato indica che per lavoro precario si intende un lavoro non conforme alla legislazione applicabile. Tale definizione, tuttavia, fa riferimento anche al lavoro che « non offra mezzi sufficienti per una vita dignitosa o una protezione sociale adeguata » . Nel contempo, il CESE osserva che, secondo Eurofound, il lavoro precario è un concetto che non ha una definizione universalmente accettata in tutta Europa, mentre la necessità di affrontare questo fenomeno complesso è ampiamente riconosciuta. Secondo l’OMS i rischi per la salute mentale sul luogo di lavoro, chiamati anche rischi psicosociali, possono essere correlati, tra l’altro, alle mansioni o agli orari, alle caratteristiche specifiche del luogo di lavoro o alle opportunità di sviluppo professionale. L’OMS indica inoltre che, sebbene i rischi psicosociali si riscontrino in tutti i settori, alcuni lavoratori hanno maggiori probabilità di essere esposti a tali rischi rispetto ad altri, a causa della natura delle loro mansioni, del luogo di lavoro e delle modalità del lavoro stesso  (13) . Anche l’accordo quadro autonomo delle parti sociali dell’UE sullo stress afferma che lo stress legato al lavoro può essere causato da diversi fattori, quali le mansioni lavorative, l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, la scarsa comunicazione ecc.  (14) . Ciò significa che, nel valutare il nesso tra lavoro precario e rischi per la salute mentale, occorre tenere conto dell’assenza di una definizione universalmente accettata in Europa. Inoltre, la valutazione deve prendere in considerazione i seguenti elementi:

non esiste un nesso causale automatico tra ciò che viene considerato lavoro precario nel presente parere e i disturbi della salute mentale, ma il lavoro precario è uno dei fattori di rischio che possono avere un effetto negativo sulla salute mentale dei lavoratori. Le questioni sollevate ai punti  (15) 1.3 e 2.6 del presente parere sono in contraddizione con tale considerazione o non la rispecchiano a sufficienza;

la salute mentale è una combinazione di circostanze individuali, familiari, socioeconomiche e ambientali, e alcuni dei fattori di rischio per la salute mentale sono presenti nei luoghi di lavoro ma anche nella società in generale. La precarietà deve sempre essere accertata in base a una valutazione situazionale delle circostanze dell’individuo. Ciò si riflette anche nell’accordo quadro delle parti sociali dell’UE sullo stress  (16) , in cui si afferma che la diversità della forza lavoro è un aspetto importante di cui tenere conto nell’affrontare i problemi dello stress da lavoro e che individui diversi possono reagire in modo diverso a situazioni analoghe e uno stesso individuo può reagire in modo diverso a situazioni analoghe in momenti diversi della sua vita. Le questioni sollevate ai punti 1.5 e 2.6 del presente parere sono in contraddizione con tali considerazioni o non le rispecchiano a sufficienza;

inoltre, molte delle questioni legate ai diversi tipi di occupazione sono già affrontate nella legislazione dell’UE e nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, orario di lavoro e altri aspetti pertinenti. Le questioni sollevate ai punti 1.11, 4.5.4 e 4.5.4.3 del presente parere sono in contraddizione con tale considerazione o non la rispecchiano a sufficienza;

allo stesso tempo, le forme di lavoro che il presente parere sembra considerare precarie possono anche costituire un punto di partenza per entrare nel mercato del lavoro e passare gradualmente a un’occupazione a tempo indeterminato. Le questioni sollevate al punto 1.5 del presente parere sono in contraddizione con tale considerazione o non la rispecchiano a sufficienza;

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

81

Voti contrari:

127

Astensioni:

13

EMENDAMENTO 3

Presentato da:

BLIJLEVENS René

DANISMAN Mira-Maria

MINCHEVA Mariya

PILAWSKI Lech

POTTIER Jean-Michel

VADÁSZ Borbála

SOC/745

Lavoro precario e salute mentale

Punto 4.5.1

Inserire un nuovo punto

Posizione: dopo l’attuale punto 4.5

Parere della sezione

Emendamento

 

La promozione della salute mentale e del benessere è nell’interesse dell’intera società. Nella vita lavorativa la promozione della salute mentale è importante in quanto i problemi di salute mentale possono portare a una minore produttività del lavoro, a prestazioni lavorative inferiori e a un maggiore assenteismo, mentre a una buona salute mentale sono associate una maggiore motivazione e produttività. Il CESE concorda con l’approccio della Commissione  (29) di preparare, in collaborazione con gli Stati membri e le parti sociali, un’iniziativa non legislativa a livello dell’UE relativa alla salute mentale sul luogo di lavoro che valuti le questioni emergenti relative alla salute mentale dei lavoratori. Il Comitato sostiene inoltre l’obiettivo della Commissione di includere i rischi psicosociali ed ergonomici nella campagna sugli ambienti di lavoro sani e sicuri. Il CESE ritiene opportuno che, a livello dell’UE e nazionale nonché nei luoghi di lavoro, sia dedicata maggiore attenzione a politiche e/o azioni appropriate per sviluppare la prevenzione primaria dei rischi psicosociali legati al lavoro con un approccio organizzativo e collettivo, ove opportuno. Non è tuttavia necessario proporre a livello dell’UE una legislazione specifica in materia di prevenzione dei rischi psicosociali. Le questioni sollevate ai punti 1.11, 4.5.1, 4.5.4 e 4.5.4.3 del presente parere sono in contraddizione con tale considerazione o non la rispecchiano a sufficienza.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

91

Voti contrari:

127

Astensioni:

18

EMENDAMENTO 4

Presentato da:

BLIJLEVENS René

DANISMAN Mira-Maria

MINCHEVA Mariya

PILAWSKI Lech

POTTIER Jean-Michel

VADÁSZ Borbála

SOC/745

Lavoro precario e salute mentale

Punto 4.6.1

Inserire un nuovo punto

Posizione: dopo l’attuale punto 4.6

Parere della sezione

Emendamento

 

A causa dei profondi cambiamenti del contesto operativo, è necessario e urgente che l’UE definisca una politica industriale globale e aggiornata, basata sull’innovazione e sull’eccellenza. Le imprese creano occupazione e forniscono posti di lavoro di qualità quando esiste un contesto normativo e finanziario favorevole e quando le imprese stesse possono essere condotte in modo redditizio. Ciò significa che l’occupazione non può essere pianificata attraverso una politica industriale. Analogamente, non è sostenibile né ragionevole pretendere che le imprese che beneficiano delle infrastrutture o delle politiche attive del mercato del lavoro creino un numero minimo di posti di lavoro. Inoltre, la politica industriale coesiste con il quadro normativo dell’UE e nazionale applicabile in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ma non è essa stessa a fornire i criteri per la prevenzione dei rischi professionali. Infine, le imprese hanno anche bisogno di accedere a una forza lavoro qualificata, ma attualmente devono far fronte a carenze di manodopera e di competenze. Ciò mette in risalto la necessità di creare sistemi efficaci di apprendimento lungo tutto l’arco della vita e migliorare la capacità di prevedere le future esigenze in termini di competenze. Le questioni sollevate ai punti 4.6.1.1 e 4.6.1.3 del presente parere sono in contraddizione con tali considerazioni o non le rispecchiano a sufficienza.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

89

Voti contrari:

139

Astensioni:

9

EMENDAMENTO 5

Presentato da:

BLIJLEVENS René

DANISMAN Mira-Maria

MINCHEVA Mariya

PILAWSKI Lech

POTTIER Jean-Michel

VADÁSZ Borbála

SOC/745

Lavoro precario e salute mentale

Punto 3

Inserire un nuovo punto

Posizione: dopo l’attuale punto 1.2

Parere della sezione

Emendamento

 

Ad esempio, l’accordo quadro autonomo delle parti sociali dell’UE sullo stress afferma che lo stress legato al lavoro può essere causato da diversi fattori, quali le mansioni lavorative, l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, la scarsa comunicazione ecc.  (1) . Nel valutare il nesso tra lavoro precario e rischi per la salute mentale, occorre tenere conto dell’assenza di una definizione universalmente accettata in Europa. Inoltre, la valutazione deve prendere in considerazione i seguenti elementi:

non esiste un nesso causale automatico tra ciò che viene considerato lavoro precario nel presente parere e i disturbi della salute mentale, ma il lavoro precario è uno dei fattori di rischio che possono avere un effetto negativo sulla salute mentale dei lavoratori. Le questioni sollevate ai punti  (2) 1.3 e 2.6 del presente parere sono in contraddizione con tale considerazione o non la rispecchiano a sufficienza;

la salute mentale è una combinazione di circostanze individuali, familiari, socioeconomiche e ambientali, e alcuni dei fattori di rischio per la salute mentale sono presenti nei luoghi di lavoro ma anche nella società in generale. La precarietà deve sempre essere accertata in base a una valutazione situazionale delle circostanze dell’individuo. Le questioni sollevate ai punti 1.5 e 2.6 del presente parere sono in contraddizione con tali considerazioni o non le rispecchiano a sufficienza;

inoltre, molte delle questioni legate ai diversi tipi di occupazione sono già affrontate nella legislazione dell’UE e nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, orario di lavoro e altri aspetti pertinenti. Le questioni sollevate ai punti 1.11, 4.5.4 e 4.5.4.3 del presente parere sono in contraddizione con tale considerazione o non la rispecchiano a sufficienza;

allo stesso tempo, le forme di lavoro che il presente parere sembra considerare precarie possono anche costituire un punto di partenza per entrare nel mercato del lavoro e passare gradualmente a un’occupazione a tempo indeterminato. Le questioni sollevate al punto 1.5 del presente parere sono in contraddizione con tale considerazione o non la rispecchiano a sufficienza;

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

83

Voti contrari:

139

Astensioni:

15

EMENDAMENTO 6

Presentato da:

BLIJLEVENS René

DANISMAN Mira-Maria

MINCHEVA Mariya

PILAWSKI Lech

POTTIER Jean-Michel

VADÁSZ Borbála

SOC/745

Lavoro precario e salute mentale

Punto 1.4

Inserire un nuovo punto

Posizione: dopo il nuovo punto 1.3 (cfr. l’emendamento 5)

Parere della sezione

Emendamento

 

Il CESE concorda con l’approccio della Commissione  (3) di preparare, in collaborazione con gli Stati membri e le parti sociali, un’iniziativa non legislativa a livello dell’UE relativa alla salute mentale sul luogo di lavoro che valuti le questioni emergenti relative alla salute mentale dei lavoratori. Il CESE ritiene opportuno che, a livello dell’UE e nazionale nonché nei luoghi di lavoro, sia dedicata maggiore attenzione a politiche e/o azioni appropriate per sviluppare la prevenzione primaria dei rischi psicosociali legati al lavoro con un approccio organizzativo e collettivo, ove opportuno. Non è tuttavia necessario proporre a livello dell’UE una legislazione specifica in materia di prevenzione dei rischi psicosociali. Le questioni sollevate ai punti 1.11, 4.5.1, 4.5.4 e 4.5.4.3 del presente parere sono in contraddizione con tale considerazione o non la rispecchiano a sufficienza.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

91

Voti contrari:

141

Astensioni:

11


(12)   Testi approvati — Condizioni di lavoro e occupazione precaria — martedì 4 luglio 2017 (europa.eu)

(13)   https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/mental-health-at-work

(14)   Cfr. https://resourcecentre.etuc.org/agreement/framework-agreement-work-related-stress e https://www.businesseurope.eu/sites/buseur/files/media/imported/2005-00679-EN.pdf

(15)   La numerazione qui utilizzata si riferisce alla numerazione dei punti di cui al parere della sezione SOC presentato alla sessione plenaria e inserito nel portale dei membri per la sessione plenaria del CESE del 26 e 27 aprile (eventuali modifiche alla numerazione potrebbero derivare dall’eventuale adozione di questi o di altri emendamenti).

(16)   Cfr. https://resourcecentre.etuc.org/agreement/framework-agreement-work-related-stress e https://www.businesseurope.eu/sites/buseur/files/media/imported/2005-00679-EN.pdf

(29)   COM(2021) 323 final.

(1)   Cfr. https://resourcecentre.etuc.org/agreement/framework-agreement-work-related-stress e https://www.busineseurope.eu/sites/buseur/files/media/imported/2005-00679-EN.pdf

(2)   La numerazione qui utilizzata si riferisce alla numerazione dei punti di cui al parere della sezione SOC presentato alla sessione plenaria e inserito nel portale dei membri per la sessione plenaria del CESE del 26 e 27 aprile (eventuali modifiche alla numerazione potrebbero derivare dall’eventuale adozione di questi o di altri emendamenti).

(3)   Comunicazione sul quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027 — Sicurezza e salute sul lavoro in un mondo del lavoro in evoluzione [COM(2021) 323 final].


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Democrazia sul luogo di lavoro»

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza spagnola del Consiglio)

(2023/C 228/06)

Relatore:

Reiner HOFFMANN

Correlatore:

Krzysztof BALON

Parere richiesto dalla presidenza spagnola del Consiglio dell’Unione

Lettera del 27.7.2022

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Parere esplorativo

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

03.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

175/69/13

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Nel corso dei decenni la legislazione europea ha sviluppato un solido sistema di partecipazione dei lavoratori sul luogo di lavoro, basato sul diritto e sulle prassi in vigore negli Stati membri, come pure sulle libertà fondamentali dell’UE. Un mondo del lavoro democratico è un elemento fondamentale per sviluppare ulteriormente il modello sociale europeo in un ambiente sostenibile e competitivo.

1.2.

Le recenti crisi hanno dimostrato che i diritti esercitati attivamente dai cittadini e dai lavoratori si rafforzano a vicenda: la coesione sociale aumenta, l’ordinamento democratico delle nostre società si consolida e il tessuto sociale risulta meno vulnerabile alle posizioni populiste e autoritarie.

1.3.

I meccanismi e gli strumenti giuridici che perseguono l’obiettivo della democrazia sul luogo di lavoro rendono le imprese più resilienti, più efficaci dal punto di vista economico e, al tempo stesso, maggiormente in grado di offrire occupazione e un lavoro dignitoso. La democrazia sul luogo di lavoro, come concetto guida, dovrebbe coprire tutti i lavoratori e tutti i tipi di occupazione, nonché tutti i luoghi di lavoro, siano essi privati, pubblici o sociali, indipendentemente dalle dimensioni, dal settore o da altri aspetti organizzativi. Occorre tenere conto della situazione specifica delle PMI. I dati empirici dimostrano che la partecipazione dei lavoratori (workers’ voice) offre la flessibilità e il margine di manovra necessari sul luogo di lavoro per adattarsi ai cambiamenti strutturali.

1.4.

Anche la rapida evoluzione del mondo del lavoro rappresenta un’opportunità per garantire più democrazia. Affinché ciò sia possibile, la partecipazione dei lavoratori e il dialogo sociale devono essere maggiormente presenti nella coscienza comune e devono essere rafforzati anche a livello transfrontaliero. A tal fine è essenziale un quadro giuridico europeo affidabile che guidi e renda più efficaci i sistemi nazionali per l’informazione, la consultazione e la partecipazione, sostenuto da programmi d’azione con ricadute prevedibili a livello nazionale.

1.5.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la recente comunicazione della Commissione europea sul rafforzamento del dialogo sociale quale base per una maggiore democrazia sul luogo di lavoro, nonché l’affermazione secondo cui il dialogo sociale si nutre di una cultura dinamica della fiducia basata sul ruolo specifico delle parti sociali, mentre il dialogo civile, riconosciuto come processo separato, coinvolge le organizzazioni della società civile in una gamma più ampia di temi, definendo i processi di trasformazione. Tuttavia, occorre riconoscere che il mercato del lavoro sta cambiando, ad esempio molti lavoratori sono occupati in piccole imprese e microimprese e, allo stesso tempo, nell’Unione europea circa 13,6 milioni (1) di persone sono impiegate presso soggetti dell’economia sociale. Tutti questi lavoratori e i loro datori di lavoro dovrebbero essere pienamente inclusi nel dialogo sociale istituzionale.

1.6.

Nel corso dei decenni i comitati aziendali europei (CAE) hanno apportato un contributo positivo agli obiettivi economici, sociali e ambientali a lungo termine delle imprese. Per aumentare il loro potenziale e la loro efficacia, occorre migliorare in modo sostanziale i loro diritti di partecipazione e le loro risorse: ad esempio, l’elusione o la violazione dei diritti di partecipazione ai CAE devono essere sanzionate in modo efficace, e occorre facilitare l’accesso alla giustizia. In tale contesto, il CESE accoglie con favore la recente risoluzione del Parlamento europeo riguardante la revisione della direttiva sui CAE e invita la Commissione ad adottare misure normative in maniera tempestiva.

1.7.

A complemento della democrazia sul luogo di lavoro basata sul diritto o sul dialogo sociale, esistono altre forme efficaci di partecipazione democratica dei lavoratori che sono particolarmente sviluppate nell’economia sociale, soprattutto nelle cooperative.

1.8.

Le innovazioni tecnologiche hanno dato vita a nuovi modelli imprenditoriali nell’economia delle piattaforme, i quali sono spesso associati a un’occupazione precaria, in particolare per i nuovi assunti e per i lavoratori migranti. L’accesso alla rappresentanza collettiva è per lo più inesistente o viene esercitato in misura insufficiente. Il CESE ritiene opportuno l’obiettivo dell’attuale proposta di direttiva dell’UE sul lavoro mediante piattaforme digitali di prevenire il lavoro autonomo fittizio, in particolare la definizione dei datori di lavoro e dei lavoratori e l’inversione dell’onere della prova. Tali disposizioni rafforzerebbero i presupposti affinché la «voce dei lavoratori» venga ascoltata anche nell’economia delle piattaforme quando sono soddisfatti gli opportuni criteri per lo status occupazionale. Il CESE prende atto degli orientamenti della Commissione sull’applicazione del diritto dell’Unione in materia di concorrenza ai contratti collettivi per quanto riguarda le condizioni di lavoro dei lavoratori autonomi individuali. Il CESE raccomanda alla presidenza spagnola del Consiglio dell’UE di porre l’accento su questo aspetto, in particolare al momento dell’adozione della direttiva, nonché di affrontare il potenziale accesso di questi lavoratori alla copertura collettiva in linea con la direttiva sui salari minimi.

1.9.

Il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA) pone delle sfide inedite agli standard democratici nel mondo del lavoro. La gestione algoritmica dei dati ha un impatto enorme sull’organizzazione del lavoro, sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza dei dati. Le parti sociali europee concordano sull’importanza fondamentale che la tecnologia digitale venga introdotta consultando tempestivamente i lavoratori e i loro rappresentanti, nel quadro dei sistemi di relazioni industriali, in particolare il dialogo sociale e la contrattazione collettiva, così da creare fiducia nel processo. Il CESE è favorevole a rafforzare i diritti dei lavoratori in materia di protezione dei dati in modo da garantire i diritti collettivi dei lavoratori e chiede che i sindacati dispongano di un adeguato accesso digitale alle imprese e ai loro dipendenti al fine di istituire e promuovere un dialogo sociale efficace nel campo dell’applicazione dell’IA nei luoghi di lavoro.

1.10.

Un buon governo societario significa rispetto dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori, come pure il perseguimento di obiettivi ambientali lungo tutta la catena di approvvigionamento. I datori di lavoro devono dimostrare di considerare la dovuta diligenza come una componente obbligatoria della gestione del rischio da parte dell’organo di gestione. La creazione di lavoro dignitoso in tutto il mondo dovrebbe figurare tra gli obiettivi del governo societario sostenibile. Il CESE raccomanda pertanto di definire la necessità di un governo societario sostenibile nel quadro giuridico europeo. I lavoratori e i loro rappresentanti, come pure la società civile (organizzazioni per la tutela dell’ambiente, la difesa dei diritti umani e la protezione dei consumatori), dovrebbero partecipare sistematicamente a questo processo.

1.11.

Tuttavia, il CESE deplora il mancato riconoscimento del fatto che la partecipazione dei lavoratori a livello di organo di gestione aziendale costituisce un elemento chiave del governo societario sostenibile. Pertanto, il CESE ritiene che andrebbero compiuti sforzi adeguati per istituire un quadro armonizzato per la partecipazione dei lavoratori agli organi di gestione delle imprese, tenendo conto delle differenze tra Stati membri, e per garantire che il diritto societario europeo non comporti l’elusione o l’erosione di tale partecipazione negli Stati membri.

1.12.

Per rendere più democratico il mondo del lavoro, non basta creare le basi giuridiche necessarie e adeguate, ma occorre anche una cooperazione basata sulla conoscenza fra tutti gli attori: questo vale in particolare nel contesto della sfida posta dalle transizioni verde e digitale. Anche le organizzazioni della società civile (OSC) che operano a livello regionale o locale nel campo dell’informazione, dell’istruzione e della responsabilizzazione, come pure le istituzioni scientifiche e gli esperti delle libere professioni, possono sostenere tale cooperazione mediante misure mirate adeguate alle circostanze locali e di concerto con le parti sociali e gli enti locali. Tali attività dovrebbero essere promosse anche attraverso i fondi strutturali europei.

1.13.

Il ruolo educativo della partecipazione sul lavoro potrebbe sostenere la pratica democratica in un’accezione politica e sociale più ampia. In tal senso, è fondamentale sensibilizzare ed educare i giovani alla democrazia sul luogo di lavoro anche prima che inizino a lavorare. Insieme alle parti sociali, le OSC che operano nel settore dell’istruzione possono svolgere un ruolo complementare e dovrebbero essere sostenute.

2.   Democrazia sul luogo di lavoro: rilevanza sociopolitica in Europa

2.1.

Il succedersi di crisi esogene e sfide trasformative è diventato ormai una condizione permanente. Le istituzioni dell’UE e gli Stati membri devono mettere costantemente in atto nuovi meccanismi di risposta efficaci che coniughino l’efficienza economica a obiettivi sociali, ambientali e politici.

2.2.

Vi sono molte motivazioni, di carattere normativo ed empirico, che inducono a chiedere più democrazia nel mondo del lavoro (2). È da tempo, quindi, che il CESE raccomanda un’attuazione equilibrata del concetto di democrazia sul luogo di lavoro e delle sue componenti fondamentali, quali un dialogo sociale dinamico e un giusto equilibrio tra diritti e responsabilità sul luogo di lavoro, che include anche la promozione di una cultura della fiducia e della cooperazione tra datori di lavoro e lavoratori, compresa la partecipazione dei lavoratori. Tali componenti dovrebbero essere sostenute da un quadro giuridico e da un dialogo sociale a tutti i livelli, così come da buone pratiche aziendali.

2.3.

La democrazia sul luogo di lavoro non solo contribuisce a una democrazia resiliente, ma è anche un elemento fondamentale per una competitività economica sostenibile e per la prosperità. La partecipazione sul luogo di lavoro contribuisce a educare e a formare i cittadini in materia di pratiche democratiche, valori e cultura politica. Chi si sente considerato sul luogo di lavoro e può partecipare al processo decisionale, tende ad agire nello stesso modo nella società e ha anche un atteggiamento più positivo nei confronti della democrazia.

2.4.

Il CESE ha costantemente sottolineato che un solido quadro europeo e buone pratiche in materia di partecipazione dei lavoratori (workers’ voice(3) come base per un dialogo fondato sulla fiducia tra dirigenti e lavoratori a tutti i livelli (transfrontaliero, nazionale, locale) fanno parte del quadro giuridico di base della democrazia europea e costituiscono un principio guida importante per un’economia sociale di mercato competitiva. Ciò dovrebbe applicarsi a tutti i lavoratori e a ogni forma di impiego in tutti i luoghi di lavoro, siano essi privati, pubblici o sociali, indipendentemente dalle dimensioni, dal settore o da altri aspetti organizzativi.

2.5.

Nel corso dei decenni, grazie al consenso politico tra i governi, le parti sociali e la società civile, il concetto di «voce dei lavoratori» è stato integrato in molti atti legislativi europei (4). Per garantire il successo economico e la coesione sociale in Europa, questa risorsa efficiente deve essere pienamente attuata quale componente preziosa in tutti i paesi e in tutte le imprese, rafforzata e migliorata laddove vi siano lacune nella legislazione o nell’attuazione nonché ulteriormente sviluppata in linea con le trasformazioni del lavoro. In questo contesto, il CESE incoraggia gli Stati membri a valutare a livello nazionale la situazione attuale e a lanciare iniziative volte a stabilire quadri solidi per l’informazione e la consultazione.

2.6.

La «voce dei lavoratori» nei paesi dell’UE è caratterizzata da molteplici istituzioni, a volte «equivalenti funzionali» basati su diversi sistemi di relazioni di lavoro, tra cui forti diritti di informazione, consultazione e negoziazione sul luogo di lavoro e in azienda, la partecipazione dei lavoratori agli organi di gestione, i contratti collettivi a livello aziendale, settoriale e intersettoriale, i risultati vincolanti del dialogo sociale, nonché le culture aziendali e le capacità di gestire il cambiamento.

2.7.

Con la richiesta rivolta al CESE dalla futura presidenza spagnola di elaborare un parere esplorativo sulla democrazia sul luogo di lavoro, si conferma la marcata tendenza che di recente ha visto istituzioni dell’UE e governi dei paesi dell’Unione indicare sempre più spesso il concetto «più democrazia sul luogo di lavoro» quale obiettivo politico per il «futuro dell’Europa», come si evince da ciò che segue:

nella dichiarazione Impegno sociale di Porto, adottata nel 2021 al vertice sociale di Porto, i governi e le parti sociali europei hanno ribadito il loro impegno a promuovere e rafforzare il dialogo sociale autonomo a livello europeo, nazionale, regionale, settoriale e aziendale (5).

Nella recente relazione del Parlamento europeo sulla democrazia sul luogo di lavoro viene sottolineato che i principali cambiamenti derivanti dal Green Deal europeo e dalla digitalizzazione devono essere attuati in modo equo, e viene incoraggiata la promozione di opportunità giuridiche di partecipazione dei lavoratori (6). In questo spirito, il Parlamento europeo ha recentemente chiesto, a larga maggioranza, una revisione della vigente direttiva dell’UE sui comitati aziendali europei (7).

La direttiva relativa a salari minimi adeguati nell’UE impone a tutti gli Stati membri di adottare misure per aumentare la copertura della contrattazione collettiva, ad esempio promuovendo lo sviluppo e il rafforzamento della capacità delle parti sociali.

In una recente proposta di raccomandazione del Consiglio volta a rafforzare il dialogo sociale, la Commissione ha affermato che gli Stati membri dovrebbero garantire che il ruolo specifico delle organizzazioni delle parti sociali sia pienamente riconosciuto e rispettato nelle strutture e nei processi di dialogo sociale, riconoscendo al contempo che il dialogo civile, che coinvolge un gruppo più ampio di portatori di interessi e una gamma più vasta di argomenti, è un processo distinto (8).

Il piano d’azione per l’economia sociale, adottato nel 2021, definisce un impegno specifico a promuovere modelli aziendali di economia sociale che abbiano una governance democratica e partecipativa quale uno dei loro principali elementi identificativi.

2.8.

Analogamente, il CESE ritiene che una «voce dei lavoratori» affidabile ed efficace possa essere un prerequisito essenziale per un governo societario sostenibile ed economicamente efficace nell’UE.

2.9.

Il CESE è lieto di rispondere alle domande poste dalla presidenza spagnola, relative:

al contributo che la partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti alla gestione aziendale può apportare a una trasformazione sociale e verde giusta;

alla necessità di sviluppare ulteriormente il quadro giuridico esistente per la partecipazione dei lavoratori e il loro coinvolgimento nelle decisioni aziendali, anche nelle imprese multinazionali;

al modo in cui rafforzare i diritti di partecipazione dei lavoratori nel contesto della digitalizzazione, affrontando anche le questioni relative all’economia delle piattaforme e alla protezione dei dati;

all’impatto delle nuove tecnologie sui diritti democratici fondamentali come quelli relativi alla partecipazione dei lavoratori.

2.10.

Inoltre, nel presente parere il CESE presenta una riflessione su ulteriori forme di democrazia nel mondo del lavoro.

2.11.

Il CESE accoglie con favore la risoluzione sul lavoro dignitoso e l’economia sociale e solidale adottata dall’OIL nel corso della Conferenza internazionale del lavoro del giugno 2022, in cui viene sottolineato il ruolo fondamentale delle organizzazioni dell’economia sociale nel «considerare il contributo dell’economia sociale e solidale al lavoro dignitoso, a economie inclusive e sostenibili, alla giustizia sociale, allo sviluppo sostenibile e al miglioramento delle condizioni di vita per tutti», nonché la risoluzione sulla promozione dell’economia sociale e solidale per lo sviluppo sostenibile adottata dalle Nazioni Unite il 18 aprile 2023 (9). Queste importanti risoluzioni evidenziano che le organizzazioni dell’economia sociale svolgono un ruolo di rilievo nello sviluppo della democrazia sul lavoro, contribuendo in modo significativo a una maggiore democrazia e a una maggiore partecipazione nell’economia e nel mercato del lavoro; questo dovrebbe essere tenuto in considerazione affinché le organizzazioni dell’economia sociale siano incluse nel dialogo sociale istituzionale anche a livello europeo.

3.   Posizioni del CESE riguardo alla democrazia sul luogo di lavoro

3.1.

Il CESE ritiene che l’inclusione sociale di tutti i portatori di interessi, in particolare il concetto di «voce dei lavoratori», costituisca un pilastro fondamentale dell’impresa e dell’economia, e debba essere riconosciuto e incoraggiato come uno dei prerequisiti per rendere le imprese più «sociali», più sostenibili e più competitive.

3.2.

In numerosi pareri adottati a larga maggioranza, il CESE ha già evidenziato i vantaggi di strumenti vincolanti di partecipazione dei lavoratori a livello nazionale ed europeo, sottolineando che:

le strutture democratiche sul lavoro dovrebbero essere considerate un elemento fondamentale del modello sociale europeo (10);

il dialogo sociale e civile a livello nazionale e dell’UE è fondamentale per una politica economica, occupazionale e sociale che migliori le condizioni di vita e di lavoro delle persone e favorisca la competitività delle imprese (11);

i paesi con istituzioni consolidate di dialogo sociale e sistemi efficaci di relazioni industriali si trovano in una posizione migliore per conseguire obiettivi economici, sociali e ambientali positivi;

un effettivo coinvolgimento dei lavoratori nei processi decisionali dell’impresa dà un contributo positivo al successo dell’impresa stessa e all’attuazione di progetti per una transizione digitale, ambientale e climaticamente neutra;

sfruttare appieno il potenziale dell’innovazione richiede il coinvolgimento e la motivazione dei lavoratori (12); in tale contesto, la «voce dei lavoratori» all’interno delle imprese contribuisce a un cambiamento positivo;

il mondo del lavoro è anche un luogo di apprendimento della democrazia, in particolare per i giovani e i nuovi assunti, e ha il potenziale di evitare che proprio questo gruppo sia lasciato indietro nel processo di trasformazione (13);

si dovrebbero sostenere i soggetti dell’economia sociale, come le cooperative, che si adoperano per conseguire obiettivi a lungo termine e servono direttamente i loro lavoratori e le loro comunità;

tutte le forme di ristrutturazione possono essere meglio anticipate e gestite attraverso la partecipazione tempestiva dei rappresentanti dei lavoratori organizzati (14), laddove ciò sia previsto, anche negli organi di gestione, senza ostacolare il necessario margine di manovra nel processo decisionale in caso di cambiamenti nell’azienda o nell’organizzazione del lavoro;

anche trasferire le aziende senza eredi o in stato di insolvenza ai dipendenti sotto forma di cooperative potrebbe essere un modo per trasformarle in imprese sostenibili e gestite democraticamente (15);

soprattutto in tempi di trasformazione e di crisi, il coinvolgimento dei lavoratori e della società civile sulla base di una cultura dinamica di fiducia reciproca promuove una migliore attuazione e accettazione dei cambiamenti strutturali e organizzativi (16), rafforzando in tal modo anche la sicurezza e la stabilità.

3.3.

Il CESE sottolinea l’importanza di coinvolgere i lavoratori nell’innovazione sul luogo di lavoro. Le iniziative delle parti sociali per migliorare la produttività e il benessere dei lavoratori sul luogo di lavoro dovrebbero essere promosse in un più ampio contesto europeo. Il CESE accoglie con favore le iniziative e la ricerca di Eurofound (17) e della Rete europea dell’innovazione sul luogo di lavoro e propone che l’UE adotti misure per sviluppare il dialogo tra le parti sociali e altre parti interessate a tutti i livelli nel contesto di approcci partecipativi.

3.4.

Il CESE ha inoltre espresso la propria convinzione secondo cui attività economiche sostenibili presuppongono che, all’interno delle imprese, i diversi portatori di interessi collaborino e si adoperino insieme per realizzare una prospettiva d’impresa a lungo termine, la competitività economica, la sostenibilità ambientale e l’equilibrio sociale. È da questa convinzione che nasce la richiesta del CESE di un modello di governo societario che promuova la creazione di valori a lungo termine come dovere degli amministratori con incarichi esecutivi, attraverso il perseguimento degli interessi a lungo termine dell’impresa e dei relativi soggetti interessati (18).

3.5.

Il dibattito sull’ulteriore sviluppo di un quadro giuridico europeo per un governo societario sostenibile deve fare riferimento alle risoluzioni, ai pareri e alle relazioni già adottati dal CESE e dal Parlamento europeo, nonché ad altre fonti pertinenti, come gli accordi tra le parti sociali. Il CESE invita pertanto la Commissione a prendere in considerazione, nei suoi futuri programmi di lavoro, un quadro di governo societario che funga da riferimento per un governo societario più sostenibile e democratico, che permetta sostanzialmente alla voce dei lavoratori di esprimersi adeguatamente e ai loro rappresentanti di partecipare al controllo e all’amministrazione delle imprese a tutti i livelli.

3.6.

Il dibattito sull’ulteriore sviluppo di un quadro giuridico europeo per un governo societario sostenibile deve fare riferimento alle risoluzioni, ai pareri e alle relazioni già adottati dal CESE e dal Parlamento europeo, nonché ad altre fonti pertinenti, come gli accordi tra le parti sociali.

3.7.

Le competenze esistenti, le infrastrutture scientifiche e industriali, le culture socioeconomiche trainanti devono costituire il punto di partenza per il sostegno europeo alla partecipazione democratica in una definizione lungimirante della trasformazione. In tal modo, le economie locali possono essere connesse con risultati positivi alla competitività di prodotti e servizi sul piano mondiale.

4.   Osservazioni particolari sull’evoluzione democratica del mondo del lavoro

4.1.   Garantire e rafforzare le norme esistenti in materia di partecipazione dei lavoratori

4.1.1.

La promozione della democrazia nel mondo del lavoro deve andare oltre i diritti di cogestione a livello aziendale e comprendere anche i sistemi di contrattazione collettiva e di rappresentanza settoriali e intersettoriali, nonché il dialogo sociale a tutti i livelli, così come il dialogo con la società civile.

4.1.2.

Il CESE ha discusso della necessità di valutare l’attuale quadro giuridico dell’UE e del modo in cui dovrebbe essere attuato efficacemente nel diritto nazionale. In questo rientra l’intenzione di migliorare in tal senso le disposizioni già esistenti.

4.1.3.

Ad esempio, il CESE si è interrogato sulla necessità di un quadro dell’UE in materia di partecipazione dei lavoratori agli organi di gestione e alla direzione strategica delle imprese, pur nel rispetto delle differenze esistenti a livello nazionale e aziendale (19).

La relazione del Parlamento europeo sulla democrazia sul luogo di lavoro (20) illustra le modalità di elaborazione di un quadro europeo per i diritti dei lavoratori all’informazione, alla consultazione e alla rappresentanza negli organi di gestione.

È altresì fondamentale che il quadro normativo dell’UE tuteli i diritti di partecipazione nazionali esistenti, in particolare il coinvolgimento dei lavoratori negli organi societari. Il diritto europeo, che disciplina il trasferimento transnazionale della sede sociale e le fusioni e introduce forme societarie europee, non deve portare all’elusione o all’erosione dei diritti acquisiti a livello nazionale, come la partecipazione dei lavoratori agli organi di gestione delle imprese.

4.1.4.

Il CESE ha inoltre discusso della necessità di consolidare le disposizioni del diritto dell’UE in materia di partecipazione obbligatoria dei lavoratori sulla base del livello normativo già raggiunto e di uniformare le definizioni di informazione, consultazione e partecipazione (21).

4.1.5.

La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ha recentemente confermato che gli elementi esistenti di partecipazione dei lavoratori a livello di impresa, come la composizione dell’organo di gestione, devono essere presi in considerazione anche nel contesto della trasformazione delle imprese in una forma giuridica europea, come la società europea (SE) (22). Il diritto dell’UE dovrebbe garantire che tale elemento sia disciplinato in modo funzionalmente comparabile nel diritto degli Stati membri dell’UE, creando una base d’azione affidabile e giuridicamente sicura per tutti i soggetti coinvolti.

4.1.6.

Al fine di aumentare l’efficacia dei CAE, il CESE ha già preso in esame alcuni miglioramenti, riguardanti in particolare il diritto alla partecipazione, la messa a disposizione delle risorse necessarie, il rafforzamento delle misure di applicazione, il chiarimento delle definizioni per evitare l’elusione, e l’imposizione di sanzioni efficaci per le imprese che violano le disposizioni pertinenti (23).

4.1.7.

Tali richieste trovano riscontro anche nella recente risoluzione del Parlamento europeo sulla direttiva sui comitati aziendali europei, che invita la Commissione a presentare una proposta di revisione della direttiva sui CAE al fine di chiarirne gli obiettivi, le definizioni e le procedure e rafforzare il diritto dei rappresentanti dei lavoratori e dei sindacati all’informazione e alla consultazione, in particolare durante i processi di ristrutturazione (24). Il CESE ritiene utili le richieste del Parlamento europeo di migliorare la direttiva sui CAE. Invita la Commissione ad adottare misure normative in maniera tempestiva, sottolineando che a suo avviso essa dovrebbe concentrarsi su provvedimenti volti a promuovere l’applicazione efficace dei diritti europei nella pratica aziendale.

4.2.   Requisiti per la cogestione nell’economia delle piattaforme

4.2.1.

L’economia delle piattaforme comporta opportunità, sfide e rischi in relazione al lavoro, unitamente alla precarietà e alla disuguaglianza (25), e pone tutta una serie di sfide alla democrazia sul luogo di lavoro. Ciò vale in particolare per le possibilità di rappresentanza collettiva e per la tutela dei diritti collettivi (26), che finora sono state riservate ai lavoratori direttamente impiegati. I lavoratori dell’economia delle piattaforme — in larga misura nuovi assunti e lavoratori migranti — si trovano spesso ad affrontare sfide più ardue rispetto agli altri lavoratori in termini di condizioni di lavoro e retribuzione; pertanto, a condizione che gli opportuni criteri siano soddisfatti, anche a loro devono essere riconosciuti i diritti dei lavoratori e le possibilità di partecipazione nel quadro della «voce dei lavoratori».

4.2.2.

Il CESE ritiene opportuno l’obiettivo dell’attuale proposta di direttiva sul lavoro mediante piattaforme digitali di prevenire il lavoro autonomo fittizio. Ciò sposterebbe l’onere della prova dai lavoratori alle piattaforme, e offrirebbe a questi lavoratori la protezione ai sensi del diritto del lavoro e del diritto sociale, compresi i diritti di rappresentanza e un accesso più agevole alla giustizia. Il CESE prende atto degli orientamenti della Commissione sull’applicazione del diritto dell’Unione in materia di concorrenza ai contratti collettivi per quanto riguarda le condizioni di lavoro dei lavoratori autonomi individuali.

4.2.3.

Il CESE ribadisce la sua precedente osservazione secondo cui le cooperative, in particolare, sono in grado di garantire la democrazia sul luogo di lavoro nel contesto delle piattaforme digitali (27). Inoltre, il CESE condivide la posizione del Parlamento europeo secondo cui le cooperative potrebbero rappresentare un importante strumento per l’organizzazione dal basso del lavoro su piattaforma digitale (28).

4.2.4.

Poiché i giovani provenienti da contesti vulnerabili rappresentano il 55 % dei lavoratori delle piattaforme digitali, è fondamentale educarli alla democrazia sul luogo di lavoro anche prima che inizino a lavorare, in modo che possano esercitare i loro diritti e combattere la discriminazione. Insieme alle parti sociali, le OSC che operano nel settore dell’istruzione possono svolgere un ruolo importante, e i progetti in tal senso andrebbero sostenuti.

4.2.5.

Il CESE continuerà a seguire i diversi aspetti della «voce dei lavoratori» nell’economia delle piattaforme, prestando attenzione alla situazione specifica dei lavoratori autonomi delle piattaforme e alla loro copertura da parte della contrattazione collettiva.

4.3.   La voce dei lavoratori nell’applicazione dell’intelligenza artificiale (IA) e della protezione dei dati sul luogo di lavoro

4.3.1.

Poiché l’IA può avere un impatto significativo sui diritti fondamentali, sulla non discriminazione e sulle condizioni di lavoro, il suo impiego dovrebbe essere fondato su una solida base di norme applicabili per proteggere i lavoratori dagli effetti negativi. L’IA pone anche nuove sfide per gli standard democratici sul lavoro. La protezione della vita privata e l’applicazione delle leggi pertinenti dovrebbero essere un obiettivo prioritario. Occorre inoltre garantire il monitoraggio, la tracciabilità e il controllo degli algoritmi di IA utilizzati sul lavoro. Ciò solleva la questione, ad esempio, del modo in cui debba essere inteso l’accesso dei portatori di interessi alle informazioni al fine di comprendere il funzionamento e l’impatto dell’algoritmo sull’organizzazione del lavoro e sulle condizioni di lavoro (29).

4.3.2.

Le parti sociali dovrebbero essere coinvolte in tutte le fasi della diffusione e dell’utilizzo dell’IA. L’accordo quadro delle parti sociali europee sulla digitalizzazione del giugno 2020 sottolinea esplicitamente, tra l’altro, la necessità di una buona previsione dell’impatto e di un coinvolgimento tempestivo dei lavoratori e dei loro rappresentanti a livello strategico (30).

4.3.3.

I megadati sono un elemento fondamentale dell’IA. Pertanto, anche i sistemi di IA devono rispettare i principi di cui al regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR). L’articolo 88 del GDPR impone ai datori di lavoro obblighi specifici in materia di protezione dei dati dei lavoratori. Il CESE ritiene che occorra valutare se, alla luce degli sviluppi dinamici e della crescente complessità del trattamento dei dati, non sia necessario migliorare le disposizioni esistenti per rafforzare i necessari diritti di protezione.

4.3.4.

Il CESE auspica che i sindacati dispongano di mezzi appropriati per un adeguato accesso digitale alle imprese e ai loro dipendenti al fine di istituire e promuovere un dialogo sociale efficace nel campo dell’applicazione dell’IA nei luoghi di lavoro. Occorre garantire che il GDPR non sia utilizzato nella pratica come un ostacolo all’esercizio legittimo dei diritti collettivi dei lavoratori, ed è necessario prevenire gli abusi mediante sanzioni adeguate (31).

4.3.5.

Oltre ai pareri già adottati, il CESE approfondirà ulteriormente il suo punto di vista sull’impatto dell’IA nel mondo del lavoro, e anche in tale occasione presterà particolare attenzione alla voce dei lavoratori.

4.4.   Partecipazione al dovere di diligenza delle imprese lungo l’intera catena di approvvigionamento

4.4.1.

Il Green Deal europeo, in quanto strategia di crescita sostenibile per l’UE, implica che non solo il successo economico, ma anche gli obiettivi sociali e ambientali sono essenziali per le imprese. Pertanto, norme comuni atte a garantire che le imprese e i loro proprietari si attengano a un buon governo societario dovrebbero incorporare in modo equilibrato il ruolo di tutte le parti interessate, compresa la voce dei lavoratori.

4.4.2.

Il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori, come pure il perseguimento degli obiettivi ambientali lungo la catena di approvvigionamento, sono elementi importanti del governo societario sostenibile. La creazione di «lavoro dignitoso» in tutto il mondo deve diventare un obiettivo riconosciuto delle decisioni aziendali (32). Il CESE ha pertanto già riconosciuto la necessità di un quadro normativo unico per le imprese a livello dell’UE (33). Le catene di approvvigionamento dovrebbero svolgere un ruolo più importante nella gestione dei rischi, anche nel contesto del rispetto dei diritti umani, ed è pertanto logico attribuirne la responsabilità a livello di organo di gestione.

4.4.3.

Il CESE osserva che non solo i dipendenti, con i loro sindacati e organi rappresentativi, ma anche gli interessi della società civile, come le organizzazioni per la tutela dell’ambiente, la difesa dei diritti umani e la protezione dei consumatori, possono svolgere un ruolo cruciale nel monitoraggio del dovere di diligenza. Accoglie pertanto con favore la proposta di introdurre meccanismi per valutare e monitorare la conformità delle imprese al dovere di diligenza. Osserva tuttavia con preoccupazione che non è previsto alcun dialogo tra le parti sociali.

4.4.4.

Il CESE ha già proposto che un quadro giuridico vincolante in materia di dovere di diligenza e responsabilità delle imprese, che tenga conto della voce dei lavoratori, svolga un ruolo importante (34). Invita la Commissione, nell’ambito del processo decisionale in corso, a includere nel testo giuridico proposto disposizioni sulla partecipazione obbligatoria ed effettiva dei lavoratori e delle parti interessate della società civile, in linea con le loro preoccupazioni, al processo relativo al dovere di diligenza.

4.5.   Ulteriore riflessione sulla democrazia nel mondo del lavoro e sulle forme dirette di partecipazione

4.5.1.

L’approccio di gestione partecipativa è importante anche per i settori in cui le forme di rappresentanza dei lavoratori sono scarsamente sviluppate, come le start-up, le attività freelance e molte PMI. Questo approccio svolge già un ruolo importante nelle imprese dell’economia sociale, in particolare nelle OSC e nelle cooperative economicamente attive. Il CESE promuoverà lo scambio di esperienze sulle buone pratiche in questo settore, in particolare per quanto riguarda l’interazione tra la partecipazione legale e sindacale dei lavoratori e le forme di partecipazione diretta come elemento di gestione partecipativa.

4.5.2.

A complemento della democrazia sul luogo di lavoro basata sul diritto e/o sul dialogo sociale, esistono altre forme efficaci di partecipazione democratica dei lavoratori che sono particolarmente sviluppate nell’economia sociale, soprattutto nelle cooperative.

4.5.3.

Al fine di plasmare i cambiamenti strutturali regionali e creare un Green e Social Deal, si pone la questione del modo in cui le forme di democrazia sul luogo di lavoro possano essere integrate con forme di democrazia partecipativa al di là dell’impresa, coinvolgendo le organizzazioni della società come le organizzazioni ambientali e sociali nel contesto regionale e locale.

4.5.4.

Per un’attuazione efficace delle varie forme di democrazia nel mondo del lavoro occorre anche una cooperazione basata sulla conoscenza fra tutte le parti interessate. Le OSC che operano a livello regionale o locale nel campo dell’informazione, dell’istruzione e della responsabilizzazione possono sostenere tale cooperazione, di concerto con le parti sociali e gli enti locali, mediante misure mirate adeguate alle circostanze locali. In tale contesto, in alcuni Stati membri le OSC, tra cui le organizzazioni per la protezione dei consumatori e la difesa dei diritti umani, possono svolgere un ruolo complementare nel responsabilizzare i lavoratori e spingere i datori di lavoro a esercitare la responsabilità sociale delle imprese. Tali attività dovrebbero essere promosse ricorrendo anche a fondi europei.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Commission presents Action Plan to boost the social economy and create jobs [La Commissione presenta un piano d’azione per promuovere l’economia sociale e creare posti di lavoro], 9.12.2021.

(2)  Benchmarking Working Europe 2019 [Analisi comparative dell’Europa del lavoro 2019], capitolo 4.

(3)  In considerazione delle diverse forme e procedure di coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti negli Stati membri, il presente parere utilizza, laddove necessario, il termine generale «voce dei lavoratori» (workers’ voice).

(4)  Con la partecipazione delle parti sociali, il diritto derivato europeo ha creato un corpus di quasi 40 direttive che costituisce un ampio quadro giuridico per l’informazione, la consultazione e la partecipazione dei lavoratori; panoramica dell'ETUI.

(5)  Impegno sociale di Porto, 2021.

(6)  Relazione del Parlamento europeo A9-0331/2021.

(7)  Risoluzione del Parlamento europeo P9_TA(2023)0028.

(8)  Proposta di raccomandazione del Consiglio sul rafforzamento del dialogo sociale nell’Unione europea, COM(2023) 38 final, pag. 17.

(9)  Nella risoluzione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite «riconosce il contributo dell’economia sociale e solidale al lavoro dignitoso e a economie inclusive e sostenibili, alla promozione delle norme internazionali del lavoro, compresi i diritti fondamentali sul lavoro, al miglioramento delle condizioni di vita per tutti e all’innovazione sociale, anche nel settore della riqualificazione e dell’aggiornamento delle competenze».

(10)  GU C 229 del 31.7.2012, pag. 77.

(11)  GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14.

(12)  GU C 159 del 10.5.2019, pag. 1, punto 1.1.

(13)  Risoluzione del CESE sull’Anno europeo dei giovani, adottata l’8.12.2021, punti 2.13 e 2.14, GU C 100 del 16.3.2023, pag. 1.

(14)  GU C 229 del 31.7.2012, pag. 77, punto 1.4, e GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14, punto 5.5.

(15)  GU C 286 del 16.7.2021, pag. 13, punto 1.6.

(16)  GU C 341 del 24.8.2021, pag. 23, punto 2.6.

(17)  Indagine sulle imprese europee 2019.

(18)  GU C 229 del 31.7.2012, pag. 77, punto 4.1, GU C 341 del 24.8.2021, pag. 23, punto 1.11, GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14, punto 5.1, GU C 106 del 31.3.2020, pag. 1.

(19)  GU C 341 del 24.8.2021, pag. 23, punti 1.14 e 3, GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14, GU C 161 del 6.6.2013, pag. 35, punti 4.2.2 e 4.4.2.

(20)  Relazione del Parlamento europeo, A9-0331/2021.

(21)  Direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (GU L 122 del 16.5.2009, pag. 28) e Direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori (GU L 80 del 23.3.2002, pag. 29, cfr. GU C 161 del 6.6.2013, pag 35, punti 1.6 e 4.4.2.

(22)  Sentenza della CGUE del 18 ottobre 2022, C-677/20 (SAP), sentenza della CGUE del 18 luglio 2017, C-566/15 (TUI).

(23)  GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14, punto 1.10.

(24)  Risoluzione del Parlamento europeo P9_TA(2023)0028.

(25)  The platform economy and the disruption of the employment relationship [L’economia delle piattaforme e l’interruzione del rapporto di lavoro].

(26)  GU C 290 del 29.7.2022, pag. 95.

(27)  GU C 152 del 6.4.2022, pag. 38.

(28)  Relazione del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali, considerando 39 bis.

(29)  Labour in the age of AI: why regulation is needed to protect workers [Il lavoro nell’era dell’IA: perché è necessaria una regolamentazione per proteggere i lavoratori].

(30)  Accordo delle parti sociali europee sulla digitalizzazione.

(31)  Studio ECA (2021), Data Protection Law and the Exercise of Collective Labour Rights [Legge sulla protezione dei dati ed esercizio dei diritti collettivi dei lavoratori].

(32)  GU C 486 del 21.12.2022, pag. 149, punti 1.8 e 1.9.

(33)  GU C 486 del 21.12.2022, pag. 149, punto 1.11.

(34)  GU C 443 del 22.11.2022, pag. 81, punto 1.7, e GU C 341 del 24.8.2021, pag. 23, punto 3.10.


ALLEGATO

EMENDAMENTO 3

SOC/746

Democrazia sul luogo di lavoro

Punto 4.1.3

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

Ad esempio, il CESE si è interrogato sulla necessità di un quadro dell’UE in materia di partecipazione dei lavoratori agli organi di gestione e alla direzione strategica delle imprese, pur nel rispetto delle differenze esistenti a livello nazionale e aziendale (1).

La relazione del Parlamento europeo sulla democrazia sul luogo di lavoro[2] (2) illustra le modalità di elaborazione di un quadro europeo per i diritti dei lavoratori all’informazione, alla consultazione e alla rappresentanza negli organi di gestione.

È altresì fondamentale che il quadro normativo dell’UE tuteli i diritti di partecipazione nazionali esistenti, in particolare il coinvolgimento dei lavoratori negli organi societari. Il diritto europeo, che disciplina il trasferimento transnazionale della sede sociale e le fusioni e introduce forme societarie europee, non deve portare all’elusione o all’erosione dei diritti acquisiti a livello nazionale, come la partecipazione dei lavoratori agli organi di gestione delle imprese.

Ad esempio, il CESE si è interrogato sulla necessità di un quadro dell’UE in materia di partecipazione dei lavoratori agli organi di gestione e alla direzione strategica delle imprese, pur nel rispetto delle differenze esistenti a livello nazionale e aziendale (1).

La relazione del Parlamento europeo sulla democrazia sul luogo di lavoro[2] (2) illustra le modalità di elaborazione di un quadro europeo per i diritti dei lavoratori all’informazione, alla consultazione e alla rappresentanza negli organi di gestione.

È altresì fondamentale che il quadro normativo dell’UE tuteli i diritti di partecipazione nazionali esistenti, in particolare il coinvolgimento dei lavoratori negli organi societari.

Motivazione

Poiché qualsiasi forma di partecipazione societaria si basa sulla legislazione o sulle prassi nazionali, il diritto societario europeo non dovrebbe di per sé incidere sui sistemi di partecipazione. In ogni caso, non è necessaria una nuova regolamentazione a livello dell’UE per risolvere eventuali problemi.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

98

Voti contrari:

130

Astensioni:

20

EMENDAMENTO 4

SOC/746

Democrazia sul luogo di lavoro

Punto 4.1.5

Sopprimere:

Parere della sezione

Emendamento

La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ha recentemente confermato che gli elementi esistenti di partecipazione dei lavoratori a livello di impresa, come la composizione dell’organo di gestione, devono essere presi in considerazione anche nel contesto della trasformazione delle imprese in una forma giuridica europea, come la società europea (SE)  (1) . Il diritto dell’UE dovrebbe garantire che tale elemento sia disciplinato in modo funzionalmente comparabile nel diritto degli Stati membri dell’UE, creando una base d’azione affidabile e giuridicamente sicura per tutti i soggetti coinvolti.

 

Motivazione

La questione non è stata affrontata in modo adeguato dal gruppo di studio, in quanto si tratta di una materia giuridica estremamente complessa, con numerosi risvolti specifici per paese. A tale riguardo, non spetta al CESE trarre conclusioni dalla sentenza della CGUE.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

100

Voti contrari:

136

Astensioni:

15

EMENDAMENTO 5

SOC/746

Democrazia sul luogo di lavoro

Punto 4.1.7

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

Tali richieste trovano riscontro anche nella recente risoluzione del Parlamento europeo sulla direttiva sui comitati aziendali europei, che invita la Commissione a presentare una proposta di revisione della direttiva sui CAE al fine di chiarirne gli obiettivi, le definizioni e le procedure e rafforzare il diritto dei rappresentanti dei lavoratori e dei sindacati all’informazione e alla consultazione, in particolare durante i processi di ristrutturazione (1). Il CESE ritiene utili le richieste del Parlamento europeo di migliorare la direttiva sui CAE. Invita la Commissione ad adottare misure normative in maniera tempestiva, sottolineando che a suo avviso essa dovrebbe concentrarsi su provvedimenti volti a promuovere l’applicazione efficace dei diritti europei nella pratica aziendale.

Tali richieste trovano riscontro anche nella recente risoluzione del Parlamento europeo sulla direttiva sui comitati aziendali europei, che invita la Commissione a presentare una proposta di revisione della direttiva sui CAE al fine di chiarirne gli obiettivi, le definizioni e le procedure e rafforzare il diritto dei rappresentanti dei lavoratori e dei sindacati all’informazione e alla consultazione, in particolare durante i processi di ristrutturazione (1). Il CESE prende atto delle richieste del Parlamento europeo di migliorare la direttiva sui CAE. Invita la Commissione ad adottare misure in maniera tempestiva, sottolineando che a suo avviso essa dovrebbe concentrarsi su provvedimenti volti a promuovere l’applicazione efficace dei diritti europei nella pratica aziendale. Il CESE osserva inoltre che l’11 aprile la Commissione ha avviato la prima fase di consultazione delle parti sociali europee su un’eventuale revisione della direttiva sui CAE al fine di raccogliere i loro punti di vista sulla necessità e l’indirizzo generale di una possibile azione dell’UE volta a migliorare tale direttiva. La consultazione resterà aperta per sei settimane  (2) .

Motivazione

È evidente che vi sono opinioni divergenti sul sostegno da dare alla risoluzione del Parlamento europeo e sull’utilità di tale documento. Pertanto, a fini di compromesso, si potrebbe «prendere atto» della risoluzione del Parlamento europeo. Va inoltre osservato che l’11 aprile la Commissione ha avviato la prima fase di consultazione delle parti sociali europee su un’eventuale revisione della direttiva sui CAE al fine di raccogliere i loro punti di vista sulla necessità e l’indirizzo generale di una possibile azione dell’UE volta a migliorare tale direttiva. La consultazione resterà aperta per sei settimane.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

86

Voti contrari:

139

Astensioni:

18

EMENDAMENTO 6

SOC/746

Democrazia sul luogo di lavoro

Punto 4.4.4

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

Il CESE ha già proposto che un quadro giuridico vincolante in materia di dovere di diligenza e responsabilità delle imprese, che tenga conto della voce dei lavoratori, svolga un ruolo importante (1). Invita la Commissione, nell’ambito del processo decisionale in corso, a includere nel testo giuridico proposto disposizioni sulla partecipazione obbligatoria ed effettiva dei lavoratori e delle parti interessate della società civile, in linea con le loro preoccupazioni, al processo relativo al dovere di diligenza.

Il CESE ha già suggerito che un quadro giuridico vincolante in materia di dovere di diligenza e responsabilità delle imprese, che tenga conto della voce dei lavoratori, svolgerà un ruolo importante (1).

Motivazione

L’emendamento giustifica in modo più preciso l’obiettivo dei pareri del CESE per quanto concerne il dovere di diligenza sostenibile delle imprese.

Riguardo al fatto che la proposta della Commissione sulla dovuta diligenza sia ancora in sospeso nel processo legislativo, non è utile che vi siano reazioni da parte del CESE. Per quanto riguarda la sostanza della frase, la richiesta di disposizioni di legge sulla partecipazione obbligatoria non può essere sostenuta in quanto inciderebbe sulle responsabilità della direzione e dei proprietari della società.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

89

Voti contrari:

148

Astensioni:

11

EMENDAMENTO 1

SOC/746

Democrazia sul luogo di lavoro

Punto 1.6

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

Nel corso dei decenni i comitati aziendali europei (CAE) hanno apportato un contributo positivo agli obiettivi economici, sociali e ambientali a lungo termine delle imprese. Per aumentare il loro potenziale e la loro efficacia, occorre migliorare in modo sostanziale i loro diritti di partecipazione e le loro risorse: ad esempio, l’elusione o la violazione dei diritti di partecipazione ai CAE devono essere sanzionate in modo efficace, e occorre facilitare l’accesso alla giustizia. In tale contesto, il CESE accoglie con favore la recente risoluzione del Parlamento europeo riguardante la revisione della direttiva sui CAE e invita la Commissione ad adottare misure normative in maniera tempestiva .

Nel corso dei decenni i comitati aziendali europei (CAE) hanno apportato un contributo positivo agli obiettivi economici, sociali e ambientali a lungo termine delle imprese. Per aumentare il loro potenziale e la loro efficacia, il CESE ritiene che sia necessario promuovere ulteriormente una corretta applicazione delle norme e orientamenti basati su strumenti pratici quali l’analisi comparativa con le migliori pratiche . In tale contesto, il CESE prende atto della recente risoluzione del Parlamento europeo riguardante la revisione della direttiva sui CAE e invita la Commissione ad adottare tempestivamente misure adeguate per promuovere la corretta applicazione della direttiva . Il CESE osserva inoltre che l’11 aprile la Commissione ha avviato la prima fase di consultazione delle parti sociali europee su un’eventuale revisione della direttiva sui CAE al fine di raccogliere i loro punti di vista sulla necessità e l’indirizzo generale di una possibile azione dell’UE volta a migliorare tale direttiva. La consultazione resterà aperta per sei settimane  (1) .

Motivazione

La direttiva sui comitati aziendali europei, quale risultante dalla rifusione del 2009, è adatta allo scopo, e non vi è alcuna necessità di avviare un lungo e complesso processo di revisione giuridica. Invece, in uno spirito di cooperazione positiva, l’applicazione della direttiva potrebbe essere rafforzata da sforzi congiunti delle parti sociali, come l’elaborazione di un codice di buone pratiche. Va inoltre osservato che l’11 aprile la Commissione ha avviato la prima fase di consultazione delle parti sociali europee su un’eventuale revisione della direttiva sui CAE al fine di raccogliere i loro punti di vista sulla necessità e l’indirizzo generale di una possibile azione dell’UE volta a migliorare tale direttiva. La consultazione resterà aperta per sei settimane.

Esito della votazione: collegato all’emendamento 5.

EMENDAMENTO 2

SOC/746

Democrazia sul luogo di lavoro

Punto 1.11

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

Tuttavia, il CESE deplora il mancato riconoscimento del fatto che la partecipazione dei lavoratori a livello di organo di gestione aziendale costituisce un elemento chiave del governo societario sostenibile. Pertanto, il CESE ritiene che andrebbero compiuti sforzi adeguati per istituire un quadro armonizzato per la partecipazione dei lavoratori agli organi di gestione delle imprese, tenendo conto delle differenze tra Stati membri , e per garantire che il diritto societario europeo non comporti l’elusione o l’erosione di tale partecipazione negli Stati membri .

Tuttavia, il CESE deplora il mancato riconoscimento del fatto che la partecipazione dei lavoratori a livello di organo di gestione aziendale costituisce un elemento chiave del governo societario sostenibile. Pertanto, il CESE ritiene che andrebbero compiuti sforzi adeguati per sostenere la partecipazione dei lavoratori agli organi di gestione delle imprese, tenendo conto delle differenze tra Stati membri.

Motivazione

Sebbene a livello dell’UE esista un quadro giuridico completo per l’informazione e la consultazione dei lavoratori, i sistemi di partecipazione dei lavoratori si basano sui quadri giuridici nazionali e su consuetudini profondamente radicate. La regolamentazione a livello dell’UE comprometterebbe e inibirebbe gli sviluppi nazionali, oltre a interferire nei sistemi nazionali di diritto societario. In questo settore il modo migliore di procedere non è la regolamentazione, ma piuttosto lo scambio di migliori pratiche e altri mezzi di diffusione delle informazioni.

Poiché qualsiasi forma di partecipazione societaria si basa sulla legislazione o sulle prassi nazionali, il diritto societario europeo non dovrebbe di per sé incidere sui sistemi di partecipazione. In ogni caso, non è necessaria una nuova regolamentazione a livello dell’UE per risolvere eventuali problemi.

Esito della votazione: collegato all’emendamento 3.


(1)  GU C 341 del 24.8.2021, pag. 23, punti 1.14 e 3, GU C 10 dell’11.1.2021, pag. 14, GU C 161 del 6.6.2013, pag. 35, punti 4.2.2 e 4.4.2.

(2)  [2] Relazione del Parlamento europeo, A9-0331/2021.

(1)  GU C 341 del 24.8.2021, pag. 23, punti 1.14 e 3, GU C 10 dell’11.1.2021, pag. 14, GU C 161 del 6.6.2013, pag. 35, punti 4.2.2 e 4.4.2.

(2)  [2] Relazione del Parlamento europeo, A9-0331/2021.

(1)   Sentenza della CGUE del 18 ottobre 2022, C-677/20 (SAP), sentenza della CGUE del 18 luglio 2017, C-566/15 (TUI).

(1)  Risoluzione del Parlamento europeo, P9_TA(2023)0028.

(1)  Risoluzione del Parlamento europeo, P9_TA(2023)0028.

(2)   Prima fase di consultazione delle parti sociali (europa . eu).

(1)  GU C 443 del 22.11.2022, pag. 81, punto 1.7, e GU C 341 del 24.8.2021, pag. 23, punto 3.10.

(1)  GU C 443 del 22.11.2022, pag. 81, punto 1.7, e GU C 341 del 24.8.2021, pag. 23, punto 3.10.

(1)   Prima fase di consultazione delle parti sociali (europa . eu).


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Procedura per gli squilibri sociali»

(parere esplorativo elaborato su richiesta della presidenza spagnola)

(2023/C 228/07)

Relatrice:

Justyna Kalina OCHĘDZAN

Consultazione da parte della presidenza spagnola del Consiglio dell’UE

Lettera del 27.7.2022

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Parere esplorativo

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

3.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

234/7/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) reputa che l’Unione europea e gli Stati membri debbano svilupparsi in maniera sostenibile sotto il profilo economico, sociale e ambientale, con l’obiettivo di realizzare una convergenza verso l’alto in queste tre dimensioni garantendo al tempo stesso il rigoroso rispetto dei diritti umani. Sennonché, perseguire un siffatto sviluppo — simultaneo e multidimensionale — pone tutta una serie di sfide.

1.2.

Il CESE osserva che, di fronte all’attuale moltiplicarsi delle crisi e in vista delle possibili crisi future, occorre ripensare la gamma degli strumenti di governance sociale dell’UE al fine di conseguire una convergenza sociale verso l’alto e ridurre le disuguaglianze.

1.3.

Queste molteplici crisi e i loro effetti a lungo termine compromettono la stessa convergenza sociale in seno all’Unione europea, in cui la governance di bilancio e macroeconomica e la governance ambientale sono più sviluppate e coordinate tra loro rispetto alla governance sociale. Il CESE scorge nella procedura per gli squilibri sociali (PSS) un’opportunità per migliorare il coordinamento degli sforzi compiuti dagli Stati membri per conseguire una convergenza sociale verso l’alto. La PSS dovrebbe inoltre portare a un migliore utilizzo dell’attuale architettura di governance nell’UE.

1.4.

Il CESE raccomanda che l’introduzione della PSS e il suo ulteriore sviluppo abbiano luogo nell’ambito del sistema integrato di coordinamento delle politiche dell’UE e degli Stati membri, ossia nel quadro del semestre europeo. È importante che la PSS integri i processi e gli strumenti di monitoraggio esistenti e apporti un chiaro valore aggiunto in termini di agevolazione della convergenza sociale verso l’alto.

1.5.

In un tale contesto, il modo migliore per porre in atto la PSS consiste nell’adottare un approccio gradualistico, che, ovunque opportuno, sviluppi e integri i sistemi già esistenti per il monitoraggio dei risultati conseguiti in campo sociale, basati sul pilastro europeo dei diritti sociali (EPSR) e sul relativo piano d’azione.

1.6.

Il CESE propone di definire gli «squilibri sociali» come le situazioni critiche individuate dal quadro di valutazione della situazione sociale e le chiare deviazioni dal percorso tracciato dal suddetto piano d’azione per il conseguimento degli obiettivi dell’EPSR. Occorrerà adoperarsi per migliorare la qualità della metodologia impiegata per misurare i risultati conseguiti in campo sociale al fine di tenere pienamente conto dei principi dell’EPSR e delle tendenze pluriennali.

1.7.

Il CESE raccomanda che la PSS sia integrata nel semestre europeo, in tutte le sue diverse fasi. La Commissione europea e il Consiglio dovrebbero utilizzare la relazione comune sull’occupazione, le relazioni per paese e gli esami approfonditi ad hoc per individuare e correggere gli squilibri sociali. Gli squilibri sociali descritti nelle relazioni specifiche per paese dovrebbero essere trattati in un paragrafo specifico del preambolo, nonché nel corpo stesso, delle raccomandazioni per paese. Queste ultime dovrebbero esortare gli Stati membri ad attuare le riforme specifiche più adatte — secondo l’analisi della Commissione europea e le valutazioni degli Stati membri, nonché quelle delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile nazionali — a migliorare la situazione negli ambiti in cui sono state rilevate criticità. In risposta a tali raccomandazioni, lo Stato membro interessato dovrebbe, previa consultazione delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, proporre le iniziative e le riforme da attuare al fine di migliorare le situazioni critiche segnalate. Tale piano di iniziative e riforme potrebbe comprendere anche una valutazione della coerenza tra le iniziative previste e le politiche macroeconomiche e di bilancio seguite dallo Stato membro in questione, in modo da garantire il giusto equilibrio tra le dimensioni economica, sociale e di bilancio.

1.8.

La Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero valutare la possibilità di rendere più flessibili le attuali regole di assegnazione dei fondi (compresi ad esempio i fondi SIE e il dispositivo per la ripresa e la resilienza), affinché possano essere rapidamente adattate alle attuali sfide sociali e alle situazioni critiche individuate nell’attuazione della PSS.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il presente parere del CESE risponde alla richiesta della presidenza spagnola di elaborare un parere esplorativo sulla procedura per gli squilibri sociali (PSS). Nell’ambito di tale richiesta, il CESE è stato invitato a rispondere alle seguenti domande: i) Quale sarebbe, ad avviso del CESE, il modo migliore di configurare la PSS in quanto meccanismo specifico di individuazione e monitoraggio delle crescenti disuguaglianze sociali nell’Unione europea? ii) Come integrare al meglio la PSS nell’attuale assetto istituzionale e nel sistema del semestre europeo, limitando nel contempo gli oneri amministrativi derivanti dall’eventuale introduzione della nuova procedura? iii) In che modo si potrebbe collegare il pilastro europeo dei diritti sociali (EPSR) al sistema di monitoraggio risultante dalla creazione della PSS? iv) In che modo l’attuale processo di governance economica potrebbe essere utilizzato per accrescere la coerenza e l’armonia tra gli aspetti macroeconomici e sociali del semestre europeo?

2.2.

Al fine di realizzare una transizione verde e digitale giusta e affrontare le conseguenze negative della pandemia di COVID-19, l’Unione europea e i suoi Stati membri dovrebbero prestare un’attenzione specifica alle cause profonde delle disuguaglianze sociali e sforzarsi di garantire un equilibrio tra le dimensioni economica e sociale di uno sviluppo inclusivo, sulla base dei principi dell’ESPR (1).

2.3.

In occasione del vertice sociale di Oporto (Portogallo) del maggio 2021, il Belgio e la Spagna hanno proposto di ampliare il quadro di valutazione della situazione sociale (social scoreboard — SSB) riveduto dotandolo di un meccanismo di allerta che consenta di avviare un monitoraggio e un ciclo di discussioni a livello della Commissione europea e dei ministri, sulla base della procedura per gli squilibri macroeconomici (PSM) prevista nella relazione sul meccanismo di allerta (2).

2.4.

Del rafforzamento della dimensione sociale del semestre europeo attraverso l’introduzione di una PSS si è poi continuato a discutere in sede di Consiglio EPSCO nell’ottobre e nel dicembre 2021. Il tema è quindi stato incluso dalla Francia nei dibattiti e nel programma di lavoro della sua presidenza del Consiglio dell’UE (primo semestre del 2022). Le conclusioni di tali discussioni sono state vagliate in sede di Consiglio EPSCO nel giugno 2022.

2.5.

Nel quadro dell’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, l’UE e gli Stati membri hanno concordato un piano d’azione che persegue tre obiettivi principali e una serie di obiettivi secondari. Ciascuno Stato membro ha inoltre fissato, in questo campo, anche degli obiettivi propri. Il monitoraggio dell’attuazione dell’EPSR negli Stati membri è effettuato secondo una metodologia complessa — quella del quadro di valutazione della situazione sociale (3)—, che prevede indicatori principali e secondari. Sulla base di tale monitoraggio vengono determinate le posizioni degli Stati membri rispetto alla media, nelle categorie («dimensioni») definite dagli indicatori. E tali posizioni consentono di stabilire, paese per paese, se e in quali settori dell’EPSR sia necessario intervenire (in quanto si rilevano situazioni critiche sul piano sociale).

2.6.

Il semestre europeo (4) è il processo di coordinamento della politica dell’UE e delle politiche degli Stati membri in relazione agli strumenti per conseguire gli obiettivi economici, sociali e ambientali stabiliti. Nel quadro del semestre europeo si tiene conto anche dell’ESPR, del relativo piano d’azione e del monitoraggio dei risultati sociali.

3.   In vista di una convergenza sociale verso l’alto

3.1.

Il CESE reputa che, considerati l’attuale moltiplicarsi delle crisi, le potenziali crisi future come pure gli squilibri economici e sociali, occorra ripensare la gamma degli strumenti di governance sociale dell’UE al fine di conseguire una convergenza sociale verso l’alto e ridurre le disuguaglianze (5). Nel 2022 la percentuale degli europei in disaccordo o in forte disaccordo con l’affermazione secondo cui «le persone ricevono quello che meritano dal proprio paese» è stata superiore a quella degli europei che concordavano o concordavano decisamente con tale affermazione (37 % contro 35 %) (6).

3.2.

Secondo il CESE, il conseguimento simultaneo di obiettivi economici, sociali e ambientali nel quadro di una convergenza complessiva verso l’alto rappresenta una sfida considerevole. Negli ultimi anni sono state messe a punto procedure di governance di bilancio e macroeconomica, procedure di governance ambientale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e misure di coordinamento tra tali procedure. Rispetto al grado di sviluppo e coordinamento già raggiunto in questi ambiti, per quanto attiene alla dimensione sociale la governance dell’UE è decisamente in ritardo.

3.3.

In un periodo di crisi energetica, migratoria, bellica, climatica e post-pandemica, l’Europa ha bisogno di una leadership forte in campo economico e in campo sociale, sia a livello di Unione che di singoli Stati membri. Il CESE raccomanda pertanto di attuare la PSS come meccanismo di monitoraggio e coordinamento, contribuendo così alla realizzazione di obiettivi sociali ed economici più ambiziosi e nel contempo alla convergenza sociale in tutta l’UE.

3.4.

La Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero valutare la possibilità di rendere più flessibili le attuali regole di assegnazione dei fondi (compresi ad esempio i fondi SIE e il dispositivo per la ripresa e la resilienza), affinché possano essere rapidamente adattate alle attuali sfide sociali e alle situazioni critiche individuate, tra l’altro, nel dare attuazione alla PSS. Le sfide attuali, come la pandemia di COVID-19, la guerra in Ucraina, l’aumento del costo della vita, la crisi climatica e quella migratoria, esigono risposte più efficaci a livello nazionale — e, ove opportuno, europeo –, in grado di prevenire gli effetti a lungo termine delle crisi e le nuove tipologie di esclusione. L’aumento del costo della vita è attualmente la preoccupazione più urgente per il 93 % degli europei, seguita dalla povertà e dall’esclusione sociale (82 %) (7). Un altro sondaggio Eurobarometro mostra che, secondo il 78 % degli europei, occorrerebbe aumentare la spesa pubblica complessiva destinata alle principali politiche sociali (8).

4.   Risposte ai quesiti della presidenza spagnola

4.1.

Il CESE propone di definire gli «squilibri sociali» come le situazioni critiche individuate dal quadro di valutazione della situazione sociale e le chiare deviazioni dal percorso tracciato dal piano d’azione per il conseguimento degli obiettivi dell’EPSR. Occorrerà adoperarsi per migliorare la qualità della metodologia impiegata per misurare i risultati conseguiti in campo sociale al fine di tenere pienamente conto dei principi dell’EPSR e delle tendenze pluriennali. Per quanto riguarda la misurazione dei progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi del piano d’azione dell’EPSR, si dovrebbero prendere in considerazione solo indicatori affidabili e comparabili.

4.2.

Il CESE raccomanda che l’introduzione della PSS e il suo ulteriore sviluppo abbiano luogo nell’ambito del sistema integrato di coordinamento delle politiche dell’UE e degli Stati membri, ossia nel quadro del semestre europeo. È importante che la PSS integri i processi e gli strumenti di monitoraggio esistenti e apporti un chiaro valore aggiunto in termini di agevolazione della convergenza sociale verso l’alto. Nel contempo, però, se si vuole far sì che gli Stati membri sentano tale processo come proprio e assicurarsi così il loro impegno, si deve evitare di imporre oneri amministrativi non necessari.

4.3.

La PSS è una procedura volta a migliorare il coordinamento tra l’UE e gli Stati membri al fine di conseguire una convergenza sociale verso l’alto in linea con i principi dell’EPSR. Il CESE parte dal presupposto che tale migliore coordinamento sia già stato in parte realizzato nel quadro del piano d’azione relativo all’EPSR e degli obiettivi che esso fissa per il 2030, nonché del monitoraggio dei risultati sociali. Tuttavia, il CESE teme che il conseguimento di tali obiettivi possa essere ostacolato dalla mancanza di investimenti e riforme sociali negli Stati membri in cui il quadro di valutazione della situazione sociale ha rilevato una situazione sociale critica. Tali situazioni mettono a repentaglio il conseguimento degli obiettivi del piano d’azione relativo all’EPSR e la convergenza sociale verso l’alto e dovrebbero pertanto essere oggetto di particolare attenzione nel quadro della PSS.

4.4.

Il CESE ritiene che alla PSS dovrebbe essere attribuita la stessa importanza del patto di stabilità e crescita o della procedura per gli squilibri macroeconomici (PSM). La PSS può migliorare ulteriormente quanto è già stato realizzato in materia di governance sociale facendo un uso più efficace dei processi e delle modalità esistenti per misurare la convergenza sociale e, se del caso, sviluppandone di nuovi. La PSM e la nuova procedura per gli squilibri sociali dovrebbero essere coordinate tra loro, anziché sovrapporsi.

4.5.

Il CESE tiene a ricordare che l’Unione europea e gli Stati membri hanno competenze diverse per quanto concerne la definizione delle politiche sociali in materia di lavoro, istruzione, salute e protezione sociale, tutti ambiti che rientrano nell’alveo del pilastro europeo dei diritti sociali. In questi ambiti, infatti, le competenze e responsabilità principali incombono agli Stati membri — intesi come governi centrali ed enti subnazionali — nonché a svariati portatori d’interesse, come i sindacati, le associazioni dei datori di lavoro e le organizzazioni della società civile. Nel rispetto di questa divisione di competenze tra l’UE e gli Stati membri, l’Unione europea sta adottando in questi ambiti numerose iniziative, sia di coordinamento che di carattere normativo e finanziario, nel quadro della politica di coesione e delle sue priorità in campo sociale.

4.6.

Secondo il CESE, il diritto vigente nell’UE consente già adesso di introdurre la procedura per gli squilibri sociali. In campo sociale, infatti, tale diritto assegna all’UE compiti importanti, che essa può assolvere attraverso dichiarazioni (EPSR e relativo piano d’azione) e raccomandazioni, strumenti di finanziamento (ad esempio condizionalità sociale e priorità sociali della politica di coesione) e strumenti di coordinamento (semestre europeo e monitoraggio dei risultati sociali sulla base dell’EPSR). Un approccio come quello qui suggerito tiene conto delle competenze proprie dei diversi livelli nonché del ruolo dei vari portatori d’interesse, ossia le associazioni dei datori di lavoro, i sindacati dei lavoratori e le organizzazioni della società civile. Una procedura per gli squilibri sociali potrà aiutare i responsabili politici nei loro sforzi volti a conseguire una convergenza sociale verso l’alto e a ridurre le disuguaglianze. In ogni caso, nel configurare tale procedura occorrerebbe considerare le dimensioni sociali pertinenti definite congiuntamente dagli Stati membri e dai diversi portatori d’interesse.

4.7.

Se ben collegata ai meccanismi esistenti, come il semestre europeo ma soprattutto l’SSB, la PSS può contribuire a migliorare i risultati finora conseguiti, vale a dire il piano d’azione relativo all’EPSR e il monitoraggio dei risultati sociali sulla base dell’EPSR.

4.8.

Alla luce di quanto precede, il CESE reputa che il primo passo nello sviluppo di una PSS debba consistere nell’apportare delle modifiche ai principi seguiti dalla Commissione europea nel preparare, nel quadro del semestre europeo, la relazione comune sull’occupazione e le relazioni e raccomandazioni specifiche per paese.

4.9.

Nella relazione annuale comune sull’occupazione e nelle relazioni per paese, occorrerebbe dedicare un sottocapitolo specifico agli squilibri sociali che minacciano la convergenza sociale verso l’alto, indicando gli ambiti in cui il monitoraggio dell’SSB ha rilevato criticità. Naturalmente, ciò varrebbe soltanto per gli Stati membri in cui siano stati individuati ambiti di criticità.

4.10.

Il CESE raccomanda che la PSS sia integrata nel semestre europeo, in tutte le sue diverse fasi. La Commissione europea e il Consiglio dovrebbero utilizzare la relazione comune sull’occupazione, le relazioni per paese e gli esami approfonditi ad hoc per individuare e correggere gli squilibri sociali.

4.11.

Gli squilibri sociali descritti nelle relazioni specifiche per paese dovrebbero essere trattati in un paragrafo specifico del preambolo, nonché nel corpo stesso, delle raccomandazioni per paese. Queste ultime dovrebbero esortare gli Stati membri ad attuare le riforme specifiche più adatte — secondo l’analisi della Commissione europea e le valutazioni degli Stati membri, nonché quelle delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile nazionali — a migliorare la situazione negli ambiti in cui sono state rilevate criticità. In risposta a tali raccomandazioni, lo Stato membro interessato dovrebbe, previa consultazione delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, proporre le iniziative e le riforme da attuare al fine di migliorare le situazioni critiche segnalate. Tale piano di iniziative e riforme potrebbe comprendere anche una valutazione della coerenza tra le iniziative previste e le politiche macroeconomiche e di bilancio seguite dallo Stato membro in questione, in modo da garantire il giusto equilibrio tra le dimensioni economica, sociale e di bilancio.

4.12.

L’UE dovrebbe applicare strumenti nuovi e meglio finanziati per comunicare direttamente alle popolazioni degli Stati membri le raccomandazioni scaturite dalla PSS e dal semestre europeo, al fine di creare trasparenza e incidere sulla situazione degli Stati membri.

4.13.

Onde evitare una convergenza verso il basso, gli Stati membri nei cui confronti sia stata avviata una procedura per i disavanzi eccessivi (PDE) dovrebbero essere tenuti ad adottare un piano di riforme e investimenti negli ambiti in cui sono state individuate criticità. Gli Stati membri che si trovassero in tale situazione dovrebbero avere il diritto di rinegoziare i piani di spesa relativi ad altri fondi, compreso — se necessario — il dispositivo per la ripresa e la resilienza, in accordo con la Commissione europea.

4.14.

Se concepito come dianzi proposto, questo primo passo nello sviluppo della PSS comporterebbe — sia per l’Unione che per gli Stati membri — il minore aggravio possibile in termini di lavoro analitico e amministrativo. Esso, infatti, non implicherebbe la presentazione di ulteriori relazioni per tutti gli Stati membri, né aggiungerebbe nuove procedure di monitoraggio e presentazione di relazioni a quelle già in vigore.

4.15.

L’attuale sistema di monitoraggio dei risultati sociali sviluppato per l’EPSR — ossia l’SSB — è già ben collaudato e si basa su una complessa metodologia per l’interpretazione di un’ampia serie di indicatori, i quali corrispondono ai principali settori del pilastro europeo dei diritti sociali. Vengono inoltre già monitorati i progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi del piano d’azione relativo all’EPSR. La PSS dovrebbe essere integrata nell’attuale processo del semestre europeo e utilizzare gli indicatori esistenti (quadro di valutazione della situazione sociale).

4.16.

Nella fase successiva dell’attuazione della PSS, l’ambito di applicazione delle misurazioni e degli indicatori dovrebbe essere sviluppato in linea con la definizione di squilibri sociali adottata nel contesto della convergenza sociale verso l’alto.

4.17.

In futuro, le analisi e le consultazioni eseguite in relazione alla PSS dovrebbero fornire risposte riguardo alla misura in cui gli indicatori di monitoraggio dell’SSB corrispondono a tutti i principi dell’EPSR, nonché sulla misura e sul modo in cui gli ambiti di criticità rilevati pongono problemi ai fini della convergenza sociale verso l’alto.

4.18.

La situazione complessiva degli Stati membri, anche nella sua dimensione economica, ha un impatto fondamentale sulla portata e sulle dinamiche dei problemi sociali che colpiscono i loro abitanti e quindi sulla convergenza sociale verso l’alto. Se buoni risultati economici sono un prerequisito per una buona performance sociale, i meccanismi di coordinamento intesi a garantire i primi (PSC e PSM) saranno fondamentali per la seconda. Il primo passo proposto dal CESE per lo sviluppo della PSS si basa anche su questo presupposto, lo stesso su cui si fonda la logica della governance di bilancio e macroeconomica nell’UE.

5.   Sfide e priorità per lo sviluppo della PSS

5.1.

L’ulteriore sviluppo della PSS nell’ambito del sistema integrato di coordinamento delle politiche dell’UE e degli Stati membri — nel quadro del semestre europeo, ma anche di altri strumenti dell’Unione — dovrebbe essere oggetto di successive analisi e discussioni da parte della Commissione europea, del Consiglio, degli Stati membri, delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, con l’obiettivo di realizzarlo parallelamente alla riforma della governance di bilancio e macroeconomica (9).

5.2.

La possibilità concreta, sul piano politico, amministrativo ed economico, di attuare e sviluppare la procedura per gli squilibri sociali andrebbe valutata in modo più approfondito, con un’attenzione specifica a evitare duplicazioni procedurali — sì da ridurre al minimo gli oneri burocratici — e a coinvolgere realmente nel processo le parti sociali e le organizzazioni della società civile.

5.3.

Il CESE sottolinea che, nell’ambito della PSS, il Consiglio EPSCO dovrebbe vedersi attribuito un ruolo più incisivo, e questo al fine di rafforzare il sostegno politico ai risultati di tale strumento. La partecipazione del Consiglio EPSCO potrebbe essere garantita mediante l’adozione di conclusioni del Consiglio sulla PSS al termine del processo.

5.4.

Il CESE sottolinea che, ai fini della messa in atto della PSS, è di cruciale importanza trarre specifiche conclusioni pratiche dal monitoraggio dei risultati sociali e dal grado di realizzazione degli obiettivi sociali dell’UE negli Stati membri.

a)

Una prima conclusione riguarda il coordinamento tra, da un lato, la governance di bilancio e macroeconomica e, dall’altro, la procedura per gli squilibri sociali. Gli Stati membri che sono sottoposti a procedure per disavanzi eccessivi e/o sono a rischio di squilibri macroeconomici e nei quali nel contempo l’SSB ha evidenziato ambiti di criticità e sono state constatate deviazioni dal percorso tracciato per conseguire gli obiettivi sociali dovrebbero ricevere un chiaro segnale del fatto che l’UE sostiene le riforme e gli investimenti sociali negli ambiti in cui sono state rilevate criticità sul piano sociale. È a discrezione di ciascuno Stato membro proporre le soluzioni e gli approcci più appropriati per porre rimedio alle criticità rilevate nei suddetti ambiti.

b)

Una seconda conclusione pratica riguarda l’attuazione della prima conclusione nel quadro del semestre europeo (10). La Commissione europea dovrebbe includere nelle sue relazioni per paese un sottocapitolo specifico dedicato all’analisi degli squilibri sociali, basata sul monitoraggio dei risultati sociali e dei progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi sociali. Dovrebbe inoltre tenere conto di tali squilibri nelle proprie raccomandazioni per paese — sia nel preambolo che nel testo stesso delle raccomandazioni.

Occorrerebbe assicurarsi che il consiglio EPSCO, le parti sociali e le organizzazioni della società civile abbiano un ruolo da svolgere in tale processo.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  GU C 286 del 16.7.2021.

(2)  Belgian-Spanish Non Paper ahead of the Porto Social Summit [Memorandum belgo-spagnolo in vista del vertice sociale di Oporto].

(3)  Eurostat: https://ec.europa.eu/eurostat/web/european-pillar-of-social-rights/overview.

(4)  Parere del CESE sul tema «Il semestre europeo e la politica di coesione — Verso una nuova strategia europea post 2020».

(5)  GU C 14 del 15.1.2020.

(6)  Eurobarometro, Fairness, Inequality and Inter-Generational Mobility [Equità, diseguaglianza e mobilità intergenerazionale], 2023.

(7)  Indagine Eurobarometro del PE dell'autunno 2022.

(8)  Eurobarometro, Fairness, Inequality and Inter-Generational Mobility [Equità, diseguaglianza e mobilità intergenerazionale], 2023.

(9)  Parere del CESE sul tema «Avvio di una consultazione su un pilastro europeo dei diritti sociali» (GU C 125 del 21 aprile 2017, pag. 10).

(10)  Parere d’iniziativa del CESE sul tema «Il semestre europeo e la politica di coesione — Verso una nuova strategia europea post 2020» (GU C 353 del 18.10.2019, pag. 39).


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/64


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Sviluppo di competenze e capacità nel contesto della duplice transizione verde e digitale»

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza svedese)

(2023/C 228/08)

Relatrice:

María del Carmen BARRERA CHAMORRO

Correlatrice:

Justyna Kalina OCHĘDZAN

Consultazione da parte della

presidenza svedese del Consiglio dell’UE

Lettera del 14.11.2022

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Parere esplorativo

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

3.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

149/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) rileva un aumento delle disuguaglianze sul mercato del lavoro a causa della trasformazione digitale. In particolare, e per effetto dell’automazione del lavoro, si osservano una riduzione dei posti di lavoro che richiedono qualifiche di medio livello e offrono un salario nella media e un contestuale aumento dei posti di lavoro scarsamente retribuiti che richiedono qualifiche basse. Si prevede altresì una creazione di occupazione in posti di lavoro altamente retribuiti che richiedono qualifiche di alto livello, e quindi un aumento delle mansioni ad alta intensità di competenze (1). Il CESE osserva inoltre che la carenza di manodopera e di competenze sta diventando sempre più evidente in un ampio ventaglio di settori. E ritiene che garantire un accesso effettivo alla formazione sia fondamentale per aiutare le imprese e i lavoratori a rispondere a questa sfida, nonché per contribuire a prevenire le disuguaglianze sul mercato del lavoro dovute alla trasformazione digitale.

1.2.

Il CESE riconosce che occorrerebbe evitare che le transizioni siano realizzate attraverso licenziamenti o misure draconiane per il mercato del lavoro, ed esorta la Commissione europea e gli Stati membri a introdurre sistemi che favoriscano le transizioni endogene (piuttosto che quelle esogene) nel cui quadro le imprese assicurino la formazione dei loro lavoratori nelle competenze necessarie, evitando così di licenziare i lavoratori privi di tali competenze.

1.3.

L’istruzione è un diritto fondamentale di ogni persona lungo tutto l’arco della vita. Sulla base del pilastro europeo dei diritti sociali, il CESE esorta pertanto gli Stati membri non solo a stabilire diritti all’apprendimento permanente (tenendo conto dei sistemi nazionali di relazioni industriali e delle pratiche in materia di istruzione e formazione) che offrano a tutti i cittadini opportunità di apprendimento e sviluppo sul piano personale e professionale, ma anche a considerare l’apprendimento permanente come il principio guida centrale delle politiche in materia di istruzione e formazione.

1.4.

Il CESE chiede che, alla luce delle sfide della duplice transizione verde e digitale, l’accesso a una piena qualificazione rappresenti un vero diritto per tutti, basato su una formazione convalidata e certificata in competenze verdi e digitali e in sostenibilità ambientale. A tal fine, è necessario collegare la formazione sulle competenze a un congedo di formazione retribuito, tenendo conto della legislazione e degli accordi vigenti a livello nazionale.

1.5.

Il CESE ritiene che le iniziative intraprese finora dalla Commissione europea in materia di competenze verdi e digitali siano insufficienti e caratterizzate da uno scarsissimo coinvolgimento delle parti sociali. E chiede pertanto che il piano d’azione dell’UE per l’istruzione digitale 2021-2027 comprenda strategie efficaci per migliorare la formazione e adeguare le competenze dei lavoratori — occupati o disoccupati — di tutti i settori, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa, con il necessario coinvolgimento delle parti sociali. A livello nazionale, le parti sociali dovrebbero continuare ad attuare l’accordo quadro europeo sulla digitalizzazione (2). Il CESE insiste nel sottolineare il ruolo della contrattazione collettiva quale strumento per configurare e adattare i programmi di formazione.

1.6.

Il CESE chiede che la formazione per l’apprendimento di capacità e competenze verdi e digitali sia certificata dalle autorità competenti e non soltanto convalidata.

1.7.

Il CESE esorta la Commissione a elaborare, entro il 2030, un indicatore annuale del numero di adulti — e in particolare dei giovani — occupati che partecipano a corsi di formazione in competenze verdi, consapevolezza ambientale e responsabilità ecologica e ambientale; e a prendere in considerazione, a questo scopo, la possibilità di utilizzare strumenti semplici e specificamente adattati alle esigenze delle PMI.

1.8.

Il CESE chiede che si compia ogni sforzo per promuovere e facilitare l’adeguamento dei programmi di apprendimento esistenti al fine di includervi le competenze necessarie nel contesto della duplice transizione verde e digitale.

1.9.

Per il CESE è fondamentale avviare un monitoraggio strategico della capacità di giocare d’anticipo rispetto ai futuri fabbisogni di formazione per il mercato del lavoro — e più in generale la società — degli Stati membri al fine di evitare divari verdi e digitali e di migliorare sostanzialmente la competitività dell’UE.

1.10.

Il CESE fa notare che esistono ampie differenze riguardo ai livelli di base delle competenze digitali, differenze che vanno specialmente a scapito dei gruppi svantaggiati e di un gran numero di adulti, in particolare anziani. Il divario digitale esiste, ragion per cui nella programmazione in materia di competenze digitali occorrerebbe dedicare maggiore attenzione alla formazione degli anziani e di altri gruppi svantaggiati — se necessario anche adattando la formazione alle loro esigenze — onde assicurarsi che, nella duplice transizione verde e digitale, nessuno sia lasciato indietro. Una particolare attenzione dovrebbe inoltre essere rivolta anche all’inclusione delle donne in tali percorsi di formazione, tenuto conto del divario di genere esistente in termini di accesso alla formazione per l’adattamento alla duplice transizione verde e digitale.

1.11.

Il CESE riconosce che, per assicurare una transizione giusta, è necessario fare in modo che tutti abbiano accesso a una formazione non solo per migliorare le proprie competenze digitali di base connesse alle mansioni quotidiane, ma anche per avere una chiara comprensione della cibersicurezza, della comunicazione digitale, della sicurezza dei dati, della protezione dei dati personali, della tutela della vita privata nell’ambiente digitale e dei pericoli della disinformazione.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Viviamo in un’epoca di cambiamenti e di transizioni. Le crisi che si susseguono pongono altrettante, grandi sfide per le imprese, i lavoratori e i cittadini, come i rapidi cambiamenti nel mercato del lavoro indotti dalla duplice transizione verde e digitale. Parallelamente, sta emergendo una serie di nuove occupazioni legate alla duplice transizione verde e digitale: i posti di lavoro attuali sono in evoluzione e vengono creati altri posti di nuovo tipo. È indispensabile dotare i lavoratori degli strumenti necessari per gestire e affrontare al meglio questi cambiamenti, mettendo al tempo stesso le imprese in condizione di rimanere produttive e competitive.

2.2.

Queste sfide si manifestano a tutti i livelli e in tutte le fasi della vita lavorativa. Vi sono quindi sfide sia per i giovani che per gli adulti, così come per le persone scarsamente qualificate e per quelle con qualifiche di livello medio o alto. Si osserva che alcuni posti di lavoro per i quali erano tradizionalmente necessarie poche qualifiche richiedono adesso una formazione digitale, in quanto le modalità di accesso all’occupazione si vanno trasformando. Una situazione, questa, che è per di più particolarmente difficile per le donne, in quanto il divario digitale di genere continua ad allargarsi. Per la ricerca di un’occupazione, si assiste al passaggio dai canali tradizionali come il passaparola a un’offerta di lavoro accessibile soltanto online, quando non su piattaforme digitali specializzate. Ne consegue che la formazione in materia di competenze digitali di base deve essere accessibile a tutti i cittadini.

2.3.

Il CESE osserva che uno degli effetti della crisi della COVID-19 è stato l’aumento delle disuguaglianze nel mercato del lavoro, in particolare a causa dell’aumento del telelavoro (3). Ad esempio, coloro che svolgono determinate professioni, tipicamente associate a basse qualifiche e bassi salari, in genere non possono scegliere di usufruire del telelavoro, mentre chi esercita altre professioni, e in particolare quelle che si svolgono in ufficio, più qualificate e tendenzialmente meglio retribuite, ha in molti casi la possibilità di lavorare a distanza. L’opzione del telelavoro deve pertanto riguardare anche la possibilità di sviluppare competenze digitali e ambientali, in modo da non accrescere le disuguaglianze e da permettere anche a chi non può lavorare a distanza di accedere a questo tipo di formazione per telelavoro.

2.4.

Il CESE rileva un crescente squilibrio nel mercato del lavoro, squilibrio legato soprattutto al cosiddetto «grande divario digitale». Un fenomeno, questo, descritto come la riduzione dei posti di lavoro che richiedono qualifiche di medio livello e offrono un salario nella media (riduzione derivante dall’automazione dei posti di lavoro) e il contestuale aumento sia dei posti di lavoro scarsamente retribuiti che richiedono qualifiche basse che dei posti di lavoro molto ben retribuiti che richiedono qualifiche di alto livello. Il CESE sottolinea che l’aumento delle disuguaglianze mette a rischio il mantenimento del nostro Stato sociale.

2.5.

Il CESE osserva che l’Europa è posta di fronte a una sfida importante sul piano demografico e a una marcata contrazione della popolazione in età lavorativa. Tale situazione contribuisce ad accentuare la netta scarsità di manodopera e di capacità professionali in tutti i settori dell’economia e a diversi livelli di competenze. Di conseguenza, per affrontare queste carenze, vi è bisogno di lavoratori per tutti i livelli di competenze, e occorre quindi garantire l’aggiornamento e la riqualificazione dei lavoratori e incoraggiare, con politiche di accompagnamento, la partecipazione delle persone inattive e disoccupate al mercato del lavoro. In quest’ottica, è necessario considerare anche l’impostazione da adottare nelle politiche migratorie.

2.6.

Il CESE riconosce che occorre evitare di realizzare le transizioni mediante licenziamenti o misure traumatiche per il mercato del lavoro. Il sistema dovrebbe ricompensare le transizioni endogene (piuttosto che quelle esogene), ossia quelle in cui le imprese formano i propri lavoratori nelle competenze necessarie evitando di licenziare i lavoratori privi di tali competenze; un compito, questo, particolarmente difficile per le PMI, le quali pertanto, ai fini della transizione, hanno bisogno dell’opportuno sostegno finanziario degli Stati membri.

2.7.

Il CESE osserva che, con il diffondersi del telelavoro, il mercato del lavoro diventa più flessibile su scala mondiale. Ciò comporta l’impossibilità per i lavoratori europei di competere sul fronte dei prezzi, in quanto il basso costo della vita e la debolezza della valuta di altri paesi rispetto alle monete europee tolgono competitività ai nostri lavoratori. Pertanto, l’unica possibilità sarà quella di competere sul piano delle capacità e competenze — maggiori e migliori — dei lavoratori europei.

2.8.

È importante che abbiano accesso a un’adeguata formazione anche coloro che lavorano secondo forme contrattuali diverse, in modo che essa possa aiutarli a mantenere competenze e occupabilità di fronte a queste nuove realtà del mercato del lavoro.

2.9.

Il CESE osserva che l’intervallo di tempo intercorrente tra l’emergere di una nuova competenza e la sua forte richiesta da parte del mercato del lavoro è ormai sempre più breve. Ciò richiede una grande capacità di adattamento e spirito d’iniziativa, e rende necessario ridurre gli adempimenti burocratici nell’accesso alla formazione e allo sviluppo di capacità negli appositi centri pubblici. Va inoltre sottolineata l’importanza di un aggiornamento tempestivo ed efficace dei programmi di studio per l’istruzione e la formazione, in risposta all’esigenza di preparare alle competenze nuove ed emergenti; e al riguardo è necessario rafforzare la cooperazione tra i governi, le parti sociali, gli erogatori di istruzione o formazione e la società civile.

2.10.

Il CESE osserva che, a causa della forte diffusione di mansioni di routine e non complesse nei mercati del lavoro europei, il 55 % dei lavoratori adulti dell’UE non sfrutta appieno le proprie competenze sul lavoro e il 28 % possiede qualifiche di un livello superiore a quello necessario per svolgere il proprio lavoro. Va osservato che lo «spreco» delle potenzialità del capitale umano si traduce in svantaggi salariali notevoli e riduce il benessere degli occupati. Le relazioni del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop) sottolineano che le difficoltà ad assumere o gli squilibri tra domanda e offerta di competenze possono, tra le altre cose, rispecchiare la scarsa qualità dei posti di lavoro (4).

2.11.

Affrontare la sfida della trasformazione digitale dell’economia dovrebbe significare concentrarsi non solo sui modi per accrescere le competenze digitali di base di tutti i lavoratori, ma anche sulla digitalizzazione delle competenze già esistenti e l’acquisizione di competenze digitali più avanzate. È necessario far convergere gli sforzi sulla trasformazione delle competenze classiche affinché queste siano utilizzabili nel mondo digitale. Il concetto di competenze digitalizzate è di natura trasversale e fa riferimento alla capacità di unire aspetti digitali ad altre competenze. Ciò implica capacità e conoscenze sufficienti riguardo al mondo digitale, parallelamente a una formazione sufficiente in competenze professionali specifiche.

2.12.

La trasformazione verde non rappresenta una sfida meno importante, per il mercato del lavoro e per quanto concerne i requisiti in materia di competenze. Tutti i settori dell’economia dovranno cambiare modo di operare, a causa della necessaria decarbonizzazione e dell’adattamento dei modelli aziendali alle esigenze di sostenibilità legate al Green Deal europeo (5), riguardo al quale si sottolinea che la strategia industriale deve riservare la dovuta attenzione alle ripercussioni sulla forza lavoro, nonché alla formazione, alla riconversione professionale e al miglioramento delle qualifiche. Queste ripercussioni vanno analizzate insieme alle parti sociali e sempre con l’obiettivo di giocare d’anticipo, in modo da evitare effetti indesiderati sull’occupazione e sull’economia.

2.13.

Le transizioni digitali e ambientali costituiscono una «rivoluzione» paragonabile, nei suoi effetti, alla rivoluzione industriale dell’inizio del XX secolo. Tutte le professioni e organizzazioni sono o saranno interessate non solo dalla digitalizzazione, ma anche dalle misure che andranno necessariamente prese affinché le produzioni industriali, artigianali, agricole, commerciali e di servizi siano quanto più possibile pulite. Un’attenzione specifica va dedicata alle PMI e alle microimprese, che devono essere sostenute e accompagnate in termini di risorse sia umane che finanziarie.

2.14.

Il CESE ritiene che, per realizzare una transizione verde giusta in tutti i settori interessati, sarà necessario garantire la formazione e l’istruzione in materia di competenze verdi. Al riguardo si profilano principalmente tre sfide:

adattare le competenze attuali sia alle necessità dei vari settori nel loro processo di decarbonizzazione che alle sfide poste dalle nuove fonti energetiche;

assicurare la formazione nelle competenze necessarie per tutti i posti di lavoro sostenibili e verdi;

sensibilizzare alla riduzione dell’impronta di carbonio sul luogo di lavoro.

2.15.

Per realizzare una transizione giusta e in sintonia con il pilastro europeo dei diritti sociali, bisognerebbe garantire a tutte le persone parità di accesso a una formazione di qualità e all’apprendimento permanente — sia sul luogo di lavoro che all’esterno dell’ambiente lavorativo — in materia di tecnologie verdi e digitali per le professioni di oggi e di domani. Nel rispetto delle pratiche nazionali e settoriali degli Stati membri, bisognerebbe migliorare il livello di formazione in queste competenze offrendo ai lavoratori un sostegno effettivo (in termini di conciliazione tra vita lavorativa e vita privata, congedo per formazione ecc.) e alle imprese il sostegno finanziario opportuno a tale scopo.

3.   Osservazioni particolari

3.1.

La duplice transizione verde e digitale sta cambiando i posti di lavoro esistenti e ne sta creando di nuovi. Qualità dei posti di lavoro e condizioni lavorative e salariali eque costituiscono un presupposto per una transizione giusta che renda possibili una digitalizzazione e una decarbonizzazione a lungo termine, accompagnate da una crescita sostenibile dell’economia, della produttività e dell’innovazione. Anche il valore delle competenze come fattore di competitività delle imprese assume un’importanza cruciale per inquadrare le iniziative di riqualificazione e assicurare l’accesso effettivo dei lavoratori alla formazione. L’unico modo per conseguire questi obiettivi consiste nell’apprendimento permanente — ossia lungo tutto l’arco della vita — delle nuove competenze digitali e digitalizzate, nonché delle competenze verdi.

3.2.

Lo sviluppo professionale per i lavoratori di tutte le età svolge un ruolo essenziale nel garantire una duplice transizione verde e digitale giusta. In quest’ottica, il CESE chiede che il piano d’azione dell’UE per l’istruzione digitale 2021-2027 e le proposte di raccomandazioni del Consiglio sulle competenze digitali e la formazione digitale comprendano strategie efficaci per migliorare la formazione e adeguare le competenze dei lavoratori — occupati o disoccupati — di tutti i settori, quali che siano le dimensioni dell’impresa. La formazione in materia di competenze digitali dovrebbe essere adattata alle necessità delle singole professioni e dei diversi settori e consentire allo stesso tempo a coloro che sono impegnati in tale formazione di conciliare la vita lavorativa con quella privata.

3.3.

Il CESE riconosce che l’apprendimento di nuove competenze e l’adattamento delle competenze esistenti alle nuove sfide verdi e digitali rappresentano una responsabilità condivisa della società nel suo insieme. A tale riguardo, la Commissione europea osserva che il 90 % della formazione sul posto di lavoro è finanziato dalle imprese (6). Gli Stati membri, come pure le organizzazioni della società civile, le imprese e le rispettive associazioni, dovrebbero elaborare strategie, volte a stimolare la digitalizzazione e ad affrontare la sfida ambientale, che aiutino a migliorare le competenze. I buoni esempi rappresentati dai meccanismi nazionali di finanziamento e dalle strategie per la formazione presenti nei contratti collettivi vanno esaminati a fondo e diffusi come buone pratiche da seguire (7).

3.4.

Il CESE plaude all’accordo quadro europeo sulla digitalizzazione firmato dalla Confederazione europea dei sindacati (CES), dalla Confederazione delle imprese europee (BusinessEurope), da SGI Europe e da SMEUnited (8), in cui si afferma che, «quando un datore di lavoro chiede ad un lavoratore di partecipare ad un’attività di formazione professionale direttamente connessa alla trasformazione digitale dell’impresa, il relativo costo viene sostenuto dal datore di lavoro o si seguono le indicazioni del contratto collettivo o della prassi nazionale. Questa formazione può essere interna o esterna e si svolge ad un orario appropriato e concordato tra il datore di lavoro ed il lavoratore e, ove possibile, durante l’orario di lavoro. Se la formazione si svolge al di fuori dell’orario di lavoro, deve essere previsto un adeguato compenso». Il CESE chiede che tali principi siano presi in considerazione nello sviluppo del piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-2027.

3.5.

Il CESE riconosce che, per assicurare una transizione giusta, è necessario fare in modo che tutti abbiano accesso a una formazione non solo per migliorare le proprie competenze digitali di base connesse alle mansioni quotidiane, ma anche per avere una chiara comprensione della cibersicurezza, della comunicazione digitale, della sicurezza dei dati, della protezione dei dati personali, della tutela della vita privata nell’ambiente digitale e dei pericoli della disinformazione. In quest’ottica, il CESE chiede che la formazione per l’apprendimento di capacità e competenze digitali sia riconosciuta e certificata dalle autorità competenti.

3.6.

Il CESE è d’accordo con quanto indicato nella raccomandazione del Consiglio relativa all’apprendimento per la sostenibilità ambientale (9) per quanto riguarda le microcredenziali in materia digitale, ma segnala la necessità che esse siano complementari a diplomi e certificazioni validi a tutti gli effetti. Inoltre, il CESE rileva la necessità che la loro qualità sia garantita e certificata, e non soltanto convalidata, in modo tale che esse possano svolgere un ruolo importante anche ai fini della convalida dell’apprendimento formale e non formale.

3.7.

Il CESE riconosce che, al fine di garantire una transizione giusta, è necessario collegare la formazione sulle competenze a un congedo di formazione retribuito, in linea con la legislazione e gli accordi vigenti a livello nazionale. Occorrerebbe mettere i lavoratori in condizione di partecipare a programmi e corsi per lo sviluppo della carriera professionale in rapporto ai nuovi posti di lavoro verdi e digitali, e al tempo stesso di conciliare la vita professionale con quella privata.

3.8.

Per quanto concerne il quadro europeo delle competenze in materia di sostenibilità proposto dalla Commissione europea (10) («un quadro europeo delle competenze che aiuti a coltivare e valutare conoscenze, abilità e attitudini connesse ai cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile»), il CESE chiede alla Commissione di mettere in atto soluzioni concrete affinché le persone in cerca di occupazione e quelle che già lavorano abbiano effettivamente accesso a una formazione professionale inclusiva e di qualità che le aiuti ad acquisire le competenze necessarie per la duplice transizione verde e digitale. A tale riguardo, si chiede che vengano migliorate sostanzialmente l’efficacia e la qualità della formazione, al fine di garantire una formazione di qualità, inclusiva ed equa per tutti.

3.9.

Il CESE chiede la Commissione di elaborare, entro il 2030, un indicatore annuale del numero di adulti — e in particolare dei giovani — occupati che partecipano a corsi di formazione in competenze verdi, consapevolezza ambientale e competenze e responsabilità ecologiche e ambientali; e a prendere in considerazione, a questo scopo, la possibilità di utilizzare strumenti semplici e specificamente adattati alle esigenze delle PMI.

3.10.

Gli attuali programmi di formazione devono essere adattati alle nuove sfide. Il CESE chiede pertanto che venga incoraggiato e facilitato l’adeguamento dei programmi di apprendimento esistenti, al fine di inserirvi l’insegnamento delle competenze necessarie nel contesto della transizione verde, e che il personale docente riceva una formazione in queste materie. Nella formazione professionale bisogna includere corsi sulla responsabilità ambientale e la sensibilizzazione in materia di clima. Ed è di cruciale importanza che la qualità di tale formazione sia oggetto di una specifica valutazione e certificazione. Il CESE invita quindi la Commissione europea a incoraggiare gli Stati membri a introdurre le misure necessarie per garantire che le persone in cerca di occupazione e i lavoratori abbiano accesso a una formazione di qualità sottoposta a valutazione e certificazione.

3.11.

È necessario disporre di informazioni su tutti i settori di attività, avendo ben presente un quadro chiaro e completo di ciascuno di essi. Buone pratiche potrebbero essere stabilite sulla base di quanto si fa già in alcuni Stati membri dell’UE e, più in generale, europei — in termini di raccolta di informazioni od osservatori del mercato del lavoro e delle qualifiche — al fine di valutare le necessità future, nonché di sensibilizzare e coinvolgere i lavoratori e le imprese, con l’obiettivo di elaborare congiuntamente scenari di previsione sulla cui base agire e attrarre nuovi talenti.

3.12.

Il CESE ritiene essenziale avviare un monitoraggio strategico delle necessità in termini di competenze, per giocare d’anticipo rispetto ai futuri fabbisogni di formazione del mercato del lavoro — e più in generale della società — degli Stati membri e in questo modo evitare che si creino divari verdi e digitali e migliorare sostanzialmente la competitività dell’UE. Le parti sociali, la società civile e i servizi pubblici per l’impiego dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano nell’analizzare e valutare la domanda. Dovrebbero prendere parte alla previsione dei fabbisogni di competenze e sapere in che misura la formazione offerta corrisponda alle competenze richieste dalle imprese, dal mercato del lavoro e dalle tendenze in atto, anche a livello locale e regionale.

4.   Abilità e competenze verdi e digitali

4.1.

Il CESE propone di integrare lo sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi in materia di istruzione e formazione, come lo spazio europeo dell’istruzione e il piano d’azione per l’istruzione digitale, in linea — tra l’altro — con il traguardo 4.7 degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Ciò significa includere l’istruzione e la formazione in materia di sviluppo sostenibile nei programmi Erasmus+, FSE+ e Orizzonte Europa, e creare sinergie tra questi programmi.

4.2.

Il CESE sottolinea che investire nelle risorse umane e garantire un accesso più ampio alle opportunità di apprendimento permanente è importante tanto quanto investire nelle tecnologie verdi, digitali e sostenibili.

4.3.

Il CESE chiede ai responsabili delle decisioni pertinenti che, nell’introdurre tecnologie digitali, verdi e sostenibili nei contesti di apprendimento, garantiscano un sostegno migliore agli insegnanti e agli educatori investendo sul loro sviluppo professionale — iniziale e continuo — e sulle loro abilità e competenze verdi e digitali.

4.4.

Il CESE chiede di investire in ricerche longitudinali che siano interdisciplinari e imparziali e che riguardino i diversi aspetti delle tecnologie digitali nel campo dell’istruzione, in modo da collegare tra loro le scienze dell’educazione, la pedagogia, la psicologia, la sociologia, le neuroscienze, l’ingegneria e le scienze computazionali al fine di continuare a indagare lo sviluppo della mente dei bambini nell’ambiente digitale.

4.5.

Il CESE raccomanda di adottare un approccio integrale, per strategie digitali che promuovano lo sviluppo delle competenze di base quale pietra angolare della coesione sociale.

4.6.

Il CESE accoglie con soddisfazione la proclamazione dell’Anno europeo delle competenze e richiama l’attenzione sulla necessità di impostare lo sviluppo delle capacità verdi e digitali in una prospettiva più ampia. Detto ciò, rimane comunque di cruciale importanza colmare i divari nelle competenze digitali di base, considerando che solo il 54 % degli europei possiede tali competenze, mentre gli obiettivi del decennio digitale europeo prevedono che l’80 % dei cittadini europei disponga almeno di competenze digitali di base entro il 2030. Il CESE riconosce che è necessario sostenere lo sviluppo di competenze al fine di soddisfare le esigenze connesse all’introduzione di nuove tecnologie, come l’analisi dei megadati, l’intelligenza artificiale e la cibersicurezza.

4.7.

Il CESE ritiene che lo sviluppo della cittadinanza digitale sia un presupposto per garantire la partecipazione attiva di tutti i discenti alla vita della società. Nel contesto della duplice transizione, un’attenzione particolare attenzione andrebbe riservata al problema del divario di genere osservabile nell’accesso delle donne alla formazione: è inaccettabile che la parte più consistente della popolazione sia lasciata indietro, per effetto della mancanza di un approccio di genere. Per colmare tale divario, bisognerebbe promuovere meglio il quadro europeo delle competenze digitali (DigComp 2.0) per garantirne l’accettazione da parte dei diversi erogatori di apprendimento e portatori di interessi nel campo dell’istruzione e della formazione, in modo tale da ampliare la gamma delle competenze necessarie promosse.

4.8.

Il CESE osserva che i divari nell’accesso alle risorse digitali e nello sviluppo delle competenze digitali sono legati al contesto socioeconomico. I divari regionali e socioeconomici dovrebbero essere colmati garantendo un sostegno specifico ai gruppi più svantaggiati e prestando la dovuta attenzione alle zone rurali.

4.9.

Il CESE chiede che, riguardo agli strumenti digitali utilizzati, venga promossa la definizione di principi collegati all’interoperabilità e ai protocolli aperti utilizzati, al fine di promuovere uno spazio di apprendimento online più democratico e strumenti digitali, alternativi a quelli tradizionali e di vecchia data, che consentano la creazione congiunta di apprendimento e contenuti.

4.10.

Lo sviluppo delle competenze digitali dovrebbe essere monitorato per mezzo del semestre europeo e del dispositivo per la ripresa e la resilienza, al fine di assicurarsi che tutti i finanziamenti utilizzati per colmare i divari nelle infrastrutture digitali siano accompagnati da politiche di apprendimento adeguate per promuovere le competenze digitali.

4.11.

Il CESE riconosce che le organizzazioni della società civile e le PMI incontrano difficoltà nell’adattarsi alla transizione digitale, a causa dell’insufficienza delle risorse disponibili per la digitalizzazione o di una formazione inadeguata. Bisognerebbe offrire maggiori opportunità di finanziamento, promuovere iniziative di apprendimento tra pari e agevolare lo scambio di risorse digitali nel settore considerato, tenendo conto del fatto che le organizzazioni della società civile fungono da facilitatori o erogatori di istruzione e formazione per tutti. Inoltre, va incoraggiato l’accesso a software con codice sorgente aperto (open source) per garantire la gratuità, la creazione congiunta di spazi online in modo democratico e la promozione di risorse digitali alternative che aprano spazi online per tutti.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  https://www.cedefop.europa.eu/it/news/more-employment-higher-skills-demand

(2)  https://www.businesseurope.eu/sites/buseur/files/media/reports_and_studies/2020-06-22_agreement_on_digitalisation_-_with_signatures.pdf

(3)  https://www.businessinsider.com/service-industry-work-from-home-remote-madrid-london-paris-berlin-2021-2?r=US&IR=T

(4)  https://www.cedefop.europa.eu/files/3092_en.pdf

(5)  Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2020 sul Green Deal europeo.

(6)  Relazione statistica sull’apprendimento degli adulti, https://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=738&langId=it&pubId=8337&furtherPubs=yes.

(7)  Si pensi ad esempio al finanziamento, stabilito nel contratto collettivo nazionale italiano di settore, dell’ente Scuola Edile che opera nel campo dell’edilizia, oppure ai fondi paritetici interprofessionali nazionali italiani per la formazione continua, che finanziano attività di formazione per le PMI stabilite dalle parti sociali nei contratti collettivi pertinenti.

(8)  http://erc-online.eu/wp-content/uploads/2020/07/Final-22-06-20-with-signatures_Agreement-on-Digitalisation-2020.pdf

(9)  https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-9242-2022-INIT/it/pdf

(10)  https://joint-research-centre.ec.europa.eu/greencomp-european-sustainability-competence-framework_it


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla carta europea della disabilità

(parere esplorativo richiesto dalla Commissione europea)

(2023/C 228/09)

Relatore:

Ioannis VARDAKASTANIS

Consultazione

Parere esplorativo richiesto dalla Commissione europea, 20.1.2023

Base giuridica

Articolo 11 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Parere esplorativo

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

3.4.2023

Data dell’adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

135/02/03

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l’iniziativa faro della Commissione europea che lancerà una carta europea della disabilità, che consenta alle persone con disabilità di circolare e soggiornare liberamente in tutta l’UE, facilitando il riconoscimento reciproco dello status di disabilità per i titolari della carta. Il movimento delle persone con disabilità chiede da tempo l’introduzione di tale carta, alla quale attribuisce una priorità elevata, tenuto conto delle attuali limitazioni ai diritti in materia di libertà di circolazione derivanti dal mancato riconoscimento della disabilità.

1.2.

Il CESE sottolinea che il mancato riconoscimento reciproco della disabilità ostacola la disponibilità di misure di sostegno per le persone con disabilità, il che implica una negazione diretta dell’esercizio dei loro diritti di viaggiare e/o trasferirsi in altri paesi dell’UE.

1.3.

Il CESE è consapevole del fatto che il miglioramento di questa libertà di circolazione derivante dal riconoscimento reciproco delle disabilità rafforzerebbe la costruzione di un’identità europea comune e garantirebbe una maggiore coerenza per le persone con disabilità, sensibilizzando i prestatori di servizi in merito alla mancanza di accessibilità e migliorando l’accesso nel lungo periodo. Ciò andrà al tempo stesso a loro vantaggio, aumentando il numero di visitatori.

1.4.

La carta europea della disabilità rafforzerà altresì la collaborazione tra le diverse autorità nazionali e agenzie governative nelle azioni di sensibilizzazione alle questioni legate alla disabilità, offrendo a talune persone con disabilità invisibili uno strumento per facilitare l’accesso a vantaggi e servizi senza dover spiegare le loro disabilità. Inoltre, faciliterà la prestazione di servizi alle persone con disabilità degli Stati membri che non dispongono di una tessera nazionale di invalidità, fornendo un documento che possono utilizzare anche a livello nazionale come prova della disabilità.

1.5.

Il CESE sottolinea l’importanza di integrare il lancio della carta europea della disabilità con misure, a livello sia europeo che nazionale, volte a migliorare l’accessibilità generale degli ambienti edificati, dei trasporti, dei servizi e delle merci, conformemente alla direttiva (UE) 2019/882 del Parlamento europeo e del Consiglio (1), alla direttiva (UE) 2016/2102 del Parlamento europeo e del Consiglio (2), ai regolamenti sull’accessibilità dei trasporti (3) e alle relative norme di accessibilità.

1.6.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione proponga un’iniziativa legislativa per la carta europea della disabilità e la invita a proporre un regolamento, in quanto tale atto rappresenta lo strumento più appropriato per garantire agilità nell’applicazione ed evitare differenze di attuazione a livello nazionale.

1.7.

Il CESE sottolinea l’importanza di includere nell’ambito di applicazione della carta europea della disabilità l’accesso a tutte le forme di servizi, prestazioni e sconti già concessi a livello nazionale, accettati da tutti i servizi che offrono condizioni preferenziali o adattate alle persone con disabilità, nel caso di prestazioni erogate da enti sia pubblici che privati.

1.8.

Il CESE raccomanda che la carta europea della disabilità offra la possibilità di concedere l’accesso alle prestazioni legate alle politiche sociali pubbliche e/o ai sistemi nazionali di sicurezza sociale su base temporanea quando una persona con disabilità si è trasferita in uno Stato membro per motivi di studio o di lavoro, almeno durante l’intero processo di rivalutazione e certificazione della disabilità.

1.9.

Il riconoscimento della disabilità attraverso la suddetta carta, pur non implicando l’omogeneizzazione dei modelli di valutazione della disabilità tra gli Stati membri, obbliga gli Stati membri a migliorare i sistemi attuali basati principalmente su un approccio medico affinché risultino maggiormente in linea con i modelli che rispettano la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

1.10.

Il CESE ritiene che la carta debba avere un formato fisico con capacità digitali, essere pienamente accessibile, avere le stesse dimensioni standard dei documenti di identità, contenere informazioni sull’assistenza personale e/o sull’accompagnatore per il titolare della carta.

1.11.

Il CESE propone che la legislazione sulla carta europea della disabilità preveda un sito web pienamente accessibile a livello dell’UE, con una versione di facile lettura e traduzione nella lingua dei segni, disponibile in tutte le lingue dell’UE, che fornisca informazioni pratiche per ogni paese, nonché campagne di sensibilizzazione, a livello UE e nazionale e in tutte le lingue dell’Unione, destinate al grande pubblico, ai potenziali utenti delle carte e ai fornitori di servizi.

1.12.

Il CESE sostiene la proposta di elaborare la nuova legislazione sul contrassegno di parcheggio dell’UE per disabili insieme alla proposta relativa a una carta europea della disabilità. Invita tuttavia la Commissione a tenere conto del fatto che le due carte devono rimanere fisicamente separate in tutti i casi.

1.13.

Il CESE sottolinea l’importanza che le istituzioni dell’UE mantengano una stretta collaborazione con le persone con disabilità e con le loro organizzazioni rappresentative a livello dell’UE, nonché a livello nazionale, regionale e locale, nell’elaborazione, nell’esecuzione e nella successiva valutazione della carta europea della disabilità.

1.14.

Il CESE è consapevole del fatto che la carta europea della disabilità è pienamente in linea con il regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) (4) e protegge le informazioni personali dell’utente. Chiede alla Commissione di garantire un elevato livello di protezione di tali dati, unitamente a misure di sicurezza e di lotta alla contraffazione, attraverso la legislazione proposta per la progettazione e l’utilizzo della carta europea della disabilità.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE osserva che lo status di cittadinanza europea, come sancito dall’articolo 20 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, implica il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (5). Per le persone con disabilità, tale diritto è tutelato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD), ratificata dall’Unione europea e dai 27 Stati membri, all’articolo 18, che determina la libertà di circolazione, la libertà di scegliere la propria residenza e nazionalità, in condizioni di parità con gli altri. Comprendere la disabilità come una serie di menomazioni che, in presenza di barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione alla società in condizioni di parità con gli altri (6), è responsabilità della società nel suo insieme, in particolare attraverso le politiche pubbliche nazionali ed europee, per proteggere e consentire l’efficace realizzazione di tale diritto.

2.2.

Nell’ambito di tale quadro, la fornitura di sostegno, assistenza, misure di accessibilità, servizi specifici, alloggi ragionevoli, azioni positive e altre forme di prestazioni alle persone con disabilità sono gli strumenti attraverso i quali viene garantito l’equo esercizio dei diritti e vengono rimosse le barriere. Pertanto, il mancato riconoscimento della disabilità che ostacola la disponibilità di tali misure di sostegno implica la negazione diretta della realizzazione dei diritti di 87 milioni di persone con disabilità che vivono nell’UE di viaggiare e/o trasferirsi in altri paesi dell’UE.

2.3.

Il CESE esprime soddisfazione per il fatto che la Commissione proponga un’iniziativa legislativa per la carta europea della disabilità e raccomanda vivamente che tale carta sia istituita mediante un regolamento, applicabile in tutti gli Stati membri in modo rapido, efficace e omogeneo. Il regolamento è infatti uno strumento più appropriato per garantire agilità nell’applicazione ed evitare differenze nell’attuazione a livello nazionale. La normativa non può assumere la forma di una raccomandazione, in quanto ciò non consentirebbe alla carta di avere un’applicabilità universale e omogenea. Nel caso di una direttiva, vi sarebbe un elevato rischio di estensione indefinita del tempo necessario per il suo recepimento, con potenziali situazioni in cui le carte europee della disabilità hanno uno status attivo in alcuni Stati membri, mentre altri paesi dell’UE non dispongono di una legislazione adeguata che ne applichi i benefici. Al contrario, un regolamento avrebbe effetto immediato in ogni Stato membro.

2.4.

La carta europea della disabilità, che facilita l’eliminazione delle barriere che impediscono alle persone con disabilità di circolare liberamente nell’UE, assumerebbe le caratteristiche di un passaporto europeo per la disabilità e funzionerebbe come tale, consentendo l’identificazione e il successivo accesso a tutti i servizi e benefici cui si ha legittimamente diritto.

2.5.

Il CESE ritiene che il progetto pilota avviato tra il 2016 e il 2019 in otto Stati membri abbia dimostrato la fattibilità della carta e le opportunità che essa offre agli utenti, il modo in cui essa consente una mobilità più agevole grazie alla concessione dell’accesso a condizioni vantaggiose per determinati servizi già disponibili alle persone con disabilità dello Stato membro ospitante.

2.6.

La valutazione del progetto pilota (7) sviluppato nel 2021 ha illustrato in dettaglio tale efficacia. Ad esempio, l’uso della carta ha favorito la partecipazione delle persone con disabilità ai settori della cultura e del tempo libero, la mobilità transfrontaliera è aumentata e molti utenti hanno migliorato le loro esperienze turistiche all’estero.

2.7.

Tuttavia, dalla valutazione è emerso anche che gli utenti hanno chiesto una maggiore ambizione e la copertura di un maggior numero di settori, compreso il settore dei trasporti, che è stato soggetto a limitazioni. Inoltre, le campagne di sensibilizzazione sono ritenute altamente necessarie per consentire ai potenziali utenti di comprendere meglio le nuove possibilità e ai fornitori di servizi di riconoscere la carta e gli sconti e i servizi che essa comporta.

2.8.

La relazione di valutazione esprime chiaramente le opportunità, ma anche le richieste delle persone con disabilità e le potenziali lacune che la carta europea della disabilità potrebbe evidenziare se i settori interessati fossero limitati. Pertanto, il CESE sottolinea l’importanza di concedere l’accesso a tutte le forme di servizi, benefici e sconti già concessi a livello nazionale agli utenti della carta europea della disabilità, accettata da tutti i servizi che offrono condizioni preferenziali o adattate alle persone con disabilità, nel caso di prestazioni erogate da enti sia pubblici che privati. Ritiene che la legislazione non dovrebbe stabilire un elenco limitato di settori, ma dovrebbe invece applicarsi a tutti i servizi del mercato unico dell’UE, in quanto la definizione di un elenco comporterebbe numerose eccezioni, mantenendo la maggior parte degli ostacoli attuali e limitandone l’efficacia.

2.9.

Il CESE comprende che, per quanto riguarda la copertura delle prestazioni legate alle politiche sociali pubbliche e/o ai sistemi nazionali di sicurezza sociale, quali il sostegno economico diretto, l’assistenza personale, il sostegno agli studenti o le prestazioni legate al lavoro per le imprese che assumono dipendenti con disabilità, la carta europea della disabilità dovrebbe prevedere la possibilità di concedere tali servizi su base temporanea quando una persona con disabilità si è trasferita in uno Stato membro per studiare o lavorare, almeno durante l’intero processo di rivalutazione e certificazione della disabilità. Ciò significa che le persone con disabilità che si trasferiscono in un altro Stato membro per un lavoro o per studiare (ad esempio il programma Erasmus+) avranno la possibilità di accedere a qualsiasi sostegno necessario per lavorare o studiare su base paritaria.

2.10.

Il CESE sottolinea che la carta europea della disabilità è pienamente in linea con il regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) e protegge le informazioni personali dell’utente, dato che l’uso di questo documento che consente di accedere a servizi e benefici protegge la persona dall’obbligo di mostrare e comunicare dati personali, in particolare la valutazione della disabilità e le informazioni personali sulla salute.

2.11.

La proposta relativa alla carta europea della disabilità dovrebbe includere il lancio di un sistema di applicazione e monitoraggio, al fine di garantirne un’attuazione agevole ed efficace, unitamente a una struttura per incanalare e gestire i reclami e le richieste degli utenti.

2.12.

Il CESE è consapevole del fatto che il riconoscimento della disabilità attraverso la carta europea della disabilità non implica l’omogeneizzazione dei modelli di valutazione della disabilità tra gli Stati membri. Tuttavia, obbliga gli Stati membri a migliorare i sistemi attuali basati principalmente su un approccio medico e a orientarli verso i modelli che rispettano la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Secondo la recente ricerca del Parlamento europeo sul tema Valutazione della disabilità, riconoscimento reciproco e carta europea della disabilità, vi è un forte consenso sulla necessità di migliorare l’adozione di principi condivisi e di una maggiore armonizzazione in materia di valutazione della disabilità, definizioni di disabilità e riconoscimento reciproco. È inoltre consapevole del fatto che i sistemi di valutazione esistenti si sono concentrati più sulle caratteristiche individuali che su quelle ambientali, basandosi in larga misura sulle conoscenze mediche o sui test effettuati da persone che operano fuori dal contesto piuttosto che su un approccio più olistico che tenga conto della reale situazione di vita delle persone (8).

3.   Osservazioni particolari

3.1.

Il CESE ritiene che, per quanto riguarda il formato, la carta debba essere fisica, con capacità digitali — ad esempio, un codice QR e/o un chip elettronico per accedere a informazioni dettagliate sulla valutazione della disabilità rappresenterebbero un’integrazione utile. La carta fisica deve essere completamente accessibile, con descrizione in braille e dimensioni standard dei documenti di identità.

3.2.

Il progetto di carta europea della disabilità deve prevedere un sito web a livello dell’UE che fornisca informazioni pratiche dettagliate per ciascun paese, riguardanti ad esempio gli enti ai quali rivolgersi per ottenere la carta e il suo funzionamento. Il sito web dell’UE dovrebbe essere disponibile in tutte le lingue e deve essere accessibile al massimo livello di conformità (AAA) delle linee guida per l’accessibilità dei contenuti web (9), con formati di facile lettura e disponibilità della lingua dei segni. Le stesse regole dovrebbero valere anche per i siti web nazionali e l’intero processo di acquisizione della carta.

3.3.

La carta europea della disabilità dovrebbe inoltre includere informazioni sull’assistenza personale e/o sugli accompagnatori del titolare della carta, al fine di includerli, ove possibile, nel campo di applicazione delle prestazioni e del sostegno. Queste informazioni possono essere espresse con un simbolo concreto o un riferimento nella carta fisica.

3.4.

Il CESE ritiene che l’uso della carta europea della disabilità debba essere volontario, che venga stabilito per legge che ogni persona con disabilità può decidere autonomamente se richiedere la carta e che non dovrebbe mai vigere l’obbligo di possedere tale carta per dimostrare la disabilità.

3.5.

Il CESE esorta la Commissione a fornire uno strumento di finanziamento per l’introduzione della carta europea della disabilità in tutti gli Stati membri dell’UE, compreso il sito web a livello UE. Successivamente, occorrerà continuare a finanziare la stampa e il rilascio della carta, il personale, la comunicazione e la manutenzione del sito web e dei relativi strumenti, quali eventuali applicazioni mobili. Tale obiettivo potrebbe essere conseguito continuando a utilizzare lo strumento di finanziamento dell’UE e/o ricorrendo a flussi di finanziamento nazionali.

3.6.

La comunicazione e la sensibilizzazione in merito alla carta europea della disabilità sono fondamentali per garantire che essa raggiunga tutti i potenziali beneficiari e prestatori di servizi. Il lancio della carta dovrebbe essere accompagnato da campagne di sensibilizzazione a livello dell’UE e nazionali, destinate al grande pubblico, per incoraggiare i potenziali utenti a richiedere la carta e i fornitori di servizi ad aderire al sistema, in modo che esso possa realizzare appieno il suo potenziale, in tutte le lingue dell’UE, in formati di facile lettura e nella lingua dei segni, per assicurare l’accessibilità per tutti. Occorre compiere uno sforzo particolare per raggiungere le persone con disabilità che possono avere maggiori difficoltà ad accedere alle informazioni sull’esistenza della carta, sui relativi vantaggi e sulle procedure necessarie per ottenerla, come le persone con disabilità psicosociali o intellettive e le persone con un sistema di sostegno limitato, come nel caso dei rifugiati con disabilità. Per una comunicazione più efficace nei confronti dei rifugiati ucraini con disabilità, dovrebbe essere utilizzata anche la lingua ucraina. Tali campagne devono essere seguite da comunicazioni periodiche per aggiornare i titolari della carta e il pubblico in merito alle nuove disposizioni relative al sistema della carta e ai suoi benefici in generale, al fine di garantire che questo progetto dell’UE sia altamente visibile.

3.7.

Il CESE sottolinea l’importanza per le istituzioni dell’UE di mantenere una stretta collaborazione con le persone con disabilità, nonché con le loro organizzazioni rappresentative a livello dell’UE e a livello nazionale, regionale e locale. Il progetto dovrebbe essere realizzato con il pieno coinvolgimento delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative. Ciò dovrebbe avvenire sia a livello politico, al fine di sviluppare la carta, sia a livello esecutivo, allo scopo di attuare e distribuire la carta e di svolgere attività di comunicazione in merito. La Commissione dovrebbe organizzare scambi annuali su sfide, progressi e buone pratiche tra gli Stati membri, coinvolgendo persone con disabilità, nonché organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità, al fine di migliorare la portata e l’uso della carta nel corso del tempo.

3.8.

L’attuazione della carta europea della disabilità dovrebbe includere un processo di raccolta di dati sulle informazioni anonimizzate sui beneficiari, disaggregate per genere ed età.

4.   Contrassegno di parcheggio dell’UE

4.1.

Il CESE comprende l’importanza di aggiornare la legislazione che armonizza le caratteristiche e il funzionamento del contrassegno di parcheggio dell’UE. I diversi formati applicati a livello nazionale, regionale o persino locale comportano ancora ostacoli e malfunzionamenti per gli utenti. Tuttavia, il suo utilizzo è di fondamentale importanza per molte persone con disabilità, in particolare perché si tratta dell’unica soluzione che consente l’accesso a zone urbane a traffico limitato, dato che i trasporti pubblici spesso non offrono alternative a causa della mancanza di accessibilità.

4.2.

Il CESE ritiene che il formato, le caratteristiche e la procedura di rilascio del contrassegno di parcheggio dell’UE debbano essere armonizzati, in una forma vincolante per gli Stati membri, dandone chiaramente comunicazione agli utenti. Occorre altresì rafforzare i controlli sull’uso fraudolento del contrassegno e sull’uso illegale dei parcheggi riservati alle persone con disabilità e attuare misure più severe in materia di sicurezza e di lotta alla contraffazione, nonché sanzioni più elevate ed efficaci contro l’uso improprio e la falsificazione. Dovrebbe inoltre essere realizzata una campagna di sensibilizzazione rivolta al grande pubblico su come contrastare l’uso illegale di parcheggi riservati.

4.3.

La legislazione sul contrassegno di parcheggio dell’UE dovrebbe armonizzare ulteriormente le norme in materia di ammissibilità e di procedura di rilascio, in una forma vincolante per gli Stati membri, dandone chiara comunicazione agli utenti. Può inoltre facilitare lo scambio di buone pratiche tra le autorità nazionali istituendo un gruppo di lavoro della Commissione sull’argomento, che consenta lo sviluppo di idee a livello dell’UE.

4.4.

L’elaborazione della nuova legislazione sul contrassegno di parcheggio dell’UE, unitamente alla proposta di una carta europea della disabilità, deve tenere conto del fatto che le due carte devono rimanere fisicamente separate in tutti i casi. Non tutte le persone con disabilità che sono potenziali titolari delle carte di disabilità guidano anche un veicolo e, per motivi pratici, il contrassegno di parcheggio deve rimanere nel veicolo parcheggiato, mentre la carta europea della disabilità dovrebbe essere sempre in possesso dell’utente.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Direttiva (UE) 2019/882del parlamento europeo e del consiglio, del 17 aprile 2019, sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi (GU L 151 del 7.6.2019, pag. 70).

(2)  Direttiva (UE) 2016/2102 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, relativa all'accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici (GU L 327 del 2.12.2016, pag. 1).

(3)  GU L 204 del 26.7.2006, pag. 1; GU L 46 del 17.2.2004, pag. 1; GU L 334 del 17.12.2010, pag. 1; GU L 123 del 17.5.2003, pag. 18; GU L 315 del 3.12.2007, pag. 14; GU L 356 del 12.12.2014, pag. 110; GU L 55 del 28.2.2011, pag. 1; GU L 42 del 13.2.2002, pag. 1.

(4)  Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1).

(5)  GU C 115 del 9.5.2008, pag. 47, articolo 20, paragrafo 2, lettera a).

(6)  Nazioni Unite. (2006). Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Serie trattati, 2515, 3.

(7)  Commissione europea. 2021. Studio che valuta l’attuazione dell’azione pilota sulla carta europea della disabilità e i benefici associati, https://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=738&langId=it&pubId=8407&furtherPubs=yes.

(8)  Parlamento europeo. Disability assessment, mutual recognition and the EU Disability Card. Progress and opportunities [Valutazione delle disabilità, reciproco riconoscimento e carta europea della disabilità]. Dipartimento tematico Diritti dei cittadini e affari costituzionali, direzione generale delle Politiche interne PE 739.397 — novembre 2022.

(9)  Linee guida per l’accessibilità dei contenuti web (WCAG) 2.0, http://www.w3.org/TR/WCAG20/.


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/76


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Iniziativa sui mondi virtuali, come il metaverso»

(parere esplorativo richiesto dalla Commissione europea)

(2023/C 228/10)

Relatore:

Martin BÖHME

Correlatore:

Hervé JEANNIN

Consultazione

20.1.2023

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

Parere esplorativo

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in sezione

19.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

153/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è convinto che il metaverso e lo sviluppo di mondi virtuali possano avere un impatto decisivo sul nostro modo di vivere insieme. Il metaverso è un universo digitale altamente connesso (spazio virtuale) che utilizza Internet, gli avatar e gli agenti software e li collega tra loro per creare un nuovo mondo fisico e virtuale, con ricadute sul contesto imprenditoriale, sulle condizioni di lavoro e sull’evoluzione della società civile. Questi cambiamenti offriranno delle opportunità, ma porteranno con sé anche tutta una serie di rischi che la società dovrà affrontare. È ancora necessario compiere progressi per quanto riguarda l’accettazione dell’uso di queste nuove tecnologie, aumentando la sicurezza per tutti i tipi di lavoratori.

1.2.

Dal punto di vista del CESE, è importante garantire che la prossima generazione di Internet sia aperta e connessa. Il metaverso poggia su una base di mondi virtuali interconnessi, creati utilizzando tecnologie diverse, come il software di modellizzazione 3D, il Web 3.0, la realtà aumentata/virtuale/estesa, l’intelligenza artificiale/l’apprendimento automatico e il calcolo distribuito. Le imprese possono immaginare in che modo queste tecnologie sono in grado di migliorare i loro modelli commerciali, ma devono anche affrontare questioni cruciali come, ad esempio, valutare le tendenze del mercato, procurarsi le capacità necessarie, misurare l’impegno e adattarsi per rimanere competitive. Le opportunità e le sfide sono ulteriormente illustrate ai punti 3.2 e 3.3, e alcuni esempi industriali specifici figurano al punto 3.10. È necessario effettuare un’analisi costante della legislazione in vigore per valutare se sia sufficiente per regolamentare i mondi virtuali. Il CESE ribadisce la recente posizione del Parlamento europeo e sottolinea l’importanza di determinare correttamente lo status occupazionale dei soggetti che operano nei mondi virtuali e di garantire che siano considerati lavoratori dipendenti oppure autonomi, a seconda delle loro condizioni di lavoro effettive.

1.3.

Lo sviluppo del metaverso richiede un’attenta considerazione da parte del legislatore per garantire un ambiente sicuro. Si rende necessaria una collaborazione costante tra i portatori di interessi per garantire che il metaverso vada a vantaggio della società. Tuttavia, i mondi virtuali come il metaverso pongono anche dei rischi, in particolare per l’infanzia e i gruppi vulnerabili. Gli operatori delle piattaforme devono porre in essere meccanismi di controllo rigorosi per filtrare e rimuovere i contenuti dannosi e introdurre misure di salvaguardia per prevenire situazioni moleste e abusi.

1.4.

Il metaverso può anche influire sulle condizioni di lavoro, sulla salute e sulla sicurezza. È importante che siano messe in atto misure adeguate per garantire un’informazione sufficiente su questi temi, tra cui il dialogo sociale e la contrattazione collettiva, per tutelare la sicurezza dei lavoratori e per offrire accesso alla formazione allo scopo di migliorare le competenze e le abilità. L’UE deve assicurarsi che la legislazione vigente nel mondo reale sia rispettata anche nel mondo virtuale e che, laddove necessario, vengano adottate misure adeguate per rispondere alle esigenze specifiche di regolamentazione del metaverso.

1.5.

L’uso attuale del metaverso nell’industria, dal punto di vista del CESE, si concentra sull’ottimizzazione delle operazioni, sulla raccolta di dati e sul miglioramento delle prestazioni. I gemelli digitali si sono dimostrati uno strumento prezioso per il conseguimento di questi obiettivi da parte delle imprese. Il metaverso deve fornire soluzioni ai problemi irrisolti o consentire la fabbricazione di prodotti a costi inferiori e in minor tempo, migliorare la qualità, ridurre i rischi e aumentare l’efficienza.

1.6.

Il metaverso potrebbe avere un impatto positivo sull’ambiente e sui cambiamenti climatici, consentendo il lavoro a distanza a un livello nuovo, riducendo la necessità di spostamenti fisici e le emissioni di carbonio. Inoltre, il metaverso può essere utilizzato per simulare e testare pratiche sostenibili, come i sistemi che utilizzano energia rinnovabile e le città intelligenti, prima di attuarle nel mondo fisico. Vanno, tuttavia, considerati anche il consumo energetico e l’impronta di carbonio della tecnologia che alimenta il metaverso. L’espansione dei mondi virtuali farà crescere ulteriormente la domanda mondiale di energia, con conseguente aumento della necessità di produrre energia verde.

1.7.

Il CESE ravvisa la necessità di affrontare sin d’ora le questioni relative alla tassazione delle attività nel metaverso. Tali questioni appaiono problematiche, in quanto i modelli fiscali tradizionali potrebbero risultare inadeguati e potrebbe essere necessario adottare nuovi approcci per riscuotere imposte eque ed efficaci.

2.   Osservazioni generali

2.1.

La prossima generazione di Internet sarà aperta e interconnessa, fungendo da fattore abilitante digitale per il commercio e la società. Le tecnologie associate al metaverso — vale a dire la realtà aumentata, la realtà virtuale, la realtà estesa e i gemelli digitali — sono in grado di accelerare l’impegno, la socializzazione, la collaborazione e le esperienze, offrendo agli utenti nuovi modi immersivi di accesso a prodotti e servizi.

2.2.

Le imprese hanno l’opportunità di immaginare in che modo la prossima generazione di Internet migliorerà i loro prodotti e servizi. Ciò significa esaminare l’impatto del metaverso sul commercio, i modi in cui la realtà aumentata può migliorare la formazione, come utilizzare efficacemente la modellizzazione 3D e i gemelli digitali e come applicare la realtà virtuale alle attività di intrattenimento. Tuttavia, l’affermarsi di nuovi mondi virtuali come il metaverso solleva anche numerose questioni cruciali che vanno affrontate al più presto dalle imprese, In primo luogo, queste devono considerare le opportunità che si offrono loro e valutare il mercato, le esigenze dei clienti e le relative tendenze per mantenersi competitive. Secondariamente, hanno bisogno di procedure efficaci per procurarsi le capacità necessarie, ad esempio tramite partenariati e l’esternalizzazione. In terzo luogo, misurare l’impatto dell’impegno e dell’esperienza è fondamentale al fine di aumentare costantemente le prestazioni e la soddisfazione dei clienti. Infine, per rimanere competitive, le aziende devono adattare i loro modelli commerciali alle nuove tecnologie, ai nuovi mercati e alle aspettative sempre nuove dei clienti.

2.3.

È necessario valutare come trovare un equilibrio tra il mondo virtuale e quello fisico per garantire una costruzione responsabile del metaverso. È essenziale garantire che il metaverso sia un ambiente sicuro per i consumatori e sia strettamente allineato alla visione «aperta» della prossima iterazione di Internet. I consumatori devono essere preparati al suo utilizzo e ricevere una formazione specifica; per i bambini e gli adolescenti questo tipo di preparazione dovrebbe avere luogo preferibilmente già a scuola. Occorre inoltre valutare se la tecnologia possa progredire a un ritmo sufficientemente rapido da costruire il metaverso della nostra immaginazione. Tali questioni richiedono un dialogo e una collaborazione costanti tra i portatori di interessi, tra cui figurano l’industria, i responsabili politici, le parti sociali e le reti della società civile, onde assicurarsi che lo sviluppo del metaverso porti dei benefici alla società nel suo complesso.

2.4.

Il CESE sottolinea i possibili rischi, in particolare per l’infanzia e i gruppi più vulnerabili, come le persone con disabilità e le minoranze. Dato che il metaverso si colloca nel mondo virtuale, eventuali criminali possono mantenere più facilmente l’anonimato e diffondere impunemente messaggi dolosi e dannosi nei confronti di altri utenti, il che può sfociare nel bullismo online. Il metaverso può contenere contenuti potenzialmente nocivi o non appropriati e inadatti all’infanzia. È importante che i gestori delle piattaforme mettano in atto rigorosi meccanismi di controllo per filtrare ed eliminare tali contenuti. Un aspetto problematico potrebbe risiedere anche nel rischio che l’uso intensivo del metaverso corrisponda a uno stile di vita inattivo. L’UE ha il compito politico e la responsabilità di stabilire e monitorare le condizioni di sicurezza giuridica dei mondi virtuali.

2.5.

Il CESE sottolinea che i mondi virtuali possono avere un impatto sulle condizioni di lavoro, sulla salute e sulla sicurezza. È necessario effettuare un’analisi costante della legislazione in vigore per valutare se sia sufficiente per regolamentare i mondi virtuali. Il CESE ribadisce la recente posizione del Parlamento europeo e sottolinea l’importanza di determinare correttamente lo status occupazionale dei soggetti che operano nei mondi virtuali e di garantire che siano considerati lavoratori dipendenti oppure autonomi, a seconda delle loro condizioni di lavoro effettive (1). Occorre assicurarsi che vengano introdotte misure adeguate per salvaguardare la sicurezza dei lavoratori e garantire l’applicazione delle medesime norme vigenti nel mondo reale. Il dialogo sociale e la contrattazione collettiva sono pertanto essenziali per garantire tali misure. Inoltre, per poter operare in sicurezza e con efficacia nei mondi virtuali, i lavoratori devono essere adeguatamente formati e informati. In questo caso l’apprendimento permanente è più che necessario. Lo screening delle competenze di una persona nel corso del suo intero percorso lavorativo è essenziale per venire incontro alle sue esigenze di formazione (miglioramento delle competenze e riqualificazione). Anche in questo caso il dialogo sociale ha il compito di offrire un approccio collettivo che consenta a ciascun lavoratore di accedere a tale screening e alla formazione necessaria per migliorare le competenze e le abilità e per contribuire a costruire l’autonomia europea nel campo dei mondi virtuali.

2.6.

Il CESE ritiene che mondi virtuali come il metaverso abbiano un impatto sull’ambiente e sul consumo di risorse. Da un lato, possono consumare una quantità considerevole di energia, soprattutto se ospitati su server ad alte prestazioni, con un possibile aumento della domanda di energia elettrica e quindi dell’impronta di carbonio. Dall’altro, però, i mondi virtuali possono offrire un potenziale da utilizzare in sostituzione di esperienze e interazioni reali, e ciò può avere un impatto positivo sul consumo di risorse, soprattutto se le persone si spostano meno e utilizzano una quantità minore di prodotti fisici. Il CESE ritiene necessario che gli operatori del mondo virtuale siano tenuti per legge ad adottare misure volte a ridurre il consumo di energia e di risorse, come il ricorso a energie rinnovabili tipo l’energia solare o eolica, l’ottimizzazione di server e hardware per limitare il consumo di energia e la promozione del riciclaggio e del riutilizzo di hardware e apparecchiature.

2.7.

Il CESE ritiene che i valori europei e una filosofia antropocentrica debbano servire da modello per le regole e la governance dei mondi virtuali. Per questo motivo, l’Europa dovrebbe assumere un ruolo dominante nello sviluppo del metaverso. Spetta all’autorità di regolamentazione dell’UE attivarsi, nella misura delle sue possibilità, per raggiungere un buon equilibrio a livello internazionale in materia di interoperabilità delle norme, con l’indispensabile cooperazione di tutti i portatori di interessi, comprese le parti sociali. Particolare attenzione va riservata alla dimensione sociale e soprattutto ai giovani per quanto riguarda gli effetti collaterali del metaverso. Vanno inoltre evitati squilibri geografici e condizioni di disuguaglianza dovuti ai divari nelle infrastrutture digitali su tutto il territorio europeo.

2.8.

La tassazione delle imprese nel metaverso è un problema complesso, in quanto i concetti tradizionali di confini geografici e di ubicazione fisica non sono più sufficienti. La determinazione del reddito imponibile, la valutazione degli attivi digitali e la delimitazione delle aree di attività richiedono un riallineamento della base imponibile. È inoltre essenziale creare meccanismi normativi adeguati per garantire pratiche fiscali eque.

3.   Osservazioni particolari

3.1.   Gli elementi costitutivi del metaverso

3.1.1.

Da un punto di vista tecnico, il metaverso poggia su una base di mondi virtuali interconnessi, in cui ogni mondo può rappresentare un ambiente o un’esperienza distinti. Per consentire l’interazione e la comunicazione tra gli utenti nel metaverso, si utilizzano protocolli e standard diversi, come il protocollo per un metaverso aperto e interoperabile (Open Metaverse Interoperability Protocol — OMI), che consente un’interazione diretta tra mondi virtuali diversi. Tra gli altri componenti tecnici figurano protocolli di rete, sistemi di identità degli utenti e algoritmi di intelligenza artificiale. Lo stack tecnologico del metaverso presenta quattro blocchi/elementi fondamentali: 1) contenuto ed esperienze, 2) piattaforme (come i motori di gioco), 3) infrastruttura e hardware (inclusi dispositivi e reti) e 4) fattori abilitanti (come i meccanismi di pagamento e sicurezza). Questi componenti sono costituiti da 10 strati che forniscono gli elementi fondamentali su cui si basano tutte le esperienze del metaverso.

3.1.2.

Infine, il metaverso presenta anche componenti economici e commerciali, come le valute virtuali, i mercati e i sistemi per l’acquisto e la vendita di beni e servizi virtuali. Tali componenti sono concepiti per facilitare il commercio e lo scambio di valore nel metaverso e possono utilizzare la blockchain e altre tecnologie decentrate per garantire trasparenza e sicurezza.

3.2.   Opportunità

3.2.1.

Dal punto di vista del CESE, è opportuno osservare che il futuro del metaverso presenta dimensioni molteplici, tra cui i metaversi dei consumatori, delle imprese e dell’industria. i) Il metaverso dei consumatori funge da spazio ricreativo in cui le persone possono partecipare a giochi e interazioni sociali in una realtà virtuale. ii) Il metaverso d’impresa fornisce una piattaforma per la progettazione congiunta con i clienti. iii) Il metaverso industriale funge da portale per la fabbricazione di prodotti.

3.2.2.

Il metaverso industriale presenta un notevole potenziale per le imprese europee che vogliano ottimizzare il loro funzionamento, raccogliere dati e migliorare le loro prestazioni. Il ricorso ai gemelli digitali nel settore industriale si è dimostrato uno strumento prezioso per le imprese che intendano ottimizzare il loro funzionamento, raccogliere dati e migliorare le loro prestazioni, ad esempio avvalendosi della progettazione senza prototipi fisici.

3.2.3.

Per i singoli individui, le natura diretta delle transizioni tra esperienze e interazioni fisiche e il loro potenziamento virtuale e multimodale offre un ventaglio infinito di possibilità. Il metaverso serve da potente leva per il reclutamento, l’assunzione, la formazione senza rischi e l’offerta di ambienti di lavoro a distanza collaborativi e immersivi, in grado di attrarre i futuri talenti dei quali l’industria ha bisogno per il suo sviluppo.

3.3.   Sfide

3.3.1.

Il CESE valuta, allo stato attuale, che l’accettazione di queste nuove tecnologie debba ancora aumentare. Il necessario incremento del livello di maturità richiesto dalla combinazione di numerose tecnologie, l’evoluzione delle infrastrutture, la capacità di calcolo e le reti di comunicazione sono anch’essi requisiti essenziali per una diffusione su vasta scala di questo nuovo Internet tra i consumatori e i cittadini.

3.3.2.

Il metaverso pone sfide urgenti che interessano trasversalmente le imprese, i loro dipendenti, gli sviluppatori e i creatori di contenuti indipendenti, i governi e i consumatori. La maggior parte della forza lavoro dovrà essere riqualificata per poter trarre vantaggio dal metaverso invece di competere con esso, e le città e i paesi dovranno affermarsi in quanto poli per il suo sviluppo e partecipare alla competizione globale per attrarre talenti e investimenti e anche per integrare i lavoratori in maniera permanente. Il dialogo sociale e la contrattazione collettiva hanno il compito di offrire tutte le opportunità necessarie ai lavoratori che operano in ambienti di lavoro in via di mutamento.

3.3.3.

Il CESE sottolinea che, a livello sociale, una serie di portatori di interessi dovrà definire una tabella di marcia per la transizione verso un’esperienza del metaverso che sia etica, sicura e inclusiva. Potrebbe rendersi necessario definire degli orientamenti anche su temi quali la sicurezza, l’etica e la conformità giuridica, la salute e la sicurezza fisiche, la sostenibilità, l’equità e la correttezza. Anche i requisiti per la protezione dei dati e l’attuazione del regolamento generale europeo sulla protezione dei dati nel metaverso rappresentano una sfida particolare. Occorre esaminare in che misura i requisiti esistenti siano ancora sufficienti.

3.3.4.

Le considerazioni sull’assegnazione dello spazio virtuale nel metaverso sono di grande importanza in quanto determinano chi ha accesso a determinate aree e a determinati contenuti e chi invece no. I grandi operatori delle piattaforme, come Facebook, Google e Microsoft, svolgeranno un ruolo importante nel plasmare il metaverso, in quanto hanno già una forte presenza nel mondo virtuale e dispongono delle risorse necessarie per fornire l’infrastruttura. È importante che tali imprese seguano norme trasparenti ed eque per l’accesso allo spazio virtuale al fine di creare un mondo virtuale aperto e diversificato. Occorre inoltre offrire ai piccoli operatori di mercato la possibilità di partecipare alla creazione di valore attraverso lo spazio virtuale.

3.3.5.

Gli utenti segnalano livelli crescenti di comportamenti offensivi e inopportuni, comprese molestie nei confronti degli utenti, sessualizzazione delle interazioni tra avatar, sfruttamento dei dati e gioco d’azzardo non regolamentato, casi di bullismo, presentazione di contenuti sessuali espliciti, razzismo, minacce di violenza e adescamento di minori (CCDH, 2022). Inoltre, la dipendenza dalla realtà simulata e i problemi legati alla privacy e alla salute mentale appaiono tra le principali preoccupazioni espresse dagli utenti di tutto il mondo (Statista, 2020).

3.4.

Talenti: la costruzione di metaversi per le imprese richiede un tipo speciale di competenze. Si potrebbero anche rendere necessari nuovi ruoli, come gli sviluppatori di componenti, i fornitori di infrastrutture, gli sviluppatori di servizi e gli host virtuali. L’Europa deve sforzarsi di tornare ad essere una comunità attrattiva per ricercatori e ingegneri, e impegnarsi a formare i loro successori. Il miglioramento delle competenze e la riqualificazione della forza lavoro attiva, in collaborazione con le università e altri istituti di istruzione, devono diventare una priorità.

3.5.

Strumenti: nello sviluppo del metaverso vi è un’assoluta necessità di strumenti che possano creare contenuti per mondi multidimensionali e incorporare la programmazione negli oggetti. Questi strumenti saranno essenziali per la creazione e la distribuzione di contenuti e servizi nel metaverso. Inoltre, essi dovranno essere accessibili a un’ampia gamma di creatori e utenti — che va da chi li utilizza come passatempo ai progettisti di professione.

3.6.

Ecosistemi e modelli: potrebbero rendersi necessari nuovi mercati e piattaforme per acquisire oggetti live, come gli NFT (token non fruibili) o interi metaversi. Questi elementi possono essere disponibili sotto forma di prodotti o servizi, ma i prezzi, la proprietà e i modelli commerciali devono ancora essere definiti. Ai fini della coerenza, sarà necessario stabilire delle norme che servano ad orientare il processo.

3.7.

Il CESE sottolinea l’importanza fondamentale di prendere in considerazione nuovi meccanismi di condivisione e concessione di licenze che consentano la creazione e la distribuzione di contenuti e servizi, garantendo nel contempo la protezione della proprietà intellettuale e industriale al pari della privacy e della sicurezza degli utenti. La progettazione del metaverso deve rispettare marchi, diritti d’autore e altre licenze e forme di proprietà intellettuale e industriale.

3.8.

Dal punto di vista tecnologico e sociale, una delle principali sfide per la diffusione del metaverso su larga scala è la normazione. Occorre stabilire numerosi protocolli, norme e regole in materia di cibersicurezza, conservazione e protezione dei dati personali, tutela delle persone e lotta contro gli atti persecutori online, la criminalità informatica e la disinformazione. L’Unione europea deve assumere un ruolo forte per non lasciare che le regole siano stabilite in altre aree geografiche. L’UE deve pertanto partecipare ai consorzi internazionali incaricati di metterle a punto.

3.9.

Il gioco è stato tra i primi settori a organizzare delle comunità online, ed è anche l’occasione per molti, specialmente bambini e giovani, di entrare per la prima volta in contatto con i mondi virtuali. Il CESE raccomanda pertanto che tale settore in particolare sia chiamato ad assumersi le sue responsabilità e sia coinvolto nell’elaborazione di norme per la protezione dei consumatori.

3.10.   Alcuni esempi di utilizzo di mondi virtuali nell’industria

3.10.1.

Il CESE richiama l’attenzione sui calcoli effettuati dalla casa automobilistica Renault, quando nel novembre 2022 ha annunciato che il suo Industrial Metaverse avrebbe consentito un risparmio di 780 milioni di EUR in varie fasi del ciclo di produzione. Entro il 2025 potrebbero essere realizzati ulteriori risparmi per una cifra pari a 320 milioni di EUR, a cui vanno aggiunti 260 milioni di EUR di risparmi nei costi di gestione dell’inventario, una riduzione del 60 % dei tempi di consegna dei veicoli e una riduzione del 50 % dell’impronta di carbonio dei suoi impianti di produzione.

3.10.2.

In campo sanitario, Pfizer utilizza la realtà virtuale per la formazione al fine di migliorare il rispetto dei protocolli di sperimentazione clinica. I tirocinanti sono formati tramite un’esperienza realistica e immersiva in un laboratorio virtuale in cui possono interagire e sperimentare in modo sicuro e in condizioni di vita molto simili alla realtà. Pfizer sta già utilizzando tecnologie analoghe per formare i propri operatori sul campo presso i siti di produzione. Il rispetto dei rigidi protocolli e regolamentazioni dell’industria, sia nel settore della ricerca che in quello della produzione, è notevolmente migliorato grazie al personale che ha già assistito a queste sessioni di formazione immersive. Al di là di questo esempio, il metaverso può comportare cambiamenti radicali nell’accesso all’assistenza sanitaria e nella qualità dell’assistenza stessa, contribuendo a superare i deficit in tale ambito, specialmente nelle zone rurali e remote.

3.10.3.

Nel settore aeronautico e spaziale, Airbus e Boeing stanno già utilizzando il concetto dei gemelli digitali, che costituisce il fondamento del metaverso industriale, come piattaforma futura in cui creare una copia in 3D dei loro nuovi aeromobili e sistemi di produzione a complemento delle attività di ingegneria e simulazione.

3.10.4.

Nel settore finanziario, numerose banche e compagnie di assicurazione stanno migliorando la loro esperienza e interazione con i clienti grazie a soluzioni immersive e che impiegano il metaverso. AXA, ad esempio, ha acquistato un terreno virtuale su una piattaforma Web 3.0 per interagire con nuovi gruppi di clienti e, a lungo termine, costruire un’agenzia virtuale. Allianz utilizza la realtà aumentata per sensibilizzare i clienti.

3.10.5.

Il CESE osserva che il settore dei consumatori, dei prodotti, del commercio al dettaglio e della distribuzione è probabilmente quello in cui sono state realizzate le iniziative più recenti di metaverso e Web 3.0. I casi d’uso spaziano dai negozi virtuali 3D e gli acquisti immersivi sui social media al ricorso ad avatar, dagli impieghi nel branding a quelli nel marketing, da nuove forme di impegno nella comunità a nuovi programmi di fedeltà basati su tecnologie NFT e Web 3.0.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20221212IPR64513/digital-workers-better-working-conditions-and-protection-of-rights


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La transizione verso un sistema di trasporto sostenibile a lungo termine»

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza svedese)

(2023/C 228/11)

Relatore:

Stefan BACK

Correlatore:

Mateusz SZYMAŃSKI

Consultazione

Presidenza svedese del Consiglio dell’UE, 14/11/2022

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Parere esplorativo

Decisione dell’Assemblea plenaria

14.12.2022

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture e società dell’informazione

Adozione in sezione

12.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

159/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La transizione verso un sistema di trasporto sostenibile a lungo termine deve essere realizzata in modo da consentire ai cittadini e alle imprese, compresi l’industria e il settore dei trasporti, di aderire sia all’obiettivo di una riduzione delle emissioni del 90 % nel settore dei trasporti entro il 2050 che alle modalità e ai mezzi utilizzati per conseguirlo.

1.2.

Perché questo sia possibile, la transizione deve essere attuata in modo tale che i cittadini e le imprese la considerino accettabile sul piano finanziario, sociale e pratico, e siano quindi pronti e disposti a sostenerla attivamente. In caso contrario vi è un grave rischio non solo di fallimento ma anche, nella peggiore delle ipotesi, di disordini sociali.

1.3.

Secondo il CESE, il successo della transizione dipende dalle seguenti condizioni:

le imprese devono sentire che non sono gravate da costi eccessivi e che manterranno la loro competitività, e questo non solo all’interno dell’UE;

i lavoratori devono vivere la transizione come un’esperienza accettabile e avere la possibilità di adattarsi alle nuove condizioni di lavoro in modo socialmente accettabile;

i cittadini sia degli agglomerati urbani che delle zone rurali devono beneficiare di un’accessibilità e di una mobilità a costi ragionevoli e in condizioni complessivamente favorevoli.

1.4.

Sebbene un accordo generale sull’obiettivo del 2050 sembra raggiunto, le modalità e gli strumenti finora previsti per conseguirlo appaiono meno consensuali. È il caso, ad esempio, del trasporto mediante veicoli pesanti, ambito in cui le possibilità di elettrificazione sono molto limitate e la disponibilità di combustibili alternativi è insufficiente.

1.5.

L’utilizzo delle energie rinnovabili nel settore dei trasporti dovrebbe tenere conto dei diversi tipi di energie e delle loro diverse fonti al fine di garantire l’indipendenza da determinati fornitori e paesi. È necessario tenere conto anche delle dipendenze legate alle materie prime e ai componenti utilizzati nella produzione di veicoli elettrici.

1.6.

Lo sviluppo della multimodalità è essenziale per sfruttare al meglio ciascun modo di trasporto, compresi quelli nuovi a emissioni zero. La digitalizzazione, l’ottimizzazione e il coordinamento delle capacità contribuiranno a far funzionare i diversi modi di trasporto come un sistema coerente.

1.7.

Le infrastrutture di trasporto e, in particolare, le infrastrutture per la distribuzione di combustibili alternativi, gli investimenti e l’efficienza nell’uso delle infrastrutture sono dei requisiti imprescindibili per l’evoluzione del settore, anche per quanto riguarda l’accessibilità dei trasporti, l’uso di combustibili puliti, l’integrazione dei modi di trasporto, l’attuazione delle innovazioni e i nuovi modi di trasporto. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea il problema della coerenza tra il calendario previsto per la realizzazione delle infrastrutture per i combustibili alternativi e l’idrogeno, da un lato, e i termini fissati per l’attuazione della rete TEN-T, dall’altro, nonché l’assenza di disposizioni legislative dell’UE relative alle zone rurali che non sono coperte da tale rete.

1.8.

Per consentire ai diversi paesi di sviluppare i trasporti in maniera sostenibile è necessario tenere conto delle loro caratteristiche e preferenze specifiche.

1.9.

Lo sviluppo sostenibile dei trasporti, come indicato nei documenti dell’UE, può essere compromesso da fattori esterni, ma i cambiamenti previsti devono essere incoraggiati per garantire che i risultati possano essere conseguiti in modo accettabile.

1.10.

I trasporti socialmente sostenibili devono essere accessibili, inclusivi e a prezzi abbordabili per evitare il problema della povertà in termini di mobilità. Il CESE ritiene che il trasporto pubblico svolga un ruolo cruciale nel processo di trasformazione. Grazie al suo carattere inclusivo esso permette di conseguire obiettivi sia ambientali che sociali.

1.11.

La trasformazione non andrà a buon fine senza la partecipazione dei lavoratori, di cui il settore dei trasporti è attualmente a corto. È pertanto importante che tale settore si affermi per la qualità dell’occupazione offerta, che lo renderebbe più attraente per la forza lavoro. Il dialogo sociale e la contrattazione collettiva sono elementi fondamentali in questo contesto.

1.12.

Il CESE sottolinea l’importanza di condurre ampie consultazioni con tutte le parti interessate, nonché azioni di sensibilizzazione in tutte le fasi della transizione.

2.   Contesto del parere

2.1.

La presidenza svedese ha richiesto un parere esplorativo sul tema della transizione verso un sistema di trasporto sostenibile a lungo termine.

Il parere andrebbe visto nel contesto degli ambiziosi obiettivi del Green Deal — vale a dire una riduzione delle emissioni di CO2, a carico dei trasporti, del 90 % entro il 2050 e del 55 % entro il 2030 — che cominciano ad essere attuati tramite il pacchetto «Pronti per il 55 %». Conseguire tali obiettivi significherà anche aumentare la sicurezza.

2.2.

Come concordato, le emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture dovranno essere ridotte del 55 % e quelle prodotte dai furgoni del 50 % entro il 2030, mentre dovranno essere ridotte del 100 % quelle prodotte dalle autovetture e dai furgoni di nuova fabbricazione entro il 2035. La Commissione intende proporre di autorizzare i veicoli che funzionano con combustibili neutri in termini di emissioni di CO2 dopo il 2035 e valuterà gli effetti sociali ed economici dell’accordo nel 2026.

Altre proposte importanti relative alla componente «trasporti» del pacchetto «Pronti per il 55 %», su cui sono stati conclusi accordi di trilogo, riguardano lo scambio di quote di emissione nel campo dei trasporti stradale, aereo e marittimo e una revisione della direttiva sui combustibili rinnovabili e del regolamento sull’infrastruttura per i combustibili alternativi.

2.3.

Nel dicembre 2021 sono state presentate una proposta di revisione del regolamento recante orientamenti per la rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), con l’obiettivo di conseguire un’attuazione più rapida ed efficiente della rete e di promuovere la sostenibilità, una comunicazione sulla mobilità urbana e una proposta sulla comunicazione informatica. In occasione del Consiglio «Trasporti» del dicembre 2022 è stato adottato un approccio comune alla proposta relativa alla rete TEN-T.

2.4.

Il programma di lavoro della Commissione per il 2023 comprende un pacchetto per rendere più ecologico il trasporto merci, che prevede la revisione della direttiva sui pesi e sulle dimensioni per i veicoli pesanti e della direttiva sui trasporti combinati.

2.5.

Nel marzo 2023 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa a una banca europea dell’idrogeno, incentrata sul finanziamento.

2.6.

Nel 2023 è prevista la presentazione di una comunicazione su uno spazio comune europeo di dati sulla mobilità.

2.7.

Gli accordi raggiunti nei triloghi in corso sul pacchetto «Pronti per il 55 %» potrebbero essere determinanti per il conseguimento degli obiettivi del Green Deal fissati per il 2050. Questo vale anche per le proposte citate più sopra, e previste per il 2023, il cui destino è nelle mani dei colegislatori. Per il successo del progetto, è particolarmente importante trovare un modo efficace per gestire il periodo di transizione sul piano sia dello sviluppo tecnico e di sistema sia degli aspetti sociali.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il settore dei trasporti solleva un gran numero di questioni, molte delle quali sono specifiche per ciascun modo di trasporto. Gli elementi fondamentali per l’attuazione e, se del caso, l’accelerazione della transizione dei trasporti sono essenzialmente i seguenti: la riduzione delle emissioni, lo sviluppo delle energie rinnovabili, la digitalizzazione, il miglioramento dell’efficienza dei mezzi di trasporto e l’offerta di modi di trasporto alternativi nel quadro della mobilità urbana. Questi elementi, come pure la disponibilità di infrastrutture adeguate per i combustibili, sembrano essere comuni a tutti i modi di trasporto, sia di merci che di passeggeri. È importante che siano messe a disposizione risorse, private o pubbliche, adeguate per la ricerca e lo sviluppo di veicoli a zero e a basse emissioni, combustibili rinnovabili e soluzioni digitali per i trasporti.

3.2.

Ove possibile, è necessario che tutta la legislazione pertinente sia coerente con gli obiettivi della transizione verde e promuova la riduzione delle emissioni, senza tuttavia ledere gli interessi sociali dei lavoratori.

3.3.

È indispensabile prestare la dovuta attenzione alle importanti conseguenze sociali della trasformazione dei trasporti, sia per la forza lavoro che per gli utenti, e assicurare che non vi siano ripercussioni negative per i lavoratori, garantendo nel contempo la disponibilità e l’accessibilità economica dei trasporti per gli utenti, nonché catene logistiche efficienti e a prezzi ragionevoli. È importante proporre soluzioni adeguate per far fronte a tali questioni, al fine di promuovere l’accettazione della transizione da parte dei lavoratori, del grande pubblico e delle imprese.

3.4.

Dato il livello di ambizione estremamente elevato e l’aumento previsto della domanda di trasporto, che entro il 2050 dovrebbe più che raddoppiare rispetto al livello attuale, risulta essenziale garantire una gestione efficace e credibile della transizione, tenendo conto anche del fatto che le misure di attuazione devono essere realizzabili e viste come tali, e che occorre inviare i segnali giusti al mercato.

3.5.

La credibilità sarà essenziale anche per indurre i cittadini a modificare le loro abitudini e il loro stile di vita in modo da promuovere la transizione, che si tratti della disponibilità a investire in veicoli dotati di nuovi sistemi di propulsione, a privilegiare il car sharing, a ricorrere maggiormente al trasporto collettivo e alle opzioni di mobilità attiva come gli spostamenti in bicicletta o a piedi, specie nei grandi centri urbani, o della disponibilità delle imprese di trasporto merci a scambiare informazioni per migliorare le possibilità di fare un uso efficiente delle risorse mediante la condivisione delle capacità.

3.6.

Le attività di sensibilizzazione sono importanti, come pure il seguito loro accordato per assicurare che producano l’impatto auspicato. In questo contesto svolgono una funzione di rilievo le organizzazioni della società civile e i portatori di interessi.

3.7.

L’urbanizzazione e lo sviluppo del commercio elettronico determineranno un cambiamento delle esigenze e dei modelli di trasporto, come indicato, ad esempio, nella summenzionata proposta relativa alla rete TEN-T e nella comunicazione sulla mobilità urbana. Le aree urbane offrono un contesto propizio alla promozione di modi di mobilità attiva e verde e di soluzioni ecologiche per il trasporto di merci.

3.8.

In un’Unione europea a 27, in cui elementi quali la natura, la demografia, la densità della popolazione, le condizioni generali di vita e il livello dei costi delle imprese variano notevolmente, per ragioni pratiche e di fattibilità ci si può trovare costretti ad accettare il fatto che non esista una soluzione universale e che possa rivelarsi necessario dar prova di flessibilità e accettare soluzioni diverse, a patto che non turbino il funzionamento del mercato interno sul piano pratico. A titolo di esempio si potrebbero citare la dimensione globale delle combinazioni di veicoli, la misura in cui è possibile utilizzare i prodotti forestali per la produzione di biocarburanti o la quota di biocarburanti nell’offerta complessiva di energia rinnovabile per i trasporti.

3.9.

La neutralità tecnologica dovrebbe essere un principio generale di cui tenere conto nella concezione e nell’attuazione di soluzioni a livello sia nazionale che dell’UE, per consentire di tenere in considerazione le specificità nazionali.

3.10.

Negli ultimi anni l’Europa è stata esposta a situazioni di crisi che hanno inciso sul funzionamento del sistema dei trasporti, come la pandemia di COVID-19, che ha colpito il trasporto passeggeri e perturbato il funzionamento dei collegamenti di trasporto merci. La guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni hanno avuto notevoli ripercussioni sulla disponibilità e sui prezzi dell’energia, anche per quanto riguarda i carburanti per i trasporti. Non si può escludere l’ipotesi che i problemi energetici e i prezzi influiscano sulle possibilità di sviluppare combustibili rinnovabili e di creare, nel contempo, circostanze che promuovano, tra l’altro, lo sviluppo del trasporto collettivo.

3.11.

Questi aspetti sottolineano l’importanza di evitare la dipendenza da un unico fornitore per l’approvvigionamento di una fonte di energia.

Requisiti in materia di CO2 — combustibili rinnovabili/mezzi di propulsione — disponibilità e opzioni

3.12.

La Commissione europea si concentra sull’elettricità prodotta da fonti rinnovabili e dall’idrogeno verde come principali fonti di energia. Il recente accordo sulla direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili stabilisce una quota minima globale del 42,5 % di energie rinnovabili entro il 2030, con il 29 % per i trasporti, compreso un sotto-obiettivo combinato vincolante del 5,5 % per i biocarburanti avanzati e i combustibili rinnovabili di origine non biologica, con un requisito minimo dell’1 % di combustibili rinnovabili di origine non biologica. Questa decisione solleva la questione degli emendamenti del regolamento relativo all’uso del suolo, al cambiamento di uso del suolo e alla silvicoltura (LULUCF), che limita l’uso dei prodotti forestali per la produzione di biocarburanti e il ricorso ai rifiuti da biomassa generati dall’industria agroalimentare per la produzione di carburanti. Assieme alle possibilità offerte dall’energia geotermica e ai nuovi carburanti per l’aviazione, questa è una parte importante di una soluzione globale per l’approvvigionamento energetico.

3.13.

L’imminente presentazione della proposta relativa alle limitazioni delle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti solleva la questione dei possibili limiti della propulsione elettrica, in particolare per il trasporto su lunghe distanze, nonché quella dell’adeguatezza dell’approvvigionamento di combustibili alternativi per tali veicoli e del loro costo totale di proprietà. In questo contesto, l’industria automobilistica ha sollevato la questione di un’opzione alternativa che consiste nello sviluppo di combustibili fossili a basso tenore di carbonio/a basse emissioni come mezzo per ridurre le emissioni, senza che si rendano necessari il rinnovo del parco veicoli e un’infrastruttura specifica. È probabile che una strategia combinata basata su entrambi i pilastri costituisca una soluzione ottimale per conseguire l’obiettivo stabilito. Tale strategia consentirebbe il rapido sviluppo di combustibili a basse e a zero emissioni, compresi diversi tipi di idrogeno, e le relative possibilità di ridurre le emissioni nei segmenti di trasporto in cui attualmente l’elettrificazione non è un’opzione praticabile.

3.14.

Il CESE raccomanda inoltre di ricorrere a un metodo più completo di valutazione delle emissioni di CO2 dei veicoli, sostituendo l’attuale metodo «dal serbatoio alla ruota» con il metodo «dal pozzo alla ruota», che offre una base più efficace per la valutazione.

3.15.

Tra i problemi principali da affrontare figura la disponibilità dell’infrastruttura per la distribuzione delle energie rinnovabili e dell’idrogeno che è fondamentale per l’utilizzo delle energie rinnovabili nei trasporti, in particolare con l’elevata capacità necessaria per i veicoli pesanti. L’accordo di trilogo relativo al regolamento sull’infrastruttura per i combustibili alternativi stabilisce, tra l’altro, obiettivi per le autovetture, i furgoni e i veicoli pesanti nella rete centrale e globale TEN-T a partire dal 2025, e a partire dal 2030 per l’idrogeno. La copertura per i veicoli pesanti sarà completata nel 2030. Questo potrebbe creare un problema di coerenza, in quanto la rete centrale TEN-T sarà completata entro il 2040 e quella globale entro il 2050. Anche la disponibilità nelle zone rurali che non sono coperte dalla rete TEN-T può costituire un problema. In ogni caso, i frequenti ritardi nell’attuazione dei progetti infrastrutturali evidenziano la necessità di garantire una posizione prioritaria agli investimenti e di assicurare un monitoraggio efficace.

L’efficienza come mezzo per la transizione

3.16.

L’efficienza migliora la sostenibilità dei trasporti e può essere conseguita grazie a una migliore capacità di carico, a migliori infrastrutture che rendano i trasporti più rapidi o a migliori infrastrutture terminali che permettano di accelerare le operazioni di carico/scarico o il passaggio da un modo di trasporto a un altro. Le nuove tecnologie e le nuove modalità di utilizzo dei mezzi di trasporto, come ad esempio il car sharing, possono ridurre, in particolare, i volumi di traffico urbano. La possibilità di utilizzare strutture in grado di accrescere l’efficienza non dovrebbe essere subordinata, ad esempio, alle qualità ecologiche di un veicolo, in quanto ciò limiterebbe il relativo margine di miglioramento della sostenibilità.

3.17.

Questo significa, ad esempio, che la maggiore capacità di carico derivante dall’accettazione di veicoli e/o combinazioni di veicoli più grandi e più pesanti non dovrebbe essere subordinata alle qualità ambientali di un veicolo, come il fatto che sia a zero emissioni, né dovrebbe essere associata a un uso specifico.

3.18.

Tuttavia, è altrettanto importante che i veicoli, gli aeromobili e le navi a zero e a basse emissioni possano operare in condizioni di parità assicurando, per quanto possibile, che le prescrizioni tecniche garantiscano loro la stessa capacità di carico di altri veicoli, navi e aeromobili. Per promuovere l’uso dei combustibili non fossili è indispensabile definire obiettivi ambiziosi in grado di garantire sicurezza per gli investitori.

3.19.

La digitalizzazione costituisce un altro strumento importante per migliorare l’efficienza. Lo scambio di informazioni tra le imprese potrebbe contribuire a migliorare l’efficienza e consentire l’integrazione dei mezzi di trasporto, il coordinamento delle operazioni e quindi il rafforzamento della sostenibilità.

Multimodalità e transizione

3.20.

Dato che un elemento chiave del Green Deal è il miglioramento della sostenibilità di tutti i modi di trasporto, ciascuno di questi può essere considerato parte integrante di un sistema. L’obiettivo dovrebbe quindi consistere nel promuovere una multimodalità efficace e senza soluzione di continuità, in cui ogni modo di trasporto possa produrre i risultati migliori, contribuendo così a una maggiore sostenibilità complessiva. La digitalizzazione, l’ottimizzazione e il coordinamento delle capacità contribuiranno a far funzionare i diversi modi di trasporto come un sistema coerente. L’accesso alle reti dovrebbe essere uguale per tutti i modi di trasporto e la multimodalità dovrebbe essere agevolata. Ogni modo di trasporto dovrebbe essere trattato alla pari e beneficiare della modernizzazione per migliorare l’efficienza e contribuire alla decarbonizzazione e a un settore dei trasporti più sostenibile e resiliente.

Approccio trasversale

3.21.

Per migliorare la sostenibilità, l’approccio di base dovrebbe consistere nell’utilizzare in modo ottimale le soluzioni che sono disponibili ed efficaci. È indubbiamente necessario destinare risorse allo sviluppo di soluzioni nuove e innovative, in modo neutrale dal punto di vista tecnologico. È altrettanto importante non ostacolare l’uso delle opzioni già disponibili. La transizione dei trasporti deve essere credibile e realistica, nonché conseguire risultati misurabili.

3.22.

Le soluzioni da elaborare dovrebbero quindi essere socialmente credibili e accettabili. Questo significa che occorre elaborare dei piani concreti e coordinati che siano oggetto di un dialogo sociale tra le parti interessate su come consentire ai lavoratori di adeguarsi ai nuovi requisiti in materia di competenze e di evitare la disoccupazione transitoria.

3.23.

È importante che le soluzioni siano credibili in termini finanziari. Ciò significa, ad esempio, che il costo dell’utilizzo di combustibili a basse o a zero emissioni deve essere finanziariamente sostenibile per i consumatori e consentire operazioni a un livello di profitto accettabile per gli operatori commerciali. Il sostegno finanziario diretto è un genere di soluzione che andrebbe evitato. È preferibile concedere agevolazioni fiscali ai consumatori o alle imprese che investono in soluzioni sostenibili.

3.24.

Il ruolo del sistema degli appalti pubblici viene posto in evidenza come mezzo per promuovere obiettivi sostenibili al momento di effettuare investimenti pubblici. Occorre sostenere l’opzione di introdurre il rispetto del diritto del lavoro come requisito specifico. Il cofinanziamento del settore dei trasporti da parte dell’Unione dovrebbe essere allineato alle politiche e alla pianificazione nazionali, in conformità con il quadro dell’UE.

3.25.

La sicurezza in tutte le sue forme è essenziale per qualsiasi sistema di trasporto sostenibile. Dal momento che essa interessa tutti gli utenti dei trasporti e i fornitori di servizi, le norme che la disciplinano devono essere costantemente perfezionate in tutti i modi di trasporto.

Partecipazione e consultazione

3.26.

Per il successo della transizione verde è importante raggiungere un consenso attraverso il dialogo sociale e un’ampia consultazione di tutti i portatori di interessi e dei cittadini in generale. Questo approccio contribuirà a definire i problemi, trovare soluzioni accettabili per tutti gli interessati e creare fiducia nelle misure previste oltre che sostegno generale alle stesse. Esso dev’essere considerato una condizione indispensabile per superare con successo il complesso processo di trasformazione del settore dei trasporti e aumentare la trasparenza delle procedure legislative e la qualità della legislazione.

3.27.

Il CESE sottolinea la necessità di coinvolgere da vicino la società civile organizzata nelle iniziative di promozione dei trasporti sostenibili e suggerisce di sviluppare, sin da una fase precoce, la cooperazione con tutti i portatori di interessi.

4.   Osservazioni particolari

Aspetti sociali — Accessibilità dei trasporti

4.1.

Per essere socialmente sostenibili, i trasporti devono essere accessibili, inclusivi, sicuri e a prezzi abbordabili al fine di evitare la povertà in termini di mobilità. Essi devono rispondere alle esigenze specifiche di gruppi diversi, ad esempio le donne. L’accessibilità presuppone, tra l’altro, una pianificazione territoriale adeguata, anche per quanto riguarda l’interfaccia tra gli agglomerati urbani e le zone rurali circostanti, e che tenga debitamente conto di soluzioni specifiche per gli anziani e le persone a mobilità ridotta (marciapiedi mobili, funicolari ecc.). Va migliorata l’offerta di trasporti ecologici per il turismo urbano. Il CESE sottolinea la necessità di promuovere e sviluppare piani di mobilità urbana sostenibili.

4.2.

Il CESE invita a considerare con particolare attenzione le donne utenti per far sì che i trasporti contribuiscano alla parità di genere, concentrandosi tra l’altro sulla sicurezza del servizio pubblico.

4.3.

Occorre sostenere i trasporti condivisi e attivi, soprattutto nei grandi centri urbani, in special modo promuovendo i modi di trasporto ecologici che si avvalgono di sistemi di trasporto intelligenti, considerando la mobilità come una forma di servizio e migliorando la sicurezza stradale. È necessario tenere conto delle questioni relative alla qualità della vita, come la necessità di ridurre l’inquinamento acustico.

4.4.

Il CESE ritiene che il trasporto pubblico svolga un ruolo cruciale nel processo di trasformazione. Grazie al suo carattere inclusivo esso permette di conseguire obiettivi sia ambientali che sociali e può essere integrato da soluzioni di micromobilità.

4.5.

I prezzi del trasporto pubblico devono essere abbordabili ed equi, senza tuttavia portare a una riduzione dei collegamenti o degli effettivi, tenendo in debito conto tutte le parti interessate. In quanto servizio pubblico, il trasporto pubblico non deve basarsi unicamente sulla redditività, né determinare per alcuni cittadini un’esclusione dai trasporti. Questo presuppone la necessità socialmente giustificabile di mantenere anche dei collegamenti non redditizi per salvaguardare la coesione sociale, ad esempio ricorrendo agli obblighi di servizio pubblico. In questo contesto può rendersi necessario mantenere in uso i motori a combustione al fine di garantire un livello di servizio adeguato.

Aspetti sociali — La forza lavoro

4.6.

Uno dei principali problemi del settore dei trasporti è costituito dalla carenza di risorse umane, che può ostacolare lo sviluppo del settore, compresa la transizione verde prevista. In tale contesto il CESE sottolinea l’importanza di garantire condizioni di lavoro soddisfacenti e retribuzioni e condizioni di lavoro eque nel settore, anche per i lavoratori delle piattaforme digitali. Sebbene i rapporti di lavoro restino di competenza nazionale, è tuttavia opportuno richiamare l’attenzione sulle possibilità di contrattazione collettiva per raggiungere un accordo su condizioni di lavoro attraenti nel settore dei trasporti, comprese le retribuzioni, la sicurezza e la salute sul lavoro a livello sia nazionale che transnazionale.

4.7.

Le nuove tecnologie possono offrire nuove opportunità in questo ambito. Il CESE sottolinea l’importanza della formazione e dell’apprendimento permanente, in particolare come mezzo per consentire alla forza lavoro di tenere il passo con i nuovi requisiti in materia di competenze dovuti alla transizione verde, compresa la digitalizzazione del settore.

4.8.

Misure come quelle citate ai punti 4.3 e 4.5 offriranno un’immagine positiva del settore, attraendo i giovani e le donne.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

578a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Sessione di rinnovo, 26.4.2023 - 27.4.2023

29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/87


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di raccomandazione del Consiglio sul rafforzamento del dialogo sociale nell’Unione europea

[COM(2023) 38 final — 2023/0012 (NLE)]

e sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Rafforzare il dialogo sociale nell’Unione europea: sfruttarne appieno il potenziale per gestire transizioni eque»

[COM(2023) 40 final]

(2023/C 228/12)

Relatore:

Pekka RISTELÄ

Correlatrice:

Mariya MINCHEVA

Consultazione

Commissione europea, 8.3.2023

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

3.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

179/52/17

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione della Commissione Rafforzare il dialogo sociale nell’Unione europea (in prosieguo «la comunicazione») e la raccomandazione proposta dalla Commissione sul rafforzamento del dialogo sociale nell’Unione europea (in prosieguo «la raccomandazione»).

1.2.

Il dialogo sociale, a livello sia nazionale che europeo, svolge un ruolo essenziale nella definizione di politiche economiche, sociali e del lavoro tese a promuovere la convergenza verso l’alto del tenore di vita e delle condizioni di lavoro tra gli Stati membri. Il CESE concorda pienamente con l’idea che il dialogo sociale possa essere uno strumento utile per stimolare la resilienza economica e sociale, la competitività e la crescita sostenibile e inclusiva.

1.3.

I risultati positivi del dialogo sociale non dovrebbero tuttavia essere dati per scontati, in quanto esso non va semplicemente considerato uno strumento che può essere attuato. La Commissione dovrebbe esaminare i modelli nazionali, regionali e settoriali riusciti e valutare i motivi per cui hanno avuto successo.

1.4.

Il CESE concorda con la comunicazione sul fatto che occorre fare di più a livello sia nazionale che dell’UE per sostenere la copertura della contrattazione collettiva. A tale proposito, la raccomandazione, pur includendo un elenco di questi fattori, importanti per migliorare la copertura, manca di un elemento molto pertinente menzionato invece nella comunicazione, vale a dire l’importanza dei contratti collettivi settoriali.

1.5.

Il CESE si rallegra del fatto che la raccomandazione miri a migliorare il dialogo sociale tripartito a livello sia europeo che nazionale, pur rilevando che in alcuni Stati membri la dimensione tripartita del dialogo sociale è più formalistica che effettiva. Il CESE ritiene che l’istituzione di un quadro efficace comune da attuare a livello nazionale per il coinvolgimento delle parti sociali potrebbe contribuire a garantire consultazioni efficaci e di qualità con le parti sociali nazionali. Gli Stati membri dovrebbero altresì avere l’obbligo di allegare ai programmi nazionali di riforma e di investimenti i risultati delle consultazioni con le parti sociali. In assenza di un coinvolgimento significativo, la Commissione dovrebbe intervenire.

1.6.

Il CESE esprime preoccupazione per la situazione poco chiara per quanto riguarda l’attuazione degli accordi delle parti sociali attraverso le direttive del Consiglio. Senza chiarezza, trasparenza e prevedibilità, l’ampio potere discrezionale della Commissione europea in materia potrebbe avere la conseguenza indesiderata di scoraggiare le parti sociali dal negoziare questo tipo di accordi. Il CESE rilancia il suo invito alla Commissione a discutere della questione con le parti sociali.

1.7.

Come indicato nella raccomandazione, il ruolo specifico delle organizzazioni delle parti sociali dovrebbe essere pienamente riconosciuto e rispettato nelle strutture e nei processi del dialogo sociale, riconoscendo nel contempo che il dialogo civile, che coinvolge un gruppo più ampio di parti interessate su una gamma più ampia di temi, costituisce un processo separato. Questa distinzione dovrebbe essere fatta anche nel sostegno allo sviluppo delle capacità a favore delle parti sociali e della società civile in generale.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione Rafforzare il dialogo sociale nell’Unione europea (in prosieguo «la comunicazione») e la raccomandazione proposta dalla Commissione sul rafforzamento del dialogo sociale nell’Unione europea (in prosieguo «la raccomandazione»).

2.2.

Come già osservato nel parere del CESE SOC/644 (1), il dialogo sociale, a livello sia nazionale che europeo, svolge un ruolo essenziale nella definizione di politiche economiche, sociali e del lavoro tese a promuovere la convergenza verso l’alto del tenore di vita e delle condizioni di lavoro tra gli Stati membri, così come nel rispondere in modo efficace alle sfide che l’Europa ha di fronte nel campo del lavoro.

2.3.

Come riconosciuto nella comunicazione, le parti sociali hanno una conoscenza e un’esperienza senza pari della situazione occupazionale e sociale «sul campo». Con il loro contributo è possibile conseguire il giusto equilibrio tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro e migliorare l’accettabilità e l’efficacia delle politiche e della legislazione. La Commissione sottolinea inoltre giustamente che le parti sociali rivestono un ruolo unico rispetto ad altri portatori di interessi.

2.4.

Come indicato nella raccomandazione, il ruolo specifico delle organizzazioni delle parti sociali dovrebbe essere pienamente riconosciuto e rispettato nelle strutture e nei processi del dialogo sociale, riconoscendo nel contempo che il dialogo civile, che coinvolge un gruppo più ampio di parti interessate su una gamma più ampia di temi, costituisce un processo separato.

2.5.

Il CESE ha già avuto modo di sottolineare (2) che una delle funzioni principali del dialogo sociale, in particolare della contrattazione collettiva, è quella di contribuire a definire il contesto imprenditoriale e a gestire i cambiamenti nella vita lavorativa, attraverso la messa a disposizione di informazioni, l’anticipazione, la partecipazione e la facilitazione, per costruire la fiducia reciproca tra le parti sociali a tutti i livelli.

2.6.

Il CESE concorda pienamente con l’idea che il dialogo sociale possa essere uno strumento utile per stimolare la resilienza economica e sociale, la competitività e la crescita sostenibile e inclusiva. Tuttavia, i risultati positivi del dialogo sociale non dovrebbero essere dati per scontati, in quanto esso non va semplicemente considerato uno strumento che può essere attuato. La Commissione dovrebbe esaminare i modelli nazionali, regionali e settoriali riusciti e valutare i motivi per cui hanno avuto successo. La condivisione delle conoscenze e la valutazione inter pares tra gli Stati membri potrebbero inoltre contribuire a migliorare la situazione nei paesi in cui il dialogo sociale è debole.

2.7.

Per sostenere ulteriormente le parti sociali nella partecipazione al dialogo sociale, nel miglioramento della copertura della contrattazione collettiva e nell’attuazione dei relativi accordi, a livello sia dell’UE che nazionale, è importante che le parti sociali dei paesi in cui il dialogo sociale è attualmente più debole abbiano accesso a un sostegno supplementare per lo sviluppo delle capacità. In particolare, ciò riguarda il Fondo sociale europeo (FSE) +, nell’ambito del quale sarebbe importante distinguere tra il sostegno allo sviluppo di capacità per le parti sociali e quello per la società civile in generale. Tale distinzione dovrebbe essere introdotta nel regolamento FSE + e nel regolamento recante disposizioni comuni per il prossimo periodo finanziario. Allo stesso tempo, si dovrebbero trovare soluzioni finanziarie migliori per le organizzazioni della società civile.

2.8.

Come riconosce la Commissione europea, in tutta l’UE il dialogo sociale è stato cruciale nella definizione e nell’attuazione di politiche mirate a contenere le ripercussioni della pandemia nel mondo del lavoro. Le parti sociali rivestono un ruolo importante anche nel far fronte alle ripercussioni di vasta portata della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, facilitando l’integrazione nel mercato del lavoro di sfollati dall’Ucraina, di altri rifugiati e migranti. Le parti sociali hanno inoltre il ruolo essenziale di trovare soluzioni sostenibili per adeguare i salari e i contratti collettivi in risposta alla crisi del costo della vita e agli elevati livelli di inflazione.

2.9.

Il CESE ha riconosciuto in un parere precedente (3) che un dialogo sociale efficace deve includere i seguenti elementi:

parti sociali rappresentative e dotate di legittimità, nonché di conoscenze, capacità tecnica e un accesso tempestivo alle informazioni pertinenti e rilevanti per la loro partecipazione;

la volontà e l’impegno politici a prendere parte al dialogo sociale;

il rispetto delle prerogative fondamentali e dell’autonomia delle parti sociali, della libertà di associazione e contrattazione collettiva, nonché un quadro giuridico e istituzionale favorevole che sostenga le procedure di dialogo sociale con istituzioni ben funzionanti.

Il CESE apprezza il fatto che tutti questi elementi siano inclusi nella presente iniziativa della Commissione.

2.10.

Nel contempo, vi sono ancora in tutta l’UE esempi di situazioni in cui il dialogo sociale è debole e opera in un contesto negativo. Talvolta il quadro giuridico non prevede spazi che consentano alle parti sociali di negoziare. Ciò indebolisce le posizioni delle parti sociali, ma riduce anche la loro capacità di partecipare alla contrattazione collettiva e di attrarre nuovi membri. Criteri oggettivi aperti, trasparenti e prestabiliti per determinare la rappresentatività delle organizzazioni delle parti sociali, fissati di concerto con esse ed evitando eccessivi oneri amministrativi, sono fondamentali per gli Stati membri che non hanno ancora una lunga tradizione in quest’ambito. Nel contempo, esiste già una grande varietà di pratiche nazionali, compreso il riconoscimento reciproco tra le organizzazioni delle parti sociali, che devono essere rispettate.

2.11.

Il CESE concorda con la comunicazione sul fatto che occorre fare di più a livello sia nazionale che dell’UE per sostenere la copertura della contrattazione collettiva (4), e accoglie con favore, a tale proposito, i riferimenti della raccomandazione a diversi strumenti atti a conseguire tale obiettivo: eliminare gli ostacoli istituzionali o giuridici al dialogo sociale e alla contrattazione collettiva riguardanti nuove forme di lavoro o occupazione atipica; garantire che le parti negoziali abbiano la libertà di decidere in merito alle questioni da negoziare; garantire che qualsiasi possibilità di deroga agli accordi di contrattazione collettiva sia concordata tra le parti sociali e limitata per quanto riguarda le condizioni alle quali può essere applicata; garantire e attuare un sistema di applicazione dei contratti collettivi.

2.12.

Benché anche la raccomandazione includa un elenco di questi fattori, importanti per migliorare la copertura della contrattazione collettiva, manca di un elemento molto pertinente menzionato invece nella comunicazione, vale a dire l’importanza dei contratti collettivi settoriali. Come osservato nella comunicazione, la copertura della contrattazione collettiva è elevata (oltre il 50 %) solo nei paesi in cui è presente almeno una qualche forma di contrattazione settoriale. Questa situazione è riconosciuta anche nella recente direttiva relativa a salari minimi adeguati [direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio (5)], secondo la quale gli Stati membri promuovono lo sviluppo e il rafforzamento della capacità delle parti sociali di partecipare alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, in particolare a livello settoriale o intersettoriale.

2.13.

Nel contempo, è importante preservare il carattere volontario della contrattazione collettiva e creare un ambiente adeguato per rendere il processo attraente e vantaggioso per entrambe le parti. Occorre inoltre che il processo stesso sia il più inclusivo possibile. Dovrebbero inoltre essere istituiti sistemi efficaci di risoluzione delle controversie. Negli Stati membri dovrebbero essere messi a punto, con il coinvolgimento delle parti sociali, meccanismi di monitoraggio della copertura dei contratti collettivi.

2.14.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la raccomandazione miri a migliorare il dialogo sociale tripartito a livello sia europeo che nazionale, facendo riferimento, tra l’altro, all’importanza di destinare tempo sufficiente alle consultazioni durante l’intero processo di elaborazione delle politiche, di garantire quadri istituzionali adeguati e di garantire l’accesso alle informazioni pertinenti necessarie per partecipare al dialogo sociale.

2.15.

In alcuni Stati membri, la dimensione tripartita del dialogo sociale è più formalistica che effettiva. Con un’attuazione e un monitoraggio adeguati, la raccomandazione può rappresentare un importante passo avanti verso il miglioramento di questa situazione. La promozione del dialogo tripartito a livello europeo sarebbe particolarmente importante per quanto riguarda gli aspetti relativi all’occupazione e alla protezione sociale, ad esempio tenendo debitamente conto della creazione di comitati consultivi tripartiti su tali questioni.

2.16.

Nei suoi precedenti pareri, il CESE ha raccomandato, ad esempio, di coinvolgere adeguatamente le parti sociali nell’elaborazione e nell’attuazione dei piani nazionali di ripresa e di migliorare la cooperazione tra le parti sociali e la Commissione nel garantire un uso coerente delle risorse europee (6). Dovrebbe inoltre essere garantito un migliore coinvolgimento di altre organizzazioni della società civile.

2.17.

Il CESE concorda con la Commissione sull’importanza degli accordi di dialogo sociale europeo, che costituiscono uno dei più significativi risultati conseguiti dal dialogo sociale dell’UE. Il CESE prende inoltre atto dell’invito rivolto dalla Commissione alle parti sociali europee a negoziare e concludere un maggior numero di accordi tra di loro, sottolineando nel contempo che spetta alle parti sociali stesse decidere se sia opportuno avviare negoziati e, in caso affermativo, quali questioni debbano riguardare. Si tratta di un aspetto fondamentale della loro autonomia.

2.18.

Nel contempo, il CESE esprime preoccupazione per la situazione poco chiara per quanto riguarda l’attuazione degli accordi delle parti sociali attraverso le direttive del Consiglio. Senza un processo più chiaro, l’ampio potere discrezionale della Commissione europea in materia, reso possibile dalle recenti sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea (7), rischia di avere la conseguenza indesiderata di scoraggiare le parti sociali dal negoziare questo tipo di accordi.

2.19.

Per questo motivo, il CESE invita nuovamente la Commissione a discutere della questione con le parti sociali, nel rispetto della loro autonomia e seguendo la procedura di cui all’articolo 155 del TFUE. Il CESE rinnova inoltre il suo invito alla Commissione a fornire criteri chiari e trasparenti relativi all’attuazione degli accordi settoriali tra le parti sociali (8).

3.   Osservazioni particolari

3.1.   Osservazioni particolari sulla comunicazione

3.1.1.

Nella comunicazione la Commissione offre il sostegno e la consulenza giuridica dei servizi della Commissione alle parti sociali che partecipano ai negoziati, in particolare su questioni che potrebbero avere un impatto negativo sull’attuazione di un accordo mediante il diritto dell’UE. È fondamentale che le parti sociali decidano di comune accordo se tale consulenza e sostegno siano necessari nel contesto dei loro negoziati.

3.1.2.

La Commissione fa inoltre riferimento alla prassi, confermata dalla sentenza della Corte C-928/19 P, di valutare, tra l’altro, l’opportunità di attuare l’accordo negoziato tra le parti sociali mediante il diritto dell’UE. La Commissione osserva che in tale contesto può essere effettuata una valutazione d’impatto. La Commissione si impegna a informare le rispettive parti sociali entro tre mesi in merito alle sue considerazioni preliminari, indicando eventualmente se sarà condotta una valutazione d’impatto.

3.1.3.

Sebbene il CESE riconosca il valore del sostegno e della consulenza offerti dalla Commissione, nonché l’impegno a rispettare determinati termini per effettuare le sue valutazioni, tali misure non sono sufficienti a dare al processo la chiarezza, la trasparenza e la prevedibilità di cui hanno bisogno i partner negoziali.

3.1.4.

Il CESE sottolinea l’importanza di un quadro adeguato di sostegno al dialogo sociale settoriale e prende atto della lettera aperta delle parti sociali settoriali europee (9). Le preoccupazioni delle organizzazioni settoriali in merito al finanziamento e all’organizzazione dei comitati di dialogo sociale settoriale meritano una seria considerazione.

3.1.5.

Per quanto riguarda la promozione del dialogo sociale tripartito europeo, il CESE accoglie con favore l’intenzione annunciata dalla Commissione di istituire un coordinatore del dialogo sociale in ciascuno dei suoi servizi. La presenza di detti coordinatori nelle direzioni generali e nei servizi pertinenti ha il potenziale di sensibilizzare e migliorare la qualità del dialogo sociale, aiutando in tal modo la Commissione a realizzare i benefici che un dialogo tripartito ben funzionante può apportare all’elaborazione delle politiche europee.

3.1.6.

Nel contesto del semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche e occupazionali, il CESE accoglie con favore il riconoscimento da parte della Commissione dell’importante ruolo svolto dalle parti sociali, se coinvolte in modo significativo e tempestivo a livello di UE e nazionale, per garantire che le riforme e gli investimenti siano concepiti e attuati in modo efficace. Tuttavia, sebbene a livello di UE i dialoghi strutturati siano organizzati periodicamente con le parti sociali durante i momenti chiave del ciclo del semestre, a livello nazionale i governi hanno troppo spesso ignorato il loro coinvolgimento, e la loro efficacia dipende in larga misura dalla buona volontà dei governi piuttosto che da prassi o norme consolidate.

3.1.7.

Il CESE concorda sul fatto che la promozione del dialogo sociale e della contrattazione collettiva sia importante anche nel contesto dei negoziati di allargamento in corso, e accoglie con favore il sostegno della Commissione a progetti volti a migliorare il dialogo sociale nei paesi candidati o potenziali candidati. Lo stesso vale per la politica europea di vicinato e i partenariati Global Gateway dell’UE, attraverso i quali l’Unione si impegna giustamente a difendere standard elevati in materia di diritti umani, sociali e dei lavoratori.

3.2.   Osservazioni particolari sulla raccomandazione

3.2.1.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la raccomandazione rispetti il ruolo e l’autonomia dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro nella contrattazione collettiva. Il CESE ritiene importante chiarire che il concetto di «organizzazioni di lavoratori» di cui al considerando 12 va interpretato in linea con la giurisprudenza degli organi di controllo dell’OIL (in particolare le convenzioni 98 e 154) e sopprimere il termine «generalmente» dallo stesso considerando 12. Inoltre, al considerando 13 sarebbe pertinente inserire un riferimento alla convenzione n. 98 dell’OIL, oltre alla convenzione n. 135.

3.2.2.

Il CESE accoglie con favore l’invito rivolto agli Stati membri a garantire che le parti sociali siano coinvolte in modo sistematico, tempestivo e significativo nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche, in particolare quelle riguardanti il semestre europeo e il dispositivo per la ripresa e la resilienza. Il CESE ritiene che l’istituzione di un quadro efficace comune da attuare a livello nazionale per il coinvolgimento delle parti sociali, nonché delle organizzazioni della società civile, potrebbe contribuire a garantire consultazioni efficaci e di qualità.

3.2.3.

Per quanto riguarda il semestre europeo, gli Stati membri dovrebbero avere l’obbligo di allegare ai programmi nazionali di riforma e di investimenti i risultati delle consultazioni con le parti sociali e la loro posizione o il loro contributo. Ciò vale anche per il FSE + e altri fondi di coesione, se del caso e nel pieno rispetto del principio di partenariato. In tutti i casi, è essenziale che le parti sociali siano effettivamente coinvolte e che tale coinvolgimento non sia ridotto a un mero esercizio formale. Inoltre, se non viene realizzato un coinvolgimento significativo, o se il dialogo sociale è compromesso a livello nazionale, la Commissione dovrebbe intervenire, ad esempio i progetti di piani/accordi di partenariato potrebbero rimanere in attesa di approvazione.

3.2.4.

I considerando della raccomandazione riconoscono che le direttive dell’UE in materia di appalti pubblici (10) impongono agli Stati membri di rispettare il diritto sindacale e di contrattazione collettiva. Il CESE ritiene che tale questione, strettamente legata all’obiettivo di aumentare la copertura della contrattazione collettiva, debba essere inclusa nelle raccomandazioni concrete rivolte agli Stati membri.

3.2.5.

La raccomandazione rileva che la capacità delle parti sociali nazionali in alcuni Stati membri deve essere rafforzata, in vista dell’attuazione a livello nazionale degli accordi dell’UE tra le parti sociali autonome. Il CESE ritiene che un più forte sostegno in tal senso (anche attraverso il FSE +) sarebbe utile a promuovere il dialogo sociale dell’UE a livello nazionale e migliorerà il processo di attuazione sul campo.

3.2.6.

Il CESE accoglie con favore la particolare attenzione dedicata ai finanziamenti nazionali e dell’UE disponibili per sostenere le parti sociali. Il FSE + è uno strumento prezioso per incrementare la capacità delle parti sociali (ivi comprese quelle che rappresentano le PMI e le microimprese) di partecipare ai dialoghi sociali tripartiti e bipartiti, ma anche per sostenere le azioni congiunte da esse intraprese per anticipare, cambiare e affrontare le conseguenze occupazionali e sociali delle sfide derivanti da diversi sviluppi socioeconomici, come ad esempio la transizione digitale e verde. Ciò dovrebbe essere chiaramente delineato nell’ambito di un approccio dedicato al sostegno allo sviluppo delle capacità per le parti sociali nell’ambito del FSE +.

3.2.7.

Poiché la Commissione riconosce giustamente il dialogo civile che coinvolge un insieme più ampio di soggetti interessati come un processo separato, il sostegno a titolo del FSE + dovrebbe seguire un approccio analogo. Le linee di bilancio dedicate alle parti sociali e alle organizzazioni della società civile (OSC) dovrebbero essere separate per delineare meglio i ruoli specifici e monitorare meglio i risultati. Inoltre, è necessaria una serie chiara di criteri per i test sugli aiuti di Stato (approvati dalla Commissione), in quanto questo sembra costituire un problema in alcuni Stati membri. Tali criteri dovrebbero essere applicati dalle autorità nazionali al momento di valutare la compatibilità delle attività di progetto delle parti sociali con le norme in materia di aiuti di Stato. La loro concezione dovrebbe rispecchiare il ruolo speciale delle parti sociali, al fine di facilitarne un migliore coinvolgimento e un contributo effettivo al dialogo sociale a diversi livelli (internazionale, UE, nazionale, regionale e settoriale). Norme analoghe dovrebbero essere elaborate per le OSC.

3.2.8.

Il CESE ritiene importante che la raccomandazione contenga disposizioni chiare ed efficaci in materia di monitoraggio. Si raccomanda agli Stati membri di presentare, entro 18 mesi dalla pubblicazione della raccomandazione, un elenco di misure per la sua attuazione, elaborate in consultazione con le parti sociali. La Commissione, da parte sua, intende elaborare indicatori concordati al fine di monitorare l’attuazione congiuntamente al comitato per l’occupazione e alle parti sociali pertinenti. Le parti sociali dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano nell’elaborazione di tali indicatori.

3.2.9.

Il CESE accoglie con favore l’affermazione della raccomandazione secondo cui tale monitoraggio dovrebbe consentire alle parti sociali, tra l’altro, di individuare le situazioni in cui sono state escluse o non adeguatamente coinvolte nelle consultazioni a livello nazionale sulle politiche dell’Unione e nazionali. Il CESE ritiene altresì importante definire un processo che dia seguito a queste azioni e che sia teso a migliorare la situazione.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Parere del CESE sul tema Dialogo sociale per la sostenibilità economica e la resilienza (GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14).

(2)  Parere del CESE sul tema Dialogo sociale per l’innovazione nell’economia digitale (GU C 159 del 10.5.2019, pag. 1).

(3)  Parere del CESE sul tema Dialogo sociale per la sostenibilità economica e la resilienza (GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14).

(4)  Parere del CESE sul tema Dialogo sociale per la sostenibilità economica e la resilienza (GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14).

(5)  Direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea (GU L 275 del 25.10.2022, pag. 33).

(6)  Pareri del CESE sui temi Dialogo sociale per la sostenibilità economica e la resilienza (GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14). e Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione (GU C 517 del 22.12.2021, pag. 97).

(7)  Sentenza del Tribunale del 24 ottobre 2019, T-310/18, e sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 2 settembre 2021, C-928/19 P.

(8)  Parere del CESE sul tema Dialogo sociale per la sostenibilità economica e la resilienza (GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14).

(9)  Lettera aperta delle parti sociali settoriali europee — EuroCommerce.

(10)  Direttive 2014/24/UE, cfr. GU L 94 del 28.3.2014, pag. 65, 2014/25/UE, cfr. GU L 94 del 28.3.2014, pag. 243 e 2014/23/UE, cfr. GU L 94 del 28.3.2014, pag. 1.


ALLEGATO

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso del dibattito, ma hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi (articolo 74, paragrafo 3, del Regolamento interno):

EMENDAMENTO 1

SOC/764

Rafforzare il dialogo sociale

Nuovo punto 2.3

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

Come riconosciuto nella comunicazione, le parti sociali hanno una conoscenza e un’esperienza senza pari della situazione occupazionale e sociale « sul campo » . Con il loro contributo è possibile conseguire il giusto equilibrio tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro e migliorare l’accettabilità e l’efficacia delle politiche e della legislazione. La Commissione sottolinea inoltre giustamente che le parti sociali rivestono un ruolo unico rispetto ad altri portatori di interessi.

Come riconosciuto nella comunicazione, con il contributo delle parti sociali è possibile conseguire il giusto equilibrio tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro e migliorare l’accettabilità e l’efficacia delle politiche e della legislazione. La Commissione sottolinea inoltre giustamente che le parti sociali rivestono un ruolo unico rispetto ad altri portatori di interessi. Tuttavia, il CESE sottolinea il valore della cooperazione e dello scambio di opinioni tra i partecipanti ai dialoghi sia sociali che civili. Molte organizzazioni della società civile possiedono altresì un’esperienza unica e conoscenze specifiche dal basso. Queste conoscenze possono essere utilizzate al di là del dialogo civile. Vale la pena di richiamare l’attenzione sulle pratiche esistenti in alcuni Stati membri, in cui i rappresentanti di specifiche organizzazioni della società civile sono invitati dalle parti sociali a riunioni, organizzate nel quadro del dialogo sociale, per essere ascoltati dalle parti sociali, che desiderano sfruttare le loro conoscenze, competenze ed esperienze.

Motivazione

In molti settori che riguardano la situazione sociale «sul campo», le conoscenze delle organizzazioni della società civile sono molto più ampie, ad esempio in materia di lotta contro la povertà, sostegno alle persone con disabilità o ad altri gruppi vulnerabili di cittadini, integrazione dei migranti, diritti delle minoranze etniche e aiuto ai minori a rischio di esclusione sociale. Questa realtà dovrebbe riflettersi nel parere esplorativo, al fine di evitare l’impressione che solo le parti sociali siano consapevoli della situazione sociale «sul campo». Le competenze sopramenzionate sono note, riconosciute e comprese dalle parti sociali di alcuni Stati membri, che invitano rappresentanti di specifiche organizzazioni della società civile a incontrare gli attori delle strutture di dialogo tripartito, al fine di approfondire le loro conoscenze e arricchire la loro esperienza.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

83

Voti contrari:

153

Astensioni:

9

EMENDAMENTO 2

SOC/764

Rafforzare il dialogo sociale

Nuovo punto 2.4

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

Come indicato nella raccomandazione, il ruolo specifico delle organizzazioni delle parti sociali dovrebbe essere pienamente riconosciuto e rispettato nelle strutture e nei processi del dialogo sociale, riconoscendo nel contempo che il dialogo civile, che coinvolge un gruppo più ampio di parti interessate su una gamma più ampia di temi, costituisce un processo separato.

Come indicato nella raccomandazione, il ruolo specifico delle organizzazioni delle parti sociali dovrebbe essere pienamente riconosciuto e rispettato nelle strutture e nei processi del dialogo sociale, riconoscendo nel contempo che il dialogo civile, che coinvolge un gruppo più ampio di parti interessate su una gamma più ampia di temi, costituisce un processo separato. Il CESE sottolinea la necessità di una cooperazione e di uno scambio di vedute tra i partecipanti al dialogo sociale e civile, in quanto i principali rappresentanti degli interessi di molti gruppi sociali non sono parti sociali ma sono altre organizzazioni della società civile. È pertanto necessario evitare situazioni in cui gli accordi tra le parti sociali siano conclusi senza tenere conto delle opinioni e delle argomentazioni di altre organizzazioni della società civile, che rappresentano i cittadini europei e che hanno un impatto significativo sulla loro vita.

Motivazione

L’emendamento mira a sottolineare che gli interessi di altri gruppi, non «coperti» in modo significativo dalle parti sociali e rappresentati per lo più da altre organizzazioni della società civile, devono essere presi in considerazione nello svolgimento del dialogo sociale.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

79

Voti contrari:

157

Astensioni:

7

EMENDAMENTO 3

SOC/764

Rafforzare il dialogo sociale

Punto 3.1.5

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

Per quanto riguarda la promozione del dialogo sociale tripartito europeo, il CESE accoglie con favore l’intenzione annunciata dalla Commissione di istituire un coordinatore del dialogo sociale in ciascuno dei suoi servizi. La presenza di detti coordinatori nelle direzioni generali e nei servizi pertinenti ha il potenziale di sensibilizzare e migliorare la qualità del dialogo sociale, aiutando in tal modo la Commissione a realizzare i benefici che un dialogo tripartito ben funzionante può apportare all’elaborazione delle politiche europee.

Per quanto riguarda la promozione del dialogo sociale tripartito europeo, il CESE accoglie con favore l’intenzione annunciata dalla Commissione di istituire un coordinatore del dialogo sociale in ciascuno dei suoi servizi. La presenza di detti coordinatori nelle direzioni generali e nei servizi pertinenti ha il potenziale di sensibilizzare e migliorare la qualità del dialogo sociale, aiutando in tal modo la Commissione a realizzare i benefici che un dialogo tripartito ben funzionante può apportare all’elaborazione delle politiche europee. Al tempo stesso, il CESE sottolinea la necessità di prevedere coordinatori simili in ciascuna direzione generale della Commissione europea, al fine di promuovere il dialogo civile europeo. Entrambi i dialoghi dovrebbero essere rafforzati parallelamente dalla Commissione, senza alcuna preferenza per l’uno o per l’altro.

Motivazione

La Commissione europea propone ora di creare un coordinatore specifico per il dialogo sociale in ciascuna direzione generale e in altri servizi della Commissione. Si tratta di un investimento molto importante in termini di risorse umane dedicate al rafforzamento del dialogo sociale, in quanto vi sono ben 30 DG e molti altri servizi. L’istituzione di un coordinatore speciale per il dialogo sociale almeno in alcune DG solleva dubbi, dato che si tratta di ambiti di intervento in cui prevalgono organizzazioni della società civile diverse dalle parti sociali, ad esempio: l’ambiente, il clima, l’agricoltura e lo sviluppo rurale, l’istruzione, la gioventù, lo sport e la cultura, la giustizia e i consumatori. Sono necessarie azioni simultanee a sostegno del dialogo civile: non vi è motivo che la Commissione europea si occupi specificamente di un solo tipo di dialogo, destinando al suo rafforzamento risorse umane significative, che in totale possono superare le 50 persone.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

78

Voti contrari:

156

Astensioni:

7

EMENDAMENTO 4

SOC/764

Rafforzare il dialogo sociale

Nuovo punto 1.7

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

Come indicato nella raccomandazione, il ruolo specifico delle organizzazioni delle parti sociali dovrebbe essere pienamente riconosciuto e rispettato nelle strutture e nei processi del dialogo sociale, riconoscendo nel contempo che il dialogo civile, che coinvolge un gruppo più ampio di parti interessate su una gamma più ampia di temi, costituisce un processo separato. Questa distinzione dovrebbe essere fatta anche nel sostegno allo sviluppo delle capacità a favore delle parti sociali e della società civile in generale.

Come indicato nella raccomandazione, il ruolo specifico delle organizzazioni delle parti sociali dovrebbe essere pienamente riconosciuto e rispettato nelle strutture e nei processi del dialogo sociale, riconoscendo nel contempo che il dialogo civile, che coinvolge un gruppo più ampio di parti interessate su una gamma più ampia di temi, costituisce un processo separato. Questa distinzione dovrebbe essere fatta anche nel sostegno allo sviluppo delle capacità a favore delle parti sociali e della società civile in generale. Al tempo stesso il CESE sottolinea il valore della cooperazione e dello scambio di opinioni tra i partecipanti ai dialoghi sia sociali che civili. Molte organizzazioni della società civile possiedono altresì un’esperienza unica e conoscenze specifiche dal basso. Queste conoscenze possono essere utilizzate al di là del dialogo civile.

Motivazione

Garantire coerenza con la struttura centrale del testo.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

83

Voti contrari:

153

Astensioni:

9


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla raccolta e sul trasferimento delle informazioni anticipate sui passeggeri (API) al fine di migliorare e agevolare i controlli alle frontiere esterne, che modifica il regolamento (UE) 2019/817 e il regolamento (UE) 2018/1726 e abroga la direttiva 2004/82/CE del Consiglio

[COM(2022) 729 final]

e sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla raccolta e sul trasferimento di informazioni anticipate sui passeggeri a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale riguardo ai reati di terrorismo e ai reati gravi, e che modifica il regolamento (UE) 2019/818

[COM(2022) 731 final]

(2023/C 228/13)

Relatore:

Tymoteusz Adam ZYCH

Consultazione

Commissione europea, 8.2.2023

Base giuridica

Articolo 77, paragrafo 2, lettere b) e d) e articolo 79, paragrafo 2, lettera c) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

3.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

137/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore le proposte della Commissione europea relative alle informazioni anticipate sui passeggeri (1), considerando la necessità di una raccolta e di un trasferimento efficaci delle informazioni anticipate sui passeggeri (API) e dei dati del codice di prenotazione (PNR) ai fini della gestione delle frontiere e della lotta all’immigrazione illegale, nonché per motivi di sicurezza, compresa la necessità di prevenire e combattere il terrorismo e i reati gravi.

1.2.

Il CESE è convinto che, finché i dati API e PNR rimarranno oggetto delle direttive in vigore (direttiva API (2) e direttiva PNR (3)), continueranno a registrarsi indesiderabili disparità nell’attuazione di tali direttive a livello nazionale.

1.3.

I regolamenti in esame sono necessari al fine di armonizzare l’attuazione di queste direttive e aumentare l’efficienza della raccolta e del trasferimento dei dati API e PNR, poiché elimineranno le differenze derivanti dalle diverse prassi degli Stati membri, rafforzeranno la certezza del diritto, accelereranno il flusso di passeggeri e ridurranno le difficoltà amministrative per i vettori aerei.

1.4.

Il CESE sottolinea l’importanza della Carta dei diritti fondamentali dell’UE («la Carta») nell’applicazione dei regolamenti proposti. Si dovrebbero prendere attentamente in considerazione i diritti dei gruppi vulnerabili, e in particolare delle persone con disabilità.

1.5.

Un argomento importante a favore dell’adozione delle proposte in esame sono le critiche mosse alle attuali direttive API e PNR a causa della loro non conformità alle norme vigenti in materia di protezione dei dati.

1.6.

Il CESE riconosce la necessità di sostenere i costi generati da eu-LISA per progettare, sviluppare, ospitare e gestire tecnicamente il router, costi che devono essere a carico del bilancio generale dell’UE, nonché quelli sostenuti dagli Stati membri in relazione alla loro connessione e integrazione con il router.

1.7.

Tuttavia, il CESE osserva che i regolamenti proposti introducono dei cambiamenti giuridici significativi, oltre alle profonde modifiche sul piano tecnico del sistema attualmente in funzione. I nuovi quadri per i dati API e PNR richiedono pertanto un monitoraggio costante e approfondito, effettuato non solo a livello degli Stati membri, ma anche della Commissione, dei vettori aerei e delle autorità competenti, oltre che da parte di eu-LISA, in particolare per quanto riguarda i dati personali. Per questo motivo, il CESE osserva che è assolutamente necessario avviare una campagna d’informazione sulla nuova legislazione e azioni di formazione dei vettori aerei. Raccomanda inoltre di effettuare audit più frequenti, nonché di prendere in considerazione l’introduzione di procedure supplementari per monitorare il funzionamento dei nuovi quadri per la raccolta e il trasferimento dei dati API e PNR.

1.8.

Il CESE è consapevole del fatto che l’ambito di applicazione dei regolamenti proposti non copre tutti i passeggeri che attraversano le frontiere esterne dell’UE. Tuttavia, tenuto conto del principio di proporzionalità e della specificità del trasporto aereo, in questa fase sembra giustificato limitare l’ambito di applicazione delle proposte in esame a tale modo di trasporto. Quando i regolamenti proposti saranno oggetto di una valutazione d’impatto ex post, si suggerisce alla Commissione di valutare la necessità di estenderne l’ambito di applicazione per includervi altri modi di trasporto, in particolare il trasporto marittimo.

1.9.

Inoltre, il CESE comprende le preoccupazioni sollevate in merito all’applicazione pratica delle disposizioni contenute nelle proposte. Raccomanda di chiarire ulteriormente le disposizioni relative alle sanzioni imposte agli operatori privati nel settore dell’aviazione. Tenuto conto dell’impossibilità pratica di garantire che i dati API siano esatti al 100 %, si propone inoltre di prendere in considerazione una «soglia di tolleranza» a livello dell’UE per gli errori nella raccolta e nel trasferimento dei dati e di chiarire che le sanzioni sono imposte ai vettori non cooperativi, o solo se non viene raggiunto il livello minimo accettabile di qualità per i dati API (definito a livello dell’UE).

2.   Introduzione

2.1.

Il presente parere si concentra principalmente sulla proposta di regolamento sulla raccolta e il trasferimento di dati API per la gestione delle frontiere (4) ed esamina inoltre brevemente, al punto 7, la seconda proposta di regolamento sulla raccolta e il trasferimento di dati API nel contesto di reati gravi e di reati di terrorismo (5), che si applica ai dati PNR a causa delle modifiche previste ai dati API.

2.2.

I regolamenti proposti si applicano solamente al trasporto aereo e non ad altri modi di trasporto, ad esempio il trasporto via mare o via terra. Essi si applicano sia ai voli charter che ai voli d’affari.

2.3.

I regolamenti proposti abrogheranno la direttiva API in vigore e, una volta adottati, faranno parte dell’acquis di Schengen.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE riconosce che, a causa dell’accresciuta popolarità dei viaggi aerei, gli attuali sistemi di servizi passeggeri non sono sufficientemente efficaci e devono essere migliorati, in particolare al fine di garantire un flusso regolare di passeggeri. Nel 2019, secondo i dati dell’Organizzazione dell’aviazione civile internazionale, 4,5 miliardi di passeggeri hanno usufruito dei trasporti aerei su servizi di linea, con oltre mezzo miliardo di passeggeri che entrano nell’UE o ne escono ogni anno. Né la pandemia di COVID-19 né l’invasione russa in Ucraina hanno modificato questa situazione, il che rende necessario cercare soluzioni innovative per accelerare e migliorare il processo di controllo alle frontiere. Nonostante il crollo del traffico aereo verificatosi nel periodo 2020-2021 a causa della pandemia di COVID-19, oggi si assiste a una ripresa dei viaggi aerei.

3.2.

D’altro canto, il CESE è consapevole del fatto che, indipendentemente dall’efficienza dei controlli e dalla rapidità del processo di assistenza ai passeggeri aerei, sono necessari strumenti efficaci per contrastare il fenomeno dell’immigrazione illegale e per rendere sicure le frontiere dell’UE.

3.3.

Secondo il CESE, l’uso di sistemi automatici di raccolta dei dati può offrire notevoli vantaggi, tra cui una maggiore efficienza, lo sviluppo tecnologico, il miglioramento della qualità e l’accelerazione dell’acquisizione dei dati.

3.4.

Come per ogni tecnologia innovativa, l’automazione della raccolta e del trasferimento dei dati comporta anche rischi e sfide politiche complesse in settori quali la sicurezza, la protezione e il monitoraggio, gli aspetti socioeconomici, l’etica e la vita privata, l’affidabilità ecc.

3.5.

I dati API sono una serie di informazioni sull’identità dei passeggeri contenute nei loro documenti di viaggio, combinate con le informazioni sui voli raccolte al check-in e successivamente trasferite alle autorità di frontiera del paese di destinazione. Le informazioni API comprendono i dati biografici del passeggero, idealmente rilevati dalla zona a lettura ottica dei documenti di viaggio, nonché alcune informazioni relative al volo.

3.6.

Il sistema di raccolta e trasferimento dei dati API si basa sulla trasmissione di tali dati alle autorità competenti prima dell’arrivo di un volo, in modo che esse possano effettuare uno screening preliminare dei viaggiatori, conformemente alla legislazione applicabile, sulla base di profili di rischio, elenchi di controllo e banche dati.

3.7.

Il CESE è consapevole del fatto che l’attuale direttiva impone ai vettori aerei l’obbligo di trasferire i dati API, su richiesta, alle autorità di frontiera del paese di destinazione prima del decollo del volo; tuttavia, essa non impone agli Stati membri l’obbligo di richiedere i dati API ai vettori aerei. Di conseguenza, le autorità degli Stati membri agiscono in modo incoerente: alcune richiedono i dati API, altre no. Secondo la relazione, si stima che i dati API siano raccolti per il 65 % dei voli in arrivo e quindi, nella pratica, è facile aggirare i controlli e le verifiche. Inoltre, come sottolineato dalla Commissione europea nella sua valutazione della direttiva API (6), anche quando gli Stati membri richiedono i dati API, le loro autorità nazionali non sempre li utilizzano in modo coerente.

3.8.

Il CESE è consapevole delle carenze dell’attuale sistema istituito dalla direttiva. Come dimostrato dalla suddetta valutazione, la mancanza di standardizzazione e armonizzazione comporta una riduzione dei vantaggi derivanti dal trattamento dei dati API, creando un onere per i portatori di interessi e generando un certo livello di incertezza giuridica.

3.9.

Il CESE ravvisa inoltre nell’utilizzo di sistemi automatici di raccolta dei dati una potenziale minaccia per i lavoratori del settore dell’aviazione. Secondo il CESE, quindi, è necessario prevedere per questi lavoratori delle azioni di formazione, che potrebbero avere una loro utilità nell’affrontare i potenziali problemi derivanti dall’attuazione dei regolamenti proposti.

3.10.

Tuttavia, il CESE osserva che la proposta di regolamento sulla gestione delle frontiere non dovrebbe avere un impatto negativo sul livello di occupazione e sulla situazione dei lavoratori, bensì tradursi solo in una maggiore efficienza e affidabilità dei metodi di raccolta e trasferimento dei dati, già attuati con procedure automatizzate.

4.   La necessità che il nuovo regolamento API rafforzi e agevoli i controlli alle frontiere

4.1.

Le esperienze relative all’applicazione e alla valutazione della direttiva in vigore hanno messo in luce numerose lacune del sistema attuale, tra cui inefficienza, intensità dei costi e difficoltà formali e amministrative per i vettori. Inoltre, alcune disposizioni della direttiva sono poco chiare, suscitano dubbi interpretativi e discrepanze nella loro applicazione negli Stati membri, e presentano incoerenze rispetto ad altre disposizioni del diritto dell’UE.

4.2.

Le principali lacune dell’attuale direttiva sono le seguenti:

oggi i vettori aerei sono tenuti a comprendere i sistemi nazionali di trasferimento dei dati API dei singoli Stati membri e ad adattarvisi;

attualmente, in alcuni casi i vettori sono tenuti a trasmettere gli stessi dati a diverse autorità;

attualmente, anche il numero e il tipo di dati richiesti dalle autorità competenti variano da uno Stato membro all’altro;

l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva fornisce un elenco non esaustivo dei dati, e tale elenco non è in linea con le norme internazionali;

l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva consente la trasmissione dei dati «per via elettronica o, se ciò non fosse possibile, con altri mezzi appropriati», il che non impone un protocollo e un formato specifici per tali messaggi. Oltre a comportare un onere aggiuntivo per i vettori (dovendo essi, ad esempio, rispettare i diversi formati richiesti dalle autorità competenti per la trasmissione dei dati), ciò incide anche sulla tempestività e sulla qualità dei dati API, e quindi sulla loro utilità;

le procedure operative per la raccolta, la trasmissione, il trattamento e l’analisi dei dati API variano da uno Stato membro all’altro in termini di metodi, tempi, formato e frequenza di trasmissione;

di per sé, la direttiva non prevede garanzie dettagliate per la protezione dei dati personali (ad eccezione dell’articolo 6, paragrafo 1, che stabilisce che, ai fini del controllo alle frontiere e della migrazione, le autorità devono cancellare i dati API entro 24 ore dalla loro trasmissione), mentre articoli analoghi di altri atti giuridici, quali il regolamento EES (Entry/Exit System = sistema di ingressi/uscite) (capo VII, articoli da 51 a 59), il regolamento ETIAS (European Travel Information and Authorisation System = sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi) (capo XII, «Protezione dei dati», articoli da 59 a 70) e la direttiva PNR (articoli 12 e 13), contengono disposizioni più dettagliate sulla protezione dei dati.

4.3.

Un argomento importante a favore dell’adozione del regolamento proposto sono anche le critiche mosse alla direttiva a causa della non conformità alle norme vigenti in materia di protezione dei dati. Innanzitutto, la direttiva suscita le seguenti perplessità:

l’elenco dei dati API richiesti ai vettori aerei non è esaustivo, il che è contrario al principio della minimizzazione dei dati;

la finalità della raccolta dei dati API (a fini di controllo alle frontiere e/o di contrasto) non è chiara;

dal punto di vista dei requisiti in materia di controllo alle frontiere, il limite di conservazione dei dati di 24 ore è troppo breve e poco pratico;

le norme sulla conservazione e sul successivo utilizzo dei dati non sono sufficientemente definite e chiare.

4.4.

Per rimediare alle lacune individuate, il regolamento proposto prevede la creazione di un router API centrale al fine di rafforzare le verifiche preliminari alle frontiere esterne pertinenti con dati API completi e di qualità elevata, oltre che per agevolare il flusso dei viaggiatori.

5.   Ambito di applicazione e livello del regolamento

5.1.

Alla luce dei riscontri di cui sopra, il CESE rileva che l’introduzione di un sistema uniforme a livello dell’UE per tutti gli Stati membri consentirà, tra l’altro, lo sviluppo di un approccio basato sullo «sportello unico», che prevede cioè di centralizzare il processo di raccolta di tutti i dati provenienti dai vettori per poi trasferirli alle autorità competenti. Un sistema unificato consentirebbe di migliorare la qualità dei dati ottenuti e anche di automatizzare completamente l’intero processo, riducendo i costi per gli enti pubblici, i vettori e i viaggiatori stessi.

5.2.

Il regolamento proposto mira a unificare e semplificare la procedura di raccolta e trasferimento dei dati API, il che è vantaggioso non solo dal punto di vista delle autorità degli Stati membri, ma soprattutto dal punto di vista del settore dell’aviazione, anche se obbligherà gli operatori a raccogliere e trasferire i dati API per tutti i voli verso l’UE. Tuttavia, il regolamento proposto apporterà certezza del diritto e prevedibilità, e quindi aumenterà anche la conformità da parte dei vettori aerei.

5.3.

Il CESE ritiene che, al fine di garantire che gli obiettivi perseguiti dalla direttiva API siano conseguiti in maniera più efficace, sia preferibile intervenire con l’adozione del regolamento proposto. È improbabile che i benefici derivanti dall’attuazione dei sistemi API da parte dei paesi che li adottano sarebbero stati conseguiti senza l’intervento dell’UE. In sintesi, l’idea alla base della proposta di regolamento è la convinzione che la mancanza di armonizzazione nell’attuazione della direttiva costituisca un ostacolo alla sua efficacia e coerenza.

5.4.

Il CESE rileva inoltre la necessità di modificare la direttiva a causa del tempo trascorso dalla sua entrata in vigore, tenuto conto, in particolare, degli sviluppi nel campo delle tecnologie dell’informazione registrati dal 2004. Secondo la proposta di regolamento, il nuovo sistema sarà pienamente compatibile con le soluzioni già in uso, ossia il sistema d’informazione Schengen (SIS), il sistema di informazione visti (VIS), il sistema Eurodac, il sistema di ingressi/uscite (EES), il sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS) e il sistema centralizzato per individuare gli Stati membri in possesso di informazioni sulle condanne pronunciate a carico di cittadini di paesi terzi e apolidi (ECRIS-TCN — European Criminal Records Information System for Third-Country Nationals).

6.   L’efficacia delle soluzioni proposte

6.1.

Il CESE sostiene l’adozione di soluzioni che garantiscano controlli efficaci alle frontiere esterne e un approccio coerente in tutto lo spazio Schengen, anche per quanto riguarda la possibilità di verifiche preliminari dei viaggiatori sulla base di dati API.

6.2.

Tuttavia, indipendentemente dal sostegno generale alla proposta di regolamento, il CESE è preoccupato per i rischi di abuso legati alla centralizzazione del processo di raccolta e trasferimento dei dati API, tra cui in particolare i dati personali. Tali timori sono giustificati anche dal fatto che il router attraverso il quale i dati saranno trasmessi è ancora in fase di pianificazione: il compito di progettazione, costruzione, sviluppo, gestione e manutenzione tecnica è stato delegato all’agenzia eu-LISA.

6.3.

Il CESE riconosce che l’adozione del regolamento proposto avrà ripercussioni sul bilancio e sulle esigenze di personale sia di eu-LISA che delle autorità di frontiera competenti degli Stati membri. Si stima che i costi aggiuntivi comprenderanno 45 milioni di EUR (33 milioni di EUR nell’ambito dell’attuale QFP) per la creazione del router e 9 milioni di EUR all’anno a partire dal 2029 per la sua gestione tecnica, e circa 27 milioni di EUR per gli Stati membri, il tutto a carico del bilancio dell’UE.

6.4.

Il CESE apprezza la specificazione precisa e completa dei dati inclusi nelle informazioni API (definiti all’articolo 4, paragrafi 2 e 3, della proposta) per migliorare e facilitare i controlli alle frontiere esterne.

6.5.

Il CESE sottolinea che il regolamento proposto consente alla Commissione di chiarire numerose questioni più specifiche, in particolare di carattere tecnico, mediante atti delegati emanati successivamente. Pertanto, la valutazione finale della proposta di regolamento dipende dalle disposizioni dettagliate che saranno emanate in futuro, nonché dalla qualità delle soluzioni tecniche adottate.

6.6.

Di conseguenza, il CESE ha l’obbligo di mettere in evidenza le preoccupazioni in materia di sicurezza relative alla protezione dei dati. Secondo il CESE, un’efficace protezione dei dati deve essere considerata soprattutto nel contesto della protezione dei diritti fondamentali, in particolare il diritto alla riservatezza e il diritto alla protezione dei dati personali, di cui un corollario è il diritto ad essere informati sull’acquisizione, lo stoccaggio e il trattamento dei propri dati personali. Pertanto, il CESE è pienamente favorevole a un nuovo obbligo di effettuare audit periodici della protezione dei dati personali. Al tempo stesso, il CESE suggerisce di valutare se le autorità nazionali competenti per la protezione dei dati debbano garantire che il trattamento dei dati API che costituiscono dati personali sia sottoposto ad audit con maggiore frequenza rispetto a una volta ogni quattro anni.

6.7.

Per ottenere le migliori prestazioni possibili del router, è necessario garantire la cooperazione tra eu-LISA, gli Stati membri e i vettori aerei. Di conseguenza, l’obbligo di eu-LISA di impartire una formazione sull’uso tecnico del router ai soggetti interessati è un passo positivo.

6.8.

Il CESE, ispirandosi al principio di proporzionalità e all’esigenza di garantire la massima protezione dei dati personali, è favorevole ad escludere dall’obbligo statistico dati quali la cittadinanza, il genere e la data di nascita.

7.   L’importanza del regolamento PNR (seconda proposta di regolamento)

7.1.

Il CESE ritiene che il secondo dei regolamenti proposti rappresenti una modifica necessaria e coerente del sistema di raccolta e trasmissione dei dati PNR in relazione alla riforma dei dati API.

7.2.

Di conseguenza, l’unificazione del sistema attraverso l’adozione di entrambi i regolamenti a livello dell’UE e la creazione di un router gestito da eu-LISA aumenterà anche la sicurezza attraverso un processo più efficace di individuazione dei viaggiatori ad alto rischio e confermerà il modello di viaggio delle persone sospette.

8.   Il costo dei regolamenti

8.1.

Il CESE conclude che l’adozione dei regolamenti proposti genererà costi a carico del bilancio dell’UE, spese per gli Stati membri ed esigenze di investimenti da parte del settore dell’aviazione (stimati a circa 75 milioni di EUR, secondo la valutazione d’impatto), ma che, nel complesso, i benefici saranno superiori ai costi, poiché questi ultimi saranno compensati dall’approccio razionalizzato e centralizzato in materia di trasmissione dei dati alle autorità nazionali competenti.

8.2.

Le proposte di regolamento in esame riducono i costi operativi e anche le sanzioni generalmente imposte in caso di dati di viaggio carenti o mancanti. Inoltre, l’entrata in vigore dei due regolamenti migliorerà la sorveglianza degli attraversamenti di frontiera, il lavoro dei servizi aeroportuali e delle autorità di frontiera nazionali e contribuirà anche ad aumentare la sicurezza e a contrastare l’immigrazione illegale. Tenuto conto di quanto precede, il CESE ritiene che l’adozione dei regolamenti proposti sia giustificata alla luce dell’analisi costi-benefici positiva, come indicato nella valutazione d’impatto della Commissione.

9.   Osservazioni particolari

9.1.

Il Comitato sottolinea l’importanza della Carta dei diritti fondamentali dell’UE nel processo di applicazione dei regolamenti proposti, con particolare riguardo ai gruppi vulnerabili, comprese le persone con disabilità. È opportuno tenere conto, a questo proposito, della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) e del contesto delle cause attualmente pendenti.

9.2.

La giurisprudenza della CGUE è particolarmente importante per le nuove norme sulla raccolta e il trasferimento dei dati PNR nell’ambito del quadro istituzionale proposto, in particolare la sentenza nella causa C-817/19. Il CESE suggerisce inoltre che la terminologia di entrambe le proposte di regolamento tenga conto della giurisprudenza consolidata della CGUE.

9.3.

Come osservato al punto 1.6 del presente parere, il CESE ritiene che, in questa fase, l’ambito di applicazione delle proposte in esame sia giustificato. Tuttavia, quando i regolamenti proposti saranno oggetto di una valutazione d’impatto ex post, si suggerisce alla Commissione di valutare la necessità di estenderne l’ambito di applicazione per includervi altri modi di trasporto, in particolare il trasporto marittimo. In tale valutazione dovrebbero essere presi in considerazione fattori quali la specificità di ciascun modo di trasporto, gli oneri amministrativi imposti ai vettori, nonché l’efficacia e l’efficienza per quanto riguarda la sicurezza delle frontiere dell’UE.

9.4.

Come indicato al punto 1.7 del presente parere, il CESE suggerisce di chiarire ulteriormente quali siano le sanzioni imposte agli operatori privati nel settore dell’aviazione, di prendere in considerazione una «soglia di tolleranza» a livello dell’UE per gli errori nella raccolta e nel trasferimento dei dati e di precisare che le sanzioni sono imposte solo a determinate condizioni.

9.5.

Il CESE osserva che l’entrata in vigore dei regolamenti proposti dovrebbe essere accompagnata da una vasta campagna d’informazione, che potrebbe contribuire a comunicarne gli obiettivi ai cittadini e ridurre la probabilità che sorgano circostanze impreviste nel momento in cui le nuove disposizioni verranno attuate.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Le proposte sono due: a) la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla raccolta e sul trasferimento delle informazioni anticipate sui passeggeri (API) al fine di migliorare e agevolare i controlli alle frontiere esterne, che modifica il regolamento (UE) 2019/817 e il regolamento (UE) 2018/1726 e abroga la direttiva 2004/82/CE del Consiglio; e b) la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla raccolta e sul trasferimento di informazioni anticipate sui passeggeri a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale riguardo ai reati di terrorismo e ai reati gravi, e che modifica il regolamento (UE) 2019/818.

(2)  Direttiva 2004/82/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, concernente l'obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate (GU L 261 del 6.8.2004, pag. 24).

(3)  Direttiva (UE) 2016/681 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 132).

(4)  COM(2022) 729 final.

(5)  COM(2022) 731 final.

(6)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione europea, Evaluation of the Council Directive 2004/82/EC on the obligation of carriers to communicate passenger data (API Directive) [Valutazione della direttiva 2004/82/CE del Consiglio concernente l’obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate], Bruxelles, 8.9.2020, SWD(2020) 174 final.


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/103


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’omologazione di veicoli a motore e motori, nonché di sistemi, componenti ed entità tecniche indipendenti destinati a tali veicoli, per quanto riguarda le relative emissioni e la durabilità delle batterie (Euro 7), che abroga i regolamenti (CE) n. 715/2007 e (CE) n. 595/2009

[COM(2022) 586 final — 2022/0365(COD)]

(2023/C 228/14)

Relatore:

Bruno CHOIX

Correlatore:

Guido NELISSEN

Consultazione

Parlamento europeo, 15.12.2022

Consiglio dell’Unione europea, 21.12.2022

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali

Adozione in sezione

27.3.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

140/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’industria automobilistica ha avviato la più grande trasformazione della sua storia, ossia la decarbonizzazione e la digitalizzazione del trasporto su strada. Questo nuovo paradigma avrà un impatto profondo sulla struttura dell’industria, come pure sulla quantità e sulla qualità dei posti di lavoro. Data la portata della transizione, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esorta ad adottare una politica industriale globale che integri le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, ambientale e sociale. La dimensione occupazionale va affrontata intensificando gli sforzi in materia di formazione professionale e miglioramento delle competenze/riqualificazione dei lavoratori, nonché attraverso programmi regionali/locali di riconversione economica e riclassificazione professionale. Quest’impegno deve essere sostenuto da un dialogo sociale consolidato e dall’ambizione di garantire il mantenimento/la creazione di posti di lavoro dignitosi nel settore.

1.2.

Il CESE è favorevole all’introduzione delle norme di emissione Euro 7 quale elemento importante per conseguire gli obiettivi dell’UE in materia di qualità dell’aria ambiente. Allo stesso tempo, ciò consentirà all’UE di mantenere anche la sua leadership industriale nelle tecnologie automobilistiche pulite.

1.3.

Il Comitato accoglie con favore i numerosi miglioramenti apportati alla proposta di regolamento: prevenzione della manomissione, uso delle tecnologie digitali, riduzione della complessità, integrazione dei veicoli elettrici e delle emissioni diverse da quelle dello scarico.

1.4.

Per una serie di motivi, il CESE raccomanda di adottare un approccio «realistico» ed «efficace sotto il profilo dei costi» nella definizione delle nuove norme in materia di emissioni:

1.4.1.

rispetto del principio di proporzionalità: poiché è probabile che i motori a combustione interna diventino una tecnologia obsoleta a partire dal 2035, i bilanci necessari per conformarsi alle nuove norme non saranno più disponibili per investire direttamente in gruppi motopropulsori puliti;

1.4.2.

la mobilità automobilistica individuale deve rimanere finanziariamente accessibile al fine di evitare la «povertà di mobilità» (dato che non vi è sufficiente disponibilità di opzioni alternative di trasporto al di fuori degli agglomerati urbani);

1.4.3.

un costo troppo elevato delle norme di emissione Euro 7 rischia di essere controproducente, in quanto i consumatori rinvieranno la sostituzione della loro autovettura e continueranno a utilizzare il loro attuale veicolo, più inquinante, limitando in tal modo i potenziali benefici per la salute derivanti dalle norme di emissione Euro 7.

1.5.

È pertanto importante che tutti gli elementi del nuovo regolamento si basino su un’analisi scientifica del rapporto costi-benefici. A tale riguardo, è indispensabile che tutte le parti interessate abbiano la stessa comprensione delle modalità con cui vengono calcolati i costi delle nuove norme.

1.6.

Il CESE ritiene che offrire incentivi ai consumatori accelererebbe il rinnovo del parco auto e apporterebbe notevoli benefici per la salute, in quanto la sostituzione dei veicoli da Euro 1/I a 5/V con veicoli Euro 6/VI comporterebbe una riduzione dell’80 % delle emissioni di NOx.

1.7.

Il CESE chiede un processo di adozione rapida del regolamento, come pure un termine minimo di due anni per le autovetture/veicoli commerciali e di tre anni per gli autobus/veicoli pesanti per garantire la fattibilità tecnica ed economica del regolamento proposto.

2.   Contesto della proposta

2.1.

Il settore automobilistico rappresenta circa il 10 % del valore aggiunto generato dall’industria nell’UE e dà lavoro a 13 milioni di europei, ossia quasi il 7 % della popolazione attiva dell’UE.

2.2.

In costante crescita da oltre un secolo, dal 2018 l’industria automobilistica si trova ad affrontare una recessione e una crisi del suo modello economico. Il persistere delle situazioni di crisi ha portato a una revisione negativa delle prospettive di ripresa della produzione automobilistica mondiale, in particolare in Europa.

2.3.

Al tempo stesso, tuttavia, gli attori della filiera automobilistica devono avviare le trasformazioni più profonde che tale prodotto abbia mai conosciuto dalla sua invenzione: l’elettrificazione del gruppo motopropulsore e la digitalizzazione del veicolo.

2.4.

Di fronte a questa transizione strutturale, l’industria automobilistica si trova in una fase impegnativa in termini di investimenti, che incide sul suo modello economico, finanziata con la riduzione degli investimenti nelle tecnologie storiche (tra cui i motori termici) e l’abbassamento dei costi di produzione.

2.5.

Inoltre, l’introduzione dell’elettronica di potenza e del digitale apre la porta a nuovi concorrenti e ridistribuisce le carte nel settore, rendendo più fragile la posizione dei fornitori storici. Questa transizione è un fattore importante di evoluzione dell’occupazione.

2.6.

In termini quantitativi, l’occupazione in questo settore industriale è in calo, in linea con la riduzione delle capacità e la semplificazione dei nuovi sistemi di trazione. Dal punto di vista qualitativo, si assiste ad una trasformazione significativa di questi posti di lavoro: le esigenze dell’elettrificazione e della digitalizzazione richiedono il rafforzamento del know-how all’interno del settore automobilistico in nuovi ambiti di competenza.

2.7.

Queste dinamiche occupazionali si riscontrano anche nel settore dei servizi automobilistici: i nuovi sistemi di trazione riducono le esigenze di manutenzione e comportano un’evoluzione delle competenze.

2.8.

È in tale contesto che, dopo ripetuti rinvii, il 10 novembre 2022 è stata pubblicata la proposta della Commissione europea relativa a nuove norme di emissione Euro 7 per autovetture, veicoli commerciali, autocarri e autobus.

2.9.

La proposta di nuove norme di emissione Euro 7 rientra in una serie molto più ampia di politiche dell’UE volte a contrastare l’inquinamento atmosferico legato ai trasporti. Le normative europee in materia di qualità dell’aria ambiente, controlli tecnici periodici, emissioni di CO2, qualità dei carburanti, infrastrutture per i combustibili alternativi, veicoli puliti ed Eurobollo riflettono tutte la necessità di ridurre il notevole contributo dei trasporti all’inquinamento atmosferico. Esse si completano a vicenda, al fine di conseguire l’ambizioso obiettivo in materia di clima e non inquinamento stabilito dal Green Deal europeo come pure di contribuire al passaggio a una mobilità sostenibile.

2.10.

Le nuove norme Euro 7 saranno probabilmente le ultime applicabili alle autovetture termiche: nell’ambito del programma «Pronti per il 55 %» del 2021 è stato infatti deciso di accelerare la decarbonizzazione del settore automobilistico, il che ha dato luogo a un accordo tra il Parlamento europeo e il Consiglio (27 ottobre 2022) che prevede la riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture del 55 % nel 2030 e il divieto della vendita di autovetture nuove a motore termico (comprese le ibride) dal 2035.

3.   Contenuto della proposta

Le principali modifiche proposte dal regolamento sono le seguenti:

limiti di emissione più rigorosi si applicheranno alle autovetture e agli autocarri, che siano alimentati a diesel o a benzina (sebbene i limiti di NOx per le autovetture rimangano allo stesso livello);

le condizioni di prova per la misurazione delle emissioni di guida reali saranno ampliate, mentre i fattori di conformità saranno eliminati;

si porrà maggiormente l’accento sui tragitti più brevi: la distanza su cui si calcola il bilancio delle emissioni nella fase di avviamento a freddo sarà ridotta da 16 a 10 km;

le emissioni — diverse da quelle di scarico — di particolato dai freni e di microplastiche dagli pneumatici saranno misurate e regolamentate;

i requisiti di durabilità saranno resi più rigorosi: 200 000 km o 10 anni per le autovetture/veicoli commerciali e 875 000 km senza limiti di tempo per gli autocarri/autobus;

sarà introdotto un monitoraggio continuo delle emissioni attraverso il controllo installato a bordo: dei sensori misureranno le emissioni reali per l’intero ciclo di vita di un veicolo;

la longevità delle batterie sarà valutata verificando l’evoluzione della loro capacità in relazione all’aumento del chilometraggio;

norme più rigorose garantiranno che i veicoli non siano manomessi;

saranno fissati limiti di emissione per alcuni inquinanti precedentemente non regolamentati (l’ammoniaca per le automobili, la formaldeide per gli autocarri). Per la prima volta saranno fissati dei limiti per le emissioni causate dall’evaporazione durante il rifornimento di carburante.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Sebbene nel 2019 i decessi prematuri attribuiti all’esposizione agli inquinanti atmosferici siano diminuiti del 33 % rispetto al 2005 nell’UE-27, è ancora necessario fissare dei limiti più ambiziosi. A tale riguardo, il trasporto su strada è responsabile del 37 % delle emissioni totali di NOx e si stima che ogni anno il particolato fine e gli ossidi di azoto derivanti dal traffico stradale siano responsabili di oltre 70 000 morti premature nell’UE-27.

4.2.

La Commissione ha optato per un approccio «realistico» nello stabilire le nuove norme. Le autovetture con motore a combustione interna rimarranno economicamente accessibili, anche se è probabile che l’inasprimento delle norme applicabili ai diesel acceleri il calo dell’offerta di questo tipo di veicoli. Occorre inoltre tenere presente che le nuove norme in materia di emissioni di CO2 avranno un impatto anche sul prezzo di acquisto dei veicoli.

4.3.

Sebbene, rispetto alle previsioni di molti, la proposta sia risultata meno ambiziosa nel fissare i valori di emissione, la norma Euro 7 rappresenta una revisione considerevole, che pone rimedio a una serie di carenze della norma Euro 6, quali il rischio di manomissioni, la complessità delle norme, l’invecchiamento dei veicoli e le emissioni in condizioni di guida reali. Adotta inoltre un approccio molto più ampio, integrando i veicoli elettrici e le emissioni diverse da quelle dallo scarico.

4.4.

La pressione normativa derivante dalle successive norme Euro sulle emissioni ha favorito l’innovazione nella progettazione dei sistemi di controllo delle emissioni e dei gruppi motopropulsori e ha contribuito al primato industriale dell’Unione. Per questo motivo è importante che le norme dell’UE mantengano un certo vantaggio rispetto a quelle in fase di elaborazione nei mercati chiave. Essere all’avanguardia nell’integrazione delle tecnologie digitali e pulite è un importante punto di forza per accedere ai mercati internazionali. A tale riguardo, si dovrebbe anche considerare la possibilità di adottare norme più ambiziose, come i requisiti di sostenibilità degli Stati Uniti (240 000 km o 15 anni).

4.5.

Il CESE ritiene che offrire incentivi ai consumatori accelererebbe il rinnovo del parco automobilistico, il che avrebbe un impatto evidente sulla qualità dell’aria e sulla riduzione delle emissioni. La sostituzione del parco automobilistico obsoleto con veicoli più recenti conformi alla norma Euro 6, unitamente all’elettrificazione in corso, consentirebbe una riduzione significativa (pari all’80 %) delle emissioni di NOx generate dai trasporti su strada entro il 2035.

4.6.

Il CESE chiede che un’analisi costi-benefici solida e scientifica sia dedicata a ciascuno dei nuovi elementi da regolamentare, al fine di chiarire in quale misura tali requisiti, presi separatamente, possano contribuire a una riduzione delle emissioni che sia efficiente sotto il profilo dei costi. A tale riguardo, è importante che tutte le parti interessate comprendano nello stesso modo l’analisi dei costi aggiuntivi legati all’applicazione della norma Euro 7.

4.7.

Il CESE è convinto che la mobilità automobilistica individuale debba rimanere accessibile e a prezzi abbordabili per tutti, in particolare per le persone che non hanno accesso a trasporti pubblici di qualità (o ad altre soluzioni di trasporto). Il Comitato invita pertanto l’industria automobilistica a continuare a mantenere un’offerta di veicoli di fascia bassa accessibili a tutti. Dato che il prezzo delle automobili aumenta molto più rapidamente del potere d’acquisto e che i servizi di mobilità condivisa non rappresentano ancora un’alternativa valida, il Comitato è convinto che sia giunto il momento di prendere seriamente in considerazione il problema della «povertà di mobilità».

4.8.

In generale, il CESE ritiene che occorra trovare un equilibrio fra le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile. Investire sia nella transizione verso i veicoli elettrici che nella riprogettazione del motore termico potrebbe creare svantaggi competitivi per l’industria automobilistica europea rispetto ai costruttori che producono solo veicoli elettrici o ai costruttori di automobili stranieri che non sono soggetti agli stessi obblighi. Inoltre, occorre evitare che prezzi troppo elevati per le autovetture conformi alla norma Euro 7 abbiano come conseguenza il rinvio, da parte dei consumatori, della sostituzione delle autovetture più inquinanti. Ciò ridurrebbe notevolmente i potenziali benefici della norma Euro 7, causando nel contempo delle ristrutturazioni industriali a seguito del crollo delle vendite.

4.9.

Data la portata della trasformazione, il CESE invita ad adottare una politica industriale coerente, che sia in grado di rispondere alla triplice sfida cui deve far fronte l’industria automobilistica:

ambientale: contribuire al conseguimento degli obiettivi del Green Deal e delle nuove norme in materia di emissioni della direttiva sulla qualità dell’aria ambiente;

economica: mantenere il primato industriale, preservare la catena di approvvigionamento del settore automobilistico nell’UE, sviluppare un ecosistema solido per le autovetture elettriche;

sociale: un quadro per una transizione giusta, un’informazione e una consultazione preventive e/o un dialogo sociale per anticipare e gestire la transizione, piani regionali di riqualificazione, una riconversione professionale e il mantenimento di posti di lavoro di qualità.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Nel suo progetto, la Commissione indica due date di applicazione: luglio 2025 per i veicoli leggeri e luglio 2027 per i veicoli pesanti. In entrambi i casi, la data corrisponde a quella in cui gli Stati membri dovranno rifiutare l’immatricolazione dei veicoli non conformi alle norme Euro 7.

La scelta di tali date solleva una serie di interrogativi, in particolare per quanto riguarda i veicoli leggeri.

5.1.1.

La proposta che fissa l’applicazione nel luglio 2025 sembra poco realistica. In effetti, i costruttori dovranno cambiare la loro produzione diversi mesi prima di tale scadenza per evitare di fabbricare scorte di veicoli Euro 6 che non potranno più essere immatricolati, e di solito occorre più di un anno per omologare l’intero parco veicoli. Le omologazioni dovrebbero pertanto cominciare all’inizio del 2024, ossia immediatamente dopo l’adozione del regolamento Euro 7 ed eventualmente prima della pubblicazione dei relativi testi di applicazione.

La proposta che fissa l’applicazione nel luglio 2027 per i veicoli pesanti può sembrare più adeguata, ma è necessario tenere conto del tempo necessario per sviluppare le soluzioni tecniche innovative, come il catalizzatore riscaldato elettricamente, che saranno necessarie per raggiungere i limiti di emissione. Il CESE ritiene pertanto che una rapida adozione del regolamento e un lasso di tempo minimo (dopo la sua adozione) di due anni per le autovetture/veicoli commerciali e di tre anni per gli autobus/veicoli pesanti adibiti al trasporto merci siano necessari per garantire la fattibilità tecnica ed economica del regolamento proposto.

5.2.

Per quanto riguarda i veicoli leggeri, la proposta di regolamento prevede che i diversi limiti di emissione per i veicoli commerciali a seconda della loro massa siano sostituiti da un unico insieme di valori che copra tutti i veicoli commerciali, a condizione che il rapporto potenza/massa rimanga inferiore a 35 kW/t. Questo sforzo di semplificazione è lodevole, ma avrà un impatto significativo sull’attività del settore dei veicoli commerciali leggeri, in particolare nel caso dei veicoli trasformati, soprattutto perché le date di applicazione per i veicoli leggeri e i veicoli pesanti non coincidono. In tale contesto, il CESE chiede che siano concesse delle deroghe e si preveda una certa flessibilità nell’applicazione, ad esempio in caso di conversione di un veicolo commerciale leggero di categoria N1 (massa inferiore a 3 500 kg) in minibus di categoria M2 (massa inferiore a 5 000 kg).

5.3.

Nel quadro dell’ambizione digitale del Green Deal, la Commissione propone di introdurre nei veicoli leggeri e pesanti un dispositivo innovativo denominato OBM (On Board Monitoring, sistema di monitoraggio di bordo), destinato a registrare costantemente, a bordo del veicolo, il livello di emissioni inquinanti al fine di:

individuare un eccesso di emissioni non rilevato dall’OBD (sistema diagnostico di bordo);

trasmettere periodicamente i valori di emissione a dei server per facilitare le attività di vigilanza del mercato, i controlli della conformità in servizio e il controllo tecnico.

Sebbene tale sistema possa effettivamente contribuire a semplificare i processi di vigilanza, la sua messa a punto richiede la rapida elaborazione di normative tecniche che consentano di specificare il materiale necessario (sensori, software ecc.). Questo sviluppo, che avrà un impatto potenzialmente dirompente sugli utenti, richiederà già di per sé un periodo di tre anni dalla pubblicazione del regolamento tecnico per la messa in servizio.

5.4.

Per quanto riguarda i veicoli leggeri, i valori limite proposti dalla Commissione possono sembrare poco ambiziosi in quanto corrispondono, in linea di principio, all’armonizzazione al valore più basso previsto dalle norme Euro 6 per i motori a benzina e diesel. Tuttavia, è importante notare che:

nei suoi allegati, il progetto di regolamento prevede una ridefinizione delle condizioni che attualmente garantiscono la rappresentatività della prova su strada per quanto riguarda il normale uso del veicolo, il che obbligherà i costruttori a ridimensionare i sistemi di post-trattamento;

l’armonizzazione dei limiti sulla base dell’opzione selezionata come migliore comporta un aumento dei vincoli per i motori a benzina (limite di CO2 ridotto del 50 % per le autovetture private a benzina) come pure per i diesel (limite di NOx ridotto del 40 % per i veicoli commerciali pesanti diesel);

contrariamente al regolamento Euro 6, non è più prevista alcuna tolleranza nel regolamento Euro 7, che si baserà sulla prova su strada.

5.5.

Dato che le microplastiche degli pneumatici rappresentano una delle principali fonti di inquinamento degli oceani e che non è stato ancora fissato alcun limite a causa della mancanza di una procedura delle Nazioni Unite, è urgente che tale procedura sia sviluppata quanto prima.

5.6.

Il Comitato si interroga sull’opportunità di introdurre norme in materia di emissioni di ammoniaca per le autovetture. Poiché il settore dei trasporti è responsabile di meno dell’1 % delle emissioni europee di ammoniaca, il costo di questa misura non sembra proporzionato ai benefici. Il Comitato si interroga inoltre sull’opportunità di imporre ai veicoli un sistema per limitare le emissioni evaporative durante il rifornimento di carburante, considerato che l’Europa ha già messo in atto un dispositivo di recupero a livello di pompa di distribuzione del carburante.

5.7.

Per i veicoli pesanti, i valori limite proposti dalla Commissione segnano una rottura rispetto al regolamento Euro 6, con obiettivi di riduzione, rispettivamente, dell’80 % per i NOx e il particolato e fino al 95 % per il CO2. Inoltre, in considerazione del loro impatto sull’effetto serra, la Commissione propone di regolamentare individualmente le soglie di CH4 (metano) e N2O (protossido di azoto) a un livello particolarmente basso per quest’ultimo. Naturalmente, tali cambiamenti richiederanno investimenti significativi di cui si dovrà tenere conto nelle prossime discussioni sul percorso da seguire in materia di CO2 per i veicoli pesanti (1).

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  COM(2023) 88 final.


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/108


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime

[COM(2022) 732 final — 2022/0426(COD)]

e sulla relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sui progressi compiuti nella lotta alla tratta di esseri umani (quarta relazione)

[COM(2022) 736 final]

(2023/C 228/15)

Relatore:

José Antonio MORENO DÍAZ

Correlatore:

Pietro Vittorio BARBIERI

Consultazione

Commissione europea, 8.2.2023

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

3.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

125/01/01

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La tratta di esseri umani costituisce un reato esecrabile e una grave violazione dei diritti fondamentali delle persone. La strategia dell’Unione europea in materia di sicurezza adottata nel 2020 pone in evidenza il ruolo della criminalità organizzata nella tratta di esseri umani e i costi personali che ne derivano.

1.2.

Nel 2011 è stata adottata la direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (1) concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime. Nel 2021 la Commissione europea ha adottato la strategia dell’UE contro la tratta degli esseri umani 2021-2025, indicando che si sarebbe dovuto valutare l’applicazione della direttiva al fine di migliorarla.

1.3.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la quarta relazione sui progressi compiuti, che evidenzia l’evoluzione dei fenomeni, nonché la proposta di modifica della direttiva anti-tratta intesa a prevenire e combattere la tratta di esseri umani e a proteggere le vittime. A tal fine, la proposta è articolata in tre quadri strategici: i) configurazione come reato, indagine e azione penale riguardanti la tratta di esseri umani, compresa la definizione dei reati, delle pene e delle sanzioni; ii) assistenza e sostegno alle vittime della tratta di esseri umani e loro protezione; e iii) prevenzione della tratta di esseri umani.

1.4.

Il CESE si compiace per l’ampliamento della definizione delle diverse forme di sfruttamento. Il Comitato concorda sul fatto che tali reati debbano essere intesi come un elenco non esaustivo, poiché purtroppo le forme di sfruttamento assumono ogni giorno nuove sfaccettature. Il Comitato ritiene che questo sia il modo in cui gli Stati membri dovrebbero intendere la questione della tratta, con una visione a tutto tondo dei problemi legati allo sfruttamento.

1.5.

Il CESE giudica che la prospettiva di genere nel contenuto e nell’attuazione della direttiva debba essere rafforzata, dato che la stragrande maggioranza delle vittime è costituita da donne e ragazze. Analogamente, occorre prestare attenzione alle situazioni di vulnerabilità che possono favorire il reclutamento e lo sfruttamento da parte delle reti criminali e di altri soggetti. Inoltre, è necessario rivolgere maggiore attenzione ad altri gruppi vulnerabili, tra cui i profughi, i richiedenti asilo e le persone prive di documenti o con uno status di soggiorno precario.

1.6.

Il CESE accoglie con favore il riferimento esplicito alla dimensione online dei reati di tratta di esseri umani. L’utilizzo delle nuove tecnologie ha favorito i reati di tratta di esseri umani, facilitando e consentendo un maggiore accesso alle vittime e il loro sfruttamento e rendendo più difficile il monitoraggio dei proventi generati da tali reati.

1.7.

Il CESE si compiace che la Commissione proponga un miglioramento del sistema sanzionatorio. Poiché dalla valutazione è emerso che la maggior parte degli Stati membri non ha recepito tutte le misure facoltative, il nuovo regime obbligatorio, che distingue tra reati semplici e reati aggravati, rafforza la lotta contro i reati di tratta.

1.8.

Il CESE accoglie inoltre con favore il fatto che le persone giuridiche siano passibili di sanzioni che comprendono l’esclusione dal godimento di aiuti o sovvenzioni pubblici, la chiusura temporanea o permanente dei locali utilizzati per commettere il reato o l’interdizione temporanea o permanente dall’esercizio di attività commerciali. Il CESE ritiene che l’utilizzo consapevole di servizi prestati da vittime di sfruttamento potrebbe essere collegato alla direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, in modo che siano chiamate a rispondere anche le imprese che traggono vantaggio dalle diverse forme di sfruttamento.

1.9.

Il CESE ritiene che la direttiva debba rivolgere maggiore attenzione alle vittime di tratta, e ricorda l’obbligo degli Stati membri di assistere queste persone, proteggerle e garantirne per quanto possibile l’inclusione sociale. Oltre a sottolineare la necessità di non punire le vittime di tratta, la direttiva dovrebbe rafforzare i meccanismi e gli strumenti per assistere e sostenere le vittime, soprattutto nei gruppi vulnerabili.

1.10.

Il CESE esorta la Commissione a includere nella sua proposta di direttiva la necessità di conformarsi alla direttiva 2004/81/CE del Consiglio (2) riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti.

1.11.

Il CESE ricorda l’importanza di lavorare alla prevenzione della tratta e sottolinea la necessità di ridurre la domanda di qualsiasi forma di sfruttamento. Come osservato nella relazione, la domanda di manodopera a basso costo o di prostituzione continua a crescere, nonostante sia spesso legata all’esistenza di reati di tratta di esseri umani.

1.12.

Il CESE concorda sulla necessità di migliorare la raccolta di dati, ma anche di perfezionare gli strumenti per una migliore individuazione di questi reati. Come sottolineato nella relazione, è evidente che vi è un numero significativo di casi non segnalati, a cui occorre porre rimedio e rispondere in coordinamento e cooperazione tra gli Stati membri e con le istituzioni europee.

1.13.

Il CESE ritiene che la presentazione di questa proposta di direttiva debba essere un’occasione per sensibilizzare e comunicare meglio la necessità di rafforzare la lotta contro la tratta di esseri umani. La violazione dei diritti causata dai diversi tipi di sfruttamento richiede una risposta globale e multidimensionale, in cui il ruolo dei cittadini nella lotta contro l’impunità e la normalizzazione di tali abusi è fondamentale.

1.14.

Il CESE ricorda che tra i fattori che influenzano la tratta di esseri umani figurano: la «femminilizzazione della povertà»; le disparità di accesso all’istruzione e alle risorse tra uomini e donne; le disuguaglianze mediche e sanitarie; la diffusione mondiale della violenza basata sul genere; e le disparità di carattere più generale tra donne e uomini.

1.15.

È importante e necessario che gli Stati membri mettano in campo ulteriori meccanismi nazionali di riferimento, coinvolgendo le organizzazioni della società civile nell’individuazione delle vittime e nella fornitura di servizi di sostegno. Potrebbe essere istituito un ulteriore strumento per ciascuno Stato membro: un organismo indipendente di monitoraggio e di garanzia, comprendente un relatore nazionale incaricato di verificare l’efficacia delle misure attuate dagli Stati membri nella lotta contro la tratta, di svolgere attività di ricerca e di entrare in contatto con parti interessate pubbliche e private che si occupano del fenomeno a vari livelli.

2.   Osservazioni generali

2.1.

La tratta di esseri umani è stata internazionalmente definita nel 2000 dalle Nazioni Unite:

per «tratta di persone» si intende l’atto di reclutare, trasportare, trasferire, ospitare o accogliere persone tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento (articolo 3 del Protocollo delle Nazioni Unite sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani — 2000);

per «sfruttamento» si intende lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, la schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi.

2.2.

La tratta di esseri umani costituisce un reato esecrabile e una grave violazione dei diritti fondamentali delle persone. La strategia dell’Unione europea in materia di sicurezza adottata nel 2020 pone in evidenza il ruolo della criminalità organizzata nella tratta di esseri umani e i costi personali che ne derivano.

2.3.

Nel 2011 è stata adottata la direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime (direttiva anti-tratta), che ha rappresentato un passo importante verso l’armonizzazione delle norme tra gli Stati membri. Nel 2021 la Commissione ha adottato la strategia dell’UE contro la tratta degli esseri umani 2021-2025, indicando che si sarebbe dovuto valutare l’applicazione della direttiva al fine di migliorarla.

2.4.

La valutazione effettuata dalla Commissione copre il periodo di recepimento della direttiva (aprile 2013 fino a marzo 2022) ed è stata realizzata utilizzando dati raccolti a livello europeo e informazioni qualitative risultanti dalle discussioni con esperti ed enti specializzati.

2.5.

La valutazione interna della Commissione ha evidenziato le difficoltà di determinare correttamente il numero effettivo di vittime, in quanto le 55 314 vittime registrate tra il 2013 e il 2022 sono considerate una sottostima. Lo sfruttamento sessuale rimane la forma più diffusa di sfruttamento nella tratta (55,7 % dei casi segnalati nel 2021), ma anche lo sfruttamento di manodopera sta assumendo dimensioni sempre maggiori, in particolare in settori quali l’agricoltura, l’edilizia e i servizi di assistenza. Le vittime minorenni costituiscono il 21 % del totale, mentre le donne e le ragazze rappresentano il 75 % delle vittime di tratta.

2.6.

La valutazione e la relazione evidenziano che il numero dei procedimenti giudiziari e delle condanne è molto basso, il che può contribuire a una cultura dell’impunità tra i trafficanti. I social media hanno aperto nuove opportunità per le reti criminali che operano nell’Unione europea, la maggior parte delle quali è coinvolta nella tratta di esseri umani. Anche la guerra in Ucraina può comportare un aumento del traffico e della tratta di esseri umani. La tratta di esseri umani rimane un reato a basso rischio e con profitti elevati.

2.7.

Pur essendo servita a istituire un quadro legislativo comune contro la tratta di esseri umani, la direttiva ha anche evidenziato le difficoltà di compiere progressi nella lotta contro talune forme di sfruttamento che non rientrano nella definizione di tratta e nei reati transfrontalieri. La direttiva individua inoltre i settori in cui è possibile migliorare le indagini e l’azione penale nei confronti dei trafficanti, nonché la necessità di migliorare le capacità delle autorità di contrasto e giudiziarie di sviluppare indagini finanziarie connesse alla tratta di esseri umani.

2.8.

Sebbene la direttiva sia incentrata anche sulla protezione dalla tratta, la valutazione ha dimostrato che è possibile apportare miglioramenti, tra l’altro, su questioni quali l’applicazione dei principi di non criminalizzazione e non punibilità delle vittime; la protezione delle vittime nelle indagini o nei procedimenti giudiziari e la fornitura di assistenza adeguata alla tipologia e alle necessità delle vittime, in particolare per i minori e i gruppi vulnerabili. Un altro problema individuato è quello delle carenze nella raccolta e nel trattamento dei dati sulla tratta.

2.9.

La valutazione riconosce l’importanza della direttiva quale punto di svolta nella lotta contro la tratta nell’Unione europea. Allo stesso tempo, ha anche posto in evidenza la necessità, oltreché di migliorare l’assistenza alle vittime, anche quella di compiere passi avanti nella definizione di strumenti per migliorare il monitoraggio, la prevenzione, il perseguimento e la criminalizzazione della tratta e dei trafficanti.

2.10.

In tale contesto, il documento presentato dalla Commissione costituisce una proposta di modifica della direttiva, intesa a mettere in campo una serie di misure finalizzate a migliorare la prevenzione e la lotta contro la tratta di esseri umani nell’Unione europea, nonché a migliorare la protezione delle vittime.

3.   Osservazioni sulla direttiva anti-tratta

3.1.

La direttiva anti-tratta è intesa a prevenire e combattere la tratta di esseri umani e a proteggere le vittime. A tal fine è articolata in tre quadri strategici: i) configurazione come reato, indagine e azione penale riguardanti la tratta di esseri umani, compresa la definizione dei reati, delle pene e delle sanzioni; ii) assistenza e sostegno alle vittime della tratta di esseri umani e loro protezione; e iii) prevenzione della tratta di esseri umani.

3.2.

Il CESE accoglie con favore la proposta di modifica di tale direttiva, in quanto concorda sulla necessità di ulteriori progressi e miglioramenti nella lotta contro la tratta di esseri umani e nella protezione delle vittime. Il CESE conviene inoltre sul fatto che il reato di tratta di esseri umani sia diventato una minaccia crescente, in un contesto più complicato rispetto a quello del 2011.

3.3.

Il CESE si compiace per l’ampliamento della definizione delle diverse forme di sfruttamento e plaude alla relazione per aver fatto riferimento a queste diverse forme. Mentre lo sfruttamento sessuale rimane la forma più diffusa nei casi di tratta, seguito dallo sfruttamento della manodopera, la direttiva contempla altre forme di sfruttamento (per accattonaggio, per esecuzione di attività illecite, traffico di organi), alcune delle quali sono anch’esse aumentate negli ultimi anni. Sono parimenti emerse altre formule che non erano contemplate nella direttiva, ma che potrebbero essere considerate anch’esse come forme di sfruttamento, come i matrimoni forzati, la surrogazione di maternità o le adozioni illegali. Il CESE accoglierebbe con favore l’inserimento di un riferimento alle «particolari condizioni di sfruttamento», come indicato nella direttiva dell’UE sulle sanzioni nei confronti dei datori di lavoro. Ai fini di un’applicazione più uniforme da parte degli Stati membri, il CESE ritiene che siano necessari ulteriori orientamenti della Commissione sulle definizioni di tutte queste diverse possibili forme.

3.4.

Il Comitato concorda sul fatto che tali reati debbano essere intesi come un elenco non esaustivo, poiché purtroppo le forme di sfruttamento assumono ogni giorno nuove sfaccettature. Il Comitato ritiene che questo sia il modo in cui gli Stati membri dovrebbero intendere la questione della tratta, con una visione a tutto tondo dei problemi legati allo sfruttamento.

3.5.

Il CESE giudica che la prospettiva di genere nel contenuto e nell’attuazione della direttiva debba essere rafforzata, dato che la stragrande maggioranza delle vittime è costituita da donne e ragazze. Analogamente, occorre prestare attenzione a specifici gruppi vulnerabili, compresi i profughi, i richiedenti asilo e le persone prive di documenti o con uno status di soggiorno precario, nonché a situazioni vulnerabili che possono facilitare il reclutamento e lo sfruttamento da parte di reti criminali. Il CESE ricorda che tra i fattori che influenzano la tratta di esseri umani figurano: la «femminilizzazione della povertà»; le disparità di accesso all’istruzione e alle risorse tra uomini e donne; le disuguaglianze mediche e sanitarie; la diffusione mondiale della violenza basata sul genere; e le disparità di carattere più generale tra donne e uomini.

3.6.

Il CESE accoglie con favore il riferimento esplicito alla dimensione online dei reati di tratta di esseri umani. L’utilizzo delle nuove tecnologie ha favorito i reati di tratta di esseri umani, facilitando e consentendo un maggiore accesso alle vittime e il loro sfruttamento e rendendo più difficile il monitoraggio dei proventi generati da tali reati. I social media hanno facilitato il reclutamento e lo sfruttamento delle vittime e hanno integrato nuovi abusi nelle situazioni di sfruttamento, come la distribuzione di immagini, video ecc.

3.7.

Il CESE plaude al fatto che la Commissione proponga un miglioramento del regime di sanzioni. Poiché dalla valutazione è emerso che la maggior parte degli Stati membri non ha recepito tutte le misure facoltative, il nuovo regime obbligatorio, che distingue tra reati semplici e reati aggravati, rafforza la lotta contro i reati di tratta.

3.8.

Il CESE accoglie inoltre con favore il fatto che le persone giuridiche siano passibili di sanzioni che comprendono l’esclusione dal godimento di aiuti o sovvenzioni pubblici, la chiusura temporanea o permanente dei locali utilizzati per commettere il reato o l’interdizione temporanea o permanente dall’esercizio di attività commerciali. Il CESE ritiene che l’utilizzo consapevole di servizi prestati da vittime di sfruttamento potrebbe essere collegato alla direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, in modo che siano chiamate a rispondere anche le imprese che traggono vantaggio dalle diverse forme di sfruttamento. Le esperienze in relazione ai casi di sfruttamento del lavoro possono costituire un riferimento.

3.9.

Il CESE ritiene un passo avanti la proposta di modifica che configura come reato l’utilizzo di servizi o attività derivanti dallo sfruttamento con la consapevolezza che la persona che fornisce il servizio o l’attività sia vittima del reato di tratta, vale a dire l’utilizzo consapevole di servizi prestati da vittime di sfruttamento, e tale configurazione può anche essere accompagnata da misure più severe da parte degli Stati membri. Secondo il CESE è importante offrire maggiore sostegno agli Stati membri per dare attuazione a questo aspetto, e valutare l’impatto di questo punto sia sulla prevenzione che sul contrasto della tratta nella relazione sul recepimento che la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio, al fine di garantire che tale disposizione non abbia avuto effetti dannosi su vittime o gruppi vulnerabili e che abbia segnato un progresso nella lotta contro la cultura dell’impunità per questi reati.

3.10.

Il CESE ritiene opportuno che la Commissione adegui il quadro normativo e sanzionatorio al panorama online. A tale riguardo è particolarmente positivo che la direttiva includa il congelamento e la confisca dei beni, conformemente ai quadri normativi stabiliti dall’Unione europea in questo contesto. I beni recuperati presso gli autori dei reati dovrebbero essere messi a disposizione per risarcire le vittime, e le vittime dovrebbero avere la priorità nella graduatoria dei creditori.

3.11.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Commissione sottolinei la necessità di migliorare la cooperazione tra i diversi Stati membri in materia di reati di tratta. La cooperazione transfrontaliera è fondamentale e può essere migliorata attraverso lo scambio di informazioni o mediante azioni congiunte, nonché con la formazione del personale chiamato ad assistere le vittime transfrontaliere, in particolare il personale delle autorità di contrasto.

3.12.

È importante e necessario che gli Stati membri mettano in campo ulteriori meccanismi nazionali di riferimento, coinvolgendo le organizzazioni della società civile nell’individuazione delle vittime e nella fornitura di servizi di sostegno. Il CESE ritiene che la Commissione debba sostenere gli Stati membri nella creazione o nel rafforzamento di questi strumenti, che possono essere coordinati a livello europeo per migliorare l’assistenza e la protezione delle vittime di tratta. Sarebbe necessario compiere passi avanti nella creazione di uno strumento europeo di riferimento per migliorare l’armonizzazione nell’assistenza alle vittime e nello sviluppo di sistemi di sostegno ad esse. Potrebbe essere istituito un ulteriore strumento per ciascuno Stato membro: un organismo indipendente di monitoraggio e di garanzia, comprendente un relatore nazionale incaricato di verificare l’efficacia degli interventi attuati dagli Stati membri nella lotta contro la tratta, di svolgere attività di ricerca e di entrare in contatto con parti interessate pubbliche e private che si occupano del fenomeno a vari livelli.

3.13.

Il CESE ritiene che la direttiva debba rivolgere maggiore attenzione alle vittime di tratta, e ricorda l’obbligo degli Stati membri di assistere queste persone, proteggerle e garantirne per quanto possibile l’inclusione sociale. Oltre a sottolineare la necessità di non punire le vittime di tratta, la direttiva dovrebbe rafforzare i meccanismi e gli strumenti per assistere e sostenere le vittime, specie quelle appartenenti a gruppi vulnerabili come i minori, i membri di minoranze, i rifugiati o i migranti privi di documenti. Si dovrebbero inoltre esaminare e rafforzare ulteriormente gli strumenti di risarcimento delle vittime e di prevenzione, introducendo meccanismi sicuri di denuncia e ricorso e fondi di compensazione.

3.14.

L’integrazione nel paese di destinazione si realizza agevolando l’accesso delle vittime di tratta a progetti personalizzati di assistenza, informazione, formazione e responsabilizzazione, attraverso: l’accoglienza in strutture protette specifiche; il rilascio obbligatorio del permesso di soggiorno come condizione imprescindibile per uscire dal giro della tratta; l’assistenza, l’informazione e la prevenzione sanitaria; il sostegno psicologico e la mediazione culturale; l’informazione e la consulenza sociale e legale; i corsi di lingua e di alfabetizzazione; la valutazione delle capacità e delle competenze; l’orientamento e la formazione professionale; l’inserimento nel mercato del lavoro.

3.15.

La direttiva non affronta le modifiche legislative che riguardano la protezione dei diritti delle vittime di tratta, né l’assistenza e il sostegno a queste persone, ambiti questi in cui vi è ancora ampio margine di miglioramento. Il CESE ricorda che la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (3) che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato affronta, tra l’altro, le esigenze specifiche delle particolari categorie di vittime della tratta di esseri umani, degli abusi sessuali sui minori, dello sfruttamento sessuale e della pedopornografia.

3.16.

Il CESE esorta la Commissione a includere nella sua proposta di modifica della direttiva la necessità di conformarsi alla direttiva 2004/81/CE.

3.17.

La cooperazione della vittima dovrebbe essere intesa come volontà di aderire a un progetto individualizzato di integrazione sociale e di uscita dalla condizione di sfruttamento. Il permesso di soggiorno non può essere concesso solo a coloro che decidono di cooperare con la giustizia, perché le alternative alla tratta, vale a dire l’accesso ai servizi sul territorio che creano emancipazione e responsabilizzazione, presuppongono inevitabilmente il rilascio del permesso di soggiorno.

3.18.

Le vittime sono restie a testimoniare contro i loro trafficanti. Spesso vivono in uno stato di ricatto permanente e la loro testimonianza li costringe a mettere a rischio la propria vita e quella delle loro famiglie. A tale riguardo, va ricordato che il consenso di una vittima della tratta di persone allo sfruttamento è irrilevante (articolo 3, lettera b), del Protocollo delle Nazioni Unite sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani — 2000).

3.19.

Il CESE chiede inoltre alla Commissione di compiere passi avanti nell’attuazione delle raccomandazioni contenute nella sua pubblicazione I diritti nell’UE delle vittime della tratta di esseri umani (4), in modo che gli Stati membri rilascino sempre il permesso di soggiorno alle vittime della tratta nei seguenti casi:

se la presenza della vittima è necessaria ai fini delle indagini o del procedimento giudiziario;

se la vittima ha dimostrato una chiara volontà di cooperare;

se la vittima ha rotto ogni legame con la persona o le persone responsabili della tratta;

se la vittima non costituisce una minaccia per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza.

Il CESE invita inoltre gli Stati membri a sfruttare maggiormente l’opportunità di offrire permessi di soggiorno alle vittime per motivi umanitari o personali, anche quando le condizioni di cui sopra non sono soddisfatte.

3.20.

Il CESE ricorda l’importanza di lavorare alla prevenzione della tratta e sottolinea la necessità di ridurre la domanda di qualsiasi forma di sfruttamento. La richiesta di manodopera a basso costo o di prostituzione continua a crescere, nonostante sia spesso legata all’esistenza di reati di tratta di esseri umani.

3.21.

Il CESE ritiene che occorra rafforzare le numerose attività volte a migliorare l’informazione e la sensibilizzazione su questi temi, anche esplorando nuovi strumenti di comunicazione, formazione, programmi educativi e campagne di sensibilizzazione per intensificare la lotta contro la tratta in tutti gli Stati membri.

3.22.

Il CESE concorda sulla necessità di migliorare la raccolta di dati, ma anche la qualità degli strumenti per una migliore individuazione di questi reati. È evidente che vi è un numero significativo di casi non segnalati, a cui occorre porre rimedio e rispondere in coordinamento e cooperazione tra gli Stati membri e con le istituzioni europee. La proposta di una relazione statistica annuale sul traffico può contribuire a innalzare la qualità dei dati, a migliorare l’azione e a sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica in merito a questi reati.

3.23.

Analogamente, il CESE accoglie con favore il fatto che la Commissione stabilisca di dover presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione annuale in cui valuti il lavoro compiuto dagli Stati membri in materia di lotta alla tratta, evidenziando le misure messe in atto e il loro impatto.

3.24.

Il CESE ritiene che la presentazione di questa proposta di modifica della direttiva debba essere un’occasione per sensibilizzare e comunicare meglio la necessità di rafforzare la lotta contro la tratta di esseri umani. La violazione dei diritti causata dai diversi tipi di sfruttamento richiede una risposta globale e multidimensionale, in cui il ruolo dei cittadini nella lotta contro l’impunità e la normalizzazione di tali abusi è fondamentale.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI (GU L 101 del 15.4.2011, pag. 1).

(2)  Direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti (GU L 261 del 6.8.2004, pag. 19).

(3)  Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (GU L 315 del 14.11.2012, pag. 57).

(4)  I diritti nell'UE delle vittime della tratta di esseri umani.


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/114


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, che modifica il regolamento (UE) 2019/1020 e la direttiva (UE) 2019/904 e che abroga la direttiva 94/62/CE

[COM(2022) 677 final — 2022/0396 (COD)]

(2023/C 228/16)

Relatore:

István KOMORÓCZKI

Correlatore:

Panagiotis GKOFAS

Consultazione

Parlamento europeo, 13.3.2023

Consiglio, 8.3.2023

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sezione

13.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

153/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

I rifiuti generati dagli imballaggi continuano ad aumentare in tutto il mondo e, se non sono gestiti in maniera appropriata, sono estremamente dannosi per la salute, la vita, le economie e il pianeta. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie pertanto con favore l’iniziativa in esame e invita la Commissione europea ad affrontare in modo coordinato le questioni relative agli imballaggi, ai rifiuti di imballaggio e alle politiche in materia di imballaggi, e ad armonizzare le norme su tutto il territorio dell’UE.

1.2.

Sono necessarie misure politiche basate su dati concreti al fine di garantire i risultati migliori dal punto di vista ambientale. Le sfide poste dai cambiamenti climatici offrono all’Europa l’opportunità di costruire una base industriale sostenibile e orientata al futuro. Il CESE raccomanda che tutte le prossime iniziative politiche debbano basarsi su prove scientifiche e su una solida comprensione del loro reale impatto sull’ambiente. È strategicamente utile sostenere l’impiego della metodologia di valutazione del ciclo di vita come strumento per valutare l’impatto ambientale dei prodotti durante l’intero ciclo di vita.

1.3.

Il CESE sostiene gli sforzi in corso per ridurre i rifiuti di imballaggio, dato l’impatto fortemente negativo di tali rifiuti sull’ambiente. Al tempo stesso, però, si rammarica che la proposta non comprenda un’analisi approfondita degli impatti previsti sull’ambiente, sulla salute umana e sugli operatori economici. Gli imballaggi svolgono un ruolo cruciale nel garantire la sicurezza, la salute e la qualità degli alimenti. In quest’ottica, il nuovo regolamento dovrebbe occuparsi sia della protezione dell’ambiente che della sicurezza dei consumatori.

1.4.

Il CESE sottolinea che il riutilizzo e la ricarica non sono affatto le scelte migliori, dal punto di vista dei cambiamenti climatici e dell’ambiente. Date le lunghe distanze di trasporto da percorrere, rispetto, invece, alla raccolta e al riciclaggio locali, il maggiore sforzo logistico è destinato a esercitare un effetto negativo. La pulizia delle bottiglie, posate e stoviglie riutilizzabili fa aumentare il consumo energetico, le emissioni e il consumo di acqua. Il CESE deplora, anche in questo caso, la mancanza di un’adeguata valutazione d’impatto.

1.5.

L’impatto economico dipenderà, evidentemente, dall’esatta formulazione degli atti delegati previsti, che dovranno essere adottati entro cinque anni dall’entrata in vigore del regolamento. Già il solo fatto che i parametri concreti delle norme saranno noti soltanto dopo l’adozione del regolamento proposto crea enormi incertezze per le imprese e un grave rischio per il ciclo di investimento e dell’innovazione.

1.6.

Il CESE chiede che tutti i portatori d’interessi, compresi le parti del dialogo sociale, gli operatori economici, i lavoratori, i consumatori, le associazioni di tutela dei consumatori, le organizzazioni ambientaliste e la Piattaforma europea delle parti interessate per l’economia circolare, siano coinvolti nell’applicazione del nuovo regolamento. Il recepimento della normativa aggiornata nei diritti nazionali non dovrebbe imporre alle PMI oneri amministrativi od operativi non necessari. A tale riguardo, è importante garantire che i termini per l’applicazione e l’entrata in vigore siano adeguati. Il CESE sottolinea che il regolamento proposto sostituisce al ruolo del riciclaggio stabilito dal pacchetto sull’economia circolare una nuova norma — l’articolo 26 — che, indipendentemente dalla sua efficienza in termini ambientali, si applica in via diretta a tutti gli operatori economici, unitamente a una restrizione obbligatoria all’uso degli imballaggi, senza considerare se ciò comporti o meno un pericolo per la salute o il deterioramento dell’ambiente.

1.7.

Quanto al «riciclaggio su larga scala», il CESE suggerisce di aumentare la percentuale di rifiuti di imballaggio riciclati su larga scala (imballaggi raccolti, differenziati e riciclati negli Stati membri dell’UE), portandola dal 75 al 90 % della popolazione dell’UE, e, allo stesso tempo, di coprire almeno i due terzi degli Stati membri dell’UE entro il 2030 per conseguire un’attuazione efficace. Il CESE sostiene inoltre l’introduzione delle classi di prestazione di riciclabilità degli imballaggi e la graduale eliminazione degli imballaggi di classe E, che presentano le prestazioni peggiori, entro il 2030.

1.8.

Il CESE raccomanda che gli obiettivi obbligatori in materia di contenuto riciclato siano presi in considerazione e applicati solo a materiali di imballaggio specifici, ove ciò possa comportare un maggiore utilizzo di materiali riciclati (come la plastica). Nel caso degli imballaggi in acciaio, gli obiettivi obbligatori in materia di contenuto riciclato avrebbero conseguenze negative e potrebbero causare perturbazioni sul mercato dei rottami di acciaio. Inoltre, tra i criteri di riciclabilità degli imballaggi dovrebbero figurare i requisiti di progettazione per il riciclaggio, la raccolta differenziata e la cernita efficace, nonché la capacità di riciclare più volte il materiale; inoltre, ogni obiettivo di riduzione dei rifiuti fissato nel regolamento dovrebbe riguardare un materiale specifico (obiettivi specifici per materiale), tenendo conto delle sue peculiarità e dei tassi di riciclaggio.

1.9.

Il CESE dubita altresì dell’efficacia di un obiettivo generico del 15 %, che può avere un impatto discriminatorio sui consumatori di paesi con una produzione pro capite di rifiuti di imballaggio relativamente bassa. Da alcuni dati statistici emerge che la produzione di rifiuti di imballaggio nei paesi con consumi più elevati è fino a tre volte superiore a quella dei paesi con bassi consumi, eppure il regolamento prevede che tutti i paesi, senza distinzione, riducano la quantità di imballaggi per consumatore del 15 %. L’obiettivo, invece, andrebbe calcolato sulla base del numero di abitanti, dell’attività economica, della produzione industriale e del reddito della popolazione.

1.10.

Il CESE chiede che vengano introdotti e applicati sistemi di sostegno (pubblica istruzione, formazione, contrattazione collettiva, sistemi di compensazione e trasferimento ad altri comparti) per i lavoratori dei settori in transizione che saranno presto interessati dall’applicazione del quadro normativo riveduto da trasferire ad altri comparti.

1.11.

Il CESE incoraggia gli Stati membri a lanciare strategie per sviluppare le loro industrie e officine di riparazione, fornendo incentivi per investire negli appositi macchinari, riducendo il prezzo dei pezzi di ricambio e creando sinergie tra i settori.

1.12.

Quello degli imballaggi è un comparto in rapida evoluzione, che offre numerosi posti di lavoro. È quindi indispensabile effettuare valutazioni d’impatto e monitorare diligentemente la nuova normativa a scadenze regolari negli Stati membri, a livello di autorità sia centrali che locali, in quanto si tratta di operazioni fondamentali per valutare l’impatto sulla redditività economica, sui posti di lavoro e sulla sostenibilità ambientale.

1.13.

La Commissione è invitata ad adottare un quadro differenziato e su misura per valutare, monitorare e confrontare le strategie di imballaggio relative ai singoli prodotti. Al fine di ridurre il volume di rifiuti di imballaggio, è opportuno valutare periodicamente l’effettivo fabbisogno di imballaggi e rivedere le soluzioni ottimizzate. Per quanto riguarda il buon funzionamento dei sistemi nazionali di restituzione dei depositi, sarà importante trovare il modo in cui i nuovi codici a barre dell’UE possano funzionare in parallelo a quelli nazionali già esistenti.

1.14.

I consumatori dovrebbero essere coinvolti e incentivati a riutilizzare, restituire o riciclare in modo ottimale il materiale di imballaggio, attraverso meccanismi di compensazione positivi e negativi. Dal momento che i consumatori svolgeranno un ruolo importante nel sistema di «vuoti a rendere», o da riutilizzare e riempire nuovamente, il CESE chiede la realizzazione di campagne di sensibilizzazione ed educazione che consentano ai consumatori di concepire e comprendere meglio il loro ruolo.

1.15.

Il CESE invita il Consiglio e il Parlamento europeo a collaborare strettamente con gli enti locali e regionali e gli operatori economici al fine di trovare le modalità migliori per mettere in pratica il sistema di etichettatura.

1.16.

Sono la qualità e la quantità dei rifiuti a determinarne il potenziale di riciclaggio. Il CESE invita gli Stati membri a valutare le implicazioni ambientali ed economiche delle necessarie attività di gestione dei rifiuti durante la fase di pianificazione.

1.17.

Dal punto di vista dei principi legislativi, il regolamento proposto associa una norma che interessa in via diretta i singoli operatori economici con una direttiva che fornisce agli Stati membri obiettivi quadro. Queste disposizioni dovrebbero pertanto formare oggetto di due distinti atti legislativi. Il primo dovrebbe essere una direttiva che stabilisca gli obiettivi per gli Stati membri in materia di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio. Il secondo dovrebbe invece essere un regolamento che fissi i requisiti fondamentali per gli imballaggi, la loro riciclabilità e la loro etichettatura.

1.18.

Quanto alla riduzione dei rifiuti, il CESE raccomanda che la revisione della normativa in materia di imballaggi e rifiuti di imballaggio sia accompagnata da una revisione della direttiva 1999/31/CE del Consiglio (1) relativa alle discariche di rifiuti, al fine di ridurre la quantità di rifiuti collocati in discarica.

2.   Contesto e premesse fondamentali

Necessità di un’attenzione costante per l’impatto ambientale degli imballaggi

2.1.

A livello mondiale, la maggior parte degli imballaggi è monouso, e viene gettata oppure riciclata, anziché essere riutilizzata. Gli organismi responsabili dell’ambiente dei grandi paesi industrializzati stimano che circa la metà dei rifiuti solidi urbani complessivi sia costituita da alimenti e da materiali utilizzati per gli imballaggi alimentari (2).

2.2.

A causa dello spreco di risorse preziose e dell’inquinamento causato da questo sistema di consumo e smaltimento, la nostra salute, l’ambiente, la sostenibilità e il clima globale sono tutti in serio pericolo.

2.3.

È quindi fondamentale che la Commissione europea monitori a scadenze regolari i rifiuti di imballaggio, nonché la loro raccolta, la loro gestione e il loro riutilizzo, in collaborazione con tutte le parti in causa.

2.4.

Si prevede che le industrie in transizione, così come i dipendenti e i piccoli imprenditori di alcuni settori in esame, incontreranno gravi difficoltà e perderanno reddito o posti di lavoro a causa del calo del fatturato totale dovuto all’effetto di sostituzione. I regimi di protezione sociale e le iniziative di riqualificazione potrebbero ridurre questo impatto.

2.5.

Analogamente, in alcune regioni che si affidano a determinate tecnologie di imballaggio e alla produzione industriale si potrebbe assistere, a breve termine, alla perdita di posti di lavoro e alla migrazione di lavoratori sia altamente che meno specializzati. Si rendono quindi necessarie politiche su misura a livello locale per evitare la fuga di cervelli e la desertificazione delle zone rurali e industriali.

2.6.

È di importanza cruciale monitorare l’impatto dell’attuazione della normativa attraverso un meccanismo di valutazione permanente volto a esaminare i risultati conseguiti da ciascun paese, condividere le migliori pratiche e proporre revisioni parametriche. Va tenuto conto dei potenziali progressi da parte delle industrie per quanto riguarda la loro capacità tecnologica di riutilizzare e riciclare materiali specifici (come la plastica biodegradabile), con particolare attenzione per la salute dei cittadini e gli impatti a lungo termine sull’ambiente.

Strumenti promossi dalla Commissione per la gestione delle problematiche relative agli imballaggi e ai materiali di imballaggio

2.7.

La proposta di regolamento della Commissione europea illustra nel dettaglio le funzioni chiave svolte dalla digitalizzazione e dalla sostenibilità nella riduzione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio. Esse vanno allineate, in quanto sono fondamentali per conseguire gli obiettivi del Green Deal e accrescere la resilienza dell’Europa, nonché la sua prosperità e sostenibilità future.

Risorse naturali ed energetiche per gli imballaggi — Timori e soluzioni

2.8.

I moderni imballaggi per prodotti alimentari — una destinazione d’uso importante per i materiali di imballaggio — servono a rendere tali prodotti affidabili, igienici, conservabili più a lungo e sicuri. Tuttavia, la maggior parte degli imballaggi alimentari è ancora monouso e, se non separata in modo appropriato da altre parti di materiale e raccolta, non può essere completamente riciclata perché è contaminata dal cibo, è troppo piccola o è multistrato.

2.9.

Ogni tipo di imballaggio richiede numerose risorse, in particolare energia, acqua, prodotti chimici, petrolio, minerali, legno e tessili. La sua produzione, inoltre, genera spesso acque reflue e fanghi contenenti sostanze chimiche nocive, nonché emissioni, nell’atmosfera, di gas a effetto serra, metalli pesanti e particolato.

2.10.

Per realizzare i moderni imballaggi alimentari, vengono utilizzati vari materiali artificiali e sintetici, tra cui ceramica, vetro, metallo, diversi tipi di carta e cartone, cera, legno e, sempre più spesso, plastica, privilegiando soprattutto il vetro, la plastica rigida, la carta e il cartone. Sebbene alcune delle materie plastiche più recenti derivino dal mais e da altri materiali vegetali, la maggior parte di queste è ancora prodotta a partire dal petrolio e contiene additivi come i polimeri.

2.11.

È di fondamentale importanza che, per gli imballaggi compostabili, la Commissione europea stabilisca, nella proposta, un contenuto minimo obbligatorio di origine biologica pari ad almeno il 60 %. La carta è spesso rivestita di plastica non visibile, e diverse forme di imballaggio presentano etichette scritte con inchiostro per stampanti.

2.12.

Il maggiore ricorso a tipologie di imballaggio diverse, unito allo scarso tasso di riutilizzo e riciclaggio, può ostacolare la realizzazione di un’economia circolare a basse emissioni di carbonio nell’UE.

2.13.

Secondo il CESE, gli imballaggi compostabili sicuri per il contatto con gli alimenti sono la soluzione più adatta e svolgono un ruolo fondamentale nel garantire la biodegradabilità di un maggior volume di rifiuti. Essi ridurrebbero inoltre l’utilizzo di plastica non biodegradabile, che altrimenti contamina il compost.

3.   Imballaggi in plastica

3.1.

L’ONU ha definito l’inquinamento da plastica dei mari una «catastrofe planetaria», principalmente a causa della quantità di imballaggi alimentari in plastica che trova modo di raggiungere i fiumi (3) creando seri problemi per tutte le specie acquatiche.

3.2.

Gli Stati membri dovranno prendere in considerazione un nuovo approccio nei confronti della plastica, basato sull’economia circolare. Essi possono promuovere il ricorso a scelte di imballaggio circolari optando per altri materiali o materiali polimerici specifici atti a garantire un migliore livello di riciclabilità. Quando non può essere riciclata, la plastica dovrebbe essere utilizzata per la produzione di biocarburante.

4.   Materiali permanenti, dati di riciclaggio e problemi legati agli obiettivi di riutilizzo delle bottiglie per bevande alcoliche

4.1.

I vari materiali per l’imballaggio dei prodotti alimentari presentano caratteristiche e proprietà diverse che incidono sul loro potenziale di riciclabilità. Materiali come l’alluminio, il vetro e l’acciaio sono considerati «permanenti», nel senso che presentano una degradazione minima durante il loro ciclo di vita e possono essere riciclati all’infinito senza perdere la qualità o le proprietà intrinseche dei materiali stessi.

4.2.

L’interesse verso i materiali permanenti è cresciuto in modo significativo e di pari passo con la filosofia dell’economia circolare. Tali materiali devono trovare un riconoscimento adeguato nella futura normativa, e il loro riciclaggio un sostegno efficiente nelle politiche future.

4.3.

Gli imballaggi a base di fibre e di altri materiali naturali possono sostenere una crescita dissociata dall’uso delle risorse. Sono infatti ricavati da materiali rinnovabili e al tempo stesso durevoli, attraenti, riciclabili e biodegradabili. Studi recenti hanno indicato che gli imballaggi in fibra possono essere riciclati più di 25 volte, dimostrando che si tratta di una componente essenziale dell’economia circolare.

4.4.

Il tasso di riciclaggio degli imballaggi in vetro nell’UE ha raggiunto, in media, il 76 % nel 2020 (4), con possibili margini di miglioramento nei sistemi di raccolta e di cernita di alcuni Stati membri. Nel 2017 il tasso di riciclaggio era del 95 % in Svezia, dell’88,4 % in Germania, del 78 % in Italia e del 61 % in Francia (5).

4.5.

Il regolamento proposto stabilisce obiettivi obbligatori per il riutilizzo e il riempimento delle bottiglie per bevande alcoliche. Tuttavia, secondo il fermo parere di operatori economici autorevoli, il perseguimento di questi obiettivi può creare notevoli difficoltà, in termini sia di approvvigionamento che di rischi per la salute pubblica, dato che le bottiglie sono di norma utilizzate dai consumatori per altri scopi pratici. Il riutilizzo obbligatorio potrebbe provocare problemi, in parte dovuti, tra l’altro, a infezioni causate dallo sviluppo di batteri e altri agenti patogeni.

5.   Inquinamento delle acque e del suolo causato da imballaggi alimentari

5.1.

Quando gli imballaggi, specie se in plastica, vengono gettati nelle discariche, provocando una grave e inaccettabile contaminazione del suolo e dell’ambiente, le sostanze chimiche provenienti dai materiali che li compongono, come gli inchiostri e i colori utilizzati per le etichette, possono defluire nelle acque sotterranee e nel suolo.

5.2.

I rifiuti di plastica, in particolare, raggiungono spesso le regioni più remote del pianeta, mettendo in pericolo la vita umana, l’avifauna e l’ambiente marino. L’inquinamento da plastica degli oceani ha raggiunto dimensioni tali da indurre la ex responsabile per gli affari marittimi nell’ambito del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) a definirlo una crisi planetaria.

5.3.

La contaminazione degli oceani è solo uno degli effetti negativi della plastica sull’ecosistema. Secondo uno studio, in totale un terzo della plastica viene gettato via e va a finire nelle vie d’acqua o nel suolo. Altri studi affermano che l’inquinamento da microplastica nei suoli di tutto il mondo è da 4 a 23 volte superiore all’inquinamento da microplastica nei nostri mari.

5.4.

Le microplastiche presenti nel suolo sono destinate a influire negativamente sul comportamento degli animali che vivono nel terreno (come i lombrichi) e di conseguenza a diffondere malattie e produrre altri impatti nocivi. La presenza di microplastiche è stata rilevata persino nei neonati. Inoltre, la plastica, nel suo processo di degradazione, assorbe sostanze nocive come i pesticidi (ad esempio il DDT) una volta che si trova nel terreno e nelle vie d’acqua.

6.   Inquinamento dell’aria e dei mari da imballaggi alimentari

6.1.

I rifiuti di imballaggi alimentari che non possono essere compostati o riciclati spesso finiscono nelle discariche, liberando gas nell’atmosfera, compresi quelli a effetto serra. Le discariche rilasciano metano, ammoniaca e acido solfidrico. Per contro, gli inceneritori rilasciano mercurio, piombo, cloruro di idrogeno, biossidi di zolfo, protossidi di azoto, particolato e diossine, che sono i composti più pericolosi.

6.2.

In gran parte dei casi, le tazze da caffè e i relativi coperchi, le cialde di caffè, i contenitori in polistirolo, le bottiglie e i tappi di plastica, gli involucri di plastica, quelli per le confezioni da sei lattine e i sacchetti di plastica per generi alimentari sono progettati per uso singolo. Se però non vengono riciclati, ostruiscono le vie d’acqua, dove gli animali li scambiano per cibo o vi restano impigliati.

6.3.

Tutta la plastica che galleggia in mare è estremamente dannosa per la fauna. Secondo l’organizzazione Ocean Conservancy (6), della plastica è stata rinvenuta nel 59 % degli uccelli marini, come l’albatro e il pellicano, nel 100 % delle specie di tartarughe marine e in oltre il 25 % dei campioni di pesce prelevati nei mercati ittici.

6.4.

Quantità astronomiche di plastica costituite da migliaia di miliardi di pezzettini volteggiano nei nostri mari in preda alle correnti, ma soltanto il 5 % di questa massa è visibile sulla superficie; il resto galleggia sotto il livello dell’acqua o è depositato sul fondo marino.

6.5.

Il CESE ritiene fondamentale incoraggiare il riciclaggio organico dei rifiuti alimentari e dei rifiuti di imballaggi alimentari compostabili, anche in considerazione del fatto che la raccolta differenziata per il riciclaggio organico dei rifiuti alimentari sarà obbligatoria dal 31 dicembre 2023. I residui zootecnici come il letame e i liquami offrono la possibilità di produrre fertilizzanti organici, biogas o biometano.

7.   Osservazioni generali

7.1.

Il CESE appoggia l’ambizione della Commissione europea di rivedere i requisiti per gli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, al fine di limitare la quantità, le dimensioni e il peso degli imballaggi nel mercato unico dell’UE, prevenire la produzione di inutili rifiuti di imballaggio, promuovere il riciclaggio di alta qualità e aumentare la riciclabilità e il riutilizzo degli imballaggi.

7.2.

Qualsiasi revisione della normativa in materia di imballaggi e rifiuti di imballaggio dovrebbe essere pienamente allineata agli obiettivi generali del Green Deal dell’UE (neutralità climatica, uso sostenibile delle risorse naturali e protezione dell’ambiente) e dovrebbe essere coerente con la normativa correlata, come il piano d’azione per l’economia circolare, la direttiva quadro sui rifiuti, la direttiva sulla plastica monouso, la direttiva sulla progettazione ecocompatibile e la normativa dell’UE sul materiale a contatto con gli alimenti.

7.3.

Il CESE sottolinea la necessità di criteri rigorosi in materia di riciclabilità degli imballaggi. L’imballaggio dovrebbe essere considerato riciclabile quando può essere riciclato più volte in un circuito di materiali permanenti e non solo se soddisfa i criteri di progettazione e se i materiali che lo compongono sono raccolti separatamente e differenziati senza contaminazione.

7.4.

Il CESE ritiene che i criteri percentuali per il riciclaggio degli imballaggi su larga scala dovrebbero essere integrati da un requisito quantitativo che abbracci un numero sufficiente di Stati membri dell’UE.

7.5.

Il CESE sostiene l’introduzione di «classi di prestazione di riciclabilità» sulla base dei «criteri di progettazione per il riciclaggio» applicabili alle categorie di imballaggi, accoglie con favore l’armonizzazione di tutti i materiali e auspica la graduale eliminazione degli imballaggi che hanno ottenuto la classe di prestazione E entro il 2030.

7.6.

Nel 2020 il tasso medio di riciclaggio nell’UE ha raggiunto l’85,5 % per gli imballaggi in acciaio, il 74 % per gli imballaggi in vetro e l’82 % per gli imballaggi di carta. Per questi materiali, i circuiti circolari sono relativamente efficaci. Tuttavia, l’adozione di un obiettivo in materia di contenuto riciclato per gli imballaggi in acciaio, ad esempio, potrebbe destabilizzare e frammentare il mercato dei rottami e delle materie prime secondarie e avere un impatto ambientale negativo. Gli obiettivi obbligatori in materia di contenuto riciclato dovrebbero essere applicabili solo a specifici gruppi e materiali di imballaggio, nel caso in cui la loro adozione possa portare a miglioramenti del mercato e a un maggiore utilizzo di materiali riciclati (ad esempio la plastica).

7.7.

Il CESE sottolinea che, al momento di valutare il potenziale di riduzione dei rifiuti, si dovrebbe tenere conto delle quote di mercato dei diversi materiali di imballaggio rispetto al volume complessivo dei relativi rifiuti di imballaggio prodotti dagli Stati membri. Sarebbe opportuno fissare obiettivi di riduzione per ciascun materiale di imballaggio (plastica, carta, metalli ferrosi, alluminio ecc.), tenendo conto dell’evoluzione dei tassi di riciclaggio nel tempo, al fine di garantire condizioni di parità ed evitare inutili sostituzioni di determinati materiali di imballaggio con alternative a bassa riciclabilità.

7.8.

Gli Stati membri dell’UE dovrebbero essere opportunamente incentivati a sostenere nuovi investimenti nelle infrastrutture e nelle tecnologie di riciclaggio, nonché nelle attività di ricerca e sviluppo.

7.9.

Il CESE ritiene che la revisione della direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio debba essere accompagnata anche da una revisione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, al fine di ridurre lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio nelle discariche. Un ridimensionamento della quantità di rifiuti che finiscono in discarica sarebbe in linea con l’impegno dell’UE a favore del riciclaggio e della riduzione dei rifiuti.

7.10.

La normativa riveduta deve rispettare e applicare il principio della neutralità dei materiali, vale a dire consentire di scegliere un materiale di imballaggio in base alla sua idoneità per un uso particolare, alle sue caratteristiche tecniche e strutturali e al suo profilo ambientale complessivo.

8.   Osservazioni specifiche

8.1.

In aggiunta alla normativa proposta, anche in materia di etichettatura, comunicazione, raccolta, cernita e riutilizzabilità, il CESE ritiene che gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di introdurre restrizioni nella produzione di materiali di imballaggio, eventualmente integrate da strumenti fiscali, per rispettare le scadenze del Green Deal.

8.2.

Il CESE propone che l’UE e gli Stati membri sostengano con tutti i mezzi disponibili la riciclabilità e il riutilizzo degli imballaggi, fornendo incentivi per l’uso di materiali alternativi riciclabili o rinnovabili oppure disincentivando i materiali di imballaggio con caratteristiche di bassa riciclabilità.

8.3.

Gli operatori economici di questo importante settore, che hanno responsabilità importanti nei confronti di dipendenti e posti di lavoro, dovrebbero ottenere dagli Stati membri un sostegno finanziario nel processo di transizione.

8.4.

Occorrerebbe definire politiche nazionali e internazionali chiare atte ad individuare i produttori dei rifiuti che vengono trasportati in altri Stati membri.

8.5.

Gli Stati membri, da parte loro, dovrebbero incoraggiare i portatori di interessi a proporre nuove idee per l’imballaggio e una corretta etichettatura allo scopo di perseguire con successo gli obiettivi del Green Deal ed evitare frodi nei confronti dei prodotti europei originali.

8.6.

Il ruolo degli enti locali nella raccolta e nella gestione dei rifiuti dovrebbe essere definito in modo chiaro al fine di evitare la compresenza di procedure e infrastrutture diverse per la gestione dei rifiuti.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti (GU L 182 del 16.7.1999, pag. 1).

(2)  https://foodprint.org/issues/the-environmental-impact-of-food-packaging/

(3)  https://www.newscientist.com/article/mg25333710-100-pollution-is-the-forgotten-global-crisis-and-we-need-to-tackle-it-now/

(4)  https://www.statista.com/statistics/1258851/glass-recycling-rate-in-europe/

(5)  https://feve.org/glass_recycling_stats_2018/

(6)  https://oceanconservancy.org/about/


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/121


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele

[COM(2022) 748 final — 2022/0432 (COD)]

(2023/C 228/17)

Relatore:

John COMER

Consultazioni

Parlamento europeo, 13.2.2023

Consiglio, 10.2.2023

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Sezione Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sezione

13.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

145/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE):

1.1.

mette in rilievo che l’UE ha la possibilità di proporre un aggiornamento del sistema mondiale armonizzato delle Nazioni Unite (UN GHS) in linea con il regolamento CLP riveduto, ma non vi è alcuna garanzia che la sua proposta sia accettata da tutte le parti. Una divergenza temporanea potrebbe diventare un problema a lungo termine. Sembra praticamente impossibile, infatti, attuare le nuove proposte relative alle vendite online provenienti da paesi terzi, a meno che non siano accettate dal GHS delle Nazioni Unite;

1.2.

ritiene essenziale che l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) disponga di risorse, competenze e personale sufficienti per attuare il regolamento riveduto. In particolare, l’aggiunta di nuove classi di pericolo richiederà all’ECHA e agli Stati membri di potenziare le loro risorse per gestire in particolare l’aumento del carico di lavoro;

1.3.

deplora il fatto che non esista alcuna disposizione specifica per avvertire il consumatore nel caso in cui gli ingredienti chimici di un prodotto di marca siano stati modificati mentre il marchio rimane lo stesso. I consumatori che acquistano un marchio familiare non controllano gli ingredienti a meno che non vi sia un’avvertenza speciale sull’etichetta. I fabbricanti di detergenti per uso domestico modificano spesso gli ingredienti dei loro prodotti, ad esempio gli enzimi e i solventi. Il consumatore dovrebbe essere informato riguardo a tali modifiche qualora il marchio rimanga lo stesso;

1.4.

propone che il quadro della Commissione per il monitoraggio dell’attuazione del regolamento CLP riveduto valuti attentamente l’impatto sulle catene del valore essenziali in cui rientrano le sostanze chimiche, in modo che non subiscano ripercussioni negative. Il Consiglio europeo dell’industria chimica ritiene che le modifiche proposte al CLP e all’approccio generico per la gestione del rischio potrebbero avere un impatto su ben 12 000 sostanze. Di conseguenza, molti prodotti su cui i consumatori e i professionisti fanno affidamento potrebbero non essere più disponibili sul mercato;

1.5.

chiede che si presti particolare attenzione al benessere di coloro che lavorano nell’industria chimica. La salute e la sicurezza devono sempre essere considerate prioritarie. È indispensabile offrire ai lavoratori dell’industria chimica una formazione intensiva che consenta loro di avere una conoscenza approfondita delle sostanze chimiche con cui sono in contatto sul lavoro. Tutte le attrezzature devono essere sottoposte a manutenzione adeguata. Secondo i dati del sistema di notifica di incidenti rilevanti (eMARS), ogni anno si verificano in media oltre 30 incidenti industriali nei 12 000 stabilimenti industriali ad alto rischio registrati nell’UE;

1.6.

sottolinea che l’approccio precauzionale è importante per la protezione della salute e dell’ambiente, in quanto utilizza i dati esistenti ricavati da sostanze chimiche strutturalmente affini che consentono di prendere una decisione precauzionale prima ancora di disporre di prove scientifiche complete del rischio;

1.7.

osserva che la relazione dell’Ufficio europeo per l’ambiente (EEB) sulla legislazione in materia di sostanze chimiche (luglio 2022) ha individuato tre principali strozzature nel processo di regolamentazione di tali sostanze:

presentazione di fascicoli senza dati completi o affidabili da parte di gruppi industriali,

incapacità degli scienziati dell’UE di agire con decisione in via precauzionale,

ritardi nel trattamento dei fascicoli da parte della Commissione, nonostante l’obbligo giuridico di elaborare le decisioni entro tre mesi.

2.   Proposta della Commissione

2.1.

La Commissione propone una revisione del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio (1) relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele (regolamento CLP).

L’obiettivo del regolamento CLP (nel prosieguo «il regolamento») è stabilire un livello elevato di protezione della salute e dell’ambiente. Esso permette inoltre la libera circolazione delle sostanze chimiche, delle miscele e degli articoli. Il regolamento impone ai fabbricanti, agli importatori e agli utilizzatori a valle di sostanze chimiche e miscele di etichettare e imballare le sostanze chimiche pericolose prima di immetterle sul mercato. Esso stabilisce norme giuridicamente vincolanti in materia di identificazione e classificazione dei pericoli, e definisce norme comuni in materia di etichettatura per informare adeguatamente i consumatori e i lavoratori in merito all’uso di prodotti pericolosi.

2.2.

La Commissione afferma che l’Unione europea è riuscita a creare un mercato unico efficiente per le sostanze chimiche.

Tuttavia, ritiene necessario procedere a una revisione del regolamento a causa di alcune debolezze e lacune giuridiche in esso riscontrate. Le proposte comprendono l’introduzione di nuove classi di pericolo per gli interferenti endocrini e altre sostanze chimiche pericolose (sulla base di un atto delegato), norme specifiche per le sostanze chimiche vendute in contenitori ricaricabili, una migliore comunicazione, anche online, attraverso un’etichettatura più chiara e leggibile, la possibilità per la Commissione di elaborare proposte di classificazione e processi più efficaci e più rapidi.

2.3.

L’UE è impegnata a favore dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e dei relativi obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS). La Commissione ritiene che tale revisione del regolamento CLP contribuirà a diversi OSS, compresi quelli volti a garantire la salute e il benessere, modelli sostenibili di produzione e di consumo nonché acqua pulita e servizi igienico-sanitari. Secondo la Commissione, tale revisione costituisce anche un «risultato importante» della strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili (che fa parte del Green Deal).

2.4.

La Commissione afferma che è necessario individuare e classificare meglio le sostanze chimiche pericolose a causa del rischio che comportano per la salute umana e per l’ambiente. Occorre affrontare le inefficienze nelle procedure e le carenze nella comunicazione dei pericoli posti dalle sostanze chimiche pericolose. L’inventario delle classificazioni e delle etichettature dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (nel prosieguo «l’inventario») contiene numerose classificazioni errate od obsolete di sostanze. Tale fenomeno ha molteplici ragioni, tra cui la mancata revisione e il mancato aggiornamento delle classificazioni e le modifiche nella classificazione armonizzata delle sostanze componenti. Anche la compilazione di «schede di dati di sicurezza» inesatte può costituire un problema. Le informazioni contenute in una scheda di dati di sicurezza possono avere effetti molto gravi a valle, soprattutto se sono inesatte. Inoltre, le sostanze che in passato sono state definite non pericolose possono, alla luce di ricerche più approfondite, essere definite pericolose. Ad esempio, l’acido borico, che in passato è stato classificato come non pericoloso, è stato successivamente classificato come molto pericoloso (tossico per la riproduzione). Di conseguenza, si sono rese necessarie delle nuove schede di dati di sicurezza.

2.5.

Nell’ambito del pacchetto di revisione del regolamento CLP, la Commissione propone di introdurre un atto delegato affinché le sostanze e le miscele con proprietà in grado di alterare il sistema endocrino («interferenti endocrini»), persistenti, bioaccumulabili e tossiche («PBT»), molto persistenti e molto bioaccumulabili («vPvB»), persistenti, mobili e tossiche («PMT») o molto persistenti e molto mobili («vPvM») siano inserite in nuove e apposite classi di pericolo.

2.6.

La revisione propone di consentire alla Commissione di avviare e finanziare un maggior numero di fascicoli per la classificazione armonizzati.

2.7.

Si propone di migliorare il metodo utilizzato dalle imprese per classificare le sostanze, prevedendo l’obbligo di rendere disponibili i motivi delle eventuali divergenze delle classificazioni notificate nell’inventario dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) e fissando il termine per l’aggiornamento delle notifiche in una fase precoce.

2.8.

La trasparenza e la prevedibilità delle proposte che i vari attori intendono presentare all’ECHA saranno migliorate in quanto saranno tenuti a comunicare tali intenzioni all’ECHA.

2.9.

La revisione propone di migliorare la comunicazione sulle sostanze chimiche pericolose:

La proposta mira a rendere l’etichettatura più chiara e comprensibile ai consumatori, meno onerosa per i fornitori e più facile da applicare. Vi saranno norme di formattazione obbligatorie per rendere le etichette più leggibili, compresa la dimensione minima dei caratteri. Sarà consentito un uso più ampio delle etichette pieghevoli.

Saranno previste norme specifiche per la vendita di sostanze chimiche in contenitori ricaricabili. Tali modalità saranno limitate alle sostanze chimiche che presentano rischi meno gravi.

L’etichettatura digitale volontaria delle sostanze chimiche sarà consentita, ma le informazioni sulla protezione della salute e dell’ambiente dovranno continuare a essere riportate sull’etichetta apposta sull’imballaggio.

Saranno inoltre introdotte deroghe per le sostanze chimiche vendute ai consumatori alla rinfusa, come il carburante, e in imballaggi di dimensioni molto ridotte, come ad esempio diversi articoli per la scrittura.

2.10.

La proposta di revisione affronta anche le lacune e le ambiguità giuridiche correlate alla vendita online e alle notifiche da trasmettere ai centri antiveleni.

2.11.

Per tutte le vendite online il fornitore sarà tenuto a garantire che qualsiasi sostanza o miscela immessa sul mercato dell’UE rispetti le prescrizioni del regolamento CLP, incluse le vendite online da paesi terzi.

2.12.

Verranno chiarite le disposizioni relative alle notifiche ai centri antiveleni. Tutti i soggetti pertinenti dovranno provvedere a notificare le sostanze chimiche ai centri antiveleni in tutta l’UE.

2.13.

Una modifica importante è proposta anche nel settore della pubblicità. Vi sarà l’obbligo di garantire che la pubblicità delle sostanze e delle miscele pericolose contenga tutte le informazioni più rilevanti in termini di sicurezza e di protezione dell’ambiente. La pubblicità dovrebbe pertanto riportare la classe di pericolo, le indicazioni di pericolo e il pittogramma di pericolo.

2.14.

Le principali azioni elencate nella strategia in materia di sostanze chimiche che la Commissione intende affrontare nella proposta comprendono l’obbligo giuridico dell’identificazione del pericolo rappresentato dagli interferenti endocrini (sulla base della definizione dell’OMS), che si fonda su criteri già elaborati per i pesticidi e i biocidi e si applica all’intera legislazione. Le nuove classi e i criteri di pericolo sono elaborati per affrontare appieno i problemi di tossicità ambientale, persistenza, mobilità e bioaccumulo.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di revisione mirata del regolamento CLP volta a garantire un funzionamento efficace ed efficiente di tale strumento.

3.2.

Il CESE accoglie con favore la proposta di atto delegato volto a stabilire nuove classi di pericolo per gli interferenti endocrini, nonché per le sostanze e i prodotti che non si decompongono nell’ambiente e tendono ad accumularsi in organismi viventi, o rischiano di entrare nel ciclo dell’acqua, anche potabile.

3.3.

Una delle principali carenze dell’attuale regolamento CLP sta nel fatto che molte sostanze chimiche vendute online nell’UE non soddisfano i requisiti giuridici da esso stabiliti. Ciò comporta un rischio per la salute umana e per l’ambiente. Il CESE accoglie con favore la proposta intesa ad affrontare il problema.

3.4.

Non è chiaro in che modo sarà applicata la proposta di modifica delle norme in materia di pubblicità. Il soggetto che pubblica un annuncio violando le norme in vigore sarà passibile di sanzioni come il venditore del prodotto che ne richiede la pubblicazione?

3.5.

In un documento informale pubblicato nel maggio 2022, l’EEB afferma che «le imprese presentano regolarmente dati incompleti o errati sugli effetti pericolosi delle loro sostanze chimiche, ma continuano ad avere accesso al mercato (non rispettando la regola no data, no market). Di conseguenza, la scarsa qualità dei fascicoli di registrazione presentati dall’industria […] costituisce un notevole ostacolo alla regolamentazione».

3.6.

In una lettera congiunta alla Commissione del 27 febbraio 2023, l’EEB e varie ONG hanno affermato che «le riforme dei sistemi normativi REACH e CLP rappresentano un’opportunità cruciale per affrontare le attuali innegabili lacune nei dati e la necessità di accelerare l’azione normativa sulle sostanze chimiche nocive. Con la presente desideriamo esprimere le nostre gravi preoccupazioni in merito a tali lacune nei dati, che ostacolano l’efficace identificazione e gestione dei rischi delle sostanze chimiche che destano maggiore preoccupazione».

3.7.

Le revisioni del regolamento REACH e del regolamento CLP sono complementari. Ad esempio, le nuove prescrizioni in materia di informazione nell’ambito di una revisione del regolamento REACH forniranno informazioni sulle proprietà intrinseche delle sostanze che ne consentiranno la classificazione nelle nuove classi di pericolo di cui al regolamento CLP riveduto.

3.8.

Al fine di evitare violazioni del diritto della concorrenza, l’ECHA ha suggerito alle imprese di essere caute nello scambio di informazioni, cioè di limitare lo scambio di informazioni a quanto strettamente necessario per evitare costose duplicazioni delle prove.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

L’11 luglio 2022 l’EEB ha pubblicato una relazione sulla legislazione in materia di sostanze chimiche in cui venivano individuate tre principali strozzature nel processo di regolamentazione di tali sostanze:

presentazione di fascicoli senza dati completi o affidabili da parte di gruppi industriali,

incapacità degli scienziati dell’UE di agire con decisione in via precauzionale;

ritardi nel trattamento dei fascicoli da parte della Commissione, nonostante l’obbligo giuridico di elaborare le decisioni entro tre mesi.

4.2.

L’EEB ha suggerito di introdurre termini vincolanti per le decisioni, di prevedere nuove sanzioni per le organizzazioni che non forniscono tutti i dati necessari, e di adottare un approccio precauzionale nella regolamentazione delle sostanze chimiche.

4.3.

La revisione ha fissato delle scadenze per l’aggiornamento delle etichette dopo una modifica della classificazione e propone che il termine di sei mesi si applichi anche quando un nuovo pericolo si aggiunge a un pericolo esistente. Qualora vi siano delle divergenze tra le classificazioni più recenti e quelle obsolete, i notificanti dovrebbero essere tenuti ad aggiornare le loro notifiche entro sei mesi dalla modifica della classificazione.

4.4.

L’ECHA, nella sua relazione del giugno 2022, afferma che «[…] i pericoli devono essere confermati prima che possano avere inizio le azioni di gestione dei rischi, e spesso prima di procedere in tal senso è necessario disporre di più dati» e che pertanto «le imprese devono aggiornare in modo proattivo le loro registrazioni con informazioni aggiornate […]».

4.5.

L’aggiornamento delle informazioni è fondamentale per il buon esito di questo processo, e pertanto tutti gli attori devono aderirvi nell’interesse della salute umana e dell’ambiente. Si dovrebbero applicare delle sanzioni qualora vi siano prove evidenti di un indebito ritardo o in caso di presentazione di dati inadeguati.

4.6.

L’ECHA dovrà potenziare il proprio organico per attuare efficacemente il nuovo regolamento proposto. Inoltre, molti Stati membri dispongono di risorse insufficienti, il che limita la loro capacità di presentare fascicoli.

4.7.

L’applicazione del regolamento spetta alle autorità nazionali, che sono tenute anche a verificare se la sostanza è stata registrata o preregistrata e ad accertare l’esattezza delle schede di dati di sicurezza. L’ECHA non ha alcuna responsabilità in materia di applicazione delle norme, tuttavia ospita un forum per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri su questo tema.

4.8.

La Commissione sta elaborando un quadro per monitorare il funzionamento del regolamento riveduto. È essenziale che nel processo di monitoraggio rientrino l’impatto sulle catene del valore che dipendono dalle sostanze chimiche e gli effetti complessivi sul mercato unico delle sostanze chimiche.

4.9.

Le nuove disposizioni relative alle vendite online prevedono che vi sia un fornitore stabilito nell’UE per garantire che la sostanza chimica sia conforme alle prescrizioni del regolamento. Ciò vale anche per le vendite online dai paesi terzi verso l’UE. La proposta mira a evitare che il consumatore diventi, di fatto e di diritto, un importatore da paesi terzi. Non vi è però alcuna proposta chiara sulle modalità con cui tale obiettivo potrebbe essere realizzato. In effetti, sembrerebbe praticamente impossibile attuare tale regime fino a quando il regolamento CLP riveduto non sarà allineato al sistema mondiale armonizzato delle Nazioni Unite per la classificazione e l’etichettatura delle sostanze chimiche (UN GHS).

4.10.

I fabbricanti che modificano gli ingredienti di un prodotto di marca, ma che non cambiano il nome del marchio, dovrebbero essere tenuti ad apporre un’avvertenza speciale sull’etichetta, in modo che il consumatore sia informato delle modifiche chimiche del prodotto.

4.11.

Il Consiglio europeo dell’industria chimica (2) ritiene che le modifiche al CLP avranno un impatto su tutte le catene del valore e reputa essenziale che la Commissione effettui un’analisi accurata per stabilire se, e in che modo, la riforma del CLP possa incidere negativamente sulle catene del valore strategiche ed essenziali.

4.12.

Poiché, secondo il principio di precauzione, si deve intervenire per ridurre i rischi derivanti dalle sostanze chimiche di fronte a rischi incerti ma presunti di causare danni, occorre intervenire prima che vi sia una prova scientifica completa del rischio.

4.13.

La sicurezza delle persone che lavorano nell’industria chimica riveste un’importanza fondamentale. Si dovrebbe effettuare una valutazione frequente della sicurezza sul luogo di lavoro, garantendo nel contempo la piena e corretta attuazione di tutti i protocolli in materia di salute e sicurezza.

4.14.

L’uso improprio delle sostanze chimiche e la mancata realizzazione di un’adeguata valutazione dei rischi costituiscono problemi gravi che devono essere messi in evidenza sul luogo di lavoro. È indispensabile offrire ai lavoratori dell’industria chimica una formazione intensiva che consenta loro di avere una conoscenza approfondita delle sostanze chimiche con cui sono in contatto sul lavoro. È essenziale che tutte le attrezzature utilizzate negli impianti chimici siano sottoposte a un’adeguata manutenzione, in modo da proteggere i lavoratori dagli infortuni o dal decesso dovuti ad apparecchiature difettose. Secondo i dati del sistema di notifica di incidenti rilevanti (eMARS), ogni anno si verificano in media oltre 30 incidenti industriali nei 12 000 stabilimenti industriali ad alto rischio registrati nell’UE. I dati non comprendono gli incidenti che si verificano all’interno di strutture pericolose non contemplate dalla direttiva Seveso. Sono esclusi anche i gasdotti e i trasporti.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008 , relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che reca modifica al regolamento (CE) n. 1907/2006 (GU L 353 del 31.12.2008, pag. 1).

(2)  www.cefic.org


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/126


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso un settore delle alghe forte e sostenibile nell’UE

[COM(2022) 592 final]

(2023/C 228/18)

Relatore:

Zsolt KÜKEDI

Consultazione

Commissione europea, 8.2.2023

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

27.4.2023

Base giuridica

Articolo 52, paragrafo 2, del Regolamento interno

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sezione

13.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

147/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione della Commissione sulla creazione di un settore delle alghe dell’UE forte e sostenibile. Le alghe possono contribuire in molti modi a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e a fornire in modo sostenibile alimenti ed energia a una popolazione mondiale in rapida crescita.

1.2.

La popolazione europea nutre opinioni differenti sulle alghe. In particolare nelle zone adiacenti corpi idrici inquinati, la proliferazione di alghe è fonte di preoccupazione. Allo stesso tempo, in numerosi paesi si ravvisa nelle alghe anche una possibile soluzione di determinati problemi, grazie in parte all’innovazione europea. Il CESE osserva che nello sviluppare un settore delle alghe è necessario creare fiducia nei prodotti e riservare maggiore attenzione alla loro sicurezza.

1.3.

Il CESE osserva che la comunicazione non pone sufficientemente l’accento sulla possibilità di creare una fonte alimentare in ambienti di acqua dolce. Inoltre, le alghe non costituiscono necessariamente solo una fonte di alimenti in ambienti di acqua dolce, ma possono anche servire a fini ambientali o energetici estendendo la loro coltivazione alle acque dolci eutrofizzate, alle acque reflue provenienti dai bagni termali e ad acque reflue di altro tipo. Questa risorsa vasta, ma sottoutilizzata, dovrebbe essere messa al servizio dello sviluppo dell’Europa, e in special modo delle aree rurali dell’UE.

1.4.

Le macroalghe nelle acque marine costiere possono generare un reddito aggiuntivo per le imprese di pesca. La loro estrazione riduce l’eutrofizzazione e può generare prodotti e servizi ecosistemici di valore, anche fornendo nuovi habitat a determinate specie viventi. Il settore delle macroalghe di acqua dolce e in fase di avvio e dovrebbe essere preso in considerazione nei prossimi documenti strategici.

1.5.

Nell’UE la coltivazione continua di microalghe è possibile per lo più in un reattore chiuso, cosa che implica un enorme fabbisogno di capitale. Tuttavia tale coltivazione è molto produttiva e affidabile, e la qualità è prevedibile. La coltivazione di microalghe è possibile anche nei corsi d’acqua dolce e nei laghi dell’Europa meridionale.

1.6.

Per alcuni Stati membri senza sbocco sul mare (ad esempio Ungheria, Cechia e Slovacchia) la produzione di microalghe è sostanzialmente l’unica opzione disponibile. Al tempo stesso alcuni di questi paesi possiedono elevate conoscenze scientifiche e tecnologiche che dovrebbero essere utilizzate per la creazione di un settore europeo delle alghe.

1.7.

Le macroalghe e le microalghe, che offrono un’ampia gamma di possibilità e hanno caratteristiche, impatti ed esigenze normative differenti, non dovrebbero essere trattate allo stesso modo. Il CESE è consapevole dell’esistenza di un ragionevole equilibrio tra macroalghe e microalghe nella comunicazione, ma raccomanda di esaminare in che modo il settore delle alghe di acqua dolce possa apportare benefici a taluni Stati membri (quelli senza uno sbocco sul mare). Il CESE raccomanda di adottare un approccio più equilibrato e integrato ai settori correlati, operando una chiara distinzione tra le competenze dell’UE e quelle degli Stati membri e, se necessario, proteggendo il mercato interno dai prodotti d’importazione a basso costo.

1.8.

Nell’UE l’approvvigionamento alimentare non è ancora un problema, ma lo sono la disponibilità e i prezzi dell’energia (prodotta in loco o importata), dei fertilizzanti e degli ingredienti per mangimi, come pure l’aumento dei rifiuti organici e la diminuzione dei terreni coltivabili. Meritano un ampio sostegno le tecnologie che sono in grado di risolvere globalmente questi problemi pressanti, e tra esse la produzione e lo sfruttamento delle alghe.

1.9.

Il CESE osserva che il potenziale economico delle alghe anticipato nella comunicazione è significativo, ma che il potenziale teorico della loro coltivazione è ancora più elevato e può quindi rispondere alla crescente domanda. Tuttavia, i fondi europei possono essere utilizzati solo per soluzioni economicamente valide e sostenibili, per cui il CESE chiede alla Commissione di dedicare particolare attenzione all’efficienza economica della produzione di alghe, nonché alla dimensione ambientale e a quella sociale.

1.10.

Come proposto dal CESE, ai fini dell’accettazione sociale e di mercato dell’industria delle alghe occorre promuovere la conoscenza e la consapevolezza di tale nuovo settore durante la sua fase di avvio; il CESE chiede pertanto alla Commissione europea di dare particolare rilievo alla misura da esso proposta attraverso indagini rappresentative, piani d’azione specifici per paese e il coinvolgimento, o persino la creazione, di organizzazioni settoriali.

1.11.

Il CESE raccomanda alla Commissione europea, agli Stati membri interessati e all’industria delle alghe di esaminare le seguenti proposte connesse alla creazione di un settore delle alghe:

integrare la produzione di alghe nelle catene del valore già esistenti nel settore agroalimentare, dei mangimi e delle materie prime industriali ed energetiche;

riservare nella comunicazione maggiore attenzione alla produzione di alghe in acqua dolce;

avviare un processo di normazione riguardante tutte le alghe, che potrebbe includere anche lo sviluppo di una strategia integrata per i prodotti del mare;

sulla base delle migliori pratiche amministrative, porre fine alla frammentazione della legislazione ed estendere i modelli di autorizzazione alle alghe;

includere le diverse specie di alghe nel catalogo alimentare dell’UE;

colmare le lacune in termini di conoscenze tecniche, tecnologia e innovazione attraverso un ambizioso programma di finanziamento della ricerca a breve e medio termine;

costituire banche dei materiali di moltiplicazione e finanziarne il funzionamento; garantire che le materie prime siano disponibili a prezzi ragionevoli per i produttori di alghe e per i progetti di ricerca e sviluppo;

riesaminare gli aspetti economici della produzione e gli usi potenziali al fine di creare un settore delle alghe economicamente sostenibile; proteggere il mercato interno dai prodotti importati a basso costo.

1.12.

Il CESE invita le istituzioni dell’UE a iniziare a dare priorità alla questione dell’acqua e a sviluppare un patto blu per l’Europa al fine di preservare e utilizzare meglio le risorse idriche e di affrontare adeguatamente le relative questioni. In tale contesto, la creazione di un settore delle alghe dell’UE costituisce un passo importante.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il 15 novembre 2022 la Commissione europea ha presentato la proposta Verso un settore delle alghe forte e sostenibile nell’UE (1). La comunicazione propone lo sviluppo di modalità nuove e durature di alimentazione e approvvigionamento energetico sostenibile della popolazione mondiale in rapida crescita. Essa sottolinea che, per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime ed energia, dobbiamo sfruttare il potenziale delle alghe come risorsa rinnovabile in Europa.

2.2.

Questa opportuna comunicazione della Commissione si inserisce in una serie di documenti che riconoscono il notevole potenziale economico e i benefici ambientali e sociali della coltivazione su larga scala di micro e macroalghe nell’UE. Essa definisce 23 azioni volte a migliorare il quadro di governance e la legislazione; a rendere il contesto imprenditoriale più favorevole alla produzione di alghe; ad accrescere la consapevolezza della società e l’accettazione da parte dei consumatori delle alghe e dei prodotti a base di alghe; e a colmare le lacune in termini di conoscenze, ricerca e tecnologia.

2.3.

Alcune politiche europee, come il Green Deal europeo (2) e la strategia Dal produttore al consumatore (3), hanno sottolineato il potenziale delle alghe (marine) d’allevamento e di altri prodotti a base di alghe come fonti di proteine a basse emissioni di carbonio da utilizzare negli alimenti e nei mangimi. Secondo la comunicazione Orientamenti strategici per un’acquacoltura dell’UE più sostenibile e competitiva per il periodo 2021-2030 (4), è opportuno promuovere la coltivazione di alghe, sia macroalghe (alghe marine) che microalghe, contribuendo in tal modo al conseguimento di diversi obiettivi del Green Deal europeo. Nella comunicazione Cicli del carbonio sostenibili (5), la Commissione riconosce il potenziale delle alghe per l’economia blu basata sul carbonio. La comunicazione su un’economia blu sostenibile (6) menziona anche le potenzialità delle alghe per lo sviluppo di un sistema alimentare sostenibile e la sicurezza alimentare globale.

2.4.

Non solo le alghe rappresentano una materia prima rispettosa dell’ambiente (e perciò verde), ma la loro utilizzazione sistemica è in linea con il principio fondamentale di riduzione al minimo dei rifiuti dell’economia blu, ossia può essere al tempo stesso sia «blu» che «verde».

2.5.

La coltivazione di alghe conferisce un valore aggiunto a quasi tutti gli elementi del Green Deal europeo:

alla protezione del clima attraverso la decarbonizzazione;

all’approvvigionamento di energia con la produzione di biogas e biocarburanti;

alla circolarità grazie al suo contributo alla gestione dei rifiuti e al fatto che non genera inquinamento;

alla promozione di un sistema alimentare sano e rispettoso dell’ambiente;

alla protezione e al ripristino degli ecosistemi e della biodiversità, al miglioramento dei servizi ambientali;

all’obiettivo di azzerare l’inquinamento.

L’aumento della produzione di alghe offre le seguenti opzioni concrete (7):

produzione di alimenti (compresi quelli per la prima infanzia) o integratori alimentari (ad esempio vitamine, carragenina), in modo sostenibile e senza uso del suolo;

produzione di biocombustibili e biogas di nuova generazione;

produzione di cosmetici ad alto valore aggiunto, prodotti sanitari (estratti per prodotti farmaceutici, pigmenti, talassoterapia) e materie prime industriali (materie prime per la produzione di carta; fibre a base biologica);

produzione di integratori per mangimi (miglioramento della resa e/o della qualità, risparmio di soia o di farina di pesce);

produzione di biostimolanti per le colture (ammendanti, fertilizzante fogliare);

benefici ambientali (trattamento delle acque reflue, misurazione della purezza delle acque, quote di emissione di carbonio).

2.6.

Nella comunicazione la Commissione europea «esamina il potenziale delle alghe nell’UE e delinea un approccio coerente, comprendente anche azioni mirate, per sostenere lo sviluppo della coltivazione e della produzione di alghe rigenerative in tutta l’UE e per sviluppare e integrare i mercati delle applicazioni alimentari e non alimentari delle alghe».

2.7.

Con «coltivazione e […] produzione di alghe rigenerative» non si intende solo la conversione dell’energia solare e dei nutrienti in biomassa vegetale e il sostegno al ripristino degli ecosistemi, ma anche che «la coltivazione delle alghe marine può fornire beni e servizi ecosistemici preziosi, in particolare creando nuovi habitat per i pesci e le specie di invertebrati mobili».

2.8.

I mari e gli oceani costituiscono una risorsa enorme ma attualmente sottoutilizzata: «i mari e gli oceani, […] attualmente sono fonte di appena il 2 % dell’alimentazione umana, pur coprendo oltre il 70 % della superficie terrestre». Allo stesso tempo, i benefici derivanti dagli habitat acquatici possono provenire non solo dai mari e dagli oceani, ma anche dalle acque dolci eutrofizzate (che si tratti di fiumi e laghi o di bacini artificiali, di canali di irrigazione ecc.), dalle acque termali reflue e dagli effluenti.

2.9.

Nel contesto delle conseguenze della guerra russo-ucraina, le alghe potrebbero ridurre in modo efficace e sostenibile la carenza di fertilizzanti, di ingredienti per mangimi e di energia (8).

2.10.

Il potenziale di crescita della domanda di alghe è enorme (9): la domanda di alghe marine potrebbe passare da circa 270 000 tonnellate nel 2019 a 8 milioni di tonnellate nel 2030, raggiungendo in tale anno un valore pari a 9 miliardi di EUR. Un simile aumento della produzione potrebbe creare circa 85 000 posti di lavoro, rimuovere ogni anno migliaia di tonnellate di fosforo e azoto dai mari europei, mitigare fino a 5,4 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 all’anno e alleviare la pressione sui suoli. Il CESE osserva che il potenziale teorico della coltivazione delle alghe è persino superiore alla domanda attuale e può pertanto stare al passo con la domanda crescente.

3.   Osservazioni particolari

3.1.

La percezione delle alghe tra i cittadini europei e le imprese è per lo più negativa: si basa su immagini come quella delle alghe lasciate dal mare sulle spiagge o delle proliferazioni di alghe che cambiano il colore di un lago. Invece, per la loro struttura fisica e le modalità della loro vita, le alghe sono organismi unici nel loro genere e utili.

3.2.

Il termine «alghe» designa in effetti un gruppo di circa 72 500 specie (10) di organismi fotosintetici acquatici. Il 20 % delle specie è costituito da macroalghe multicellulari di grandi dimensioni, che si trovano tipicamente nei mari, mentre il resto è costituito da microalghe che possono essere anche coltivate in modo efficiente in sistemi artificiali, e che consentono utilizzazioni più varie ma la cui produzione è più costosa. L’iniziativa presenta un equilibrio ragionevole tra macroalghe e microalghe, dal momento che attualmente vengono prodotte in tutto il mondo 36 milioni di tonnellate di macroalghe e 0,05 milioni di tonnellate di microalghe.

3.3.

La comunicazione apre prospettive ambiziose, ma realistiche, per il settore europeo delle alghe. L’analisi del settore delle alghe e delle sue opportunità e limitazioni è ampiamente accurata, il programma è coerente e le misure in generale appaiono concrete e pertinenti per lo sviluppo del settore europeo delle alghe nel prossimo futuro. Tuttavia singoli elementi richiedono una serie di chiarimenti e spiegazioni. Ai fini dell’attuazione occorrerebbe garantire la coerenza con altri settori, come il settore agroalimentare tradizionale e i settori dei prodotti ittici (pesca e acquacoltura animale).

3.4.

Attualmente, la produzione di alghe è molto distinta dagli altri settori della produzione agricola. Tuttavia è importante non considerare le alghe come un settore di produzione completamente separato, ma integrarle nelle attuali catene del valore agroalimentari, dei mangimi e delle materie prime industriali ed energetiche. Il CESE sottolinea l’esigenza di regolamentare la produzione di alghe e altre attività connesse in un sistema comune, in particolare per quanto riguarda:

il settore dell’energia idroelettrica e del trattamento delle acque reflue (trattamento complesso delle acque reflue, recupero del calore di scarto e della CO2);

l’integrazione degli impianti di biogas agricolo con la produzione/l’uso di alghe (ad esempio, valorizzazione dei liquami, riduzione della domanda di terreni agricoli, uso delle alghe come co-substrato nelle ricette per il biogas);

la parziale sostituzione della domanda di mangimi proteici per l’allevamento (relativa ricerca alimentare e dietetica);

il ripristino sostenibile dei sistemi idrici soggetti a eutrofizzazione.

3.5.

Trattandosi di un settore nuovo e poco sviluppato, occorre avere particolare cura di stimolare lo sviluppo e avviare un processo di normazione. Ciò potrebbe includere lo sviluppo di una strategia integrata per i prodotti ittici e gli altri prodotti alimentari provenienti dal mare che includa attività quali la pesca, lo sfruttamento di organismi selvatici, l’acquacoltura animale e, al di là del settore alimentare, i biocarburanti con una componente di alghe. L’allevamento delle alghe marine può anche rappresentare un’alternativa per i pescatori che devono far fronte a una riduzione della produzione di altre materie prime e all’aumento dei costi, e possono dover cambiare le loro attività tradizionali. La comunicazione in oggetto non dedica molto spazio a questo approccio integrato.

3.6.

Molte delle azioni previste dalla comunicazione si concentrano principalmente sulla coltivazione in mare aperto. Ciò è comprensibile alla luce degli attuali tassi di produzione di macro- e microalghe e dell’attuale stato di sottosviluppo della produzione di microalghe in Europa, ma l’obiettivo di sviluppo dovrebbe coprire l’intera varietà di alghe. Le alghe marine possono essere coltivate nei paesi con coste marittime e isole, in genere in condizioni naturali, in funzione delle specie e della loro utilizzazione. D’altro canto, anche la coltivazione di microalghe sulla terraferma in generale è molto importante, soprattutto per la produzione di proteine e lipidi, e non va trascurata. Tale coltivazione comprende le micro e macroalghe di acqua dolce e le colture applicate nelle acque reflue, che rappresentano una promettente fonte di biomassa da utilizzare come materia prima organica, e contribuiscono così a diversificare il tessuto economico delle zone remote e spopolate, sostenendo così la visione a lungo termine per le zone rurali dell’UE (11).

3.7.

Uno dei principali e notori ostacoli per il settore della produzione, in particolare riguardo le macroalghe, sia in mare che a terra, consiste nella frammentazione della legislazione e nel suo carattere fortemente divergente tra uno Stato membro e l’altro e persino tra le regioni di singoli Stati membri, o addirittura nella totale assenza di una tale legislazione sulle alghe, giacché i modelli di autorizzazione sono generalmente concepiti tenendo conto degli animali acquatici (pesci, molluschi ecc.). Molto spesso non è possibile richiedere un’autorizzazione per le alghe perché esse non figurano nei relativi moduli di richiesta. Il CESE raccomanda di elaborare una panoramica paneuropea completa di tutta la legislazione e di tutte le procedure amministrative per ogni fase della produzione di alghe e per ogni loro utilizzazione (alimenti, mangimi, bio-carburanti, cosmetici, prodotti farmaceutici ecc.), che funga da esempio per gli Stati membri nello sviluppo delle migliori pratiche amministrative, e per creare condizioni di parità per gli scambi all’interno e all’esterno dell’UE.

3.8.

Per lo sviluppo di un settore realmente europeo degli alimenti a base di alghe è indispensabile incoraggiare l’inclusione delle specie o dei gruppi di alghe nel catalogo alimentare dell’UE. Molte delle specie attualmente riconosciute provengono da paesi terzi (soprattutto asiatici), cosa che costituisce un ostacolo, in particolare per le piccole imprese e gli investitori che desiderano coltivare specie europee strettamente affini o simili. Occorre pertanto rivedere le parti del catalogo degli alimenti relative alle alghe e incoraggiare l’inclusione di nuove specie o famiglie.

3.9.

Poiché le alghe suscitano nella società un atteggiamento di forte estraneità, sia pure infondato e dovuto a scarsa conoscenza, le azioni a tutti i livelli amministrativi dovrebbero favorire le conoscenze e una presa di coscienza in rapporto a questo nuovo settore, alla sua integrazione e alla sua sistematizzazione, e ciò dovrebbe riflettersi adeguatamente nelle misure proposte. A tal fine si può procedere attraverso le seguenti fasi:

eseguire consultazioni del pubblico in generale e delle imprese, condotte in modo uniforme e rappresentative a livello nazionale, con domande e metodologie omogenee;

su questa base, elaborare piani d’azione specifici per paese, volti a rendere gli atteggiamenti più positivi;

costituire organizzazioni di settore.

3.10.

Essendo quello delle alghe un settore nuovo per l’Europa, sussistono carenze significative in materia di tecnologia, di innovazione e di competenze professionali. Le lacune in termini di conoscenze sono state in gran parte individuate, ma devono essere colmate attraverso un ambizioso programma di finanziamento della ricerca nel breve e medio termine. Sia la ricerca di base (strategica) che la ricerca applicata a tutti i livelli della produzione di alghe sono essenziali per colmare tali lacune:

maggiore sostegno alla ricerca di base: dedicata principalmente alla tecnologia di coltivazione (nel caso delle microalghe) e a una raccolta efficiente e alla verifica della gamma di specie di acqua marina in diversi paesi (nel caso delle macroalghe), e all’utilizzabilità di tutte le specie di alghe;

nel caso delle applicazioni ad alto valore aggiunto (prodotti farmaceutici, cosmetici, fertilizzanti fogliari, alimenti), miglioramento del contesto di mercato.

3.11.

Poiché la qualità affidabile (gamma di specie) e l’elevata resa di alghe in Europa sono disponibili solo in sistemi chiusi o semichiusi, che richiedono materiali di moltiplicazione puliti, la cui produzione non è redditizia nei sistemi industriali, è necessario istituire un numero sufficiente di banche di materiali di moltiplicazione delle alghe, finanziarne il funzionamento e garantire che le materie prime siano disponibili a prezzi ragionevoli per i produttori di alghe e per i progetti di R&S.

3.12.

Il settore delle alghe ha un notevole potenziale di creazione di posti di lavoro e i posti di lavoro che ne derivano dovrebbero essere ben retribuiti e dignitosi. Il settore delle alghe beneficerebbe in modo particolare della creazione delle competenze necessarie per avviare un Blue Deal europeo; al riguardo, è importante investire nella formazione. Gli ostacoli all’ingresso nel settore delle alghe non dovrebbero impedire alle PMI di accedere a questo segmento di attività. Il CESE accoglie con favore la creazione di catene di produzione delle alghe marine che evitino pratiche sleali.

3.13.

Una crescita efficace del settore delle alghe può essere conseguita solo migliorando il contesto imprenditoriale. Occorre esaminare attentamente gli aspetti economici della produzione e delle potenziali applicazioni e le modalità per migliorarli. Ad esempio, la misura numero 7 riguarda la promozione della sostituzione (nell’acquacoltura) dei mangimi a base di pesce con mangimi a base di alghe. Quasi tutti gli ingredienti a base di pesce nei mangimi per pesci possono essere facilmente sostituiti da ingredienti a base di alghe (proteine, acidi grassi ecc.), ma la loro produzione è molto più costosa rispetto a prodotti con caratteristiche simili a base di pesce o di soia. Nel caso dei produttori ittici, per i quali i mangimi sono uno dei principali costi di produzione e i margini di profitto sono generalmente scarsi, non è economicamente realistico passare ai mangimi a base di alghe. Occorrono quindi misure dirette a ridurre i costi di produzione degli ingredienti a base di alghe, evitando nel contempo che i requisiti di monitoraggio e normazione siano più rigorosi per le alghe che per altri prodotti agricoli. Tutti i produttori di alimenti (e di ingredienti per alimenti) dovrebbero essere trattati allo stesso modo per garantire parità di condizioni sul mercato. Se si dimostra che gli ingredienti a base di alghe sono più sostenibili, il loro impiego può essere collegato alla certificazione ecologica (marchio di qualità ecologica), che può incoraggiare i consumatori ad accettare un prezzo più elevato per un prodotto più sostenibile.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Verso un settore delle alghe forte e sostenibile nell’UE, COM(2022) 592 final del 15 novembre 2022.

(2)  Il Green Deal europeo, COM(2019) 640 final dell’11 dicembre 2019.

(3)  Dal produttore al consumatore, COM(2020) 381 final del 20 maggio 2020.

(4)  Orientamenti strategici per un’acquacoltura dell’UE più sostenibile e competitiva per il periodo 2021 — 2030, COM(2021) 236 final del 12 maggio 2021.

(5)  Cicli del carbonio sostenibili, COM(2021) 800 final del 15 dicembre 2021.

(6)  Trasformare l’economia blu dell’UE per un futuro sostenibile, COM(2021) 240 final del 17 maggio 2021.

(7)  Come riferimento e per una trattazione di ulteriori possibilità: Babich et al, Algae: Study of Edible and Biologically Active Fractions, Their Properties and Applications [Alghe: studio delle frazioni commestibili e biologicamente attive, delle loro proprietà e delle loro applicazioni], Plants 2022, 11(6), 780: https://doi.org/10.3390/plants11060780; e Poonam Sharma, Nivedita Sharma, Industrial and Biotechnological Applications of Algae: A Review [Rassegna delle applicazioni industriali e biotecnologiche delle alghe] (2017), Journal of Advances in Plant Biology — 1(1):01-25. DOI 10.14302/issn. 2638-4469.japb-17-1534: https://openaccesspub.org/article/530/japb-17-1534.pdf.

(8)  Conclusioni del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno 2022.

(9)  Secondo le stime contenute nello studio Hidden champion of the ocean — Seaweed as a growth engine for a sustainable European future [Campioni nascosti dell’oceano — Le alghe come motore di crescita per un futuro europeo sostenibile] della Seaweed for Europe Coalition.

(10)  Michael D. Guiry, nello studio How many species of algae are there? [Quante sono le specie di alghe?] stima che il numero di specie possa arrivare a un milione. La stima di 72 500 specie proviene invece dalla banca dati online tassonomica AlgaeBase. Cfr. Guiry (2012): https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/27011267/, DOI: 10.1111/j.1529-8817.2012.01222.x.

(11)  COM(2021) 345 Una visione a lungo termine per le zone rurali dell'UE — Verso zone rurali più forti, connesse, resilienti e prospere entro il 2040 e NAT/839, GU C 290 del 29.7.2022, pag. 137.


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/132


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Quadro strategico dell’UE in materia di plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili»

[COM(2022) 682 final]

(2023/C 228/19)

Relatore:

András EDELÉNYI

Correlatore:

Alessandro MOSTACCIO

Consultazione

Commissione europea, 8.2.2023

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sezione

13.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27/04/2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

134/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE):

1.1.

accoglie con favore la tempestiva comunicazione sul quadro strategico dell’UE in materia di plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili: un settore, questo, nel quale inizia a profilarsi tutta una serie di opzioni utili per avvicinarsi agli obiettivi della sostenibilità e della circolarità. Se regolamentate in modo appropriato, le bioplastiche possono essere uno strumento per lo sviluppo «verde» (diminuzione del consumo di risorse fossili e dell’inquinamento da plastica, aumento della raccolta differenziata dei rifiuti);

1.2.

sottolinea il fatto che l’Europa è, fortunatamente, pioniera nel campo dello sviluppo delle bioplastiche e delle plastiche biodegradabili e, tra il 2007 e il 2020, ha finanziato più di 130 progetti di ricerca in questo campo, per un importo complessivo di circa 1 miliardo di euro (1). L’Unione europea è il secondo maggior produttore di bioplastiche al mondo, e dovrebbe rafforzare la sua posizione globale concentrandosi sui prodotti a più elevato valore aggiunto, vale a dire quelli a base biologica, biodegradabili e compostabili (la produzione asiatica si limita perlopiù ai prodotti compostabili ma non rinnovabili);

1.3.

ritiene che l’UE riuscirà ad alzare l’asticella nella concorrenza globale, ottenendo i massimi benefici sul piano ambientale, se il nuovo quadro normativo saprà selezionare le applicazioni industriali con il massimo valore aggiunto per l’ambiente e se ogni nuovo prodotto immesso sul mercato recherà informazioni chiare e veritiere, mettendo così i consumatori in condizione di essere proattivi nella transizione verso l’economia circolare;

1.4.

incoraggia la Commissione a trarre conclusioni sulla base di un’analisi comparativa dei benefici della plastica a base biologica, biodegradabile e compostabile rispetto alla plastica a base fossile. Alcune raccomandazioni non comparative eccessivamente prudenti potrebbero non fornire orientamenti sufficienti per la ricerca, l’innovazione e l’avvio di attività di investimento, e ciò potrebbe ostacolare ulteriori progressi e vanificare il vantaggio competitivo dell’UE;

1.5.

raccomanda di procedere, sulla scorta delle più recenti acquisizioni scientifiche, a un riesame sistematico di tutte le misure che incidono direttamente e indirettamente sull’ambiente legislativo e normativo circostante. Ciò potrebbe diminuire la confusione e tutelare gli utenti;

1.6.

invita ad applicare il sistema della gerarchia delle priorità (priorità a cascata) nella valutazione dei materiali, dei prodotti e dei processi, compresi gli aspetti relativi alla circolarità e alla sostenibilità. Ciò vale tanto per le materie prime, la biomassa e le catene alimentari quanto per le cascate del riciclaggio. Le misure di attuazione della direttiva sulle energie rinnovabili (RED III) definiranno ulteriormente la sequenza secondo cui al riuso/riciclaggio del materiale (materiale rinnovabile) viene data priorità rispetto al riuso a fini energetici (energia rinnovabile);

1.7.

è convinto che l’analisi del ciclo di vita (LIFE Cycle Analysis — LCA) rappresenti uno strumento eccellente per valutare determinati aspetti di sostenibilità dei prodotti e contribuisca quindi a orientare la ricerca, l’innovazione e le attività di investimento, previste o in corso. Tuttavia, è necessario compiere ancora sforzi considerevoli per ridurre le carenze insite nei metodi attualmente impiegati al fine di limitare le incertezze legate al mancato riconoscimento del «credito» del carbonio biogenico (2) e all’impatto sul capitale naturale;

1.8.

ritiene che la maggior parte degli attuali metodi di contabilità dei costi e di determinazione dei prezzi ometta di internalizzare e di riconoscere i costi e i benefici derivanti da componenti supplementari che, in virtù del riciclaggio, vengono reimmessi nel circuito di produzione. Un regime realistico di responsabilità estesa del produttore (EPR), basato sull’analisi del ciclo di vita e adattato alle esigenze specifiche, può riorientare e correggere l’attuale, dannosa, competitività in termini di prezzo dei prodotti biopolimerici;

1.9.

fa osservare che un insieme selezionato di ambiti d’intervento, che dovrebbe rientrare nelle competenze di un’Europa del valore aggiunto (3), può contribuire a individuare ed eliminare le strozzature che frenano i rapidi progressi necessari in questo campo. Ciò è particolarmente importante per i dati, il monitoraggio, la discussione e il sostegno alla ricerca e all’innovazione;

1.10.

raccomanda alla Commissione europea di continuare a riesaminare ciclicamente gli sviluppi di maggior rilievo nell’ecosistema dei biopolimeri. I metodi e gli strumenti di consultazione pubblica integrati sono un buon modo per coinvolgere tutte le parti interessate, in primo luogo garantendo la partecipazione della società civile organizzata attraverso le varie associazioni rappresentative;

1.11.

incoraggia gli Stati membri a introdurre percentuali obbligatorie di contenuto di plastica a base biologica sia per le plastiche a base biologica che per le plastiche compostabili. Si propone che tutti i tipi di materiali destinati all’esposizione (materiale promozionale, marchi ecc.) debbano essere basati su standard e norme definitivi. Per il tenore di carbonio biogenico certificato, il metodo da impiegare è quello del radiocarbonio (carbonio-14). Il metodo del bilancio di massa può essere accettabile per esprimere il tenore in biomassa di un riciclaggio più complesso, multiplo o di livello intermedio, ma i consumatori devono esserne informati;

1.12.

prende atto che il regolamento vieta la plastica monouso, ma propone di precisarne la formulazione e definirne meglio l’ambito di applicazione, in quanto reputa che la normativa non dovrebbe escludere una serie di prodotti e applicazioni della plastica che sono intrinsecamente monouso e non restituibili, ossia non possono essere riutilizzati o riciclati meccanicamente. In questi casi va favorito l’uso della plastica a base biologica e/o della plastica biodegradabile e compostabile;

1.13.

sottolinea che il riciclaggio meccanico (short loop) è in molti casi vantaggioso data la sua relativa semplicità, ma presenta altresì una serie di svantaggi, tra i quali il declassamento del materiale (downcycling) dovuto a un riciclaggio misto, i limiti di spessore, la resa inferiore e il maggior fabbisogno energetico. Da un complesso confronto in termini di sostenibilità può quindi risultare che convenga piuttosto utilizzare polimeri a base biologica oppure percorsi di riciclaggio diversi (ossia organici e/o chimici). L’opzione più adatta in questo caso può essere il ricorso a materie plastiche che sono sia a base biologica che compostabili. Per i fogli di plastica più sottili non sono ancora state sviluppate tecniche di separazione adatte;

1.14.

è dell’avviso che le plastiche biodegradabili certificate conformi alle norme dell’UE offrano una serie di opportunità per mitigare l’inquinamento da plastica, riducendo l’accumulo di rifiuti di micro- e nanoplastiche e quindi i danni che derivano da materiali non biodegradabili. Per il momento, tuttavia, soltanto poche, benché assai importanti, applicazioni sono disponibili per la biodegradazione controllata in specifici ambienti aperti naturali. Sono pertanto necessari maggiori sforzi per sviluppare metodi sistemici che combinino le proprietà e le condizioni dei materiali al fine di sfruttare le opzioni disponibili per la biodegradazione nel suolo e in altri specifici ambienti aperti.

1.15.

ritiene che il compostaggio industriale e il ricorso a plastica compostabile rappresenti un modo eccellente per migliorare la raccolta e l’uso dei rifiuti alimentari. Oltre a riportare carbonio nel suolo, queste tecniche consentono di smaltire e riciclare insieme i rifiuti alimentari e gli imballaggi (o altre applicazioni compostabili). Gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati e aiutati ad attuare la raccolta differenziata obbligatoria dei rifiuti organici a partire dal 2024. Occorre predisporre per questa fase la plastica compostabile, come quella dei sacchetti e delle altre applicazioni per alimenti, nonché le relative infrastrutture, organizzazioni e campagne di sensibilizzazione;

1.16.

chiede che la gamma di applicazioni della plastica compostabile non sia limitata a quelle elencate nella proposta della Commissione sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. L’esperienza e le buone pratiche dimostrano infatti che la plastica compostabile può svolgere una funzione positiva in tutta una serie di ambiti, principalmente per quanto concerne i prodotti e i materiali destinati a venire a contatto con alimenti, o circolanti all’interno di circuiti chiusi, e i fogli sottili.

2.   Contesto del parere, glossario e situazione del settore

2.1.   Definizioni delle materie plastiche rinnovabili:

«Bioplastiche» è un termine collettivo generico che non dovrebbe essere adoperato né per la commercializzazione delle materie plastiche né per le loro applicazioni, potendosi prestare a malintesi e/o ad abusi o potendo suscitare associazioni negative. Ai fini di questo parere, esso significa «plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili».

Plastiche a base biologica (plastiche a base vegetale, BBP): plastiche ottenute a partire da materie prime rinnovabili non fossili (4). Le BBP possono essere biodegradabili oppure no. Le BBP drop-in sono chimicamente identiche alle loro omologhe a base fossile. Le plastiche «bio-attribuite» possono essere definite come plastiche cui è stato aggiunto un contenuto a base biologica.

Plastiche biodegradabili (BDP): plastiche che, alla fine della loro vita funzionale, sono soggette a decomposizione ad opera di microrganismi, producendo così acqua, biomassa, sali minerali e biossido di carbonio (CO2) (oppure metano, in caso di digestione anaerobica). Possono essere costituite sia da materie prime a base biologica che da materie prime fossili.

Plastiche compostabili (CP): sottoinsieme delle plastiche biodegradabili (il cui acronimo comune è BDCP) in cui il processo di biodegradazione si svolge in condizioni controllate, utilizzando microrganismi per produrre, in presenza di ossigeno, residui organici stabilizzati, acqua e CO2 o, in assenza di ossigeno, metano, in modo che entrambi i gas finali possano essere raccolti. Il compostaggio standardizzato e rigorosamente controllato ha luogo negli impianti di compostaggio (impianti di riciclaggio organico) conformemente ai requisiti della norma EN 13432 (5), quindi anche con la garanzia che gli additivi utilizzati siano del tutto innocui. Il compostaggio domestico non è soggetto a condizioni così rigorose e non può quindi fornire un prodotto finale predefinito.

Naturalmente, si ha la combinazione più vantaggiosa quando una plastica è sia a base biologica che biodegradabile, anche mediante compostaggio: è il caso, ad esempio, di un materiale di largo impiego come l’acido polilattico (PLA).

2.2.   Il settore della plastica

La produzione di plastica e/o bioplastica nel mondo

Dati 2021-2022 — Produzione globale di plastica e bioplastica  (6)

Anno

Plastica fossile

[Mt]

Bioplastica

[Mt]

BP

[%]

BBP

[Mt; (%)]

BDCP

[Mt; (%)]

2021

367

1,80

0,49

0,74 ; (41,2 )

1,05 ; (58,7 )

2022 (*1)

390

2,22

0,57

1,07 ; (48,2 )

1,14 ; (51,3 )

Elaborazione sulla base di: European Bioplastics, Facts and Figures (https://www.european-bioplastics.org/market/)

Le bioplastiche rappresentano attualmente circa l’1 % della produzione mondiale complessiva di materie plastiche.

Tuttavia, la produzione di bioplastica è in aumento, e si prevede che, entro il 2027, sarà passata dagli attuali 1,8 milioni a 6,2 milioni di tonnellate.

2.2.1.   La bioplastica nel mondo

L’Asia (e in particolare la Cina) è il principale polo di produzione della bioplastica (41,4 % della produzione mondiale nel 2022), seguita dall’UE (26,5 %) e dagli Stati Uniti (18,9 %).

Si prevede che, entro il 2027, la quota dell’Asia salga al 63 %, mentre, in assenza di misure di sostegno, la quota dell’UE dovrebbe ridursi in misura significativa.

2.2.2.   La domanda europea di bioplastica

Nell’UE la domanda di bioplastiche è aumentata da 210 000 tonnellate nel 2019 a circa 320 000 tonnellate nel 2021 (7). Il tasso di crescita annuo è stato superiore al 23 %. Rispetto alla produzione mondiale di bioplastiche, la domanda europea rappresenta circa il 18 %. L’Europa svolge un ruolo guida in termini di bilancia commerciale con l’estero e di innovazione tecnica.

È di fondamentale importanza educare meglio i consumatori a distinguere le bioplastiche dalla plastica di origine fossile e a utilizzare le prime in maniera ottimale.

2.3.   Le sfide ambientali per il settore della plastica

2.3.1.   L’impatto sul clima

Se confrontata ad altre catene del valore, come quelle dell’energia, delle sostanze chimiche e di alcuni altri materiali, la catena del valore della plastica contribuisce in misura limitata alle emissioni di gas a effetto serra. Nell’UE le emissioni totali di gas a effetto serra prodotte nel 2018 dalla catena del valore della plastica sono state stimate in 208 milioni di tonnellate di biossido di carbonio equivalente (CO2-eq). La maggior parte di tali emissioni (il 63 %) è causata dalla produzione di polimeri plastici. La conversione di questi polimeri in prodotti rappresenta un altro 22 %, e il trattamento dei rifiuti di plastica alla fine del ciclo di vita aggiunge un ulteriore 15 %, dovuto principalmente all’incenerimento (8).

2.3.2.   L’impatto sul capitale naturale

Al suddetto impatto sul clima si aggiunge il fatto che il tasso di riciclaggio della plastica è ancora troppo basso. Tutto ciò incide anche sull’ambiente e sul capitale naturale del pianeta (la cosiddetta impronta ambientale), sfruttando il limitato patrimonio di risorse naturali e danneggiando gli ecosistemi del pianeta, come il suolo, la terra, l’aria, l’acqua, gli organismi viventi e, in ultima analisi, la salute e il benessere umani. Un problema specifico è rappresentato dall’accumulo di particelle di microplastica nei corpi d’acqua dolce e nell’acqua marina.

2.3.3.   Gli sforzi per attenuare il problema

La catena del valore della bioplastica è potenzialmente in grado di ridurre le emissioni di CO2 dovute a CO2 biogenico o sequestrato, a condizione però che l’uso della bioplastica aumenti significativamente e che i rifiuti di BBP siano riciclati anziché inceneriti. La plastica ottenuta a partire dalla biomassa e/o biodegradabile in determinati ambienti presenta una serie di vantaggi rispetto alla plastica convenzionale — benefici che occorre riconoscere e prendere in considerazione. Una stima effettuata nella relazione Eionet (ETC/WMGE 2021/3) sulla base di uno scenario in cui nell’UE tutte le plastiche a base fossile sono sostituite da quelle a base biologica ha calcolato emissioni totali annue di gas a effetto serra pari a 146 milioni di tonnellate di CO2-eq per la plastica a base biologica, ossia il 30 % in meno rispetto ai 208 milioni di tonnellate di CO2-eq provenienti dalla catena del valore basata sulle risorse fossili (9).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Caratteristica comune delle bioplastiche è il fatto di avere un grande potenziale al fine di migliorare il ciclo del carbonio e mantenerlo sostenibile ed equilibrato. Di conseguenza, esse contribuiscono ad azzerare l’impatto netto sul clima e sul capitale naturale. Detto ciò, le due categorie principali di bioplastica vanno considerate separatamente: la plastica a base biologica (BBP), fabbricata a partire dalle piante, favorisce il passaggio da un’economia della plastica basata su risorse fossili ad una basata sulla biomassa; la plastica biodegradabile e compostabile (BDCP), d’altro canto, presenta vantaggi peculiari in termini di gestione dei prodotti alla fine del ciclo di vita e ai fini degli obiettivi del Green Deal (riduzione degli sprechi alimentari, produzione e consumo sostenibili ecc.).

Il ricorso a materie plastiche che siano sia a base biologica che compostabili è senz’altro utile al fine di ridurre il saldo netto dei gas a effetto serra grazie alla quantità di CO2 sequestrata e dunque sottratta all’ambiente.

3.2.

La comunicazione della Commissione europea fornisce un’analisi ampia e approfondita del settore delle plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili, sulla base di un esame dei dati disponibili. Su alcuni punti, tuttavia, le conclusioni e le raccomandazioni sono eccessivamente caute e rischiano perciò di scoraggiare l’innovazione e gli investimenti in alcuni settori chiave. L’analisi dovrebbe essere comparativa, basandosi sul confronto tra le plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili e le attuali plastiche a base fossile, fermo restando che, in ogni caso, la sostituzione 1:1 di queste ultime con le bioplastiche non è un’opzione realistica.

3.3.

Per quanto riguarda la percezione generale da parte della società, l’accettazione dei materiali e prodotti sostenibili e del loro uso è piuttosto elevata, situandosi generalmente, secondo i sondaggi d’opinione, tra l’80 e il 90 %. Il 25 % dei consumatori che hanno risposto ai sondaggi sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto del 20 % rispetto a quello dei prodotti equivalenti in plastica a base fossile, e il 4 % pagherebbe il 50 % in più per i prodotti biopolimerici sostenibili.

3.4.

Per definire ed attuare un quadro strategico realistico, è necessario:

adottare definizioni e classificazioni chiare e inequivocabili dei tipi di biopolimeri, delle rispettive caratteristiche e dei loro ambiti di applicazione di elezione;

assicurarsi che i cittadini sappiano che l’espressione«a base biologica»si riferisce solo all’origine della base delle materie prime, mentre gli aggettivi «biodegradabile»e«riciclabile»indicano proprietà sistemiche che dipendono dal materiale e dall’ambiente e/o dalle condizioni di fine vita funzionale;

riesaminare in modo sistematico e procedere a un allineamento del corpus normativo che disciplina la progettazione, la fabbricazione, l’uso e il ricircolo, vale a dire l’intero ciclo di vita dei prodotti in plastica;

riallineare l’insieme delle norme adiacenti al suddetto corpus normativo, come pure le correlate etichettature, tenendo conto delle recenti acquisizioni della ricerca, dell’evoluzione tecnologica e delle innovazioni;

fornire ai consumatori conoscenze fondate su solide basi scientifiche e realizzare infrastrutture efficaci — che li mettano in condizione di partecipare al processo di conseguimento degli obiettivi di sostenibilità concordati — nonché continuare a studiare gli impatti sanitari e ambientali delle bioplastiche.

3.5.

In ogni parte del quadro in esame, anche per quanto riguarda la riduzione della plastica alla fonte e a monte di questa, deve trovare applicazione un sistema di priorità disposte in ordine gerarchico («priorità a cascata»). Tale sistema deve essere applicato alla catena del valore ed essere conforme ai principi di conservazione, riuso, riciclaggio e recupero al fine di mantenere le diverse componenti all’interno del circuito. Per quanto possibile, l’intero stock, flusso e ciclo del carbonio dev’essere controllato: compresi, quindi, il carbonio concentrato nelle materie prime (carbone, petrolio, gas), quello prodotto, trattato, sequestrato (sotto forma di biossido), raccolto (come rifiuto) e riciclato, e quello disperso contenuto nei prodotti utilizzati, nel suolo e nell’aria. Per quanto riguarda il riciclaggio, è possibile optare per percorsi, ottimizzati ai fini della sostenibilità, a ciclo corto (meccanico), medio (fisico/chimico e/o chimico) o completo (biochimico), a seconda del modo in cui le varie sostanze possono essere reintrodotte nel circuito.

3.6.

I requisiti di cui è detto sopra pongono un nuovo e ampio ventaglio di sfide all’ingegneria della progettazione ecocompatibile. Oltre a dover soddisfare i tradizionali requisiti di funzionalità, fattibilità ed estetica, gli ingegneri di progettazione ecocompatibile devono ora tener conto della disponibilità, della durabilità, delle previsioni di fine vita, della circolarità e dell’ottimizzazione della sostenibilità delle materie prime.

3.7.

La questione dell’approvvigionamento sostenibile delle materie prime merita una particolare attenzione. Attualmente la produzione delle BBP, che hanno una quota di mercato delle materie plastiche pari all’1 %, impegna lo 0,02 % dei terreni coltivabili. Per sostituire il 100 % della plastica di origine fossile con le BBP — un’ipotesi teoricamente possibile, ma non realistica — sarebbe necessario utilizzare il 4-5 % dei seminativi. Le colture alimentari (zucchero, amido, oli) rappresentano attualmente due terzi delle fonti di materia prima, mentre il restante terzo è costituito da prodotti non commestibili (legno, olio di ricino). Nonostante il basso utilizzo dei terreni, occorrerà puntare a spostare l’approvvigionamento verso livelli inferiori delle cascate di alimenti e biomassa, ossia dalle colture e/o dagli alimenti verso i sottoprodotti (ad esempio paglia, rifiuti di legno) e i rifiuti riciclabili (lignocellulosa organica, carboidrogeno e rifiuti carboidrati) prima del recupero di energia. Lo stesso vale per le iniziative riguardanti nuove materie prime, come i rifiuti di alghe.

3.8.

Le tecnologie di fabbricazione sono per lo più consolidate e le tecnologie per la plastica a base fossile possono essere applicate alla trasformazione. Per quanto riguarda la catena circolare, tuttavia, devono essere aggiunte ulteriori fasi a entrambe le estremità del processo lineare: produzione di materie prime e bioraffineria nonché raccolta e trattamento dei rifiuti seguiti da riciclaggio o recupero. Ciò comporta maggiori flussi di materiali dispersi nell’ambiente. Ove necessario e fattibile, si dovrebbe ricorrere a processi centralizzati per la cattura del CO2 .

3.9.

La ricerca sui materiali e l’ingegneria dei materiali dovrebbero concentrarsi sull’ampliamento dello spettro delle applicazioni di nuovi biopolimeri o miscele con nuove combinazioni di proprietà fisiche, chimiche, funzionali e di biodegradabilità, sia per quanto riguarda le proprietà dei materiali che le condizioni pertinenti.

3.10.

Gli aspetti relativi al lavoro non sono ancora stati analizzati in maniera approfondita. Secondo le stime si prevede un aumento di 175 000 — 215 000posti di lavoro entro il 2030 (nota 16). Le nuove tecnologie richiedono nuove competenze, specie per quanto riguarda il trattamento delle materie prime, il riciclaggio e l’ingegneria della progettazione ecocompatibile. Tali esigenze dovranno essere affrontate mediante piani di sviluppo e di investimento, unitamente a programmi di formazione, istruzione, riqualificazione e miglioramento del livello delle competenze. La gratificazione personale e il prestigio sociale del lavoro sono in aumento, ma è imperativo dedicare altrettanta attenzione a definire condizioni di lavoro decorose.

3.11.

La maggior parte degli attuali modelli di contabilità e di determinazione dei prezzi utilizza l’approccio tradizionale o lineare,«dalla culla al cancello». In una comparazione condotta con questo metodo, i biopolimeri risultano meno vantaggiosi, a causa degli elevati costi dei materiali, dell’accesso più frammentato alle materie prime, delle produzioni seriali più piccole e della curva di apprendimento. Tuttavia, adottando un paradigma «dalla culla al cancello» che internalizzi i costi di un ricircolo sostenibile, tale risultato potrebbe cambiare completamente. Se applicati correttamente, metodi modulari di responsabilità estesa del produttore (EPR) potrebbero infatti compensare i suddetti svantaggi.

3.12.

Per valutare l’impronta ambientale dei beni e dei materiali usati si ricorre ai metodi e ai calcoli dell’analisi del ciclo di vita. Sono stati compiuti notevoli sforzi per definire e quantificare tale impatto, espresso in termini di emissioni nette di gas a effetto serra in CO2 equivalente. Tuttavia, saranno necessarie ulteriori esperienze, ricerche e modellizzazioni per sviluppare i metodi di calcolo dell’impronta ambientale dei prodotti (Product Environment Footprint — PEF), in quanto i metodi attuali non sono sufficienti per determinare il «credito» del carbonio biogenico e quantificare gli effetti del cambiamento di destinazione dei terreni nonché quelli, difficili da prevedere, sul capitale naturale. Un’analisi del ciclo di vita realistica e generalmente accettata costituisce un prerequisito per un sistema di EPR credibile e modulare. Screening e previsioni basati su una tale LCA ridurrebbero i rischi orientando la ricerca precoce, l’innovazione e le decisioni di investimento.

3.13.

Dato che prassi e legislazione variano notevolmente da uno Stato all’altro, un’«Europa del valore aggiunto» (10) dovrebbe concentrarsi sul sostegno ad attività quali la raccolta e la trasparenza dei dati, l’individuazione e la diffusione di buone pratiche e il monitoraggio del progresso scientifico, economico, finanziario e sociale, anche individuando e contribuendo a eliminare o risolvere le criticità al fine di preservare la buona competitività dell’UE nel settore in oggetto.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   Introduzione

4.1.1.

In una serie di casi, il riciclaggio meccanico non è fattibile, a causa della contaminazione degli imballaggi da parte degli alimenti o perché non è possibile e/o conveniente riciclare meccanicamente imballaggi piccoli e/o sottili. In questi casi, la plastica compostabile è una buona soluzione in quanto consente di smaltire e riciclare insieme i rifiuti alimentari e gli imballaggi.

4.2.   La plastica a base biologica

4.2.1.

Il quadro strategico dovrebbe stabilire, per le BBP, un contenuto minimo obbligatorio a base biologica e riciclato, prendendo le mosse dalla proposta della Commissione europea del 30 novembre 2022 sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. Questo requisito delle BBP potrebbe sostituire o integrare il contenuto riciclato minimo. Esigenze di sicurezza alimentare impongono l’uso di materiale vergine o chimicamente riciclato nelle applicazioni a contatto con gli alimenti (posate, tazze, vassoi, pellicole per avvolgere); soltanto per le bottiglie e i vassoi in PET è consentito che vengano riciclati meccanicamente e ricondizionati per tornare plastica destinata al contatto diretto con gli alimenti.

4.2.2.

Esistono già sistemi di certificazione per il contenuto a base biologica, come i sistemi TÜV Austria OK (11) e DIN CERTCO (12); ed esistono altresì norme specifiche europee e internazionali (13), anche basate su un bilancio di massa certificato da terzi. Inoltre, alcuni Stati membri hanno stabilito livelli obbligatori sia per il contenuto riciclato che per quello a base biologica. Ai fini della certificazione, il tenore di carbonio biogenico dovrebbe essere determinato utilizzando la metodologia radiochimica del carbonio-14. Tuttavia, per i prodotti non omogenei riciclati più volte e per le BBP contenenti plastica, potrebbe essere accettabile anche il metodo del contenuto in massa.

4.2.3.

Alcuni metodi della catena di custodia consentono di utilizzare materie prime a base biologica in prodotti intermedi o in prodotti per i quali la complessità delle catene del valore o il livello di scala non consentono ancora la segregazione (14).

4.2.4.

Il quadro strategico fa riferimento al metodo «Plastics LCA» (Valutazione del ciclo di vita della plastica) del Centro comune di ricerca (15), che si basa sulla metodologia UE dell’impronta ambientale del prodotto (Product Environmental Footprint method — PEF) in quanto metodica più armonizzata disponibile. Tuttavia, la metodologia PEF si rivela insufficiente ai fini della corretta contabilizzazione del carbonio biogenico (ed è anzi persino in contraddizione con alcune norme comunemente accettate (16) che tengono conto dell’assorbimento iniziale di tale carbonio nei prodotti e nelle plastiche a base biologica) e del cambiamento di destinazione dei terreni.

4.3.   La plastica biodegradabile e compostabile

La biodegradabilità e la compostabilità non sono caratteristiche negative, responsabili di un aumento della dispersione nell’ambiente. Non vi sono prove, studi o dimostrazioni che avvalorino l’ipotesi che la biodegradabilità possa avere un impatto negativo in termini di maggiore dispersione dei rifiuti nell’ambiente. La questione può essere affrontata con un sistema di etichettatura, come quello già introdotto in Italia. Nessun materiale dovrebbe essere disperso nell’ambiente: tutti i materiali devono essere raccolti, separati e riciclati.

4.3.1.   La plastica biodegradabile

La biodegradazione della plastica nell’ambiente aperto non è uno strumento di gestione dei rifiuti. Al contrario, e in linea con la direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (17) e con la norma EN 13432, la plastica compostabile deve essere riciclata organicamente insieme con i rifiuti alimentari, oppure con stallatico e liquame, in impianti di compostaggio al fine di produrre compost organici utilizzabili come fertilizzante organico per il trattamento e il miglioramento del suolo. L’obiettivo è utilizzare questi materiali laddove essi si siano dimostrati vantaggiosi in termini di sostenibilità, come nel caso delle applicazioni per alimenti. Questo uso della plastica compostabile può contribuire sia ad aumentare i livelli di raccolta dei rifiuti organici sia a ridurre la contaminazione dei rifiuti organici causata dai materiali plastici tradizionali.

4.3.1.1.

È opportuno condurre ulteriori ricerche intensive sui materiali e sulle condizioni di biodegradazione controllata ottimizzati a livello sistemico in specifici ambienti naturali aperti. Validi esempi al riguardo sono gli intonaci biodegradabili in acqua o i rivestimenti polimerici biodegradabili nel suolo dei fertilizzanti a rilascio lento o controllato. Tuttavia, sono ancora necessari maggiori sforzi per sviluppare la biodegradazione, che racchiude un notevole potenziale ai fini nella prevenzione e della mitigazione dell’inquinamento da accumulo di micro- e nanoplastiche.

4.3.1.2.

Come riconosciuto nella comunicazione della Commissione europea, la plastica biodegradabile svolge un ruolo importante nell’agricoltura. In questo settore, infatti, essa rappresenta un’alternativa vantaggiosa in quanto si biodegrada nel suolo senza generare microplastiche. Inoltre, essa consente di evitare l’erosione del suolo che altrimenti deriverebbe dall’uso di pellicole tradizionali di pacciamatura in plastica molto sottili (< 25 μm).

4.3.2.   La plastica compostabile industrialmente

4.3.2.1.

Il CESE sottolinea il ruolo fondamentale della plastica compostabile nella maggior parte dei formati degli imballaggi e non imballaggi specifici a contatto con gli alimenti, come nel caso — ma non solo — dei pochi formati menzionati dalla Commissione (adesivi per frutta e verdura, bustine da tè e cialde da caffè filtranti, nonché borse di plastica ultraleggere). Pertanto, l’uso di altri importanti formati di imballaggio e non imballaggio compostabili, quali posate, tazze, vassoi e pellicole per avvolgere (anche in eventi, impieghi ed ambiti a circuito chiuso), dovrebbe essere promosso — e non vietato — dall’articolo 22, in combinato disposto con l’allegato V della direttiva proposta in materia di imballaggi e rifiuti di imballaggio. Un tale divieto non sarebbe coerente con il fatto che, a partire dal 31 dicembre 2023, in tutta l’UE i rifiuti organici dovranno essere raccolti separatamente o riciclati alla fonte (18). La plastica compostabile svolge un ruolo cruciale ai fini dell’innalzamento del tasso di cattura dei rifiuti organici, come anche della riduzione della contaminazione del compost da parte della plastica non biodegradabile.

Dato che alcune plastiche compostabili e a base biologica sono già presenti sul mercato, l’opzione più adatta sembra essere quella di esigere un contenuto minimo di origine biologica per la plastica compostabile, in linea con alcune normative nazionali (come quelle italiana e francese).

4.3.2.2.

La revisione della direttiva sui concimi ha evidenziato un evidente squilibrio nei modelli europei di uso dei fertilizzanti: un uso mediamente eccessivo di nutrienti azotati, fosforici e potassici sintetici può infatti provocare l’eutrofizzazione delle acque, mentre una carenza di fertilizzanti organici come il letame, il compost ricavato dai rifiuti, i fanghi di fognatura ecc. può far calare il tenore di carbonio dei suoli.

4.3.2.3.

La comunicazione della Commissione in esame ravvisa nel problema della contaminazione incrociata un argomento a favore della limitazione dell’uso delle materie plastiche compostabili. Tuttavia, la contaminazione incrociata riguarda non solo la plastica compostabile, ma anche altri materiali (ad esempio i metalli presenti nei flussi di plastica e la plastica non compostabile presente nei rifiuti organici). Esiste inoltre una contaminazione incrociata nei flussi di plastica, in quanto, se si vuole evitare il declassamento del materiale riciclato rispetto a quello vergine (downcycling), bisognerebbe separare i diversi polimeri prima di immetterli nella maggior parte dei processi di riciclaggio. In pratica, tuttavia, non è stata dimostrata alcuna contaminazione incrociata dei flussi di plastica da parte delle plastiche a base biologica: dati italiani, infatti, mostrano che, in tali flussi, la presenza di plastica compostabile è inferiore all’1 %. Ciò è dovuto al fatto che alcuni prodotti (borse di plastica monouso, posate, piatti) possono essere fatti solo di plastica compostabile, nonché all’esistenza di un chiaro sistema di etichettatura sia per la plastica compostabile che per quella tradizionale, che permette ai consumatori di distinguerle tra loro e quindi di indirizzarle, tramite la raccolta differenziata (la plastica compostabile va buttata tra i rifiuti organici, quella non compostabile tra le plastiche), al sistema di riciclaggio appropriato. Pertanto, non vi è contaminazione incrociata, né confusione tra i consumatori, nei paesi che hanno introdotto sistemi adeguati di gestione dei rifiuti per la plastica compostabile (19). I quadri normativi, i sistemi di gestione dei rifiuti e i sistemi di etichettatura vigenti in questi paesi potrebbero costituire una buona pratica cui far riferimento in materia di plastiche a base biologica.

La norma EN 13432 può senz’altro essere aggiornata, ma nella comunicazione in esame la Commissione europea omette di riconoscere che gli impianti di compostaggio in cui sono applicate le pratiche e tecnologie migliori disponibili per i relativi processi, e in particolare si seguono i tempi di compostaggio appropriati, sono in grado di trattare e biodegradare completamente la plastica compostabile e i rifiuti alimentari, come dimostrano le interviste condotte in tali impianti dal consorzio Biorepack (20). Non è colpa della bioplastica né della norma EN 13432 se in alcuni impianti di compostaggio, in particolare negli Stati membri dell’UE con sistemi di gestione dei rifiuti alimentari meno efficienti, non vengono applicati i processi e i tempi di compostaggio corretti. Tali impianti di compostaggio devono semplicemente essere ristrutturati.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Impresa comune Europa biocircolare.

(2)  L’assorbimento biogenico (sequestro) di carbonio dall’ambiente dovrebbe essere dedotto dalle emissioni di carbonio ai fini del calcolo dell’impronta ambientale, ossia rappresenta un «credito» nel bilancio dell’impatto climatico.

(3)  Gli ambiti nei quali, cioè, l’UE può creare un valore aggiunto rispetto ai singoli Stati membri che agiscono separatamente senza coordinamento e senza risorse comuni.

(4)  La famiglia delle bioplastiche può includere anche la plastica «bio-attribuita», che può essere definita come plastica cui è stato aggiunto un contenuto di origine biologica (il contenuto a base biologica può essere determinato mediante la ripartizione delle materie prime).

(5)  GU L 190 del 12.7.2001, pag. 21.

(*1)  Bilancio preliminare

(6)  Fonte: World plastics production 2020, Plastics Europe, 2021. European Bioplastics, Facts and Figures (https://www.european-bioplastics.org/market/).

(7)  Plastic Consult, Bioplastics in Europe, Market update, 23.9.2022.

(8)  Relazione Eionet — ETC/WMGE 2021/3.

(9)  Relazione Eionet — ETC/WMGE 2021/3.

(10)  Questa espressione indica un concetto speculare rispetto a quello di «costi della non Europa», riferendosi ai benefici di un’azione sinergica anziché individuale.

(11)  https://www.tuv-at.be/green-marks

(12)  https://www.dincertco.de

(13)  CEN/TS 16640; ASTM D6866.

(14)  Nei processi industriali complessi e lunghi che utilizzano varie materie prime, una separazione fisica (tra combustibili fossili e bio o tra prodotti «freschi» e riciclati) richiederebbe investimenti insostenibili. I metodi della catena di custodia consentono una contabilità affidabile e trasparente e un’etichettatura e un’informazione chiare e univoche per quanto riguarda il contenuto di un prodotto lungo la catena del valore.

(15)  https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC125046

(16)  ISO 22526-1, 2 e 3, EN 16760, ISO, EN 15804, ISO 14067.

(17)  Direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (GU L 365 del 31.12.1994, pag. 10).

(18)  Articolo 22 della direttiva 2008/98/CE.

(19)  Cfr. i sistemi italiani di EPR del consorzio Biorepack per la plastica compostabile: https://biorepack.org/

(20)  https://eng.biorepack.org/communication/news/composting-plants-talk.kl


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/141


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme specifiche relative ai medicinali per uso umano destinati all'immissione in commercio nell'Irlanda del Nord

[COM(2023) 122 final — 2023/0064 (COD)]

(2023/C 228/20)

Relatore generale:

Jack O'CONNOR

Consultazione

Consiglio, 9.3.2023

Parlamento europeo, 13.3.2023

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

154/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) conviene che un regolamento costituisce lo strumento appropriato per attuare le soluzioni concordate, e si compiace della tempestività con cui la Commissione europea ha presentato la relativa proposta.

1.2.

Il CESE:

concorda sul fatto che le disposizioni della proposta di regolamento siano opportunamente limitate al settore d'intervento pertinente e che non sia necessaria alcuna valutazione della coerenza con altre politiche dell'Unione;

ritiene appropriato che la proposta abbia come base giuridica le disposizioni dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

reputa che le misure previste siano proporzionate agli obiettivi da conseguire;

ritiene che la proposta contenga inoltre meccanismi di salvaguardia adeguati per garantire la protezione del mercato unico dell'UE;

considera adeguato che la proposta di regolamento sia esentata dalla valutazione d'impatto, date l'urgenza e la delicatezza della situazione.

1.3.

Il CESE sostiene l'adozione e la rapida attuazione del regolamento proposto, che garantirebbero la continuità dell'approvvigionamento di medicinali per uso umano nell'Irlanda del Nord e migliorerebbero le prospettive di attuazione del protocollo su Irlanda/Irlanda del Nord (di seguito «protocollo»), oltre a contribuire alla salvaguardia dell'accordo di Belfast (o «accordo del Venerdì santo»).

1.4.

Gli articoli 9 e 10 della proposta di regolamento prevedono che la Commissione possa sospendere le norme specifiche in caso di inosservanza da parte del Regno Unito. Il CESE conviene che tale disposizione è essenziale, ma sottolinea l'importanza di procedere, prima di una eventuale sospensione, alle consultazioni con il Regno Unito previste dall'articolo 9, paragrafo 3, e alle consultazioni con gli esperti designati da ciascuno Stato membro di cui all'articolo 10, paragrafo 4.

1.5.

Il CESE incoraggia la consultazione costante dei principali portatori di interessi, volta a contribuire a garantire un'attuazione tempestiva, nonché il monitoraggio di eventuali rischi futuri per il conseguimento degli obiettivi del regolamento proposto. A tale riguardo, le istituzioni europee dovrebbero inoltre essere aggiornate periodicamente sui progressi compiuti nell'attuazione prima del gennaio 2025.

2.   Osservazioni generali

2.1.

La proposta di regolamento si inserisce nel contesto delle soluzioni concordate tra l'UE e il Regno Unito nel Quadro di Windsor.

2.2.

Tale proposta, che fa parte di un'ampia serie di soluzioni comuni concordate tra l'UE e il Regno Unito per affrontare le preoccupazioni elencate nella relazione della proposta stessa, stabilisce norme specifiche relative ai medicinali per uso umano destinati all'immissione in commercio nell'Irlanda del Nord in conformità all'articolo 6 della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (1). L'obiettivo è quello di associare alcune norme specifiche alle disposizioni elencate nell'allegato 2 del protocollo, che disciplinano l'attività nel settore dei medicinali.

2.3.

Le difficoltà che il regolamento proposto intende affrontare sono emerse praticamente all'entrata in vigore del protocollo, il 1o gennaio 2021, e sono rimaste invariate anche dopo la fine del periodo di transizione stabilito nell'accordo di recesso tra l'UE e il Regno Unito, specie per quanto riguarda la disponibilità in Irlanda del Nord di medicinali prodotti in Gran Bretagna, a causa del nuovo, complesso, contesto normativo. Per garantire una fornitura ininterrotta di medicinali dalla Gran Bretagna all'Irlanda del Nord, il 12 aprile 2022 l'UE ha adottato la direttiva (UE) 2022/642 del Parlamento europeo e del Consiglio (2), che prevede deroghe a determinati obblighi concernenti determinati medicinali per uso umano resi disponibili nel Regno Unito nei confronti dell'Irlanda del Nord.

2.4.

In sostanza, tali deroghe hanno consentito ai produttori del Regno Unito di mantenere le prove per lotti e le funzioni di controllo della conformità normativa in parti del Regno Unito diverse dall'Irlanda del Nord. Hanno inoltre agevolato la fornitura di nuovi medicinali, consentendo alle autorità competenti del Regno Unito di autorizzarne la fornitura — per un periodo di tempo limitato — ai pazienti in Irlanda del Nord, anche qualora non avessero ancora ottenuto l'approvazione nell'UE.

2.5.

L'esperienza acquisita successivamente ha rivelato alcuni problemi pratici legati a tali soluzioni. Date le piccole dimensioni del mercato dell'Irlanda del Nord, l'obbligo di fornire confezioni e opuscoli informativi separati per la Gran Bretagna e l'Irlanda del Nord imporrebbe un notevole onere economico ai produttori. Sono state inoltre espresse preoccupazioni in merito al fatto che la coesistenza, per lo stesso medicinale, di autorizzazioni all'immissione in commercio potenzialmente divergenti per la Gran Bretagna e l'Irlanda del Nord creerebbe incertezza giuridica in relazione alle norme applicabili ai medicinali. Ulteriori questioni, riguardanti la complessità dei regolamenti applicabili all'esportazione e alla reimportazione di medicinali, sono state affrontate dalla Commissione nel regolamento delegato (UE) 2022/315 della Commissione (3), che concede ai grossisti una deroga di tre anni.

2.6.

Le conseguenti soluzioni comuni concordate tra l'UE e il Regno Unito sono concepite per porre rimedio in modo sostenibile a tali questioni. Esse prevedono che:

i medicinali nuovi e innovativi immessi legalmente nel mercato dell'Irlanda del Nord richiedano esclusivamente un'autorizzazione all'immissione in commercio valida rilasciata dal Regno Unito;

le caratteristiche di sicurezza dell'UE non figurino sulle confezioni di medicinali disponibili nell'Irlanda del Nord;

i medicinali immessi nel mercato dell'Irlanda del Nord non siano resi disponibili in nessuno Stato membro dell'UE;

le confezioni destinate al Regno Unito siano contrassegnate dall'etichetta UK only [solo Regno Unito];

le autorità del Regno Unito monitorino costantemente l'attività sul mercato per garantire la conformità;

la Commissione possa sospendere unilateralmente le nuove norme qualora il Regno Unito non rispetti i suoi obblighi.

2.7.

La proposta in esame è intesa a dare efficacia legislativa a questa serie di soluzioni comuni.

2.8.

Il CESE conviene che un regolamento costituisce lo strumento appropriato per attuare le soluzioni concordate, e si compiace della tempestività con cui la Commissione ha presentato la relativa proposta.

2.9.

Il CESE:

concorda sul fatto che le disposizioni della proposta di regolamento siano opportunamente limitate al settore d'intervento pertinente e che non sia necessaria alcuna valutazione della coerenza con altre politiche dell'Unione;

ritiene appropriato che la proposta abbia come base giuridica le disposizioni dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

reputa che le misure previste siano proporzionate agli obiettivi da conseguire;

ritiene che la proposta contenga inoltre meccanismi di salvaguardia adeguati per garantire la protezione del mercato unico dell'UE;

considera adeguato che la proposta di regolamento sia esentata dalla valutazione d'impatto, date l'urgenza e la delicatezza della situazione.

2.10.

Dal momento che ampie consultazioni con le associazioni di categoria e gli altri portatori di interessi hanno preceduto le discussioni con il Regno Unito anteriormente all'adozione della prima serie di soluzioni nell'aprile 2022 e che questa serie aggiuntiva di soluzioni comuni risponde solo ad alcune questioni supplementari sorte nel frattempo, il CESE concorda sul fatto che non è necessaria una consultazione pubblica aperta prima dell'adozione. Il CESE incoraggia tuttavia la consultazione costante dei principali portatori di interessi, volta a contribuire a garantire un'attuazione tempestiva, nonché il monitoraggio di eventuali rischi futuri riguardo al conseguimento degli obiettivi del regolamento proposto. A tale riguardo, le istituzioni dell'UE dovrebbero inoltre essere aggiornate periodicamente sui progressi compiuti nell'attuazione prima del gennaio 2025.

2.11.

Il CESE sostiene l'adozione e la rapida attuazione del regolamento proposto, che garantirebbero la continuità dell'approvvigionamento di medicinali per uso umano nell'Irlanda del Nord e migliorerebbero le prospettive di attuazione del protocollo, oltre a contribuire alla salvaguardia dell'accordo di Belfast.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU L 311 del 28.11.2001, pag. 67).

(2)  Direttiva (UE) 2022/642 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 aprile 2022, che modifica le direttive 2001/20/CE e 2001/83/CE per quanto riguarda le deroghe a determinati obblighi concernenti determinati medicinali per uso umano resi disponibili nel Regno Unito in relazione all’Irlanda del Nord e a Cipro, in Irlanda e a Malta (GU L 118 del 20.4.2022, pag. 4).

(3)  Regolamento delegato (UE) 2022/315 della Commissione, del 17 dicembre 2021, che modifica il regolamento delegato (UE) 2016/161 per quanto riguarda la deroga all’obbligo per i grossisti di disattivare l’identificativo univoco dei medicinali esportati nel Regno Unito (GU L 55 del 28.2.2022, pag. 33).


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/144


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a norme specifiche riguardanti l’ingresso in Irlanda del Nord da altre parti del Regno Unito di determinate partite di merci al dettaglio, di piante da impianto, di patate da semina, di macchinari e di determinati veicoli utilizzati a fini agricoli o forestali, come pure i movimenti a carattere non commerciale di determinati animali da compagnia verso l’Irlanda del Nord

[COM(2023) 124 final — 2023/0062 (COD)]

(2023/C 228/21)

Relatore generale:

Klaas Johan OSINGA

Consultazione

Consiglio, 10.3.2023

Parlamento europeo, 13.3.2023

Base giuridica

Articoli 43, paragrafo 2, 114, 168, paragrafo 4, lettera b), e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

147/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il quadro di Windsor (1), quale dimostrazione del fatto che quando il Regno Unito e l’Unione europea (UE) si adoperano lealmente nella ricerca di soluzioni di comune accordo, le relazioni bilaterali possono produrre risultati tangibili per la società civile di entrambe le parti.

1.2.

Il CESE sostiene la proposta di regolamento (2) della Commissione volta a regolamentare l’ingresso e l’immissione sul mercato dell’Irlanda del Nord di determinati prodotti agricoli — comprese le piante da impianto, i macchinari e i veicoli a fini agricoli o forestali e le patate da semina — come pure i movimenti a carattere non commerciale verso l’Irlanda del Nord da altre parti del Regno Unito (Gran Bretagna) di cani, gatti e furetti da compagnia.

1.3.

Il CESE riconosce sia l’urgenza che la natura tecnica del regolamento proposto e delle questioni che intende disciplinare. Riconosce inoltre i notevoli sforzi compiuti per conciliare l’agevolazione delle procedure, i meccanismi di salvaguardia dell’integrità del mercato interno dell’UE e la protezione della sanità pubblica e della salute di animali e piante.

1.4.

Il CESE osserva che il termine previsto per la marcatura delle merci al dettaglio preimballate che entrano in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna può risultare problematico per alcune imprese del Regno Unito, in particolare per quelle soggette a vincoli finanziari e tecnici più rigorosi, come le piccole e medie imprese (PMI).

1.5.

Il CESE esprime preoccupazioni analoghe per quanto riguarda la creazione di un insieme unico di dati che consenta alle imprese della Gran Bretagna di rispettare le prescrizioni sanitarie e fitosanitarie e doganali quando riforniscono clienti in Irlanda del Nord. Osserva che eventuali ritardi rispetto al termine proposto potrebbero comportare controlli di identità più lunghi di quelli previsti dal regolamento stesso.

1.6.

Il CESE esorta la Commissione a fornire ulteriori chiarimenti e soluzioni per i settori in cui le norme sanitarie e fitosanitarie nel Regno Unito e nell’UE sembrano divergere maggiormente, con particolare riferimento all’uso di prodotti fitosanitari nell’Irlanda del Nord. Osserva che il persistere dell’incertezza finirebbe con il discriminare gli agricoltori dell’Irlanda del Nord.

1.7.

Vi sono ancora diverse questioni aperte in merito ai movimenti di bestiame vivo e di materiale vegetale da e verso l’Irlanda del Nord sia dalla Gran Bretagna che dall’UE. Il CESE invita la Commissione a risolvere tali questioni quanto prima, dal momento che gli operatori hanno bisogno di chiarezza.

1.8.

L’impatto del progetto di Border Target Operating Model, pubblicato dal Regno Unito nell’aprile 2023 e in vigore dall’ottobre 2023, che definisce un nuovo modello operativo oggettivo per le importazioni in Gran Bretagna, compresi i controlli sugli standard sanitari e fitosanitari, può aumentare l’incertezza, e ciò va evitato a tutti i costi. L’incertezza già esiste in merito all’attuazione del Retained EU Law Bill (disegno di legge sul diritto UE conservato).

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il regolamento proposto stabilisce norme specifiche riguardanti l’ingresso in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna di determinate partite di merci al dettaglio preimballate destinate all’immissione sul mercato in Irlanda del Nord e di determinate partite di piante da impianto, di macchinari e veicoli utilizzati a fini agricoli o forestali e di patate da semina destinati all’immissione sul mercato e all’uso in Irlanda del Nord.

2.2.

Il regolamento stabilisce inoltre norme specifiche relative ai movimenti a carattere non commerciale verso l’Irlanda del Nord da altre parti del Regno Unito di cani, gatti e furetti da compagnia. Disciplina altresì la sospensione dell’applicazione delle norme specifiche in esso stabilite.

2.3.

Conformemente all’accordo di recesso tra l’UE e il Regno Unito, una serie di atti legislativi dell’UE riguardanti misure sanitarie e fitosanitarie si applicano al Regno Unito e nel Regno Unito nei confronti dell’Irlanda del Nord dopo la fine del periodo di transizione di cui all’accordo stesso.

2.4.

Di conseguenza, l’ingresso in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna di determinate partite di merci di origine animale o vegetale, compresi gli alimenti per animali, le piante da impianto, i macchinari e veicoli a fini agricoli o forestali e le patate da semina, rientra nell’ambito di applicazione di tali atti ed è soggetto a controlli ufficiali, prescrizioni di certificazione e divieti. Ciò vale anche per i movimenti a carattere non commerciale di determinati animali da compagnia.

2.5.

Il Regno Unito e determinati portatori di interessi con sede nel Regno Unito hanno espresso serie preoccupazioni circa il fatto che l’accordo di recesso imponga un onere amministrativo eccessivo per l’ingresso in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna di determinate merci soggette a misure sanitarie e fitosanitarie, qualora le merci siano destinate a consumatori finali in Irlanda del Nord. Ciò comprometterebbe la posizione dell’Irlanda del Nord nel mercato interno del Regno Unito.

2.6.

Su tale base, la Commissione e il Regno Unito hanno concordato una serie completa di soluzioni comuni che consentono di affrontare le questioni correnti di tutte le comunità dell’Irlanda del Nord e proteggono l’integrità dei mercati interni sia dell’Unione che del Regno Unito. Esse includono:

una semplificazione delle prescrizioni e delle procedure per l’ingresso in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna di determinate merci al dettaglio soggette agli atti dell’Unione in materia sanitaria e fitosanitaria e destinate a consumatori finali in Irlanda del Nord;

una nuova soluzione per l’ingresso in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna di prodotti di pregio, tra cui le patate da semina, le piante da impianto e i macchinari e veicoli utilizzati a fini agricoli o forestali;

l’applicazione della normativa del Regno Unito in materia di sanità pubblica e di protezione dei consumatori alle merci al dettaglio trasportate in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna e destinate al consumo in Irlanda del Nord;

documenti di viaggio semplificati per i movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia che accompagnano le persone che viaggiano verso l’Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna.

2.7.

Tali soluzioni comporterebbero in tutti i casi un’adeguata protezione della sanità pubblica e della salute di animali e piante e salvaguardie per l’integrità del mercato interno dell’UE.

3.   Osservazioni particolari

3.1.

Per quanto riguarda la marcatura delle merci al dettaglio, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della proposta di regolamento prevede che le merci al dettaglio preimballate che entrano in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna e sono destinate al consumo in Irlanda del Nord debbano recare la dicitura Not for EU, come specificato all’articolo 6.

3.2.

L’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), rende tale marcatura applicabile a decorrere dal 1o ottobre 2023. Ora, questo termine può essere difficile da rispettare per alcune imprese in Gran Bretagna che riforniscono clienti in Irlanda del Nord. In particolare, le PMI potrebbero non disporre delle risorse tecniche o finanziarie necessarie per rispettare il termine o giustificare gli investimenti necessari in base al loro volume d’affari.

3.3.

Questa scadenza ravvicinata può comportare problemi anche in termini di gestione dei dati. Le imprese del resto del Regno Unito avranno bisogno di insiemi di dati analoghi per rispettare le prescrizioni sanitarie, fitosanitarie e doganali quando riforniscono clienti in Irlanda del Nord. Disporre di un insieme di dati unico sarebbe vantaggioso non solo per le imprese, ma anche per il controllo del rispetto delle prescrizioni sanitarie, fitosanitarie e doganali. Un siffatto insieme di dati potrebbe risultare difficile da realizzare entro il 1o ottobre 2023.

3.4.

Qualora non fosse possibile applicare l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a) al 1o ottobre 2023, i tassi dei controlli di identità effettuati sulle partite che entrano in Irlanda dalla Gran Bretagna potrebbero essere temporaneamente superiori a quelli indicati all’articolo 4, paragrafo 3. Inoltre, non è chiaro in che modo possa essere apposta, nella pratica, una marcatura Not for EU alle merci al dettaglio preimballate originarie dell’UE presso i centri di distribuzione per supermercati che riforniscono sia l’Irlanda del Nord che l’Irlanda.

3.5.

Un ulteriore problema che evidenzia le implicazioni di una divergenza tra l’UE e il Regno Unito potrebbe emergere in Irlanda del Nord nel caso dei prodotti fitosanitari. In Irlanda del Nord, la maggior parte di tali prodotti è utilizzata per le superfici a prato e proviene attualmente dall’UE e dalla Gran Bretagna. I livelli massimi di residui sono specifici per ciascun prodotto fitosanitario e, in alcuni casi, essi differiscono a seconda che si tratti del Regno Unito o dell’UE. Gli agricoltori dell’Irlanda del Nord si trovano quindi in una situazione difficile e sarebbe utile rivedere il sistema.

3.6.

Un altro fattore da prendere in considerazione è l’impatto del progetto di Border Target Operating Model, pubblicato dal Regno Unito il 5 aprile 2023, che definisce un nuovo modello operativo oggettivo per le importazioni in Gran Bretagna, compresi i controlli sugli standard sanitari e fitosanitari. Tale modello, che sarà introdotto dalla fine di ottobre 2023, crea ulteriore l’incertezza per gli operatori, oltre a quella causata dal Retained EU Law Bill, il disegno di legge sul diritto UE conservato che potrebbe abrogare automaticamente migliaia di norme dell’UE entro la fine del 2023.

3.7.

Sebbene l’UE abbia modificato il suo «regolamento delegato» autorizzando l’uscita di bovini e ovini dalla zona di regolamentazione dell’UE — e quindi in Irlanda del Nord — e il loro rientro entro 15 giorni, nella pratica ciò rappresenta ancora un problema per gli allevatori di bovini dell’Irlanda del Nord.

3.8.

I mercati del bestiame in Gran Bretagna devono essere centri di esportazione riconosciuti dall’Agenzia nazionale per la salute degli animali e delle piante (Animal and Plant Health Agency, APHA), e tutti gli animali che transitano per tali centri hanno lo stesso stato sanitario. Lo stato di Scottish Official Tuberculosis Free (OTF), che attesta l’assenza di tubercolosi (TBC), esenta il bestiame scozzese dall’obbligo di essere sottoposto a un test contro la TBC prima di essere venduto o esibito in Gran Bretagna, ma per gli animali di allevamenti inglesi/gallesi tale obbligo sussiste. Poiché, nel contesto britannico, la domanda di centri di esportazione riconosciuti dall’APHA è scarsa o inesistente, attualmente solo il centro di Carlisle è approvato dall’APHA ed è quindi l’unico mercato in cui i bovini dell’Irlanda del Nord possono essere venduti e avvalersi del regolamento delegato dell’UE. Ciò significa che se gli animali dell’Irlanda del Nord sono messi in vendita in un mercato che non è approvato dall’APHA e non vengono venduti, essi devono rimanere in Gran Bretagna per sei mesi prima di tornare in Irlanda del Nord, con conseguenze finanziarie insostenibili.

3.9.

Per quanto riguarda la rimarcatura del bestiame trasferito in Irlanda del Nord (NI) dal resto del Regno Unito (UK), la procedura non è ancora chiara. Attualmente, i bovini che entrano in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna (GB) devono avere, oltre ai due marchi UK, un ulteriore marchio di esportazione GB. Inoltre, entro 20 giorni dal loro ingresso in Irlanda del Nord, devono essere muniti di due marchi aggiuntivi NI. A meno che i marchi non vengano rimossi, questa procedura è molto poco pratica e potrebbe anche avere un impatto sul benessere degli animali.

3.10.

Per quanto riguarda il materiale di moltiplicazione delle piante, come le patate da semina, il quadro ne consente il movimento verso l’Irlanda del Nord dal resto del Regno Unito e anche dall’UE. Ciò permette di proseguire gli scambi commerciali tra la Scozia, in particolare, e l’Irlanda del Nord, che si sono sviluppati nell’arco di molti anni prima della Brexit.

3.11.

È improbabile che la documentazione e i controlli proposti da associare a questo movimento di patate da semina creino problemi alle imprese. Le colture basate sulle patate da semina dell’Irlanda del Nord possono essere vendute ai coltivatori nel mercato unico e in Gran Bretagna. Nel caso delle patate da consumo, il loro ingresso in Irlanda del Nord dal mercato unico per essere trasformate e successivamente vendute nel resto del Regno Unito è consentito.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/fs_23_1272

(2)  COM(2023) 124 final.


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/148


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche europee sulla popolazione e sulle abitazioni, recante modifica del regolamento (CE) n. 862/2007 e abrogazione dei regolamenti (CE) n. 763/2008 e (UE) n. 1260/2013

[COM(2023) 31 final — 2023/0008 (COD)]

(2023/C 228/22)

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 15.2.2023

Base giuridica

Articoli 338, paragrafo 1, e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

142/0/1

Avendo concluso che il contenuto della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche europee sulla popolazione e sulle abitazioni, recante modifica del regolamento (CE) n. 862/2007 e abrogazione dei regolamenti (CE) n. 763/2008 e (UE) n. 1260/2013 è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 578a sessione plenaria dei giorni 26 e 27 aprile 2023 (seduta del 27 aprile 2023), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 142 voti favorevoli, 0 voti contrari e 1 astensione.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/149


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le norme IVA per l’era digitale

[COM(2022) 701 final — 2022/0407 (CNS)]

e sulla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 per quanto riguarda gli accordi di cooperazione amministrativa in materia di IVA necessari per l’era digitale

[COM(2022) 703 final — 2022/0409 (CNS)]

(2023/C 228/23)

Relatore:

Philip VON BROCKDORFF

Correlatore:

Krister ANDERSSON

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 10.2.2023 e 13.2.2023

Base giuridica

Articolo 113 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

18.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

145/0/0

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l’iniziativa della Commissione volta ad aggiornare le norme sull’imposta sul valore aggiunto (IVA) risalenti a 30 anni fa al fine di migliorare il funzionamento del mercato unico con una minore frammentazione e renderlo adatto all’era digitale.

1.2.

Il CESE ritiene che l’obiettivo principale della proposta dovrebbe essere un sistema dell’IVA più adeguato agli attuali sviluppi dell’economia digitale, che migliori il funzionamento del mercato unico. La proposta dovrebbe inoltre rendere efficace e tempestiva la riscossione delle imposte, riducendo le frodi in materia di IVA e, di conseguenza, il divario dell’IVA.

1.3.

Per beneficiare appieno del mercato unico, le imprese necessitano di un’applicazione uniforme delle norme IVA in tutta l’UE. Ciò può essere garantito solo attraverso un’azione a livello dell’UE che prevenga oneri burocratici, discrepanze e scappatoie nelle norme IVA applicabili. Il CESE incoraggia la Commissione a continuare ad adoperarsi per l’attuazione e sottolinea l’importanza di note esplicative o di orientamenti analoghi per garantire l’uniformità.

1.4.

Il CESE si compiace del fatto che le norme proposte per le piattaforme digitali e il loro ruolo nel contribuire alla riscossione dell’IVA siano coerenti con le precedenti iniziative della Commissione in materia di economia digitale.

1.5.

Il CESE apprezza il fatto che il meccanismo nazionale di inversione contabile sia applicabile alla cessione di beni e alla prestazione di servizi. Il CESE sottolinea che l’attuale sistema tratta in modo diverso i beni e i servizi negli scambi intracomunitari. Il CESE si rammarica che la proposta globale della Commissione non colga l’occasione per allineare il trattamento IVA tra beni e servizi, riducendo così gli oneri amministrativi per le imprese, in particolare per le PMI.

1.6.

Il CESE ritiene che il termine proposto per la comunicazione delle cessioni intracomunitarie di beni e delle prestazioni intracomunitarie di servizi entro due giorni sia irragionevolmente breve. Il CESE teme che il termine di due giorni per le fatture elettroniche e la comunicazione costituirebbe un ostacolo agli scambi intracomunitari, tanto più che molte PMI si trovano già ad affrontare problemi con il termine molto più lungo previsto dall’attuale quadro normativo.

1.7.

La Commissione suggerisce nella proposta di eliminare la possibilità di emettere fatture periodiche. Il CESE ritiene che le fatture periodiche non debbano essere eliminate in quanto ciò creerebbe problemi in molti settori. L’uso di fatture periodiche dovrebbe essere sempre consentito per le operazioni nazionali. Per le operazioni intracomunitarie, il CESE osserva che un’altra possibilità potrebbe essere quella di limitare l’uso delle fatture periodiche, ad esempio prevedendo un limite di sette giorni.

1.8.

Il CESE incoraggia la Commissione a continuare ad adoperarsi per includere quanto prima le detrazioni dell’IVA nello sportello unico e per ottenere rimborsi IVA tempestivi.

1.9.

Il CESE teme che i considerevoli costi di attuazione delle misure nel pacchetto IVA globale possano portare a prezzi più elevati per i consumatori.

1.10.

Il CESE condivide l’opinione della Commissione secondo cui la dimensione intra-UE delle frodi in materia di IVA richiede un intervento dell’UE, in linea con la corretta applicazione del principio di sussidiarietà.

1.11.

Il CESE sottolinea che i dati raccolti e scambiati tra le autorità fiscali potrebbero includere dati personali e dati commerciali sensibili, che devono essere protetti e gestiti con la massima attenzione per preservare l’integrità dei consumatori e delle imprese.

2.   Introduzione e contesto

2.1.

L’8 dicembre 2022 la Commissione ha presentato un pacchetto di misure (1) volte a modernizzare l’imposta sul valore aggiunto (IVA) dell’UE, con il duplice obiettivo di aggiornare il sistema dell’IVA per l’era digitale e di renderlo più resiliente alle frodi, riducendo così l’attuale divario dell’IVA (stimato a circa 93 miliardi di EUR) (2).

2.2.

Nello specifico, il pacchetto è composto da tre misure legislative: i) la proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le norme IVA per l’era digitale (3); ii) la proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 (4) per quanto riguarda gli accordi di cooperazione amministrativa in materia di IVA necessari per l’era digitale; iii) la proposta di regolamento di esecuzione del Consiglio che modifica il regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 per quanto riguarda gli obblighi in materia di dichiarazione relativamente a taluni regimi IVA (5).

2.3.

Il pacchetto legislativo persegue tre obiettivi principali: i) modernizzare gli obblighi di dichiarazione dell’IVA introducendo obblighi di dichiarazione digitale; ii) affrontare le sfide in materia di IVA poste dall’economia delle piattaforme, chiarendo le norme applicabili per garantire la parità di trattamento tra gli operatori e rafforzando il ruolo delle piattaforme nella riscossione dell’IVA; iii) evitare la necessità di registrazioni IVA multiple nell’UE attraverso l’introduzione di una registrazione unica ai fini dell’IVA.

2.4.

Per le operazioni intracomunitarie sarà istituito un sistema di comunicazione per singola operazione, al fine di fornire informazioni rapide agli Stati membri. Gli Stati membri avranno la flessibilità di decidere se introdurre tale sistema di comunicazione per le operazioni nazionali. La fatturazione elettronica svolgerà un ruolo cruciale nell’ambito del nuovo sistema di comunicazione, diventando il sistema predefinito per l’emissione delle fatture e la base per la comunicazione digitale.

2.5.

Tutti i soggetti passivi saranno autorizzati a comunicare dati provenienti da fatture elettroniche conformi alla norma europea. Gli Stati membri saranno in grado di prevedere la trasmissione di dati provenienti da fatture elettroniche emesse in un formato diverso, purché consentano anch’esse l’uso della norma europea. I formati di dati autorizzati dagli Stati membri dovranno garantire l’interoperabilità con la norma europea per le operazioni intracomunitarie.

2.6.

Nei settori della locazione di alloggi a breve termine e del trasporto di passeggeri dell’economia delle piattaforme sarà introdotto un regime del fornitore presunto (in base al quale le piattaforme contabilizzano l’IVA sulla prestazione sottostante se essa non è applicata dal fornitore).

2.7.

L’attuazione dello sportello unico e dello sportello unico per le importazioni si è dimostrata un successo, riducendo la complessità. Tuttavia, alcune cessioni di beni e prestazioni di servizi non rientrano nel regime di semplificazione dello sportello unico. Sarà perseguita un’estensione dell’ambito di applicazione dell’attuale sportello unico per garantire un’ulteriore riduzione della necessità di registrazioni IVA multiple in tutta l’UE. Inoltre, lo sportello unico per le importazioni sarà reso obbligatorio per le piattaforme al fine di semplificare ulteriormente il processo di importazione delle merci per il commercio elettronico e renderlo più a prova di frode.

2.8.

Secondo la valutazione d’impatto (6), le tre proposte presentate garantiscono il miglior equilibrio tra tutte le opzioni normative disponibili in termini di efficacia, proporzionalità e sussidiarietà. L’analisi d’impatto stima che, tra il 2023 e il 2032, le misure attuate dovrebbero generare benefici netti compresi tra 172 e 214 miliardi di EUR, di cui 51 miliardi di EUR sotto forma di risparmi (41,4 miliardi di EUR derivanti dalle comunicazioni ai fini dell’IVA, 0,5 miliardi di EUR dalla razionalizzazione e dai chiarimenti nel settore dell’economia delle piattaforme e 8,7 miliardi di EUR dall’eliminazione degli obblighi di registrazione ai fini dell’IVA).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore l’iniziativa della Commissione volta ad aggiornare le norme IVA risalenti a 30 anni fa al fine di migliorare il funzionamento del mercato unico con una minore frammentazione e renderlo adatto all’era digitale. Si tratta di un passo da tempo atteso nell’ambito del piano d’azione sull’IVA attuato dalla Commissione negli ultimi anni. Il CESE ritiene inoltre che tale proposta rappresenti un passo importante verso il sostegno del mercato unico attraverso una cooperazione rafforzata e l’uniformità tra le autorità fiscali.

3.2.

Il CESE ritiene che l’obiettivo principale della proposta dovrebbe essere un sistema dell’IVA più adeguato agli attuali sviluppi dell’economia digitale, che migliori il funzionamento del mercato unico. La proposta dovrebbe inoltre rendere efficace e tempestiva la riscossione delle imposte, riducendo le frodi in materia di IVA e garantendo parità di condizioni.

3.3.

Il CESE condivide l’opinione della Commissione secondo cui la dimensione intra-UE delle frodi in materia di IVA richiede un intervento dell’UE, in linea con la corretta applicazione del principio di sussidiarietà. L’attuale divario dell’IVA indica che gli strumenti nazionali non sono sufficienti per contrastare le frodi transfrontaliere.

3.4.

Norme armonizzate in materia di comunicazione ai fini dell’IVA favoriranno un migliore funzionamento e un maggiore consolidamento del mercato unico. La frammentazione e i diversi regimi di comunicazione nei diversi Stati membri generano oneri amministrativi per le imprese e possono costituire un ostacolo alle vendite transfrontaliere nel mercato unico. Il CESE è consapevole del fatto che gli Stati membri sono stati attivi nell’elaborazione dei propri regimi di comunicazione e che la presenza di diversi tipi di regimi sta rendendo meno efficace il funzionamento del mercato unico. Per ridurre questa frammentazione, si accoglie con favore un approccio comune. Il CESE ritiene importante che il nuovo obbligo di comunicazione porti all’abolizione degli elenchi riepilogativi.

3.5.

Per trarre pieno vantaggio dal mercato unico, le imprese richiedono e necessitano di un’applicazione uniforme delle norme IVA in tutta l’UE, anziché dover rispettare le diverse modalità di attuazione delle norme comuni a livello nazionale. Ciò può essere garantito solo attraverso un’azione a livello dell’UE che prevenga oneri burocratici, discrepanze e scappatoie nelle norme IVA applicabili. Il CESE incoraggia la Commissione a continuare ad adoperarsi per l’attuazione uniforme e sottolinea l’importanza di note esplicative o di orientamenti analoghi per garantire l’uniformità.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE ricorda che le imprese, e in particolare le PMI, sosterranno costi considerevoli a causa degli oneri amministrativi supplementari derivanti dall’introduzione degli obblighi di comunicazione digitale. Sebbene tali costi siano necessari per modernizzare efficacemente il sistema attuale, i costi di conformità per le imprese dovrebbero essere il più possibile minimi e costantemente monitorati durante il processo di attuazione al fine di valutare l’onere della conformità.

4.2.

Il CESE osserva inoltre che i costi di attuazione stimati saranno molto significativi per le imprese di tutta l’UE (7). Il CESE avverte che i costi aggiuntivi, in particolare per le imprese, potrebbero far sì che i consumatori paghino prezzi più elevati, come dimostra uno studio sulla correlazione tra (sovra)regolamentazione e prezzi in numerose imprese (8).

4.3.

Il CESE sottolinea che, sebbene gli obblighi di comunicazione per le operazioni intracomunitarie si riferiscano solo alle operazioni B2B, i dati raccolti e scambiati tra le autorità fiscali possono includere dati personali e che tali dati saranno conservati per un periodo di almeno cinque anni. I dati raccolti comprenderanno probabilmente anche dati commerciali sensibili che devono essere protetti. A tale riguardo, il CESE sottolinea il principio della minimizzazione dei dati e la necessità di una piena protezione di tali dati, che dovrebbe essere garantita e monitorata nel tempo.

4.4.

Il CESE osserva con soddisfazione che le norme proposte per le piattaforme digitali e il loro ruolo nel contribuire alla riscossione dell’IVA sono coerenti con le precedenti iniziative della Commissione in materia di economia digitale, compresa la proposta di direttiva volta a migliorare le condizioni di lavoro delle persone che lavorano mediante piattaforme digitali. Inoltre, il CESE osserva che rendere obbligatorio lo sportello unico per le importazioni andrà a vantaggio dei consumatori, in quanto l’acquisto di beni dalle piattaforme sarà più semplice per loro, migliorando nel contempo la riscossione dell’IVA su tali acquisti.

4.5.

Il CESE sottolinea che l’attuale sistema tratta in modo diverso i beni e i servizi negli scambi intracomunitari, in quanto solo i servizi sono soggetti al meccanismo di inversione contabile. Il CESE si rammarica che la proposta globale della Commissione non colga l’occasione per allineare il trattamento IVA tra beni e servizi. Un tale aggiornamento delle norme le avrebbe allineate alla realtà economica attuale, in cui i clienti acquistano generalmente pacchetti di soluzioni piuttosto che semplicemente beni o servizi. Tale modifica avrebbe ridotto gli oneri amministrativi per le imprese, in particolare le PMI, che attualmente devono distinguere tra componenti separate delle prestazioni composte proprio a causa delle norme IVA.

4.6.

Il CESE sostiene l’obiettivo generale della Commissione di fare in modo che le piattaforme svolgano un ruolo più incisivo nel quadro normativo in materia di IVA. Le proposte possono essere considerate un approccio efficace per contrastare le distorsioni della concorrenza. Pertanto, le preoccupazioni alla base delle proposte di un’imposta sui servizi digitali sono state affrontate in modo adeguato e sufficiente.

4.7.

Il CESE accoglie con favore l’ampliamento dell’uso dello sportello unico, che comporterà un minor numero di registrazioni IVA all’estero per le imprese, rendendo la conformità meno onerosa e meno costosa, in particolare per le PMI.

4.8.

La comunicazione in tempo reale proposta si basa sulla fatturazione elettronica. Pur accogliendo con favore il ricorso alla digitalizzazione nel settore fiscale, il CESE desidera sottolineare che il livello di fatturazione elettronica varia notevolmente da uno Stato membro all’altro. Pertanto, può essere importante che la Commissione rilevi la possibile necessità di un sostegno tecnico in diversi Stati membri e valuti se tale sostegno possa essere fornito alle imprese dalla Commissione stessa e dagli Stati membri. Inoltre, il CESE ritiene che la Commissione debba essere più chiara in merito alla norma europea per la fatturazione elettronica e al fatto che essa si evolverà nel corso del tempo. Il CESE raccomanda alla Commissione di pubblicare quanto prima la norma europea affinché le imprese possano iniziare a prepararsi ai cambiamenti.

4.9.

Il CESE sottolinea che la proposta amplia gli obblighi di informazione per le fatture, in quanto occorre comunicare sia il numero di conto bancario internazionale (IBAN) o l’equivalente, sia la data di pagamento. L’ampliamento delle prescrizioni riguardanti la fatturazione può portare a incertezze e a costi amministrativi più elevati per le imprese. Inoltre, il CESE osserva che è comune che le imprese abbiano più numeri IBAN su una fattura e che, di conseguenza, sia necessario chiarire meglio ciò che deve essere comunicato. Il CESE raccomanda alla Commissione di verificare se tali informazioni possano essere utilizzate dalle amministrazioni fiscali per garantire la riscossione dell’IVA. Se le informazioni non possono essere utilizzate nella riscossione e nei controlli dell’IVA, si tratta semplicemente di un onere supplementare per le imprese.

4.10.

Il CESE ritiene che il termine proposto per la comunicazione delle cessioni intracomunitarie di beni e delle prestazioni intracomunitarie di servizi entro due giorni sia irragionevolmente breve. Il CESE esprime inoltre il timore che il termine di due giorni possa costituire un ostacolo all’ingresso nel mercato unico, tanto più che molte PMI si trovano già ad affrontare problemi con il termine molto più lungo previsto dall’attuale quadro normativo.

4.11.

Il CESE sottolinea che rispettare il termine di due giorni potrebbe essere eccessivamente oneroso per l’acquirente. Detto termine dovrebbe pertanto essere esteso in modo significativo, tenendo conto anche delle dimensioni delle imprese interessate ed eventualmente prendendo in considerazione esenzioni specifiche per le imprese più piccole. Inoltre, il CESE osserva che scadenze più ravvicinate spesso comportano maggiori errori e rettifiche retroattive, che sono sanzionati in modo diverso negli Stati membri. Il CESE incoraggia pertanto la Commissione a raccomandare agli Stati membri di limitare le sanzioni e i tassi di interesse, soprattutto nei primi anni di adozione.

4.12.

La Commissione suggerisce nella proposta di eliminare la possibilità di emettere fatture periodiche. Il CESE ritiene che ciò possa essere molto difficile per il funzionamento di alcuni settori e incoraggia la Commissione e il Consiglio a esaminare più da vicino i benefici ottenuti eliminando questa possibilità e confrontandoli con i costi e i problemi che sorgerebbero per diversi settori con tale eliminazione. L’uso di fatture periodiche dovrebbe essere sempre consentito per le operazioni nazionali. Per le operazioni intracomunitarie, il CESE osserva che un’altra possibilità potrebbe essere quella di limitare l’uso delle fatture periodiche, ad esempio prevedendo un limite di sette giorni.

4.13.

Le detrazioni dell’IVA a monte sono un elemento chiave di un sistema dell’IVA ben funzionante e differenziano l’IVA dall’imposta su beni e servizi o da altre imposte indirette. Sebbene sia consapevole del fatto che le realtà degli Stati membri non hanno consentito alla Commissione di suggerire che lo sportello unico includa detrazioni dell’IVA a monte, il CESE incoraggia la Commissione a proseguire i lavori in materia. Anche se non è stato possibile integrare immediatamente nello sportello unico le detrazioni IVA, il CESE incoraggia la Commissione a esaminare la possibilità di rimborsi più rapidi dell’IVA per le imprese che rispettano il sistema dello sportello unico. Accelerare i rimborsi dell’IVA migliorerebbe il funzionamento del mercato unico. Inoltre, come obiettivo a lungo termine, il CESE incoraggia la Commissione a continuare ad adoperarsi per introdurre le detrazioni dell’IVA nello sportello unico in futuro.

4.14.

Il CESE teme che gli elevati costi di attuazione delle misure stabilite nel pacchetto IVA globale possano portare a prezzi più elevati per i consumatori. È pertanto molto importante ridurre il più possibile la complessità e i costi amministrativi per le imprese garantendo un sistema di comunicazione uniforme e un’attuazione uniforme delle norme in tutti gli Stati membri.

4.15.

Il CESE è inoltre preoccupato per la tempistica proposta dalla Commissione. Mentre si propone che le principali modifiche entrino in vigore nel 2028, alcuni punti della proposta dovrebbero già entrare in vigore nel 2024. Il CESE ricorda alla Commissione che è necessario tempo sufficiente per garantire una corretta attuazione. Di conseguenza, il CESE incoraggia la Commissione a prolungare il calendario, modificandolo in modo che sia previsto almeno un anno di attuazione dopo che il Consiglio avrà raggiunto un accordo sulla proposta.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Pacchetto legislativo sull'IVA nell'era digitale, 08.12.2022.

(2)  Va tuttavia osservato che il divario dell’IVA varia notevolmente da uno Stato membro all’altro.

(3)  COM(2022) 701 final.

(4)  GU L 268 del 12.10.2010, pag. 1

(5)  COM(2022) 704 final.

(6)  SWD(2022) 393 final.

(7)  Il costo di attuazione è stimato a 11,3 miliardi di EUR per le imprese e a 2,2 miliardi di EUR per le autorità fiscali.

(8)  Regulations could be increasing consumer prices [La regolamentazione potrebbe far aumentare i prezzi al consumo].


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/154


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva (UE) 2015/413 intesa ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale

[COM(2023) 126 final]

(2023/C 228/24)

Consultazione

Parlamento europeo, 16.3.2023

Consiglio dell’Unione europea, 23.3.2023

Base giuridica

Articoli 91, paragrafo 1, e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture e società dell’informazione

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

133/0/0

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


29.6.2023   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 228/155


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul documento di lavoro dei servizi della Commissione «Evaluation of the State subsidy rules for health and social services of general economic interest (SGEIs) and of the SGEI de minimis Regulation» [Valutazione delle norme in materia di aiuti di Stato per i servizi sanitari e sociali di interesse economico generale (SIEG) e del regolamento «de minimis» per i SIEG]

[SWD(2022) 388 final]

(2023/C 228/25)

Relatore:

Giuseppe GUERINI

Correlatore:

Paulo BARROS VALE

Consultazione

Commissione europea, 08/03/2023

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.4.2023

Adozione in sessione plenaria

27.4.2023

Sessione plenaria n.

578

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

138/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) osserva che è necessario rafforzare i servizi sanitari e sociali in tutta l’UE in considerazione del progressivo invecchiamento della popolazione e del numero crescente di persone con disabilità e svantaggiate che necessitano di un’assistenza adeguata. Tale situazione richiede un aumento dell’assistenza e del sostegno a lungo termine, sostenuto da pertinenti investimenti pubblici, dalle imprese e dalla società civile al fine di conseguire l’innovazione sociale e promuovere una risposta adeguata alle sfide attuali.

1.2.

Il CESE ritiene che gli sforzi volti a garantire servizi sociali e sanitari confacenti dovranno essere sostenuti con adeguate risorse finanziarie, mobilitate sotto forma di adeguati investimenti pubblici, e con aiuti di Stato ad hoc destinati a tali settori. Le attuali norme in materia di aiuti di Stato, adottate nel 2012, dovrebbero pertanto essere adattate per garantire una concorrenza leale e il conseguimento di obiettivi di interesse generale. Ciò detto, il CESE osserva che il pacchetto del 2012 sugli aiuti di Stato al settore dei SIEG (servizi di interesse economico generale) è stato efficace nel migliorare il quadro giuridico precedente, risalente al 2005, in termini di semplificazione e prevedibilità.

1.3.

Il CESE ribadisce quanto aveva già osservato in un precedente parere (1), e cioè che l’attuale massimale degli aiuti «de minimis» per il settore dei SIEG, stabilito dal regolamento n. 360/2012 della Commissione (2) e pari a 500 000 EUR nell’arco di tre esercizi finanziari, debba senz’altro essere aumentato, specie per quanto riguarda i servizi sociali e sanitari, tenuto conto dell’impatto passato e futuro dell’inflazione, nonché del ruolo particolare svolto da tali servizi a favore delle fasce più deboli della popolazione e della coesione sociale.

1.4.

Il CESE raccomanda pertanto di aumentare significativamente il massimale relativo agli aiuti «de minimis» per i servizi sanitari e sociali, in misura maggiore di quanto recentemente previsto nella proposta di modifica del massimale «de minimis» orizzontale di cui al regolamento n. 1407/2013 della Commissione (3), tenendo in debito conto il ruolo sempre più strategico dei servizi sociali e sanitari in tutta l’UE.

1.5.

Il CESE raccomanda inoltre, in aggiunta alla modifica delle soglie massime «de minimis», di fornire alcuni chiarimenti per quanto riguarda: i) una definizione più ampia di «edilizia (residenziale) sociale»; ii) una definizione migliore del concetto di «margine di utile ragionevole», che tenga conto di una distinzione a favore delle imprese dell’economia sociale i cui margini economici sono legati a una finalità sociale; iii) il concetto di «fallimento del mercato».

1.6.

Per quanto riguarda il concetto di «margine di utile ragionevole», il CESE osserva che sarebbe utile che la Commissione individuasse criteri e indicatori in grado di correlare il margine di utile da consentire agli operatori economici alla loro capacità di perseguire finalità di interesse generale, creando così impatti sociali positivi.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Nel documento di lavoro a cura dei suoi servizi intitolato Evaluation of the State subsidy rules for health and social services of general economic interest («SGEIs») and of the SGEI de minimis Regulation [Valutazione delle norme in materia di aiuti di Stato per i servizi sanitari e sociali di interesse economico generale (SIEG) e del regolamento «de minimis» per i SIEG] la Commissione sintetizza i risultati della valutazione che ha effettuato sul pacchetto Almunia, in vigore dal 2012.

2.2.

Gli obiettivi principali perseguiti dal pacchetto del 2012 in relazione ai servizi sanitari e sociali erano: i) semplificare i criteri di compatibilità; e ii) ridurre gli oneri amministrativi per gli Stati membri che intendono compensare le imprese incaricate di fornire servizi di interesse economico generale («SIEG») alle fasce vulnerabili della popolazione a condizioni eque ed economicamente accessibili.

2.3.

La valutazione della Commissione mira pertanto a stabilire in che misura le norme applicabili ai servizi sanitari e sociali abbiano raggiunto i loro obiettivi e se tali norme risultino ancora adeguate nell’attuale contesto sociale ed economico.

2.4.

Più precisamente, nella sua valutazione la Commissione esamina l’efficacia, l’efficienza, la coerenza e il valore aggiunto europeo delle norme in materia di SIEG (o «norme SIEG») applicate ai servizi sanitari e sociali nell’ultimo decennio, concentrandosi sulla comprensione dei problemi concreti incontrati finora dagli Stati membri nell’attuazione delle norme SIEG. L’analisi si propone inoltre di valutare come sia stato applicato il regolamento «de minimis» relativo ai SIEG.

2.5.

L’analisi della Commissione suggerisce che il pacchetto sui SIEG del 2012 si è rivelato abbastanza efficace in termini di chiarezza e di semplificazione, in quanto ha semplificato il pacchetto SIEG del 2005 introducendo, ad esempio, un regolamento «de minimis» specifico per i SIEG. Ha inoltre chiarito e definito meglio alcuni concetti di base pertinenti per l’applicazione delle norme SIEG.

2.6.

Tuttavia, la valutazione indica che vi sono ancora margini di miglioramento, in particolare per quanto riguarda il chiarimento di alcuni concetti chiave relativi all’ambito di applicazione sia dell’articolo 107 TFUE che del quadro giuridico specifico in materia di SIEG, ad esempio i concetti seguenti: i) attività economica/non economica; ii) incidenza sugli scambi commerciali; iii) margine di utile ragionevole; iv) fallimento del mercato; v) edilizia (residenziale) sociale. La valutazione mette inoltre in evidenza la possibilità di aumentare il massimale «de minimis» attualmente applicabile per i SIEG e il consenso largamente diffuso tra le parti interessate su questo punto.

2.7.

Per quanto riguarda l’efficienza, la valutazione sottolinea che il regolamento «de minimis» relativo ai SIEG e la modifica della decisione sui SIEG attuata nel 2012 sono stati in grado di ridurre gli oneri amministrativi a carico delle autorità pubbliche, anche se vi sarebbe ulteriore margine per ridurli ancora di più. Altri dati consolidati ed elementi raccolti suggeriscono che i costi associati all’applicazione dei requisiti stabiliti dalle norme SIEG dovrebbero essere ridotti.

2.8.

Quanto alla coerenza, la valutazione raccomanda che le norme in materia di aiuti di Stato sancite nel pacchetto sui SIEG del 2012 siano internamente coerenti e in grado di garantire una migliore ripartizione dei compiti tra gli Stati membri e la Commissione, apportando un valore aggiunto europeo ampiamente riconosciuto dai soggetti interessati sia pubblici che privati.

2.9.

Vi è un generale consenso quanto al fatto che il pacchetto sui SIEG del 2012 sia riuscito a garantire un ambiente giuridico stabile agli Stati membri e sia atto a soddisfare le esigenze che si pongono all’interno dell’UE. Tuttavia, la Commissione non ha ancora potuto valutare interamente l’impatto e le incertezze dovuti sia alla crisi della COVID-19 che all’invasione russa in Ucraina, e in futuro si potrebbero ricercare una serie di ulteriori miglioramenti.

2.10.

I sistemi di protezione sociale e sanitaria in tutta l’UE dovrebbero in primo luogo essere garantiti e sostenuti da investimenti pubblici adeguati, nonché da un ruolo crescente degli operatori economici privati e degli enti dell’economia sociale. Tutti gli attori, pubblici o privati, coinvolti nella fornitura di servizi sociali e sanitari dovrebbero rispettare norme e criteri adeguati, in grado di conciliare gli obiettivi di concorrenza con quelli di interesse generale.

3.   Osservazioni particolari

3.1.

Il CESE esprime apprezzamento per il vasto lavoro di consultazione e di successiva valutazione svolto dalla Commissione nell’analizzare l’impatto e gli effetti attuali delle norme del 2012 sugli aiuti di Stato al fine di compensare i SIEG, con particolare riguardo ai servizi sanitari e sociali.

3.2.

Il CESE si compiace della considerazione che la Commissione ha riservato al suo parere d’iniziativa sul tema Norme in materia di aiuti di Stato applicabili ai servizi sanitari e sociali — I SIEG in uno scenario post-pandemia. Riflessioni e proposte sulla valutazione della Commissione in merito alla modifica del pacchetto legislativo del 2012 (4), come pure ai lavori svolti dal Comitato delle regioni sullo stesso argomento.

3.3.

Il CESE valuta positivamente la consultazione pubblica realizzata dalla Commissione tra il 31 luglio e il 4 dicembre 2019, e anche lo studio elaborato da esperti tra giugno 2020 e maggio 2021. Tali consultazione e studio hanno contribuito a una maggiore trasparenza e democraticità del processo di valutazione, e questo malgrado l’elevata tecnicità dell’argomento esaminato.

3.4.

Il CESE desidera ribadire con forza che il pacchetto del 2012 contenente le regole sugli aiuti di Stato applicabili al settore dei SIEG ha fornito positivi elementi di modernizzazione e di semplificazione rispetto alla precedente disciplina del 2005. L’approccio regolatorio di tale pacchetto andrebbe quindi confermato anche per il futuro, aggiornando semplicemente alcuni punti e prefiggendosi maggiore semplificazione, chiarezza e certezza del diritto.

3.5.

Il CESE ritiene che l’estensione della soglia di esenzione dall’obbligo di notifica a determinati servizi sociali — introdotta dalla decisione n. 21/2012/UE della Commissione (5) e valutata dalla Commissione nel documento di lavoro dei suoi servizi — abbia agevolato la fornitura di SIEG sanitari e sociali a livello nazionale. Essa ha infatti ridotto gli oneri amministrativi a carico delle autorità pubbliche, garantendo una maggiore prevedibilità sul piano giuridico e più flessibilità per le imprese. Tale estensione dimostra di fatto che la Commissione considera i servizi sanitari e sociali un sottogruppo con caratteristiche autonome all’interno del novero più ampio dei SIEG.

3.6.

Il CESE ritiene possibile dare una definizione leggermente più estesa di «edilizia sociale», che attualmente è la seguente: «anche le imprese incaricate di svolgere servizi sociali, compresi incarichi di edilizia sociale per fornire alloggi a cittadini svantaggiati o a gruppi sociali più svantaggiati che non sono in grado di trovare un alloggio a condizioni di mercato a causa di limiti a livello di solvibilità, godono dell’esenzione dall’obbligo di notifica di cui alla presente decisione». Sarebbe pertanto importante includere nella definizione anche altre situazioni gravi e debitamente verificabili di persone non «svantaggiate» o «più svantaggiate» in senso stretto e non tecnicamente «in stato di insolvenza» o con «limiti a livello di solvibilità», come le persone vulnerabili, comprese le donne vittime di violenza domestica e gli anziani. Inoltre, l’accesso all’alloggio è una condizione essenziale per l’inclusione sociale e la situazione dei giovani in Europa giustificherebbe politiche di investimenti pubblici in alloggi destinati a questa fascia della popolazione.

3.7.

Il CESE torna a chiedere maggiori chiarimenti sul concetto di «margine di utile ragionevole» che i fornitori di SIEG possono ricevere in aggiunta alla compensazione dei costi sostenuti per la prestazione del servizio. Su questo punto, il CESE sottoscrive l’osservazione del Comitato delle regioni secondo cui gli enti locali e regionali non dispongono di competenze o conoscenze sufficienti per stabilire i valori di riferimento per calcolare un margine di utile ragionevole. Oltre a chiarire meglio il concetto di «margine di utile ragionevole», la Commissione potrebbe fornire ulteriori orientamenti in proposito per venire in aiuto alle autorità pubbliche. Il CESE sottolinea l’importanza per gli enti locali di essere in grado di conoscere e gestire le norme pertinenti in modo chiaro e agevole. La determinazione di ciò che può essere considerato un «margine di utile ragionevole» dovrebbe comportare una valutazione del contributo concreto al conseguimento dell’interesse generale da parte delle imprese coinvolte nella fornitura di servizi sociali e sanitari.

3.8.

Come sottolineato nella valutazione della Commissione, il quadro è ulteriormente aggravato dal fatto che alcuni Stati membri hanno precisato di non consentire ai fornitori di SIEG di ottenere un margine di utile ragionevole nell’ambito della compensazione data la complessità del concetto.

3.9.

Il CESE ritiene che, nella definizione di «margine di utile ragionevole», occorra operare una distinzione a favore delle imprese dell’economia sociale, che sono obbligate a reinvestire nelle proprie attività statutarie i margini economici generati, creando in tal modo un effetto economico virtuoso che dovrebbe essere incoraggiato e sostenuto.

3.10.

Il CESE osserva che si deve tener conto della giurisprudenza più recente della Corte di giustizia europea in merito al concetto di «attività economica» per adeguare in futuro il pacchetto di norme sui SIEG del 2012, sottolineando che le attività specifiche connesse ai servizi sanitari e sociali potrebbero non essere di natura economica. Nel caso in cui un’entità svolga contemporaneamente attività sia economiche che non economiche, mantenere contabilità chiare e separate per i due tipi di attività è un metodo molto utile per garantire la trasparenza ed evitare sovvenzioni incrociate.

3.11.

Il CESE desidera ribadire che, all’interno dei singoli Stati membri, i servizi sanitari e in misura quasi totale i servizi di assistenza sociale hanno una dimensione regionale, provinciale o persino comunale. Ciò comporta una pressoché trascurabile mobilità interna degli utenti tra le diverse regioni o province di un paese, il che esclude, a maggior ragione, che si possa credere a un’incidenza sugli scambi commerciali tra Stati membri.

3.12.

Nella loro valutazione i servizi della Commissione osservano che è difficile escludere, in linea di principio, un’incidenza sugli scambi per tutti i servizi sanitari e sociali, e che l’importo relativamente ridotto dell’aiuto o le dimensioni relativamente modeste dell’impresa beneficiaria non escludono di per sé la possibilità che gli scambi tra Stati membri ne risentano. Sebbene la posizione della Commissione sia comprensibile e in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, il CESE fa notare che la concorrenza e gli investimenti tra Stati potrebbero essere garantiti consentendo un finanziamento stabile dei servizi sanitari e sociali a livello locale e, al contempo, mantenendo la disponibilità di incentivi pubblici su base non discriminatoria per i soggetti che desiderino entrare in un particolare mercato di un altro Stato membro.

3.13.

Un gran numero di parti interessate ritiene che il chiarimento del concetto di «fallimento del mercato» contenuto nel pacchetto del 2012 abbia facilitato, almeno in parte, l’osservanza delle norme SIEG applicabili ai servizi sanitari e sociali. A questo proposito, il CESE osserva che si può individuare l’esistenza di un fallimento del mercato non solo nel caso in cui il mercato non fornisca un determinato servizio, ma anche e soprattutto quando il mercato non sia in grado di fornire quel servizio ad un livello adeguato di qualità e in modo che sia ugualmente accessibile e a prezzi abbordabili per tutti, con conseguenti effetti negativi sulla coesione sociale e le pari opportunità.

3.14.

Il CESE condivide l’opinione della maggior parte dei soggetti interessati che hanno partecipato alla consultazione della Commissione, ossia che l’attuale massimale di 500 000 EUR stabilito dal regolamento (UE) n. 360/2012 non sia più in linea con il fabbisogno di finanziamento oggi necessario per la gestione di un SIEG, dato che a quanto sembra in molti casi questo massimale «de minimis» è facilmente raggiunto, con un importo medio dell’aiuto di Stato che mediamente continua a registrare un incremento significativo dal 2012. Tale soglia dovrebbe essere ulteriormente aumentata per le entità che, conformemente al loro statuto e alla legge, sono tenute a reinvestire i proventi ottenuti conformemente all’obiettivo sociale che perseguono, come avviene nel caso delle imprese sociali (6).

3.15.

Per quanto riguarda la questione in esame, il CESE pone l’accento sulle ripercussioni che la pandemia di COVID-19 ha avuto sui servizi sociali e sanitari, e anche sugli effetti dell’inflazione, che negli ultimi tre anni ha segnato un forte rialzo. Ne consegue che, alla luce del ruolo strategico svolto dai servizi sanitari e sociali in tutta l’Unione, un aumento del massimale «de minimis» eventualmente persino superiore a quello recentemente proposto, e l’adeguamento del regolamento (UE) n. 1407/2013, sarebbero giustificati e dovrebbero pertanto essere presi seriamente in considerazione, anche se il massimale ordinario fissato da tale regolamento (UE) n. 1407/2013 doveva rimanere in vigore per un periodo più lungo.

3.16.

Il CESE osserva che l’aumento della soglia «de minimis», attualmente fissata a 500 000 EUR nell’arco di tre esercizi finanziari, fornirebbe certezza giuridica agli operatori, nonché alle amministrazioni locali e alle autorità disposte a sostenere le infrastrutture sociali e sanitarie. La situazione dell’accesso all’assistenza in molti paesi dell’UE è preoccupante e la Commissione deve sostenere gli sforzi degli Stati membri che desiderano investire in tali settori.

3.17.

Come ha dichiarato nel parere sul tema Creare un’economia al servizio delle persone: un piano d’azione per l’economia sociale (7), il CESE sottolinea l’importanza dell’economia sociale per i servizi sanitari e sociali, la cui attività andrebbe sostenuta precisando quali siano i requisiti di accesso per quanto riguarda il settore dei SIEG nonché l’entità degli aiuti di Stato a disposizione degli enti dell’economia sociale.

3.18.

Il CESE osserva che il documento di lavoro dei servizi della Commissione non prende interamente in esame le conseguenze della pandemia di COVID-19 e della guerra di aggressione mossa dalla Russia in Ucraina sul pacchetto SIEG del 2012, ma che le prende in considerazione laddove tale analisi sia pertinente. A tale riguardo, è opportuno osservare che sia la pandemia di COVID-19 che l’invasione dell’Ucraina hanno reso la funzione svolta dai servizi sanitari e sociali persino più importante ed essenziale che in passato (8) e che queste due crisi hanno avuto un impatto negativo sull’attività e sul funzionamento dei soggetti coinvolti nella fornitura di tali servizi. È quindi ancora più necessario adottare un quadro giuridico che possa garantire un finanziamento pubblico stabile, efficace e semplificato dei servizi sociali e sanitari.

3.19.

Infine, il CESE osserva che la Commissione europea ha recentemente iniziato a lavorare all’elaborazione di un quadro giuridico più flessibile ed efficace per il finanziamento della transizione verde, al fine di adattare opportunamente le politiche dell’UE alla legge sulla riduzione dell’inflazione (Inflation Reduction Act — IRA) adottata dal governo degli Stati Uniti d’America. La competitività internazionale dell’UE è certamente un buon motivo per adattare il quadro giuridico vigente in materia di aiuti di Stato. Allo stesso modo, un adeguamento e un’adeguata semplificazione delle attuali norme in materia di servizi sanitari e sociali sarebbero ugualmente giustificati e sicuramente utili a migliorare i servizi alle persone, anche in considerazione delle crescenti esigenze di assistenza evidenziate dai documenti relativi alla strategia europea per l’assistenza destinata ai prestatori e ai beneficiari di assistenza (9).

3.20.

Infine, il CESE ribadisce la particolare importanza di monitorare attentamente l’uso degli aiuti di Stato nel settore dei servizi sanitari e sociali, al fine di evitare irregolarità o abusi da parte degli operatori economici coinvolti in tali settori critici.

Bruxelles, 27 aprile 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  GU C 429 dell'11.12.2020 pag. 131.

(2)  Regolamento (UE) n. 360/2012 della Commissione, del 25 aprile 2012, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti di importanza minore («de minimis») concessi ad imprese che forniscono servizi di interesse economico generale (GU L 114 del 26.4.2012, pag. 8).

(3)  Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» (GU L 352 del 24.12.2013, pag. 1).

(4)  GU C 323 del 26.8.2022, pag. 8.

(5)  Decisione 2012/21/UE della Commissione, del 20 dicembre 2011, riguardante l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 106, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale (GU L 7 dell'11.1.2012, pag. 3).

(6)  GU C 429 dell'11.12.2020 pag. 131.

(7)  GU C 323 del 26.8.2022, pag. 38.

(8)  Come dimostra l’incremento della spesa degli Stati membri per i servizi sociali e sanitari registrato negli ultimi anni ed evidenziato nella valutazione della Commissione.

(9)  https://ec.europa.eu/social/main.jsp?langId=en&catId=89&furtherNews=yes&newsId=10382#navItem-relatedDocuments.