ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 290

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

65° anno
29 luglio 2022


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

RISOLUZIONI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

568a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Interactio, 23.3.2022-24.3.2022

2022/C 290/01

Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sulla guerra in Ucraina e il suo impatto economico, sociale e ambientale

1

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

568a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Interactio, 23.3.2022-24.3.2022

2022/C 290/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo — L’azione dell’UE per il periodo post COVID-19: migliorare la ripresa attraverso lo sport (parere d’iniziativa)

6

2022/C 290/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo — Un nuovo quadro per gli accordi di libero scambio, di partenariato economico e di investimento che garantisca il reale coinvolgimento delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali e assicuri la sensibilizzazione dell’opinione pubblica (parere d’iniziativa)

11

2022/C 290/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo — Quali sono le condizioni necessarie per l’accettabilità sociale della transizione energetica e verso un’economia a basso consumo di carbonio? (parere esplorativo richiesto dalla presidenza francese del Consiglio dell’UE)

22

2022/C 290/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo — Rafforzare il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea al fine di migliorare la capacità dell’UE di reagire a eventi estremi, anche al di fuori del suo territorio (parere esplorativo richiesto dalla presidenza francese del Consiglio dell’UE)

30


 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

568a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Interactio, 23.3.2022-24.3.2022

2022/C 290/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Relazione di previsione strategica 2021: capacità e libertà di azione dell’UE [COM(2021) 750 final]

35

2022/C 290/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto concerne i requisiti per il rischio di credito, il rischio di aggiustamento della valutazione del credito, il rischio operativo, il rischio di mercato e l'output floor [COM(2021) 664 final — 2021/0342 (COD)]

40

2022/C 290/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce norme per prevenire l'uso improprio di entità di comodo a fini fiscali e che modifica la direttiva 2011/16/UE [COM(2021) 565 final — 2021/0434 (CNS)]

45

2022/C 290/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Consiglio intesa a garantire un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali nell'Unione [COM(2021) 823 final — 2021/0433 (CNS)]

52

2022/C 290/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un punto di accesso unico europeo che fornisce un accesso centralizzato alle informazioni accessibili al pubblico pertinenti per i servizi finanziari, i mercati dei capitali e la sostenibilità [COM(2021) 723 final — 2021/0378 (COD)] e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica talune direttive per quanto concerne l’istituzione e il funzionamento del punto di accesso unico europeo [COM(2021) 724 final — 2021/0379 (COD)] e sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica taluni regolamenti per quanto concerne l’istituzione e il funzionamento del punto di accesso unico europeo [COM(2021) 725 final — 2021/0380 (COD)]

58

2022/C 290/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2015/760 per quanto riguarda il novero delle attività e degli investimenti ammissibili, gli obblighi in materia di composizione e diversificazione del portafoglio, l'assunzione in prestito di liquidità e altre norme sui fondi e per quanto riguarda gli obblighi relativi all'autorizzazione, alle politiche di investimento e alle condizioni di esercizio dei fondi di investimento europei a lungo termine [COM(2021) 722 final — 2021/0377 (COD)]

64

2022/C 290/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 600/2014 per quanto riguarda il miglioramento della trasparenza dei dati di mercato, l'eliminazione degli ostacoli all'emergere di un sistema consolidato di pubblicazione, l'ottimizzazione degli obblighi di negoziazione e il divieto di ricevere pagamenti per la trasmissione degli ordini dei clienti [COM(2021) 727 final — 2021/0385 (COD)]

68

2022/C 290/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La strategia dell’UE sulla lotta contro l’antisemitismo e il sostegno alla vita ebraica (2021-2030) [COM(2021) 615 final]

73

2022/C 290/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’applicazione della direttiva 2009/52/CE, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare [COM(2021) 592 final]

81

2022/C 290/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione rinnovato dell’UE contro il traffico di migranti (2021-2025) [COM(2021) 591 final]

90

2022/C 290/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliori condizioni di lavoro per un'Europa sociale più forte: sfruttare appieno i vantaggi della digitalizzazione per il futuro del lavoro [COM(2021) 761 final] e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali [COM(2021) 762 final]

95

2022/C 290/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su una strategia europea per le università [COM(2022) 16 final] e sulla proposta di raccomandazione del Consiglio — Costruire ponti per un’efficace collaborazione a livello europeo nel campo dell’istruzione superiore [COM(2022) 17 final]

109

2022/C 290/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prestazione energetica nell’edilizia (rifusione) [COM(2021) 802 final — 2021/0426 (COD)]

114

2022/C 290/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, che modifica il regolamento (UE) 2021/1153 e il regolamento (UE) n. 913/2010 e abroga il regolamento (UE) n. 1315/2013 [COM(2021) 812 final — 2021/0420 (COD)]

120

2022/C 290/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2010/40/UE sul quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto [COM(2021) 813 final — 2021/0419 (COD)]

126

2022/C 290/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia dell’UE per il suolo per il 2030 — Suoli sani a vantaggio delle persone, degli alimenti, della natura e del clima [COM(2021) 699 final]

131

2022/C 290/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo — Visione a lungo termine per le zone rurali dell'UE [COM(2021) 345 final]

137

2022/C 290/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela penale dell’ambiente e che abroga la direttiva 2008/99/CE [COM(2021) 851 final — 2021/0422 (COD)]

143

2022/C 290/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) 2019/833 che stabilisce le misure di conservazione e di esecuzione da applicare nella zona di regolamentazione dell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale [COM(2022) 51 final — 2022/0035 (COD)]

149

2022/C 290/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda la proroga del periodo di applicazione del meccanismo facoltativo di inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi e del meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA [COM(2022) 39 final — 2022/0027(CNS)]

151

2022/C 290/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2003/17/CE del Consiglio per quanto riguarda il suo periodo di applicazione e l’equivalenza delle ispezioni in campo delle colture di sementi di cereali e delle colture di sementi di piante oleaginose e da fibra effettuate in Bolivia nonché l’equivalenza delle sementi di cereali e di piante oleaginose e da fibra prodotte in Bolivia [COM(2022) 26 final — 2021/0016 (COD)]

152

2022/C 290/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme transitorie per l’imballaggio e l’etichettatura dei medicinali veterinari autorizzati a norma della direttiva 2001/82/CE e del regolamento (CE) n. 726/2004 [COM(2022) 76 final — 2022/0053 (COD)]

153

2022/C 290/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 1303/2013 e del regolamento (UE) n. 223/2014 per quanto riguarda l’azione di coesione a favore dei rifugiati in Europa (CARE) [COM(2022) 109 final — 2022/0075 (COD)]

154


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

RISOLUZIONI

Comitato economico e sociale europeo

568a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Interactio, 23.3.2022-24.3.2022

29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/1


Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sulla guerra in Ucraina e il suo impatto economico, sociale e ambientale

(2022/C 290/01)

Base giuridica

Articolo 35 del Regolamento interno

 

Risoluzione

Adozione in sessione plenaria

24.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

176/1/1

IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO (CESE)

1.

condanna fermamente l’aggressione unilaterale contro l’Ucraina, ordinata dal presidente della Federazione russa, e il coinvolgimento del regime bielorusso; sottolinea che l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe viola le norme e gli accordi internazionali in vigore e minaccia la sicurezza europea e mondiale; tale invasione viola inoltre direttamente l’obiettivo primario dell’UE di «promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli»;

2.

esorta l’UE a fornire pieno sostegno per garantire che tutti i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità siano registrati e giudicati dalla Corte penale internazionale;

3.

rende omaggio all’enorme coraggio dimostrato dal popolo ucraino che difende l’Ucraina contro gli invasori russi; esorta il mondo libero a sostenerlo nella lotta per la pace e la libertà con tutti i mezzi a sua disposizione;

4.

fa appello all’UE e ai suoi partner internazionali che condividono gli stessi principi a rimanere uniti, a continuare a dar prova di piena solidarietà nel rispondere a questa guerra ingiustificata e non provocata e a individuare un percorso diplomatico per porre fine alle ostilità; sottolinea la necessità di un’azione diplomatica per un cessate il fuoco immediato e la costruzione di un vero e proprio processo di pace con un ruolo attivo delle istituzioni dell’UE. Tali attori dovrebbero inoltre intensificare la pressione sul regime russo, imponendo tempestivamente ulteriori sanzioni, e utilizzare tutti gli altri strumenti a loro disposizione per porre immediatamente fine all’azione militare della Russia sul territorio ucraino, ottenere il completo ritiro di tutte le forze armate russe, ripristinare la pace, la sicurezza e la stabilità nel vicinato orientale dell’UE e sostenere società che condividono i nostri valori;

5.

ritiene che sia della massima importanza per l’UE e per la comunità internazionale che le frontiere non vengano modificate manu militari e che l’aggressore non tragga alcun beneficio. È lo Stato di diritto che deve prevalere, non la legge del più forte, e l’Ucraina deve ottenere pieno risarcimento;

6.

condivide e sostiene i concetti chiave della risoluzione del Parlamento europeo del 1o marzo sull’aggressione russa contro l’Ucraina, comprese le misure proposte per sostenere immediatamente l’Ucraina e i suoi cittadini nella loro lotta per l’indipendenza e la libertà;

7.

accoglie con favore le azioni delle imprese europee che hanno deciso di ritirarsi dal mercato russo e incoraggia altre imprese a privilegiare anch’esse l’umanità e la solidarietà rispetto agli interessi economici a breve termine;

8.

ribadisce il suo inequivocabile sostegno alla sovranità, all’indipendenza e all’integrità territoriale dell’Ucraina e di altri paesi del partenariato orientale, segnatamente la Moldova e la Georgia, come pure di tutti gli Stati membri dell’UE, entro i loro confini riconosciuti a livello internazionale;

9.

esprime profondo cordoglio per tutte le vittime dell’aggressione — bambini, donne e uomini — e costernazione per la distruzione di città e infrastrutture, le sofferenze umane e i danni ambientali di portata incalcolabile; deplora che milioni di persone siano state costrette a lasciare le loro case e a cercare rifugio in luoghi più sicuri sul territorio ucraino o in paesi vicini; ribadisce che gli aggressori devono essere chiamati a rispondere dei loro crimini;

10.

raccomanda di intensificare le azioni volte a rafforzare la posizione e la sovranità dell’Ucraina, nonché le azioni umanitarie che possono aiutare il popolo ucraino attraverso l’accesso a beni essenziali, in particolare acqua, cibo, medicinali ed elettricità; chiede ai governi di fare tutto quanto in loro potere per garantire l’approvvigionamento alimentare e la sicurezza alimentare fornendo cibo e acqua pulita nelle zone di guerra; esorta la Russia a garantire l’accesso umanitario alla popolazione ucraina; avverte che molti lavoratori non percepiranno il loro stipendio e/o non avranno accesso ai loro risparmi; in questo contesto, chiede misure economiche adeguate volte a prevenire il collasso economico;

11.

accoglie con favore l’approccio attivo di tutti i governi dell’UE, specialmente di quelli della Polonia, dell’Ungheria, della Romania, della Bulgaria e della Slovacchia, oltre a quello del governo della Moldova, che hanno mantenuto aperte le loro frontiere e fornito mezzi di evacuazione, rifugio, assistenza di emergenza, assistenza medica e asilo alle persone in fuga dalla guerra in Ucraina, tanto ai cittadini ucraini quanto a quelli di altri paesi; invita il Consiglio e la Commissione a fornire finanziamenti aggiuntivi a tali paesi, che sono i principali punti di ingresso dei rifugiati ucraini nell’UE e rimarranno anche i principali paesi di residenza dei rifugiati ucraini nei mesi a venire;

12.

chiede ancora una volta una politica di immigrazione atta a garantire che nessun paese si trovi ad affrontare un onere sproporzionato e che tale onere sia equamente ripartito tra gli Stati membri;

13.

sostiene l’impegno dell’UE ad assistere i rifugiati provenienti dall’Ucraina, come delineato nella comunicazione della Commissione «Solidarietà europea nei confronti dei rifugiati e di coloro che fuggono dalla guerra in Ucraina» (1), e sottolinea che i fondi disponibili attraverso l’azione di coesione a favore dei rifugiati in Europa (CARE) e il Nucleo di esperti di pronta assistenza e cooperazione (REACT) (2) dovrebbero essere flessibili e prontamente disponibili; si compiace del fatto che l’UE abbia già attivato il proprio meccanismo di protezione civile e creato poli logistici nei paesi vicini per convogliare gli aiuti verso l’Ucraina;

14.

esprime compiacimento per la confortante solidarietà dimostrata dall’UE e dalle organizzazioni della società civile dei paesi vicini e il loro incessante prodigarsi sin dal primo giorno dell’aggressione russa, e sottolinea la necessità di destinare il sostegno finanziario dell’UE sia ai governi che alle organizzazioni della società civile che operano sul campo;

15.

invita ad applicare pienamente la direttiva sulla protezione temporanea (attivata per la prima volta dal Consiglio europeo il 4 marzo 2022, su proposta della Commissione) in un quadro di solidarietà e di responsabilità condivisa tra gli Stati membri, garantendo agli aventi diritto l’intera gamma di diritti previsti da detta direttiva, tra cui l’accesso al mercato del lavoro, l’alloggio, l’assistenza sanitaria, l’istruzione e il sostegno sociale, e auspica che vengano adeguatamente affrontate le esigenze dei gruppi vulnerabili, in particolare i minori, le donne, gli anziani e le persone con disabilità; incoraggia i paesi ospitanti ad accogliere favorevolmente la creazione e il rispetto degli stessi corridoi umanitari per tutti i rifugiati in fuga dalla guerra in Ucraina, indipendentemente dalla loro nazionalità;

16.

prende atto delle difficoltà che i paesi ospitanti potrebbero incontrare nell’integrare rapidamente i rifugiati nei loro mercati del lavoro; mette in rilievo che le economie dell’UE hanno la capacità di assorbire l’afflusso di persone provenienti dall’Ucraina, a condizione che il loro reinsediamento sia gestito adeguatamente; chiede che i meccanismi di inclusione tengano conto del genere e dell’età degli interessati; invita l’Autorità europea del lavoro a monitorare, conformemente al suo mandato, l’integrazione di tali rifugiati nel mercato del lavoro e a presentare relazioni periodiche al riguardo; ricorda a tal fine il potenziale dell’economia sociale e solidale, nel contesto dei servizi dello Stato sociale, ai fini del mantenimento e della creazione di posti di lavoro persino in tempi di crisi, e incoraggia gli Stati membri a trovare soluzioni per una migliore integrazione dei rifugiati ucraini nei rispettivi mercati del lavoro; prende atto della situazione specifica delle donne e dei bambini sia nelle aree di conflitto che nei paesi ospitanti al momento dell’arrivo, anche per quanto riguarda i rischi di sfruttamento e di violenza di genere, e in particolare il rischio di violenza sessuale e di tratta di esseri umani; osserva che la situazione dei cittadini ucraini cui è stata concessa una protezione temporanea nell’Unione europea, o che hanno il diritto di chiedere tale protezione, continuerà a essere monitorata e presa in considerazione dal Forum europeo della migrazione;

17.

chiede un maggiore sostegno alla società civile ucraina, sia all’interno che all’esterno dell’Ucraina; ritiene che l’UE debba valutare la possibilità di coinvolgere la società civile ucraina in tutte le discussioni relative a questo paese; la società civile ucraina sarà direttamente coinvolta nell’attenuazione dell’impatto della guerra e nella ricostruzione del tessuto socioeconomico del paese; in tale contesto, il CESE chiede di consolidare e rafforzare i regimi di finanziamento esistenti volti a sostenere la società civile in Ucraina;

18.

a seguito delle recenti dichiarazioni della presidente della Commissione europea, invita le istituzioni dell’UE e tutti gli Stati membri a cooperare pienamente con l’Ucraina e a rendere accessibili a questo paese tutti i fondi e programmi pertinenti dell’UE;

19.

invita le istituzioni dell’UE ad avviare quanto prima un dialogo concreto con l’Ucraina in merito al processo di adesione del paese all’Unione europea, conformemente all’articolo 49 del trattato sull’Unione europea e sulla base del merito, e a fornire aiuti finanziari immediati per garantire un sostegno umanitario all’Ucraina, ed esorta ad avviare lo stesso dialogo con gli altri paesi che si sono associati all’UE, come la Georgia e la Moldova, al fine di garantire a tali paesi stabilità e parità di trattamento. Ciò dovrebbe avvenire senza pregiudicare il processo di adesione in corso dei paesi dei Balcani occidentali. Chiede, nel frattempo, di continuare ad adoperarsi per l’integrazione dell’Ucraina nel mercato unico dell’UE in virtù dell’accordo di associazione;

20.

esprime profonda preoccupazione per il massiccio ricorso alla propaganda e alla disinformazione da parte del governo russo, allo scopo di giustificare e nascondere la sua aggressione nei confronti dell’Ucraina; in tale contesto, sottolinea la necessità di rafforzare la resilienza dell’UE agli attacchi informatici e di elaborare una strategia globale per contrastare la disinformazione; al riguardo, l’UE deve assumere un ruolo guida a livello mondiale;

21.

sottolinea l’esigenza di sostenere la società civile e i giornalisti russi e bielorussi indipendenti e di mantenere aperti i canali di comunicazione con loro; condanna fermamente l’ondata di repressioni in Russia nonché l’arresto di manifestanti pacifici, il bavaglio imposto ai media e il fatto che la società civile sia stata ridotta al silenzio;

22.

chiede azioni congiunte di solidarietà volte a boicottare prodotti e servizi provenienti dalla Russia; sottolinea la necessità di interrompere la cooperazione con le imprese e le organizzazioni russe che sostengono le politiche di Putin; condanna i tentativi di aggirare le azioni collettive di boicottaggio con l’intento di acquisire vantaggi di qualsiasi natura;

23.

prende atto del fatto che la guerra e tutte le misure correlate, segnatamente le sanzioni, avranno un impatto socioeconomico sugli Stati membri e sui paesi confinanti, e l’UE deve essere pronta a farsene carico; rileva che la crisi mette in evidenza la necessità di rafforzare il mercato interno e il suo funzionamento; sottolinea l’importanza di compensare le perdite subite dalle imprese europee per effetto delle sanzioni e sottolinea la necessità di effettuare un’approfondita analisi d’impatto di tali sanzioni, al fine di essere pronti ad attenuarne le conseguenze economiche e sociali;

24.

fa presente che vari settori industriali risentiranno fortemente della situazione; segnala che, oltre all’energia, la Russia e l’Ucraina hanno un peso significativo nelle importazioni UE sia di metalli — quali il nichelio, il rame e il ferro — che di materie prime essenziali — quali il neon, il palladio, il titanio e il platino — che sono cruciali per varie industrie strategiche, tra cui quella della difesa, e per la produzione di microchip;

25.

sottolinea la necessità di accelerare lo sviluppo dell’autonomia strategica e tecnologica dell’Europa e invita i leader dell’UE a confermare la loro unità e la loro determinazione a rendere l’Unione europea una potenza più indipendente e sovrana, migliorando le nostre capacità di difesa e limitando le nostre dipendenze nei settori dell’energia, delle materie prime critiche e dei prodotti alimentari;

26.

richiama l’attenzione sull’importanza di ridurre la dipendenza energetica dell’UE da paesi terzi e, in particolare, dalla Russia; chiede un piano attuabile per diversificare le fonti energetiche nell’ambito del mix energetico degli Stati membri e accoglie con favore le proposte in materia avanzate nella dichiarazione di Versailles (3); prende atto del fatto che la sicurezza e la sostenibilità dell’approvvigionamento energetico possono essere pienamente conseguite nel lungo termine solo promuovendo l’uso di fonti energetiche a basse o a zero emissioni di carbonio e facendo maggior ricorso alle fonti di energia rinnovabile esistenti a livello locale; raccomanda che vengano accelerati gli investimenti nella ricerca per sviluppare nuove tecnologie pulite al fine di garantire un futuro resiliente e sostenibile del sistema energetico dell’UE;

27.

sottolinea la necessità che le strategie di bilancio siano differenziate in funzione dello Stato membro considerato al fine di preservare la sostenibilità del debito, in particolare negli Stati membri con un debito pubblico elevato. Gli Stati membri con livelli di indebitamento bassi o medi dovrebbero dare la priorità all’aumento degli investimenti pubblici; sottolinea che è importante dare la priorità all’aumento degli investimenti pubblici al fine di rafforzare la resilienza economica dell’UE;

28.

esprime preoccupazione per la situazione di emergenza di parti significative del settore dei trasporti ed esorta la Commissione a dedicare la dovuta attenzione alla crisi del settore dei trasporti, causata dai costi estremamente elevati del carburante e dell’elettricità, nell’elaborazione del quadro temporaneo per le crisi menzionato nella comunicazione «Repower EU: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili» (4); chiede altresì cautela nel rendere più flessibili le procedure di regolamentazione al fine di garantire che non vengano intaccate le norme sociali e ambientali;

29.

sottolinea che il conflitto comporterà inevitabilmente gravi conseguenze per il settore agroalimentare dell’UE, e sarà quindi necessario un sostegno supplementare; in quest’ottica, sottolinea che l’UE deve impegnarsi in misura maggiore ad assicurare sistemi alimentari sostenibili, garantendo nel contempo a tutti l’accessibilità economica di alimenti di qualità; in particolare, l’UE deve migliorare la propria sicurezza alimentare riducendo la dipendenza dalle importazioni di fattori di produzione e prodotti agricoli chiave; inoltre, i consumatori di tutti gli Stati membri dell’UE dovranno affrontare rialzi significativi dei prezzi per i prodotti alimentari e l’energia, rialzi che potrebbero a loro volta far aumentare i livelli di povertà all’interno dell’UE;

30.

sottolinea che l’Ucraina e la Russia sono grandi esportatori di diversi prodotti agricoli, come i cereali e i semi oleosi; osserva che l’interruzione delle esportazioni da tali paesi ha già portato a un’impennata a livello mondiale dei prezzi per i prodotti agricoli di base, che le conseguenze di tale impennata sono avvertite specialmente nei paesi più poveri del mondo e che le persone più povere sono quelle che ne risentiranno maggiormente;

31.

mette l’accento sul fatto che gli effetti della guerra non dovrebbero compromettere l’azione per il clima e la sostenibilità, come stabilito dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che è innanzitutto un programma per la pace, la sicurezza e la riduzione della povertà; mette in rilievo la necessità di procedere verso l’attuazione sia dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite che di una transizione giusta attraverso il Green Deal europeo, e sottolinea che eventuali deroghe eccezionali possono essere concesse solo per un arco di tempo limitato;

32.

ritiene che gli impatti ambientali causati dal conflitto, a seguito di bombardamenti, perdite di petrolio/gas, incidenti in fabbriche chimiche o centrali nucleari, siano motivo di grave preoccupazione sia per la popolazione ucraina che per quella dell’UE; sottolinea che l’UE deve contribuire a prevenire e risanare i danni ambientali causati dalla guerra e a sanzionare i reati ambientali, dato che essi avranno inevitabilmente conseguenze durature;

33.

sottolinea la necessità di mantenere la solidarietà e di sviluppare ulteriormente risposte europee comuni tese a ripartire l’onere dell’impatto economico, e propone a questo proposito di ideare uno strumento europeo flessibile; osserva che, nel caso dei paesi più colpiti, potrebbe essere necessario riesaminare e rivedere i piani nazionali per la ripresa e la resilienza, in particolare alla luce dell’attinente rischio di stagflazione; è consapevole che l’invasione dell’Ucraina avrà ripercussioni dirette su tutti gli Stati membri dell’UE e sui loro abitanti, e che il costo umano e le conseguenze per i cittadini ucraini saranno incalcolabili; c’è quindi bisogno di solidarietà tra gli Stati membri dell’UE, e anche di una solidarietà duratura dell’UE nei confronti dell’Ucraina;

34.

accoglie con favore l’impegno espresso nella dichiarazione di Versailles (5) di aumentare il ricorso allo strumento europeo per la pace; sottolinea che l’UE dovrebbe procedere verso una maggiore integrazione politica, che potrebbe essere alla base di una politica estera comune, e fa appello agli Stati membri affinché avviino immediatamente i lavori diretti ad attuare un sistema di difesa realmente comune ed efficace che rafforzi in modo significativo la capacità dell’Europa di difendersi;

35.

constata che l’occupazione delle centrali nucleari sta suscitando preoccupazioni in merito alla sicurezza nucleare per la popolazione locale e l’Europa nel suo complesso, e chiede la piena cooperazione tra tutti gli attori coinvolti, compresa l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, al fine di monitorare la situazione e prevenire ogni possibile fuga di radioattività;

36.

sottolinea la necessità che i leader politici siano chiari quando comunicano con i cittadini dell’UE e che spieghino i costi della guerra; mette in evidenza che la pace ha un prezzo e che tutti noi dobbiamo pagare questo prezzo, il cui onere deve essere ripartito tra gli Stati membri;

37.

esorta l’UE e i suoi Stati membri a preparare un piano di assistenza e ripresa adeguato per l’Ucraina, al fine di sostenere l’economia ucraina e la ricostruzione delle infrastrutture distrutte; mette l’accento sul fatto che la Federazione russa deve essere tenuta responsabile sia per la distruzione delle infrastrutture ucraine, compresi gli edifici a uso civile e abitativo, che per le ingenti perdite economiche arrecate, e dovrà risarcire i danni causati dalle sue azioni aggressive;

38.

si impegna a monitorare attentamente la situazione favorendo gli scambi di informazione su come sostenere le organizzazioni della società civile europee che operano sul campo, e incoraggiando un dialogo autentico con le organizzazioni della società civile ucraine (comprese le organizzazioni sindacali e quelle dei datori di lavoro) attraverso i pertinenti meccanismi di dialogo permanente; si impegna altresì a monitorare la situazione degli sfollati e dei rifugiati, sia in Ucraina che nei paesi confinanti, fornendo pieno sostegno al popolo ucraino.

Bruxelles, 24 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  COM(2022) 107 final — Solidarietà europea nei confronti dei rifugiati e di coloro che fuggono dalla guerra in Ucraina.

(2)  COM(2022) 109 final — Azione di coesione a favore dei rifugiati in Europa (CARE).

(3)  Dichiarazione di Versailles, adottata nella riunione informale dei capi di Stato e di governo del 10 e 11 marzo 2022: https://www.consilium.europa.eu/media/54792/20220311-versailles-declaration-it.pdf

(4)  COM(2022) 108 final — Repower EU: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili.

(5)  Dichiarazione di Versailles, adottata nella riunione informale dei capi di Stato e di governo del 10 e 11 marzo 2022: https://www.consilium.europa.eu/media/54792/20220311-versailles-declaration-it.pdf


PARERI

Comitato economico e sociale europeo

568a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Interactio, 23.3.2022-24.3.2022

29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/6


Parere del Comitato economico e sociale europeo — L’azione dell’UE per il periodo post COVID-19: migliorare la ripresa attraverso lo sport

(parere d’iniziativa)

(2022/C 290/02)

Relatore:

Pietro Vittorio BARBIERI

Decisione dell’Assemblea plenaria

23.3.2021

Base giuridica

articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

7.3.2022

Adozione in sessione plenaria

24.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

148/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Dopo il lungo periodo della pandemia, che ha determinato un grave impatto su tutta la filiera dello sport e dell’associazionismo sportivo di base in particolare, con conseguente chiusura di molte realtà, è necessario un approccio strategico per rilanciare e valorizzare il ruolo dello sport e dell’attività fisica nella costruzione di una società più resiliente e sostenibile. Una tale scelta va collocata all’interno del più ampio processo di ripresa economica e sociale, provando a individuare obiettivi per rafforzare la capacità di reazione del settore dello sport alle crisi che sempre più frequentemente ci affliggono.

1.2.

Lo sport e l’attività fisica dovranno essere integrati nelle strategie di sviluppo economico e sociale, intrecciando legami intersettoriali più ampi, in particolare con la salute pubblica, l’istruzione e l’inclusione sociale. Lo sport è veicolo di sostenibilità sociale, economica ed ambientale che favorisce la ripresa, creando nuove opportunità occupazionali e di business basate su di esso. Altrettanto sarà importante favorire il dialogo sociale sul tema del benessere e dell’attività fisica sul posto di lavoro, coinvolgendo le parti sociali. Per tale motivo il CESE chiede la realizzazione di studi che mostrino il collegamento tra la pratica sportiva e il benessere generale sui cittadini.

1.3.

Nel rapporto con la scuola e nelle varie fasi dell’apprendimento, così come si insegna ad affrontare un compito, ad imparare e a crescere, diventa necessario insegnare alle ragazze e ai ragazzi tutto quello che riguarda l’alfabetizzazione corporea. Rilanciare l’educazione del corpo nella scuola, secondo una prospettiva di gioco, divertimento e multidisciplinarietà, vuol dire creare uno strumento ineguagliabile nel produrre risultati, serenità, convivenza e soprattutto successo scolastico e promozione di stili di vita sani. Ciò vuol dire riconoscere il valore dello sport e dell’attività fisica al pari delle altre materie, in particolare nel percorso formativo delle giovani generazioni, con particolare attenzione alle aree interne e territorialmente svantaggiate.

1.4.

Il trattato di Lisbona ha tracciato la dimensione europea del valore sociale ed economico dello sport. Dopo l’emergenza sanitaria è necessario rendere più visibili nella politica europea i valori che lo sport e l’attività fisica rappresentano, garantendo loro piena dignità al pari delle altre politiche europee. Non solo quindi politiche di coesione, ma un vero percorso di emancipazione, ovvero la visione di una vera e propria transizione sportiva che valorizzi significativamente l’impatto prodotto sul benessere delle persone e sulla qualità della vita.

1.5.

Diventa pertanto conseguente:

1.5.1.

includere il tasso di deprivazione sportiva — ovvero il tasso di esclusione dalla fruibilità di un bene necessario, il diritto alla pratica sportiva — nell’elenco degli indici di Eurostat per misurare la deprivazione materiale;

1.5.2.

rendere accessibili al settore sportivo tutti i finanziamenti dell’UE per il periodo 2021-2027, sia quelli a gestione diretta, sia quelli a gestione indiretta, considerando lo sport e l’attività fisica come un investimento per il benessere individuale e collettivo delle comunità;

1.5.3.

prevedere un aumento della quota dell’importo totale dei finanziamenti destinata allo sport e alla cooperazione intersettoriale, compreso lo sport, nel programma Erasmus+. I finanziamenti dovrebbero pervenire non solo dai fondi di coesione ma anche da quelli previsti per le diverse missioni nel Recovery Fund, visto che per lo sport sono fortemente ridotti. Inoltre, sarebbe auspicabile una maggiore redistribuzione delle risorse tra lo sport agonistico di alta prestazione e quello di promozione sociale;

1.5.4.

sviluppare piani per assistere lo sport in caso di crisi ed emergenze (economiche, sociali e sanitarie), compresi i piani di preparazione ad esse, anche attraverso le necessarie forme di semplificazione amministrativa per fronteggiare la pesante burocrazia, soprattutto a carico delle società sportive di base. È prioritario, pertanto, intervenire soprattutto a sostegno della pratica sportiva di base, poiché è quella che svolge una funzione inclusiva nei confronti delle persone con disabilità o in condizioni di fragilità e vulnerabilità, oltre a svolgere una significativa interazione interculturale;

1.5.5.

favorire il sostegno delle reti di cittadinanza attiva nella realizzazione di tali obiettivi a livello locale, attraverso partenariati e coprogettazione tra politiche pubbliche e reti, al fine di attivare forme di innovazione sociale, valorizzando le esperienze di amministrazione condivisa e sussidiarietà circolare. Incoraggiare la partecipazione di organizzazioni e parti sociali.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Sullo sfondo di una pandemia che continua a metterci alla prova, e mentre combattiamo per proteggere vite umane e mezzi di sostentamento, non dobbiamo perdere di vista il fatto che ci troviamo di fronte a scelte che determineranno il futuro dei sistemi socio-economici dell’UE e la vita dei cittadini europei.

2.2.

L’emergenza sanitaria ha evidenziato che, a causa dalla multidimensionalità dei problemi che ci affliggono, è impossibile raggiungere livelli di resilienza tali da mettere totalmente in sicurezza i sistemi socio-economici dell’UE. È necessario attivarsi per adattare la nostra società alle crisi ed ai cambiamenti, promuovendo modelli di resilienza basati sulla capacità di anticipare le crisi e di affrontarle con «strumenti» adeguati.

2.3.

La pandemia da coronavirus ha modificato le prospettive economiche, sociali e sanitarie per i prossimi anni, e con esse è cambiato anche l’approccio verso le strategie di sviluppo e coesione. Dobbiamo scegliere se continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto fino ad oggi, o se modificare ed adattare il paradigma che sta alla base delle politiche di sviluppo e coesione, in considerazione delle criticità evidenziate e delle esperienze maturate conseguentemente all’emergenza COVID-19.

2.3.

L’intero mondo dello sport è stato pesantemente colpito dalla crisi del COVID-19 in tutta Europa, ma dobbiamo sottolineare come il settore dello sport di base abbia affrontato i problemi e le sfide peggiori. L’impatto della crisi nell’ambito dello sport ha colpito soprattutto i giovani, limitando il loro «diritto» di praticare lo sport e l’attività fisica. Allo stesso modo, tutto il settore dell’associazionismo sportivo e dell’industria sportiva ha subito gli effetti della crisi sanitaria con conseguenze che ne condizioneranno la ripresa anche nel medio periodo.

3.   Il ruolo dello sport nei processi di sviluppo e coesione

3.1.

Lo sport consente alla società civile di incanalare le proprie capacità in modo costruttivo, arricchendola dei valori positivi secondo un approccio unico e multidimensionale che contribuisce al benessere fisico e mentale; mitiga i problemi sociali attraverso la sua capacità di riunire comunità culturalmente diverse. Lo sport è un vettore di sostenibilità sociale, economica ed ambientale alle condizioni che il presente parere si sforza di definire; accresce la rigenerazione e l’attrattività di regioni e località e favorisce la ripresa, rendendo possibile la creazione di nuove opportunità di lavoro e di business basate su di esso.

3.2.

In riferimento alla dimensione economica, lo sport può stimolare la nascita di nuove attività imprenditoriali, o il rafforzamento di quelle esistenti, attraverso la valorizzazione di processi d’innovazione sociale e tecnologica; attraverso lo sport possono essere create nuove opportunità lavorative, anche tramite percorsi di formazione formali e non formali a vantaggio dei giovani; lo sport rappresenta uno strumento per migliorare e rafforzare la salute e le competenze dei lavoratori, e, poiché si basa essenzialmente sul contributo umano, rappresenta una leva efficace per generare occupazione a livello locale.

3.3.

Per quanto riguarda la dimensione sociale, lo sport è caratterizzato dalla capacità di interagire con un’ampia gamma di gruppi sociali, colmare le differenze e riunire le comunità locali, nonché coinvolgere i gruppi sociali fragili e vulnerabili nella vita della comunità. Inoltre, i progetti sportivi possono contribuire a generare rivitalizzazione sociale in aree territoriali caratterizzate da «svantaggi» come le periferie urbane, le aree rurali ed interne delle regioni europee.

3.4.

In riferimento alla dimensione ambientale, lo sport rappresenta uno strumento strategico per il raggiungimento degli obiettivi in risposta alle sfide poste dalla lotta ai cambiamenti climatici. La pratica sportiva rappresenta uno strumento per promuovere la mobilità sostenibile e la rigenerazione ambientale di aree urbane nell’ottica dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Le infrastrutture sportive, se trasformate in Nearly Zero-Energy Sports Facilities (1), contribuiranno al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale, insieme allo svolgimento di eventi a bassa impronta carbonica. Infine, le manifestazioni sportive rappresentano un veicolo formidabile di disseminazione e diffusione di messaggi positivi in termini ambientali.

3.5.

Nonostante il fatto che in tutte le principali strategie sovranazionali (Agenda 2030; Politica di coesione 2021-2027; Piano d’azione globale OMS sull’attività fisica per gli anni 2018-2030) lo sport viene identificato come uno strumento prioritario per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo, sostenibilità e coesione, purtroppo è rilevabile che in molti Stati membri tale approccio non sia stato ancora del tutto recepito, relegando, in molti casi, l’attività e la pratica sportiva ancora ad una funzione ludica e ricreativa.

3.6.

L’emergenza COVID-19 nello sport rischia di trasformare la crisi nella riduzione o nell’impossibilità della pratica sportiva. In mancanza di interventi specifici ed «innovativi» in grado di affrontare efficacemente i problemi e trovare soluzioni, la concatenazione che caratterizza la dimensione sociale ed economica di questa criticità avrà un impatto disastroso, limitando alcune attività essenziali per garantire la qualità della vita, il benessere e la salute delle persone. Tale situazione, oltre a mettere a rischio la «sopravvivenza» di moltissimi enti, associazioni e imprese attive nell’ambito dello sport, determinerà un problema sociale, relativo alla qualità della vita delle persone, ed uno economico, riguardante la mancanza di una fonte di reddito per chi si mantiene attraverso tali attività. Allo stesso modo, il disagio economico causato dalla crisi determinerà l’impossibilità per molte persone di poter sostenere i costi per l’attività sportiva dei propri figli, o per sé stessi, con un impatto negativo sul benessere fisico e sulla salute.

3.7.

Per le fasce di popolazione in condizioni di fragilità, quali ad esempio le persone con disabilità, i rischi della deprivazione sportiva aggraveranno situazioni già critiche che in alcuni Stati membri si presentano come limitazioni sistemiche. Nello specifico della salute mentale, la pandemia ha ridotto fortemente la partecipazione attiva di utenti, familiari, operatori, cittadini e associazioni sportive nel rapporto con i servizi e i dipartimenti dedicati, privando le persone con disagio mentale della pratica sportiva come strumento di costruzione e mantenimento di relazioni solidali che contrastano l’isolamento e l’emarginazione derivanti dalla malattia. Il benessere collettivo è un fatto che riguarda tutti quanti, non soltanto chi cura e chi viene curato.

3.8.

Vista anche la pesante limitazione di occasioni di socialità che ha colpito in modo significativo i bambini ed i ragazzi, occorrerà rilanciare le opportunità di sport e di attività fisica, di istruzione e formazione, dando centralità alla sicurezza dei luoghi della pratica, per la protezione dell’infanzia e dell’adolescenza. Il mondo sportivo è un ambito in cui quotidianamente si rinnova l’incontro tra un grandissimo numero di bambini e ragazzi ed i loro educatori, tecnici, allenatori. Tale ambiente è tra i più delicati per lo sviluppo psicofisico dei praticanti e richiede la necessità di adottare delle politiche specifiche, per dare loro la possibilità di giovarsi di tutti i benefici che l’attività può dare all’interno di un ambiente protetto. Lo sport per tutti non dovrebbe implicare lo sport a tutti i costi.

3.9.

Lo svolgimento di un’attività fisica regolare agisce anche in termini di invecchiamento attivo e può svolgere un ruolo fondamentale nel miglioramento delle capacità funzionali dell’anziano e della sua qualità della vita. Inoltre, gli effetti dell’esercizio fisico vengono amplificati se vi è un contemporaneo coinvolgimento dell’anziano nelle attività sociali e produttive. Lo sport, quindi, ha un ruolo preventivo per portare i lavoratori a essere pensionati sani e in forma.

3.10.

Sviluppare l’attività fisica per il maggior numero possibile di cittadini presuppone anche innovazioni sociali e della società, delle quali la società civile organizzata e le parti sociali dovrebbero essere portatrici prima di tutti. Sono fondamentali la dimensione quotidiana, la riflessione sui ritmi di lavoratori, studenti e alunni, nonché la capacità di immaginare luoghi dove i genitori possano svolgere attività fisica in contemporanea ai figli che accompagnano. La pandemia ci ha fatto riscoprire la palestra a cielo aperto, che può promuovere tendenze innovative come lo sport urbano e rurale, per rigenerare gli spazi e condividere la flessibilità degli stessi. Il bisogno di innovazione sociale è enorme e va valorizzato e incoraggiato per contrastare la mancanza di tempo della maggior parte dei cittadini per dedicarsi allo sport, anche quando lo desidererebbero.

3.11.

Il ruolo delle strutture private di prossimità (centri sportivi), che hanno tutte le capacità di lavorare con le imprese e con altre strutture (centri di accoglienza per persone con disabilità, ad esempio) delle organizzazioni della società civile, dovrebbe essere enfatizzato nello sviluppo di programmi collettivi a beneficio dei lavoratori e di tutti i cittadini.

3.12.

In questo ambito, centrale risulta l’azione della società civile e di tutte le parti sociali, le quali, incentivando l’impegno civico e attivando il dialogo sociale, possono promuovere le strategie sulla qualità della vita sul luogo di lavoro, anche all’interno dei contratti collettivi; proporre campagne a favore dei lavoratori per iscrizioni in palestra e/o presso società sportive; incoraggiare i lavoratori dello sport a tutelare i propri interessi; introdurre pause sul lavoro per fare attività motoria. Va sottolineato e rinforzato il ruolo dei professionisti della sanità, così come degli insegnanti che lavorano con bambini piccoli, in materia di sensibilizzazione e di promozione della pratica sportiva, per costruire una nuova cultura e degli incentivi alla pratica da parte dei datori di lavoro.

3.13.

Per ciò che riguarda la dimensione di genere, la Carta europea dei diritti delle donne nello sport (2) rappresenta sicuramente un piano di lavoro per continuare ad educare alle differenze e sperimentare nuove attività continuando il confronto e la collaborazione tra diversi soggetti in particolare sul tema della comunicazione, che vede da tempo un rapporto più stretto tra donne e media, per promuovere un linguaggio giornalistico rispettoso ed attento, per uno sport orientato a contrastare ogni forma di violenza, di discriminazione, di disuguaglianze economiche e per una cultura motoria sempre più accogliente e a misura di tutte e tutti.

4.   Lo sport nell’Agenda 2030

4.1.

Lo sport è un linguaggio universale che accomuna persone, popoli e culture; i valori dello sport sono valori di universalità e armonia. Lo sport è uno strumento fondamentale per assistere l’azione volta a trasformare le nostre società in «ambienti» più riflessivi orientati alla sostenibilità; lo sport contribuisce al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 affermando i principi del rispetto, della comprensione, dell’integrazione e dialogo, contribuendo allo sviluppo ed alla realizzazione degli individui senza distinzione di età, sesso, origini, credenze e opinioni.

4.2.

Nonostante l’evidente trasversalità dello sport quale strumento a sostegno dell’attuazione dei principi richiamati dall’Agenda 2030, è evidente che dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 ce ne sono alcuni che più di altri possono beneficiare del vantaggio fornito dallo sport.

4.3.

Lo sport è un settore in cui le responsabilità dell’UE sono relativamente nuove e sono state introdotte solo con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona. L’UE è competente per lo sviluppo di politiche fondate su elementi concreti, nonché per la promozione della cooperazione e la gestione di iniziative a sostegno dell’attività fisica e dello sport in Europa. Nel periodo 2014-2020 è stata messa a disposizione per la prima volta una linea di bilancio specifica nell’ambito del programma Erasmus+ (3) per sostenere progetti e reti nel settore dello sport. Nel periodo 2021-2027 l’intervento dell’UE a sostegno dello sport sarà mantenuto e rafforzato.

5.   Sport e politica di coesione

5.1.

L’UE si adopera per conseguire gli obiettivi di una maggiore equità e apertura nelle competizioni sportive e di una maggiore tutela dell’integrità morale e fisica di chi pratica sport, tenendo conto, allo stesso tempo, della natura specifica di esso. In particolare, l’UE copre tre ambiti di attività nel settore dello sport: 1) il ruolo sociale dello sport; 2) la sua dimensione economica; 3) il quadro politico e giuridico del settore. Per tali settori, oltre all’azione supportata con gli strumenti finanziari a gestione diretta, l’UE promuove l’utilizzo e la complementarità delle opportunità offerte dalla politica di coesione.

5.2.

Lo sport e l’attività fisica hanno dimostrato la loro capacità di interagire con un’ampia gamma di gruppi sociali, colmare le differenze e riunire le comunità locali, nonché coinvolgere i gruppi sociali esclusi nella vita della comunità. Inoltre, i progetti sportivi possono contribuire a una serie di obiettivi politici: promuovere l’innovazione; generare rivitalizzazione urbana; sostenere lo sviluppo rurale e contribuire agli investimenti interni nelle regioni europee.

6.   Sport e Piano d’azione globale OMS sull’attività fisica per gli anni 2018-2030

6.1.

Il Piano d’azione globale sull’attività fisica per gli anni 2018-2030 (4) definisce gli obiettivi strategici da realizzare attraverso azioni politiche per ridurre del 15 % la prevalenza globale dell’inattività fisica negli adulti e negli adolescenti entro il 2030. Il Piano sottolinea la necessità di un approccio intersettoriale ed olistico e l’importanza di investire in politiche sociali, culturali, economiche, ambientali, educative ecc. per promuovere l’attività fisica e contribuire al raggiungimento di molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) 2030. Le strategie d’attuazione del piano devono considerare tutti i fattori determinanti che influenzano lo stile di vita e mirano a realizzare azioni efficaci di promozione della salute in un’ottica intersettoriale e di approccio integrato.

6.2.

La promozione dell’attività fisica è una questione complessa che richiede forte leadership ed azione politica da parte del settore sanitario, cruciale a livello nazionale, ma anche grande interazione con altri settori, come l’istruzione, la cultura, i trasporti, l’urbanistica e l’economia. Per aumentare l’attività fisica e disincentivare i comportamenti sedentari è indispensabile affrontare le criticità ambientali, sociali ed individuali dell’inattività fisica e implementare azioni efficaci e sostenibili attraverso una collaborazione tra più settori a livello nazionale, regionale e locale secondo l’approccio intersettoriale che consente di attuare interventi per modificare i comportamenti non salutari, sia agendo sullo stile di vita individuale sia creando condizioni ambientali e sociali atte a favorire il cambiamento dei comportamenti scorretti.

7.   Dalle strategie alla pratica

7.1.

Nonostante il chiaro contributo che lo sport e l’attività fisica possono dare per il raggiungimento dei target di sviluppo, sostenibilità e coesione, rendere i fondi europei eleggibili ed accessibili per le iniziative orientate alla promozione e valorizzazione dello sport è ancora molto difficile. La causa principale di questa situazione è riconducibile all’assenza dello sport come chiara area di investimento nei regolamenti alla base della politica di coesione 2021-2027. Citare chiaramente lo sport nei programmi attuativi della politica di coesione non solo fornirebbe un percorso chiaro di questi flussi di finanziamento per lo sport, ma semplificherebbe anche il lavoro delle autorità di gestione dei fondi nella valutazione positiva dei progetti aventi ad oggetto «lo sport e l’attività fisica».

7.2.

Al fine di rendere evidente la strategicità dello sport nell’attuazione delle strategie di sviluppo e coesione, si riporta in appendice un’analisi di coerenza tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 e quelli della politica di coesione 2021-2027 e le possibili azioni da realizzare attraverso lo sport.

Bruxelles, 24 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa all'apprendimento per la sostenibilità ambientale.

(2)  Carta europea dei diritti delle donne nello sport.

(3)  Erasmus+ — Performance.

(4)  Piano d'azione globale sull'attività fisica 2018-2030.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo — Un nuovo quadro per gli accordi di libero scambio, di partenariato economico e di investimento che garantisca il reale coinvolgimento delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali e assicuri la sensibilizzazione dell’opinione pubblica

(parere d’iniziativa)

(2022/C 290/03)

Relatore:

Stefano PALMIERI

Decisione dell’Assemblea plenaria

25.3.2021

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

9.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

215/1/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ribadisce il proprio sostegno alla nuova strategia commerciale europea aperta, sostenibile e autorevole, e ritiene che sia particolarmente importante, attraverso tale strategia, promuovere da un lato la competitività dei settori produttivi europei e degli attori economici (grandi, medie e piccole imprese) e dall’altro contribuire alla promozione dei valori e dei principi europei, in particolare la democrazia e i diritti umani, sociali e di genere, nonché dei diritti del lavoro ed ambientali. In questo modo sarà possibile assicurare che l’Unione europea (UE) abbia gli strumenti idonei per proteggere i lavoratori e le imprese da pratiche commerciali non eque e i consumatori da prodotti nocivi e non sostenibili; coniugando così gli interessi delle imprese con quelli dei cittadini consumatori e lavoratori.

1.2.

Il CESE ritiene che la nuova ambiziosa strategia commerciale dell’UE necessiti, per la sua attuazione:

di una strategia negoziale commerciale innovativa (accordi commerciali, accordi di partenariato economico, accordi di investimento) in grado di garantire la reale partecipazione delle organizzazioni della società civile e dei partner sociali ed assicurare così che i benefici del commercio siano garantiti a tutti i partecipanti per l’UE e per i paesi partner;

di un’opportuna riforma degli strumenti di monitoraggio, valutazione ed implementazione degli accordi: i gruppi consultivi interni — GCI (Domestic Advisory Group — DAG).

1.3.

Per il CESE il duplice processo di riforma — degli strumenti negoziali e dei GCI — consentirà di pervenire a una reale condivisione e quindi a una consapevolezza pubblica del valore degli accordi commerciali, di partenariato e di investimento, sottoscritti da parte di tutti gli attori coinvolti dagli effetti di tali accordi (imprese, lavoratori, consumatori ecc.) e in entrambe le parti contraenti gli accordi (UE e paesi partner).

2.   Osservazioni generali

2.1.

Nel febbraio del 2021 la Commissione europea ha predisposto le linee per una nuova strategia commerciale europea aperta, sostenibile e autorevole (1). Una strategia che dovrebbe garantire il perseguimento dei seguenti tre obiettivi dell’Unione europea:

i)

sostenere la ripresa economica e la transizione verde e digitale;

ii)

conformare le regole mondiali ad una globalizzazione più sostenibile ed equa;

iii)

accrescere la capacità dell’UE di perseguire i propri interessi e rafforzare i propri diritti.

2.1.1.

Diversi fattori hanno concorso all’elaborazione di questa nuova strategia commerciale. Primo fra tutti la crisi pandemica di COVID-19, che ha indotto a una seria riflessione sulle nuove strategie in tema di sicurezza sanitaria, alimentare, di approvvigionamento di materie prime e produzioni strategiche e in generale sulle catene del valore globali.

2.1.2.

Altri fattori determinanti, per l’elaborazione della nuova strategia commerciale proposta dalla Commissione, sono collegati: i) alla crisi in cui permane l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC); ii) alle relazioni problematiche con alcuni paesi o blocchi commerciali: Cina, Russia, USA; iii) ai difficili negoziati con il Regno Unito; iv) e all’attuale impasse nella quale si trovano alcuni accordi commerciali (si veda l’accordo UE-Mercosur, l’accordo di partenariato economico Africa centrale-UE o l’accordo di partenariato economico Comunità dell’Africa orientale-UE).

2.1.3.

Più volte nel documento proposto dalla Commissione si afferma che la nuova strategia commerciale europea, oltre a promuovere la competitività dei settori produttivi europei, dovrà contribuire alla promozione dei valori e dei principi europei, in particolare la democrazia e i diritti umani, sociali e di genere, nonché dei diritti del lavoro ed ambientali.

2.1.4.

Il Parlamento europeo (PE) ha accolto con favore la proposta della Commissione ed ha invitato la Commissione a fare in modo che, negli accordi negoziati, i capitoli sul Commercio e lo sviluppo sostenibile (CSS) (TSD Chapters) contribuiscano ad assicurare che i benefici del commercio siano assicurati a tutti i partecipanti (2).

2.1.5.

Il CESE ha ribadito, nei suoi recenti pareri, la propria visione della politica commerciale dell’UE e ha espresso il suo convinto sostegno alla proposta della Commissione, di cui sottolinea l’importanza, la pertinenza e la tempestività. Nel contempo il CESE ha chiaramente formulato delle aspettative e delle conseguenti raccomandazioni per un’ambiziosa revisione del commercio e lo sviluppo sostenibile (TSD) (3).

2.1.6.

Proprio perché la nuova strategia proposta dalla Commissione è giustamente ambiziosa, riteniamo che essa necessiti per la sua attuazione:

di una strategia negoziale commerciale innovativa (accordi commerciali, accordi di partenariato economico, accordi di investimento) in grado di garantire la reale partecipazione delle organizzazioni della società civile e dei partner sociali ed assicurare così che i benefici del commercio siano garantiti a tutti i partecipanti per l’UE e per i paesi partner;

di un’opportuna riforma degli strumenti di monitoraggio, valutazione ed implementazione degli accordi: i gruppi consultivi interni — GCI (Domestic Advisory Group — DAG).

2.1.6.1.

Il duplice processo di riforma — degli strumenti negoziali e dei GCI — consentirà di pervenire a una reale condivisione e quindi a una consapevolezza pubblica del valore degli accordi (commerciali, di partenariato economico e di investimento) sottoscritti da parte di tutti gli attori coinvolti dagli effetti di tali accordi (imprese, lavoratori, consumatori ecc.) e in entrambe le parti contraenti gli accordi (UE e paesi partner).

3.   Una valutazione critica degli attuali accordi commerciali

3.1.

Il CESE, pur ribadendo la convinzione dell’importanza fondamentale del multilateralismo negli scambi commerciali e la convinzione che l’OMC — attraverso una sua sostanziale riforma — debba tornare a svolgere il ruolo di garante di tale multilateralismo, comprende che — in questo particolare contesto — gli accordi commerciali possono assumere un ruolo decisivo non solo per gli scambi commerciali bilaterali dell’UE (che comunque rappresentano oltre il 30 % del commercio delle merci e dei servizi per l’Unione), ma soprattutto per la diffusione di uno sviluppo sostenibile da un punto di vista economico, sociale e ambientale per l’UE e i suoi paesi partner.

3.2.

Nel corso degli ultimi anni, diversi strumenti negoziali utilizzati dall’UE (accordi commerciali, accordi di partenariato economico, accordi di investimento) sono stati oggetto di valutazioni particolarmente critiche da parte del CESE (4).

3.3.

Il CESE ritiene che si debba partire da tali valutazioni per poter così valutare l’opportunità di una riforma degli attuali strumenti negoziali, in modo da assicurare il conseguimento degli obiettivi della nuova strategia commerciale proposta dalla Commissione.

3.3.1.

Un primo aspetto riguarda la scarsa trasparenza nel corso dei processi negoziali riguardanti gli accordi commerciali. Pur essendo chiara l’esigenza di una confidenzialità nei contenuti dei trattati oggetto della negoziazione, il CESE ritiene che tale confidenzialità debba comunque assicurare che i negoziati commerciali avvengano in modo trasparente, garantendo un flusso continuo di informazioni per i cittadini e gli stakeholder interessati ai negoziati.

3.3.1.1.

La Commissione ha sempre mostrato una netta opposizione ad assicurare una completa trasparenza dei negoziati ricollegandosi all’esistente regolamentazione (5) e ad alcune sentenze della Corte di giustizia (6), adducendpag.o che la diffusione di informazioni, nel corso dei negoziati, pregiudicherebbe gli interessi dell’Unione europea.

3.3.1.2.

Il CESE riconosce che, nel corso degli ultimi anni, la Commissione ha mostrato un’importante e interessante apertura, migliorando il livello di trasparenza attraverso la messa a disposizione — per i diversi accordi commerciali — di informazioni riguardanti: i report dei diversi round negoziali; il mandato negoziale ricevuto; le diverse proposte testuali, così come la predisposizione di incontri attraverso il dialogo con la società civile e con il gruppo di esperti sugli accordi commerciali dell’UE.

3.3.1.3.

Nonostante tali miglioramenti il mandato negoziale deciso dal Consiglio dovrebbe essere più ambizioso e offrire alla Commissione maggiori possibilità di organizzare la partecipazione della società civile e delle parti sociali assicurando il loro reale coinvolgimento nel processo di negoziazione. Il CESE ha inoltre chiesto la reintegrazione del gruppo di esperti, il cui mandato è scaduto (7).

3.3.1.4.

Il CESE, pur comprendendo l’esistenza di un vero e proprio trade-off tra trasparenza e confidenzialità nel corso dei negoziati, riconosce che la questione della trasparenza rimane la questione di maggiore attrito con gli stakeholder, con le organizzazioni della società civile e le parti sociali.

3.4.

Un altro aspetto sul quale si concentrano le critiche riguarda il fatto che le valutazioni di impatto sulla sostenibilità degli accordi risultano parziali, sono pubblicate con ritardo — quando i negoziati risultano già conclusi — oppure sono del tutto assenti nei paesi partner degli accordi.

3.4.1.

Ed è stato proprio il ritardo con il quale è stata pubblicata la valutazione di impatto sulla sostenibilità dell’accordo UE-Mercosur (Sustainability impact assessment — SIA) ad essere stato oggetto di una denuncia, che alcune organizzazioni non governative hanno formulato alla Mediatrice europea (8). La Mediatrice europea nel marzo del 2021 formulava la seguente posizione critica nei confronti della Commissione europea: «La Commissione europea non è riuscita a garantire il completamento della valutazione d’impatto per la sostenibilità in tempo utile, ovvero prima della fine dei negoziati commerciali UE-Mercosur. Ciò costituisce un caso di cattiva amministrazione» (9).

3.4.2.

Il CESE ribadisce che le valutazioni di impatto sulla sostenibilità economica, sociale e ambientale degli accordi debbano essere tempestivamente pubblicate — all’inizio dei negoziati — ed aggiornate nel corso dei negoziati e debbano far parte — periodicamente — di una valutazione ex post dell’accordo nella fase del suo monitoraggio. Tali valutazioni dovranno poi riguardare entrambe le parti negoziali: l’Unione europea, i suoi Stati membri e gli Stati della controparte al tavolo negoziale (10).

3.5.

Un’ulteriore critica mossa agli accordi commerciali ha riguardato l’incapacità di garantire efficacemente il rispetto: dei diritti umani, dei diritti sociali, delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro, così come gli standard ambientali e di sicurezza. Gli accordi non garantiscono inoltre le parità di condizioni «level playing field» tra tutti gli operatori presenti nei mercati (in particolare per le piccole e medie imprese così come per alcuni settori produttivi) (11).

3.6.

A ciò si aggiunga che a volte gli accordi commerciali non tengono conto delle particolari specificità dei paesi in via di sviluppo, dell’esistenza di asimmetrie tra l’UE e i paesi partner dell’accordo con il rischio di non risolvere o, talvolta, approfondire le differenze esistenti (per esempio l’accesso equo ai farmaci salva vita, o ai vaccini); così come non si tiene conto delle possibili posizioni di preminenza che possono assumere le multinazionali a seguito della conclusione degli accordi commerciali.

3.7.

Per garantire un coinvolgimento efficace e ampio della società civile organizzata è necessaria un’ampia attuazione dei GCI non solo in tutti i futuri negoziati commerciali, ma soprattutto negli attuali accordi di partenariato economico in Africa, dove i gruppi consultivi interni sono del tutto assenti. I processi di revisione in corso e futuri e l’attuazione del nuovo accordo UE-Organizzazione degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (OSACP) possono offrire un’effettiva opportunità per l’introduzione dei GCI negli accordi commerciali esistenti privi di tale strumento (ad esempio la revisione dell’accordo di partenariato economico tra l’Unione europea e il gruppo accordo di partenariato economico della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC)].

3.8.

La partecipazione della società civile e delle parti sociali ai negoziati e al monitoraggio degli accordi firmati dall’Unione ha avuto una certa evoluzione sin dalle prime esperienze. Il CESE riconosce gli sforzi compiuti, in molti casi ne è stato partecipe.

3.9.

Il CESE prende atto dei risultati provenienti dal recente Study Reviewing the DG Trade Civil Society Dialogue (12) attraverso il quale è stato valutato il dialogo con la società civile a livello europeo e nazionale. Pur condividendo alcuni risultati dello studio, il CESE ritiene che occorra procedere ad un salto di qualità nel reale coinvolgimento delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali nella politica commerciale dell’UE.

3.10.

Il CESE ha più volte richiesto un reale e maggior coinvolgimento della società civile e delle parti sociali, in tutte le fasi negoziali degli accordi commerciali, in entrambe le parti presenti al tavolo negoziale (Commissione e i paesi partner) (13).

3.11.

Per tutta questa serie di ragioni, il CESE ritiene che sia arrivato il momento di sviluppare una nuova e più efficace strategia negoziale, con nuove norme e procedure per garantire una partecipazione effettiva ed efficace delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali. Tutto ciò favorirebbe il raggiungimento degli obiettivi della nuova strategia commerciale dell’UE, assicurando il raggiungimento di accordi compatibili con uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale per entrambe le parti negoziali: UE e paesi partner degli accordi commerciali.

4.   Un nuovo quadro negoziale per gli accordi commerciali

4.1.

Il CESE considera che la nuova politica commerciale dell’UE apra la possibilità di valutare e migliorare le norme, le procedure e i criteri per organizzare in maniera molto più efficace, trasparente ed inclusiva la partecipazione della società civile organizzata e delle parti sociali, sia durante i negoziati, sia successivamente, nel corso del monitoraggio, della valutazione ed eventuale implementazione degli accordi.

4.2.

Il CESE ritiene che sia opportuno elaborare una nuova metodologia negoziale, in grado di stabilire una nuova road map, tale da prevedere, in tutte le fasi negoziali, il reale coinvolgimento delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali. Questa metodologia deve valere sia per l’Unione europea, sia per gli Stati della controparte presenti al tavolo negoziale.

4.3.

Il primo passo della road map negoziale dovrebbe prevedere la firma di un «memorandum d’intesa» tra i negoziatori (Commissione e i relativi Stati della controparte) con il quale si assicuri il reciproco impegno dei negoziatori:

i)

al rispetto delle differenti fasi negoziali;

ii)

al coinvolgimento — nelle diverse fasi negoziali — delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali in qualità di «osservatori» riuniti in un apposito «Comitato consultivo congiunto dei portatori di interessi ( Joint consultative committee of stakeholders — JCCS)».

4.3.1.

Le fasi della negoziazione previste nel «memorandum d’intesa» si applicheranno sia al round negoziale generale sia agli eventuali round negoziali tecnici che si dovessero formare.

4.3.2.

La costituzione di un «Comitato consultivo congiunto dei portatori di interessi» dovrebbe basarsi sul medesimo approccio del «principio del partenariato» vigente per la politica di coesione.

4.3.2.1.

Attraverso il partenariato ciascun programma della politica di coesione si sviluppa attraverso un processo collettivo che coinvolge le autorità a livello europeo, regionale e locale, le parti sociali e le organizzazioni della società civile. Questa partnership si applica a tutte le fasi del processo di programmazione, dalla progettazione alla gestione e attuazione, al monitoraggio e alla valutazione. Questo approccio contribuisce a garantire che l’azione sia adattata alle esigenze e priorità locali e regionali di tutti i portatori di interessi (gli stakeholder).

4.3.3.

La scelta degli osservatori tra i rappresentanti delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali dovrebbe sottostare al criterio fondamentale della effettiva rappresentatività, indipendenza ed equa ripartizione fra gli stakeholder. Per quanto riguarda la rappresentatività e l’indipendenza, per le parti sociali dovrebbe riferirsi ai criteri adottati dall’ILO, dal gruppo lavoratori e dal gruppo imprenditori, mentre per le altre organizzazioni della società civile all’adesione ad organismi internazionali. Gli osservatori presenti nel «Comitato consultivo congiunto dei portatori di interessi» dovrebbero sottostare al rispetto di uno specifico «codice di condotta».

4.3.4.

Del «Comitato consultivo congiunto dei portatori di interesse», oltre a organizzazioni della società civile e parti sociali, dovrebbero far parte — in qualità di «osservatori esterni» — anche rilevanti istituzioni di carattere internazionale quali: l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), il segretariato degli accordi ambientali multilaterali del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (Multilateral Environmental Agreements Secretariat — United Nations Environment Programme).

4.3.4.1.

Il «codice di condotta» dovrebbe essere in grado di delineare:

i)

diritti e doveri degli «osservatori» presenti nel «Comitato consultivo congiunto dei portatori di interesse» partecipanti ai negoziati per conto della società civile e delle parti sociali. Dovrà essere previsto un apposito «protocollo di confidenzialità» — all’interno del «codice di condotta» — che richiamerà al rispetto del principio della riservatezza che implica l’obbligo di non diffondere le informazioni diffuse nella fase negoziale «confidenziale» e nella fase degli «early warnings»;

ii)

i principi riguardanti l’individuazione degli «osservatori» presenti nel «Comitato consultivo congiunto dei portatori di interesse» in modo trasparente e nel rispetto della loro reale indipendenza, rappresentatività ed equa ripartizione tra i componenti della società civile e delle parti sociali (si veda il punto 4.3.3);

iii)

regole e procedure delle differenti fasi della negoziazione previste nella road map negoziale.

Il «codice di condotta» dovrebbe essere sottoscritto da tutti i partecipanti al negoziato in qualità di osservatori presenti nel Comitato consultivo congiunto.

4.4.

La road map negoziale dovrebbe constare delle seguenti fasi destinate a ripetersi ciclicamente fino alla fine del negoziato.

4.4.1.

La fase negoziale confidenziale. Fase alla quale partecipano sia i componenti del tavolo negoziale (Commissione e i paesi dell’area geografica controparte nel negoziato) sia i rappresentanti della società civile e delle parti sociali in qualità di «osservatori» che si impegnano — attraverso la firma del «protocollo di confidenzialità» presente nel codice di condotta — a garantire la riservatezza delle informazioni di cui disporranno in questa fase. In questa fase l’ILO dovrebbe presentare un rapporto pre-negoziale sullo stato di ratifica ed implementazione delle Convenzioni fondamentali nel paese terzo, messo a disposizione di tutti i componenti del tavolo negoziale (negoziatori ed osservatori). Tale rapporto non avrebbe alcun valore vincolante ma contribuirebbe ad evidenziare il rispetto o meno degli standard sociali nei paesi interessati dall’accordo.

4.4.2.

La fase degli «early warning»con il«Comitato consultivo congiunto». Fase nella quale gli osservatori individuano tematiche sensibili presenti nel negoziato, per le quali i negoziati non stanno pervenendo a soluzioni soddisfacenti per la società civile e le parti sociali. Questa fase è ancora «una fase confidenziale», nella quale gli osservatori sono chiamati al rispetto della massima riservatezza.

4.4.3.

La fase della comunicazione aperta. Sia la Commissione sia i paesi dell’area geografica controparte nel negoziato presentano un rapporto informativo pubblico e regolarmente congiunto sullo stato di avanzamento dei negoziati. In questa fase gli osservatori possono esprimere le loro valutazioni seguendo la «regola di Chatham House» (14) delineando le tematiche sensibili del negoziato individuate nella fase precedente degli «early warning» con il «Comitato consultivo». Questa fase è una fase pubblica nella quale sono evidenziati i risultati preliminari del negoziato. È una fase che serve per far crescere la consapevolezza nel pubblico sullo stato di avanzamento dei negoziati.

4.4.4.

La fase della presentazione del rapporto preliminare indipendente di valutazione di impatto dell’accordo commerciale. In questa fase entrambe le parti (Commissione e i paesi dell’area geografica controparte) presentano la valutazione preliminare indipendente di impatto dell’accordo. È in questa fase che le organizzazioni della società civile e delle parti sociali esprimono le loro valutazioni sugli effetti economici, sociali e ambientali dell’accordo, avvalendosi anche di proprie autonome analisi di valutazione. Un contributo importante dovrebbe venire dagli «osservatori esterni» che dovrebbero presentare un rapporto a disposizione di tutte le parti e reso pubblico.

4.4.5.

Conclusa la fase della presentazione del rapporto preliminare di impatto si avvierà di nuovo ciclicamente la fase negoziale confidenziale, a cui seguirà la fase degli «early warning» con il Comitato consultivo, a cui seguirà la fase della comunicazione aperta ed infine la fase della presentazione del rapporto finale della valutazione di impatto dell’accordo commerciale. Il ciclo negoziale continuerà fino a concludersi con la firma o meno dell’accordo da parte dei rappresentanti della Commissione e dei paesi dell’area geografica controparte.

4.4.6.

Nel caso in cui l’accordo sia siglato dalle parti, queste — insieme agli osservatori della società civile e delle parti sociali del gruppo consultivo — provvederanno alla predisposizione di uno specifico protocollo di costituzione del gruppo consultivo interno — GCI (per l’UE e per i paesi partner) contenente le norme per il loro funzionamento (si veda il punto 5.5.2).

4.4.7.

Il CESE ritiene che il quadro negoziale proposto rappresenterebbe una sfida per tutte le parti coinvolte nei negoziati. Una sfida che richiede consapevolezza dei propri ruoli per ciascuno degli attori in campo (Commissione, organizzazioni della società civile, parti sociali, osservatori esterni), così come richiede un livello di professionalità e di preparazione particolarmente elevato per tutti gli attori coinvolti. Il CESE considera che sarebbe positivo rafforzare la partecipazione del Parlamento europeo, che dovrebbe svolgere un ruolo più rilevante nelle fasi di negoziato e nel monitoraggio degli accordi. Il CESE è altrettanto convinto che solo in questo modo sarà possibile assicurare il reale coinvolgimento di tutti, compresa la società civile e le parti sociali nei negoziati commerciali, assicurando per tale via l’effettiva condivisione dei contenuti dell’accordo.

5.   Una proposta di riforma dei gruppi consultivi interni di monitoraggio, valutazione ed implementazione degli accordi

5.1.

L’UE si trova attualmente di fronte ad una crescente domanda di dialogo inclusivo e democratico, da parte della società civile e delle parti sociali, non solo durante l’elaborazione degli accordi commerciali, ma anche nella loro fase di attuazione (15). Il CESE, pur apprezzando gli sforzi compiuti dalla Commissione per aprire spazi di confronto e di partecipazione, ritiene che sia indispensabile migliorare le procedure per il monitoraggio, la valutazione e l’implementazione di tali accordi.

5.2.

Per il CESE gli strumenti consultivi — i gruppi consultivi interni (GCI) — istituiti per monitorare l’attuazione e l’esecuzione degli impegni presenti nei capitoli sul Commercio e lo sviluppo sostenibile (CSS) (TSD Chapters) ed in futuro degli interi accordi commerciali, non rispondono in modo soddisfacente agli obiettivi stabiliti. Tali gruppi consultivi interni — GCI (Domestic Advisory Groups — DAG), presentano delle lacune sia per i criteri che conducono alla loro composizione, sia per la mancanza di regole chiare per il loro funzionamento.

5.3.

Seguendo le raccomandazioni politiche sostenute nel non paper dei gruppi consultivi interni dell’UE (EU DAG) (16) e la recente analisi svolta, sui gruppi consultivi interni dell’UE e dei paesi partner (17), i gruppi consultivi interni possono essere valutati in base a quattro differenti livelli di successo, basati sulla capacità di garantire:

1)

la loro operatività;

2)

la condivisione delle informazioni;

3)

il monitoraggio degli accordi;

4)

l’impatto politico.

5.3.1.

Per quanto riguarda l’operatività, mentre i GCI — grazie alla fondamentale funzione di segretariato svolta dal CESE — risultano attivati nell’UE, essi sono invece presenti solo in alcuni dei paesi partner (18). Nei paesi partner, laddove sono presenti, hanno degli evidenti problemi di carattere organizzativo — per evidenti carenze di risorse finanziarie (19) — così come problemi di rappresentatività, di equa ripartizione delle rappresentanze di interessi e di indipendenza delle organizzazioni che ne fanno parte (20).

5.3.2.

Dal punto di vista della capacità di condividere le informazioni dei soggetti partecipanti ai GCI, a fronte di un generale scambio di informazioni sembra esistere, anche qui, una netta distinzione fra GCI dell’UE e GCI dei paesi partner. Nei GCI dell’UE al di là di alcune contrapposizioni vige generalmente un buono scambio di informazioni tra i partecipanti al dialogo mentre, nei GCI dei paesi partner, emergono tensioni tra le componenti del business e i rappresentanti non business. In entrambi i GCI permangono comunque rapporti insoddisfacenti fra i governi e i rispettivi GCI (il cosiddetto dialogo verticale). Emerge inoltre una richiesta per un dialogo transnazionale — tra GCI dell’UE e dei paesi partner — più strutturato ed approfondito, in particolar modo nel corso dell’incontro annuale transnazionale della società civile e istituendo riunioni specifiche tra i GCI nell’ambito dello stesso accordo.

5.3.3.

Per quanto riguarda il monitoraggio degli accordi, sebbene questo rappresenti l’obiettivo principale dei GCI, occorre riconoscere che esso difficilmente si concretizza. L’incapacità di pervenire al monitoraggio dell’attuazione e dell’esecuzione del capitolo sul Commercio e lo sviluppo sostenibile (CSS) è da ascrivere principalmente ad un’assenza di risorse specifiche da indirizzare al monitoraggio, e a un’assenza di disponibilità e responsabilità da parte dei governi. In questo contesto, è sicuramente da apprezzare la pressione esercita dalla Commissione e dai GCI dell’UE sui governi dei paesi partner affinché aumenti la loro responsabilità nella fase del monitoraggio (21). La presentazione di un report informativo — non vincolante — da parte dell’ILO e dell’OCSE messo a disposizione dei GCI sarebbe una base affidabile di valutazione dell’accordo commerciale.

5.3.4.

È indubbio che, a seguito di quanto finora riscontrato, l’impatto politico, ossia le capacità di influenzare l’attuazione degli accordi ricadenti nel capitolo sul Commercio e lo sviluppo sostenibile, da parte dei GCI, è del tutto insufficiente. La Commissione dovrebbe stabilire criteri più ambiziosi affinché i governi tengano conto delle raccomandazioni dei GCI; inoltre sebbene gli impegni dei GCI siano vincolanti, mancano di un’effettiva esecutività e di un coinvolgimento permanente dei GCI nel processo di controversia (22).

5.4.

Sulla base di tali considerazioni il CESE ritiene opportuno un processo di profonda riforma dei GCI in grado di rimuovere le lacune delineate (nei punti 5.3.1-5.3.4).

5.5.

Il CESE ribadisce l’esigenza di istituire — per tutte le tipologie di accordi negoziati — un unico organismo di partecipazione della società civile e delle parti sociali (il gruppo consultivo interno riformato) in grado di realizzare un monitoraggio dell’attuazione e dell’esecuzione degli accordi e una valutazione dei loro risultati (23).

5.5.1.

Tale organismo dovrà essere comune e perfettamente funzionante per entrambe le parti dell’accordo (UE e paesi partner) e dovrà riguardare tutti gli aspetti dell’accordo, dando la priorità a tutti gli elementi dell’accordo che hanno un impatto sull’attuazione del capitolo sul Commercio e lo sviluppo sostenibile.

5.5.2.

Il CESE ritiene che ogni accordo siglato dovrà contenere un protocollo sul funzionamento dei gruppi consultivi interni in grado stabilire un solido quadro istituzionalizzato capace di fissare le norme per il suo funzionamento per entrambe le parti dell’accordo (UE e paesi partner) stabilendo:

a)

i criteri alla base della individuazione dei componenti del GCI in grado di assicurare la loro rappresentatività, equa ripartizione delle rappresentanze di interessi e indipendenza (si rimanda al punto 4.3.3);

b)

l’impegno a garantire la partecipazione in qualità di «osservatori esterni» dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ai GCI. Garantendo la partecipazione dell’ILO si permette a tale organizzazione di monitorare l’attuazione delle proprie convenzioni nell’ambito degli accordi di libero scambio, utilizzando il supervisory mechanism interno e mettendo a disposizione delle parti negoziali un report specifico finalizzato alle eventuali criticità nella implementazione degli standard sociali del capitolo sul Commercio e lo sviluppo sostenibile. Inoltre la partecipazione dell’OCSE permetterà di monitorare, attraverso i National Contact Points ed i governi interessati, l’attuazione delle linee guida destinate alle imprese multinazionali, in particolare a valle della catena di approvvigionamento. Le valutazioni di tali organismi non saranno comunque vincolanti all’interno del GCI;

c)

di affidare al GCI un ruolo realmente attivo nell’attivazione delle procedure di risoluzione delle controversie, in tutte le materie dell’accordo, avanzate dai GCI al responsabile dell’esecuzione degli accordi commerciali (Chief Trade Enforcement Officer — CTEO);

d)

un calendario in grado di delineare delle tabelle di marcia vincolanti e applicabili, per gli impegni previsti nell’accordo, con scadenze chiare per la loro ratifica;

e)

di aggiornare la guida per l’attuazione degli impegni assunti nell’accordo, stabilendo un set di indicatori qualitativi e quantitativi sui quali sarà costituito il monitoraggio in itinere e la valutazione di impatto ex post dell’accordo;

f)

la data entro la quale dovrà pervenire lo studio d’impatto indipendente ex post dell’accordo per ciascuna delle parti interessate dall’accordo (UE e paesi partner) qualora le parti ritengano opportuno anticipare il termine dei cinque anni previsto;

g)

il numero di incontri che ciascun gruppo consultivo interno dovrà tenere nel corso dell’anno per ciascuna parte interessata all’accordo (UE e paesi partner);

h)

l’obbligo di tenere una riunione annuale tra i GCI dell’UE e del paese partner;

i)

l’impegno ad assicurare una riunione annuale dei gruppi consultivi interni dell’UE e dei paesi partner da tenersi a Bruxelles con la partecipazione attiva di tutti i componenti dei GCI;

j)

l’impegno a costituire una piattaforma sul web dove i partecipanti al gruppo consultivo interno possano comprendere l’importanza «dell’imparare tra i GCI», scambiare le necessarie informazioni ad esempio su tematiche specifiche (diritti del lavoro, diritti umani, impatto commerciale delle norme sull’agricoltura biologica ecc.,), condividere possibili best practices, istituire appositi corsi di formazione online per i partecipanti ai GCI;

k)

un calendario di incontri in grado di riferire alla Commissione, al Parlamento europeo e al Consiglio l’andamento dei lavori del GCI;

l)

le risorse finanziare necessarie per il funzionamento dei GCI;

m)

l’impegno a redigere un rapporto annuale sul funzionamento dei rispettivi GCI. In questo rapporto i GCI potranno fissare le priorità e le raccomandazioni per l’attuazione del Capitolo sul Commercio e lo sviluppo sostenibile e la Commissione europea sarà tenuta ad incorporare tali priorità e raccomandazioni nelle priorità dell’UE per l’attuazione del Capitolo sul Commercio e lo sviluppo sostenibile, oppure dovrà comunque argomentare l’eventuale rifiuto;

n)

l’impegno di affidare al CESE la funzione organizzativa del GCI per la parte dell’UE e il compito di assistenza tecnica per la riunione transnazionale del GCI europeo e del GCI dei paesi partner. In questo contesto, il segretariato del CESE fornirà un’assistenza tecnica per l’individuazione delle controparti nei paesi partner (sui criteri si rimanda al punto 4.3.3), assistendo le presidenze dei GCI per la definizione dell’ordine del giorno, la gestione delle riunioni, la redazione delle relazioni degli incontri, la presentazione di relazioni alle istituzioni dell’UE e alla società civile e l’assunzione di responsabilità di fornire le informazioni necessarie.

5.5.3.

Un ruolo fondamentale sarà svolto dagli indicatori del monitoraggio in itinere che dovranno garantire il rispetto degli impegni previsti nell’accordo e riguarderanno gli ambiti: economico/commerciale, sociale, ambientale e di sicurezza sanitaria.

5.5.4.

Il CESE ritiene che, sulla base del processo di riforma dei GCI, il ruolo del CESE assumerà un’importanza fondamentale e tale da richiedere un adeguamento opportuno delle risorse umane e finanziarie. Per tale ragione il CESE ribadisce la richiesta, alle autorità di bilancio, di prevedere — quando la riforma andrà a regime — una dotazione aggiuntiva in linea con le spese correnti previste dalla Commissione, per aiutare i gruppi consultivi interni a svolgere le attività previste sul piano sia quantitativo che qualitativo.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  COM(2021) 66 final.

(2)  Risoluzione del Parlamento europeo del 26 novembre 2020 sulla revisione della politica commerciale dell'UE (2020/2761(RSP).

(3)  GU C 105 del 4.3.2022, pag. 148; GU C 105 del 4.3.2022, pag. 40; GU C 364 del 28.10.2020, pag. 53; GU C 364 del 28.10.2020, pag. 160; GU C 159, del 10.5.2019, pag. 28.

(4)  GU C 105 del 4.3.2022, pag. 148; GU C 105 del 4.3.2022, pag. 40; REX/530, Valutazione del ruolo della società civile nelle strutture di partecipazione nel quadro dell’accordo UE/Colombia/Perù/Ecuador, relatore: G. Iuliano; GU C 364 del 28.10.2020, pag. 160; GU C 47 dell'11.2.2020, pag. 38; REX/503: Verso un accordo di associazione UE-Mercosur, relatore: J. Puxeu Rocamora, correlatore: M. Soares.

(5)  Articolo 4 del regolamento (CE) n. 1049/2001.

(6)  Lettera con la quale la Commissione rifiuta l’accesso al documento formulato dall’organizzazione: Les Amis de la Terre. 2019 [b]. Disponibile: https://www.asktheeu.org/fr/request/7049/response/23196/attach/3/Signed%20letter.pdf?cookie_passthrough=1 Accesso: 30.7.2020, pag. 2.

(7)  GU C 374 del 16.9.2021, pag. 73. Op. cit.

(8)  ClientEarth, Fern, Veblen Institute, la Fondation Nicolas Hulot pour la Nature et l’Homme e la Federazione internazionale per i diritti umani.

(9)  Decisione nel caso 1026/2020/MAS riguardante il mancato completamento, da parte della Commissione europea, di una «valutazione d’impatto per la sostenibilità» aggiornata prima di concludere i negoziati commerciali UE-Mercosur.

(10)  GU C 47 dell'11.2.2020, pag. 38 Op. cit.

(11)  GU C 105 del 4.3.2022, pag. 148; REX/532; GU C 364 del 28.10.2020, pag. 160 Op. cit.

(12)  Marzo 2021, Unione europea, Study Reviewing DG Trade Civil Society Dialogue (Studio che riesamina il dialogo della DG Trade con la società civile), Tetra Tech — Deloitte.

(13)  GU C 105 del 4.3.2022, pag. 40; GU C 105 del 4.3.2022, pag. 148; GU C 159 del 10.5.2019, pag. 28.

(14)  Regola in base alla quale «Quando una riunione, o una parte di essa, si svolge secondo la regola di Chatham House, i partecipanti sono liberi di utilizzare le informazioni ricevute, ma non possono rivelare l’identità o l’affiliazione né dell’oratore o degli oratori né di altri partecipanti».

(15)  Documento informale delle autorità olandesi e francesi sul commercio e le sue conseguenze in campo sociale ed economico e sullo sviluppo sostenibile.

(16)  Documento informale: Rafforzare e migliorare il funzionamento dei gruppi consultivi interni per il commercio dell'UE.

(17)  Martens, D., Potjomkina, D., Orbie, J., 2020, Domestic Advisory Groups in EU trade agreements — Stuck at the Bottom or Moving up the Ladder?, Friederich Ebert Stiftung — Università di Gand,

(18)  Si pensi al Perù dove, a seguito della mancata volontà del governo peruviano di costituire un apposito GCI, le organizzazioni della società civile hanno avviato un GCI «ombra» purtroppo non riconosciuto dall’UE. Martens et. al., 2020, op. cit.

(19)  «Il CESE assicura il segretariato di tutti i gruppi consultivi interni dell’UE. Circa il 78 % (36/46) dei partecipanti ai GCI dell’UE ritiene che le riunioni dei GCI siano ben preparate dalla segreteria. La maggior parte dei GCI dei paesi terzi, tuttavia, non dispone di un’assistenza analoga per aiutarli a organizzare e preparare il proprio lavoro. Gran parte del lavoro viene spesso svolta dal presidente (e talvolta dai vicepresidenti), la cui capacità di dedicare tempo a queste attività è limitata». Martens, D., et al. Op. cit. pag 16.

(20)  È il caso del GCI della Corea del Sud che, pur avendo fatto dei considerevoli progressi, presenta ancora delle lacune in tema di rappresentatività e di indipendenza. Martens, D., et. al., 2020, op. cit.

(21)  Nell’Accordo UE-Corea la pressione politica ha portato a una denuncia ufficiale e il panel d’esperti si è pronunciato sulla non conformità del paese alle convenzioni dell’ILO.

(22)  GU C 105 del 4.3.2022, pag. 40.

(23)  GU C 159 del 10.5.2019, pag. 28.


 

Figura 1

Le differenti fasi negoziali (the road map)

Image 1C2902022IT1110120220323IT0003.0001201212Figura 1Le differenti fasi negoziali (the road map)Figura 2Le differenti fasi negoziali (the road map)

Figura 2

Le differenti fasi negoziali (the road map)

Image 2C2902022IT1110120220323IT0003.0001201212Figura 1Le differenti fasi negoziali (the road map)Figura 2Le differenti fasi negoziali (the road map)


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo — Quali sono le condizioni necessarie per l’accettabilità sociale della transizione energetica e verso un’economia a basso consumo di carbonio?

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza francese del Consiglio dell’UE)

(2022/C 290/04)

Relatore:

Arnaud SCHWARTZ

Correlatore:

Pierre Jean COULON

Consultazione

Presidenza francese del Consiglio dell’UE, 20.9.2021

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

10.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

224/6/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Per garantire l’accettabilità sociale della transizione energetica tenendo conto dei riscontri ottenuti alle fasi di pianificazione e attuazione, il CESE invita tutte le parti interessate a migliorare i seguenti aspetti: l’indipendenza del processo, la qualità e l’accessibilità delle informazioni, la libertà e la diversità della partecipazione, la chiarezza delle modalità, la rendicontabilità e la presa in considerazione della partecipazione alla decisione, la trasparenza e il monitoraggio «dalla culla alla tomba» di un piano o progetto, ma anche il carattere economicamente abbordabile e funzionale della transizione (attraverso soluzioni disponibili, ad esempio punti di ricarica per veicoli elettrici ben posizionati e in numero sufficiente).

1.2.

Il CESE invita l’UE a promuovere in maniera molto più incisiva la giustizia distributiva e la prosumazione attraverso incentivi finanziari, in quanto si tratta del fattore che incide maggiormente sull’accettazione locale della transizione energetica. Tali inviti dovrebbero essere accompagnati da informazioni accessibili e processi semplici. L’obiettivo dell’Unione dell’energia, ossia porre i cittadini al centro della politica e garantire che possano facilmente diventare produttori di energia e beneficiare delle nuove tecnologie, deve essere realizzato molto più rapidamente di quanto non sia avvenuto finora. Il CESE sottolinea inoltre l’importanza di una distribuzione giusta, all’interno di una comunità, tanto dei benefici quanto dei costi percepiti di un progetto.

1.3.

Il CESE propone che l’UE individui e rimuova gli ostacoli cui si può eventualmente ricondurre la scarsa partecipazione e adesione dei cittadini. Di norma, offrire alle popolazioni e alle organizzazioni della società civile interessate l’occasione di partecipare alla preparazione dei progetti e alle decisioni di pianificazione aumenta l’accettazione sociale. La mancanza di tempo, di educazione alla cittadinanza, di rendicontabilità delle autorità interessate e altri fattori dovrebbero pertanto essere oggetto di un piano d’azione volto a sviluppare la partecipazione.

1.4.

Il CESE auspica una concertazione, e persino una co-costruzione con i cittadini, e in particolare con le parti sociali e le organizzazioni della società civile, più ampia di quella attuale sin dalla fase di pianificazione, nonché un’articolazione accurata tra obiettivi e pianificazione a tutti i livelli territoriali, fino all’attuazione locale della transizione. Si tratta di aspetti essenziali per compiere progressi verso una maggiore accettabilità sociale e conseguire gli obiettivi della transizione energetica a un ritmo adeguato.

1.5.

Il CESE sottolinea che il miglioramento dell’accettabilità da parte della popolazione e delle parti interessate dalla transizione e dai suoi cambiamenti tecnici richiede anche un’attenzione particolare e misure specifiche quali l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, la riqualificazione e il miglioramento delle competenze della forza lavoro, il sostegno alle imprese e campagne di informazione rivolte alle diverse tipologie di cittadini interessati dalla transizione. Le informazioni devono mettere in evidenza il messaggio chiave secondo cui la transizione energetica è necessaria perché è più giusta e più pulita, a livello individuale e collettivo, e a lungo termine è meno costosa per i cittadini.

1.6.

Tuttavia, il CESE ribadisce che la transizione energetica richiederà trasformazioni individuali e collettive da parte dei singoli cittadini, delle imprese, dei comuni ecc. A breve termine, dato che finora la politica energetica ha ignorato le esternalità negative dei combustibili fossili, la decarbonizzazione comporta un aumento dei costi per i produttori e prezzi più elevati per i consumatori. In tale ambito occorre maggiore trasparenza. Gli attuali prezzi dell’energia rendono molto difficile per i consumatori accettare volontariamente prezzi più elevati. È importante essere consapevoli di questa realtà. Come misura complementare, è quindi importante anche comunicare i successi ottenuti in materia di transizione giusta. Invece, nel dibattito in corso, troppo spesso ascoltiamo i resoconti delle esperienze negative. Un aspetto fondamentale affinché la transizione sia socialmente accettabile e riuscita consiste nel preservare la competitività delle imprese dell’UE sul mercato mondiale al fine di evitare indebite pressioni sull’economia e la disoccupazione.

1.7.

Il CESE avverte che le vecchie tasse sulle energie fossili e le nuove tasse «verdi» sono prelievi che, in proporzione, incidono di più sul bilancio delle famiglie meno abbienti che su quello delle famiglie benestanti. Le sovvenzioni e le tasse dannose per l’ambiente devono essere gradualmente ma rapidamente eliminate, come viene spesso promesso dai politici. Il gettito di tali nuove tasse verdi dovrebbe pertanto essere utilizzato, in particolare, per innovare socialmente, sovvenzionare la transizione energetica delle famiglie vulnerabili e preservare il loro potere d’acquisto.

1.8.

Il CESE sottolinea inoltre che la transizione verso una società a basse emissioni di carbonio deve porre il concetto di transizione giusta al centro della riflessione e dell’azione. La transizione giusta deve essere qualcosa di più di un insieme di obiettivi politici, in quanto costituisce la base per l’accettazione sociale della transizione energetica. A livello europeo, il pacchetto «Pronti per il 55 %» dovrebbe essere integrato da un quadro giuridico per una transizione giusta che comprenda, ad esempio, delle proposte concrete formulate nel presente parere, che possono essere tradotte in piani nazionali per l’energia e il clima.

1.9.

Il CESE chiede un riesame del pacchetto «Pronti per il 55 %» per migliorare la capacità di far fronte alla volatilità dei prezzi dell’energia e ai problemi derivanti dalle emergenze, tra cui la guerra, e l’introduzione di disposizioni adeguate per affrontare tali situazioni in modo da evitare effetti negativi sugli utenti finali.

2.   Contesto ed elementi di definizione

2.1.

L’umanità deve far fronte alla limitatezza delle risorse del pianeta (1), al collasso della biodiversità e al riscaldamento climatico. La transizione energetica e verso un’economia neutra in termini di carbonio rappresenta una trasformazione delle nostre società che si realizza, al tempo stesso, a un livello concreto (in particolare attraverso un cambiamento delle abitudini individuali e collettive) e di civiltà. Deve consentirci, democraticamente, in modo giusto e nel rispetto degli ecosistemi (2), di ridurre il nostro fabbisogno di materiali ed energia, garantendo nel contempo il benessere di tutti (3).

2.1.1.

Continuare nei prossimi decenni a sfruttare i combustibili fossili come facciamo oggi non è un’opzione praticabile, tanto per ragioni ambientali e di approvvigionamento quanto per ragioni sociali. Ciò significa che la transizione verso una società a zero emissioni di carbonio è una necessità urgente.

2.1.2.

Tuttavia, nel contesto della crescita verde (4), il basso rendimento degli investimenti energetici nelle fonti alternative fa pesare sulle nostre economie la minaccia di un crollo sistemico, senza dimenticare l’impatto ambientale potenzialmente devastante dell’estrazione mineraria.

2.1.3.

Per una maggiore coerenza e accettazione sociale dovremo:

ridurre la domanda di minerali grezzi migliorandone il riciclaggio;

effettuare valutazioni d’impatto per una transizione che consenta di evitarli, ridurli o compensarli in modo più efficace;

disporre di un’economia circolare nel settore delle energie rinnovabili;

stimolare l’efficienza energetica e ridurre significativamente la domanda globale di energia;

riesaminare le proposte del pacchetto «Pronti per il 55 %» per migliorare la capacità di far fronte alla volatilità dei prezzi dell’energia e ai problemi derivanti dalle emergenze, tra cui la guerra.

2.1.4.

Conoscendo i limiti degli scenari relativi al rischio tecnologico, al fallimento dei pozzi di assorbimento del carbonio o dell’efficienza energetica, sarà necessario non solo creare un certo margine di manovra con una sobrietà sistemica ripensando i nostri stili di vita, ma anche aumentare l’accettazione delle misure di adattamento ai cambiamenti climatici.

2.2.

Le condizioni per l’accettabilità sociale di una transizione di questo tipo sono state studiate dalla scienza negli ultimi anni. Il CESE le passa in rassegna nel presente parere, il quale punta, tra l’altro, a migliorare le pratiche all’interno delle istituzioni e degli Stati membri dell’UE.

2.3.

L’accettabilità sociale di un progetto utile alla transizione energetica è una questione molto complessa, nella quale convergono considerazioni riguardanti la comprensione delle tecnologie proposte, dei rischi associati (sociali, sanitari, economici ecc.), delle possibili alternative, la valutazione dei costi e dei benefici delle opzioni raccomandate e la disponibilità esistente nel territorio ospitante. L’accettabilità sociale impone di discutere tali progetti con la popolazione e con tutte le parti interessate, nonché di interrogarsi più in generale sullo sviluppo del territorio e sugli stili di vita auspicabili al suo interno.

2.4.

Secondo gli studi (5) e a giudizio del CESE, i principali fattori di accettazione sociale sono:

la fiducia nella governance e nella giustizia procedurale;

il carattere giusto e finanziariamente abbordabile della transizione;

le considerazioni relative all’ubicazione e alla pianificazione;

l’effetto dei fattori sociodemografici;

la fattibilità socio-tecnica.

2.5.

Vediamo ora a quali aspetti fanno riferimento questi termini e quali modalità potremmo trarne per attuare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

3.   Condizioni di attuazione

3.1.   Fiducia nella governance e nella giustizia procedurale

3.1.1.

Numerosi studi hanno dimostrato che la fiducia è fondamentale per determinare il livello di accettazione sociale. Esiste una correlazione tra giustizia procedurale, fiducia e tasso di accettazione della transizione. Un processo decisionale trasparente e la diffusione delle informazioni aumentano il livello di fiducia reciproca tra i promotori dei progetti e le comunità.

3.1.2.

Il CESE ribadisce pertanto che lo Stato di diritto dovrebbe essere al centro dell’attenzione, ad esempio per quanto riguarda l’utilizzo dei diversi fondi dell’UE. Analogamente, il Comitato ritiene che la Commissione dovrebbe pubblicare le sue proposte in tutte le lingue ufficiali in modo rapido e leggibile, al fine di garantire un’ampia accessibilità e partecipazione.

3.1.3.

Inoltre, gli studi dimostrano che la partecipazione dei cittadini aiuta a rispondere alle preoccupazioni della comunità e contribuisce ad aumentare il livello di fiducia reciproca. La diffusione delle informazioni è fondamentale per correggere le rappresentazioni erronee della transizione e delle azioni o degli strumenti da adottare per realizzarla. Ad esempio, è importante procedere a consultazioni su temi quali l’ubicazione, i costi e i possibili impatti negativi dei progetti di transizione energetica sull’ambiente, l’economia, la salute e la società, ma anche descriverne i benefici. Ciò contribuisce anche all’accettazione, da parte dei cittadini, della costruzione di nuove strutture nel loro vicinato.

3.1.4.

Per l’accettazione da parte della comunità, quindi, il CESE ritiene essenziale instaurare un dialogo con gli abitanti e le parti interessate, nonché creare una fiducia reciproca attraverso una comunicazione aperta e offrendo l’opportunità di partecipare, nella fase più precoce possibile, allo sviluppo di azioni e progetti relativi alla transizione energetica (6), a tutti i livelli territoriali appropriati, dal livello locale a quello dell’UE.

3.1.5.

Fare affidamento sul sostegno locale, e in particolare sulle organizzazioni della società civile che appoggiano pubblicamente la transizione basandosi sulla scienza, è importante per promuovere la partecipazione e instaurare la fiducia (7). Questa rete locale può diffondere le informazioni nella sfera pubblica in modo più organico e controbilanciare le idee erronee che potrebbero circolare.

3.1.6.

La democrazia partecipativa costituisce oggi un elemento chiave del modello di cittadinanza europea. Il trattato di Lisbona garantisce la complementarità tra democrazia rappresentativa e partecipativa. A livello internazionale, l’accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico alla pianificazione e allo sviluppo sono due dei tre pilastri della convenzione di Aarhus. La loro attuazione deve ancora essere migliorata, così come quella del pilastro relativo all’accesso alla giustizia (8).

3.1.7.

Il dibattito pubblico è una modalità di partecipazione da incoraggiare. Esso deve essere garantito da un comitato di esperti della partecipazione dei cittadini, di comprovata esperienza e di natura indipendente (9). Questo aspetto assicura la necessaria credibilità dell’intero dibattito che coinvolge i cittadini nello sviluppo di azioni importanti riguardanti il territorio in cui vivono. Esso fornisce a tutte le parti interessate informazioni complete e trasparenti su un piano determinato, un programma o un progetto in fase di concezione, dando loro la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, sia come singoli individui che come gruppi organizzati, sull’opportunità delle misure presentate.

3.1.8.

Negli ultimi anni la smaterializzazione della partecipazione civica, senza rendicontabilità né dibattito con terzi mediatori garanti del metodo, sta gradualmente minando la fiducia dei cittadini. Tuttavia, oltre alle informazioni, è necessaria una combinazione di consultazioni online e riunioni in presenza (10) per coinvolgere il pubblico in tutte le fasi e per codeterminare le scelte da compiere.

3.1.9.

Al fine di migliorare il dialogo tra tutte le parti interessate, bisognerebbe ad esempio che le autorità decisionali o i responsabili della democrazia rappresentativa indicassero per iscritto, dopo la partecipazione pubblica, qual è il seguito che intendono dare ai vari contributi ricevuti e quali saranno i vantaggi per i cittadini. Tale rendicontabilità permetterebbe una migliore comprensione dei motivi delle loro decisioni e aumenterebbe la fiducia nella democrazia.

3.2.   Transizione giusta ed economicamente accessibile

3.2.1.

Con il pacchetto «Pronti per il 55 %» e l’obiettivo della neutralità in termini di emissioni di carbonio entro il 2050 ci troviamo di fronte a una sfida di rilievo. Secondo la Commissione europea, per raggiungere i nostri obiettivi entro il 2030 occorreranno 350 miliardi di EUR all’anno di investimenti supplementari soltanto nei sistemi di produzione di energia. La questione principale per il CESE, e naturalmente per la società nel suo insieme, è sapere chi pagherà, chi investirà, chi ne beneficerà e se i fondi saranno sufficienti.

3.2.2.

La giustizia distributiva, per una transizione giusta ed economicamente accessibile, garantisce che i benefici — e non soltanto i costi —di un progetto siano equamente distribuiti. È un fattore essenziale per l’accettazione sociale. Un incentivo finanziario, privo di complessità amministrativa o tecnica, sembra addirittura essere il principale fattore di motivazione per accettare un progetto legato alla transizione. È in questo modo che i singoli individui, gli agricoltori, le PMI, le comunità energetiche ecc. saranno pronti a far parte del nuovo sistema con i loro investimenti e il loro impegno, al fine di realizzare la necessaria trasformazione.

3.2.3.

È evidente che un presupposto fondamentale per una transizione socialmente accettabile e riuscita verso un’economia neutra in termini di emissioni di carbonio è che le imprese europee rimangano competitive sul mercato mondiale, al fine di evitare indebite pressioni sull’economia e la disoccupazione.

3.2.4.

L’incentivazione finanziaria in qualsiasi forma (ad esempio tariffe energetiche più basse od opportunità di reddito, oppure un sostegno all’economia locale, alla formazione continua o alla riqualificazione professionale) costituisce un fattore potente per l’accettazione a livello locale e il sostegno a un progetto.

3.2.5.

Anche la percezione dei benefici può contribuire ad aumentare l’accettazione a livello locale. Ad esempio, la creazione di posti di lavoro locali, soprattutto nel caso della transizione energetica di un bacino di occupazione, è percepita come un vantaggio per la comunità che può favorire l’accettazione di un progetto.

3.2.6.

In particolare, in molti luoghi l’energia elettrica prodotta da sistemi eolici e solari sta diventando o è già diventata la soluzione più abbordabile e più sostenibile. Una possibilità è fare in modo che questa elettricità venga prodotta dai cittadini e distribuita a costi contenuti a tutti i residenti: quando i cittadini diventano anche produttori, il loro ruolo cambia e passa da consumatori a prosumatori. I loro diritti devono essere rafforzati e garantiti. Questo approccio è tanto più importante in quanto i settori dei trasporti e del riscaldamento sono sempre più elettrificati.

3.2.7.

Per il clima, in teoria, è irrilevante chi costruisce e gestisce un sistema fotovoltaico o eolico, ma per l’accettazione locale e l’economia regionale tale questione riveste un’importanza fondamentale. In pratica, quindi, occorre compiere sforzi particolari per rendere possibile questo tipo di partecipazione.

3.2.8.

Il CESE ritiene che il numero di prosumatori e l’accettabilità sociale della transizione potrebbero aumentare rapidamente grazie alle seguenti misure:

a)

autosufficienza della comunità: se i consumatori gestiscono collettivamente i sistemi e l’energia elettrica ivi prodotta viene consumata in loco, essa dovrebbe essere trattata come elettricità di origine individuale;

b)

condivisione dell’energia: all’interno delle comunità di energia rinnovabile, un onere di rete ridotto dovrebbe essere applicato all’elettricità che viene condivisa per essere utilizzata dai produttori;

c)

misurazione virtuale del consumo netto (o «scambio sul posto»): tale modalità offrirà alle persone che non vivono nelle immediate vicinanze di un sistema di energia rinnovabile la possibilità di parteciparvi e di utilizzare direttamente l’energia elettrica prodotta. A tal fine, la misurazione virtuale netta dovrebbe costituire una nuova possibilità prevista dalla legge, in base alla quale ogni chilowattora di energia elettrica consumata proveniente dal sistema di cui il consumatore fa parte è compensato dal chilowattora che il consumatore ottiene da un’altra fonte in un momento diverso. Questo tipo di misurazione esiste già, ad esempio, in Grecia, Polonia e Lituania.

3.2.9.

La prosumazione locale è interessante anche in relazione ai contatori intelligenti, che gestiscono i segnali di prezzo del mercato e consentono un consumo e una flessibilità rispettosi della rete, che possono essere così ricompensati. Questa combinazione può contribuire a ridurre l’onere che grava sulla rete ed è quindi in grado di ridurre la necessità di una sua espansione.

3.2.10.

I temi dell’aumento dei costi energetici e della capacità degli Stati membri di contenerli devono essere al centro delle future misure politiche. Il CESE non solo sostiene l’attuazione di misure di emergenza per evitare conseguenze sociali drammatiche, ma è anche estremamente favorevole a valutazioni di mercato che controllino il comportamento degli attori sul mercato dell’energia. Al tempo stesso, il Comitato rammenta i valori comuni dell’Unione in materia di servizi di interesse economico generale ai sensi dell’articolo 14 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), enunciati nel protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale allegato al TFUE. Questo potrebbe consentire di aumentare l’efficienza ed eliminare le disfunzioni del mercato, e a tale proposito è necessario un controllo più efficace da parte delle autorità.

3.2.11.

Il CESE chiede un riesame del pacchetto «Pronti per il 55 %» per migliorare la capacità di far fronte alla volatilità dei prezzi dell’energia e ai problemi derivanti dalle emergenze, tra cui la guerra, in modo da evitare effetti negativi sugli utenti finali, ad esempio introducendo meccanismi adeguati per evitare prezzi eccessivi, come la temporanea non applicazione del sistema ETS.

3.2.12.

Al tempo stesso, si dovrà assicurare la giustizia sociale e riassorbire la precarietà energetica crescente degli europei (11). Secondo la Commissione europea, la lotta contro i cambiamenti climatici comporta rischi tangibili di aggravamento delle disuguaglianze, rispetto ai quali devono essere attuate politiche pubbliche specifiche. Occorre in particolare rafforzare la formazione e la riqualificazione professionale e tenere sotto controllo l’aumento di determinati prezzi per le famiglie colpite dalla «precarietà energetica» (12). Una transizione energetica che crei posti di lavoro e sia in grado di preservare il potere d’acquisto delle famiglie meno abbienti è socialmente più accettabile (13).

3.2.13.

Inoltre, al fine di facilitare l’accettazione della transizione, sono stati prefigurati diversi scenari che offrivano maggiori risorse alle famiglie meno abbienti, ad esempio nelle simulazioni effettuate dal consorzio Locomotion. Tuttavia, il CESE ribadisce che il Fondo sociale per il clima e il Fondo per una transizione giusta (14) dell’UE dovrebbero essere estesi e ampliati per garantire veramente che nessuno sia lasciato indietro, integrando tutte le dimensioni dell’esclusione e dell’emarginazione.

3.2.14.

Per aiutare in particolare le persone in situazione più precaria a realizzare la transizione energetica, sarebbe utile anche sviluppare e migliorare le politiche redistributive e, a tal fine, sperimentare delle misure innovative (15) quali il reddito di base universale, i crediti d’imposta, le settimane di lavoro più brevi, la condivisione del lavoro, i regimi di garanzia del posto di lavoro nonché un ruolo più importante per i lavoratori nel governo societario.

3.2.15.

Queste misure, e altre di cui sopra, potrebbero aumentare l’accettabilità della transizione. Esse potranno beneficiare del riorientamento immediato delle sovvenzioni, dei finanziamenti e degli sgravi fiscali che sono ancora concessi ai combustibili fossili. È importante creare delle fonti di finanziamento per gli investimenti sostenibili.

3.2.16.

In particolare, l’eliminazione dei finanziamenti dannosi per l’ambiente dovrebbe ora essere pianificata molto rapidamente, come promesso da lunga data, e le tasse verdi dovrebbero essere sviluppate conformemente a una fiscalità mirata (16), vale a dire indirizzando le fonti di finanziamento a sostegno della transizione. Ciò aiuterà tutti a comprendere e ad accettare l’azione pubblica in questo settore.

3.2.17.

In effetti, l’accettabilità sociale della fiscalità verde presuppone una compensazione che tenga conto del reddito delle famiglie e della loro precarietà energetica (mancanza di trasporti pubblici, isolamento insufficiente degli alloggi, scarsa efficienza del sistema di riscaldamento e del tipo di veicolo di proprietà ecc.) per aiutarle (17) a beneficiare di risparmi che potrebbero essere realizzati a lungo termine attraverso attrezzature a minore intensità energetica.

3.2.18.

Analogamente, andrebbe sperimentata la mappa del carbonio (18), che consiste nell’assegnare quote di emissioni individuali non cedibili, per stabilire non soltanto se il suo potenziale pedagogico possa tradursi sul campo in una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e in una transizione energetica più efficiente, ma anche se quest’ultima, attraverso questo strumento egalitario, possa risultare più accettabile.

3.2.19.

La capacità degli attori pubblici di dare l’esempio (al di là delle loro pratiche e misure a favore della sobrietà e delle energie rinnovabili, della democrazia partecipativa, del dialogo sociale e del finanziamento delle strutture civiche, o ancora di azioni intese a promuovere l’educazione alla transizione lungo tutto l’arco della vita) dipenderà dalla loro capacità di mettere sul tavolo la questione dei finanziamenti e di renderli durevoli, ad esempio attraverso un programma pluriennale di finanziamento della ristrutturazione energetica che preveda l’obbligo di conseguire determinati risultati.

3.2.20.

Le sovvenzioni e le misure fiscali di nuova introduzione dovranno essere utilmente integrate da norme vincolanti per tutti, in quanto anch’esse, così come le azioni da intraprendere per consentire lo sviluppo di interazioni speculari favorevoli alla transizione, permetteranno di realizzare il mondo vivibile che vogliamo.

3.3.   Ubicazione e pianificazione

3.3.1.

Molti problemi legati all’ubicazione di progetti utili alla transizione energetica sono causati dalle loro caratteristiche fisiche specifiche. Sono necessari ulteriori sforzi per rispondere a questo tipo di preoccupazioni, in particolare diffondendo le conoscenze volte a contrastare le informazioni false e attuando le migliori pratiche che consentono di risolvere tali problemi.

3.3.2.

Si tratta in particolare di prendere coscienza dell’eredità culturale e urbana del passato (ingressi di città sfigurati da zone commerciali e industriali, parcheggi che consumano terreni fertili, periferie residenziali ed edifici suburbani che impongono una dipendenza dalle automobili ecc.). Oggi i vantaggi creati dalla transizione energetica superano gli effetti sul «paesaggio». Per garantire che essa si svolga in modo sostenibile, dobbiamo evitare quanto più possibile, o almeno ridurre e compensare, gli effetti negativi associati alle sue esigenze in termini di terreni.

3.3.3.

Tale obiettivo deve essere raggiunto collocando le infrastrutture in luoghi in cui non sono in concorrenza con l’agricoltura o con il rispetto della natura e del patrimonio culturale. Una soluzione è quella di integrare gli impianti in aree urbane o industriali esistenti oppure collocarli in terreni marginali con un valore produttivo o naturale trascurabile.

3.3.4.

Nel caso in cui l’installazione su terreni produttivi sia inevitabile, essa dovrebbe essere il più possibile integrata nel sistema agricolo invece di comportare il dissodamento e/o l’occupazione netta dei terreni.

3.3.5.

Inoltre, al fine di informare adeguatamente l’insieme della popolazione e conquistarne la fiducia, si dovrebbero effettuare sistematicamente valutazioni d’impatto ambientale rigorose per gli impianti e per tutti gli obiettivi e piani nazionali ed europei in materia di energia.

3.3.6.

Anche le valutazioni ex post sono essenziali per mantenere la nostra società in una dinamica di miglioramento costante. Inoltre, si dovrebbero creare delle passerelle di dialogo tra tutti i livelli territoriali e introdurre validi strumenti di monitoraggio e attuazione delle politiche, al fine di evitare il più possibile l’artificializzazione dei suoli e il «trasferimento dei problemi ambientali», come raccomandato in particolare dall’AEA (19).

3.3.7.

Nella valutazione ex post delle azioni e dei progetti legati alla transizione energetica, la quantificazione delle ricadute economiche locali è un elemento che può portare all’accettabilità sociale.

3.3.8.

Una soluzione complementare al problema posto dalla difficoltà di trovare luoghi per la produzione di energia in Europa consisterebbe nell’importare in forma liquida, grazie al vettore dell’idrogeno, l’elettricità verde prodotta nei paesi vicini. In termini di accettabilità sociale, questa iniziativa deve essere intesa come una dimensione di co-sviluppo di queste regioni (20).

3.4.   Fattori sociodemografici

3.4.1.

Oltre a queste ragioni, anche la demografia generale svolge un ruolo nella percezione del pubblico. Studi demografici preliminari servirebbero a formulare una strategia più efficace per l’accettazione dei progetti, poiché si conoscerebbero le dimensioni e la composizione del pubblico destinatario che con maggiore probabilità si opporrebbe al progetto. Tali studi dovrebbero essere accessibili a tutte le parti interessate.

3.4.2.

Livelli di accettazione più elevati sono correlati a un livello di istruzione superiore e a un’età più giovane. Da qui l’importanza di sviluppare l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (anche nelle imprese e nei centri di formazione professionale) riguardante la sobrietà, la partecipazione civica e gli investimenti in azioni collettive per la transizione.

3.4.3.

Il CESE propone che le campagne di sensibilizzazione alla transizione si ispirino alla tendenza BIMBY (Build In My Backyard, che fa eco alla tendenza NIMBY, Not In My Backyard), mettendo in evidenza esempi capaci di innescare un mimetismo sociale virtuoso e di creare vantaggi per la popolazione, come pure presentando un elenco di narrazioni positive attraverso testimonianze ed esempi concreti di progetti riusciti provenienti da diverse regioni e paesi, nei quali le persone potrebbero immedesimarsi.

3.4.4.

Tutto ciò potrebbe creare accettazione e stimolare il desiderio di procedere insieme verso questo nuovo modo di vivere reso ineluttabile dall’attuale necessità di sostituire i combustibili fossili. Si dovrebbero destinare delle risorse ad attività di sensibilizzazione che potrebbero essere utilmente promosse dalle varie parti interessate.

3.4.5.

Non vi è consenso sull’effetto diretto di fattori sociodemografici specifici, in quanto hanno impatti diversi a seconda dei paesi e del loro contesto politico. Tuttavia, essi hanno un effetto certo sull’accettazione locale dei piani e dei progetti che consentono la transizione. Pertanto, il CESE ritiene necessario sostenere le azioni di formazione iniziale e continua in materia di transizione energetica, in collaborazione con le parti sociali e le organizzazioni della società civile.

3.4.6.

Tuttavia, pensare in termini di accettabilità sociale significa talvolta attribuire al pubblico destinatario la responsabilità di adottare o meno le tecnologie in questione. Significa ritenere che solo la dimensione sociale svolgerebbe un ruolo nella realizzazione del potenziale insito nelle varie tecnologie. Tuttavia, la resistenza all’acquisto o all’uso di nuovi strumenti può essere più complessa (21).

3.5.   Fattibilità socio-tecnica (22)

3.5.1.

Anche i freni all’adozione di determinate attrezzature hanno carattere tecnico. In particolare, essi riguardano la difficoltà di condividere una cultura a minore intensità energetica in una società che — paradossalmente — invita a consumare sempre di più, il che è in forte dissonanza rispetto ai messaggi che raccomandano di risparmiare energia.

3.5.2.

L’accettabilità sociale si riferisce a una situazione complessa di coesistenza accettata tra la tecnologia e gli utenti. Ma «accettabilità» non significa adozione (cfr. ad esempio il caso dei contatori intelligenti, accettati in teoria ma non adottati e dei quali viene quindi rifiutata l’installazione). L’adozione presuppone una sorta di «normalizzazione» della tecnologia. Essa non è più messa in discussione, ha dimostrato la sua validità, figura tra altre alternative tecnologiche, ma non per questo vi si aderisce. L’adesione presuppone che l’utente se ne appropri, nel senso di incorporarla nel proprio stile di vita e di considerarla indispensabile e imprescindibile.

3.5.3.

I vincoli connessi all’adozione delle tecnologie della transizione possono anche essere ricondotti al fatto che, nella maggior parte dei casi, esse sono progettate dando per scontato che gli utilizzatori saranno in grado di servirsene conformemente alle finalità per cui sono state configurate.

3.5.4.

Gli utilizzatori dovrebbero aderire ai progetti energetici veicolati da queste tecnologie prima di poter sfruttare appieno il loro potenziale. Tuttavia, molte indagini mostrano che anche gli oggetti tecnici della nostra vita quotidiana sono ampiamente sottoutilizzati, poiché non ne conosciamo bene le reali capacità e la maniera di sfruttarle.

3.5.5.

La fattibilità socio-tecnica può essere vista come un processo di inclusione e diffusione sociale che rientra in una tempistica articolata in un certo numero di fasi. La prima fase è fondamentale, perché riguarda il momento della ricerca-sviluppo e delle controversie (23), vale a dire quello che anticipa i cambiamenti dovuti all’introduzione della nuova tecnologia. La seconda fase coincide con i primi riscontri di esperienza. È in questo momento che le logiche di progettazione si confrontano con l’uso previsto e con la capacità delle tecnologie di integrare il mondo sociale. L’ultima fase è quella della diffusione generalizzata e del lungo periodo. In questa fase sono in gioco il rifiuto o l’adozione del progetto, la sua appropriazione e le modalità del suo inserimento sociale.

3.5.6.

È in questa fase che si assiste alle mobilitazioni locali: questi territori si organizzano per affrontare, o meno, tutta una serie di sfide grazie a queste tecnologie. L’inserimento sociale corrisponde quindi alle trasformazioni macrosociali che la loro adozione comporta.

3.5.7.

L’utilizzo di una tecnologia può modificare profondamente il rapporto con il mondo, come pure le relazioni e le rappresentazioni sociali. Ciò è possibile solo se la tecnologia non si impone come «ovvia», ma offre la possibilità di adeguamenti e riappropriazioni. A tale riguardo, per il CESE, la neutralità tecnologica basata su studi scientifici, la concorrenza leale e la possibilità di testare e discutere l’adeguatezza delle diverse tecnologie possono contribuire a migliorare l’accettabilità sociale.

3.5.8.

Pertanto, se analizzato nel dettaglio, il dibattito sulla transizione energetica va al di là del suo approccio incentrato sulla tecnologia per passare a un approccio maggiormente rivolto alla società. Ciò presuppone di sfumare il concetto di accettabilità sociale quando tende a far pesare la responsabilità dei nostri stili di vita ad alta intensità energetica esclusivamente sui consumatori, per includerlo nel più ampio ambito della fattibilità socio-tecnica, che impone di mettere in discussione il senso delle tecnologie e le scelte di politica energetica.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  https://www.footprintnetwork.org/our-work/ecological-footprint/

(2)  https://doughnuteconomics.org/about-doughnut-economics

(3)  https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/2021/07/IPBES_IPCC_WR_12_2020.pdf

(4)  https://eeb.org/library/decoupling-debunked/; https://www.eea.europa.eu/publications/growth-without-economic-growth

(5)  Trends in Social Acceptance of Renewable Energy Across Europe — a Literature Review (Tendenze nell'accettazione sociale delle energie rinnovabili in tutta Europa — una rassegna della letteratura), 8.12.2020.

(6)  È quello che raccomanda France Nature Environnement nei suoi «scope» (strumenti di aiuto al posizionamento di determinati progetti, ad esempio di metanizzazione (méthascope), di costruzione di parchi eolici (éoloscope) ecc.).

(7)  https://www.fondation-nicolas-hulot.org/sondage-science-et-transition-ecologique-en-qui-les-francais-ont-il-confiance/ (disponibile soltanto in francese).

(8)  GU C 123 del 9.4.2021, pag. 66.

(9)  Come la Commissione nazionale del dibattito pubblico in Francia.

(10)  Cfr. Consiglio di Stato francese, Relazione pubblica 2011, «Consulter autrement, participer effectivement» («Consultare diversamente, partecipare effettivamente»), La Documentation française, 2011.

(11)  Relazione informativa del Comitato economico e sociale europeo Valutazione dell'Unione dell'energia — La dimensione sociale e socioculturale della transizione energetica.

(12)  Tale precarietà porta a fenomeni quali il furto (sotto forma di collegamento su reti altrui), vuoi per motivi di povertà vuoi come espressione di una disobbedienza civile nei confronti del sistema di commercializzazione dell’energia elettrica.

(13)  GU C 152 del 6.4.2022, pag. 158.

(14)  GU C 311 del 18.9.2020, pag. 55.

(15)  https://eeb.org/library/escaping-the-growth-and-jobs-treadmill/

(16)  GU C 62 del 15.2.2019, pag. 8.

(17)  Eurofound 2015, Access to social benefits: reducing non-take-up (Accesso alle prestazioni sociali: ridurre il mancato utilizzo), Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo. Documento strategico congiunto Eurofound-AEA, Exploring the social challenges of carbon energy policies in Europe (Esplorare le sfide sociali delle politiche energetiche a basse emissioni di carbonio in Europa), ef22004en.pdf

(18)  https://www.socialter.fr/article/carte-carbone-plutot-qu-une-taxe-un-quota-pour-chaque-citoyen-1 (disponibile soltanto in francese).

(19)  https://www.eea.europa.eu/themes/energy/renewable-energy/eu-renewable-electricity-has-reduced

(20)  GU C 123 del 9.4.2021, pag. 30.

(21)  Ad esempio, l’acquisto di un’automobile elettrica presuppone di cambiare il modo di guidare, passando dal cambio manuale al cambio automatico, il che può essere un deterrente.

(22)  https://www.larevuedelenergie.com/les-energies-renouvelables-en-transition-de-leur-acceptabilite-sociale-a-leur-faisabilite-sociotechnique/ (disponibile soltanto in francese).

(23)  Cfr., ad esempio, un settore diverso dalla transizione energetica, gli smartphone, che sono ampiamente accettati e adottati.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/30


Parere del Comitato economico e sociale europeo — Rafforzare il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea al fine di migliorare la capacità dell’UE di reagire a eventi estremi, anche al di fuori del suo territorio

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza francese del Consiglio dell’UE)

(2022/C 290/05)

Relatore:

Christophe QUAREZ

Correlatrice:

Violeta JELIĆ

Consultazione

Presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea, 21.9.2021

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

9.3.2022

Adozione in sessione plenaria

24.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

211/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il meccanismo unionale di protezione civile (UCPM, o il «meccanismo») non ha più la capacità né le dimensioni sufficienti per rispondere alle catastrofi connesse ai cambiamenti climatici e ai molteplici rischi in termini di prevenzione, preparazione, allarme, pianificazione e capacità operative che si manifestano all’interno e all’esterno del territorio dell’Unione.

1.2.

Al di là della sua attività ormai consolidata per quanto riguarda le catastrofi naturali, l’UCPM è chiamato ad affrontare altri rischi quali le pandemie, la necessità di aiutare popolazioni in zone di guerra, i grandi rischi industriali, l’inquinamento marittimo su vasta scala, le conseguenze degli attacchi informatici alle reti elettriche o di acqua potabile e a tutte le infrastrutture essenziali, oppure a intervenire nella gestione delle crisi umanitarie legate all’immigrazione.

1.3.

Occorre gestire meglio il collegamento tra protezione civile (operazioni a breve termine) e aiuti umanitari (gestione a lungo termine), e questi due aspetti devono essere coordinati in modo più efficace.

1.4.

Il CESE ritiene che l’azione di risposta dell’UE alle catastrofi che si verificano al di fuori del suo territorio debba essere ulteriormente definita e sviluppata.

1.5.

Il CESE sottolinea l’estrema importanza di approfondire la cooperazione operativa attraverso l’armonizzazione della formazione, la compatibilità dei materiali e delle attrezzature, la chiarezza e l’efficienza delle catene di comando.

1.6.

Il CESE reputa necessario valutare la necessità di istituire un’agenzia europea per la protezione civile e gli aiuti umanitari quale meccanismo concreto per intraprendere azioni più incisive di politica estera.

1.7.

Il CESE richiama l’attenzione sui progressi da compiere per quanto riguarda il processo decisionale relativo agli interventi al di fuori del territorio dell’UE.

1.8.

Il CESE ritiene che la dimensione diplomatica della protezione civile europea non sia sufficientemente sviluppata. Per quanto riguarda le relazioni esterne e la reazione dell’UE in caso di eventi estremi, il CESE sottolinea l’importanza di:

concentrarsi sulle procedure di prevenzione, preparazione e ricostruzione in modo più resiliente; collaborare con le Nazioni Unite alle strategie di riduzione del rischio di catastrofi e all’attuazione della priorità «migliore ricostruzione» del quadro di azione di Sendai dell’ONU per rafforzare la resilienza all’interno e all’esterno dell’UE, quale approccio sostenibile adeguato agli OSS;

migliorare la condivisione delle conoscenze, le competenze e lo scambio di esperienze, la formazione comune e le esercitazioni congiunte in tutto il mondo, coinvolgendo la società civile a livello locale;

evidenziare i collegamenti tra protezione civile e aiuti umanitari, in particolare nelle zone isolate del mondo colpite da una catastrofe;

includere la consapevolezza culturale come tema fondamentale della formazione in materia di protezione civile per rendere più efficace l’attività dell’UCPM (dispiegamento degli aiuti) sul luogo della catastrofe in ogni parte del mondo.

1.9.

Il CESE si interroga sulla definizione dell’ambito geografico dell’UCPM e sui criteri di selezione dei paesi partecipanti.

1.10.

Occorre promuovere una comunicazione adeguata presso l’opinione pubblica internazionale al fine di rafforzare l’azione dell’UCPM.

1.11.

Il CESE sarebbe favorevole all’idea di costituire squadre transnazionali comuni di prima risposta per la gestione delle catastrofi, dotate di risorse proprie, che abbiano seguito una formazione congiunta e dispongano di risorse e attrezzature standardizzate.

1.12.

Il CESE esorta a presentare una proposta di modifica legislativa volta ad autorizzare una risposta automatica e immediata nell’ambito del meccanismo in caso di catastrofe umanitaria all’interno e all’esterno del territorio dell’UE, senza l’obbligo di una richiesta preliminare da parte dello Stato membro interessato, il quale manterrebbe tuttavia il diritto di rifiutare tale assistenza. Questa risorsa, sotto forma di task force, può contribuire a rafforzare la dimensione esterna delle relazioni dell’UE attraverso la protezione civile.

1.13.

Il CESE è favorevole ad aumentare il ricorso ai volontari per la protezione civile, e raccomanda di elaborare, per i programmi di volontariato, norme di riferimento che garantiscano i diritti umani e del lavoro dei volontari, nonché di creare un sistema comune di certificazione per le squadre di volontari della protezione civile.

1.14.

Il CESE constata l’assenza di uno strumento finanziario flessibile di risposta rapida per fornire, su richiesta, finanziamenti diretti alle popolazioni colpite per l’indennizzo dei danni.

1.15.

Il CESE sostiene il rafforzamento delle azioni di informazione del pubblico in merito all’attività dell’UCPM, attraverso modalità moderne di comunicazione (ad esempio i social media) e un ruolo attivo delle organizzazioni strutturate di volontariato.

1.16.

Il CESE rileva la necessità di rafforzare ulteriormente la cooperazione della risposta operativa dell’Unione con le organizzazioni umanitarie e la società civile per un dispiegamento più efficace degli aiuti sul territorio.

1.17.

Il CESE sottolinea la necessità di esaminare ulteriormente la necessità di garantire la continuità del funzionamento delle PMI all’indomani di una catastrofe.

1.18.

Il CESE raccomanda di coinvolgere maggiormente la comunità scientifica nel processo di allerta e prevenzione dell’UCPM, avvalendosi della rete di conoscenze in materia di protezione civile dell’UE e del rafforzamento del centro di conoscenze in materia di gestione del rischio di catastrofi.

2.   Contesto

2.1.

Il meccanismo unionale di protezione civile, che è al centro della cooperazione europea in materia di gestione del rischio di catastrofi, fornisce una rete di assistenza reciproca e solidarietà all’interno e all’esterno delle frontiere dell’Unione europea.

2.2.

Il meccanismo coinvolge 33 Stati, ossia i 27 Stati membri dell’UE e 6 paesi terzi partecipanti: Islanda, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Serbia e Turchia. Esso viene utilizzato per la prevenzione, la pianificazione e le risposte operative, e consente di coordinare gli aiuti per rispondere alle catastrofi e alle situazioni di crisi umanitaria. Qualsiasi paese del mondo che venga colpito da una catastrofe grave può chiedere assistenza tramite il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC) quale meccanismo di politica estera dell’UE.

2.3.

Già rafforzato nel 2019 mediante la creazione di una riserva di capacità supplementari e attraverso la rete europea di conoscenze in materia di protezione civile, il quadro strategico dell’UCPM è stato ulteriormente potenziato mediante una nuova normativa pubblicata il 20 maggio 2021. L’UCPM riveduto prevede ora un approccio intersettoriale e transfrontaliero alla gestione dei rischi e delle catastrofi, sulla base di «obiettivi di resilienza alle catastrofi» e di una pianificazione a livello dell’UE. Su proposta del Parlamento europeo, esso integra anche i concetti di cambiamento climatico e biodiversità.

2.4.

Tuttavia, le gravi catastrofi naturali verificatesi negli ultimi anni (incendi di massa nell’Europa meridionale nel 2017 e nel 2021, inondazioni nell’Europa centrale e settentrionale nel 2014 e nel 2021, terremoti ad Haiti nel 2010 e nel 2021 ecc.) e l’aumento della loro frequenza e intensità compromettono i meccanismi di risposta esistenti come l’UCPM, che deve affrontare contemporaneamente altre crisi complesse (migratorie, sanitarie, umanitarie). I recenti avvenimenti in Ucraina dimostrano la necessità di rafforzare il meccanismo e rendere più coerenti i collegamenti tra protezione civile e aiuti umanitari.

2.5.

Per questo motivo, le autorità francesi hanno chiesto al CESE di lavorare sulla risposta dell’Europa ai cambiamenti climatici studiandone tre aspetti fondamentali: i) l’allarme rapido e l’informazione della popolazione; ii) la previsione e la pianificazione; iii) la capacità di reazione.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Dal punto di vista operativo, l’UCPM è stato rafforzato mediante diversi strumenti complementari, quali la riserva di risorse rescEU, il servizio satellitare Copernicus (un sistema satellitare di mappatura dei rischi), il pool europeo di protezione civile (ECPP) e la rete di conoscenze in materia di protezione civile dell’UE (KN).

3.2.

Istituito nel 2019, rescEU ha creato una nuova riserva supplementare di risorse (la riserva rescEU) che comprende una flotta di aerei ed elicotteri antincendio, attrezzature di soccorso, aerei per l’evacuazione medica, squadre mediche di emergenza e una scorta di attrezzature mediche e ospedali da campo in grado di rispondere alle emergenze sanitarie e agli incidenti chimici, biologici, radiologici e nucleari. RescEU integra l’UCPM in missioni quali la lotta antincendio, l’assistenza medica e la ricerca.

3.3.

Il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC) è al centro del funzionamento dell’UCPM. Esso centralizza e coordina i diversi aiuti inviati dai paesi ed è responsabile del rapido dispiegamento degli aiuti di emergenza nelle zone colpite da catastrofi.

3.4.

I diversi paesi annunciano i mezzi che sono in grado di fornire al paese richiedente utilizzando il sistema comune di comunicazione e informazione in caso di emergenza (CECIS). La piattaforma consente di tenere dei registri online nei quali l’ERCC può specificare le esigenze dei paesi richiedenti e i paesi che prestano assistenza possono indicare i mezzi che intendono mettere a disposizione.

3.5.

Inoltre, i partecipanti possono impegnare risorse nazionali per la risposta di emergenza a favore del pool europeo di protezione civile (CEPP), il quale consente di pianificare e coordinare meglio le attività di risposta a livello europeo e nazionale, permettendo così all’UE di reagire alle catastrofi in modo più rapido e più affidabile.

3.6.

Sostenendo le attività di prevenzione e preparazione, l’UE ha anche aumentato il sostegno finanziario per le capacità registrate nel CEPP. Il sostegno finanziario può essere utilizzato per adattare e riparare le capacità, nonché per coprire i costi operativi (all’interno dell’UE) e i costi di trasporto (al di fuori dell’UE) quando l’assistenza viene prestata nell’ambito dell’UCPM.

3.7.

Il meccanismo è stato attivato varie volte nell’ambito del quadro di gestione delle crisi dell’UE durante la pandemia di COVID-19. L’esperienza ha dimostrato che l’UE deve essere meglio preparata per rispondere alle emergenze su vasta scala e che il quadro giuridico esistente in materia di sanità e protezione civile dovrebbe essere rafforzato.

3.8.

Dal punto di vista finanziario, oltre ai contributi dei paesi partecipanti il meccanismo riceve una dotazione finanziaria a titolo del bilancio pluriennale dell’UE per il periodo 2021-2027. Per la precisione, la dotazione finanziaria per l’attuazione del meccanismo sarà pari, per tale periodo, a 1 263 000 000 EUR. Inoltre, nello stesso periodo, per l’attuazione del meccanismo saranno stanziate entrate con destinazione specifica esterne, provenienti dallo strumento dell’Unione europea per la ripresa, per un importo fino a 2 056 480 000 EUR.

3.9.

La rete unionale di conoscenze in materia di protezione civile, una nuova piattaforma per la condivisione delle conoscenze, delle migliori pratiche e degli insegnamenti tratti dagli esperti della protezione civile e dal personale addetto alla gestione delle emergenze, è uno strumento attraverso il quale l’UE intende rafforzare la gestione europea del rischio di catastrofi.

3.10.

La rete mira a rafforzare le sinergie tra operatori, responsabili politici e scienziati attraverso i pilastri «sviluppo delle capacità» e «scienza», nel cui ambito le attività sono avviate, pianificate, concepite e attuate. Le azioni della rete comprendono esercitazioni comuni, scambi bilaterali e multilaterali, cooperazione e progetti comuni.

3.11.

Per quanto riguarda la protezione civile al di fuori del quadro dell’UE, è importante menzionare il Centro euro-atlantico di coordinamento degli interventi in caso di calamità (EADRCC) della NATO, che offre assistenza soprattutto in caso di catastrofi naturali e provocate dall’uomo, e la Squadra dell’ONU di valutazione e di coordinamento in caso di catastrofi (UNDAC), che offre assistenza durante la prima fase di un’emergenza improvvisa.

3.12.

In Europa, la piattaforma dell’Unione per il Mediterraneo (UpM), un partenariato multilaterale inteso ad aumentare il potenziale di integrazione e coesione regionale tra i paesi euromediterranei, compresa la Turchia, ha approvato un piano d’azione sui preparativi per un’assistenza reciproca efficiente nell’area euromediterranea. Tra le azioni proposte figuravano anche le risposte rapide. Tra i fattori fondamentali, il rafforzamento delle azioni dei servizi pubblici di emergenza attraverso l’impiego di volontari, nonché il coinvolgimento dei cittadini nel salvataggio di vite umane.

3.13.

L’UCPM è stato attivato 382 volte tra il 2007 e il 2020. Nel 2020 è stato attivato 102 volte, ossia 82 volte in più rispetto all’anno precedente. Delle 102 attivazioni, 36 riguardavano il territorio dell’UE e 66 quello di paesi terzi, e 85 delle attivazioni totali erano connesse alla pandemia di COVID-19.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

L’UCPM non ha più la taglia sufficiente per rispondere alle catastrofi naturali legate ai cambiamenti climatici in termini di prevenzione, allarme, pianificazione, previsione e capacità operativa.

4.2.

Tale meccanismo dovrebbe gestire meglio settori quali l’inquinamento marittimo, i rischi industriali e le catastrofi che colpiscono le reti elettriche e di acqua potabile.

4.3.

Il CESE ritiene che la dimensione diplomatica della protezione civile europea non sia sufficientemente sviluppata nei confronti dei paesi limitrofi dell’UE (in particolare quelli dei Balcani), o dei paesi dell’Africa settentrionale e più in generale africani in aggiunta alla politica di sviluppo dell’UE. La dimensione diplomatica dell’UCPM dovrebbe essere sfruttata in vari modi: i) rafforzando il processo di preadesione all’UE dei paesi candidati, nel rispetto di tutti i criteri di adesione; ii) riducendo l’influenza della Cina e della Russia in alcuni paesi e aree geografiche (Africa, Georgia, Ucraina); iii) agevolando le relazioni diplomatiche con taluni paesi ostili (ad esempio, fornendo aiuti alla lotta contro gli incendi boschivi in Russia o in Turchia); iv) completando la politica di aiuto allo sviluppo dell’Unione europea; v) dialogando con paesi direttamente sotto l’influenza russa, come il Kazakhstan, partner energetico dell’Europa, e altri grandi paesi ad alto rischio (ad esempio di incendi boschivi).

4.4.

Il CESE si interroga sulla definizione dell’ambito geografico dell’UCPM e sui criteri di selezione degli Stati che vi aderiscono. Ad esempio, affinché esso acquisisca una dimensione realmente continentale, dovrebbero farne parte i paesi candidati all’adesione, la Svizzera e la Moldova.

4.5.

Per quanto riguarda le operazioni esterne coordinate dalla Commissione europea, quando i paesi terzi richiedono assistenza è necessario specificare le condizioni e il processo decisionale per l’avvio di tali operazioni, prestando particolare attenzione alla trasparenza.

4.6.

Il CESE raccomanda inoltre di nominare un corrispondente in materia di protezione civile in ciascuna rappresentanza permanente dell’UE al fine di informare sistematicamente i paesi terzi sulla possibile assistenza dell’UE in caso di catastrofe grave, in modo da garantire il necessario coordinamento con le forze di protezione civile del paese.

4.7.

Il CESE richiama l’attenzione della Commissione sulle profonde disparità attualmente esistenti tra le diverse strutture di protezione civile, e sottolinea la necessità di armonizzare le modalità organizzative di tali forze, in particolare in termini di formazione del personale, procedure e attrezzature (ad esempio, i diametri delle manichette antincendio variano da un paese all’altro). Questa disparità può essere colmata organizzando e normalizzando i moduli standard in ciascun paese dell’UE. Alcuni moduli standard sono già in vigore, ma occorre incoraggiare attivamente l’aumento del loro numero e il miglioramento della loro standardizzazione. Ad esempio, può capitare che i moduli di intervento per gli incendi boschivi siano equipaggiati in un paese con veicoli stradali e in un altro con veicoli fuoristrada.

4.8.

Inoltre, occorre intensificare la cooperazione tra le autorità nazionali di protezione civile, le università e i ricercatori. L’attuazione della rete di conoscenze in materia di protezione civile dell’UE attraverso i pilastri «sviluppo delle capacità» e «scienza» e il rafforzamento del centro di conoscenze in materia di gestione del rischio di catastrofi offrono lo spazio e i mezzi per rafforzare tale cooperazione.

4.9.

Per quanto riguarda la capacità in termini di risorse, un’altra priorità è rappresentata dal loro dispiegamento urgente e a grande distanza, su migliaia o addirittura decine di migliaia di chilometri. Le emergenze richiedono spesso l’uso di mezzi aerei. Se il personale viene trasportato da vettori aerei, sarebbe necessario disporre di aerei da trasporto idonei e di grande capacità per trasportare le attrezzature.

4.10.

La questione di garantire la capacità di trasporto potrebbe forse essere risolta utilizzando aeromobili militari, nazionali o della NATO. Tuttavia, il loro utilizzo richiede l’osservanza delle procedure previste e presuppone una pianificazione che non è compatibile con le situazioni di emergenza. Un’altra opzione, più adatta, sarebbe quella di prendere in considerazione una flotta dedicata di grandi vettori Airbus A330 o il noleggio puntuale di aerei da società specializzate. Un’unità aerea composta da tre velivoli sembrerebbe poter rispondere alle aspettative degli esperti. Tali unità sono versatili e la loro conversione è tecnicamente praticabile, ad esempio per utilizzarle a fini di spandimento di ritardanti di fiamma per contenere gli incendi boschivi e di trasporto di materiale rotabile.

4.11.

L’acquisizione e la gestione di questi mezzi aerei di spandimento potrebbero essere studiate nell’ambito di rescEU.

4.12.

Per quanto riguarda la governance, il CESE invita a istituire un’agenzia europea per la protezione civile e gli aiuti umanitari. Nel tempo, le strutture che offrono questi tipi di assistenza sono spesso chiamate a intervenire negli stessi luoghi e nei confronti delle stesse popolazioni. Le attività di protezione civile si svolgono di norma per un breve periodo, giorni o settimane, mentre gli aiuti umanitari possono protrarsi per mesi o ancora più a lungo.

Bruxelles, 24 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

568a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo — Interactio, 23.3.2022-24.3.2022

29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Relazione di previsione strategica 2021: capacità e libertà di azione dell’UE

[COM(2021) 750 final]

(2022/C 290/06)

Relatrice:

Sandra PARTHIE

Consultazione

Commissione, 1.3.2022

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

199/3/0

1.   Preambolo

1.1.

Poiché la relazione della CE e il parere sono stati redatti prima dell’aggressione russa, della guerra in Ucraina e della conseguente crisi umanitaria, i loro effetti non sono rispecchiati nel parere. Il CESE sottolinea che questi tragici eventi hanno ovviamente gravi ripercussioni sul nostro stile di vita e chiede pertanto che le attività di previsione strategica del Centro comune di ricerca e della Commissione europea attualmente in corso per la prossima relazione di previsione strategica pongano l’accento, molto più di quanto previsto in precedenza, sugli effetti geopolitici di questi cambiamenti strategici, che vanno, tra l’altro, dall’aumento dei prezzi dell’energia all’incremento della spesa per la sicurezza e la difesa, ai nuovi flussi migratori e all’insicurezza degli approvvigionamenti, non solo in Europa ma anche altrove.

2.   Conclusioni e raccomandazioni

2.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) continua a valutare con grande compiacimento l’integrazione della metodologia di previsione nel processo di elaborazione delle politiche dell’Unione europea. Poiché la previsione strategica è un processo partecipativo, il CESE continua ad attendersi che questa decisione rafforzi le sinergie e aumenti il coinvolgimento strutturale di tutte le istituzioni dell’UE, incluso il CESE. In tale contesto il CESE sottolinea che il sistema europeo di analisi strategica e politica (ESPAS) costituisce un buon esempio di collaborazione interistituzionale dell’UE.

2.2.

Il CESE ritiene che le quattro principali tendenze globali siano pertinenti per la questione fondamentale della capacità e della libertà di azione dell’UE. Esse rappresentano le grandi tendenze generali centrali del nostro tempo, e rimarranno fondamentali per la definizione delle politiche europee. Il loro sviluppo, tuttavia, rimane a vasto raggio e tocca vari aspetti, ma manca di approfondimenti di singole questioni. Il CESE si rammarica specificamente del fatto che non si sia tenuto adeguatamente conto della dimensione sociale e che non siano state considerate le questioni concernenti la gioventù e la giustizia intergenerazionale, sebbene tali questioni vengano sviluppate nella relazione di base del Centro comune di ricerca Shaping and securing the EÙs Open Strategic autonomy by 2040 and beyond (Plasmare e garantire l’autonomia strategica aperta dell’UE entro il 2040 e oltre) (1).

2.3.

Il CESE riconosce che il tema scelto per la relazione di previsione strategica 2021 riveste grande rilevanza politica ed è in grado di creare le giuste condizioni quadro per un’interdipendenza ben gestita e un’autonomia strategica aperta, basata su valori condivisi, sulla coesione, su una solida governance multilaterale e su una cooperazione fondata su regole. Chiede tuttavia che si faccia un uso adeguato dei metodi del processo di previsione per determinare i temi futuri. È fondamentale valutare gli sviluppi nel corso del tempo, vale a dire che gli attuali investimenti in ricerca e sviluppo o il numero di brevetti devono essere confrontati non solo con quelli della Cina o degli Stati Uniti, ma anche con i livelli precedenti, per potere vedere con chiarezza se stiamo andando nella giusta direzione.

2.4.

Benché l’approccio del ricorso alla previsione strategica e gli aspetti di attualità della relazione non vengano messi in discussione, rimane poco chiaro cosa distingua la relazione di previsione strategica 2021 come vera risorsa di previsione. Manca un nesso chiaro tra la scelta delle tendenze, il futuro o i futuri considerati e le conclusioni logiche della questione centrale della relazione.

Oltre alla mancanza di una evidente metodologia di previsione, la seconda relazione di previsione strategica della Commissione (2021) non fornisce un quadro logico, coerente e orientato all’azione per l’elaborazione delle politiche dell’UE, che consenta ai responsabili politici di definire le priorità strategiche e di agire.

2.5.

Un tema molto importante per un approfondimento è il ruolo degli attori non statali, in particolare le società multinazionali, nei sistemi di governo odierni. A giudizio del CESE si dovrebbe aumentare l’autonomia strategica per lo meno degli attori il cui status consente loro, di fatto, di stabilire regole e norme, come le grandi imprese tecnologiche, le banche e gli attori finanziari operanti a livello mondiale, e le organizzazioni della società civile.

2.6.

La dimensione di previsione della relazione realizzerà appieno il suo potenziale per i responsabili politici dell’UE solo se sarà concepita fondamentalmente come un esercizio aperto, pluralistico e interdisciplinare, che coinvolga le parti sociali organizzate e la società civile, in particolare il CESE, in tutte le fasi del processo di previsione in vista delle (future) relazioni di previsione strategiche.

2.7.

In questo contesto il CESE fa appello specificamente al Centro comune di ricerca affinché coinvolga pienamente il Comitato nel suo ciclo di previsione e lo sostenga nella cernita delle attività di previsione in corso condotte dalle organizzazioni della società civile, dai sindacati e dalle associazioni di imprese. Il CESE propone inoltre di sostenere le organizzazioni della società civile dell’UE nello sviluppo delle competenze in materia di previsione e nell’esecuzione di attività di previsione nel quadro di un processo strutturato, insieme al Centro comune di ricerca, ad esempio sotto forma di progetto pilota con membri del CESE e organizzazioni della società civile.

2.8.

Pertanto, sebbene l’aspirazione sia pienamente apprezzata, vi sono ancora margini di miglioramento per le prossime relazioni di previsione per quanto riguarda i seguenti aspetti:

la relazione deve collegare meglio le megatendenze e le pietre angolari strategiche dal punto di vista della coerenza, della probabilità e della pertinenza;

il processo di previsione in vista della prossima relazione dovrebbe offrire al CESE e ad altri attori pertinenti opportunità concrete per apprendere, contribuire e migliorare la sua qualità;

il CESE in particolare ha già elaborato una serie di pareri concernenti l’imminente relazione di previsione 2022, ossia la duplice transizione verde e digitale (2);

a questo proposito, il CESE suggerisce alla Commissione di elaborare, in collaborazione con il Centro comune di ricerca, un ciclo di consultazione annuale per contribuire alla preparazione della relazione annuale di previsione. La Commissione dovrebbe coinvolgere il CESE e il Comitato europeo delle regioni, nonché altre istituzioni dell’UE, ad esempio offrendo seminari periodici ad hoc e associando i membri del CESE alle attività di previsione soggiacenti della DG Centro comune di ricerca e del segretariato generale;

dovrebbe essere istituito un gruppo di riflessione con le parti sociali e gli attori della società civile per discutere in che modo tale gruppo di destinatari possa beneficiare delle relazioni di previsione strategiche della Commissione e come le future relazioni potrebbero essere elaborate in modo da offrire loro il massimo valore;

richiesta guidata dalla Commissione di un coinvolgimento — da parte della rete ministeriale — delle parti sociali e dei rappresentanti della società civile nelle attività della rete in materia di previsione.

2.9.

Il CESE raccomanda di riconfigurare i suoi stessi processi di lavoro per quanto riguarda le relazioni annuali di previsione, in modo da fornire conoscenze, competenze e proposte specifiche ex ante, ossia durante il processo di elaborazione delle rispettive relazioni, invece di limitarsi a commentare tali relazioni ex post. Riteniamo che ciò migliorerà le informazioni raccolte per le relazioni annuali di previsione, in quanto i membri del CESE hanno legami forti e profondi con i rispettivi settori della società e dell’economia e sono in grado di individuare meglio i cosiddetti «segnali deboli» fondamentali in relazione agli sviluppi pertinenti. Inoltre, il CESE può trasmettere e diffondere i risultati e le conoscenze di previsione, aiutando in tal modo gli attori nazionali della società civile a comprendere meglio le decisioni politiche adottate dall’UE.

2.10.

Infine, il CESE incoraggia la Commissione a continuare a sviluppare l’agenda di previsione strategica dell’UE. Il CESE è convinto che l’ulteriore integrazione della previsione nel processo decisionale dell’UE sia la via da seguire, e ribadisce la sua offerta di aiutare la Commissione e le altre istituzioni dell’UE a conseguire questo obiettivo.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE si compiace del fatto che la relazione evidenzi l’importanza di un mercato unico aperto, competitivo e pienamente funzionante per consentire alle imprese di crescere fino a raggiungere le dimensioni necessarie per poter competere a livello mondiale. Ciò vale anche per la raccomandazione, contenuta nella relazione, di attuare pienamente l’Unione dei mercati dei capitali e l’Unione bancaria, che secondo il CESE contribuiscono direttamente alla resilienza dell’UE alle crisi finanziarie, alla tutela dei depositanti e a una ripresa economica solida e stabile (3).

3.2.

Il CESE accoglie con favore la pubblicazione degli orientamenti e degli strumenti riveduti per legiferare meglio, che si concentrano sulla definizione delle modalità d’uso della previsione strategica nelle valutazioni e nelle valutazioni d’impatto. Per garantire il buon esito della sua applicazione, è fondamentale che la Commissione fornisca una formazione e risorse adeguate al proprio personale incaricato di effettuare valutazioni e valutazioni d’impatto.

3.3.

Nel quadro delle sue risposte a un panorama più impegnativo per la governance, la relazione sottolinea la necessità di una governance partecipativa e inclusiva per rafforzare la fiducia e la legittimità a tutti i livelli, aumentando l’importanza di piattaforme come il CESE. Riteniamo che, oggi più che mai, disporre di un portavoce della società civile su scala europea sia fondamentale per consentire una governance efficace nel 21o secolo e per raggiungere soluzioni di ampia portata e sostenibili, piuttosto che soluzioni semplici.

3.4.

Il CESE prende atto del follow-up (4) dato dalla Commissione europea al parere del CESE sulla Relazione di previsione strategica 2020: tracciare il percorso verso un’Europa più resiliente (5), e sente l’esigenza di rispondere agli aspetti che ritiene ancora pertinenti, dato che non sono stati sufficientemente affrontati nella relazione di previsione strategica 2021:

il documento concernente il follow-up sostiene che la previsione era stata inclusa nella relazione di previsione strategica 2020. Dal punto di vista del CESE, tuttavia, manca la trasparenza sul modo in cui i principi e le metodologie di previsione sono stati utilizzati per giungere alle conclusioni della relazione e sul modo in cui gli attori esterni sono stati inclusi nelle attività di previsione. Ad esempio non è stato offerto al CESE un percorso chiaro per il suo coinvolgimento;

il documento concernente il follow-up sottolinea che le singole questioni devono essere ulteriormente sviluppate e specificate, come richiesto dal CESE, e dovrebbero essere integrate in proposte concernenti le politiche, e che la relazione di previsione offre solo un punto di partenza per la riflessione. Per il CESE l’attuale formato della relazione non è adatto a formulare proposte concernenti le politiche, né offre punti di partenza concreti per la riflessione;

il documento concernente il follow-up sottolinea inoltre l’importanza di descrivere la situazione attuale e lo status quo in un’analisi di previsione. Il CESE concorda sul fatto che, tradizionalmente, si tratta del primo passo di un’analisi di previsione. Tuttavia, al di là del suo attuale impiego nelle relazioni di previsione strategica, dovrebbe costituire un punto di partenza per un’analisi orientata al futuro, che costituirebbe per i membri del CESE un modo più pertinente per ricavare raccomandazioni d’azione.

3.5.

Per quanto riguarda i 10 settori in cui l’UE potrebbe rafforzare la propria autonomia strategica aperta e la propria leadership mondiale, pur essendo generalmente pertinenti, dal punto di vista del CESE essi non sono presentati come conclusioni strategiche logiche derivanti da un quadro che tenga conto delle tendenze e delle incertezze. Pertanto, non si può presumere che presentino pietre miliari strategiche di portata generale e precise dal punto di vista della previsione.

3.6.

Il CESE ritiene che non vi sia alcuna effettiva carenza di previsione o pianificazione strategica da parte della Commissione. A giudizio del CESE, la vera questione è la mancanza di volontà politica da parte dei responsabili politici dell’UE di trasformare la previsione in proposte di ampia portata. Se manca la volontà politica, anche le previsioni non porteranno all’adozione delle misure auspicate.

3.7.

Sottolineando le carenze di un processo di previsione chiuso, con una consultazione limitata, il CESE rileva che non si fa riferimento alla questione dell’aumento dell’inflazione e dei prezzi dell’energia, entrambi elementi fondamentali della questione dell’autonomia strategica. Nell’ambito del suo ruolo consultivo il CESE sta già elaborando pareri prospettici (6) per contribuire alla capacità dell’UE di integrare meglio la previsione nel processo decisionale.

3.8.

Inoltre la relazione non menziona il ruolo dei sistemi di sicurezza sociale, compreso lo sviluppo dello Stato sociale. Sembra che in generale gli aspetti sociali della questione siano trascurati, a favore degli aspetti tecnologici ed economici. I cittadini dell’UE si aspettano dallo Stato un elevato livello di sicurezza sociale e di protezione sociale. Pertanto, alla luce dell’autonomia strategica, resta da chiedersi in che modo saranno finanziati in futuro i sistemi di sicurezza sociale. Il CESE apprezzerebbe molto un’analisi più approfondita di questo tema, eseguita con strumenti di previsione.

3.9.

La relazione di previsione strategica 2021 presenta un elenco completo di sfide, ma non fornisce orientamenti chiari sulle priorità e sulle azioni prioritarie, né proposte sul modo in cui le imprese o i lavoratori possono o dovrebbero prepararsi a far fronte a tali sfide. Molte tendenze possono interessare contemporaneamente i cittadini e le imprese. Si tratta di un’occasione sprecata, che il CESE potrebbe contribuire a risolvere, data la sua pertinenza nell’affrontare le sfide di alto livello e nel tradurre le soluzioni proposte nella vita di tutti i giorni, specie in quella di datori di lavoro e lavoratori.

3.10.

La relazione non è attualmente all’altezza del suo titolo, in quanto documento di previsione, come descritto, ad esempio, nel precedente documento Strategic Foresight Primer (La previsione strategica: nozioni di base) del Centro europeo di strategia politica (EPSC) (7). Un buon esempio pratico di relazione di previsione trasparente sotto il profilo metodologico è il documento Tackling Obesities: Future Choices (8) (Affrontare l’obesità: le scelte future), commissionato dal servizio di previsione del governo del Regno Unito.

3.11.

La relazione fa specificamente riferimento alla rete di previsione a livello di UE dei «ministri per il futuro» e al relativo sviluppo delle capacità di previsione a livello nazionale. Il CESE esorta la Commissione a garantire, anche in questa rete, che attori come il CESE siano attivamente presi in considerazione nell’attuazione degli esercizi di previsione, piuttosto che essere meri destinatari dei relativi risultati.

3.12.

Il CESE incoraggia la Commissione a continuare a sviluppare l’agenda di previsione strategica dell’UE. Come indicato nel parere, è necessario apportare diverse modifiche. Il CESE è tuttavia convinto che l’ulteriore integrazione della previsione nel processo decisionale dell’UE sia la via da seguire, e ribadisce la sua offerta di aiutare la Commissione e le altre istituzioni dell’UE a conseguire questo obiettivo. La previsione raggiungerà i suoi obiettivi dichiarati solo se si tratta di un esercizio aperto e pluralistico nonché di un esercizio interdisciplinare diversificato, che coinvolge le parti sociali e la società civile organizzata, in particolare il CESE, in tutte le fasi del processo di previsione.

Bruxelles, 23 marzo 2022.

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/bitstream/JRC125994/open_strategic_autonomy_2040_online_1.pdf

(2)  Pareri del CESE: GU C 311 del 18.9.2020, pag. 36; GU C 364 del 28.10.2020, pag. 143; GU C 440 del 18.12.2020, pag. 99; GU C 429 del 11.12.2020, pag. 268; GU C 429 del 11.12.2020, pag. 51; GU C 429 del 11.12.2020, pag. 66; GU C 429 del 11.12.2020, pag. 187; GU C 429 del 11.12.2020, pag. 259; GU C 374 del 16.9.2021, pag. 84.

(3)  https://www.eesc.europa.eu/it/policies/policy-areas/financial-services-and-capital-markets

(4)  Pagg. 187-200: https://www.eesc.europa.eu/sites/default/files/files/04_eesc_follow-up_report_april_2021_gri.pdf

(5)  GU C 220 del 9.6.2021, pag. 67.

(6)  Cfr. esempi recenti di pareri prospettici del CESE:

GU C 374 del 16.9.2021, pag. 73;

GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 36;

CCMI/184 — Prevedere i cambiamenti strutturali e settoriali e ripensare le culture industriali: verso nuove frontiere di ripresa e resilienza nelle diverse parti d’Europa;

GU C 220 del 9.6.2021, pag. 118;

GU C 341 del 24.8.2021, pag. 1.

Il CESE organizza inoltre attività che promuovono dibattiti prospettici, come ad esempio:

Convegno della sezione ECO sugli «Aspetti economici della previsione strategica e del processo decisionale dell'UE» (giugno 2021);

Convegno della sezione REX sul tema «La geopolitica del Green Deal europeo, una panoramica trasversale delle implicazioni geopolitiche del Green Deal europeo» (dicembre 2021);

Dibattito della sezione REX nella riunione della sezione: «Previsione strategica: una visione per il futuro dell’Europa».

(7)  «Cosa non è la previsione strategica? Non si tratta di una relazione — un intervento accuratamente concepito e mirato. La previsione strategica è un processo di apprendimento che offre a un decisore nuove prospettive di aggiornamento sulla situazione attuale, che spesso suscita perplessità, è disordinato sotto il profilo sociale e causa incertezza. Tale processo vede l’incertezza come amica e non il contrario. Non si tratta di una relazione, ma di un mezzo per raggiungere una finalità differente. L’intervento accuratamente concepito e mirato concentra il processo di apprendimento sociale sulle esigenze di un gruppo specifico di utenti e sulle loro necessità (ossia la previsione delle loro utilizzazioni)». Commissione europea, Centro europeo di strategia politica, Wilkinson, A., Strategic Foresight Primer, Ufficio delle pubblicazioni, 2017, consultato il 16 gennaio 2022 all’indirizzo https://data.europa.eu/doi/10.2872/71492

(8)  Tackling obesities: Future choices — project report. Consultato il 14 gennaio 2022 all’indirizzo https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/287937/07-1184x-tackling-obesities-future-choices-report.pdf


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto concerne i requisiti per il rischio di credito, il rischio di aggiustamento della valutazione del credito, il rischio operativo, il rischio di mercato e l'output floor

[COM(2021) 664 final — 2021/0342 (COD)]

(2022/C 290/07)

Relatore:

Bogdan PREDA

Consultazioni

Parlamento europeo, 17.1.2022

Consiglio dell'Unione europea, 20.1.2022

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

3.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

154/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE raccomanda una politica patrimoniale sana, equilibrata e lungimirante, con una ponderazione del rischio basata sui rischi effettivi per la stabilità, che prenda in considerazione al tempo stesso la necessità di rafforzare la competitività delle banche dell'UE e di aumentare il finanziamento della crescita sostenibile. Il CESE invita quindi la Commissione a valutare ulteriormente in quale misura le proposte rispondano alle suddette sfide.

1.2.

Il CESE accoglie con favore l'attuazione dei restanti elementi dei principi internazionali concordati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria («principi di Basilea III») (1), dal punto di vista sia temporale che della sostanza, in quanto mirano a rafforzare la stabilità del mercato finanziario nell'UE e quindi a non esporre i cittadini europei a maggiori rischi sui mercati finanziari.

1.3.

Il CESE sottolinea che la stabilità dei mercati finanziari è un prerequisito fondamentale per la stabilità economica complessiva, mentre una regolamentazione e una sorveglianza rigorose del settore bancario sono essenziali per prevenire la minaccia di turbolenze e crisi. I requisiti patrimoniali prudenziali sono fondamentali per raggiungere i suddetti prerequisiti, mentre il CESE invita i legislatori a garantire che le proposte prevedano un giusto equilibrio tra due obiettivi complementari, vale a dire i) garantire che le banche dell'UE diventino più resilienti e ii) assicurare la solidità finanziaria e la competitività del settore, anche dal punto di vista di un quadro equilibrato in materia di requisiti patrimoniali, per sostenere il ruolo delle banche nel finanziamento dell'economia reale.

1.4.

Il CESE invita la Commissione a effettuare valutazioni periodiche dell'impatto effettivo delle proposte, al fine di valutare se la loro attuazione contribuisca a rafforzare la stabilità dei mercati finanziari e la resilienza del settore bancario, tenendo conto nel contempo della competitività delle banche dell'UE. Il CESE riconosce inoltre che coefficienti patrimoniali solidi ed equilibrati contribuiscono alla competitività.

1.5.

Il CESE apprezza vivamente gli sforzi della Commissione volti a trasformare l'economia dell'UE in un'economia più verde e più resiliente, anche mediante la revisione e la valutazione costanti degli attuali strumenti previsti per aumentare la diffusione della finanza sostenibile. Il settore finanziario potrebbe diventare determinante per costruire un'economia a zero emissioni nette di carbonio. Il CESE accoglie pertanto con favore l'approccio della Commissione volto a rivolgere una maggiore attenzione ai rischi ambientali, sociali e di governance (ESG) nel quadro prudenziale (in linea con i flussi di lavoro internazionali, in particolare all'interno di Basilea III), anche attraverso una migliore contabilizzazione dei rischi dei mercati finanziari connessi ai cambiamenti climatici.

1.6.

Il CESE accoglie inoltre con favore le attività di divulgazione dei rischi ESG (2) condotte dall'Autorità bancaria europea (ABE) al fine di valutare adeguatamente i rischi ambientali delle banche e la loro strategia finanziaria per realizzare la transizione verso un'economia a zero emissioni di carbonio. Il CESE invita inoltre l'ABE ad accelerare la sua attività di valutazione sul primo pilastro del quadro, per stabilire se esso tenga sufficientemente conto degli aspetti unici dei rischi climatici. Una regolamentazione delle politiche macroprudenziali, comprese quelle basate sul capitale, può svolgere un ruolo importante attraverso una migliore contabilizzazione dei rischi dei mercati finanziari connessi ai cambiamenti climatici. Il CESE sollecita altresì l'ABE a intensificare gli sforzi volti ad affrontare le carenze delle attuali informative ESG a livello dell'UE, anche per quanto riguarda le attività connesse ai combustibili fossili e quelle soggette a eventi cronici e intensi legati ai cambiamenti climatici, in modo da incoraggiare un aumento sostanziale delle strategie di finanza sostenibile delle banche.

2.   Introduzione

2.1.

Oggetto del presente parere è la proposta della Commissione europea di i) un regolamento che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (3) relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi per quanto concerne i requisiti per il rischio di credito, il rischio di aggiustamento della valutazione del credito, il rischio operativo, il rischio di mercato e l'output floor («proposta di CRR») e ii) una direttiva che modifica la direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (4) per quanto riguarda i poteri di vigilanza, le sanzioni, le succursali di paesi terzi e i rischi ambientali, sociali e di governance e che modifica la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio («proposta di CRD»).

2.2.

Come indicato nella relazione, i due atti normativi sono giustificati dalla necessità di attuare i principi di Basilea III e al tempo stesso affrontano anche diverse questioni importanti per la stabilità finanziaria e il finanziamento stabile dell'economia nel contesto della ripresa dopo la crisi di COVID-19. Queste comprendono il rafforzamento del quadro patrimoniale basato sul rischio, una maggiore attenzione ai rischi ESG nel quadro prudenziale e un'ulteriore armonizzazione dei poteri e degli strumenti di vigilanza.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE sottolinea che la stabilità dei mercati finanziari è un prerequisito fondamentale per la stabilità economica complessiva e rientra quindi nell'interesse pubblico comune. Una regolamentazione e una sorveglianza rigorose del settore bancario sono essenziali per prevenire la minaccia di turbolenze e crisi, mentre i requisiti patrimoniali prudenziali sono determinanti per evitare l'impiego di fondi pubblici per il salvataggio delle banche in difficoltà.

3.2.

Un'attuazione fedele ma equa dei principi di Basilea III è importante per le imprese e i posti di lavoro europei, ma anche per promuovere l'accesso alla proprietà residenziale e per stimolare le economie dell'UE orientate all'esportazione, da cui molte imprese dipendono per la crescita e molti cittadini per l'occupazione. Inoltre, tali principi internazionali sono attuati in un modello bancario dell'UE che è intrinsecamente più avverso al rischio e meno dipendente dai mercati dei capitali rispetto ad altre giurisdizioni.

3.3.

Il CESE accoglie con favore le proposte della Commissione di introdurre i restanti elementi dei principi di Basilea III, che mirano a limitare il rischio di arbitraggio regolamentare e a creare fiducia e prevedibilità per gli investitori e le autorità di regolamentazione. Il CESE riconosce che l'UE ha bisogno di regole per rispondere alle sfide (ripresa, clima e digitalizzazione), alle caratteristiche specifiche (il credito bancario è di gran lunga il principale canale di finanziamento dell'economia dell'UE) e alle ambizioni (Unione dei mercati dei capitali e Green Deal) dell'Unione europea. D'altro canto, è imperativo che i cittadini e i contribuenti europei non vengano esposti a maggiori rischi di crisi dei mercati finanziari; occorre quindi trovare un giusto equilibrio tra le suddette sfide e la sostanza e le discrezionalità previste dai principi di Basilea III. Pertanto, il CESE invita la Commissione a valutare ulteriormente le caratteristiche specifiche delle banche europee e il relativo impatto su di esse e sull'economia dell'UE, al fine di garantire che le proposte legislative trovino il giusto equilibrio tra l'attuazione fedele dei principi di Basilea III, l'esercizio delle discrezionalità nazionali previste dai suddetti principi e la necessità di proporre adeguamenti per tenere conto delle specificità dell'economia dell'UE e delle banche dell'UE.

3.4.

Il CESE osserva che l'attuazione di tali proposte dovrebbe salvaguardare la stabilità dei mercati finanziari, ma non dovrebbe comportare un aumento ingiustificato dei requisiti patrimoniali per le banche dell'UE, al di là di quanto previsto nella valutazione della Commissione. Il CESE invita pertanto la Commissione a garantire che l'impatto sui requisiti patrimoniali, anche per quanto riguarda le banche cooperative di piccole dimensioni e le piccole banche, non sia troppo gravoso e non incida quindi sulla loro competitività, pur avendo cura di garantire la stabilità dei mercati finanziari.

3.5.

Il CESE è inoltre pienamente consapevole del fatto che gli attuali requisiti patrimoniali hanno contribuito in maniera decisiva a rendere il sistema bancario più resiliente alle crisi, come dimostrato anche nel contesto della pandemia, in cui l'attuale livello di capitalizzazione ha consentito alle banche europee di superare la situazione pandemica in buone condizioni e di continuare a finanziare e sostenere l'economia europea, per resistere al grande shock economico della pandemia di COVID-19. Il CESE sottolinea altresì il ruolo cruciale della Banca centrale europea, la quale ha messo in atto una forte politica di sostegno contribuendo così alla resilienza delle banche durante la crisi della COVID-19.

3.6.

Il CESE invita pertanto la Commissione a garantire che la proposta attuale rafforzi le norme vigenti, in particolare nel contesto dei requisiti patrimoniali, per continuare a prevenire un'eccessiva assunzione di rischi, una leva finanziaria elevata e comportamenti speculativi. Tenuto conto dell'attuale contesto economico e sociale, vi sono molti rischi significativi che devono ancora essere affrontati adeguatamente, come ad esempio i rischi climatici o i crediti deteriorati. I requisiti patrimoniali dovrebbero essere sufficientemente elevati da prevenire la minaccia di fallimento nonché turbolenze e crisi dei mercati finanziari, ma non dovrebbero essere eccessivi. Al tempo stesso, il CESE riconosce che le banche dell'UE svolgono un ruolo centrale nel finanziamento dell'economia reale e nel sostegno alla transizione digitale e a quella sostenibile, con effetti indiretti sull'occupazione e sul tenore di vita. Le norme di regolamentazione concernenti i requisiti patrimoniali devono tenere conto di questi aspetti.

3.7.

Per quanto riguarda gli aspetti ESG (ambientali, sociali e di governance), il CESE sottolinea che i mercati finanziari possono e devono sostenere e promuovere la transizione verso un'economia più sostenibile e più verde, ma che il settore bancario da solo non può realizzare questo cambiamento duraturo. Secondo le ultime revisioni della Corte dei conti europea, oltre la metà degli Stati membri dell'UE continua a sovvenzionare i combustibili fossili più delle energie rinnovabili (5), mentre «il sostegno dell'UE agli investimenti deve essere meglio allineato ai principi della finanza sostenibile» (6). In tale contesto, il CESE chiede che le politiche industriali e i pertinenti quadri giuridici dell'UE e nazionali diventino pienamente coerenti al fine di i) promuovere opportunità di investimento sostenibili per influenzare l'assegnazione delle risorse economiche in questa direzione e ii) eliminare le sovvenzioni ai combustibili fossili e conciliare gli obiettivi climatici con le esigenze sociali. Il CESE accoglie pertanto con favore il rafforzamento delle disposizioni relative ai rischi ESG nelle proposte legislative, ma invita la Commissione a chiarire l'applicabilità delle disposizioni relative ai poteri delle autorità di vigilanza di «ridurre i rischi derivanti dalla loro discrepanza rispetto ai pertinenti obiettivi strategici dell'Unione e alle tendenze più generali in ordine alla transizione relative ai fattori ambientali, sociali e di governance», in modo da chiarire come tali poteri dovrebbero essere esercitati.

3.8.

Oltre all'informativa e alle prove di stress climatico, le politiche macroprudenziali, comprese le misure basate sul capitale, possono svolgere un ruolo importante nel tenere adeguatamente conto dei rischi ESG delle banche e nell'agevolare la distribuzione dei flussi di credito tra i settori che possono sostenere la transizione verso un'economia a zero emissioni nette di carbonio. Il CESE raccomanda pertanto che l'ABE e la BCE accelerino i loro lavori:

i)

sul primo pilastro, in modo da determinare in che misura l'attuale quadro normativo rifletta adeguatamente i rischi ESG e le relative misure necessarie, se del caso; e

ii)

sulla corretta e tempestiva calibrazione delle prove di stress per i rischi ESG.

3.9.

Il CESE accoglie con favore i mandati conferiti alla Commissione di monitorare l'attuazione delle norme in altre giurisdizioni al fine di garantire la coerenza per quanto riguarda i tempi e l'importanza dell'impatto sulle parti interessate, anche in termini di aumento dei requisiti patrimoniali. Il CESE mette tuttavia in guardia contro una spirale discendente delle norme di regolamentazione o un ulteriore ritardo nell'entrata in vigore delle norme, sottolineando l'applicazione più carente di norme specifiche in alcune giurisdizioni. Questi aspetti potrebbero comportare gravi rischi per la stabilità a livello mondiale.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE accoglie con particolare favore le seguenti proposte formulate nella proposta della Commissione, ma raccomanda di analizzare alcuni ulteriori miglioramenti tecnici:

i)

L'applicazione dell'output floor (OF) al livello più elevato di consolidamento con un meccanismo di ridistribuzione basato sul rischio (per garantire un'adeguata capitalizzazione delle filiazioni nell'UE) per ciascun gruppo bancario, poiché questo non solo garantirebbe un'uniformità internazionale, ma eviterebbe anche gli effetti negativi che avrebbe l'applicazione a livello di entità.

ii)

Sono apprezzati i miglioramenti specifici riguardanti l'OF nei prestiti specializzati (articolo 495 ter), ma dovrebbero essere ulteriormente valutati nella prospettiva di conseguire una maggiore coerenza rispetto ai livelli minimi di input, tenendo conto delle specificità delle sottoclassi di finanziamenti specializzati, mentre le soglie minime per i parametri nell'ambito del metodo standardizzato non corrispondono ai rischi effettivi né riflettono la solidità di questi tipi di finanziamento.

iii)

Si apprezza in particolare il fatto che i fattori di sostegno alle PMI e alle infrastrutture (ISF) siano mantenuti insieme alle esenzioni per gli aggiustamenti della valutazione del credito (articoli 501 e 501 bis), in quanto costituiscono strumenti significativi che consentono alle banche di continuare a sostenere importanti segmenti dell'economia europea, in particolare nel contesto della ripresa post-COVID-19. Tuttavia, il CESE invita la Commissione a valutare l'opportunità di chiarire e semplificare ulteriormente i criteri per gli ISF al fine di promuovere il finanziamento delle infrastrutture, tenendo conto nel contempo dei relativi rischi e salvaguardando la stabilità finanziaria.

iv)

In linea di principio, la semplificazione del metodo look-through nel trattamento dei fondi d'investimento (OIC) è ben concepita, tuttavia il CESE ritiene che sia necessaria un'ulteriore correlazione delle relative regole di governance e delle limitazioni (ad esempio il fatto che ci si basi sui dati forniti da terzi nel calcolo del requisito dei fondi propri per il rischio di mercato verso gli OIC).

v)

È necessario mantenere la ponderazione del rischio del 100 % per gli investimenti strategici a lungo termine delle banche in strumenti di capitale, ma il CESE ritiene che andrebbe applicata equamente a tutte le banche, indipendentemente dal fatto che siano soggette a un approccio basato su modelli standardizzati o interni.

vi)

Gli stimoli per le banche a spostare risorse verso un'economia a zero emissioni nette di carbonio e l'impegno con la clientela sono elementi fondamentali per finanziare la transizione verde. A questo proposito, al fine di accelerare e rafforzare tale passaggio necessario, il CESE ritiene essenziale che l'UE e gli Stati membri attuino un cambiamento radicale negli incentivi e disincentivi all'economia sottostante, recepito nelle politiche industriali e nei quadri pertinenti. Il CESE chiede alla Commissione di valutare ulteriormente le disposizioni relative agli aspetti ESG nella proposta di CRR e di CRD alla luce di quanto precede.

4.2.

Nel frattempo il CESE suggerisce di ripensare una serie di questioni nell'ambito delle proposte. Il CESE sottolinea, in tale contesto, che l'interesse pubblico comune di salvaguardare la stabilità dei mercati finanziari costituisce una priorità assoluta e, a questo proposito, occorre raggiungere un giusto equilibrio con altri obiettivi politici, mentre bisogna assolutamente evitare di mettere a rischio la stabilità finanziaria. L'adozione dei principi di Basilea III nell'UE non deve compromettere l'obiettivo di rafforzare la stabilità dei mercati finanziari affinché siano maggiormente preparati ad affrontare le future turbolenze e crisi economiche. Inoltre, le misure proposte dovrebbero, in ogni caso, garantire un ulteriore rafforzamento della capitalizzazione delle banche, garantendone nel contempo la competitività:

i)

Eliminare la condizionalità basata sull'adozione dei rating per la soluzione transitoria volta a ridurre l'impatto dell'output floor (OF) sulle imprese prive di rating (articolo 465, paragrafo 3). Ciò è dovuto alla scarsa copertura dei rating esterni per il mercato dell'UE ed è inteso ad evitare un eccessivo affidamento su tali rating, in linea con la direttiva sulle agenzie di rating del credito.

ii)

Per quanto riguarda le disposizioni transitorie per le ipoteche su immobili residenziali per l'output floor , il CESE invita la Commissione a valutare l'opportunità di rivederlo da diverse prospettive (rapporto prestito/valore, asimmetria tra metodologie di rischio, sensibilità al rischio) per evitare conseguenze indesiderate sull'accesso alle ipoteche su immobili residenziali. Tuttavia, qualsiasi revisione a tale riguardo dovrebbe tenere conto anche della necessità di evitare qualsiasi rischio di bolle immobiliari.

iii)

Un'ulteriore revisione delle disposizioni relative al metodo basato sui rating interni (IRB) per applicare le scadenze reali invece delle scadenze fisse, al fine di riflettere il rischio reale insito.

iv)

Mantenere i fattori di conversione del credito (CCF) al 20 % per gli elementi contingenti relativi ad operazioni (fideiussioni a garanzia di offerte e di corretta esecuzione, garanzie) dato il suo ruolo essenziale nell'economia dell'UE, in modo da garantire la coerenza con i dati reali sui default del mercato in questione.

v)

Le disposizioni relative al mercato dei capitali dovrebbero essere oggetto di un'ulteriore valutazione per evitare i rischi di un impatto sproporzionato sui costi di copertura, liquidità e finanziamento per i soggetti sovrani e le imprese e contribuire quindi a rafforzare la capacità delle banche d'affari europee di competere sui mercati europei e internazionali.

vi)

Modificare il calcolo dei contributi reali degli interessi di minoranza al capitale consolidato, che attualmente è in contrasto con gli obiettivi dell'Unione dei mercati dei capitali e ostacola la propensione alla quotazione delle imprese.

4.3.

Il CESE sottolinea che i cambiamenti climatici comportano rischi che già interessano le banche e che potrebbero avere profonde implicazioni per la stabilità finanziaria delle banche, se non adeguatamente affrontati a livello sia normativo che bancario. A tale riguardo il CESE apprezza il lavoro svolto dal Comitato di Basilea e dalle autorità europee in materia di rischi finanziari legati al clima, al fine di individuare potenziali lacune nel quadro attuale e di prendere in considerazione possibili misure per colmare tali lacune. Inoltre, il CESE invita la Commissione a garantire che il principio della doppia rilevanza sia pienamente rispettato nell'ulteriore sviluppo del quadro pertinente per finanziare la transizione verso un'economia più verde.

4.4.

Il CESE invita la Commissione a valutare l'applicabilità del principio di proporzionalità alle banche che, in termini di dimensioni, ruolo ed esposizione ai rischi sistemici, sono piccole (in base alla definizione di entità piccola e non complessa di cui al regolamento sui requisiti patrimoniali), ma devono ancora rispettare requisiti più onerosi, tra cui gli obblighi di informativa e i requisiti patrimoniali, poiché fanno parte di un gruppo bancario «significativo». Tuttavia, qualsiasi valutazione del principio di proporzionalità deve tenere conto del fatto che le banche più piccole che fanno parte di un gruppo bancario significativo dispongono di maggiori risorse per soddisfare gli obblighi di informativa e i requisiti patrimoniali.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  https://www.bis.org/bcbs/basel3.htm

«Basilea III» è una serie di misure concordate a livello internazionale, elaborate dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria in risposta alla crisi finanziaria del 2007-2009. Tali misure sono volte a rafforzare la regolamentazione, la vigilanza e la gestione del rischio delle banche. Come tutte le norme emanate dal Comitato di Basilea, i principi di Basilea III sono requisiti minimi che si applicano alle banche che operano a livello internazionale. I membri del Comitato si impegnano ad attuare e applicare le norme nelle rispettive giurisdizioni entro i termini stabiliti dal Comitato stesso.

(2)  https://www.eba.europa.eu/regulation-and-policy/transparency-and-pillar-3

(3)  Noto come regolamento sui requisiti patrimoniali.

(4)  Nota come direttiva sui requisiti patrimoniali.

(5)  https://www.eca.europa.eu/it/Pages/DocItem.aspx?did=60760

(6)  https://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/SR21_22/SR_sustainable-finance_IT.pdf


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce norme per prevenire l'uso improprio di entità di comodo a fini fiscali e che modifica la direttiva 2011/16/UE

[COM(2021) 565 final — 2021/0434 (CNS)]

(2022/C 290/08)

Relatore:

Benjamin RIZZO

Correlatore:

Javier DOZ ORRIT

Consultazione

Consiglio dell'Unione europea, 10.2.2022

Base giuridica

Articolo 115 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

3.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

206/1/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esprime pieno sostegno alla proposta di direttiva della Commissione sull'uso improprio di società di comodo a fini fiscali e ai suoi obiettivi. Garantire una tassazione equa ed efficace in tutto il mercato unico è fondamentale per favorire una ripresa effettiva dopo la pandemia di COVID-19.

1.2

Il CESE esprime apprezzamento per la consultazione pubblica ad ampio raggio lanciata dalla Commissione e aperta a tutte le parti interessate, come pure per la consultazione parallela più mirata con il coinvolgimento di esperti nazionali in funzione delle rispettive competenze specifiche. Queste consultazioni hanno dato alle parti interessate la possibilità di offrire un contributo significativo, ed esse dovrebbero continuare a essere coinvolte anche in futuro nelle discussioni.

1.3

Il CESE approva la scelta dello strumento della direttiva, volta a garantire l'adozione di un quadro giuridico comune a tutti gli Stati membri. La natura della materia che la direttiva si propone di disciplinare e gli obiettivi che essa persegue implicano in effetti l'impossibilità di trattare tale natura e tali obiettivi attraverso misure isolate introdotte dagli Stati membri nei rispettivi ordinamenti giuridici.

1.4

Il CESE ritiene che la proposta di direttiva rispetti il principio di proporzionalità, dal momento che si limita ad assicurare il livello di protezione necessario per il mercato interno, con un impatto sulle imprese che sembra ragionevole.

1.5

Secondo il CESE, per gestire correttamente i controlli necessari e condividere le informazioni che se ne ricaveranno in relazione alla proposta, la Commissione e le autorità fiscali nazionali dovrebbero disporre di capacità adeguate a tal fine, in termini sia di competenze che di risorse.

1.6

Il CESE auspica che, una volta portate a termine le indagini condotte su società di comodo, il relativo esito venga reso pubblico, rendendo noti i risultati dell'attuazione della direttiva.

1.7

Il CESE ritiene che si debbano svolgere controlli adeguati non solo sul reddito delle società ma anche sugli attivi, poiché su questi ultimi è possibile riscuotere imposte anche se non generano reddito, come avviene ad esempio nel caso dell'imposta sul patrimonio.

1.8

Il CESE sottolinea la necessità di definire norme comuni e chiare in merito al contenuto specifico delle dichiarazioni che le imprese sono tenute a presentare. È opportuno evitare un eccesso di comunicazioni, che va al di là degli obiettivi perseguiti dalla direttiva, e i costi di conformità che ne deriverebbero.

1.9

Il CESE raccomanda che norme specifiche volte a prevenire le attività dei cosiddetti «professionisti facilitatori» siano oggetto di una normativa a parte, seguendo così l'approccio dell'OCSE in materia. Il CESE ritiene che sarebbe di grande aiuto ottenere la cooperazione degli organi di vigilanza delle categorie professionali interessate al fine di lottare contro le pratiche scorrette e le possibili attività criminose realizzate da cosiddetti «professionisti facilitatori».

1.10

Il CESE ribadisce la necessità di disporre di una lista UE completa e ad ampio raggio delle giurisdizioni non cooperative ai fini fiscali situate al di fuori dell'Unione, affinché, tra l'altro, le imprese dell'UE abbiano modo di verificare se i fondi e gli attivi che gestiscono possano essere collegati a entità di comodo situate al di fuori dell'Unione europea.

1.11

Il CESE suggerisce alla Commissione di emanare orientamenti adeguati relativi al «test della sostanza» introdotto dalla proposta di direttiva, in particolare per quanto riguarda il significato di specifici termini quali «residenza», «amministratore residente» e «locali».

1.12

Il CESE fa presente che le società di comodo possono essere create e usate anche allo scopo di agevolare il lavoro in nero e di evitare il pagamento dei contributi previdenziali. Il CESE suggerisce pertanto alla Commissione di prendere in considerazione la possibilità di trattare questi argomenti in una normativa europea distinta dalla proposta in esame, che è una direttiva esclusivamente incentrata su materia fiscale.

2.   Informazioni per contestualizzare il documento della Commissione europea

2.1

La comunicazione della Commissione europea «Tassazione delle imprese per il XXI secolo», adottata il 18 maggio 2021, stabilisce una serie di obiettivi sia a breve che a lungo termine per sostenere la ripresa europea dalla pandemia di COVID-19 e per garantire entrate pubbliche adeguate in futuro.

2.2

La proposta di direttiva della Commissione sulle entità di comodo qui presa in esame è una delle iniziative specifiche a breve termine annunciate in tale comunicazione al fine di migliorare l'attuale sistema fiscale, adoperandosi in particolare per garantire una tassazione equa ed efficace.

2.3

Le persone giuridiche prive di una sostanza o un'attività economica anche minima potrebbero essere usate a fini fiscali impropri, quali l'evasione e l'elusione fiscali o persino il riciclaggio di denaro. È pertanto necessario occuparsi delle situazioni in cui i soggetti che dovrebbero versare le imposte evadono o eludono i loro obblighi fiscali utilizzando imprese che non svolgono alcuna attività economica reale. Le società di comodo potrebbero favorire un contesto di iniqua distribuzione del carico fiscale e di concorrenza fiscale sleale tra giurisdizioni.

2.4

La direttiva proposta dalla Commissione si applica a tutte le imprese che sono considerate fiscalmente residenti e che possono ricevere un certificato di residenza fiscale in uno Stato membro dell'UE. Le disposizioni della direttiva, una volta che quest'ultima sarà stata adottata, dovrebbero essere recepite negli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri entro il 30 giugno 2023, ed entrare in vigore il 1o gennaio 2024.

2.5

Esiste un gran numero di normative europee in materia di riciclaggio di denaro, un reato spesso favorito da talune società di comodo, e questo pacchetto di misure legislative potrebbe fornire un contesto utile alla proposta della Commissione. In particolare, si dovrebbe fare riferimento al pacchetto legislativo proposto dalla Commissione nel luglio 2021, che comprende tre regolamenti e una direttiva (1).

3.   Proposte della Commissione europea

3.1

La direttiva è incentrata sui regimi utilizzati a fini di elusione o di evasione fiscali. Il particolare regime oggetto della proposta consiste nella creazione di imprese nell'UE presumibilmente impegnate nello svolgimento di reali attività economiche, ma che di fatto non svolgono alcuna attività economica. Il vero motivo per cui queste società vengono costituite è, in realtà, fare in modo che determinati vantaggi fiscali vadano al loro titolare effettivo o al gruppo cui tali società appartengono.

3.2

Al fine di contrastare regimi di questo tipo, la proposta di direttiva introduce un test per aiutare gli Stati membri a identificare le imprese presumibilmente impegnate in un'attività legittima ma che sono prive di una sostanza economica anche minima e che, quindi, potrebbero essere usate impropriamente al fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali. Questo test è denominato «test della sostanza».

3.3

Nella prima fase il test suddivide i vari tipi di imprese: da un lato le imprese «a rischio», in quanto prive di sostanza economica e perché potrebbero essere usate impropriamente a fini fiscali, e dall'altro quelle «a basso rischio». I casi a rischio sono quelli che presentano una serie di caratteristiche in genere osservabili tutte contemporaneamente nelle imprese prive di sostanza (gateway = «criteri di entrata»). I casi a basso rischio sono invece quelli che non presentano nessuno di questi criteri o che ne presentano solo alcuni, e che quindi non superano la soglia di «entrata».

3.4

In base ai criteri pertinenti, sono considerate «a rischio» le imprese, non specificamente esentate dalla direttiva in esame, che esercitano attività transfrontaliere che sono geograficamente mobili e che si affidano inoltre ad altre imprese per la loro amministrazione (in particolare a prestatori di servizi professionali terzi). I casi a basso rischio che non soddisfano i criteri di «entrata» sono irrilevanti ai fini della direttiva.

3.5

Le società devono anzitutto effettuare la loro autovalutazione e, se in base ai suddetti criteri sono da ritenersi «a rischio», sono invitate a comunicare informazioni sulla loro sostanza economica nella dichiarazione dei redditi. Per «comunicazione della sostanza» si intende la fornitura di informazioni specifiche che consentano di facilitare la valutazione dell'attività svolta dall'impresa.

3.6

Nella seconda fase, tre sono gli elementi determinanti per l'esito del test della sostanza:

i)

locali disponibili per l'uso esclusivo dell'impresa;

ii)

almeno un conto bancario proprio e attivo nell'Unione europea;

iii)

almeno un amministratore residente in prossimità dell'impresa e concentrato sulle sue attività o, in alternativa, un numero sufficiente di dipendenti dell'impresa impegnati nelle sue «attività principali generatrici di reddito» e residenti in prossimità dell'impresa.

3.7

La terza fase del test prescrive l'adeguata valutazione delle informazioni che l'impresa ha comunicato nella seconda fase relativamente alla propria sostanza. Un'impresa che è un «caso a rischio», dal momento che soddisfa i criteri di entrata, e la cui comunicazione porta a sua volta alla conclusione che le manchi almeno uno degli elementi pertinenti per la sostanza, dovrebbe essere considerata un'entità «di comodo» ai fini della nuova direttiva, vale a dire un'entità priva di sostanza e usata impropriamente a fini fiscali.

3.8

Un'impresa che è un «caso a rischio», ma la cui comunicazione rivela che possiede tutti gli elementi pertinenti per la sostanza, non dovrebbe invece essere considerata un'entità «di comodo» ai fini della direttiva. Tuttavia, tale presunzione non esclude la possibilità che un'amministrazione fiscale giunga alla conclusione che la medesima impresa è un'entità di comodo per motivi che esulano dall'ambito di applicazione della direttiva.

3.9

La quarta fase riguarda il diritto dell'impresa, che si presume essere un'entità di comodo e usata impropriamente a fini di evasione fiscale ai sensi della direttiva, di provare il contrario dimostrando sulla base di elementi concreti di possedere una propria sostanza economica («confutazione»). Tali imprese avranno quindi un diritto effettivo a rivendicare di non essere un'entità di comodo ai sensi della direttiva.

3.10

Quando un'impresa è ritenuta un'entità di comodo ai fini della direttiva e non è in grado di confutare tale presunzione, dovrebbero scattare le conseguenze fiscali del caso nei suoi confronti, vale a dire l'eliminazione di qualsiasi vantaggio fiscale già ottenuto, o che potrebbe essere ottenuto.

3.11

Dato che per avere diritto a beneficiare dei vantaggi di un accordo o convenzione fiscale un'impresa deve di norma fornire un certificato di residenza fiscale, lo Stato membro di residenza fiscale dell'entità di comodo non rilascerà affatto tale certificato di residenza fiscale o lo rilascerà con un avvertimento, vale a dire includendo una dichiarazione esplicita per impedirne l'uso ai fini dell'ottenimento dei vantaggi di cui sopra.

3.12

Se i vantaggi fiscali concessi all'impresa sono eliminati, si dovrebbe determinare in che modo i flussi di reddito da e verso l'impresa, nonché gli eventuali attivi di proprietà dell'impresa, debbano essere effettivamente tassati. L'attribuzione dei diritti di imposizione fiscale dovrebbe tenere conto di tutte le giurisdizioni che possono essere interessate da operazioni che coinvolgono l'entità di comodo.

3.13

Le disposizioni della direttiva riguardano necessariamente solo gli Stati membri, dal momento che il diritto dell'UE non si applica ai paesi terzi. In questi casi gli accordi per evitare la doppia imposizione tra uno Stato membro e un paese terzo dovrebbero essere debitamente rispettati per quanto riguarda l'attribuzione dei diritti di imposizione fiscale. In mancanza di tali accordi, lo Stato membro interessato applicherà il proprio diritto nazionale.

3.14

Tutti gli Stati membri avranno accesso alle informazioni sulle entità che effettuano le comunicazioni ai sensi della direttiva in esame, in qualsiasi momento e senza bisogno di presentare una specifica richiesta di informazioni. A tale scopo le informazioni saranno scambiate tra gli Stati membri fin dalla prima fase, quando un'impresa è classificata come «a rischio» ai sensi della direttiva in esame. A tal fine sarà creato un registro o una banca dati.

3.15

La legislazione proposta lascia agli Stati membri la facoltà di stabilire le sanzioni applicabili alla violazione degli obblighi di comunicazione previsti dalla direttiva, quali recepiti negli ordinamenti giuridici nazionali dei paesi dell'Unione. Le sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive.

3.16

Si dovrebbe raggiungere un livello minimo di coordinamento tra gli Stati membri mediante la fissazione di una sanzione pecuniaria minima conformemente alle disposizioni vigenti nel settore finanziario. Le sanzioni dovrebbero prevedere una sanzione pecuniaria amministrativa pari ad almeno il 5 % del fatturato dell'impresa.

4.   Osservazioni generali del CESE

4.1

Il CESE esprime pieno sostegno alla proposta della Commissione e ai suoi obiettivi generali. Garantire una tassazione equa ed efficace in tutto il mercato unico è fondamentale per favorire una ripresa effettiva dopo la pandemia di COVID-19. Il fatto che gli Stati membri dispongano di un gettito fiscale sufficiente rappresenta infatti un fattore chiave per promuovere investimenti pubblici volti a realizzare un mercato unico più verde e più digitalizzato. Il CESE esprime qualche preoccupazione per il fatto che i requisiti in materia di sostanza previsti non tengono conto della dimensione digitale e si limitano a sottolineare l'importanza delle immobilizzazioni materiali. Questo approccio potrebbe creare problemi in futuro.

4.2

La proposta della Commissione è pertanto pienamente in linea con la comunicazione «Tassazione delle imprese per il XXI secolo» e si traduce in un'azione concreta e coerente volta a contrastare l'evasione e l'elusione fiscali, garantendo così un ambiente fiscale equo in tutta l'UE.

4.3

Il CESE osserva che la direttiva proposta è coerente con le precedenti iniziative legislative adottate dalle istituzioni dell'UE, come la direttiva anti-elusione (Anti-Tax Avoidance Directive — ATAD) e la direttiva sulla cooperazione amministrativa (Directive on Administrative Cooperation — DAC) tra le autorità fiscali. Per evitare risultati indesiderati, è di fondamentale importanza assicurare la coerenza tra le differenti norme fiscali, tra le quali dovrebbe registrarsi un'interazione reciproca permanente.

4.4

La proposta della Commissione in esame è complementare alla recente proposta relativa alla fissazione di un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali nell'UE (noto come «secondo pilastro»), nonostante i differenti ambiti di applicazione delle due direttive, dal momento che le disposizioni del secondo pilastro saranno applicate alle imprese che superano una soglia di fatturato di 750 milioni di EUR, mentre la direttiva sulle società di comodo non è soggetta a massimali di questo tipo.

4.5

Il CESE plaude alla consultazione pubblica organizzata dalla Commissione prima di pubblicare la proposta in esame. La consultazione si basava su un questionario con 32 domande volte, tra l'altro, a definire il problema e le sue cause e a individuare la forma appropriata dell'intervento dell'UE. Alle parti interessate è stata quindi data un'occasione importante per partecipare formulando osservazioni sull'argomento e dando voce alle loro preoccupazioni prima della definizione delle nuove norme. Il CESE si rammarica che solo un numero ridotto di parti interessate (50) abbia colto tale occasione.

4.6

Il CESE sostiene anche la consultazione pubblica parallela con il coinvolgimento mirato di esperti nazionali, in funzione delle rispettive competenze specifiche. La combinazione di una consultazione ad ampio raggio rivolta alle parti interessate e di una consultazione più dettagliata mirata a esperti qualificati assicura un buon equilibrio nel garantire un processo legislativo che sia al tempo stesso partecipativo e tecnicamente avanzato.

4.7

La natura stessa della materia che la direttiva si propone di disciplinare e gli obiettivi che essa persegue — ossia la lotta all'elusione e all'evasione fiscali transfrontaliere — richiedono l'attuazione di un quadro comune da parte degli Stati membri.

4.8

Infatti, non è possibile attuare un quadro comune adeguato ed efficace per mezzo di misure isolate introdotte e attuate dai singoli Stati membri nei rispettivi ordinamenti giuridici. In tal caso, la frammentazione esistente sarebbe effettivamente replicata e forse addirittura aggravata da tutta una serie di interventi non coordinati portati avanti a livello nazionale.

4.9

Le società di comodo create negli Stati membri devono essere messe in conformità con le disposizioni della direttiva, e la collaborazione delle amministrazioni nazionali degli Stati membri è quanto mai essenziale per evitare di intaccare la capacità di bilancio dell'UE nel suo complesso. Per gestire correttamente i controlli e condividere le informazioni, la Commissione dovrebbe disporre di capacità adeguate e di risorse sufficienti a tal fine.

4.10

Il CESE ritiene inoltre che la proposta di direttiva rispetti il principio di proporzionalità, dal momento che si limita ad assicurare il livello minimo di protezione necessario per il mercato interno, con un impatto sulle imprese che sembra ragionevole. Difatti la direttiva si prefigge di conseguire una protezione minima per i sistemi fiscali degli Stati membri, garantendo il livello essenziale di coordinamento nell'UE ai fini della realizzazione dei suoi obiettivi.

4.11

D'altro canto, anche l'impatto della proposta sulle imprese appare proporzionato, dato che viene assicurato un adeguato equilibrio tra i vari obiettivi e principi perseguiti, e in particolare:

i)

l'efficacia nel ridurre l'uso improprio delle entità di comodo;

ii)

i guadagni fiscali per le finanze pubbliche;

iii)

i costi di conformità per le imprese e le amministrazioni fiscali;

iv)

gli effetti indiretti sul mercato unico e sulla concorrenza tra imprese.

4.12

Il CESE concorda con l'approccio della Commissione secondo cui uno scambio di informazioni effettivo e trasparente tra autorità fiscali è essenziale per contrastare l'uso improprio di società di comodo e, più in generale, per garantire un ambiente fiscale equo e più efficiente. Questo aspetto va monitorato con grande attenzione, onde assicurare una cooperazione tra paesi dell'Unione in cui una società di comodo realizza operazioni che coinvolgono due Stati membri. Una volta concluse le indagini svolte su società di comodo, bisognerebbe renderne pubblico l'esito. Le autorità europee e nazionali dovrebbero rendere noti i risultati dell'attuazione della direttiva.

4.13

Le società di comodo che rientrano nell'ambito di applicazione della proposta di direttiva possono essere usate sia a fini di evasione fiscale che di elusione fiscale nonché, in casi specifici, persino per commettere reati quali il riciclaggio di denaro, al quale spesso queste imprese sono collegate. Pertanto, sono di fondamentale importanza sia il coordinamento legislativo sia il coordinamento tra le diverse autorità di vigilanza competenti per la lotta a questi reati, tanto a livello nazionale come a livello europeo. Con la direttiva in esame (denominata anche «Unshell») le autorità fiscali avranno accesso a nuove serie di dati, e questo consentirà loro di svolgere controlli incrociati con le informazioni fornite dalle autorità antiriciclaggio. Le autorità nazionali ed europee devono garantire che l'applicazione della direttiva in esame non provochi problemi di alcun genere a tutte le società che svolgono le loro attività nel rispetto della legge.

4.14

È fondamentale sapere chi siano non solo i titolari effettivi delle società di comodo e dei loro attivi, ma anche i proprietari effettivi delle operazioni svolte da queste società, per svelare la reale natura delle loro attività e comprendere l'entità dell'evasione fiscale realizzata o del reato di riciclaggio di denaro commesso. Il fatto di dissimulare la titolarità effettiva attraverso «catene» di società di comodo gestite da «professionisti facilitatori» è intrinseco alle loro finalità criminali. Gli strumenti per sapere quali soggetti siano i titolari effettivi sono previsti dalla legislazione antiriciclaggio. Eppure la proposta di direttiva in esame non contiene alcun riferimento a questo tema. Il CESE ritiene che la questione vada affrontata e che si debba rimediare anche ad altre lacune nei collegamenti tra i due atti legislativi, o spiegando come operare il collegamento nella proposta di direttiva in esame oppure promuovendo con urgenza una legge quadro europea sull'argomento.

4.15

Al di fuori dell'ambito di applicazione della proposta di direttiva in esame, talune società di comodo vengono create e usate anche allo scopo di agevolare il lavoro in nero e di evitare il pagamento dei contributi previdenziali. Il CESE raccomanda alla Commissione di prendere in considerazione la possibilità di trattare la questione in una normativa europea.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Il CESE ritiene ragionevole e appropriato che il «criterio di entrata» formulato nella proposta della Commissione sia applicato sotto forma di indicatori cumulativi. A tale proposito, il CESE osserva che le entità che detengono attivi solo per uso privato, quali beni immobili, yacht, jet, opere d'arte o capitale proprio, possono non avere alcun reddito per lunghi periodi di tempo, ma traggono comunque notevoli benefici fiscali attraverso la proprietà di tali attivi.

5.2

Il Comitato ritiene pertanto che i controlli dovrebbero essere svolti non soltanto sul reddito ma anche sugli attivi, poiché su questi ultimi è possibile riscuotere imposte anche se non generano reddito, come avviene nel caso dell'imposta sul patrimonio ogniqualvolta questa sia applicabile. Il CESE ritiene che, per gestire correttamente tali controlli e condividere le informazioni, la Commissione dovrebbe disporre di capacità adeguate e di risorse sufficienti a tal fine.

5.3

Il CESE suggerisce alla Commissione di emanare orientamenti adeguati relativi al «test della sostanza» introdotto dalla proposta di direttiva, in particolare per quanto riguarda il significato di specifici termini quali «residenza», «amministratore residente» e «locali». Un tale approccio consentirebbe di ridurre o di correggere in modo più efficace le discrepanze e le interpretazioni divergenti della direttiva tra gli Stati membri potenzialmente pregiudizievoli per il mercato interno. In particolare, il CESE chiede alla Commissione di prendere debitamente in considerazione, in tale contesto, i nuovi modelli digitali di impresa.

5.4

Ritiene inoltre che l'esercizio di attività transfrontaliere da parte di un'impresa dovrebbe essere valutato con attenzione tenendo conto, da un lato, della natura effettiva delle operazioni realizzate dall'impresa e, dall'altro, dei beni e attivi di sua proprietà. Le società con un adeguato livello di trasparenza e che non presentano un rischio reale di mancanza di sostanza economica a fini di evasione o di elusione fiscali non dovrebbero rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva.

5.5

La proposta di direttiva «Unshell» in esame si basa sulle norme in vigore nell'UE e a livello internazionale. Il CESE raccomanda alla Commissione di fare in modo che le disposizioni della proposta di direttiva siano compatibili con le pertinenti norme internazionali e con le norme comuni vigenti nell'Unione, e in particolare con il concetto di «attività economica sostanziale» sviluppato nel contesto di regimi fiscali preferenziali e ampiamente dibattuto nell'ambito del forum sulle pratiche fiscali dannose. Un'altra importante questione è quella della definizione di norme comuni e chiare in merito al contenuto specifico delle dichiarazioni che le imprese sono tenute a presentare. È opportuno evitare un eccesso di comunicazioni, che va al di là degli obiettivi perseguiti dalla direttiva, e i costi di conformità che ne deriverebbero.

5.6

Il CESE invita caldamente a prestare particolare attenzione al ruolo dei cosiddetti «professionisti facilitatori», un tema che non viene neppure menzionato nella proposta di direttiva. Il CESE raccomanda che le norme volte a regolamentare l'attività di questi «professionisti facilitatori» siano oggetto di una normativa a parte, in linea con i criteri stabiliti in materia dall'OCSE, dato che spesso queste figure svolgono anche un ruolo importante nell'ambito specifico delle società di comodo (2).

5.7

Nel documento citato in nota l'OCSE descrive le categorie professionali cui appartengono alcuni professionisti che gestiscono «catene» di società di comodo o collaborano con esse, e ritiene essenziale concentrarsi sul fenomeno di questi «professionisti facilitatori» al fine di contrastare le attività criminose delle imprese costituite a fini illeciti, tra cui l'evasione fiscale. Si deve debitamente distinguere tra i professionisti che rispettano la legge e un piccolo gruppo di professionisti che si avvale delle proprie competenze nei settori del diritto tributario e della contabilità societaria per favorire attivamente pratiche connesse all'evasione e all'elusione fiscali e al riciclaggio di denaro.

5.8

Il CESE sottolinea pertanto la necessità di norme mirate a questi «professionisti facilitatori» che si adoperano attivamente per offrire ai loro clienti delle opportunità di sfruttare pratiche illecite che favoriscono reati fiscali e finanziari. In questo modo sarebbe possibile ostacolare un fattore essenziale per la commissione di abusi fiscali. La riduzione delle possibilità di elaborare pratiche fiscali sleali rappresenta infatti una tappa fondamentale verso il conseguimento degli stessi obiettivi perseguiti dalla proposta di direttiva della Commissione.

5.9

Il CESE ritiene che sarebbe di grande aiuto ottenere la cooperazione degli organi di regolamentazione o di vigilanza delle categorie professionali interessate al fine di lottare contro le pratiche scorrette e le possibili attività criminose dei «professionisti facilitatori». Si tratterebbe di un'interessante linea di sviluppo di quel patto europeo sociale e politico per la lotta ai reati fiscali ed economici, al riciclaggio di denaro e alla corruzione invocato dal Comitato in diversi suoi pareri.

5.10

Il CESE suggerisce inoltre di coordinare le disposizioni della proposta di direttiva della Commissione con le norme in vigore in materia di prezzi di trasferimento, dato che il ricorso a società di comodo finalizzato all'evasione fiscale potrebbe interagire con tali pratiche in tutta l'UE e, quindi, andrebbe preso in considerazione anche sotto questo particolare aspetto. Anche in questo caso, il CESE ritiene che si debba valutare la possibilità di adottare una direttiva sui prezzi di trasferimento tra società.

5.11

Il Comitato ritiene che l'elenco delle società che non sono soggette all'obbligo di comunicazione (articolo 6, paragrafo 2, della proposta di direttiva) debba essere adeguatamente giustificato e analizzato onde garantire che le società incluse in tale elenco non beneficino di un vantaggio fiscale indebito e non siano utilizzate per eludere la legge.

5.12

Il CESE ritiene inoltre che si debba intervenire in maniera più incisiva quando una società o un'entità al di fuori dell'UE intrattiene rapporti commerciali con una società o un'entità quotata in borsa nell'UE. Occorre capire quali azioni possano essere intraprese per le società o le entità quotate nell'UE al fine di verificare che i fondi o gli attivi che vengono gestiti non provengano da un'entità «di comodo» situata al di fuori dell'Unione.

5.13

Affinché si possano adottare misure efficaci nei confronti delle società che intrattengono rapporti commerciali con società aventi sede in giurisdizioni non cooperative a fini fiscali, il Comitato ribadisce che è necessario che la lista UE di tali giurisdizioni non cooperative in materia fiscale sia quanto più efficiente e completa possibile.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Cfr. il parere del CESE in merito al Pacchetto legislativo antiriciclaggio (GU C 152 del 6.4.2022, pag. 89).

(2)  «Porre fine ai fenomeni fraudolenti: il contrasto ai professionisti che favoriscono i reati tributari e la criminalità dei colletti bianchi», OCSE, Parigi, 2021.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Consiglio intesa a garantire un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali nell'Unione

[COM(2021) 823 final — 2021/0433 (CNS)]

(2022/C 290/09)

Relatore:

Krister ANDERSSON

Correlatore:

Petru Sorin DANDEA

Consultazione

Consiglio dell'Unione europea, 10/02/2022

Base giuridica

Art. 115 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

3.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

197/1/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La proposta della Commissione mira a recepire nell'UE le norme tipo GloBE (Global anti-Base Erosion Rules = norme globali per contrastare l'erosione della base imponibile) incluse nel secondo pilastro del quadro inclusivo dell'OCSE/G20. Il CESE si compiace che il lavoro che sta svolgendo la Commissione sia pienamente in linea con le discussioni e gli accordi a livello internazionale e sostiene risolutamente gli obiettivi che essa persegue.

1.2

Il CESE concorda con la Commissione quanto al fatto che «l'efficacia e l'equità della riforma globale sull'imposizione minima fa ampio affidamento sulla sua attuazione a livello mondiale». A giudizio del CESE, è molto importante che i negoziati sul quadro inclusivo si concludano in tempi brevi e con successo. La loro attuazione condivisa a livello globale, senza però introdurre un eccesso di regolamentazione (gold-plating), è essenziale per l'efficacia delle norme e per evitare distorsioni della concorrenza.

1.3

Il CESE conviene pienamente con la Commissione che «è indispensabile garantire un'attuazione uniforme delle norme tipo dell'OCSE nell'UE» e che «tale obiettivo può essere raggiunto solo se la legislazione è adottata a livello centrale e recepita in modo uniforme».

1.4

Anche se è fondamentale che a livello dell'UE siano già in corso discussioni tecniche e lavori preparatori al riguardo, il CESE osserva che l'OCSE è ancora al lavoro per definire norme maggiormente dettagliate ed elaborare definizioni più chiare. Gli Stati membri dovrebbero pertanto prestare attenzione e includere tutte le raccomandazioni e i risultati prodotti dall'attività di negoziazione in corso in sede OCSE.

1.5

Il CESE sostiene qualsiasi azione che, nel definire il nuovo sistema, punti a ridurre i costi di conformità per le imprese e le autorità fiscali europee. La piena attuazione del secondo pilastro sarà un processo complesso, che richiederà parecchio tempo e molti sforzi da parte sia delle imprese che delle autorità fiscali. Nei prossimi mesi l'OCSE dovrebbe presentare una serie di norme importanti relative a porti sicuri (safe harbours), presentazione semplificata di documenti amministrativi, ecc., che potrebbero agevolare l'attuazione del nuovo regime fiscale tanto per le imprese come per le autorità fiscali. Queste nuove norme dovrebbero essere incluse nella direttiva.

1.6

Il CESE ritiene che le norme tipo non debbano rendere inutili le disposizioni fiscali specifiche adottate dai parlamenti degli Stati membri quali deliberati incentivi a realizzare investimenti e ad adoperarsi per la crescita dell'occupazione. È importante promuovere la realizzazione di un'economia più verde e digitalizzata, e la tassazione dovrebbero svolgere un ruolo nel conseguimento di questo obiettivo.

1.7

Il CESE chiede di introdurre nella direttiva una disposizione che consenta di applicare la direttiva sulla risoluzione delle controversie in materia fiscale alle controversie relative al secondo pilastro, perlomeno tra Stati membri.

1.8

Il Comitato conviene circa l'imposizione di sanzioni per la non conformità e invita gli Stati membri a svolgere controlli fiscali approfonditi per garantire la piena osservanza delle disposizioni della direttiva.

1.9

Il CESE chiede una revisione dell'elenco UE dei paesi terzi non cooperativi a fini fiscali in relazione al pacchetto di misure fiscali.

1.10

Il CESE desidera far presente che l'opinione pubblica invoca da molto tempo l'applicazione di un'imposizione fiscale equa alle imprese multinazionali, e che auspica che si arrivi in tempi brevi a un accordo sul secondo pilastro nell'UE e a livello mondiale.

2.   Contesto e proposta della Commissione

2.1

La proposta di direttiva della Commissione relativa alla fissazione di un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali nell'UE mira a recepire nell'Unione europea le norme tipo dell'OCSE per l'applicazione a livello nazionale di un'imposta minima globale (norme tipo del quadro inclusivo/OCSE) tramite delle regole e un'attuazione uniformi (1).

2.2

Le norme nazionali e internazionali in materia di imposizione fiscale risalgono ormai a molti decenni fa e non sono più adatte ad alcuni dei nuovi modelli economico-imprenditoriali applicati oggi. Numerose imprese non dispongono più di una sede (presenza) fisica in molti paesi e non pagano le imposte sul reddito delle società in tali giurisdizioni allo stesso livello delle imprese che invece dispongono di tale sede o presenza fisica (2).

2.3

La crisi finanziaria del 2008-2009 ha poi esercitato una pressione anche sui bilanci pubblici. Tutti questi fattori hanno contribuito ad avviare un processo in sede di OCSE volto ad affrontare il problema dell'erosione della base imponibile e del trasferimento degli utili (Base Erosion and Profit Shifting — BEPS).

2.4

Dopo la presentazione del progetto BEPS dell'OCSE nel 2015, i membri che aderiscono al quadro inclusivo dell'OCSE/G20 hanno concordato una soluzione al problema di come affrontare le crescenti sfide in materia di fiscalità derivanti dalla digitalizzazione dell'economia.

2.5

Il pacchetto di misure concordato comprende due pilastri che riguardano imprese di tutti i settori. Il secondo pilastro riguarda i gruppi di imprese con un fatturato complessivo pari ad almeno 750 milioni di EUR. Il primo pilastro impone una parziale riattribuzione del diritto di tassare gli utili in eccesso alle giurisdizioni di mercato, mentre il secondo pilastro introduce un livello minimo di imposizione effettiva del 15 % (3). Le norme tipo dell'OCSE sono contenute in un documento di 70 pagine che presenta in dettaglio norme altamente tecniche e complesse, comprese 10 pagine di definizioni per consentire un «approccio comune» ad un livello minimo di imposizione globale.

2.6

Il secondo pilastro consiste in due norme nazionali: i) la norma sull'inclusione dei redditi (Income Inclusion Rule — IIR), e ii) una norma di protezione rispetto alla precedente, ossia la norma sui pagamenti sottotassati (Under Taxed Payments Rule — UTPR) — due norme che insieme costituiscono le norme globali per contrastare l'erosione della base imponibile (Global anti-Base Erosion Rules — GloBE); e una norma basata su un accordo o convenzione fiscale: la norma sull'assoggettamento all'imposta (Subject to Tax Rule — STTR).

2.7

La proposta fa obbligo all'entità madre principale (Ultimate Parent Entity — UPE), ossia alla società capogruppo, di pagare l'imposta complementare, vale a dire la differenza di imposizione per l'intero gruppo, nella giurisdizione di residenza dell'UPE stessa. Di conseguenza, il gettito fiscale sarà riscosso da tale giurisdizione, il che significa che l'imposizione fiscale si verifica e il gettito fiscale viene riscosso in un'altra giurisdizione. I paesi non hanno l'obbligo di aumentare la loro aliquota d'imposta fino al livello minimo.

2.8

Se la società capogruppo ha sede in un paese che non applica una norma IIR qualificante, subentra la norma UTPR, che fa obbligo alle giurisdizioni in cui detta impresa multinazionale opera di effettuare un adeguamento equivalente secondo le norme tipo in modo tale da rettificare il debito fiscale delle società del gruppo, così da poter riscuotere l'importo complessivo dell'imposta complementare.

2.9

L'attribuzione a una determinata giurisdizione dell'imposta complementare complessiva si basa sulla sua quota del totale dei dipendenti e delle immobilizzazioni materiali del gruppo nelle giurisdizioni che applicano le disposizioni della norma UTPR.

2.10

Il calcolo dell'imposta complementare per ciascuna giurisdizione comprende un'esclusione «carve-out» basata sulla sostanza economica che consente alla fine di tassare un determinato importo del reddito al di sotto dell'aliquota minima effettiva. Il reddito escluso è inizialmente fissato a un importo pari al 10 % dei costi salariali in quella determinata giurisdizione e all'8 % del valore delle immobilizzazioni materiali che vi vengono utilizzate, percentuali che vengono poi ridotte al 5 % di ciascuna delle due basi nell'arco di dieci anni.

2.11

Le norme tipo dell'OCSE prendono i conti finanziari come base per il calcolo delle aliquote fiscali effettive, con una serie di complesse rettifiche. Esse prevedono inoltre la possibilità per una giurisdizione di effettuare e applicare un calcolo dell'imposta complementare minima a livello nazionale: in tal caso l'imposta complementare è attribuita a detta giurisdizione e viene da essa riscossa, e pertanto quest'ultima non trasferisce alcun gettito fiscale a un'altra giurisdizione.

2.12

L'OCSE ha già promesso che formulerà un commento sulle norme tipo nel primo trimestre del 2022 allo scopo di chiarire l'interpretazione delle norme e di elaborare ulteriori orientamenti/spiegazioni sulle norme «porto sicuro» e sulle linee guida amministrative. Potrebbero essere forniti ulteriori chiarimenti al riguardo.

2.13

Un'interpretazione comune delle norme a livello globale e una loro attuazione uniforme riguardo sia ai contenuti che al periodo sono essenziali per evitare distorsioni e garantire la parità di condizioni e la competitività dell'Europa (4).

2.14

Elaborata a partire dalla comunicazione della Commissione Tassazione delle imprese per il XXI secolo, la proposta della Commissione contiene solo le norme tipo GloBE incluse nel secondo pilastro del quadro inclusivo dell'OCSE/G20. Il primo pilastro non è altrettanto ben sviluppato del secondo pilastro. Questa parte del pacchetto potrebbe inoltre formare oggetto di una direttiva dell'UE (5).

2.15

L'ambito di applicazione della direttiva è definito con riferimento a entità costitutive situate nell'UE che fanno parte di gruppi di imprese multinazionali o di grandi gruppi nazionali con ricavi consolidati complessivi superiori a 750 milioni di EUR in almeno due dei quattro esercizi precedenti.

2.16

La direttiva stabilisce che, nei casi in cui l'entità madre principale/società capogruppo (UPE) ha sede al di fuori dell'UE in una giurisdizione che non applica una norma IIR qualificante, tutte le sue entità costitutive situate in giurisdizioni dotate di un quadro adeguato in materia di norma UTPR saranno assoggettate a quest'ultima. In tali circostanze, le entità costitutive del gruppo di imprese multinazionali con sede in uno Stato membro dell'UE saranno assoggettate all'imposta complementare in quello Stato membro, imposta che viene imputata in base alla formula a due fattori, calcolata in rapporto al reddito a bassa imposizione delle entità costitutive del gruppo di imprese multinazionali.

2.17

La direttiva contiene norme per determinare quale sia il qualifying income («reddito qualificante»), vale a dire il reddito rettificato da prendere in considerazione per il calcolo dell'aliquota d'imposta effettiva. Ai fini del calcolo di tale reddito, è necessario prendere come riferimento l'utile netto contabile o la perdita netta contabile dell'entità costitutiva per l'esercizio fiscale. Vengono effettuate delle rettifiche ben precise e assai complesse per la differenza tra contabilità finanziaria e contabilità fiscale. Le rettifiche principali riguardano i requisiti relativi al momento in cui devono essere comunicati gli utili/i costi, ma, ad esempio, gli accantonamenti per bassa imposizione per i regimi fiscali speciali sugli utili riconducibili ai brevetti (patent boxes) non sono riconosciuti, mentre lo è l'ammortamento accelerato di capitale fisso.

2.18

Vengono elaborate delle norme per il calcolo delle «adjusted covered taxes» («imposte contemplate rettificate») di un'entità costitutiva per un dato esercizio fiscale. Il principio chiave nell'imputazione delle imposte contemplate è quello di attribuirle alla giurisdizione in cui sono stati realizzati gli utili sottostanti cui sono applicabili tali imposte. Per rispettare tale principio, la direttiva prevede anche norme speciali per quanto riguarda le imposte transfrontaliere o nel caso di una stabile organizzazione, un'entità trasparente, una società controllata estera, un'entità ibrida, o delle imposte sui dividendi.

2.19

La direttiva definisce l'aliquota effettiva dell'imposta come il rapporto tra le imposte contemplate rettificate delle entità costitutive del gruppo e il reddito rettificato percepito da tali entità in una determinata giurisdizione per l'esercizio fiscale. In conformità con l'accordo globale e per garantire il recepimento, la direttiva fissa l'aliquota d'imposta minima effettiva al 15 % ai fini delle norme tipo GloBE.

2.20

Per ridurre i costi di conformità in situazioni a basso rischio, si applica un'esclusione per gli importi minimi, secondo un approccio «de minimis». Ciò avviene quando gli utili delle entità costitutive del gruppo di imprese multinazionali in una determinata giurisdizione non superano 1 milione di EUR e i ricavi sono inferiori a 10 milioni di EUR.

2.21

Norme speciali si applicano alle fusioni, alle acquisizioni, alle joint venture e ai gruppi di imprese multinazionali con più società madri o capogruppo. Queste disposizioni prevedono l'applicazione di una soglia consolidata di reddito alle imprese del gruppo coinvolte in una fusione o in una scissione. Quando un'entità costitutiva è acquisita o ceduta da un gruppo di imprese multinazionali che rientra nell'ambito di applicazione delle norme, tale entità costitutiva dovrebbe essere considerata parte di entrambi i gruppi nel corso dell'esercizio, con determinate rettifiche dei valori dei criteri utilizzati per l'applicazione delle norme tipo GloBE (quali le imposte contemplate, i costi salariali ammissibili, gli attivi materiali ammissibili o le attività fiscali differite GloBE).

2.22

La direttiva contiene delle norme sui regimi di neutralità fiscale e sui regimi fiscali di distribuzione. Per evitare risultati non intenzionali, come un assoggettamento fiscale sproporzionato all'imposta complementare UTPR in un gruppo di imprese multinazionali, la direttiva prevede norme speciali per il calcolo del reddito dell'entità madre principale/società capogruppo, qualora tale entità sia un'entità «di passaggio» (flow-through o pass-through) o sia assoggettata a un regime di dividendi deducibili (6).

2.23

La direttiva impone a un'entità costitutiva di un gruppo multinazionale di imprese situata in uno Stato membro di presentare una dichiarazione sulle imposte complementari, a meno che la dichiarazione non sia presentata dal gruppo multinazionale di imprese in un'altra giurisdizione con la quale lo Stato membro ha concluso un accordo qualificante tra autorità competenti che consenta lo scambio automatico delle dichiarazioni sulle imposte annuali. Questa dichiarazione informativa obbligatoria sulle imposte complementari deve essere presentata entro 15 mesi dalla fine dell'esercizio fiscale cui si riferisce.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore la proposta di direttiva della Commissione volta a recepire il secondo pilastro nell'ordinamento giuridico dell'UE e in tutto il mercato interno. Il CESE sostiene con forza e apprezza la scelta della Commissione di allineare i propri lavori alle discussioni e agli accordi a livello internazionale. Il CESE osserva che l'accordo non si applica alle società al di sotto di determinate soglie, ma che le sue norme hanno una portata generale e, secondo l'OCSE, si applicheranno a centinaia di imprese. Ogni gruppo di imprese che rientra nell'ambito di applicazione della proposta di direttiva può avere un gran numero di stabili organizzazioni e di controllate.

3.2

Fa presente, inoltre, che solo quattro sul totale dei paesi che partecipano ai negoziati sul quadro inclusivo non hanno approvato il pacchetto di misure, rispetto ai 137 paesi che hanno firmato l'accordo a livello globale. La direttiva dell'UE sulla fissazione di un livello di imposizione minima può prevedere ulteriori misure difensive contro le pratiche dannose di tipo BEPS, e il CESE sostiene, e ha sempre sostenuto, le finalità del progetto BEPS con l'obiettivo di garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche nell'UE.

3.3

Il CESE concorda con la Commissione quanto al fatto che «l'efficacia e l'equità della riforma globale sull'imposizione minima fa ampio affidamento sulla sua attuazione a livello mondiale». A giudizio del CESE, è molto importante che i negoziati sul quadro inclusivo si concludano in tempi brevi e con successo. La loro attuazione condivisa a livello globale è essenziale per l'efficacia delle norme e per evitare distorsioni della concorrenza.

3.4

Il CESE ritiene che il primo e il secondo pilastro del quadro inclusivo dell'OCSE/G20 dovrebbero essere considerati come un pacchetto di misure onnicomprensive e reciprocamente integrate. La coerenza nell'attuazione dei due pilastri è di fondamentale importanza. Il CESE invita gli Stati membri e la Commissione europea a intensificare il loro lavoro di negoziazione tramite l'OCSE per far sì che il primo pilastro sia attuato il più rapidamente possibile a livello globale.

3.5

Il CESE concorda con la Commissione sulla necessità di un'azione a livello dell'UE e sul fatto che «è indispensabile garantire un'attuazione uniforme delle norme tipo dell'OCSE nell'UE». Il CESE conviene altresì che «tale obiettivo può essere raggiunto solo se la legislazione è adottata a livello centrale e recepita in modo uniforme» (7). Il CESE sottolinea che la direttiva deve rispettare le libertà fondamentali e gli obblighi e le competenze sanciti dal Trattato.

3.6

Il fatto che tutti gli Stati membri abbiano preso parte alle deliberazioni del quadro inclusivo dell'OCSE, o ne abbiano approvato l'esito da quando si sono concluse, facilita il processo dell'UE. Il CESE desidera far presente che l'opinione pubblica invoca da molto tempo l'applicazione di un'imposizione fiscale equa alle imprese multinazionali, e che auspica che si arrivi in tempi brevi a un accordo sul secondo pilastro nell'UE e a livello mondiale.

3.7

Anche se è fondamentale che a livello dell'UE siano già in corso discussioni tecniche e lavori preparatori al riguardo, il CESE osserva che l'OCSE è ancora al lavoro per definire norme maggiormente dettagliate ed elaborare definizioni più chiare. Gli Stati membri dovrebbero pertanto prestare attenzione e includere tutte le raccomandazioni e i risultati prodotti dall'attività di negoziazione in corso in sede OCSE, poiché sarebbe opportuno evitare un iter di emendamento o di modifica della direttiva. Allo stesso modo, è importante che l'UE valuti attentamente il calendario di attuazione da parte delle giurisdizioni di paesi terzi.

3.8

Il CESE approva la scelta della Commissione di basarsi sui vasti lavori preparatori portati avanti a livello internazionale, servendosi della valutazione d'impatto dell'OCSE per elaborare la proposta attualmente in esame, senza lanciare una nuova valutazione d'impatto che sarebbe stata solo un inutile doppione. Avrebbe tuttavia apprezzato che venisse realizzata una valutazione d'impatto per quelle parti della direttiva che la mettono in conformità con il diritto dell'UE. Il CESE chiede che una tale valutazione sia realizzata e messa a disposizione del pubblico.

3.9

Il CESE riconosce e comprende la necessità di rispettare gli obblighi previsti dal diritto dell'UE. Il metodo più semplice — ma non necessariamente l'unico — consiste nell'estendere l'applicazione delle disposizioni della norma IIR alle situazioni puramente nazionali.

3.10

Il CESE conviene con la Commissione che è auspicabile coinvolgere un numero limitato di contribuenti e che la soglia di 750 milioni di EUR è coerente «con le norme tipo dell'OCSE e con le prescrizioni del diritto dell'UE» (8), e rispetta pertanto il principio di proporzionalità. Il CESE osserva che tale soglia è in linea con le norme in materia di rendicontazione paese per paese e con la direttiva antielusione.

3.11

Il CESE concorda con la Commissione quanto al fatto che l'aliquota d'imposta minima del 15 % stabilita nel quadro inclusivo dell'OCSE/G20 in materia di BEPS «rispecchia un equilibrio fra le aliquote d'imposta sulle società a livello mondiale» (9). È importante rispettare l'accordo concluso dai governi, recepirne le norme e assoggettare le imprese che rientrano nel suo ambito di applicazione al pagamento dell'imposta complementare. In conformità con l'accordo dell'OCSE, il CESE è altresì favorevole a inserire tra le norme il meccanismo di esclusione («carve-out») basata sulla sostanza economica in relazione ai costi salariali e alle immobilizzazioni materiali, e concorda con la valutazione della Commissione secondo cui è improbabile che le pratiche di tipo BEPS prosperino nei periodi in cui si registrano attività economiche reali (10).

3.12

Il CESE sostiene ogni possibile azione che, nel definire il nuovo sistema, punti a ridurre i costi di conformità per le imprese e le autorità fiscali europee. La piena attuazione del secondo pilastro sarà un processo complesso, che richiederà parecchio tempo e molti sforzi. Le autorità fiscali dovranno sviluppare i sistemi e le procedure per il calcolo e la riscossione delle nuove imposte. Inoltre, sarà necessario disporre di personale adeguato e formato per garantire una rapida attuazione, provvedendo nel contempo alle risorse per attuare anche altre competenze fiscali internazionali come gli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento (Advanced Pricing Agreements — APAs) e i meccanismi di risoluzione delle controversie. Il CESE incoraggia le autorità fiscali ad avviare o proseguire questi lavori preparatori se intendono rispettare la scadenza prevista dal calendario di attuazione (gennaio 2023).

3.13

Il CESE chiede che le disposizioni della direttiva sulla risoluzione delle controversie possano essere applicate alle controversie relative al secondo pilastro, perlomeno tra Stati membri. Le nuove norme sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale sono sancite dalla direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio (11) e si applicano dal 1o luglio 2019; esse comportano un significativo miglioramento nella risoluzione delle controversie fiscali, nella misura in cui garantiscono alle imprese e ai cittadini la possibilità di risolvere con maggiore efficacia e rapidità le controversie relative all'interpretazione e all'applicazione di accordi o convenzioni fiscali.

3.14

Il CESE sostiene, in linea con l'accordo dell'OCSE, l'esclusione «de minimis» che consente di escludere l'entità di un gruppo di imprese multinazionali i cui utili non superino 1 milione di EUR e i cui ricavi siano inferiori a 10 milioni di EUR. Con il tempo è possibile che questi massimali debbano essere riveduti.

3.15

Il CESE ritiene importante che le norme «porto sicuro» (safe harbour) previste siano presentate con sufficiente anticipo, in modo che sia possibile recepirle nel testo definitivo della direttiva. Questo è importante per evitare oneri amministrativi inutili per i contribuenti e per le amministrazioni fiscali.

3.16

Il CESE concorda con la volontà espressa nella direttiva di prevedere che la Commissione effettui una valutazione dei criteri di equivalenza della norma IIR, nonché di stabilire un elenco delle giurisdizioni dei paesi terzi che soddisfano tali criteri di equivalenza; tale elenco verrebbe modificato mediante un atto delegato.

3.17

Il CESE prende atto dell'intenzione annunciata dalla presidenza francese del Consiglio dell'UE di arrivare alla conclusione delle discussioni, se possibile, prima delle prossime elezioni presidenziali francesi dell'aprile 2022. L'UE dovrebbe incoraggiare i suoi partner commerciali a puntare a una scadenza altrettanto ambiziosa.

4.   Osservazioni particolari

4.1

È importante che le norme tipo non rendano inutili altre disposizioni fiscali adottate dai parlamenti degli Stati membri quali deliberati incentivi a realizzare investimenti e ad adoperarsi per la crescita dell'occupazione. Non si dovrebbe ostacolare l'applicazione di norme in vigore da lungo tempo che consentono, ad esempio, l'ammortamento accelerato di investimenti fissi, gli incentivi per attività di R&S o le recentissime iniziative volte a promuovere lo sviluppo di un'economia più verde e maggiormente digitalizzata. Ciò vale sia per le iniziative di rilancio dell'economia a seguito della pandemia sia per i futuri sviluppi tecnologici, che andrebbero incoraggiati.

4.2

L'attuazione delle norme tipo GloBE nell'UE avrà un'incidenza sulle disposizioni attualmente in vigore della direttiva antielusione (Anti-Tax Avoidance Directive — ATAD) e, più in particolare, sulle norme sulle società controllate estere (Controlled Foreign Company — CFC), che potrebbero interagire con la norma IIR in quanto norma fondamentale del secondo pilastro. Come viene affermato nella comunicazione della Commissione Tassazione delle imprese per il XXI secolo (12), le misure che i governi si sono impegnati ad adottare per combattere l'elusione e l'evasione fiscali formano un mosaico eterogeneo e hanno ulteriormente aggravato l'attuale complessità (13). Anche se non sarà necessario modificare la direttiva antielusione (14), un riesame dell'efficacia e degli oneri amministrativi del combinato disposto delle norme potrebbe risultare utile sia per le amministrazioni fiscali che per le imprese.

4.3

Il CESE condivide il punto di vista della Commissione secondo cui il recepimento delle norme tipo GloBE nell'UE potrebbe aprire la strada a un accordo sulla proposta in sospeso di rifusione della direttiva sugli interessi e sui canoni (Interest and Royalties Directive — IRD).

4.4

Il CESE chiede un attento monitoraggio dell'efficacia delle norme e dei relativi costi amministrativi. Gli Stati membri dovrebbero evitare un ricorso eccessivo alle decisioni anticipate in materia fiscale (tax ruling) se queste compromettono l'applicazione delle disposizioni dell'accordo globale.

4.5

Il CESE conviene circa l'imposizione di sanzioni per la non conformità e invita gli Stati membri a svolgere controlli fiscali approfonditi per garantire la piena osservanza delle disposizioni della direttiva.

4.6

Il CESE chiede una revisione dell'elenco UE dei paesi terzi non cooperativi a fini fiscali alla luce dell'attuazione del pacchetto di misure fiscali concordato in sede OCSE.

4.7

Il CESE desidera far presente che l'opinione pubblica invoca da molto tempo l'applicazione di un'imposizione fiscale equa alle imprese multinazionali, e che auspica che si arrivi in tempi brevi a un accordo sul secondo pilastro nell'UE e a livello mondiale.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Proposta di direttiva del Consiglio intesa a garantire un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali nell'Unione, COM(2021) 823 final.

(2)  Per un'analisi della misura in cui alcune delle cosiddette «imprese digitali» pagano le imposte sul reddito delle società e dei paesi in cui le pagano, cfr. Matthias Bauer, Digital Companies and Their Fair Share of Taxes: Myths and Misconceptions («Le imprese digitali e la quota equa di imposte che devono pagare: miti e convinzioni errate») ECIPE (European Centre for International Political Economy — Centro europeo per l'economia politica internazionale), febbraio 2018, https://ecipe.org/publications/digital-companies-and-their-fair-share-of-taxes/?chapter=all.

(3)  Progetto OCSE/G20 sull'erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili, Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy Global Anti-Base Erosion Model Rules (Pillar Two) Inclusive Framework on BEPS [«Sfide in materia di fiscalità derivanti dalla digitalizzazione dell'economia — Norme tipo globali per contrastare l'erosione della base imponibile (secondo pilastro) — Quadro inclusivo sulla BEPS»], https://www.oecd.org/tax/beps/tax-challenges-arising-from-the-digitalisation-of-the-economy-global-anti-base-erosion-model-rules-pillar-two.pdf. Per una visione d'insieme, cfr. anche Jefferson VanderWolk, Squire Patton Boggs, Global Minimum Taxation for Large Multinationals («Livello minimo di imposizione globale delle grandi imprese multinazionali»), https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:6884197871441207296/.

(4)  Gli Stati Uniti applicano un loro regime con un'imposta minima globale (Global Intangible Low-Taxed Income, GILTI = imposta minima sui redditi da beni immateriali a bassa tassazione a livello globale), ma l'attuale normativa USA, secondo la Commissione, non è conforme alla norma IIR. Gli Stati Uniti sono attualmente al lavoro su una riforma del regime GILTI per renderlo compatibile con il secondo pilastro. L'OCSE valuterà con gli Stati Uniti e con i membri che aderiscono al quadro inclusivo le condizioni per l'equivalenza del regime GILTI riveduto rispetto al secondo pilastro. Fino a quando non si perverrà a un accordo su queste condizioni, le imprese europee potranno trovarsi in una situazione di svantaggio competitivo, anche se una norma UTPR già entrata in applicazione fornirebbe qualche assicurazione in tal senso.

(5)  «Al fine di garantirne l'attuazione uniforme in tutti gli Stati membri dell'UE, compresi quelli che non sono membri dell'OCSE e che non partecipano al quadro inclusivo, la Commissione proporrà una direttiva per l'attuazione del primo pilastro nell'UE». COM(2021) 251 final, pag. 9.

(6)  Per quanto riguarda le entità di investimento, esistono norme specifiche per determinare l'aliquota fiscale effettiva (effective tax rate — ETR), l'imposta complementare, la possibilità di considerarle come entità fiscalmente trasparenti e l'opzione di applicare il metodo di distribuzione dell'imponibile.

Per quanto riguarda i regimi fiscali di distribuzione, la direttiva prevede che, su decisione annuale dell'entità che presenta la domanda per quanto riguarda le entità costitutive assoggettate a un regime fiscale ammissibile di distribuzione, un'imposta presunta di distribuzione sia inclusa nel calcolo delle imposte contemplate rettificate delle entità costitutive pertinenti.

(7)  COM(2021) 823 final, pag. 3.

(8)  COM(2021) 823 final, pag. 3.

(9)  COM(2021) 823 final, pag. 16.

(10)  COM(2021) 823 final, pag. 16.

(11)  GU C 173 del 31.05.2017, pag. 29.

(12)  COM(2021) 251 final.

(13)  Cfr. il parere del CESE sul tema Tassazione delle imprese per il XXI secolo. in attesa di pubblicazione.

(14)  COM(2021) 823 final, pag. 2.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un punto di accesso unico europeo che fornisce un accesso centralizzato alle informazioni accessibili al pubblico pertinenti per i servizi finanziari, i mercati dei capitali e la sostenibilità

[COM(2021) 723 final — 2021/0378 (COD)]

e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica talune direttive per quanto concerne l’istituzione e il funzionamento del punto di accesso unico europeo

[COM(2021) 724 final — 2021/0379 (COD)]

e sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica taluni regolamenti per quanto concerne l’istituzione e il funzionamento del punto di accesso unico europeo

[COM(2021) 725 final — 2021/0380 (COD)]

(2022/C 290/10)

Relatore:

Florian MARIN

Consultazioni

Consiglio dell’Unione europea, 9.2.2022 [COM(2021) 724 final e COM(2021) 725 final], 15.2.2022 [COM(2021) 723 final]

Parlamento europeo, 14.2.2022

Base giuridica

Articoli 50, 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria e coesione economica e sociale

Adozione in sezione

3.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

215/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è favorevole alla creazione del punto di accesso unico europeo (ESAP), uno strumento che contribuirà a un’economia più sostenibile, digitale e inclusiva, al rafforzamento della sovranità digitale e a una migliore integrazione dei mercati dei capitali.

1.2.

Il CESE ritiene che l’ESAP dovrebbe essere più ambizioso e apportare un maggiore valore aggiunto consentendo il trattamento delle informazioni invece di limitarsi ad essere un mero strumento informativo per la raccolta di dati grezzi dotato di un punto di accesso unico. L’aggregazione e la trasformazione dei dati, nonché dei rapporti e delle analisi settoriali e territoriali, dovrebbero essere effettuate tramite l’ESAP.

1.3.

Il CESE propone che l’ESAP sia concepito come uno strumento flessibile e che sia possibile aggiungere nuove categorie di dati e comunicare con i registri nazionali o con Eurostat, tenendo conto dei diversi tipi di tecnologie. L’ESAP dovrebbe dare luogo ad una chiara sinergia tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e gli indicatori del Green Deal.

1.4.

Il CESE ritiene opportuno considerare la possibilità di creare un comitato consultivo che includa la società civile e le parti sociali sulla base di un processo di selezione trasparente e che decida in merito al futuro dell’ESAP e ai cambiamenti strategici.

1.5.

È importante ridurre le «zone bianche» per garantire un accesso all’ESAP senza discriminazioni. L’ESAP dovrebbe inoltre offrire funzionalità che permettano alle persone con disabilità di godere di un accesso adeguato senza discriminazioni.

1.6.

Il CESE osserva che è molto importante che l’ESAP garantisca procedure standard, la trasparenza, l’integrità dei dati e la credibilità della fonte delle informazioni, una convalida automatica dei dati facile da effettuare e un controllo adeguato dell’organismo di raccolta per la protezione dei dati. Nel prossimo futuro sarà importante una vigilanza appropriata e adeguata sui fornitori di dati finanziari e di dati ESG.

1.7.

Si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di sovvenzionare i costi di raccolta, generazione e gestione dei dati per le PMI e di esentare queste imprese da qualsiasi commissione, indipendentemente dalla quantità dei dati forniti, nonché di garantire condizioni di lavoro adeguate ai lavoratori responsabili della fornitura e della gestione dei dati.

1.8.

L’ESAP dovrebbe tracciare una distinzione chiara tra dati finanziari e non finanziari, attribuendo loro lo stesso livello di importanza, e offrire la possibilità, su base volontaria, di pubblicare dati sociali relativi all’attività di ciascuna impresa, alla sua direzione e ai suoi dipendenti, sulla base di criteri specifici.

1.9.

Il CESE ritiene necessario creare un helpdesk dedicato che fornisca assistenza agli utilizzatori affinché presentino le informazioni nel formato corretto e si assicurino che siano tecnicamente utilizzabili, nonché prevedere una formazione in materia di alfabetizzazione finanziaria e digitale. Un insieme minimo di indicatori chiave di prestazione (ICP) economici, definiti a livello UE con una metodologia comune, potrebbe essere inserito nell’ESAP al fine di garantire un utilizzo migliore e più ampio.

2.   Contesto

2.1.

La Commissione europea intende lanciare un punto di accesso unico che fornirà un accesso elettronico centralizzato a informazioni pertinenti per i mercati dei capitali e i servizi finanziari: non solo a quelle la cui pubblicazione è obbligatoria a norma della legislazione dell’UE (comprese le informazioni sulla sostenibilità), ma anche a quelle pubblicate volontariamente dalle imprese. L’ESAP rientra nel piano d’azione sull’Unione dei mercati dei capitali (1).

2.2.

Le informazioni saranno raccolte attraverso vari organismi di raccolta, incaricati, tra l’altro, di effettuare convalide automatizzate e di fornire assistenza tecnica ai soggetti che hanno trasmesso le informazioni. La Commissione ha espresso l’intenzione di rendere disponibile un maggior numero di dati da utilizzare nell’economia e nella società, anche attraverso lo sviluppo di spazi europei di dati. Essa mira a rendere disponibile per il riutilizzo una maggiore quantità di dati di alta qualità del settore pubblico, compresi quelli relativi alle imprese, agevolando e rendendo gratuito l’accesso a tali insiemi di dati (2). L’iniziativa legislativa della Commissione sull’ESAP giunge quindi al momento giusto ed è estremamente pertinente.

2.3.

L’ESAP garantirà un accesso gratuito e non discriminatorio alle informazioni, con la possibilità di addebitare commissioni per servizi specifici, ad esempio quando viene pubblicata una grande quantità di dati. La convalida automatizzata per verificare che le informazioni presentate dagli organismi di raccolta siano conformi ai requisiti sarà effettuata sulla base di un quadro tecnico stabilito e approvato dalla Commissione. L’ESAP sarà accessibile ogni mese almeno per il 95 % del tempo.

2.4.

L’ESAP conserverà — con alcune eccezioni — informazioni che non riguardano dati personali, e sarà monitorato tenendo conto di indicatori quali:

il numero di visitatori e di ricerche;

la percentuale di ricerche che portano a una visualizzazione o a un download;

il numero e la percentuale di informazioni leggibili meccanicamente accessibili tramite l’ESAP;

il numero e la percentuale di visualizzazioni e download leggibili meccanicamente;

la quota di notifiche in forza delle convalide automatizzate.

2.5.

L’ESAP offrirà una serie di funzionalità quali un’interfaccia di facile utilizzo in tutte le lingue dell’UE, una funzione di ricerca, un servizio di download, un approccio innovativo alla fornitura di servizi di traduzione e un servizio di notifica che informerà gli utenti della presenza di eventuali nuove informazioni. L’ESAP sarà valutato in base all’accessibilità, alla qualità e all’utilizzabilità delle informazioni, nonché alla soddisfazione degli utilizzatori finali e alla capacità degli utenti di conseguire i loro obiettivi. Affinché l’ESAP possa diventare operativo, sono in corso di modifica diverse direttive e regolamenti.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE appoggia l’iniziativa della Commissione di istituire l’ESAP. Rendere l’economia adatta per il futuro digitale, rafforzare la sovranità digitale, aumentare la velocità del flusso di informazioni e stabilire norme comuni, con particolare attenzione ai dati, alla tecnologia e alle infrastrutture: tutte queste sono priorità fondamentali per l’UE. L’ESAP promuove la finanza basata sui dati e migliora notevolmente l’accesso delle aziende, delle imprese e degli istituti finanziari a dati e informazioni relativi a diversi soggetti. L’ESAP contribuirà a creare un’economia più sostenibile, digitale e inclusiva nonché a migliorare l’integrazione dei mercati dei capitali. Nel suo parere sul tema Un’Unione dei mercati dei capitali per le persone e le imprese: nuovo piano d’azione, il CESE afferma che un punto di accesso unico europeo è una priorità per migliorare l’efficienza dell’Unione dei mercati dei capitali (3).

3.2.

Il CESE concorda con il fatto che l’ESAP non crea nuovi obblighi di comunicazione e si avvale degli obblighi di informativa esistenti ai sensi del diritto dell’UE. Grazie all’ESAP, sarà possibile valutare meglio in che modo soggetti europei contribuiscono alla sostenibilità e agli obiettivi climatici. Le informazioni relative alla sostenibilità sono fondamentali per reindirizzare gli investimenti verso progetti che sosterranno la transizione verde, come sottolineato dai portatori di interessi nella consultazione sulla strategia rinnovata in materia di finanza sostenibile (4).

3.3.

L’ESAP garantisce l’accesso alle informazioni per un certo periodo di tempo, comprese le informazioni passate, il che è importante per garantire adeguati processi decisionali nei mercati dei capitali. La finanza europea è problematica perché dà luogo a condizioni di disparità: i costi di finanziamento che le imprese devono sostenere dipendono in larga misura dal paese in cui hanno sede, le start-up a corto di garanzie hanno difficoltà a ottenere qualsiasi tipo di finanziamento e i consumi non sono protetti dagli shock economici locali (5). Il monitoraggio dei risultati economici e in materia di sostenibilità sarà fondamentale per i mercati dei capitali e per le future decisioni di investimento.

3.4.

L’ESAP viene creato in un momento in cui il settore finanziario dell’UE sta affrontando una profonda trasformazione dovuta alle due grandi transizioni, ossia quella digitale e quella climatica. Dei posti di lavoro andranno perduti, si dovranno acquisire nuove competenze, le responsabilità dei lavoratori stanno cambiando e saranno messi in atto dei licenziamenti o nuovi modelli organizzativi di lavoro. L’ESAP potrebbe consentire di gestire positivamente alcuni degli effetti forieri di difficoltà prodotti dai processi di trasformazione finanziaria nell’UE.

3.5.

L’ESAP ha il potenziale per essere un fattore di sviluppo e di investimento. Le PMI che desiderano aumentare la loro visibilità potrebbero essere incoraggiate a pubblicare i propri dati per attrarre futuri investimenti e mercati. Il CESE suggerisce di tenere conto del ruolo degli intermediari di software, in quanto alcune imprese, per lo più PMI, collaboreranno con questi tipi di soggetti al fine di ridurre gli oneri amministrativi connessi alla gestione e all’archiviazione dei dati. L’ESAP contribuirà a rendere meno costoso il processo decisionale in materia di investimenti e ad aumentare la visibilità per le PMI.

3.6.

L’ESAP dovrebbe consentire un’interoperabilità efficiente con Eurostat e con i registri nazionali. La dinamica degli interessi pubblici o di mercato in materia di trasparenza e di dati dovrebbe essere integrata rendendo possibile aggiungere in futuro nuove categorie di dati. L’ESAP dovrebbe essere concepito come uno strumento di dati flessibile rispetto ai vari settori e alle iniziative europee. E in tale contesto è importante la comunicazione tra le diverse tecnologie. Il costo dell’aggiunta di nuovi dati dovrebbe essere valutato dal punto di vista del suo impatto sui mercati dei capitali e dal punto di vista della gestione dei dati.

3.7.

Affinché tutte le imprese abbiano accesso all’ESAP, nonché per evitare discriminazioni, è importante garantire un’adeguata connettività internet in tutta l’Unione europea. È fondamentale investire nella riduzione delle «zone bianche» e garantire l’accesso all’ESAP a tutti i cittadini e alle parti interessate del mercato dei capitali.

3.8.

L’ESAP dovrebbe assicurare l’integrità dei dati e la credibilità della fonte delle informazioni trasmesse agli organismi di raccolta. La convalida automatizzata delle informazioni dovrebbe essere semplice e facile da effettuare. Garantire l’accesso a informazioni valide e adeguate e proteggere i consumatori devono continuare ad essere costantemente delle priorità. Anche gli organismi di raccolta dovrebbero essere adeguatamente monitorati, e la protezione dei dati dovrebbe anch’essa costituire stabilmente una priorità.

3.9.

Migliori opportunità di finanziamento per le imprese creeranno nuove opportunità per il mercato dell’UE e nuove opportunità di lavoro. L’ESAP dovrebbe tenere conto di tutti i tipi di investimenti e operatori di mercato, anche nel settore dell’economia sociale o del crowdfunding, che hanno un impatto positivo sull’interesse generale, in particolare per le persone vulnerabili. L’ESAP dovrebbe offrire funzionalità che permettano alle persone con disabilità di godere di un accesso adeguato.

3.10.

Il CESE approva il fatto che l’utilizzo dell’ESAP e la divulgazione di alcune informazioni saranno gratuiti. Tuttavia, il costo delle licenze o della raccolta, della generazione e della gestione dei dati potrebbe essere elevato. È opportuno introdurre incentivi fiscali e sovvenzioni per le PMI al fine di ridurre i costi di fornitura dei dati, specie per quanto riguarda le relazioni obbligatorie. Gli investimenti in attrezzature software e hardware per le imprese e altre parti interessate del mercato dei capitali devono essere sostenuti tramite finanziamenti dell’UE al fine di consentire un buon utilizzo dell’ESAP e una corretta interazione con quest’ultimo. A tale riguardo è necessario un maggiore coinvolgimento a livello degli Stati membri. Le PMI dovrebbero essere esentate da qualsiasi commissione, indipendentemente dalla quantità di informazioni in corso di pubblicazione. L’importo delle commissioni, quando vengono applicate, dovrebbe essere trasparente ed essere stabilito in collegamento diretto con i costi della gestione dei dati.

3.11.

L’ESAP dovrebbe trattare allo stesso modo le società quotate e non quotate, indipendentemente dalle dimensioni o dall’ubicazione geografica. L’ESAP dovrebbe diventare uno strumento che genera valore aggiunto apportando una maggiore efficienza nella comunicazione, nella trasparenza e nella gestione dei dati.

3.12.

La governance dell’ESAP dovrebbe basarsi sul coinvolgimento della società civile e prevedere una struttura di governance a due livelli, ossia:

un comitato consultivo, che dovrebbe comprendere la società civile e le parti sociali sulla base di un processo di selezione trasparente e decidere in merito al futuro dell’ESAP e ai cambiamenti strategici;

un comitato esecutivo che garantisca le norme tecniche e il corretto funzionamento dell’ESAP.

3.13.

In un contesto in cui l’esposizione delle banche è elevata, la fiducia degli investitori e la decisione di investire in imprese che ricorrono ai mercati dei capitali dipendono dalla disponibilità di informazioni di facile accesso, di qualità e comparabili. Per creare una relazione efficiente e completa tra emittenti e investitori, il CESE afferma che è di cruciale importanza definire procedure standard. La standardizzazione deve prevedere le stesse scadenze per la comunicazione e le stesse metodologie per i dati pubblicati, secondo il principio «stessa attività, stesso rischio, stesse norme».

3.14.

La crisi della COVID-19 e la necessità di una ripresa sostenibile e inclusiva che non lasci indietro nessuno hanno aumentato la pressione ad accelerare l’attuazione del piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali. Il fabbisogno delle imprese in termini di finanziamenti e investimenti è più elevato che mai.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Per il CESE è evidente che l’Unione dei mercati dei capitali non è un’opzione facoltativa a beneficio di alcuni, ma deve diventare una realtà in tutti gli Stati membri dell’UE. Occorre prevedere risorse finanziarie e umane adeguate per garantire un uso efficiente ed efficace dell’ESAP. Coinvolgere e sostenere gli Stati membri e le autorità di vigilanza nazionali al fine di garantire il riconoscimento dell’ESAP quale importante strumento europeo di dati per le imprese, gli investitori e gli intermediari finanziari dovrebbe costituire una priorità. L’ESAP, i vantaggi che esso apporta e l’importanza che esso riveste, dovrebbero essere promossi attivamente in tutti gli Stati membri, e a tal fine si potrebbe ricorrere ai social media.

4.2.

Il CESE approva l’intenzione della Commissione di aumentare la trasparenza, di rendere disponibile un maggior numero di dati (6) e di sostenere la trasformazione digitale della finanza nei prossimi anni, come indicato nella strategia in materia di finanza digitale (7). La possibilità di aggregare i dati e di elaborare relazioni dovrebbe essere integrata nell’ESAP (8). Dovrebbero esistere funzionalità di confronto e di informazione periodica. L’ESAP potrebbe includere un forum delle parti interessate che consenta di discutere, illustrare e condividere le buone pratiche.

4.3.

Il CESE propone di creare un helpdesk dedicato che fornisca assistenza agli utilizzatori per presentare le informazioni nel formato corretto e garantire che siano tecnicamente utilizzabili. L’assistenza fornita dovrebbe comprendere procedure comuni e un quadro per la coerenza, la comparabilità e l’utilizzabilità dei dati. Infine, per garantire un processo efficace sotto il profilo dei costi, l’ESAP dovrebbe lavorare con i formati di file più comuni, quali XBRL, PDF, XML, HTML, CSV, TXT e XLS.

4.4.

Il CESE ritiene che la digitalizzazione e i dati centralizzati avranno un impatto positivo sulla comunicazione. Ciò determinerà dei miglioramenti nelle diverse prove di stress e analisi climatiche, e porterà a un’individuazione e a un monitoraggio più accurati dei portafogli degli istituti finanziari in relazione agli obiettivi dell’accordo di Parigi in materia di cambiamenti climatici. L’ESAP sarà uno strumento che contribuirà a individuare i rischi potenziali e a creare opportunità per le imprese, e potrà anche servire a promuovere la ricerca nelle PMI a livello europeo.

4.5.

Il CESE suggerisce di attribuire lo stesso livello di importanza in termini di visibilità e di status ai dati finanziari e a quelli non finanziari. Le informazioni di carattere non finanziario dovrebbero includere, su base volontaria, dati sociali relativi all’attività di ciascuna impresa e ai suoi dipendenti. I dati relativi alla direzione e al personale dell’impresa (numero di dipendenti, genere ecc.), da fornire su base volontaria, non dovrebbero essere esclusi. A tale riguardo potrebbero essere stabiliti criteri specifici per le informazioni sociali.

4.6.

Il CESE ritiene che l’ESAP dovrebbe essere più ambizioso. Più precisamente, occorrerebbe aggiungere ulteriori obiettivi, andare al di là della mera raccolta di dati grezzi e creare maggiore valore aggiunto facendo sì che l’ESAP possa trattare le informazioni anziché costituire semplicemente uno strumento informativo dotato di un punto di accesso unico. Il CESE accoglie con favore il fatto che l’ESAP sarà disponibile in tutte le lingue ufficiali dell’UE. Il ruolo e l’importanza dell’ESAP sono fondamentali per garantire ai ricercatori, alle parti sociali, alle ONG, al mondo accademico e agli analisti un accesso più ampio, adeguato, equo, paritario e immediato alle informazioni. L’ESAP potrebbe sostenere l’emergere di nuove piattaforme private di trattamento delle informazioni; tuttavia, il costo del loro utilizzo e l’accesso ai mercati dei capitali rimarranno un problema, soprattutto per i piccoli investitori come le singole persone fisiche.

4.7.

Consentire l’utilizzo dei megadati, l’apprendimento automatico e l’intelligenza artificiale renderà più efficiente l’uso delle informazioni per creare mercati dei capitali più integrati e renderà l’economia dell’UE più resiliente. Relazioni ed analisi settoriali e territoriali dovrebbero costituire delle opzioni disponibili per i futuri utenti dell’ESAP. Il controllo e la garanzia della validità dei dati dovrebbero rimanere una preoccupazione costante. Il sovrapporsi della comunicazione e della gestione dei dati deve essere attentamente monitorato. Tuttavia, il CESE ritiene che fornire dati grezzi sia troppo poco ambizioso, e in ogni caso insufficiente per i nuovi investitori che non hanno familiarità con i mercati dei capitali ma valutano la possibilità di investirvi.

4.8.

L’ESAP deve essere lanciato per conseguire non solo l’obiettivo del mercato dei capitali, ma anche obiettivi politici complementari, come il contributo delle imprese agli indicatori degli OSS delle Nazioni Unite. Concedere ai paesi terzi l’accesso ai dati potrebbe contribuire a garantire investimenti supplementari per le imprese dell’UE in futuro. L’ESAP dovrebbe seguire l’esempio del portale InvestEU e potrebbe sostenere l’efficace attuazione dell’Unione dei mercati dei capitali (9).

4.9.

Il CESE ritiene che occorra garantire l’alfabetizzazione finanziaria (azione 7 del piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali) e l’alfabetizzazione digitale. È inoltre necessario un manuale per l’alfabetizzazione finanziaria e i dati. Si potrebbero elaborare e promuovere orientamenti specifici per comprendere l’importanza dei dati e per utilizzarli e condividerli. E a questi scopi si potrebbero utilizzare fondi a titolo del FSE+. Dovrebbe esservi un impegno costante a garantire condizioni di lavoro corrette e adeguate per i lavoratori coinvolti nella raccolta e nella gestione dei dati provenienti da varie imprese o parti interessate.

4.10.

Il CESE propone di integrare nell’ESAP un insieme minimo di indicatori chiave di prestazione (ICP) economici, definiti a livello dell’UE, come pure una metodologia comune per garantire un uso migliore e più ampio dello strumento. Occorre assicurare una chiara sinergia con l’articolo 8 della tassonomia dell’UE sulla sostenibilità (10), dal momento che l’ESAP comprende anche dati su quest’ultima. L’ESAP dovrebbe comprendere uno spazio dedicato alle statistiche del Green Deal e al contributo delle imprese ai relativi indicatori.

4.11.

Infine, il CESE auspica che la Commissione europea valuti i vantaggi di una regolamentazione e di una vigilanza adeguate e proporzionate dei fornitori di dati finanziari e ESG, in quanto essi continueranno a svolgere un ruolo chiave, sia a monte che a valle, una volta che l’ESAP diventerà operativo.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Azione 1, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un’Unione dei mercati dei capitali per le persone e le imprese: nuovo piano di azione, 24.9.2020, COM(2020) 590 final.

(2)  Direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico (GU L 172 del 26.6.2019, pag. 56).

(3)  GU C 155 del 30.4.2021, pag. 20.

(4)  Organizzazione internazionale delle commissioni sui valori mobiliari (2020), Relazione La finanza sostenibile e il ruolo delle autorità di regolamentazione dei valori mobiliari e dell'IOSCO.

(5)  https://blogs.imf.org/2019/09/10/a-capital-market-union-for-europe-why-its-needed-and-how-to-get-there

(6)  COM(2020) 66 final.

(7)  COM(2020) 591 final.

(8)  Simile al cloud europeo per la scienza aperta.

(9)  GU C 155 del 30.4.2021, pag. 20.

(10)  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32020R0852&from=IT.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/64


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2015/760 per quanto riguarda il novero delle attività e degli investimenti ammissibili, gli obblighi in materia di composizione e diversificazione del portafoglio, l'assunzione in prestito di liquidità e altre norme sui fondi e per quanto riguarda gli obblighi relativi all'autorizzazione, alle politiche di investimento e alle condizioni di esercizio dei fondi di investimento europei a lungo termine

[COM(2021) 722 final — 2021/0377 (COD)]

(2022/C 290/11)

Relatore:

Pierre BOLLON

Consultazione

Parlamento europeo, 14.2.2022

Consiglio dell'Unione europea, 22.3.2022

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

3.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

111/1/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE appoggia con decisione l'equilibrata proposta di revisione del regolamento sui fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF), dal momento che la versione precedente del regolamento non ha raggiunto gli obiettivi prefissi. È particolarmente necessario indirizzare le risorse finanziarie e i risparmi verso investimenti a lungo termine, ai fini di una ripresa post-COVID socialmente inclusiva e della duplice transizione digitale e climatica. In quest'ottica risulta davvero essenziale una revisione approfondita del regolamento ELTIF. Il CESE auspica pertanto che il processo di adozione non porti all'imposizione di nuovi obblighi normativi, che indebolirebbero la spinta verso quella maggiore semplicità giustamente proposta dalla Commissione.

1.2.

La proposta nota come «ELTIF 2» è importante e giunge al momento opportuno, in quanto può stimolare in maniera rilevante la crescita economica e la creazione di posti di lavoro nell'UE. Gli ELTIF sono fondi a lungo termine che si fregiano di un «passaporto europeo», e dovranno svolgere un ruolo significativo nel finanziamento della duplice transizione climatica e digitale, nello sviluppo delle infrastrutture sociali e di trasporto, nel sostegno ai progetti immobiliari a fini abitativi, nonché — naturalmente — nel finanziamento delle piccole e medie imprese europee, in particolare di quelle innovative, e delle imprese in fase di avviamento (start-up).

1.3.

Purtroppo in questa fase non è disponibile una stima sufficientemente precisa dei finanziamenti a lungo termine che mancano globalmente all'appello. È ancora necessario lavorare a livello europeo per ottenere una stima migliore, ma il fabbisogno di finanziamenti è indubbiamente elevato e ammonta a diverse centinaia di miliardi di euro.

1.4.

Soprattutto, il CESE sottolinea con forza l'importanza tanto dei finanziamenti per l'indispensabile transizione verso un'economia europea a intensità di carbonio molto minore (e, in definitiva, neutra in termini di emissioni di carbonio) quanto della strategia europea per finanziare la transizione verso un'economia sostenibile. È altresì necessario aumentare l'accessibilità dei dati ESG (ambientali, sociali e di governance) e finanziari, in particolare attraverso il progetto del punto di accesso unico europeo (ESAP) e, soprattutto, la necessaria regolamentazione e vigilanza sui fornitori di dati.

1.5.

La proposta «ELTIF 2» della Commissione europea contiene miglioramenti mirati riguardo agli investimenti ammissibili. Questo permetterà di ampliare la gamma di investimenti degli ELTIF, oltre a sostenere la crescita economica e la competitività, e consentirà anche di allargare, sul piano geografico, il novero degli investimenti in Europa.

1.6.

Il CESE è favorevole all'adeguamento dei precedenti ostacoli dissuasivi all'accesso agli ELTIF da parte degli investitori al dettaglio, che attualmente non possono beneficiare dei rendimenti sugli investimenti a lungo termine. Gli ELTIF completerebbero quindi l'attuale successo degli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM). Si tratta di un passo importante, tanto più che la protezione degli investitori è rafforzata sia dal nuovo, forte legame con le «valutazioni di idoneità» obbligatorie ai sensi della direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID II) che dalla maggiore chiarezza delle norme in materia di conflitti di interesse. Il CESE rinnova inoltre con vigore i numerosi inviti a sviluppare l'alfabetizzazione finanziaria per gli investitori in ogni paese d'Europa.

1.7.

Il CESE approverebbe l'introduzione di ELTIF «parzialmente aperti» (accanto a quelli «chiusi»), vale a dire di ELTIF eventualmente grandi e diversificati che possano consentire rimborsi (e sottoscrizioni) dopo un periodo di preavviso, purché ovviamente tale possibilità sia chiaramente indicata nella documentazione fornita ai clienti e sia verificata dall'autorità nazionale competente. Nell'ottica di contribuire a renderli più «liquidi», questi ELTIF dovrebbero essere in grado di investire fino al 50 % (ed eventualmente anche di più) del capitale disponile in attività diversificate, nel rispetto delle norme sugli OICVM. A questo fine sarebbe utile anche un ulteriore aumento del possibile livello di investimenti in altri fondi.

1.8.

Dato che gli ELTIF sono tenuti a rispettare rigorosamente le norme stabilite in un regolamento europeo, quale ulteriore azione utile la Commissione europea potrebbe valutare l'opportunità e la fattibilità di consentire agli ELTIF di fregiarsi di un codice internazionale di identificazione dei titoli (ISIN) «.eu», migliorandone quindi la disponibilità e visibilità transfrontaliere. È auspicabile che l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) svolga un ruolo di rilievo nell'adozione delle norme tecniche di regolamentazione, nella promozione della convergenza in materia di vigilanza e nel coordinamento delle attività di vigilanza, assieme alle autorità di regolamentazione nazionali competenti.

1.9.

È importante facilitare l'ammissibilità degli ELTIF per i conti di risparmio, per i contratti di assicurazione sulla vita di tipo «unit-linked» (ossia, collegati a un fondo d'investimento), per i piani di risparmio dei dipendenti e, ovviamente, per i meccanismi pensionistici come il prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP). Parallelamente, l'attuale proposta sulla rifusione della direttiva Solvibilità 2 e la futura revisione della direttiva relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP) potrebbero prevedere un incentivo per le imprese dei settori assicurativo o pensionistico affinché investano negli ELTIF.

1.10.

Da ultimo, ma non meno importante, gli investitori europei in ELTIF dovrebbero poter beneficiare, per i loro risparmi, del trattamento fiscale migliore concesso dal rispettivo paese di residenza. Gli investitori a lungo termine dovrebbero beneficiare in ogni paese europeo di norme fiscali stabili e incentivanti.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1.

Il «regolamento ELTIF» è un quadro europeo per i fondi di investimento alternativi (FIA) che collocano il risparmio in investimenti a lungo termine quali progetti di infrastrutture sociali e di trasporto, beni immobili, nonché piccole e medie imprese (PMI). Il regolamento ELTIF stabilisce norme uniformi in materia di rilascio dell'autorizzazione, di politiche di investimento e di condizioni di esercizio, nonché di commercializzazione, per gli ELTIF.

2.2.

Il quadro normativo degli ELTIF è inteso a facilitare gli investimenti a lungo termine in questi tipi di attività da parte degli investitori istituzionali e al dettaglio, e a fornire una fonte alternativa non bancaria di finanziamento all'economia reale.

2.3.

La revisione in esame mira ad aumentare la diffusione degli ELTIF in tutta l'UE a vantaggio dell'economia e degli investitori europei. Ciò, a sua volta, sosterrebbe il costante sviluppo dell'Unione dei mercati dei capitali, che mira anche ad agevolare l'accesso delle imprese dell'UE a finanziamenti a lungo termine più stabili, sostenibili e diversificati.

2.4.

Dall'adozione del quadro giuridico originario sugli ELTIF nell'aprile del 2015 sono stati autorizzati solo 67 ELTIF (secondo i dati disponibili nel febbraio 2022), con un volume relativamente esiguo di attività nette gestite (stimate a circa 2,4 miliardi di EUR nel 2021). Tali ELTIF autorizzati sono domiciliati solo in quattro Stati membri (Spagna, Francia, Italia e Lussemburgo), mentre gli altri Stati membri non avevano ELTIF nazionali.

2.5.

Sebbene il quadro giuridico degli ELTIF sia ancora relativamente recente, i dati di mercato disponibili indicano che il mercato non si è sviluppato secondo le previsioni.

2.6.

Sulla base della valutazione del funzionamento del quadro giuridico degli ELTIF e dei riscontri dei portatori di interessi, i vantaggi degli ELTIF risultano sminuiti dalle norme restrittive sui fondi e dagli ostacoli all'accesso per gli investitori al dettaglio, il cui effetto combinato riduce l'utilità, l'efficacia e l'attrattiva del quadro giuridico degli ELTIF per gestori e investitori. Queste restrizioni sono i principali fattori alla base dell'incapacità del segmento degli ELTIF di crescere in modo significativo e di sfruttare appieno il potenziale di tali fondi per convogliare gli investimenti verso l'economia reale.

2.7.

A tale riguardo, la revisione del quadro normativo degli ELTIF mira ad accelerarne la diffusione e a migliorarne l'attrattiva apportando modifiche mirate alle norme opportune. Ciò significa, in particolare, ampliare il novero delle attività e degli investimenti ammissibili, consentendo norme sui fondi più flessibili che includano l'agevolazione delle strategie di fondo di fondi, e ridurre gli ostacoli ingiustificati che impediscono agli investitori al dettaglio di accedere agli ELTIF, in particolare il requisito dell'investimento iniziale di 10 000 EUR e quello della soglia aggregata massima del 10 % per gli investitori al dettaglio i cui portafogli finanziari sono inferiori a 500 000 EUR.

2.8.

Inoltre, la proposta mira a permettere alla struttura degli ELTIF di esercitare un richiamo maggiore semplificando le regole sui fondi selezionati per gli ELTIF che sono distribuiti esclusivamente agli investitori professionali. La revisione del quadro giuridico degli ELTIF introduce inoltre un meccanismo facoltativo di «sportello di liquidità» volto a fornire liquidità aggiuntiva agli investitori in ELTIF e ai nuovi sottoscrittori senza richiedere un prelievo dal capitale degli ELTIF. La proposta mira inoltre ad assicurare che esistano adeguate garanzie a protezione degli investitori.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia con decisione l'equilibrata proposta di revisione del regolamento sui fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF), dal momento che la versione precedente del regolamento non ha raggiunto gli obiettivi prefissi. Il CESE ha già accolto con favore questa revisione nel suo parere sul tema Unione dei mercati dei capitali (1), un'iniziativa che costituisce il pilastro portante dell'omonimo piano d'azione.

3.2.

Risulta infatti particolarmente necessario indirizzare le risorse finanziarie e i risparmi verso investimenti a lungo termine non solo per migliorare l'efficienza e la sicurezza dei mercati dei capitali dell'Europa, ma anche ai fini di una ripresa post-COVID socialmente inclusiva e della duplice transizione digitale e climatica. In quest'ottica è davvero essenziale una revisione approfondita del regolamento ELTIF. Il CESE auspica pertanto che il processo di adozione non porti all'imposizione di nuovi obblighi normativi, che indebolirebbero la spinta verso quella maggiore semplicità giustamente proposta dalla Commissione.

3.3.

Gli ELTIF sono fondi a lungo termine che possono essere commercializzati e sottoscritti a livello transfrontaliero in tutta l'Unione, in quanto si fregiano di un «passaporto europeo». Tali fondi potranno svolgere un ruolo significativo nella costruzione di infrastrutture (ad esempio nel settore dei trasporti e dell'energia), nell'ammodernamento degli alloggi, nel finanziamento della ricerca e dello sviluppo, nonché — ovviamente — nel finanziamento delle PMI e delle start-up europee (i cui investimenti non possono generalmente contare sulla liquidità fornita da una quotazione sui mercati finanziari), promuovendo in tal modo la creazione di posti di lavoro.

3.4.

Soprattutto, il CESE sottolinea altresì con forza l'importanza tanto dei finanziamenti per l'indispensabile transizione verso un'economia europea inclusiva e a intensità di carbonio molto minore (e, in definitiva, neutra in termini di emissioni di carbonio) quanto della strategia europea per finanziarie la transizione verso un'economia sostenibile, in particolare la proposta di direttiva relativa alla comunicazione societaria sulla sostenibilità e la prevista tassonomia sociale. È altresì necessario aumentare l'accessibilità dei dati ESG (ambientali, sociali e di governance) e finanziari, in particolare attraverso il progetto del punto di accesso unico europeo (ESAP) e, soprattutto, la necessaria regolamentazione e vigilanza sui fornitori di dati. I lavori sull'etichettatura ESG dovrebbero inoltre essere accelerati per fornire orientamenti agli investitori in ELTIF.

3.5.

La proposta «ELTIF 2» della Commissione europea appare ben calibrata e proporzionata, e contiene giustamente miglioramenti mirati, riguardo agli investimenti ammissibili, che consentiranno di dare un sostegno più netto alla crescita e alla competitività proprio attraverso gli ELTIF. Un numero significativo di tali fondi risulterà quindi più diversificato, in quanto la gamma degli investimenti degli ELTIF verrà ampliata aumentando le opportunità, mentre altri fondi presenteranno una concentrazione maggiore, convogliando il capitale disponibile sugli investimenti principali. Queste modifiche permetteranno inoltre agli ELTIF di allargare, sul piano geografico, il novero degli investimenti in Europa.

3.6.

Il CESE è favorevole all'adeguamento dei precedenti ostacoli dissuasivi all'accesso agli ELTIF da parte degli investitori al dettaglio. Tenuto conto dell'enorme volume di risparmi che attualmente non può beneficiare dei rendimenti sugli investimenti a lungo termine, si tratta di un passo importante, soprattutto in un contesto di tassi d'interesse bassi (anche se in aumento, in taluni casi) e di pressioni inflazionistiche. Per quanto riguarda la protezione degli investitori, l'estensione della gamma delle attività ammissibili e delle strategie di investimento riveste una grande importanza e sarà più efficiente delle restrizioni dettagliate introdotte nel 2015, che hanno avuto l'inconveniente di limitare pesantemente l'offerta di fondi sia agli investitori istituzionali che a quelli al dettaglio. Il CESE accoglie con favore il nuovo forte legame con le «valutazioni di idoneità» obbligatorie ai sensi della direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID II), nonché la maggiore chiarezza delle norme in materia di conflitti di interesse. Il CESE rinnova inoltre con vigore numerosi inviti a sviluppare l'alfabetizzazione finanziaria per gli investitori in ogni paese d'Europa.

3.7.

Una tipologia di ELTIF presenta caratteristiche che la rendono simile ai fondi «chiusi». Per questi fondi, il modo classico di fornire liquidità agli investitori consiste — come proposto — in meccanismi facoltativi di «sportello di liquidità» attraverso meccanismi di negoziazione sul mercato secondario, ma tali meccanismi sono spesso difficilmente attuabili — se non addirittura impraticabili — nella realtà, in particolare quando i «market maker» sono scarsi (un rischio che il CESE aveva già evidenziato nel suo parere del 16 ottobre 2013 e che purtroppo si è avverato).

3.8.

Per questo motivo, il CESE sarebbe favorevole a introdurre, accanto a tali ELTIF «chiusi», anche ELTIF «parzialmente aperti» (2), vale a dire ELTIF eventualmente grandi e diversificati che possano consentire rimborsi (e anche sottoscrizioni) periodicamente (ad esempio due volte all'anno) dopo un periodo di preavviso (ad esempio di 90 giorni), purché ovviamente tale possibilità sia chiaramente indicata nella documentazione fornita dal gestore dell'ELTIF ai clienti e sia verificata dall'autorità nazionale competente. La proposta della Commissione di introdurre maggiore chiarezza nelle norme tecniche di regolamentazione per quanto riguarda le percentuali di rimborso (o di ritiro delle quote) costituisce un primo passo concreto nella direzione giusta, che dovrebbe essere seguito da altri passi. Nell'ottica di contribuire a renderli più «liquidi», gli ELTIF parzialmente aperti dovrebbero essere in grado di investire fino al 50 % (ed eventualmente anche di più) del capitale disponibile in attività diversificate, nel rispetto delle norme sugli OICVM. A questo fine sarebbero utili anche ulteriori aumenti del possibile livello di investimenti in altri fondi.

3.9.

Il CESE auspica che i fondi raccolti attraverso gli ELTIF siano essenzialmente investiti nell'economia dell'UE, tenuto conto della serrata concorrenza a livello mondiale e della necessità di finanziare la duplice transizione. Purtroppo in questa fase non è disponibile una stima sufficientemente precisa dei finanziamenti a lungo termine che mancano all'appello. È quindi ancora necessario lavorare a livello europeo per ottenere una stima migliore, ma il fabbisogno di finanziamenti è indubbiamente elevato e ammonta a diverse centinaia di miliardi di euro — pari a una percentuale a una cifra del prodotto interno lordo (PIL) dell'UE — se si sommano i fabbisogni per clima e sostenibilità, capitale proprio, PMI innovative e start-up, infrastrutture di trasporto e — soprattutto — infrastrutture sociali.

3.10.

Dato che gli ELTIF sono tenuti a rispettare rigorosamente le norme stabilite in un regolamento europeo, quale ulteriore azione utile la Commissione europea potrebbe valutare l'opportunità e la fattibilità di consentire agli ELTIF di fregiarsi di un codice ISIN «.eu», migliorandone quindi la disponibilità e visibilità transfrontaliere. A tale riguardo, il CESE accoglie con favore il rafforzamento del registro degli ELTIF autorizzati, come proposto dalla Commissione. Il CESE chiede la definizione e applicazione di norme chiare a livello dell'UE, con un ruolo guida effettivo per l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) e con la debita cooperazione da parte delle autorità di regolamentazione nazionali competenti. Le norme devono soprattutto garantire che i gestori di ELTIF forniscano strumenti di gestione della liquidità adeguati nei fondi che lanceranno, nonché informazioni chiare e precise sulle commissioni e sui rischi, come già stabilito nel regolamento relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (PRIIP) e nelle normative MiFID.

3.11.

È importante facilitare l'ammissibilità degli ELTIF per i conti di risparmio, per i contratti di assicurazione sulla vita di tipo «unit-linked» (ossia, collegati a un fondo d'investimento), per i piani di risparmio dei dipendenti e, ovviamente, per i meccanismi pensionistici come il prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP). Parallelamente, l'attuale proposta sulla rifusione della direttiva Solvibilità 2 e la futura revisione della direttiva sugli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP) potrebbero prevedere un incentivo per le imprese dei settori assicurativo o pensionistico affinché investano negli ELTIF.

3.12.

Da ultimo, ma non meno importante, gli investitori europei in ELTIF dovrebbero poter beneficiare, per i loro risparmi, del trattamento fiscale migliore concesso dal rispettivo paese di residenza. Attualmente, purtroppo, in numerosi paesi europei il risparmio a breve termine in attività liquide è in molti casi favorito sul piano fiscale, con l'effetto di inviare agli investitori il messaggio sbagliato secondo cui è meglio «preferire la liquidità» anche quando si potrebbe indirizzare il risparmio verso il lungo termine. In ogni caso, gli investitori a lungo termine dovrebbero beneficiare di norme fiscali stabili e incentivanti.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU C 155 del 30.4.2021, pag. 20.

(2)  Come attualmente previsto nel Regno Unito dall'imminente piano LTAF (Long Term Asset Fund). Identica opinione è stata espressa dalla maggior parte dei partecipanti alla consultazione che ha preceduto la relazione sulla valutazione d'impatto elaborata dalla Commissione (cfr. pag. 73).


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 600/2014 per quanto riguarda il miglioramento della trasparenza dei dati di mercato, l'eliminazione degli ostacoli all'emergere di un sistema consolidato di pubblicazione, l'ottimizzazione degli obblighi di negoziazione e il divieto di ricevere pagamenti per la trasmissione degli ordini dei clienti

[COM(2021) 727 final — 2021/0385 (COD)]

(2022/C 290/12)

Relatore:

Jörg Freiherr FRANK VON FÜRSTENWERTH

Consultazione

Consiglio dell'Unione europea, 3.2.2022

Parlamento europeo, 27.1.2022

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

3.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

210/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace del fatto che la Commissione abbia tempestivamente presentato una proposta riguardante l'istituzione di un sistema consolidato di pubblicazione per ciascuna classe di attività (azioni, fondi indicizzati quotati, obbligazioni e strumenti derivati) come annunciato nel piano d'azione del 2020 per l'Unione dei mercati dei capitali (1). Trattandosi di un ulteriore passo avanti verso la realizzazione di detta Unione, il CESE appoggia la proposta della Commissione europea.

1.2.

Il CESE ribadisce che l'istituzione dell'Unione dei mercati dei capitali costituisce una priorità e un presupposto importante per la creazione di un vero mercato interno, per il superamento delle conseguenze della pandemia di COVID-19 e per la transizione verso un'economia sostenibile in Europa.

1.3.

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento che introduce il sistema consolidato europeo di pubblicazione elettronica e le relative misure di accompagnamento. Se attuati correttamente, questi miglioreranno notevolmente la trasparenza e la disponibilità dei dati di mercato, allineeranno i quadri normativi delle sedi di esecuzione e rafforzeranno i mercati dei capitali europei. La trasparenza consolidata ridurrà significativamente le conseguenze della marcata frammentazione che ancora caratterizza i mercati dei capitali europei.

1.4.

Il CESE attribuisce grande importanza al fatto di garantire a tutti, ma anche e soprattutto, com'è naturale, alle piccole e medie imprese e in generale agli investitori al dettaglio, un accesso non discriminatorio e gratuito ai dati di mercato. Il CESE invita la Commissione europea a ridurre le attuali asimmetrie di informazione.

1.5.

Il Comitato raccomanda alla Commissione di intraprendere, nel quadro della creazione dell'Unione dei mercati dei capitali, altre attività per sviluppare ulteriormente la cultura della partecipazione azionaria, che presenta in Europa caratteristiche molto differenziate. Tra queste figurano, in aggiunta alle norme in materia di protezione preventiva dei consumatori, volte a instaurare fiducia, anzitutto misure tese a migliorare l'educazione dei consumatori. Il CESE invita inoltre la Commissione europea a riconoscere grande importanza agli aspetti della sicurezza e della salute sul lavoro, nonché delle condizioni lavorative in tutte le misure volte a creare l'Unione dei mercati dei capitali. Ciò implica anche garantire che le risorse umane delle autorità di vigilanza europee e nazionali siano adeguate all'aumento dei compiti.

1.6.

In relazione al controverso aspetto del divieto di ricevere pagamenti per la trasmissione degli ordini dei clienti ai fini dell'esecuzione («pagamento per il flusso di ordini», PFOF), il CESE raccomanda di rafforzare il seguente principio: gli intermediari finanziari possono selezionare la sede di negoziazione o la controparte incaricata di eseguire le operazioni dei loro clienti esclusivamente al fine di ottenere le condizioni migliori di esecuzione per tali clienti. Il CESE condivide il parere della Commissione secondo cui i pagamenti materiali o immateriali corrisposti dalla sede di esecuzione o dalla controparte agli intermediari finanziari per la trasmissione degli ordini di esecuzione sono fondamentalmente contrari a detto principio.

2.   Contesto del parere

2.1.

Il 25 novembre 2021, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure per il rafforzamento dell'Unione dei mercati dei capitali (pacchetto sui mercati dei capitali), comprendente una comunicazione e quattro atti giuridici (2). L'oggetto del presente parere, nel quadro di tale pacchetto, è la revisione del regolamento sui mercati degli strumenti finanziari (MiFIR) (3), che disciplina in sostanza l'infrastruttura del mercato finanziario e, unitamente alla direttiva europea relativa ai mercati degli strumenti finanziari (Markets in financial instruments directive, MiFID II) (4), costituisce il quadro normativo per la prestazione di servizi di investimento.

3.   Osservazioni generali

3.1.   Contesto della proposta

3.1.1

Le proposte presentate nel pacchetto sui mercati dei capitali sono accomunate dall'obiettivo di migliorare la trasparenza dei mercati dei capitali europei ancora caratterizzati dalla frammentazione. Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore tale obiettivo, nella consapevolezza che senza un'adeguata trasparenza e dati affidabili e rapidamente disponibili non sarà possibile realizzare l'Unione dei mercati dei capitali. Le modifiche proposte al regolamento MiFIR assumono in tal senso una grande importanza. Le proposte di modifica riguardano innanzi tutto l'infrastruttura di mercato, dopo che i requisiti di tutela degli investitori nel contesto della pandemia di COVID-19 erano già stati oggetto del cosiddetto «MiFID-Quick-Fix» all'inizio del 2021 (5).

3.1.2

È altresì necessaria la massima trasparenza possibile dei mercati dei valori mobiliari per offrire un migliore accesso ai mercati dei capitali anche alle piccole e medie imprese e agli investitori al dettaglio in generale. Tutte le piattaforme di esecuzione sono in effetti già tenute a pubblicare informazioni riguardanti il volume, il periodo e il prezzo delle operazioni. Tuttavia soltanto le grandi imprese di investimento riescono a effettuare la raccolta consolidata di tali dati, offrendo in tal modo un quadro reale dei mercati, e soltanto a fronte di ingenti esborsi finanziari. Nessuno può pertanto essere sicuro, oggi, di beneficiare davvero del prezzo migliore. Tuttavia l'accesso agevole a dati di mercato affidabili è assolutamente determinante. Ciò vale in particolare per le informazioni relative alla sostenibilità, che sono indispensabili per la creazione di mercati finanziari sostenibili nel quadro della realizzazione del Green Deal europeo e svolgono una funzione sempre più importante. Esiste in tal senso un importante collegamento tematico con il punto di accesso unico europeo e la fornitura semplificata di informazioni relative alla sostenibilità (obiettivi di sviluppo sostenibile).

3.1.3

Un accesso rapido, affidabile e agevole ai dati di mercato promuoverà inoltre la concorrenza tra le sedi di negoziazione, in virtù della trasparenza così ottenuta, poiché in condizioni di trasparenza le operazioni sui valori mobiliari sono effettuate dove si ottiene il prezzo migliore e la liquidità è elevata. La trasparenza è un aspetto essenziale anche per gli investitori privati e quelli istituzionali per quanto riguarda le cripto-attività nel sistema consolidato di pubblicazione europeo.

3.1.4

Tali sistemi consolidati di pubblicazione — 1 uno per ciascuna classe di attività (azioni, fondi indicizzati quotati, obbligazioni e strumenti derivati) — sono uno strumento importante per superare le attuali asimmetrie informative. Potrebbero altresì contribuire a ridurre la preponderanza della negoziazione ad alta frequenza. Il CESE accoglie con favore la concorrenza nell'infrastruttura di mercato. Ritiene altresì importante che la concorrenza sia leale e avvenga allo stesso livello normativo. L'arbitraggio normativo tra le sedi di negoziazione è da escludersi. Sebbene il regolamento sulle infrastrutture del mercato europeo (EMIR) sia direttamente applicabile negli Stati membri, è essenziale che la Commissione europea monitori da vicino gli atti giuridici nazionali di accompagnamento e la loro attuazione pratica, così come la prassi di vigilanza nazionale ai fini della parità di condizioni, e chieda agli Stati membri di apportare eventuali modifiche e, se del caso, sanzionare le violazioni.

3.1.5

L'introduzione di un sistema consolidato di pubblicazione — ossia di banche dati centralizzate che assicurino a tutti gli investitori (gestori patrimoniali di piccole e grandi dimensioni, fondi pensione, investitori al dettaglio) e a tutti gli intermediari finanziari, indipendentemente dalle loro dimensioni, un accesso agevole ed esente da discriminazioni a dati di mercato consolidati — ridurrà il vantaggio in termini di informazioni degli operatori di grandi dimensioni, rendendo l'accesso ai mercati finanziari notevolmente più facile e migliorandone in prospettiva le prestazioni.

3.1.6

In virtù di una maggiore trasparenza, i sistemi consolidati di pubblicazione europei possono altresì contribuire a contrastare la tendenza a un'eccessiva volatilità, caratterizzata, ad esempio, da fluttuazioni e flessioni dei prezzi.

3.1.7

Secondo il CESE, la trasparenza ottenuta con i sistemi consolidati di pubblicazione e l'accesso più agevole ai dati di mercato anche per gli investitori al dettaglio non sostituisce la necessità di mantenere un livello ben strutturato di tutela degli investitori. L'accesso semplificato ai dati da parte degli investitori al dettaglio pone in evidenza la necessità di intensificare gli sforzi tesi a garantire un'adeguata formazione finanziaria dei consumatori, in modo da consentire loro di gestire responsabilmente le opportunità e i rischi dei mercati dei capitali.

3.1.8

La creazione di sistemi consolidati di pubblicazioni costituisce un grande passo in avanti anche sotto il profilo dell'etica dei dati, che assume sempre più importanza in un mondo digitalizzato, nel quale i dati sono un bene commerciale e la chiave per la partecipazione alla vita economica e sociale. Il CESE è in favore di un accesso non discriminatorio ai dati di mercato. Il Comitato si compiace del fatto che l'introduzione di un sistema consolidato di pubblicazione garantisca in particolare alle piccole imprese e ai consumatori l'accesso a dati per loro essenziali, che altrimenti sarebbero inaccessibili per mancanza di risorse finanziarie. L'istituzione di sistemi consolidati di pubblicazione soddisfa in tal modo anche l'esigenza di un accesso etico alle informazioni riguardanti i mercati finanziari.

3.1.9

Il CESE accoglie con favore il fatto che le proposte della Commissione europea si basino su approfonditi dibattiti riguardanti i relativi effetti sul mercato, sia a livello di sedi di negoziazione europee che in termini di concorrenza internazionale. Il Comitato apprezza altresì che la Commissione europea programmi la successiva valutazione delle nuove norme.

3.2.   Sistemi consolidati di pubblicazione europei (consolidated tapes, CT), articoli 22 e 27 della proposta MiFIR

3.2.1

Il CESE ribadisce il sostegno (6) alla proposta della Commissione relativa all'introduzione di un sistema consolidato di pubblicazione dell'UE. Se attuato correttamente sotto il profilo tecnico, esso consentirà a tutti i partecipanti al mercato di ottenere pressoché in tempo reale l'accesso ai dati sulle negoziazioni — di azioni, fondi indicizzati quotati, obbligazioni e strumenti derivati — di tutte le sedi di negoziazione dell'UE. I sistemi consolidati di pubblicazione europei potrebbero in tal modo offrire un importante contributo al superamento della frammentazione dei mercati. Il successo dei sistemi consolidati di pubblicazione dipenderà tuttavia in larga misura dall'efficacia dell'attuazione pratica [obbligo di fornitura dei dati, norme in materia di dati, accesso ai dati, qualità, sicurezza e protezione dei dati (ove pertinente), superamento dei problemi di trasparenza con l'assegnazione di un codice internazionale di identificazione dei titoli (International Securities Identification Number, ISIN) agli strumenti derivati per tutta la durata della loro validità (e non su base giornaliera), utilizzo delle tecnologie più avanzate, resilienza operativa e accesso agevole e abbordabile].

3.2.2

Per avere successo, tutti i fornitori di dati devono essere assoggettati agli stessi rigorosi requisiti di qualità, senza discriminazione alcuna, siano essi borse o banche, fornitori di dati convenzionali o imprese tecnofinanziarie. Inoltre, la qualità dei dati e un'adeguata struttura di governance sono ulteriori requisiti essenziali per tale successo. Il CESE ritiene essenziale, in particolare, che la qualità dei dati e la governance del sistema consolidato di pubblicazione siano costantemente monitorati e, ove necessario, adeguati.

3.2.3

Il CESE sostiene la proposta ben ponderata di attribuire all'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) un ruolo centrale nel monitoraggio continuo dei sistemi consolidati di pubblicazione europei. Il CESE si attende a tale proposito che l'ESMA — al pari delle autorità nazionali di vigilanza nel settore dei valori mobiliari — sia dotata delle risorse finanziarie, materiali e umane necessarie allo scopo.

3.2.4

Il processo di selezione di ciascun operatore del sistema consolidato di pubblicazione per classe di attività assume una notevole importanza. Il CESE ritiene importante l'adozione di processi di selezione corretti e trasparenti, soprattutto in considerazione del fatto che i primi operatori del sistema consolidato di pubblicazione avranno un notevole vantaggio competitivo nella successiva gara dopo cinque anni. È pertanto auspicabile che le gare si svolgano nel contesto di uno scenario concorrenziale ampio. Il CESE accoglie con favore il fatto che i criteri di selezione siano stabiliti nel dettaglio e che vengano definiti anche i requisiti organizzativi per i fornitori dei sistemi consolidati di pubblicazione. Il CESE ritiene corretto l'approccio in base al quale i fornitori dei sistemi consolidati di pubblicazione siano tenuti a pubblicare, alla fine di ciascun trimestre, le statistiche sulle prestazioni e le relazioni sugli incidenti riguardanti la qualità dei dati sul loro sito web, accessibile gratuitamente.

3.2.5

I sistemi consolidati di pubblicazione europei costituiscono inoltre un importante passo avanti e uno strumento fondamentale che consentirà ai fornitori dei servizi d'investimento di assolvere al proprio obbligo di esecuzione degli ordini dei clienti alle condizioni migliori (Best Execution, articolo 27, paragrafo 2, della direttiva MiFID II), in virtù di maggiori informazioni e di una base più ampia e secondo modalità più semplici. Per gli investitori al dettaglio, in particolare, il criterio fondamentale consisterà nell'ottenimento del miglior prezzo. Tuttavia, il CESE sottolinea, a titolo precauzionale, che i sistemi consolidati di pubblicazione europei non dovrebbero sostituire il principio dell'esecuzione alle condizioni migliori.

3.2.6

I sistemi consolidati di pubblicazione possono essere pienamente efficaci soltanto se vengono applicate le stesse condizioni di concorrenza a tutte le diverse piattaforme di esecuzione operanti sul mercato. Il CESE sostiene pertanto le proposte della Commissione europea volte a garantire la massima trasparenza delle piattaforme di negoziazione, in particolare il divieto riguardante i cosiddetti dark pool, dove gli operatori non sono soggetti ad alcun requisito di trasparenza.

3.3.   Obbligo della sede di negoziazione per gli strumenti derivati, articolo 28 della proposta MiFIR

3.3.1

Il CESE accoglie con favore il fatto che, tramite la proposta della Commissione, sarà corretto un errore sistematico emerso con la pubblicazione dell'«EMIR Refit». Le controparti finanziarie di piccole dimensioni saranno esonerate, in modo giuridicamente certo, dall'obbligo della sede di negoziazione e, come già previsto, dall'obbligo di compensazione.

3.4.   Obbligo della sede di negoziazione per le azioni, articolo 23 della proposta MiFIR

3.4.1

La proposta prevede che l'obbligo della sede di negoziazione di azioni si applichi unicamente ai titoli con codice internazionale di identificazione (International Securities Identification Number — ISIN) dell'Unione europea. L'obbligo della sede di negoziazione di questi stessi titoli decade laddove tali azioni siano negoziate in una sede di un paese terzo nella valuta locale. La proposta è vantaggiosa per gli investitori, poiché si potrebbero ottenere i prezzi migliori anche per le azioni con una sede di negoziazione al di fuori dell'Unione europea. Ciò vale in particolare per i titoli con codice ISIN dell'UE che vengono però trattati principalmente in sterline nella borsa di Londra. Il CESE è quindi pienamente d'accordo con la proposta.

3.5.   Pagamento per il flusso di ordini (PFOF), articolo 39 bis della proposta MiFIR

3.5.1

La proposta vieta il modello di remunerazione noto come PFOF, in base al quale gli intermediari finanziari ricevono onorari o commissioni dalle controparti di negoziazione per la trasmissione degli ordini dei propri clienti verso dette controparti. Il PFOF è principalmente un modello di finanziamento degli intermediari online, che spesso rappresentano un'alternativa conveniente alle tradizionali negoziazioni in borsa soprattutto per gli investitori al dettaglio. In particolare tra i cosiddetti intermediari a commissioni zero (zero-commission-broker) è comune la pratica di applicare ai clienti una commissione minima per l'ordine e ottenere compensi (per gli intermediari) dai ristorni nella sede di negoziazione. Spesso tutti gli ordini di negoziazione si concentrano su un'unica controparte. I ristorni non sono comunicati ai clienti. Il CESE condivide il parere dell'ESMA (7), secondo cui tale pratica non è conciliabile con l'obbligo di esecuzione alle condizioni migliori e con la necessaria trasparenza dei prezzi. D'altro canto, gli intermediari online rappresentano un accesso conveniente economicamente e agevole ai servizi d'investimento soprattutto per gli investitori al dettaglio. Il CESE considera fondamentale garantire condizioni di parità in termini di trasparenza dei costi e concorrenza tra le imprese tecnofinanziarie e gli operatori convenzionali. Il CESE raccomanda di rivolgere un'attenzione particolare a tale aspetto nelle prossime fasi del processo legislativo.

3.5.2

Il CESE ritiene altresì che si debba valutare se il PFOF non sia da considerare inappropriato, a prescindere dai dubbi di carattere giuridico (esecuzione alle condizioni migliori), non foss'altro per ragioni legate alla struttura di mercato, poiché sottrae alle borse volumi ingenti di scambi, compromettendone in tal modo la funzionalità generale. Una riduzione della liquidità di mercato sarebbe di fatto totalmente in contrasto con gli obiettivi dell'Unione dei mercati dei capitali. Tale modello arrecherebbe un grave danno soprattutto alla necessaria trasparenza del mercato (in particolare alla trasparenza pre-negoziazione), andando a discapito dei clienti.

3.6.   Esecuzione alle condizioni migliori (Best Execution)

3.6.1

La Commissione europea propone di rinunciare all'obbligo delle sedi di negoziazione di pubblicare informazioni sulla qualità dell'esecuzione degli ordini ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 1, della direttiva MiFID II. Tale proposta è pertinente, poiché è indubbio che a livello pratico le relazioni non siano state utilizzate dagli investitori quali utili fonti di informazioni e che in futuro i sistemi consolidati di pubblicazione forniranno anche informazioni post-negoziazione sulle operazioni. Il CESE comprende quindi la proposta e la sostiene.

3.6.2

Non appare invece logico che l'ESMA stia attualmente conducendo consultazioni ai fini della modifica proprio delle norme tecniche di regolamentazione (27 e 28) che attuano la disposizione che la Commissione chiede, con la sua proposta, di eliminare (articolo 27, paragrafo 2, della direttiva MiFID II). Oltre ad essere illogico, ciò implica altresì un onere amministrativo in fin dei conti assolutamente inutile per gli interessati. Il CESE ritiene che, nell'interesse di una prassi normativa sana e sostenibile, siffatte procedure debbano essere evitate.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  COM(2020) 590 final.

(2)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Unione dei mercati dei capitali — Risultati conseguiti un anno dopo il piano d'azione; proposta relativa a un punto di accesso unico europeo (ESAP); revisione del regolamento relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF); revisione della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (AIFMD) e revisione del regolamento sui mercati degli strumenti finanziari (MiFIR).

(3)  Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU L 173 del 12.6.2014, pag. 84).

(4)  Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (GU L 173 del 12.6.2014, pag. 349).

(5)  Direttiva (UE) 2021/338 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2021 che modifica la direttiva 2014/65/UE per quanto riguarda gli obblighi di informazione, la governance del prodotto e i limiti di posizione, e le direttive 2013/36/UE e (UE) 2019/878 per quanto riguarda la loro applicazione alle imprese di investimento, per sostenere la ripresa dalla crisi COVID-19 (GU L 68 del 26.2.2021, pag. 14).

(6)  GU C 155 del 30.4.2021, pag. 20.

(7)  Dichiarazione pubblica dell'ESMA, documento ESMA35-43-2749, del 13.7.2021: ESMA warns firms and investors about risks arising from Payment of Orderflow (L'ESMA mette in guardia le imprese e gli investitori in merito ai rischi associati ai pagamenti per il flusso di ordini) (disponibile unicamente in inglese).


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La strategia dell’UE sulla lotta contro l’antisemitismo e il sostegno alla vita ebraica (2021-2030)

[COM(2021) 615 final]

(2022/C 290/13)

Relatore:

Ákos TOPOLÁNSZKY

Consultazione

Commissione europea, 1.12.2021

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

7.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

145/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene e sottolinea con decisione i valori fondamentali che costituiscono la base dell’UE e della coesistenza europea, e ritiene che qualsiasi fenomeno di antisemitismo sia incompatibile con i valori e le norme europee, in quanto porta a violazioni del diritto e all’esclusione, il che rappresenta una minaccia non solo per le comunità interessate e la vita ebraica, ma anche per il patrimonio dell’Europa, per l’Europa di oggi e per un futuro europeo democratico che può concretizzarsi solo in una società diversificata.

1.2.

Il CESE sostiene pertanto fortemente il lancio della strategia (1) e il fatto che sia stata preceduta da un ampio processo di consultazione nel 2021. Condivide inoltre, sotto tutti gli aspetti, il giudizio secondo cui occorre non solo lottare contro l’antisemitismo, ma anche perseguire politiche pubbliche e cooperazioni a livello di comunità che promuovano l’accettazione reciproca.

1.3.

Apprezza fortemente il fatto che la strategia non sia diretta esclusivamente a combattere l’antisemitismo, ma anche a sostenere la vita ebraica. Le comunità ebraiche e le persone che ne fanno parte non sono solo vittime passive del passato e del presente, ma anche parti attive dell’Europa. Il CESE sostiene decisamente la visione della strategia, quella cioè di un futuro europeo in cui le comunità ebraiche crescono e si sviluppano. A giudizio del CESE, l’antisemitismo non soltanto costituisce una violazione del diritto ai danni degli ebrei europei, ma mette anche alla prova gli affari europei, la coesistenza europea, lo Stato di diritto, i diritti fondamentali e la democrazia.

1.4.

Il CESE sostiene la definizione operativa di antisemitismo adottata dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (International Holocaust Remembrance Alliance — IHRA) (2) e chiede risolutamente che tutti gli Stati membri adottino tale definizione e che i loro interventi in questo settore si basino su di essa.

1.5.

Raccomanda che ogni anno il CESE metta questo tema all’ordine del giorno di uno dei suoi organi principali, e se necessario valuti l’attuazione della strategia con altri mezzi (visita di un paese, ricerche ecc.).

1.6.

Il CESE si compiace del fatto che l’istruzione abbia un rango elevato tra le priorità della strategia, perché essa svolge un ruolo fondamentale nella lotta contro l’antisemitismo e nella sua prevenzione. I materiali didattici e sussidiari dell’istruzione e della formazione concernenti questioni pertinenti (tra cui l’intolleranza etnica, il razzismo, i reati generati dall’odio e la lotta ai pregiudizi) dovrebbero essere sviluppati in collaborazione con le organizzazioni della società civile e le organizzazioni ebraiche rappresentative.

1.7.

Si dovrebbero utilizzare in modo coerente tutti gli strumenti giuridici costituzionali e dell’UE per scoraggiare i contenuti antisemiti nei media, e nel contempo occorre migliorare la conoscenza e la comprensione della vita ebraica, nell’ambito di relazioni più equilibrate e sensibili.

1.8.

Il CESE propone alla Commissione di valutare come salvaguardare, nell’elaborazione delle politiche future, il diritto delle comunità ebraiche a mantenere il loro credo e i loro riti, come mezzo per promuovere la vita ebraica in Europa.

1.9.

Secondo il CESE, la cultura ebraica, in quanto patrimonio inscindibile dell’identità europea, dovrebbe essere fortemente avvicinata al pubblico e ai cittadini in generale e resa più accessibile. Ciò offre al tempo stesso una grande opportunità per promuovere la comprensione reciproca e di comunità, una condizione preliminare del successo dell’idea europea, ma anche dello sviluppo dell’identità ebraica, del rafforzamento delle comunità che vi fanno riferimento.

1.10.

Un quadro legislativo chiaro e solido, che affronti sistematicamente la questione dell’incitamento all’odio e dei fenomeni correlati, è un elemento necessario e vincolante dell’ordinamento giuridico europeo, ma non costituisce di per sé una risposta sufficiente. Occorre integrare il quadro legislativo con strumenti educativi e un sistema di programmi comunitari e sociali a vasto raggio, in grado di raggiungere i cittadini.

1.11.

L’ascesa globale del populismo evidenzia la necessità di considerare anche il più ampio contesto sociale dell’antisemitismo. Un tipo di odio non può essere sanato senza prendere conoscenza dell’altro ed intervenire efficacemente contro di esso.

1.12.

È un obbligo fondamentale per tutti gli Stati membri far sì che i cittadini possano praticare in modo libero e senza timore il proprio credo e i propri riti religiosi. L’intimidazione nei confronti delle religioni in generale, e di quella ebraica in particolare, con qualsiasi mezzo o in qualsiasi misura, dovrebbe essere considerata un’azione contro l’ordinamento giuridico democratico.

1.13.

Il CESE incoraggia la Commissione a conferire alla lotta contro l’antisemitismo e all’agenda strategica per la promozione della vita ebraica una forte dimensione di politica esterna in tutti gli aspetti della cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali.

1.14.

Ai fini di un’attuazione ancora più efficace della strategia, il Comitato raccomanda di istituire anche a livello di Consiglio un’unità permanente incaricata di monitorare e di contrastare l’antisemitismo.

1.15.

Dato che lo sport, e in particolare il calcio per la sua popolarità e il suo forte impatto pubblico, comporta un grave rischio di antisemitismo e, d’altro canto, può essere uno strumento essenziale per combattere tale fenomeno in modo efficace, il CESE è convinto che anche in questo settore debbano essere elaborate raccomandazioni e orientamenti forti.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene e sottolinea con decisione i valori fondamentali che costituiscono la base dell’UE e della coesistenza europea. Questi valori includono il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze (3). Il CESE ritiene che qualsiasi fenomeno di antisemitismo sia incompatibile con i valori e le norme europee, in quanto porta a violazioni del diritto e all’esclusione, il che rappresenta una minaccia non solo per le comunità interessate e la vita ebraica, ma anche per il patrimonio dell’Europa, per l’Europa di oggi e per un futuro europeo democratico che può concretizzarsi solo in una società diversificata.

2.2.

È tuttavia importante notare che la strategia non mira solo a combattere l’antisemitismo, ma anche a sostenere la vita ebraica. È comunque positivo che la strategia prenda in considerazione il fatto che i singoli ebrei e le comunità ebraiche sono non solo vittime passive del passato e del presente, ma anche parti attive dell’Europa, che contribuiscono in modo significativo alla creazione di un’Europa diversificata e inclusiva. Il CESE sostiene decisamente la visione della strategia, quella cioè di un futuro europeo in cui le comunità ebraiche crescono e si sviluppano.

2.3.

Il CESE sostiene pertanto fortemente il lancio della strategia (4) e il fatto che sia stata preceduta da un ampio processo di consultazione nel 2021. Condivide inoltre, sotto tutti gli aspetti, il giudizio secondo cui occorre non solo lottare contro l’antisemitismo, ma anche perseguire politiche pubbliche e cooperazioni a livello di comunità che promuovano l’accettazione reciproca. Il CESE ritiene inoltre doveroso sostenere tutti gli sforzi volti a garantire che i cittadini europei di origine ebraica si sentano sereni e sicuri, siano ben accolti in tutta Europa e abbiano una prospettiva futura positiva nell’Unione europea.

2.4.

A giudizio del CESE, l’antisemitismo non soltanto costituisce una violazione del diritto ai danni degli ebrei europei, ma mette anche alla prova gli affari europei, la coesistenza europea, lo Stato di diritto, i diritti fondamentali e la democrazia. Di conseguenza, esso riguarda tutte le persone e tutte le organizzazioni politiche e sociali con responsabilità, e costituisce una cartina al tornasole della promozione dello stile di vita europeo e della protezione dei cittadini e dei valori dell’UE.

2.5.

Il CESE conviene che le istituzioni dell’Unione europea e gli Stati membri debbano adottare una strategia basata su un approccio comune, ma osserva che ciò non è di per sé sufficiente. Anche gli impegni derivanti dai valori definiti nelle strategie devono essere attuati in modo misurabile e verificabile e riconosciuti come una realtà evidente della coesistenza europea.

2.6.

Le raccomandazioni risultanti da ricerche indipendenti, fondate su dati concreti, e da indagini basate sulle comunità, saranno essenziali per lo sviluppo e l’attuazione delle strategie nazionali e dei relativi piani d’azione, nonché per il loro monitoraggio e la loro valutazione, come avviene nel caso delle dichiarazioni del Consiglio sulla lotta all’antisemitismo (del 2018) (5) e sull’integrazione della lotta contro l’antisemitismo in tutti i settori d’intervento (del 2020) (6).

2.7.

Il CESE raccomanda che il progetto NOA (Networks Overcoming Antisemitism, Reti di lotta contro l’antisemitismo), sostenuto dalla Commissione, che valuta le azioni intraprese da ciascuno Stato membro nella lotta contro l’antisemitismo mediante domande e indicatori obiettivi basati su standard internazionali ed europei (7), sia attuato su vasta scala in tutti gli Stati membri, al fine di aiutare questi ultimi ad attuare e sviluppare efficacemente le loro politiche.

2.8.

Il CESE adotta e applica la definizione operativa di antisemitismo utilizzata dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA). Al tempo stesso sostiene fortemente l’adozione di tale definizione da parte di tutti gli Stati membri, e auspica che essa costituisca la base dei loro interventi in questo campo, determinando il funzionamento delle istituzioni statali e locali in tale settore.

2.9.

Il CESE accoglie con favore e considera esemplare il fatto che la strategia sia sviluppata attraverso un’ampia consultazione (8). Condivide il giudizio secondo cui occorre rispettare sotto ogni aspetto il principio di non discriminazione, così come le disposizioni e lo spirito della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

2.10.

Il CESE auspica fortemente che ciascuno Stato membro nomini un coordinatore nazionale o un delegato, quale parte indispensabile della sua strategia, e sostenga un’azione autonoma e libera di tali autorità, con il coinvolgimento di tutte le parti interessate della società.

2.11.

Come rappresentante della società civile organizzata dell’Unione europea, il CESE ravvisa l’urgente necessità di agire, non solo attraverso una campagna una tantum o una campagna contro l’antisemitismo, ma nel quadro di un compito permanente di monitoraggio e sensibilizzazione nell’Unione europea. Nel far ciò, il Comitato raccomanda con forza che venga istituita un’unità permanente anche a livello di Consiglio per il monitoraggio e il contrasto dell’antisemitismo (9). Un tale organo non soltanto costituirebbe un simbolo importante e visibile, ma anche un rafforzamento, da parte degli Stati membri, del meritevole lavoro svolto dal coordinatore della Commissione europea per la lotta contro l’antisemitismo e la promozione della vita ebraica e dal gruppo di lavoro del Parlamento europeo contro l’antisemitismo.

2.12.

Raccomanda che ogni anno il CESE metta questo tema all’ordine del giorno di uno dei suoi organi principali, e se necessario valuti l’attuazione della strategia con altri mezzi (visita di un paese, ricerche ecc.).

3.   Politiche in materia di istruzione e gioventù

3.1.

Il CESE si compiace del fatto che l’istruzione abbia un rango elevato tra le priorità della strategia, perché essa svolge un ruolo fondamentale nella lotta contro l’antisemitismo e nella sua prevenzione. Sebbene la legislazione e l’applicazione del diritto, compreso il diritto penale, abbiano ovviamente un ruolo importante da svolgere nella lotta alla trasmissione intergenerazionale dell’odio, i cambiamenti a lungo termine negli atteggiamenti, nel dibattito pubblico e nel pensiero possono essere conseguiti solo attraverso strumenti di politica dell’istruzione e strumenti di comunità.

3.2.

Una relazione (10) del 2019 dell’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali mostra chiaramente che gli attacchi antisemiti sono diretti spesso contro persone di età compresa tra i 18 e i 34 anni, e che per molte di tali persone tali atti costituiscono una realtà quotidiana. Le scuole ebraiche di tutta Europa hanno bisogno di protezione. Il CESE raccomanda di assegnare agli studenti delle scuole secondarie, agli studenti universitari e ai giovani adulti un ruolo di primo piano nell’attuazione della strategia, coinvolgendo gli animatori giovanili e le organizzazioni di studenti universitari, e sviluppando una consultazione e un dialogo costante con essi, anche a livello locale. Anche la loro esperienza nel campo dell’incitamento all’odio, dei reati generati dall’odio, dei social media e dell’istruzione è di fondamentale importanza, essendo essi i primi a poter essere interessati e, in certi casi, a poter essere il principale bersaglio degli attacchi antisemiti.

3.3.

Il CESE ritiene che la strategia dovrebbe includere le cosiddette «azioni stabilite congiuntamente», dirette a realizzare cambiamenti sostanziali, con il coinvolgimento di tutti gli attori, compresi altri gruppi minoritari e rappresentanti delle organizzazioni interconfessionali esistenti.

3.4.

Le università e le comunità scientifiche possono costituire in certi casi il terreno di coltura intellettuale dell’antisemitismo. La strategia dovrebbe dare particolare rilievo al coinvolgimento dei responsabili delle università nella lotta contro tale fenomeno. Orientamenti in tal senso sono contenuti nel documento dell’Unesco Addressing antisemitism through education (11) (Affrontare l’antisemitismo attraverso l’istruzione), che sarebbe sicuramente opportuno recepire a titolo obbligatorio. Rientrano in tale contesto meccanismi trasparenti in caso di fenomeni di antisemitismo, come un’adeguata procedura, resoconto degli incidenti e loro monitoraggio, nonché abrogazione di eventuali misure antisemite da parte della dirigenza universitaria.

3.5.

Al fine di rendere chiaro agli insegnanti e ai docenti, nelle scuole e nelle università, cosa sia l’antisemitismo, occorrerebbe rendere accessibili ad essi anche nella pratica le opportunità di formazione e istruzione menzionate anche nella strategia, e si dovrebbero incoraggiare le scuole, attraverso mezzi finanziari e di organizzazione dell’istruzione, ad attuare programmi di sensibilizzazione e di sviluppo delle conoscenze su questo tema; tali programmi dovrebbero coinvolgere le organizzazioni ebraiche, sia civili che religiose, allo scopo di perseguire il negazionismo, la distorsione, l’offuscamento e la banalizzazione dell’Olocausto, e di contrastare gli sforzi volti a esaltare i nazisti e i loro collaboratori. Programmi tematici analoghi potrebbero far parte anche dei corsi (di integrazione) per gli immigrati. Per il CESE sarebbe auspicabile e opportuno che anche i membri degli organi decisionali dell’UE e nazionali potessero prendere parte a corsi di formazione volti a sviluppare le loro competenze in settori che riguardano gli ebrei e le altre minoranze.

3.6.

Nella prospettiva del futuro e della sicurezza della comunità ebraica in Europa, il CESE raccomanda agli Stati membri di esaminare, attraverso i rispettivi ministeri competenti, il contenuto e l’orientamento dei programmi didattici nazionali e dei programmi degli istituti di istruzione sotto il profilo dell’antisemitismo e del riconoscimento dei valori e dell’identità ebraici. I materiali didattici e sussidiari dell’istruzione e della formazione concernenti questioni pertinenti (tra cui l’intolleranza etnica, il razzismo, i reati generati dall’odio e la lotta ai pregiudizi) dovrebbero essere sviluppati in collaborazione con le organizzazioni della società civile e le organizzazioni ebraiche rappresentative.

3.7.

Il CESE raccomanda alla Commissione di elaborare materiale informativo, accessibile e in grado di raggiungere tutti i gruppi sociali interessati, a sostegno dell’attività didattica, che definisca, nella lingua di scolarizzazione e a beneficio delle minoranze, comprese le comunità ebraiche, cosa significa far parte di un’Unione europea fondata sui valori della democrazia e dei diritti umani fondamentali, e in cui la diversità e la lotta alla discriminazione costituiscono evidenti valori impliciti.

3.8.

Raccomanda che gli istituti di istruzione secondaria e superiore includano in modo chiaro nella loro politica di antidiscriminazione sia il loro impegno contro l’antisemitismo sia l’accettazione dei valori ebraici.

3.9.

Raccomanda di attribuire alle organizzazioni giovanili ebraiche un ruolo di primo piano nelle future politiche pubbliche volte a promuovere la vita ebraica in tutti i settori individuati dalla strategia, e auspica che i responsabili politici assicurino un sostegno adeguato alle attività di tali organizzazioni.

4.   Media

4.1.

Per contrastare i contenuti antisemiti i media devono attuare, nel quadro del loro normale funzionamento, un’azione risoluta, basata su valori comuni, sostenendo esplicitamente la diffusione di contenuti positivi che riconoscano la dignità e i diritti delle minoranze, comprese le persone di origine ebraica, anche attraverso campagne sui social media.

4.2.

La rappresentazione delle comunità ebraiche e dei loro membri nei media tradizionali e nei social media è, nella maggior parte dei casi, molto limitata e si concentra anzitutto sull’impatto della violenza antisemita e del terrorismo e sulla memoria collettiva dell’Olocausto in Europa, temi la cui importanza è ovviamente fuor di dubbio. Sono nondimeno necessari, in aggiunta a quanto sopra, contenuti positivi, che presentino per esempio le arti dello spettacolo ebraiche contemporanee o le festività ebraiche, o promuovano le lingue ebraiche in uno spirito di riconoscimento dell’importanza della coesistenza nella società.

4.3.

Al di là del campo culturale, anche al giorno d’oggi vengono realizzati in modo parallelo negli Stati membri dell’UE vari progetti e iniziative della comunità e della società civile ebraica, che operano per un’Europa più inclusiva e democratica, tenendo presenti i valori e gli obiettivi dell’UE. Tali iniziative si svolgono in una serie di settori, tra cui la lotta al razzismo, i diritti umani, la protezione dell’ambiente e la diversità culturale.

4.4.

Secondo il CESE, sarebbe auspicabile che, in aggiunta alla possibilità offerta sui social media di familiarizzarsi con i valori tradizionali e le espressioni storiche e religiose della società ebraica, la società in generale avesse una visione degli effetti positivi che l’attivismo della comunità ebraica genera per la società nel suo complesso, cosa che potrebbe svolgere un ruolo importante anche nella lotta agli stereotipi (12).

4.5.

Bisogna migliorare, attraverso la formazione e l’informazione dei giornalisti, la conoscenza e la comprensione della vita ebraica nei media, per garantire che i contenuti proposti siano più equilibrati e mostrino una maggiore sensibilità verso questi temi.

4.6.

Tutti gli strumenti giuridici costituzionali e dell’UE devono essere utilizzati in modo coerente nei media per contrastare i contenuti antisemiti. A tal fine dovrebbero essere svolte attività di verifica sistematiche, con la partecipazione degli organi nazionali di sorveglianza dei media e delle organizzazioni di vigilanza.

5.   Cultura

5.1.

Secondo il CESE, la cultura ebraica, in quanto patrimonio inscindibile dell’identità europea, dovrebbe essere fortemente avvicinata al pubblico e ai cittadini in generale e resa più accessibile. Ciò offre al tempo stesso una grande opportunità per promuovere la comprensione reciproca e di comunità, una condizione preliminare del successo dell’idea europea, ma anche dello sviluppo dell’identità ebraica, del rafforzamento delle comunità che vi fanno riferimento.

5.2.

L’educazione alla cultura ebraica, in quanto parte evidente, integrante e inscindibile del panorama culturale europeo, è sempre più necessaria nelle scuole, dato che dopo la Shoah il numero di persone che ha contatti quotidiani con la vita ebraica si è ridotto.

5.3.

Il CESE è convinto che il patrimonio culturale debba essere riconosciuto, rispettato e promosso come una realtà vivente e in evoluzione, e non come l’eredità di un passato concluso. A tal fine è necessario sostenere a livello locale una partecipazione e un impegno maggiori, incoraggiando i partenariati con le parti interessate.

5.4.

Sebbene la strategia faccia riferimento alla convenzione di Faro (13), essa non affronta l’applicazione pratica di tale convenzione. È necessario mettere in pratica il quadro e gli orientamenti previsti da detta convenzione, per promuovere la cooperazione e lo sviluppo nel settore scientifico, culturale, artistico e dell’istruzione, compreso il turismo.

5.5.

Il Comitato invita le istituzioni dell’UE, gli Stati membri, le organizzazioni della società civile e le parti sociali a presentare e celebrare degnamente il contributo ebraico all’Unione europea, quale parte integrante e inalienabile di una cultura comune, ad esempio sul modello dell’iniziativa tedesca per i 1700 anni di vita ebraica in Germania. Propone di sostenere le Giornate europee della cultura ebraica, coinvolgendo le istituzioni competenti e la società civile, e sostiene la cooperazione con il Consiglio d’Europa nell’attuazione e nell’ampliamento del programma sugli itinerari culturali europei.

5.6.

Ove tali iniziative non esistano, è opportuno stabilire norme e orientamenti nazionali per preservare, mantenere e rinnovare il patrimonio culturale ebraico, garantendo finanziamenti adeguati. Occorre promuovere la presenza della cultura ebraica e la sua presentazione nel dialogo interculturale.

5.7.

Il CESE ritiene che occorra provvedere all’elaborazione — e sostenere finanziariamente l’attuazione — di strategie integrate a lungo termine di tutela del patrimonio culturale, basate sul coinvolgimento delle comunità locali e dotate di un approccio multidisciplinare. Ciò richiede l’identificazione delle parti interessate (comunità locali, enti locali, volontari, attivisti, parti sociali e organizzazioni della società civile, comunità religiose ebraiche, Chiese, istituzioni regionali e nazionali, autorità pubbliche), la definizione di metodi di informazione, partecipazione e consultazione, l’individuazione di opportunità di cooperazione e di partenariati, e un sostegno sistematico a tali processi. È essenziale coinvolgere in modo permanente l’Associazione europea per la conservazione e la promozione della cultura e del patrimonio culturale ebraici (AEPJ), la maggiore organizzazione europea per la tutela del patrimonio ebraico.

6.   Incitamento all’odio, reati generati dall’odio, sicurezza

6.1.

Un quadro legislativo chiaro e solido, che affronti sistematicamente la questione dell’incitamento all’odio e dei fenomeni correlati, è un elemento necessario e vincolante dell’ordinamento giuridico europeo, ma non costituisce di per sé una risposta sufficiente. Tale quadro legislativo dovrebbe essere integrato da strumenti educativi e programmi di vasta portata, in grado di raggiungere i cittadini, promuovendo tra l’altro l’alfabetizzazione digitale, la cultura dell’informazione, la definizione dei valori di una cittadinanza responsabile e la formazione contro i pregiudizi e la disinformazione, al fine di costruire una cultura della comprensione reciproca.

6.2.

Per il CESE è indispensabile comprendere le radici e le cause di tutte le forme di violenza contro le persone e le comunità ebraiche, al fine di poter intervenire efficacemente non solo attraverso gli strumenti della giustizia penale, ma anche attraverso un sistema — più efficace — di interventi a livello della comunità e della società, tra cui la promozione di campagne di sensibilizzazione sulla non discriminazione, il sostegno alle organizzazioni della società civile affinché attuino misure di formazione destinate ai gruppi interessati affinché riconoscano l’incitamento all’odio e i reati generati dall’odio e vi reagiscano, il sostegno e il finanziamento delle organizzazioni della società civile ai fini del monitoraggio, della raccolta di dati e della segnalazione a livello nazionale e internazionale.

6.3.

A giudizio del CESE, il livello di responsabilità in questi settori non è lo stesso per tutti i cittadini, ed occorre segnalare soprattutto la responsabilità dei soggetti le cui attività possono influire maggiormente sui pregiudizi sociali, intervenire nei loro confronti e nei casi gravi avviare dei procedimenti contro di essi. Tra essi figurano attori politici, funzionari della pubblica amministrazione e delle amministrazioni locali, nonché rappresentanti delle autorità di contrasto e delle istituzioni giudiziarie. Le violazioni commesse da tali soggetti dovrebbero pertanto essere trattate in via prioritaria.

6.4.

È necessario rafforzare la formazione interna in materia di sensibilizzazione in seno a tali istituzioni, in particolare presso le autorità di contrasto, e svolgere a intervalli regolari valutazioni interne per definire politiche volte a individuare eventuali pregiudizi nell’ambito del personale e migliorare la situazione.

6.5.

Il CESE raccomanda che venga eseguita, nel quadro dell’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali, un’analisi più approfondita dell’attuale situazione della sicurezza e delle minacce alla vita ebraica. Allo stesso tempo dovrebbero essere analizzati e prevenuti, mediante strumenti di comunicazione e di politica pubblica, i tentativi di disinformazione basati su informazioni false o erronee sull’ebraismo a livello degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda gli atti legati al rito.

6.6.

Occorre rafforzare i meccanismi istituzionalizzati di cooperazione tra le autorità di contrasto e le organizzazioni della comunità ebraica, attuare misure di formazione per consentire alla polizia di individuare con precisione tali reati e le loro motivazioni basate su pregiudizi. In accordo con la strategia dell’UE sui diritti delle vittime 2020-2025 (14), occorre sostenere la capacità della comunità ebraica e delle organizzazioni della società civile di fornire servizi di assistenza alle vittime. A livello dell’UE è necessario procedere a una raccolta di dati uniforme, completa e maggiormente comparabile.

6.7.

L’espansione globale del populismo evidenzia la necessità di considerare anche il più ampio contesto sociale dell’antisemitismo, nel quadro della lotta contro di esso: la xenofobia, l’omofobia, la transfobia, il razzismo, l’antiziganismo vanno spesso di pari passo con l’antisemitismo e non si può eradicare un tipo di odio senza conoscere gli altri tipi. Si tratta infatti di sintomi diversi dello stesso fenomeno sociale, che non possono essere interpretati — e contrastati efficacemente — in maniera separata.

6.8.

Le comunità ebraiche in Europa devono far fronte a crescenti esigenze in materia di sicurezza di scuole, sinagoghe e centri comunitari. Gli Stati dovrebbero adottare un approccio globale e a vasto raggio in questo campo, disponendo misure e/o finanziamenti adeguati per affrontare tali sfide, al fine di garantire la sicurezza delle istituzioni ebraiche e della vita delle comunità ebraiche.

7.   Libertà di religione e pratica religiosa

7.1.

È un obbligo fondamentale per tutti gli Stati membri far sì che i cittadini possano praticare in modo libero e senza timore il proprio credo e i propri riti religiosi. L’intimidazione nei confronti delle religioni in generale, e di quella ebraica in particolare, con qualsiasi mezzo o in qualsiasi misura, dovrebbe essere considerata un’azione contro l’ordinamento giuridico democratico.

7.2.

Il dialogo interreligioso dovrebbe essere valutato e attuato come un vero e proprio atto strategico basato su valori condivisi tra le istituzioni religiose, piuttosto che come un gesto di cortesia, e dovrebbe essere sostenuto con gli strumenti propri dello Stato.

7.3.

Le comunità ebraiche chiedono che venga eliminata la crescente incertezza giuridica in merito alla macellazione rituale (Shechitah) e alla circoncisione (Berit Milah), mediante una soluzione uniforme a livello del diritto dell’UE. Il CESE raccomanda pertanto che tali questioni siano in ogni caso discusse con le comunità ebraiche e regolate per via legislativa, in considerazione del fatto che anche in Europa formano parte integrante della vita religiosa attiva degli ebrei da migliaia di anni.

8.   Aspetti internazionali

8.1.

Il CESE incoraggia la Commissione a conferire alla lotta contro l’antisemitismo e all’agenda strategica per la promozione della vita ebraica una forte dimensione di politica esterna in tutti gli aspetti della cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali.

8.2.

Il CESE si compiace del fatto che la comunicazione della Commissione affronti anche gli aspetti internazionali e sottolinea in particolare che la politica di vicinato e gli strumenti di cooperazione allo sviluppo dell’UE, nonché gli strumenti che avvicinano all’UE i paesi candidati all’adesione, sono meccanismi adeguati per combattere l’antisemitismo e promuovere la vita ebraica.

9.   Sport

9.1.

Dato che lo sport, e in particolare il calcio per la sua popolarità e il suo forte impatto pubblico, comporta un grave rischio di antisemitismo e, d’altro canto, può essere uno strumento essenziale per combattere tale fenomeno in modo efficace, il CESE è convinto che anche in questo settore debbano essere elaborate raccomandazioni e orientamenti forti. In questo campo sostiene gli orientamenti forniti dalla Federazione internazionale del calcio (FIFA) sulle buone pratiche in materia di diversità e di lotta alla discriminazione, che potrebbero costituire anche un riferimento importante per la strategia.

9.2.

Sarebbe importante che le federazioni e le organizzazioni sportive formulassero i loro obiettivi in rapporto ai vari temi, sulla base delle raccomandazioni della FIFA (regolamenti interni, sanzioni e monitoraggio della loro attuazione, educazione, creazione di reti e cooperazione, comunicazione e pari opportunità).

9.3.

Ritiene importante sviluppare e utilizzare ampiamente programmi di formazione e informazione per tifosi, club e associazioni, nel quadro di un chiaro impegno di tali soggetti in questo campo. Una formazione analoga può essere utilizzata anche nell’ambito delle sanzioni contro i tifosi, in aggiunta agli strumenti di diritto penale o separatamente da essi.

9.4.

Ritiene necessario preparare materiali didattici per le comunità dei tifosi al fine di migliorare la comprensione del contesto storico dell’antisemitismo sugli spalti, contribuendo nel contempo a creare una cultura dell’inclusione (15).

9.5.

Le federazioni nazionali e le squadre dovrebbero essere incoraggiate, mediante strumenti propri del settore sportivo, a elaborare esse stesse pubblicazioni educative e programmi di sensibilizzazione, insieme alle pertinenti organizzazioni locali (16).

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Comunicazione della Commissione COM(2021) 615 final — La strategia dell’UE sulla lotta contro l’antisemitismo e il sostegno alla vita ebraica.

(2)  «L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto.» (https://www.holocaustremembrance.com/it/resources/working-definitions-charters/la-definizione-di-antisemitismo-dellalleanza-internazionale).

(3)  Versione consolidata del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:12012M/TXT&from=EN).

(4)  Comunicazione della Commissione COM(2021) 615 final — La strategia dell’UE sulla lotta contro l’antisemitismo e il sostegno alla vita ebraica.

(5)  https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-15213-2018-INIT/it/pdf

(6)  https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-13637-2020-INIT/it/pdf

(7)  https://www.noa-project.eu/report-cards/ Il sistema misura gli interventi degli Stati membri nei dieci ambiti considerati anche nella strategia: istruzione, reati generati dall’odio, discorsi di incitamento all’odio, media, memoria dell’Olocausto, sport, dialogo interreligioso, libertà di religione, cultura e tutela del patrimonio, sicurezza. Gli standard sono quasi tutti basati su norme, direttive, raccomandazioni od orientamenti internazionali, approvati dalle istituzioni dell’UE o da altre organizzazioni internazionali (ad esempio l’OSCE o l’Unesco).

(8)  Ad esempio, la strategia include nel suo testo finale 58 dei 76 punti della raccomandazione comune presentata da nove organizzazioni ebraiche attive in Europa (B’nai B’rith International-BBI, Centro europeo ebraico di informazione-CEJI, Congresso ebraico mondiale-WJC, Congresso ebraico europeo-EJC, Unione europea degli studenti ebrei-EUJS, Unione europea del giudaismo progressista-EUPJ, Comitato ebraico americano-AJC, Associazione europea per la conservazione e la promozione della cultura e del patrimonio culturale ebraici-AEPJ, B’nai B’rith Europe-BBE).

(9)  Intervento della presidente del CESE in apertura del dibattito sull’antisemitismo nel quadro dell’elaborazione del presente parere, riunione della sezione SOC del 10 febbraio 2022.

(10)  Young Jewish Europeans: Perceptions and experiences of antisemitism (Giovani ebrei europei: percezioni ed esperienze dell’antisemitismo) (https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/fra-2019-young-jewish-europeans_en.pdf).

(11)  https://en.unesco.org/preventing-violent-extremism/education/antisemitism

(12)  Per degli esempi di tali campagne e progetti consultare il sito: https://www.noa-project.eu/profiles/

(13)  https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list?module=treaty-detail&treatynum=199

(14)  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52020DC0258

(15)  Vedere per esempio https://changingthechants.eu/wp-content/uploads/2021/10/Guidelines.ENGpdf.pdf

(16)  Buoni esempi in questo campo sono il manuale della squadra di calcio del Chelsea: https://www.efdn.org/wp-content/uploads/2018/05/CFC-CST-KIO-Antisemitism-Stewards-Guide-2018.pdf o l’iniziativa Show Racism the Red Card (https://www.theredcard.org/).


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’applicazione della direttiva 2009/52/CE, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare

[COM(2021) 592 final]

(2022/C 290/14)

Relatore: Carlos Manuel TRINDADE

Consultazione

Commissione europea, 1.12.2021

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

7.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

129/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) conviene con quanto indicato nell’analisi effettuata dalla Commissione europea (CE) secondo cui «il lavoro illegale di persone non autorizzate a rimanere nell’UE […] è dannoso da un punto di vista economico, in quanto causa perdite nelle finanze pubbliche, nelle imposte e nei contributi sociali, riduce le retribuzioni e le condizioni di lavoro e crea concorrenza sleale», danneggiando la grande maggioranza delle imprese che rispettano la legge. «Il lavoro illegale espone inoltre i migranti a rischi di violazione dei diritti individuali e sociali, in particolare allo sfruttamento del lavoro, a condizioni di vita e di lavoro precarie e a un accesso limitato o nullo alla protezione sociale» (1).

1.2.

Il CESE prende atto della posizione della CE, secondo cui la direttiva offre agli Stati membri la flessibilità necessaria a definire approcci diversi per conseguire i suoi obiettivi, consentendo loro di tenere conto delle specificità nazionali relative al mercato del lavoro, al ruolo del lavoro e della migrazione illegale e alla gravità delle violazioni. Tuttavia, tutti gli Stati membri devono garantire che le norme siano efficaci nello scoraggiare la migrazione irregolare e contrastare il lavoro illegale (2).

1.3.

Il CESE sottolinea che le carenze ravvisabili nella suddetta direttiva sono legate al suo recepimento e alla sua attuazione da parte degli Stati membri (e, in particolare, alla grande variabilità delle sanzioni che ha l’effetto, nella maggior parte dei casi, di rendere le stesse poco dissuasive nel disincentivare l’assunzione di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare). e all’incapacità di incoraggiare, in linea generale, i migranti a collaborare con le autorità, per il timore legittimo e giustificato di un rimpatrio nel paese di origine. In effetti, i meccanismi di denuncia a disposizione dei migranti sono generalmente inefficaci, in quanto non esistono informazioni stabilmente disponibili, dettagliate, chiarificatrici e di sensibilizzazione nella lingua del pubblico destinatario, le ispezioni sono ridotte (per la mancanza di risorse umane) o inefficienti, e gli Stati membri non forniscono relazioni e informazioni tempestive e sufficienti ai fini di una valutazione periodica dell’applicazione di tali meccanismi.

1.4.

Il CESE invita gli Stati membri a intensificare gli sforzi per attuare la direttiva e a collaborare attivamente con la CE per garantirne l’efficacia. Il CESE appoggia fermamente la disponibilità della CE ad avviare procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri, se questi continueranno a non fornire tutte le informazioni pertinenti sul rispetto degli obblighi principali in materia di sanzioni, ispezioni e tutela dei diritti dei migranti, secondo quanto stabilito dalla direttiva. Il CESE propone tuttavia alla CE che, nel quadro della valutazione sull’attuazione della direttiva da realizzarsi entro il 2024, vengano esaminate le sanzioni che potrebbero essere stabilite o adottate nei confronti delle imprese che traggono scientemente beneficio dal prodotto di attività illecite o criminali.

1.5.

Per quanto riguarda le sanzioni, il CESE appoggia appieno gli impegni assunti dalla CE e i suoi suggerimenti agli Stati membri, e propone anche le seguenti misure:

i)

il CESE raccomanda agli Stati membri di far uso, in modo appropriato, del potenziale insito in tutte le sanzioni previste dalla direttiva, in particolare in rapporto all’applicazione di tutte le ulteriori misure amministrative (perdita di benefici pubblici, esclusione dagli appalti pubblici, rimborso delle sovvenzioni pubbliche, chiusura temporanea o permanente di stabilimenti, oppure ritiro di una licenza di esercizio). Il CESE raccomanda inoltre alla CE di sostenere gli Stati membri in questo processo;

ii)

Il CESE raccomanda che le sanzioni applicabili negli Stati membri siano definite in modo da essere efficaci, dissuasive (cioè, maggiori dei possibili benefici) e proporzionate, e che siano basate su un approccio globale e integrate nel quadro giuridico di ciascuno Stato membro. Il Comitato raccomanda altresì che venga adottato un quadro minimo di sanzioni e misure amministrative (da definire per tutta l’UE) che ciascuno Stato membro potrebbe inasprire attraverso la propria legislazione, adattandole alla propria situazione economica e sociale specifica. In tale contesto, le sanzioni pecuniarie devono essere perlomeno superiori ai profitti derivanti dall’attività illecita.

1.6.

Per quanto riguarda le misure a tutela dei diritti dei migranti irregolari, il CESE appoggia gli impegni assunti dalla CE e i suoi suggerimenti agli Stati membri, e propone anche le seguenti misure:

i)

Sulla collaborazione tra la Commissione europea e gli Stati membri:

il CESE raccomanda alla CE di rafforzare il dialogo con gli Stati membri per garantire una maggiore efficacia dei procedimenti amministrativi portati avanti dalle autorità pubbliche degli Stati membri.

ii)

Sulla collaborazione tra i migranti e le autorità nella lotta contro il lavoro irregolare:

il CESE raccomanda alla CE e agli Stati membri di concedere l’accesso a permessi di soggiorno e di lavoro regolari ai migranti che collaborino con le autorità nella lotta contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare al fine di motivare i migranti a collaborare attivamente con le autorità del paese ospitante.

iii)

Sul ruolo dei sindacati, delle associazioni dei datori di lavoro e delle organizzazioni della società civile:

il CESE raccomanda alla CE di concedere a tali organismi l’accesso a programmi specifici dell’UE al fine di sostenere, tra l’altro, le attività di informazione, consulenza, assistenza giuridica e finanziaria, e formazione, quale modo concreto per aiutare tali organismi a proseguire e migliorare la loro azione in questo settore.

Il CESE chiede che il requisito del cofinanziamento previsto in particolari programmi dell’UE venga eccezionalmente riconsiderato, per tenere conto della pandemia e delle difficoltà legate al reperimento di fondi propri.

iv)

Il CESE raccomanda agli Stati membri:

che gli ispettorati del lavoro vengano dotati delle risorse necessarie per svolgere efficacemente i loro compiti, in particolare in rapporto all’intensificazione dell’attività ispettiva nei settori più a rischio;

di utilizzare tutti i mezzi — e, in particolare, le reti sociali e i media audiovisivi — per realizzare campagne di informazione e sensibilizzazione rivolte, da un lato, agli imprenditori che impiegano migranti irregolari provenienti da paesi terzi per informarli sui rischi connessi alla loro assunzione e, dall’altro, ai lavoratori stessi al fine di informarli, in varie lingue, sui loro diritti e sui modi per esercitarli. All’interno di queste campagne i sindacati, le associazioni dei datori di lavoro e le organizzazioni della società civile devono disporre di un proprio spazio al fine di veicolare i rispettivi messaggi;

di creare una linea telefonica attraverso la quale il migrante possa segnalare in modo anonimo situazioni di sfruttamento e altre cattive pratiche del suo datore di lavoro.

1.7.

Per quanto riguarda le ispezioni, il CESE appoggia gli impegni assunti dalla CE e i suoi suggerimenti agli Stati membri, e propone anche:

i)

agli Stati membri:

di elaborare strategie di controllo rivolte in via prioritaria ai settori a rischio, di aumentare il numero degli ispettori del lavoro e di migliorare l’efficacia delle ispezioni;

di attuare le raccomandazioni o le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sul rapporto numerico tra ispettori del lavoro e lavoratori — vale a dire, 1 ispettore ogni 10 000 lavoratori — quale modo per assegnare risorse umane sufficienti agli ispettorati del lavoro affinché possano svolgere i loro compiti;

di stabilire, nelle rispettive strategie sull’attività ispettiva, che le ispezioni non saranno realizzate assieme alle autorità competenti in materia di migrazione e che gli ispettori del lavoro non hanno il dovere di segnalare alle autorità l’eventuale presenza di migranti irregolari nei luoghi di lavoro ispezionati;

di continuare a rispettare il ruolo delle parti sociali nel quadro delle ispezioni, negli Stati membri in cui le parti sociali già svolgono tale ruolo;

di concedere ai sindacati e alle organizzazioni dei datori di lavoro la possibilità di prendere parte alle attività di ispezione, in linea con le prassi nazionali esistenti ma nel rispetto delle norme dell’OIL, in particolare tramite la raccolta e lo scambio di informazioni;

ii)

alla Commissione europea:

di incoraggiare gli Stati membri a dotarsi di un numero sufficiente di ispettori del lavoro in relazione al numero di lavoratori in ciascuno Stato membro entro il 2024 (che è la data prevista per la prossima relazione di valutazione) (3), in linea con la convenzione n. 81, e, qualora gli Stati membri non si adeguino, di prendere in considerazione un’iniziativa legislativa volta ad attuare nell’UE tale norma internazionale;

iii)

Sulla partecipazione dell’Autorità europea del lavoro (ELA) all’attività ispettiva:

il CESE raccomanda alla CE e agli Stati membri che tale Autorità sia coinvolta in misura maggiore, conformemente alle sue regole di funzionamento, nell’attività ispettiva a livello europeo, dal momento che è già stato rilevato che molti canali per l’assunzione, anche indiretta, di lavoratori migranti in situazione irregolare operano proprio a livello europeo, una situazione che esige quindi interventi allo stesso livello per le ispezioni.

1.8.

Per quanto riguarda le lacune significative nelle informazioni, il CESE valuta assai positivamente l’iniziativa della CE, che è sostenuta dalla rete europea sulle migrazioni, volta a creare un sistema informatico di rendicontazione e una banca dati al fine di ottenere informazioni tempestive, regolari e comparabili, in modo da superare le enormi difficoltà esistenti. Il CESE propone tuttavia alla CE di stabilire nella legislazione pertinente che questa banca dati non potrà essere utilizzata dalle autorità nazionali competenti in materia di immigrazione per identificare i lavoratori in soggiorno irregolare ai fini del loro rimpatrio nel paese d’origine.

2.   Obiettivi della comunicazione

2.1.

La comunicazione adottata dalla CE che è esaminata nel presente parere intende rafforzare l’attuazione della direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (4) e rientra nell’approccio più generale del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo. La CE intende valutare i modi per rafforzare l’efficacia della direttiva e se siano necessarie misure supplementari.

2.2.

La comunicazione in oggetto, che rispetta l’obbligo di riferire periodicamente al Parlamento europeo e al Consiglio come stabilito all’articolo 16 della suddetta direttiva, individua altresì le misure necessarie per rafforzare l’attuazione della direttiva, concentrandosi sulle seguenti linee d’azione:

sanzioni contro i datori di lavoro (capitolo 2);

misure a tutela dei diritti dei migranti irregolari (capitolo 3);

ispezioni (capitolo 4);

lacune significative nelle informazioni (capitolo 5);

intensificazione dell’azione dell’UE contro il lavoro illegale (capitolo 6).

2.3.

Il presente parere affronta gli aspetti centrali di ciascuno di questi capitoli.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE prende atto che è «difficile stimare l’entità del lavoro illegale nell’UE perché si tratta di un fenomeno “nascosto” […]. Vi sono elementi che indicano che il lavoro illegale di migranti irregolari è più elevato in presenza di alte percentuali di attività economica informale. Sebbene si stimi che l’occupazione informale rappresenti in media il 16,8 % della totalità dei posti di lavoro dell’UE, l’estensione del lavoro illegale dei migranti irregolari è sempre più difficile da quantificare, in particolare per quanto riguarda gli aspetti relativi al genere e alle problematiche delicate dei minori, poiché la migrazione irregolare rimane difficile da stimare» (5). La natura e l’estensione dell’occupazione irregolare differiscono da uno Stato membro all’altro. Una delle sfide principali da affrontare per comprendere ed esaminare la questione in maniera più adeguata consiste nel migliorare la disponibilità di dati aggiornati e precisi.

3.2.

Il CESE condivide la posizione della CE secondo cui «i lavoratori privi di documenti possono spesso essere assunti attraverso rapporti di lavoro complessi che comportano accordi di subappalto e coinvolgono reclutatori e agenzie di lavoro interinale, nonché attraverso piattaforme online che offrono lavori di breve durata (ad esempio consegna di alimenti e pasti, servizi di trasporto), il che aumenta la difficoltà di individuare i datori di lavoro che assumono migranti irregolari. A tale riguardo, la responsabilità dell’intera catena di datori di lavoro è intesa a proteggere i migranti, in particolare nei settori economici in cui il subappalto è diffuso, come l’edilizia, nonché nell’area economica del lavoro su piattaforma online, emersa di recente» (6).

3.3.

Il CESE sottolinea che, in alcuni casi, la violazione grave e prolungata dei diritti umani e dello Stato di diritto può essere legata ad altri reati e alla negligenza dello Stato, come indicato dalla storica sentenza emanata nel 2017 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) (7), che ha riconosciuto che il grave sfruttamento della manodopera rappresentata dai lavoratori migranti nei campi di fragole di Nea Manolada (in Grecia) è equiparabile a lavoro forzato, e ha altresì precisato che lo sfruttamento attraverso il lavoro è un aspetto della tratta di esseri umani.

3.4.

Nei pareri adottati finora in relazione a tale problematica, il CESE ha fatto presente la necessità di intraprendere azioni per creare opportunità di immigrazione legale e, allo stesso tempo, affrontare le cause dell’immigrazione irregolare. In particolare, nel proprio parere d’iniziativa sulla proposta di direttiva che introduceva sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell’UE, il CESE ha espresso «perplessità sul contenuto della direttiva proposta, sul momento in cui è stata elaborata e sull’ordine in cui sono state adottate le proposte legislative»; d’altro canto, ha sottolineato «l’importanza che la direttiva trovi un’attuazione efficace negli Stati membri» e ha fatto «presente che il loro compito non sarà semplice poiché i) gli organi di monitoraggio non dispongono di sufficiente personale qualificato; ii) vi sono difficoltà nella ripartizione delle responsabilità tra i diversi organi interessati e iii) le imprese su cui si prevede di effettuare il monitoraggio sono molto numerose», giungendo alla conclusione che la «forza della direttiva risiederà comunque nella sua effettiva applicazione».

3.5.

Malgrado gli aspetti positivi contenuti nella comunicazione, ed essendo trascorsi 12 anni dall’entrata in vigore della direttiva, il CESE nutre seri dubbi sulla sua adeguatezza ai fini della lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori migranti in situazione irregolare e della loro regolarizzazione nei paesi ospitanti.

3.6.

Il CESE ritiene inoltre che la direttiva sulle sanzioni nei confronti dei datori di lavoro non sia di per sé sufficiente a promuovere percorsi di migrazione legale e a superare l’immigrazione irregolare. È necessario un approccio più globale che miri a coniugare le varie disposizioni della politica dell’UE in materia di migrazione legale con gli sforzi a livello nazionale per combattere il lavoro non dichiarato. È necessario rendere più facile per le imprese assumere migranti la cui situazione è stata debitamente regolarizzata e, a tal fine, le regole devono essere più semplici e chiare e prive di un carattere eccessivamente burocratico.

4.   Osservazioni particolari sulle sanzioni nei confronti dei datori di lavoro

4.1.

Il CESE ritiene molto importante che la direttiva disponga che le sanzioni pecuniarie e penali devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive, al fine di disincentivare i datori di lavoro dall’assumere migranti irregolari. Le sanzioni devono essere di molto superiori ai vantaggi economici derivanti dall’assunzione di migranti irregolari (8).

4.2.

Al riguardo, il CESE sottolinea le misure amministrative supplementari previste nella direttiva, come la perdita di benefici pubblici, l’esclusione dagli appalti pubblici, il rimborso delle sovvenzioni pubbliche, la chiusura temporanea o permanente di stabilimenti, oppure il ritiro di una licenza di esercizio. Il CESE deplora che tali misure continuino ad essere assai poco utilizzate, nonostante il loro potenziale per dissuadere i datori di lavoro dall’assumere migranti irregolari (9).

4.3.

Vi sono differenze sostanziali tra gli Stati membri per quanto riguarda l’importo delle sanzioni pecuniarie e le sanzioni penali (ad esempio, la sanzione pecuniaria varia da 3 000 a 43 000 EUR e la pena detentiva varia da 8 giorni a 12 anni) (10). Sarebbe tuttavia importante disporre di informazioni per avere una panoramica dell’intero ventaglio delle diverse sanzioni applicate negli Stati membri.

4.4.

Il CESE rileva che gli Stati membri con un sistema sanzionatorio più rigoroso ritengono che sanzioni pecuniarie più elevate costituiscano un valido deterrente contro il lavoro illegale, mentre gli Stati membri che applicano sanzioni inferiori — o in cui il rischio di sanzioni è considerato basso rispetto ai potenziali profitti derivanti dal lavoro illegale — hanno riscontrato che le sanzioni non costituiscono un deterrente sufficiente. È significativo che, a partire dal 2014, 11 Stati membri abbiano modificato la loro legislazione per aumentare l’importo dell’ammenda inflitta (11).

4.5.

Il CESE, pur comprendendo che la differenza del livello delle sanzioni pecuniarie applicate negli Stati membri dipende da una serie di elementi, quali la situazione economica e il livello del salario minimo in uno Stato membro, come indicato nella comunicazione, ritiene che tale situazione non giustifichi l’esistenza di sanzioni non dissuasive.

4.6.

Il CESE considera inaccettabile l’esistenza di lacune significative nelle informazioni fornite dagli Stati membri per quanto concerne l’applicazione delle sanzioni penali nei confronti dei datori di lavoro e il numero di procedimenti avviati. Anche con tali lacune, gli elementi disponibili indicano che la direttiva ha avuto un impatto limitato nello scoraggiare il lavoro illegale tramite l’imposizione di sanzioni, e questa considerazione spinge il CESE a deplorare che non si sia ancora riusciti a istituire un quadro efficiente per sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in tutta l’UE (12).

4.7.

Il CESE nota e sottolinea che i riscontri, forniti dai portatori di interessi che rappresentano i sindacati e le organizzazioni non governative (ONG), raccolti nel corso di specifiche consultazioni mirate sull’argomento, rilevano che le sanzioni per i datori di lavoro sfruttatori sembrano essere inferiori ai benefici ottenuti grazie al lavoro non dichiarato e al dumping sociale (13). Secondo la valutazione dei datori di lavoro, tuttavia, le sanzioni sono sufficientemente pesanti ed è importante migliorarne l’applicazione efficace e proporzionata nel quadro dell’attuazione della direttiva da parte di ciascuno Stato membro.

5.   Osservazioni particolari sulle misure a tutela dei diritti dei migranti irregolari

5.1.

Gli articoli 6, paragrafo 2, e 13 della direttiva concedono ai migranti irregolari una serie di diritti per garantire che siano adeguatamente informati, che possano presentare denunce contro le violazioni dei diritti dei lavoratori e recuperare le retribuzioni non pagate. Si tratta di disposizioni fondamentali per proteggere i migranti dal rischio di sfruttamento e abuso (14).

5.2.

Il CESE prende atto delle posizioni e delle analisi della Commissione in questo campo e le condivide, in particolare:

i)

sono ancora necessari ulteriori sforzi per quanto concerne l’attuazione degli elementi protettivi, in particolare per quanto riguarda l’accesso alle informazioni, l’accesso alla giustizia, il recupero delle retribuzioni arretrate e la concessione di permessi di soggiorno (15);

ii)

la maggior parte degli Stati membri fornisce solo informazioni generali sui diritti dei lavoratori e non informazioni mirate pertinenti alla situazione specifica dei lavoratori migranti in situazione irregolare;

iii)

la cooperazione delle autorità pubbliche con le parti sociali e le organizzazioni non governative è fondamentale per agevolare le denunce, poiché tali soggetti spesso hanno contatti diretti con i lavoratori e possono sensibilizzare, informare i migranti in merito ai loro diritti, creare fiducia reciproca e aiutare i lavoratori a individuare le situazioni di lavoro sommerso e sfruttamento della manodopera al fine di presentare una denuncia. Il ruolo delle parti sociali e delle organizzazioni non governative è inoltre molto importante per agevolare le denunce e segnalare situazioni di sfruttamento e ridurre il timore dei migranti di essere sottoposti a procedure di rimpatrio se individuati dalle autorità competenti in materia di migrazione. Nella grande maggioranza degli Stati membri la legge attribuisce un ruolo importante a questi portatori di interessi, in particolare ai sindacati, nell’ambito del meccanismo nazionale volto ad agevolare la presentazione di denunce (16);

iv)

i migranti irregolari vittime di sfruttamento lavorativo incontrano difficoltà in rapporto all’accesso alle procedure per il rilascio dei permessi di soggiorno o alle condizioni di rilascio dei permessi. I portatori di interessi segnalano che le vittime devono far fronte a una mancanza di accesso a informazioni e consulenza legale sulla disponibilità di permessi e sulle modalità per presentare domanda o chiedere l’esame di una domanda; essi segnalano altresì che la concessione di permessi è spesso legata all’avvio di azioni penali nei confronti di determinati datori di lavoro e che il permesso è subordinato alla partecipazione delle vittime al procedimento penale, sebbene ciò non sia richiesto dalla direttiva (17);

v)

l’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali (FRA) segnala che in alcuni Stati membri i migranti in situazione irregolare non si avvalgono dei sistemi di denuncia esistenti. Ciò può essere dovuto a una serie di motivi: mancanza di incentivi per i lavoratori a sporgere denuncia; informazioni limitate sui loro diritti e sul meccanismo di denuncia disponibile; ostacoli economici come le quote di iscrizione ai sindacati, i quali assistono solo i membri; e, soprattutto, la paura di essere scoperti, fermati e rimpatriati (18);

vi)

anche le parti sociali e le organizzazioni non governative svolgono un ruolo centrale nella promozione e nell’attuazione delle misure di tutela previste dalla direttiva e nell’aumentarne il raggio d’azione nei confronti dei migranti irregolari. La CE rafforzerà il dialogo con le parti sociali e le organizzazioni non governative che rappresentano i lavoratori privi di documenti e collaborerà con la piattaforma europea contro il lavoro non dichiarato nello sviluppo di tali attività.

5.3.

Il CESE mette in guardia contro l’eventualità che i lavoratori migranti irregolari — anche quando sono informati dei loro diritti da sindacati, organizzazioni della società civile o servizi pubblici — non presentino denunce contro i datori di lavoro per recuperare i salari non corrisposti, oppure non segnalino possibili situazioni di sfruttamento, per la possibilità di essere costretti al rimpatrio, di perdere il proprio reddito e, in alcuni casi, di rimanere esposti a ritorsioni dei datori di lavoro.

6.   Osservazioni particolari sulle ispezioni

6.1.

Il CESE condivide il punto vista della Commissione secondo cui le ispezioni costituiscono lo strumento più importante per individuare i datori di lavoro che assumono migranti irregolari e le situazioni di sfruttamento. Sulla base dei risultati delle ispezioni, i datori di lavoro possono essere ritenuti responsabili e sanzionati, e possono essere messe in atto le misure necessarie a tutelare i lavoratori migranti irregolari oggetto di sfruttamento. L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva impone agli Stati membri di garantire ispezioni efficaci e adeguate basate su valutazioni dei rischi che identifichino i settori di attività più a rischio, senza le quali è impossibile conseguire gli obiettivi della direttiva stessa (19). Il CESE sottolinea altresì che, oltre a garantire ispezioni efficaci, occorre affrontare anche altri problemi connessi al lavoro prestato da cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

6.2.

Il CESE constata, con sorpresa, che la comunicazione non contiene alcun riferimento alla partecipazione dell’Autorità europea del lavoro (ELA) all’attività ispettiva a livello europeo, eppure, come è noto, molti canali per l’assunzione, anche indiretta, di lavoratori migranti in situazione irregolare operano proprio a livello europeo, una situazione che esige quindi interventi allo stesso livello per le ispezioni. Il CESE afferma che questa situazione va cambiata.

6.3.

Il CESE appoggia pienamente le conclusioni della Commissione sulle ispezioni, e in particolare le seguenti:

i)

è improbabile che il numero di ispezioni effettuate nel sistema attuale dissuada i datori di lavoro dall’assumere migranti irregolari. La percentuale di datori di lavoro soggetti a ispezioni tende ad essere molto bassa; di conseguenza, i datori di lavoro possono ritenere che il vantaggio economico derivante dal lavoro illegale sia superiore alla probabilità di essere individuati mediante ispezioni (20);

ii)

gli Stati membri e gli altri portatori di interessi riferiscono che le autorità preposte all’ispezione del lavoro sono spesso a corto di personale e mancano di risorse, il che incide sul numero e sulla frequenza delle ispezioni effettuate (21);

iii)

i portatori di interessi promuovono l’idea di separare le ispezioni sul lavoro dalle attività di contrasto/immigrazione attraverso un «firewall» che garantirebbe che i migranti irregolari individuati durante le ispezioni non siano rinviati alle autorità competenti per l’immigrazione per la procedura di rimpatrio (22).

6.4.

In quest’ottica, il CESE considera inaccettabile che in diversi Stati membri le ispezioni non si concentrino sui settori a rischio, una situazione che non risponde alle prescrizioni della direttiva (23). Nella maggior parte degli Stati membri, i settori a rischio più comuni sono l’agricoltura, l’edilizia, l’industria manifatturiera, l’assistenza domestica e sociale, i servizi di ospitalità e di ristorazione.

6.5.

Il CESE pone l’accento sull’osservazione della FRA secondo cui le ispezioni condotte congiuntamente dalle autorità del lavoro e dalle unità anti-tratta, o da altre unità specializzate formate in materia di sfruttamento del lavoro, potrebbero contribuire a identificare i migranti vittime di sfruttamento del lavoro o tratta di esseri umani (24).

6.6.

In merito a questa osservazione della FRA, il CESE sottolinea tuttavia che, secondo i portatori di interessi che operano sul campo, i lavoratori sfruttati sono disincentivati a segnalare la loro situazione durante le ispezioni a causa del rischio di arresto e rimpatrio, in particolare quando le ispezioni sono effettuate congiuntamente dalle autorità preposte all’ispezione del lavoro e dalle autorità di polizia/immigrazione.

7.   Osservazioni particolari sulle lacune significative nelle informazioni

7.1.

La direttiva prevede che gli Stati membri comunichino annualmente alla Commissione il numero di ispezioni e i relativi risultati, i pagamenti degli arretrati da parte dei datori di lavoro, le altre misure applicate e l’agevolazione delle denunce. Queste informazioni sono fondamentali per valutare le modalità di attuazione delle misure della direttiva e le loro conseguenze. Gli Stati membri forniscono informazioni molto limitate e disomogenee che comportano significative lacune nei dati sulle ispezioni e sui relativi risultati (25).

7.2.

La mancanza di informazioni affidabili e complete rende difficile valutare in modo inconfutabile se la direttiva abbia avuto un impatto deterrente e abbia ridotto il lavoro illegale e se le sanzioni penali negli Stati membri siano efficaci, proporzionate e dissuasive. Una raccolta di informazioni migliore contribuirebbe a una strategia di applicazione più efficace a livello sia nazionale sia dell’UE (26).

7.3.

Il CESE valuta assai positivamente l’iniziativa della CE, che è sostenuta dalla rete europea sulle migrazioni (REM), volta a creare un sistema informatico di rendicontazione e una banca dati al fine di ottenere informazioni tempestive, regolari e comparabili (27). La REM può inoltre costituire uno strumento utile al fine di organizzare occasioni per l’apprendimento reciproco e lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri e le parti interessate.

7.4.

Il CESE ritiene che la suddetta banca dati debba rispettare le norme stabilite nel regolamento generale sulla protezione dei dati e che essa non potrà venire utilizzata dalle autorità nazionali competenti in materia di immigrazione per identificare i lavoratori in soggiorno irregolare ai fini del loro rimpatrio nel paese d’origine.

8.   Osservazioni particolari sull’intensificazione dell’azione contro il lavoro illegale

8.1.

Il CESE appoggia pienamente le seguenti posizioni e intenzioni che la CE ha esposto nella comunicazione in esame:

8.1.1.

per contrastare la migrazione irregolare, l’UE deve affrontare questo fenomeno in tutti i suoi aspetti attraverso un approccio globale, come indicato dal nuovo patto. Oltre ad affrontare le cause profonde della migrazione, rilanciare la lotta contro i trafficanti di migranti in collaborazione con i paesi terzi e accelerare l’apertura di percorsi legali verso l’UE, quest’ultima deve anche rafforzare la sua risposta al lavoro illegale, quale motore della migrazione irregolare e fonte di sfruttamento e abuso. A tal fine è necessario garantire un’attuazione e un’applicazione più efficaci della direttiva, lo strumento più importante a nostra disposizione, il cui potenziale deve ancora essere pienamente sfruttato (28);

8.1.2.

contestualmente al sostegno fornito agli sforzi di attuazione degli Stati membri, la CE monitorerà costantemente anche l’attuazione della direttiva e si concentrerà sulla sua effettiva applicazione. Una volta adottata la comunicazione in esame, la CE si impegnerà con le autorità competenti degli Stati membri per ottenere ulteriori informazioni sull’attuazione degli obblighi fondamentali in materia di sanzioni, ispezioni e tutela dei diritti dei migranti derivanti dalla direttiva e al fine di individuare possibili soluzioni. Se del caso, la CE avvierà procedure di infrazione (29);

8.1.3.

entro la fine del 2022 la CE attuerà le misure esposte nella comunicazione in esame e riferirà sui risultati raggiunti nella prossima relazione di attuazione prevista al più tardi per il 2024. Alla luce dei progressi compiuti grazie alle raccomandazioni esposte nella comunicazione in esame e dei rinnovati sforzi di attuazione e applicazione, e tenendo conto dei possibili sviluppi nel settore del lavoro illegale e dell’idoneità o meno della direttiva a darvi seguito, la CE valuterà se sia necessario modificare il quadro giuridico esistente (30).

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Comunicazione COM(2021) 592 final, pag. 1.

(2)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 1.

(3)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 6.

(4)  Direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 168 del 30.6.2009, pag. 24).

(5)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. l’introduzione.

(6)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 2.3.

(7)  Chowdury and Others v. Greece. Le terribili condizioni a Manolada hanno attirato l’attenzione nel 2013, quando i sorveglianti dell’azienda agricola hanno aperto il fuoco ferendo gravemente 30 lavoratori bengalesi che stavano protestando per i salari in arretrato di pagamento.

(8)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 2.

(9)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 2.3.

(10)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. i capitoli 2.1 e 2.2.

(11)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 2.1.

(12)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 2.2.

(13)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 2.2.

(14)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 3.

(15)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 3.

(16)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 3.2.

(17)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 3.2.

(18)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 3.2.

(19)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 4.1.

(20)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 4.1.

(21)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 4.1.

(22)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 4.1.

(23)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 4.1.

(24)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 4.1.

(25)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 5.

(26)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 5.

(27)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 5.

(28)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 6.

(29)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 6.

(30)  Comunicazione COM(2021) 592 final, cfr. il capitolo 6.


ALLEGATO

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso del dibattito, ma hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi (articolo 59, paragrafo 3, del Regolamento interno):

EMENDAMENTO 5

SOC/705

Sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell’UE

Punto 1.7 (i), terzo trattino

Modificare come segue:

Parere della sezione

Emendamento

di stabilire, nelle rispettive strategie sull’attività ispettiva, che le ispezioni non saranno realizzate assieme alle autorità competenti in materia di migrazione e che gli ispettori del lavoro non hanno il dovere di segnalare alle autorità l’eventuale presenza di migranti irregolari nei luoghi di lavoro ispezionati ;

di chiedere un chiarimento per quanto concerne la strategia sui controlli degli ispettorati del lavoro e la loro responsabilità professionale nell’identificazione dei migranti in situazione irregolare. Il CESE osserva che le ispezioni realizzate congiuntamente dagli ispettorati del lavoro e delle autorità competenti in materia di migrazione sono spesso effettuate al fine di far rispettare le regole in materia di immigrazione. È opportuno riconoscere che tali ispezioni possono dissuadere i lavoratori sfruttati dal segnalare la loro situazione nel corso di un’ispezione. Il CESE chiede pertanto una definizione chiara sia della strategia relativa agli ispettorati del lavoro che dei loro obblighi giuridici ;

Motivazione

L’emendamento mira a precisare il ruolo degli ispettori e a sottolineare che, nell’ambito dei loro obblighi professionali, essi sono tenuti a segnalare alle autorità la presenza di migranti in situazione irregolare che potrebbero trovarsi nei luoghi di lavoro ispezionati, ma riconosce altresì che le ispezioni congiunte possono dissuadere i lavoratori sfruttati dal segnalare la loro situazione in quelle circostanze. Pertanto, è altamente auspicabile un chiarimento sulla strategia che gli ispettori del lavoro devono seguire.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

48

Voti contrari:

70

Astensioni:

16


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/90


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione rinnovato dell’UE contro il traffico di migranti (2021-2025)

[COM(2021) 591 final]

(2022/C 290/15)

Relatore:

José Antonio MORENO DÍAZ

Correlatore:

Pietro Vittorio BARBIERI

Consultazione

Commissione europea, 1.12.2021

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

7.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

212/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il traffico di migranti è un’attività criminale transfrontaliera che mette a rischio la vita delle persone, viola i diritti fondamentali e perturba la gestione ordinata dei flussi migratori. Negli ultimi 20 anni il traffico di esseri umani è cresciuto a causa di molteplici fattori che inducono a lasciare i paesi di origine (violazioni dei diritti umani, violenza, conflitti, disuguaglianze, motivi economici e ambientali ecc.), ma anche a causa della mancanza di canali legali per accedere ai territori di molti paesi. Le restrizioni all’accesso legale, aumentate in seguito alla pandemia di COVID-19, hanno fatto crescere il numero delle persone che ricorrono alle reti illecite, con tutti i rischi che ne derivano.

1.2.

Fin dal suo inizio, la politica europea in materia di migrazione ha puntato, tra le altre cose, a combattere il traffico di esseri umani, a impedire lo sfruttamento dei migranti da parte delle reti criminali e a ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare. Il piano d’azione rinnovato dell’UE contro il traffico di migranti (2021-2025) dovrebbe essere inteso come uno strumento di continuità e miglioramento della lotta dell’Unione europea contro questa attività criminale.

1.3.

Secondo Europol, oltre il 90 % delle persone che entrano in modo irregolare nell’Unione europea si è servito di reti di trafficanti in qualche fase del proprio viaggio. Nel quadro della lotta contro il traffico di migranti, l’Unione europea ritiene prioritario collaborare con i paesi partner per ridurre gli incentivi a intraprendere questi viaggi pericolosi, affrontare le cause profonde della migrazione irregolare, promuovere la migrazione regolare e l’apertura di percorsi legali e sicuri verso i paesi dell’Unione europea, rafforzare la gestione delle frontiere comuni, affrontare la questione dei fattori di attrazione e facilitare il rimpatrio e la reintegrazione delle persone che si trovano in una situazione irregolare sul territorio dell’UE.

1.4.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il piano d’azione rinnovato dell’UE e l’approccio globale da esso proposto, quale proseguimento dell’azione dell’Unione europea volta a combattere il traffico di migranti. È chiaro che, in quanto attività criminale, il traffico di migranti mette a rischio la vita dei migranti stessi e ne viola i diritti, trae indebito vantaggio dalle persone che cercano di accedere al territorio dell’UE e rappresenta inoltre una minaccia per la sicurezza europea.

1.5.

Il CESE comprende che la salvaguardia delle frontiere esterne è una priorità per l’Unione europea, ma sottolinea che tali frontiere devono sempre essere protette nel rispetto dei diritti umani e dell’inviolabilità del diritto internazionale pubblico, proteggendo sempre le persone ed evitando la criminalizzazione della solidarietà. In ogni caso, la lotta contro il traffico di migranti non può mai essere diretta contro i migranti stessi o contro gli aiuti umanitari e l’assistenza loro forniti.

1.6.

Il CESE considera essenziale combattere il traffico di migranti con un approccio che tenga conto dell’intero tragitto. Ciò significa rafforzare le misure proposte contro le reti di trafficanti migliorando la cooperazione giudiziaria e di polizia; migliorare la cooperazione e il dialogo con i paesi vicini nella lotta contro le reti di trafficanti; rafforzare le azioni volte a prevenire lo sfruttamento e a garantire la protezione delle vittime di tale traffico; e combattere l’occupazione irregolare e lo sfruttamento lavorativo in maniera più coordinata ed energica.

1.7.

Il CESE concorda sulla necessità di eliminare la domanda per colpire i profitti delle reti del traffico di esseri umani. Mette tuttavia in guardia contro le disfunzioni che possono insorgere se si affronta soltanto il lato dell’offerta (ossia le reti di trafficanti). A tale riguardo, sottolinea che l’esistenza di canali legali, efficaci e sicuri, così come la protezione del diritto di asilo, sono fondamentali per disattivare una larga parte di questa attività illecita.

1.8.

Il CESE, inoltre, condanna fermamente l’uso strumentale dei migranti e dei richiedenti asilo come fattori destabilizzanti dell’UE (1).

1.9.

Il CESE sottolinea che la protezione delle persone, la prestazione di assistenza medica (2) e le azioni di solidarietà non dovrebbero essere criminalizzate e trattate alla stessa stregua delle reti di trafficanti; tali attività dovrebbero essere perseguite soltanto se commesse intenzionalmente al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale (3). La clausola di esenzione obbligatoria dalla responsabilità deve essere espressamente inclusa qualora alla base delle azioni di aiuto o di assistenza vi siano state motivazioni umanitarie.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il traffico di migranti è un’attività criminale transfrontaliera che mette a rischio la vita delle persone, viola i diritti fondamentali e perturba la gestione ordinata dei flussi migratori.

2.2.

Negli ultimi 20 anni il traffico di esseri umani è cresciuto a causa di molteplici fattori che inducono a lasciare i paesi di origine (violazioni dei diritti umani, violenza, conflitti, disuguaglianze, motivi economici e ambientali ecc.), ma anche a causa della mancanza di canali legali per accedere ai territori di molti paesi. Le restrizioni all’accesso legale, aumentate in seguito alla pandemia di COVID-19, hanno fatto crescere il numero delle persone che ricorrono alle reti illecite, con tutti i rischi che ne derivano (4).

2.3.

La principale differenza tra traffico di migranti e tratta di esseri umani risiede nel fatto che, nel primo caso, i migranti partecipano volontariamente al processo migratorio pagando i servizi di un trafficante per attraversare una frontiera internazionale, mentre nella tratta di esseri umani le persone sono vittime del traffico a scopo di lavoro, sfruttamento sessuale o prelievo di organi e sono quindi vittime che hanno bisogno di assistenza e sostegno. La tratta non è un’attività necessariamente transfrontaliera. I due fenomeni sono spesso interconnessi, in quanto le vittime della tratta possono diventare vittime di trafficanti a fini di sfruttamento lavorativo, sessuale o di altro tipo.

2.4.

Fin dalla sua istituzione, la politica europea in materia di migrazione ha puntato, tra le altre cose, a combattere questa attività criminale, a impedire lo sfruttamento dei migranti da parte delle reti criminali e a ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare. Nel patto sulla migrazione e l’asilo presentato nel 2000 dalla Commissione europea, si osserva che la lotta contro il traffico di migranti è una priorità e che sarà rafforzata «la cooperazione con i paesi di origine e di transito per prevenire i viaggi pericolosi e gli attraversamenti irregolari, anche attraverso partenariati su misura con i paesi terzi per contrastare il traffico di migranti».

2.5.

Secondo Europol, oltre il 90 % delle persone che entrano in modo irregolare nell’Unione europea si è servito di reti di trafficanti in qualche fase del proprio viaggio.

2.6.

Il piano d’azione rinnovato dell’UE contro il traffico di migranti (2021-2025) dovrebbe essere inteso come uno strumento di continuità nella lotta dell’Unione europea contro questa attività criminale. Il traffico di migranti deve essere visto non solo come una sfida migratoria, ma anche come una minaccia alla sicurezza che interessa le frontiere esterne dell’UE. La gestione e la protezione adeguate delle frontiere esterne dell’UE, nel rispetto del quadro giuridico internazionale e dei diritti fondamentali, sono questioni cruciali. L’UE deve rafforzare le norme e le procedure comuni, conformemente ai diritti umani e alle norme internazionali, al fine di prevenire il traffico di migranti verso l’UE.

2.7.

Nel quadro della lotta contro il traffico di migranti, l’Unione europea ritiene prioritario collaborare con i paesi partner per ridurre gli incentivi a intraprendere questi viaggi pericolosi, affrontare le cause profonde della migrazione irregolare, promuovere la migrazione regolare e l’apertura di percorsi legali e sicuri verso i paesi dell’Unione europea, rafforzare la gestione delle frontiere comuni e facilitare il rimpatrio e la reintegrazione delle persone che si trovano in una situazione irregolare sul territorio europeo (5).

2.8.

Per combattere il traffico di esseri umani, è necessario anche rafforzare l’applicazione della direttiva sulle sanzioni ai datori di lavoro (6) e capire che il lavoro irregolare costituisce un elemento di attrazione per la migrazione irregolare e che può essere collegato al traffico di migranti: bisogna ricordare che, se vi sono lavoratori stranieri in situazione irregolare nell’UE, è perché vi sono datori di lavoro irregolari che forniscono loro un’occupazione irregolare che non rispetta le condizioni lavorative minime per quanto riguarda la retribuzione, l’orario di lavoro, le condizioni sanitarie e di sicurezza ecc.

2.9.

Il piano d’azione rinnovato dell’UE contro il traffico di migranti (2021-2025) tiene conto dei risultati di consultazioni mirate dei portatori di interessi e di una consultazione pubblica svoltasi tra il 19 marzo e l’11 giugno 2021. Contribuendo a smantellare le attività criminali, il piano sostiene anche gli obiettivi della strategia dell’UE per l’Unione della sicurezza (7), nonché della strategia dell’UE per la lotta alla criminalità organizzata 2021-2025 (8) e della strategia dell’UE per la lotta alla tratta degli esseri umani 2021-2025 (9).

3.   Osservazioni sul piano d’azione rinnovato dell’UE contro il traffico di migranti (2021-2025)

3.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il piano d’azione rinnovato dell’UE e l’approccio globale da esso proposto, quale proseguimento dell’azione dell’Unione europea volta a combattere il traffico di migranti e la tratta di esseri umani.

3.2.

È chiaro che, in quanto attività criminale, il traffico di migranti mette a rischio la vita dei migranti stessi e ne viola i diritti, oltre a trarre indebito vantaggio dalle persone che cercano di accedere al territorio dell’UE. Il CESE ritiene pertanto che occorra mettere in atto i meccanismi e gli strumenti necessari per combattere questa attività criminale.

3.3.

Il CESE comprende che la salvaguardia delle frontiere esterne è anche una priorità per l’Unione europea, ma sottolinea che tali frontiere devono sempre essere protette nel rispetto dei diritti umani e dell’inviolabilità del diritto internazionale pubblico, proteggendo sempre le persone ed evitando la criminalizzazione della solidarietà. In ogni caso, la lotta contro il traffico di migranti non può mai essere diretta contro i migranti stessi o contro gli aiuti umanitari e l’assistenza loro forniti, né può essere un pretesto per abolire il diritto di asilo sia nell’UE che a livello internazionale.

3.4.

La protezione delle persone, la prestazione di assistenza medica (10) e le azioni di solidarietà non dovrebbero essere criminalizzate e trattate alla stessa stregua delle reti di trafficanti; tali attività dovrebbero essere perseguite soltanto se commesse intenzionalmente al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale (11). La clausola di esenzione obbligatoria dalla responsabilità deve essere espressamente inclusa qualora alla base delle azioni di aiuto o di assistenza vi siano state motivazioni umanitarie.

3.5.

Il CESE considera essenziale combattere il traffico di migranti con un approccio che tenga conto dell’intero tragitto e capire che la mancanza di percorsi legali e sicuri è uno dei motivi che consentono alle reti di trafficanti di prosperare.

3.6.

Il CESE ritiene inoltre che il lavoro irregolare possa essere collegato a reti del traffico di esseri umani, i quali spesso finiscono in situazioni di sfruttamento lavorativo. Il CESE giudica pertanto che occorra adoperarsi per migliorare l’attuazione della direttiva sulle sanzioni ai datori di lavoro e per combattere l’occupazione irregolare e lo sfruttamento lavorativo in modo più coordinato ed energico.

3.7.

Il CESE ritiene necessario rafforzare le misure proposte contro le reti di trafficanti migliorando la cooperazione giudiziaria e di polizia, sostenendo il lavoro della piattaforma multidisciplinare europea di lotta alle minacce della criminalità (EMPACT) e dell’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust) e migliorando la raccolta di informazioni e le campagne di informazione sui rischi del traffico di migranti alla fonte.

3.8.

Il CESE accoglie con favore il fatto che questo approccio integrato comporti anche il miglioramento della cooperazione e del dialogo con i paesi vicini nella lotta contro le reti di trafficanti, ma mette in guardia contro il rischio di ripercussioni negative sui rapporti di cooperazione con questi paesi, che potrebbero finire per rafforzare le reti di trafficanti applicando un’interpretazione scorretta di concetti quali il rimpatrio e la reintegrazione. A tale riguardo, va osservato che la comunicazione della Commissione sottolinea correttamente il ruolo crescente che gli attori statali svolgono nel creare artificialmente e favorire l’immigrazione irregolare allo scopo di fomentare la destabilizzazione dell’UE.

3.9.

Il CESE ritiene essenziale rafforzare le misure volte a prevenire lo sfruttamento e a garantire la protezione delle vittime di tale traffico. In proposito, giudica necessario mettere a punto azioni pilota, secondo l’approccio che tiene conto dell’intero tragitto, che vedano coinvolte le amministrazioni e gli attori sociali dei paesi di origine, di transito e di destinazione.

3.10.

Il CESE considera utile sviluppare partenariati operativi contro il traffico di esseri umani con i paesi terzi, ma sottolinea che tali accordi non devono violare i principi guida dell’Unione europea, né devono essere stipulati con paesi in cui hanno luogo violazioni sistematiche dei diritti umani.

3.11.

Il CESE ritiene che il piano d’azione rinnovato dell’UE contro il traffico di migranti (2021-2025) riesca a individuare i rischi derivanti da questa attività criminale e in particolare dalla rapidità con cui le reti di trafficanti si adattano alle circostanze e utilizzano le nuove tecnologie per trarne il massimo vantaggio.

3.12.

Il CESE concorda sulla necessità di eliminare la domanda per colpire i profitti delle reti del traffico di esseri umani, come indicato nel piano d’azione rinnovato. In ogni caso, mette in guardia contro le disfunzioni che possono sorgere se si affronta soltanto il lato dell’offerta (ossia le reti di trafficanti), senza comprendere la necessità di riforme strutturali volte a ridurre la domanda. A tale riguardo, sottolinea che l’esistenza di canali legali, efficaci e sicuri, così come la protezione del diritto di asilo, sono fondamentali per disattivare una larga parte di questa attività illecita.

3.13.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che il miglioramento della prevenzione del traffico di esseri umani — obiettivo che condivide — possa costituire una violazione dei meccanismi di assistenza ai migranti vulnerabili. Evidenzia che negli ultimi mesi si è assistito a un aumento delle azioni intraprese da determinati partiti e governi per criminalizzare gli atti di solidarietà. Il CESE sottolinea che la protezione delle persone vulnerabili, la prestazione di assistenza medica (12) e le azioni di solidarietà non dovrebbero essere criminalizzate e trattate alla stessa stregua delle reti di trafficanti (13).

3.14.

Il CESE ritiene che occorra prestare particolare attenzione alle vittime dei trafficanti, e in particolare a quelle più vulnerabili come i minori (non accompagnati) (14), le persone disabili e le donne (15). Il CESE esorta la Commissione europea a elaborare con urgenza una direttiva sulla protezione dei minori non accompagnati che persegua l’interesse superiore dei medesimi. Inoltre, il ruolo degli attori della società civile, degli enti sociali e delle ONG nell’aiutare e sostenere le vittime dovrebbe essere riconosciuto quale azione umanitaria volta a rafforzare i principi dell’UE.

3.15.

Il CESE riconosce che il piano è anche pertinente e affronta in maniera chiara i problemi attuali della strumentalizzazione dei flussi migratori, nella quale è evidente il coinvolgimento diretto di attori statali. Anche il CESE, come il Consiglio europeo (16), condanna fermamente l’uso strumentale dei migranti e dei richiedenti asilo come fattori destabilizzanti, recentemente osservato alle frontiere con il Marocco e soprattutto con la Bielorussia (17).

3.16.

Il CESE sottolinea che gli Stati membri sono sempre tenuti a rispettare gli impegni internazionali, tra cui la Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo di New York del 1967 che disciplinano il diritto di asilo, oltre all’intero quadro legislativo dell’UE.

3.17.

Il fatto di configurare la migrazione come una minaccia, e la retorica che descrive i migranti come un pericolo, disumanizzano gli esseri umani e favoriscono solo coloro che vogliono servirsene per ragioni geopolitiche o di politica interna.

3.18.

Il CESE si rammarica che il traffico di migranti desti maggiore preoccupazione della tratta di esseri umani, che rimane l’attività criminale più redditizia e non rappresenta solo una violazione dei diritti umani, ma anche una reale minaccia per la sicurezza nazionale, la crescita economica e lo sviluppo sostenibile (18).

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Cfr. l’imminente parere del CESE REX 554.

(2)  CPME statement on criminalisation of acts of solidarity [Dichiarazione del comitato permanente dei medici europei (CPME) sulla criminalizzazione degli atti di solidarietà]. Cfr. anche la relazione del Parlamento europeo (2019): Fit for purpose? The Facilitation Directive and the criminalisation of humanitarian assistance to irregular migrants: 2018 Update (Idoneità allo scopo? La direttiva sul favoreggiamento e la penalizzazione dell’assistenza umanitaria ai migranti irregolari: aggiornamento 2018).

(3)  Articolo 6 del protocollo addizionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale.

(4)  Global Initiative (2021), The Global Illicit Economy (L’economia illecita globale).

(5)  GU C 517 del 22.12.2021, pag. 86.

(6)  Direttiva 2009/52/CE.

(7)  COM(2020) 605 final.

(8)  COM(2021) 170 final.

(9)  COM(2021) 171 final.

(10)  CPME statement on criminalisation of acts of solidarity [Dichiarazione del comitato permanente dei medici europei (CPME) sulla criminalizzazione degli atti di solidarietà]. Cfr. anche la relazione del Parlamento europeo (2019): Fit for purpose? The Facilitation Directive and the criminalisation of humanitarian assistance to irregular migrants: 2018 Update (Idoneità allo scopo? La direttiva sul favoreggiamento e la penalizzazione dell’assistenza umanitaria ai migranti irregolari: aggiornamento 2018).

(11)  Articolo 6 del protocollo addizionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale.

(12)  CPME statement on criminalisation of acts of solidarity [Dichiarazione del comitato permanente dei medici europei (CPME) sulla criminalizzazione degli atti di solidarietà]. Cfr. anche la relazione del Parlamento europeo (2019) Fit for purpose? The Facilitation Directive and the criminalisation of humanitarian assistance to irregular migrants: 2018 Update (Idoneità allo scopo? La direttiva sul favoreggiamento e la penalizzazione dell’assistenza umanitaria ai migranti irregolari: aggiornamento 2018).

(13)  Consiglio di esperti sul diritto delle ONG della Conferenza delle organizzazioni internazionali non governative del Consiglio d’Europa, Using criminal law to limiting the work of NGO support refugees and other migrants in Council Member States (L’uso del diritto penale per limitare il lavoro delle ONG che sostengono i rifugiati e altri migranti negli Stati membri del Consiglio d’Europa) (2019).

(14)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 24.

(15)  Obiettivo 9 del patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare: rafforzare le risposte transnazionali al traffico di migranti. E punto 25, lettera c): sviluppare protocolli di cooperazione sensibili alla dimensione di genere e ai minori, lungo le rotte migratorie, che delineino misure passo per passo per individuare e assistere adeguatamente i migranti oggetto di traffico.

(16)  JOIN(2021) 32 final, Risposta alla strumentalizzazione dei migranti avallata dallo Stato alle frontiere esterne dell'UE.

(17)  https://www.eesc.europa.eu/it/news-media/presentations/eesc-expresses-its-concern-about-situation-border-belarus

(18)  Bigio, J., & Vogelstein, R. B. (2021). Ending Human Trafficking in the Twenty-First Century (Porre fine alla tratta di esseri umani nel XXI secolo), Consiglio per le relazioni estere.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliori condizioni di lavoro per un'Europa sociale più forte: sfruttare appieno i vantaggi della digitalizzazione per il futuro del lavoro

[COM(2021) 761 final]

e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali

[COM(2021) 762 final]

(2022/C 290/16)

Relatrice:

Cinzia DEL RIO

Consultazione

Parlamento europeo, 17.1.2022

Consiglio dell'Unione europea, 4.5.2022

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

7.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

149/80/18

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La pandemia ha portato alla luce tutta una serie di cambiamenti già in atto nel mondo del lavoro e ha accelerato l'espansione di tutti i tipi di lavoro tramite piattaforma digitale, rafforzando in tal modo la crescita e l'impatto dell'economia digitale.

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di direttiva della Commissione europea relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali [COM(2021) 762], nel quadro dell'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali. Tale intervento normativo dovrebbe puntare a stabilire definizioni chiare dei criteri per classificare i rapporti di lavoro e disciplinare l'utilizzo degli algoritmi, e dovrebbe fornire accesso ai diritti e alla protezione sociale e del lavoro.

1.3.

In diversi precedenti pareri, il cui contenuto è ancora attuale in relazione al presente parere, il CESE ha già messo in evidenza le opportunità e le sfide che accompagnano il lavoro mediante piattaforme, nonché la necessità di stabilire norme chiare ed eque per garantire una concorrenza leale nel mercato interno, un'attuazione efficace dei diritti dei lavoratori e migliori condizioni di lavoro. L'obiettivo generale è quello di far rispettare le regole del mercato interno e di rafforzarlo garantendo condizioni di parità per tutti gli attori.

1.4.

Il CESE ha sottolineato che l'economia delle piattaforme offre opportunità sia alle imprese che ai lavoratori. Le imprese possono raggiungere nuovi mercati, ridurre i costi e sfruttare le innovazioni nelle tecnologie digitali e l'accesso alla forza lavoro globale e locale per migliorare l'efficienza e aumentare la produttività. Ai lavoratori si aprono nuove opportunità di reddito e occupazione, che rivestono un'importanza sempre maggiore e addirittura cruciale per i gruppi vulnerabili come i giovani, i migranti e le donne. Queste opportunità devono essere sfruttate in modo socialmente sostenibile.

1.5.

Tra le preoccupazioni espresse riguardo alle condizioni di lavoro nell'economia delle piattaforme figurano un accesso più limitato alla protezione sociale e alla copertura previdenziale, una serie di rischi per la salute e la sicurezza, condizioni di lavoro precarie, orari di lavoro frammentati, livelli di reddito inadeguati e difficoltà nel garantire il riconoscimento dei diritti collettivi. Tali preoccupazioni devono essere affrontate, e occorre mettere a punto soluzioni equilibrate ai livelli appropriati — europeo, nazionale e attraverso la contrattazione collettiva con le piattaforme. Il CESE reputa necessario garantire la parità di trattamento tra le imprese «tradizionali» e quelle che fanno uso di strumenti digitali, basati sulle funzioni della gestione algoritmica nei casi in cui essa viene utilizzata per gestire l'organizzazione del lavoro e i rapporti di lavoro: potere direttivo, di controllo e/o organizzativo.

1.6.

Le piattaforme di lavoro digitali hanno dimensioni diverse. Per le PMI che operano tramite piattaforme esistono altre sfide da prendere in considerazione, tra cui quelle relative ai costi associati alle infrastrutture e agli oneri amministrativi, come pure all'adattamento alla trasformazione digitale.

1.7.

Il CESE riconosce che la flessibilità dell'orario di lavoro può essere una caratteristica positiva del lavoro mediante piattaforme, apprezzata in particolare dalle persone che fanno affidamento su questo tipo di lavoro come fonte di reddito supplementare. Tuttavia, la flessibilità dovrebbe sempre essere basata sul rispetto delle norme fondamentali sociali e del lavoro garantite dal diritto dell'UE.

1.8.

Il CESE concorda sul fatto che la classificazione giuridica del rapporto di lavoro e la sua chiara distinzione da un vero e proprio lavoro autonomo sono fondamentali per assicurare la certezza del diritto sia per le imprese che per i lavoratori, oltre che per garantire i diritti e le tutele dei lavoratori. Tuttavia, questa materia viene trattata in modo diverso nei vari Stati membri. Le disposizioni legislative su settori specifici, le decisioni giudiziarie a seguito di vertenze di lavoro e i contratti collettivi in segmenti specifici del lavoro mediante piattaforma sono all'origine di una frammentazione della regolamentazione vigente all'interno dell'UE e di tutta una serie di disparità nel trattamento dei lavoratori delle piattaforme nei vari Stati membri. È necessario individuare chiaramente il datore di lavoro giuridicamente responsabile, sia in termini di imposizione e contributi sociali, sia nella prospettiva di istituire procedure di contrattazione collettiva.

1.9.

L'Europa non può adottare approcci normativi differenti per rispondere a sfide che sono della stessa natura. Il CESE sostiene l'obiettivo della proposta legislativa della Commissione europea di affrontare questa marcata discrepanza normativa tra gli Stati membri.

1.10.

Il CESE sottolinea che le nuove norme della direttiva devono basarsi sull'acquis sociale dell'UE e includere definizioni chiare, che non dovrebbero essere in contrasto con l'acquis giuridico, i contratti collettivi o la giurisprudenza dei tribunali dei singoli Stati membri. La direttiva dovrebbe costituire un quadro giuridico chiaro da adattare a livello nazionale alle legislazioni e prassi del singolo Stato, incoraggiando in particolare le procedure di contrattazione collettiva.

1.11.

Inoltre, il presente parere affronta in particolare i seguenti aspetti della proposta di direttiva:

Criteri di classificazione: il CESE sottolinea che i criteri di classificazione di cui all'articolo 4 della proposta non riflettono la dinamica e rapida evoluzione del mercato digitale e dovrebbero essere costantemente aggiornati, e di conseguenza risultano vaghi e ambigui. Sarebbe più opportuno affermare che la presunzione dell'esistenza di un rapporto di lavoro («presunzione legale») opera a favore dei singoli lavoratori che prestano il proprio lavoro e/o i propri servizi nell'ambito delle specifiche funzioni di potere direttivo, di controllo e/o organizzativo svolte attraverso la gestione algoritmica esercitata dalla piattaforma digitale in questione, e quindi stabilire i criteri in base a tali funzioni. Il CESE concorda sul fatto che le piattaforme debbano avere la possibilità di confutare la presunzione legale.

1.12.

Il CESE sottolinea che la dimensione specifica della gestione algoritmica, che esercita un'influenza considerevole sui lavoratori, potrebbe non applicarsi alla definizione della presunzione di un rapporto di lavoro che coinvolga lavoratori iscritti ad albi professionali o membri di associazioni professionali nazionali, laddove esistano.

1.13.

Norme sulla gestione algoritmica: il CESE concorda sul fatto che la gestione algoritmica ha un impatto significativo sulle condizioni di lavoro e dovrebbe essere trasparente e responsabile per lavoratori e imprese. La gestione algoritmica supervisiona, assegna compiti, fornisce istruzioni dirette che limitano il livello di autonomia e valuta i lavoratori, comprese le loro prestazioni e il loro comportamento, nonché le loro retribuzioni e condizioni di lavoro, e può persino portare al licenziamento. La direttiva dovrebbe stabilire esplicitamente che i diritti di cui al capo III si applicano a tutte le situazioni in cui la gestione algoritmica è utilizzata in un contesto di lavoro.

1.14.

Il CESE ritiene che tutti i lavoratori delle piattaforme dovrebbero avere il diritto garantito alla portabilità dei dati e allo scaricamento dei loro dati dalle piattaforme, compresi i dati relativi alle competenze. Inoltre, dovrebbero essere aggiunte ulteriori disposizioni che consentano di esercitare il diritto di riesame di una decisione automatizzata o semi-automatizzata. Le decisioni che potrebbero avere un impatto sostanziale sul rapporto di lavoro dovrebbero essere prese da esseri umani. Il CESE si rallegra che la proposta della Commissione europea vada in questa direzione.

1.15.

Il CESE sottolinea l'importanza di garantire un'applicazione efficace attraverso una più stretta cooperazione tra le autorità di protezione dei dati e gli ispettorati del lavoro, e insiste sulla necessità di chiarire la ripartizione delle responsabilità, anche nelle situazioni transfrontaliere.

1.16.

Diritti collettivi: il CESE sottolinea che l'articolo 14 della direttiva dovrebbe fare esplicito riferimento ai sindacati, che hanno il diritto di condurre la contrattazione collettiva. Inoltre, i diritti di informazione e consultazione e il diritto alla contrattazione collettiva dovrebbero essere estesi a tutti i lavoratori delle piattaforme digitali.

1.17.

La direttiva dovrebbe garantire procedure eque di risoluzione del rapporto di lavoro per i lavoratori delle piattaforme digitali e procedure di informazione e consultazione in caso di licenziamenti collettivi.

1.18.

In linea con gli obiettivi dell'agenda per le competenze per l'Europa, il CESE sottolinea l'importanza di una formazione e di informazioni adeguate per i lavoratori delle piattaforme, che potrebbero essere disponibili in varie lingue, su come utilizzare la piattaforma e lavorare al suo interno e su come migliorare le loro competenze digitali.

2.   Introduzione — Il contesto generale

2.1.

La pandemia di COVID-19 ha accelerato il ricorso al lavoro mediante piattaforme e ha reso più palesi alcuni cambiamenti nel mondo del lavoro che si stavano già profilando. Il CESE ha già sottolineato che l'economia delle piattaforme offre opportunità sia alle imprese che ai lavoratori. Le piattaforme di lavoro digitali che fungono da intermediarie del lavoro sono rapidamente penetrate in diversi settori economici. Le imprese possono raggiungere nuovi mercati, ridurre i costi e sfruttare le innovazioni nelle tecnologie digitali e l'accesso alla forza lavoro globale e locale per migliorare l'efficienza e aumentare la produttività. Ai lavoratori si aprono nuove opportunità di reddito e occupazione, che rivestono un'importanza sempre maggiore e addirittura cruciale per i gruppi vulnerabili come i giovani, i migranti e le donne.

2.2.

Tuttavia, vi sono anche delle sfide legate ai diritti dei lavoratori, alla fiscalità, alla distribuzione della ricchezza e alla sostenibilità, che devono essere affrontate a livello europeo (1). Il lavoro mediante piattaforme digitali diventa un elemento importante della nuova mappa produttiva delle attività economiche correlate allo sviluppo e alla transizione digitali. In diversi precedenti pareri, il cui contenuto è ancora attuale in relazione al presente parere, il CESE ha già sottolineato le opportunità e i rischi (2), e ha invocato un intervento normativo a livello europeo con chiare definizioni dei criteri di classificazione dei rapporti di lavoro, con cui disciplinare l'utilizzo degli algoritmi e fornire accesso ai diritti e alla protezione sociale e del lavoro.

2.3.

La debole posizione economica di un gran numero di lavoratori che operano su un'ampia varietà di piattaforme di lavoro digitali accresce i rischi per la salute e la sicurezza (3) e aggrava la precarietà del lavoro (4), un fenomeno difficile da delimitare entro specifici e ben precisi confini geografici nazionali. Inoltre, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici dell'UE si osserva un indebolimento dei meccanismi di protezione generale e di protezione sociale per i lavoratori non standard e atipici.

2.4.

Il CESE riconosce che la flessibilità dell'orario di lavoro può essere una caratteristica positiva del lavoro mediante piattaforme, apprezzata in particolare dalle persone che fanno affidamento sul lavoro su piattaforma come fonte di reddito supplementare, soprattutto i giovani. Tuttavia, la flessibilità dovrebbe sempre essere basata sul rispetto delle norme fondamentali sociali e del lavoro garantite dal diritto dell'UE e può essere disciplinata dal diritto nazionale o da contratti collettivi sulla base del quadro giuridico pertinente dell'UE. Ciò è particolarmente necessario per i giovani che si trovano ad avere periodi di lavoro frammentati e livelli di reddito bassi e inadeguati, e che hanno bisogno di riscuotere i contributi sociali per le loro pensioni future (5).

2.5.

La natura estremamente diversificata dei rapporti di lavoro che si creano e si sviluppano sulle piattaforme di lavoro digitali all'interno di ciascuno Stato membro non favorisce l'adozione di una soluzione nazionale uniforme per quanto riguarda il riconoscimento della necessaria protezione sociale, delle necessarie misure in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di livelli di reddito adeguati, di orari di lavoro adeguati e di condizioni di lavoro dignitose. Queste diverse forme di rapporti di lavoro — e di scarsa protezione individuale e collettiva a livello nazionale — si moltiplicano a livello dell'UE, creando così le condizioni per il dumping sociale e la concorrenza sleale che minacciano l'efficacia stessa delle norme europee e nazionali in materia di protezione del lavoro.

2.6.

Le piattaforme di lavoro digitali possono essere suddivise in due grandi categorie: piattaforme online basate sul web e piattaforme basate sull'ubicazione. Questi tipi di piattaforme hanno dimensioni diverse. Per le PMI che operano tramite piattaforme esistono altre sfide da prendere in considerazione, tra cui quelle relative ai costi associati alle infrastrutture e agli oneri amministrativi, come pure all'adattamento alla trasformazione digitale.

2.7.

Il numero di persone che lavorano per datori di lavoro che ricorrono a piattaforme digitali è in costante crescita, non solo nell'Unione europea, ma in tutto il mondo (6). Come hanno dimostrato l'OIL e Eurofound, le sfide per le imprese tradizionali comprendono la concorrenza sleale delle piattaforme, alcune delle quali non sono soggette alla tassazione ordinaria e ad altre normative relative alla loro forza lavoro. Inoltre, una consistente giurisprudenza ha dimostrato che alcuni modelli imprenditoriali delle piattaforme costruiscono il loro vantaggio competitivo cercando di aggirare le normative applicabili, che si tratti di legislazioni sociali, ambientali o economiche (7). Tale strategia non favorisce la sostenibilità economica nel lungo termine e va a scapito di una concorrenza leale tra le aziende che lavorano mediante piattaforme, in particolare tra le grandi imprese, da un lato, e le microimprese o le piccole imprese, dall'altro.

2.8.

Con la transizione digitale, fortemente sostenuta dall'UE, in futuro un numero sempre maggiore di settori e professioni risentirà del modello delle «piattaforme online». Il CESE ha sottolineato a più riprese (8) che occorre attuare e rafforzare una valida regolamentazione del mercato interno, garantendo condizioni di parità per tutti gli attori interessati, e che la digitalizzazione deve andare a vantaggio dei lavoratori e delle imprese. È fondamentale elaborare un quadro normativo che garantisca un ambiente e condizioni di lavoro sane, sicure ed eque attraverso un sistema di diritti, responsabilità e doveri chiaramente definiti.

2.9.

Tutti i lavoratori hanno diritto a condizioni di lavoro eque e dignitose: questo è un principio fondamentale del diritto internazionale del lavoro e del diritto dell'Unione. Conformemente all'articolo 4 della direttiva 2019/1152, il lavoratore ha il diritto di essere informato dal datore di lavoro in merito agli elementi essenziali del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro. I lavoratori impiegati da una piattaforma devono essere soggetti alle stesse disposizioni di diritto del lavoro in vigore nel paese in cui viene prestato il servizio.

2.10.

La questione centrale risiede dunque in una precisa definizione di «lavoratore dipendente» e nella sua chiara distinzione dal vero e proprio «lavoratore autonomo». L'efficacia e l'efficienza dell'intero quadro normativo del progetto di direttiva dipendono dalla chiarezza di tali definizioni. Gli studi citati (9) mostrano che, in molti casi, i lavoratori sono invitati a registrarsi come lavoratori autonomi, e la sfida consiste nell'evitare il lavoro autonomo fittizio. I lavoratori dovrebbero ottenere le informazioni necessarie per poter scegliere se essere realmente lavoratori autonomi o meno. Lo studio della Commissione europea citato nel documento di lavoro dei servizi della Commissione «Relazione sulla valutazione d'impatto sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro su piattaforma digitale» mostra che, secondo le stime, 5,5 milioni di lavoratori delle piattaforme sono erroneamente classificati come lavoratori autonomi.

2.11.

La questione relativa alla classificazione giuridica del rapporto di lavoro viene affrontata nei vari Stati membri in maniera diversa. Il rischio di errori nella classificazione giuridica del rapporto di lavoro è principalmente dovuto alla scarsità della legislazione pertinente negli ordinamenti giuridici nazionali e alla mancanza di chiarezza giuridica. Nessuno Stato membro ha affrontato finora in modo globale la questione della classificazione giuridica del lavoro mediante piattaforme digitali. Alcuni Stati membri (Italia, Spagna e Francia) hanno optato per una normativa settoriale incentrata sulle piattaforme di trasporto e consegna di merci. Numerosi Stati membri (Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi e Svezia) hanno tentato di chiarire i rapporti di lavoro con classificazione incerta attraverso un'apposita legislazione, atti amministrativi o la giurisprudenza, ma ciò si riferisce alle situazioni generali del mercato del lavoro e non tiene conto delle peculiarità del lavoro mediante piattaforme digitali. In Italia e Spagna la contrattazione collettiva ha svolto un ruolo importante in un contesto in cui accordi e protocolli specifici hanno anticipato specifiche disposizioni di legge.

2.12.

L'opinione secondo cui il sistema normativo esistente a livello nazionale, nei vari paesi dell'UE, non è attualmente idoneo a regolamentare i diversi profili del lavoro svolto attraverso le piattaforme digitali trova conferma nelle quasi 100 vertenze legali sottoposte dai lavoratori e/o dai loro rappresentanti sindacali, come pure nel contesto della varietà di soluzioni fornite dalla giurisprudenza di diversi paesi europei, divise tra quelle che ribadiscono il carattere autonomo del rapporto di lavoro e quelle che, in misura sempre crescente, ne riconoscono il carattere subordinato, senza escludere le soluzioni che collocano il caso specifico del lavoro tramite piattaforma nel quadro di una situazione giuridica intermedia (10). Sebbene tali procedure abbiano spesso comportato risultati contraddittori, esse riguardano per lo più servizi di consegna e di autista (servizi di piattaforme basate sull'ubicazione) e la maggior parte di esse concorda nel definire come lavoratori dipendenti le persone che lavorano nelle piattaforme (in particolare nei settori del trasporto e della consegna di merci, che sono probabilmente gli ambiti in cui vi è una maggiore tutela contrattuale e sindacale).

2.13.

Un'altra questione fondamentale riguarda l'impatto della gestione algoritmica sulle condizioni di lavoro, che è inerente al modello aziendale delle piattaforme di lavoro digitali (11). Occorre avere cura di garantire la trasparenza e la responsabilità in relazione agli algoritmi per i lavoratori e le imprese.

2.14.

Singoli Stati membri hanno adottato misure volte a migliorare la situazione, attuando iniziative legislative che affrontano appositamente la questione della gestione algoritmica sul posto di lavoro (IT, ES). Nel frattempo, una serie di Stati membri (AT, BE, CY, CZ, DK, EE, FI, DE, IE, LV, LT, LU, NL, SE) affronta la problematica della gestione algoritmica adottando misure nel quadro delle politiche in materia di tutela della vita privata, protezione dei dati e non discriminazione. In diversi paesi i tribunali si sono pronunciati in merito a questi temi (FR, IT, NL, PL e LU) (12). La frammentazione della regolamentazione esistente nell'UE comporta anche il fatto che le piattaforme di lavoro digitali operano nei vari paesi in base a normative differenti. Tenuto conto della natura flessibile, mobile e in rapida evoluzione dell'economia delle piattaforme, questa mancanza di un approccio comune creerà delle difficoltà per mantenere condizioni di parità tra i vari Stati membri.

2.15.

In tale contesto, l'iniziativa delle istituzioni europee va accolta con favore, con specifico riferimento al pacchetto di misure presentato dalla Commissione europea il 9 dicembre 2021 per migliorare le condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme, nel quadro dell'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali. L'iniziativa della Commissione europea riconosce l'urgenza di affrontare le disparità di trattamento tra gli Stati membri, affronta gli aspetti problematici di cui sopra e presenta una proposta di regolamentazione mediante direttiva.

3.   Considerazioni generali

3.1.

Il CESE concorda con la decisione della Commissione in merito all'elaborazione di una proposta di direttiva, il cui ambito di applicazione si estende al lavoro basato sulle piattaforme digitali sviluppate attraverso piattaforme online basate sul web (servizi legali, servizi di traduzione, liberi professionisti ecc.) e attraverso piattaforme basate sull'ubicazione, che prevedono che il lavoratore fornisca un servizio fisico (ad es. taxi, consegne, servizi a domicilio). Come chiaramente indicato nel considerando 49 della proposta di direttiva, la necessità di una direttiva piuttosto che di strumenti giuridici non vincolanti è giustificata dall'estrema diversità delle situazioni, delle condizioni di lavoro e della legislazione di ciascuno Stato membro, in particolare per quanto riguarda la garanzia di una copertura formale ed effettiva, nonché l'adeguatezza e la trasparenza dei sistemi di protezione sociale, soprattutto in quanto gli Stati membri prevedono livelli diversi di protezione sociale. L'elevato e crescente numero di procedimenti giudiziari e sentenze giudiziarie a favore della classificazione di tale attività come lavoro dipendente dimostra con evidenza che la questione non è regolamentata in modo sufficientemente chiaro negli ordinamenti giuridici nazionali dei singoli Stati membri. L'obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro attraverso piattaforme digitali non può dunque essere conseguito in misura sufficiente da ciascuno Stato membro da solo, ma, conformemente al principio di sussidiarietà, può essere realizzato più efficacemente a livello dell'UE.

3.2.

A ragione, nel considerando 9 della proposta di direttiva si osserva quanto segue: «Quando le piattaforme digitali operano in più Stati membri o a livello transfrontaliero, spesso non è chiaro dove e da chi viene svolto il lavoro mediante piattaforme digitali. Le autorità nazionali non hanno inoltre facile accesso ai dati sulle piattaforme di lavoro digitali, ad esempio per quanto riguarda il numero di persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali, la situazione occupazionale di queste persone e le loro condizioni di lavoro. Questo elemento rende più complessa l'applicazione delle norme pertinenti, anche per quanto concerne il diritto del lavoro e la protezione sociale». Il CESE ha già sottolineato (13) che sarebbe necessario istituire un registro delle piattaforme in ciascuno Stato membro e creare a livello europeo una banca dati delle piattaforme di piccole e grandi dimensioni.

3.3.

Tali incertezze giuridiche possono, in alcune situazioni, favorire l'emergere e la proliferazione di forme di lavoro sommerso, nonché deplorevoli situazioni di sfruttamento e concorrenza tra i lavoratori stessi, che potrebbero essere oggetto di pratiche illegali di subappalto. Tali lavoratori sono spesso migranti, oggettivamente deboli e ignari dei diritti minimi di protezione previsti. La direttiva proposta non contiene una disposizione in materia di subappalto e pertanto non offre a tali lavoratori mediante piattaforme alcuna protezione contro le suddette pratiche (14).

3.4.

Il testo della proposta della Commissione, tuttavia, appare vago, generico e ambiguo su diversi punti. Esso non riflette gli obiettivi di tutela e garanzia dei diritti sociali e del lavoro chiaramente enunciati nei considerando, in particolare la definizione di lavoratore che opera attraverso piattaforme digitali (articoli 2 e 5) e i diritti sia dei lavoratori che dei rappresentanti sindacali all'informazione e alla consultazione (articolo 9, che, tuttavia, rimanda esplicitamente solo alla direttiva 2002/14/CE). A titolo preliminare, occorre osservare che la proposta di direttiva equipara spesso la protezione dei diritti dei lavoratori al principio della libertà d'impresa. I diritti dei lavoratori e le libertà fondamentali devono essere adeguatamente tutelati, conformemente alla legislazione e in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell'UE.

3.5.

Il CESE reputa necessario che la direttiva comprenda disposizioni specifiche sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza sociale sulla base del principio di non discriminazione, anche per quanto concerne i lavoratori di pari livello e comparabili occupati nello stesso settore. Ciò incentiverebbe lo sviluppo di una protezione contrattuale uniforme per i settori e contrasterebbe le forme di dumping sociale e fiscale.

3.6.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi proposti dalla Commissione per sostenere la condivisione di buone pratiche nel contesto del suo programma di apprendimento reciproco, nonché contribuire alle attività dell'Autorità europea del lavoro nell'ambito del suo mandato; sostenere gli Stati membri nell'applicazione delle norme di coordinamento della sicurezza sociale e nell'elaborazione di orientamenti al riguardo, ove necessario, e attraverso i programmi dell'UE (come Orizzonte Europa) (15).

3.7.

Il CESE ritiene che la proposta di direttiva dovrebbe stabilire principi e criteri di riferimento chiari per guidare i legislatori nazionali e incoraggiare la contrattazione collettiva al fine di stabilire norme che garantiscano certezza, sicurezza e prevedibilità a un contesto di produzione altamente digitalizzato. Tali norme devono mirare a creare condizioni di parità tra le piattaforme di lavoro digitali e i fornitori di servizi offline. Non dovrebbero entrare in conflitto con l'acquis giuridico, né modificare il contenuto e l'ambito di applicazione delle norme che definiscono il carattere subordinato di un rapporto di servizio conformemente alle leggi nazionali, ai contratti collettivi, ai sistemi nazionali di classificazione o alla giurisprudenza dei tribunali dei singoli Stati membri, e neppure pregiudicare la concorrenza leale tra le imprese.

3.8.

Il CESE reputa altresì necessario garantire un trattamento equo tra le aziende «tradizionali» e quelle che ricorrono ai mezzi di controllo digitali fondati sulla gestione algoritmica dei dati, sulla base di una concorrenza leale e trasparente tra di esse, chiarendo lo status di lavoratore dipendente in relazione ai lavoratori che forniscono servizi e/o svolgono attività in tali settori. Il CESE accoglie con favore anche l'obiettivo della Commissione di fornire chiarimenti e sostegno ai lavoratori veramente autonomi. «Qualora necessario, i lavoratori autonomi riceveranno inoltre sostegno per chiarire la loro condizione occupazionale. La direttiva dovrebbe rafforzare l'autonomia dei lavoratori autonomi e sostenerne la capacità di sfruttare le loro possibilità imprenditoriali, ad esempio sviluppando il loro bacino di clienti. Coloro che sono già classificati come veri lavoratori autonomi manterranno i benefici connessi alla loro situazione occupazionale» (16).

3.9.

È pertanto fondamentale che l'ambito di applicazione (articolo 1) venga migliorato e reso meno ambiguo, al fine di garantire che la direttiva si applichi a tutte le piattaforme digitali che forniscono un'offerta di lavoro mediata. È necessario individuare chiaramente il datore di lavoro reale e giuridicamente responsabile anche in termini di imposte e contributi sociali e al fine di istituire procedure di contrattazione collettiva, tenendo conto delle specificità delle micro e delle piccole piattaforme.

Il riferimento al concetto di organizzazione del lavoro svolto dalle persone fisiche può comportare un'esclusione non voluta di determinate piattaforme digitali.

4.   Capitolo 4 — Considerazioni specifiche

4.1.

Nel presente parere saranno esaminati in particolare i seguenti aspetti della proposta di direttiva:

criteri relativi alla classificazione come lavoratore dipendente;

gestione algoritmica;

diritti collettivi.

4.2.   Criteri di classificazione

4.2.1

Nell'articolo 4 della proposta si definiscono i criteri in base ai quali viene posta in essere la presunzione del rapporto di lavoro. Il CESE osserva che i criteri proposti dovrebbero riflettere la dinamica del mercato digitale e l'evoluzione dei modelli aziendali e dei metodi di lavoro, e che dovrebbero essere costantemente aggiornati. Il CESE constata con rammarico che i criteri stabiliti all'articolo 4 sono, in misura prevalente, ancora espressione di diverse forme di controllo esercitato dalla piattaforma digitale sull'attività lavorativa del lavoratore. Il CESE ritiene che ancorare la protezione del lavoro all'esercizio del controllo non tenga adeguatamente conto dello squilibrio di potere tra la piattaforma e i lavoratori né vi ponga rimedio.

4.2.2

Inoltre, l'articolo 4 della proposta lascia alle piattaforme un potere discrezionale eccessivo per decidere — poiché la presunzione di rapporto di lavoro è legata alla presenza di almeno due dei cinque criteri —, ma in un contesto in costante evoluzione sarebbe facile aggirare tali criteri. Il CESE ritiene che uno status occupazionale chiaramente definito, anche per coloro che lavorano poche ore, garantirebbe il diritto alla protezione sociale, alla salute e alla sicurezza, il diritto di organizzazione e il diritto alla contrattazione collettiva in relazione all'orario di lavoro svolto, assicurando in tal modo la necessaria flessibilità.

4.2.3

I criteri dovrebbero affrontare più nello specifico il rischio di norme del lavoro al ribasso. A tal fine, sarebbe auspicabile disporre di un unico criterio per la presunzione del rapporto di lavoro che possa essere confutato dalla piattaforma, sulla base dell'articolo 5, in virtù del quale l'inversione dell'onere della prova incomberà alla piattaforma stessa, la quale dovrà dimostrare il carattere autonomo del rapporto di lavoro. Il CESE concorda con la proposta della Commissione europea secondo cui dovrebbero essere le piattaforme a confutare la presunzione di rapporto di lavoro.

4.2.4

Di fatto, occorre tutelare in modo adeguato anche i lavoratori autonomi e i veri e propri rapporti di lavoro autonomo, per i quali la direttiva non fornisce alcuna definizione. Esistono molte forme diverse di lavoro su piattaforma, che non possono rientrare in un'unica categoria. Vi sono forme di occupazione assimilabili al lavoro subordinato e forme di occupazione che richiedono professionisti qualificati, anche altamente qualificati, che in alcuni paesi sono paragonabili a quelli iscritti agli albi professionali o membri di associazioni professionali nazionali. La dimensione specifica della gestione algoritmica, che ha un'influenza considerevole sui lavoratori, potrebbe non applicarsi alla definizione della presunzione di un rapporto di lavoro che coinvolga professionisti iscritti agli albi o membri di associazioni professionali nazionali, laddove esistano.

4.2.5

Sarebbe pertanto più appropriato stabilire che la presunzione di rapporto di lavoro nel settore delle piattaforme di lavoro digitali operi a favore dei singoli lavoratori che prestano il loro lavoro e/o i loro servizi sotto il potere direttivo, di controllo e/o organizzativo di una piattaforma digitale che fa uso della gestione algoritmica.

Le piattaforme dovrebbero essere in grado di confutare la presunzione del rapporto di lavoro dimostrando di non esercitare alcun potere commerciale organizzativo, neanche in modo indiretto o in forma implicita, in relazione alla prestazione del servizio/lavoro da parte del lavoratore (17).

4.2.6

Un'argomentazione comune addotta nelle sentenze giudiziarie che riconoscono il carattere subordinato del rapporto di lavoro — pronunciate di fatto dalle corti supreme nazionali — richiama il fatto che la piattaforma, e più specificamente la gestione algoritmica, esercita pienamente una forma di supervisione sull'esecuzione del servizio prestato dal lavoratore. Ciò, di fatto, indica che il servizio prestato dal lavoratore è completamente integrato nell'attività della piattaforma. Tale elemento rafforza di per sé la necessità di controbilanciare il potere di controllo summenzionato fornendo garanzie individuali e collettive adeguate a tutti i lavoratori che prestano il loro lavoro e/o i loro servizi attraverso piattaforme digitali.

5.   Commenti specifici e raccomandazioni sulla gestione algoritmica

5.1.

La gestione algoritmica elabora una quantità significativa di dati, supervisiona, assegna compiti, fornisce istruzioni dirette che limitano il livello di autonomia e valuta i lavoratori, comprese le loro prestazioni e il loro comportamento, nonché le loro retribuzioni e condizioni di lavoro, e può persino portare al licenziamento. Il CESE plaude al fatto che il progetto di direttiva adotta i princìpi sanciti nel regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), e in linea con l'articolo 9 di quest'ultimo la direttiva dovrebbe chiaramente vietare il trattamento di dati personali sensibili, tra cui le opinioni politiche e l'appartenenza sindacale. La direttiva dovrebbe espressamente stabilire che i diritti contemplati al capo III si applicano in tutti i casi di gestione algoritmica, anche nel caso in cui la piattaforma riesca a dimostrare di non esercitare poteri commerciali di organizzazione, neanche in modo indiretto o in forma implicita, in relazione alla prestazione del servizio da parte del lavoratore, e quindi nel caso di presunzione da parte della piattaforma che non sussista un rapporto di lavoro.

5.2.

I sistemi utilizzati dalle piattaforme di lavoro digitali si basano spesso su elementi dell'intelligenza artificiale (IA). Le piattaforme dovranno attenersi sia alle disposizioni della direttiva sia alla legge sull'IA (una regolamentazione dei mercati dei prodotti), e pertanto il CESE invita la Commissione a effettuare riferimenti incrociati tra la direttiva proposta e la legge sull'IA, e viceversa, al fine di evitare o chiarire possibili incongruenze ed eventuali lacune.

5.3.

Il CESE incoraggia nuovamente (18) la Commissione a chiarire le responsabilità di tutte le parti coinvolte in aspetti quali la salute e la sicurezza, la protezione dei dati, le assicurazioni e la responsabilità giuridica, al fine di valutare, adeguare e armonizzare le regolamentazioni vigenti. Il CESE ha già osservato che gli algoritmi utilizzati dalle piattaforme dovrebbero essere considerati alla stregua delle istruzioni scritte o orali vigenti nel rapporto di lavoro di tipo convenzionale o tradizionale (19).

5.4.

Il diritto di riesaminare una decisione automatizzata o semi-automatizzata è fortemente auspicabile. Tuttavia, il CESE ritiene che, al fine di esercitare tale diritto nella pratica, la Commissione dovrebbe inserire apposite disposizioni in base alle quali le piattaforme di lavoro digitali siano tenute a: a) sviluppare algoritmi e sistemi secondo il principio della «sicurezza sin dalla progettazione» e b) secondo la logica della legge proposta sull'intelligenza artificiale (IA), contemplare disposizioni che prevedano che le piattaforme di lavoro digitali siano sottoposte a una valutazione di conformità dei loro algoritmi, non solo prima di metterli in applicazione, ma anche durante la prestazione del lavoro o del servizio da parte del lavoratore. La valutazione di conformità dovrebbe essere effettuata adottando un approccio multidisciplinare, al fine di promuovere una valutazione congiunta da parte di esperti nominati dai sindacati, dalla piattaforma e dalle altre autorità pertinenti preposte, tra l'altro, alla protezione sociale e del lavoro. Laddove emerga un conflitto nell'ambito del riesame di una decisione adottata con l'ausilio degli algoritmi, ai lavoratori dovrebbe essere concessa la possibilità di avere accesso a un arbitrato indipendente.

5.5.

Il CESE ritiene tuttavia che l'articolo 8 dovrebbe prevedere che il lavoratore possa essere rappresentato dal sindacato in caso di riesame umano di una decisione significativa.

5.6.

Dato che il modello di lavoro mediante piattaforme digitali si basa sulle recensioni dei clienti, i lavoratori delle piattaforme digitali dovrebbero avere la capacità di trasferire e utilizzare tali recensioni da una piattaforma all'altra come elemento fondamentale dei dati. Il CESE è dell'opinione che il diritto alla portabilità dei dati dovrebbe essere garantito a tutti i lavoratori delle piattaforme digitali. Ancora più importante, la direttiva dovrebbe garantire che i lavoratori delle piattaforme digitali abbiano la possibilità di utilizzare il loro profilo, incluse le relative competenze, per ottenere un impiego al di fuori dell'economia delle piattaforme.

5.7.

Il successo della proposta della Commissione dipenderà dalla sua applicazione efficace. La direttiva proposta prevede una cooperazione tra le autorità competenti in materia di lavoro e di protezione dei dati. Tuttavia, il CESE desidera attirare l'attenzione della Commissione sul fatto che, in diversi paesi, le autorità preposte alla protezione dei dati non hanno il compito di condurre esami approfonditi delle questioni inerenti al lavoro, e viceversa, in particolare per quanto concerne la sorveglianza e i mezzi di ricorso. Il CESE invita pertanto la Commissione a chiarire ulteriormente la ripartizione delle competenze, comprese eventuali considerazioni transfrontaliere, e a tenere conto degli ispettorati del lavoro.

6.   Diritti collettivi

6.1.

Nel capo incentrato sull'applicazione, l'articolo 14 della direttiva fa riferimento ai rappresentanti dei lavoratori e non ai sindacati. Questo è un punto critico, poiché è importante formulare un riferimento esplicito ai rappresentanti sindacali, in modo da evitare di creare sindacati «di comodo» e conferire ai lavoratori il diritto alla rappresentazione collettiva, anche in caso di vertenze.

6.2.

Il CESE osserva che la direttiva contempla i diritti di informazione e consultazione. Tuttavia, nell'articolo 9 si fa riferimento solo alla direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale. È opportuno inserire anche un riferimento diretto alla direttiva 2001/23/CE sui trasferimenti di imprese, alla direttiva 98/59/CE sui licenziamenti collettivi e alla direttiva 2009/38/CE sull'istituzione di un comitato aziendale europeo. Il CESE rileva che l'articolo 10, che estende i diritti del lavoro contemplati al capo III della direttiva a tutti i lavoratori delle piattaforme digitali (anche alle persone che non hanno un rapporto di lavoro), esclude i diritti di informazione e consultazione stabiliti nell'articolo 9. Tale deroga non può essere giustificata. È necessaria una definizione più chiara dei diritti di informazione e consultazione per sostenere la contrattazione collettiva, che è un diritto che deve essere riconosciuto anche a tutti i lavoratori delle piattaforme (20).

6.3.

Il CESE sottolinea che il diritto di informazione e consultazione dei rappresentanti sindacali dei lavoratori (articolo 9) dovrebbe essere garantito, anche in relazione ai parametri, alle norme e alle istruzioni che sono alla base degli algoritmi o dei sistemi di intelligenza artificiale che influenzano il processo decisionale o l'adozione di decisioni che possono incidere sulle condizioni di lavoro, sull'accesso al lavoro e sul mantenimento del posto di lavoro, tra cui la profilazione.

6.4.

Il CESE osserva che i lavoratori delle piattaforme dovrebbero ricevere una formazione adeguata e specifica, disponibile in varie lingue europee, su come utilizzare la piattaforma e lavorare nel suo ambito, e dovrebbero essere formati sulle competenze digitali pertinenti. Come sottolineato in un precedente parere (21), l'attuazione del piano d'azione per l'istruzione digitale 2021-2027 deve garantire un dialogo sociale e una consultazione efficaci con le parti interessate, il rispetto e l'applicazione dei diritti dei lavoratori e il diritto dei lavoratori all'informazione, alla consultazione e alla partecipazione, nonché la capacità dei lavoratori di sviluppare le proprie competenze digitali e imprenditoriali, in particolare attraverso l'istruzione e la formazione professionale (IFP), l'apprendimento degli adulti e la formazione dei lavoratori, al fine di ridurre le carenze di competenze che le imprese si trovano ad affrontare.

6.5.

Come è stato affermato in un precedente parere, di fronte all'introduzione di nuove tecnologie come i robot o le macchine intelligenti, nel suo studio il CESE ricorda l'importanza di informare e consultare «a monte» i rappresentanti dei lavoratori e la necessità della contrattazione collettiva per accompagnare i cambiamenti indotti da queste tecnologie (22), e ricorda inoltre come tale consultazione sia obbligatoria ai sensi della direttiva sui comitati aziendali europei (23).

6.6.

La contrattazione riguarda anche la contrattazione collettiva di categoria, che costituisce un'ampia parte della definizione dei diritti dei lavoratori, ma nella proposta di direttiva non vi è alcun riferimento agli accordi settoriali.

6.7.

Garantire procedure eque di risoluzione del rapporto di lavoro per i lavoratori delle piattaforme e l'accesso a meccanismi indipendenti di risoluzione delle controversie sono obiettivi importanti che dovrebbero essere inclusi in un quadro normativo. La direttiva proposta si riferisce solo ai licenziamenti individuali, mentre dovrebbe anche affrontare la questione delle procedure di informazione e consultazione in caso di licenziamenti collettivi, facendo riferimento alla legislazione vigente dell'Unione (24).

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU C 286 del 16.7.2021, pag. 70, punto 2.7.

(2)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 173, GU C 220 del 9.6.2021, pag. 1, GU C 194 del 12.5.2022, pag. 50, GU C 517 del 22.12.2021, pag. 61, GU C 286 del 16.7.2021, pag. 70.

(3)  Sondaggio COLLEEM II del JRC.

(4)  Studio della Commissione (2021).

(5)  Forum europeo della gioventù — Documento di sintesi sul lavoro delle piattaforme.

(6)  Relazione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), The role of digital labour platforms in transforming the world of work (Il ruolo delle piattaforme di lavoro digitali nella trasformazione del mondo del lavoro); relazione Eurofound del 2018; documento di lavoro dei servizi della Commissione europea — dati sulle cifre e il fatturato che sono triplicati con la pandemia (in base ai dati forniti dall'OIL, nel 2020 è stato registrato un fatturato pari a 12 miliardi); relazione finale 2021 del Centro per gli studi politici europei (CEPS); Piattaforme di lavoro digitali nell'UE; studio dell'Istituto sindacale europeo (ETUI) 2021; The definition of worker in the platform economy: exploring workers' risks and regulatory solutions (La definizione di lavoratore nell'economia della piattaforme: esplorare i rischi per i lavoratori e le soluzioni normative).

(7)  GU C 123 del 9.4.2021, pag. 1, punto 3.2.7.

(8)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 1; GU C 123 del 9.4.2021, pag. 1; GU C 286 del 16.7.2021, pag. 70; GU C 367 del 10.10.2018, pag. 15.

(9)  Cfr. nota 6.

(10)  Tra le sentenze pronunciate a favore del carattere subordinato del rapporto di lavoro, è sufficiente ricordare, a titolo esemplificativo, le seguenti decisioni: la sentenza della Corte di cassazione francese (Chambre sociale, n. 374 del 4 marzo 2020), che ha riconosciuto il carattere subordinato del lavoro svolto da un conducente Uber; la sentenza della Corte suprema spagnola (Tribunal Superior de Justicia de Madrid, Sala de lo Social, Sentencia 40/2020 del 17 gennaio 2020), che ha riconosciuto il carattere subordinato del rapporto di lavoro tra i «rider» e la piattaforma Deliveroo; la sentenza del tribunale di Barcellona, del 13 gennaio 2021, che ha riconosciuto il carattere subordinato del rapporto di lavoro di ben 748 rider. Secondo quest'ultima decisione, è necessario esaminare nuovi indici sui quali basare il giudizio sul carattere del rapporto; si giunge dunque alla conclusione che la flessibilità oraria, in ogni caso, è il risultato di una scelta che mira a individuare le fasce orarie più redditizie per l'azienda e non è certamente finalizzata a mantenere per i rider una migliore condizione di conciliazione tra lavoro e vita privata e, di conseguenza, i rider sono considerati lavoratori dipendenti. Oltre alle sentenze summenzionate, i tribunali belgi, italiani e olandesi hanno escluso che il rapporto di lavoro sia un'attività autonoma, sulla base della relativizzazione della presunta libertà dei rider nell'esecuzione concreta del servizio.

(11)  Commission Study to support the impact assessment on improving working conditions in platform work (Studio della Commissione a sostegno della valutazione d'impatto sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali).

(12)  Commission Study to support the impact assessment on improving working conditions in platform work (Studio della Commissione a sostegno della valutazione d'impatto sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali).

(13)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 173, punto 1.15.

(14)  Relazione Fairwork (2021); Fairwork response to the European Commission's Proposal for Directive on Platform Work (Risposta di Fairwork alla proposta di direttiva della Commissione europea relativa al lavoro mediante piattaforme).

(15)  Cfr. la comunicazione della Commissione.

(16)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliori condizioni di lavoro per un'Europa sociale più forte: sfruttare appieno i vantaggi della digitalizzazione per il futuro del lavoro, del 9.12.2021 [COM(2021) 761 final], pag. 11, riquadro in basso.

(17)  Cfr. la definizione fornita nel considerando 30 degli orientamenti della Commissione sull'applicazione del diritto della concorrenza e la contrattazione collettiva: «iii) comporta, quale componente necessaria ed essenziale, l'organizzazione del lavoro svolto dalle persone fisiche, indipendentemente dal fatto che tale lavoro sia svolto online o in un determinato luogo». Le piattaforme che non organizzano il lavoro delle persone fisiche, ma si limitano a offrire un mezzo tramite il quale i lavoratori autonomi senza dipendenti possono raggiungere gli utilizzatori finali, non si configurano come piattaforme di lavoro digitali. Ad esempio, una piattaforma che si limita ad aggregare e presentare i prestatori di servizi (come gli idraulici) disponibili in un'area specifica, consentendo così ai clienti di utilizzare i loro servizi su richiesta, non è considerata una piattaforma di lavoro digitale, poiché non organizza il lavoro dei prestatori di servizi.

(18)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 173.

(19)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 173, punto 1.8.

(20)  GU C 123 del 9.4.2021, pag. 1, punto 3.2.8.

(21)  GU C 286 del 16.7.2021, pag. 27.

(22)  Studio del CESE (2017).

(23)  GU L 122 del 16.5.2009, pag. 28.

(24)  Direttiva 98/59/CE e direttiva 2001/23/CE.


ALLEGATO

Il seguente controparere è stato respinto nel corso del dibattito, pur avendo ottenuto almeno un quarto dei voti espressi (articolo 43, paragrafo 2, del Regolamento interno):

EMENDAMENTO 1

SOC/709 — Pacchetto sulle condizioni di lavoro — lavoro mediante piattaforme digitali

Sostituire l'intero parere con il seguente testo:

1.   Conclusioni

1.1.

Le piattaforme di lavoro digitali promuovono servizi innovativi e nuovi modelli commerciali/imprenditoriali e creano numerose opportunità per i consumatori, le imprese e i lavoratori, inclusi i lavoratori autonomi. Il concetto di piattaforma digitale si riferisce ad un ampio ventaglio di attività, servizi, mansioni e modelli commerciali/imprenditoriali, e questo significa che l'adozione di soluzioni universali «adatte» per tutti i contesti può costituire un ostacolo all'innovazione e agli investimenti nella creazione e nello sviluppo di piattaforme digitali nell'UE.

1.2.

Il CESE riconosce che occorre affrontare alcune delle sfide legate al lavoro tramite piattaforme digitali qualora tali sfide esistano. Tuttavia, qualsiasi regolamentazione del lavoro tramite piattaforme digitali dovrebbe essere concepita in modo da preservare la flessibilità in quanto fattore motivante essenziale, pur offrendo le garanzie di base di un'adeguata protezione dei lavoratori, e tenendo anche conto del fatto che per molti di loro il lavoro tramite piattaforma rappresenta un'attività complementare (1). Per questo motivo il CESE sostiene in linea di principio l'approccio adottato dalla Commissione europea nel Pacchetto sulle condizioni di lavoro, vale a dire il ricorso a differenti strumenti per creare l'ambiente necessario e propizio atto a migliorare le condizioni di lavoro delle piattaforme digitali. Anche in questo ambito lavorativo è indispensabile un accesso adeguato alla protezione sociale e alle condizioni di salute e sicurezza attraverso la corretta attuazione delle due raccomandazioni del Consiglio (2).

1.3.

Benché uno dei nodi sia quello della corretta determinazione del rapporto di lavoro e sebbene si debba affrontare il problema di eventuali errate classificazioni dello status occupazionale, la questione riguarda solo una minoranza dei lavoratori delle piattaforme, come evidenziato anche dai dati della Commissione, secondo i quali sono 5,5 milioni sui 28,8 milioni di lavoratori delle piattaforme quelli che potrebbero essere a rischio di errata classificazione del loro status o situazione occupazionale.

1.4.

Tuttavia, il CESE ritiene che gran parte delle questioni trattate nella proposta di direttiva sia già contemplata in normative dell'UE in vigore o di prossima adozione, come ad es. la protezione dei dati, il diritto all'informazione e alla consultazione dei lavoratori, ecc. Ciò significa che occorre rafforzare e migliorare, laddove necessario, l'attuazione della legislazione vigente. Una nuova direttiva che ribadisca diritti che già esistono non fa che generare confusione e frammentazione dell'acquis dell'UE. Qualora fosse necessario chiarire taluni punti o aspetti delle normative, individuati nel corso del processo di attuazione, gli adeguamenti dovranno essere apportati nei pertinenti atti dell'UE. A tale riguardo, il CESE ricorda alle istituzioni europee che, soprattutto oggi, l'UE ha bisogno di una regolamentazione veramente intelligente e di verifiche della competitività che consentano alle imprese di innovare, di svilupparsi e di creare occupazione e valore aggiunto per la nostra società e la nostra economia.

1.5.

Per rafforzare la certezza del diritto ed evitare inutili controversie, è opportuno dedicarsi con particolare attenzione al compito di chiarire le norme e le definizioni esistenti a livello nazionale riguardo allo status di lavoratore subordinato, nel rispetto delle norme che consentono l'autonomia degli imprenditori e di altre forme di lavoro autonomo. Una definizione giuridica in ambito UE di chi sia un lavoratore subordinato e chi un lavoratore autonomo delle piattaforme non sarebbe né appropriata né efficace, dal momento che non potrebbe tenere debitamente conto dei diversi modelli in uso negli Stati membri né potrebbe stare al passo con l'evoluzione dinamica dei mercati del lavoro. Una tale definizione a livello dell'Unione accrescerebbe la confusione e l'incertezza giuridica e minerebbe le definizioni a livello nazionale introducendo una definizione specifica per un gruppo limitato di lavoratori delle piattaforme digitali.

1.6.

Un altro elemento che ingenera confusione è il tentativo della proposta di direttiva di includere sia i lavoratori subordinati che i lavoratori autonomi introducendo due definizioni distinte, una per le «persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali» e un'altra per i «lavoratori delle piattaforme digitali». Associare tra loro categorie differenti, assoggettate all'ambito di applicazione della direttiva, assegnando loro serie distinte di diritti e di obblighi è, anche qui, fonte di incertezze e complessità sul piano giuridico.

1.7.

Non vi è alcun motivo di rendere meno netta la linea di demarcazione tra autentico lavoro autonomo e lavoro subordinato introducendo norme che hanno un impatto sugli imprenditori/sui lavoratori autonomi sulla base dell'articolo 153 del TFUE: quest'ultimo infatti non costituisce affatto la base giuridica appropriata per regolamentare i rapporti tra imprese.

1.8.

La presunzione legale di cui alla proposta di direttiva prevede che, se sono soddisfatti due dei cinque criteri elencati, qualsiasi rapporto contrattuale debba essere giuridicamente considerato un rapporto di lavoro. Allo stesso tempo, una buona parte dei criteri proposti all'articolo 4, paragrafo 2, contiene clausole standard dei contratti tra imprese (business-to-business — B2B), ad esempio alle lettere a) [fissazione dei limiti massimi della retribuzione] e c) [verifica della qualità dei risultati del lavoro], e alle lettere d) [orario di lavoro] ed e) [possibilità di costruire una propria clientela]. Ciò significa che anche autentici lavoratori autonomi potrebbero essere erroneamente classificati come lavoratori subordinati, e saranno quindi obbligati a confutare tale presunzione se intendono continuare ad esercitare la loro attività. Lo status di lavoratore autonomo potrebbe essere confermato solo con la decisione di un tribunale o nell'ambito di un procedimento amministrativo, il che imporrebbe un inutile onere amministrativo a tutte le parti in causa, comprese le autorità.

1.9.

L'istituzione del meccanismo per confutare la presunzione legale è fonte di confusione, in quanto un meccanismo analogo figura già nella direttiva relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili (3) come una delle opzioni per gli Stati membri.

1.10.

Anziché la verifica dei due criteri su cinque, il CESE ritiene che la strada giusta da seguire sia quella di una valutazione dei criteri per definire l'esistenza dello status di lavoratore subordinato a livello di Stati membri e conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. A tale riguardo, il CESE accoglie con favore gli sforzi proposti dalla Commissione per sostenere la condivisione di buone pratiche.

1.11.

Il CESE ritiene che adottare una serie di norme distinte sulle questioni relative al lavoro tramite piattaforme e alla gestione algoritmica non sia né appropriato né necessario. Le norme stabilite nel regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) (4) e l'imminente legge sull'intelligenza artificiale (IA) garantiranno anche ai lavoratori un'ampia gamma di diritti per quanto riguarda i loro dati personali, unitamente a una serie completa di requisiti in materia di gestione del rischio, controllo umano e trasparenza al fine di attenuare i rischi per la salute e la sicurezza e per i diritti fondamentali. Occorre pertanto evitare inutili sovrapposizioni e duplicazioni.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Nel processo di rapida trasformazione dell'economia e delle imprese, il ruolo della digitalizzazione ha assunto una funzione strategica fondamentale, tanto da essere pervasiva in tutti i settori di attività arrivando ad interessare l'intero ciclo della catena del valore di prodotti e servizi, coinvolgendo sia le grandi imprese sia le piccole e le microimprese. Le ripercussioni sul mondo del lavoro, derivanti dalle nuove forme di lavoro e di organizzazione delle imprese, sono rilevanti sia sul piano dei contenuti sia per la velocità con cui avvengono le mutazioni.

2.2.

Le piattaforme di lavoro digitali sono in grado di gestire in modo efficiente la messa in corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro, e offrono la possibilità di vivere del proprio lavoro o di percepire un reddito aggiuntivo. Per i consumatori questo si traduce in un migliore accesso a prodotti e servizi che sarebbero altrimenti difficili da ottenere, nonché nell'accesso a una scelta di servizi nuova e più diversificata (5). Tuttavia, il lavoro tramite piattaforme digitali, oltre a offrire delle opportunità, essendo parte integrante del processo di evoluzione delle forme di lavoro, genera una serie di possibili sfide che possono richiedere delle soluzioni ad hoc.

2.3.

Lo status dei lavoratori delle piattaforme digitali sul mercato del lavoro è un nodo fondamentale che è stato affrontato dagli Stati membri, anche nell'ambito della giurisprudenza nazionale. Questi sviluppi hanno portato all'adozione o all'emanazione di una serie di norme e decisioni giudiziarie diverse basate su concetti, modelli e definizioni nazionali differenti, che quindi semplicemente rispecchiano e tengono conto dei diversi sistemi e pratiche del mercato del lavoro nei vari Stati membri. È opportuno dedicarsi con particolare attenzione al compito di chiarire le norme e le definizioni esistenti a livello nazionale riguardo allo status di lavoratore subordinato, nel rispetto delle norme che consentono l'autonomia degli imprenditori e di altre forme di lavoro autonomo. A tale riguardo potrebbero essere promosse anche delle azioni a livello europeo, quali lo scambio di informazioni, l'istruzione e la formazione nonché la cooperazione tra le autorità. Anche alle parti sociali spetta un ruolo importante, così come alle stesse piattaforme. Il quadro normativo potrebbe essere adattato al livello adeguato, senza tuttavia compromettere prassi e normative nazionali che funzionano già correttamente. Laddove necessario, si dovrà migliorare la protezione dei lavoratori delle piattaforme.

3.   Osservazioni generali sulla proposta di direttiva

3.1.

Il 9 dicembre la Commissione europea ha proposto una serie di misure volte a migliorare le condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali e a promuovere la crescita sostenibile delle piattaforme di lavoro digitali nell'UE (6). Il parere della sezione SOC (documento SOC/709), adottato il 7 marzo 2022, riguarda unicamente la proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali. Anche il presente controparere si concentra pertanto su tale proposta.

3.2.

Il CESE riconosce che i recenti sviluppi dell'economia delle piattaforme di lavoro hanno comportato nuove sfide per coloro che lavorano mediante tali piattaforme. Come osserva la Commissione, queste sfide possono spaziare dalla mancanza di trasparenza e prevedibilità degli accordi contrattuali a problemi legati alla salute e alla sicurezza, all'errata classificazione della situazione occupazionale o all'inadeguatezza dell'accesso alla protezione sociale (7), nonché alle sfide in materia di gestione algoritmica del lavoro mediante piattaforme digitali.

3.3.

Tuttavia, la direttiva proposta non è lo strumento adeguato per rispondere alle suddette sfide. Inoltre, sembra che l'attenzione principale della proposta sia chiaramente rivolta alle attività degli addetti alle consegne, dei rider e dei servizi in loco meno qualificati in generale, omettendo il fatto che la varietà del lavoro mediante piattaforme è molto più ampia. La regolamentazione proposta non è affatto adatta a coloro che lavorano tramite piattaforme per il lavoro online. Inoltre, non si tiene conto dei possibili effetti della legislazione dell'UE sulle piattaforme online che possono fornire i loro servizi dall'esterno dell'Unione (8). Occorre valutare almeno la possibile perdita e delocalizzazione di tali attività al di fuori dell'UE (ad esempio nel Regno Unito).

3.4.

Le sfide dovrebbero essere affrontate principalmente attraverso l'attuazione dei regolamenti e delle pratiche esistenti, rafforzandola ove necessario. Esiste inoltre un ampio potenziale per la realizzazione di azioni da parte delle piattaforme stesse, di concerto con i partner locali e le parti sociali e con il sostegno della Commissione.

3.5.

Una definizione giuridica in ambito UE di chi sia un lavoratore subordinato e chi un lavoratore autonomo delle piattaforme non sarebbe né appropriata né efficace, dal momento che non potrebbe tenere debitamente conto dei diversi modelli in uso negli Stati membri né potrebbe stare al passo con l'evoluzione dinamica dei mercati del lavoro. Una tale definizione a livello dell'Unione accrescerebbe la confusione e l'incertezza giuridica e minerebbe le definizioni a livello nazionale introducendo una definizione specifica per un gruppo limitato di lavoratori.

4.   Osservazioni particolari sulla proposta di direttiva

4.1.   Ambito di applicazione e definizioni

4.1.1

Vi è il rischio evidente che l'ambito di applicazione della direttiva proposta e le definizioni in essa contenute coprano una gamma molto più ampia di attività delle piattaforme digitali rispetto a quanto previsto. L'obiettivo principale sembrano essere le attività scarsamente qualificate, ma le definizioni e i criteri proposti coprirebbero tutte le categorie di lavoro tramite piattaforme digitali, anche se svolte da veri lavoratori autonomi.

4.2.   Corretta determinazione della situazione occupazionale e presunzione legale

4.2.1

Il CESE concorda sul fatto che gli Stati membri dovrebbero disporre dei meccanismi necessari per garantire «la corretta determinazione della situazione occupazionale delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali (…)». Tuttavia, il CESE nutre seri dubbi in merito al quadro proposto per la presunzione legale di un rapporto di lavoro se sono soddisfatti due dei cinque criteri elencati nella direttiva.

4.2.2

Il CESE ritiene che i criteri, specialmente quelli di cui ai punti a) [fissazione dei limiti massimi della retribuzione], c) [verifica della qualità dei risultati del lavoro], d) [orario di lavoro] ed e) [possibilità di costruire una propria clientela], siano regolarmente impiegati nei contratti tra imprese (B2B) e porterebbero ad una situazione in cui i veri lavoratori autonomi sarebbero soggetti alla presunzione di rapporto di lavoro e quindi costretti a diventare dipendenti.

4.2.3

Questo approccio è in contraddizione con la prassi della valutazione globale dei criteri relativi al rapporto di lavoro applicata dalla giurisprudenza degli Stati membri. Inoltre, come indicato in precedenza, i lavoratori delle piattaforme sarebbero automaticamente classificati come lavoratori dipendenti e sarebbe preclusa la scelta individuale di essere lavoratori autonomi. Ostacolare l'attività imprenditoriale non dovrebbe essere nell'interesse di nessuno. Dato che gran parte dei lavoratori delle piattaforme si considerano e vogliono essere considerati lavoratori autonomi, tale approccio sarebbe in contrasto con i diritti e le libertà fondamentali, come il diritto di scegliere un'occupazione, il diritto di lavorare e la libertà d'impresa.

4.2.4

In considerazione della diversità dei sistemi nazionali del mercato del lavoro, delle tradizioni e della giurisprudenza in materia di diritto del lavoro, nonché delle diverse definizioni, ad esempio nel diritto del lavoro o nei sistemi fiscali e di sicurezza sociale, vi è il rischio che i cinque criteri della direttiva proposta non rispecchino adeguatamente la complessa realtà di diverse situazioni. Anziché i due criteri su cinque, il CESE sarebbe favorevole a una valutazione globale dei criteri per definire l'esistenza dello status di lavoratore dipendente come approccio generalmente applicabile negli Stati membri e nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.

4.3.   Possibilità di confutare la presunzione legale

4.3.1

Il CESE ritiene che la possibilità di confutare la presunzione legale sia uno strumento che, anziché chiarire situazioni giuridiche complesse, rischia di creare più problemi. L'istituzione di tale meccanismo è fonte di confusione, in quanto un meccanismo analogo figura già nella direttiva relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili come una delle opzioni per gli Stati membri.

4.3.2

La possibilità di confutare la presunzione legale non assicura un corretto equilibrio tra le parti del processo di confutazione, in quanto, con l'onere della prova a carico della piattaforma, la presunzione legale quale definita dai cinque criteri sarebbe difficile da contestare nella pratica. Vista la diversità delle definizioni nazionali, è probabile che i cinque criteri e la loro importanza rispettiva siano interpretati in modi diversi negli Stati membri, il che darebbe luogo a un mosaico di giurisprudenza ancora più complesso in tutta Europa. Poiché questo processo potrebbe essere portato avanti sia presso i tribunali che si occupano di questioni di diritto del lavoro sia presso i tribunali amministrativi che si occupano di questioni fiscali e di sicurezza sociale, il risultato potrebbe essere quello di diminuire la chiarezza giuridica anziché aumentarla.

4.4.   Gestione algoritmica

4.4.1

Il CESE condivide l'obiettivo della Commissione di aggiungere informazioni e trasparenza per quanto riguarda l'uso degli algoritmi nel lavoro mediante piattaforma. Il CESE ritiene tuttavia che adottare una serie di norme distinte sulle questioni relative al lavoro mediante piattaforme non sia né appropriato né necessario. Le norme stabilite nel regolamento generale sulla protezione dei dati (9) e l'imminente legge sull'IA (10) garantiranno anche ai lavoratori un'ampia gamma di diritti per quanto riguarda i loro dati personali, unitamente a una serie completa di requisiti in materia di gestione del rischio, controllo umano e trasparenza al fine di attenuare i rischi per la salute e la sicurezza e per i diritti fondamentali. Occorre pertanto evitare inutili sovrapposizioni e duplicazioni.

4.4.2

Per quanto riguarda la forma e il contenuto delle informazioni che le piattaforme devono fornire, va garantito che esse dispongano del margine di manovra necessario nella definizione dei mezzi tecnici per fornire le informazioni. Lo stesso vale per i metodi per la valutazione dei rischi e il riesame umano delle decisioni significative. Inoltre, si dovrebbe garantire che gli obblighi di divulgazione relativi agli algoritmi non si applichino ad alcun tipo di segreto commerciale o ad informazioni riservate di qualsiasi genere. Il CESE sottolinea inoltre la necessità di consentire misure di attenuazione adattate alle PMI riguardo alle procedure amministrative richieste dalle misure sulla gestione algoritmica (11). In particolare, esse prevedono termini più lunghi per le richieste di riesame delle decisioni algoritmiche e la riduzione della frequenza di aggiornamento delle informazioni pertinenti.

4.5.   Diritti collettivi

4.5.1

La proposta mira a garantire l'informazione e la consultazione dei lavoratori delle piattaforme o dei loro rappresentanti sulle decisioni che possono comportare l'introduzione di modifiche sostanziali nell'uso dei sistemi automatizzati di monitoraggio e decisione di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva. A tal fine la proposta fa riferimento alla direttiva 2002/14/CE (12). Poiché questo riferimento consente l'applicazione dei meccanismi di informazione e consultazione esistenti definiti a livello nazionale e anche la promozione del dialogo sociale senza istituire meccanismi nuovi o doppioni, questa soluzione può essere sostenuta. Tuttavia, la responsabilità della piattaforma di lavoro digitale di sostenere le spese per l'esperto (articolo 9, paragrafo 3) non è compatibile con le norme generali in materia di informazione e consultazione basate sulla direttiva 2002/14/CE.

4.6.   Mezzi di ricorso

4.6.1

Il CESE sottolinea la necessità di chiarire la distinzione tra «lavoratori» e «persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali», in particolare per quanto riguarda i mezzi di ricorso e l'applicazione della direttiva. L'articolo 18 contiene norme simili di tutela contro i licenziamenti per entrambe le categorie, il che può generare confusione e incertezza giuridica, in quanto i ricorsi giurisdizionali in materia di diritto del lavoro e diritto contrattuale negli Stati membri si basano su normative diverse e pertanto non sono simili. Analogamente, l'articolo 17 (Protezione da trattamento o conseguenze sfavorevoli) potrebbe comportare conseguenze indesiderate e creare problemi nei sistemi giudiziari degli Stati membri se viene introdotto l'obbligo di trattare rapporti contrattuali diversi secondo le stesse norme.

4.7.   Non regresso e disposizioni più favorevoli

4.7.1

Per la promozione di condizioni di lavoro eque nel lavoro mediante piattaforme digitali, il CESE evidenzia il ruolo del dialogo sociale e dei contratti collettivi ai livelli appropriati e nei limiti delle competenze, del mandato e dell'autonomia delle parti sociali negli Stati membri. Il CESE si interroga quindi sulla limitazione dell'applicazione dei contratti collettivi soltanto a quelli che sono più favorevoli ai lavoratori delle piattaforme digitali (articolo 20). Tale limitazione interferisce con l'autonomia delle parti sociali.

Motivazione

Il presente testo contiene un emendamento che punta ad esprimere una posizione globalmente divergente da quella espressa nel parere presentato dalla sezione e va pertanto considerato un controparere. Illustra i motivi per cui la proposta della Commissione non è lo strumento adeguato per affrontare le sfide del lavoro tramite piattaforme digitali e non rispecchia adeguatamente la complessa realtà della varietà di situazioni del mondo in rapida evoluzione delle piattaforme. Inoltre, il controparere è inteso a evidenziare le principali lacune e sfide del progetto di direttiva, in particolare per quanto riguarda la presunzione legale dello status di lavoratore dipendente e la gestione algoritmica.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

149

Voti contrari:

80

Astensioni:

17


(1)  Per quanto riguarda il ritmo di sviluppo, i dati raccolti dalle indagini COLLEEM I e II portano a concludere che il fenomeno del lavoro tramite piattaforme digitali è in lenta ma costante crescita in Europa. In secondo luogo, solo una piccola percentuale (circa l'1,4 %) della popolazione in età lavorativa svolge un lavoro tramite piattaforme digitali come principale forma di occupazione. Inoltre, secondo lo studio citato nella «Relazione sulla valutazione d'impatto» della Commissione, circa 5,5 milioni sui 28,8 milioni di lavoratori delle piattaforme potrebbero essere a rischio di errata classificazione del loro status o situazione occupazionale. Cfr. JRC Publications Repository — Platform Workers in Europe Evidence from the COLLEEM Survey (europa.eu) (Repertorio delle pubblicazioni del JRC — Lavoratori delle piattaforme digitali in Europa — Dati scientifici tratti dall'indagine COLLEEM) JRC Publications Repository — New evidence on platform workers in Europe (europa.eu) (Repertorio delle pubblicazioni del JRC — Nuovi dati scientifici relativi ai lavoratori delle piattaforme digitali in Europa); e cfr. Commission staff working document impact assessment report (Documento di lavoro dei servizi della Commissione — Relazione di valutazione d'impatto). Nello studio commissionato da Delivery Platforms Europe la maggior parte (72 %) dei corrieri/fattorini (o «rider») dichiara che il lavoro tramite piattaforma costituisce un'attività complementare: il 34 % dichiara di effettuare consegne mentre prosegue gli studi, e all'incirca un altro terzo del campione (34 %) afferma di accettare lavoro tramite piattaforma per integrare il reddito derivante da altri lavori a tempo pieno o parziale. Per due terzi dei partecipanti al sondaggio (67 %), la flessibilità è il motivo principale che li spinge a lavorare come rider, poiché consente loro di conciliare il lavoro di consegna con altri lavori, con lo studio o con l'assistenza da prestare ai familiari, ed è un modo per fruire di un altro reddito oltre a quelli che già hanno. La flessibilità è inoltre la caratteristica più apprezzata del lavoro di rider (per il 58 % degli intervistati).

(2)  Raccomandazione del Consiglio sull'accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi e Raccomandazione del Consiglio relativa al miglioramento della protezione della salute e della sicurezza sul lavoro dei lavoratori autonomi.

(3)  Direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea.

(4)  Regolamento (UE) 2016/679 e COM/2021/206 final.

(5)  Cfr. COM(2021) 762 final, Relazione, pag. 1.

(6)  Tali misure includono: 1) una proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme; 2) un progetto di orientamenti sull'applicazione del diritto dell'UE in materia di concorrenza ai contratti collettivi per quanto riguarda le condizioni di lavoro dei lavoratori autonomi individuali, compresi coloro che lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali; 3) l'invito, rivolto alle autorità nazionali, alle parti sociali e a tutte le parti interessate, ad attuare nuove misure, come indicato di seguito, per conseguire migliori condizioni di lavoro per coloro che lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali (comunicazione «Migliori condizioni di lavoro per un'Europa sociale più forte: sfruttare appieno i vantaggi della digitalizzazione per il futuro del lavoro»).

(7)  Ibidem (Comunicazione), pag. 2.

(8)  Secondo lo studio della Commissione, anche se tutti i servizi freelance forniti tramite piattaforme venissero interrotti in tutta l'UE-27, queste imprese potrebbero ancora fare affidamento su lavoratori freelance in altre parti del mondo. Cfr. Commission Study to support the impact assessment on improving working conditions in platform work (Studio della Commissione a sostegno della valutazione d'impatto sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali).

(9)  Regolamento (UE) 2016/679.

(10)  COM(2021) 206 final.

(11)  Cfr. COM(2021) 762 final, Relazione, pag. 13.

(12)  Direttiva 2002/14/CE.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/109


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su una strategia europea per le università

[COM(2022) 16 final]

e sulla proposta di raccomandazione del Consiglio — Costruire ponti per un’efficace collaborazione a livello europeo nel campo dell’istruzione superiore

[COM(2022) 17 final]

(2022/C 290/17)

Relatrice:

Tatjana BABRAUSKIENĖ

Consultazione

Commissione europea, 1.3.2022

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

190/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea l’importanza di quanto dichiarato dalla Commissione europea in merito all’iniziativa in esame: «Le università devono essere luoghi di libertà: di parola, di pensiero, di apprendimento, di ricerca e di libertà accademica in generale. La libertà accademica non può essere isolata dall’autonomia istituzionale, né dalla partecipazione degli studenti e del personale alla governance dell’istruzione superiore» (1). Il CESE invita la Commissione europea, gli Stati membri e gli istituti di istruzione superiore (IIS) a considerare quanto sopra come un principio guida per l’attuazione.

1.2.

Il CESE si compiace del fatto che l’iniziativa incoraggi gli Stati membri e gli IIS a intensificare la cooperazione transnazionale al fine di migliorare le capacità e le competenze degli studenti per la duplice transizione del mercato del lavoro e dell’economia, sostenere i valori, l’identità e la democrazia dell’UE, e rendere la società e l’economia europee più resilienti.

1.3.

Il CESE fa rilevare (2) l’importante ruolo svolto dagli IIS nel migliorare l’acquisizione di competenze verdi, la responsabilità ambientale e lo sviluppo sostenibile; si tratta di aspetti che dovrebbero essere integrati trasversalmente nei risultati dell’apprendimento in ogni tipo di istruzione. Accoglie con favore le azioni previste dalla Commissione europea per aiutare gli Stati membri e gli IIS a mettere a punto approcci nazionali e istituzionali globali alla sostenibilità e all’alfabetizzazione in materia di clima e ambiente. Il CESE sottolinea che questo aspetto è importante per gli studenti che partecipano a programmi di studio completi e per i discenti che seguono i programmi di apprendimento permanente degli IIS, non solo per le microcredenziali (3).

1.4.

Il CESE invita gli Stati membri e gli IIS a migliorare la qualità, l’equità, l’uguaglianza e l’inclusione sociale dell’istruzione superiore e della ricerca nel momento di definire le strategie di digitalizzazione, a migliorare la parità di accesso al materiale digitale per tutti gli studenti, a sostenere l’uso sicuro delle tecnologie digitali, dando sempre la priorità all’interazione sociale dell’insegnamento in presenza, e a rispettare i diritti di proprietà intellettuale degli accademici. Il CESE invita la Commissione europea a collaborare con gli studenti e gli accademici nello sviluppo di programmi di istruzione e formazione sulle competenze digitali nell’ambito del programma Europa digitale.

1.5.

Il CESE sottolinea l’importanza di partenariati equilibrati tra IIS e imprese, al fine di rispondere alle esigenze in termini di competenze degli studenti, della società e del mercato del lavoro, nonché di garantire e ampliare l’accesso degli studenti ad apprendistati e tirocini di alta qualità e retribuiti nelle imprese e nelle istituzioni. Invita gli Stati membri e gli IIS a garantire la libertà accademica e l’autonomia istituzionale, specialmente in materia di collaborazione con attori non accademici per quanto riguarda lo sviluppo dei programmi di studio, le competenze e i requisiti del personale accademico.

1.6.

Il CESE ricorda che la Commissione europea e ogni Stato membro devono tutelare la libertà accademica e l’autonomia istituzionale quali valori fondamentali sanciti dal comunicato di Roma. Il CESE accoglie con favore l’iniziativa delle alleanze delle università europee, in quanto progetti Erasmus+ che comprendono azioni volontarie e dal basso da parte degli IIS, e sono importanti per una più stretta cooperazione sotto una guida democratica. Il CESE teme che siano in gioco valori fondamentali quando la Commissione europea e il Consiglio istituzionalizzano i progetti delle alleanze delle università europee, chiedendo agli Stati membri di istituire uno statuto giuridico per i diplomi europei comuni delle alleanze, nonché di introdurre una certificazione esterna della qualità e l’accreditamento delle attività e dei programmi didattici transnazionali congiunti delle alleanze.

1.7.

Il CESE fa presente il valore essenziale della diversità degli IIS, che possono sostenere diversi tipi di esigenze culturali, educative, sociali ed economiche. Il CESE chiede che sia riconosciuto pari valore agli IIS sia all’esterno che all’interno delle alleanze delle università europee e che sia rispettato il principio della libertà di conoscenza. Il CESE accoglie con favore la definizione di principi guida a tutela dei valori accademici fondamentali, basati sul comunicato di Roma, con il coinvolgimento delle parti sociali e dei soggetti interessati.

1.8.

Il CESE si rammarica che gli IIS siano sottofinanziati (4) nonostante l’aumento delle loro esigenze durante la pandemia, e invita gli Stati membri ad incrementare i finanziamenti pubblici ad essi destinati. Esprime preoccupazione per la crescente privatizzazione degli IIS e per l’aumento degli investimenti privati nell’istruzione superiore e nella ricerca, che potrebbero mettere a rischio la libertà accademica e l’autonomia istituzionale. Sottolinea inoltre che il mantenimento del sostegno finanziario alle alleanze delle università europee garantirà finanziamenti pubblici nazionali sostenibili per tutti gli IIS. Il CESE invita gli Stati membri ad avvalersi del semestre europeo e dei fondi dell’UE, tra cui il dispositivo per la ripresa e la resilienza, il FSE+, Erasmus+ e Orizzonte Europa, per aiutare gli IIS a raggiungere i loro obiettivi.

1.9.

Il CESE chiede alla Commissione europea di monitorare gli investimenti a livello dell’UE, nazionale e istituzionale nell’istruzione superiore, utilizzando i principali strumenti politici del semestre europeo e del dispositivo per la ripresa e la resilienza. Chiede inoltre alla Commissione di limitare a un ruolo di sostegno il ricorso al quadro europeo di valutazione del settore dell’istruzione superiore e ai risultati del lavoro del gruppo di esperti sugli investimenti di qualità nell’istruzione e nella formazione.

1.10.

Il CESE esprime preoccupazione per gli obiettivi e la governance del quadro europeo di valutazione del settore dell’istruzione superiore, che effettua valutazioni annuali dei progressi compiuti in tutta l’UE verso la realizzazione delle priorità fondamentali dell’iniziativa: inclusione, valori, qualità e pertinenza, mobilità, competenze verdi e digitali, occupabilità, cooperazione transnazionale, trasferimento di tecnologia e valorizzazione delle conoscenze. Il CESE chiede alla Commissione europea di chiarire il ruolo di questo strumento nel monitoraggio dei progressi degli Stati membri e la sua governance in relazione al processo del semestre europeo, nonché di specificare se tale strumento sarà utilizzato anche per monitorare gli investimenti nazionali nell’istruzione superiore. Il CESE chiede di sostenere il ruolo degli Stati membri, delle parti sociali del settore dell’istruzione e dei soggetti interessati nel processo.

1.11.

Il CESE accoglie con favore l’istituzione di un osservatorio europeo del settore dell’istruzione superiore per riunire in un unico luogo il meglio degli strumenti e delle capacità attuali dell’UE in materia di dati. Il CESE chiede alla Commissione europea di sostenere il ruolo degli Stati membri, delle parti sociali del settore dell’istruzione e dei soggetti interessati nel processo. Le parti sociali svolgono un ruolo importante nella transizione dall’istruzione al mondo del lavoro, nel rappresentare gli interessi degli studenti sul mercato del lavoro e nel ridurre il numero dei giovani che non hanno un lavoro, né seguono un percorso scolastico o formativo (NEET). Si dovrebbero compiere maggiori sforzi a livello sia dell’UE che degli Stati membri per seguire il percorso degli studenti che passano dall’istruzione al mondo del lavoro.

1.12.

Il CESE chiede alla Commissione europea e agli Stati membri di coinvolgere attivamente le parti sociali del settore dell’istruzione e le organizzazioni della società civile nell’ulteriore sviluppo delle iniziative e delle azioni della Commissione nell’ambito di questa strategia, come pure nella sua attuazione a livello degli Stati membri. Questo coinvolgimento è importante se si vuole garantire che gli studenti acquisiscano le competenze necessarie per essere cittadini di una democrazia e per accedere a posti di lavoro di qualità nell’ambito della duplice transizione. La governance democratica e un dialogo sociale efficace sono essenziali per migliorare il benessere degli studenti, la libertà accademica, lo status permanente e le condizioni di lavoro del personale, come pure l’autonomia istituzionale. Il CESE chiede alla Commissione europea di coinvolgere le parti sociali del settore dell’istruzione e le organizzazioni della società civile nell’elaborazione di criteri europei per il rilascio di un marchio di diploma europeo.

1.13.

Il CESE chiede agli Stati membri e agli IIS di coinvolgere in modo più efficace i discenti, gli accademici e i ricercatori nella governance delle politiche in materia di istruzione superiore e delle strutture istituzionali di cooperazione transnazionale, attraverso una leadership collaborativa efficace, una governance collegiale e il dialogo sociale. Ciò dovrebbe mirare a garantire un’istruzione superiore e una ricerca di buona qualità e inclusive, l’effettiva mobilità degli studenti, del personale e dei ricercatori e la piena diversità (compresa la parità di genere) di studenti, accademici, ricercatori e personale amministrativo.

1.14.

Il CESE chiede alla Commissione europea di garantire un dialogo sociale con i sindacati del personale accademico al momento di elaborare un quadro europeo per carriere attraenti e sostenibili nell’istruzione superiore, al fine di migliorare le condizioni di lavoro, il benessere e lo status degli accademici e di sostenere le carriere accademiche all’interno e all’esterno dell’università. Una maggiore partecipazione degli studenti al processo decisionale e il miglioramento della capacità operativa delle organizzazioni studentesche dovrebbero essere una preoccupazione costante. A tale obiettivo potrebbero essere destinati dei fondi del FSE+.

1.15.

Il CESE accoglie con favore la promozione del personale e degli studenti provenienti da contesti diversi, che comporta l’istituzione di un quadro europeo per la diversità e l’inclusione (compresi i divari di genere), il sostegno ai ricercatori a rischio mediante principi orientativi per le università al fine di facilitare la loro inclusione, nonché la definizione di strategie nazionali e istituzionali per l’inclusione, con particolare attenzione per i rifugiati e le persone richiedenti asilo. Il CESE chiede un riconoscimento trasparente ed equo delle qualifiche dei paesi terzi, comprese quelle dei rifugiati, attraverso la rete dei centri di riconoscimento accademico. Il CESE chiede alla Commissione europea, agli Stati membri e agli IIS di mettere a punto tali strategie insieme agli studenti e al personale, con particolare attenzione per coloro che possono contribuire con la propria esperienza allo sviluppo di strategie.

1.16.

Il CESE accoglie con favore l’ulteriore sviluppo dell’iniziativa relativa alla carta europea dello studente, al fine di ridurre gli oneri amministrativi connessi alla gestione della mobilità e degli scambi di studenti e personale, ma sottolinea nel contempo l’importanza di garantire la sicurezza e la protezione dei dati. Ridurre la burocrazia e facilitare il trasferimento dei crediti accademici tra Stati membri è indispensabile per garantire un’adeguata mobilità a livello dell’UE.

1.17.

Il CESE accoglie con favore la proposta di estendere la mobilità degli studenti e del personale ai paesi terzi e sottolinea l’importanza della mobilità in presenza e della garanzia della salute e della sicurezza. Accoglie con favore la nuova carta Erasmus per l’istruzione superiore e la nuova carta dello studente Erasmus, che integrano la libertà e l’integrità accademiche e promuovono i dibattiti accademici e lo scambio delle migliori pratiche sui valori e la democrazia nell’ambito delle attività Jean Monnet nel settore dell’istruzione superiore di Erasmus+, anche nei paesi terzi.

2.   Contesto del parere

2.1.

Sulla scia delle conclusioni del Consiglio sull’iniziativa delle università europee — Colmare la distanza tra istruzione superiore, ricerca, innovazione e società: aprire la strada a una nuova dimensione dell'istruzione superiore europea, adottate dal Consiglio «Istruzione» dell’UE, la Commissione europea ha pubblicato due documenti. La comunicazione della Commissione su una strategia europea per le università comprende le azioni che la Commissione europea dovrà intraprendere tra il 2022 e il 2024 in materia di istruzione superiore e ricerca, mentre la proposta di raccomandazione del Consiglio Costruire ponti per un’efficace collaborazione a livello europeo nel campo dell’istruzione superiore, che sarà adottata dal Consiglio «Istruzione» nella riunione del 4-5 aprile 2022, contiene raccomandazioni specifiche per gli Stati membri. Queste iniziative si prefiggono di raggiungere il nuovo obiettivo dell’UE in base al quale entro il 2030 almeno il 45 % delle persone di età compresa tra i 25 e i 34 anni dovrà aver completato l’istruzione terziaria (5).

2.2.

Attraverso questa iniziativa, la Commissione intende portare a 60 le alleanze universitarie europee, coinvolgendo più di 500 università entro la metà del 2024. Sono previsti un bilancio indicativo Erasmus+ pari a un totale di 1,1 miliardi di EUR per il periodo compreso tra il 2021 e il 2027 e diverse iniziative di sostegno.

2.3.

Le raccomandazioni rivolte agli Stati membri chiedono loro di consentire agli IIS di sviluppare e attuare attività comuni innovative di istruzione a livello transnazionale (all’interno e all’esterno dell’UE), di creare uno statuto giuridico per le alleanze universitarie europee entro il 2024, di facilitare il rilascio a livello nazionale di un diploma europeo congiunto entro il 2024, compreso il collegamento con i quadri nazionali delle qualifiche, di favorire una maggiore mobilità degli studenti e del personale (anche online), di fornire un sostegno finanziario sostenibile alle alleanze delle università europee e di promuovere e tutelare la libertà accademica e l’autonomia istituzionale.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE sottolinea (6) che «è importante cercare di stabilire maggiori collegamenti tra lo Spazio europeo dell’istruzione superiore (SEIS) e lo Spazio europeo della ricerca (SER) al fine di migliorare la qualità e l’inclusività dell’istruzione superiore e della ricerca per tutti gli studenti, a prescindere dall’età e dall’estrazione sociale ed economica. Migliorare la qualità degli studi universitari e il loro riconoscimento tra le università deve essere un punto centrale dell’Iniziativa delle università europee. Se è vero che l’istruzione superiore rientra nelle competenze degli Stati membri, nondimeno le proposte della Commissione relative a un “diploma europeo”, uno “statuto universitario europeo” e un “sistema europeo di certificazione e garanzia della qualità” sembrano rappresentare un passo avanti verso la sincronizzazione degli studi di istruzione superiore. Il CESE chiede pertanto che le idee alla base di queste iniziative e delle ulteriori azioni politiche siano ancora discusse con i governi, con le parti sociali pertinenti e con le organizzazioni della società civile». Il CESE si rallegra che le parti sociali e le organizzazioni della società civile abbiano potuto esprimere il loro punto di vista su questa iniziativa attraverso consultazioni pubbliche.

3.2.

La libertà accademica e l’autonomia istituzionale sono sempre più sotto attacco in alcuni paesi firmatari del processo di Bologna (7). Il comunicato di Roma, adottato da 49 ministeri dello Spazio europeo dell’istruzione superiore in occasione della conferenza ministeriale 2020 del processo di Bologna, ribadisce l’impegno dei ministri a «promuovere e proteggere i nostri valori fondamentali comuni in tutto il SEIS attraverso un dialogo politico e una cooperazione intensificati quali basi necessarie per l’apprendimento, l’insegnamento e la ricerca di qualità, nonché per garantire società democratiche». I ministri si sono inoltre impegnati a «difendere l’autonomia istituzionale, la libertà e l’integrità accademiche, la partecipazione degli studenti e del personale alla governance dell’istruzione superiore e la responsabilità pubblica per l’istruzione superiore e da parte di essa». L’allegato I del comunicato di Roma definisce la libertà accademica come «un aspetto indispensabile dell’apprendimento, dell’insegnamento e della ricerca di qualità nell’istruzione superiore nonché della democrazia», sulla base dell’autonomia istituzionale, e sottolinea che «le società non possono essere veramente democratiche se non rispettano la libertà accademica e l’autonomia istituzionale».

3.3.

La pandemia di COVID-19 ha avuto un impatto senza precedenti sui metodi di insegnamento e ricerca, sul funzionamento delle università (in termini di chiusura dei campus e passaggio all’apprendimento online) e sulla governance universitaria. La pandemia ha evidenziato anche l’importanza della partecipazione delle università a livello di comunità. Circa la metà di tutti gli studenti ritiene che le proprie prestazioni accademiche siano peggiorate con l’istruzione online e che il carico di lavoro sia aumentato da quando si è passati all’insegnamento online. L’accesso alle competenze digitali, agli strumenti di comunicazione online e a Internet ha continuato a rappresentare una sfida per molti studenti svantaggiati dal punto di vista socioeconomico. Vi è stato anche un impatto sul benessere psicologico ed emotivo degli studenti (8).

3.4.

Per il personale accademico, la crisi legata alla COVID-19 ha portato a un deterioramento delle condizioni di lavoro, tra cui un aumento massiccio del carico di lavoro dovuto all’apprendimento online e misto, nonché alla perdita di posti di lavoro per il personale a tempo determinato e occasionale. Tali sviluppi hanno avuto un effetto sproporzionato su gruppi specifici di personale, come le donne e le minoranze etniche. La pandemia ha avuto un impatto negativo anche sulla salute mentale e sul benessere del personale.

3.5.

Il personale accademico svolge un ruolo fondamentale nel fornire un’istruzione e una ricerca di qualità nelle università. Anche prima della pandemia, gli accademici di tutta Europa si erano trovati di fronte a una diminuzione della sicurezza del lavoro, da attribuire a vincoli di bilancio, opportunità di lavoro ridotte, una percentuale crescente di personale su posti temporanei, a tempo parziale o a tempo determinato e una percentuale crescente di personale su posti finanziati dall’esterno. Condizioni di lavoro e retribuzioni dignitose sono fondamentali perché gli accademici siano in grado di preparare efficacemente i loro studenti alla duplice transizione della società e dell’economia. Gli accademici con contratti a tempo determinato si trovano in una situazione di lavoro precaria, che rende più difficile per loro intraprendere un insegnamento e una ricerca di alta qualità (9). La pandemia di COVID-19 ha peggiorato le prospettive di carriera dei ricercatori post-dottorato e si ripercuote negativamente sul loro benessere. I ricercatori più giovani e le ricercatrici hanno maggiori probabilità di ritrovarsi in condizioni precarie e di subire gli effetti negativi della pandemia a tale riguardo (10). Dovrebbe essere prioritario aumentare le indennità per i dottorandi e garantire l’accesso gratuito alle pubblicazioni e la partecipazione ai convegni internazionali.

3.6.

Per ridurre la carenza di competenze e garantire che gli studenti provenienti dagli IIS possano accedere al mercato del lavoro, sono essenziali partenariati efficaci tra IIS e imprese nonché l’accesso degli studenti ad apprendistati e tirocini di alta qualità e retribuiti nelle imprese. Il CESE desidera sottolineare che «i partenariati tra imprese e istituti di istruzione superiore dovrebbero essere vantaggiosi per entrambe le parti, senza pressioni esterne, ed essere equilibrati in modo da garantire, in quanto tali, le attività di ricerca e di innovazione nelle aziende e gli obiettivi di istruzione superiore e di ricerca pubblici» (11).

3.7.

Nel facilitare l’accesso all’istruzione superiore si dovrebbe tenere conto del fatto che le tasse universitarie sono sotto pressione a causa dei prezzi dell’energia e dei costi aggiuntivi legati al processo educativo (alloggio, accesso alle pubblicazioni ecc.). I costi aggiuntivi potrebbero essere sovvenzionati tramite fondi dell’UE, riducendo l’esposizione ai prestiti e ad altri metodi finanziari utilizzati per pagarsi gli studi universitari. Occorre garantire sinergie tra la dinamica del progresso tecnologico e le attrezzature, le norme e le procedure utilizzate nel processo didattico, al fine di garantire una transizione efficace dall’istruzione alla vita attiva.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Comunicazione della Commissione su una strategia europea per le università, 2022.

(2)  GU C 56 del 16.2.2021, pag. 1.

(3)  GU C 56 del 16.2.2021, pag. 1.

(4)  Rapporto 2019/20 dell'osservatorio dei finanziamenti pubblici dell'Associazione delle università europee.

(5)  Risoluzione del Consiglio su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione verso uno spazio europeo dell’istruzione e oltre (2021-2030).

(6)  GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 40.

(7)  https://www.scholarsatrisk.org/academic-freedom-monitoring-project-index/?_gp=1

(8)  Commissione europea: The impact of COVID-19 on higher education: a review of emerging evidence (L’impatto della COVID-19 sull’istruzione superiore: un riesame delle evidenze emergenti), 2021.

(9)  Relazione ETUCE alla riunione ministeriale di Roma (2020).

(10)  OCSE: Reducing the precarity of academic research careers (Ridurre la precarietà delle carriere di ricerca universitaria), 2021.

(11)  GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 40.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/114


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prestazione energetica nell’edilizia (rifusione)

[COM(2021) 802 final — 2021/0426 (COD)]

(2022/C 290/18)

Relatore:

Mordechaj Martin SALAMON

Consultazione

Parlamento europeo, 14.2.2022

Consiglio, 9.2.2022

Base giuridica

Articolo 194, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture e società dell’informazione

Adozione in sezione

10.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

212/6/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di rifusione della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia (Energy Performance of Buildings Directive — EPBD), in quanto essa raccoglie le sfide fondamentali individuate in suoi precedenti pareri per fornire strumenti di lotta contro la povertà energetica e rimediare al sottoinvestimento strutturale a lungo termine nel settore dell’edilizia, promuovere la ristrutturazione soprattutto degli edifici inefficienti dal punto di vista energetico e avviarci sulla strada di un riscaldamento e un raffrescamento decarbonizzati.

1.2.

Il CESE sostiene con convinzione questo approccio dell’UE volto a realizzare un ambiente edificato efficiente sotto il profilo energetico, di alta qualità e privo di combustibili fossili, in quanto le misure adottate al livello dell’UE sono più efficienti nell’accelerare la necessaria transizione.

1.3.

Il CESE ritiene che la recente brusca impennata dei prezzi dell’energia e la prospettiva, perlomeno nel medio periodo, di prezzi energetici elevati, abbiano dimostrato che è ancora più importante mettere in atto una strategia per alleviare ed eliminare la povertà energetica. Occorre attuare misure concrete volte a migliorare l’efficienza energetica degli edifici al fine di garantire un alloggio dignitoso, economicamente accessibile e sano per tutti. Tra queste misure deve figurare anche la rimozione sicura dell’amianto dagli edifici.

1.4.

Il CESE sostiene fermamente la definizione di norme minime di prestazione energetica, in particolare per gli edifici residenziali con le prestazioni peggiori. L’introduzione del principio a livello dell’UE è un passo avanti significativo.

1.5.

Il CESE chiede che fin dall’inizio sia definita una progressione più globale dei requisiti per i miglioramenti, con un calendario più chiaro e completo fino al 2050, al fine di incoraggiare ristrutturazioni lungimiranti.

Poiché l’EBPD non fornisce di per sé nuovi finanziamenti e il compito di finanziare le ristrutturazioni necessarie è molto impegnativo, il CESE ritiene fondamentale che il quadro e gli strumenti previsti dall’EBPD per accedere sia ai finanziamenti pubblici che ai crediti bancari siano all’altezza degli obiettivi.

1.6.

Considerato il loro ruolo centrale nel migliorare l’efficienza energetica del parco immobiliare, il CESE accoglie con favore il rafforzamento dei requisiti, dell’affidabilità e dell’utilizzabilità degli attestati di prestazione energetica (APE).

1.7.

Il CESE si compiace dell’importanza crescente dei piani nazionali di ristrutturazione degli edifici e dell’inclusione in essi della comunicazione degli sforzi compiuti dagli Stati membri per ridurre la povertà energetica.

1.8.

Il CESE sostiene la creazione di un «passaporto di ristrutturazione» degli edifici entro il 2024, che consenta ai consumatori di accedere più facilmente alle informazioni e di ottenere costi più bassi al momento di pianificare la ristrutturazione dei loro edifici.

1.9.

Il CESE riconosce la necessità di includere obblighi relativi alla comunicazione delle emissioni di carbonio nell’intero ciclo di vita degli edifici (produzione e costruzione, utilizzo e fine vita), in quanto il fattore principale di impatto climatico derivante dalle nuove abitazioni potrebbe provenire dai materiali utilizzati e dallo sforzo di costruzione. Il CESE sottolinea la necessità di garantire che la definizione di «edificio a emissioni zero» consenta un’interazione ottimale di tale edificio con i sistemi energetici circostanti e includa tutte le emissioni intrinseche di gas a effetto serra. Le valutazioni del ciclo di vita dovrebbero essere intese come strumenti di orientamento specifici per progetto che mettono a confronto le diverse scelte di materiali e di tecniche.

1.10.

Il CESE chiede di attuare un vero e proprio processo di «comunità» per la formazione e il miglioramento delle competenze delle maestranze del settore edilizio.

2.   Contesto

2.1.

La Commissione ha proposto una rifusione della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia (EPBD) nel contesto dell’obiettivo del Green Deal europeo di conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Nel quadro della strategia «Pronti per il 55 %», la direttiva EPBD dà seguito alla strategia per l’ondata di ristrutturazioni, che ha fissato l’obiettivo minimo di raddoppiare il tasso annuo di ristrutturazione energetica degli edifici entro il 2030, evidenziando che occorre adottare le necessarie misure normative, finanziarie e di sostegno.

2.2.

La direttiva EPBD ha il fine di fornire le misure e gli strumenti necessari nell’ambito dei tre settori di interesse della strategia per l’ondata di ristrutturazioni, vale a dire lotta alla povertà e all’inefficienza energetiche; gli edifici pubblici e le infrastrutture sociali che mostrano la via da seguire; e la decarbonizzazione del riscaldamento e del raffrescamento.

2.3.

Viene proposta una serie di modifiche e aggiunte all’attuale direttiva EPBD, in particolare:

Dal 2030 tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero; i nuovi edifici pubblici dovranno essere a emissioni zero già dal 2027.

È imposto agli Stati membri un nuovo obbligo di provvedere affinché tutti gli edifici di proprietà di enti pubblici e tutti gli edifici non residenziali conseguano almeno la classe di prestazione energetica F entro il 2027 e almeno la classe E entro il 2030. Tutti gli edifici residenziali devono anch’essi conseguire almeno la classe F entro il 2030 e almeno la classe E entro il 2033. Data la ridefinizione delle classi di prestazione energetica, tali requisiti comporteranno un miglioramento per oltre il 15 % del parco immobiliare entro il 2033.

L’obbligo di avere un attestato di prestazione energetica è esteso agli edifici in fase di ristrutturazione importante, agli edifici per i quali viene rinnovato un contratto di locazione e a tutti gli edifici pubblici. Gli edifici o le unità immobiliari che sono offerti in vendita o in locazione devono avere un attestato di prestazione energetica, che deve essere indicato in tutti gli annunci.

I piani nazionali di ristrutturazione degli edifici saranno pienamente integrati nei piani nazionali per l’energia e il clima per garantire la comparabilità e il monitoraggio dei progressi, comprese le tabelle di marcia per eliminare gradualmente i combustibili fossili nel riscaldamento e raffrescamento entro il 2040 al più tardi.

Un «passaporto di ristrutturazione» dell’edificio consentirà ai consumatori di avere accesso alle informazioni e di ottenere costi più bassi, per facilitare la loro pianificazione e una ristrutturazione passo dopo passo verso un livello di emissioni zero.

Gli Stati membri sono invitati a includere considerazioni sulla ristrutturazione nelle regole di finanziamento pubblico e privato e a stabilire strumenti adeguati, in particolare per le famiglie a basso reddito.

Viene introdotta una clausola di decadenza per gli incentivi finanziari all’uso dei combustibili fossili negli edifici.

Devono essere create infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici e spazi di parcheggio per le biciclette.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di rifusione della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia (EPBD), in quanto essa raccoglie le sfide fondamentali individuate in suoi precedenti pareri per fornire strumenti di lotta contro la povertà energetica, rimediare al sottoinvestimento strutturale a lungo termine nel settore dell’edilizia, promuovere la ristrutturazione soprattutto degli edifici inefficienti dal punto di vista energetico e avviarci sulla strada di un riscaldamento e un raffrescamento decarbonizzati.

3.2.

Il problema degli edifici scarsamente o moderatamente isolati che dipendono dai combustibili fossili per il riscaldamento e il raffrescamento riguarda l’intera UE. In assenza di politiche coordinate al livello dell’UE, vi è il rischio che gli Stati membri non adottino misure sufficienti per il timore di una disparità di condizioni.

3.3.

Pertanto, il CESE sostiene con convinzione la proposta della Commissione di un approccio dell’UE volto a realizzare un ambiente edificato efficiente sotto il profilo energetico, di alta qualità e privo di combustibili fossili. Le misure adottate al livello dell’UE sono più efficienti nell’accelerare la necessaria transizione. Inoltre, un approccio comune al livello dell’UE permette di sfruttare i vantaggi del mercato interno, come le economie di scala e la cooperazione tecnologica tra gli Stati membri. Un tale approccio contribuisce inoltre ad una maggiore certezza per gli investitori e sostiene nel complesso il ruolo guida che l’UE e le imprese europee possono svolgere in quanto modelli normativi e pionieri in questo campo a livello mondiale.

3.4.

Il CESE ritiene che la recente brusca impennata dei prezzi dell’energia e la prospettiva, perlomeno nel medio periodo, di prezzi energetici elevati, abbiano dimostrato che è ancora più importante mettere in atto una strategia per alleviare ed eliminare la povertà energetica. Se nel 2018 il 6,8 % degli abitanti dell’UE (30,3 milioni) non è stato in grado di pagare regolarmente le bollette, comprese quelle dell’energia, e ha quindi rischiato la sospensione dell’erogazione, gli ultimi sviluppi hanno ulteriormente peggiorato la situazione. A lungo termine è necessario adottare misure concrete volte a migliorare l’efficienza energetica degli edifici per garantire a tutti un alloggio dignitoso, economicamente accessibile e sano. Questo impegno è tanto più urgente in quanto si registrerà un rialzo dei costi per il riscaldamento e il raffrescamento basati su combustibili fossili dovuto all’aumento dei costi delle quote di emissioni.

3.5.

Il CESE sostiene fermamente la definizione di norme minime di prestazione energetica, in particolare per gli edifici residenziali con le prestazioni peggiori. L’introduzione di tale principio a livello dell’UE è un passo avanti significativo. Spetta tuttavia agli Stati membri decidere se il resto del patrimonio edilizio residenziale debba essere coperto da norme stabilite a livello nazionale.

3.6.

Il CESE è favorevole all’accento posto sull’eliminazione della povertà energetica attraverso la ristrutturazione prioritaria della parte del parco immobiliare residenziale con le prestazioni peggiori, ma questo non dovrebbe avere come conseguenza una minore attenzione al miglioramento di altri edifici residenziali. Il CESE chiede quindi che fin dall’inizio sia introdotta una progressione più globale dei requisiti per i miglioramenti, con un calendario più chiaro e completo fino al 2050. In questo modo, inoltre, i proprietari degli edifici potranno disporre di indicazioni circa i requisiti futuri al fine di pianificare la ristrutturazione a un livello di costo ottimale.

3.7.

Poiché gli attestati di prestazione energetica (APE) stanno diventando uno strumento centrale, occorre migliorarne l’affidabilità e l’usabilità. Il CESE accoglie quindi con favore il rafforzamento dei requisiti riguardanti il passaggio a un formato digitale, la buona qualità, il contenuto dettagliato e i metodi di calcolo precisi, l’accessibilità economica, l’accesso e la pubblicazione degli APE. Inoltre, dovrebbe essere sempre possibile rilasciare l’APE su supporto cartaceo ai cittadini che ne hanno bisogno.

3.8.

Il CESE accoglie con favore l’inclusione degli sforzi compiuti da ciascuno Stato membro per ridurre la povertà energetica nei piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, nei quali essi riferiranno in merito alla riduzione del numero di persone colpite dalla povertà energetica e alla quota della popolazione che vive in alloggi non idonei (ad esempio, con infiltrazioni dalle pareti o dal tetto) o in condizioni di conforto termico inadeguate.

3.9.

Il CESE sostiene l’istituzione di un «passaporto di ristrutturazione» degli edifici entro il 2024, ma si interroga sull’effetto che potrà avere, dato che non è obbligatorio. Il passaporto consentirà ai consumatori un accesso più agevole alle informazioni e garantirà costi più bassi nella pianificazione della ristrutturazione dei loro edifici. Come sviluppo positivo, esso include anche benefici più ampi legati alla salute, al comfort e alla capacità di adattamento dell’edificio ai cambiamenti climatici.

3.10.

Data la diffusa incapacità delle persone in condizioni di povertà energetica, e anche di molti piccoli proprietari immobiliari, di soddisfare i requisiti di finanziamento per avviare le ristrutturazioni, il CESE ritiene fondamentale che il quadro e gli strumenti previsti dall’EBPD in materia di finanziamento siano adeguati agli obiettivi. A tal fine occorre includere spiegazioni e orientamenti chiari sugli aspetti finanziari della ristrutturazione, compreso il ricorso ai crediti a livello locale. Il CESE rammenta inoltre il suo invito (nel parere TEN/723) a unificare i numerosi regimi in vigore per renderli più chiari e più accessibili alle famiglie e alle autorità pubbliche cui si rivolgono.

3.11.

Il CESE riconosce la necessità di includere nella direttiva EPBD obblighi relativi alla comunicazione delle emissioni di carbonio durante l’intero ciclo di vita degli edifici (produzione e costruzione, uso e fine vita). Quando vengono costruiti nuovi edifici con bassi livelli di consumo energetico, il fattore principale di impatto sul clima può provenire non dall’uso dell’edificio ma dai materiali utilizzati e dallo sforzo di costruzione. Le valutazioni del ciclo di vita dovrebbero essere intese come strumenti di orientamento specifici per progetto che mettono a confronto le diverse scelte di materiali e di tecniche.

3.12.

Il CESE sottolinea la necessità di garantire che la definizione di «edificio a emissioni zero» sia tale da consentire a tale edificio di interagire in modo ottimale con i sistemi energetici circostanti e includa le emissioni intrinseche di gas a effetto serra derivanti dall’uso di materiali da costruzione e dal cantiere.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Se da un lato la direttiva EBPD di per sé non fornisce nuovi finanziamenti, dall’altro stabilisce i requisiti per i livelli di finanziamento degli Stati membri e il coordinamento degli sforzi finanziari per creare un quadro giuridico e finanziario su misura, compreso il sostegno finanziario mirato. Il CESE si chiede, tuttavia, se il finanziamento sarà in realtà facilmente accessibile ai potenziali ristrutturatori e ritiene che non sia chiaro se lo sforzo finanziario totale in ogni Stato membro sarà sufficiente a realizzare gli obiettivi di ristrutturazione.

4.2.

Ad oggi, accade fin troppo spesso che i finanziamenti e le sovvenzioni vengano erogati solo una volta che i lavori di ristrutturazione energetica sono stati completati, il che per molti consumatori rappresenta un ostacolo all’avvio dei lavori stessi. Il CESE raccomanda pertanto che la proposta di direttiva stabilisca che i sistemi di finanziamento coprano almeno in parte i costi iniziali sostenuti dai consumatori.

4.3.

Il CESE rinnova la sua richiesta (avanzata nel parere TEN/749) che una quota sostanziale del 37 % del dispositivo per la ripresa e la resilienza destinato ai progetti verdi venga assegnata a progetti in materia di efficienza energetica, in linea con la domanda e le esigenze effettive di ciascuno Stato membro.

4.4.

Il CESE ritiene fondamentale per il successo della direttiva EPBD che gli Stati membri siano tenuti ad adeguare i quadri normativi non idonei e a rimuovere gli ostacoli non economici, tra i quali è soprattutto il problema della divergenza di interessi a ostacolare la ristrutturazione per molti proprietari e locatari di case. Allo stesso tempo, il CESE ritiene necessario includere una protezione dei locatari da livelli di canone sproporzionati in seguito alla ristrutturazione, attraverso un sostegno ai canoni o limiti agli aumenti degli stessi.

4.5.

Il CESE ritiene che una revisione degli articoli della direttiva relativi agli attestati di prestazione energetica (APE) sia attesa da tempo. Dall’esperienza degli APE in tutta Europa emerge l’esigenza di apportare diversi adeguamenti necessari, alcuni dei quali presenti nella proposta attuale.

4.6.

Il CESE riconosce come un passo avanti l’obbligo imposto agli Stati membri di garantire la qualità, l’affidabilità e l’accessibilità economica degli APE, oltre che di effettuare controlli e stabilire un sistema di controllo ben funzionante.

Il CESE considera miglioramenti preziosi la riduzione del periodo di validità dell’APE a cinque anni per il parco immobiliare meno efficiente dal punto di vista energetico, la necessità che gli esperti siano qualificati o certificati e indipendenti e il requisito esplicito di includere una visita in loco prima di rilasciare l’APE.

4.7.

Il CESE propone di rafforzare l’utilità dell’APE per i consumatori includendovi informazioni su:

a)

la durata di vita residua del sistema di riscaldamento, il costo medio dei lavori; e

b)

i contatti o recapiti dello sportello unico più vicino.

4.8.

Il CESE sostiene la proposta di semplificare a livello europeo le classi di prestazione (A-F) all’interno dell’APE e la creazione di modelli comuni. Sono passi avanti anche l’introduzione di requisiti per istituire banche dati facilmente accessibili a livello nazionale per gli APE, i passaporti di ristrutturazione degli edifici e gli indicatori di predisposizione degli edifici all’intelligenza, unitamente al trasferimento di informazioni dalle banche dati nazionali all’Osservatorio europeo del parco immobiliare.

4.9.

Il CESE osserva che la coerenza tra il passaporto di ristrutturazione degli edifici e gli attestati di prestazione energetica è necessaria per evitare ridondanze e inutili costi aggiuntivi.

4.10.

Il CESE rinnova la sua richiesta (TEN/723) di rafforzare ulteriormente l’Osservatorio della povertà energetica e di stabilire una stretta cooperazione con l’Osservatorio europeo del parco immobiliare.

4.11.

Per i cittadini europei, l’accesso alla consulenza, alle informazioni, all’assistenza alla pianificazione e all’orientamento finanziario sarà fondamentale. Si stima che attualmente i proprietari di abitazioni che ricevono un’assistenza per la ristrutturazione energetica da parte degli sportelli unici siano intorno ai 100 000 all’anno, mentre nel 2030 il potenziale potrebbe essere di circa 2 000 000 di proprietari all’anno (1). Il CESE chiede un migliore sviluppo e coordinamento degli sportelli unici a livello nazionale, un loro adeguato finanziamento, la condivisione transfrontaliera delle buone pratiche e un seguito più attento di queste strutture da parte della Commissione.

4.12.

Il CESE sostiene l’ampliamento della consultazione pubblica sul progetto di piano nazionale di ristrutturazione degli edifici e propone che le organizzazioni dei consumatori siano menzionate in modo specifico, poiché sono nella posizione migliore per fornire valutazioni e riscontri sull’efficacia con cui i programmi e gli strumenti finanziari raggiungono i consumatori.

4.13.

Il CESE prende atto del rafforzamento dell’indicatore di predisposizione all’intelligenza (Smart Readiness Indicator — SRI) attraverso lo sviluppo delle definizioni, dei requisiti e della condivisione dei dati necessari, ma si rammarica che nell’SRI non siano ancora stati inclusi gli edifici residenziali né indicati i livelli obbligatori da raggiungere.

4.14.

Dati i notevoli investimenti, le innovazioni previste e l’aumento dei livelli di attività nei settori pertinenti, il fabbisogno di manodopera qualificata, riqualificata e aggiornata aumenterà considerevolmente. Il CESE accoglie quindi con favore l’obbligo per gli Stati membri di promuovere e finanziare l’istruzione e la formazione per garantire una manodopera qualificata nel settore dell’edilizia e il corrispondente obbligo di presentare, nel piano nazionale di ristrutturazione degli edifici, una panoramica delle capacità nei settori dell’edilizia, dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili. Il CESE chiede di attuare un vero e proprio processo «di comunità» per la formazione e il miglioramento delle competenze delle maestranze del settore edilizio.

4.15.

Il CESE ribadisce la sua richiesta (avanzata nel parere CCMI/166) alla Commissione e agli Stati membri di garantire che nel processo di ristrutturazione degli edifici siano rimosse le sostanze nocive, e insiste soprattutto sulla necessità di una rimozione sicura dell’amianto.

4.16.

Alla luce della crescita accelerata della domanda di infrastrutture di ricarica già constatata oggi, il CESE propone di innalzare il livello dei requisiti, compresa l’installazione anticipata di punti di ricarica intelligenti negli edifici non residenziali, possibilmente prima del 2027.

4.17.

È probabile che la fornitura di informazioni, consulenza e finanziamenti per la ristrutturazione avvenga principalmente a livello locale e regionale. Inoltre, la direttiva EPBD prevede che gli enti locali e regionali saranno i primi a ristrutturare i loro edifici. Il CESE ritiene quindi importante che l’attenzione e lo sforzo a livello europeo e nazionale siano rivolti al coordinamento e al coinvolgimento degli enti locali e regionali, analizzando anche il potenziale di iniziative come il Patto dei sindaci.

4.18.

Per andare oltre la mera rendicontazione e stimolare un’azione sugli impatti climatici prima del 2030, il CESE esorta la Commissione a fissare — con largo anticipo rispetto alla scadenza del 2030 — i valori massimi per le emissioni di CO2 per metro quadrato all’anno, adeguati alle zone climatiche.

4.19.

Il CESE sostiene l’ampliamento della definizione di «energia da fonti rinnovabili» per includere più fonti di energia, in particolare l’energia ambientale sfruttata da dispositivi elettrici come le pompe di calore; tuttavia suggerisce che la biomassa e il biogas siano definiti come parzialmente rinnovabili, poiché solo una parte molto piccola della biomassa utilizzata o del biogas prodotto può essere considerata completamente rinnovabile. Nei casi in cui non siano disponibili alternative, in questa definizione più ampia potrebbe rientrare, per un uso limitato durante un periodo transitorio, anche l’energia liquida da fonti rinnovabili [biocarburanti e carburanti rinnovabili di origine non biologica (renewable fuels of non-biological origin — RFNBO)]. Potrebbe essere introdotto un nuovo allegato alla direttiva in cui si determini l’impatto climatico delle diverse forme di biomassa, della produzione di biogas e dell’energia liquida.

4.20.

Oltre alle emissioni dannose per il clima, e indipendentemente dal vettore energetico, non vanno trascurati gli inquinanti atmosferici classici, quali particolato/polveri sottili, NOx e altre sostanze.

4.21.

Il CESE sottolinea la necessità di valutare attentamente gli effetti pratici dell’utilizzo della definizione scelta di «edificio a emissioni zero» come edificio con un basso fabbisogno energetico e in cui tutta l’energia necessaria deve essere prodotta in loco o nei sistemi di teleriscaldamento o teleraffrescamento collegati. La definizione:

a)

prefigura, in linea di principio, l’edificio come un’«isola» scarsamente collegata al sistema elettrico circostante, in quanto è esplicitamente consentita solo una gamma limitata di fonti energetiche rinnovabili esterne;

b)

non include le emissioni di gas serra causate dall’uso dei materiali da costruzione e le emissioni del cantiere.

4.22.

Il CESE propone di includere l’energia elettrica prodotta esternamente da fonti di energia rinnovabili, ponendola su un piano di parità con la produzione di energia elettrica in loco per gli edifici a emissioni zero. La «clausola d’uscita» nell’allegato III, alla fine del paragrafo I, non fornirà i mezzi generali per passare, a livello nazionale e in modo efficiente in termini di costi, ad edifici efficienti dal punto di vista energetico e a sistemi energetici alimentati con energia rinnovabile. Ampliare il sistema energetico complessivo con grandi unità è molto meno costoso, per unità di energia prodotta, rispetto a creare piccole unità in ciascun edificio. Ciò è particolarmente importante nei periodi in cui la produzione propria dell’edificio non funziona (solare/eolico). Inoltre, la flessibilità in relazione al sistema elettrico abbasserà i costi sia all’interno dell’edificio che nel sistema nel suo complesso.

4.23.

La Commissione propone di porre fine alla concessione di sovvenzioni per gli impianti a combustibili fossili a partire dal 2027. Il CESE ritiene sorprendente tale proposta, poiché questo significa che, con un periodo di ammortamento ragionevole di 15 anni, verranno sovvenzionati impianti che dovranno essere gradualmente eliminati al più tardi entro il 2040. Pertanto, il CESE raccomanda vivamente di anticipare il termine al più tardi al 2025.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/423a4cad-df95-11eb-895a-01aa75ed71a1/language-it


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/120


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, che modifica il regolamento (UE) 2021/1153 e il regolamento (UE) n. 913/2010 e abroga il regolamento (UE) n. 1315/2013

[COM(2021) 812 final — 2021/0420 (COD)]

(2022/C 290/19)

Relatore:

Stefan BACK

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 17.2.2022

Parlamento europeo, 7.3.2022

Base giuridica

Articolo 172 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

25.10.2021

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

10.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

222/1/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta in esame, considerando che l’attuale regolamento TEN-T è stato adottato nel 2013 e che era pertanto giunto il momento di proporre un nuovo quadro aggiornato, adattato al contesto attuale di questa politica e basato sugli insegnamenti tratti dal regolamento in vigore. Ad esempio, il regolamento TEN-T aggiornato costituirà la base infrastrutturale necessaria per un’attuazione efficace degli obiettivi della Commissione inclusi nel Green Deal, nella strategia per una mobilità sostenibile e intelligente e nel piano d’azione per le ferrovie. Per di più, l’attuazione della TEN-T nel quadro attuale non è stata soddisfacente, avendo fatto registrare ritardi significativi, e il CESE accoglie pertanto con favore il rafforzamento delle norme di attuazione.

1.2.

Il CESE considera opportuna la misura volta ad armonizzare progressivamente i requisiti della rete centrale e della rete globale e a fare della loro distinzione una questione di tempistica.

1.3.

Analogamente, il CESE approva l’attenzione rivolta ai corridoi europei come mezzo per promuovere trasporti efficienti e la multimodalità, nonché il forte meccanismo di monitoraggio e il rafforzamento del ruolo dei coordinatori europei.

1.4.

Il CESE accoglie inoltre con favore il valore aggiunto rappresentato dagli effetti sinergici derivanti da un migliore coordinamento dei corridoi europei con i corridoi ferroviari per il trasporto merci.

1.5.

Il CESE apprezza il rilievo che la proposta riconosce alla coesione nell’attuazione della rete, e prende atto che ciò significa garantire l’accessibilità e la connettività di tutte le regioni dell’Unione per il traffico sia dei passeggeri che delle merci, nonché un coordinamento e un’interconnessione efficienti tra, rispettivamente, il traffico a lunga distanza, regionale e locale, e il trasporto nei nodi urbani. Il CESE si compiace pertanto anche del fatto che l’articolo 58 della proposta imponga agli Stati membri di far sì che i piani nazionali in materia di trasporti e di investimenti siano coerenti con la politica dei trasporti dell’Unione.

Collegamenti efficienti per il trasporto ferroviario di merci, con infrastrutture che consentano una velocità adeguata, contribuendo alla puntualità, consentiranno alle ferrovie di svolgere appieno il loro ruolo nella catena del trasporto intermodale, dato che l’insufficiente puntualità delle ferrovie ha fortemente ostacolato l’affermazione della multimodalità, compresa la ferrovia, come opzione attraente.

1.6.

Per quanto riguarda le due funzioni aggiuntive di coordinatore, concernenti lo spazio marittimo europeo e il sistema europeo di gestione del traffico ferroviario (ERTMS), il CESE ritiene che la rapida attuazione dell’ERTMS richiederà anche un notevole sostegno finanziario, tenuto conto dei relativi costi. Il CESE accoglie pertanto con favore la proposta della Commissione di valutare l’esenzione del finanziamento pubblico dell’ERTMS dall’obbligo di notifica ai sensi delle norme sugli aiuti di Stato. Il CESE chiede inoltre che venga eseguito uno studio di fattibilità sull’attuazione dell’ERTMS entro il 2030, tenendo conto anche delle questioni di finanziamento.

Riguardo allo spazio marittimo europeo, il CESE richiama l’attenzione sui ponti marittimi con collegamenti regolari e frequenti a mezzo traghetti, che potrebbero essere assimilabili ad infrastrutture e ammissibili al cofinanziamento come progetti di interesse comune.

1.7.

Il CESE si rammarica del fatto che non sia previsto un calendario fisso per le relazioni degli Stati membri sull’attuazione della rete globale.

1.8.

Il CESE apprezza pienamente il rilievo che viene dato a una consultazione ampia, adeguata e tempestiva con tutte le parti interessate in merito ai progetti previsti, e ricorda il suo parere del 2012 sul potenziale del CESE quale collegamento con la società civile.

1.9.

Il CESE prende atto con soddisfazione delle priorità generali per tutte le reti stabilite all’articolo 12, il quale prevede inoltre l’eliminazione degli ostacoli amministrativi, tecnici e operativi e l’ottimizzazione dell’uso dell’infrastruttura.

1.10.

Il CESE chiede che vengano adottate misure volte a rafforzare l’efficienza in tutti i campi, allo scopo di promuovere la multimodalità, ossia facendo il miglior uso possibile dei vantaggi offerti dai vari modi di trasporto per ottenere i migliori risultati possibili e nel contempo migliorando la sicurezza e riducendo l’onere ambientale. Il CESE richiama in particolare l’attenzione sull’importanza di un’interfaccia tra il trasporto terrestre e altri modi di trasporto che consenta alle vie navigabili interne, al trasporto marittimo a corto raggio e al trasporto aereo di contribuire pienamente alla catena multimodale.

1.11.

Il CESE ritiene che aumentare la resilienza della rete ai cambiamenti climatici, ai rischi naturali e alle catastrofi provocate dall’uomo sia fondamentale per creare una rete che generi valore duraturo per i cittadini e le imprese dell’UE. Gli aspetti relativi alla resilienza dovrebbero essere presi in considerazione prima possibile nella fase di pianificazione di un progetto.

1.12.

Il CESE sottolinea che, in caso di problemi o emergenze di traffico, si dovrebbe preferire la soluzione più sostenibile.

1.13.

Il CESE apprezza l’attenzione rivolta ai sistemi basati sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) e alla loro capacità di facilitare lo sviluppo del trasporto multimodale. Ritiene importante che sia sviluppato in via altamente prioritaria l’ampio potenziale della digitalizzazione per migliorare le prestazioni dei trasporti.

1.14.

Il CESE richiama inoltre l’attenzione sulla possibilità di migliorare, mediante mezzi digitali, la verifica del rispetto delle norme in materia di orario di lavoro e di riposo, specie nel trasporto ferroviario, e chiede che venga messo a punto un sistema di questo tipo.

1.15.

Il CESE si compiace dell’inclusione dei nodi urbani e dei terminali multimodali tra gli elementi specifici della TEN-T, essendo entrambi essenziali per il buon funzionamento dei trasporti. Il CESE osserva che, se i criteri funzionali stabiliti nella proposta sono rispettati, un unico terminale multimodale potrebbe servire più di un nodo urbano.

1.16.

Il CESE osserva che nell’infrastruttura ferroviaria la dotazione di strutture per il personale è molto disomogenea. Ritiene che le infrastrutture per i lavoratori debbano comprendere almeno percorsi sicuri, possibilità di pernottamento, stanze di sosta al passo coi tempi (raffrescamento, riscaldamento, servizi igienici), servizi di pubblica utilità e strutture igienico-sanitarie.

1.17.

Il CESE prende nota dei requisiti relativi alle aree di riposo di cui all’articolo 29, paragrafo 2, lettera b), e suggerisce di introdurre norme minime comuni anche per tali zone.

1.18.

Analogamente, il CESE accoglie con favore la maggiore attenzione rivolta ai collegamenti con i paesi vicini, compresi i paesi partner quali gli Stati membri dello Spazio economico europeo e la Svizzera, nonché con i paesi in via di adesione. Il CESE constata che questo obiettivo è inteso a promuovere l’estensione ai paesi terzi della politica in materia di TEN-T, compresi gli obiettivi di sostenibilità, coesione, efficienza e maggiori benefici per gli utenti.

1.19.

Il CESE accoglie inoltre con favore l’attenzione rivolta alla partecipazione di soggetti di paesi terzi ai progetti TEN-T, in vista dei riflessi sulla sicurezza e l’ordine pubblico, e l’obbligo di notifica che impone agli Stati membri di consentire una valutazione d’impatto anche al di fuori del quadro generale sul controllo degli investimenti esteri diretti nell’UE. Ciò garantisce anche l’interoperabilità e le norme dell’UE.

1.20.

Il CESE considera inoltre accettabile la possibilità di adeguare, attraverso atti delegati, gli elementi infrastrutturali e la configurazione dei corridoi.

1.21.

Il CESE si compiace del fatto che si proponga ora di includere nel regolamento un obbligo di manutenzione dell’infrastruttura TEN-T da parte degli Stati membri. Il CESE avrebbe apprezzato anche in tale contesto un meccanismo di monitoraggio e sanzioni confacenti in caso di manutenzione inadeguata.

1.22.

Il CESE accoglie con favore gli obiettivi relativi alle infrastrutture di trasporto a livello mondiale definiti nella strategia di connettività Global Gateway della Commissione.

2.   Contesto

2.1.

Il 14 dicembre 2021 la Commissione ha presentato una proposta di nuovo regolamento che sostituisce l’attuale regolamento sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti [(UE) n. 1315/2013) (nel seguito «la proposta») COM(2021) 812 — 2021/0420 (COD)], quale azione chiave del Green Deal europeo e della strategia per una mobilità sostenibile e intelligente.

2.2.

La proposta mantiene la struttura della rete centrale e della rete globale della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). Per la rete centrale il termine per l’attuazione rimane il 2030, con il 2040 come ulteriore tappa intermedia per una rete centrale estesa, mentre per la rete globale il termine è fissato al 2050.

2.3.

I quattro obiettivi specifici dell’attuale regolamento TEN-T (efficienza, coesione, sostenibilità e maggiori benefici per gli utenti) sono mantenuti e sviluppati ulteriormente.

2.4.

La proposta mira a risolvere i problemi dei ritardi nella preparazione e nell’attuazione dei progetti, allineando gli interessi, gli obiettivi e le responsabilità nazionali e della rete TEN-T, e rafforzando il monitoraggio, specie per quanto riguarda i corridoi di trasporto europei, le priorità orizzontali ERTMS e lo spazio marittimo europeo, in cui il ruolo del coordinatore europeo è rafforzato e i piani di lavoro acquistano valore giuridico mediante atti di esecuzione.

2.5.

La proposta assicura l’allineamento dei corridoi merci ferroviari con i corridoi europei attraverso modifiche al regolamento (UE) n. 913/2010 e prevede il coordinamento tra i due strumenti.

2.6.

La proposta introduce un obbligo degli Stati membri in materia di manutenzione della rete TEN-T.

2.7.

In caso di ritardi significativi nell’attuazione delle reti, ove tale ritardo non sia obiettivamente giustificato e il problema non venga risolto entro sei mesi, la Commissione può revocare il cofinanziamento dell’UE.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta, considerando che l’attuale regolamento TEN-T è stato adottato nel 2013 e che l’agenda della politica dei trasporti dell’UE è molto cambiata da allora, poiché al Libro bianco sui trasporti del 2011 è succeduta la strategia per una mobilità sostenibile e intelligente del 2020 che, tra l’altro, si concentra sulla sostenibilità, la digitalizzazione e la promozione della ferrovia/multimodalità.

Inoltre, le esperienze di attuazione della rete TEN-T nel quadro dell’attuale regolamento TEN-T non sono state soddisfacenti e hanno fatto registrare ritardi significativi.

È giunto il momento di proporre un quadro, adattato all’attuale contesto strategico, creando un’infrastruttura compatibile con, ad esempio, il Green Deal europeo, la strategia per una mobilità sostenibile e intelligente e il piano d’azione per le ferrovie, sulla base degli insegnamenti tratti dall’attuale regolamento. Il CESE ha sottolineato questa necessità di aggiornamento nella sua relazione di valutazione del 2020 (1).

3.2.

Il CESE approva la misura che prevede di armonizzare sempre più i requisiti dell’infrastruttura della rete centrale e della rete globale e di distinguere sostanzialmente tra le due categorie, stabilendo il termine del 2030 per la realizzazione della rete centrale, il termine del 2040 per la cosiddetta rete centrale estesa e il termine del 2050 per la rete globale. Per quanto riguarda la scadenza del 2030, il CESE mantiene i dubbi circa la fattibilità espressi nella sua relazione di valutazione del 2020, ma ritiene che tale scadenza vada mantenuta per fare pressione sugli Stati membri.

3.3.

Il CESE apprezza inoltre il rilievo che viene dato alla coesione, anche attraverso la connettività e l’accessibilità per tutti in tutta l’UE, sia per i passeggeri che per le merci, e su lunghe e brevi distanze, nonché l’obbligo per gli Stati membri di garantire nelle loro azioni nazionali la coerenza con la politica dei trasporti dell’UE. I criteri minimi per l’infrastruttura ferroviaria miglioreranno le prospettive di multimodalità.

3.4.

Il CESE approva l’attenzione rivolta ai corridoi europei per la promozione del trasporto efficiente e della multimodalità. Sostiene anche il ruolo rafforzato dei coordinatori europei e il forte meccanismo di monitoraggio che assicurerà un’attuazione adeguata e tempestiva.

Il CESE esprime soddisfazione per il coordinamento della configurazione e della gestione dei corridoi ferroviari merci con i corridoi europei, che dovrebbe apportare un notevole valore aggiunto attraverso effetti sinergici.

3.5.

Il CESE osserva che sono nominati dei coordinatori europei anche per lo spazio marittimo europeo e l’ERTMS. Per quanto riguarda l’ERTMS, il CESE sottolinea la necessità di un sostegno finanziario per garantirne la rapida attuazione e accoglie con favore la proposta di esentare il sostegno statale dalla notifica degli aiuti di Stato. Il coordinatore dello spazio marittimo europeo dovrà assicurare l’integrazione dei collegamenti marittimi nella rete transeuropea dei trasporti, nonché la creazione e il miglioramento dei collegamenti marittimi a corto raggio. Il CESE sottolinea in particolare la grande utilità dei compiti volti a garantire un’interfaccia senza soluzione di continuità tra il trasporto marittimo, per vie navigabili interne e terrestre.

3.6.

Lo spazio marittimo europeo sostituisce le autostrade del mare, considerate troppo complesse. Il CESE richiama l’attenzione sui cosiddetti ponti marittimi, ossia dei collegamenti regolari e frequenti di traghetti ro-ro, i cui traghetti svolgono quasi la funzione di ponte. Il CESE si chiede se tali ponti marittimi non dovrebbero essere considerati collegamenti simili a un elemento infrastrutturale ed essere quindi ammissibili al cofinanziamento come progetto di interesse comune.

3.7.

Il CESE si rammarica del fatto che non sia stato stabilito un calendario fisso per la fornitura di informazioni da parte degli Stati membri sullo stato di avanzamento della realizzazione dei progetti al di fuori dei corridoi europei.

3.8.

Il CESE approva comunque il meccanismo di controllo e sanzione previsto in caso di ritardi nella realizzazione dei progetti senza una spiegazione soddisfacente. Il CESE si rammarica del fatto che l’unica sanzione chiaramente definita consista nella revoca del cofinanziamento, e invita la Commissione a presentare proposte, ad esempio, per un’ammenda giornaliera fintantoché il ritardo persista per negligenza.

3.9.

Il CESE sostiene pienamente l’importanza attribuita a un’adeguata consultazione degli interessati, sia degli enti ai diversi livelli che della società civile, e lo scambio di informazioni sulle migliori pratiche in materia che la Commissione dovrà garantire. In tale contesto, il CESE ricorda il suo parere del 2012 Libro bianco sui trasporti: verso l’adesione e l’impegno della società civile e il progetto di orientamenti per la partecipazione dei cittadini e della società civile alle politiche e ai progetti dell’UE in materia di trasporti, discussi in un convegno organizzato dal gruppo di studio permanente del CESE Trasporti a Milano il 24-25 ottobre 2016. Il CESE sottolinea questo punto anche nella sua già citata valutazione del 2020. Il CESE insiste sulla necessità di avviare quanto prima ampie consultazioni, con particolare attenzione per la società civile organizzata e tenendo debitamente conto dei riscontri ricevuti.

3.10.

Il CESE apprezza i prerequisiti aggiuntivi per l’infrastruttura stabiliti al fine di promuovere il raggiungimento dell’obiettivo del Green Deal di ridurre le emissioni di CO2 del 90 % entro il 2050, come pure l’enfasi posta sugli aspetti ambientali, compresi i costi esterni, nella concezione dei progetti.

3.11.

Il CESE prende atto delle priorità generali per tutte le reti di cui all’articolo 12, che prevede l’eliminazione degli ostacoli amministrativi, tecnici e operativi e l’ottimizzazione dell’uso dell’infrastruttura [articolo 12, paragrafo 2, lettere c) e d)], Ciò è inoltre coerente con l’atteggiamento generalmente favorevole all’efficienza delle risorse e all’innovazione espresso all’articolo 43 sui servizi di trasporto merci sostenibili. In tale contesto, il CESE sottolinea l’importanza di una migliore resilienza delle reti alle catastrofi, che dovrebbe essere presa in considerazione già nella fase di pianificazione. Nel risolvere i problemi dovuti alla pressione sulla resilienza della rete andrebbero privilegiate le soluzioni sostenibili.

3.12.

Il CESE ritiene pertanto che l’obiettivo dovrebbe essere una maggiore efficienza in tutti i settori, tenendo presente che una maggiore efficienza in tutti i modi di trasporto contribuirà a migliorare le prestazioni ambientali, come indicato in un recente studio dell’agenzia svedese per la protezione dell’ambiente (2).

3.13.

Il CESE apprezza il fatto che, sia per la rete globale che per la rete centrale, gli Stati membri debbano garantire che l’infrastruttura ferroviaria consenta una lunghezza dei treni di 740 m senza un’autorizzazione speciale e che si debba prendere in considerazione la possibilità di sviluppare l’infrastruttura per treni di lunghezza superiore a 740 m e fino a 1 500 m e 25,0 t di carico per asse, previa analisi socioeconomica dei costi-benefici. Una disposizione relativa ai treni di 740 m su binari privati si applica anche all’infrastruttura di trasporto multimodale.

3.14.

Il CESE chiede che vengano adottate misure volte a rafforzare l’efficienza in tutti i campi, allo scopo di promuovere la multimodalità, ossia facendo il miglior uso possibile dei vantaggi offerti dai vari modi di trasporto per ottenere i migliori risultati possibili e nel contempo migliorando la sicurezza e riducendo l’onere ambientale. Il CESE richiama in particolare l’attenzione sull’importanza di un’interfaccia tra il trasporto terrestre e altri modi di trasporto che consenta alle vie navigabili interne, al trasporto marittimo a corto raggio e al trasporto aereo di contribuire pienamente alla catena multimodale.

3.15.

Considerando la disposizione menzionata nel punto precedente, è anche sorprendente che il tempo massimo di sosta dei treni ai valichi di frontiera previsto per i corridoi europei di trasporto non si applichi a entrambe le reti, centrale e globale.

3.16.

Il CESE prende atto con soddisfazione dell’attenzione rivolta ai sistemi TIC per i trasporti al fine di facilitare, tra l’altro, la gestione dei trasporti e lo scambio di informazioni tra i modi per agevolare lo sviluppo del trasporto multimodale, che è una delle priorità stabilite per sviluppare un trasporto merci sostenibile. Il CESE ritiene che occorra sviluppare quanto prima l’ampio potenziale della digitalizzazione per migliorare l’efficienza, la coerenza e la sostenibilità dei trasporti.

3.17.

Il CESE approva anche l’inclusione dei nodi urbani e dei terminali multimodali come elementi specifici della TEN-T. Entrambi sono fondamentali per il buon funzionamento dei trasporti, i primi perché sono essenziali all’inizio e alla fine del viaggio e i secondi per il loro ruolo chiave nel corretto funzionamento del trasporto multimodale. Il CESE osserva che i criteri proposti per l’ubicazione dei terminali consentono a un unico terminale di servire diversi nodi urbani.

3.18.

Il CESE, in tale contesto, fa riferimento al proprio parere sul trasporto multimodale e la logistica intermodale, nel quale sottolinea l’importanza della digitalizzazione e dei terminali multimodali per sviluppare la multimodalità (3).

3.19.

Il CESE accoglie con favore la maggiore attenzione prestata ai collegamenti con i paesi del vicinato, compresi paesi partner come gli Stati membri del SEE e la Svizzera, nonché con i paesi in via di adesione, in particolare i paesi dei Balcani occidentali, un tema ulteriormente sviluppato nella comunicazione della Commissione sull’estensione della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) ai paesi terzi del vicinato.

3.20.

In tale contesto, il CESE richiama inoltre l’attenzione sull’importanza di attuare la strategia di connettività Global Gateway della Commissione [JOIN(2021) 30] per promuovere gli investimenti a livello mondiale in un trasporto sostenibile, intelligente, resiliente e sicuro in tutti i modi di trasporto e riunire tutti i modi di trasporto in un sistema multimodale.

3.21.

Il CESE accoglie inoltre con favore l’attenzione prestata ai soggetti dei paesi terzi che partecipano ai progetti TEN-T e l’obbligo per gli Stati membri di notificare tale partecipazione alla Commissione, affinché questa possa valutarne l’impatto sulla sicurezza o sull’ordine pubblico nell’Unione in tutti i casi che non rientrano nel regolamento (UE) 2019/452 che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione.

3.22.

Il CESE desidera esprimere il suo apprezzamento per la possibilità di adeguare, attraverso atti delegati, gli elementi infrastrutturali e la configurazione dei corridoi. I flussi di trasporto cambiano, e questa possibilità di adeguamento rende più facile garantire che l’infrastruttura di rete e la configurazione dei corridoi corrispondano alle realtà dei flussi di trasporto.

3.23.

Infine, il CESE desidera esprimere la propria soddisfazione per il fatto che la questione del mantenimento della TEN-T come obbligo per gli Stati membri sia ora inclusa nella proposta, come suggerito dal CESE stesso nella relazione di valutazione di cui sopra.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE prende atto dell’esigenza di mettere a disposizione infrastrutture adeguate affinché il personale possa riposare nelle stazioni ferroviarie.

4.2.

Il CESE, dando seguito all’osservazione generale sulla digitalizzazione, osserva che si potrebbe ricorrere alla digitalizzazione per monitorare il rispetto della legislazione sociale, ad esempio nel settore ferroviario.

4.3.

Per quanto riguarda il trasporto su strada, il CESE ritiene che occorra definire criteri minimi non solo per le zone di parcheggio sicure [articolo 29, paragrafo 2, lettera c)], ma anche per le zone di riposo [articolo 29, paragrafo 2, lettera b)].

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Valutazione degli orientamenti sulla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) per il periodo 2013-2020 — TEN/701.

(2)  Modal shift for an environmental lift (Trasferimento modale per un miglioramento ambientale) — Rapporto 7003, agosto 2021, con una sintesi in inglese.

(3)  GU C 374 del 16.9.2021, pag. 1.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/126


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2010/40/UE sul quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto

[COM(2021) 813 final — 2021/0419 (COD)]

(2022/C 290/20)

Relatore:

Stefan BACK

Consultazioni

Parlamento europeo, 27.1.2022

Consiglio, 28.1.2022

Base giuridica

Articoli 91 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

10.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

225/1/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta della Commissione, che è pienamente in linea con le raccomandazioni formulate dal Comitato stesso in un precedente parere sui sistemi di trasporto intelligenti cooperativi, e ritiene che la proposta apporti un valore aggiunto considerevole sul piano dei miglioramenti, della protezione, della sicurezza e dell’efficienza.

1.2.

Il CESE accoglie inoltre favorevolmente l’ampliamento della portata delle informazioni da fornire e l’obbligo di cooperazione per gli Stati membri. Va in particolare notata la portata più ampia dello scambio di informazioni sul trasporto merci, nonché sulla mobilità cooperativa, connessa e automatizzata, compresa la comunicazione tra veicoli, un ampliamento che migliora notevolmente anche la sicurezza stradale.

1.3.

Il CESE osserva che il miglioramento dell’efficienza riguarderà sia il trasporto di merci che quello di passeggeri, permettendo — ad esempio — di seguire lo stato di avanzamento di una spedizione.

1.4.

Pur apprezzando la necessità di standardizzare lo scambio di informazioni, il CESE sottolinea tuttavia la necessità di lasciare un margine ragionevole per le soluzioni specifiche a livello locale o di azienda, qualora siano debitamente giustificate e proporzionate, tenendo anche conto dei possibili impatti sul mercato interno.

1.5.

Il CESE sottolinea che la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti (Intelligent Transport Systems — ITS) deve avvenire in un contesto sociale da intendere in senso lato, tenendo conto di fattori che vanno ben oltre i semplici aspetti tecnici, altrimenti potrebbero generarsi effetti negativi per quanto concerne gli aspetti legati alla sostenibilità e all’efficienza nell’impiego delle risorse. In tale contesto, il CESE sottolinea l’importanza di dedicare attenzione e risorse in misura sufficiente alle esigenze delle zone rurali, anche per quel che riguarda gli aspetti relativi al servizio pubblico e le alternative sul piano della mobilità (come gli spostamenti a piedi e in bicicletta).

1.6.

Il CESE solleva inoltre la questione della condivisione delle risorse per la mobilità e desidera richiamare l’attenzione sulla possibile necessità, a tale scopo, di un atto delegato sul sostegno ai sistemi di trasporto intelligenti che affronti — ad esempio — la questione delle risorse e capacità disponibili in termini di trasporto, nonché l’aggregazione delle necessità di spostamento, e che definisca le possibilità di abbinamento al fine di ottimizzare l’impiego delle capacità.

1.7.

Con un impiego ottimale delle risorse disponibili, tramite l’aumento del numero di veicoli senza emissioni, verrà migliorata la sostenibilità.

1.8.

Il CESE ritiene che la proposta rappresenti un passo avanti significativo verso uno spazio comune europeo di dati sulla mobilità, il che comporta un valore aggiunto grazie a una maggiore efficienza, nonché la creazione dei presupposti per condizioni di lavoro migliori nel settore dei trasporti, ad esempio facilitando il rispetto della legislazione sull’orario di lavoro e i periodi di riposo, nonché la ricerca di aree di sosta e il loro accesso.

1.9.

Il CESE richiama l’attenzione sull’importanza di rafforzare la fiducia ai fini non solo del corretto funzionamento, ma anche dell’accettazione da parte dei cittadini, di un sistema basato sulla condivisione delle risorse e delle informazioni. Questo significa, tra l’altro, che la protezione della vita privata e dei dati nonché la protezione dei segreti aziendali devono essere di livello soddisfacente. Il CESE attende pertanto con interesse di conoscere il quadro di governance annunciato dalla Commissione nella sua comunicazione su una strategia europea per i dati.

1.10.

Per quanto riguarda i dati di bordo dei veicoli, il CESE sottolinea inoltre la necessità di garantire sia la protezione dei consumatori che una concorrenza leale, come indicato più dettagliatamente al punto 3.18.

1.11.

Il CESE chiede che sia urgentemente adottata una regolamentazione settoriale specifica per quanto riguarda l’accesso ai dati, alle funzioni e alle risorse di bordo dei veicoli. Finora la Commissione non ha presentato alcuna proposta in materia, e tale ritardo è particolarmente pregiudizievole per i consumatori.

1.12.

Il CESE evidenza inoltre la necessità di migliorare l’inclusione delle persone a mobilità ridotta e chiede che i requisiti di accessibilità di cui alla direttiva (UE) 2019/882 siano inclusi nei requisiti dei sistemi di trasporto intelligenti, possibilmente per mezzo di un atto delegato.

1.13.

Infine, il CESE rinnova la sua offerta, avanzata nel suddetto parere sui sistemi di trasporto intelligenti cooperativi, di assistere la Commissione nelle sue attività di attuazione fungendo da tramite con la società civile.

2.   Contesto di riferimento

2.1.

La proposta della Commissione rientra nel quadro dell’attuazione della sua strategia del 2020 per una mobilità sostenibile e intelligente (nel prosieguo, «la strategia») e della trasformazione del sistema europeo dei trasporti. La proposta definisce i settori in cui la digitalizzazione svolge un ruolo fondamentale nel rendere il sistema dei trasporti fluido e più efficiente.

2.2.

I sistemi di trasporto intelligenti (ITS) svolgono un ruolo fondamentale nella creazione di un sistema di mobilità multimodale connesso e automatizzato che migliorerà l’efficienza, la sicurezza e la sostenibilità dei trasporti.

2.3.

In linea con la sua comunicazione su una strategia europea per i dati [COM(2020) 66 final], la Commissione ha presentato la proposta in esame per contribuire al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal e rendere l’Europa pronta per l’era digitale.

2.4.

La direttiva ITS (2010/40/UE) deve essere aggiornata per far fronte alle sfide dello sviluppo tecnico nei sistemi di trasporto intelligenti, in particolare per migliorare la cooperazione tra le parti interessate e la disponibilità dei servizi ITS.

2.5.

La proposta sull’aggiornamento della direttiva ITS fa parte di un pacchetto legislativo incentrato sugli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, di digitalizzazione e di miglioramento della resilienza delle infrastrutture di trasporto. Ad esempio, sia la proposta di revisione del regolamento TEN-T (1) che la comunicazione sul nuovo quadro per la mobilità urbana (2) contengono disposizioni relative alla diffusione di servizi ITS, come la fornitura di informazioni in materia di sicurezza e lo sviluppo della mobilità urbana.

2.6.

La direttiva ITS costituirà un tassello importante nell’attuazione dello spazio comune europeo di dati sulla mobilità, che è uno degli spazi di dati previsti per i settori strategici che rientrano nella strategia europea per i dati.

2.7.

La proposta modifica la direttiva ITS inserendo nell’ambito di applicazione della direttiva anche la disponibilità dei dati e la diffusione dei servizi ITS. I settori prioritari di intervento sono stati rimodulati al fine di corrispondere in misura maggiore ai vari tipi di servizi ITS.

In ciascuno Stato membro è in fase di istituzione un punto di accesso nazionale per lo scambio di dati. Lo scambio e la fornitura di dati stanno diventando obbligatori in vari settori e i dati saranno trasmessi in larga misura anche alle parti interessate.

Gli Stati membri devono inoltre collaborare, ove necessario, con i pertinenti soggetti interessati in merito agli aspetti operativi dell’attuazione.

Una nuova sezione dell’allegato I riguardante i settori prioritari contiene disposizioni sulla funzione dei dati nella localizzazione e nel tracciamento delle merci, nonché una nuova sezione sui servizi per la mobilità cooperativa, connessa e automatizzata.

Vi sono anche disposizioni in materia di protezione e integrità dei dati.

Un punto importante è che alla Commissione viene conferito il potere di adottare atti delegati per aggiornare talune prescrizioni in materia di informazione.

Gli Stati membri devono riferire periodicamente alla Commissione sull’attuazione della direttiva.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, che è pienamente in linea con gli sviluppi raccomandati dal Comitato stesso nel parere sui sistemi di trasporto intelligenti cooperativi (3). Secondo il CESE, l’aggiornamento del sistema ITS proposto dalla Commissione nella comunicazione in esame apporta un valore aggiunto considerevole sul piano del miglioramento sia della protezione che della sicurezza, oltre che dell’efficienza, non solo in relazione a flussi di traffico migliori e più sicuri, ma anche a sostegno di una logistica efficiente.

3.2.

Il CESE accoglie quindi favorevolmente anche l’ampliamento della portata delle informazioni da fornire e l’obbligo imposto agli Stati membri di cooperare. Apprezza in particolare l’ampliamento dell’ambito di applicazione delle disposizioni sullo scambio di informazioni relative al trasporto merci e l’estensione delle informazioni trattate al fine di comprendere la mobilità cooperativa, connessa e automatizzata.

3.3.

Il Comitato parte dal presupposto che il sistema d’informazione proposto includa anche la comunicazione tra veicoli, come già richiesto nel suo parere sulla strategia europea per i sistemi di trasporto intelligenti cooperativi. Il CESE ricorda che la comunicazione tra veicoli apporta un contributo importante nel prevenire gli incidenti stradali.

3.4.

Il CESE parte dal presupposto che il sistema aggiornato di scambio delle informazioni proposto nel documento in esame apporterà un valore aggiunto in termini di maggiore efficienza nel trasporto sia di passeggeri che di merci e che, ad esempio, per le parti interessate sarà ora facile seguire lo stato di avanzamento di una spedizione, dal momento che le informazioni pertinenti saranno ora trasmesse anche ai pertinenti soggetti interessati.

3.5.

Il Comitato rileva che le informazioni da scambiare in questa fase sono ampiamente standardizzate, e ribadisce pertanto la sua posizione secondo cui è importante lasciare un margine di manovra ragionevole per le soluzioni specifiche a livello locale o di azienda, qualora ciò sia debitamente giustificato e proporzionato, tenendo anche conto dei possibili impatti sul mercato interno. Il CESE presume che questo non costituisca un problema, a condizione che le informazioni trasmesse nel sistema proposto siano conformi alle norme stabilite.

3.6.

Il CESE osserva che la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti (ITS), che deve avvenire in un contesto sociale da intendere in senso lato, non porta automaticamente a un sistema di trasporto rispettoso del clima. Di per sé, la digitalizzazione dei modi di trasporto (ad esempio, la mobilità automatizzata in automobile) può persino essere controproducente sul piano della politica ambientale. I sistemi di trasporto intelligenti dovrebbero essere sviluppati, promossi e utilizzati in modo da apportare un valore aggiunto rispettoso del clima.

3.7.

Per una mobilità sostenibile è essenziale un sistema di trasporti pubblici efficiente, nel quadro di servizi di interesse (economico) generale, che sia integrato da spostamenti in bicicletta e a piedi. Il CESE raccomanda la promozione di sistemi di trasporto intelligenti al fine di rafforzare e integrare i trasporti pubblici.

3.8.

Il CESE mette in evidenza che una concezione puramente tecnologica dello sviluppo dei sistemi di trasporto intelligenti potrebbe avere per risultato un mancato contributo al conseguimento degli obiettivi e dei risultati auspicati (a titolo di esempio, si ricorda il contributo dei sistemi per l’utilizzo in comune dell’automobile — il cosiddetto car sharing — negli agglomerati urbani che già dispongono di sistemi di trasporto pubblico ben sviluppati). Anche la guida automatizzata delle automobili potrebbe non essere una soluzione avveduta per le città, soprattutto nei casi di congestione del traffico e di scarsità di parcheggi pubblici. Il CESE è pertanto dell’avviso che le principali innovazioni in materia di mobilità — quali l’elettrificazione, l’automazione e l’utilizzo in comune dei veicoli — apportino il massimo valore aggiunto se sono concepite e progettate tenendo nel debito conto le esigenze della società, ad esempio in rapporto agli aspetti legati all’accessibilità, all’efficienza e al servizio pubblico.

3.9.

Dalle consultazioni dei soggetti interessati sono emerse numerose preoccupazioni in merito alla diffusione in una prospettiva territoriale. Il CESE si rammarica che la proposta non menzioni lo sviluppo di sistemi di trasporto intelligenti tesi a soddisfare le esigenze delle zone rurali come questione distinta rispetto al loro sviluppo nelle aree urbane. Il CESE raccomanda alla Commissione di prestare un’attenzione particolare all’estensione dei sistemi ITS alle zone rurali, in quanto la vita in tali zone dipende in larga misura dalla disponibilità di infrastrutture e servizi pubblici di qualità. In un’altra comunicazione, dal titolo «Una visione a lungo termine per le zone rurali dell’UE» (4), la Commissione afferma inoltre che in queste zone i servizi essenziali e le relative infrastrutture sono fondamentali per assicurare l’inclusione sociale ed economica. La capacità delle zone di rurali di beneficiare delle soluzioni fornite dai sistemi di trasporto intelligenti dovrebbe quindi diventare una preoccupazione a livello dell’UE.

3.10.

Ciò può rivestire particolare interesse sul piano dell’uso efficiente delle capacità di trasporto nelle zone rurali. I danni causati dai trasporti sono osservabili non solo nelle emissioni, ma anche nell’utilizzo delle risorse di trasporto. Il Comitato raccomanda alla Commissione di prendere in considerazione, ove opportuno, l’adozione di atti delegati per affrontare la questione della condivisione delle risorse che i sistemi di trasporto intelligenti presuppongono. Si dovrebbe quindi tenere conto dell’aggregazione intelligente, mediante strumenti digitali, delle necessità di spostamento e della condivisione della capacità inutilizzata (il cosiddetto ride pooling/car pooling), un’aggregazione che sarebbe particolarmente necessaria nelle zone rurali, dove la capacità di trasporto disponibile è sempre più limitata e dove sta diventando sempre più difficile sviluppare nuova capacità a causa delle distanze. Tali sistemi intelligenti dovrebbero permettere di condividere le informazioni sull’uso dei veicoli e di far affluire passeggeri o merci supplementari nel sistema esistente.

3.11.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la proposta non contribuirà soltanto al diffondersi dei veicoli a emissioni zero, ma anche a rendere i trasporti più sostenibili attraverso servizi di mobilità condivisa, con il risultato di un azzeramento delle emissioni nette entro il 2050. Rendendo il traffico più fluido e riducendo gli ingorghi stradali, l’UE si adopera per raggiungere i propri obiettivi ambientali in vari modi.

3.12.

Il CESE apprezza che il rafforzamento del sistema ITS ora proposto dalla Commissione possa essere considerato un primo passo verso uno spazio comune europeo di dati sulla mobilità, che apporterebbe un valore aggiunto considerevole in termini di miglioramento dell’efficienza.

3.13.

È evidente che la creazione di tale spazio faciliterebbe la prestazione di una mobilità come servizio (Mobility as a Service — MaaS) sia per i passeggeri che per le merci, e potrebbe migliorare le condizioni di lavoro nel settore dei trasporti.

3.14.

Il CESE accoglie con favore i sistemi di trasporto intelligenti per quel che concerne le aree di sosta sicure per i conducenti professionisti nella rete autostradale transeuropea. Le applicazioni telematiche per le aree di sosta sicure possono facilitare il rispetto dell’orario di lavoro e dei periodi di riposo stabiliti per legge. Il CESE sottolinea tuttavia che il problema di fondo — sia per le imprese che per i conducenti professionisti — risiede nell’inadeguatezza delle infrastrutture esistenti nelle aree di sosta lungo le autostrade, una situazione che spinge i conducenti a rimanere la notte nelle aree di parcheggio più di quanto consentito. Lo sviluppo delle infrastrutture deve andare di pari passo con i servizi basati sui sistemi di trasporto intelligenti (ad esempio, parcheggi riservati).

3.15.

In tale contesto, il CESE desidera nuovamente sottolineare che è importante rafforzare la fiducia e che nessun obbligo di fornire informazioni dovrebbe ledere la riservatezza di dati aziendali o la protezione dei dati personali e della vita privata.

3.16.

Per quanto riguarda il diritto della Commissione di adottare atti delegati per aggiornare specifici obblighi di informazione, il CESE rileva la necessità di assicurare condizioni di parità e la fiducia reciproca tra tutti i soggetti coinvolti nella «condivisione dei dati». Il CESE appoggia l’ampliamento dell’ambito di applicazione della direttiva ITS e ne riconosce il valore aggiunto. Il CESE prende inoltre atto sia dell’esistenza di problemi, sul piano della fiducia, per quanto concerne la condivisione dei dati, che della necessità di istituire un quadro di governance degli spazi europei di dati, in particolare in settori strategici come quello della mobilità, come indicato nella comunicazione della Commissione su una strategia europea per i dati (5).

3.17.

Anche in questo caso il CESE desidera sottolineare quanto sia importante che le informazioni contenute nel sistema siano utilizzate soltanto per finalità collegate agli ITS e non per altri scopi. Il CESE ribadisce l’importanza di un’effettiva protezione della vita privata e dei dati personali nel quadro della diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti. Il regolamento generale sulla protezione dei dati non fornisce tuttavia una protezione sufficiente nel caso in cui, per rendere anonimi i dati, si utilizzano tecnologie (ad esempio, modelli di mobilità tratti dai dati dei veicoli, dal riconoscimento facciale ecc.) che consentono di trarre conclusioni sulle persone o, addirittura, di discriminarle per mezzo di algoritmi. In rapporto all’uso dei dati personali sul luogo di lavoro, i lavoratori, i loro rappresentanti e i sindacati devono avere voce in capitolo e anche la possibilità di opporsi. Il CESE sottolinea che l’articolo 10 della proposta (sulle norme in materia di protezione dei dati e tutela della vita privata) deve evitare questo rischio potenziale. Questo aspetto è particolarmente importante per rafforzare la fiducia nel sistema e l’accettazione da parte della società in generale.

3.18.

Il CESE osserva che i consumatori devono mantenere il controllo sui dati che vengono condivisi, e cioè sui dati personali forniti al momento di prenotare servizi o biglietti, nonché sui dati che i loro autoveicoli trasmettono ai fornitori di servizi o alle infrastrutture. In ogni caso, i consumatori devono rappresentare il fulcro della questione e vedersi assicurare la protezione dei loro dati, nel pieno rispetto del regolamento generale sulla protezione dei dati.

3.19.

L’accesso ai dati di bordo dei veicoli dev’essere infine regolamentato per favorire la protezione dei dati e dei consumatori, oltre che la concorrenza leale. Lasciare i dati di bordo a disposizione dei costruttori di autoveicoli significa generare monopoli e posizioni dominanti sul mercato, e anche esporsi al rischio di abusi. La Commissione è stata da tempo invitata a presentare una proposta normativa e, al riguardo, ha fornito riscontri positivi, ad esempio nella suddetta strategia europea per i dati, ma finora non ha intrapreso alcuna iniziativa concreta volta a presentare una proposta siffatta. Tale ritardo è particolarmente pregiudizievole per gli interessi dei consumatori, oltre che per le loro possibilità di controllare i dati e di compiere scelte alternative con cognizione di causa.

3.20.

La digitalizzazione può ridurre la mancanza di inclusione che colpisce le persone a mobilità ridotta nella loro vita quotidiana. In quest’ottica, i requisiti di accessibilità esplicitamente stabiliti ai sensi della direttiva (UE) 2019/882 dovrebbero essere sanciti di proposito nella direttiva in esame per tutti i settori ITS. È insufficiente menzionare questo argomento soltanto in un considerando che tratta della possibilità di sviluppare caratteristiche di accessibilità, a favore delle persone a mobilità ridotta, nei servizi digitali multimodali.

3.21.

Il Comitato accoglie favorevolmente la disponibilità di dati su strade e autostrade (divieti di circolazione, limiti di velocità, dati in tempo reale su interruzioni del traffico veicolare, lavori stradali ecc.) e lo scambio di tali dati, così come previsto all’allegato III. In tale contesto, il CESE desidera incoraggiare lo sviluppo di sistemi intelligenti di gestione del traffico che consentano di uniformare, in termini di tempo, i flussi di traffico del trasporto veicolare sulle autostrade, garantendo in tal modo la sicurezza e la fluidità del traffico.

3.22.

A questo proposito, il CESE osserva che la Commissione, nel suo lavoro di aggiornamento dell’elenco delle informazioni obbligatorie, intende chiedere il contributo del gruppo consultivo europeo sugli ITS. In tale contesto, il CESE rinnova la propria offerta, avanzata nel parere citato sopra sui sistemi di trasporto intelligenti cooperativi, di assistere la Commissione fungendo da tramite con la società civile.

Bruxelles, 23 marzo 2022.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Regolamento (UE) n. 1315/2013.

(2)  COM(2021) 1811 final.

(3)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 85 e COM(2016) 766.

(4)  «Una visione a lungo termine per le zone rurali dell’UE: verso zone rurali più forti, connesse, resilienti e prospere entro il 2040» [COM(2021) 345 final].

(5)  COM(2020) 66 final.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/131


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia dell’UE per il suolo per il 2030 — Suoli sani a vantaggio delle persone, degli alimenti, della natura e del clima

[COM(2021) 699 final]

(2022/C 290/21)

Relatore:

Arnaud SCHWARTZ

Consultazione

Commissione europea, 20.12.2021

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale ed ambiente

Adozione in sezione

8.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

169/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione della Commissione europea sul tema «Strategia per il suolo per il 2030», e auspica di essere regolarmente informato e di poter attivamente contribuire all’elaborazione della proposta per la protezione del suolo.

1.2.

Il suolo è un bene economico ed ambientale che, pur essendo strategico, è in pericolo, e merita quindi la definizione di un quadro di riferimento contenente obiettivi, programmi e regolamenti. Il Comitato esorta la Commissione a promuovere un quadro giuridico europeo efficace per la prevenzione del degrado del suolo, il sostegno ai programmi di ripristino e la definizione di una tabella di marcia per uno stato del suolo adeguato. Il Comitato invita altresì ad assegnare le necessarie risorse del bilancio dell’UE per l’attuazione della strategia per il suolo.

1.3.

Ai fini dell’attuazione della strategia, la Commissione prevede l’adozione di una normativa sulla salute del suolo. Il CESE raccomanda tuttavia che prima venga realizzata la valutazione d’impatto prevista e poi si decida in merito agli strumenti più appropriati. Il Comitato raccomanda altresì che il futuro quadro di riferimento sia basato sui seguenti principi, in modo da assicurare parità di condizioni per tutti i portatori di interessi che operano nei settori economici legati al suolo e al suo utilizzo:

fornire una definizione chiara di «suoli sani», degli indicatori pertinenti e dei valori limite, da elaborare su basi scientificamente valide;

stabilire obiettivi chiari per il 2030 sulla base della definizione di «suoli sani»;

garantire la protezione dell’ambiente e l’azione per il clima a un livello adeguato;

rispettare pienamente il principio di sussidiarietà, tenuto conto dell’eterogeneità dei suoli, della varietà in termini di usi e richieste di utilizzo, delle diverse condizioni geologiche, climatiche e paesaggistiche, nonché delle differenze sul piano dei possibili rischi e delle regole nazionali già vigenti;

dare la priorità alle misure in materia di istruzione, consulenza, trasferimento di conoscenze e incentivi per la protezione del suolo, rispetto ad obblighi giuridici supplementari;

mantenere gli oneri amministrativi per tutti gli attori a un livello ragionevole, garantendo al contempo costi contenuti.

1.4.

Il Comitato raccomanda di avviare una discussione quanto più possibile ampia sui contenuti dell’iniziativa legislativa con i soggetti economici e sociali nonché con le organizzazioni della società civile. Per tale ragione, il Comitato invita la Commissione a presentare quanto prima una proposta, in modo da lasciare tempo per la discussione prima della votazione del testo entro l’attuale legislatura.

1.5.

Il Comitato sottolinea la necessità di affrontare tutti gli aspetti del degrado del suolo, rivolgendo particolare attenzione alle questioni riguardanti la contaminazione dei suoli, il consumo del suolo nello sviluppo urbanistico e infrastrutturale, nonché l’esaurimento delle sostanze organiche nei suoli agricoli, poiché tali fenomeni hanno un impatto particolarmente profondo e potenzialmente irreversibile sulla salute del suolo e sulla sua capacità di fornire servizi ecosistemici.

1.6.

L’Europa presenta una grande diversità in termini di suoli, a testimonianza delle differenze non solo sul piano climatico e geologico ma anche nell’utilizzo del suolo; i pericoli a cui i suoli sono esposti differiscono anche per tipologia e intensità, pertanto le politiche elaborate per prevenire il degrado del suolo richiedono un adattamento ai diversi contesti geografici e culturali. La legislazione sulla protezione del suolo vigente negli Stati membri è eterogenea e frammentata, e molti rischi per il suolo non sono presi in considerazione nei quadri politici e legislativi di riferimento di vari Stati membri.

1.7.

Il Comitato sottolinea inoltre la necessità cruciale e urgente di affrontare gli impatti di origine umana sul suolo che sono dovuti ai cambiamenti climatici. Il Comitato raccomanda pertanto con forza di integrare nella nuova strategia dell’UE per il suolo le azioni volte a contrastare i processi di erosione e desertificazione derivanti da inondazioni, siccità e incendi di portata estrema.

1.8.

Il Comitato esprime profonda preoccupazione per il consumo del suolo riconducibile a processi di urbanizzazione che, nella stragrande maggioranza dei casi, riguardano terreni fertili che si trovano in aree pianeggianti o costiere. L’obiettivo di un «consumo netto di suolo pari a zero», da perseguire entro il 2050, deve essere accompagnato da incentivi per incoraggiare il recupero dei siti dismessi e il risanamento delle aree impermeabilizzate inutilizzate.

1.9.

Il Comitato è dell’avviso che, in linea con la sfida di un’economia circolare ed efficiente nell’impiego delle risorse, la salvaguardia della produttività ecologica dei suoli europei costituisca una priorità, nell’ottica di ridurre l’impronta della domanda dell’UE nei confronti dei paesi terzi. Il CESE ritiene assolutamente prioritario completare le iniziative a garanzia di una deforestazione zero negli scambi commerciali.

2.   Contesto

2.1.

Il 20 maggio 2020 la Commissione ha presentato una proposta di strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030. Tale comunicazione evidenzia che «il suolo è una risorsa non rinnovabile estremamente importante, vitale per la nostra salute e quella dell’economia, così come per la produzione di alimenti e nuovi farmaci» (1) e sottolinea la necessità di affrontare il consumo del suolo e il ripristino degli ecosistemi dei suoli. Annuncia inoltre l’impegno della Commissione di aggiornare la strategia tematica per il suolo nel 2021 e di avviare una missione concernente la salute del suolo e dell’alimentazione nel quadro di Orizzonte Europa, al fine di elaborare soluzioni per il ripristino della salute e delle funzioni del suolo.

2.2.

Il 28 aprile 2021 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla protezione del suolo, in cui si ribadiva l’esigenza di salvaguardare, gestire in modo sostenibile e ripristinare i suoli in Europa, di preservare il loro ruolo multifunzionale e la capacità di sostenere la produzione di alimenti sani e materie prime e di offrire alla società una moltitudine di servizi ecosistemici. La risoluzione evidenzia che suoli sani sono essenziali per conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo, ivi compresi la neutralità climatica e il ripristino della biodiversità. Lamenta altresì la mancanza di parità di condizioni tra gli Stati membri in relazione ai loro diversi regimi di protezione dei suoli e invita la Commissione «a elaborare un quadro giuridico comune a livello dell’UE, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, per la protezione e l’uso sostenibile del suolo».

2.3.

Il 9 giugno 2021 il Parlamento europeo ha accolto con favore la strategia europea sulla biodiversità per il 2030 che era stata proposta, adottando una risoluzione nella quale, tra le quasi 200 raccomandazioni, si evidenzia in particolare il ruolo centrale della biodiversità del suolo. Il Parlamento europeo esorta nuovamente la Commissione a presentare una proposta per la creazione di un quadro giuridico comune per la protezione del suolo e «per l’integrazione effettiva di tale tutela in tutte le politiche dell’UE pertinenti». Nella sua risoluzione, il Parlamento europeo sottolinea altresì che «l’UE si è impegnata a conseguire la neutralità in termini di degrado del suolo entro il 2030, ma […] è improbabile che tale obiettivo venga raggiunto», come concluso in una relazione speciale della Corte dei conti europea (2).

2.4.

Il 17 novembre 2021 la Commissione ha pubblicato, nel quadro della strategia dell’UE per la biodiversità, la propria proposta per una strategia europea per il suolo dal sottotitolo «Suoli sani a vantaggio delle persone, degli alimenti, della natura e del clima».

2.5.

La proposta della Commissione migliora la precedente strategia per il suolo, in linea con la missione strategica del Green Deal europeo, per affrontare la crisi climatica e della biodiversità e sostenere l’ambizione dell’UE in relazione a un’azione globale per il suolo.

2.6.

La strategia intende fornire un contributo determinante per il conseguimento di numerosi obiettivi del Green Deal, tra cui: combattere la desertificazione, ripristinare le terre e i suoli degradati e battersi per ottenere un mondo privo di degrado del suolo entro il 2030 [obiettivo per lo sviluppo sostenibile (OSS) 15.3], contribuire all’assorbimento dei gas a effetto serra, ottenere buone condizioni ecologiche e chimiche nelle acque di superficie e nelle acque sotterranee entro il 2027, ridurre la perdita di nutrienti del 50 % e l’uso generale e il rischio derivante dai pesticidi del 50 % entro il 2030, ridurre l’inquinamento del suolo a livelli non più considerati nocivi per la salute umana e per gli ecosistemi naturali, così da creare un ambiente privo di sostanze tossiche entro il 2050 e raggiungere un consumo netto di suolo pari a zero entro il 2050 (3).

2.7.

La strategia stabilisce che per «suolo sano» deve intendersi un suolo in buone condizioni chimiche, biologiche e fisiche e, pertanto, in grado di fornire continuamente il massimo possibile di servizi ecosistemici, quali la produzione di alimenti e biomassa, la raccolta e il filtraggio dell’acqua, il mantenimento dei cicli dei nutrienti minerali, la base per la vita e la biodiversità, lo stoccaggio del carbonio e il sostegno alle attività umane, ai paesaggi e al patrimonio culturale. Tale definizione è coerente con quella formulata dalle organizzazioni delle Nazioni Unite (4). Secondo la prospettiva delineata nella strategia, entro il 2050 bisogna raggiungere un buono stato di salute del suolo attraverso l’impegno a favore di un uso sostenibile dei terreni e il ripristino dei suoli: la Commissione europea ha stimato che, attualmente, una percentuale compresa tra il 60 % e il 70 % dei suoli dell’UE ha uno stato di salute non buono che è direttamente causato dalle attuali pratiche di gestione (5), e ha altresì rilevato notevoli differenze tra vari paesi; tuttavia, l’obiettivo di avere il 75 % dei suoli in buona salute entro il 2030 attraverso un cambiamento radicale delle attuali pratiche di gestione dei terreni è non solo fattibile ma anche necessario (6).

2.8.

La strategia mira a garantire un livello di protezione dei suoli analogo a quello per le acque e l’aria, superando le lacune normative in materia a livello dell’UE. Annuncia pertanto l’elaborazione di una normativa sulla salute del suolo entro il 2023, che dia seguito a una valutazione d’impatto, all’analisi della sussidiarietà e alla consultazione dei portatori di interessi e degli Stati membri. La nuova normativa sulla salute del suolo dovrebbe affrontare gli impatti transfrontalieri del degrado del suolo e garantire la coerenza delle politiche a livello nazionale e dell’UE, al fine di perseguire gli obiettivi della strategia.

2.9.

Quest’ultima include una combinazione di nuovi provvedimenti volontari e giuridicamente vincolanti, da sviluppare nel pieno rispetto della sussidiarietà e partendo dalle politiche nazionali esistenti in materia di tutela dei suoli intese a:

rafforzare la protezione dei suoli organici e delle torbiere;

sostenere l’iniziativa della Commissione relativa a cicli sostenibili del carbonio, anche attraverso premi per le pratiche di sequestro del carbonio nei suoli agricoli;

sostenere il riutilizzo della terra da scavo, anche introducendo un «passaporto» per garantire che sia trasportata, trattata e riutilizzata in modo sicuro;

chiedere agli Stati membri di stabilire, entro il 2023, obiettivi nazionali per la riduzione del consumo di suolo per nuovi insediamenti e infrastrutture, in linea con l’obiettivo «consumo netto di suolo pari a zero» entro il 2050, e di introdurre una gerarchia per l’uso migliore dei suoli urbani, dando priorità al riutilizzo degli ambienti edificati e alla graduale abolizione degli incentivi finanziari per la conversione urbana dei terreni agricoli;

promuovere il riciclaggio della sostanza organica come il compost, il digestato, i fanghi di depurazione, il letame trasformato e altri residui agricoli, in modo sicuro e sostenibile;

valutare, proteggere e ripristinare la biodiversità dei suoli;

integrare e coordinare la gestione dei suoli e delle acque e promuovere l’adozione di soluzioni naturali per la gestione delle acque di superficie e piovane;

promuovere la gestione sostenibile dei suoli in agricoltura;

monitorare le tendenze alla desertificazione e adottare misure volte ad attenuare e prevenire il degrado del suolo;

prevenire l’inquinamento del suolo regolamentando e limitando l’uso e il rilascio delle microplastiche, delle sostanze polifluoroalchiliche (PFAS) e di altre sostanze chimiche tossiche nel suolo;

cooperare con gli Stati membri per identificare i siti contaminati e bonificarli;

valutare la fattibilità dell’introduzione di un certificato di salute del suolo per le compravendite di terreni;

migliorare le attività di monitoraggio dei suoli e l’adozione di strumenti digitali per la gestione dei nutrienti;

fornire finanziamenti consistenti all’attività di ricerca sulla biodiversità dei suoli e a soluzioni per il degrado e la contaminazione dei suoli;

attuare iniziative di comunicazione, educazione e mobilitazione dei cittadini al fine di promuovere la salute del suolo.

2.10.

Nel parere NAT/713 del 2017, dal titolo Utilizzo del suolo per una produzione alimentare e servizi ecosistemici sostenibili, il CESE riconosce l’importanza fondamentale di un quadro di riferimento dell’UE aggiornato per l’utilizzo sostenibile e la protezione dei suoli — e in particolare di quelli agricoli — che includa una definizione di buono stato del suolo e stabilisca una terminologia unitaria e criteri comuni per il controllo. Il parere invita inoltre a integrare i principi di una gestione sostenibile del suolo nelle misure politiche dell’UE.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione riguardante la strategia per il suolo per il 2030, fortemente radicata nel quadro del Green Deal, e si compiace del proposito di trasformare i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, dalla perdita di biodiversità e dal degrado ambientale in un’opportunità per trasformare l’UE in un’economia moderna, efficiente nell’impiego delle risorse e competitiva.

3.2.

Il Comitato riconosce il ruolo strategico svolto da suoli sani che, nella loro interezza e diversità, costituiscono una delle più importanti ricchezze naturali su cui i cittadini possono contare per il proprio benessere e la propria sicurezza.

3.3.

Il Comitato è consapevole che il suolo costituisce una risorsa unica e limitata, messa in pericolo da una serie di fattori. Il degrado dei suoli e la conseguente perdita di fertilità possono concorrere all’impronta dell’Europa sui suoli di tutto il pianeta, con l’effetto di aumentare la dipendenza dalle importazioni di alimenti e materie prime non alimentari provenienti da paesi terzi nei quali la crescita delle coltivazioni con metodi non appropriati causa il degrado dei suoli, in combinazione con la deforestazione e con l’emissione di gas a effetto serra.

3.4.

Il Comitato sottolinea l’obbligo e il bisogno assoluti di completare le iniziative a garanzia di una deforestazione zero negli scambi commerciali con i paesi terzi, un obiettivo che considera prioritario, in linea con la sfida di creare un’economia circolare ed efficiente nell’impiego delle risorse, al fine di ridurre l’impatto della domanda interna salvaguardando e ripristinando la produttività ecologica a lungo termine dei suoli europei. Un utilizzo più sostenibile del suolo, basato sui princìpi dell’agroecologia, può fare una notevole differenza, a livello sia europeo che globale, per il conseguimento degli obiettivi del Green Deal europeo e gli OSS dell’agenda delle Nazioni Unite per il 2030.

3.5.

È necessario superare una nozione riduttiva del suolo in quanto semplice piattaforma per gli insediamenti e le attività: poiché il suolo rappresenta un sistema biotico complesso da cui dipende la fornitura di servizi ecosistemici e di beni essenziali, la sua gestione richiede una governance adeguata, che combini la gestione da parte dei proprietari e degli utilizzatori dei terreni, la responsabilità degli amministratori locali e il ruolo dei governi nazionali. L’Europa è chiamata a svolgere un ruolo guida, poiché le sfide legate alla sicurezza alimentare, alla raccolta dell’acqua, alla conservazione della biodiversità e alla risposta ai cambiamenti climatici sono strettamente correlate a una gestione adeguata dei suoli.

3.6.

Il Comitato sottolinea la necessità che la strategia per il suolo utilizzi metodi e strumenti equi, nel rispetto del principio di sussidiarietà, per la gestione sostenibile dei suoli: ogni livello di ente territoriale competente in materia fondiaria deve vedersi assegnati compiti e responsabilità appropriati, e deve ricevere risorse adeguate al momento della ripartizione dei fondi; occorre prestare particolare attenzione al sostegno per le piccole comunità rurali. Il Comitato insiste inoltre sulla necessità di un maggiore coinvolgimento dei cittadini, delle organizzazioni della società civile, dei sindacati e delle imprese attraverso la condivisione delle responsabilità e delle risorse per il conseguimento dell’obiettivo di contrastare il degrado dei suoli.

3.7.

Ai fini dell’attuazione della strategia, la Commissione europea prevede l’adozione di una normativa sulla salute del suolo. Il CESE raccomanda tuttavia che prima venga realizzata la valutazione d’impatto prevista e poi si decida in merito agli strumenti più appropriati. Il Comitato raccomanda altresì che il futuro quadro di riferimento sia basato sui seguenti principi, in modo da assicurare parità di condizioni per tutti i portatori di interessi che operano nei settori economici legati al suolo e al suo utilizzo:

fornire una definizione chiara di «suoli sani», degli indicatori pertinenti e dei valori limite, da elaborare su basi scientificamente valide;

stabilire obiettivi chiari per il 2030 sulla base della definizione di «suoli sani»;

garantire la protezione dell’ambiente e l’azione per il clima a un livello adeguato;

rispettare pienamente il principio di sussidiarietà, tenuto conto dell’eterogeneità dei suoli, della varietà in termini di usi e richieste di utilizzo, delle diverse condizioni geologiche, climatiche e paesaggistiche, nonché delle differenze sul piano dei possibili rischi e delle regole nazionali già vigenti;

dare la priorità alle misure in materia di istruzione, consulenza, trasferimento di conoscenze e incentivi per la protezione del suolo, rispetto ad obblighi giuridici supplementari;

mantenere gli oneri amministrativi per tutti gli attori a un livello ragionevole, garantendo al contempo costi contenuti.

3.8.

La nuova proposta per la protezione del suolo deve creare sinergie con la normativa in materia di clima, acque, aria e biodiversità, nonché con la politica agricola comune. Il Comitato invita la Commissione ad anticipare la presentazione del quadro di riferimento onde consentire una più ampia discussione dei contenuti con i diversi portatori di interessi, prima che sia presentato per l’approvazione definitiva nel corso della presente legislatura.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Tra le diverse forme di degrado del suolo, una delle più gravi e difficili da correggere è certamente il consumo del suolo associato ai processi di urbanizzazione: nel periodo 2012-18, il consumo del suolo nell’UE-28 è stato pari a 539 km2/anno, con il 78 % del consumo del suolo avvenuto a discapito delle zone agricole e soltanto il 13 % dello sviluppo urbano avvenuto su suoli riciclati (7). Secondo il Comitato, l’obiettivo di un «consumo netto di suolo pari a zero» entro il 2050 deve essere accompagnato da obiettivi intermedi e realistici più ravvicinati, sostenuti da incentivi volti a incoraggiare il recupero dei siti dismessi e il risanamento delle aree impermeabilizzate inutilizzate. Gli obiettivi di riduzione del consumo di suolo legato allo sviluppo urbano e infrastrutturale possono e dovrebbero tenere conto dei differenti andamenti demografici negli Stati membri e nelle loro regioni. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata alla protezione e al ripristino del territorio costiero, in particolare le coste del Mediterraneo, oggetto di un estensivo processo di urbanizzazione che ha provocato danni significativi per la biodiversità costiera e il turismo.

4.2.

I suoli intatti degli ecosistemi naturali sono una fonte essenziale di biodiversità e un serbatoio naturale di carbonio, le cui condizioni devono essere preservate. Per tale ragione, il Comitato ritiene che la strategia per il suolo debba dare la priorità alla protezione di tali suoli e della vegetazione ivi presente, mantenendone l’integrità e sostenendo la loro gestione attraverso appropriate attività di allevamento o coltivazione.

4.3.

Andrebbe fornito un sostegno specifico per il mantenimento dei pascoli e prati permanenti, in quanto la loro corretta gestione mediante pratiche zootecniche sostenibili può contribuire a preservare i loro terreni ricchi di carbonio.

4.4.

Le sostanze organiche del suolo sono un elemento essenziale per la regolazione della capacità del suolo di sostenere un livello elevato di biodiversità e fornire servizi ecosistemici legati alla sua fertilità, nonché per lo stoccaggio del carbonio assorbito dall’atmosfera. La diminuzione di sostanze organiche nei suoli europei è motivo di grande preoccupazione, principalmente a causa della perdita di fertilità e dei rischi di desertificazione correlati, ma anche alla luce delle conseguenti emissioni di gas a effetto serra, che secondo i calcoli sono superiori a 170 milioni di tonnellate di CO2 all’anno (8), ossia più del 4 % delle emissioni totali di gas a effetto serra dell’UE a 27, per lo più dovute al cambiamento di destinazione d’uso dei suoli organici e delle torbiere. La nuova strategia per il suolo dovrebbe assicurare la protezione delle zone umide e delle torbiere, nonché sostenere adeguatamente gli agricoltori, mediante nuove tipologie di entrate, nell’adozione di pratiche basate su concezioni agroecologiche che favoriscono il mantenimento e l’aumento delle sostanze organiche nei suoli. La diffusione delle conoscenze relative alle buone pratiche e alla gestione sostenibile dei suoli agricoli dovrebbe diventare una priorità, e avere come destinatari soprattutto i piccoli agricoltori.

4.5.

Oltre alla rilevanza delle sostanze organiche nel suolo, il CESE sottolinea la necessità di evitare l’impoverimento o la perdita di nutrienti minerali del suolo. L’uso di fertilizzanti deve essere proporzionato alle esigenze delle colture, evitando un’applicazione eccessiva e perseguendo una riduzione del 50 % delle perdite di azoto e fosforo dai suoli entro il 2030, in linea con gli obiettivi della strategia «Dal produttore al consumatore».

4.6.

I suoli che in passato o in tempi recenti sono stati oggetto di contaminazioni industriali continuano a rappresentare un pericolo per la salute pubblica e per le condizioni chimiche delle risorse idriche; 2,8 milioni di siti nell’UE presentano un suolo potenzialmente contaminato, e 390 000 di essi richiedono la bonifica (9). Le decisioni riguardanti il loro ripristino dovrebbero essere prese sulla base di criteri di risanamento sostenibili e basarsi su analisi dei rischi specifiche per sito. Il Comitato auspica che la strategia fornisca, sulla base delle esperienze nazionali più avanzate, metodi e criteri uniformi per l’esecuzione di tali procedure, in modo da evitare le notevoli incongruenze esistenti tra le diverse normative nazionali.

4.7.

Il Comitato apprezza il fatto che la strategia si concentri sul concetto fondamentale di «suolo sano» (10), ma sottolinea l’esigenza di elaborare un sistema di indicatori efficaci che consenta di definire in modo chiaro non solo lo stato di salute dei suoli attraverso un apposito indice (Soil Health Index), ma anche gli obiettivi generali da conseguire e la loro articolazione in relazione alla diversità delle condizioni pedoclimatiche in Europa. Per verificare il conseguimento di tali obiettivi, sono necessari strumenti affidabili tesi a stimare inequivocabilmente l’indice sullo stato di salute del suolo a livello di singola parcella.

4.8.

Il Comitato sottolinea l’esigenza di un livello maggiore di consapevolezza e conoscenza in merito al suolo, alle sue caratteristiche ecologiche e funzioni. A tal fine è necessario sostenere programmi d’informazione per i cittadini e di istruzione per le scuole, di formazione per gli agricoltori e, in generale, per i professionisti che lavorano con la terra e il suolo, nelle aree tradizionali o emergenti della bioeconomia e dell’economia circolare, nonché per i responsabili decisionali a livello locale e regionale dai quali dipendono le scelte che possono determinare i cambiamenti nella destinazione d’uso.

4.9.

L’accesso a suoli sani è vitale per diversi settori economici; l’occupazione e la competitività non dovrebbero essere influenzate dalle implicazioni economiche e sociali della strategia. In particolare, bisogna salvaguardare il reddito delle comunità rurali e dei nuclei familiari che dipendono dal suolo per il proprio sostentamento. La strategia dovrebbe garantire un’equa ripartizione dei costi e dei benefici tra le parti interessate: bisognerebbe proteggere i gruppi e le regioni vulnerabili, sostenere gli agricoltori di sussistenza e stanziare dei fondi per le comunità che ne hanno bisogno.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Commissione europea, Strategia sulla biodiversità per il 2030, https://ec.europa.eu/environment/strategy/biodiversity-strategy-2030_it

(2)  Relazione speciale della Corte dei conti europea 33/2018, Combattere la desertificazione nell’UE: di fronte a una minaccia crescente occorre rafforzare le misure.

(3)  La strategia fa riferimento al suolo come il sistema complesso e biologicamente attivo (pedosfera) che sostiene la vegetazione terrestre, agendo da interfaccia tra la litosfera e l’atmosfera e interagendo con l’idrosfera. Non include i sedimenti marini e lacustri. Secondo le comunicazioni della FAO, il suolo fornisce la base per il 95 % della produzione alimentare mondiale.

(4)  Healthy soils are the basis for healthy food production (Suoli sani alla base di una produzione alimentare sana), FAO 2015 (https://www.fao.org/documents/card/en/c/645883cd-ba28-4b16-a7b8-34babbb3c505/).

(5)  Commissione europea, 2020, Caring for soil is caring for life (Prendersi cura dei suoli per prendersi cura della vita), relazione interinale del comitato della missione «Prodotti alimentari e salute del suolo» (https://op.europa.eu/en/web/eu-law-and-publications/publication-detail/-/publication/32d5d312-b689-11ea-bb7a-01aa75ed71a1).

(6)  Ibidem.

(7)  AEA, Land take in Europe — Indicator assessment (Il consumo di suolo in Europa — valutazione degli indicatori), 2020 (https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/indicators/land-take-3/assessment).

(8)  JRC-EC, Soil threats in Europe: status, methods, drivers and effects on ecosystem services, technical report (I pericoli per il suolo in Europa: stato, metodi, fattori ed effetti sui servizi ecosistemici, relazione tecnica), 2015 (https://esdac.jrc.ec.europa.eu/public_path/shared_folder/doc_pub/EUR27607.pdf).

(9)  JRC-EC, Status of local soil contamination in Europe (Stato della contaminazione locale dei suoli in Europa), 2018 (https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC107508).

(10)  «Prospettiva e obiettivi: ottenere un buono stato di salute del suolo entro il 2050», Commissione europea, Strategia dell’UE per il suolo per il 2030 (https://ec.europa.eu/environment/publications/eu-soil-strategy-2030_en).


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/137


Parere del Comitato economico e sociale europeo — Visione a lungo termine per le zone rurali dell'UE

[COM(2021) 345 final]

(2022/C 290/22)

Relatrice:

Lidija PAVIĆ-ROGOŠIĆ

Correlatrice:

Piroska KÁLLAY

Consultazione

Commissione europea, 10.8.2021

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sezione

9.2.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

222/1/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Conclusioni

1.1.

Il CESE accoglie complessivamente con favore la visione a lungo termine della Commissione per le zone rurali. Si compiace inoltre delle proposte in merito a un piano d’azione, che comprendono un patto rurale inteso a coinvolgere gli attori a livello dell’UE, nazionale, regionale e locale nel sostegno della visione, così come di quelle relative all’istituzione di un osservatorio rurale e di un meccanismo di verifica rurale.

1.2.

Tuttavia, non è chiaro quali implicazioni avranno la concezione e il contenuto della nuova politica agricola comune (PAC) della Commissione e dei nuovi piani strategici della PAC per ciascuno Stato membro in rapporto alla visione a lungo termine e in che modo la Commissione dovrebbe garantire la coerenza e il valore aggiunto tra la PAC e le altre politiche.

1.3.

Il CESE condivide le priorità del piano d’azione di rendere le zone rurali «più forti, connesse, resilienti e prospere». Il CESE ritiene che la prosperità, intesa come stile di vita socialmente ed ecologicamente sostenibile, debba essere l’obiettivo da conseguire per tutti i cittadini, ovunque essi vivano. Se il piano d’azione sarà attuato, l’Europa rurale avrà motivi reali per guardare al futuro con ottimismo e fiducia.

1.4.

La Commissione si impegna a realizzare il patto rurale e il piano d’azione rurale, ma molto dipende dall’adesione dell’insieme degli Stati membri, delle regioni e delle comunità locali. Il CESE ritiene che, per portare a compimento la visione, il Consiglio, ciascuna presidenza di turno del Consiglio, il Parlamento europeo, il Comitato delle regioni (CdR) e il CESE stesso abbiano tutti un ruolo da svolgere, così come le organizzazioni e le reti della società civile. Per realizzare la visione è fondamentale che il piano d’azione sia finanziato integralmente e sia provvisto di obiettivi chiari e scadenze precise ai fini di una misurazione trasparente.

1.5.

Il CESE si compiace inoltre per il rafforzamento della politica di verifica rurale e l’istituzione di un osservatorio trasparente chiamato a monitorare i progressi compiuti (1). La condivisione delle informazioni e il dialogo con le parti sociali e della società civile sono essenziali. Il CESE è pronto a sostenere queste iniziative, per esempio contribuendo ai lavori del nuovo gruppo tematico della Rete europea per lo sviluppo rurale (RESR) sulla verifica rurale.

Raccomandazioni

1.6.

Il CESE ritiene che, affinché la visione sia pienamente compresa e inclusiva, sia necessario coinvolgere in maniera più costante e far diventare parte attiva le organizzazioni partecipative locali delle zone rurali e urbane e le organizzazioni della società civile. Il Parlamento rurale europeo e altre reti esistenti, nonché la Conferenza sul futuro dell’Europa attualmente in corso, dovrebbero svolgere un ruolo importante nell’apportare il punto di vista delle comunità locali.

1.7.

Il CESE è dell’avviso che la rete rurale della Commissione e i gruppi di dialogo civile, coordinati da diverse DG, debbano promuovere procedure di comunicazione bidirezionali e trasparenti. Inoltre il CESE, pur apprezzando gli impegni a favore della verifica rurale nell’ambito del programma di ricerca Orizzonte, ritiene che un maggior numero di servizi della Commissione dovrebbe dimostrare il proprio impegno globale a favore di questa visione. In particolare, la verifica rurale dovrebbe essere estesa per includere Europa creativa e il programma Erasmus+.

1.8.

Il CESE ritiene che il patto rurale imponga alla Commissione di creare un modello di governance nel quale le amministrazioni locali e le imprese locali, sia quelle private che quelle senza scopo di lucro, collaborano con le strutture della democrazia locale e delle parti sociali per garantire che le voci locali siano ascoltate e che la visione a lungo termine possa essere realizzata con successo. Il patto dovrebbe avvalersi delle buone pratiche maturate nel quadro dell’approccio Leader e di sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD), e ogni presidenza di turno del Consiglio dell’UE dovrebbe promuovere l’idea del patto in tutta l’UE. La Commissione e gli Stati membri dovrebbero essere facilitatori attivi e finanziatori di progetti pilota.

1.9.

Le priorità comuni dovrebbero essere definite utilizzando metodi dal basso e basati su dati concreti. Si dovrebbe procedere a una nuova valutazione degli effetti prodotti dalla pandemia sul piano d’azione, esaminando l’impatto dell’aumento della domanda di alloggi rurali, di nuovi spazi commerciali nei piccoli centri, di servizi pubblici migliori, di un maggior numero di spostamenti verso le zone rurali, come pure di turismo ricreativo, sanitario, ecologico e culturale.

1.10.

L’elaborazione di una carta dei diritti e delle responsabilità delle zone rurali e delle zone urbane può ulteriormente aiutare i cittadini a comprendere come realizzare le loro aspirazioni in materia di benessere e stimolarli ad agire, e in tale contesto il pilastro dei diritti sociali deve fungere da guida per tutte le azioni da intraprendere.

2.   Contesto

2.1.

Nelle zone rurali dell’UE vivono circa 136 milioni di persone, pari a quasi il 30 % della popolazione dell’UE, e per un lungo elenco di motivi, esposti in precedenti pareri del CESE (2), i livelli di benessere economico e sociale fanno registrare un divario sempre più ampio tra i cittadini delle zone urbane e quelli delle zone rurali. Le zone rurali, pur svolgendo un ruolo fondamentale per la coesione economica e sociale, compresa la produzione alimentare sostenibile, si trovano ad affrontare la sfida dello spopolamento, in particolare dei giovani.

2.2.

Da sempre, il sostegno alle zone rurali proviene da una serie di diversi servizi e strumenti finanziari, a livello dell’UE, nazionale, regionale e locale, in un modo alquanto frammentato, disarticolato e frustrante dal punto di vista burocratico. L’intervento pubblico è riuscito solo in parte, specie nelle zone rurali e insulari più remote, a tenere il passo con il declino dell’attività economica, la scarsa accessibilità digitale, l’esodo dei giovani e la perdita di servizi pubblici fondamentali, di competenze artigianali rurali, di biodiversità e di patrimonio culturale.

2.3.

Per questo motivo il CESE ritiene che, nell’affrontare questi squilibri, occorra seguire un approccio molto più integrato, ma equo e basato sul territorio. Come sottolineato nel parere NAT/820 sul tema Verso una strategia globale per lo sviluppo rurale e urbano sostenibile (3), è necessario un approccio globale, trasversale e semplificato che «non lasci indietro nessun cittadino» e «nessun territorio». Si raccomanda un partenariato tra tutti i cittadini basato sulla comprensione reciproca e sul rispetto dei punti di forza delle zone rurali e di quelle urbane.

2.4.

Riconoscendo la serie di sfide che le zone rurali si trovano ad affrontare, nel giugno 2021 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione che delinea una visione a lungo termine per le zone rurali dell’UE fino al 2040 (4). La comunicazione comprende proposte in merito a un patto rurale che coinvolga gli attori a livello dell’UE, nazionale, regionale e locale nel sostegno della visione, e a un piano d’azione volto a rendere le zone rurali più forti, connesse, resilienti e prospere. Prevede inoltre l’istituzione di un osservatorio rurale per migliorare la raccolta e l’analisi dei dati sulla situazione delle zone rurali e un meccanismo di verifica rurale per valutare l’impatto previsto delle principali iniziative legislative dell’UE sulle zone rurali.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Prefigurando il contesto congiunto di cui sopra, che potrebbe essere ulteriormente sviluppato nella Conferenza sul futuro dell’Europa, nel complesso il CESE accoglie con favore la visione a lungo termine proposta dalla Commissione europea per le zone rurali dell’UE e appoggia l’iniziativa e l’impegno della presidenza della Commissione.

3.2.

Il CESE ritiene che una visione debba essere inclusiva, ampiamente compresa, ispiratrice e realizzabile. Il CESE si compiace inoltre per la particolare attenzione rivolta alle regioni rurali remote e meno sviluppate, comprese quelle insulari. Tuttavia, non è chiaro quali implicazioni avranno la concezione e il contenuto della nuova politica agricola comune (PAC) della Commissione e dei piani strategici della PAC per ciascuno Stato membro in rapporto alla visione a lungo termine e in che modo la Commissione dovrebbe garantire la coerenza e il valore aggiunto tra la PAC e le altre politiche. La PAC deve essere in grado di coniugare le politiche agricole e alimentari con lo sviluppo territoriale.

3.3.

La Commissione europea ha realizzato una vasta consultazione dei cittadini delle zone rurali e di quelle urbane e ha avviato un dialogo più approfondito con le organizzazioni delle parti interessate attraverso piattaforme quali la RESR e consultazioni mirate (5). Questo dialogo è stato sostenuto anche dagli scenari di ricerca del Centro comune di ricerca (6) e dal lavoro trasversale realizzato in merito alla visione da diversi servizi della Commissione. Il CESE si compiace per l’approccio seguito.

3.4.

Il CESE ritiene che, affinché la visione sia pienamente compresa e inclusiva, sia necessario coinvolgere in maniera più costante e far diventare parte attiva le organizzazioni partecipative locali delle zone rurali e urbane e le organizzazioni della società civile. Il centro di competenza sulla democrazia partecipativa e deliberativa istituito di recente dalla Commissione potrebbe fungere da forum per sviluppare buone pratiche e instaurare collegamenti tra le strutture politiche locali e quelle di livello più ampio. La visione menziona specificamente l’attività del Parlamento rurale europeo quale esempio di una struttura che trasmette i punti di vista delle comunità locali e crea una piattaforma di priorità per il dialogo con i responsabili politici ad alto livello. I lavori e i contributi di altre reti esistenti sono altrettanto importanti.

3.5.

Le parti consultate a livello locale devono poter scorgere indicazioni chiare e concrete del fatto che i loro punti di vista sono stati tenuti in considerazione e che esse possono essere parte attiva in questi sviluppi. Il CESE ritiene pertanto che la rete rurale della Commissione (che diventerà la futura rete della PAC) e i gruppi di dialogo civile, coordinati da diverse DG, debbano promuovere procedure di comunicazione bidirezionali e trasparenti. La RESR contribuirà con due nuovi gruppi tematici, incentrati rispettivamente sul rilancio rurale e sulla verifica rurale, in particolare a livello nazionale e regionale. Il CESE attende con interesse di conoscere i risultati dei loro lavori nei prossimi mesi.

3.6.

Il CESE ritiene inoltre che un maggior numero di servizi della Commissione, in particolare quelli responsabili della cultura, della ricerca e innovazione, dell’istruzione e formazione, della mobilità e dei trasporti, dei giovani, dell’occupazione, degli affari sociali e dell’inclusione, dell’azione per il clima, dell’energia, dell’ambiente e di altri settori pertinenti, dovrebbe dimostrare il proprio impegno globale a favore della visione. Tuttavia, le decisioni relative al periodo di finanziamento 2021-2027 sono state adottate prima della pubblicazione di quest’ultima. In questo periodo, la responsabilità di includere le esigenze rurali nei programmi pertinenti spetta, in primo luogo, ai livelli nazionale, regionale e locale. Rimane tuttavia un certo rischio di confusione e di scarsa comprensione, a meno che le politiche e i finanziamenti, a tutti i livelli, non siano semplificati e coordinati. Le istituzioni europee devono inoltre garantire che il quadro finanziario pluriennale (QFP) e il dispositivo per la ripresa e la resilienza siano in linea con il Green Deal europeo e i suoi strumenti legislativi e possano finanziare la realizzazione della visione rurale.

3.7.

La Commissione indica le date di inizio del piano d’azione e di alcuni riesami intermedi, ma non fa altrettanto per le date di completamento dei singoli programmi. Sono probabili alcuni slittamenti di data, mentre la nuova PAC, con il suo contributo alla visione, non sarà pronta prima del 2023. Una certa confusione è anche possibile se si omette di far riferimento al clima globale e ad altre scadenze.

3.8.

Per poter essere fonte di ispirazione, la visione deve essere sostenuta, come raccomandato nel parere NAT/820, da una carta dei diritti e delle responsabilità delle zone rurali e urbane, che sia largamente diffusa e spiegata, in modo che tutti i cittadini comprendano come realizzare le proprie aspirazioni in termini di benessere. Il CESE ritiene che per essere motivati ad agire e a fare la differenza sia fondamentale avere una comprensione a tutto tondo delle sfide e un senso di titolarità e fiducia condivise.

3.9.

La Commissione si impegna a realizzare il patto e il piano d’azione, ma molto dipende dall’adesione dell’insieme degli Stati membri, delle regioni e delle comunità locali. La definizione degli obiettivi da raggiungere al livello della Commissione è difficile, ma lo è molto di più la fissazione degli obiettivi e il conseguimento di risultati al livello statale, regionale e locale. Il CESE ritiene che, per portare a compimento questa visione, il Consiglio, il Parlamento europeo, il CdR e il CESE stesso abbiano tutti un ruolo da svolgere, così come le organizzazioni e le reti della società civile. Altrimenti, un’attuazione incoerente potrebbe portare a ulteriori squilibri, con alcune località che beneficiano del piano d’azione e altre che ne rimangono escluse.

3.10.

Il CESE ritiene inoltre che la Commissione potrebbe anche trarre insegnamenti dagli Stati e dalle regioni non appartenenti all’UE, e condividere con essi quanto appreso, dato che altre regioni del mondo si trovano di fronte a sfide e opportunità analoghe a livello di zone rurali/urbane. Il CESE si compiace che la Commissione abbia presentato la comunicazione sulla visione per le zone rurali ai nostri partner dei Balcani occidentali e della Turchia.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE ritiene che il patto rurale imponga alla Commissione di creare un modello di governance nel quale le amministrazioni locali e le imprese locali, sia quelle private che quelle senza scopo di lucro, collaborano con le strutture della democrazia locale e delle parti sociali per garantire che le istanze locali siano ascoltate e che la visione a lungo termine possa essere realizzata con successo. Un maggiore ricorso a strumenti di interazione ibrida potrebbe aumentare la partecipazione, che tuttavia rimane ancora da dimostrare per quanto riguarda le comunità locali. La Commissione e gli Stati membri dovrebbero essere facilitatori attivi e finanziatori di progetti pilota.

4.2.

Il patto dovrebbe avvalersi delle buone pratiche maturate nel quadro dell’approccio Leader e di sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD), e ogni presidenza di turno del Consiglio dell’UE dovrebbe promuovere l’idea del patto durante il suo semestre.

4.3.

Il CESE ritiene che lo sviluppo rurale debba costituire parte integrante della politica di sviluppo regionale, e la metodologia Leader/CLLD dovrebbe essere una componente importante dello sviluppo territoriale. Il CESE riconosce che la politica di coesione per il periodo successivo al 2020 introduce un nuovo obiettivo politico trasversale per uno sviluppo territoriale e locale integrato e sostenibile, con la finalità di non lasciare indietro nessun territorio e nessun cittadino. Fornisce inoltre agli Stati membri un quadro flessibile per sostenere le zone rurali, in modo che siano in grado di affrontare le loro sfide specifiche.

4.4.

Per realizzare la visione è fondamentale che il piano d’azione sia finanziato integralmente e sia provvisto di obiettivi chiari e scadenze precise ai fini di una misurazione trasparente per tutte le istituzioni dell’UE e gli Stati membri. Il CESE attende con interesse di conoscere, entro la metà del 2023, il risultato dell’analisi della Commissione, che farà il punto sulle azioni previste per le zone rurali — nell’ambito della PAC e dei fondi della politica di coesione — per il periodo di programmazione 2021-2027. Tale analisi dovrebbe individuare chiaramente le eventuali lacune da colmare.

4.5.

Il CESE attende con interesse anche la relazione pubblica della Commissione prevista per il primo trimestre del 2024, basata sull’attuazione del piano d’azione per le zone rurali dell’UE, che dovrebbe contenere riflessioni su un eventuale riorientamento per una maggiore azione di sostegno e di finanziamento a favore delle zone rurali, che contribuirebbe ai preparativi per il periodo 2028-2034.

4.6.

Il CESE condivide le priorità del piano d’azione di rendere le zone rurali «più forti, connesse, resilienti e prospere», nonché l’accento posto su azioni specifiche per ciascuna priorità.

4.7.

Per quanto riguarda la priorità «zone rurali più forti», la Commissione mette in evidenza i quadri decisionali delle comunità, con la piena parità di genere e altre opportunità socialmente inclusive per risposte innovative. Le voci coordinate dei giovani delle zone rurali devono essere ascoltate e prese in considerazione nel processo decisionale a tutti i livelli di governo. Il programma Erasmus+ dovrebbe prevedere opportunità specifiche per sviluppare competenze di leadership e una migliore comprensione tra i giovani delle zone rurali e urbane. È inoltre necessario dedicare un’attenzione particolare alle donne, ampliando l’offerta di lavoro e di formazione e promuovendo misure che consentano di conciliare l’attività professionale e la vita familiare.

4.8.

Il CESE ritiene che il sostegno alle imprese debba riguardare non solo l’agricoltura, ma anche un’attività rurale più ampia e sostenibile, basata sul valore aggiunto locale, sull’economia circolare e sul potenziale per realizzare gli obiettivi globali in materia di energie rinnovabili, salute e turismo culturale. Mettere in risalto il ruolo dei regimi di qualità alimentare equi (per esempio, le indicazioni geografiche, la prevenzione delle pratiche commerciali sleali, i programmi di promozione dei prodotti certificati) e finanziare soluzioni alternative di riscaldamento sono esempi concreti in questo senso. La creazione di posti di lavoro dignitosi, in particolare posti di lavoro di qualità, è essenziale per lo sviluppo sostenibile delle zone rurali. Potrebbe essere necessario adottare misure speciali per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori stagionali. Sono inoltre necessarie ulteriori misure innovative, tra cui incentivi fiscali (7), per invogliare i giovani a ritornare nelle zone rurali.

4.9.

Si dovrebbe rendere facilmente accessibile un sostegno finanziario semplificato, anche attraverso un’imposizione fiscale adeguata, in particolare per le PMI, proveniente dal dispositivo per la ripresa e la resilienza, da InvestEU e dalla Banca europea per gli investimenti, tra le varie fonti, che devono essere tutte sottoposte al meccanismo di verifica rurale. Dovrebbe essere promosso il contributo dato dal volontariato a integrazione del finanziamento delle imprese sociali.

4.10.

In rapporto alla priorità «zone rurali connesse», il CESE raccomanda vivamente di accelerare e rendere universale l’attuazione dell’iniziativa della Commissione «decennio digitale europeo», in modo che tutte le comunità rurali possano innovare, sviluppare legami commerciali e affrontare la deprivazione sanitaria, educativa e sociale.

4.11.

I sistemi di trasporto sostenibili sono indispensabili per una società inclusiva, e la necessità di passare da un sistema fondato sui carburanti a base di carbonio a uno basato sulle rinnovabili creerà sia problemi che opportunità per le zone rurali remote. In tale contesto, sistemi di trasporto pubblico facilmente accessibili e a prezzi abbordabili sono fondamentali per affrontare il cambiamento demografico e arrestare lo spopolamento.

4.12.

Relativamente alla priorità «zone rurali resilienti», la Commissione riconosce, nel Green Deal europeo, l’enorme contributo che l’agricoltura sostenibile, la silvicoltura e altre risorse idriche e del suolo possono apportare alla lotta contro i cambiamenti climatici più ampi e globali, e propone la fornitura di servizi ecosistemici, la preservazione e il ripristino della biodiversità, un’agricoltura più ecologica e la promozione dei paesaggi culturali quali opportunità per rafforzare la resilienza economica e il benessere delle zone rurali. L’iniziativa «Un patto europeo per i suoli» migliorerà la rendicontazione in tutti gli Stati membri.

4.13.

Il CESE approva questo approccio, ma ritiene che la resilienza riguardi anche la coesione delle comunità, le relazioni intergenerazionali, la formazione, l’istruzione e il trasferimento di competenze. Il CESE sottolinea che occorre porre maggiormente l’accento sulla resilienza sociale, adottando un approccio più ampio.

4.14.

Il pilastro dei diritti sociali dovrebbe essere rispettato cercando di sostenere la qualità dell’occupazione, il lavoro dignitoso e condizioni di lavoro accettabili nelle zone rurali. Nella formulazione delle politiche economiche e sociali, le parti sociali devono essere formalmente coinvolte attraverso il dialogo sociale a livello locale e regionale. Il Green Deal europeo dovrebbe anche essere un social Deal inclusivo.

4.15.

Per quanto riguarda la priorità «zone rurali prospere», la Commissione riconosce la necessità che le zone rurali diversifichino le loro attività economiche basandosi su «strategie economiche locali sostenibili». Il CESE appoggia questo appello, pur ricordando che le zone periurbane e quelle remote possono avere aspettative diverse.

4.16.

Il CESE riconosce che la pandemia ha accelerato diverse attività legate alla produzione alimentare sostenibile, l’occupazione, la nascita di nuove professioni, il lavoro a distanza e nuove forme di lavoro, e sottolinea che occorre adottare un nuovo approccio per garantire una migliore qualità della vita nelle zone rurali, in modo che chi vive in queste aree possa continuare a lavorare in condizioni dignitose. Con l’ulteriore digitalizzazione della vita lavorativa, si potrebbero promuovere, quale servizio pubblico, spazi di coworking facilmente accessibili per occupare, se necessario, strutture ormai inutilizzate nei piccoli centri.

4.17.

Nelle zone rurali remote e meno sviluppate, il livello inferiore di qualità della vita è riconducibile alla difficoltà di accesso ai servizi pubblici e, più in generale, a una più scarsa disponibilità di tali servizi. Occorre rafforzare in maniera globale l’offerta di servizi educativi, sanitari e di assistenza sociale per tutte le fasce d’età e aumentare e migliorare l’edilizia sociale. Come già sottolineato dal CESE nel suo parere SOC/628 (8) sul tema Sfide demografiche nell’UE alla luce delle disuguaglianze economiche e delle disparità di sviluppo, la salvaguardia del tenore di vita delle famiglie, compresa la promozione di servizi di educazione per l’infanzia, costituirebbe una delle misure chiave per combattere lo spopolamento delle zone rurali e dei centri di piccole e medie dimensioni.

4.18.

Le priorità comuni dovrebbero essere definite utilizzando metodi dal basso e basati su dati concreti. Si dovrebbe procedere a una nuova valutazione degli effetti che la pandemia produce sul piano d’azione, esaminando l’impatto dell’aumento della domanda di alloggi rurali, di nuovi spazi commerciali nei piccoli centri, di maggiori servizi pubblici, di un maggior numero di spostamenti verso le zone rurali e di una maggiore domanda di turismo ricreativo, sanitario, ecologico e culturale. Il CESE ritiene che l’aumento della migrazione dalle città verso le zone periurbane e forse rurali in generale possa creare tensioni tra l’attività economica rurale tradizionale e un’aspettativa di ricreazione basata sulla tranquillità, tensioni per le quali è necessario un lavoro di mediazione.

4.19.

La Commissione deve dare rapidamente seguito, integrandoli nelle diverse politiche, a molti dei preziosi insegnamenti tratti dai suoi progetti di ricerca nell’ambito del programma Orizzonte. I programmi LIFE (9), Robust (10), Rubizmo (11), Sherpa (12), Smart Villages (13), Farmwell (14) e molti altri hanno fornito gli orientamenti necessari per contribuire a realizzare questa visione.

4.20.

Il CESE ritiene inoltre che la prosperità, intesa come stile di vita socialmente ed ecologicamente sostenibile, debba essere l’obiettivo da conseguire per tutti i cittadini, ovunque essi vivano. La prosperità non dovrebbe essere concepita esclusivamente in una dimensione economica, ma deve essere integrata da approcci a livello di comunità locali, incentrati sulla sostenibilità sociale e ambientale.

4.21.

Il CESE accoglie con favore le iniziative faro proposte nel piano d’azione, in quanto danno priorità alle risposte acquisite dalla consultazione. Il CESE ritiene che la sfida consista nell’allineare tra loro, senza soluzione di continuità e con finanziamenti sufficienti, le risorse combinate della Commissione, in partenariato con gli Stati membri e le regioni, al fine di produrre effetti positivi per le comunità locali, le loro popolazioni e i loro territori. Le proposte di uno sportello unico per l’assistenza e di un kit di strumenti sulle fonti di finanziamento, se disponibili, sono da accogliere con favore; è però necessario fissare un calendario chiaro per queste misure.

4.22.

Il nuovo Bauhaus europeo, volto a contribuire alla realizzazione del Green Deal, dimostra la tendenza della Commissione verso un processo di definizione e attuazione delle politiche più inclusivo e coordinato.

4.23.

Il CESE si compiace inoltre per il rafforzamento della politica di verifica rurale e l’istituzione di un osservatorio trasparente chiamato a monitorare i progressi compiuti.

4.24.

Sebbene il concetto di verifica rurale non sia nuovo [cfr. la dichiarazione di Cork 2.0 (15)], il CESE non è ancora convinto che vi sia sufficiente determinazione da parte della Commissione nel suo insieme, così come degli Stati membri e delle regioni, a farne uno strumento efficace sul lungo termine. Tale concetto appare imperfetto, dal momento che molte dotazioni di bilancio sono assegnate su base pro capite, il che va a sfavore delle comunità scarsamente popolate. L’esperienza ha dimostrato che definire le politiche sulla base dei bisogni urbani e poi cercare di adattarle alle zone rurali crea problemi di adeguatezza e tempestività; inoltre, è difficile stabilire una procedura contabile rapida e trasparente e garantire che tutti i servizi interessati siano d’accordo sulla verifica rurale.

4.25.

Tuttavia, il CESE riconosce gli sforzi compiuti dalla Commissione per migliorare la verifica rurale e auspica che l’adozione di un approccio integrato rurale/urbano nella definizione delle politiche e nell’assegnazione delle risorse possa contribuire a realizzare la visione. Il CESE invita la Commissione a pubblicare una relazione annuale che specifichi quali servizi, quali politiche e quali Stati membri e regioni hanno realizzato la verifica rurale e in che modo. I buoni esempi di verifica rurale dovrebbero essere messi in risalto. Il CESE raccomanda di integrare la verifica rurale nell’agenda«Legiferare meglio» e invita inoltre gli Stati membri a prendere in considerazione l’attuazione del principio della verifica rurale a livello nazionale, regionale e locale.

4.26.

Il CESE accoglie con favore l’intenzione di istituire un osservatorio all’interno della Commissione per migliorare la raccolta e l’analisi dei dati, sostenendo nel contempo l’attuazione complessiva del piano d’azione, ma raccomanda trasparenza e chiarezza a livello di calendario di lavoro, dotazioni di bilancio e finalità, nonché un controllo esterno da parte dei rappresentanti della società civile riguardo al funzionamento di tale osservatorio.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Relazione informativa del CESE in merito alla Valutazione dell'impatto della PAC sullo sviluppo territoriale delle zone rurali.

(2)  Parere d’iniziativa del CESE sul tema Verso una strategia globale per lo sviluppo rurale e urbano sostenibile (GU C 105 del 4.3.2022, pag. 49); relazione informativa del CESE sul tema Valutazione dell'impatto della PAC sullo sviluppo territoriale delle zone rurali; parere d’iniziativa del CESE sul tema Un approccio integrato per le zone rurali dell'UE, con particolare attenzione alle regioni vulnerabili (GU C 429 dell’11.12.2020, pag. 60).

(3)  Relazione informativa del CESE in merito alla Valutazione dell'impatto della PAC sullo sviluppo territoriale delle zone rurali.

(4)  https://europa.eu/!TH39QH

(5)  Documento di lavoro della Commissione sulla consultazione dei portatori di interessi — relazione riepilogativa (SWD(2021) 167 final).

(6)  JRC Publications Repository, Scenarios for EU Rural Areas 2040 (Repertorio delle pubblicazioni del JRC, Scenari per le zone rurali dell’UE 2040).

(7)  Incentivi fiscali in questo senso esistono in diversi Stati membri [per esempio, la regione spagnola di Castiglia-La Mancia (jccm.es)].

(8)  Parere del CESE sul tema Sfide demografiche nell'UE alla luce delle disuguaglianze economiche e delle disparità di sviluppo (GU C 232 del 14.7.2020, pag. 1.

(9)  https://ec.europa.eu/growth/industry/strategy/hydrogen/funding-guide/eu-programmes-funds/life-programme_en

(10)  https://rural-urban.eu/

(11)  https://rubizmo.eu/

(12)  https://rural-interfaces.eu/what-is-sherpa/

(13)  https://enrd.ec.europa.eu/smart-and-competitive-rural-areas/smart-villages/smart-villages-portal_it

(14)  https://farmwell-h2020.eu/

(15)  Parere d’iniziativa del CESE Dalla dichiarazione di Cork 2.0 a iniziative concrete (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 37).


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/143


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela penale dell’ambiente e che abroga la direttiva 2008/99/CE

[COM(2021) 851 final — 2021/0422 (COD)]

(2022/C 290/23)

Relatore:

Arnaud SCHWARTZ

Correlatrice:

Ozlem Yildirim

Consultazione

Commissione europea, 2.5.2022

Base giuridica

Articolo 83, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sezione

8.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

215/3/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di rivedere la direttiva sulla tutela penale dell’ambiente e di sostituire la direttiva 2008/99/CE, in quanto detta proposta affronta le principali carenze dell’attuale direttiva e mira a far fronte all’aumento dei reati ambientali in Europa.

1.2.

Il CESE sottolinea che la proposta mantiene il campo d’applicazione attualmente in vigore attraverso un elenco di reati, mentre manca una definizione di reato generale autonomo di danno o di pericolo per l’ambiente. Il CESE ritiene che l’elenco dei reati debba essere esteso al maggior numero possibile di comportamenti illeciti, in modo da evitare di dover rivedere nuovamente la direttiva poco dopo la sua entrata in vigore e impedire che determinate attività criminali ambientali rimangano impunite.

1.3.

Il CESE riconosce l’urgente necessità di migliorare l’attuazione del diritto penale ambientale in Europa e riconosce che una direttiva sui reati ambientali contenente disposizioni più chiare contribuirebbe a una migliore attuazione. Il CESE considera insoddisfacenti gli elementi proposti da prendere in considerazione nel valutare se il danno sia sostanziale e ritiene che potrebbero essere necessari ulteriori orientamenti e che sarebbe più chiara una definizione autonoma di «danno sostanziale».

1.4.

Il CESE accoglie con favore il riferimento all’«ecocidio» nei considerando, ma ritiene che sarebbe opportuno includere questo termine nella parte operativa della direttiva.

1.5.

Il CESE approva l’introduzione di norme minime per la fissazione di limiti massimi per le sanzioni nei confronti sia dei privati che delle persone giuridiche. Tuttavia, il CESE ritiene che, affinché le sanzioni siano realmente efficaci, proporzionate e dissuasive, i loro limiti debbano essere notevolmente aumentati.

1.6.

Il CESE incoraggia la Commissione a valutare la possibilità di estendere le competenze della Procura europea ai reati ambientali, creando così una Procura europea verde in grado di sostenere la lotta contro i reati ambientali che presentano l’evidente coinvolgimento della criminalità organizzata.

1.7.

Il CESE sottolinea la necessità di rafforzare la catena di contrasto e di attuazione del diritto penale ambientale europeo. Rilancia la sua raccomandazione, contenuta nella relazione informativa NAT/767 sul tema Valutazione della direttiva sulla tutela penale dell’ambiente (1), che gli Stati membri dell’UE istituiscano forze di polizia, pubblici ministeri, giudici e tribunali specializzati nel settore della criminalità ambientale. A giudizio del CESE, la direttiva potrà essere efficace solo se sarà accompagnata da risorse e formazione adeguate al livello degli Stati membri.

2.   Contesto

2.1.

I reati contro l’ambiente costituiscono la quarta categoria di attività criminale più redditizia a livello mondiale, e secondo le informazioni di Eurojust sono in aumento nell’Unione europea (2). Sebbene le condanne transfrontaliere per reati ambientali non siano cresciute in modo sostanziale, è aumentato il tasso di reati ambientali commessi in Europa.

2.2.

Il 15 dicembre 2021 la Commissione europea ha pubblicato la proposta di revisione della direttiva sulla tutela penale dell’ambiente, che sostituisce la direttiva 2008/99/CE.

2.3.

L’obiettivo della direttiva è quello di stabilire norme minime comuni per qualificare come reato gli illeciti ambientali affrontando le carenze della direttiva attualmente in vigore.

2.4.

Nel 2020 la Commissione ha pubblicato la valutazione della direttiva 2008/99/CE (3), nella quale ha individuato carenze significative per quanto riguarda l’applicazione sul campo, la limitazione dell’ambito di applicazione, la definizione dei reati, i livelli delle sanzioni, la mancanza di chiarezza della terminologia giuridica, la scarsa cooperazione transfrontaliera, il sistema di responsabilità per le persone giuridiche e altri ambiti della direttiva.

2.5.

La direttiva proposta è intesa a migliorare l’efficacia delle indagini e delle azioni penali aggiornando il campo di applicazione della direttiva e chiarendo o eliminando i termini vaghi utilizzati nelle definizioni di reato ambientale; a garantire tipi e livelli di sanzioni efficaci, dissuasivi e proporzionati per la criminalità ambientale; a promuovere le indagini e le azioni penali transfrontaliere; a migliorare il processo decisionale informato in materia di criminalità ambientale tramite una migliore raccolta e diffusione di dati statistici; a migliorare l’efficacia operativa delle catene nazionali di contrasto per promuovere le indagini, il perseguimento e l’imposizione di sanzioni.

2.6.

La proposta si basa sull’articolo 83, paragrafo 2, del TFUE che, a differenza della base giuridica precedente all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, è maggiormente ancorato alla natura transfrontaliera della criminalità ambientale e conferisce all’UE la competenza di stabilire norme minime per quanto riguarda la definizione dei reati e delle sanzioni.

2.7.

L’obiettivo della proposta in esame è pertanto quello di armonizzare il ricorso al diritto penale come strumento di ultima istanza per applicare l’intero acquis dell’UE in materia di diritto ambientale, compreso il Green Deal europeo, nel rispetto degli obiettivi dell’UE in materia di sviluppo sostenibile, migliore qualità ambientale e principio «chi inquina paga».

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di rivedere la direttiva sulla tutela penale dell’ambiente e di sostituire la direttiva 2008/99/CE, in quanto detta proposta affronta le principali carenze dell’attuale direttiva e mira a far fronte all’aumento dei reati ambientali in Europa.

3.2.

Il CESE sottolinea il ruolo guida dell’Unione europea a livello internazionale nella lotta contro i cambiamenti climatici globali e nella protezione dell’ambiente. Il CESE ritiene che la lotta contro la criminalità ambientale e la criminalità ambientale organizzata a livello europeo costituisca un elemento cruciale di questo ruolo, e sottolinea la necessità di rafforzare la cooperazione con i paesi del vicinato dell’UE e con altri paesi terzi.

3.3.

Il CESE ritiene che la revisione rappresenti un passo avanti positivo per far fronte all’aumento della criminalità ambientale e della criminalità ambientale organizzata in Europa. Il Comitato apprezza la decisione di sostituire completamente, anziché modificarla, la vecchia e disfunzionale direttiva sulla tutela penale dell’ambiente.

3.4.

Il CESE riconosce l’urgente necessità di migliorare l’attuazione del diritto penale ambientale in Europa e riconosce che una direttiva sui reati ambientali contenente disposizioni più chiare contribuirebbe a una migliore attuazione. Inoltre, il CESE sostiene fermamente gli obblighi concreti di attuazione delle strategie nazionali, gli obblighi di comunicazione e i requisiti minimi in materia di risorse, formazione e strumenti investigativi.

3.5.

Il CESE accoglie con favore la proposta di estendere il campo di applicazione della direttiva. Il Comitato osserva che la proposta di revisione della definizione di «illecito» elimina una delle principali cause di ambiguità e che l’ampliamento significativo proposto dell’elenco dei reati consente una migliore protezione dell’acquis ambientale dell’UE.

3.6.

Il CESE sottolinea che nella proposta manca una definizione di reato generale autonomo di danno o di pericolo per l’ambiente. Pur ampliando in modo significativo il campo di applicazione della direttiva, la proposta lo collega ancora a quelli di diversi altri ambiti del diritto e al diritto derivato dell’UE, rendendolo quindi dipendente, tra l’altro, dal diritto amministrativo e impedendo che sia adeguabile alle esigenze future. Il CESE osserva che l’elenco esclusivo dei reati proposto potrebbe richiedere future procedure legislative per essere aggiornato.

3.7.

Il CESE accoglie con favore il riferimento all’«ecocidio» nei considerando, ma ritiene che sarebbe opportuno includere questo termine nella parte operativa della direttiva. Inoltre, il CESE sottolinea che qualsiasi riferimento all’ecocidio deve essere conforme alla formulazione proposta nel giugno 2021 dal gruppo di esperti indipendenti per la definizione giuridica dell’ecocidio (4). Il CESE raccomanda di definire l’ecocidio come atti illeciti o negligenti, commessi nella piena consapevolezza che essi comportino una probabilità sostanziale di danni gravi e diffusi o a lungo termine all’ambiente. Il CESE accoglierebbe con favore un riferimento ai conflitti armati nei considerando e osserva che tali conflitti sono praticamente sempre ecocidi per definizione. Il CESE si rammarica del fatto che nessuna delle misure e delle sentenze proposte sia stata o sia applicabile a tali casi.

3.8.

Il Comitato ha formulato le sue raccomandazioni per la revisione della direttiva nella sua relazione informativa NAT/767 sul tema Valutazione della direttiva sulla tutela penale dell’ambiente. Alla luce della proposta pubblicata, il CESE ripresenta le sue precedenti raccomandazioni di utilizzare la revisione della direttiva sulla tutela dell’ambiente per introdurre un reato generale di «pericolo per l’ambiente», per instaurare un dialogo permanente tra le autorità pubbliche e le organizzazioni della società civile e per estendere l’ambito di applicazione del diritto penale ambientale alla cibercriminalità ambientale.

3.9.

Diverse indagini hanno dimostrato che vi è un crescente ricorso ai reati ambientali come mezzo o collegamento con comportamenti corrotti o come reato presupposto per il riciclaggio di denaro. Man mano che maggiori risorse del bilancio dell’UE sono destinate alla transizione verde, ci aspettiamo di assistere anche a un aumento del rischio di tali comportamenti criminali associati all’attuazione di detti fondi. Se è vero che la gestione dei rifiuti è uno dei settori ad alto rischio, molti altri ambiti che incidono sulla protezione dell’ambiente possono essere colpiti dalla corruzione, dal riciclaggio di denaro o dalla frode. Il CESE accoglie con favore l’inclusione di questi rischi nei considerando, ma richiama l’attenzione sulla necessità di destinare maggiori risorse all’individuazione e all’indagine di tali reati, nonché alla formazione delle autorità di contrasto o all’accesso della società civile e dei giornalisti alle informazioni che possono portare alla luce tali comportamenti.

3.10.

Nella sua relazione informativa NAT/824 sul tema La protezione dell’ambiente quale fattore indispensabile per il rispetto dei diritti fondamentali (5), il Comitato ha sottolineato l’urgente necessità che l’UE presenti una proposta di direttiva sul governo societario sostenibile e una legge dell’UE contro le azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica (SLAPP) per proteggere i difensori dell’ambiente, i giornalisti e gli informatori. Il CESE rilancia queste raccomandazioni e si rallegra dell’inclusione di una disposizione sulla protezione delle persone che segnalano reati ambientali o che agevolano le indagini.

3.11.

Il CESE accoglie con favore l’armonizzazione delle norme minime in materia di sanzioni, nonché l’estensione della condotta criminosa alla negligenza grave e ai reati di pericolo, l’inclusione di circostanze aggravanti e attenuanti e il riferimento a pene e sanzioni supplementari.

3.12.

Il CESE condivide la richiesta formulata dal Parlamento europeo nella relazione 2020/2027(INI) sulla responsabilità delle imprese per i danni ambientali e incoraggia la Commissione a valutare la possibilità di estendere le competenze della Procura europea ai reati ambientali, creando così una Procura europea verde in grado di sostenere la lotta contro i reati ambientali che presentano l’evidente coinvolgimento della criminalità organizzata. Il CESE invita altresì la Commissione a valutare la possibilità di estendere il mandato dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode per consentirgli di condurre indagini amministrative sui reati ambientali.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   Sanzioni

4.1.1.

Il CESE approva l’introduzione di norme minime per la fissazione di limiti massimi per le sanzioni nei confronti sia dei privati che delle persone giuridiche. Inoltre, il CESE apprezza il riconoscimento della necessità di consentire sanzioni amministrative e penali simultanee nonché misure di congelamento e confisca, nel rispetto del principio fondamentale di non poter essere perseguibili due volte per lo stesso reato. Tuttavia, il CESE ritiene che, affinché le sanzioni siano realmente efficaci, proporzionate e dissuasive, i loro limiti debbano essere notevolmente aumentati. Fissare livelli di sanzioni per le violazioni del diritto ambientale inferiori a quelli in altri settori del diritto dell’UE, ad esempio il diritto della concorrenza, invia un segnale sbagliato circa la priorità dell’acquis dell’UE in materia di diritto ambientale, compresi il Green Deal europeo e gli obiettivi climatici per il 2030.

4.2.   Reati ambientali

4.2.1.

Il CESE condivide la richiesta formulata dal Parlamento europeo nella sua relazione 2020/2027(INI) sulla responsabilità delle imprese per danni ambientali che la Commissione valuti la possibilità di includere i reati ambientali tra le 10 categorie esaustive di reati di cui all’articolo 83, paragrafo 1, del TFUE (6).

4.2.2.

Il CESE accoglie con favore l’ampliamento dell’elenco dei reati contenuto nella proposta di direttiva. In particolare, si compiace dell’aggiunta di violazioni alla direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

4.2.3.

Il CESE ritiene che l’elenco dei reati debba essere esteso al maggior numero possibile di comportamenti illeciti, in modo da evitare di dover rivedere nuovamente la direttiva poco dopo la sua entrata in vigore e impedire che determinate attività criminali ambientali rimangano impunite. Il CESE incoraggia i colegislatori a proporre qualsiasi ampliamento dell’elenco delle condotte che costituiscono reato quando esse sono illegali e commesse intenzionalmente o per negligenza grave.

4.3.   Definizione di danno sostanziale

4.3.1.

Considerando che l’ambiguità del termine «danno sostanziale» nella vecchia direttiva era stata individuata come un importante ostacolo all’efficacia delle indagini e delle azioni penali, il CESE considera insoddisfacenti gli elementi proposti da prendere in considerazione nel valutare se il danno sia sostanziale e ritiene che potrebbero essere necessari ulteriori orientamenti e che sarebbe più chiara una definizione autonoma di «danno sostanziale». Ciò potrebbe contribuire in modo significativo all’indispensabile piena armonizzazione interna delle definizioni, dei parametri e delle interpretazioni nell’ambito della direttiva.

4.4.   Responsabilità penale delle persone giuridiche

4.4.1.

Il CESE riconosce che la regolamentazione in materia di responsabilità delle società e delle società madri varia notevolmente tra gli ordinamenti giuridici degli Stati membri; si rammarica tuttavia che la proposta della Commissione non riesamini la formulazione originaria in materia di responsabilità per le persone giuridiche per tendere a una maggiore armonizzazione.

4.4.2.

Il CESE sottolinea le considerazioni formulate dal Parlamento nella sua relazione 2020/2027(INI) sulla responsabilità delle imprese per i danni ambientali, secondo cui, conformemente al principio «chi inquina paga», le imprese dovrebbero sostenere tutti i costi dei danni ambientali da esse direttamente causati, al fine di incentivarle a internalizzare le esternalità ambientali ed evitare di esternalizzare i costi.

4.4.3.

Il CESE esprime preoccupazione per l’esplicita esclusione della responsabilità delle autorità statali e ritiene che non vi dovrebbero essere ostacoli al perseguimento dei responsabili dei reati ambientali, in particolare quando i permessi e le licenze sono ottenuti attraverso la corruzione delle autorità pubbliche.

4.5.   Interazione con il pubblico

4.5.1.

Il CESE si rallegra dell’inclusione di una disposizione sulla protezione degli informatori e delle persone che segnalano reati ambientali o che agevolano le indagini. Il Comitato mette in risalto il ruolo che i cittadini e le organizzazioni della società civile svolgono nell’individuare e segnalare i reati ambientali e sottolinea la necessità che le autorità pubbliche rafforzino la protezione dei difensori dell’ambiente e il dialogo con gli stessi. Il Comitato sottolinea che la protezione concessa alle persone che segnalano reati ambientali o che agevolano le indagini deve essere estesa alle persone fisiche e giuridiche.

4.5.2.

Il CESE concorda con l’attenzione dedicata nella proposta alla protezione delle persone che segnalano reati ambientali o che agevolano le indagini. Negli ultimi anni, tuttavia, non solo gli informatori ma anche gli attivisti ambientali e i giornalisti investigativi che denunciano reati ambientali sono stati vittime di gravi pressioni o addirittura di violenze. Invitiamo pertanto la Commissione europea a garantire che in tutti gli Stati membri sia predisposta una protezione adeguata per gli informatori, nonché per coloro che potrebbero aiutarli a portare le loro segnalazioni alla conoscenza del pubblico, come attivisti o giornalisti.

4.5.3.

Il CESE accoglie con favore il riconoscimento del diritto dei cittadini interessati di partecipare ai procedimenti. Il Comitato sottolinea l’importanza di applicare e interpretare tale diritto alla luce dell’articolo 2, paragrafo 5, della convenzione di Aarhus (7). Inoltre, visto che l’ambiente non può difendersi né rappresentarsi in giudizio, il CESE sottolinea l’importanza di garantire un adeguato accesso del pubblico alla giustizia, come definito all’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus.

4.5.4.

Il CESE incoraggia le istituzioni europee e gli Stati membri a rafforzare il loro sostegno ai difensori dell’ambiente al di fuori dell’Unione europea, attraverso i canali diplomatici, la commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) e i canali della società civile.

4.5.5.

Il CESE raccomanda di coinvolgere la società civile nell’attuazione della nuova direttiva.

4.5.6.

Il CESE ribadisce che la «catena di contrasto» è solo la seconda metà dell’intera filiera del fenomeno della criminalità ambientale e del suo contrasto (reati commessi-scoperti-denunciati- perseguiti-sanzionati). Gli studi precedenti alla relazione informativa NAT/767 del CESE hanno evidenziato enormi lacune a cascata nella prima metà della catena, dovute principalmente alle differenze nelle conoscenze e nelle percezioni della società in merito ai reati ambientali. Presentare la questione all’intera società e sensibilizzarla alla stessa è fondamentale per sviluppare la responsabilità sociale, la cui mancanza compromette l’efficienza della catena di contrasto. La formazione e la comunicazione pubblica sono necessarie laddove è essenziale il contributo della società civile.

4.6.   Catena di contrasto

4.6.1.

Il CESE accoglie con favore le disposizioni in materia di prevenzione, risorse, formazione, strumenti investigativi, cooperazione transfrontaliera e strategie nazionali. Il Comitato rilancia la sua raccomandazione, contenuta nella relazione informativa NAT/767, che gli Stati membri dell’UE istituiscano forze di polizia, pubblici ministeri, giudici e tribunali specializzati nel settore della criminalità ambientale. Come rilevato durante la valutazione dell’attuale direttiva, nelle consultazioni delle parti interessate e da parte del mondo accademico, i bassi livelli di competenza e di risorse disponibili per combattere la criminalità ambientale e la criminalità ambientale organizzata negli Stati membri stanno creando notevoli ostacoli all’individuazione, all’azione penale e all’attività di contrasto. A giudizio del CESE, la direttiva potrà essere efficace solo se sarà accompagnata da risorse e formazione adeguate al livello degli Stati membri. Il CESE ritiene che le strategie nazionali proposte costituiscano un primo passo positivo nella direzione giusta.

4.6.2.

Secondo il CESE, l’inclusione di informazioni ambientali, compresa la commissione di reati da parte di persone giuridiche, nella parte non finanziaria annuale della loro comunicazione potrebbe costituire una componente importante della responsabilità sociale delle imprese.

4.7.   Formazione ed istruzione

4.7.1.

Il CESE sottolinea la necessità che l’istruzione includa sia la formazione dei funzionari nazionali che la sensibilizzazione dei cittadini. Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione dal titolo «Rafforzare la lotta alla criminalità ambientale» e invita la Commissione a offrire ulteriore sostegno agli Stati membri fornendo reti professionali, mettendo a punto nuovi strumenti di individuazione e contrasto e rivedendo i programmi di formazione per giudici e pubblici ministeri. Tuttavia, il CESE ritiene che i programmi di formazione e istruzione non dovrebbero applicarsi esclusivamente al coinvolgimento dei funzionari nazionali nella catena di contrasto, ma dovrebbero essere estesi a un pubblico più ampio.

4.8.   Comunicazione di dati e statistiche sulla criminalità

4.8.1.

Il CESE accoglie con favore i previsti obblighi di raccolta e comunicazione di dati, ma segnala che la relazione di Eurojust osserva e dimostra che la mancanza di una definizione universalmente concordata di reato ambientale causa difficoltà alla raccolta di dati significativi e di statistiche sulla criminalità (8).

4.8.2.

Il CESE si rallegra dell’impegno della Commissione a pubblicare una relazione biennale sui dati trasmessi dagli Stati membri e sottolinea che le statistiche nazionali annuali sulla criminalità dovrebbero informare e rafforzare il riesame biennale dell’attuazione delle politiche ambientali.

5.   Recepimento ed esecuzione finanziaria

5.1.

I reati ambientali danneggiano innanzitutto l’ambiente e la salute, ma falsano anche la concorrenza e la circolarità, riducono le risorse pubbliche attraverso l’esternalizzazione dei costi di ripristino e di bonifica e danneggiano le finanze dei contribuenti aggirando il principio «chi inquina paga». In assenza di sanzioni e di un contrasto adeguate per i danni all’ambiente, anche attraverso il diritto penale, i reati ambientali compromettono l’efficacia dell’intero Green Deal europeo. Il CESE ritiene pertanto che le risorse necessarie per il recepimento e l’attuazione della direttiva saranno compensate dal suo effetto positivo sulle risorse pubbliche dell’UE e degli Stati membri.

6.   Regionalità e sussidiarietà

6.1.

Il CESE osserva che le cause della non conformità ambientale hanno origine praticamente sempre in ambito locale/comunale, regionale o subregionale, anche se il loro impatto può essere diffuso, ad esempio le fonti di inquinamento non sono solo specifiche, intensive o disperse, ma anche additive e cumulative.

6.2.

Le fasi di scoperta e comunicazione dovrebbero essere rafforzate e anche seguire un approccio basato sul territorio. Le attrezzature tecniche, le risorse umane e le competenze, la responsabilità funzionale, il bilancio e i finanziamenti dovrebbero essere attribuiti a questa sfida regionale e rispecchiarla pienamente.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  NAT/767 — Valutazione della direttiva sulla tutela penale dell'ambiente (relazione informativa).

(2)  Relazione sull'attività operativa di Eurojust in materia di criminalità ambientale — gennaio 2021.

(3)  SWD(2020) 259 final del 28 ottobre 2020.

(4)  Fondazione Stop Ecocide, giugno 2021, Gruppo di esperti indipendenti per la definizione giuridica dell'ecocidio, commento e testo di base.

(5)  NAT/824 — La protezione dell'ambiente quale fattore indispensabile per il rispetto dei diritti fondamentali (relazione informativa).

(6)  Relazione del Parlamento europeo 2020/2027(INI).

(7)  Convenzione della commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UNECE) sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale.

(8)  Relazione sull'attività operativa di Eurojust in materia di criminalità ambientale — gennaio 2021.


29.7.2022   

IT

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C 290/149


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) 2019/833 che stabilisce le misure di conservazione e di esecuzione da applicare nella zona di regolamentazione dell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale

[COM(2022) 51 final — 2022/0035 (COD)]

(2022/C 290/24)

Relatore generale:

Francisco Javier GARAT PÉREZ

Consultazione

Parlamento europeo, 17.2.2022

Consiglio, 28.2.2022

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, e articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sessione plenaria

24.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

219/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

In merito alla proposta di regolamento in esame, il CESE conferma nuovamente il punto di vista esposto nei pareri 2018/05155 (1) e 2020/02842 (2), le cui conclusioni e raccomandazioni sono illustrate in dettaglio qui di seguito.

1.2.

Il CESE ritiene necessario il recepimento nel diritto dell’UE delle misure di conservazione e di esecuzione adottate dall’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale (NAFO), al fine di conseguire un’applicazione uniforme ed efficace di dette misure nell’UE.

1.3.

Ciononostante, secondo il CESE, la proposta in esame non istituisce un meccanismo agevole per il recepimento delle norme approvate dalla NAFO, né pone rimedio alla necessità di aggiornarle con cadenza annuale.

1.4.

Il CESE è favorevole a un meccanismo più agevole e semplice e, per tale motivo, propone l’adozione di un regolamento, composto di un unico articolo, in cui si stabilisca che l’Unione europea deve imperativamente applicare alla sua flotta le norme approvate dalla NAFO.

1.5.

Il CESE sottolinea il rischio insito nel ricorso al sistema degli atti delegati, mediante il quale viene conferito alla Commissione il potere di legiferare senza dovere attenersi alle procedure ordinarie.

2.   Sintesi della proposta legislativa

2.1.

L’obiettivo principale della proposta presentata è quello di integrare nel diritto dell’Unione le misure di conservazione e di esecuzione adottate dall’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale (NAFO) nella sua riunione annuale del settembre 2021.

2.2.

La proposta recepisce le modifiche relative al calcolo del contingente «altri», introducendo misure di accompagnamento per il merluzzo bianco nella divisione 3M riguardanti l’ispezione degli sbarchi e per l’ippoglosso nero.

2.3.

Vengono inoltre integrate nuove disposizioni riguardanti ulteriori procedure e infrazioni gravi relative all’uso di determinate dimensioni di maglia e griglie di selezione, misure rafforzate sul seguito da dare alle infrazioni e disposizioni riguardanti la trasmissione di documenti alla NAFO e all’Agenzia europea di controllo della pesca.

2.4.

Nel caso in cui la NAFO dovesse modificare le proprie misure in futuro, la proposta delega alla Commissione il potere di modificare il regolamento (UE) 2019/833 per quanto riguarda le disposizioni in materia di sbarco e ispezione dell’ippoglosso nero e le misure di controllo per il merluzzo bianco nella divisione 3M.

2.5.

Viene riconosciuta la necessità di accelerare l’adozione di tali disposizioni al fine di consentire ai pescherecci dell’Unione di operare alla pari con quelli delle altre parti contraenti della NAFO.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE ritiene necessario recepire nel diritto dell’UE le misure di conservazione e di esecuzione adottate nell’ultima riunione annuale della NAFO, al fine di garantire la loro applicazione uniforme nell’UE.

3.2.

Osserva tuttavia che continua a mancare un meccanismo agevole per tale procedura di recepimento, e poiché le misure in questione vengono modificate ogni anno, e l’iter burocratico dell’UE è molto lento, permane un divario tra le norme adottate dalla NAFO e la legislazione dell’UE.

3.3.

Il CESE ribadisce la necessità di adottare una procedura semplificata, come quella che esso stesso ha proposto nel 2019 e nel 2020, e che peraltro è stata sostenuta dalle amministrazioni degli Stati membri e dai settori interessati. Consisterebbe in un regolamento semplice, costituito da un unico articolo, con cui l’Unione europea si impegni ad applicare alla propria flotta le norme adottate dalla NAFO ogni anno.

3.4.

Il Comitato avverte ancora una volta che continuare con la soluzione del regolamento può portare a situazioni di conflitto tra le norme o per lo meno a periodi di incertezza giuridica per le amministrazioni e le imprese stesse, che non sanno se devono rispettare la normativa precedente, ossia quella in vigore nell’UE, o quella nuova. Si creano inoltre distorsioni nell’applicazione delle misure nei confronti delle flotte di paesi terzi.

3.5.

Secondo il CESE, l’unica semplificazione derivante dal ricorso al sistema degli atti delegati è che la Commissione può stabilire norme senza dover passare per le procedure ordinarie.

Bruxelles, 24 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Parere del CESE sul tema Misure di conservazione e di controllo nella zona di regolamentazione dell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nordoccidentale — GU C 159 del 10.5.2019, pag. 60.

(2)  Parere del CESE sul tema Misure di conservazione e di esecuzione — NAFO, GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 279.


29.7.2022   

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C 290/151


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda la proroga del periodo di applicazione del meccanismo facoltativo di inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi e del meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA

[COM(2022) 39 final — 2022/0027(CNS)]

(2022/C 290/25)

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 28.2.2022

Base giuridica

Articolo 113 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria e coesione economica e sociale

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

194/1/4

Avendo concluso che il contenuto della proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda la proroga del periodo di applicazione del meccanismo facoltativo di inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi e del meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 568a sessione plenaria dei giorni 23 e 24 marzo 2022 (seduta del 23 marzo), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 196 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


29.7.2022   

IT

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C 290/152


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2003/17/CE del Consiglio per quanto riguarda il suo periodo di applicazione e l’equivalenza delle ispezioni in campo delle colture di sementi di cereali e delle colture di sementi di piante oleaginose e da fibra effettuate in Bolivia nonché l’equivalenza delle sementi di cereali e di piante oleaginose e da fibra prodotte in Bolivia

[COM(2022) 26 final — 2021/0016 (COD)]

(2022/C 290/26)

Consultazione

Parlamento europeo, 14.2.2022

Consiglio, 8.2.2022

Base giuridica

Articoli 43, paragrafo 2, e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

178/1/7

Essendosi già pronunciato sul contenuto della proposta nel proprio parere sul tema Equivalenza delle ispezioni — sementi del Brasile e della Moldova (1), adottato in data 14 febbraio 2018, il Comitato, nel corso della 568a sessione plenaria dei giorni 23 e 24 marzo 2022 (seduta del 23 marzo), ha deciso, con 178 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni, di non procedere all’elaborazione di un nuovo parere in materia, ma di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 76.


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/153


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme transitorie per l’imballaggio e l’etichettatura dei medicinali veterinari autorizzati a norma della direttiva 2001/82/CE e del regolamento (CE) n. 726/2004

[COM(2022) 76 final — 2022/0053 (COD)]

(2022/C 290/27)

Consultazione

Parlamento europeo, 7.3.2022

Consiglio, 11.3.2022

Base giuridica

Articoli 114 e 168, paragrafo 4, lettera b), e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

193/0/4

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 568a sessione plenaria dei giorni 23 e 24 marzo 2022 (seduta del 23 marzo), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 193 voti favorevoli, 0 voti contrari e 4 astensioni.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/154


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 1303/2013 e del regolamento (UE) n. 223/2014 per quanto riguarda l’azione di coesione a favore dei rifugiati in Europa (CARE)

[COM(2022) 109 final — 2022/0075 (COD)]

(2022/C 290/28)

Consultazione

Parlamento europeo, 10.3.2022

Consiglio, 10.3.2022

Base giuridica

Articoli 175, terzo comma, 177 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

199/0/6

Dal momento che appoggia senza riserve il contenuto della proposta in esame e si è già pronunciato in merito nei suoi precedenti pareri SOC/597 — Fondo sociale europeo Plus, adottato il 17 ottobre 2018, ECO/462 — Regolamento relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale e al Fondo di coesione, adottato il 17 ottobre 2018, nonché nei documenti di sintesi SOC/651 — Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD)/Crisi COVID-19, ed ECO/517 — COVID-19: fondi strutturali e d’investimento europei — Flessibilità eccezionale, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 568a sessione plenaria dei giorni 23 e 24 marzo 2022 (seduta del 23 marzo 2022), ha deciso, con 199 voti favorevoli, 0 voti contrari e 6 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione già espressa nei suddetti precedenti documenti.

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG