ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 526

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

64° anno
29 dicembre 2021


Sommario

pagina

 

IV   Informazioni

 

INFORMAZIONI PROVENIENTI DALLE ISTITUZIONI, DAGLI ORGANI E DAGLI ORGANISMI DELL'UNIONE EUROPEA

2021/C 526/01

Comunicazione della Commissione — Orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno ( 1 )

1

2021/C 526/02

Comunicazione della Commissione — Orientamenti sull’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 6 bis della direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori ( 1 )

130


 


 

(1)   Testo rilevante ai fini del SEE

IT

 


IV Informazioni

INFORMAZIONI PROVENIENTI DALLE ISTITUZIONI, DAGLI ORGANI E DAGLI ORGANISMI DELL'UNIONE EUROPEA

29.12.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 526/1


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE —

Orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno

(Testo rilevante ai fini del SEE)

(2021/C 526/01)

INDICE

INTRODUZIONE 5

1.

AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 5

1.1.

Ambito di applicazione materiale 5

1.1.1.

Normativa nazionale che riguarda le pratiche commerciali ma che tutela interessi diversi dagli interessi economici dei consumatori 6

1.1.2.

Pratiche commerciali connesse a un'operazione tra imprese o che ledono unicamente gli interessi economici dei concorrenti 7

1.2.

Interazione tra la direttiva e altre normative dell'UE 8

1.2.1.

Relazione con altre normative dell'UE 8

1.2.2.

Informazioni qualificate come «rilevanti» da altre normative dell'UE 10

1.2.3.

Interazione con la direttiva sui diritti dei consumatori 12

1.2.4.

Interazione con la direttiva sulle clausole contrattuali abusive 13

1.2.5.

Interazione con la direttiva sull'indicazione dei prezzi 15

1.2.6.

Interazione con la direttiva sulla pubblicità ingannevole e comparativa 16

1.2.7.

Interazione con la direttiva sui servizi 17

1.2.8.

Interazione con la direttiva sul commercio elettronico 17

1.2.9.

Interazione con la direttiva sui servizi di media audiovisivi 17

1.2.10.

Interazione con il regolamento generale sulla protezione dei dati e con la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche 18

1.2.11.

Interazione con gli articoli 101 e 102 TFUE (regole di concorrenza dell'UE) 19

1.2.12.

Interazione con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea 20

1.2.13.

Interazione con gli articoli da 34 a 36 TFUE 20

1.2.14.

Interazione con il regolamento sulle relazioni piattaforme/imprese 21

1.3.

Relazione tra la direttiva e l'autodisciplina 21

1.4.

Applicazione e ricorso 22

1.4.1.

Applicazione a livello pubblico e privato 22

1.4.2.

Sanzioni 22

1.4.3.

Rimedi per i consumatori 25

1.4.4.

Applicazione della direttiva ai professionisti stabiliti in paesi terzi 25

2.

PRINCIPALI CONCETTI DELLA DIRETTIVA 25

2.1.

Funzionamento della direttiva — Schema operativo 25

2.2.

La nozione di professionista 26

2.3.

La nozione di pratica commerciale 28

2.3.1.

Pratiche post-vendita, comprese le attività di recupero dei crediti 29

2.3.2.

Professionisti che acquistano prodotti dai consumatori 30

2.4.

Criterio della decisione di natura commerciale 30

2.5.

Consumatore medio 33

2.6.

Consumatori vulnerabili 35

2.7.

Articolo 5 — Diligenza professionale 36

2.8.

Articolo 6 — Azioni ingannevoli 38

2.8.1.

Informazioni generali ingannevoli 39

2.8.2.

Vantaggi di prezzo 41

2.8.3.

Marketing che ingenera confusione 42

2.8.4.

Inosservanza dei codici di condotta 43

2.8.5.

Marketing basato sul «duplice livello di qualità» 44

2.9.

Articolo 7 — Omissioni ingannevoli 49

2.9.1.

Informazioni rilevanti 50

2.9.2.

Marketing occulto/mancata indicazione dell'intento commerciale 50

2.9.3.

Informazioni rilevanti presentate in modo oscuro 51

2.9.4.

La fattispecie concreta e i limiti del mezzo di comunicazione impiegato 52

2.9.5.

Informazioni rilevanti negli inviti all'acquisto — Articolo 7, paragrafo 4 53

2.9.6.

Prove gratuite e adescamenti a fini di sottoscrizione 58

2.10.

Articoli 8 e 9 — Pratiche commerciali aggressive 59

3.

LA LISTA NERA DELLE PRATICHE COMMERCIALI (ALLEGATO I) 60

3.1.

Prodotti la cui vendita è illecita — Punto 9 61

3.2.

Sistemi piramidali — Punto 14 62

3.3.

Prodotti che curano malattie, disfunzioni e malformazioni — Punto 17 63

3.4.

Uso dell'indicazione «gratuito» — Punto 20 66

3.5.

Rivendita di biglietti per eventi acquistati con strumenti automatizzati — Punto 23 bis 69

3.6.

Attività di marketing insistenti tramite strumenti a distanza — Punto 26 69

3.7.

Esortazioni dirette ai bambini — Punto 28 70

3.8.

Premi — Punto 31 71

4.

APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA IN SETTORI SPECIFICI 72

4.1.

Sostenibilità 72

4.1.1.

Asserzioni ambientali 72

4.1.1.1.

Interazione con altre normative dell'UE in materia di asserzioni ambientali 73

4.1.1.2.

Principi fondamentali 75

4.1.1.3.

Applicazione dell'articolo 6 della direttiva alle asserzioni ambientali 76

4.1.1.4.

Applicazione dell'articolo 7 della direttiva alle asserzioni ambientali 79

4.1.1.5.

Applicazione dell'articolo 12 della direttiva alle asserzioni ambientali 81

4.1.1.6.

Applicazione dell'allegato I alle asserzioni ambientali 82

4.1.1.7.

Asserzioni ambientali comparative 83

4.1.2.

Obsolescenza programmata 84

4.2.

Settore digitale 86

4.2.1.

Le piattaforme online e le loro pratiche commerciali 87

4.2.2.

Intermediazione dei contratti conclusi tra consumatori e terzi 89

4.2.3.

Trasparenza dei risultati di ricerca 90

4.2.4.

Recensioni degli utenti 93

4.2.5.

Media sociali 96

4.2.6.

Marketing di influenza 97

4.2.7.

Pratiche basate sui dati e modelli oscuri 99

4.2.8.

Pratiche di tariffazione 102

4.2.9.

Giochi 103

4.2.10.

Uso delle tecniche di geolocalizzazione 105

4.2.11.

Dipendenza dei consumatori 106

4.3.

Settore dei viaggi e dei trasporti 107

4.3.1.

Aspetti trasversali 107

4.3.2.

Pacchetti turistici 109

4.3.3.

Contratti di multiproprietà 109

4.3.4.

Aspetti di particolare rilevanza per il trasporto aereo 110

4.3.5.

Aspetti di particolare rilevanza per l'autonoleggio 114

4.3.6.

Aspetti di particolare rilevanza per i siti di prenotazione di viaggi 115

4.4.

Servizi finanziari e beni immobili 116

4.4.1.

Aspetti trasversali 116

4.4.2.

Aspetti specifici relativi ai beni immobili 117

4.4.3.

Aspetti specifici relativi ai servizi finanziari 118
ALLEGATO 121

INTRODUZIONE

La direttiva 2005/29/CE del Parlamento e del Consiglio (1) relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno (in prosieguo «direttiva sulle pratiche commerciali sleali» o «direttiva») rappresenta lo strumento omnicomprensivo dell'UE che disciplina le pratiche commerciali sleali nelle operazioni commerciali tra imprese e consumatori. Si applica a tutte le pratiche commerciali poste in essere prima, durante e dopo un'operazione commerciale di un'impresa nei confronti dei consumatori.

La presente comunicazione orientativa (in prosieguo «la comunicazione») si prefigge di agevolare la corretta applicazione della direttiva. Essa rielabora e sostituisce la versione della comunicazione del 2016 (2). La comunicazione intende altresì accrescere la consapevolezza della direttiva tra tutte le parti interessate, quali i consumatori, le imprese, le autorità degli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, e gli operatori del diritto in tutta l'UE. Essa contempla le modifiche introdotte dalla direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio (3) per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell'Unione relative alla protezione dei consumatori, che entreranno in applicazione il 28 maggio 2022. Pertanto una parte del presente documento riflette ed esamina le norme che non sono ancora entrate in applicazione nella data della sua pubblicazione. Le sezioni e i punti pertinenti sono chiaramente indicati. Laddove le citazioni dal testo della direttiva o da sentenze della Corte contengono parti evidenziate, tale modalità grafica è stata introdotta dalla Commissione.

La presente comunicazione è rivolta agli Stati membri e all'Islanda, al Liechtenstein e alla Norvegia, in qualità di firmatari dell'accordo sullo Spazio economico europeo (SEE). I riferimenti all'UE, all'Unione o al mercato unico sono pertanto da intendersi come riferimenti anche al SEE o al mercato del SEE.

La presente comunicazione intende essere un mero documento di orientamento: soltanto gli atti legislativi dell'Unione hanno efficacia giuridica. L'interpretazione autentica della normativa deve discendere dal testo della direttiva e direttamente dalle decisioni della Corte. La presente comunicazione tiene conto delle sentenze della Corte pubblicate fino all'ottobre 2021 e non pregiudica ulteriori sviluppi della giurisprudenza della Corte.

I pareri espressi nel presente documento non pregiudicano la posizione che la Commissione europea può assumere dinanzi alla Corte. Le informazioni contenute nella presente comunicazione hanno soltanto carattere generale e non si rivolgono a nessun particolare individuo o organismo. Né la Commissione europea né qualunque persona che agisca a nome della Commissione è responsabile del possibile uso delle informazioni che seguono.

Poiché la presente comunicazione riflette la situazione al momento della sua stesura, gli orientamenti proposti potranno essere modificati in un momento successivo.

1.   AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA

Articolo 3, paragrafo 1

La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, come stabilite all'articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa a un prodotto.

La direttiva ha carattere orizzontale e tutela gli interessi economici dei consumatori. Le sue norme di principio riguardano una vasta gamma di pratiche e assicurano la flessibilità necessaria per trattare anche prodotti e tecniche di vendita in rapida evoluzione.

1.1.   Ambito di applicazione materiale

La direttiva si basa sul principio dell'armonizzazione completa. Al fine di eliminare gli ostacoli nel mercato interno e rafforzare la certezza del diritto sia per i consumatori sia per le imprese essa istituisce un quadro normativo uniforme che armonizza le norme nazionali. Di conseguenza la direttiva stabilisce che gli Stati membri non possono adottare misure più restrittive di quelle in essa definite, anche al fine di garantire un livello più elevato di tutela dei consumatori, a meno che la direttiva stessa non lo preveda (4).

La Corte ha confermato tale principio in varie sentenze. Ad esempio nella causa Total Belgium la Corte ha rilevato che la direttiva osta a un divieto generale nazionale di offerte congiunte (5). Nella causa Europamur Alimentación la Corte ha stabilito che la direttiva osta a un divieto generale nazionale di offrire in vendita o di vendere prodotti sottocosto (6). Nella stessa causa la Corte ha altresì chiarito che tra le misure restrittive nazionali può figurare l'inversione dell'onere della prova (7).

A tale riguardo l'articolo 3, paragrafo 9, stabilisce un limite al carattere di armonizzazione completa della direttiva, indicando che «[i]n merito ai «servizi finanziari» (…) e ai beni immobili, gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla presente direttiva nel settore che essa armonizza». Di conseguenza in questi settori gli Stati membri possono imporre norme che vanno al di là delle disposizioni della direttiva, purché siano conformi alle altre normative dell'UE. Il modo in cui la direttiva si applica ai servizi finanziari e ai beni immobili è specificamente trattato al punto 4.4.

Inoltre, conformemente all'articolo 3, paragrafo 5, modificato dalla direttiva (UE) 2019/2161, la direttiva non osta a che gli Stati membri adottino disposizioni aggiuntive per tutelare i legittimi interessi dei consumatori rispetto a pratiche commerciali o di vendita aggressive o ingannevoli nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l'abitazione di un consumatore, oppure escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l'effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori. Tuttavia tali disposizioni devono essere proporzionate, non discriminatorie e giustificate da motivi di tutela dei consumatori. Il considerando 55 della direttiva (UE) 2019/2161 spiega che tali disposizioni non dovrebbero vietare il ricorso a tali canali di vendita e fornisce alcuni esempi non esaustivi di possibili misure nazionali.

L'articolo 3, paragrafo 6, impone agli Stati membri di notificare alla Commissione le disposizioni nazionali adottate e ogni loro eventuale modifica successiva, affinché la Commissione possa rendere queste informazioni facilmente accessibili ai consumatori e ai professionisti su un apposito sito web (8).

Il considerando 14 della direttiva chiarisce che l'armonizzazione completa non osta a che gli Stati membri precisino nella legislazione nazionale le principali caratteristiche di particolari prodotti, qualora l'omissione di tale precisazione avesse importanza decisiva al momento dell'invito all'acquisto. Precisa altresì che la direttiva non pregiudica le disposizioni della normativa dell'UE che attribuiscono espressamente agli Stati membri la scelta tra varie opzioni in materia di regolamentazione per la protezione dei consumatori nel settore delle pratiche commerciali.

Per quanto riguarda le informazioni ai consumatori il considerando 15 della direttiva spiega che gli Stati membri, se consentito dalle clausole minime presenti nella legislazione dell'UE, possono mantenere o introdurre obblighi di informazione più restrittivi conformemente alla normativa dell'UE per garantire un livello più elevato di tutela dei singoli diritti contrattuali dei consumatori. Cfr. anche il punto 1.2.3, che illustra l'interazione con gli obblighi di informazione precontrattuale previsti dalla direttiva sui diritti dei consumatori.

1.1.1.   Normativa nazionale che riguarda le pratiche commerciali ma che tutela interessi diversi dagli interessi economici dei consumatori

Articolo 1

La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l'armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori.

La direttiva non si applica alle norme nazionali dirette a proteggere interessi che non sono di natura economica. Pertanto la direttiva non pregiudica la possibilità degli Stati membri di stabilire norme che disciplinino le pratiche commerciali per motivi di tutela della salute, della sicurezza o dell'ambiente.

Anche le disposizioni nazionali vigenti in materia di marketing e pubblicità, fondate su motivi di «buon gusto e decenza», non sono contemplate dalla direttiva. Secondo il considerando 7 «[l]a presente direttiva (…) non riguarda i requisiti giuridici inerenti al buon gusto e alla decenza che variano ampiamente tra gli Stati membri. (…) Gli Stati membri dovrebbero di conseguenza poter continuare a vietare le pratiche commerciali nei loro territori per ragioni di buon gusto e decenza conformemente alle normative comunitarie, anche se tali pratiche non limitano la libertà di scelta dei consumatori. (…)».

Pertanto, nel contesto delle pratiche commerciali, la direttiva non si applica alle disposizioni nazionali che riguardano la protezione della dignità umana, la prevenzione delle discriminazioni basate sul sesso, sulla razza e sulla religione o la rappresentazione di nudità, violenza e comportamenti antisociali.

Ad esempio la Corte ha chiarito che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali non si applica a una disposizione nazionale che vieta a un professionista di aprire il proprio esercizio commerciale sette giorni su sette, obbligandolo quindi a scegliere un giorno di chiusura settimanale, poiché tale disposizione specifica non persegue finalità relative alla tutela dei consumatori (9).

La Corte ha inoltre chiarito che la direttiva non osta a una disposizione nazionale che tutela la sanità pubblica e la dignità della professione di dentista, da un lato, vietando in modo generale e assoluto ogni tipo di pubblicità relativa a prestazioni di cura del cavo orale e dei denti e, dall'altro, fissando alcuni requisiti di discrezione per quanto concerne le insegne degli studi dentistici (10).

Le disposizioni nazionali che mirano a tutelare gli interessi economici dei consumatori, anche se unitamente ad altri interessi, rientrano invece nell'ambito di applicazione della direttiva.

Per quanto riguarda le disposizioni nazionali che vietano le vendite accompagnate da premi, la Corte ha chiarito che la direttiva osta a un divieto generale nazionale di vendite accompagnate da premi che miri ad assicurare la tutela dei consumatori e persegua anche altri obiettivi (ad esempio il pluralismo dei mezzi di informazione) (11).

Per quanto riguarda le disposizioni nazionali che consentono l'annuncio di una vendita di liquidazione soltanto se è autorizzata dall'autorità amministrativa del distretto competente, la Corte ha rilevato che il giudice del rinvio aveva implicitamente ammesso che la disposizione in causa era finalizzata alla tutela dei consumatori e non esclusivamente a quella dei concorrenti e degli altri operatori del mercato. La direttiva era pertanto applicabile (12).

1.1.2.   Pratiche commerciali connesse a un'operazione tra imprese o che ledono unicamente gli interessi economici dei concorrenti

Considerando 6

La presente direttiva (…) non riguarda e lascia impregiudicate le legislazioni nazionali sulle pratiche commerciali sleali che ledono unicamente gli interessi economici dei concorrenti o che sono connesse ad un'operazione tra professionisti. Tenuto pienamente conto del principio di sussidiarietà, gli Stati membri, ove lo desiderino, continueranno a poter disciplinare tali pratiche, conformemente alla normativa comunitaria (...).

Le pratiche commerciali da impresa a impresa (B2B, business-to-business) sono escluse dall'ambito di applicazione della direttiva e sono in parte disciplinate dalla direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla pubblicità ingannevole e comparativa (13). Inoltre la direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di pratiche commerciali sleali (14) disciplina i rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Nell'ambito del diritto nazionale gli Stati membri possono tuttavia estendere la protezione garantita dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali anche alle pratiche commerciali B2B.

Una disposizione nazionale è esclusa dall'ambito di applicazione della direttiva se, come sostenuto dal giudice del rinvio, mira unicamente a disciplinare le relazioni fra concorrenti e non persegue finalità attinenti alla tutela dei consumatori (15).

Soltanto le disposizioni nazionali che proteggono unicamente gli interessi dei concorrenti sono escluse dall'ambito di applicazione della direttiva. Qualora le disposizioni nazionali disciplinino una pratica con il duplice scopo di tutelare i consumatori e i concorrenti, tali disposizioni sono contemplate dalla direttiva.

Per quanto riguarda la distinzione tra interessi dei consumatori e interessi dei concorrenti, la Corte ha ritenuto che:

«39

(…) come risulta dal sesto ‘considerando’ [della direttiva], sono escluse da detto ambito di applicazione soltanto le normative nazionali relative alle pratiche commerciali sleali che ledono ‘unicamente’ gli interessi economici dei concorrenti o che sono connesse ad un'operazione tra professionisti.

40

(…) ciò evidentemente non accade nel caso delle disposizioni nazionali [che] sono espressamente dirett[e] alla tutela dei consumatori e non esclusivamente a quella dei concorrenti e degli altri attori sul mercato» (16).

Spetta alle autorità e agli organi giurisdizionali nazionali decidere se una disposizione nazionale sia diretta alla tutela degli interessi economici dei consumatori.

La Corte ha osservato quanto segue:

«29

Pertanto, spetta al giudice del rinvio e non alla Corte stabilire se le disposizioni nazionali (...) [concernenti gli annunci di riduzione di prezzo rivolti al consumatore] perseguano effettivamente finalità dirette alla tutela dei consumatori al fine di verificare se siffatte disposizioni possano rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (…)» (17).

La Corte ha anche stabilito che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali osta ad una disposizione nazionale che vieta le vendite sottocosto solo nei limiti in cui tale disposizione mira a tutelare i consumatori (18).

Per quanto riguarda le norme nazionali che vietano le riduzioni di prezzi durante i periodi precedenti ai saldi, la Corte ha chiarito che tale divieto non è compatibile con la direttiva se mira a tutelare gli interessi economici dei consumatori (19).

1.2.   Interazione tra la direttiva e altre normative dell'UE

Articolo 3, paragrafo 4

In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici.

Considerando 10

È necessario garantire un rapporto coerente tra la presente direttiva e il diritto comunitario esistente, soprattutto per quanto concerne le disposizioni dettagliate in materia di pratiche commerciali sleali applicabili a settori specifici. (…) Di conseguenza, la presente direttiva si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore. Essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore e vieta ai professionisti di creare una falsa impressione sulla natura dei prodotti. Ciò è particolarmente importante per prodotti complessi che comportano rischi elevati per i consumatori, come alcuni prodotti finanziari. La presente direttiva completa pertanto l'acquis comunitario applicabile alle pratiche commerciali lesive degli interessi economici dei consumatori.

Dato il suo ambito di applicazione generale, la direttiva si applica a molte pratiche commerciali che sono disciplinate anche da altre normative generali o settoriali dell'UE.

1.2.1.   Relazione con altre normative dell'UE

L'articolo 3, paragrafo 4, e il considerando 10 sono elementi fondamentali della direttiva. Precisano che la direttiva completa altre norme dell'UE («norme comunitarie») che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali. Di conseguenza la direttiva funziona da «rete di sicurezza», assicurando il mantenimento di un elevato livello comune di tutela dei consumatori contro le pratiche commerciali sleali in tutti i settori, anche integrando e colmando le lacune in altre normative dell'UE.

Qualora sia in vigore una normativa dell'UE, settoriale o di altro tipo, e le sue disposizioni si sovrappongano alle disposizioni della direttiva, prevalgono le corrispondenti disposizioni della lex specialis. L'articolo 3, paragrafo 4, della direttiva precisa infatti che «[i]n caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici».

L'articolo 3, paragrafo 4, in combinato disposto con il considerando 10, implica che una disposizione del diritto dell'Unione prevale sulla direttiva se le tre condizioni seguenti sono tutte soddisfatte:

ha lo status di diritto dell'Unione,

disciplina un aspetto specifico delle pratiche commerciali ed

è presente un conflitto tra le due disposizioni oppure il contenuto dell'altra disposizione del diritto dell'Unione si sovrappone al contenuto della disposizione pertinente della direttiva, per esempio disciplina il comportamento in questione in modo più dettagliato e/o è applicabile a un settore specifico (20).

Per esempio:

L'articolo 12 della direttiva sul credito ipotecario (21) vieta, in linea di principio, le pratiche di commercializzazione abbinata in base alle quali un contratto di credito ipotecario è commercializzato assieme a un altro prodotto finanziario e non è disponibile separatamente. Questo divieto assoluto è in contrasto con la direttiva perché le pratiche di commercializzazione abbinata sarebbero sleali e quindi vietate ai sensi della direttiva solo in seguito a una valutazione caso per caso. L'articolo 12 prevale sulle disposizioni generali della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Le pratiche di commercializzazione abbinata, ai sensi dell'articolo 12 della direttiva sul credito ipotecario, sono quindi vietate in quanto tali.

Qualora le tre condizioni di cui sopra siano tutte soddisfatte, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali non si applica all'aspetto specifico della pratica commerciale disciplinato, ad esempio, da una norma settoriale. La direttiva rimane nondimeno pertinente per valutare altri possibili aspetti della pratica commerciale non contemplati dalle disposizioni settoriali come, ad esempio, il comportamento aggressivo di un professionista.

Per esempio:

Per il passaggio a un altro fornitore di servizi di telecomunicazione il fornitore attuale chiede al consumatore di compilare un modulo. Il modulo tuttavia non è accessibile online e il fornitore non risponde ai messaggi di posta elettronica né alle telefonate del consumatore. L'articolo 106 del codice europeo delle comunicazioni elettroniche (22) prevede che, all'atto del passaggio a un altro fornitore, gli abbonati possano conservare il proprio numero di telefono, che il trasferimento dei numeri sia effettuato nel più breve tempo possibile e che non siano applicati oneri diretti agli utenti finali. Il codice stabilisce inoltre, all'articolo 106, paragrafo 6, che i fornitori devono cooperare in buona fede e non devono causare abusi o ritardi nelle operazioni. Le autorità nazionali di regolamentazione hanno il compito di garantire l'efficienza e la semplicità della procedura di passaggio per l'utente finale. Inoltre le pratiche poste in essere dai professionisti in relazione al passaggio possono essere valutate alla luce dell'articolo 8 e dell'articolo 9, lettera d), della direttiva, che vietano gli ostacoli non contrattuali sproporzionati al passaggio a un altro operatore in quanto pratica commerciale aggressiva.

Da quanto precede consegue che, in generale, l'applicazione della direttiva non è di per sé esclusa solo perché esistono altre normative dell'UE che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali.

Nella causa Abcur (23) la Corte ha osservato quanto segue:

«(…) il giudice di rinvio chiede, sostanzialmente, se, nell'ipotesi in cui medicinali ad uso umano […] ricadessero nella sfera di applicazione della direttiva 2001/83, pratiche pubblicitarie relative ai medicinali stessi […] possano parimenti ricadere nell'ambito della direttiva 2005/29. (…)

Come già rilevato dalla Corte, la direttiva 2005/29 è caratterizzata da una sfera di applicazione sostanziale particolarmente ampia che si estende a qualsiasi pratica commerciale che presenti un nesso diretto con la promozione, la vendita o la fornitura di un prodotto ai consumatori (…).

(...) si deve rispondere (…) dichiarando che, anche nell'ipotesi in cui medicinali ad uso umano, come quelli oggetto dei procedimenti principali, ricadessero nella sfera di applicazione della direttiva 2001/83, pratiche pubblicitarie relative a tali medicinali (…) sarebbero parimenti suscettibili di ricadere nella sfera della direttiva 2005/29, sempreché ricorrano le condizioni ai fini dell'applicazione della direttiva medesima».

Pertanto la direttiva sulle pratiche commerciali sleali può essere generalmente applicata assieme alle norme settoriali dell'UE in maniera complementare in quanto i requisiti più specifici stabiliti da altre norme dell'UE di solito si aggiungono ai requisiti generali stabiliti dalla direttiva. Di norma la direttiva può essere usata per impedire ai professionisti di fornire le informazioni richieste dalla normativa settoriale in modo ingannevole o aggressivo, salvo il caso in cui tale aspetto sia specificamente disciplinato dalle norme settoriali.

L'interazione con gli obblighi di informazione previsti dagli strumenti settoriali dell'UE è stata evidenziata nella causa Dyson contro BSH (24). Il procedimento riguardava l'etichettatura degli aspirapolvere ed era volto a stabilire se la mancanza di informazioni specifiche relative alle condizioni della prova, che non sono richieste dalle norme settoriali in questione (25), possa costituire un'omissione ingannevole. La Corte ha confermato che, in caso di contrasto tra la direttiva sulle pratiche commerciali sleali e la normativa settoriale, prevale quest'ultima, il che nel caso di specie significa che le informazioni non richieste dall'etichetta energetica dell'UE non possono essere considerate «informazioni rilevanti» e che non è possibile apporre altre informazioni.

L'interazione con le norme settoriali è stata inoltre esaminata nell'ambito del procedimento Mezina (26). La causa riguardava indicazioni sulla salute fornite in relazione a integratori alimentari naturali. Il regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (27) relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari si applica alle indicazioni nutrizionali e sulla salute figuranti in comunicazioni commerciali, sia nell'etichettatura sia nella presentazione o nella pubblicità dei prodotti alimentari forniti al consumatore finale. In caso di contrasto tra le disposizioni del regolamento (CE) n. 1924/2006 e la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, le disposizioni di tale regolamento prevalgono in materia di indicazioni sulla salute.

1.2.2.   Informazioni qualificate come «rilevanti» da altre normative dell'UE

La direttiva sulle pratiche commerciali sleali stabilisce che gli obblighi di informazione, previsti da altre normative dell'UE, connessi alle comunicazioni commerciali sono «rilevanti».

Articolo 7, paragrafo 5

5.

Sono considerati rilevanti gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o il marketing, di cui l'allegato II fornisce un elenco non completo.

Tali obblighi di informazione sono contenuti in vari atti legislativi settoriali dell'UE. Per esempio:

ambiente (ad es. regolamento quadro sull'etichettatura energetica (28) e relativi regolamenti delegati, direttiva sulla progettazione ecocompatibile (29) e relativi regolamenti delegati, regolamento sull'etichettatura dei pneumatici (30), direttiva sul risparmio di carburante (31));

servizi finanziari (ad es. direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (32), direttiva sui servizi di pagamento (33), direttiva sul credito ai consumatori (34), direttiva sul credito ipotecario (35), direttiva sul conto di pagamento (36) e regolamento sui documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento preassemblati (37));

salute (ad es. direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (38));

servizi di comunicazione elettronica (codice europeo delle comunicazioni elettroniche (39));

trasporti (ad es. regolamento sui servizi aerei (40), regolamenti sui diritti dei passeggeri (41));

settore alimentare (ad es. regolamento generale in materia di legislazione alimentare (42), regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (43)).

Tali obblighi di informazione sono spesso più specifici di quelli previsti dalla direttiva.

L'articolo 7, paragrafo 5, della direttiva precisa che tali obblighi di informazione «sono considerati rilevanti».

Per esempio:

L'articolo 23 del regolamento sui servizi aerei impone ai vettori aerei, ai loro agenti e ad altri venditori di biglietti di indicare, quando offrono biglietti aerei, il prezzo finale ripartito per ciascuna componente (per es. tariffa aerea passeggeri, tasse, diritti aeroportuali e altri diritti e tasse, quali quelli connessi alla sicurezza e ai carburanti). Queste costituiscono informazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 5, della direttiva.

Pertanto l'omessa fornitura di tali informazioni può configurarsi come pratica commerciale ingannevole ai sensi della direttiva e occorre valutarla alla luce del criterio generale della decisione di natura commerciale, cioè stabilendo se l'omissione induca o sia idonea a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. La nozione di «informazioni rilevanti» ai sensi della direttiva è esaminata al punto 2.9.1.

Il considerando 15 prevede che gli Stati membri possono mantenere gli obblighi di informazione o prevedere obblighi aggiuntivi riguardanti il diritto contrattuale qualora ciò sia consentito dalle clausole minime di armonizzazione previste dai vigenti strumenti giuridici dell'UE.

Per esempio:

Gli Stati membri possono introdurre obblighi aggiuntivi precontrattuali per le vendite effettuate nei locali commerciali alle quali si applica la clausola minima di armonizzazione di cui all'articolo 5, paragrafo 4, della direttiva sui diritti dei consumatori.

1.2.3.   Interazione con la direttiva sui diritti dei consumatori

La direttiva sui diritti dei consumatori (44) si applica a tutti i contratti tra imprese e consumatori, tranne che nei settori che non rientrano nel suo ambito di applicazione, quali i servizi finanziari e sanitari. Essa armonizza completamente gli obblighi di informazione precontrattuale per i contratti a distanza (anche online) e per quelli negoziati fuori dei locali commerciali (vale a dire contratti che non sono conclusi nei negozi tradizionali; per la definizione completa, cfr. articolo 2, paragrafo 8, della direttiva sui diritti dei consumatori). Al contempo, come prescritto all'articolo 6, paragrafo 8, della direttiva sui diritti dei consumatori, la direttiva non osta a che gli Stati membri impongano obblighi di informazione aggiuntivi conformemente alla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi (45) e alla direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al commercio elettronico (46) (per ulteriori informazioni, cfr. la sezione 4.1.1 degli orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva sui diritti dei consumatori (47)). Per quanto riguarda gli altri contratti, in particolare quelli conclusi nei negozi tradizionali («contratti negoziati nei locali commerciali»), la direttiva consente agli Stati membri di emanare o mantenere obblighi aggiuntivi di informazione precontrattuale (articolo 5, paragrafo 4). La direttiva sui diritti dei consumatori disciplina inoltre taluni diritti contrattuali, in particolare il diritto di recesso.

Per gli inviti all'acquisto gli obblighi di informazione precontrattuale previsti nella direttiva sui diritti dei consumatori sono più dettagliati rispetto agli obblighi di informazione prescritti dall'articolo 7, paragrafo 4), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Ai sensi di quest'ultima un invito all'acquisto concerne le informazioni fornite sia nella fase di marketing (pubblicità) sia prima della firma del contratto. In quest'ultimo caso può essere presente una sovrapposizione tra gli obblighi di informazione di cui all'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e gli obblighi di informazione precontrattuale previsti dalla direttiva sui diritti dei consumatori. La differenza tra informazione precontrattuale e invito all'acquisto è trattata in modo più approfondito al punto 2.9.5.

Dato il carattere più esaustivo degli obblighi di informazione previsti dalla direttiva sui diritti dei consumatori, il rispetto degli obblighi previsti da detta direttiva nella fase precontrattuale dovrebbe assicurare di norma anche la conformità all'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali in relazione al contenuto delle informazioni. Tuttavia la direttiva sulle pratiche commerciali sleali è comunque applicabile per la valutazione di eventuali pratiche commerciali ingannevoli o aggressive da parte di un professionista, anche per quanto riguarda la forma e la presentazione di tali informazioni al consumatore.

Un altro esempio di complementarità tra i due strumenti riguarda le conseguenze delle pratiche di «fornitura non richiesta», che sono vietate ai sensi dei punti 21) e 29) dell'allegato I della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. L'articolo 27 della direttiva sui diritti dei consumatori precisa che il «consumatore è esonerato dall'obbligo di fornire qualsiasi prestazione corrispettiva» e in tali casi «l'assenza di una risposta da parte del consumatore (...) non costituisce consenso».

La nozione di fornitura non richiesta è stata ulteriormente interpretata dalla Corte, la quale ha chiarito che, poiché la direttiva sui diritti dei consumatori e la direttiva sulle pratiche commerciali sleali non disciplinano la formazione dei contratti, spetta ai giudici nazionali valutare, conformemente alla normativa nazionale, se un contratto possa essere considerato concluso, ad esempio, tra una società di distribuzione di acqua e un consumatore in mancanza di un consenso espresso di quest'ultimo (48).

In tale contesto la Corte ha inoltre chiarito che il punto 29) dell'allegato I non comprende una pratica commerciale di una società di distribuzione di acqua potabile che mantiene l'allaccio alla rete pubblica di distribuzione di acqua in caso di trasferimento di un consumatore in un'abitazione precedentemente occupata, allorché il consumatore non ha la possibilità di scegliere il fornitore di tale servizio, il fornitore fattura tariffe a copertura dei costi, trasparenti e non discriminatorie, in funzione del consumo di acqua e detto consumatore è a conoscenza del fatto che l'abitazione di cui trattasi è allacciata alla rete pubblica di distribuzione di acqua e che la fornitura di acqua è a pagamento (49).

La Corte ha inoltre chiarito che l'articolo 27 della direttiva sui diritti dei consumatori, in combinato disposto con l'articolo 5, paragrafi 1 e 5, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, non osta ad una normativa nazionale che impone ai proprietari di un appartamento in un immobile in condominio allacciato ad una rete di teledistribuzione di calore di contribuire ai costi di consumo d'energia termica delle parti comuni e dell'impianto interno dell'immobile, sebbene non abbiano fatto richiesta individuale di fornitura del riscaldamento e non l'utilizzino nel loro appartamento, giacché il contratto era stato stipulato su richiesta della maggioranza dei proprietari (50).

1.2.4.   Interazione con la direttiva sulle clausole contrattuali abusive

La direttiva sulle clausole contrattuali abusive (51) si applica a tutti i contratti tra imprese e consumatori e riguarda le clausole che non sono state preventivamente oggetto di negoziato individuale (ad es. clausole di adesione standardizzate). Le clausole contrattuali possono essere considerate abusive alla luce di un divieto generale (52), di un elenco indicativo di clausole potenzialmente abusive (53) o dell'obbligo di redigere le clausole in modo trasparente, vale a dire chiaro e comprensibile (54). A differenza della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, che non pregiudica l'applicazione del diritto contrattuale e non contiene disposizioni che disciplinino l'invalidità dei contratti derivanti da pratiche commerciali sleali, le violazioni della direttiva sulle clausole contrattuali abusive comportano conseguenze contrattuali: ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva, le clausole abusive contenute in un contratto con un consumatore «non vincolano il consumatore» (55).

Relazione tra le clausole contrattuali abusive e le pratiche commerciali sleali

La direttiva sulle clausole contrattuali abusive si applica ai contratti tra imprese e consumatori in tutti i settori dell'attività economica; in altri termini essa può applicarsi parallelamente ad altre disposizioni del diritto UE, comprese altre disposizioni in materia di protezione dei consumatori come ad esempio quelle della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

La Corte ha chiarito alcuni elementi della relazione fra queste due direttive nella causa Pereničová e Perenič, concernente un contratto di credito in cui era indicato un tasso annuo effettivo globale inferiore a quello reale (56).

La Corte ha concluso che tali informazioni erronee relative al prezzo totale del credito fornite nelle clausole contrattuali sono «ingannevoli» ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, qualora inducano o siano idonee a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Il fatto che un professionista ricorra a una siffatta pratica commerciale sleale costituisce uno degli elementi di cui tenere conto per la valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali ai sensi della direttiva sulle clausole contrattuali abusive (57). In particolare tale elemento può essere utilizzato per stabilire se una clausola contrattuale che su di esso si basa crei, a danno del consumatore, un «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, e dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sulle clausole contrattuali abusive. Analogamente tale elemento potrebbe essere pertinente per valutare se una clausola contrattuale sia trasparente ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, e dell'articolo 5 della direttiva sulle clausole contrattuali abusive (58). Allo stesso tempo l'accertamento di una pratica commerciale sleale posta in essere da un professionista non ha diretta incidenza sulla validità del contratto ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva, fatte salve eventuali disposizioni nazionali in virtù delle quali il contratto stipulato sulla base di pratiche commerciali sleali sia nullo nel suo complesso (59).

La Corte non si è pronunciata direttamente per stabilire se, viceversa, l'inserzione di clausole contrattuali abusive ai sensi della direttiva sulle clausole contrattuali abusive debba essere considerata una pratica commerciale sleale ai sensi della stessa direttiva. Ciononostante si può sostenere che l'impiego di siffatte clausole contrattuali abusive, che non sono giuridicamente vincolanti per il consumatore, potrebbe in alcuni casi essere pertinente per l'individuazione di una pratica commerciale abusiva. In particolare può essere indice di un'azione ingannevole ai sensi dell'articolo 6 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, nella misura in cui determina informazioni false o inganna il consumatore medio riguardo ai diritti e agli obblighi delle parti contraenti. Inoltre il ricorso a clausole contrattuali non trasparenti, che non sono redatte in modo chiaro e comprensibile ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, e dell'articolo 5 della direttiva sulle clausole contrattuali abusive, dovrebbe essere preso in considerazione al momento di valutare la trasparenza delle informazioni rilevanti e l'esistenza di una omissione ingannevole ai sensi dell'articolo 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (60). Inoltre l'impiego di clausole contrattuali abusive potrebbe indicare che un professionista non ha rispettato le norme di diligenza professionale di cui all'articolo 5 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

Soltanto in alcuni Stati membri le autorità per la tutela dei consumatori dispongono di poteri specifici in materia di clausole contrattuali per vietare l'uso di clausole standardizzate non negoziate che considerano abusive senza dover promuovere un'azione nei confronti del professionista (61).

Valutazione d'ufficio

Secondo la giurisprudenza costante della Corte i giudici nazionali sono tenuti a esaminare d'ufficio le clausole contrattuali abusive (62), vale a dire anche qualora la natura abusiva delle clausole contrattuali non sia sollevata dal consumatore. L'obbligo discende dall'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva sulle clausole contrattuali abusive, che stabilisce che le clausole abusive non devono vincolare il consumatore, nonché dal principio di effettività, in base al quale le misure di attuazione nazionali non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti ai consumatori dal diritto dell'Unione (63). Il requisito di un controllo d'ufficio è stato giustificato dalla considerazione secondo cui il sistema di tutela istituito dalla direttiva sulle clausole contrattuali abusive è fondato sull'idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte preventivamente dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (64). Pertanto esiste un rischio non trascurabile che, soprattutto per ignoranza, i consumatori non facciano valere la norma giuridica intesa a tutelarli.

Nella causa Bankia (65) la Corte ha ricordato che un giudice nazionale che valuti il carattere abusivo delle clausole contrattuali alla luce della direttiva sulle clausole contrattuali abusive, anche d'ufficio, ha la possibilità di valutare, nell'ambito di tale controllo, il carattere sleale di una pratica commerciale su cui tale contratto è basato (66).

Per contro la Corte ha stabilito che, negli altri casi, i giudici nazionali non sono tenuti a valutare d'ufficio se un determinato contratto o una qualsiasi delle sue clausole siano stati conclusi per effetto di pratiche commerciali sleali (67). In particolare la Corte ha constatato che durante un procedimento di esecuzione ipotecaria non è necessario che i giudici nazionali siano in grado di controllare se il titolo esecutivo violi o meno la direttiva sulle pratiche commerciali sleali in quanto tale direttiva non impone tale obbligo a carico dei giudici nazionali.

Tale interpretazione è stata giustificata dal fatto che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali non prevede conseguenze contrattuali, a differenza dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva sulle clausole contrattuali abusive. Inoltre la Corte ha spiegato che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in particolare l'articolo 11, non contiene requisiti simili a quelli di cui all'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva sulle clausole contrattuali abusive, che osta a una normativa nazionale che non preveda la possibilità di adottare provvedimenti provvisori nel contesto di procedimenti esecutivi. L'assenza di provvedimenti provvisori limiterebbe i rimedi di cui i consumatori dispongono a norma della direttiva sulle clausole contrattuali abusive soltanto a una tutela a posteriori meramente risarcitoria nel caso in cui l'esecuzione avesse luogo prima che il giudice pronunci la decisione con cui dichiara abusiva la clausola contrattuale che si trova all'origine dell'ipoteca e, di conseguenza, nullo il procedimento esecutivo (68).

Tuttavia la direttiva (UE) 2019/2161 per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell'Unione relative alla protezione dei consumatori introduce rimedi individuali per coloro che sono danneggiati da violazioni delle disposizioni della direttiva sulle pratiche commerciali sleali inserendo nella direttiva stessa un nuovo articolo 11 bis , applicabile a decorrere dal 28 maggio 2022. In base a tale nuova disposizione i consumatori lesi da pratiche commerciali sleali dovrebbero avere accesso a rimedi proporzionati ed effettivi, compresi il risarcimento del danno subito dal consumatore e, se pertinente, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto (per ulteriori informazioni, cfr. punto 1.4). L'inserimento di questa nuova disposizione chiara e inequivocabile potrebbe determinare l'estensione dell'obbligo di controllo d'ufficio alle pratiche commerciali sleali a norma della direttiva (che la Corte dovrà confermare).

1.2.5.   Interazione con la direttiva sull'indicazione dei prezzi

La direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull'indicazione dei prezzi (69) obbliga i commercianti a indicare il prezzo di vendita e il prezzo per unità di misura dei prodotti al fine di agevolare il raffronto dei prezzi. Inoltre la direttiva (UE) 2019/2161 ha inserito nella suddetta direttiva norme specifiche in materia di «riduzioni di prezzo».

Per quanto riguarda l'interazione tra la direttiva sulle pratiche commerciali sleali e i requisiti della direttiva sull'indicazione dei prezzi in merito all'indicazione del prezzo di vendita, la Corte ha chiarito, nella sentenza Citroën (punti da 44 a 46), che la direttiva sull'indicazione dei prezzi disciplina aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali nelle relazioni tra i commercianti e i consumatori ai fini dell'articolo 3, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, ossia quelle riguardanti l'indicazione, nelle offerte di vendita e nella pubblicità, del prezzo di vendita dei prodotti (70). Pertanto si applica la direttiva sull'indicazione dei prezzi, e non la direttiva sulle pratiche commerciali sleali (articolo 7, paragrafo 4, lettera c)), « dal momento che l'aspetto relativo al prezzo di vendita menzionato in una pubblicità come quella di cui trattasi nel procedimento principale è disciplinato dalla direttiva 98/6».

Nel caso di specie l'aspetto pertinente era costituito dalla mancata indicazione, da parte del professionista, del prezzo finale, ossia del prezzo comprensivo delle spese supplementari obbligatorie che erano state indicate separatamente nell'annuncio pubblicitario riguardante l'autoveicolo. Pertanto l'articolo 2 della direttiva sull'indicazione dei prezzi, che definisce il prezzo di vendita come prezzo finale valido per il prodotto, comprensivo dell'IVA e di ogni altra imposta, non osta all'applicazione di altri requisiti dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera c), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali in merito ad aspetti che non sono da esso disciplinati. In particolare i professionisti devono ottemperare all'obbligo, previsto dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, di includere in un invito all'acquisto anche informazioni riguardo a possibili spese aggiuntive qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo.

Le modifiche introdotte nella direttiva sull'indicazione dei prezzi dalla direttiva (UE) 2019/2161 obbligano gli Stati membri ad adottare norme specifiche in materia di riduzioni di prezzo (71). Conformemente all'articolo 6 bis il professionista che annunci la «riduzione di un prezzo» deve indicare il «prezzo precedente», definito come il prezzo più basso applicato da detto professionista durante il periodo precedente non inferiore a trenta giorni.

Per analogia con quanto precisato dalla Corte nella sentenza Citroën, le disposizioni specifiche della direttiva sull'indicazione dei prezzi che disciplinano le riduzioni di prezzo dovrebbero prevalere sulla direttiva sulle pratiche commerciali sleali per quanto riguarda gli aspetti della riduzione di prezzo che sono disciplinati da tali disposizioni specifiche, in particolare la definizione e l'indicazione del prezzo «precedente» al momento di pubblicare un annuncio di riduzione del prezzo. Tuttavia la direttiva sulle pratiche commerciali sleali resta applicabile ad altri aspetti delle riduzioni di prezzo, in particolare l'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), relativo alle dichiarazioni ingannevoli riguardo all'esistenza di un vantaggio quanto al prezzo. Potrebbe applicarsi, ad esempio, a diversi aspetti ingannevoli delle pratiche di riduzione dei prezzi, quali:

periodi eccessivamente lunghi durante i quali sono annunciate riduzioni di prezzo rispetto al periodo durante il quale i prodotti sono venduti a prezzo «pieno»;

il fatto di pubblicizzare una promozione, ad esempio uno sconto «fino al 70 %» quando invece soltanto pochi articoli sono scontati al 70 % mentre agli altri è applicato uno sconto inferiore.

È possibile che tali pratiche configurino una violazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (articolo 6, paragrafo 1, lettera d)), in base a una valutazione caso per caso, nonostante il fatto che il professionista abbia ottemperato ai requisiti della direttiva sull'indicazione dei prezzi per quanto riguarda la definizione e l'indicazione del prezzo «precedente». Per contro nel caso di un professionista che risulti aver violato le disposizioni della direttiva sull'indicazione dei prezzi concernenti le riduzioni di prezzo, ossia quelle relative alla definizione e all'indicazione del «prezzo precedente», potrebbe essere riscontrata anche una violazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

Inoltre la direttiva sull'indicazione dei prezzi si applica esclusivamente a beni materiali e non a servizi e contenuti digitali, pertanto le disposizioni generali della direttiva sulle pratiche commerciali sleali continuano ad essere pienamente applicabili alle pratiche di riduzione dei prezzi riguardanti tali altri prodotti.

Infine, poiché la direttiva sull'indicazione dei prezzi si applica esclusivamente alle «riduzioni di prezzo» quali specificamente definite nella direttiva stessa, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali rimane pienamente applicabile e disciplina altri tipi di pratiche che promuovono vantaggi quanto al prezzo, ad esempio raffronti con altri prezzi, offerte congiunte o offerte condizionate vincolate e programmi di fedeltà (cfr. punto 2.8.2). La direttiva sulle pratiche commerciali sleali si applica anche ai prezzi personalizzati (cfr. punto 4.2.8.).

1.2.6.   Interazione con la direttiva sulla pubblicità ingannevole e comparativa

La direttiva sulla pubblicità ingannevole e comparativa (72) si applica alle relazioni tra imprese (B2B). Tuttavia le sue disposizioni sulla pubblicità comparativa continuano a fornire un parametro generale, basato su criteri pienamente armonizzati, per valutare la liceità della pubblicità comparativa anche nelle operazioni commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori (B2C) (73).

L'articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali qualifica come ingannevole una pratica che, anche tramite la pubblicità comparativa, ingeneri confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente. Al tempo stesso ai sensi dell'articolo 4, lettera a), della direttiva sulla pubblicità ingannevole la pubblicità comparativa non è ritenuta lecita qualora sia ingannevole ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

Queste due direttive rimandano dunque l'una all'altra. Poiché si applicano alle operazioni commerciali sia B2C sia B2B, le condizioni per valutare la liceità della pubblicità comparativa, stabilite all'articolo 4 della direttiva sulla pubblicità ingannevole, hanno carattere generale e comprendono anche alcuni aspetti della concorrenza sleale (ad es. denigrazione di marchi). Pertanto detta direttiva stabilisce le condizioni per effettuare tale valutazione alla luce della direttiva sulle pratiche commerciali sleali nelle operazioni commerciali B2C o impone obblighi aggiuntivi a carico dei professionisti, principalmente i concorrenti, nelle operazioni commerciali B2B.

Negli Stati membri che hanno esteso integralmente o parzialmente le disposizioni della direttiva sulle pratiche commerciali sleali alle operazioni commerciali B2B tali disposizioni, come recepite nel diritto nazionale, in pratica sostituiscono le disposizioni pertinenti della direttiva sulla pubblicità ingannevole nelle relazioni B2B. Occorre rilevare che alcuni paesi hanno anche adottato norme specifiche per le operazioni commerciali B2B.

La Corte ha esaminato l'interazione tra la direttiva sulla pubblicità ingannevole e la direttiva sulle pratiche commerciali sleali nell'ambito della causa Carrefour (74), riguardante la pubblicità comparativa che potrebbe avere carattere ingannevole ai sensi dell'articolo 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. La pratica in questione si riferisce a una pubblicità in cui sono posti a confronto i prezzi di prodotti venduti in negozi diversi quanto a tipologia o dimensioni, laddove tali negozi appartengano ad insegne ognuna delle quali dispone di una gamma di negozi diversi quanto a tipologia o dimensioni (ad esempio ipermercati e supermercati) e l'operatore pubblicitario confronti i prezzi applicati nei negozi di dimensioni o tipologia superiori della propria insegna con quelli rilevati in negozi di dimensioni o tipologia inferiori delle insegne concorrenti. La Corte ha ritenuto che questo tipo di pratica pubblicitaria potrebbe essere illecita ai sensi dell'articolo 4, lettere a) e c), della direttiva sulla pubblicità ingannevole, in combinato disposto con l'articolo 7, paragrafi da 1 a 3, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, a meno che i consumatori non siano informati, in modo chiaro e dal messaggio pubblicitario stesso, che il raffronto è stato effettuato fra i prezzi applicati nei negozi di dimensioni o tipologia superiori dell'insegna dell'operatore pubblicitario e quelli rilevati in negozi di dimensioni o tipologia inferiori delle insegne concorrenti (75).

1.2.7.   Interazione con la direttiva sui servizi

Al contrario degli atti legislativi settoriali, la direttiva sui servizi (76) ha un vasto ambito di applicazione. Si applica ai servizi in generale, come definiti nel trattato sul funzionamento dell'Unione europea, fatte salve alcune eccezioni. Pertanto non può essere considerata una lex specialis rispetto alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 4.

Di conseguenza gli obblighi di informazione di cui all'articolo 22 della direttiva sui servizi si applicano in aggiunta alle informazioni richieste nel caso degli inviti all'acquisto ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

1.2.8.   Interazione con la direttiva sul commercio elettronico

La direttiva sul commercio elettronico (77) si applica ai servizi della società dell'informazione, che di norma comprendono i servizi forniti dai gestori di siti internet e piattaforme online che consentono ai consumatori di acquistare un prodotto o servizio.

L'articolo 5 della direttiva sul commercio elettronico stabilisce gli obblighi di informazione generali a carico dei prestatori di servizi, mentre l'articolo 6 stabilisce le informazioni da fornire nelle comunicazioni commerciali. Gli obblighi di informazione stabiliti in questi due articoli costituiscono obblighi minimi.

L'articolo 6, in particolare, impone agli Stati membri di provvedere affinché i professionisti identifichino chiaramente le offerte promozionali, come ribassi, premi od omaggi, qualora permesse dallo Stato membro in cui è stabilito il prestatore, e le condizioni per beneficiarne.

Il 15 dicembre 2020 la Commissione ha pubblicato due proposte relative rispettivamente a una legge sui servizi digitali (78) e a una legge sui mercati digitali (79). La legge sui servizi digitali mira ad aggiornare ed ampliare le norme in materia di commercio elettronico e piattaforme nell'UE; la legge sui mercati digitali è invece volta a imporre obblighi aggiuntivi a carico di taluni servizi gestiti dai cosiddetti gatekeeper (controllori dell'accesso) (80).

1.2.9.   Interazione con la direttiva sui servizi di media audiovisivi

La direttiva sui servizi di media audiovisivi (81) si applica ai servizi lineari e non lineari (ossia ai servizi di radiodiffusione televisiva e ai servizi di media audiovisivi a richiesta), che possono comprendere comunicazioni commerciali audiovisive destinate a promuovere, direttamente o indirettamente, beni o servizi (ad es. pubblicità televisiva, sponsorizzazione, televendita o inserimento di prodotti).

L'articolo 5 della direttiva sui servizi di media audiovisivi stabilisce gli obblighi di informazione generali a carico dei fornitori di servizi, mentre l'articolo 9 contiene le prescrizioni che tutte le comunicazioni commerciali audiovisive devono rispettare. Gli articoli 10 e 11 stabiliscono rispettivamente le condizioni che i servizi di media audiovisivi devono rispettare in caso di sponsorizzazione e di inserimento di prodotti. La direttiva sui servizi di media audiovisivi prevede anche altri criteri più rigorosi che si applicano soltanto alla pubblicità televisiva e alla televendita (capo VII concernente la pubblicità televisiva e la televendita).

La revisione del 2018 della direttiva (82) ha esteso alcune di queste disposizioni alle piattaforme per la condivisione di video (articolo 28 ter). Tali piattaforme devono ora conformarsi ai requisiti di cui all'articolo 9, paragrafo 1, relativamente alle comunicazioni commerciali audiovisive promosse commercialmente, vendute o organizzate dalle piattaforme stesse e adottare misure adeguate per garantire la conformità ai requisiti relativamente alle comunicazioni commerciali audiovisive non promosse commercialmente, vendute o organizzate dalle piattaforme stesse. La direttiva riveduta contiene inoltre prescrizioni in materia di informazione per le comunicazioni commerciali audiovisive nelle piattaforme per la condivisione di video. La Commissione ha adottato orientamenti (83) relativi all'applicazione pratica della definizione di servizio di piattaforma per la condivisione di video.

La direttiva sulle pratiche commerciali sleali si applica alle pratiche poste in essere nel settore dei servizi di media audiovisivi, quali le pratiche ingannevoli e aggressive, nella misura in cui non sono contemplate dalle disposizioni summenzionate.

1.2.10.   Interazione con il regolamento generale sulla protezione dei dati e con la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche

Il rispetto della vita privata e della vita familiare e la protezione dei dati di carattere personale sono diritti fondamentali sanciti dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. A norma dell'articolo 7 ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni. Per quanto riguarda la protezione dei dati di carattere personale l'articolo 8, paragrafo 2, della Carta enuncia principi fondamentali in materia di protezione dei dati (trattamento secondo il principio di lealtà, consenso o altra finalità legittima prescritta dalla legge, diritto di accesso e di rettifica). L'articolo 8, paragrafo 3, della Carta prevede che il rispetto delle regole relative alla protezione dei dati sia soggetto al controllo di un'autorità indipendente (84).

Il regolamento generale sulla protezione dei dati (85) (GDPR) disciplina la protezione dei dati personali e la libera circolazione di tali dati. Le norme in materia di protezione dei dati sono applicate dalle autorità nazionali di controllo e dalle autorità giurisdizionali nazionali. Il GDPR si applica al trattamento dei «dati personali». Per dato personale si intende qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»). Si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un numero di identificazione o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale.

Il trattamento dei dati personali, che comprende la raccolta e la conservazione dei dati personali, deve essere eseguito in modo lecito e corretto. La correttezza del trattamento presuppone, tra l'altro, che all'interessato siano fornite informazioni pertinenti, anche in merito alle finalità del trattamento, in considerazione delle specifiche circostanze in cui i dati sono raccolti. Per essere lecito e corretto, il trattamento dei dati personali deve rispettare i principi di protezione dei dati e ogni attività di trattamento deve basarsi su almeno uno dei sei motivi legittimi per procedere al trattamento (cfr. articolo 6, paragrafo 1, del GDPR). Uno di tali motivi è l'espressione del consenso da parte dell'interessato. Un altro motivo è l'esistenza di un obbligo legale di trattamento dei dati al quale è soggetto il titolare del trattamento ai sensi del diritto dell'Unione o degli Stati membri (ad es. l'obbligo «know-your-customer» ossia di conoscere il cliente).

La direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche (86) precisa e integra il GDPR per quanto riguarda il trattamento dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche, in quanto facilita la libera circolazione di tali dati e delle apparecchiature e dei servizi di comunicazione elettronica. In particolare l'articolo 5, paragrafo 3, di tale direttiva stabilisce che è necessario ottenere il consenso dell'utente quando si utilizzano marcatori («cookies») o altre forme di accesso a informazioni e di archiviazione di informazioni sul dispositivo di una persona (ad es. tablet o smartphone), tranne nei casi in cui tale archiviazione o accesso sia necessario per effettuare la trasmissione di una comunicazione o per erogare un servizio della società dell'informazione esplicitamente richiesto da un utente.

Le strutture commerciali basate sui dati sono sempre più diffuse nel mondo online. In particolare le piattaforme online analizzano, trattano e vendono dati relativi alle preferenze dei consumatori e altri contenuti generati dagli utenti. Queste attività, assieme alla pubblicità, spesso costituiscono la loro principale fonte di entrate. La raccolta e il trattamento dei dati personali in questo tipo di situazioni devono rispettare i suddetti obblighi giuridici previsti dalla direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche e dal GDPR.

La violazione, da parte di un professionista, del GDPR o della direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche non sempre significa, di per sé, che la pratica costituisce anche una violazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Tuttavia la violazione delle norme in materia di protezione dei dati e della vita privata dovrebbe essere presa in considerazione quando si valuta il carattere sleale di una pratica commerciale ai sensi di quest'ultima direttiva, in particolare nel caso in cui il professionista esegua il trattamento dei dati dei consumatori in violazione degli obblighi in materia di protezione dei dati e della vita privata, cioè a fini di invio di materiale pubblicitario o per qualsiasi altra finalità commerciale, come la profilazione, i prezzi personalizzati o le applicazioni relative ai megadati.

Dal punto di vista della direttiva sulle pratiche commerciali sleali il primo aspetto da esaminare riguarda la trasparenza della pratica. Ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva i professionisti non devono ingannare i consumatori su aspetti che possono incidere sulle loro decisioni di natura commerciale. Più specificamente l'articolo 7, paragrafo 2, e l'allegato I, punto 22), vietano ai professionisti di occultare l'intento commerciale della pratica commerciale. Cfr. altresì il punto 3.4 relativo all'uso dell'indicazione «gratuito» per descrivere i prodotti digitali, che potrebbe costituire una violazione dell'allegato I, punto 20).

Inoltre gli obblighi di informazione derivanti dal GDPR e dalla direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche potrebbero essere considerati rilevanti ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 5, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. I dati personali, le preferenze dei consumatori e altri contenuti generati dagli utenti hanno un valore economico e spesso sono messi a disposizioni di terzi. Di conseguenza, ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, e dell'allegato I, punto 22), della direttiva, se il professionista non comunica al consumatore che i dati forniti saranno usati a fini commerciali, questa pratica può essere considerata un'omissione ingannevole di informazioni rilevanti, nonché una violazione dell'obbligo di trasparenza e di altri obblighi di cui agli articoli da 12 a 14 del GDPR.

1.2.11.   Interazione con gli articoli 101 e 102 TFUE (regole di concorrenza dell'UE)

Il regolamento (CE) n. 1/2003 (87) del Consiglio stabilisce il quadro giuridico per l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 101 e 102 TFUE. Entrambi gli articoli lasciano impregiudicata la direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

L'articolo 101, paragrafo 1, TFUE vieta, in talune circostanze, gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche concordate, quali la fissazione dei prezzi d'acquisto o di vendita o di altre condizioni di transazione, che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno dell'UE.

L'articolo 102 del TFUE vieta, in talune circostanze, lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante da parte di una o più imprese. Tale comportamento abusivo può consistere, ad esempio, nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza, oppure nell'imporre direttamente o indirettamente prezzi d'acquisto o di vendita non equi.

Il fatto che un determinato comportamento violi l'articolo 101 o l'articolo 102 TFUE non significa automaticamente che esso sia sleale ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (o viceversa). Tuttavia nel valutare il carattere sleale di una pratica commerciale ai sensi della direttiva si dovrebbe tenere conto della violazione delle regole di concorrenza, nella misura in cui tale pratica può essere considerata contraria alla clausola generale di cui all'articolo 5, paragrafo 2, per quanto riguarda la «diligenza professionale».

1.2.12.   Interazione con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

Conformemente all'articolo 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri nell'attuazione del diritto dell'Unione e dunque anche nell'attuazione delle disposizioni della direttiva. La Carta contiene disposizioni, fra l'altro, in materia di protezione dei dati di carattere personale (articolo 8), diritti del minore (articolo 24), protezione dei consumatori (articolo 38) e diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale (articolo 47).

La Corte ha sottolineato l'importanza dell'articolo 47 della Carta relativo all'accesso alla giustizia in relazione ai rimedi giurisdizionali a disposizione dei consumatori per quanto riguarda i diritti loro conferiti dalle direttive dell'UE. Il principio di effettività, secondo l'interpretazione della Corte, significa che le norme procedurali nazionali non possono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti ai consumatori dal diritto dell'Unione (88).

1.2.13.   Interazione con gli articoli da 34 a 36 TFUE

Una misura nazionale in un settore che costituisce oggetto di un'armonizzazione esaustiva a livello dell'UE deve essere valutata in rapporto alle disposizioni di tale misura di armonizzazione e non di quelle del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) (89). Pertanto, quando una misura nazionale rientra nell'ambito di applicazione della direttiva (esaminato ai punti 1.1 e 1.2 supra), occorre valutarla in rapporto alla direttiva e non al TFUE.

Le misure nazionali che non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva né di altri strumenti di armonizzazione di diritto secondario dell'UE devono essere valutate ai sensi degli articoli da 34 a 36 TFUE. Il divieto di misure aventi effetto equivalente alle restrizioni quantitative, di cui all'articolo 34 TFUE, si applica a ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi all'interno dell'Unione (90). Per ulteriori orientamenti sull'applicazione di tali disposizioni, cfr. anche la comunicazione della Commissione «Guida agli articoli da 34 a 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE)» (91).

La Corte si è pronunciata in numerose occasioni in merito alle situazioni in cui una norma nazionale può ostacolare gli scambi all'interno dell'Unione. In particolare nella causa Keck (92) la Corte ha stabilito che le disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita non possono costituire ostacolo diretto o indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali tra gli Stati membri, sempreché, in primo luogo, tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale e, in secondo luogo, incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri (93). Nell'elenco delle modalità di vendita la Corte include le misure relative alle condizioni e ai metodi di smercio (94), le misure riguardanti le circostanze di tempo in cui i prodotti sono venduti (95), le misure relative al luogo di distribuzione dei prodotti o le limitazioni riguardanti gli esercizi che possono vendere i prodotti (96) e le misure concernenti il controllo dei prezzi (97).

Alcune delle modalità di vendita menzionate nella giurisprudenza della Corte, con particolare riferimento alle disposizioni nazionali che disciplinano le condizioni e i metodi di smercio, rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali se riguardano pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori e se sono destinate a tutelare gli interessi economici di questi ultimi.

Molte pratiche commerciali escluse dall'ambito di applicazione della direttiva o di altre norme di diritto secondario dell'UE parrebbero costituire modalità di vendita alla luce della sentenza Keck. Tali modalità di vendita rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 34 TFUE se introducono, de jure o de facto, discriminazioni basate sull'origine dei prodotti. La discriminazione de jure si verifica quando le misure sono manifestamente discriminatorie, mentre la discriminazione de facto è più complessa. Queste misure devono essere valutate caso per caso.

Se una misura o una pratica nazionale viola l'articolo 34 TFUE, essa può, in linea di principio, essere giustificata ai sensi dell'articolo 36 TFUE o sulla base di una delle esigenze imperative di interesse generale riconosciute dalla Corte. Spetta alle autorità nazionali dimostrare che la restrizione della libera circolazione delle merci è giustificata da uno di tali motivi (98). Inoltre lo Stato membro deve dimostrare che la normativa in questione è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi pubblici ai quali fa richiamo (99).

Per essere tollerate, è necessario che dette disposizioni siano proporzionate alla finalità perseguita e che lo stesso obiettivo non possa essere perseguito con provvedimenti che ostacolino in misura minore gli scambi all'interno dell'UE (100). Più di recente la Corte ha statuito che «ai fini dell'esame della proporzionalità della restrizione di cui trattasi, occorre ancora verificare se i mezzi adoperati in tale contesto non vadano oltre quanto necessario per raggiungere l'obiettivo legittimo perseguito. In altri termini, occorrerà valutare se non vi siano misure alternative idonee a realizzare in pari modo tale obiettivo, ma con un effetto meno restrittivo sugli scambi intracomunitari» (101). La Corte ha inoltre rilevato che «occorre ricordare in tale contesto che una misura restrittiva può essere considerata conforme ai requisiti del diritto dell'Unione solo ove risponda davvero all'esigenza di conseguire la realizzazione dell'obiettivo perseguito in modo coerente e sistematico» (102).

1.2.14.   Interazione con il regolamento sulle relazioni piattaforme/imprese

Il regolamento sulle relazioni piattaforme/imprese (P2B) (103) stabilisce norme intese a garantire che gli utenti commerciali di servizi di intermediazione online e gli utenti titolari di siti web aziendali che siano in relazione con motori di ricerca online dispongano di un'adeguata trasparenza, di equità e di efficaci possibilità di ricorso. I requisiti di trasparenza previsti dal regolamento P2B riguardano anche il posizionamento nei risultati di ricerca (articolo 5).

La Commissione ha pubblicato orientamenti sulla trasparenza del posizionamento che mirano ad agevolare il rispetto dei requisiti da parte dei fornitori di servizi di intermediazione online e dei fornitori di motori di ricerca online (104).

Un requisito analogo riguardante la trasparenza del posizionamento nel settore B2C è stato introdotto dalla direttiva (UE) 2019/2161, che ha inserito nell'articolo 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali un nuovo paragrafo 4 bis. Tale paragrafo impone ai professionisti di fornire ai consumatori informazioni in merito ai parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti presentati al consumatore come risultato della sua ricerca e all'importanza relativa di tali parametri. L'interazione tra la direttiva sulle pratiche commerciali sleali e il regolamento P2B nel settore della trasparenza del posizionamento è esaminata al punto 4.2.3.

1.3.   Relazione tra la direttiva e l'autodisciplina

Articolo 2, lettera f)

«codice di condotta»: un accordo o una normativa che non sia imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici.

Articolo 10

Codici di condotta

La presente direttiva non esclude il controllo, che gli Stati membri possono incoraggiare, delle pratiche commerciali sleali esercitato dai responsabili dei codici né esclude che le persone o le organizzazioni di cui all'articolo 11 possano ricorrere a tali organismi qualora sia previsto un procedimento dinanzi ad essi, oltre a quelli giudiziari o amministrativi di cui al medesimo articolo. Il ricorso a tali organismi di controllo non è mai considerato equivalente alla rinuncia agli strumenti di ricorso giudiziario o amministrativo di cui all'articolo 11.

La direttiva riconosce l'importanza dei meccanismi di autodisciplina e chiarisce il ruolo che i responsabili dei codici e gli organismi di autodisciplina possono svolgere nell'applicazione delle norme. Gli Stati membri possono incoraggiare i responsabili dei codici a esercitare il controllo delle pratiche commerciali sleali, oltre ad applicare la direttiva.

Quando le regole previste dai codici di autodisciplina sono severe e applicate con rigore dai responsabili dei codici e/o applicate con determinazione da organismi di autodisciplina indipendenti, esse possono infatti ridurre la necessità dell'azione amministrativa o giudiziaria. Inoltre se le norme sono esigenti e gli operatori del settore in larga misura vi si conformano, tali regole possono fornire alle autorità e agli organi giurisdizionali nazionali un utile riferimento per valutare se una pratica commerciale sia sleale.

La direttiva contiene diverse disposizioni che impediscono ai professionisti di sfruttare indebitamente la fiducia che i consumatori possono riporre nei codici di autodisciplina. Tale aspetto è trattato al punto 2.8.4 concernente l'inosservanza dei codici di condotta.

1.4.   Applicazione e ricorso

1.4.1.   Applicazione a livello pubblico e privato

Conformemente all'articolo 11 della direttiva gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l'osservanza delle disposizioni della direttiva nell'interesse dei consumatori.

Tali mezzi includono disposizioni giuridiche ai sensi delle quali le persone o le organizzazioni che secondo la legislazione nazionale hanno un legittimo interesse a contrastare le pratiche commerciali sleali, inclusi i concorrenti, possono promuovere un'azione giudiziaria dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali e/o dinanzi a un'autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi oppure a promuovere un'adeguata azione giudiziaria.

Gli Stati membri dovrebbero assicurare il coordinamento in buona fede tra le varie autorità pubbliche di esecuzione competenti. Negli Stati membri in cui autorità diverse sono responsabili dell'applicazione della direttiva e della normativa settoriale le autorità dovrebbero cooperare strettamente fra loro per garantire che le risultanze delle rispettive indagini nei riguardi dello stesso professionista e/o della stessa pratica commerciale siano coerenti.

Per quanto riguarda l'applicazione della direttiva attraverso l'azione giudiziaria dinanzi gli organi giurisdizionali nazionali, nell'ambito della causa Movic la Corte di giustizia ha confermato che rientra nella nozione di «materia civile e commerciale», di cui all'articolo 1, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles I (rifusione), «un'azione giudiziaria con cui le autorità di uno Stato membro si contrappongono a professionisti stabiliti in un altro Stato membro, nell'ambito della quale dette autorità chiedono, a titolo principale, che sia accertata la sussistenza di violazioni configuranti pratiche commerciali sleali asseritamente illecite e che ne sia ordinata la cessazione nonché, a titolo accessorio, che siano disposte misure di pubblicità e l'irrogazione di una penalità» (105).

Nel settore dell'applicazione a livello privato della normativa, la direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio (106) relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori ha introdotto in tutti gli Stati membri la possibilità di applicare la direttiva sulle pratiche commerciali sleali attraverso azioni rappresentative. Tali azioni possono essere proposte da enti legittimati per chiedere provvedimenti inibitori e provvedimenti risarcitori per conto dei consumatori lesi da una violazione.

Infine le persone che segnalano violazioni della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (e della direttiva sui diritti dei consumatori) beneficiano del regime di protezione di cui alla direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio (107) (direttiva sulla protezione degli informatori) ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1), lettera a), punto ix)). Grazie alla possibilità di denunciare in sicurezza le irregolarità, le segnalazioni degli informatori sono probabilmente destinate ad aumentare, migliorando così l'applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

1.4.2.   Sanzioni

L'articolo 13 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali disciplina le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali che recepiscono la direttiva. Il paragrafo 1 stabilisce l'obbligo per gli Stati membri di determinare le norme in materia di sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla direttiva e lascia gli Stati membri liberi di decidere il tipo di sanzioni disponibili e di determinare le procedure per la loro irrogazione, purché le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive.

La direttiva (UE) 2019/2161 ha modificato l'articolo 13 e ha inserito requisiti supplementari. In primo luogo tale articolo prevede un elenco non esaustivo e indicativo di criteri per l'applicazione delle sanzioni (paragrafo 2). In secondo luogo stabilisce norme più specifiche (paragrafi 3 e 4) in materia di sanzioni da irrogare in caso di infrazioni diffuse aventi una dimensione unionale che sono oggetto di azioni di esecuzione coordinate ai sensi del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio (108) sulla cooperazione per la tutela dei consumatori («regolamento CPC»).

Il considerando 15 della direttiva (UE) 2019/2161 incoraggia gli Stati membri a «tener conto della tutela dell'interesse generale dei consumatori e di altri interessi pubblici protetti» nella ripartizione delle entrate generate dalle sanzioni pecuniarie.

L'articolo 13, paragrafo 5, impone agli Stati membri di notificare alla Commissione le norme nazionali in materia di sanzioni e di informarla delle eventuali successive modificazioni, ossia mediante una specifica notifica che spieghi le precise disposizioni nazionali in questione e non soltanto nell'ambito della notifica generale delle misure di recepimento.

Criteri per l'applicazione delle sanzioni

L'articolo 13, paragrafo 2, stabilisce un elenco di sei criteri non esaustivi e indicativi di cui le autorità competenti e gli organi giurisdizionali degli Stati membri dovrebbero tenere conto al momento di irrogare le sanzioni. Tali criteri si applicano alle violazioni «ove appropriati», sia a livello nazionale sia in casi transfrontalieri:

Articolo 13

2.

Gli Stati membri assicurano che, ai fini dell'irrogazione delle sanzioni, si tenga conto dei seguenti criteri, non esaustivi e indicativi, ove appropriati:

a)

natura, gravità, entità e durata della violazione;

b)

eventuali azioni intraprese dal professionista per attenuare il danno subito dai consumatori o per porvi rimedio;

c)

eventuali violazioni commesse in precedenza dal professionista;

d)

i benefici finanziari conseguiti o le perdite evitate dal professionista in conseguenza della violazione, se i relativi dati sono disponibili;

e)

sanzioni inflitte al professionista per la stessa violazione in altri Stati membri in casi transfrontalieri in cui informazioni relative a tali sanzioni sono disponibili attraverso il meccanismo istituito dal regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio;

f)

eventuali altri fattori aggravanti o attenuanti applicabili alle circostanze del caso.

Il considerando 7 della direttiva (UE) 2019/2161 spiega alcuni dei criteri. Il considerando 8 chiarisce che i criteri «potrebbero non essere rilevanti per tutte le infrazioni, e in particolare ai fini delle decisioni sanzionatorie riguardanti le infrazioni di lieve entità». Precisa altresì che «[g]li Stati membri dovrebbero inoltre tenere conto di altri principi generali del diritto applicabili all'imposizione di sanzioni, come il principio ne bis in idem».

Il carattere intenzionale dell'infrazione è pertinente per l'applicazione dei criteri di cui alle lettere a) e f), ma non è una condizione necessaria per l'irrogazione di sanzioni in caso di infrazione.

Il criterio di cui alla lettera c) riguarda le violazioni, identiche o diverse, commesse in precedenza dal professionista in questione.

Il criterio di cui alla lettera e) riguarda i casi nei quali si è verificata la stessa violazione in più Stati membri. Esso si applica quando informazioni relative alle sanzioni irrogate da altri Stati membri per la stessa violazione sono disponibili attraverso il meccanismo di cooperazione istituito dal regolamento CPC.

A seconda delle circostanze del caso le sanzioni irrogate allo stesso professionista in uno o più altri Stati membri per la stessa violazione potrebbero indicare una maggiore entità e gravità ai sensi della lettera a) e/o l'esistenza di una «violazione commessa in precedenza» ai sensi della lettera c). Pertanto le sanzioni inflitte per la stessa violazione in altri Stati membri potrebbero costituire un fattore aggravante. L'irrogazione di sanzioni in altri Stati membri per la stessa infrazione potrebbe anche essere considerata assieme ad altre circostanze «aggravanti» contemplate dagli altri criteri di cui alla lettera f), che si riferisce genericamente a «eventuali altri» fattori aggravanti o attenuanti. Tuttavia una sanzione inflitta allo stesso professionista da un altro Stato membro per la stessa infrazione può essere pertinente anche per l'applicazione del principio ne bis in idem in conformità del diritto nazionale e dell'articolo 10, paragrafo 2, del regolamento CPC (109).

Sanzioni nel contesto delle azioni di esecuzione coordinate ai sensi del regolamento CPC

L'articolo 13, paragrafi 3 e 4, stabilisce norme più vincolanti (rispetto alla norma generale di cui al paragrafo 1) in materia di sanzioni che devono essere previste dal diritto nazionale per le infrazioni che sono oggetto di azioni coordinate a norma del regolamento CPC.

L'articolo 21 del regolamento CPC impone alle autorità competenti degli Stati membri interessate dall'azione coordinata di adottare misure di esecuzione, compresa l'irrogazione di sanzioni, in modo efficace, efficiente e coordinato nei confronti dell'operatore responsabile dell'infrazione diffusa o dell'infrazione diffusa avente una dimensione unionale. Le «infrazioni diffuse» e le «infrazioni diffuse aventi una dimensione unionale» sono infrazioni transfrontaliere quali definite all'articolo 3, punti 3) e 4), del regolamento CPC (110).

Per questa categoria di infrazioni l'articolo 13, paragrafo 3, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali stabilisce che gli Stati membri devono prevedere la possibilità di infliggere sanzioni di tipo pecuniario e che l'importo massimo di una sanzione pecuniaria sia almeno pari al 4 % del fatturato annuo del professionista. Pertanto gli Stati membri possono fissare la soglia massima della sanzione pecuniaria anche al di sopra del 4 % del fatturato annuo del professionista. Possono anche scegliere di applicare la sanzione pecuniaria sulla base di un fatturato di riferimento più ampio, ad esempio il fatturato del professionista a livello mondiale. Analogamente possono estendere le sanzioni applicabili nel caso di azioni coordinate a norma del regolamento CPC ad altri tipi di infrazione, ad esempio quelle commesse sul territorio nazionale.

Qualora informazioni sul fatturato annuo del professionista non siano disponibili, ad esempio nel caso di società di recente costituzione, l'articolo 13, paragrafo 4, impone agli Stati membri di prevedere la possibilità di imporre una sanzione pecuniaria il cui importo massimo sia di almeno 2 milioni di EUR. Anche in questo caso gli Stati membri possono fissare la soglia massima della sanzione pecuniaria al di sopra di 2 milioni di EUR.

Tale armonizzazione delle norme nazionali in materia di sanzioni pecuniarie è volta a garantire che le misure di esecuzione siano possibili e coerenti in tutti gli Stati membri che partecipano ad un'azione di esecuzione coordinata ai sensi del regolamento CPC.

L'irrogazione di sanzioni pecuniarie in conformità dell'articolo 13, paragrafi 3 e 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali è soggetta ai criteri comuni di cui all'articolo 13, paragrafo 2, tra cui in particolare «natura, gravità, entità e durata della violazione». La sanzione pecuniaria effettiva inflitta dall'autorità, anche giudiziaria, competente in un caso specifico può essere inferiore all'importo massimo suindicato, a seconda della natura, della gravità e di altre caratteristiche pertinenti dell'infrazione.

Fatti salvi gli obblighi di coordinamento previsti dal regolamento CPC, l'autorità o l'organo giurisdizionale competente può decidere di irrogare sanzioni pecuniarie periodiche (ad esempio ammende giornaliere) finché il professionista non abbia cessato l'infrazione. Tale autorità o organo potrebbe anche decidere di infliggere la sanzione pecuniaria soltanto qualora, nonostante un apposito provvedimento inibitorio, il professionista non ponga fine all'infrazione entro il termine previsto.

Il fatturato pertinente di cui tenere conto per il calcolo della sanzione pecuniaria è il fatturato realizzato nello Stato membro che irroga la sanzione. Tuttavia l'articolo 13, paragrafo 3, consente anche di determinare la sanzione pecuniaria sulla base del fatturato realizzato dal professionista in tutti gli Stati membri interessati dall'azione coordinata qualora il coordinamento a norma del regolamento CPC determini l'irrogazione della sanzione pecuniaria da parte di un unico Stato membro per conto di tutti gli Stati membri partecipanti.

Il considerando 10 della direttiva (UE) 2019/2161 chiarisce che «[i]n taluni casi il professionista può anche essere un gruppo di imprese». Pertanto laddove il professionista responsabile dell'infrazione sia un gruppo di imprese si terrà conto del fatturato combinato del gruppo negli Stati membri pertinenti ai fini del calcolo della sanzione pecuniaria.

La direttiva non precisa l'anno di riferimento per la definizione del fatturato annuo. Pertanto al fine di determinare la sanzione pecuniaria le autorità nazionali possono utilizzare, ad esempio, gli ultimi dati sul fatturato annuo disponibili al momento della decisione sulla sanzione (ossia riferiti all'esercizio sociale precedente).

A norma dell'articolo 13, paragrafo 3, gli Stati membri possono, per motivi attinenti all'ordinamento costituzionale nazionale, limitare l'imposizione di sanzioni pecuniarie: a) alle violazioni degli articoli 6, 7, 8 e 9 e dell'allegato I della direttiva; e b) ai casi di ricorso continuato, da parte del professionista, a una pratica commerciale dichiarata abusiva dall'autorità, anche giudiziaria, nazionale competente, quando tale pratica commerciale non sia una violazione di cui alla lettera a). Pertanto tale limitazione è intesa ad affrontare circostanze a carattere eccezionale e consente agli Stati membri di non applicare le disposizioni in materia di sanzioni pecuniarie alle infrazioni occasionali che sono oggetto di esecuzione coordinata a norma del regolamento CPC per le quali l'unica base giuridica è costituita dall'articolo 5 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali concernente la diligenza professionale.

1.4.3.   Rimedi per i consumatori

La direttiva (UE) 2019/2161 ha inserito nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali un nuovo articolo 11 bis, che impone agli Stati membri di garantire che i consumatori lesi da violazioni delle disposizioni della direttiva abbiano accesso a rimedi proporzionati ed effettivi, in particolare il risarcimento del danno e, se pertinente, la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto, fatte salve le condizioni stabilite a livello nazionale. Pertanto i rimedi di cui i consumatori dispongono nella direttiva sono di tipo sia contrattuale sia extracontrattuale.

Le condizioni per l'applicazione dei rimedi sono stabilite dagli Stati membri e possono includere, se del caso, fattori quali la gravità e la natura della pratica commerciale sleale, il danno subito e altre circostanze pertinenti. Spetta agli Stati membri stabilire anche gli effetti dettagliati dei rimedi, ad esempio se il rimedio costituito dalla risoluzione del contratto determini la nullità del contratto a decorrere dalla data di stipula (con l'obbligo per le parti contraenti di ripristinare le condizioni preesistenti alla sottoscrizione del contratto) o ne annulli soltanto gli effetti futuri, a condizione che siano rispettati i principi di adeguatezza ed effettività e che sia preservato l'effetto utile della direttiva.

Tali rimedi non pregiudicano i rimedi disponibili ai sensi di altri strumenti normativi dell'UE, ad esempio quelli previsti dalla direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio sul contenuto digitale (111) e dalla direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla vendita di beni (112). Tali rimedi possono anche essere esercitati collettivamente attraverso azioni rappresentative a norma della direttiva (UE) 2020/1828.

1.4.4.   Applicazione della direttiva ai professionisti stabiliti in paesi terzi

L'applicabilità della direttiva ai professionisti di paesi terzi è disciplinata dal regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio (113) sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II»). Tale regolamento si applica, «in circostanze che comportino un conflitto di leggi, alle obbligazioni extracontrattuali in materia civile e commerciale». Il regolamento Roma II si applica alle controversie civili e commerciali.

Articolo 6, paragrafo 1, del regolamento Roma II

La legge applicabile all'obbligazione extracontrattuale che deriva da un atto di concorrenza sleale è quella del paese sul cui territorio sono pregiudicati, o rischiano di esserlo, i rapporti di concorrenza o gli interessi collettivi dei consumatori.

Articolo 6, paragrafo 4, del regolamento Roma II

Non si può derogare alla legge applicabile in virtù del presente articolo con un accordo ai sensi dell'articolo 14.

Se le condizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 1, del regolamento Roma II sono soddisfatte, ad esempio se la pubblicità ingannevole è rivolta ai consumatori dell'UE e ciò lede i loro interessi collettivi, la direttiva è applicabile. Ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 4, del regolamento Roma II non si può derogare alla legge applicabile con un accordo sulla scelta della legge.

2.   PRINCIPALI CONCETTI DELLA DIRETTIVA

2.1.   Funzionamento della direttiva — Schema operativo

Lo schema operativo sotto riportato illustra la relazione fra la «lista nera» delle pratiche commerciali di cui all'allegato e le disposizioni generali della direttiva, vale a dire gli articoli da 6 a 9 e l'articolo 5. Perché possa essere considerata sleale e quindi vietata ai sensi della direttiva, è sufficiente che una pratica commerciale soddisfi uno dei criteri seguenti.

La pratica commerciale:

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2.2.   La nozione di professionista

Articolo 2, lettera b)

«professionista»: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista.

La definizione comprende non solo i professionisti che agiscono per proprio conto ma anche le persone, tra cui i consumatori, che agiscono «in nome» o «per conto» di un altro professionista.

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha stabilito che un'impresa che inseriva annunci pubblicitari sui mezzi di informazione per conto e nell'interesse di un'altra impresa, la quale forniva i servizi pubblicizzati, era considerata un professionista ai sensi delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva (114).

Le autorità nazionali per la tutela dei consumatori hanno condotto, attraverso la rete europea di cooperazione per la tutela dei consumatori (rete CPC), un'azione di esecuzione congiunta riguardante gli acquisti all'interno di applicazioni (in-app) nei giochi online. Hanno chiarito che, sebbene la responsabilità primaria del contenuto di una app spetti allo sviluppatore, anche i fornitori di app store potrebbero essere ritenuti responsabili di garantire che i giochi sulla rispettiva piattaforma non contengano esortazioni dirette ai bambini (115).

Di conseguenza, ai sensi dell'articolo 2, lettera b), in combinato disposto con le pertinenti leggi nazionali in materia di responsabilità e sanzioni, un professionista può essere ritenuto responsabile in solido con un altro professionista della violazione della direttiva commessa da quest'ultimo per conto del primo.

Inoltre la Corte ha chiarito che in una fattispecie in cui le pratiche commerciali di un operatore siano svolte da un'altra impresa, che agisce in nome e/o per conto di tale operatore, la direttiva potrebbe, in talune situazioni, essere opponibile sia a detto operatore sia all'impresa, quando l'uno e l'altra rispondano alla definizione di «professionista» (116). Ciò significa che la direttiva può essere usata per valutare anche le pratiche commerciali di un professionista direttamente connesse a un'operazione tra il consumatore e un altro professionista in nome o per conto del quale tale professionista agisca.

Possono presentarsi situazioni in cui persone che sembrano essere consumatori che vendono prodotti ad altri consumatori siano in realtà professionisti esse stesse o agiscano per conto di professionisti (vendite «B2C occulte»).

Occorre valutare caso per caso se un venditore sia un «professionista» o un consumatore. Nella causa Kamenova una persona aveva pubblicato su un sito internet un totale di otto annunci per la vendita di diversi beni nuovi e d'occasione (117). La Corte ha osservato che il semplice fatto che la vendita persegua scopi di lucro o che una persona pubblichi, contemporaneamente, su una piattaforma online un certo numero di annunci per la vendita di beni nuovi e d'occasione non può essere sufficiente, di per sé solo, a qualificare tale persona come «professionista». La determinazione dello status da parte del giudice nazionale deve tenere conto di diversi criteri che non sono tassativi né esclusivi.

I criteri sono i seguenti:

se il venditore persegue scopi di lucro, compresa la possibilità che abbia ricevuto una remunerazione o un'altra forma di compenso per avere agito per conto di un determinato professionista;

il numero, l'importo e la frequenza delle operazioni commerciali;

il fatturato del venditore; se il venditore acquista prodotti al fine di rivenderli;

se il venditore è soggetto all'IVA;

se la vendita è effettuata in modo organizzato;

se il venditore ha uno status giuridico che gli consente di esercitare un'attività commerciale;

se i prodotti in vendita sono tutti dello stesso tipo o dello stesso valore e, in particolare, se l'offerta è concentrata su un numero limitato di prodotti;

se il venditore dispone di informazioni e competenze tecniche relative ai prodotti delle quali il consumatore non necessariamente dispone, in maniera tale da porlo in una posizione più vantaggiosa rispetto a detto consumatore;

se il venditore acquista tali beni al fine di rivenderli, conferendo così a tale attività un carattere di regolarità, una frequenza e/o una simultaneità rispetto alla propria attività commerciale o professionale (118).

Le persone la cui attività principale consista nel vendere prodotti online e lo facciano con grande frequenza, acquistando prodotti al fine di rivenderli a un prezzo più elevato, possono ad esempio rientrare nella definizione di professionista.

Le persone che esercitano attività di raccomandazioni commerciali online, ad esempio attraverso il marketing di influenza (per maggiori informazioni cfr. punto 4.2.6), potrebbero essere qualificate come professionisti se svolgono tali attività con frequenza, indipendentemente dal numero di destinatari a cui si rivolgono. Viceversa qualora una persona non si qualifichi come professionista si potrebbe comunque ritenere che agisca «per conto» del professionista i cui prodotti sono promossi attraverso la pratica in questione e che pertanto rientri nell'ambito di applicazione della direttiva. Gli obblighi di chiarezza nella comunicazione commerciale, in particolare ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva, si applicano ai professionisti indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano o meno i fornitori dei prodotti.

Le organizzazioni che perseguono obiettivi caritatevoli o etici possono qualificarsi come professionisti ai sensi della direttiva quando esercitano un'attività commerciale (ad es. la vendita di prodotti che soddisfano determinati criteri etici) nei confronti dei consumatori. Quando agiscono in veste di professionisti, devono conformarsi alla direttiva per quanto riguarda le loro attività commerciali. Ad esempio le informazioni sull'origine del prodotto o sulle sue caratteristiche etiche non devono essere ingannevoli.

Il fatto che un'organizzazione sia registrata come impresa «senza scopo di lucro» non è determinante per valutare se si qualifichi come professionista.

Anche le autorità pubbliche possono, a seconda delle circostanze, qualificarsi come professionisti quando svolgono attività commerciali.

Per esempio:

Un comune che offre prezzi scontati per i biglietti di ingresso a una mostra d'arte che esso organizza può rientrare nella definizione di professionista ai fini della direttiva.

Nella causa BKK Mobil Oil la Corte ha confermato che un organismo di diritto pubblico incaricato di una missione di interesse generale, quale la gestione di un regime legale di assicurazione malattia, può essere qualificato come «professionista» in quanto:

«il legislatore dell'Unione ha sancito un concetto particolarmente ampio della nozione di ‘professionista’, la quale comprende ‘qualsiasi persona fisica o giuridica’ in quanto eserciti un'attività remunerata e non esclude dal suo ambito di applicazione né gli enti incaricati di una missione di interesse generale né quelli che abbiano uno status di diritto pubblico» (119).

La Corte ha inoltre concluso che:

«(...) gli iscritti alla BKK, che devono evidentemente essere ritenuti consumatori ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, rischiano di essere indotti in errore dalle informazioni ingannevoli diffuse da tale organismo, che impediscono loro di scegliere in modo consapevole (…) e li inducono così ad assumere una decisione che non avrebbero preso in mancanza di tali informazioni, come previsto all'articolo 6, paragrafo 1, della stessa direttiva. In tale contesto sono irrilevanti sia la natura pubblica o privata dell'organismo in questione sia la specifica missione da esso perseguita» (120).

In particolare ai sensi dell'allegato I, punto 22), della direttiva è vietato falsamente dichiarare o dare l'impressione che il professionista non agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o presentarsi falsamente come consumatore.

Rientra in questa fattispecie il caso di un professionista che agisca inizialmente in qualità di professionista ma successivamente finga di essere un consumatore, ad esempio quando il venditore si presenta come commerciante di autovetture professionista ai fini dell'operazione commerciale ma in un secondo momento sottoscrive il contratto come persona fisica.

2.3.   La nozione di pratica commerciale

Articolo 2, lettera d)

«pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori»: qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.

La Corte ha statuito che il solo criterio indicato nell'articolo 2, lettera d), della direttiva riguarda il fatto che la pratica del professionista deve essere direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un bene o di un servizio al consumatore (121).

Una pratica commerciale può essere «direttamente connessa» alla promozione di un prodotto, ad esempio, se fornisce «informazioni relative alla disponibilità di un prodotto a un prezzo vantaggioso per un determinato periodo» (122). Sulla base della giurisprudenza attualmente disponibile, è difficile definire un limite oltre il quale una pratica commerciale non è più «direttamente connessa» alla promozione del prodotto. Tuttavia nel caso in cui, ad esempio, un professionista venda una cartina stradale che non contiene messaggi promozionali e il consumatore usi poi la cartina per raggiungere un determinato negozio sarebbe irragionevole qualificare la vendita di tale cartina stradale come pratica commerciale «direttamente connessa» alla promozione di un prodotto in tale negozio.

La Corte ha affermato che la direttiva si applica alle attività del professionista conseguenti a un'operazione commerciale relativa a qualsiasi bene o servizio e in seguito alla conclusione di un contratto e durante la sua esecuzione (123).

Su tali basi la Corte ha concluso che:

«(…) la circostanza che la condotta del professionista coinvolto sia stata tenuta una sola volta e abbia interessato un solo consumatore è del tutto irrilevante in questo contesto.

Infatti, né le definizioni fornite agli articoli 2, lettere c) e d), 3, paragrafo 1, nonché 6, paragrafo 1, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali né quest'ultima, considerata nel suo insieme, contengono indizi secondo cui l'azione o l'omissione da parte del professionista dovrebbe presentare carattere reiterato o riguardare più di un consumatore.

(…) la comunicazione, da parte di un professionista a un consumatore, di un'informazione errata, come quella di cui al procedimento principale, dev'essere qualificata come ‘pratica commerciale ingannevole’, ai sensi di tale direttiva, anche qualora tale comunicazione abbia riguardato un solo consumatore» (124).

La Corte ha fornito orientamenti sui limiti dell'ambito di applicazione della direttiva in relazione alla nozione di pratiche commerciali nella causa Kirschstein. Ha statuito che esiste una differenza tra le «pratiche commerciali» di un professionista che sono strettamente connesse alla promozione, vendita o fornitura di prodotti ai consumatori, che pertanto rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva, e le norme a cui tali pratiche si riferiscono, che si correlano al «prodotto» stesso (ad esempio autorizzazione di prestatori abilitati a rilasciare gradi universitari) e che pertanto esulano dall'ambito di applicazione della direttiva:

«Da quanto precede discende che una norma nazionale volta a determinare l'operatore che è autorizzato a fornire un servizio oggetto di una transazione commerciale, senza disciplinare direttamente le pratiche che tale operatore può in seguito attuare per promuovere o smaltire le vendite di tale servizio, non può essere considerata come riferita a una pratica commerciale in relazione diretta con la fornitura di detto servizio, ai sensi della direttiva 2005/29» (125).

Per quanto riguarda il settore della pubblicità redazionale, pur avendo riconosciuto che la nozione di «pratiche commerciali» è definita attraverso una formulazione particolarmente estesa e che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali può trovare applicazione in una fattispecie in cui le pratiche commerciali di un operatore siano svolte da un'altra impresa, nella causa RLvS la Corte ha statuito che la direttiva, in particolare il punto 11) dell'allegato I concernente gli advertorial, ossia la pubblicità redazionale, non può essere invocata nei confronti degli editori (126). La Corte ha fatto riferimento all'assenza di una normativa derivata dell'UE riguardo alla stampa e ha spiegato che detta disposizione non è intesa, in quanto tale, a imporre agli editori l'obbligo di impedire eventuali pratiche commerciali sleali degli inserzionisti (127).

I professionisti devono inoltre usare cautela nelle loro dichiarazioni etiche e relative alla responsabilità sociale delle imprese, che possono riguardare vari aspetti dei loro metodi operativi, ad esempio le condizioni di lavoro, il benessere degli animali, le donazioni caritatevoli ecc. La responsabilità sociale delle imprese riguarda gli interventi delle imprese che assumono la responsabilità del loro impatto sulla società, dotandosi di un processo volto a integrare le preoccupazioni sociali, ecologiche, etiche e dei consumatori nelle loro operazioni commerciali e nella loro strategia di base.

Le dichiarazioni relative a tali aspetti sono diventate uno strumento di marketing utilizzato per rispondere alle crescenti aspettative dei consumatori riguardo al rispetto, da parte dei professionisti, delle norme etiche e sociali. Esse possono influire sulla decisione di natura commerciale di un consumatore che deve scegliere tra due prodotti concorrenti di pari prezzo e qualità analoga. Per tale motivo possono essere considerate «direttamente connesse alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto» e si qualificano pertanto come pratiche commerciali ai sensi della direttiva. Date le notevoli analogie tra le dichiarazioni etiche/relative alla responsabilità sociale delle imprese e le asserzioni ambientali, i principi fondamentali applicabili alle asserzioni ambientali dovrebbero applicarsi anche alle dichiarazioni etiche e relative alla responsabilità sociale delle imprese (cfr. punto 4.1).

2.3.1.   Pratiche post-vendita, comprese le attività di recupero dei crediti

Conformemente all'articolo 3, paragrafo 1, le pratiche commerciali sono poste in essere non solo durante le fasi di marketing e di fornitura, ma anche dopo un'operazione commerciale, vale a dire nella fase post-vendita, che può rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva.

Anche il considerando 13 della direttiva menziona le «pratiche commerciali sleali che si verificano all'esterno di un eventuale rapporto contrattuale tra un professionista ed un consumatore o in seguito alla conclusione di un contratto e durante la sua esecuzione».

Le attività di recupero dei crediti dovrebbero essere considerate pratiche commerciali post-vendita, in quanto il recupero dei crediti è direttamente connesso alla vendita o fornitura di prodotti. Non esistono ragioni oggettive per operare una distinzione in funzione del fatto che un professionista affidi o meno tali attività a un'agenzia esterna specializzata.

Ciò risulta implicitamente anche dall'allegato I, punto 25), in virtù del quale è considerata in ogni caso sleale la pratica di «[e]ffettuare visite presso l'abitazione del consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza o a non ritornarvi, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell'esecuzione di un'obbligazione contrattuale».

La Corte ha confermato, nella causa Gelvora, che il rapporto giuridico tra una società di recupero crediti e il debitore inadempiente di un contratto di credito al consumo il cui debito è stato ceduto a tale società rientra effettivamente nell'ambito di applicazione ratione materiae della direttiva (128).

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha stabilito che comunicare a un consumatore il quale non sta assolvendo i propri obblighi finanziari che il suo nome sarà pubblicato quale debitore inadempiente sui media locali costituisce una pratica commerciale aggressiva (129).

Un'autorità per la tutela dei consumatori ha adottato provvedimenti nei confronti di un agente di recupero crediti che si serviva di un logo, di una denominazione e di documenti simili a quelli usati dalle agenzie ufficiali. Il professionista dava ai consumatori l'impressione ingannevole di eseguire provvedimenti ufficiali degli organi giurisdizionali per costringere i consumatori a saldare i debiti, quando in realtà tali poteri sono riservati alle autorità pubbliche (130).

Un'autorità per la tutela dei consumatori ha considerato il recupero dei crediti una pratica commerciale post-vendita rientrante nell'ambito di applicazione della direttiva e ha inflitto un'ammenda a un'agenzia di recupero crediti per aver ingannato i consumatori in merito all'entità e alla gravità delle conseguenze alle quali sarebbero andati incontro se non avessero saldato il debito immediatamente. L'agenzia di recupero crediti non aveva inoltre fornito ai consumatori informazioni adeguate e precise sulla base contrattuale del debito e aveva esercitato su di loro indebite pressioni psicologiche (131).

2.3.2.   Professionisti che acquistano prodotti dai consumatori

Nell'ambito della loro attività professionale alcuni professionisti possono acquistare prodotti dai consumatori. A titolo di esempio si possono citare i concessionari di autoveicoli, gli antiquari e i rivenditori di beni d'occasione.

Secondo la definizione fornita dalla direttiva, le pratiche commerciali sono soltanto le pratiche «direttamente conness[e] alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori». La situazione opposta, in cui i professionisti acquistano prodotti dai consumatori, non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva. Tuttavia esistono casi in cui è possibile individuare un legame tra la vendita di un prodotto a un professionista da parte di un consumatore e la promozione, vendita o fornitura di un prodotto (diverso) al consumatore.

Ad esempio nel settore automobilistico sono frequenti i contratti di permuta. Il professionista acquista un veicolo usato dal consumatore, il quale acquista a sua volta un veicolo dal professionista. In questi casi l'acquisto effettuato dal professionista si può considerare parte della remunerazione versata dal consumatore per l'elemento dell'operazione commerciale da impresa a consumatore. I contratti di permuta rientrano chiaramente nell'ambito di applicazione della direttiva.

In talune circostanze l'acquisto e la rivendita di oro possono rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva. Ad esempio se un professionista offre ai consumatori una valutazione professionale del loro oro prima di acquistarlo, si può ritenere che fornisca un servizio ai consumatori. In tali circostanze la direttiva è applicabile e di conseguenza il professionista non deve fornire informazioni ingannevoli sul valore reale dell'oro o sul prezzo del servizio offerto (ad es. omissione delle «tasse amministrative»).

Per esempio:

Un professionista specializzato in ceramiche cinesi comunica a un consumatore che un vaso Ming è falso. Se ciò non è vero la dichiarazione costituisce verosimilmente un'azione ingannevole.

2.4.   Criterio della decisione di natura commerciale

Articolo 2, lettera k)

«decisione di natura commerciale»: una decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto.

Le disposizioni generali della direttiva (articoli da 5 a 9) riguardano le pratiche commerciali sleali, ingannevoli e aggressive che possono falsare il comportamento economico del consumatore e lo inducono o sono idonee a indurlo in tal modo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

La formulazione dell'articolo 2, lettera k), lascia supporre che la definizione debba essere interpretata in termini ampi e che il concetto di decisione di natura commerciale comprenda una grande varietà di decisioni prese dal consumatore in relazione a un prodotto.

La Corte ha statuito che la nozione di «decisione di natura commerciale» comprende non soltanto la decisione di acquistare o meno un prodotto, ma anche le decisioni che presentano un nesso diretto con quest'ultima, in particolare la decisione di entrare nel negozio:

«poiché nel procedimento principale la pratica commerciale riguarda informazioni relative alla disponibilità di un prodotto a un prezzo vantaggioso per un determinato periodo, occorre stabilire se atti preparatori all'eventuale acquisto di un prodotto, come lo spostamento del consumatore fino al negozio o il fatto di entrarvi, possano essere considerati costitutivi di decisioni di natura commerciale, ai sensi della richiamata direttiva.

(…) per decisione di natura commerciale s'intende ‘una decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni’. Tale nozione comprende quindi non soltanto la decisione di acquistare o meno un prodotto, ma anche quella che presenta un nesso diretto con quest'ultima, ossia la decisione di entrare nel negozio.

(…) L'articolo 2, lettera k), di tale direttiva dev'essere interpretato nel senso che nella nozione di ‘decisione di natura commerciale’ rientra qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto» (132).

In tal senso la nozione di «decisione di natura commerciale» comprende le decisioni precedenti e conseguenti all'acquisto.

Esiste un ampio ventaglio di decisioni di natura commerciale che il consumatore può prendere in relazione a un prodotto o servizio, diverse dalla decisione riguardo a se effettuare o meno l'acquisto.

Tali decisioni di natura commerciale possono sfociare in azioni che non hanno conseguenze giuridiche sotto il profilo del diritto contrattuale nazionale e possono essere assunte in qualsiasi momento tra quello in cui il consumatore è inizialmente esposto al marketing e la fine della vita di un prodotto o l'uso finale di un servizio.

Molte decisioni precedenti l'acquisto possono essere considerate decisioni di natura commerciale.

Per esempio:

La decisione di recarsi in un punto vendita o negozio in conseguenza di un'offerta commerciale.

La decisione di assistere alla presentazione di un prodotto da parte di un professionista.

La decisione di navigare in un sito internet in conseguenza di un'offerta commerciale.

Molte decisioni successive all'acquisto, cioè assunte dopo aver acquistato un prodotto o concluso un contratto di servizio, si possono qualificare come decisioni di natura commerciale.

Per esempio:

La decisione di recedere da un contratto di servizio o di risolverlo.

La decisione di rivolgersi a un altro fornitore di servizi.

Inoltre una pratica commerciale sleale diretta a un consumatore potrebbe indurre un altro consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Per esempio:

Le pratiche commerciali di un professionista che offre recensioni online degli utenti occultando le recensioni negative potrebbero costituire un'azione o un'omissione ingannevole, anche se la decisione di natura commerciale interessata riguarda la decisione di un consumatore diverso da quello costretto a eliminare o a non pubblicare una recensione negativa. In questa situazione l'impressione generale falsa o ingannevole creata dal professionista riguardo alla natura del sito di recensioni, o alle sue modalità di funzionamento, potrebbe indurre il consumatore medio che legge le recensioni online a decidere di contattare un professionista menzionato (e a stipulare poi un contratto con quest'ultimo), decisione che non avrebbe preso se avesse saputo che le recensioni negative non erano state pubblicate.

Le disposizioni generali della direttiva (articoli da 5 a 9) riguardano le pratiche commerciali sleali, ingannevoli e aggressive che possono falsare il comportamento economico dei consumatori. Tali disposizioni esprimono queste condizioni utilizzando una formulazione leggermente diversa.

Ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva una pratica commerciale è sleale se è contraria alle norme di diligenza professionale e « falsa o è idonea a falsare in misura rilevante » il comportamento economico del consumatore medio. Invece gli articoli 6, 7 e 8 vietano una pratica commerciale ingannevole o aggressiva qualora induca o sia idonea a indurre il consumatore medio ad «assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso» .

La condizione che, per essere sleale, una pratica commerciale deve essere in grado di falsare il comportamento economico del consumatore è formulata in modo diverso all'articolo 5, paragrafo 2, rispetto agli articoli 6, 7 e 8. A prima vista questa apparente contraddizione può sollevare problemi di interpretazione. Tuttavia l'articolo 5, paragrafo 2, deve essere letto in combinato disposto con l'articolo 2, lettera e), che recita:

Articolo 2, lettera e)

«falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori»: l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Di conseguenza, sulla base dell'articolo 5, paragrafo 2, l'elemento che determina se una pratica commerciale falsi o sia idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore è se tale pratica induca o sia idonea a indurre il consumatore ad «assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso» .

Si tratta della stessa valutazione che occorre effettuare ai fini degli articoli 6, 7 e 8. Ne consegue che, sebbene la formulazione dell'articolo 5, paragrafo 2, sia diversa da quella degli altri articoli citati, la condizione relativa all'alterazione rilevante del comportamento del consumatore è identica.

La definizione in termini ampi della nozione di decisione di natura commerciale elaborata dalla Corte (133) consente di applicare la direttiva a una varietà di situazioni in cui la condotta sleale di un professionista non si limita a indurre il consumatore a concludere un contratto di vendita o di servizi.

Una pratica commerciale può essere considerata sleale non solo se è idonea a indurre il consumatore medio ad acquistare o non acquistare un prodotto ma anche se è idonea a indurlo, ad esempio, a:

entrare in un negozio;

dedicare più tempo a una procedura di prenotazione su internet;

decidere di non cambiare prodotto o fornitore di servizi;

cliccare su un link o annuncio pubblicitario online;

continuare a utilizzare il servizio navigando in internet o scorrendo le pagine web.

La direttiva non impone l'obbligo di dimostrare che il comportamento economico del consumatore (ossia la decisione di natura commerciale) sia stato effettivamente falsato. Essa permette di valutare se una pratica commerciale sia «idonea» a (cioè possa) esercitare tale influenza sul consumatore medio. Le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione delle normative dovrebbero pertanto accertare i fatti e le circostanze del singolo caso (cioè in concreto) ma valutare anche l'«idoneità» della pratica a influenzare la decisione di natura commerciale del consumatore medio (cioè in abstracto).

Per esempio:

Un annuncio commerciale affermava che un nuovo modello di automobile era «l'automobile più sicura del mondo». Nel decidere se l'affermazione avesse influenzato i consumatori ai fini dell'assunzione di una decisione fondata di natura commerciale, un organo giurisdizionale nazionale ha stabilito che, perché si qualifichi come decisione di natura commerciale, è sufficiente che il marketing sia idoneo a suscitare interesse nel consumatore medio e a indurlo a prendere la decisione di compiere ulteriori azioni (ad es. visitare un negozio o sito internet per chiedere maggiori informazioni sul prodotto) (134).

2.5.   Consumatore medio

Considerando 18

È opportuno proteggere tutti i consumatori dalle pratiche commerciali sleali. Tuttavia, la Corte di giustizia ha ritenuto necessario, al momento di deliberare in cause relative alla pubblicità dopo l'entrata in vigore della direttiva 84/450/CEE, esaminare l'effetto su un virtuale consumatore tipico. Conformemente al principio di proporzionalità , e per consentire l'efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la presente direttiva prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l'interpretazione della Corte di giustizia , ma contiene altresì disposizioni volte ad evitare lo sfruttamento dei consumatori che per le loro caratteristiche risultano particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali. Ove una pratica commerciale sia specificamente diretta ad un determinato gruppo di consumatori, come ad esempio i bambini, è auspicabile che l'impatto della pratica commerciale venga valutato nell'ottica del membro medio di quel gruppo. (…) La nozione di consumatore medio non è statistica . Gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali dovranno esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie .

Come indicato al considerando 18 e ulteriormente precisato agli articoli da 5 a 9, il parametro per valutare l'impatto di una pratica commerciale ai sensi della direttiva è la nozione di «consumatore medio» precedentemente elaborata dalla Corte:

per stabilire se una denominazione, un marchio o una dicitura pubblicitaria siano ingannevoli, occorre prendere in considerazione « l'aspettativa presunta di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto » (135).

In realtà questa nozione è stata elaborata dalla Corte di giustizia prima dell'adozione della direttiva. È stata poi codificata dalla direttiva per fornire alle autorità e agli organi giurisdizionali nazionali criteri comuni al fine di rafforzare la certezza del diritto e ridurre la possibilità di valutazioni divergenti.

Nella giurisprudenza della Corte il consumatore medio è una persona ragionevolmente critica, consapevole e avveduta nel suo comportamento sul mercato.

Per esempio:

Il «consumatore munito di un normale potere di discernimento» non crederà che la dimensione delle diciture pubblicitarie su una confezione corrisponda all'entità dell'aumento promozionale della quantità del prodotto (136).In genere il consumatore medio non attribuisce ai prodotti che recano la dicitura «testato dermatologicamente» effetti curativi che essi non posseggono (137).

Ai sensi della direttiva il consumatore medio in ogni caso non è una persona che ha soltanto bisogno di un basso livello di protezione perché è sempre in grado di acquisire le informazioni disponibili e di agire con saggezza al riguardo. Al contrario, come sottolineato al considerando 18, la nozione si basa sul principio di proporzionalità. La direttiva ha adottato tale nozione per garantire l'equilibrio tra, da un lato, la necessità di proteggere il consumatore e, dall'altro, la necessità di promuovere il libero scambio su un mercato aperto e concorrenziale.

Pertanto la nozione di «consumatore medio» ai sensi della direttiva deve sempre essere interpretata alla luce dell'articolo 114 del trattato, che prevede un livello elevato di protezione dei consumatori.

Al tempo stesso la direttiva si basa sul concetto che, ad esempio, una legislazione nazionale che vieti le dichiarazioni che potrebbero indurre in inganno soltanto un consumatore acritico, ingenuo o disattento (ad es. le «iperboli pubblicitarie» (138)) sarebbe sproporzionata e creerebbe un ostacolo ingiustificato agli scambi commerciali.

Come espressamente indicato al considerando 18, la nozione di consumatore medio non è statistica. Ciò significa che le autorità e gli organi giurisdizionali nazionali dovrebbero essere in grado di stabilire se una pratica sia idonea a indurre in errore il consumatore medio esercitando la propria capacità di giudizio e prendendo come punto di riferimento le aspettative generali presunte dei consumatori senza necessità di disporre una perizia o un sondaggio di opinioni (139).

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha ritenuto che anche le persone con menomazioni della vista si possano qualificare come consumatori medi e che la stampa delle informazioni a caratteri molto piccoli possa essere considerata una pratica commerciale ingannevole (140).Una decisione analoga è stata adottata da un'altra autorità responsabile dell'esecuzione delle normative (141).

Un organo giurisdizionale nazionale ha ritenuto che un consumatore che si comporta in modo ragionevole non sia sospettoso e tenda a credere che le informazioni fornitegli siano veritiere e accurate. Un consumatore che si comporta in modo ragionevole non è tenuto a effettuare ulteriori ricerche per reperire il contenuto accurato e completo del messaggio trasmessogli, a meno che il mittente non ponga in grande evidenza tale obbligo o vi faccia forte richiamo nel testo del messaggio (142).

L'articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva precisa ulteriormente il criterio del consumatore medio in relazione agli interessi di uno specifico gruppo di consumatori. Ove la pratica sia diretta a un determinato gruppo di consumatori, occorre valutarne l'impatto nell'ottica del membro medio di tale gruppo. Un esempio è costituito da una pratica commerciale riguardante un prodotto unico nel suo genere, promosso attraverso circuiti di commercializzazione che si rivolgono a uno specifico e ristretto gruppo di destinatari, ad esempio una determinata categoria professionale. In tal caso il membro medio di questo particolare gruppo potrebbe disporre di conoscenze più specifiche o avere caratteristiche che un consumatore medio non necessariamente avrebbe, il che incide direttamente sulla valutazione degli effetti della pratica commerciale. Data la distinzione rispetto alla categoria generale del consumatore medio, il «determinato gruppo di consumatori» dovrebbe essere sufficientemente individuabile, di ampiezza limitata ed omogeneo. Qualora non fosse possibile individuare un determinato gruppo, la valutazione dovrebbe concentrarsi sul parametro generale costituito dal consumatore medio.

Per esempio:

In un caso riguardante la pubblicità ingannevole di pannolini per bebè che, in particolare, suggeriva una correlazione tra le allergie e i pannolini del professionista, un organo giurisdizionale nazionale ha identificato come consumatore medio i genitori di bambini piccoli, i quali non possiedono conoscenze particolari sulle allergie (143).

È altresì possibile che la stessa pratica commerciale interessi più gruppi di consumatori. Ad esempio può accadere che la pratica raggiunga o sia diretta a un consumatore medio (articolo 5, paragrafo 1, lettera b)) e, al contempo, sia rivolta ad un gruppo di consumatori vulnerabili. In generale la valutazione dovrebbe tenere conto dei consumatori che la pratica ha effettivamente raggiunto, indipendentemente dal fatto che si tratti dei consumatori a cui il professionista intendeva rivolgersi.

Talvolta, e alla luce della natura specifica del prodotto in questione, i professionisti, nell'elaborare i loro messaggi commerciali, potrebbero avere la necessità di tenere conto di determinate caratteristiche sociali, linguistiche e culturali che sono tipiche del consumatore medio al quale è rivolto il prodotto. In alcuni casi tali caratteristiche sociali, linguistiche e culturali, che possono anche essere specifiche di un particolare Stato membro, possono quindi giustificare anche una diversa interpretazione, da parte degli organi giurisdizionali o delle autorità responsabili dell'esecuzione delle normative, del messaggio comunicato nella pratica commerciale. In una causa riguardante la pubblicità ingannevole dei cosmetici, la Corte ha stabilito quanto segue:

«Nell'applicare tale criterio al caso di specie devono essere presi in considerazione svariati elementi. Occorre, in particolare, verificare se fattori sociali, culturali o linguistici possano giustificare il fatto che il termine ‘lifting’ usato per una crema rassodante sia inteso dai consumatori [medi] tedeschi in modo differente rispetto ai consumatori degli altri Stati membri oppure se le condizioni di utilizzazione del prodotto siano di per sé sufficienti a sottolineare la transitorietà dei suoi effetti, neutralizzando ogni conclusione contraria deducibile dal termine ‘lifting’» (144).

La Corte ha inoltre affermato che:

«[l]a possibilità di ammettere un divieto di commercializzazione basato sulla natura ingannevole di un marchio non è, in via di principio, esclusa dalla circostanza che, in altri Stati membri, lo stesso marchio non è considerato ingannevole. (…) le differenze linguistiche, culturali e sociali tra gli Stati membri possono far sì che un marchio che non è idoneo a indurre in inganno il consumatore in uno Stato membro può esserlo in un altro». (145)

Pertanto, sulla base del criterio del consumatore medio e nonostante il carattere di armonizzazione completa della direttiva, in teoria potrebbe essere giustificato imporre a un professionista estero di fornire informazioni supplementari per motivi sociali, culturali o linguistici. In altre parole l'omissione di tali informazioni potrebbe fuorviare i consumatori nel paese di destinazione, a differenza di quelli nel paese di origine.

2.6.   Consumatori vulnerabili

Articolo 5, paragrafo 3 — Divieto delle pratiche commerciali sleali

3. Le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità , in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo . Ciò lascia impregiudicata la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera.

Considerando 19

Qualora talune caratteristiche, quali età, infermità fisica o mentale o ingenuità, rendano un gruppo di consumatori particolarmente vulnerabile ad una pratica commerciale o al prodotto a cui essa si riferisce, e il comportamento economico soltanto di siffatti consumatori sia suscettibile di essere distorto da tale pratica, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere, occorre far sì che essi siano adeguatamente tutelati valutando la pratica nell'ottica del membro medio di detto gruppo .

La direttiva si basa sul concetto che, sebbene sia opportuno proteggere ogni tipo di consumatore dalle pratiche commerciali sleali, i consumatori che si qualificano come membri di uno dei gruppi di cui all'articolo 5, paragrafo 3, dovrebbero beneficiare di un livello di protezione più elevato rispetto al «consumatore medio» di cui all'articolo 5, paragrafo 2.

Il considerando 19 precisa l'interpretazione dell'articolo 5, paragrafo 3: mentre quest'ultima disposizione qualifica i consumatori come vulnerabili unicamente a motivo della loro «infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità», il considerando 19 contiene un elenco non esaustivo di caratteristiche che rendono un consumatore «particolarmente vulnerabile».

Il concetto di vulnerabilità non è limitato alle caratteristiche elencate all'articolo 5, paragrafo 3, giacché racchiude anche vulnerabilità che dipendono dal contesto. Le forme di vulnerabilità multidimensionali (146) sono particolarmente accentuate nell'ambiente digitale, che è sempre più caratterizzato dalla raccolta di dati su caratteristiche non solo sociodemografiche ma anche personali o psicologiche, quali interessi, preferenze, profilo psicologico e stato d'animo. Il concetto di vulnerabilità nell'ambiente digitale è ulteriormente esaminato al punto 4.2.7.

Per esempio:

In un caso riguardante l'omissione di informazioni rilevanti da parte di un istituto di credito un'autorità responsabile dell'esecuzione delle normative ha ritenuto che i consumatori esclusi dagli istituti di credito a causa della loro insufficiente capacità di rimborso fossero particolarmente vulnerabili a un'offerta specifica (147).

L'infermità (mentale o fisica) comprende le menomazioni sensoriali, la mobilità ridotta e altre disabilità.

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori ha considerato particolarmente grave una pubblicità che presentava i prodotti in modo ingannevole come in grado di curare gravi patologie, in quanto poteva indurre i consumatori vulnerabili, ad esempio le persone affette da una grave malattia, ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso (148).

Per quanto riguarda l'età, può essere opportuno prendere in considerazione una pratica commerciale dal punto di vista di consumatori di età diverse.

Le persone anziane possono essere più vulnerabili ad alcune pratiche a causa della loro età. I metodi aggressivi di vendita porta a porta potrebbero non condizionare il consumatore medio ma sono idonei a intimidire un determinato gruppo di consumatori, in particolare gli anziani, che possono essere più vulnerabili all'esercizio di indebite pressioni.

Oltre alla tutela fornita dall'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva, i bambini beneficiano di una protezione specifica derivante dal divieto delle esortazioni dirette di cui all'allegato I, punto 28), della direttiva. Tale divieto, che comprende l'esercizio di pressioni sui bambini affinché acquistino direttamente o convincano gli adulti ad acquistare loro determinati oggetti, è esaminato al punto 3.7.

La capacità dei bambini di comprendere la pubblicità tradizionale e online varia enormemente da un bambino all'altro e a seconda dell'età e della maturità (149). In una certa misura è possibile tenerne conto a norma della direttiva, in quanto l'articolo 5, paragrafo 3, consente di valutare una pratica commerciale nell'ottica del membro medio in una determinata fascia d'età.

Gli adolescenti rappresentano un'altra categoria di consumatori spesso presa di mira da professionisti disonesti. La promozione di prodotti particolarmente allettanti per gli adolescenti potrebbe sfruttare la mancanza di attenzione o riflessione e la tendenza ad assumere rischi dovute alla loro immaturità e ingenuità.

Il concetto di «ingenuità» riguarda i gruppi di consumatori che possono essere più propensi a credere a dichiarazioni particolari. Il termine è neutro e legato alle circostanze e ha quindi l'effetto di proteggere i membri di un gruppo che per qualunque motivo sono particolarmente sensibili all'effetto di una determinata pratica commerciale. Qualsiasi consumatore potrebbe rientrare in tale gruppo.

Lo studio della Commissione del 2016 sulla vulnerabilità dei consumatori ha rivelato che le persone che non superano il test dell'ingenuità sono più inclini di altre ad avere problemi nella scelta delle offerte. Inoltre le persone che ritengono di essere ingenue sono meno propense a sporgere reclamo quando incontrano problemi e più inclini a sentirsi vulnerabili come consumatori.

I criteri del «consumatore vulnerabile» si applicano se la pratica commerciale falsa il comportamento economico di un gruppo di consumatori particolarmente vulnerabili «in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere».

Tale criterio aggiunge un elemento di proporzionalità nella valutazione di una pratica commerciale in relazione ai consumatori vulnerabili.

Esso mira ad attribuire la responsabilità ai professionisti soltanto se l'impatto negativo di una pratica commerciale su una categoria di consumatori vulnerabili poteva essere ragionevolmente previsto dal professionista.

Ciò significa che i professionisti non sono tenuti a fare più di quanto sia ragionevole, tanto nel valutare se la pratica possa avere un impatto sleale su un gruppo di consumatori chiaramente individuabile quanto nell'adottare provvedimenti per limitare tale impatto.

Di conseguenza è improbabile che una pratica commerciale sia considerata ingannevole se alcuni consumatori, a causa della loro estrema ingenuità o ignoranza, sono indotti in errore o in altro modo reagiscono irrazionalmente persino alla più onesta pratica commerciale.

Per esempio:

Alcuni consumatori potrebbero credere che gli «spaghetti alla bolognese» siano effettivamente prodotti a Bologna. I professionisti tuttavia non sono ritenuti responsabili di ogni possibile interpretazione della loro pratica commerciale o reazione alla stessa da parte di determinati consumatori.

2.7.   Articolo 5 — Diligenza professionale

Articolo 5 – Divieto delle pratiche commerciali sleali  (150)

1.

Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

2.

Una pratica commerciale è sleale se:

a)

è contraria alle norme di diligenza professionale, e

b)

falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

Articolo 2, lettera h)

«diligenza professionale»: rispetto a pratiche di mercato oneste e/o al principio generale della buona fede nel settore di attività del professionista, il normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori.

L'articolo 5, paragrafo 2, prevede una clausola generale che stabilisce due criteri cumulativi per valutare se una pratica commerciale debba essere considerata sleale. Funziona da «rete di sicurezza» per assicurare che qualsiasi pratica sleale non contemplata da altre disposizioni della direttiva (cioè che non sia ingannevole, aggressiva o inclusa nell'elenco di cui all'allegato I) possa comunque essere sanzionata. La disposizione tiene anche conto degli sviluppi futuri, in quanto consente di affrontare le pratiche sleali emergenti.

L'articolo 5, paragrafo 2, vieta le pratiche commerciali contrarie alle norme di diligenza professionale se sono idonee a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio.

Si tratta di un criterio autonomo: non è un criterio cumulativo supplementare che deve essere soddisfatto perché una pratica rientri in una delle categorie specifiche di pratiche sleali di cui agli articoli da 6 a 9 o all'allegato I della direttiva e sia considerata in violazione della stessa. Questo aspetto è illustrato dallo schema operativo della direttiva.

La Corte ha confermato questa interpretazione:

«45

(…) alla luce sia del tenore sia della struttura degli articoli 5 e 6, paragrafo 1, di detta direttiva nonché della sua ratio, una pratica commerciale deve essere considerata ‘ingannevole’ ai sensi della seconda di tali disposizioni ove ricorrano cumulativamente i criteri ivi elencati, senza necessità di verificare se sia parimenti soddisfatto il requisito relativo al contrasto di tale pratica con le norme di diligenza professionale, previsto dall'articolo 5, paragrafo 2, lettera a), della direttiva medesima.

46

L'interpretazione suesposta è anche l'unica tale da preservare l'effetto utile delle norme particolari previste dagli articoli da 6 a 9 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Infatti, se i requisiti di applicazione di tali articoli fossero identici a quelli previsti dall'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva medesima, detti articoli sarebbero privi di qualsivoglia portata pratica, mentre essi hanno la finalità di tutelare il consumatore dalle più frequenti pratiche commerciali sleali (…)» (151).

La nozione di «diligenza professionale» comprende principi che erano già consolidati nelle legislazioni degli Stati membri prima dell'adozione della direttiva, quali le «pratiche di mercato oneste», la «buona fede» e le «buone prassi di mercato». Tali principi pongono in rilievo valori normativi che si applicano nell'ambito specifico dell'attività commerciale. La suddetta nozione può comprendere principi derivati da norme e codici di condotta nazionali e internazionali (cfr. anche punto 2.8.4 sull'inosservanza dei codici di condotta).

Per esempio:

Un'autorità responsabile dell'esecuzione delle normative è intervenuta nei confronti di un professionista che forniva servizi di televisione satellitare, in quanto quest'ultimo non rispettava gli obblighi di diligenza professionale. Sebbene i contratti fossero di durata limitata, se il consumatore non adottava misure per evitare il rinnovo al momento della scadenza, il professionista considerava il contratto automaticamente rinnovato (152).

Un organo giurisdizionale nazionale ha stabilito, in un procedimento istituito da un'autorità responsabile dell'esecuzione delle normative, che un'agenzia di recupero crediti che aveva esercitato pressioni sui consumatori affinché pagassero bollette a fronte di contratti giuridicamente nulli e si era rifiutata di rispondere alle loro domande aveva violato l'obbligo di diligenza professionale. I consumatori hanno il diritto di sapere qual è la bolletta di cui l'agenzia di recupero crediti esige il pagamento e se tale richiesta è corretta. L'autorità ha fondato la propria interpretazione degli obblighi di diligenza professionale sul codice di condotta di un'associazione di agenzie di recupero crediti e un giudice nazionale ha confermato detta interpretazione. Ha inoltre statuito che persino per le società che non appartengono all'associazione tale codice di condotta può servire da punto di riferimento per stabilire in che cosa consista una condotta professionale (153).

Dall'articolo 5, paragrafo 2, lettera b), discende che, per essere considerata contraria alle norme di diligenza professionale, una pratica commerciale deve anche essere idonea a « falsare in misura rilevante il comportamento economico »dei consumatori. Questo concetto è esaminato al punto 2.4 supra.

Per esempio:

Un'autorità responsabile dell'esecuzione delle normative ha promosso un'azione legale nei confronti di un agente di recupero crediti. L'autorità ha rilevato che il professionista esercitava un'indebita pressione e attuava pratiche aggressive reiterate nei confronti dei consumatori, concludendo che tale comportamento era contrario alle norme di diligenza professionale e idoneo a limitare la libertà di scelta del consumatore medio, inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (154).

2.8.   Articolo 6 — Azioni ingannevoli

Articolo 6 — Azioni ingannevoli

1.

È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l'informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:

a)

l'esistenza o la natura del prodotto;

b)

le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;

c)

la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all'approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto;

d)

il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l'esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo;

e)

la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione;

f)

la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l'identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l'affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti;

g)

i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (1), o i rischi ai quali può essere esposto.

2.

È altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induca o sia idonea a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti:

a)

una qualsivoglia attività di marketing del prodotto, compresa la pubblicità comparativa, che ingeneri confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente;

b)

il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si è impegnato a rispettare, ove:

i)

non si tratti di una semplice aspirazione ma di un impegno fermo e verificabile;

e

ii)

il professionista indichi in una pratica commerciale che è vincolato dal codice;

c)

una qualsivoglia attività di marketing che promuova un bene, in uno Stato membro, come identico a un bene commercializzato in altri Stati membri, mentre questo bene ha una composizione o caratteristiche significativamente diverse, salvo laddove ciò sia giustificato da fattori legittimi e oggettivi.

Assieme all'articolo 7 relativo alle omissioni ingannevoli, l'articolo 6 è la disposizione di gran lunga più invocata ai fini dell'applicazione.

Gli elementi forniti dall'economia comportamentale dimostrano che non solo il contenuto delle informazioni fornite ma anche le modalità di presentazione delle informazioni possono avere un notevole impatto sulla reazione dei consumatori. Per questo motivo l'articolo 6 contempla espressamente i casi in cui una pratica commerciale sia idonea a ingannare i consumatori «in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva», «anche se l'informazione è di fatto corretta».

Spetta agli organi giurisdizionali e amministrativi nazionali valutare il carattere ingannevole delle pratiche commerciali tenendo conto dei risultati degli studi più recenti nel campo dell'economia comportamentale. Ad esempio può essere considerato ingannevole l'uso di impostazioni predefinite (scelte che si presume i consumatori operino a meno che non indichino espressamente altro) o la fornitura di informazioni inutilmente complicate.

2.8.1.   Informazioni generali ingannevoli

L'articolo 6, paragrafo 1, lettere da a) a g), vieta le azioni ingannevoli che possono ingannare il consumatore medio riguardo a un vasto insieme di elementi, tra cui:

l'esistenza del prodotto;

le caratteristiche principali del prodotto (ad es. la composizione, il metodo di fabbricazione, l'origine geografica o commerciale, i rischi e i risultati che si possono attendere dal suo uso);

il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l'esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo;

la natura, le qualifiche e i diritti del professionista.

L'articolo 6 si applica esplicitamente a ogni pratica commerciale che «contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera».

Le informazioni sulle «caratteristiche principali» del prodotto devono essere fornite in un invito all'acquisto conformemente all'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva e prima della conclusione del contratto, conformemente alla direttiva sui diritti dei consumatori. L'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva vieta di fornire informazioni inesatte riguardo alle caratteristiche principali di un prodotto qualora tali informazioni possano indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori è intervenuta nei confronti di un professionista che falsamente dichiarava di concedere ai consumatori prestiti con il più basso tasso di interesse sul mercato. Il professionista inseriva inoltre negli annunci pubblicitari informazioni inesatte, affermando che i consumatori avrebbero ottenuto un prestito indipendentemente dalla loro storia creditizia (155).

Per quanto riguarda i prodotti informatici, come i dischi fissi esterni, le chiavi USB, i telefoni mobili e i tablet, la capacità di archiviazione, o memoria, è parte integrante delle loro caratteristiche principali. Un'autorità per la tutela dei consumatori è intervenuta nei confronti di un professionista che reclamizzava capacità di archiviazione dei prodotti informatici notevolmente diverse da quelle reali (156).Analogamente un'associazione dei consumatori ha avviato un'azione legale sulla base di accertamenti condotti su diversi marchi di dispositivi informatici, dai quali è emerso che la memoria reale era mediamente pari a un terzo di quella pubblicizzata.

Un'agenzia viaggi comunicava con i consumatori nella lingua nazionale prima della conclusione dell'operazione commerciale. Tuttavia l'assistenza post-vendita era fornita ai clienti soltanto in inglese ma i clienti non ne erano stati informati prima dell'operazione. Si è ritenuto che tale pratica commerciale fosse contraria all'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva in combinato disposto con l'allegato I, punto 8) (157).

Un organo giurisdizionale nazionale ha constatato che il fatto che un biglietto sia stato rivenduto costituisce una caratteristica principale del biglietto, in quanto è possibile che il venditore originario vieti l'ingresso alla persona che lo ha acquistato (158).

L'articolo 6, paragrafo 1, lettere c) e f), si riferisce a diverse informazioni riguardanti il professionista e la natura del processo di vendita. Tra queste possono rientrare pratiche commerciali nelle quali un professionista falsamente afferma o lascia intendere di essere autorizzato a vendere un prodotto laddove invece il prodotto è smerciato in una rete di distribuzione selettiva.

Una pratica commerciale, comunemente detta dichiarazione «fino a», consiste nel proporre, come argomento di marketing, il massimo vantaggio che i consumatori possono attendersi dall'uso di un prodotto. Una dichiarazione «fino a» può essere considerata ingannevole ai sensi dell'articolo 6 se non rispecchia la realtà dell'offerta proposta dal professionista e se può indurre il consumatore ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso. Le dichiarazioni «fino a» possono essere ingannevoli se i professionisti non sono in grado di dimostrare che i consumatori possono ottenere i massimi risultati promessi in circostanze normali. Cfr. anche punto 2.8.2 relativo ai vantaggi di prezzo.

Occorre valutare caso per caso se una dichiarazione «fino a» sia ingannevole. Si possono applicare diversi criteri, tra cui:

se sono chiaramente indicati i risultati e i vantaggi che il consumatore medio può ragionevolmente attendersi di ottenere, comprese eventuali condizioni o limitazioni applicabili. In caso contrario la dichiarazione può qualificarsi come ingannevole in relazione alle «caratteristiche principali» del prodotto:

o se sono omesse informazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera a) (in caso di invito all'acquisto);

o quale azione ingannevole ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva;

se il professionista è in grado di fornire prove adeguate a sostegno della dichiarazione, ai sensi dell'articolo 12 della direttiva.

Le informazioni fornite ai consumatori inoltre non devono in alcun modo, anche nella presentazione complessiva, ingannare o poter ingannare il consumatore, anche se le informazioni sono di fatto corrette.

Per esempio:

Un istituto finanziario promuoveva un prodotto di investimento presentandolo come deposito quinquennale a basso rischio, con tasso d'interesse privilegiato e rendimento del capitale garantito alla data di scadenza. In realtà gli investitori hanno perso gli interessi sul capitale e una quota consistente del capitale iniziale investito. Un'autorità per la tutela dei consumatori ha considerato ingannevole tale pratica, in quanto gli investitori avevano ricevuto informazioni inadeguate e ingannevoli in merito al prodotto finanziario offerto (159).

Un tribunale nazionale ha considerato ingannevole la pubblicità di un operatore di telefonia mobile, il quale vantava tariffe inferiori del 30 % rispetto a quelle dei concorrenti, ma non indicava in modo inequivocabile che per il primo minuto di conversazione la tariffazione non era al secondo. Il tribunale ha ritenuto che, a causa della presentazione ambigua dell'offerta, il consumatore non fosse in grado di adottare una decisione consapevole (160).

La direttiva non prevede l'obbligo formale di indicare l'origine geografica (o commerciale) di un prodotto o la sua composizione (161). Tuttavia tali obblighi potrebbero esistere nella normativa settoriale (162). Inoltre a norma della direttiva le informazioni ingannevoli fornite al consumatore su tali elementi possono rientrare nel divieto di cui all'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva se tali informazioni false o ingannevoli possono indurre il consumatore ad assumere una decisione di acquisto che non avrebbe altrimenti preso.

Alcune decisioni degli organi giurisdizionali nazionali riguardano specificamente l'applicazione della direttiva alle dichiarazioni d'origine ingannevoli.

Per esempio:

Un'impresa della Repubblica dominicana commercializzava la sua produzione di rum nell'Unione inserendo vari riferimenti a Cuba sulle bottiglie e nel materiale commerciale. Un organo giurisdizionale nazionale ha sostenuto che indicare una località geografica famosa su un prodotto, quando il prodotto non è originario di tale località, costituisce una pratica commerciale ingannevole (163).

Sono emersi interrogativi anche per quanto riguarda le informazioni concernenti la composizione dei prodotti, ad esempio prodotti a base di componenti di origine non animale su cui è apposta un'etichetta o un marchio recante la dicitura «pelle».

Per esempio:

Organi giurisdizionali nazionali hanno stabilito che è ingannevole commercializzare mobili che non contengano pelle affermando che alcuni elementi sono realizzati in «similpelle». Secondo i giudici il consumatore medio supporrebbe che tali mobili contengano elementi in pelle (164).

Ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera g), i professionisti non devono ingannare i consumatori in merito ai loro diritti.

Per esempio:

Un giudice nazionale ha respinto un ricorso presentato da un professionista al quale un'autorità responsabile dell'esecuzione delle normative aveva inflitto un'ammenda per avere ingannato i consumatori in merito al loro diritto di recesso. Invece di fare esplicito riferimento al fatto che i consumatori avevano 14 giorni di tempo per recedere dal contratto, i contratti contenevano soltanto un riferimento alle disposizioni pertinenti della legislazione nazionale, in un linguaggio ambiguo e ingannevole (165).

Un professionista enfatizzava l'offerta di una garanzia commerciale gratuita per un anno, al fine di promuoverne la proroga a pagamento per un periodo fino a tre o cinque anni. L'impresa non informava i consumatori in modo adeguato riguardo all'esistenza della garanzia legale di conformità alla quale avevano diritto, ai sensi della direttiva sulla vendita e sulle garanzie dei beni di consumo, per due anni a partire dalla consegna del prodotto. Un'autorità per la tutela dei consumatori ha considerato ingannevole questa pratica commerciale, in particolare sulla base dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera g), della direttiva (166).La decisione è stata successivamente confermata da un organo giurisdizionale nazionale (167).

2.8.2.   Vantaggi di prezzo

L'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), vieta le informazioni ingannevoli relative al prezzo. L'applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali alle riduzioni di prezzo, che sono soggette a norme specifiche nella direttiva 98/6/CE sull'indicazione dei prezzi, è discussa nella sezione 1.2.5. La direttiva sulle pratiche commerciali sleali rimane pienamente applicabile e disciplina altri tipi di pratiche che promuovono vantaggi quanto al prezzo, ad esempio raffronti con altri prezzi, offerte congiunte o offerte condizionate vincolate e programmi di fedeltà. Diverse disposizioni della direttiva sono attinenti alle pratiche promozionali (ad es. l'articolo 6, lettera d), relativo all'esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo e il punto 20) relativo alle offerte gratuite). La direttiva sulle pratiche commerciali sleali si applica anche ai prezzi personalizzati (cfr. punto 4.2.8.).

In particolare, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali continua ad applicarsi alle pratiche promozionali di raffronto del prezzo con i prezzi praticati da altri professionisti o con altri prezzi di riferimento, come i cosiddetti «prezzi di vendita raccomandati» dal fabbricante. I professionisti interessati devono prestare particolare attenzione a comunicare con chiarezza al consumatore che il prezzo di riferimento indicato è un raffronto e non la riduzione del prezzo praticato da quel professionista in precedenza. Tale spiegazione deve essere immediatamente e prontamente indicata insieme al prezzo di riferimento. Questo aspetto è particolarmente pertinente quando si utilizzano tecniche come il prezzo di riferimento incrociato, che i consumatori probabilmente percepiscono come una riduzione del prezzo praticato da quello stesso professionista in precedenza. Spetta alle autorità degli Stati membri valutare caso per caso se tali pratiche non siano ingannevoli e siano conformi alla direttiva.

Qualsiasi utilizzo dei «prezzi di vendita raccomandati» nel raffronto tra prezzi dovrebbe essere spiegato. Il loro uso potrebbe essere contrario all'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva se, essendo irragionevolmente elevati e irrealistici, danno ai consumatori l'impressione che venga loro offerto un vantaggio più significativo del vantaggio reale.

Nella causa Canal Digital Danmark (168), la Corte ha chiarito che una pratica commerciale consistente nel suddividere il prezzo di un prodotto in più elementi e nel mettere in evidenza uno di essi, deve essere considerata ingannevole ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, in quanto tale pratica potrebbe, da un lato, dare al consumatore medio l'impressione erronea che gli venga proposto un prezzo vantaggioso e, dall'altro, indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, il che dev'essere verificato dal giudice del rinvio, tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti del procedimento principale (169).

Per esempio:

Nel 2020 la Commissione e le autorità nazionali della rete di cooperazione per la tutela dei consumatori (CPC) hanno ricevuto impegni dai siti di prenotazione di viaggi Booking ed Expedia. In quanto piattaforme, hanno accettato di garantire una presentazione chiara delle riduzioni di prezzo e degli sconti in conformità del diritto dei consumatori dell'UE, tra cui:

non presentare come sconto i prezzi calcolati in relazione a diverse date di soggiorno (ad es. utilizzando un testo barrato o termini quali «% di sconto»);

chiarire se i prezzi più bassi sono disponibili solo per i membri dei programmi di ricompensa;

non presentare un'offerta come limitata nel tempo se l'offerta continuerà ad essere disponibile allo stesso prezzo anche in un momento successivo (170).

Un professionista pubblicizzava attrezzi sportivi confrontando i propri prezzi con i prezzi di vendita un po' più elevati raccomandati dall'importatore, anche se l'importatore non vendeva tali prodotti direttamente ai consumatori. Un organo giurisdizionale nazionale ha considerato ingannevole tale pratica e ha vietato al professionista di confrontare i propri prezzi con il prezzo di vendita raccomandato, a meno che quest'ultimo corrispondesse effettivamente al prezzo al quale altri rivenditori vendevano il medesimo prodotto (171).

Un organo giurisdizionale nazionale ha ritenuto che un professionista avesse violato l'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, utilizzando prezzi di riferimento barrati per elementi di arredo, mentre quei prodotti non erano mai stati offerti a quel prezzo. Così facendo, il professionista ha creato un vantaggio quanto al prezzo inesistente, che ha indotto o potrebbe potenzialmente indurre in errore i consumatori (172).

2.8.3.   Marketing che ingenera confusione

L'articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della direttiva riguarda il marketing che ingenera confusione.

Articolo 6, paragrafo 2, lettera a)

È altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induca o sia idonea a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti:

a)

una qualsivoglia attività di marketing del prodotto, compresa la pubblicità comparativa, che ingeneri confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente;

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha ritenuto che spedire fatture che imitano l'identità distintiva aziendale di un altro professionista (denominazione, segni e veste grafica della fattura) e dare l'impressione che i servizi siano stati forniti dall'altro professionista sia una pratica commerciale sleale. Tale pratica era anche in contrasto con l'allegato I, punto 21), della direttiva (includere nel materiale promozionale una fattura o analoga richiesta di pagamento che dia al consumatore l'impressione di aver già ordinato il prodotto in commercio mentre non lo ha fatto) (173).

Lo stesso tribunale ha altresì ritenuto che l'uso delle indicazioni «Taxi» e «Taxi Göteborg», entrambe di colore giallo su un veicolo adibito a taxi, costituisse una pubblicità comparativa e ingenerasse confusione con i segni distintivi di un concorrente. Ciò era dovuto al fatto che un altro professionista prestava servizi di taxi nell'area di Göteborg dal 1922 utilizzando le parole «Taxi Göteborg» e il colore giallo come propri marchi commerciali (174).

Una pratica che solleva problemi di compatibilità con questa disposizione è la «confezione imitativa», che può verificarsi nei canali di vendita offline e online. Questa nozione si riferisce alla pratica di disegnare la confezione di un prodotto (o la sua «veste commerciale») conferendole l'aspetto generale di quella di un rinomato marchio concorrente.

La confezione imitativa si distingue dalla contraffazione in quando di norma non comporta la copia del marchio. Il rischio posto dalla confezione imitativa è di ingenerare confusione nei consumatori e di conseguenza falsare il loro comportamento commerciale.

L'inganno in cui è tratto il consumatore può assumere diverse forme:

vera e propria confusione: il consumatore acquista il prodotto imitativo confondendolo con il marchio originale;

inganno sull'origine: il consumatore si accorge che il prodotto imitativo è diverso ma, data la confezione simile, ritiene che provenga dallo stesso fabbricante;

inganno sulla qualità o sulla natura: anche in questo caso il consumatore si accorge che l'imitazione è diversa dall'originale ma, data la confezione simile, ritiene che la qualità sia identica o vicina a quella del prodotto imitato.

La confezione simile induce il consumatore a ritenere che la qualità o la natura del prodotto imitativo sia paragonabile alla qualità o alla natura del marchio in questione o almeno vi si avvicini di più rispetto a quella che altrimenti si aspetterebbe. Tali confezioni danno dunque al consumatore l'impressione che il prezzo sia l'unico termine di paragone tra i prodotti (anziché la combinazione di prezzo e qualità).

Per esempio:

Un professionista attribuisce ai suoi nuovi occhiali da sole un nome o un marchio che assomiglia enormemente al nome o al marchio degli occhiali da sole di un concorrente. Questa pratica può costituire una violazione dell'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva se la similarità è tale da confondere il consumatore medio, rendendolo più propenso a scegliere i nuovi occhiali da sole allorché, senza tale confusione, non li avrebbe scelti.

L'allegato I della direttiva vieta in ogni caso alcune pratiche commerciali specifiche riguardanti il marketing che ingenerano confusione tra i marchi e le relative caratteristiche:

ALLEGATO I, punto 3

Esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione.

ALLEGATO I, punto 4

Asserire che un professionista (incluse le sue pratiche commerciali) o un prodotto è stato approvato, accettato o autorizzato da un organismo pubblico o privato quando esso non lo sia stato o senza rispettare le condizioni dell'approvazione, dell'accettazione o dell'autorizzazione ricevuta.

Allegato I, punto 13

Promuovere un prodotto simile a quello fabbricato da un particolare produttore in modo tale da indurre deliberatamente in errore il consumatore facendogli credere che il prodotto è fabbricato dallo stesso produttore mentre invece non lo è.

Una pratica che può trarre in inganno i consumatori è la vendita da parte di professionisti o mercati online di nomi di marchi come parole chiave, qualora ciò possa creare confusione per quanto riguarda l'identità del professionista che offre effettivamente i prodotti. La direttiva, in particolare l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a) e l'articolo 6, paragrafo 2, lettera a), si applicano se i risultati mostrati possono ingannare i consumatori in merito alla natura del prodotto o ingenerare confusione tra prodotti, marchi, denominazioni commerciali o altri segni distintivi dei concorrenti. Le imprese che usano parole chiave corrispondenti a marchi registrati per vendere prodotti contraffatti potrebbero essere considerate responsabili della violazione dell'allegato I, punto 9), della direttiva.

2.8.4.   Inosservanza dei codici di condotta

Articolo 6, paragrafo 2, lettera b)

2.

È altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induca o sia idonea a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti:

(…).

b)

il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si è impegnato a rispettare, ove:

i)

non si tratti di una semplice aspirazione ma di un impegno fermo e verificabile;

e

ii)

il professionista indichi in una pratica commerciale che è vincolato dal codice.

La direttiva contiene diverse disposizioni volte a impedire ai professionisti di sfruttare indebitamente la fiducia che i consumatori possono riporre nei codici di autodisciplina. Non prevede regole specifiche sulla validità di un codice di condotta, ma si basa sul presupposto che le dichiarazioni ingannevoli riguardanti l'affiliazione o l'accettazione di un professionista da parte di un organismo di autodisciplina possono falsare il comportamento economico dei consumatori e compromettere la fiducia di questi ultimi nei codici di autodisciplina. Innanzitutto, l'articolo 6, paragrafo 2, lettera b), impone ai professionisti l'osservanza dei codici di condotta che si sono impegnati a rispettare nelle comunicazioni commerciali.

La Corte ha chiarito nel caso Bankia che la direttiva non osta a una normativa nazionale che non conferisce un carattere giuridicamente vincolante ai codici di condotta (175). Sebbene la Corte abbia riconosciuto che l'articolo 6, paragrafo 2, lettera b), prevede che il mancato rispetto di un codice di condotta da parte di un professionista possa costituire una pratica commerciale sleale, la direttiva in quanto tale non impone agli Stati membri di prevedere delle conseguenze dirette nei confronti dei professionisti per il solo motivo che questi ultimi non abbiano rispettato un codice di condotta (176).

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori è intervenuta sulla base di questa disposizione nei confronti di un fornitore di servizi di erogazione di energia elettrica. Il fornitore era membro di un'associazione di imprese del settore dell'energia e affermava di rispettare il codice di condotta adottato dall'associazione. Secondo il codice di condotta, quando i consumatori chiedono soltanto informazioni, i professionisti non devono presentare loro offerte di prodotti o servizi. Nel caso in questione, invece, i consumatori o non ricevevano le informazioni richieste oppure si ritrovavano vincolati a un contratto per il quale non avevano dato il loro consenso. Il codice di condotta indicava inoltre che i soci non dovevano profittare dell'inesperienza o della vulnerabilità (età) dei consumatori. Tuttavia il fornitore di energia elettrica in questione aveva sfruttato la vulnerabilità di alcune persone anziane contattate (177).

In secondo luogo, l'allegato I della direttiva vieta in ogni caso alcune pratiche, al fine di assicurare l'uso responsabile dei codici di condotta da parte dei professionisti nelle loro attività di marketing (allegato I, punti 1) e 3), relativi ai codici di condotta, punto 2), relativo ai marchi, e punto 4), relativo all'accettazione da parte di un organismo pubblico o privato).

2.8.5.   Marketing basato sul «duplice livello di qualità»

Articolo 6, paragrafo 2, lettera c)

2.

È altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induca o sia idonea a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti:

(…).

c)

una qualsivoglia attività di marketing che promuova un bene, in uno Stato membro, come identico a un bene commercializzato in altri Stati membri, mentre questo bene ha una composizione o caratteristiche significativamente diverse, salvo laddove ciò sia giustificato da fattori legittimi e oggettivi.

La libera circolazione delle merci non significa necessariamente che ogni prodotto debba essere identico in ogni angolo del mercato unico. Sebbene i consumatori siano liberi di acquistare i prodotti di loro scelta, gli operatori commerciali sono anch'essi liberi di commercializzare e vendere beni con composizione o caratteristiche diverse, purché rispettino pienamente la legislazione dell'UE (sia sulla sicurezza dei prodotti, sull'etichettatura o su altre normative orizzontali o di settore).

Tuttavia come stabilito dal considerando 52 della direttiva (UE) 2019/2161, le attività di marketing negli Stati membri, che promuovano beni come identici, mentre essi hanno in realtà una composizione o caratteristiche significativamente diverse, possono ingannare i consumatori e indurli ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso. In tali casi si parla spesso di pratiche di marketing basate sul «duplice livello di qualità».

La direttiva (UE) 2019/2161 ha quindi introdotto nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali una disposizione specifica (articolo 6, paragrafo 2, lettera c)) per affrontare le situazioni in cui i professionisti commercializzano beni in diversi Stati membri come identici, mentre in realtà tali prodotti presentano differenze significative in termini di composizione o caratteristiche, salvo laddove ciò sia giustificato da fattori legittimi e oggettivi. L'applicazione dell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), si basa sulle circostanze oggettive ed evidenti della presentazione e della composizione o delle caratteristiche dei beni in questione.

L'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva chiarisce l'applicazione della stessa alle pratiche di marketing ingannevoli basate sul «duplice livello di qualità» e fornisce alle autorità nazionali per la tutela dei consumatori una base giuridica più chiara e specifica per affrontare tali pratiche ingannevoli. La presente guida sostituisce la comunicazione della Commissione del 2017 riguardante l'applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (originale) alle «differenze di qualità» degli alimenti (178).

Oggetto e professionisti interessati

L'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), si applica solo ai «beni» non definiti nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali. La direttiva si applica ai «prodotti» definiti globalmente come comprendenti beni, servizi e contenuti digitali. Deve essere quindi applicata per analogia la definizione di «beni» di cui alla direttiva (UE) 2019/771 sulla vendita di beni. Per «beni» si intendono pertanto oggetti mobili tangibili così come acqua, gas ed elettricità in un volume limitato o in quantità determinata. Di conseguenza l'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), non si applica ai servizi e ai contenuti digitali, che rimangono soggetti alle norme generali della direttiva sulle pratiche commerciali sleali relative alle azioni ingannevoli o alle omissioni.

Le pratiche di marketing basate sul «duplice livello di qualità» presentano gran parte dei problemi nel settore dei prodotti alimentari (incluse le bevande). L'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali si applica comunque anche ad altri tipi di beni.

L'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), si applica all'attività di «marketing» che è un concetto ampio comprendente sia la presentazione dei beni sulla loro confezione, e la relativa pubblicità, sia le promozioni e la vendita dei beni ai consumatori.

I destinatari principali dell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), sono i professionisti che determinano la presentazione e la composizione dei beni in questione. Si tratta generalmente dei produttori e anche dei proprietari di marchi «privati» e di marchi di rivenditori. Le attività di esecuzione dell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), devono quindi concentrarsi principalmente sui produttori di beni.

I semplici rivenditori, solitamente, non influiscono né sulla composizione né sulla confezione dei prodotti che vendono. Ciononostante, una volta accertate le pratiche ingannevoli basate sul «duplice livello di qualità» per quanto riguarda un bene specifico, le autorità responsabili dell'esecuzione delle normative possono richiedere un'azione correttiva anche ai rivenditori che vendono il bene in questione. In particolare, possono richiedere ai rivenditori di fornire informazioni aggiuntive presso il punto vendita, garantendo in tal modo che i consumatori siano consapevoli che il bene in questione non è in realtà identico al bene venduto in altri paesi. Poiché la direttiva non si applica ai rapporti tra imprese (B2B), essa non disciplina le conseguenze di tali azioni di esecuzione nel contesto dei rapporti contrattuali B2B tra rivenditori e produttori.

A causa della natura transfrontaliera dei casi di «duplice livello di qualità», le autorità competenti devono, se del caso, cooperare ai sensi del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori (CPC) (UE) 2017/2394. In particolare, il regolamento CPC stabilisce chiari obblighi di assistenza reciproca tra le autorità competenti al fine di garantire che le autorità dello Stato membro in cui il professionista è stabilito adottino le misure necessarie a far cessare le infrazioni che penalizzano i consumatori in altre giurisdizioni dell'Unione.

Stabilire le differenze e se i prodotti sono commercializzati come «identici»

A norma dell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva, le pratiche di marketing potenzialmente sleali basate sul «duplice livello di qualità» rispetto a un bene esistono quando sono soddisfatte le due condizioni seguenti:

1.

il bene è commercializzato come identico al bene commercializzato in altri Stati membri, e

2.

il bene ha una composizione o caratteristiche significativamente diverse rispetto al bene commercializzato in altri Stati membri.

Il riferimento ad «altri Stati membri» dev'essere inteso come comprendente uno o più Stati membri oltre a quello responsabile dell'esecuzione (179).

L'espressione «marketing che promuova un bene (...) come identico» si riferisce a come i beni sono presentati e percepiti da un consumatore medio. Di conseguenza la presentazione del bene non deve essere identica sotto tutti gli aspetti per essere percepita come identica da una persona media. Ai sensi del considerando 53 della direttiva (UE) 2019/2161, le autorità competenti dovrebbero valutare se la differenziazione del bene sia facilmente individuabile dai consumatori basandosi sulla disponibilità e l'adeguatezza delle informazioni.

Quando presentano ai consumatori di diversi Stati membri versioni di un bene con differenze significative in termini di composizione o caratteristiche, i professionisti devono immedesimarsi nel consumatore medio e verificare se questi potrebbe percepire tali diverse versioni come identiche. A questo proposito, i professionisti possono trarre ispirazione dalle buone pratiche di marketing esistenti che le aziende utilizzano per presentare diverse versioni dei loro prodotti alimentari (disponibili in parallelo in ciascuno dei mercati nazionali) in modo da evidenziarne molto chiaramente le differenze al consumatore, pur mantenendo elementi comuni che identificano il marchio.

Poiché l'applicazione dell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), scatta con la presenza di «differenze», essa non richiede la determinazione di un «bene di riferimento», ossia non impone di stabilire quale dei beni commercializzati in modo identico è quello «originale» e quale è la versione «differenziata». Ciò che conta è se i beni commercializzati in diversi Stati membri differiscono significativamente nella composizione o nelle caratteristiche o meno. Questo significa anche che spetta ai professionisti decidere come garantire che i consumatori possano distinguere chiaramente le diverse versioni del bene.

Per stabilire le differenze con i beni commercializzati in altri Stati membri, le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione delle normative devono confrontare le informazioni disponibili sulla confezione (vale a dire sulla parte anteriore della confezione e sull'etichetta). Se le informazioni che devono figurare per legge sull'etichetta sono considerate errate (tramite test di laboratorio), si è in presenza innanzitutto di una violazione della normativa dell'UE sui prodotti alimentari (cfr. di seguito e le sezioni 1.2.2 e 3.3).

Valutazione caso per caso e «significatività» della differenza

Ai sensi delle disposizioni generali dell'articolo 6 della direttiva, commercializzare prodotti con composizione o caratteristiche diverse come identici in diversi Stati membri è ingannevole e, pertanto, sleale e vietato, se può influenzare la decisione di natura commerciale del consumatore medio. Per questo occorre una valutazione caso per caso delle pratiche commerciali interessate. Il criterio della decisione di natura commerciale è il punto centrale e il prerequisito per l'applicazione di tutte le principali disposizioni della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (ossia gli articoli da 5 a 9).

A questo proposito, è opportuno rilevare che, nel mercato unico, generalmente la percezione dei consumatori è che la libera circolazione delle merci e la parità di accesso alle stesse siano garantite. In particolare, nell'immaginario dei consumatori i marchi sono sinonimo di qualità controllata e costante. La pubblicità dei marchi e gli sforzi di costruzione dell'immagine contribuiscono alla formazione di questa percezione del consumatore. Inoltre indicazioni come «originale», «unico» e «la ricetta del fondatore» che compaiono spesso, ad esempio, sulle confezioni dei prodotti alimentari, rafforzano ulteriormente il messaggio del proprietario del marchio in merito alle caratteristiche uniformi del bene in tutti i mercati.

I consumatori quindi non si aspettano a priori che i beni di marca venduti in paesi diversi abbiano una composizione o caratteristiche diverse. Di conseguenza potrebbero astenersi dall'acquistare il bene, se sapessero che il bene offerto in vendita nel loro paese è diverso per caratteristiche o composizione dal bene offerto ai consumatori in altri paesi. Tuttavia per quanto riguarda gli alimenti, da uno studio del JRC del 2020 è emerso che la differenziazione delle versioni ha avuto un impatto eterogeneo sulle decisioni di acquisto dei consumatori tra i prodotti alimentari studiati e tra gli Stati membri. Specificamente, informare i consumatori sulla differenziazione dei prodotti alimentari li ha indotti in alcuni casi a preferire le versioni «nazionali», e in altri a optare per le versioni «straniere» dei prodotti alimentari (180).

La relazione del JRC ha altresì rilevato che il comportamento del consumatore di fronte alla differenziazione dei beni dipendeva anche dall'entità della differenza. È più probabile che la decisione di natura commerciale del consumatore medio sia influenzata se il consumatore sa che uno o un certo numero di ingredienti chiave o il loro contenuto, ad esempio, negli alimenti, differisce in modo sostanziale (181). Differenze di composizione più accentuate hanno maggiori probabilità di modificare le caratteristiche sensoriali, che costituiscono uno dei fattori determinanti della qualità degli alimenti per i consumatori. Tuttavia, detto questo, è importante sottolineare anche che la percezione sensoriale degli alimenti è soltanto uno degli elementi che possono influenzare le scelte dei consumatori. I consumatori, ad esempio, possono anche voler evitare certi tipi di ingredienti per vari motivi, diversi da quelli legati alla propria salute (ad es. gli allergeni). In particolare, i consumatori attribuiscono sempre più importanza all'impatto ambientale di certi beni o dei loro ingredienti, alla loro origine geografica, al modo di fabbricazione, alla composizione chimica, ecc. (182).

La classificazione delle differenze tra «significative» e «non significative» non può essere determinata in anticipo per quanto riguarda, ad esempio, ingredienti specifici negli alimenti. La «significatività» della differenza è anzi un elemento inerente alla valutazione caso per caso dell'impatto della pratica di marketing basata sul «duplice livello di qualità» sul consumatore medio. È nel senso dell'impatto sul consumatore medio che il concetto di significatività è utilizzato nell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva.

Eccezioni giustificate

L'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), consente ai professionisti di (continuare a) commercializzare beni che differiscono significativamente nella composizione o nelle caratteristiche come se fossero identici quando ciò è giustificato da «fattori legittimi e obiettivi». Un elenco indicativo non esaustivo di tali fattori è menzionato nel considerando 53 della direttiva (UE) 2019/2161, specificamente: requisiti normativi nazionali; disponibilità o stagionalità delle materie prime; strategie volontarie volte a migliorare l'accesso a prodotti alimentari sani e nutrienti, così come il diritto del professionista di offrire beni dello stesso marchio in confezioni di diverso peso o volume su mercati geografici diversi.

Le norme nazionali possono infatti stabilire requisiti specifici in quanto alla composizione di certi tipi di alimenti venduti in alcuni paesi, che non esistono in altri Stati membri. Inoltre possono esserci differenze oggettive nell'approvvigionamento dovute alla disponibilità geografica e/o stagionale delle materie prime, che incidono sulla composizione e/o sul gusto dei prodotti. I professionisti possono anche introdurre, nell'ambito di politiche volontarie di riformulazione nutrizionale, nuove ricette che non possono essere realizzate, dal punto di vista tecnico o economico, simultaneamente in tutti i mercati.

Oltre a ciò, poiché gli esempi citati nel considerando 53 della direttiva (UE) 2019/2161 non sono esaustivi, la differenziazione dei beni commercializzati in diversi Stati membri potrebbe essere giustificata anche da altri fattori oggettivi.

Qualsiasi giustificazione avanzata dai professionisti per la differenziazione dei beni dev'essere valutata nel merito caso per caso. I professionisti devono dimostrare la validità dell'eccezione. In particolare, quando un professionista adatta le versioni nazionali dei prodotti alle preferenze dei consumatori locali, deve essere in grado di dimostrare (attraverso, ad esempio, studi economici o di mercato) l'esistenza di preferenze da parte dei consumatori e che la differenziazione del prodotto risponde effettivamente a tali preferenze.

Il considerando 53 della direttiva (UE) 2019/2161 sottolinea che i professionisti che differenziano le versioni dei loro prodotti in virtù di fattori legittimi e oggettivi devono comunque informarne i consumatori. Sebbene il metodo per fornire tali informazioni sia lasciato ai professionisti, il considerando afferma che i professionisti dovrebbero in genere privilegiare modalità alternative rispetto a quella di riportare le informazioni sull'etichetta dei beni. Tali altri mezzi possono essere informazioni presso i locali del rivenditore/su interfacce di vendita online, siti web dei prodotti (che dovrebbero essere facilmente e direttamente accessibili, ad esempio, scansionando un codice QR sulla confezione) o pubblicità dei prodotti. In ogni caso, le informazioni devono essere facilmente e direttamente accessibili per il consumatore medio, compresi i consumatori vulnerabili. Con una comunicazione attiva e trasparente sulla differenziazione dei beni tramite questi altri mezzi, i professionisti non solo informeranno i consumatori, ma chiariranno a loro e alle autorità nazionali responsabili dell'esecuzione delle normative che ritengono giustificato continuare a commercializzare i beni in questione come identici, conformemente alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Inoltre deve esserci anche un interesse commerciale in tale comunicazione attiva e trasparente, in particolare quando la differenziazione delle versioni del bene ha effettivamente lo scopo di soddisfare i requisiti legali nazionali o di migliorare l'esperienza del consumatore.

Le allegazioni del professionista sulla giustificazione della commercializzazione dei beni come identici nonostante le loro differenze significative rientrano nelle disposizioni dell'articolo 12 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. L'articolo 12 stabilisce che gli Stati membri devono attribuire agli organi giurisdizionali e alle autorità nazionali il potere di esigere che i professionisti forniscano prove a giustificazione delle loro allegazioni fattuali. Tali poteri dovrebbero applicarsi anche alle allegazioni dei professionisti sulla giustificazione della differenziazione.

Prodotti alimentari

La normativa dell'UE in materia di prodotti alimentari si applica parallelamente alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali e può essere pertinente anche nei casi di «duplice livello di qualità», poiché questi sembrano verificarsi prevalentemente nel settore alimentare.

In particolare, il regolamento (CE) n. 178/2002 sulla legislazione alimentare generale mira a garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti, garantendo al contempo l'efficace funzionamento del mercato interno. Esso costituisce il fondamento della legislazione alimentare dell'Unione e stabilisce, tra l'altro, i principi comuni della legislazione alimentare (dell'Unione e nazionale) e le responsabilità degli operatori del settore alimentare e dei mangimi in tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e dei mangimi.

A tal riguardo esso stabilisce la tutela degli interessi dei consumatori quale principio generale della legislazione alimentare (183). Di conseguenza la legislazione alimentare deve prefiggersi di tutelare gli interessi dei consumatori e di costituire una base per consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli in relazione agli alimenti che consumano. In particolare, deve mirare a prevenire le pratiche seguenti: a) le pratiche fraudolente o ingannevoli; b) l'adulterazione degli alimenti; e c) ogni altro tipo di pratica in grado di indurre in errore il consumatore.

Il regolamento prevede anche un obbligo generale, in capo agli operatori del settore alimentare e dei mangimi, per cui l'etichettatura, la pubblicità e la presentazione degli alimenti o dei mangimi, compresi la loro forma, il loro aspetto o confezionamento, i materiali di confezionamento usati, il modo in cui gli alimenti o mangimi sono disposti, il contesto in cui sono esposti e le informazioni rese disponibili su di essi attraverso qualsiasi mezzo, non devono trarre in inganno i consumatori (184). Solo gli alimenti e i mangimi sicuri possono essere immessi sul mercato dell'Unione (185). Infine, spetta agli operatori del settore alimentare e dei mangimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino tutte le disposizioni della legislazione alimentare pertinenti per la loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte (186).

Inoltre il regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (il «regolamento relativo alle informazioni sugli alimenti») stabilisce norme e requisiti generali di etichettatura, tra cui la fornitura obbligatoria di un elenco completo degli ingredienti, la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti, informazioni sugli allergeni, una dichiarazione nutrizionale ecc. In questo modo i consumatori possono essere pienamente informati sulla composizione dei prodotti alimentari e si evitano informazioni alimentari ingannevoli. Le informazioni sugli alimenti devono essere chiare, precise e facilmente comprensibili per il consumatore. A tal fine, il regolamento relativo alle informazioni sugli alimenti stabilisce requisiti specifici per la presentazione delle informazioni obbligatorie, compresa la dimensione minima dei caratteri.

La legislazione alimentare dell'UE mette in atto un quadro giuridico completo volto a garantire non solo un livello elevato di protezione della salute dei consumatori e dei loro interessi sociali ed economici, ma anche la libera circolazione di alimenti sicuri nel mercato unico dell'UE.

Gli obblighi d'informazione stabiliti dal regolamento relativo alle informazioni sugli alimenti sono informazioni «rilevanti» ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 5, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. L'omissione di tali informazioni potrebbe essere considerata ingannevole, in seguito a una valutazione caso per caso, nella misura in cui è probabile che influenzi le decisioni di natura commerciale del consumatore medio.

Le indagini delle autorità nazionali responsabili dell'applicazione della direttiva condotte sulle pratiche potenzialmente ingannevoli basate sul «duplice livello di qualità» si baseranno in linea di massima sulle informazioni circa la composizione del prodotto fornite sulla confezione, in conformità dei requisiti della legislazione alimentare dell'UE (187).

Tuttavia le pratiche ingannevoli basate sul «duplice livello di qualità» potrebbero verificarsi anche nei casi in cui le differenze tra i prodotti non si evincono dall'etichetta. In tali situazioni, le autorità responsabili della legislazione alimentare verificheranno la conformità con il regolamento relativo alle informazioni sugli alimenti e i regolamenti applicabili specifici del prodotto che stabiliscono le norme di composizione. Negli Stati membri in cui autorità diverse sono responsabili dell'applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e della pertinente legislazione alimentare, tali autorità dovrebbero cooperare strettamente fra loro per garantire che i risultati delle rispettive indagini nei riguardi dello stesso professionista e/o della stessa pratica commerciale siano coerenti.

Altri beni

Poiché il divieto di pratiche ingannevoli basate sul «duplice livello di qualità» non si limita ai prodotti alimentari, e alla luce delle preoccupazioni relative a pratiche analoghe applicate nel contesto di altri beni di consumo (188), la Commissione sta conducendo dal 2021 uno studio pilota nel settore dei prodotti di pulizia, dei detergenti e dei cosmetici. Lo scopo dello studio è esaminare se la suddetta metodologia comune messa a punto dal Centro comune di ricerca nel settore dei prodotti alimentari possa essere estesa per confrontare la composizione di tali beni, nonché la fattibilità per le autorità competenti degli Stati membri, le ONG o le imprese, di creare uno strumento di monitoraggio per i casi di «duplice livello di qualità».

2.9.   Articolo 7 — Omissioni ingannevoli

Articolo 7 — Omissioni ingannevoli

1.

È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea a indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

2.

Una pratica commerciale è altresì considerata un'omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1, tenendo conto degli aspetti di cui a detto paragrafo, o non indica l'intento commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, in uno o nell'altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

3.

Qualora il mezzo di comunicazione impiegato per comunicare la pratica commerciale imponga restrizioni in termini di spazio o di tempo, nel decidere se vi sia stata un'omissione di informazioni si tiene conto di dette restrizioni e di qualunque misura adottata dal professionista per mettere le informazioni a disposizione dei consumatori con altri mezzi.

4.

Nel caso di un invito all'acquisto sono considerate rilevanti le informazioni seguenti, qualora non risultino già evidenti dal contesto:

a)

le caratteristiche principali del prodotto in misura adeguata al mezzo di comunicazione e al prodotto stesso;

b)

l'indirizzo geografico e l'identità del professionista, come la sua denominazione sociale e, ove questa informazione sia pertinente, l'indirizzo geografico e l'identità del professionista per conto del quale egli agisce;

c)

il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta l'impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali o, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l'indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore;

d)

le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale;

e)

l'esistenza di un diritto di recesso o scioglimento del contratto per i prodotti e le operazioni commerciali che comportino tale diritto;

f)

per i prodotti offerti su mercati online, se il terzo che offre i prodotti è un professionista o meno, sulla base della dichiarazione del terzo stesso al fornitore del mercato online.

4 bis.

Nel caso in cui sia fornita ai consumatori la possibilità di cercare prodotti offerti da professionisti diversi o da consumatori sulla base di una ricerca sotto forma di parola chiave, frase o altri dati, indipendentemente dal luogo in cui le operazioni siano poi effettivamente concluse, sono considerate rilevanti le informazioni generali, rese disponibili in un'apposita sezione dell'interfaccia online che sia direttamente e facilmente accessibile dalla pagina in cui sono presentati i risultati della ricerca, in merito ai parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti presentati al consumatore come risultato della sua ricerca e all'importanza relativa di tali parametri rispetto ad altri parametri. Il presente paragrafo non si applica ai fornitori di motori di ricerca online definiti ai sensi dell'articolo 2, punto 6), del regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio.

5.

Sono considerati rilevanti gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o il marketing, di cui l'allegato II fornisce un elenco non completo.

6.

Se un professionista fornisce l'accesso alle recensioni dei consumatori sui prodotti, sono considerate rilevanti le informazioni che indicano se e in che modo il professionista garantisce che le recensioni pubblicate provengano da consumatori che hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto.

2.9.1.   Informazioni rilevanti

L'articolo 7, paragrafi 1 e 2, stabilisce, in termini molto generali, un obbligo positivo per i professionisti di fornire tutte le informazioni di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione di acquisto consapevole. Tali informazioni sono le cosiddette «informazioni rilevanti» di cui all'articolo 7.

La direttiva non contiene una definizione di «informazioni rilevanti», salvo nel caso specifico di un «invito all'acquisto», trattato all'articolo 7, paragrafo 4 (cfr. sezione 2.9.5). Inoltre, l'articolo 7, paragrafo 5, della direttiva precisa che sono considerati rilevanti «gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità» (cfr. sezione 1.2.2).

Per contro, come spiegato al considerando 15, qualora gli Stati membri abbiano introdotto informazioni aggiuntive rispetto a quanto specificato nel diritto comunitario, sulla base delle clausole minime, l'omissione di tali informazioni non costituisce un'omissione ingannevole ai sensi della direttiva.

Al fine di valutare, caso per caso, se siano state omesse informazioni rilevanti, gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali devono tenere conto di tutte le caratteristiche e circostanze di una determinata pratica commerciale, compresi i limiti del mezzo di comunicazione impiegato.

Per esempio:

Un'autorità nazionale è intervenuta nei confronti di un professionista che offriva prodotti di assicurazione sulla vita senza includere nella pubblicità le informazioni rilevanti. Il professionista affermava che, in caso di decesso della persona assicurata, i parenti avrebbero ottenuto tutte le prestazioni assicurative. Tuttavia il professionista non informava i consumatori del fatto che, se la persona fosse deceduta entro i primi 24 mesi dalla sottoscrizione della polizza per motivi diversi da un incidente, i parenti avrebbero ricevuto soltanto prestazioni assicurative limitate (189).

Alcuni strumenti di confronto utilizzano indicazioni quali «migliore offerta» per segnalare offerte che non sono necessariamente quelle meno costose, ma quelle che offrono il miglior rapporto qualità/prezzo. L'omissione di informazioni riguardanti i criteri applicati per l'indicazione «migliore offerta» potrebbe risultare ingannevole ai sensi dell'articolo 7 della direttiva.

2.9.2.   Marketing occulto/mancata indicazione dell'intento commerciale

Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, la mancata indicazione dell'intento commerciale di una pratica commerciale è considerata un'omissione ingannevole, quando ciò è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

A questo proposito, anche la direttiva sul commercio elettronico (190), la direttiva sui servizi di media audiovisivi (191) e la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche (192) stabiliscono alcuni obblighi riguardanti le comunicazioni commerciali e l'invio di messaggi di posta elettronica a scopi di commercializzazione diretta. Un aspetto specifico del marketing occulto è disciplinato anche dall'articolo 8, paragrafo 5, della direttiva sui diritti dei consumatori.

Articolo 8, paragrafo 5, della direttiva sui diritti dei consumatori:

«(…) se il professionista telefona al consumatore al fine di concludere un contratto a distanza, all'inizio della conversazione con il consumatore egli deve rivelare la sua identità e, ove applicabile, l'identità della persona per conto della quale effettua la telefonata, nonché lo scopo commerciale della chiamata».

Queste disposizioni riguardano pratiche commerciali o settori specifici, mentre l'articolo 7, paragrafo 2, ha un ambito di applicazione generale e più vasto e si riferisce a qualsiasi pratica commerciale.

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori è intervenuta nei confronti di un professionista che invitava i consumatori a incontri in cui veniva offerto un check-up sanitario gratuito nell'ambito di un programma intitolato «Ho cura della mia salute». Il professionista non rivelava il fatto che lo scopo principale degli incontri era la presentazione di prodotti al fine di venderli ai consumatori (193).

Oltre all'articolo 7, paragrafo 2, la direttiva vieta in ogni caso alcune pratiche specifiche che comportano la mancata indicazione dell'intento commerciale.

L'allegato I, punto 11, vieta l'impiego di «contenuti redazionali nei media per promuovere un prodotto, qualora i costi di tale promozione siano stati sostenuti dal professionista senza che ciò emerga chiaramente dai contenuti o da immagini o suoni chiaramente individuabili per il consumatore (advertorial ovvero pubblicità redazionale)».

Per esempio:

Un importante quotidiano collabora con un operatore di telecomunicazioni che finanzia una particolare rubrica del quotidiano intitolata «La vita digitale». Tale rubrica e tutto il suo contenuto, tra cui la promozione di prodotti che l'operatore di telecomunicazioni intende lanciare, figurano come contenuto redazionale del quotidiano; l'unica comunicazione al pubblico della natura commerciale del materiale presentato è la discreta presenza della dicitura «in collaborazione con» seguita dal marchio commerciale dell'operatore di telecomunicazioni. Questa pratica è stata ritenuta in violazione del punto 11) dell'allegato I, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (194).

L'allegato I, punto 22), vieta di «falsamente dichiarare o dare l'impressione che il professionista non agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o presentarsi falsamente come consumatore».

L'articolo 7, paragrafo 2, insieme ai punti 11) e 22) dell'allegato I, può essere particolarmente pertinente per i professionisti online (cfr. la sezione 4.2.5 sui media sociali e la sezione 4.2.6 sul marketing di influenza).

2.9.3.   Informazioni rilevanti presentate in modo oscuro

Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, presentare informazioni rilevanti «in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo» costituisce un'omissione ingannevole quando ciò è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha concluso che un professionista aveva violato l'articolo 7 della direttiva informando i consumatori dei loro diritti in modo oscuro, ambiguo e non ragionevolmente comprensibile. Il professionista aveva informato i consumatori del loro diritto di recesso, presentando il testo integrale di un decreto del governo. L'organo giurisdizionale ha constatato che il testo conteneva numerose disposizioni non applicabili ai contratti in questione e che il testo integrale del decreto non si qualificava come informazione atta a comunicare ai consumatori, in modo chiaro e concreto, le condizioni che disciplinavano il loro diritto di recedere dal contratto (195).

Un operatore di servizi telefonici pubblicizzava alla televisione un abbonamento di telefonia mobile, evidenziando i vantaggi specifici in termini di prezzo, mentre le restrizioni e le condizioni dell'offerta erano presentate in caratteri piccoli e apparivano sullo schermo per brevissimo tempo. Si è ritenuto che, nonostante le restrizioni in termini di spazio e di tempo imposte dal mezzo impiegato (TV), niente impediva al professionista di indicare in modo più chiaro tali informazioni essenziali. Di conseguenza, poiché tali informazioni rilevanti erano state omesse, la pubblicità è stata considerata ingannevole (196).

Il requisito di fornire informazioni rilevanti in modo chiaro, comprensibile e tempestivo potrebbe essere violato in una situazione in cui un professionista online si rivolge ai consumatori di uno specifico Stato membro, fornendo parte delle informazioni rilevanti nella lingua di tale paese ma rendendo disponibili altre informazioni rilevanti solo in una lingua diversa (197), ad esempio nei termini e nelle condizioni generali (198).L'applicazione della direttiva in tali casi è complementare e non pregiudica i requisiti linguistici più specifici previsti da altre normative dell'UE, come l'opzione normativa prevista dalla direttiva 2011/83/UE concernente le informazioni e il diritto di recesso nei contratti a distanza e nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali (cfr. la sezione 4.1.8 della comunicazione orientativa sulla direttiva sui diritti dei consumatori).

2.9.4.   La fattispecie concreta e i limiti del mezzo di comunicazione impiegato

L'articolo 7, paragrafo 1, sottolinea che, per valutare se una pratica commerciale sia ingannevole, occorre esaminarla «nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato».

L'articolo 7, paragrafo 3, dev'essere letto in combinato disposto con l'articolo 7, paragrafo 1. Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 3, nel valutare se vi sia stata un'omissione di informazioni rilevanti, si tiene conto:

delle restrizioni in termini di spazio e di tempo del mezzo di comunicazione impiegato;

di qualunque misura adottata dal professionista per mettere le informazioni a disposizione dei consumatori con altri mezzi.

Le disposizioni di cui sopra si applicano a tutti gli elementi dell'articolo 7. Inoltre, conformemente alla frase introduttiva dell'articolo 7, paragrafo 4, nel caso di un invito all'acquisto i professionisti non sono tenuti a fornire informazioni che risultino già evidenti dal contesto.

La Corte ha chiarito che nella valutazione di un'omissione ingannevole di cui all'articolo 7, paragrafi 1 e 3, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, occorre tenere conto dei suddetti fattori, anche qualora ciò non risulti espressamente dal tenore letterale della normativa nazionale, ma possa essere invece rinvenuto, ad esempio, dai lavori preparatori (199).

Nella stessa causa la Corte ha anche rilevato che si deve effettuare un bilanciamento tra i limiti di spazio o di tempo imposti dal mezzo di comunicazione impiegato e la natura e le caratteristiche di un determinato prodotto. Occorre valutare se il professionista si trovasse effettivamente nell'impossibilità di fornire le informazioni o di presentarle in modo chiaro. Qualora fosse impossibile includere tutte le informazioni rilevanti relative a un prodotto, il professionista può includere sul prodotto un rinvio verso il suo sito internet, purché tale sito contenga informazioni relative alle caratteristiche principali del prodotto, al prezzo e alle altre condizioni, conformemente a quanto previsto dall'articolo 7 (200).

Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, presentare informazioni rilevanti «in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo» costituisce un'omissione ingannevole quando ciò è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Per esempio:

Un operatore di servizi telefonici pubblicizzava alla televisione un abbonamento di telefonia mobile, evidenziando i vantaggi specifici in termini di prezzo, mentre le restrizioni e le condizioni dell'offerta erano presentate in caratteri piccoli e apparivano sullo schermo per brevissimo tempo. Un organo giurisdizionale nazionale ha ritenuto che, nonostante le restrizioni in termini di spazio e di tempo imposte dal mezzo impiegato (TV), niente impedisse al professionista di indicare in modo più chiaro tali informazioni essenziali. Di conseguenza, poiché tali informazioni rilevanti erano state omesse, la pubblicità è stata considerata ingannevole (201).

Nel precisare se le caratteristiche principali del prodotto figurino tra gli elementi da considerare «informazioni rilevanti», l'articolo 7, paragrafo 4, lettera a), indica inoltre che, in un invito all'acquisto, occorre tenere conto del «mezzo e del prodotto».

Nella causa Ving Sverige, la Corte ha concluso che «può essere sufficiente che il professionista indichi solamente alcune delle caratteristiche principali di un prodotto, rinviando per il resto al proprio sito internet, a condizione che tale sito fornisca le informazioni rilevanti relative alle caratteristiche principali del prodotto, al prezzo e alle altre condizioni, come richiesto dall'art. 7 di tale direttiva» (202).

Considerata la loro importanza per la decisione di acquisto del consumatore, le informazioni sul prezzo completo e le caratteristiche principali del prodotto dovrebbero essere indicate in modo ben visibile.

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha considerato ingannevole un opuscolo in cui si affermava che i consumatori potevano risparmiare il 3 % del prezzo di acquisto utilizzando la carta di credito promossa. L'organo giurisdizionale ha ritenuto che l'affermazione generale contenuta nell'opuscolo inducesse i consumatori a ritenere che il risparmio riguardasse qualsiasi tipo di acquisto effettuato con la carta di credito, mentre in realtà venivano applicate importanti restrizioni. Tali restrizioni erano descritte soltanto nelle condizioni contrattuali: ciò non è stato ritenuto sufficiente, in quanto erano state omesse informazioni rilevanti sulle caratteristiche del prodotto pubblicizzato (203).

L'entità complessiva delle informazioni richieste sulle caratteristiche principali di un prodotto deve essere valutata alla luce del contesto dell'invito all'acquisto, della tipologia di prodotto e del mezzo di comunicazione impiegato.

2.9.5.   Informazioni rilevanti negli inviti all'acquisto — Articolo 7, paragrafo 4

Inviti all'acquisto

Articolo 2, lettera i)

«invito all'acquisto»: una comunicazione commerciale indicante le caratteristiche e il prezzo del prodotto in forme appropriate al mezzo impiegato per la comunicazione commerciale e pertanto tale da consentire al consumatore di effettuare un acquisto

Nel caso degli «inviti all'acquisto», l'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva considera «rilevanti» alcune informazioni. Ciò significa che i professionisti sono tenuti a fornire ai consumatori tali informazioni qualora non risultino in altro modo evidenti dal contesto.

Le «caratteristiche del prodotto» sono sistematicamente presenti quando è presente un riferimento verbale o visivo al prodotto. Una diversa interpretazione potrebbe incoraggiare i professionisti a fornire descrizioni vaghe del prodotto oppure a omettere informazioni nelle loro offerte commerciali al fine di sottrarsi agli obblighi stabiliti all'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva.

L'ultima parte della definizione di cui all'articolo 2, lettera i), («e pertanto tale da consentire al consumatore di effettuare un acquisto») non richiede che la comunicazione commerciale offra al consumatore un meccanismo di acquisto effettivo (per es. un numero telefonico o un buono). Significa che l'informazione fornita nell'attività di marketing del prodotto deve essere sufficiente per consentire al consumatore di prendere una decisione riguardo a se acquistare un particolare prodotto a un determinato prezzo.

Nella causa Ving Sverige, la Corte ha statuito:

«Ne consegue che, affinché una comunicazione commerciale possa essere qualificata come invito all'acquisto, non è necessario che essa offra un mezzo concreto di acquisto oppure che avvenga in prossimità o in occasione di un tale mezzo» (204).

La nozione di invito all'acquisto è più limitata rispetto a quella di pubblicità, e non tutte le comunicazioni commerciali si qualificano come invito all'acquisto ai sensi dell'articolo 2, lettera i).

Tuttavia la nozione di invito all'acquisto è più ampia rispetto a quella di informazione precontrattuale. Gli obblighi di informazione precontrattuale si riferiscono alle informazioni che devono essere fornite prima che il consumatore concluda un contratto, mentre un invito all'acquisto non implica necessariamente che il passo successivo del consumatore sia la conclusione di un contratto con un professionista.

Per esempio:

Un annuncio pubblicitario alla radio che descrive le caratteristiche e il prezzo di un prodotto è un invito all'acquisto, ma di norma non si qualifica come informazione precontrattuale.

Questa distinzione è particolarmente importante in termini di interazione tra la direttiva sulle pratiche commerciali sleali e la direttiva sui diritti dei consumatori. Una grande varietà di comunicazioni commerciali solitamente si qualifica come invito all'acquisto.

Per esempio:

Un sito internet di una compagnia aerea che propone offerte di voli e i relativi prezzi.

Un annuncio di vendita per corrispondenza (205).

Un opuscolo di un supermercato che pubblicizza prezzi scontati per determinati prodotti.

La direttiva consente ai professionisti di scegliere se includere il prezzo nelle comunicazioni commerciali. Una comunicazione commerciale o un annuncio pubblicitario che contenga una descrizione esauriente della natura, delle caratteristiche e dei vantaggi offerti da un prodotto o servizio, ma non il prezzo, non può essere considerata un «invito all'acquisto» ai sensi dell'articolo 2, lettera i), della direttiva. Un esempio di comunicazione commerciale che non è un invito all'acquisto è una pubblicità volta a promuovere il «marchio» di un professionista anziché un particolare prodotto (cioè pubblicità di marca).

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha statuito che un annuncio pubblicitario che inviti un consumatore a visitare un sito Internet per richiedere un'offerta assicurativa non costituisce un invito all'acquisto (206).

Informazioni rilevanti

L'articolo 7, paragrafo 4, contiene un elenco di obblighi di informazione considerati rilevanti. Ciò è finalizzato ad assicurare il massimo livello di certezza del diritto per i consumatori in questo momento critico (207). Scopo dell'articolo 7, paragrafo 4, è assicurare che, ogniqualvolta propongano offerte commerciali, i professionisti forniscano al tempo stesso, in modo comprensibile e inequivocabile, sufficienti informazioni per permettere al consumatore di prendere una decisione di acquisto consapevole, a meno che le informazioni non risultino già evidenti dal contesto.

La mancata presentazione ai consumatori delle informazioni di cui all'articolo 7, paragrafo 4, nel caso di un invito all'acquisto costituisce un'omissione ingannevole, se ciò è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

La Corte ha chiarito che l'articolo 7, paragrafo 4, contiene un elenco esaustivo delle informazioni rilevanti che devono comparire in un invito all'acquisto. Tuttavia il fatto che un professionista fornisca tutte le informazioni elencate nell'articolo 7, paragrafo 4, non esclude che tale invito possa essere qualificato come pratica ingannevole, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, o dell'articolo 7, paragrafo 2 (208).

Tuttavia, al fine di non imporre ai professionisti oneri non necessari o sproporzionati in materia di informazione, gli obblighi di cui all'articolo 7, paragrafo 4, non sono statici e prevedono informazioni diverse a seconda della situazione. Ciò deriva, in particolare, dalle precisazioni fornite all'articolo 7, paragrafi 1, 3 e 4, secondo le quali occorre tenere conto della fattispecie concreta e dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, come descritto nel punto precedente.

La causa Verband Sozialer Wettbewerb riguardava una pubblicità diffusa da una piattaforma, nella quale si mostravano diversi prodotti che non erano forniti dalla piattaforma stessa ma da venditori terzi attraverso la piattaforma (209). Il mercato online agevolava la conclusione di contratti tra professionisti e acquirenti, compresi i consumatori. La Corte ha chiarito che la pubblicità può essere valutata ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, in particolare per verificare se sono state fornite tutte le informazioni rilevanti, quali le identità dei professionisti che offrono prodotti specifici, tenendo conto al contempo delle restrizioni in termini di spazio e di altre circostanze specifiche del caso. La Corte ha altresì chiarito che possono esservi restrizioni in termini di spazio ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 3, che potrebbero giustificare l'omissione dell'indirizzo geografico e dell'identità di ciascun professionista. Tali informazioni devono tuttavia essere comunicate semplicemente e rapidamente, a livello della piattaforma (210).

L'articolo 7, paragrafo 4, lettera a), indica espressamente che, quando si valuta se vi sia stata un'omissione di informazioni rilevanti concernenti le caratteristiche principali del prodotto, si tiene conto del «mezzo di comunicazione e [del] prodotto stesso».

La determinazione degli elementi che costituiscono le caratteristiche principali di un prodotto, quindi, dipende dal prodotto interessato e da ciò che si può considerare «adeguato»in relazione al «mezzo» impiegato dal professionista per la comunicazione commerciale.

Le informazioni sulle principali caratteristiche dei beni possono essere già rilevabili dal loro aspetto, dalla confezione o dall'etichettatura che il consumatore può consultare al momento della vendita. Beni più complessi possono richiedere la comunicazione di informazioni supplementari, sulle etichette di descrizione del prodotto nel negozio o sulle pagine online, per stabilire le loro caratteristiche principali.

Le caratteristiche di quest'ultimo prodotto e le condizioni restrittive che il consumatore medio non si aspetta normalmente da una determinata categoria o tipo di prodotto devono essere comunicate al consumatore soprattutto perché sono particolarmente suscettibili di influenzare le sue decisioni di natura commerciale. Tali caratteristiche potrebbero essere, ad esempio, la limitazione della durata o della natura e delle prestazioni di un servizio (ad es. se un servizio di fibra internet è «fiber-to-the-home» o di altro tipo) o una particolare composizione o specifica dei beni (ad es. l'origine sintetica di pietre preziose come i diamanti).

Fatta salva la valutazione caso per caso, le avvertenze in materia di sicurezza costituiscono una caratteristica principale ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4. Attualmente la legislazione settoriale dell'UE sulla sicurezza dei prodotti di norma impone ai professionisti di apporre le informazioni relative agli aspetti connessi alla sicurezza direttamente sul prodotto e/o sulla sua confezione. Nel caso delle vendite online, può quindi essere difficile per i consumatori prendere una decisione di natura commerciale veramente consapevole, qualora il sito Internet interessato non presenti un'immagine leggibile dell'etichetta sul prodotto/sulla confezione. Una deroga importante a questo approccio è contenuta nell'articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2009/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei giocattoli (211), il quale prevede espressamente che le avvertenze in materia di sicurezza dei giocattoli, quali quelle che precisano l'età minima/massima degli utilizzatori, devono essere chiaramente visibili prima dell'acquisto, anche in caso di acquisto online. Per la maggior parte degli altri prodotti, la direttiva può essere usata come base giuridica per imporre ai professionisti, specialmente quando promuovono prodotti online, di informare i consumatori in merito agli aspetti connessi alla sicurezza che, tenuto conto della natura del prodotto, possono essere considerati caratteristiche principali ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4.

Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera b), la mancata comunicazione ai consumatori dell'indirizzo geografico e dell'identità del professionista può costituire un'omissione ingannevole.

Per esempio:

In un caso riguardante un servizio di incontri online, un organo giurisdizionale nazionale ha ingiunto al professionista di pubblicare, in modo diretto e permanente, le informazioni relative al suo nome, indirizzo, numero di registrazione e indirizzo di posta elettronica quando promuove i suoi servizi su internet. Il tribunale ha ritenuto che la mancata pubblicazione dell'indirizzo corretto o di un indirizzo di posta elettronica sul sito internet costituisse un'omissione ingannevole idonea a indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (212).

D'altro canto, le informazioni sull'identità del professionista omesse possono in alcuni casi essere considerate già «evidenti dal contesto» ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4.

Per esempio:

L'indirizzo di un negozio o ristorante nel quale il consumatore si trova già.

Per i negozi online, l'articolo 5 della direttiva sul commercio elettronico impone ai professionisti di rendere facilmente accessibili, in modo diretto e permanente, il proprio nome, indirizzo e altre informazioni, compreso l'indirizzo di posta elettronica. Inoltre, in forza dell'articolo 10 di detta direttiva, anche altre informazioni (ad es. sulle varie fasi tecniche necessarie prima della conclusione formale di un contratto) devono essere fornite prima dell'inoltro dell'ordine.

Sulla base di una valutazione caso per caso, l'indicazione della denominazione sociale di un professionista può essere sufficiente a rispettare l'obbligo di cui all'articolo 7, paragrafo 4, lettera b), relativo all'identità del professionista. La ragione sociale deve essere indicata nei termini e condizioni di vendita, ma può anche non essere considerata un'informazione rilevante ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4.

Per esempio:

Nel materiale promozionale, un'impresa di fast food non è tenuta a specificare il proprio statuto giuridico, ossia Ltd, SA, SARL, Inc.

Oltre all'obbligo di cui all'articolo 7, paragrafo 4, lettera b), la direttiva sui diritti dei consumatori stabilisce ulteriori obblighi di informazione relativi ai dati di contatto del professionista, in particolare all'articolo 5, paragrafo 1 (vendite nei locali commerciali) e all'articolo 6, paragrafo 1 (vendite fuori dei locali commerciali e a distanza).

L'articolo 5, paragrafo 1, lettera c), della direttiva sul commercio elettronico impone ai prestatori di servizi online di rendere accessibili ai destinatari dei loro servizi e alle autorità competenti informazioni riguardanti «gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente con lui, compreso l'indirizzo di posta elettronica ».

Gli indirizzi di posta elettronica dei professionisti del settore del commercio elettronico possono quindi costituire informazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 5, della direttiva. Tali informazioni dovrebbero essere facilmente reperibili (cioè non solo nei termini e condizioni generali) e accessibili in modo diretto e permanente.

Anche ai sensi del regolamento generale sulla protezione dei dati il responsabile del trattamento deve fornire all'interessato alcune informazioni obbligatorie che comprendono, fra l'altro, l'identità (e i dati di contatto) del responsabile del trattamento ed eventualmente del suo rappresentante (a meno che l'interessato ne sia già informato).

L'articolo 7, paragrafo 4, lettera c), impone ai professionisti di indicare, in un invito all'acquisto, il prezzo totale (o finale), che deve includere tutte le imposte applicabili (ad es. l'IVA) e le spese aggiuntive. Il prezzo finale deve includere le imposte applicabili e le spese aggiuntive inevitabili e prevedibili al momento della pubblicazione dell'offerta. Qualora la natura del prodotto comporti l'impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, il consumatore deve essere adeguatamente informato delle modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, di tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, del fatto che tali spese potranno essergli addebitate (cfr. anche articolo 5, paragrafo 1, e articolo 6, paragrafo 1, della direttiva sui diritti dei consumatori).

Nella causa Canal Digital Danmark, la Corte ha stabilito che nel caso in cui un professionista abbia scelto di indicare il prezzo di un abbonamento in modo tale che il consumatore debba pagare sia un forfait mensile sia un forfait semestrale, tale pratica deve essere considerata come un'omissione ingannevole ai sensi dell'articolo 7 nel caso in cui il prezzo del forfait mensile è messo in particolare evidenza nella pubblicità, mentre quello del forfait semestrale è completamente omesso o è presentato solo in maniera meno evidente, se tale mancanza induce il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe preso altrimenti (213).

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori è intervenuta nei confronti di un operatore di telecomunicazioni che non informava i consumatori del fatto che, per fruire dei servizi prestati, dovevano versare un contributo di attivazione. I consumatori venivano informati di tale contributo soltanto dopo aver firmato il contratto (214).

Un'autorità per la tutela dei consumatori ha inflitto sanzioni amministrative a un operatore di telecomunicazioni che addebitava spese, senza averne informato i consumatori, per la prestazione di servizi che non era in grado di prestare/fornire (215).

Un organo giurisdizionale nazionale si è pronunciato in favore di una decisione con la quale un comune aveva inflitto un'ammenda a un fornitore di servizi di connessione a internet che non indicava il prezzo totale del servizio nelle offerte commerciali, in particolare ometteva le spese e le imposte di rete (216).

Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera c), della direttiva, usare «prezzi di partenza», cioè indicare il prezzo «a partire da» un importo minimo specifico, è ammesso se il prezzo finale non può «ragionevolmente essere calcolato in anticipo» a causa della natura del prodotto.

Per esempio:

Un'agenzia di viaggio indicava i prezzi «a partire da» per determinati voli e pacchetti turistici. Un organo giurisdizionale nazionale ha stabilito che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali non esclude l'uso di prezzi di partenza, purché le informazioni fornite soddisfino i requisiti della direttiva, tenuto conto delle circostanze nella fattispecie concreta. Ha statuito che: «La sola indicazione di un prezzo di partenza può quindi essere giustificata in casi in cui il prezzo non può ragionevolmente essere calcolato in anticipo, tenuto conto, in particolare, della natura e delle caratteristiche del prodotto» (217).

Il prezzo minimo dovrebbe tuttavia essere un prezzo reale applicabile a determinati prodotti, come si afferma nell'annuncio pubblicitario.

Per esempio:

Un'impresa pubblicizzava la vendita di appartamenti facendo ricorso ad affermazioni quali: «È più economico di quanto possiate immaginare. Prezzi a partire da 2 150 EUR al metro quadro». Tuttavia è risultato che non erano disponibili appartamenti al prezzo indicato. Inoltre il prezzo indicato non comprendeva l'IVA. Questa pratica commerciale è stata giudicata ingannevole da un'autorità per la tutela dei consumatori (218).

Le pratiche commerciali che pubblicizzano prezzi inesistenti potrebbero violare anche l'allegato I, punti 5) e 6), della direttiva, in quanto possono essere considerate casi di bait advertising ovvero pubblicità propagandistica (punto 5) o di bait and switch ovvero pubblicità con prodotti civetta (punto 6).

Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera d), i professionisti devono fornire informazioni sulle modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale. Ciò significa che dette informazioni devono essere presentate soltanto se tali modalità risultano svantaggiose per il consumatore rispetto al normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori.

L'obbligo di fornire informazioni sulle modalità di trattamento dei reclami è stato eliminato in seguito agli emendamenti della direttiva (UE) 2019/2161. Tali informazioni sono più rilevanti nella fase precontrattuale, che è già disciplinata dalla direttiva sui diritti dei consumatori, e quindi la disposizione non era necessaria per gli inviti all'acquisto nella fase pubblicitaria a norma della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera e), in un invito all'acquisto deve essere indicata, ove applicabile, l'esistenza di un diritto di recesso o scioglimento del contratto. In forza di questa disposizione, i professionisti sono tenuti a informare i consumatori soltanto in merito all'esistenza di tali diritti, senza specificare le condizioni e le procedure per esercitarli.

La direttiva sui diritti dei consumatori stabilisce ulteriori norme riguardanti le informazioni da fornire al consumatore prima della conclusione del contratto, per esempio nei siti di commercio elettronico, durante una visita a domicilio da parte del venditore o durante una conversazione telefonica a fini di vendita (articolo 5, paragrafo 1, lettera d), e articolo 6, paragrafo 1, lettera g)).

Per esempio, detta direttiva impone al professionista di fornire informazioni in merito al «prezzo totale» prima che il consumatore sia vincolato da un contratto (articolo 5, paragrafo 1, lettera c), e articolo 6, paragrafo 1, lettera e)). Il consumatore ha inoltre diritto al rimborso di qualsiasi pagamento supplementare qualora non abbia dato il suo consenso espresso per tale pagamento, ma il professionista lo abbia dedotto utilizzando opzioni prestabilite, per esempio le caselle preselezionate (articolo 22).

Per i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali, il professionista deve fornire informazioni sulle condizioni, i termini e le procedure per esercitare il diritto di recesso. Deve altresì fornire il modulo tipo di recesso di cui all'allegato I, parte B, della direttiva sui diritti dei consumatori (articolo 6, paragrafo 1, lettera h)).

Gli obblighi dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera f, dell'articolo 4 bis e dell'articolo 6, riguardanti i mercati online, la trasparenza dei risultati di ricerca e le recensioni degli utenti, sono discussi nella sezione 4.2.

2.9.6.   Prove gratuite e adescamenti a fini di sottoscrizione

Le prove gratuite sono strumenti di marketing che consentono ai consumatori di ordinare un prodotto o abbonarsi a un servizio senza sostenere costi o versando un modesto contributo (cioè le spese di spedizione del campione). Alcune prove gratuite comportano pratiche commerciali sleali che inducono in inganno i consumatori affinché sottoscrivano abbonamenti. Da uno studio della Commissione condotto nel 2017 sulle prove gratuite online e gli adescamenti a fini di sottoscrizione è emersa una prevalenza di svariate pratiche descritte di seguito (219).

Se non indica il proprio indirizzo geografico e la propria identità in un invito all'acquisto, il professionista può violare l'articolo 7, paragrafo 4, lettera b), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Inoltre, l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva sui diritti dei consumatori e l'articolo 5, paragrafo 1, lettera c), della direttiva sul commercio elettronico impongono ai professionisti online di rendere accessibili informazioni che permettano ai consumatori di contattarli. Gli obblighi di informazione previsti da queste due direttive sono considerati rilevanti ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 5, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

Se non comunica espressamente ai consumatori che l'adesione a una prova gratuita può comportare la sottoscrizione di un abbonamento, il professionista può violare l'articolo 7, paragrafi 1 e 2, e l'articolo 7, paragrafo 4, lettera a), della direttiva, a causa dell'omissione di informazioni rilevanti. A seconda delle circostanze, tale condotta potrebbe configurare anche una violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva.

L'omissione di informazioni relative ai costi ricorrenti di una sottoscrizione o la fornitura di tali informazioni in modo oscuro può essere contraria all'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), e/o all'articolo 7, paragrafi 1 e 2, e all'articolo 7, paragrafo 4, lettera c), della direttiva.

Per esempio:

Un operatore di telecomunicazioni reclamizzava su tabelloni pubblicitari la possibilità di ricevere due tablet oppure un telefono mobile e un tablet al prezzo di 1,00 PLN. Tuttavia il professionista non precisava che, per fruire dell'offerta, i consumatori avrebbero dovuto stipulare un contratto di abbonamento della durata di 24 mesi e un contratto di acquisto di prodotti che prevedeva 36 rate mensili. Un'autorità per la tutela dei consumatori ha considerato ingannevole tale pubblicità ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva (220).

Nel 2021 la Commissione e le autorità nazionali per la tutela dei consumatori sono intervenute in merito alla mancanza di informazioni chiare quando si effettuano acquisti con le carte di credito, che possono comportare problemi quali l'occultamento dei costi effettivi in testi nascosti o in caratteri piccoli relativi ai pagamenti ricorrenti (221).Sebbene non siano le società delle carte di credito a gestire questi programmi, esse hanno comunque il dovere di informare correttamente i loro clienti. Nel riquadro dei pagamenti nel quale i consumatori inseriscono i dati della carta di credito quando effettuano acquisti online, spesso compaiono solo informazioni sull'importo di un pagamento una tantum, ma non sull'abbonamento ricorrente. Secondo la direttiva sulle pratiche commerciali sleali e la direttiva sui servizi di pagamento, i consumatori devono essere informati degli importi specifici per tutte le operazioni di pagamento, comprese quelle ricorrenti.

Nel 2020 un'autorità nazionale ha sanzionato l'operatore di due siti di incontri per aver violato la direttiva sulle pratiche commerciali sleali in relazione ai modelli di abbonamento dei siti. In particolare, l'autorità ha riscontrato che, sebbene i siti web fossero pubblicizzati come gratuiti, i servizi essenziali (ad es. contattare altri utenti) erano soggetti al versamento di una quota e fornivano informazioni ingannevoli ai consumatori su abbonamenti, rinnovi e oneri. Inoltre l'elevato numero di reclami da parte dei consumatori, così come la cattiva gestione degli stessi lasciavano intendere l'assenza di volontà da parte del professionista di modificare le sue pratiche di comunicazione (222).

Nell'articolo 8, paragrafo 2, la direttiva sui diritti dei consumatori contiene anche norme specifiche volte a migliorare la trasparenza dei pagamenti su internet. Ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 2, nei contratti a distanza, stipulati tramite mezzi elettronici, le informazioni relative alle caratteristiche principali dei beni o servizi, al prezzo comprensivo delle imposte, alla durata del contratto e agli obblighi del consumatore devono essere comunicate in modo chiaro, evidente e diretto, prima che il consumatore inoltri l'ordine; non è sufficiente fornire tali informazione nelle fasi precedenti del processo di ordinazione. Il consumatore deve altresì avere la possibilità di riconoscere espressamente che l'ordine implica l'obbligo di pagare, anche gli importi ricorrenti, ad esempio azionando un pulsante di ordinazione sul quale sia riportata una dicitura inequivocabile. Sia l'importo di un pagamento una tantum sia l'importo dei pagamenti ricorrenti che possono seguire dovrebbero essere chiaramente indicati al consumatore.

Per esempio:

Un professionista ha contattato i consumatori tramite telemarketing per promuovere la vendita di un libro puzzle gratuito insieme a un abbonamento di sei mesi, che comportava l'acquisto di cinque libri aggiuntivi a pagamento. Un organo giurisdizionale nazionale ha ritenuto che, sulla base delle informazioni fornite e dell'enfasi posta sul primo libro gratuito, i consumatori avrebbero potuto credere di impegnarsi a un pagamento una tantum, mentre di fatto stavano sottoscrivendo abbonamento, e ha quindi constatato una violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali da parte del professionista, per non aver fornito informazioni chiare sulla natura del prodotto (223).

Inoltre, descrivere un prodotto come «gratuito», «senza oneri» o simili se il consumatore deve pagare un sovrappiù rispetto all'inevitabile costo di rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare l'articolo» costituisce una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale e quindi vietata ai sensi della direttiva. Ciò deriva dall'allegato I, punto 20), della direttiva.

Anche le forniture non richieste (esigere il pagamento o la restituzione o la custodia di prodotti che il consumatore non ha richiesto) costituiscono una pratica commerciale vietata in ogni caso ai sensi della direttiva. Ciò deriva dall'allegato I, punto 29), della direttiva.

2.10.   Articoli 8 e 9 — Pratiche commerciali aggressive

Articolo 8 — Pratiche commerciali aggressive

È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Articolo 9 — Ricorso a molestie, coercizione o indebito condizionamento

Nel determinare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi:

a)

i tempi, il luogo, la natura o la persistenza;

b)

il ricorso alla minaccia fisica o verbale;

c)

lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto;

d)

qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista;

e)

qualsiasi minaccia di promuovere un'azione legale ove tale azione non sia giuridicamente ammessa.

La direttiva prevede un'unica definizione di pratiche commerciali aggressive che si può applicare in tutta l'UE. La direttiva vieta ai professionisti di adottare tecniche di vendita che limitino la libertà di scelta o di comportamento del consumatore in relazione al prodotto e pertanto ne falsino il comportamento economico.

Le pratiche commerciali aggressive sono quelle che comportano molestie, coercizione, ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento. Possono riguardare il comportamento nella fase di marketing, ma anche le pratiche poste in essere durante o dopo la conclusione di un'operazione commerciale. Come chiarito dalla Corte, a meno di valutare le pratiche vietate nell'allegato I, una pratica commerciale può essere qualificata come aggressiva «soltanto al termine di una valutazione concreta e specifica dei suoi elementi, effettuando una disamina alla luce dei criteri enunciati agli articoli 8 e 9 della direttiva in parola» (224).

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha stabilito che, per qualificarsi come aggressiva e sleale, una pratica commerciale non deve soltanto condizionare la decisione di natura commerciale del consumatore, ma anche essere attuata facendo ricorso a modalità specifiche. Ciò significa che una pratica aggressiva deve consistere in un comportamento attivo del professionista («molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento») che limiti la libertà di scelta del consumatore (225).

Le pratiche aggressive possono riguardare comportamenti già disciplinati da altre normative nazionali, tra cui il diritto contrattuale e il diritto penale. La direttiva aggiunge un ulteriore grado di protezione che può essere attivato da interventi di esecuzione delle pubbliche autorità, senza dover necessariamente avviare un'azione civile o penale.

L'articolo 9, lettera c), vieta le pratiche che esercitano un indebito condizionamento sui consumatori, per esempio lo sfruttamento da parte del professionista di un evento tragico o una circostanza specifica di cui è a conoscenza, al fine di influenzare la decisione del consumatore relativa a un prodotto. Per ulteriori spiegazioni sulla pertinenza di questa base giuridica nell'ambiente digitale, cfr. sezione 4.2.7.

L'articolo 9, lettera d), vieta ai professionisti di imporre ostacoli non contrattuali sproporzionati qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi a un altro professionista. Questa disposizione riveste particolare importanza per prevenire gli ostacoli non contrattuali al passaggio ad altri operatori nei settori delle telecomunicazioni (226) e dell'energia elettrica. Per ulteriori spiegazioni sulla questione della «dipendenza dei consumatori», cfr. sezione 4.2.11.

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha concluso che la pratica di un professionista che rendeva particolarmente oneroso per i suoi clienti risolvere il contratto di servizi, al punto che in molti casi non riuscivano a sottrarsi a rinnovi automatici di fatto, costituiva una pratica commerciale aggressiva (227).

L'articolo 9, lettera e), riguarda qualsiasi minaccia di promuovere un'azione legale ove tale azione non sia giuridicamente ammessa. Le pratiche aggressive si verificano di frequente nelle vendite di beni di consumo porta a porta o effettuate fuori dei locali commerciali nel settore delle multiproprietà. Le pratiche aggressive possono verificarsi anche nel settore del recupero crediti, nel caso in cui terzi incaricati provvedano al recupero. Anche la creazione di ostacoli onerosi o sproporzionati qualora un consumatore intenda cambiare prodotto o rivolgersi a un altro professionista dev'essere considerata una pratica aggressiva.

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori ha stabilito che inviare a un consumatore un atto di citazione presso una sede giudiziaria incompetente per territorio, al quale non è seguita l'iscrizione della causa a ruolo, costituiva una pratica aggressiva. Scopo di tale pratica era intimidire i consumatori esercitando un indebito condizionamento (228).

La Corte ha fornito ulteriori indicazioni sulla valutazione delle pratiche aggressive in casi specifici.

Nella causa Wind Tre, la Corte ha dichiarato che la vendita di carte SIM con servizi precaricati e preattivati senza informare adeguatamente i consumatori su tali servizi e sui relativi costi, potrebbe costituire una pratica aggressiva vietata di fornitura non richiesta ai sensi dell'allegato I, punto 29 (229). Ai fini della valutazione è irrilevante se l'utilizzo dei servizi abbia richiesto un'azione consapevole da parte del consumatore o se il consumatore abbia avuto la possibilità di disattivare i servizi, poiché in assenza di informazioni adeguate una siffatta azione non può essere considerata come esercizio di una libera scelta in relazione ai servizi (230).

Nella causa Waternet, la Corte ha chiarito che il punto 29 dell'allegato I non comprende la pratica consistente nel mantenere l'allaccio alla rete pubblica di distribuzione di acqua in caso di trasferimento di un consumatore in un'abitazione precedentemente occupata, allorché tale consumatore non ha la possibilità di scegliere il fornitore di tale servizio, quest'ultimo fattura tariffe a copertura dei costi, trasparenti e non discriminatorie, in funzione del consumo di acqua e detto consumatore è a conoscenza del fatto che l'abitazione di cui trattasi è allacciata alla rete pubblica di distribuzione di acqua e che la fornitura di acqua è a pagamento (231). La Corte ha distinto questo scenario da quello della causa Wind Tre e ha rilevato che l'uso dell'acqua richiede un'azione consapevole da parte del consumatore e che un consumatore medio saprebbe probabilmente che un'abitazione è allacciata alla rete pubblica di distribuzione di acqua potabile a pagamento (232).

Nella causa Orange Polska la Corte ha stabilito che la sottoscrizione di un contratto in presenza di un corriere non può essere considerata in ogni caso come pratica aggressiva mediante indebito condizionamento ai sensi degli articoli 8 e 9 (233). Occorre tener conto del comportamento del professionista nel caso specifico, che ha l'effetto di esercitare una pressione sul consumatore in modo da limitare considerevolmente la sua libertà di scelta, e che risulta importuno per il consumatore o perturba la sua riflessione sulla decisione di natura commerciale da assumere. Si deve quindi valutare l'entità della limitazione della libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio nei confronti di un prodotto.

Il fatto che al consumatore non sia stata data la possibilità di leggere in anticipo le clausole contrattuali standardizzate non è di per sé sufficiente a classificare quella modalità di stipulazione dei contratti come una pratica aggressiva (punto 43). Tuttavia la Corte ha fornito esempi di scenari che possono essere considerati aggressivi al punto 48:

«A titolo di esempio, può rientrare in tale categoria di comportamento, da un lato, l'affermazione che qualsiasi ritardo nella sottoscrizione del contratto o dell'addendum comporterebbe la possibilità che la stipulazione del contratto o dell'addendum in un momento successivo avvenga unicamente a condizioni meno favorevoli, o il fatto che il consumatore rischi di dover versare penali contrattuali o subire, nell'ipotesi di modifica del contratto, una sospensione della fornitura del servizio del professionista. Dall'altro, potrebbe rientrare in questa medesima categoria di comportamento il fatto che il corriere informi il consumatore che, in caso di mancata sottoscrizione o di ritardo nella sottoscrizione del contratto o dell'addendum consegnatogli, lo stesso potrebbe ricevere una valutazione negativa da parte del suo datore di lavoro».

3.   LA LISTA NERA DELLE PRATICHE COMMERCIALI (ALLEGATO I)

Articolo 5, paragrafo 5

L'allegato I riporta l'elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva.

Considerando 17

È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L'allegato I riporta pertanto l'elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. L'elenco può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva.

L'elenco di cui all'allegato I è stato redatto per permettere alle autorità di vigilanza, ai professionisti, agli esperti di marketing e ai consumatori di individuare tali pratiche e di fornire una risposta esecutiva più immediata. Contribuisce dunque a una maggiore certezza del diritto. Se si può dimostrare che il professionista ha posto in essere una pratica commerciale inclusa nella lista nera, le autorità nazionali di vigilanza possono intervenire e infliggere sanzioni al professionista senza dover procedere a una valutazione caso per caso (ossia valutare l'impatto della pratica sul comportamento economico del consumatore medio).

3.1.   Prodotti la cui vendita è illecita — Punto 9

Allegato I, punto 9

«Affermare o generare comunque l'impressione che la vendita del prodotto è lecita, ove non lo sia.»

Questa pratica è vietata al fine di prevenire le situazioni in cui un professionista commercializza un prodotto o un servizio e si astiene dall'informare chiaramente il consumatore dell'esistenza di norme giuridiche che possono limitare la vendita, il possesso o l'uso di un particolare prodotto. Ciò si applica ai prodotti o servizi la cui vendita è in ogni caso vietata o illecita, ad esempio la vendita di sostanze stupefacenti o di beni rubati. Poiché spesso riguardano attività criminali e/o operatori disonesti, tali pratiche sono facilmente individuabili. In genere costituiscono gravi violazioni di altre leggi, che solitamente sono più specifiche e hanno quindi prevalenza sulla direttiva.

Un'altra categoria di pratiche riguarda i prodotti o servizi che non sono illegali, ma possono essere lecitamente commercializzati e venduti soltanto a determinate condizioni e/o subordinatamente a talune restrizioni.

Per esempio:

I pacchetti turistici possono essere organizzati solo da professionisti che rispettano gli obblighi di protezione in caso di insolvenza imposti dalla direttiva sui pacchetti turistici (234).Un organo giurisdizionale nazionale ha concluso che un'agenzia di viaggi che offriva tali pacchetti pur non avendo depositato una garanzia presso un fondo nazionale per le insolvenze, aveva violato l'allegato I, punto 9, in quanto generava tra i consumatori la falsa impressione che l'offerta fosse del tutto conforme alle disposizioni di legge (235).

Dare l'impressione che i biglietti possano essere venduti legalmente quando esiste un divieto legislativo nazionale nello Stato SEE di vendita, nello Stato SEE di esecuzione o in entrambi è considerato una pratica commerciale sleale, secondo la sentenza della Corte EFTA in una causa riguardante la commercializzazione e la rivendita di biglietti per i Giochi olimpici e paraolimpici di Londra 2012 da parte di un professionista (236).

3.2.   Sistemi piramidali — Punto 14

Allegato I, punto 14

«Avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall'entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti.»

Questa pratica è vietata per impedire ai professionisti di attirare i consumatori in un sistema che promette loro un corrispettivo, quando in realtà lo riceveranno principalmente per fare entrare nuovi membri nel sistema, piuttosto che per la vendita o il consumo di prodotti. La struttura piramidale del sistema in genere è concepita in modo da comportare vantaggi soltanto per gli organizzatori al vertice, mentre i consumatori reclutati in genere non hanno alcuna ragionevole possibilità di ricuperare le somme investite. La Corte ha chiarito le condizioni alle quali un sistema di promozione degli scambi commerciali può essere considerato un «sistema di promozione a carattere piramidale» ai sensi dell'allegato I, punto 14. La Corte ha rilevato che:

«il divieto dei sistemi di promozione a carattere piramidale si fonda su tre condizioni comuni. Innanzitutto, siffatta promozione è basata sulla promessa che il consumatore avrà la possibilità di realizzare un beneficio economico. Poi, l'avveramento di tale promessa dipende dall'ingresso di altri consumatori nel sistema. Infine, la parte maggiore delle entrate che consentono di finanziare il corrispettivo promesso ai consumatori non risulta da una reale attività economica» (237).

Nella stessa causa, la Corte ha precisato che:

«un sistema di promozione a carattere piramidale costituisce una pratica commerciale sleale in tutte le circostanze unicamente quando esso richiede al consumatore un contributo finanziario, a prescindere dal suo importo, in cambio della possibilità da parte di quest'ultimo di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall'entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti» (238).

Nella fattispecie, una società aveva pubblicizzato un premio per ogni nuovo cliente a fronte della registrazione di ciascun altro cliente da esso reclutato. Ogni nuovo cliente reclutato era tenuto a pagare spese di registrazione. La Corte ha espresso dubbi in merito a se la possibilità del consumatore di ricevere un corrispettivo derivasse principalmente dall'entrata di altri consumatori nel sistema, rilevando che i premi versati a coloro che erano già aderenti erano finanziati solo in misura limitata dai contributi finanziari richiesti ai nuovi aderenti. La Corte ha inoltre rammentato che, se una determinata pratica non è vietata dalle disposizioni di cui all'allegato I, si può comunque concludere che la pratica sia sleale ai sensi delle disposizioni generali della direttiva (articoli da 5 a 9).

Un'altra causa, Loterie Nationale, riguardava un sistema in cui i giocatori venivano reclutati per giocare insieme alla lotteria. Nuovi giocatori venivano costantemente reclutati e di fatto i loro pagamenti andavano, verso l'alto nel sistema, ai giocatori che avevano aderito in precedenza e a beneficio degli organizzatori del sistema. I nuovi membri versavano 10 EUR come quota di ingresso e circa 43 EUR al mese per la partecipazione. I giocatori che vincevano ricevevano di fatto il 50 % della loro vincita ed esisteva un massimale per le vincite superiori a un milione di EUR che non venivano pagate ai giocatori. La Corte ha chiarito che è sufficiente che vi sia un legame indiretto tra le partecipazioni versate dai nuovi giocatori e il corrispettivo/profitto ricevuto dai giocatori già presenti perché tale sistema sia qualificato come sistema a carattere piramidale. Un'interpretazione contraria priverebbe il divieto della sua efficacia (239).

«Per contro, non può dedursi dal tenore letterale di questa disposizione che il nesso finanziario imposto debba necessariamente essere diretto. Quel che rileva è la qualificazione come ‘essenziale’ o ‘principale’ delle partecipazioni versate da nuovi partecipanti a un siffatto sistema» (240).

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori è intervenuta in tre casi riguardanti sistemi a carattere piramidale. Un caso riguardava un sistema di vendita nel quale il metodo di remunerazione non si basava sui volumi di vendite realizzate, bensì sul numero di nuovi agenti di vendita che ogni rivenditore era in grado di attrarre nel sistema (241).Un altro caso riguardava un sistema di vendita nel quale la struttura del piano dei compensi era principalmente diretta ad attrarre nuovi consumatori, recuperando la quota di adesione dall'entrata di altri agenti (242).Nel terzo caso ai consumatori veniva proposto di acquistare prodotti tramite meccanismi volti a reclutare altri venditori, ai quali veniva chiesto un contributo iniziale o l'abbonamento a un programma di acquisti personali (243).L'autorità ha anche tenuto conto delle modalità di funzionamento pratico di tali sistemi. Ha preso in considerazione il numero di agenti che effettivamente generavano vendite rispetto al numero totale di consumatori reclutati e all'entità variabile delle entrate/acquisizioni provenienti dagli agenti o dalle vendite a persone esterne. Le indagini hanno rivelato che i meccanismi prevedevano che il consumatore non potesse fornire un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall'entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita/dal consumo di prodotti.

Le strutture gerarchiche, come i sistemi piramidali, sono complesse e può essere difficile quantificare i vantaggi apportati all'impresa dai nuovi aderenti. Il corrispettivo ricevuto dai membri esistenti può anche essere calcolato secondo metodi diversi.

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori è intervenuta nei confronti di un sistema piramidale in cui l'organizzatore offriva ai partecipanti la possibilità di ricevere donazioni in denaro in cambio dell'inserimento di nuovi membri nel sistema (244).Per ottenere tali guadagni finanziari, i partecipanti dovevano: versare una quota di registrazione, effettuare una donazione in denaro a un altro partecipante, effettuare altre donazioni a un altro partecipante e versare una commissione all'organizzatore del sistema. La possibilità di ottenere donazioni in denaro da un nuovo partecipante si presentava solo dopo aver completato un «Cerchio Blu», costituito dai partecipanti inseriti da persone precedentemente introdotte da un nuovo partecipante.

È bene operare una distinzione tra la pratica commerciale vietata n. 14, in base alla quale i partecipanti percepiscono introiti principalmente o esclusivamente reclutando nuovi partecipanti al programma, e le forme di vendita «multilivello», sistemi in base ai quali i compensi dei venditori derivano principalmente dalle vendite che essi stessi realizzano, nonché dalle vendite di altri venditori da essi reclutati.

È inoltre difficile distinguere i consumatori dai professionisti: quando un consumatore entra in un sistema, dal momento in cui comincia a promuoverlo può essere considerato un professionista ed essere quindi soggetto al divieto imposto dalla direttiva per quanto riguarda la condotta professionale nell'ambito di tale sistema.

3.3.   Prodotti che curano malattie, disfunzioni e malformazioni — Punto 17

Allegato I, punto 17

«Affermare falsamente che un prodotto ha la capacità di curare malattie, disfunzioni o malformazioni.»

Questo divieto riguarda le situazioni in cui un professionista dichiara che il suo prodotto o servizio può alleviare o curare alcuni disturbi fisici o psicologici.

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori ha stabilito che l'affermazione secondo cui una poltrona per massaggi aveva effetti curativi sulla salute umana (compresa la cura di patologie spinali e circolatorie) rientrava nell'ambito di applicazione del divieto di cui all'allegato I, punto 17) (245).

Durante la pandemia di COVID-19 sono stati frequenti gli episodi di disinformazione in merito alle indicazioni sulla salute. Professionisti disonesti pubblicizzavano e vendevano prodotti quali mascherine protettive, cuffie e disinfettanti per le mani, che avrebbero asseritamente prevenuto o curato un'infezione. Tuttavia tali dichiarazioni erano spesso formulate senza riferimenti a solide prove scientifiche o senza essere pienamente in linea con i consigli degli esperti ufficiali, e per questo possono violare gli articoli 5 e 6 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, che vietano azioni ingannevoli sulle caratteristiche principali del prodotto; in casi specifici tali indicazioni possono essere vietate dal divieto di cui all'allegato I, punto 17. Per contribuire a contrastare queste pratiche, la Commissione ha riunito le autorità nazionali che operano nell'ambito della rete di cooperazione per la tutela dei consumatori e ha adottato una posizione comune (246) su come affrontare le truffe legate alla COVID-19.

Per esempio:

Un'autorità nazionale ha bloccato il sito internet di un professionista che pubblicizzava un farmaco contenente i principi attivi di un antivirale per il trattamento dell'HIV come «l'unico farmaco contro il Coronavirus (COVID-19)» e «l'unico rimedio per combattere il Coronavirus (COVID-19)» nonostante le autorità sanitarie avessero dichiarato ufficialmente che non esiste una cura efficace per combattere il virus (247).

In tre casi di professionisti che commercializzavano prodotti dando l'impressione che questi potessero proteggere dal Coronavirus, le autorità e un organo giurisdizionale nazionali hanno ritenuto che tali pratiche fossero aggressive. In particolare, è stato riscontrato che i professionisti hanno approfittato della paura dei consumatori di essere infettati dal Coronavirus, obnubilando così la loro capacità di giudizio, e che le pratiche di marketing specifiche hanno sfruttato una situazione di grave preoccupazione sociale (248).

Tali indicazioni sono anche in parte disciplinate da normative specifiche dell'UE. La direttiva lascia inoltre impregiudicate le disposizioni dell'UE relative alle proprietà benefiche dei prodotti per la salute. Il punto 17 si applica quindi soltanto in aggiunta alle disposizioni vigenti nell'UE in materia di indicazioni sulla salute. Tuttavia ogni pratica ingannevole riguardante i prodotti per la salute e il benessere può comunque essere valutata alla luce dell'articolo 6 della direttiva (ad es. quando la presentazione complessiva è ingannevole).

Il divieto riguarda innanzitutto le affermazioni relative a condizioni fisiche classificate dalla scienza medica come patologie, disfunzioni o malformazioni. Tuttavia, poiché tali dichiarazioni sono disciplinate anche da atti normativi settoriali dell'UE, l'utilità pratica del punto 17 in relazione a tali pratiche è marginale.

Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 3, del regolamento relativo alle informazioni sugli alimenti (249), le informazioni sugli alimenti fornite da un professionista ai consumatori «non attribuiscono a tali prodotti la proprietà di prevenire, trattare o guarire una malattia umana, né fanno riferimento a tali proprietà». Questa disposizione generale si applica agli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena alimentare quando le loro attività riguardano la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Per «informazioni sugli alimenti» si intendono le informazioni concernenti un alimento messe a disposizione mediante un'etichetta, altri materiali di accompagnamento o qualunque altro mezzo, compresi gli strumenti della tecnologia o la comunicazione verbale.

Inoltre il regolamento dell'UE relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute (250) stabilisce norme dettagliate sull'utilizzo delle indicazioni nutrizionali e sulla salute riguardanti gli alimenti nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità.

Secondo il regolamento, le indicazioni nutrizionali («qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda che un alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche») sono ammesse solo se sono elencate nell'allegato e sono conformi alle condizioni stabilite nello stesso regolamento. Le indicazioni sulla salute («qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda l'esistenza di un rapporto tra una categoria di alimenti, un alimento o uno dei suoi componenti e la salute») sono vietate a meno che non siano autorizzate conformemente al regolamento sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute e incluse negli elenchi delle indicazioni autorizzate di cui agli articoli 13 e 14. Il regolamento inoltre vieta espressamente le indicazioni sulla salute seguenti (251):

indicazioni che suggeriscono che la salute potrebbe risultare compromessa dal mancato consumo dell'alimento;

indicazioni che fanno riferimento alla percentuale o all'entità della perdita di peso;

indicazioni che fanno riferimento al parere di un singolo medico o altro operatore sanitario e altre associazioni non contemplate dall'articolo 11 del regolamento sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute.

Le indicazioni sulla salute sono anche oggetto di disposizioni dell'UE in materia di salute e prodotti farmaceutici. L'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2001/83/CE sui medicinali precisa che nessun medicinale può essere immesso in commercio in uno Stato membro senza un'autorizzazione all'immissione in commercio. Gli articoli da 86 a 100 di questa direttiva contengono anche disposizioni specifiche sulla pubblicità dei medicinali presso il pubblico. È vietata la pubblicità di medicinali forniti soltanto dietro prescrizione medica e di prodotti contenenti psicotropi o stupefacenti. Gli Stati membri possono anche vietare la pubblicità dei medicinali rimborsabili. La pubblicità dei prodotti da banco è consentita ma a precise condizioni. Per esempio:

deve essere concepita in modo che la natura pubblicitaria del messaggio sia evidente e il prodotto sia chiaramente identificato come medicinale;

deve favorire l'uso razionale del medicinale, presentandolo in modo obiettivo e senza esagerarne le proprietà;

non può essere ingannevole;

non può rivolgersi esclusivamente o prevalentemente ai bambini;

non può utilizzare in modo abusivo, spaventoso o ingannevole rappresentazioni visive delle alterazioni del corpo umano dovute a malattie o a lesioni, oppure dell'azione di un medicinale sul corpo umano;

non può riferirsi alla raccomandazione di scienziati o operatori sanitari che, a motivo della loro notorietà, potrebbero incitare al consumo del prodotto.

L'articolo 7 del regolamento (UE) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio sui dispositivi medici (252) e l'articolo 7 del regolamento (UE) 2017/746 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro (253) hanno introdotto, a livello dell'UE, il divieto di ricorrere nell'etichettatura, nelle istruzioni per l'uso o nella pubblicità a indicazioni che inducano in errore l'utente o il paziente per quanto riguarda la destinazione d'uso, la sicurezza o le prestazioni del dispositivo, in particolare:

attribuendo al dispositivo funzioni e proprietà di cui è privo;

creando impressioni errate riguardo al trattamento o alla diagnosi, a funzioni o a proprietà di cui il dispositivo è privo;

omettendo di informare l'utilizzatore o il paziente circa un rischio potenziale associato all'uso del dispositivo secondo la sua destinazione d'uso;

proponendo usi del dispositivo diversi da quelli dichiarati parte della destinazione d'uso per cui è stata svolta la valutazione della conformità.

Esistono inoltre limiti specifici (cioè divieti) per quanto riguarda la promozione di prodotti farmaceutici e trattamenti medici tra professionisti e medici. La scelta di un prodotto/trattamento dipende dal medico o specialista che lo prescrive. Qualsiasi pubblicità ingannevole in questo ambito (che riguardi o no un professionista autorizzato) rende applicabili le pertinenti disposizioni dell'UE o nazionali ed è soggetta ai rispettivi regimi di applicazione e sanzione che avranno la precedenza sulla direttiva.

Il punto 17) si applica anche a beni o servizi quali trattamenti estetici, prodotti per il benessere e simili nel caso in cui siano commercializzati con false indicazioni secondo cui avrebbero la capacità di curare malattie, disfunzioni o malformazioni.

Per quanto riguarda i prodotti cosmetici, l'articolo 20, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio sui cosmetici (254) impone agli Stati membri di vietare l'impiego di diciture, denominazioni, marchi, immagini o altri segni (figurativi o meno) che attribuiscano ai prodotti stessi caratteristiche che non possiedono, in sede di etichettatura, di messa a disposizione sul mercato e di pubblicità dei prodotti cosmetici.

Se il professionista non fornisce prove adeguate e pertinenti degli effetti fisici che un consumatore può attendersi dall'impiego del prodotto, qualora ciò non sia disciplinato da un atto normativo settoriale dell'UE si applica il divieto della pratica commerciale n. 17, in ragione del fatto che l'affermazione è falsa.

Per non incorrere nel divieto, i professionisti devono essere in grado di dimostrare le allegazioni fattuali di questo tipo con prove scientifiche. Il fatto che l'onere della prova spetti al professionista rispecchia il principio, più ampiamente formulato nell'articolo 12 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, secondo cui «Gli Stati membri attribuiscono agli organi giurisdizionali o amministrativi il potere, in un procedimento civile o amministrativo (...): a) di esigere che il professionista fornisca prove sull'esattezza delle allegazioni fattuali connesse alla pratica commerciale se, tenuto conto degli interessi legittimi del professionista e di qualsiasi altra parte nel procedimento, tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso specifico».

Per esempio:

Un professionista online pubblicizzava alcuni prodotti sul proprio sito internet, tra cui capi di abbigliamento e cosmetici, affermando che avevano effetti positivi sulla salute (per es. attenuavano i dolori, miglioravano il sonno e riducevano le rughe). Il professionista non era però in grado di fornire prove adeguate a sostegno di tali affermazioni. Un'autorità nazionale lo ha considerato un esempio di pratica commerciale ingannevole, vietata ai sensi dell'allegato I della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (255).

3.4.   Uso dell'indicazione «gratuito» — Punto 20

Allegato I, punto 20)

Descrivere un prodotto come «gratuito», «senza oneri» o simili se il consumatore deve pagare un sovrappiù rispetto all'inevitabile costo di rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare l'articolo.

Il divieto si basa sull'idea che il consumatore si aspetti che l'indicazione «gratuito» corrisponda al significato reale del termine, cioè di ricevere qualcosa senza versare denaro in contropartita. Ciò significa che un'offerta può essere definita gratuita soltanto se i consumatori si limitano a pagare:

il costo minimo inevitabile di rispondere alla pratica commerciale (per es. le tariffe postali pubbliche in vigore, il costo della telefonata calcolato in base alla tariffa standard nazionale indicata o il costo minimo inevitabile di invio di un sms);

il costo effettivo/reale della spedizione o consegna;

il costo del viaggio, comprensivo di spese accessorie, eventualmente sostenuto dal consumatore per ritirare l'articolo offerto.

Di conseguenza i professionisti non possono addebitare spese di imballaggio, gestione o amministrazione di un prodotto commercializzato come gratuito. Quando propongono offerte «gratuite», i professionisti devono inoltre precisare in tutto il materiale promozionale gli eventuali costi inevitabili a carico del consumatore suindicati.

Stabilire se la pratica commerciale sia sleale è più complesso quando l'indicazione «gratuito» è impiegata nelle offerte congiunte, che sono offerte commerciali riguardanti più di un prodotto o servizio. Le offerte congiunte di solito consistono in promozioni condizionate all'acquisto o in offerte cumulative. Alcuni principi dei quali le autorità nazionali possono tenere conto quando valutano le offerte congiunte, in gran parte già contenuti in alcuni codici che disciplinano la pubblicità, sono:

i professionisti non devono tentare di ricuperare i costi sostenuti riducendo la qualità o la composizione o alzando il prezzo di qualsiasi prodotto che deve essere acquistato quale condizione per ricevere un articolo distinto e gratuito;

i professionisti non devono definire «gratuito» un singolo elemento di un'offerta cumulativa, se il costo di tale elemento è incluso nel prezzo dell'offerta stessa.

Per esempio:

In un'offerta congiunta comprendente un telefono mobile e un abbonamento, un operatore di telecomunicazioni pubblicizzava il prezzo di «0 kr». Tuttavia, allorché i consumatori aderivano all'offerta, le quote mensili dell'abbonamento aumentavano. Un organo giurisdizionale ha ritenuto che tale pratica rientrasse nell'ambito di applicazione dell'allegato I, punto 20), della direttiva (256).

Riguardo a un'offerta di «credito gratuito», un'autorità per la tutela dei consumatori ha concluso che la pratica rientra nell'ambito di applicazione dell'allegato I, punto 20), della direttiva se, per ottenere il prestito, il consumatore può essere tenuto a stipulare un contratto di assicurazione del credito con costi aggiuntivi.

Il divieto non impedisce ai professionisti di impiegare l'indicazione «gratuito» nelle promozioni condizionate all'acquisto, cioè quando i clienti sono tenuti ad acquistare altri articoli (ad es. le offerte del tipo «due al prezzo di uno»), purché:

sia indicato in modo chiaro che i consumatori devono sostenere tutti i costi;

la qualità o la composizione degli articoli pagati non sia ridotta; e

il prezzo degli articoli pagati non sia stato alzato per ricuperare il costo di fornitura dell'articolo gratuito.

Per esempio:

Un professionista aveva lanciato una campagna promozionale su internet e sui quotidiani nella quale offriva due pneumatici gratuiti se ne acquistavano due nuovi. In realtà il prezzo dei due pneumatici indicato nella promozione era pari al doppio del prezzo di vendita applicato in precedenza. Un'autorità nazionale ha stabilito che tale promozione condizionata all'acquisto era vietata ai sensi dell'allegato I, punto 20) (257).

La principale caratteristica distintiva di una promozione condizionata all'acquisto è che l'articolo definito «gratuito» deve essere effettivamente separato e aggiuntivo rispetto all'articolo o agli articoli che il cliente deve pagare. Di conseguenza in tali promozioni condizionate all'acquisto i professionisti devono essere in grado di dimostrare:

che l'articolo gratuito è effettivamente aggiuntivo rispetto all'articolo (agli articoli) normalmente venduto al prezzo indicato o che l'articolo gratuito è effettivamente separabile dall'articolo (dagli articoli) pagato;

che forniscono l'articolo «gratuito» con l'articolo o gli articoli pagati soltanto se il consumatore soddisfa le condizioni della promozione; e

che i consumatori sono consapevoli del prezzo individuale dell'articolo o degli articoli che pagano e che tale prezzo rimane identico con o senza l'articolo gratuito.

Per esempio:

L'affermazione «carta murale gratuita con l'acquisto del quotidiano il giovedì» è legittima se gli altri giorni il quotidiano è venduto allo stesso prezzo senza una carta murale.

L'affermazione «assicurazione di viaggio gratuita per i clienti che prenotano la vacanza online» è legittima se ai clienti che prenotano lo stesso viaggio telefonicamente è applicato lo stesso prezzo ma non viene offerta l'assicurazione gratuita.

L'affermazione che i consumatori possono ottenere un «abbonamento gratuito a un servizio di streaming per un certo numero di mesi» insieme all'acquisto di un bene, ad esempio un televisore, è legittima se il consumatore non è tenuto a pagare per tale abbonamento e il prezzo del bene non è aumentato per via dell'aggiunta dell'abbonamento.

L'allegato I, punto 20), vieta l'uso dell'indicazione «gratuito» per descrivere un singolo elemento di un'offerta cumulativa se il costo di tale elemento è incluso nel prezzo dell'offerta. Una «offerta cumulativa» in questo caso significa una combinazione predeterminata di caratteristiche offerte per un prezzo unico e inclusivo, quando i clienti non possono operare una vera e propria scelta sul numero di elementi dell'offerta che ricevono per il prezzo indicato.

Per esempio:

Se un'autovettura è pubblicizzata con i sedili di pelle, l'aria condizionata e un sistema multimediale a un prezzo standard di 10 000 EUR, tale combinazione di caratteristiche costituisce un'offerta cumulativa. Il consumatore paga un prezzo globale per l'autovettura così come viene pubblicizzata. Qualora una qualsiasi delle caratteristiche pubblicizzate fosse eliminata, la qualità e la composizione dell'autovettura per la quale il cliente paga 10 000 EUR sarebbero ridotte. Al fine di dichiarare che il sistema multimediale è gratuito e che i 10 000 EUR si riferiscono agli altri elementi, il professionista deve dimostrare: a) che le condizioni di una promozione condizionata all'acquisto sono soddisfatte, oppure b) che il sistema multimediale è una nuova caratteristica aggiuntiva e che il prezzo dell'autovettura non è aumentato.

Tuttavia i professionisti talvolta aggiungono nuovi elementi alle offerte cumulative esistenti senza aumentare il prezzo complessivo dell'offerta o ridurre la qualità o la composizione degli elementi inclusi nella stessa. In tali circostanze, è verosimile che i consumatori considerino l'elemento inserito nell'offerta come elemento supplementare rispetto all'offerta preesistente per un certo periodo successivo alla sua introduzione. Tuttavia se il prezzo di un'offerta cumulativa aumenta o la qualità o composizione vengono ridotte in seguito all'aggiunta di un nuovo elemento, il nuovo elemento non può essere definito «gratuito».

I costi iniziali una tantum sostenuti, per esempio, per acquistare o installare un'attrezzatura, non negano l'affermazione che i prodotti o servizi forniti senza abbonamento siano «gratuiti» ai sensi dell'allegato I, punto 20). Per esempio, i canali televisivi digitali in chiaro sono disponibili soltanto per i clienti che dispongono della necessaria attrezzatura digitale di ricezione; analogamente, le offerte cumulative riguardanti le telefonate sono disponibili soltanto per i clienti che dispongono di una linea telefonica.

Del pari, i diritti di connessione da corrispondere a una terza parte per l'attivazione di un servizio internet non negano l'affermazione che il servizio internet sia gratuito, purché i diritti di connessione non siano stati alzati per ricuperare il costo di fornitura del servizio internet gratuito. I professionisti devono sempre informare adeguatamente i consumatori in merito alle condizioni applicate per tali costi iniziali.

I prodotti presentati come «gratuiti» sono particolarmente diffusi nel settore online. Tuttavia molti di questi servizi raccolgono dati personali degli utenti quali l'identità e l'indirizzo di posta elettronica. Un aspetto importante è che nella direttiva rientrano tutte le pratiche commerciali riguardanti prodotti «gratuiti» e non è richiesto il pagamento con denaro come condizione per la sua applicazione. Le pratiche basate sui dati comportano un'interazione tra la normativa dell'UE in materia di protezione dei dati e la direttiva. Il valore economico delle informazioni relative alle preferenze dei consumatori, ai dati personali e ad altri contenuti generati dagli utenti è sempre più riconosciuto. La commercializzazione di tali prodotti come «gratuiti» senza spiegare adeguatamente ai consumatori il modo in cui saranno utilizzati i dati relativi alle loro preferenze, i dati personali e i contenuti generati dagli utenti può essere considerata una pratica ingannevole che si aggiunge a eventuali violazioni della normativa in materia di protezione dei dati.

Inoltre la direttiva (UE) 2019/770 (258) si applica ai contratti in cui sono forniti contenuti digitali o prestati servizi digitali ai consumatori e questi ultimi forniscono o si impegnano a fornire dati personali. La direttiva sul contenuto digitale si applica indipendentemente dal fatto che i dati personali siano forniti al professionista al momento della conclusione di un contratto o in un momento successivo, per esempio quando il consumatore presta il consenso al trattamento dei dati personali. A seguito delle modifiche introdotte dalla direttiva (UE) 2019/2161, anche la direttiva sui diritti dei consumatori si applica (a partire dal 28 maggio 2022) ai contratti per la fornitura di servizi e contenuti digitali in cui i consumatori forniscono o si impegnano a fornire dati personali.

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori ha sanzionato una piattaforma online per informazioni ingannevoli ai sensi dell'articolo 6 della direttiva per aver dichiarato che il suo servizio era «gratuito» o «senza spese», perché la società ricavava le sue entrate dall'analisi dei dati privati degli utenti e dalla fornitura di tali informazioni a professionisti terzi (259).

Un'autorità per la tutela dei consumatori ha sanzionato una piattaforma online per aver indotto con l'inganno gli utenti (ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali) a registrarsi e non aver comunicato loro immediatamente e adeguatamente durante la creazione dell'account che i dati forniti sarebbero stati utilizzati a fini commerciali e, più in generale, che il servizio aveva finalità remunerative, sottolineando invece la natura gratuita dello stesso (260).

3.5.   Rivendita di biglietti per eventi acquistati con strumenti automatizzati — Punto 23 bis

Allegato I, punto 23 bis

«Rivendere ai consumatori biglietti per eventi, se il professionista ha acquistato tali biglietti utilizzando strumenti automatizzati per eludere qualsiasi limite imposto riguardo al numero di biglietti che una persona può acquistare o qualsiasi altra norma applicabile all'acquisto di biglietti.»

La direttiva (UE) 2019/2161 ha aggiunto alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali una nuova pratica commerciale vietata al punto 23 bis, che vieta ai professionisti di rivendere ai consumatori biglietti d'ingresso a eventi culturali e sportivi acquistati utilizzando software specializzato («bot»).

Tali strumenti automatizzati consentono ai professionisti di acquistare biglietti in quantità superiore rispetto al limite tecnico fissato dal venditore primario di biglietti, o di aggirare qualsiasi altro dispositivo tecnico adottato dal venditore primario per garantire l'accessibilità dei biglietti a tutte le persone fisiche, come l'organizzazione della coda di acquisto online. Il divieto si applica anche nel caso in cui i biglietti siano «prenotati» dal software automatizzato, ma poi pagati separatamente con altri mezzi, e quando il rivenditore dei biglietti li acquista da un terzo che a sua volta ha utilizzato bot per acquistarli. Il fatto che l'utilizzo del bot da parte del rivenditore fosse noto al venditore primario dei biglietti non è rilevante ai fini del divieto, in quanto il suo uso ha consentito al rivenditore di acquisire quei biglietti in un numero maggiore di quello acquistabile da altri acquirenti.

Il divieto si applica in generale agli «eventi», che comprendono eventi culturali e sportivi specificamente menzionati nel considerando 50 della direttiva (UE) 2019/2161 e altri tipi di attività ricreative. Esso si applica solo alle misure tecniche utilizzate dal rivenditore per aggirare le misure tecniche messe in atto dal venditore primario di biglietti al fine di limitare il numero di biglietti venduti a ciascun acquirente o per gestire il processo di vendita. Tali misure potrebbero essere attuate dal venditore primario di propria iniziativa o in virtù di disposizioni previste dalla legislazione nazionale.

Il divieto del punto 23 bis) dell'allegato I integra le disposizioni generali della direttiva sulle pratiche commerciali sleali per quanto riguarda questo aspetto specifico della rivendita di biglietti. Il considerando 50 della direttiva (UE) 2019/2161 spiega che il divieto non pregiudica eventuali misure aggiuntive che gli Stati membri possono adottare a livello nazionale per tutelare i legittimi interessi dei consumatori e garantire la realizzazione della politica culturale e un ampio accesso di tutti i cittadini a eventi culturali e sportivi, per esempio regolamentando il prezzo di rivendita dei biglietti.

3.6.   Attività di marketing insistenti tramite strumenti a distanza — Punto 26

Allegato I, punto 26)

«Effettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell'esecuzione di un'obbligazione contrattuale, fatti salvi l'articolo 10 della direttiva 97/7/CE e le direttive 95/46/CE e 2002/58/CE.»

Questo divieto mira a proteggere i consumatori dalle molestie arrecate mediante strumenti di marketing a distanza. L'allegato I, punto 26), non vieta la commercializzazione a distanza di per sé, bensì le sollecitazioni ripetute e sgradite (261).

Per esempio:

Un consulente assicurativo effettuava ricerche nei quotidiani online e cartacei per individuare notizie di incidenti e poi inviava alle vittime lettere tipo in cui offriva consulenza e assistenza in materia di risarcimenti. Un organo giurisdizionale nazionale ha stabilito che inviare a una persona una sola lettera non si qualifica come «ripetute e sgradite sollecitazioni» ai sensi dell'allegato I, punto 26) (262).

La direttiva 2002/58/CE relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche stabilisce, all'articolo 13, disposizioni specifiche sulle comunicazioni indesiderate per mezzo di reti di comunicazione elettronica (cioè tramite telefono o posta elettronica). I dispositivi automatici di chiamata, il telefax e la posta elettronica si possono usare a fini di commercializzazione diretta soltanto per contattare gli utenti che abbiano espresso preliminarmente il loro consenso. Tuttavia allorché una persona fisica o giuridica ottiene dai suoi clienti le coordinate elettroniche per la posta elettronica nel contesto della vendita di un prodotto o servizio, la medesima persona fisica o giuridica può utilizzare tali coordinate elettroniche a scopi di commercializzazione diretta di propri analoghi prodotti o servizi, a condizione che ai clienti sia offerta in modo chiaro e distinto la possibilità di opporsi, gratuitamente e in maniera agevole, all'uso di tali coordinate elettroniche al momento della raccolta delle coordinate e in occasione di ogni messaggio, qualora il cliente non abbia rifiutato inizialmente tale uso. Queste disposizioni settoriali prevalgono sulla direttiva, e ciò significa che le sollecitazioni non devono necessariamente essere ripetute e che gli Stati membri sono tenuti a sanzionarle sin dal primo contatto telefonico o messaggio di posta elettronica.

Se un responsabile del trattamento impiega dati personali (per es. il nome e/o l'indirizzo del destinatario o altri dati riguardanti una persona identificabile) per finalità commerciali, ciò costituisce un trattamento di dati personali ai sensi della normativa dell'UE in materia di protezione dei dati. Le garanzie e gli obblighi previsti dal regolamento sulla protezione dei dati personali devono essere rispettati, anche informando l'interessato del trattamento prima che abbia luogo qualsiasi attività di marketing e consentendo all'interessato di opporsi al trattamento dei propri dati personali per tali finalità (articolo 21, paragrafo 2, GDPR).

Non esistono disposizioni settoriali analoghe a livello UE riguardanti la commercializzazione a mezzo posta e altra pubblicità stampata, la quale è disciplinata in modo esaustivo dalla direttiva, in particolare dall'allegato I, punto 26). Pertanto le disposizioni nazionali che vietano ogni forma di posta pubblicitaria non indirizzata, a meno che i consumatori esprimano preliminarmente il loro consenso (opt-in), vanno al di là delle disposizioni completamente armonizzate della direttiva. Un divieto di questo tipo sarebbe ammesso soltanto se non rientrasse nell'ambito di applicazione della direttiva, ossia se non mira a tutelare gli interessi economici dei consumatori. Alcuni Stati membri hanno difeso tali divieti per motivi diversi, per esempio la protezione dell'ambiente (ridurre lo spreco di carta in materiale promozionale).

3.7.   Esortazioni dirette ai bambini — Punto 28

Allegato I, punto 28)

«Includere in un messaggio pubblicitario un'esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati. Questa disposizione non osta all'applicazione dell'articolo 16 della direttiva 89/552/CEE, concernente delle attività televisive.»

Tale divieto comprende l'esercizio di pressioni sui bambini affinché acquistino direttamente o convincano gli adulti ad acquistare loro determinati oggetti. Un'obiezione sollevata di frequente da molti professionisti riguardo a questo divieto è che può essere difficile distinguere le attività di marketing rivolte ai bambini da quelle rivolte ad altri consumatori. Allo stesso modo, in alcuni casi potrebbe non essere chiaro se una pratica commerciale includa un'esortazione diretta ai bambini.

Nondimeno, la valutazione per determinare se una pratica commerciale rientri nell'ambito di applicazione dell'allegato I, punto 28), deve essere effettuata caso per caso. La valutazione può prendere in considerazione vari fattori, come la progettazione del marketing, il mezzo utilizzato per trasmetterlo, il tipo di linguaggio impiegato, la presenza di argomenti o personaggi che possono attrarre particolarmente i bambini, la presenza di limiti di età, la fornitura di link diretti per effettuare acquisti ecc. (263) Un'autorità nazionale responsabile dell'esecuzione delle normative o un organo giurisdizionale inoltre non è vincolato dalla definizione del gruppo target effettuata dal professionista stesso per la pratica commerciale in questione, sebbene tale definizione possa essere presa in considerazione. La valutazione dovrebbe anche prendere in considerazione le misure che il professionista ha adottato per proteggere i minori dall'esortazione diretta. I professionisti dovrebbero adattare il marketing in base ai consumatori che potrebbero effettivamente essere raggiunti dalla pratica, non solo in base al gruppo target previsto.

Per esempio:

Una pratica commerciale online che proponeva un gioco in cui i bambini vestivano bambole virtuali rivolgeva a questi ultimi inviti quali «acquistane altre», «acquista qui», «aggiorna subito» e «passa al livello Superstar». Un organo giurisdizionale nazionale ha vietato tale pratica in ragione del fatto che le affermazioni erano esortazioni dirette ai bambini ai sensi dell'allegato I, punto 28) (264).

Un organizzatore di concerti pubblicizzava i biglietti per un concerto di Justin Bieber sulla sua pagina Facebook con frasi del tipo «Belibers — sono ancora disponibili carte RIMI presso numerosi negozi. Corri, pedala o fatti portare in auto» e «Ricordati di acquistare anche i biglietti per il Bieberexpress quando compri i biglietti per il concerto oggi a RIMI». Un organo giurisdizionale nazionale ha ritenuto che questa pratica costituisse una violazione dell'allegato I, punto 28) (265).

Un'autorità nazionale ha considerato aggressiva la pratica di una banca che inviava una lettera pubblicitaria diretta ai bambini che compivano dieci anni. Nella lettera i bambini erano invitati a recarsi presso l'ufficio di una filiale della banca per ricevere una carta personale Visa Electron in occasione del loro decimo compleanno (266).

Un'autorità nazionale ha riscontrato un'esortazione diretta nella pubblicità di un concorso effettuata mediante l'utilizzo della realtà aumentata (AR). Il lettore scaricava un'applicazione AR sul proprio telefono e la usava per scansionare le vignette di una storia con materiale video. I video includevano numerosi elementi visivi ed effetti sonori di tipo comico. Al termine della storia, l'applicazione mostrava una ruota della fortuna con la quale il lettore aveva la possibilità di vincere i biglietti per un concerto. Se il lettore non era abbastanza fortunato da vincere, accanto alla ruota della fortuna compariva un link che lo incoraggiava ad «acquistare i biglietti». Nella stessa situazione, un avatar virtuale esortava il lettore con il messaggio «clicca qui e prendi i biglietti». L'autorità nazionale ha ritenuto che si trattasse di un invito diretto all'acquisto, soprattutto perché era possibile acquistare i biglietti dal link associato. L'autorità nazionale ha anche ritenuto che il contenuto e la pubblicità dell'AR fossero rivolti ai bambini, dal momento che erano stati pubblicati in una rivista di fumetti, a sua volta rivolta a un pubblico di bambini (267).

L'organo giurisdizionale di uno Stato membro ha esaminato la questione relativa al fatto se la visualizzazione di un link che rimanda a un negozio online costituisca un invito diretto all'acquisto o meno. L'organo giurisdizionale ha ritenuto che una pubblicità che si rivolge allo spettatore in seconda persona singolare, utilizzando termini tipici per i bambini sia diretta in primo luogo ai bambini, e che tali inviti diretti all'acquisto rientrino nell'allegato I, punto 28), anche se i prezzi e le caratteristiche dei prodotti pubblicizzati non sono visualizzati fino a quando non si clicca il link (268).

In un caso analogo, l'organo giurisdizionale dello Stato membro ha ritenuto che gli inviti indiretti all'acquisto non siano soggetti al divieto di cui all'allegato I, punto 28), e siano definiti come riferimenti all'uso previsto dei prodotti pubblicizzati. In questo caso, i messaggi pubblicitari e i link al negozio online erano accompagnati dal messaggio «Se anche tu vuoi la tua copia, puoi ordinarla per la tua console usando i link in basso». L'organo giurisdizionale ha riscontrato che fornire informazioni su un'opportunità di acquisto o invitare l'utente a visitare locali commerciali virtuali non è inammissibile (269).

Nel 2021 un'autorità responsabile dell'esecuzione delle normative ha sanzionato l'operatore di un gioco online e diverse agenzie di influencer online per la violazione del divieto di cui all'allegato I, punto 28). Le pubblicità del gioco erano promosse attraverso una serie di canali online, invitando bambini e adolescenti a interagire con un personaggio animale mediante l'invio di messaggi SMS a tariffa maggiorata. I bambini erano quindi invitati direttamente a fare acquisti. Inoltre la sanzione ha tenuto conto delle pratiche ingannevoli del professionista e degli influencer, poiché alcune pubblicità e promozioni non erano contrassegnate di conseguenza e inducevano i consumatori a visualizzare una pubblicità (270).

Nel 2013-2014 la Commissione e le autorità nazionali hanno condotto un'azione di esecuzione congiunta riguardante i giochi online che permettono di effettuare acquisti all'interno del gioco (i cosiddetti «acquisti in-app») e che possono esercitare attrazione sui bambini o ai quali i bambini possono giocare; tale questione sarà discussa ulteriormente nella sezione 4.2.9 (271). Le autorità hanno ritenuto che l'allegato I, punto 28), della direttiva si applichi ai giochi che possono esercitare attrazione sui bambini e non solo a quelli esclusivamente e specificamente destinati ai bambini. Un gioco o un'applicazione, e l'esortazione che contiene, può essere considerato diretto ai bambini ai sensi dell'allegato I, punto 28), se il professionista poteva ragionevolmente prevedere che fosse idoneo a esercitare attrazione sui bambini.

3.8.   Premi — Punto 31

Allegato I, punto 31)

«Dare la falsa impressione che il consumatore abbia già vinto, vincerà o vincerà compiendo una determinata azione un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti:

non esiste alcun premio né vincita equivalente,

o

qualsiasi azione volta a reclamare il premio o altra vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore.»

La valutazione della prima categoria di situazioni (cioè il premio non esiste) è piuttosto semplice. Per non violare il divieto, i professionisti devono sempre essere in grado di dimostrare di aver assegnato il premio o la vincita equivalente alle condizioni precise indicate nell'annuncio rivolto ai consumatori. In caso contrario, la pratica rientra nell'ambito di applicazione del divieto.

Per esempio:

Un professionista dava la falsa impressione che i consumatori potessero vincere un premio, affermando che chiunque partecipasse a una particolare lotteria aveva la possibilità di vincere un computer portatile. In realtà non si poteva vincere alcun computer (272).

Un professionista dava la falsa impressione che un consumatore avesse vinto un premio, affermando inequivocabilmente in una lettera indirizzata al consumatore che aveva vinto un premio di 18 000 EUR, quando in realtà tale premio non esisteva. Un organo giurisdizionale nazionale ha chiarito che tale pratica commerciale era contraria alle norme nazionali di attuazione dell'allegato I, punto 31), della direttiva (273).

La seconda parte del punto 31) (cioè il premio o la vincita è subordinata alla condizione che il consumatore versi del denaro o sostenga un costo) riguarda le pratiche disoneste mediante le quali, per esempio, il consumatore è informato della vincita di un premio, ma deve chiamare un numero telefonico a pagamento per riceverlo, oppure il consumatore è inizialmente informato della vincita di un premio, ma poi scopre di dover ordinare un altro prodotto o servizio per ricevere il premio pubblicizzato o la vincita equivalente.

La Corte ha precisato che, anche nel caso in cui il costo imposto al consumatore per reclamare il premio (cioè richiedere informazioni sulla natura del premio o prenderne possesso) sia irrisorio, come il costo di un francobollo, rispetto al valore del premio e il pagamento di tale costo non procuri alcun vantaggio al professionista, tali pratiche sono vietate ai sensi dell'allegato I, punto 31) (274).

Per esempio:

Una società di vendita per corrispondenza inviava annunci promozionali per posta nei quali affermava che al consumatore «era garantito al 100% di essere fra le persone selezionate per ricevere un prodotto elettronico. Il prodotto è gratuito!». In realtà i consumatori dovevano rispondere entro due giorni e versare 19,99 EUR per le «spese amministrative e di trasporto». Un'autorità per la tutela dei consumatori ha ritenuto che dare ai consumatori la falsa impressione che abbiano già vinto un premio, allorché si chiede loro di pagare spese entro due giorni dal ricevimento della comunicazione promozionale, rientrasse nell'ambito di applicazione dell'allegato I, punto 31) (e anche di altre pratiche incluse nella lista nera, per esempio al punto 20), a causa dell'impiego del termine «gratuito») (275).

4.   APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA IN SETTORI SPECIFICI

4.1.   Sostenibilità

4.1.1.   Asserzioni ambientali

Le espressioni «asserzione ambientale» e «dichiarazione ecologica» si riferiscono alla pratica di suggerire o in altro modo dare l'impressione (nell'ambito di una comunicazione commerciale, del marketing o della pubblicità) che un prodotto o un servizio abbia un impatto positivo o sia privo di impatto sull'ambiente o sia meno dannoso per l'ambiente rispetto a prodotti o servizi concorrenti. Ciò può essere dovuto alla sua composizione, al modo in cui è fabbricato, al modo in cui può essere smaltito o alla riduzione del consumo di energia o dell'inquinamento attesa dal suo impiego. Quando tali asserzioni non sono veritiere o non possono essere verificate, la pratica è di frequente definita «greenwashing», ovvero appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzata alla creazione di un'immagine «verde». lo screening coordinato dei siti web («indagini a tappeto»), che la Commissione e le autorità nazionali per la tutela dei consumatori hanno effettuato nel 2020, ha confermato la diffusione di dichiarazioni ecologiche vaghe, esagerate, false o ingannevoli (276).

Il «greenwashing» nel contesto dei rapporti tra imprese e consumatori può riguardare tutte le forme di pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori concernenti gli attributi ambientali dei prodotti. A seconda delle circostanze, tale pratica può comprendere tutti i tipi di affermazioni, informazioni, simboli, loghi, elementi grafici e marchi, nonché la loro interazione con i colori, impiegati sull'imballaggio, sull'etichetta, nella pubblicità, su tutti i media (compresi i siti internet), da qualsiasi organizzazione che si qualifichi come «professionista» e ponga in essere pratiche commerciali nei confronti dei consumatori.

La direttiva non contiene disposizioni specifiche sulle asserzioni ambientali, tuttavia prevede una base giuridica per assicurare che i professionisti non presentino asserzioni ambientali in modo sleale per i consumatori. Non vieta l'uso di «dichiarazioni ecologiche», purché non siano sleali. Al contrario, la direttiva può aiutare i professionisti a investire nelle prestazioni ambientali dei prodotti consentendo loro di comunicare ai consumatori tali iniziative e impedendo ai concorrenti di presentare asserzioni ambientali ingannevoli.

La nuova agenda dei consumatori (277) e il piano d'azione per l'economia circolare 2020 (278) prevedono ulteriori proposte per contrastare la pratica del greenwashing. Inoltre la Commissione sta lavorando su iniziative quali la definizione di norme per la certificazione degli assorbimenti di carbonio (279).

Per quanto riguarda i mezzi di ricorso dei consumatori per il danno subito in seguito a una violazione della direttiva in relazione ad asserzioni ambientali, come il risarcimento dei danni subiti, la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto, si rimanda alla sezione 1.4.3.

4.1.1.1.   Interazione con altre normative dell'UE in materia di asserzioni ambientali

L'articolo 3, paragrafo 4, e il considerando 10 stabiliscono il principio secondo cui la direttiva integra altre normative dell'UE quale «rete di sicurezza» per assicurare il mantenimento di un livello comune elevato di tutela dei consumatori contro le pratiche commerciali sleali in tutti i settori. Nell'ambito delle asserzioni ambientali, la direttiva integra strumenti quali:

il regolamento (CE) n. 66/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio (280) relativo al marchio di qualità ecologica dell'Unione europea;

il regolamento (UE) 2017/1369 del Parlamento europeo e del Consiglio (281) che istituisce un quadro per l'etichettatura energetica;

la direttiva 1999/94/CE relativa alla disponibilità di informazioni sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 da fornire ai consumatori per quanto riguarda la commercializzazione di autovetture nuove;

la direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica (282), modificata dalla direttiva (UE) 2018/2002 (283);

la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell'edilizia (284);

il regolamento (UE) n. 2020/740 sull'etichettatura dei pneumatici in relazione al consumo di carburante e ad altri parametri essenziali (285);

la direttiva (UE) 2019/944 del Parlamento europeo e del Consiglio (286) relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica;

la direttiva 2009/125/CE relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all'energia (287);

il regolamento (UE) 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio (288) relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici;

la direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio (289) sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili;

la direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (290) relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale.

Si forniscono qui di seguito alcuni esempi di interazione fra la direttiva e le normative specifiche dell'UE concernenti le asserzioni ambientali.

Per esempio:

Il regolamento (UE) 2017/1369, che istituisce un quadro per l'etichettatura energetica, vieta ulteriori etichette e simboli che, di per sé, possono indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il consumo di energia o di altre risorse (291).Tuttavia non prevede disposizioni specifiche in merito a cosa sia considerato ingannevole. A questo punto si può applicare la direttiva. Ad esempio, un organo giurisdizionale ha considerato l'uso dello slogan «grande risparmio energetico» in riferimento a un frigorifero/freezer appartenente alla classe di efficienza energetica «A» una pratica commerciale ingannevole ai sensi della direttiva. All'epoca su 543 apparecchi presenti sul mercato, 308 appartenevano alla classe «A+» e il 17 % degli apparecchi disponibili rientrava nella classe di efficienza energetica «A++» (292).

Un fabbricante di pneumatici aveva un'etichetta propria per la commercializzazione di pneumatici. L'etichetta aveva lo scopo di descrivere le prestazioni dei pneumatici in condizioni invernali. L'etichetta dell'impresa è molto simile all'etichetta dei pneumatici ufficiale dell'UE  (293), obbligatoria dal novembre 2012. Il fabbricante dei pneumatici ha commercializzato i propri pneumatici utilizzando l'etichetta proprietaria che può avere dato ai consumatori l'impressione ingannevole che i prodotti fossero conformi ai requisiti relativi ai metodi di prova e alla classificazione prescritti per l'etichettatura dei pneumatici dell'UE. Inoltre l'etichetta dei pneumatici non forniva un quadro attendibile delle proprietà dei pneumatici rispetto a quelli di altri fabbricanti che recavano l'etichetta dell'UE. Un organo giurisdizionale ha vietato al fabbricante di pneumatici di usare le proprie etichette nelle attività di marketing rivolte ai consumatori, a meno che l'impresa non operasse una chiara distinzione tra tali etichette e l'etichetta dei pneumatici dell'UE. (294)

Secondo la direttiva (UE) 2019/944 i fornitori di energia elettrica devono specificare nelle loro informazioni di fatturazione «l'impatto ambientale, almeno in termini di emissioni di CO2 e di scorie radioattive risultanti dalla produzione di energia elettrica prodotta mediante il mix energetico complessivo utilizzato dal fornitore nell'anno precedente», e le aziende fornitrici dovranno specificare l'effettiva impronta di CO2 del loro mix energetico, conformemente all'allegato I, punto 5), lettera b).

Un professionista ha pubblicizzato le sue auto diesel ai consumatori come «ecologiche», mentre in realtà i test sulle emissioni dei gas di scarico erano stati manipolati attraverso l'uso di un software di manipolazione (scandalo «Dieselgate»). Sul sito web del professionista, sul materiale pubblicitario e nei listini erano presenti asserzioni sulle caratteristiche ambientali delle auto in questione. La Corte di giustizia ha confermato nella sentenza del 17 dicembre 2020, nella causa C-693/18, che il software di manipolazione era illegale a norma della legislazione UE sull'omologazione  (295).Dal punto di vista della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la pratica in questione solleva preoccupazioni ai sensi dell'articolo 5 (pratica commerciale contraria alle norme di diligenza professionale), dell' articolo 6 (fornire ai consumatori informazioni ingannevoli sulle caratteristiche principali del prodotto, come l'impatto ambientale pubblicizzato del prodotto) e dell' allegato I, punto 4) (asserire che un prodotto è stato approvato da un organismo pubblico senza rispettare le condizioni dell'approvazione). Le autorità nazionali per la tutela dei consumatori hanno emesso sanzioni sulla base di tali disposizioni (296).

4.1.1.2.   Principi fondamentali

L'applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali alle asserzioni ambientali si può sintetizzare nei principi essenziali indicati di seguito (297).

In base agli articoli 6 e 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali relativi alle azioni e omissioni ingannevoli, le dichiarazioni ecologiche devono essere veritiere, non contenere informazioni false e devono essere presentate in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile, in modo da non trarre in inganno i consumatori.

In base all'articolo 12 della direttiva, i professionisti devono disporre di prove a sostegno delle loro allegazioni ed essere pronti a fornirle alle autorità responsabili dell'esecuzione delle normative competenti in modo comprensibile qualora l'allegazione sia contestata.

Inoltre l'allegato I della direttiva contiene un elenco di pratiche sleali vietate in ogni caso. Diversi punti dell'allegato I si riferiscono ad allegazioni specifiche o alla commercializzazione di certificazioni, etichette e codici di condotta pertinenti.

La clausola generale di cui all'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva fornisce un'ulteriore possibilità di valutare le pratiche commerciali sleali. Essa funziona da «rete di sicurezza» supplementare nella quale fare rientrare qualsiasi pratica sleale non contemplata da altre disposizioni della direttiva (cioè che non sia ingannevole, aggressiva o inclusa nell'elenco di cui all'allegato I); vieta le pratiche commerciali contrarie alle norme di diligenza professionale se sono idonee a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio.

Nell'ambito delle asserzioni ambientali il normale grado di diligenza professionale può comprendere principi derivati da norme e codici di condotta nazionali e internazionali. La diligenza professionale, ad esempio, può richiedere che i sistemi di certificazione utilizzati dai professionisti per promuovere le virtù ambientali dei loro prodotti, si attengano a tali norme e offrano benefici sostanziali ai consumatori, oltre a essere controllati e verificati da organismi indipendenti. Le pratiche contrarie alla diligenza professionale saranno sleali se inducono o sono suscettibili di indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, come l'acquisto di un prodotto specifico per effetto dei benefici attesi derivanti dalla presunta adesione a un programma di certificazione. Le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione delle normative valuteranno tali situazioni in base ai fatti e alle circostanze di ogni singolo caso.

4.1.1.3.   Applicazione dell'articolo 6 della direttiva alle asserzioni ambientali

L'articolo 6 della direttiva implica che i consumatori devono potersi fidare delle asserzioni ambientali presentate dai professionisti. Di conseguenza, per non essere ingannevoli, tali asserzioni devono essere veritiere, non devono contenere informazioni false e devono essere presentate in modo chiaro, specifico, inequivocabile e accurato.

Un'asserzione ambientale può essere ingannevole qualora « contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera » riguardo a uno degli elementi di cui all'articolo 6, paragrafo 1, lettere da a) a g).

Per esempio:

Usare il termine «biodegradabile» per un prodotto che in realtà non lo è o per il quale non sono state effettuate prove (298).

Presentare elettrodomestici quali ferri da stiro, aspirapolvere, macchine da caffè, come «rispettosi dell'ambiente» («ecologici»), sebbene le prove dimostrino che in molti casi non offrono prestazioni migliori di prodotti analoghi o laddove non siano stati sottoposti a prove (299).

Presentare pneumatici come «ecologici» e promuoverne le prestazioni ambientali e l'impatto sul consumo di carburante, anche se le prove forniscono risultati contrastanti (300).

Presentare stoviglie contenenti bambù come un'alternativa sostenibile, riciclabile ed ecologica alle materie plastiche, quando tali prodotti sono in realtà una combinazione di plastica, bambù (talvolta polvere di bambù) e resina di melamina e formaldeide, necessaria per produrre varie forme (piatti, ciotole ecc.) e gradi di rigidità (301).

Un'asserzione ambientale può essere ingannevole anche qualora « inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l'informazione è di fatto corretta » riguardo agli elementi di cui all'articolo 6, paragrafo 1, lettere da a) a g).

Di conseguenza anche le immagini e la presentazione generale del prodotto (cioè le veste grafica, la scelta dei colori, le immagini, le figure, i suoni, i simboli o le etichette) dovrebbero fornire una rappresentazione veritiera e accurata dell'entità dei benefici per l'ambiente e non dovrebbero enfatizzare eccessivamente i benefici ottenuti. Le asserzioni implicite possono, a seconda delle circostanze del caso, essere affiancate da immagini (ad es. alberi, foreste pluviali, acqua, animali) e colori (ad es. sfondi blu o verdi o testo) associati alla sostenibilità ambientale.

Le asserzioni ambientali possono essere ingannevoli se consistono in dichiarazioni vaghe e generiche di benefici ambientali senza un'adeguata dimostrazione del beneficio e senza l'indicazione dell'aspetto pertinente del prodotto a cui l'asserzione si riferisce. Esempi di tali asserzioni sono «rispettoso dell'ambiente», «ecocompatibile», «eco», «verde», «amico della natura», «ecologico», «sicuro per l'ambiente», «attento ai cambiamenti climatici», «a basso impatto ambientale», «senza inquinanti», «biodegradabile», «a emissioni zero», «attento delle emissioni di carbonio», «a ridotte emissioni di CO2»«neutro in termini di emissioni di carbonio», «a impatto climatico zero» e anche le asserzioni più ampie quali «consapevole» e «responsabile».

Tali asserzioni infondate potrebbero, in alcuni casi, dare ai consumatori l'impressione che un prodotto o un'attività di un professionista non abbia impatti negativi o abbia solo un impatto positivo sull'ambiente. Esse possono rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 6, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva, qualora possano ingannare il consumatore medio e indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Poiché termini come «consapevole» e «responsabile» possono riferirsi a numerosi aspetti, comprese le condizioni sociali o economiche, tali asserzioni, in quanto vaghe e ambigue, potrebbero essere considerate ingannevoli pur essendo idonee.

Se si utilizzano asserzioni vaghe e ambigue, le spiegazioni devono essere sufficientemente dettagliate da impedire che l'asserzione possa essere interpretata in un modo diverso da quello inteso dal professionista.

Per esempio:

L'affermazione che il noleggio di auto elettriche è «ecologico» può essere ritenuta ingannevole se non si forniscono informazioni per contestualizzarla. Segnatamente, se l'elettricità necessaria per ricaricare le auto non proviene da fonti di energia rinnovabile, il servizio di autonoleggio avrebbe comunque un impatto negativo sull'ambiente (302).

I professionisti fanno sempre più spesso affermazioni sulla neutralità carbonica investendo in progetti che compensano le emissioni di CO2. Una società di noleggio auto, ad esempio, offre ai consumatori la possibilità di «guidare senza emissioni di CO2» scegliendo un'opzione che compensa le emissioni. Tale pratica può essere problematica se l'integrità ambientale dei crediti di carbonio sottostanti è bassa o se i crediti non sono contabilizzati in modo corretto, per cui non rappresentano riduzioni reali e ulteriori delle emissioni. Le dichiarazioni relative agli assorbimenti di carbonio dovrebbero essere autentiche, solide, trasparenti, comunicate, monitorabili, verificabili, credibili, certificate, non dovrebbero pregiudicare l'azione di riduzione delle emissioni a breve termine nei settori responsabili di emissioni di gas a effetto serra, dovrebbero garantire l'addizionalità e assicurare una contabilità adeguata degli assorbimenti di carbonio negli inventari nazionali dei gas serra. Un'autorità nazionale per la tutela dei consumatori ha ritenuto, nei suoi orientamenti, che i consumatori debbano essere adeguatamente informati sul funzionamento delle misure che compensano le emissioni di CO2, come il numero di chilometri che sono interamente compensati, il modo in cui si ottiene tale compensazione e come e dove viene contabilizzata (303).

Un organo giurisdizionale ha ritenuto che la commercializzazione di prodotti per la cura dei capelli e della pelle, nella quale il professionista aveva dichiarato che i suoi prodotti erano biologici con asserzioni quali «eco» e «biologico», fosse vaga e mancasse di spiegazioni chiare. L'organo giurisdizionale ha inoltre ritenuto che il solo simbolo grafico/logo/etichetta di un sistema di certificazione da parte di terzi non costituisca una spiegazione sufficientemente chiara di ciò che significa biologico e/o eco (304).

Un professionista pubblicizzava la vendita di sacchetti di caramelle, affermando che per ogni sacchetto venduto avrebbe piantato un albero. Tuttavia il professionista aveva già deciso di piantare un determinato numero di alberi, indipendentemente dai sacchetti di caramelle venduti. Un organo giurisdizionale nazionale ha accolto il ricorso del mediatore competente, secondo il quale tale affermazione si qualificava come pubblicità ingannevole che sfruttava l'ingenuità dei consumatori sensibili alle problematiche ambientali (305).

Le asserzioni dovrebbero essere rivalutate e aggiornate secondo la necessità, alla luce degli sviluppi tecnologici e della comparsa di prodotti analoghi o di altre circostanze che possono incidere sull'esattezza o sulla pertinenza dell'asserzione. Le asserzioni ambientali non dovrebbero riguardare un miglioramento rispetto a un prodotto del medesimo professionista o di un concorrente che non è più in commercio o che il professionista non vende più ai consumatori, a meno che tale miglioramento sia significativo e recente.

Se un professionista utilizza dichiarazioni ambientali nella denominazione dell'impresa, della marca, del prodotto ecc., e la denominazione è usata a fini di marketing, tali attività di marketing sono soggette agli stessi obblighi di motivazione applicabili ad altre asserzioni ambientali nelle comunicazioni commerciali, a meno che l'impresa possa dimostrare che la denominazione non ha connotazioni ambientali o che esisteva già prima. Tuttavia per essere contraria alla direttiva, una denominazione usata nelle attività di marketing deve ingannare il consumatore medio e potere indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Per esempio:

Un organo giurisdizionale ha esaminato il marketing di un prodotto petrolifero affermando che il termine «ambiente» associato a «plus» nella denominazione del prodotto dava l'impressione che esso presentasse vantaggi sotto il profilo ambientale, anche se i combustibili fossili sono sempre causa di danni all'ambiente. Al riguardo, l'organo giurisdizionale ha statuito che il termine «ambiente» non poteva essere usato nella denominazione del prodotto (306).

Quando si valuta un'asserzione ambientale, occorre tenere conto dei principali impatti ambientali del prodotto durante il suo ciclo di vita, compresa la catena di approvvigionamento. Un'asserzione ambientale dovrebbe riguardare gli aspetti significativi del prodotto in termini di impatto ambientale.

Le industrie altamente inquinanti dovrebbero assicurarsi che le loro asserzioni ambientali siano precise in quanto relative, ad esempio «meno dannoso per l'ambiente» invece di «rispettoso dell'ambiente» (cfr. anche la sezione 4.1.1.7 sulle asserzioni ambientali comparative). In questo modo il consumatore medio può comprendere meglio qual è l'impatto relativo del prodotto. Un'asserzione ambientale dovrebbe sempre riguardare gli aspetti significativi del prodotto in termini di impatto ambientale totale nell'arco del suo ciclo di vita. Le industrie altamente inquinanti possono essere obbligate dagli organi giurisdizionali o dalle autorità a spiegare al consumatore nelle loro asserzioni ambientali che il prodotto ha un impatto globale negativo sull'ambiente.

Per esempio:

Un organismo di autodisciplina ha ritenuto che un'affermazione su un sito web che presentava il gas fossile come una «fonte di energia rispettosa dell'ambiente» fosse in violazione della normativa applicabile sulla pubblicità, in quanto la formulazione era espressa in termini troppo assoluti e non forniva spiegazioni o contestualizzazioni (307).

Le asserzioni devono inoltre essere chiare e inequivocabili riguardo a quali aspetti del prodotto o del suo ciclo di vita si riferiscono (308). Se un professionista presenta un'asserzione ambientale evidenziando soltanto uno dei vari impatti del prodotto sull'ambiente, l'asserzione può essere ingannevole ai sensi dell'articolo 6 o 7 della direttiva.

Inoltre i professionisti non dovrebbero distorcere le affermazioni sulla composizione del prodotto (comprese le materie prime), o sul suo uso, sul processo di fabbricazione, sul trasporto o sugli effetti a fine vita, ad esempio enfatizzando indebitamente l'importanza di aspetti positivi che in realtà sono solo marginali, o quando l'impatto ambientale complessivo risultante dal ciclo di vita del prodotto è negativo.

Per esempio:

Un'asserzione quale «con l'utilizzo di energia rinnovabile al 100 %» può essere ingannevole se non specifica che l'energia rinnovabile è stata utilizzata solo durante una certa fase del ciclo di vita del prodotto. Per contro, un'asserzione quale «100 % materiale rinnovabile (accessori esclusi)» spiega quali componenti del prodotto non sono stati realizzati con materiali rinnovabili (309).

Pubblicizzare un prodotto come contenente «cotone sostenibile» potrebbe essere ingannevole se l'origine del cotone non è tracciabile né distinta, nella catena di produzione, dal cotone convenzionale.

Pubblicizzare un prodotto come l'erba sintetica come «rispettoso dell'ambiente» perché non ha bisogno di acqua, fertilizzanti o manutenzione durante la sua fase di utilizzo, potrebbe non giustificare l'asserzione se le fasi di produzione e di fine vita hanno un grave impatto negativo sull'ambiente.

Informazioni ingannevoli sulle fonti di energia indicate nelle informazioni di fatturazione, come ad esempio informazioni astratte sul mix energetico nazionale o informazioni ingannevoli sull'impatto ambientale/sul contributo effettivo delle fonti di energia rinnovabile all'energia elettrica acquistata dal cliente finale (ad es., enfasi eccessiva sulla quota di energie rinnovabili).

I benefici asseriti non devono tradursi in un indebito trasferimento degli impatti, si deve cioè evitare di produrre o aumentare gli impatti negativi sull'ambiente in altre fasi del ciclo di vita del prodotto, a meno che i benefici totali netti per l'ambiente migliorino notevolmente, ad esempio in base a una valutazione del ciclo di vita e a metodi riconosciuti o generalmente approvati, applicabili al tipo di prodotto pertinente, e dovrebbero essere verificati da terzi.

Per esempio:

Un fabbricante sostiene che il suo prodotto consuma poca acqua. Tuttavia, al tempo stesso, il prodotto consuma più energia di un prodotto analogo della stessa categoria, il che aumenta notevolmente l'impatto ambientale totale del prodotto. In tali circostanze, l'asserzione può essere ingannevole riguardo alla natura del prodotto (articolo 6, paragrafo 1, lettera a)) o alle sue caratteristiche principali (articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva).

I codici di condotta possono contenere impegni volontari in materia di protezione dell'ambiente o di «comportamento ecologico». Un consumatore medio si aspetterebbe che tali firmatari del codice vendano prodotti conformi a tale codice. Un professionista che ha annunciato di essere vincolato a tale codice ma non lo rispetta può essere considerato ingannevole se l'adesione dichiarata al codice influisce o può influire sulla decisione di natura commerciale dei consumatori. Questa situazione è disciplinata dall'articolo 6, paragrafo 2, lettera b), della direttiva.

Per esempio:

Un professionista ha sottoscritto un codice di condotta che promuove l'uso sostenibile del legno ed esibisce il logo del codice sul proprio sito internet. Il codice di condotta contiene un impegno in forza del quale i firmatari non usano legno proveniente da foreste gestite in modo non sostenibile. Tuttavia emerge che i prodotti pubblicizzati sul sito contengono legno proveniente da una di tali foreste. In tali circostanze, l'asserzione può costituire una violazione dell'allegato I, punto 4), o essere ingannevole ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, lettera b), della direttiva.

Alcune pratiche commerciali ingannevoli riguardanti i codici di condotta sono considerate sleali di per sé ai sensi dell'allegato I della direttiva (cfr. sezione 4.1.1.6).

Non ci si aspetta che un consumatore medio conosca il significato o l'importanza dei vari codici di condotta, sistemi di etichettatura, certificazioni o loghi pubblici e privati. I professionisti dovrebbero informare i consumatori su tali elementi e sulle caratteristiche pertinenti in relazione alla dichiarazione in questione, indicando dove poter reperire tutte le informazioni sulla certificazione, tra cui anche se la certificazione è rilasciata da un terzo o meno. I professionisti dovrebbero anche garantire che i consumatori abbiano la possibilità di ricevere informazioni aggiuntive in modo accessibile e chiaro, ad es. mediante un link o una sezione informativa in prossimità dell'asserzione. Essi dovrebbero, ad esempio, informare i consumatori sui sistemi di certificazione privati di cui esibiscono il logo. In generale, non è sufficiente fare solo un breve riferimento a una certificazione di terzi.

Se un professionista o un settore sceglie di utilizzare sistemi di etichettatura, simboli o attestati privati a fini commerciali, questi devono essere applicati soltanto ai prodotti/servizi o ai professionisti che soddisfano i criteri fissati per poterli utilizzare. I criteri dovrebbero dimostrare chiari benefici per l'ambiente rispetto ai prodotti o professionisti concorrenti ed essere consultabili in modo agevole dai consumatori. In caso contrario, l'etichettatura potrebbe essere ingannevole. L'etichettatura potrebbe dover essere ulteriormente spiegata, in modo da evidenziarne il significato e i criteri più pertinenti (ad es., evidenziare se l'uso dell'acqua è il criterio più pertinente per un dato prodotto). I professionisti dovrebbero inoltre valutare la possibilità di una verifica da parte di terzi per assicurare la credibilità e la pertinenza dell'etichetta. Anche il significato o l'importanza dell'etichetta deve essere comunicato al consumatore in modo chiaro. Infine, tali etichette non devono poter essere confuse con altre etichette, tra cui, per esempio, quelle dei sistemi di etichettatura ufficiali o dei sistemi dei concorrenti.

4.1.1.4.   Applicazione dell'articolo 7 della direttiva alle asserzioni ambientali

L'articolo 7 della direttiva elenca gli elementi specifici di cui tenere conto quando si valuta se una pratica commerciale comporti un'omissione ingannevole.

Le dichiarazioni ecologiche possono essere ingannevoli se consistono in dichiarazioni vaghe e generiche di benefici ambientali (cfr. anche la sezione 4.1.1.3 sulle azioni ingannevoli). Tali dichiarazioni hanno minori probabilità di risultare ingannevoli ai sensi dell'articolo 7 se sono integrate con precisazioni o indicazioni esplicative ben visibili sull'impatto ambientale del prodotto, per esempio limitando la dichiarazione a specifici benefici per l'ambiente.

Fornire tali informazioni supplementari concorre a garantire il rispetto dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera a) (nel caso di un invito all'acquisto), che vieta di presentare ai consumatori in «modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo» le informazioni rilevanti relative alle «caratteristiche principali del prodotto».

Se il professionista fornisce informazioni supplementari ai consumatori, ad es. sul suo sito web, le informazioni devono essere chiare e comprensibili per il consumatore medio. Non si dovrebbe ricorrere alla complessità e alla natura tecnica delle informazioni per trarre in inganno i consumatori sulla veridicità delle dichiarazioni ecologiche.

Nel caso in cui le asserzioni ambientali siano riportate sulle confezioni dei prodotti e/o su altri canali di comunicazione (ad es. poster, cartelloni, riviste), che hanno uno spazio limitato per le spiegazioni, la posizione dell'asserzione ambientale principale e quella delle informazioni supplementari su tale asserzione dovrebbero consentire a un consumatore medio di comprendere il collegamento tra le due parti. Qualora non siano fornite informazioni supplementari o siano fornite in modo poco chiaro o ambiguo, esse possono essere considerate ingannevoli, a seconda della valutazione delle circostanze del singolo caso. Di norma, non si dovrebbero introdurre asserzioni ambientali se non è presente lo spazio per specificarle.

Per analogia, nell'ambito delle indicazioni nutrizionali e sulla salute riguardanti gli alimenti, il punto 3 dell'allegato alla decisione di esecuzione 2013/63/UE (310) della Commissione prevede che quando si fa riferimento a benefici generali e non specifici, tale riferimento deve essere accompagnato da un'indicazione specifica sulla salute figurante nell'elenco delle indicazioni sulla salute consentite del registro dell'Unione. Ai fini del regolamento, l'indicazione specifica autorizzata sulla salute che accompagna la dicitura che fa riferimento a benefici sanitari generali e non specifici deve figurare «accanto a» o «dopo» tale dicitura. Secondo il parere della Corte, quando un riferimento a benefici sanitari generali e non specifici di una sostanza nutritiva o di un alimento appare sulla parte anteriore della confezione, mentre l'indicazione specifica sulla salute destinata ad accompagnarlo appare solo sul retro di tale confezione, dovrebbe essere presente un rinvio chiaro tra le due parti, ad esempio un asterisco, allo scopo di garantire la comprensione del consumatore (311).

Per esempio:

Talvolta i professionisti forniscono informazioni sulle asserzioni ambientali in un modo che richiede al consumatore di intraprendere un'azione supplementare per accedervi (ad es. un consumatore può dover cliccare nuovamente nel contesto di un post sui social media o di un elenco di prodotti per ottenere le informazioni supplementari necessarie), il che può essere ingannevole in alcuni casi. I rappresentanti della rete CPC delle autorità nazionali per la tutela dei consumatori hanno ritenuto che, a seconda delle circostanze del caso e in particolare dei limiti del mezzo di comunicazione, possa essere ingannevole richiedere al consumatore di intraprendere tale azione per ottenere le informazioni pertinenti, soprattutto se è possibile fornirle in un modo più visibile, ad es. collocandole accanto all'asserzione (312).

I professionisti potrebbero scegliere di mostrare determinate asserzioni ambientali in modo visibile (ad es. nella parte anteriore della confezione di un prodotto), collocando le informazioni supplementari sull'asserzione in un punto meno visibile (ad es. sul retro della confezione del prodotto). I rappresentanti della rete CPC delle autorità nazionali per la tutela dei consumatori ritengono che, a seconda delle circostanze del caso e in particolare dei limiti del mezzo di comunicazione, ciò possa essere ingannevole (313).

Un organo giurisdizionale ha ritenuto che le spiegazioni per asserzioni vaghe come «eco» e «biologico» per alcuni prodotti dovrebbero essere collocate direttamente accanto alle asserzioni stesse. Non basta collocare la spiegazione in un'altra pagina del sito web (a un clic di distanza dall'asserzione) (314).

L'asserzione «compostabile» sulla confezione di un prodotto potrebbe essere ingannevole se quest'ultimo è compostabile solo attraverso mezzi industriali e se la confezione non specifica le azioni che il consumatore deve intraprendere per il compostaggio del prodotto.

Il ricorso a una dichiarazione indicante benefici generali (senza ulteriori spiegazioni) può essere giustificato in alcuni casi,

come ad esempio quando i prodotti dichiarati «biologici» rientrano nell'ambito di applicazione del regolamento (UE) 2018/848 relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici.

Ciò potrebbe verificarsi anche quando un prodotto è oggetto di una licenza d'uso dell'etichetta assegnata da un sistema di certificazione ecologica ufficiale, per esempio il marchio di qualità ecologica dell'UE, quello nordico (il cigno) o quello tedesco (l'angelo blu), o di altri sistemi di etichettatura affidabili e riconosciuti soggetti alla verifica di terzi (ad es., l'articolo 11 del regolamento sul marchio di qualità ecologica fa riferimento a sistemi per l'assegnazione di marchi di qualità ecologica EN ISO 14024 di tipo I, ufficialmente riconosciuti a livello nazionale o regionale).

Potrebbe verificarsi anche nel caso in cui gli studi di valutazione del ciclo di vita del prodotto ne abbiano dimostrato le prestazioni ambientali (315). Questi studi dovrebbero essere condotti in base a metodi riconosciuti o generalmente approvati, applicabili al tipo di prodotto pertinente, e dovrebbero essere verificati da terzi. Tali valutazioni delle prestazioni ambientali possono comportare raffronti (cfr. anche la sezione 4.1.1.7 sulle asserzioni ambientali comparative). Se nel settore in questione tali metodi non sono ancora stati messi a punto, i professionisti dovrebbero astenersi dal presentare dichiarazioni indicanti benefici generali. Per tali prodotti i professionisti dovrebbero comunque garantire la trasparenza riguardo agli aspetti ambientali interessati e assicurare che le informazioni possano essere consultate in modo agevole dai consumatori, anche esibendo il logo pertinente.

Analogamente, un'asserzione ambientale può essere ingannevole ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, se è presentata in modo oscuro, incomprensibile o ambiguo. Sulla base di una valutazione caso per caso, l'asserzione può essere considerata ingannevole se non se ne precisano la portata e i limiti.

Per esempio:

Non è chiaro se l'asserzione riguardi l'intero prodotto o soltanto un suo elemento, o le prestazioni ambientali generali dell'impresa o soltanto di alcune sue attività, o a quale impatto o processo ambientale l'asserzione si riferisca.

Quando si effettua un'asserzione ambientale, si devono prendere in considerazione i principali impatti ambientali del prodotto. Un'asserzione ambientale riguardante un prodotto deve inoltre riferirsi a un effettivo impatto ambientale di quello specifico prodotto e dovrebbe essere distinta da asserzioni ambientali più generali riguardanti il professionista, le sue pratiche e politiche di sostenibilità.

Per esempio:

Un professionista esibisce sul suo sito web varie asserzioni ambientali generali, come le dichiarazioni sul suo programma di responsabilità sociale delle imprese e un'etichetta di sostenibilità relativa a determinate gamme di prodotti. Per non trarre in inganno i consumatori, il professionista dovrebbe garantire che le asserzioni ambientali esibite sulla pagina di destinazione del prodotto riguardino l'effettivo impatto ambientale del prodotto specifico e siano distinte da altre dichiarazioni più ampie riguardanti quel professionista e le sue pratiche (316).

4.1.1.5.   Applicazione dell'articolo 12 della direttiva alle asserzioni ambientali

Articolo 12

Gli Stati membri attribuiscono agli organi giurisdizionali o amministrativi il potere, in un procedimento civile o amministrativo di cui all'articolo 11:

a)

di esigere che il professionista fornisca prove sull'esattezza delle allegazioni fattuali connesse alla pratica commerciale se, tenuto conto degli interessi legittimi del professionista e di qualsiasi altra parte nel procedimento, tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso specifico;

b)

di considerare inesatte le allegazioni fattuali, se le prove richieste ai sensi della lettera a) non siano state fornite o siano ritenute insufficienti dall'organo giurisdizionale o amministrativo.

L'articolo 12 della direttiva precisa che ogni dichiarazione (comprese le asserzioni ambientali) deve basarsi su prove che possano essere verificate dalle autorità competenti. I professionisti devono essere in grado di dimostrare l'esattezza delle asserzioni ambientali con prove adeguate. Di conseguenza le dichiarazioni dovrebbero basarsi su prove attendibili, indipendenti, verificabili e generalmente riconosciute, che tengano conto dei metodi e dei risultati scientifici più recenti. La direttiva non prevede per il professionista un obbligo equivalente di fornire ai consumatori documenti o altre prove a sostegno.

L'onere della prova per quanto riguarda l'esattezza della dichiarazione è a carico del professionista. L'articolo 12, lettera a), della direttiva, stabilisce che le autorità responsabili dell'esecuzione delle normative hanno il potere «di esigere che il professionista fornisca prove sull'esattezza delle allegazioni fattuali connesse alla pratica commerciale».

L'applicazione di questa disposizione deve tener conto degli interessi legittimi del professionista, come nel caso dei segreti commerciali o della protezione della proprietà intellettuale, che le autorità possono dover trattare in modo confidenziale.

Per esempio:

Una società produttrice di acque minerali presentava i suoi prodotti con la dichiarazione «Impatto zero», indicante che la produzione e la vendita delle bottiglie d'acqua non aveva alcun impatto sull'ambiente. Tuttavia la società non è stata in grado di dimostrare di svolgere attività specifiche per ridurre l'impatto ambientale dei suoi prodotti, a parte partecipare a un progetto destinato a compensare i danni ambientali. Su tali basi, l'autorità nazionale per la tutela dei consumatori ha concluso che la campagna «Impatto zero» costituiva una pratica commerciale sleale che poteva influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori (317).

Per assicurare che le asserzioni ambientali siano comprovate, i professionisti dovrebbero disporre delle prove necessarie a sostegno delle loro dichiarazioni dal momento in cui utilizzano le asserzioni, oppure essere certi di poterle ottenere e presentare su richiesta.

Una dichiarazione può essere corretta e pertinente in relazione al prodotto quando viene usata per la prima volta, ma potrebbe diventare meno significativa con il passare del tempo. Per essere certi di poter fornire alle autorità nazionali la documentazione necessaria conformemente all'articolo 12 della direttiva, i professionisti dovrebbero assicurare che la documentazione relativa alle dichiarazioni sia aggiornata per tutto il periodo durante il quale esse sono utilizzate nelle attività di marketing.

Le prove presentate dovrebbero essere chiare e attendibili. Qualora l'asserzione sia contestata, si dovrebbero mettere a disposizione degli organismi competenti prove effettuate da terzi indipendenti. Se gli studi degli esperti danno risultati contrastanti o sollevano dubbi significativi in merito all'impatto ambientale, il professionista dovrebbe astenersi totalmente dall'utilizzare l'asserzione ambientale. Il contenuto e l'ampiezza della documentazione da fornire dipendono dal contenuto specifico dell'asserzione. A questo proposito occorre tenere conto della complessità del prodotto o dell'attività.

4.1.1.6.   Applicazione dell'allegato I alle asserzioni ambientali

Le pratiche che seguono, di cui all'allegato I, rivestono particolare rilevanza per le asserzioni ambientali:

ALLEGATO I, punto 1)

Affermazione, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta, ove egli non lo sia.

Per esempio:

Un professionista indica falsamente sul proprio sito internet di essere firmatario di un codice di condotta relativo alle prestazioni ambientali dei prodotti.

ALLEGATO I, punto 2)

Esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione.

Per esempio:

L'uso di qualsiasi etichetta dell'UE o nazionale (per es.: Ecolabel UE, Nordic Swan, Blaue Engel o un altro logo) senza autorizzazione.

ALLEGATO I, punto 3)

Asserire che un codice di condotta ha l'approvazione di un organismo pubblico o di altra natura, ove esso non lo abbia.

Per esempio:

Un professionista dichiara falsamente che il codice di condotta della sua società automobilistica è approvato dall'ente nazionale per l'ambiente, dal ministero dell'Ambiente o da un'organizzazione dei consumatori.

ALLEGATO I, punto 4)

«Asserire che un professionista (incluse le sue pratiche commerciali) o un prodotto è stato approvato, accettato o autorizzato da un organismo pubblico o privato quando esso non lo sia stato o senza rispettare le condizioni dell'approvazione, dell'accettazione o dell'autorizzazione ricevuta.»

Per esempio:

Dichiarare falsamente che un'auto rispetta i termini della normativa in materia di omologazione, mentre invece utilizza dispositivi di manipolazione illegali.

ALLEGATO I, punto 10)

«Presentare i diritti conferiti ai consumatori dalla legge come una caratteristica propria dell'offerta fatta dal professionista.»

Questa disposizione precisa che i professionisti non devono trarre in inganno i consumatori enfatizzando indebitamente le caratteristiche derivanti da obblighi normativi.

Per esempio:

I professionisti non dovrebbero dichiarare che un prodotto è privo di determinate sostanze, se tali sostanze sono vietate dalla legge.

4.1.1.7.   Asserzioni ambientali comparative

Le asserzioni ambientali possono suggerire che un prodotto abbia un impatto più positivo sull'ambiente o sia meno dannoso per l'ambiente rispetto a prodotti o servizi concorrenti o a versioni precedenti del proprio prodotto o servizio. I prodotti che recano tali asserzioni comparative dovrebbero essere valutati rispetto a prodotti analoghi (o, se del caso, rispetto a una versione precedente dello stesso prodotto) e lo stesso metodo di valutazione deve essere applicato in modo coerente così da consentire tale raffronto.

Le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione delle normative e gli organismi di autodisciplina di solito interpretano questo principio nel senso che i confronti devono riferirsi a prodotti appartenenti alla stessa categoria. Tuttavia è altrettanto importante che il metodo adottato per produrre l'asserzione ambientale sia identico, che sia applicato in maniera uniforme (cioè che siano applicate le stesse scelte e regole metodologiche e i risultati siano riproducibili), e che permetta di effettuare confronti, in caso contrario qualsiasi raffronto diventa ingannevole (318). Per esempio, a seconda dei prodotti in questione, le asserzioni ambientali comparative potrebbero essere ingannevoli se escludono fattori, come ad esempio il trasporto, in particolare quando tali fattori contribuiscono maggiormente all'impronta ambientale di un prodotto.

Per esempio:

Un'impresa fa un'asserzione comparativa dichiarando che un rasoio A contiene meno plastica di altri rasoi sul mercato. Questa asserzione potrebbe essere ingannevole se gli altri rasoi selezionati per il raffronto non sono rappresentativi del mercato nel suo complesso e la quantità di plastica nei rasoi in generale è in media inferiore a quella del rasoio A.

Una compagnia aerea sostiene di essere la «compagnia aerea più ecologica» e di avere «le più basse emissioni di CO2 di tutte le principali compagnie aeree» (319).Nella sua pubblicità la compagnia aerea confronta le sue emissioni di CO2 per passeggero-km con quelle di altre quattro «grandi» compagnie aeree europee, e mostra di avere le più basse emissioni di CO2 per passeggero-km. Questa asserzione potrebbe essere ingannevole se le emissioni confrontate non sono state calcolate allo stesso modo, se le emissioni totali di CO2 della compagnia aerea sono superiori a quelle delle altre compagnie e se le emissioni sono aumentate significativamente negli ultimi anni. Sarebbe più chiaro affermare in modo più specifico che ha le più basse emissioni di CO2 per passeggero-km rispetto alle altre quattro grandi compagnie aeree europee, a condizione che il metodo consenta tale raffronto e che la compagnia aerea non nasconda il fatto che le sue emissioni sono aumentate in termini assoluti. Se le asserzioni relative al clima si basano sulle compensazioni delle emissioni di carbonio/gas a effetto serra, queste devono essere trasparenti e dettagliate, considerati i rischi di greenwashing associati. Inoltre il raffronto tra tutte le modalità di trasporto rilevanti, non solo i viaggi aerei, sarebbe ancora più obiettivo e informativo. È possibile soddisfare le esigenze di mobilità dei consumatori non solo mediante un volo ma anche con altri mezzi di trasporto, a seconda del percorso. Pertanto un raffronto delle emissioni medie per passeggero-km tra i modi di trasporto ferroviario, aereo e su strada eviterebbe di trarre in inganno i consumatori sul fatto che la loro scelta sia «ecologica», quando esistono alternative valide con emissioni inferiori.

Un'impresa fa un'asserzione comparativa dichiarando che il suo «prodotto rigenerato» è più rispettoso dell'ambiente di un «prodotto nuovo». Questa asserzione potrebbe essere ingannevole se le soluzioni di riciclaggio o di ritiro applicabili sono comparativamente peggiori e l'impronta ambientale complessiva è quindi più significativa.

La direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, che riguarda le relazioni tra imprese, stabilisce le condizioni di liceità della pubblicità comparativa. Tali condizioni sono rilevanti anche per valutare se la pubblicità comparativa sia lecita nelle relazioni tra imprese e consumatori nel contesto della direttiva. Il confronto dei vantaggi per l'ambiente di prodotti diversi dovrebbe, fra l'altro:

1.

non essere ingannevole ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva;

2.

confrontare beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;

3.

confrontare obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative di tali beni e servizi.

Per esempio:

Un organo giurisdizionale ha ritenuto ingannevole una pubblicità in cui si asseriva che l'acqua filtrata era più rispettosa dell'ambiente rispetto all'acqua minerale in bottiglia, dando ai consumatori l'impressione che consumando acqua filtrata invece di acqua minerale si contribuisse alla tutela dell'ambiente. In particolare, il riferimento alla maggiore tutela dell'ambiente è stato considerato ingannevole poiché il confronto non si basava su dati obiettivi, per esempio uno studio d'impatto. (320)

4.1.2.   Obsolescenza programmata

I consumatori possono imbattersi in pratiche di obsolescenza precoce per cui i beni durano meno di quanto dovrebbe essere la loro normale «durata di vita» secondo le ragionevoli aspettative dei consumatori. In particolare, il guasto prematuro dei beni può essere dovuto all'obsolescenza programmata, anche detta obsolescenza integrata nella progettazione industriale, che è una politica commerciale che prevede la programmazione o progettazione intenzionale di un prodotto con una durata di vita ridotta, in modo che diventi obsoleto o non più utilizzabile dopo un certo periodo di tempo. Come spiegato al punto 2.3.1, la direttiva riguarda anche le pratiche commerciali che sono poste in essere dopo l'avvenuta operazione commerciale. Per quanto riguarda i beni intelligenti e connessi, tali pratiche commerciali successive all'acquisto possono consistere nel ridurre la funzionalità o rallentare il funzionamento dei beni mediante aggiornamenti del software senza un motivo valido.

La direttiva non prevede specifiche disposizioni relative all'obsolescenza. Tuttavia nei casi in cui il professionista, compreso il fabbricante, pone in essere pratiche commerciali nei confronti del consumatore, il fatto di non informarlo che un prodotto è stato progettato con una durata di vita limitata potrebbe, in base a una valutazione caso per caso, essere considerato come un'omissione di informazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 7 della direttiva. Inoltre tali pratiche possono anche essere contrarie alle norme di diligenza professionale ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, della diretta, se sono idonee a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio.

Per esempio:

Omettere l'informazione che la batteria di uno smartphone (che è soggetta a particolare usura) non può essere sostituita o che le cartucce d'inchiostro di una stampante sono programmate in modo che la loro sostituzione è necessaria prima che siano effettivamente consumate, potrebbe essere una pratica che viola l'articolo 7 della direttiva, sebbene possano esserci giustificazioni tecniche per progettare il bene in tal modo.

Un'autorità nazionale per la tutela dei consumatori ha multato un fabbricante di stampanti per pratiche ingannevoli e aggressive, tra cui il fatto di non aver adeguatamente evidenziato le limitazioni sull'uso di cartucce d'inchiostro non originali sulle confezioni di vendita (321).

Autorità nazionali per la tutela dei consumatori sono intervenute sull'obsolescenza prematura degli smartphone (322).Il funzionamento di alcuni modelli di smartphone è stato condizionato negativamente dall'installazione di un nuovo sistema operativo e successivi aggiornamenti, che ne hanno ridotto la durata della batteria e rallentato le prestazioni. I consumatori non erano stati adeguatamente informati sulla finalità degli aggiornamenti e sulle loro conseguenze sulle prestazioni del prodotto ai sensi dell'articolo 7 della direttiva.

Altre normative dell'UE forniscono ulteriori mezzi per combattere l'obsolescenza programmata per specifiche categorie di prodotti.

La direttiva sulla progettazione ecocompatibile (323) consente alla Commissione di stabilire requisiti minimi obbligatori per migliorare le prestazioni ambientali dei prodotti, anche in relazione alla riparabilità e alla durata. Sono già in vigore specifiche sulla progettazione ecocompatibile per quanto riguarda la durata degli aspirapolvere (per alcuni componenti) (324), e delle lampadine (325), e la riparabilità di lavatrici (326), lavastoviglie (327), frigoriferi (328), televisori (329) ecc. Nuove specifiche sulla progettazione ecocompatibile sono in preparazione per altri beni di consumo, come ad esempio smartphone e tablet (330), in linea con il piano d'azione per l'economia circolare e i sottostanti piani di lavoro sulla progettazione ecocompatibile (331). Spesso le specifiche sulla progettazione ecocompatibile vanno di pari passo con etichette energetiche nuove o aggiornate per gli stessi prodotti, che forniscono informazioni sull'efficienza energetica del prodotto ma anche altri parametri (332).

Nel contesto dell'iniziativa sui prodotti sostenibili, si sta esaminando una modifica della direttiva sulla progettazione ecocompatibile per ampliarne l'ambito di applicazione al di là dei prodotti connessi all'energia e renderla applicabile alla più ampia gamma possibile di prodotti (333).

Il regolamento sul marchio di qualità ecologica (334) stabilisce un sistema relativo all'assegnazione di un marchio di qualità ecologica a partecipazione volontaria per promuovere prodotti con minore impatto sull'ambiente durante l'intero ciclo di vita e per offrire ai consumatori informazioni accurate sull'impatto ambientale dei prodotti. I criteri per l'assegnazione del marchio di qualità ecologica considerano le possibilità di ridurre gli impatti ambientali grazie alla durata dei prodotti e alla loro riutilizzabilità, per esempio nel caso di prodotti tessili, display elettronici e mobili.

La direttiva (UE) 2019/771 sulla vendita di beni tutela i consumatori dai difetti di conformità al contratto esistenti al momento della consegna dei beni e che si manifestano entro due anni da tale momento («garanzia legale» — articolo 10, paragrafi 1 e 2). Al fine di fornire una maggiore tutela ai consumatori, gli Stati membri possono mantenere o introdurre limiti di tempo ancora più lunghi per la responsabilità del venditore. La garanzia legale può essere fatta valere quando la non conformità è causata da pratiche di obsolescenza.

In caso di controversia, il consumatore deve dimostrare il difetto di conformità. L'articolo 11 chiarisce che entro un anno dal momento in cui il bene è stato consegnato, il consumatore non è tenuto a dimostrare che il difetto di conformità era già sussistente al momento della consegna del bene. Gli Stati membri possono mantenere o introdurre un periodo di due anni per questo onere della prova invertito.

L'articolo 7, paragrafo 3, obbliga anche il venditore ad assicurare che al consumatore siano forniti gli aggiornamenti per i «beni intelligenti» per il periodo di tempo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi (per il singolo atto di fornitura dell'elemento digitale), o per tutto il periodo della garanzia legale (per la fornitura continua dell'elemento digitale). Se poi il contratto prevede una fornitura continua del contenuto digitale o del servizio digitale del bene intelligente per un periodo più lungo del periodo di garanzia legale, il venditore è tenuto a fornire aggiornamenti per tale periodo più lungo.

Inoltre l'articolo 7, paragrafo 1, lettera d) aggiunge la durabilità come requisito oggettivo di conformità (definita come «la capacità dei beni di mantenere le loro funzioni e prestazioni richieste attraverso un uso normale» nell'articolo 2, paragrafo 13). Mentre i requisiti relativi al prodotto in relazione a tipi o gruppi specifici di prodotti sono lasciati alla legislazione dell'Unione specifica per il prodotto, la direttiva prevede in modo generale che i beni debbano possedere la durabilità considerata normale per beni del medesimo tipo e che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura dei beni e delle dichiarazioni pubbliche fatte da qualsiasi persona nella catena di transazioni commerciali.

L'articolo 17, paragrafo 1, si riferisce anche alla «garanzia commerciale concernente la durabilità» offerta da un produttore come forma specifica di «garanzia commerciale» volontaria. Un produttore che offre tale garanzia è responsabile direttamente nei confronti del consumatore durante l'intero periodo della garanzia commerciale relativa alla durabilità, per la riparazione o la sostituzione dei beni in conformità dell'articolo 14 della direttiva, ossia senza spese, entro un periodo di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore.

La nuova agenda dei consumatori (335) e il piano d'azione per l'economia circolare 2020 (336) prevedono ulteriori proposte per contrastare l'obsolescenza prematura.

4.2.   Settore digitale

La direttiva ha un vasto ambito di applicazione, che comprende la totalità delle operazioni commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori, sia tradizionali sia online. È neutrale dal punto di vista tecnologico e si applica a prescindere dal canale, dal mezzo o dal dispositivo usato per porre in essere una pratica commerciale delle imprese nei confronti dei consumatori. Si applica agli intermediari online, compresi i media sociali, agli app store e ai mercati online, ai motori di ricerca, agli strumenti di confronto (337) e a vari altri professionisti che operano nel settore digitale.

La direttiva si applica anche a pratiche e prodotti che comportano l'utilizzo di tecnologie come gli algoritmi, il processo decisionale automatizzato e l'intelligenza artificiale (AI). Vi rientrano tutte le pratiche tra imprese e consumatori adottate dai professionisti nei confronti dei consumatori nelle fasi di pubblicità, vendita e post-vendita, come l'utilizzo di tecnologie di tracciamento e targeting, personalizzazione algoritmica, ottimizzazione dinamica e tecnologie di registro distribuito.

4.2.1.   Le piattaforme online e le loro pratiche commerciali

Le piattaforme online in genere offrono un'infrastruttura e consentono le interazioni tra fornitori e utenti ai fini della fornitura di prodotti, servizi, contenuti digitali e informazioni online. I modelli commerciali delle piattaforme online vanno semplicemente da permettere agli utenti di consultare informazioni fornite da terzi a consentire direttamente transazioni contrattuali tra professionisti terzi e consumatori. Le piattaforme possono anche pubblicizzare e vendere, per conto proprio, vari tipi di prodotti.

La direttiva si applica alle pratiche commerciali della piattaforma e dei professionisti che utilizzano la piattaforma per promuovere i loro prodotti presso i consumatori. Poiché la direttiva si applica soltanto alle pratiche B2C, per stabilire se sia applicabile a un fornitore di una piattaforma online occorre innanzitutto valutare se la piattaforma abbia i requisiti di «professionista» o «agisca in nome o per conto di un professionista» ai sensi dell'articolo 2, lettera b), della direttiva. Sulla base di una valutazione caso per caso, il fornitore di una piattaforma può agire nel quadro della sua attività economica ogniqualvolta che, per esempio, addebita una commissione su un'operazione commerciale tra un fornitore e un utente, fornisce servizi supplementari a pagamento o realizza introiti derivanti dalla pubblicità mirata.

Per esempio:

Un servizio di confronto dei prezzi di prodotti alimentari è stato considerato da un organo giurisdizionale nazionale il sito internet di un professionista e uno strumento di pubblicità comparativa (338).

Un'organizzazione dei consumatori che gestisce uno strumento di confronto che offre ai consumatori informazioni dietro sottoscrizione di un abbonamento in linea di principio deve rispettare gli obblighi imposti dalla direttiva. Tale servizio potrebbe essere parte della strategia dell'organizzazione volta a trarre un profitto commerciale dai servizi offerti ai consumatori, il che la rende un «professionista» ai sensi dell'articolo 2, lettera b), della direttiva.

In secondo luogo, per stabilire se la direttiva sia applicabile occorre valutare se il fornitore della piattaforma ponga in essere «pratiche commerciali tra imprese e consumatori» ai sensi dell'articolo 2, lettera d), nei riguardi di utenti (fornitori e destinatari) che si qualificano come «consumatori» ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della direttiva.

Una piattaforma che si qualifica come «professionista» deve sempre rispettare il diritto dell'UE in materia di tutela dei consumatori nell'ambito delle proprie pratiche commerciali, indipendentemente dal fatto che tali pratiche possano riguardare prodotti forniti da terzi e non le piattaforme stesse. Ciò è possibile grazie alla definizione molto ampia di «pratica commerciale» di cui all'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva come pratica «direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori», senza stabilire obblighi aggiuntivi riguardo all'origine del prodotto.

Nella causa Verband Sozialer Wettbewerb, riguardante un'inserzione pubblicitaria effettuata a mezzo stampa da una piattaforma online, la Corte ha confermato il vasto ambito di applicazione di «pratica commerciale»:

«31.

Infine si deve constatare che l'obbligo di indicare in un invito all'acquisto [prodotti] le informazioni di cui all'articolo 7, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2005/29 non dipende dalla circostanza che il fornitore dei prodotti interessati sia l'autore di tale invito [ossia la piattaforma online] o sia un soggetto terzo. Di conseguenza, laddove un'inserzione pubblicitaria [da parte di una piattaforma online] effettuata mediante pubblicazione a mezzo stampa promuova prodotti provenienti da diversi fornitori, le informazioni richieste da tale disposizione restano necessarie, fatte salve le restrizioni in termini di spazio menzionate al punto 29 della presente sentenza» (339).

Obblighi di trasparenza

In particolare, le piattaforme sono soggette agli obblighi di trasparenza di cui agli articoli 6 e 7 della direttiva, che impongono loro di astenersi dal compiere azioni e omissioni ingannevoli nell'ambito della promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.

Per esempio, ai sensi dell'articolo 7 della direttiva, le piattaforme online devono essere trasparenti riguardo alle caratteristiche principali dei loro servizi. A seconda dello specifico modello commerciale della piattaforma, potrebbero risultare pertinenti per il consumatore elementi differenti, come la copertura dell'offerta della piattaforma (per es. i settori e le tipologie e il numero di fornitori), la frequenza con la quale sono aggiornate le informazioni (in particolare il prezzo e la disponibilità dei prodotti), le modalità di selezione dei fornitori che operano attraverso di essa, lo svolgimento di controlli sulla loro affidabilità, e in caso affermativo quali.

Tali informazioni possono permettere ai consumatori di capire che la disponibilità dei prodotti e dei fornitori sulla piattaforma non è esaustiva e che si possono individuare altre offerte utilizzando un canale di informazione diverso. Contribuiscono inoltre a scongiurare il rischio di ingannare i consumatori con risultati segnalati come «migliore offerta» o «scelta raccomandata».

Promuovere prezzi o prodotti laddove la piattaforma sia ragionevolmente a conoscenza del fatto che essi non sono effettivamente disponibili può costituire una violazione degli articoli 6 e 7 della direttiva e, a seconda delle circostanze, di varie disposizioni dell'allegato I, «lista nera», della direttiva, che vietano in ogni caso il bait advertising ovvero pubblicità propagandistica (punto 5), il bait and switch ovvero pubblicità con prodotti civetta (punto 6), e la comunicazione di informazioni di fatto inesatte sulle condizioni di mercato allo scopo di indurre il consumatore ad acquistare il prodotto a condizioni meno favorevoli di quelle normali di mercato (punto 18). Le dichiarazioni ingannevoli sulla disponibilità limitata di un prodotto possono costituire una violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva.

Qualora una piattaforma permetta ai consumatori di acquistare insieme i prodotti a un prezzo più favorevole (piattaforme di «acquisto collettivo»), essa dovrebbe fornire loro informazioni chiare riguardo alle caratteristiche e al prezzo dell'offerta e al suo fornitore. In particolare, le caratteristiche del prodotto/servizio ottenuto a seguito di un acquisto di gruppo non dovrebbero essere inferiori a quelle disponibili al prezzo regolare, a meno che i consumatori ne siano chiaramente informati. Le condizioni alle quali i consumatori possono fruire del prodotto (per es. numero minimo di acquirenti, durata dell'offerta) devono essere esplicitate.

Per esempio:

Un'offerta concernente un trattamento specifico presso un centro benessere è pubblicizzata con uno sconto del 50 % se acquistata tramite una piattaforma di acquisto di gruppo. Tale offerta può rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 6, paragrafo 1, lettere b) e d) (come indicazione ingannevole di un vantaggio quanto al prezzo), se il trattamento offerto dura solo 30 minuti, mentre al prezzo pieno ordinario dura 60 minuti, a meno che i consumatori non siano stati chiaramente informati al riguardo.

Nel caso delle offerte cumulative, ossia una combinazione di più prodotti o servizi, quando il prezzo può variare in funzione del numero/volume di prodotti o servizi acquistati, deve essere indicato il prezzo totale dell'offerta onde evitare di creare l'impressione che si possa acquistare un maggior numero di prodotti o servizi a un prezzo inferiore qualora ciò non sia possibile (340).

Diligenza professionale

Inoltre ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva, tutte le piattaforme che si qualifichino come «professionisti» devono rispettare le norme di diligenza professionale nelle loro pratiche commerciali nei confronti dei consumatori. Ai sensi dell'articolo 2, lettera h), della direttiva, per «diligenza professionale» si intende il normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori rispetto a pratiche di mercato oneste e/o al principio generale della buona fede nel settore di attività del professionista.

Gli obblighi di diligenza professionale di tali professionisti nei confronti dei consumatori ai sensi della direttiva si differenziano, pur essendo complementari, dal regime di esonero dalla responsabilità istituito a norma dell'articolo 14 della direttiva sul commercio elettronico per le informazioni illecite ospitate da un prestatore di servizi su richiesta di terzi. Inoltre l'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico vieta agli Stati membri di imporre ai prestatori di servizi di hosting un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che memorizzano o di ricerca attiva di fatti e circostanze.

A tale proposito l'articolo 1, paragrafo 3, della direttiva sul commercio elettronico precisa che detta direttiva «completa il diritto comunitario relativo ai servizi della società dell'informazione facendo salvo il livello di tutela, in particolare, della sanità pubblica e dei consumatori, garantito dagli strumenti comunitari e dalla legislazione nazionale di attuazione nella misura in cui esso non limita la libertà di fornire servizi della società dell'informazione». Ciò significa che la direttiva sul commercio elettronico e il pertinente acquis dell'Unione in materia di consumatori in linea di principio si applicano in maniera complementare (341).

In virtù degli obblighi di diligenza professionale che sono tenute a rispettare ai sensi della direttiva, le piattaforme devono adottare misure adeguate che (senza costituire un obbligo generale di sorveglianza o di indagine) consentano ai professionisti terzi di rispettare gli obblighi imposti dalle norme dell'UE in materia di diritto commerciale e dei consumatori.

Per esempio, a seguito di tali misure le piattaforme potrebbero progettare le loro interfacce in modo da permettere ai professionisti terzi di presentare le informazioni agli utenti della piattaforma in conformità delle norme dell'UE in materia di diritto commerciale e dei consumatori, specialmente le informazioni di cui all'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali relative agli inviti all'acquisto e di cui all'articolo 6 della direttiva sui diritti dei consumatori. Per esempio, i mercati online devono consentire ai fornitori terzi di informare i consumatori riguardo alla loro identità, ai loro dati di contatto, al prezzo del prodotto e agli eventuali costi aggiuntivi che il consumatore potrebbe dovere sostenere per esempio tramite acquisti all'interno di applicazioni.

Se le piattaforme online che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva non rispettano tali obblighi di diligenza professionale, ovvero promuovono, vendono o forniscono prodotti agli utenti in altra maniera sleale, si può considerare che violino il diritto dell'UE in materia di tutela dei consumatori. Esse non possono invocare l'esonero dalla responsabilità dell'intermediario prevista dalla direttiva sul commercio elettronico per quanto riguarda le loro pratiche commerciali in quanto tale esonero si applica soltanto alle informazioni illecite memorizzate su richiesta di terzi.

4.2.2.   Intermediazione dei contratti conclusi tra consumatori e terzi

A seguito delle modifiche introdotte dalla direttiva (UE) 2019/2161, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno contiene una definizione specifica di «mercato online», ossia una piattaforma online che permette ai clienti di acquistare prodotti offerti da fornitori terzi (professionisti o consumatori) direttamente sull'interfaccia del mercato. Il «mercato online» è un concetto neutrale dal punto di vista tecnologico, che comprende anche app store che forniscono contenuti e servizi digitali.

Molti mercati online offrono anche i propri prodotti oltre a quelli dei professionisti terzi. Alcuni mercati ospitano soltanto fornitori professionisti terzi, altri presentano offerte di venditori sia privati sia professionisti oppure si limitano a facilitare le relazioni tra pari (alcune piattaforme di economia collaborativa o condivisa in cui fornitori e utenti mettono realmente in comune beni, risorse, tempo e competenze senza fini di lucro, per esempio un passaggio in auto ripartendo i costi del viaggio).

I mercati online devono adottare misure per garantire che il consumatore sia opportunamente informato in merito all'identità del professionista sulla base delle informazioni fornite dal professionista stesso. Di fatto, se il mercato non fornisce informazioni riguardanti l'identità del professionista effettivo e ciò crea l'impressione che il mercato sia il professionista effettivo, esso potrebbe risultare responsabile degli obblighi del professionista.

La Corte di giustizia ha analizzato la questione dell'identità del professionista nella causa Wathelet (342), che si è occupata della responsabilità, da parte di un intermediario offline (autorimessa), della conformità del bene venduto ai consumatori ai sensi della precedente direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla vendita dei beni di consumo (343).

La Corte ha affermato (punti 33 e 34) che, sebbene la direttiva 1999/44/CE non abbia per oggetto la responsabilità dell'intermediario nei confronti del consumatore, «non esclude di per sé che la nozione di ‘venditore’, ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 1999/44, possa essere interpretata nel senso che include un professionista che agisce per conto di un privato laddove egli, dal punto di vista del consumatore, si presenti come venditore di un bene di consumo in base a un contratto nell'ambito della propria attività professionale o commerciale. Questo professionista, infatti, potrebbe confondere il consumatore, inducendolo a credere a torto di agire in qualità di venditore proprietario del bene».

La Corte ha inoltre dichiarato (punto 44) che «a questo proposito possono essere pertinenti, in particolare, il grado di partecipazione e l'intensità degli sforzi profusi dall'intermediario nella vendita, le circostanze in cui il bene è stato presentato al consumatore, nonché il comportamento di quest'ultimo, onde determinare se egli avrebbe potuto capire che l'intermediario agiva per conto di un privato».

Queste conclusioni della Corte riguardanti la responsabilità dell'intermediario offline nei confronti della conformità del bene potrebbero essere pertinenti anche per altri intermediari e altri obblighi dei professionisti ai sensi del diritto dell'Unione, anche in un contesto online. In particolare, gli intermediari online potrebbero essere ritenuti responsabili degli obblighi del professionista riguardanti le informazioni precontrattuali o l'esecuzione contrattuale laddove essi, dal punto di vista del consumatore, si presentino come professionisti ai sensi del(la) (proposta di) contratto.

Nella causa Wathelet la Corte ha sottolineato (punto 37) che «è indispensabile che il consumatore venga a conoscenza dell'identità del venditore, e in particolare della sua qualità di privato o di professionista, per poter usufruire della tutela conferitagli dalla direttiva 1999/44». Tuttavia, quand'anche il fornitore effettivo fosse altresì stato un professionista e il consumatore non fosse stato pertanto privato dei suoi diritti, il consumatore potrebbe non avere concluso il contratto se l'identità del professionista effettivo fosse stata nota, per esempio, a causa di preoccupazioni riguardanti l'affidabilità di tale professionista e la possibilità di far valere i diritti dei consumatori nei suoi confronti.

È possibile attendersi ulteriori orientamenti sulla nozione di «professionista» nella causa pendente C-536/20 Tiketa, che affronta la questione se un intermediario online (piattaforma per la vendita di biglietti) possa essere ritenuto responsabile congiuntamente al professionista che fornisce effettivamente il servizio, qualora l'intermediario non abbia indicato chiaramente che agisce semplicemente in qualità di intermediario.

È stata aggiunta una nuova lettera f), all'articolo 7, paragrafo 4, dalla direttiva (UE) 2019/2161, la quale prevede espressamente che, in qualsiasi invito all'acquisto, i fornitori di un mercato online informino il consumatore se il terzo che offre i prodotti è un professionista o meno (per esempio consumatore alla pari), sulla base delle informazioni fornite da quel fornitore terzo. La direttiva (UE) 2019/2161 ha aggiunto questo e altri obblighi di informazione per i mercati online nella direttiva sui diritti dei consumatori (articolo 6 bis).

Articolo 7 — Omissioni ingannevoli

4.

Nel caso di un invito all'acquisto sono considerate rilevanti le informazioni seguenti, qualora non risultino già evidenti dal contesto:

f)

per i prodotti offerti su mercati online, se il terzo che offre i prodotti è un professionista o meno, sulla base della dichiarazione del terzo stesso al fornitore del mercato online.

Questo obbligo di informazione, riguardante espressamente i mercati online, è volto a garantire che i consumatori sappiano sempre da chi stanno comprando un prodotto sul mercato online (se da un professionista o da un altro consumatore). L'erronea supposizione che il fornitore terzo sia un professionista può causare problemi per il consumatore se qualcosa nell'acquisto online va storto (per esempio il difetto di conformità dei prodotti), e se poi risulta che le norme relative alla tutela dei consumatori, come il diritto di recesso entro 14 giorni o la garanzia giuridica, di fatto non si applicano al contratto concluso.

La disposizione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (e della direttiva sui diritti dei consumatori) specifica che le informazioni relative allo status del fornitore terzo devono basarsi su una dichiarazione del suddetto fornitore che successivamente il mercato online trasmette al consumatore. Di conseguenza il mercato online può basarsi principalmente sulla dichiarazione del fornitore terzo. Tale approccio è in linea con il divieto di imporre agli intermediari online obblighi di sorveglianza di carattere generale ai sensi della direttiva sul commercio elettronico, nella misura in cui le pertinenti disposizioni della direttiva sul commercio elettronico si applicano al mercato online. Al tempo stesso non pregiudica gli obblighi del mercato riguardanti i contenuti illegali, per esempio agire sulla base di una segnalazione che informa la piattaforma dell'esistenza di specifiche offerte fraudolente da parte dei professionisti (344).

È opportuno sottolineare che tale disposizione costituisce un obbligo di informazione volto a promuovere la chiarezza per i consumatori che fanno acquisti sui mercati online. L'autodichiarazione è un buon indicatore dello status giuridico del fornitore, ma non sostituisce la definizione di «professionista», che rimane da applicare conformemente ai criteri specificati. A tale proposito è opportuno fare riferimento all'allegato I, punto 22), della direttiva, che vieta ai professionisti di fingere di essere non professionisti. Tale divieto si applica a qualsiasi dichiarazione errata o inesatta di essere un non professionista ai sensi di questo nuovo obbligo di informazione.

Per incentivare i professionisti a dichiarare correttamente il loro status, l'articolo 6 bis, paragrafo 1, lettera c), della direttiva sui diritti dei consumatori impone altresì al fornitore del mercato online di avvertire il consumatore del fatto che non beneficia dei diritti dei consumatori qualora il fornitore terzo abbia dichiarato di essere un non professionista.

Infine nella causa Kamenova riguardante un venditore singolo su una piattaforma online, la Corte ha fornito criteri aggiuntivi per stabilire se una persona si qualifichi come professionista (cfr. sezione 2.2 sulla nozione di professionista).

4.2.3.   Trasparenza dei risultati di ricerca

I motori di ricerca permettono di cercare informazioni su internet in base a un particolare algoritmo. Anche altri intermediari, come i servizi di confronto dei prezzi e i mercati online, prevedono la possibilità di effettuare ricerche tra i vari prodotti e fornitori che sono accessibili tramite i loro servizi. I consumatori si attendono risultati di ricerca «naturali» o «organici» e basati su criteri sufficientemente imparziali. Tuttavia i fornitori includono nei risultati di ricerca anche annunci a pagamento oppure migliorano la classificazione dei prodotti grazie al pagamento diretto o indiretto che ricevono dai professionisti terzi pertinenti.

La direttiva (UE) 2019/2161 ha aggiunto all'articolo 7 della direttiva un nuovo paragrafo 4 bis che stabilisce un obbligo di informazione specifico riguardo ai parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti. Inoltre è stato aggiunto un nuovo punto 11 bis) all'allegato I della direttiva, che impone di indicare chiaramente la presenza di annunci pubblicitari e di promozioni a pagamento all'interno dei risultati di ricerca.

Informazioni sui parametri di classificazione

Articolo 7

«4 bis.

Nel caso in cui sia fornita ai consumatori la possibilità di cercare prodotti offerti da professionisti diversi o da consumatori sulla base di una ricerca sotto forma di parola chiave, frase o altri dati, indipendentemente dal luogo in cui le operazioni siano poi effettivamente concluse, sono considerate rilevanti le informazioni generali, rese disponibili in un'apposita sezione dell'interfaccia online che sia direttamente e facilmente accessibile dalla pagina in cui sono presentati i risultati della ricerca, in merito ai parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti presentati al consumatore come risultato della sua ricerca e all'importanza relativa di tali parametri rispetto ad altri parametri. Il presente paragrafo non si applica ai fornitori di motori di ricerca online definiti ai sensi dell'articolo 2, punto 6), del regolamento (UE) 2019/1150 (…)»

Il nuovo obbligo di informazione di cui all'articolo 7, paragrafo 4 bis, si applica solo ai professionisti che permettono ai consumatori di cercare prodotti offerti da altri professionisti terzi o da consumatori, per esempio strumenti di confronto e mercati online. Non si applica ai professionisti che forniscono ai loro consumatori la possibilità di cercare solo tra le loro offerte di prodotti differenti.

L'obbligo di informazione non si applica nemmeno ai «motori di ricerca online» quali definiti nel regolamento (UE) 2019/1150 (il «regolamento P2B»), poiché tale regolamento dispone già che tutti i fornitori di motori di ricerca online pubblichino «una descrizione facilmente e pubblicamente accessibile» dei loro principali parametri, che di conseguenza è accessibile anche per i consumatori e non solo per gli utenti commerciali.

Inoltre l'obbligo di informazione di cui alla direttiva si applica ai professionisti quando il consumatore effettua una ricerca. Non si applica invece all'organizzazione predefinita dell'interfaccia online che è visibile al consumatore e che non è il risultato di una ricerca specifica su quella interfaccia online.

La direttiva (UE) 2019/2161 ha aggiunto un obbligo di informazione analogo anche alla direttiva sui diritti dei consumatori che si applica soltanto ai mercati online, ossia agli intermediari che consentono la conclusione diretta di contratti tra consumatori e terzi (contratti sia da a impresa a consumatore, B2C, che da consumatore a consumatore, C2C).

La nozione di «classificazione» è definita all'articolo 2, lettera m), della direttiva come «rilevanza relativa attribuita ai prodotti, come illustrato, organizzato o comunicato dal professionista, a prescindere dai mezzi tecnologici usati per tale presentazione, organizzazione o comunicazione». La stessa definizione si applica anche nel contesto della direttiva sui diritti dei consumatori.

Il considerando 19 della direttiva (UE) 2019/2161 la definisce ulteriormente come comprensiva dei risultati di ricerca «(…) risultanti dall'utilizzo di meccanismi algoritmici di ordinamento in sequenza, valutazione o recensione, dalla messa in evidenza visiva o da altri strumenti di messa in rilievo, o da una combinazione tra questi».

Per quanto riguarda il contenuto delle informazioni, la piattaforma deve fornire informazioni «generali» in merito ai parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti e all'«importanza relativa» di tali parametri rispetto ad altri parametri.

Ai sensi del considerando 22 della direttiva (UE) 2019/2161, «con ‘parametri che determinano la classificazione’ s'intende qualsiasi criterio generale, processo, segnale specifico integrato negli algoritmi o qualsiasi altro meccanismo di aggiustamento o di retrocessione utilizzato in connessione con la classificazione».

Le informazioni sulla classificazione non pregiudicano le disposizioni della direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio (345) sui segreti commerciali. Come spiegato nell'obbligo parallelo di trasparenza del posizionamento per tutte le piattaforme online e tutti i motori di ricerca online di cui all'articolo 5 del regolamento P2B, questo significa che la considerazione degli interessi commerciali dei fornitori pertinenti non dovrebbe mai portare ad un rifiuto di divulgare i parametri principali che determinano il posizionamento. Al tempo stesso né la direttiva (UE) 2016/943 né il regolamento P2B prevedono l'obbligo di comunicare il funzionamento dettagliato dei meccanismi di classificazione dei fornitori pertinenti, compresi gli algoritmi (346). Lo stesso approccio si applica all'obbligo di informazione di cui alla direttiva.

La descrizione dei parametri di classificazione predefiniti può rimanere a livello generale e non deve necessariamente essere fornita individualmente per ogni ricerca effettuata (347). Le informazioni devono essere indicate in maniera chiara e comprensibile e in modo appropriato al mezzo di comunicazione a distanza. Si precisa altresì che esse devono essere rese disponibili in un'apposita sezione dell'interfaccia online che sia direttamente e facilmente accessibile dalla pagina in cui sono presentate le offerte.

L'obbligo di informazione si applica anche nel caso in cui un professionista consenta di effettuare ricerche su un'interfaccia online per mezzo di comandi vocali (tramite «assistenti digitali»), anziché attraverso la digitazione. Anche in questo caso le informazioni devono essere rese disponibili per la consultazione sul sito internet/sull'applicazione del professionista «in un'apposita sezione dell'interfaccia online».

Le nuove regole sulla trasparenza della classificazione nei confronti dei consumatori (nella direttiva sui diritti dei consumatori e nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali) definiscono la «classificazione» in termini sostanzialmente simili a quelli del regolamento P2B. Il regolamento P2B prevede che le piattaforme informino i loro utenti commerciali tramite informazioni contenute nei termini e condizioni B2B della piattaforma, oppure rendano disponibili le informazioni nella fase precontrattuale.

Anche se i rispettivi obblighi di informazione sono simili, i loro «destinatari» sono differenti. Per questo motivo le nuove disposizioni della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (e della direttiva sui diritti dei consumatori) prevedono che siano indicate soltanto informazioni «generali» riguardo ai principali parametri di classificazione e alla loro importanza relativa. Questa differenza rispetto al regolamento P2B riflette le esigenze di informazione dei consumatori che richiedono informazioni concise che siano facili da capire. Per lo stesso motivo, ai sensi delle norme della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e della direttiva sui diritti dei consumatori non è nemmeno necessario fornire una spiegazione dei «motivi» dell'importanza relativa dei principali parametri di classificazione, che è richiesta dal regolamento P2B.

Praticamente, i fornitori dei servizi di intermediazione online potranno utilizzare le informazioni più dettagliate che forniscono ai loro utenti commerciali ai sensi del regolamento P2B come base per elaborare una spiegazione dei parametri di classificazione orientata al consumatore. La Commissione ha pubblicato orientamenti sulla trasparenza del posizionamento a norma del regolamento P2B (348). Tali orientamenti affrontano varie questioni che sono pertinenti anche ai fini dell'applicazione delle norme della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e della direttiva sui diritti dei consumatori in materia di trasparenza della classificazione, quali le nozioni di «parametri principali», «rilevanza relativa» e «corrispettivi diretti e indiretti».

Indicazione di annunci pubblicitari a pagamento e classificazione

Allegato I, punto 11 bis)

«11 bis)

Fornire risultati di ricerca in risposta a una ricerca online del consumatore senza che sia chiaramente indicato ogni eventuale annuncio pubblicitario a pagamento o pagamento specifico per ottenere una classificazione migliore dei prodotti all'interno di tali risultati.»

Il nuovo punto 11 bis) si applica a qualsiasi professionista che offra la possibilità di cercare «prodotti» (ossia beni, servizi, contenuti digitali), compresi i motori di ricerca.

Non vieta l'inclusione di annunci pubblicitari o una classificazione migliore derivante dai pagamenti ricevuti dai professionisti interessati, ma prevede che il fornitore dello strumento di ricerca informi chiaramente il consumatore quando i risultati della ricerca comprendono prodotti o siti web o URL di professionisti che hanno pagato per essere inseriti nei risultati di ricerca (annuncio pubblicitario) o quando la classificazione è influenzata da pagamenti diretti o indiretti.

Per «annuncio pubblicitario» si intende un'inserzione che figura tra i primi risultati o all'interno dei risultati «naturali» della ricerca che altrimenti non sarebbe stata presentata al consumatore secondo i criteri di ricerca oggettivi applicabili.

Per «classificazione migliore» si intendono situazioni in cui la posizione di uno o più risultati nella classificazione è stata migliorata grazie a pagamenti diretti o indiretti. Il considerando 20 della direttiva (UE) 2019/2161 fornisce esempi non esaustivi di pagamento indiretto finalizzato all'ottenimento di una classificazione migliore:

accettazione da parte del professionista di obblighi aggiuntivi nei confronti del fornitore;

commissione maggiorata per ciascuna transazione;

diversi sistemi di compenso che diano specificamente luogo a una classificazione migliore.

Invece i pagamenti indiretti non comprendono i pagamenti per servizi generali, come le commissioni per l'inserimento in elenco o le quote di sottoscrizione, che si riferiscono a un'ampia gamma di funzionalità, purché tali pagamenti non abbiano precisamente la finalità di ottenere una classificazione migliore.

Gli annunci pubblicitari all'interno dei risultati di ricerca e i risultati di ricerca che sono oggetto di un pagamento specifico per ottenere una classificazione migliore devono essere chiaramente e visibilmente evidenziati come tali. Le informazioni riguardanti l'annuncio pubblicitario o il pagamento specifico per ottenere una classificazione migliore devono essere presentate in diretta associazione con il risultato di ricerca pertinente in maniera visivamente saliente, distinguibile dal resto dell'interfaccia generale online, e in un modo che il consumatore non possa evitare di notare nel vedere il risultato della ricerca.

Tuttavia, laddove i pagamenti effettuati specificamente per ottenere una classificazione migliore facciano parte dei parametri di classificazione e influenzino la classificazione di tutti i risultati mostrati, le informazioni riguardanti tali pagamenti possono anche essere fornite tramite un'unica dichiarazione chiara e ben visibile sulla pagina dei risultati di ricerca. Tale dichiarazione dovrebbe essere separata e aggiuntiva rispetto alle informazioni generali sui parametri di classificazione che i professionisti devono fornire ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4 bis, della direttiva precedentemente esaminati.

La Commissione e le autorità nazionali per la tutela dei consumatori della rete CPC si sono occupate dell'indicazione degli annunci pubblicitari e della classificazione a pagamento all'interno dei risultati di ricerca nelle azioni congiunte riguardanti le piattaforme Booking.com ed Expedia (349) (cfr. anche sezione 4.3.6). A seguito di tali azioni queste piattaforme hanno accettato di indicare sulla pagina dei risultati di ricerca quando i pagamenti incidono sulla classificazione delle strutture ricettive. Hanno anche aggiunto un link contenente ulteriori spiegazioni ed etichettato chiaramente tali strutture. Inoltre la precedente indicazione «sponsorizzato» è stata sostituita dalle etichette più significative «annuncio», «pubblicità», «annuncio pubblicitario» o da un analogo testo equivalente nella lingua locale e tali indicazioni sono state rese più visibili.

Per esempio:

Un sito internet di confronto dei prezzi offriva il posizionamento tra i primi risultati dei prodotti dei professionisti che pagavano una quota supplementare. Un organo giurisdizionale nazionale ha stabilito che le decisioni di natura commerciale dei consumatori possono essere influenzate da una presentazione comparativa che i consumatori stessi potrebbero ritenere priva di intento o finalità commerciale. Su tale base, la pratica commerciale del sito di confronto è stata considerata ingannevole. Il giudice ha concluso che lo strumento di confronto, poiché non indicava in modo chiaro che tale posizionamento era a pagamento, era idoneo a falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori (350).

Un organo giurisdizionale nazionale ha concluso che la pratica di un importante fornitore di servizi di confronto e prenotazione di permettere agli alberghi di manipolare il posizionamento pagando commissioni più elevate era ingannevole (351).

4.2.4.   Recensioni degli utenti

Molte piattaforme online e anche molti singoli professionisti offrono ai consumatori la possibilità di informare altri consumatori in merito alla loro esperienza con prodotti o professionisti differenti. Gli strumenti di recensione sono spesso inclusi nei mercati online, nei motori di ricerca, nei siti specializzati in recensioni di viaggi, negli strumenti di confronto e nelle reti sociali. Vari studi dimostrano l'importanza delle recensioni per le decisioni di acquisto dei consumatori. È dunque importante che i professionisti che forniscono l'accesso alle recensioni dei consumatori adottino misure ragionevoli e proporzionate per garantire che esse descrivano le esperienze dei consumatori reali con il prodotto pertinente. La nozione di «recensioni» dovrebbe essere interpretata in senso generale e comprendere le pratiche relative ai giudizi.

È stata tuttavia individuata una serie di pratiche sleali in quest'ambito. I professionisti utilizzano varie tecniche per aumentare il numero di recensioni positive dei loro prodotti sulle piattaforme o per ridurre o ridimensionare il numero di quelle negative. Per promuovere i loro prodotti alcuni professionisti organizzano la pubblicazione di recensioni positive false, per esempio avvalendosi di società specializzate che reclutano consumatori reali attraverso le reti sociali o altri mezzi. Questi consumatori poi acquistano i prodotti dei rispettivi professionisti sulle piattaforme online e lasciano giudizi a cinque stelle in cambio di specifici benefici. Oppure essi incentivano i consumatori a provare i loro prodotti in cambio della pubblicazione delle loro recensioni (recensioni sponsorizzate) senza rivelare il fatto della sponsorizzazione.

Inoltre le recensioni incentivate/false possono influenzare la classificazione del prodotto e di conseguenza la visibilità sulla piattaforma se i parametri di ricerca della piattaforma tengono conto del punteggio della recensione.

Tali pratiche falsano le scelte dei consumatori. Benché alcune piattaforme riferiscano di adottare misure per limitare le recensioni false, il problema sembra in aumento e ha determinato una sempre maggiore attività di esecuzione da parte delle autorità pubbliche. L'effetto delle suddette pratiche ingannevoli è acuito dalla carenza costante nella fornitura di recensioni normali, in particolare per i nuovi prodotti o per i nuovi arrivati sul mercato (352).

La direttiva si applica non solo alle pratiche commerciali delle piattaforme online e di altri professionisti che mettono a disposizione le recensioni dei consumatori o forniscono l'accesso ad esse, ma anche a qualsiasi professionista organizzi la fornitura di recensioni a beneficio di altri professionisti. Come spiegato nella sezione 2.3 sulla definizione di pratica commerciale, le pratiche commerciali di un professionista sono soggette alla direttiva indipendentemente dal fatto che tali pratiche commerciali promuovano i propri prodotti o i prodotti forniti da altri professionisti.

Invece la direttiva non si applica ai consumatori che forniscono informazioni sulla loro esperienza con prodotti o servizi, a meno che essi possano essere considerati come agenti «in nome o per conto di un professionista» (cfr. più avanti sezione 4.2.6 sul marketing di influenza).

Le pratiche ingannevoli riguardanti le recensioni e gli apprezzamenti dei consumatori possono violare l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva, che impone ai professionisti di indicare l'intento commerciale della pratica stessa, qualora non risulti già evidente dal contesto.

La direttiva (UE) 2019/2161 ha rafforzato la direttiva sulle pratiche commerciali sleali introducendo disposizioni specifiche nel settore delle recensioni e degli apprezzamenti dei consumatori. Nello specifico, l'allegato I, punto 23 ter, vieta ai professionisti di indicare che le recensioni di un prodotto sono inviate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto senza adottare misure ragionevoli per verificare che le recensioni provengano da tali consumatori. Il punto 23 quater vieta espressamente di inviare, o incaricare un'altra persona giuridica o fisica di inviare, recensioni di consumatori false al fine di promuovere prodotti. Vieta inoltre di fornire false informazioni in merito a recensioni di consumatori al fine di promuovere prodotti. Infine i professionisti che forniscono l'accesso alle recensioni devono indicare ai consumatori se e in che modo essi garantiscono che le recensioni pubblicate provengano da consumatori ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 6.

La direttiva si applica alle pratiche tra imprese e consumatori direttamente connesse alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori. Nelle nuove disposizioni della direttiva relative alle recensioni il riferimento ai «prodotti» intende pertanto sottolineare che esse non si applicano ad altri tipi di recensioni non connesse alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto.

Di conseguenza le suddette disposizioni si applicano anche alle recensioni che, pur non valutando i prodotti o le loro caratteristiche in senso stretto, si concentrano principalmente sulle qualità e sulle prestazioni dei professionisti quando offrono o vendono tali prodotti. Qualora le recensioni sulle prestazioni dei «professionisti» in tale contesto siano utilizzate come strumento per promuovere i loro prodotti, le suddette recensioni potrebbero anche essere considerate rilevanti per il consumatore nell'assumere la decisione di natura commerciale riguardante i prodotti del professionista in questione. In particolare, laddove le recensioni valutino il professionista sulla base di parametri come la qualità, l'affidabilità e la rapidità di consegna dei prodotti, tali recensioni possono essere finalizzate alla promozione dei prodotti del professionista o collegate ad essa. Le nuove disposizioni della direttiva possono dunque essere applicate a tali recensioni.

Invece è probabile che le recensioni che valutano le qualità del professionista al di fuori del contesto tra impresa a consumatore, come la responsabilità sociale, le condizioni di lavoro, la fiscalità, la leadership di mercato, gli aspetti etici ecc., non rientrino nell'ambito di applicazione della direttiva, comprese le nuove disposizioni sulle recensioni dei consumatori.

Informazioni sulla gestione delle recensioni

Articolo 7, paragrafo 6

6.

Se un professionista fornisce l'accesso alle recensioni dei consumatori sui prodotti , sono considerate rilevanti le informazioni che indicano se e in che modo il professionista garantisce che le recensioni pubblicate provengano da consumatori che hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto.

Il nuovo obbligo di informazione si applica a qualsiasi professionista fornisca l'accesso alle recensioni dei consumatori, compreso il caso in cui un professionista promuova sulla propria interfaccia online le recensioni messe a disposizione da un altro professionista, per esempio uno strumento di recensione specializzato. Il considerando 47 della direttiva (UE) 2019/2161 illustra l'ambito di applicazione di tale obbligo in senso generale. Nello specifico, le informazioni devono riguardare non solo le misure specifiche per verificare che le recensioni provengano da consumatori che hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto, ma anche l'elaborazione delle recensioni più in generale. Per esempio occorre indicare se sono pubblicate tutte le recensioni, come sono ottenute, come sono calcolati i punteggi medi delle recensioni e se questi sono influenzati da recensioni sponsorizzate o da rapporti contrattuali con i professionisti ospitati sulla piattaforma.

Le informazioni fornite dai professionisti riguardo alle misure adottate per garantire che le recensioni pubblicate provengano da consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto in questione sono importanti anche perché saranno analizzate per valutare se il professionista possa effettivamente presentare le recensioni come recensioni dei consumatori in linea con il nuovo punto 23 ter dell'allegato I.

Tali informazioni devono essere chiare, comprensibili e rese disponibili quando si fornisce l'accesso alle recensioni dei consumatori, ossia le informazioni dovrebbero essere rese disponibili dalla stessa interfaccia su cui le recensioni sono pubblicate per la consultazione, anche tramite collegamenti ipertestuali chiaramente identificati e indicati in modo ben visibile.

Pratiche vietate

Allegato I, punto 23 ter

23 ter

Indicare che le recensioni di un prodotto sono inviate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto senza adottare misure ragionevoli e proporzionate per verificare che le recensioni provengano da tali consumatori.

Il nuovo punto 23 ter dell'allegato I impedisce ai professionisti di indurre in errore i loro utenti riguardo alla provenienza delle recensioni: non devono dichiarare che le recensioni che mettono a disposizione provengono da utenti reali, a meno che adottino misure ragionevoli e proporzionate che, senza costituire un obbligo generale di sorveglianza o di indagine (cfr. articolo 15, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico), aumentino la probabilità che tali recensioni descrivano le esperienze reali degli utenti.

Se la presentazione delle recensioni da parte del professionista equivalga a indicare che esse «sono inviate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto» dipende dalla percezione del consumatore medio. Le recensioni non devono essere necessariamente presentate in questi termini; anche riferimenti più generali a recensioni «dei consumatori» o «dei consumatori/degli utenti» possono indurre il consumatore medio a percepirle come recensioni di altri consumatori che hanno utilizzato o acquistato il prodotto.

Le misure «ragionevoli e proporzionate» necessarie devono essere valutate tenendo contro, fra l'altro, del modello commerciale del professionista: un mercato online che presenta le recensioni dei propri clienti potrebbe dover applicare misure diverse rispetto a un servizio di recensioni specializzato che invita il pubblico generale a dare recensioni senza avere un rapporto contrattuale. Per stabilire che cosa sia ragionevole e proporzionato per un determinato professionista dovrebbero essere presi in considerazione anche l'entità della sua attività e il livello di rischio. Per esempio, ci si aspetterebbe che le grandi piattaforme con un rischio elevato di attività fraudolenta e maggiori risorse impieghino mezzi più significativi rispetto ai professionisti di minori dimensioni per contrastare le frodi relative alle recensioni dei consumatori.

Tuttavia le misure per verificare la provenienza delle recensioni dovrebbero essere proporzionate anche nel senso che non dovrebbero rendere eccessivamente difficile la pubblicazione delle recensioni, scoraggiando in tal modo l'invio di recensioni da parte di consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto.

Il considerando 47 della direttiva (UE) 2019/2161 spiega che le misure ragionevoli e proporzionate potrebbero comprendere «una richiesta di informazioni per verificare che il consumatore abbia effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto recensito». Tali informazioni potrebbero consistere, per esempio, in un numero di prenotazione. Altre «misure ragionevoli e proporzionate» potrebbero comprendere:

imporre agli autori delle recensioni di registrarsi;

utilizzare mezzi tecnici per verificare che l'autore della recensione sia effettivamente un consumatore (per es. controllo dell'indirizzo IP, verifica via e-mail);

definire regole chiare per gli autori delle recensioni che vietino recensioni false e sponsorizzate non esplicitate;

utilizzare strumenti che consentano di individuare automaticamente l'attività fraudolenta;

disporre di misure e risorse adeguate per rispondere ai reclami riguardanti le recensioni sospette, anche nel caso in cui il professionista interessato dalle recensioni dimostri che esse non sono inviate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto.

Grazie alle informazioni che i professionisti pubblicheranno ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 6, si prevede che sia gli utenti che le autorità responsabili dell'esecuzione delle normative avranno la possibilità di esaminare e valutare le misure adottate dal professionista, anche confrontandole con le migliori pratiche del settore che potrebbero svilupparsi nel tempo. In quest'ambito è disponibile la norma ISO: «Recensioni dei consumatori online — Principi e requisiti per la loro raccolta, moderazione e pubblicazione» (ISO 20488:2018).

Allegato I, punto 23 quater

23 quater

Inviare, o incaricare un'altra persona giuridica o fisica di inviare, recensioni di consumatori false o falsi apprezzamenti o di fornire false informazioni in merito a recensioni di consumatori o ad apprezzamenti sui media sociali, al fine di promuovere prodotti.

Il nuovo punto 23 quater riguarda due tipi di pratiche commerciali sleali:

il primo elemento interessa i professionisti che inviano, o incaricano di inviare, recensioni false o falsi apprezzamenti, anche acquistandoli da altri (per es. da «fabbriche di ‘like/mi piace’» o persone fisiche). Riguarda in particolare la pratica di coinvolgere consumatori reali che acquistano il prodotto e sono remunerati per la pubblicazione di recensioni positive. Questa parte del punto 23 quater si applica sia ai professionisti che ai consumatori coinvolti in tali attività ingannevoli nella misura in cui essi si qualificano come agenti «in nome o per conto del professionista». Tuttavia non si applica a quei professionisti, in particolare le piattaforme online, che ospitano e mettono a disposizione le recensioni dei consumatori senza essere coinvolti nel loro invio (pubblicazione);

il secondo elemento interessa i professionisti, comprese le piattaforme online, che danno accesso a recensioni di consumatori o ad apprezzamenti sui media sociali e forniscono false informazioni in merito, per esempio incoraggiando e rendendo disponibili solo le recensioni positive e ottenendo il ritiro delle recensioni negative.

La nozione di «apprezzamenti» dovrebbe essere interpretata in senso generale e comprendere anche le pratiche relative a falsi follower, reazioni e visualizzazioni.

Il primo elemento è volto a garantire che le recensioni dei consumatori rispecchino i pareri, i giudizi, le convinzioni e le esperienze dei consumatori reali. Pertanto vieta la pratica per i professionisti di inviare, o di incaricare altre persone, come i consumatori reali, di inviare recensioni false.

Quanto al secondo elemento, che vieta di fornire false informazioni in merito a recensioni di consumatori o ad apprezzamenti sui media sociali, il considerando 49 della direttiva (UE) 2019/2161 fornisce gli esempi di pratiche manipolatorie vietate indicati di seguito:

pubblicare solo le recensioni positive e sopprimere quelle negative;

«linkare» gli apprezzamenti dei consumatori a contenuti diversi da quello inteso dal consumatore.

Altri esempi di pratiche manipolatorie sono situazioni in cui il professionista:

fornisce ai consumatori modelli di recensioni positive precompilati;

coinvolge i consumatori durante il processo di moderazione per incentivarli a modificare le loro recensioni o a ritirare le recensioni negative;

presenta punteggi di recensioni consolidate sulla base di criteri non esplicitati e/o opachi.

Il divieto di fornire false informazioni in merito a recensioni di consumatori non pregiudica i diritti e l'obbligo del professionista che rende disponibili le recensioni al fine di eliminare le false recensioni negative nell'ambito delle misure volte a garantire che le recensioni provengano da consumatori che hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto.

Sebbene le nuove disposizioni di cui all'allegato I della direttiva vietino in ogni caso le rispettive pratiche commerciali riguardanti le recensioni degli utenti, è possibile osservare che i professionisti che rendono disponibili le recensioni, ma eliminano le recensioni negative dei consumatori senza un valido motivo, possono anche indurre i consumatori medi che leggono le recensioni online a continuare a utilizzare i servizi del professionista o, nel caso delle piattaforme, a prendere la decisione di contattare un professionista, cosa che non avrebbero fatto se avessero saputo che le recensioni negative erano state eliminate.

Inoltre i professionisti che coinvolgono i consumatori e/o altri professionisti che mettono a disposizione le recensioni per impedire che le recensioni negative che li riguardano siano pubblicate o che le eliminano dopo la pubblicazione possono anche indurre il consumatore medio (che non ha ancora contattato il professionista) a scegliere tale professionista al posto di un concorrente che non ha posto in essere tali pratiche commerciali sleali.

Per esempio:

Un professionista inseriva «like/mi piace» sui prodotti dentari presentati sul proprio sito internet, dove si leggeva «recensioni di veri clienti garantite», e poi collegava i «like/mi piace» a un sito di recensioni, sul quale le recensioni positive dei clienti erano privilegiate rispetto a quelle neutre o negative. Un organo giurisdizionale nazionale ha considerato ingannevole la pratica del professionista che affermava «recensioni di veri clienti garantite» (353).

4.2.5.   Media sociali

Le piattaforme di media sociali come Facebook, Twitter, YouTube, Instagram e TikTok permettono agli utenti di creare profili e comunicare fra loro, nonché di condividere informazioni e contenuti. Le piattaforme di media sociali sono sempre più contraddistinte da pratiche commerciali che possono risultare problematiche ai sensi della direttiva e più in generale del diritto dell'UE in materia di tutela dei consumatori, come per esempio:

pubblicità occulta da parte della piattaforma di media sociali o di professionisti terzi, compreso il marketing di influenza ingannevole;

clausole contrattuali standardizzate sleali;

servizi di media sociali presentati ai consumatori come «gratuiti», mentre sono basati su un modello pubblicitario che elabora grandi quantità di dati personali in cambio dell'accesso;

pratiche algoritmiche problematiche, come pubblicità manipolatoria mirata o pratiche volte a catturare l'attenzione del consumatore per continuare a utilizzare il servizio (cfr. anche sezione 4.2.7);

pratiche sleali relative ad acquisti all'interno della piattaforma, quali articoli virtuali;

pratiche commerciali poste in essere da professionisti terzi attraverso le piattaforme di media sociali, tra cui truffe e frodi, recensioni o raccomandazioni degli utenti false o ingannevoli, esortazioni dirette ai bambini, spam e adescamenti a fini di sottoscrizione.

Alcune piattaforme di media sociali si sono trasformate in ambienti per inserzioni pubblicitarie, inserimento di prodotti e recensioni dei consumatori. Di conseguenza esse possono presentare un più alto rischio di pubblicità occulta, in quanto gli elementi commerciali sono mescolati con i contenuti di carattere sociale e culturale generati dagli utenti. Inoltre i consumatori potrebbero non essere sempre a conoscenza del fatto che i professionisti utilizzano i media sociali a fini di marketing.

Sulle piattaforme di media sociali sono presenti tipi di pubblicità differenti, come la pubblicità nativa (native advertising ), che prevede una combinazione di contenuti commerciali e non commerciali e appare spesso con lo stesso formato e nella stessa posizione del contenuto generato dagli utenti (per es. nel feed personale dell'utente). È inoltre più visibile negli ambienti mobili poiché il contenuto può occupare l'intero schermo di un dispositivo di dimensioni ridotte. Spesso il contenuto è sviluppato da inserzionisti che utilizzano le opzioni di pubblicazione disponibili all'interno della piattaforma pubblicitaria. Un altro tipo comune di pubblicità prevede il ricorso a influencer, argomento che è trattato in modo più approfondito nella sezione successiva.

Tutte le forme di comunicazioni commerciali sulle piattaforme di media sociali devono essere indicate chiaramente. Il divieto di pubblicità occulta di cui all'articolo 7, paragrafo 2, e all'allegato I, punto 22), della direttiva potrebbe essere invocato nei confronti sia delle piattaforme di media sociali che dei professionisti terzi che utilizzano le piattaforme di media sociali. Un obbligo di informazione analogo deriva dall'articolo 6, lettera a), della direttiva sul commercio elettronico e dagli articoli 9, 10 e 28 ter della direttiva sui servizi di media audiovisivi. Gli obblighi delle piattaforme di media sociali relativi alla pubblicità online possono essere ulteriormente rafforzati nella proposta di legge sui servizi digitali e nella proposta di legge sui mercati digitali.

Inoltre molti utenti dei media sociali sono bambini e adolescenti. Di conseguenza l'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva può essere pertinente come base giuridica al fine di proteggere i consumatori vulnerabili e la divulgazione delle comunicazioni commerciali deve essere comprensibile per i potenziali destinatari, tenendo conto delle circostanze specifiche di ogni caso e dell'ambiente della piattaforma di media sociali specifica. Inoltre l'allegato I, punto 28), vieta le esortazioni dirette ai bambini nelle comunicazioni commerciali. Ai sensi della direttiva le pratiche pubblicitarie mirate che si concentrano sui bambini come gruppo destinatario non possono pertanto contenere alcuna esortazione diretta ad acquistare i prodotti pubblicizzati. Inoltre nel GDPR sono presenti norme specifiche riguardanti la validità del consenso dei minori e la fornitura di informazioni quando i servizi della società dell'informazione sono offerti direttamente ai minori. La pubblicità mirata può essere disciplinata anche dalle norme relative al processo decisionale automatizzato di cui all'articolo 22 GDPR (354).

Nel 2016-2019 la Commissione e le autorità nazionali hanno ottenuto l'impegno di Facebook, Twitter e Google+ ad allineare le loro pratiche al diritto dell'UE in materia di tutela dei consumatori. Hanno affrontato pratiche quali la mancanza di trasparenza del loro modello aziendale per i consumatori e varie clausole nei loro termini e condizioni di utilizzo (355), tra cui la limitazione o l'esclusione integrale della responsabilità della piattaforma in relazione alla prestazione del servizio e l'individuazione delle comunicazioni commerciali, la rinuncia ai diritti inderogabili che l'UE riconosce ai consumatori e la privazione dei diritti riconosciuti loro dall'UE con riguardo alla giurisdizione e al diritto applicabile.

4.2.6.   Marketing di influenza

Il marketing di influenza comporta la promozione di marchi o prodotti specifici tramite influencer che utilizzano l'impatto positivo che tali figure possono avere sulle percezioni dei consumatori. Un influencer è generalmente descritto come una persona fisica o un'entità virtuale (356) che ha un pubblico più vasto della media in una piattaforma pertinente. Rispetto alla maggior parte delle altre forme di pubblicità online, il marketing di influenza presenta ancor meno caratteristiche che permettano ai consumatori di identificare la natura commerciale del contenuto. Anche se l'influencer utilizza clausole di esclusione della responsabilità per evidenziare la presenza di comunicazioni commerciali, il consumatore medio, in particolare i bambini e gli adolescenti, potrebbero supporre che il contenuto sia presentato almeno in parte come una raccomandazione personale, non commerciale, anziché come un annuncio pubblicitario diretto e chiaramente identificabile.

Ai fini della direttiva, un influencer si qualificherebbe come «professionista» o, in alternativa, come persona «che agisce in nome o per conto di un professionista». Le persone che svolgono frequentemente attività promozionali rivolte ai consumatori sui loro account di media sociali verosimilmente si qualificano come «professionisti» a prescindere dalle dimensioni del loro seguito. Cfr. sezione 2.2 sulla nozione di «professionista» per esempi di fattori che devono essere presi in considerazione nella presente determinazione. Gli obblighi di chiarezza nella comunicazione commerciale si applicano ai professionisti indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano o meno i fornitori dei prodotti (357).

Per quanto riguarda le altre forme di marketing occulto, omettere di indicare chiaramente l'elemento commerciale nel contenuto o nella pratica di un influencer potrebbe costituire una pratica ingannevole ai sensi degli articoli 6 e 7. Le raccomandazioni dell'influencer comprendono varie pratiche, tra cui post pagati, contenuti affiliati (per es. l'influencer condivide un codice sconto o un link con il proprio pubblico per una commissione), retweet o tag al professionista/marchio. Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, tutte le comunicazioni commerciali devono essere chiaramente indicate come tali, a meno che non risultino già evidenti dal contesto. Oltre agli articoli 6 e 7 che si applicano in tutti i casi di marketing di influenza, l'allegato I, punto 11), vieta inoltre le pratiche che non indicano chiaramente che un professionista ha pagato per promuovere un prodotto all'interno di contenuti redazionali. La nozione di «contenuti redazionali» dovrebbe essere interpretata in senso generale e comprendere in alcuni casi anche i contenuti generati dagli influencer o da essi pubblicati sulle piattaforme di media sociali. Nella causa Peek & Cloppenburg la Corte ha confermato che il punto 11) deve essere interpretato in maniera rispondente alla realtà della prassi giornalistica e pubblicitaria (358). La causa riguardava l'interpretazione della nozione di «costi sostenuti», che è trattata in modo più approfondito di seguito. Nell'ottica di garantire l'efficacia del divieto, la Corte ha evidenziato la pertinenza della «pubblicità ‘occulta’ su internet attraverso la diffusione di commenti su reti sociali, forum o blog, che sembrano provenire dai consumatori stessi laddove si tratta in realtà di messaggi di natura pubblicitaria o commerciale, direttamente o indirettamente generati o finanziati da operatori economici, e insiste sugli effetti deleteri di tali pratiche sulla fiducia dei consumatori (…)» (359). Infine la mancanza di una comunicazione adeguata da parte dell'influencer interessato aumenta inoltre il rischio di violare l'allegato I, punto 22, che vieta di presentarsi falsamente come consumatore.

La divulgazione dell'elemento commerciale deve essere chiara e adeguata, tenendo conto del mezzo in cui avviene la commercializzazione, compresi il contesto, il posizionamento, i tempi, la durata, la lingua, i destinatari e altri aspetti. La divulgazione deve essere sufficientemente saliente per informare in maniera adeguata il consumatore medio o vulnerabile che riceve il contenuto. Per esempio, la divulgazione non può essere ritenuta adeguata nel caso in cui le informazioni riguardanti la comunicazione commerciale non siano ben visibili (per es. hashtag alla fine di una lunga clausola di esclusione della responsabilità, il semplice inserimento del tag di un professionista) o impongano al consumatore di compiere ulteriori azioni (per es. cliccare su «ulteriori informazioni») (360).

È inoltre necessario etichettare singolarmente ogni comunicazione commerciale nel momento in cui raggiunge i consumatori, anche se l'influencer è impegnato in un più ampio accordo sulle raccomandazioni con un professionista/marchio.

L'elemento commerciale è considerato presente ogni volta che l'influencer riceve qualsiasi forma di contropartita per la raccomandazione, anche in caso di pagamenti, sconti, accordi di partenariato, percentuali da link affiliati, prodotti gratuiti (compresi regali non richiesti), viaggi o inviti a eventi, ecc. Non è necessario che siano presenti un contratto e un pagamento in denaro per far scattare l'applicazione di tali norme. Nella causa Peek & Cloppenburg la Corte ha confermato che un professionista ha «finanziato» un contenuto redazionale anche nel caso di un pagamento diverso da quello in denaro. La Corte ha ritenuto che debbano sussistere «una contropartita avente valore patrimoniale» e un collegamento certo tra i costi sostenuti dal professionista e tale contenuto. Tuttavia la forma concreta del finanziamento è irrilevante dal punto di vista della tutela dei consumatori. Per esempio, è stata riscontrata la presenza di una contropartita quando il professionista mette gratuitamente a disposizione immagini protette da diritti di utilizzo, sulle quali sono visibili i locali commerciali e taluni prodotti dallo stesso commercializzati. La Corte ha inoltre rilevato che non esistono obblighi riguardanti l'importo minimo del finanziamento o la proporzione di tale finanziamento nel totale dell'operazione promozionale di cui trattasi (361).

A seconda delle circostanze del caso, la violazione potrebbe essere attribuita sia all'influencer che al professionista/marchio che ha coinvolto l'influencer e beneficia della raccomandazione. La presenza del controllo editoriale da parte del professionista non è necessaria per far scattare l'applicazione di tali norme, ma potrebbe fungere da fattore per la determinazione della sua responsabilità. Il professionista/marchio è responsabile delle violazioni delle suddette disposizioni e in particolare dell'obbligo di esercitare la diligenza professionale ai sensi dell'articolo 5. Fatta salva la valutazione delle circostanze del caso, è improbabile che tale responsabilità sia presente nello scenario in cui un influencer non ha alcun legame con il professionista/marchio (ossia finge in modo ingannevole di agire per conto del professionista). L'influencer sarebbe responsabile dei propri obblighi ai sensi della direttiva purché si qualifichi come «professionista», come spiegato in precedenza.

Per esempio:

Un professionista ripubblicava i post pubblicati sui media sociali da influencer che promuovevano i loro prodotti in cambio di una contropartita, senza però etichettare adeguatamente i loro post come comunicazioni commerciali. Un organo giurisdizionale nazionale ha ritenuto responsabile il professionista per non aver adottato le misure necessarie ad assicurare il rispetto del diritto in materia di tutela dei consumatori, quali garantire la trasparenza, istruire gli influencer e disporre di meccanismi di controllo per porre fine alle violazioni (362).

Qualora l'influencer raccomandi i propri prodotti o la propria attività, si applicheranno le stesse norme. L'intento commerciale della comunicazione deve essere sempre dichiarato in tali casi, in particolare alla luce dell'allegato I, punto 22), che vieta di falsamente dichiarare o dare l'impressione che un professionista non agisca nel quadro della sua attività commerciale o di presentarsi falsamente come consumatore. È necessaria una divulgazione adeguata anche nel caso in cui gli influencer raccomandino marchi o prodotti che sono visibilmente collegati a loro, per esempio poiché recano il loro nome o un'immagine del loro volto.

Per esempio:

Una influencer promuoveva su Instagram i prodotti di una società di cui era l'amministratore delegato, la principale azionista e l'unico membro del consiglio di amministrazione. È stato riscontrato che i pertinenti post su Instagram erano ingannevoli, poiché l'intento commerciale non era chiaro per il consumatore medio. Un post che promuoveva l'olio di pesce conteneva affermazioni indirette sul rafforzamento della funzionalità immunitaria e di conseguenza sulla protezione contro la COVID-19. In mancanza di prove attestanti tali affermazioni, questo post è stato ritenuto sia ingannevole che aggressivo (363).

Inoltre, poiché il rapporto che gli influencer instaurano con il loro pubblico è spesso basato sulla fiducia e su un contatto personale, in alcuni casi il loro comportamento potrebbe costituire una pratica commerciale aggressiva tramite l'esercizio di un indebito condizionamento, vietato dagli articoli 8 e 9. Ciò riveste particolare importanza quando fra i destinatari principali di un influencer figurano consumatori vulnerabili come i bambini e gli adolescenti. Inoltre l'allegato I, punto 28), vieta le esortazioni dirette ai bambini in ogni caso.

Oltre agli obblighi degli influencer e dei marchi, la piattaforma online che è utilizzata per le attività promozionali è soggetta ai propri obblighi di diligenza professionale ai sensi della direttiva, esaminati nelle sezioni precedenti. Fra questi rientra l'obbligo di adottare misure appropriate per consentire ai professionisti terzi di adempiere ai loro obblighi ai sensi del diritto dell'Unione, per esempio fornire strumenti di divulgazione specifici e adeguati nell'interfaccia della piattaforma (364).

4.2.7.   Pratiche basate sui dati e modelli oscuri

L'ambiente digitale è sempre più caratterizzato dalla generazione, dall'accumulo e dal controllo di un'enorme quantità di dati riguardanti i consumatori, che possono essere combinati con l'utilizzo di algoritmi e dell'intelligenza artificiale per trasformarli in informazioni utilizzabili a scopi commerciali. Tra le altre finalità, questi dati possono fornire preziose indicazioni sia su caratteristiche socio-demografiche come l'età, il genere o la situazione finanziaria, sia su caratteristiche personali o psicologiche, come interessi, preferenze, profilo psicologico e stato d'animo. In questo modo i professionisti hanno la possibilità di conoscere meglio i consumatori, comprese le loro vulnerabilità.

Le pratiche di personalizzazione basate sui dati nel rapporto tra impresa e consumatore comprendono la personalizzazione della pubblicità, sistemi di raccomandazione, la tariffazione, la classificazione delle offerte nei risultati di ricerca, ecc. Le norme e i divieti di principio contenuti nella direttiva possono essere utilizzati per contrastare le pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori oltre ad altri strumenti del quadro giuridico dell'UE, come la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche, il GDPR oppure la legislazione settoriale applicabile alle piattaforme online. Nel valutare la lealtà complessiva della pratica ai sensi della direttiva si dovrebbe tenere conto delle decisioni già adottate dalle autorità di protezione dei dati riguardo al rispetto o al mancato rispetto delle norme in materia di protezione dei dati da parte di un professionista.

La direttiva contempla le fasi di pubblicità, vendita ed esecuzione del contratto, compreso il consenso al trattamento dei dati personali e l'utilizzo di dati personali per la fornitura di contenuti personalizzati, nonché la risoluzione di un rapporto contrattuale. Inoltre la direttiva ha un vasto ambito di applicazione: interessa tutte le pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori e non richiede l'esistenza di un rapporto contrattuale o l'acquisto di un prodotto. Per esempio la direttiva riguarderebbe anche pratiche commerciali come quella di catturare l'attenzione del consumatore, che sfocia nell'adozione di decisioni di natura commerciale quali continuare a utilizzare il servizio (per es. scorrendo un feed), visualizzare un contenuto pubblicitario o cliccare su un link.

Persuadere i consumatori a interagire con i contenuti del professionista è una parte essenziale delle pratiche commerciali e della pubblicità in particolare, nel mondo sia online che offline. Tuttavia l'ambiente digitale consente ai professionisti di impiegare più efficacemente le loro pratiche sulla base dei dati dei consumatori, con un'elevata scalabilità e persino dinamicamente in tempo reale. I professionisti possono sviluppare pratiche di persuasione personalizzate perché si avvalgono di conoscenze superiori basate su dati aggregati riguardanti il comportamento e le preferenze dei consumatori, per esempio collegando dati provenienti da fonti differenti. I professionisti hanno anche la possibilità di apportare modifiche per migliorare l'efficacia delle loro pratiche, poiché testano continuamente gli effetti delle loro pratiche sui consumatori e in tal modo ne conoscono meglio il comportamento (per es. tramite test A/B). Inoltre tali pratiche potrebbero spesso essere utilizzate senza che il consumatore ne sia pienamente a conoscenza. È la presenza di tali fattori e la loro opacità a distinguere tecniche di vendita o pubblicità estremamente persuasive, da un lato, da pratiche commerciali che possono essere manipolatorie e di conseguenza sleali ai sensi del diritto dei consumatori, dall'altro lato. Inoltre esse potrebbero violare gli obblighi di trasparenza ai sensi del GDPR o della direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche.

Qualsiasi pratica tra impresa e consumatore falsi o sia idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico di un consumatore medio o vulnerabile potrebbe violare gli obblighi di diligenza professionale di un professionista (articolo 5), costituire una pratica ingannevole (articoli 6 e 7) o una pratica aggressiva (articoli 8 e 9), a seconda delle circostanze specifiche del caso.

Ai fini della presente valutazione, il parametro di un consumatore medio o vulnerabile può essere modulato al gruppo destinatario e, se la pratica è altamente personalizzata, persino formulato dal punto di vista di una singola persona che è stata oggetto di una personalizzazione specifica.

Tali pratiche possono anche avere un effetto più significativo sui consumatori vulnerabili. Come spiegato nella sezione 2.6, le caratteristiche che definiscono la vulnerabilità elencate all'articolo 5, paragrafo 3, sono indicative e non esaustive. La nozione di vulnerabilità nella direttiva è dinamica e situazionale; questo significa, per esempio, che un consumatore può essere vulnerabile in una situazione, ma non in altre. Per esempio alcuni consumatori possono essere particolarmente sensibili alle pratiche di persuasione personalizzate nell'ambiente digitale, mentre lo sono meno nei negozi tradizionali e in altri ambienti offline.

È probabile che l'utilizzo di informazioni riguardanti le vulnerabilità di consumatori specifici o di un gruppo di consumatori a scopi commerciali influisca sulla decisione di natura commerciale dei consumatori. A seconda delle circostanze del caso, tali pratiche potrebbero costituire una forma di manipolazione in cui il professionista esercita un «indebito condizionamento» nei confronti del consumatore, dando luogo a una pratica commerciale aggressiva vietata ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva. Nel valutare la presenza di un indebito condizionamento, ai sensi dell'articolo 9, lettera c), si devono prendere in considerazione lo sfruttamento di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore.

Inoltre, se i destinatari della pratica sono i bambini, l'allegato I, punto 28), è dunque particolarmente pertinente poiché vieta le esortazioni dirette ai bambini. Anche i potenziali effetti negativi della comunicazione diretta ai bambini giustificano una protezione specifica ai sensi del GDPR (365).

Per esempio:

Un professionista riesce a capire che un adolescente è in uno stato d'animo vulnerabile a causa di eventi accaduti nella sua vita personale. Tali informazioni sono successivamente utilizzate per raggiungere l'adolescente con messaggi pubblicitari basati sulle emozioni in un momento specifico.

Un professionista è a conoscenza dei pregressi di un consumatore con i servizi finanziari e del fatto che un istituto di credito gli ha negato l'accesso ai propri servizi per l'impossibilità di pagare. Successivamente un istituto di credito raggiunge il consumatore con offerte specifiche allo scopo di sfruttare la sua situazione finanziaria.

Un professionista è a conoscenza dei pregressi di un consumatore rispetto ai giochi d'azzardo e al contenuto casuale in un videogioco. In seguito il consumatore è raggiunto con comunicazioni commerciali personalizzate che presentano elementi simili, allo scopo di sfruttare la maggiore probabilità che esso interagisca con tali prodotti.

All'interno della categoria delle pratiche manipolatorie, si utilizza l'espressione «modello oscuro» per fare riferimento a un tipo di nudging (spinta gentile) malevolo, generalmente incorporato nelle interfacce di progettazione digitale. I modelli oscuri potrebbero essere basati sui dati e personalizzati oppure attuati su una base più generale, sfruttando errori euristici e comportamentali, come l'effetto default e l'errore della scarsità (366).

La direttiva non fornisce una definizione giuridica dell'espressione «modello oscuro». La direttiva si applica a qualsiasi «pratica commerciale sleale» soddisfi i requisiti dell'ambito di applicazione materiale della direttiva, a prescindere dalla relativa classificazione. Se i modelli oscuri sono applicati nel contesto dei rapporti commerciali tra impresa e consumatore, la direttiva può dunque essere utilizzata per contestare la lealtà di tali pratiche oltre ad altri strumenti del quadro giuridico dell'UE, come il GDPR.

Come spiegato in precedenza, qualsiasi pratica manipolatoria falsi o sia idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico di un consumatore medio o vulnerabile potrebbe violare gli obblighi di diligenza professionale di un professionista (articolo 5), costituire una pratica ingannevole (articoli 6 e 7) o una pratica aggressiva (articoli 8 e 9), a seconda del modello oscuro specifico applicato. La direttiva non richiede l'intenzionalità per l'utilizzo del modello oscuro. Nel settore della progettazione delle interfacce, il normale grado di diligenza professionale di cui all'articolo 5 della direttiva può comprendere principi derivati da codici di condotta per la progettazione etica e norme internazionali. Come principio generale, in base agli obblighi di diligenza professionale di cui all'articolo 5 della direttiva, i professionisti devono adottare misure appropriate per garantire che la progettazione della loro interfaccia non falsi le decisioni di natura commerciale dei consumatori.

Le pratiche manipolatorie possono comprendere l'occultamento visivo di informazioni importanti o il loro ordinamento in modo da promuovere un'opzione specifica (per es. un pulsante molto visibile, un altro nascosto; un percorso molto lungo, un altro più breve) nonché l'utilizzo di domande trabocchetto e di un linguaggio ambiguo (per es. doppie negazioni) per confondere il consumatore. È probabile che tali pratiche, rendendo le informazioni incomprensibili o ambigue, si qualifichino come azioni ingannevoli ai sensi dell'articolo 6 della direttiva o come omissioni ingannevoli ai sensi dell'articolo 7 della direttiva. Inoltre utilizzare l'emozione per dissuadere gli utenti dal compiere una determinata scelta (per es. far sentire in colpa il consumatore per aver scelto una certa opzione, il cosiddetto «confirmshaming») potrebbe costituire una pratica aggressiva ai sensi dell'articolo 8 della direttiva in virtù del ricorso all'indebito condizionamento per alterare il processo decisionale del consumatore.

Per esempio:

Durante la procedura d'ordine su un mercato online, al consumatore è chiesto più volte di scegliere tra «sì» e «no»: «Vuoi rimanere aggiornato su offerte simili? Vuoi iscriverti alla newsletter? Possiamo usare i tuoi dati per personalizzare la nostra offerta?» A metà della sequenza di clic, i pulsanti «sì» e «no» sono invertiti intenzionalmente. Il consumatore ha cliccato più volte su «no», ma adesso clicca su «sì» e si iscrive per sbaglio a una newsletter.

Le impostazioni predefinite dell'interfaccia hanno un notevole impatto sulla decisione di natura commerciale di un consumatore medio. I professionisti potrebbero non solo indurre i consumatori a compiere determinate azioni, ma potrebbero anche intraprendere azioni specifiche al posto loro, per esempio utilizzando caselle preselezionate, anche per addebitare servizi supplementari, pratica che è vietata ai sensi dell'articolo 22 della direttiva sui diritti dei consumatori. Tali pratiche possono inoltre violare la direttiva nonché le norme in materia di protezione dei dati personali e della vita privata (367).

Talune pratiche che sono spesso definite come «modelli oscuri» sono già espressamente vietate in ogni caso nell'allegato I della direttiva:

le cosiddette pratiche di « bait and switch » (pubblicità con prodotti civetta), che prevedono l'offerta di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare al contempo l'esistenza di ragionevoli motivi per non essere in grado di fornire il prodotto oppure l'offerta del prodotto e successivamente il rifiuto di accettare ordini per l'articolo o di consegnarlo entro un periodo di tempo ragionevole, con l'intenzione di promuovere invece un altro prodotto (allegato I, punti 5 e 6);

la creazione di urgenza dichiarando falsamente che il prodotto sarà disponibile solo per un periodo molto limitato, o che sarà disponibile solo a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato (allegato I, punto 7). In questa pratica rientrano, per esempio, le false offerte a tempo e le finte indicazioni di scorte limitate sui siti web;

la fornitura di informazioni inesatte sulle condizioni di mercato o sulla possibilità di ottenere il prodotto allo scopo d'indurre il consumatore ad acquistare il prodotto a condizioni meno favorevoli (allegato I, punto 18);

l'affermazione che il consumatore ha vinto un premio, senza attribuire i premi descritti o un equivalente ragionevole (allegato I, punti 19) e 31) oppure la falsa descrizione di un prodotto come «gratuito» (allegato I, punto 20);

l'effettuazione di ripetute intrusioni durante le normali interazioni al fine di indurre il consumatore a fare o ad accettare qualcosa (ossia l'insistenza o «nagging») potrebbe costituire una ripetuta e sgradita sollecitazione (allegato I, punto 26) (368).

Inoltre si definiscono «modelli oscuri» anche varie pratiche ingannevoli che violano gli articoli 6 e 7 della direttiva, come le prove gratuite ingannevoli e gli adescamenti a fini di sottoscrizione che sono state altresì esaminate nella sezione 2.9.6. Nel progettare le loro interfacce i professionisti dovrebbero seguire il principio secondo cui la disiscrizione da un servizio dovrebbe essere semplice quanto l'iscrizione ad esso, per esempio utilizzando gli stessi metodi usati in precedenza per iscriversi al servizio oppure metodi differenti, purché ai consumatori sia data la possibilità di compiere scelte chiare e libere, proporzionate e specifiche alle decisioni che è chiesto loro di prendere.

Per esempio:

Per disiscriversi da un servizio digitale il consumatore è costretto a compiere una serie di azioni non intuitive per arrivare al link di cancellazione. Tali azioni comprendono la colpevolizzazione («confirmshaming»), che, tramite l'invio, senza una giustificazione motivata, di ripetuti messaggi che fanno leva sulle emozioni («Ci dispiace vederti andare via», «Ecco i benefici che perderai») e l'«interferenza visiva», per esempio immagini in risalto che incoraggiano l'utente a mantenere l'iscrizione anziché a disiscriversi, induce il consumatore a riconsiderare la propria scelta (369).Tali pratiche potrebbero violare l'articolo 7 e l'articolo 9, lettera d), della direttiva.

4.2.8.   Pratiche di tariffazione

La prezzatura a goccia comprende situazioni in cui i professionisti aggiungono i costi durante il processo di acquisto, per esempio aggiungono spese che sono inevitabili e avrebbero dovuto essere incluse nel prezzo sin dall'inizio o altrimenti aumentano arbitrariamente il prezzo finale. Ciò può indurre i consumatori ad assumere decisioni di natura commerciale che non avrebbero preso se il prezzo totale fosse stato indicato nel primo «invito all'acquisto». Tale pratica può quindi costituire un'azione o un'omissione ingannevole in violazione della direttiva.

Tariffazione dinamica (anche detta tariffazione in tempo reale) significa variare in modo altamente flessibile e rapido il prezzo di un prodotto in risposta alle esigenze del mercato.

A norma della direttiva, i professionisti possono determinare liberamente i prezzi dei loro prodotti, purché forniscano ai consumatori informazioni adeguate in merito al prezzo totale e al modo in cui è calcolato se la natura del prodotto comporta l'impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo (articolo 6, paragrafo 1, lettera d), e articolo 7, paragrafo 4, lettera c), della direttiva). Tuttavia in alcune circostanze le pratiche di tariffazione dinamica possono rientrare nella definizione di «sleale» ai sensi della direttiva.

Per esempio:

Una pratica di tariffazione dinamica in base alla quale il professionista alza il prezzo di un prodotto durante il processo di prenotazione, in particolare dopo che il consumatore lo ha messo nel suo carrello digitale o procede al pagamento, senza dare al consumatore un lasso di tempo ragionevole per completare l'operazione commerciale, potrebbe essere considerata contraria alle norme di diligenza professionale oppure una pratica aggressiva ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva.

La discriminazione dei prezzi avviene quando un professionista applica prezzi diversi a consumatori o gruppi di consumatori diversi per gli stessi prodotti o servizi. La direttiva, in quanto tale, non vieta ai professionisti di applicare la discriminazione dei prezzi purché essi forniscano al consumatore informazioni adeguate in merito al prezzo totale o al modo in cui è calcolato. Tuttavia la discriminazione dei prezzi può essere vietata da altre norme.

In particolare, la direttiva sui servizi (370) contiene un divieto generale di discriminazione dei prezzi basata sulla nazionalità e sul luogo di residenza. L'articolo 20 della direttiva sui servizi stabilisce che «le condizioni generali di accesso a un servizio che il prestatore mette a disposizione del grande pubblico» non possono contenere «condizioni discriminatorie basate sulla nazionalità o sul luogo di residenza del destinatario». L'articolo 20 tuttavia non preclude «la possibilità di prevedere condizioni d'accesso differenti allorché queste sono direttamente giustificate da criteri oggettivi».

Inoltre la discriminazione dei prezzi, diretta o indiretta, in base alla cittadinanza o al luogo di residenza del cliente finale o al luogo di stabilimento del vettore o del venditore di biglietti all'interno dell'Unione è espressamente vietata da diversi atti normativi settoriali dell'UE. Tali atti normativi riguardano il trasporto aereo (371), il trasporto marittimo (372), il trasporto ferroviario (373) e il trasporto effettuato con autobus (374).

La discriminazione dei prezzi può assumere la forma di prezzi personalizzati sulla base del tracciamento e della profilazione online del comportamento del consumatore (375).

Per esempio:

Un consumatore della categoria «potere d'acquisto elevato» può essere riconosciuto tramite l'indirizzo IP del computer o altri dispositivi quando visita il sito del professionista dal computer di casa. I prezzi proposti a questo consumatore potrebbero essere, per esempio, mediamente superiori del 10 % rispetto a quelli offerti a un nuovo cliente o a un consumatore della categoria «potere d'acquisto limitato».

La direttiva non vieta ai professionisti di personalizzare i loro prezzi sulla base del tracciamento e della profilazione online. L'articolo 6, paragrafo 1, punto e bis), della direttiva sui diritti dei consumatori, che è stato aggiunto dalla direttiva (UE) 2019/2161, prevede che i professionisti informino i consumatori del fatto che il prezzo è stato personalizzato sulla base di un processo decisionale automatizzato nel caso di contratti a distanza e di contratti negoziati fuori dei locali commerciali. Inoltre le offerte e i prezzi personalizzati possono essere associati a pratiche commerciali sleali differenti, per esempio se nel contesto della personalizzazione basata sui dati i professionisti esercitano un «indebito condizionamento» nei confronti del consumatore ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva.

I professionisti che personalizzano i prezzi utilizzando i dati personali dei consumatori devono anche ottemperare al GDPR e alla direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche. Tali disposizioni comprendono l'obbligo di usare solo dispositivi automatici di chiamata, il telefax o la posta elettronica per la commercializzazione diretta se gli abbonati o gli utenti hanno espresso preliminarmente il loro consenso (articolo 13 della direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) e l'obbligo per il titolare del trattamento di interrompere l'invio di materiale pubblicitario se la persona che lo riceve si oppone al trattamento dei propri dati personali a tal fine, come stabilito dall'articolo 21 GDPR. Inoltre gli articoli da 12 a 14 GDPR contengono obblighi di informazione riguardanti il trattamento dei dati personali, compreso il diritto a ricevere informazioni significative sull'esistenza di un processo decisionale automatizzato, e l'articolo 22 GDPR conferisce all'interessato il diritto di non essere sottoposto a una decisione che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida significativamente sulla sua persona e che sia basata unicamente sul trattamento automatizzato dei dati, compresa la profilazione.

4.2.9.   Giochi

I videogiochi, i giochi per cellulare e i giochi online sono caratterizzati da una varietà di pratiche commerciali che possono destare preoccupazioni in materia di lealtà ai sensi della direttiva, in particolare per consumatori vulnerabili come i bambini e gli adolescenti, che meritano una protezione speciale ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva (cfr. sezione 2.6 sui consumatori vulnerabili).

Al loro interno i giochi potrebbero contenere promozioni e messaggi pubblicitari, che aumentano il rischio di marketing occulto e potrebbero costituire una pratica ingannevole ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva, a meno che l'elemento commerciale sia reso sufficientemente chiaro e distinguibile dal gioco. Ciò riguarda sia gli acquisti all'interno del gioco che i prodotti disponibili al di fuori del gioco. La divulgazione deve tenere conto del mezzo in cui avviene la commercializzazione, compresi il contesto, il posizionamento, i tempi, la durata, la lingua e i destinatari.

Inoltre ai sensi dell'allegato I, punto 28), è vietato includere esortazioni dirette ai bambini affinché acquistino prodotti. Questo divieto comprende l'esercizio di pressioni su un bambino affinché acquisti direttamente un articolo o convinca un adulto ad acquistargli determinati articoli. Gli studi hanno dimostrato che i bambini sono meno inclini a notare e capire l'intento commerciale della pubblicità nei giochi, rispetto agli annunci più diretti trasmessi in televisione (376).

Quando offrono acquisti interni al gioco, i professionisti devono garantire il rispetto degli obblighi di informazione di cui all'articolo 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e alla direttiva sui diritti dei consumatori. Le caratteristiche principali del prodotto devono essere descritte con chiarezza e i prezzi degli articoli virtuali devono essere presentati in modo chiaro e ben visibile (anche) in valuta reale. Se il prezzo non può essere ragionevolmente calcolato in anticipo, il professionista deve indicare il modo in cui esso deve essere calcolato. I prezzi degli articoli virtuali devono essere presentati in modo chiaro e ben visibile in valuta reale quando avviene l'operazione commerciale.

Quando offrono giochi «ad accesso anticipato», ossia giochi che sono ancora in fase di sviluppo, i professionisti dovrebbero essere chiari su ciò che il consumatore può attendersi, per esempio riguardo al contenuto del gioco ad accesso anticipato e alle sue prospettive di sviluppo.

I professionisti dovrebbero utilizzare i controlli parentali a livello di piattaforma offerti dalla piattaforma su cui sarà disponibile il gioco (per es. strumenti di controllo parentale che consentono ai genitori di disattivare la funzione di acquisto).

Ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera d), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, e dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera g), della direttiva sui consumatori, i consumatori devono essere chiaramente informati in merito alle modalità di pagamento prima di ciascun acquisto. Ai sensi della direttiva sui diritti dei consumatori, qualsiasi acquisto comporta il consenso espresso del consumatore e il professionista deve fornire al consumatore le informazioni necessarie. Inoltre l'articolo 64 della direttiva (UE) 2015/2366 sui servizi di pagamento prescrive il consenso del pagatore a eseguire l'operazione di pagamento e indica che, in mancanza di tale consenso, un'operazione di pagamento è considerata non autorizzata. Le impostazioni predefinite per i pagamenti non dovrebbero poi permettere di effettuare acquisti senza il consenso esplicito del consumatore (per es. tramite una password). Quando il sistema prevede un intervallo di tempo per la validità del consenso (per es. un intervallo di 15 minuti), i professionisti dovrebbero richiedere il consenso esplicito del consumatore in relazione alla durata applicabile.

Talune pratiche commerciali nei giochi, compresa la pubblicità integrata, potrebbero costituire una pratica aggressiva ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva. Ciò può verificarsi se le pratiche prevedono lo sfruttamento di errori comportamentali o l'utilizzo di elementi manipolatori riguardo per esempio alla tempistica delle offerte all'interno del gioco (per es. offrendo microtransazioni nei momenti critici del gioco), l'insistenza pervasiva («nagging») o l'utilizzo di effetti visivi o acustici per esercitare un'indebita pressione sul giocatore. Inoltre le pratiche commerciali potrebbero essere personalizzate e tenere conto di informazioni specifiche riguardanti le vulnerabilità dei giocatori. La combinazione di più pratiche in un gioco (per es. attrazione sui bambini o su altri gruppi vulnerabili, utilizzo di microtransazioni, pubblicità integrata e non trasparente) accentua l'impatto sul consumatore. Oltre alle preoccupazioni connesse ai bambini e agli adolescenti, la maggiore suscettibilità alle comunicazioni commerciali e alle pratiche manipolatorie potrebbe interessare anche i giocatori adulti, specialmente durante giochi lunghi e immersivi.

Un motivo di preoccupazione correlato riguarda il contenuto di giochi con elementi di gioco d'azzardo, ad esempio progettazioni di interfacce che creano dipendenza e che riguardano slot machine, determinate scatole premio («loot boxes»)/scatole misteriose («mystery boxes») o scommesse. Secondo alcuni Stati membri tali elementi sono disciplinati dalla legislazione sul gioco d'azzardo, che può comportare obblighi supplementari che vanno oltre la direttiva (377), quali autorizzazioni di licenza oppure il divieto totale dell'uso di elementi di gioco d'azzardo nei giochi.

Per esempio:

Un gioco online utilizza algoritmi per stabilire, sulla base delle abitudini di gioco dell'utente, il suo «punteggio di rischio» al fine di personalizzare la tempistica delle offerte interne al gioco delle scatole premio, le possibilità di ottenere un oggetto molto prezioso in una di queste scatole, la forza degli avversari nel gioco, tutto allo scopo di tenerlo incollato al gioco e di aumentare la spesa al suo interno. Gli algoritmi sono utilizzati per raggiungere in particolare i giocatori inclini alla dipendenza. Ciò piò costituire una pratica aggressiva.

Il consumatore dovrebbe essere chiaramente informato della presenza di contenuto casuale a pagamento (per es. scatole premio, pacchetti di carte, ruote della fortuna), compresa una spiegazione delle probabilità di ricevere un oggetto casuale. Per esempio, le scatole premio/misteriose sono contenuti interni al gioco che in genere contengono oggetti casuali che sono pertinenti nel gioco (per es. armi, accessori, valuta di gioco, opzioni di progressione) (378). La vendita di scatole premio all'interno dei giochi deve rispettare gli obblighi di informazione di cui alla direttiva sui diritti dei consumatori e alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali per quanto riguarda il prezzo e le caratteristiche principali del prodotto.

Per esempio:

Un produttore di giochi ha assunto impegni nei confronti di un'autorità nazionale riguardo alle informazioni presentate in merito agli acquisti interni ai giochi, comprese le scatole premio. L'autorità ha osservato che è necessaria la massima chiarezza e trasparenza per i consumatori e i genitori circa la possibilità di effettuare tali acquisti, specialmente in relazione alle scatole premio, in cui la casualità è una delle caratteristiche principali (379).

Nel settore delle applicazioni di gioco, nel 2013-2014 la Commissione e le autorità nazionali si sono occupate delle pratiche sleali riguardanti i giochi che offrono la possibilità di effettuare acquisti in-app e che possono esercitare attrazione sui bambini o ai quali i bambini possono giocare (380). La loro posizione comune ha evidenziato che, ai sensi dell'allegato I, punto 20), e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera c), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera e), della direttiva sui diritti dei consumatori, solo i giochi in cui gli acquisti all'interno di applicazioni sono facoltativi possono essere presentati come «gratuiti» senza fuorviare i consumatori. Invece un gioco non può essere commercializzato come «gratuito» se il consumatore non può giocare nel modo che ci si può ragionevolmente attendere senza effettuare acquisti all'interno di applicazioni. Ciò deve essere valutato caso per caso per ciascuna applicazione all'interno della quale siano previsti acquisti. È stato altresì sottolineato che un gioco che risulti conforme all'allegato I, punto 20), per quanto riguarda l'uso del termine «gratuito» può comunque essere valutato alla luce di altre disposizioni della direttiva, quali gli articoli da 6 a 9, per assicurare che altri elementi, come il modo in cui sono presentate le informazioni relative al prezzo, non siano ingannevoli o aggressivi. Inoltre l'allegato I, punto 28), e l'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva prescrivono che i giochi destinati ai bambini, o che i professionisti possono ragionevolmente prevedere siano idonei a esercitare attrazione sui bambini, non devono contenere esortazioni dirette ai bambini ad acquistare elementi aggiuntivi all'interno dei giochi.

4.2.10.   Uso delle tecniche di geolocalizzazione

Quando effettuano acquisti in/da un altro Stato membro, talvolta i consumatori subiscono veri e propri rifiuti di vendita da parte dei professionisti, o discriminazioni dei prezzi basate sul luogo di residenza o sulla cittadinanza. Tali pratiche possono verificarsi online e quando si effettuano acquisti OTC. I professionisti possono fare ricorso a tecniche di geolocalizzazione, per esempio in base all'indirizzo IP del consumatore, all'indirizzo di residenza, al paese di emissione della carta di credito ecc., per rifiutare la vendita di un prodotto al consumatore, per reindirizzarlo automaticamente verso un negozio online locale o a fini di discriminazione dei prezzi.

I professionisti possono avere motivi diversi per negare l'accesso a un prodotto o per applicare prezzi diversi in base alle informazioni geografiche, ad esempio un costo di consegna più elevato oppure obblighi giuridici supplementari per il professionista. Per quanto riguarda il rifiuto della vendita o il reindirizzamento, conformemente all'articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sui diritti dei consumatori, i professionisti devono informare i consumatori in merito alle restrizioni relative alla consegna al più tardi all'inizio del processo di ordinazione. Secondo l'articolo 7, paragrafo 5, della direttiva, questo obbligo di informazione è considerato «rilevante» ai sensi della stessa. D'altro canto, se un professionista rispetta l'obbligo di informazione di cui all'articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sui diritti dei consumatori, tale rifiuto di vendita o reindirizzamento di per sé non costituisce una pratica commerciale sleale ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Tuttavia, a seconda delle circostanze del singolo caso, tali pratiche potrebbero sfociare in pratiche commerciali sleali.

Tali pratiche possono anche costituire una violazione di altre disposizioni del diritto dell'Unione. Dal 3 dicembre 2018 il regolamento sui blocchi geografici (381) vieta ai professionisti online di operare discriminazioni tra i clienti dell'UE in base alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento. La Commissione ha pubblicato orientamenti dettagliati sul regolamento nel suo documento «Domande e risposte» (382). Per quel che riguarda i servizi online relativi a opere non audiovisive tutelate dal diritto d'autore (come e-book, videogiochi, musica e software), la disposizione in materia di non discriminazione, ossia l'obbligo di permettere a clienti stranieri di beneficiare delle stesse offerte dei clienti locali, non è applicata nel quadro del regolamento. Tuttavia a tali servizi si applicano altre norme presenti nel regolamento sui blocchi geografici, come quelle che vietano i blocchi discriminatori all'accesso alle interfacce online e il reindirizzamento senza il previo consenso del cliente (articolo 3) nonché la discriminazione per motivi legati al pagamento (articolo 5).

Inoltre l'articolo 20 della direttiva sui servizi impone agli Stati membri di provvedere affinché le imprese non riservino ai consumatori trattamenti differenziati in base al luogo di residenza o alla nazionalità, a meno che ciò sia giustificato da criteri oggettivi. Entrambe le normative riguardano sia il rifiuto vero e proprio di vendita, compreso il reindirizzamento automatico, sia l'applicazione di prezzi diversi nel settore online e tradizionale.

I blocchi geografici e i filtri geografici possono violare anche il diritto della concorrenza (383). Per esempio, il 20 gennaio 2021 la Commissione ha inflitto un'ammenda a cinque editori di videogiochi e a una piattaforma di gioco per le loro pratiche di blocco geografico (384).

4.2.11.   Dipendenza dei consumatori

Talvolta i consumatori possono trovarsi limitati nella loro scelta, subendo la perdita di qualità dei prodotti che hanno acquistato, risentendo di modifiche sfavorevoli delle clausole contrattuali e/o pagando prezzi gonfiati a causa della dipendenza da un fornitore. Questa situazione è favorita da prodotti o attività di marketing concepite per creare dipendenza e da mercati privi di concorrenza o di trasparenza. Ciò vale a maggior ragione per i mercati digitali con norme proprietarie che promuovono una mancanza di interoperabilità.

Per esempio, quando i consumatori scelgono un telefono cellulare, scelgono anche l'app store che è fornito con il sistema operativo. Avviano anche un processo dipendente dal percorso che rafforza la dipendenza quando acquistano altri prodotti dell'internet delle cose che sono interoperabili solo con il loro ecosistema mobile. Una volta compiuta questa scelta, per i consumatori è difficile spostarsi tra gli ecosistemi senza subire una perdita finanziaria (app e altro hardware dell'internet delle cose), una perdita di tempo (recupero delle informazioni personali, delle impostazioni, ecc.) e una perdita di dati. Altri esempi comprendono media digitali acquistati, che possono diventare inaccessibili al termine del contratto con il professionista, oppure le riparazioni di automobili, che il consumatore deve effettuare presso officine certificate dal produttore di auto, poiché solo queste hanno accesso all'intero insieme di dati diagnostici. I consumatori possono anche essere vincolati a una determinata versione (nazionale) di un certo ecosistema, per esempio sulla base dei dati relativi all'ubicazione forniti nella registrazione del profilo dell'utente, cosicché l'utilizzo dello stesso profilo in un'altra versione dell'interfaccia o dell'ecosistema può comportare la perdita di tutti i dati e di tutti i contenuti acquisiti nella versione originale.

In generale la direttiva riduce il rischio di dipendenza per i consumatori tramite l'articolo 9, lettera d), che vieta ai professionisti di creare ostacoli al passaggio di contratto o alla recessione dallo stesso. Per valutare se una pratica sia aggressiva, esso stabilisce che deve essere preso in considerazione «qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista». Questa disposizione ha un vasto ambito di applicazione che può comprendere vari ostacoli non contrattuali.

La Corte ha fornito ulteriori orientamenti su uno scenario di dipendenza specifico. Nella causa Sony la Corte ha esaminato la pratica di vendere un computer provvisto di programmi informatici preinstallati (compreso il sistema operativo) (385). La Corte ha affermato che la vendita di un computer senza che vi sia la possibilità, per il consumatore, di ottenere lo stesso modello di computer sprovvisto di programmi informatici preinstallati non costituisce, in quanto tale, una pratica commerciale sleale ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva, salvo il caso in cui sussistano ulteriori circostanze che rendono la pratica contraria alle norme di diligenza professionale e alterino o siano idonee ad alterare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio in relazione al prodotto. A tale proposito la Corte ha già affermato che mediante, in particolare, un'informazione corretta del consumatore, un'offerta congiunta di diversi prodotti o servizi soddisfa le esigenze di lealtà poste dalla direttiva 2005/29/CE (386). Inoltre la Corte ha confermato nella causa Sony che la mancata indicazione del prezzo di ciascuno dei programmi informatici preinstallati nel computer non costituisce una pratica commerciale ingannevole ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 4, lettera a), e dell'articolo 7 della direttiva (387).

Oltre alle norme dell'UE relative alla protezione dei consumatori, esistono norme dell'UE in materia di concorrenza volte a evitare gli squilibri di mercato. I possibili rischi di dipendenza per i consumatori derivanti dalla mancanza di interoperabilità dei dispositivi dell'internet delle cose facevano parte della motivazione dell'indagine di settore sull'internet delle cose per i consumatori avviata il 16 luglio 2020 (388). Inoltre la proposta di legge sui mercati digitali della Commissione intende affrontare i rischi di dipendenza per i consumatori tramite nuovi obblighi per le piattaforme dei gatekeeper (389).

All'atto del passaggio a un altro fornitore, l'articolo 20 GDPR e l'articolo 16, paragrafo 4, della direttiva sul contenuto digitale (390) conferiscono rispettivamente alle persone il diritto alla portabilità dei loro dati personali e di contenuti diversi dai dati personali, che sono stati forniti o creati dal consumatore durante l'utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale fornito dall'operatore economico, limitando così gli effetti delle pratiche di dipendenza (391). Inoltre l'articolo 5, paragrafo 1, lettere g) e h), e l'articolo 6, paragrafo 1, lettere r) e s), della direttiva sui diritti dei consumatori aiutano i consumatori a individuare in anticipo le situazioni di dipendenza imponendo al professionista di informare il consumatore prima della conclusione del contratto in merito alla funzionalità, compatibilità e interoperabilità dei beni con gli elementi digitali, il contenuto digitale e i servizi digitali. Infine l'articolo 3 del regolamento sui blocchi geografici (392) garantisce che sia fornito accesso alle interfacce online (app store compresi) indipendentemente dalla nazionalità, dal luogo di residenza o dal luogo di stabilimento del cliente.

4.3.   Settore dei viaggi e dei trasporti

4.3.1.   Aspetti trasversali

Nelle fasi di pre-prenotazione, prenotazione e post-prenotazione dei servizi di viaggio e di trasporto possono sorgere pratiche commerciali sleali, per esempio pubblicità ingannevole e altre pratiche manipolatorie, la mancanza di informazioni rilevanti o la fornitura di informazioni ingannevoli, pratiche di prezzatura a goccia, clausole contrattuali abusive, problemi legati alle cancellazioni, assistenza insufficiente in caso di ritardi o cancellazioni nonché sistemi inefficienti di trattamento dei reclami.

La direttiva si applica non solo al professionista che di fatto fornisce il servizio di viaggio e di trasporto, ma anche a « chiunque agisca a suo nome o per suo conto » (articolo 2, lettera b)). Le disposizioni della direttiva, in particolare gli obblighi di informazione di cui agli articoli 6 e 7, si applicano inoltre non solo alle compagnie aeree, agli alberghi e alle società di autonoleggio, ma anche agli intermediari (per es. i siti di prenotazione di viaggi, i siti di strumenti di confronto o di metamotori di ricerca) che operano tra tali professionisti e i consumatori.

Per esempio:

Sia la compagnia aerea che l'agenzia di viaggi online che offre i biglietti aerei ai consumatori (393) in nome o per conto della compagnia aerea devono informare i consumatori riguardo a se il bagaglio sia incluso nel prezzo del volo o se sia soggetto a una spesa aggiuntiva. Entrambe devono informare i passeggeri anche in merito a se sia possibile modificare la prenotazione o richiedere il rimborso del volo.

L'articolo 7, paragrafo 4, elenca alcune informazioni da considerare rilevanti nel caso degli inviti all'acquisto, per esempio di un biglietto aereo o ferroviario, una camera d'albergo o un'auto a noleggio, qualora non risultino già evidenti dal contesto. In alcuni casi la mancata fornitura di tali informazioni può essere considerata un'omissione ingannevole. Tra i tipi di informazioni previsti figurano, in particolare:

le caratteristiche principali del prodotto;

l'identità del professionista;

il prezzo comprensivo delle imposte;

le modalità di pagamento;

le modalità di trattamento dei reclami.

Gli inviti all'acquisto sono esaminati anche nella sezione 2.9.5.

L'articolo 7, paragrafo 4, lettera b), impone ai professionisti di indicare il proprio indirizzo geografico e la propria identità. A norma dell'articolo 7, paragrafo 5, in combinato disposto con l'articolo 5, paragrafo 1, lettera c), della direttiva sul commercio elettronico, anche l'indirizzo di posta elettronica del professionista costituisce un'informazione rilevante ai sensi della direttiva. Tali informazioni dovrebbero essere facilmente reperibili (cioè non nei termini e condizioni generali o su pagine/collegamenti separati) e accessibili in modo diretto e permanente.

Per quanto riguarda il trattamento dei reclami, ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera d), della direttiva, il consumatore deve sapere chiaramente a chi rivolgersi per chiedere chiarimenti o presentare reclami. Il consumatore deve ricevere istruzioni precise in merito a come presentare un reclamo in caso di problemi, per esempio tramite un indirizzo di posta elettronica e un numero di telefono.

Per le questioni attinenti alla lingua dei termini e condizioni, si rimanda alla sezione 2.9.3 relativa alla presentazione di talune informazioni in un'altra lingua.

I professionisti (compreso qualsiasi intermediario che agevoli le operazioni commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori) dovrebbero garantire la trasparenza del prezzo dei biglietti sin dall'inizio, a partire dalla fase pubblicitaria e durante l'intero processo di prenotazione.

Per le questioni attinenti alla discriminazione relativa ai prezzi dei biglietti, si rimanda alla sezione 4.2.8 sulle pratiche di tariffazione.

In particolare, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera c), il prezzo totale da pagare deve essere sempre indicato e includere tutte le imposte applicabili e le spese inevitabili e prevedibili al momento della pubblicazione/prenotazione, compresi i supplementi. Per esempio, per il trasporto aereo, come previsto dalla normativa settoriale (394), il prezzo finale da pagare è sempre indicato e include tutte le tariffe aeree passeggeri o merci applicabili, nonché tutte le tasse, i diritti ed i supplementi inevitabili e prevedibili al momento della pubblicazione.

I prezzi dei voli o delle camere d'albergo possono variare molto rapidamente. Per esempio, quando un consumatore cerca un biglietto aereo sulla piattaforma di un'agenzia di viaggi online, il prezzo può cambiare tra il momento in cui inizia la ricerca e il momento in cui decide di effettuare l'acquisto. Se sono realmente dovute al carattere dinamico del mercato e quindi esulano dal controllo dell'agenzia di viaggi online, tali variazioni di prezzo avranno un impatto sulla possibilità dell'agenzia di garantire che il prezzo pubblicizzato sia sempre corretto. L'obbligo di diligenza professionale di cui all'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva indica che i professionisti che sono a conoscenza della possibilità di improvvise variazioni dei prezzi devono comunicarlo ai consumatori quando pubblicizzano i prezzi.

Per esempio:

Un professionista offriva pacchetti turistici e includeva il costo di una polizza assicurativa nel prezzo totale di un prodotto. Tuttavia la polizza assicurativa non era obbligatoria, ma facoltativa. Un'autorità nazionale ha ritenuto ingannevole tale pratica (395).

La pratica di addebitare ai turisti supplementi per i carburanti senza indicare il modo in cui erano calcolati e senza fornire ai consumatori una documentazione adeguata è stata considerata un'omissione ingannevole, un'azione ingannevole e una pratica aggressiva da parte di un'autorità nazionale (396).

Un professionista che offriva appartamenti per vacanze non indicava nel prezzo i costi obbligatori, per esempio le spese di pulizia, le imposte municipali e le commissioni di servizio aggiuntive per la prenotazione. Un organo giurisdizionale nazionale ha ritenuto che tale pratica costituisse una violazione delle norme di diligenza professionale e un'omissione ingannevole (397).

Nel caso in cui un professionista offra l'acquisto di servizi aggiuntivi (facoltativi), le informazioni sulle spese facoltative devono essere presentate in modo ben visibile e distinte dal servizio principale; i professionisti non devono ingannare i consumatori riguardo all'acquisto di servizi aggiuntivi. Le spese facoltative possono essere, per esempio: il supplemento per la camera singola, l'assicurazione non obbligatoria, la scelta del posto o il bagaglio in stiva (rispetto al bagaglio a mano) (398). I consumatori devono essere informati della presenza di costi non obbligatori negli inviti all'acquisto e in ogni caso al più tardi all'inizio del processo di prenotazione. Occorre inoltre precisare che tali costi sono facoltativi e i consumatori non devono essere ingannati riguardo alla decisione di acquistare servizi aggiuntivi (399).

Tali obblighi derivano, in particolare, dall'articolo 6, paragrafo 1, lettere b) e d), e dall'articolo 7, paragrafo 4, lettere a) e c), della direttiva. A seconda delle circostanze, le pratiche che contravvengono a tali principi possono inoltre essere considerate contrarie alle norme di diligenza professionale di cui all'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva.

Oltre alle disposizioni della direttiva, la direttiva sui diritti dei consumatori vieta di utilizzare opzioni prestabilite che il consumatore deve rifiutare per evitare pagamenti supplementari, come nel caso delle caselle preselezionate sui siti internet, invece di chiedere il consenso espresso del consumatore per tali pagamenti. L'articolo 22 di detta direttiva prevede che «se il professionista non ottiene il consenso espresso del consumatore ma l'ha dedotto utilizzando opzioni prestabilite che il consumatore deve rifiutare per evitare il pagamento supplementare, il consumatore ha diritto al rimborso di tale pagamento».

A parte le caselle preselezionate, possono esistere altri casi in cui i professionisti che commercializzano i loro servizi online offrano servizi aggiuntivi in modo oscuro o ambiguo, per esempio occultando la possibilità di non prenotare altri servizi (cfr. anche sezione 4.2.7 sui modelli oscuri). Tali pratiche commerciali possono essere considerate ingannevoli, aggressive o incompatibili con la diligenza professionale.

Poiché sono state osservate, in particolare, nel settore dei trasporti aerei e dato che esistono altre disposizioni applicabili in tale settore, gli esempi sono forniti nella sezione 4.3.4.

4.3.2.   Pacchetti turistici

La direttiva (UE) 2015/2302 relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati (direttiva sui pacchetti turistici) contiene disposizioni sulla combinazione di servizi turistici diversi, cioè il trasporto di passeggeri, l'alloggio, il noleggio di veicoli a motore (400) e altri servizi turistici offerti ai viaggiatori.

La direttiva sui pacchetti turistici disciplina, fra l'altro, le informazioni precontrattuali che i professionisti devono fornire ai viaggiatori, tra cui informazioni specifiche sui servizi inclusi nel pacchetto e il prezzo totale del pacchetto comprensivo di tasse e, ove applicabili, tutti i diritti, imposte e altri costi aggiuntivi. A norma della direttiva, i professionisti devono anche comunicare ai viaggiatori in modo evidente se i servizi offerti costituiscono un pacchetto o soltanto un servizio turistico collegato, con un livello di protezione inferiore, e devono fornire informazioni sul livello di protezione applicabile utilizzando moduli informativi standard.

I professionisti sono inoltre tenuti a fornire ai viaggiatori informazioni sulla sottoscrizione facoltativa o obbligatoria di un'assicurazione che copra le spese di annullamento da parte del viaggiatore o le spese di assistenza in caso di infortunio, malattia o decesso.

La direttiva sui pacchetti turistici non osta all'applicazione della direttiva ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati in maniera complementare alle disposizioni specifiche.

4.3.3.   Contratti di multiproprietà

La direttiva 2008/122/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (401) (direttiva sulla multiproprietà) conferisce ai consumatori taluni diritti di protezione riguardanti i contratti di multiproprietà, i contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e i contratti di rivendita e di scambio. In particolare, stabilisce:

disposizioni rigorose relative agli obblighi di informazione precontrattuale e contrattuale imposti ai professionisti;

il diritto del consumatore di recedere dal contratto entro un periodo di quattordici giorni di calendario;

il divieto di versare acconti durante il periodo di recesso;

il divieto di pubblicizzare o vendere tali prodotti come investimenti.

La direttiva prevede una tutela dei consumatori complementare a quella offerta dalla direttiva sulla multiproprietà.

La ricerca condotta a sostegno della relazione della Commissione sulla valutazione della direttiva sulla multiproprietà (402) evidenzia alcuni problemi ricorrenti in questo settore, in particolare in talune località turistiche molto frequentate in alcuni Stati membri dell'Unione:

informazioni ingannevoli fornite prima della conclusione del contratto, che danno agli acquirenti l'impressione errata che la scelta delle località disponibili sia praticamente illimitata o che il contratto possa essere ceduto o scambiato con facilità. Spesso i consumatori scoprono solo dopo un certo periodo dalla conclusione del contratto che tali informazioni sono errate;

metodi di vendita aggressivi consistenti nell'esercizio di notevoli pressioni sui potenziali acquirenti, per esempio «chiuderli» in una stanza nella quale le presentazioni si susseguono all'infinito e dalla quale talvolta non è permesso uscire a meno che non si stipuli il contratto.

La direttiva disciplina tali pratiche tramite le disposizioni relative alle azioni ingannevoli (in particolare l'articolo 6, paragrafo 1, lettera b)) e alle pratiche commerciali aggressive (articoli 8 e 9).

La relazione della Commissione sulla direttiva sulla multiproprietà evidenzia inoltre problemi ricorrenti incontrati dai consumatori che intendono risolvere il contratto di multiproprietà. La relazione conclude che questo aspetto si può affrontare in modo efficace nella legislazione a livello nazionale e con una migliore applicazione degli strumenti dell'UE a tutela dei consumatori.

4.3.4.   Aspetti di particolare rilevanza per il trasporto aereo

Quando pubblicizzano le opzioni di volo, i professionisti dovrebbero garantire che le dichiarazioni riguardanti la disponibilità di posti e di voli (per es. «ultimo posto disponibile») siano fornite in maniera chiara e veritiera. Tali dichiarazioni comprendono le precisazioni pertinenti, se necessario (per es. «ultimo posto disponibile sul sito a questa cifra»). Quando si pubblicizzano prezzi specifici per le opzioni di volo (per es. «prezzi a partire da 19,99 EUR»), il prezzo offerto deve essere disponibile in quantità che siano ragionevoli, vista l'entità della pubblicità fatta. Inoltre i professionisti dovrebbero presentare le offerte come limitate nel tempo solo se esse non saranno poi più disponibili allo stesso prezzo.

Oltre a destare preoccupazioni riguardo alla diligenza professionale ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva, e alle pratiche ingannevoli ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva, le suddette pratiche potrebbero rientrare nei divieti di cui all'allegato I, punto 5 (bait advertising, ovvero pubblicità propagandistica), punto 7 (dichiarazioni false o ingannevoli sulla scarsità) e punto 18 (informazioni inesatte sulle condizioni di mercato o sulla possibilità di ottenere il prodotto).

Le «caratteristiche principali» di un volo ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera a), della direttiva dovrebbero comprendere gli eventuali scali intermedi, l'indicazione precisa del luogo di destinazione del volo e il tempo di volo stimato.

Ciò riguarda, in particolare, le compagnie aeree che talvolta organizzano voli da aeroporti ubicati a una certa distanza da una grande città, ma usano il nome di tale città nelle attività di marketing. In alcuni casi, tali pratiche commerciali possono ingannare i consumatori riguardo alla reale ubicazione dell'aeroporto e possono indurli ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso. Infatti alcuni consumatori potrebbero preferire pagare un prezzo più elevato e arrivare in un aeroporto più vicino alla città di destinazione.

Per esempio:

L'indicazione di «Barcellona» come destinazione quando l'aeroporto in realtà è situato a Reus, che dista 100 km da Barcellona, verosimilmente sarà considerata ingannevole.

Oltre agli obblighi di cui all'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), e all'articolo 7, paragrafo 4, lettera c), della direttiva, che impongono di presentare il prezzo comprensivo di tutte le imposte e le spese inevitabili e prevedibili, l'articolo 23, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1008/2008 sui servizi aerei prescrive che «il prezzo finale da pagare è sempre indicato e include tutte le tariffe aeree passeggeri o merci applicabili, nonché tutte le tasse, i diritti ed i supplementi inevitabili e prevedibili al momento della pubblicazione».

Il regolamento prescrive inoltre:

l'indicazione del prezzo finale ripartito tra i vari elementi (per es. tariffa aerea, tasse, diritti aeroportuali e altri diritti e supplementi);

che i supplementi di prezzo opzionali siano comunicati in modo chiaro, trasparente e non ambiguo all'inizio del processo di prenotazione;

che l'accettazione da parte del cliente dei supplementi di prezzo opzionali deve avvenire sulla base dell'esplicito consenso dell'interessato.

La Corte ha chiarito che gli elementi di prezzo inevitabili e prevedibili ai sensi dell'articolo 23, paragrafo 1, comprendono gli oneri connessi al check-in dei passeggeri il cui pagamento non può essere evitato in mancanza di modalità alternative di check-in gratuito, l'IVA applicata alle tariffe dei voli nazionali nonché la tariffa amministrativa per gli acquisti effettuati con una carta di credito diversa da quella prescelta dal vettore aereo. Per contro, i supplementi di prezzo opzionali comprendono gli oneri connessi al check-in dei passeggeri il cui pagamento può essere evitato avvalendosi di un'opzione di check-in gratuito nonché l'IVA applicata ai supplementi facoltativi per i voli nazionali (403).

Quando i prestatori di servizi turistici che commercializzano i loro servizi online violano la direttiva sui diritti dei consumatori o il regolamento sui servizi aerei, gli aspetti delle pratiche illecite che non sono specificamente disciplinati da articoli in tali strumenti giuridici settoriali potrebbero essere considerati sleali ai sensi della direttiva nella misura in cui possono indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Tali pratiche devono essere valutate caso per caso.

Per esempio:

Un professionista utilizza caselle preselezionate oppure offre servizi aggiuntivi in modo oscuro o ambiguo occultando la possibilità di non prenotare altri servizi o rendendo difficile per il consumatore non selezionare i servizi aggiuntivi. Così facendo, il professionista potrebbe indurre i consumatori ad accettare servizi aggiuntivi che non avrebbero altrimenti scelto.

Il prezzo dei biglietti aerei nella maggior parte dei casi non comprende il costo dell'assicurazione di viaggio. La pratica in base alla quale i consumatori che non desiderano acquistare l'assicurazione di viaggio devono cliccare sull'opzione «nessuna assicurazione» quando prenotano un biglietto aereo può rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 22 della direttiva sui diritti dei consumatori e dell'articolo 23, paragrafo 1, del regolamento sui servizi aerei. Già prima dell'entrata in vigore della direttiva sui diritti dei consumatori alcune autorità nazionali avevano adottato provvedimenti contro tali pratiche ai sensi della direttiva. Analogamente, la pratica in base alla quale i consumatori che non desiderano acquistare l'assicurazione di viaggio devono selezionare, quando prenotano un biglietto aereo, l'opzione «nessuna assicurazione» nascosta tra un elenco di potenziali paesi di residenza è stata considerata sleale in quanto era incompatibile con le norme di diligenza professionale (articolo 5, paragrafo 2, della direttiva) o ingannevole (articolo 6 o 7).

Gli obblighi di informazione previsti dal regolamento sui servizi aerei sono considerati rilevanti ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 5, della direttiva. Essi si aggiungono agli obblighi imposti dalla direttiva all'articolo 7, paragrafo 4, per quanto riguarda le informazioni sul prezzo totale del biglietto aereo, compreso se i consumatori devono pagare una tassa di sviluppo presso l'aeroporto di partenza/destinazione. Occorre inoltre ricordare che, come si è visto nella sezione 1.2.1, qualora sia in vigore una legislazione di settore o altra normativa dell'UE e le sue disposizioni si sovrappongano alle disposizioni della direttiva, prevalgono le disposizioni della lex specialis.

Le informazioni sulle tasse obbligatorie da pagare dopo il processo di prenotazione, per esempio direttamente all'aeroporto (tassa di sviluppo imposta a tutti i passeggeri in partenza da determinati aeroporti, per es. in Irlanda e in Inghilterra), devono essere indicate e dovrebbero essere presentate in modo evidente dal vettore o dall'agenzia di viaggi all'inizio del processo di prenotazione.

Se le compagnie aeree o gli intermediari che vendono biglietti aerei collegano il costo del supplemento allo strumento di pagamento utilizzato, il prezzo iniziale dovrebbe comprendere il costo del metodo più comune di pagamento e, come chiarito dalla causa Ryanair (404), la tariffa amministrativa per gli acquisti effettuati con una carta di credito diversa da quella prescelta dal vettore aereo. Quando tali supplementi non possono essere calcolati in anticipo, i consumatori dovrebbero essere adeguatamente informati del modo in cui il prezzo è calcolato o del fatto che «possono essere addebitati».

Per esempio:

Se il pagamento con carta di fedeltà della compagnia aerea comporta un costo di 1,50 EUR, mentre pagare con una carta di credito costa 6,00 EUR, il prezzo indicato nell'invito all'acquisto e all'inizio del processo di prenotazione deve comprendere il costo relativo alla carta di credito. È peraltro probabile che la maggior parte dei consumatori non sarà in grado di pagare con la carta di fedeltà della compagnia aerea.

Inoltre l'articolo 19 della direttiva sui diritti dei consumatori vieta ai professionisti di imporre ai consumatori, in relazione all'uso di un particolare strumento di pagamento, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista per l'uso di detti strumenti. Ciò dovrebbe applicarsi a tutti i tipi di tariffe direttamente connesse allo strumento di pagamento, a prescindere dal modo in cui sono presentate ai consumatori.

Per esempio:

Le spese indicate come spese amministrative, di prenotazione o di gestione, che sono comunemente applicate nel settore della vendita online di biglietti, soprattutto da parte delle compagnie aeree e marittime, ma anche nella vendita online di biglietti per spettacoli, qualora possano essere evitate utilizzando uno specifico strumento di pagamento dovrebbero rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 19.

Ai sensi dell'articolo 23, paragrafo 1, del regolamento sui servizi aerei, le tariffe aeree passeggeri e merci disponibili al pubblico comprendono le condizioni ad esse applicabili in qualsiasi forma offerte o pubblicate. Nella causa Air Berlin (405) la Corte ha inoltre sottolineato che l'articolo 23, paragrafo 1, del regolamento sui servizi aerei impone ai sistemi di prenotazione online di precisare ai consumatori il prezzo finale da corrispondere ad ogni indicazione dei prezzi dei servizi aerei.

Analogamente, dovrebbero essere presentate in modo ben visibile anche le informazioni riguardanti la politica sui bagagli, compresa la franchigia per il bagaglio a mano, le dimensioni dei bagagli e tutte le imposte applicabili. Occorre indicare chiaramente tutti i costi o tutte le tasse aggiuntive in proposito (406). Modifiche di preesistenti politiche sui bagagli devono essere attentamente comunicate ai consumatori per evitare di fuorviarli, in particolare ai sensi dell'articolo 7, paragrafi 1, 4 e 5, della direttiva. Un consumatore medio potrebbe avere ragionevoli aspettative su ciò che comporta la politica sui bagagli, ad esempio l'inclusione nel prezzo del biglietto di bagagli a mano standard che posseggano taluni requisiti ragionevoli, in termini di peso e dimensioni (407).

Per esempio:

Un organo giurisdizionale nazionale ha ingiunto a una compagnia aerea di rimborsare a un passeggero il costo addebitato per il trasporto di un bagaglio a mano senza un biglietto speciale e di rimuovere la clausola dalle proprie condizioni contrattuali. La compagnia aerea consentiva di portare in cabina solo piccole borse che potessero essere posizionate sotto il sedile anteriore, mentre per le valigie più grandi, fino a 10 chili, si applicava una tariffa per i bagagli oppure occorreva una carta d'imbarco prioritaria a pagamento. L'organo giurisdizionale ha stabilito che la politica sui bagagli a mano genera un grave squilibrio nel rapporto contrattuale delle parti a danno del consumatore (408).

Ai sensi dell'articolo 23, paragrafo 1, del regolamento sui servizi aerei, i supplementi di prezzo opzionali per la scelta del posto (la cui alternativa è l'assegnazione casuale dei posti in parti diverse dell'aeromobile) devono essere comunicati in modo chiaro, trasparente e non ambiguo all'inizio di qualsiasi procedura di prenotazione.

Ai sensi della direttiva, quando i professionisti pubblicizzano un biglietto aereo specifico, dovrebbero indicare anche la politica in materia di annullamento applicata a tale biglietto (per es. se il rimborso non è previsto o se è possibile cambiare biglietto). Ciò riveste particolare importanza quando le spese amministrative addebitate al consumatore dal vettore aereo/agenzia di viaggi per annullare il biglietto corrispondono al costo effettivo del biglietto stesso. Quando le penali di annullamento addebitate dalle compagnie aeree sono persino superiori al prezzo pagato per il biglietto, le dichiarazioni del professionista secondo cui l'annullamento è possibile potrebbero essere ingannevoli.

Inoltre le procedure previste non dovrebbero rendere difficile richiedere il rimborso delle imposte e tasse non più dovute. In caso contrario, ciò può costituire una mancanza di diligenza professionale ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva, e una pratica aggressiva ai sensi degli articoli 8 e 9, in particolare l'articolo 9, lettera d), della direttiva.

In caso di cancellazione del volo da parte della compagnia aerea, quest'ultima deve fornire ai passeggeri informazioni chiare riguardo ai diritti sui passeggeri applicabili ai sensi del regolamento (CE) n. 261/2004 sui diritti dei passeggeri aerei e alle pertinenti procedure che devono essere seguite dal consumatore. La mancata fornitura di queste informazioni in modo tempestivo e accurato potrebbe costituire una mancanza di diligenza professionale ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva e potrebbe pertanto essere considerata ingannevole ai sensi della direttiva. Per esempio, le informazioni sui diritti e sulle procedure applicabili dovrebbero essere presentate in modo chiaro, dando lo stesso rilievo alle differenti opzioni legali di cui i passeggeri dispongono in caso di ritardo/cancellazione di un volo. Dovrebbero essere comunicate ai passeggeri in maniera tempestiva e semplice, per esempio sotto forma di collegamento ipertestuale nel messaggio di posta elettronica o tramite una comunicazione via SMS.

Per esempio:

Nel 2017 alcune autorità responsabili dell'esecuzione delle normative sono intervenute in risposta a cancellazioni di massa dei voli da parte di una compagnia aerea a seguito di scioperi del personale di cabina e del traffico aereo. È stato rilevato che la compagnia aerea operava in maniera ingannevole nell'informare delle cancellazioni i passeggeri senza fornire informazioni complete e adeguate sui diritti alla compensazione pecuniaria dei consumatori ai sensi del regolamento (CE) n. 261/2004. Varie autorità hanno chiesto alla compagnia aerea di informare i consumatori in merito ai pertinenti diritti derivanti dalla cancellazione e alle procedure da seguire (409).

Nel 2020 la Commissione ha fornito orientamenti aggiuntivi sui diritti dei passeggeri dell'UE nonché una raccomandazione relativa ai buoni offerti in risposta alle cancellazioni di massa dovute alla pandemia di COVID-19  (410).In caso di cancellazione da parte della compagnia aerea, il fornitore del servizio di trasporto deve rimborsare i passeggeri o proporre loro una soluzione di trasporto alternativa. Il rimborso sotto forma di buono è subordinato al consenso del passeggero. Se sono i passeggeri stessi a decidere di cancellare i loro viaggi, il rimborso del biglietto (in contanti o sotto forma di buono) non è disciplinato dal regolamento (CE) n. 261/2004 e pertanto dipende dai termini e dalle condizioni del vettore aereo (411).

Nel 2021 un'autorità per la tutela dei consumatori ha sanzionato tre compagnie aeree per un totale di 8,4 milioni di EUR a causa di violazioni della direttiva nel contesto della pandemia di COVID-19. È stato rilevato che le compagnie aeree hanno violato le norme di diligenza professionale nel continuare a cancellare voli per motivi di emergenza sanitaria in periodi in cui le limitazioni agli spostamenti erano state revocate, procedendo a rilasciare buoni anziché offrire ai passeggeri il rimborso dei biglietti. L'autorità ha inoltre constatato che le compagnie aeree hanno fornito informazioni e omissioni ingannevoli, anche attraverso l'utilizzo di procedure che hanno incoraggiato o costretto i consumatori a scegliere i buoni anziché il rimborso in denaro. È stato riscontrato che alcune delle compagnie aeree sanzionate hanno anche apposto ostacoli aggiuntivi ai titolari dei buoni, ad esempio costringendoli a chiamare un numero telefonico per riscattare i buoni (412).

Nel 2021 la rete CPC delle autorità per la tutela dei consumatori ha avviato un'indagine coordinata su numerose compagnie aeree riguardo alle loro pratiche di cancellazione dei voli e di rimborso durante la pandemia di COVID-19, individuando pratiche problematiche a livello di settore. In particolare, la rete CPC ha constatato che il rimborso era spesso presentato ai consumatori in maniera meno visibile rispetto ai buoni e che le compagnie aeree non fornivano proattivamente informazioni ai consumatori interessati sui loro diritti, comprese le informazioni richieste ai sensi del regolamento (CE) n. 261/2004 (413).

Le pratiche relative alle correzioni dei nomi sui biglietti dovrebbero essere trasparenti e proporzionate, tenendo conto delle circostanze del caso. Oltre alle preoccupazioni riguardanti la natura ingannevole delle pratiche, l'imposizione di tasse supplementari può in alcuni casi costituire una pratica aggressiva ai sensi degli articoli 8 e 9 in particolare; per esempio, il consumatore è informato di tali tasse solo all'aeroporto, quando il volo sta per partire. Se la pratica deriva da clausole contrattuali, può essere applicabile la direttiva sulle clausole contrattuali abusive (cfr. sezione 1.2.4).

Per esempio:

Un'autorità per la tutela dei consumatori ha sanzionato una compagnia aerea per l'applicazione ai consumatori di una penale (consistente, in un primo tempo, nel pagamento di un nuovo biglietto per poter usufruire del servizio già acquistato e, successivamente, di una tassa di 50 EUR per tratta) a fronte della non corretta registrazione in sede di prenotazione del nominativo del passeggero, specificamente nel caso di omissione dell'eventuale secondo/terzo nome o cognome oppure nel caso di alterazione/mancanza di alcune lettere. La compagnia aerea non forniva alcuna informazione preventiva circa le conseguenze dell'incompleta annotazione del nominativo e alcune delle difformità derivavano dal sistema stesso della compagnia aerea, per es. limitato spazio disponibile per l'inserimento di tutti i nomi/cognomi dei viaggiatori o disallineamento tra le interfacce operative con i siti internet degli intermediari (414).

4.3.5.   Aspetti di particolare rilevanza per l'autonoleggio

Le disposizioni della direttiva si applicano sia ai professionisti che offrono il servizio di autonoleggio che agli intermediari, come i siti internet di prenotazione o di confronto. Nel 2017 la Commissione e le autorità nazionali hanno ottenuto l'impegno di cinque società di autonoleggio, ai sensi del diritto dell'UE in materia di tutela dei consumatori, riguardo alle pratiche seguenti (415):

includere tutti gli oneri nel costo totale della prenotazione: il costo indicato ai consumatori sul sito internet dovrebbe corrispondere al costo finale da pagare, compresi tutti gli extra: ad esempio oneri specifici per il rifornimento di carburante, tasse aeroportuali, supplementi «per giovane conducente» o «per riconsegna in altra località», nel caso in cui il luogo di riconsegna del veicolo sia diverso da quello di ritiro;

descrivere chiaramente i principali servizi di noleggio nelle clausole contrattuali, in tutte le lingue nazionali, in particolare fornendo informazioni sulle principali caratteristiche del noleggio, ad esempio sul chilometraggio incluso, sul carburante, sulle norme di cancellazione, sul deposito della cauzione, ecc.;

rendere chiari, nell'offerta, i costi e i dettagli dei supplementi facoltativi, in particolare le clausole assicurative che riducono l'importo dovuto in caso di danni e nella fattispecie ciò che il conducente può essere ancora chiamato a pagare.

Abitualmente le società di autonoleggio forniscono veicoli con il serbatoio pieno ed esigono che i consumatori li restituiscano con il serbatoio pieno dopo il noleggio. I consumatori tuttavia denunciavano il fatto che alcuni professionisti addebitavano un costo aggiuntivo per il serbatoio pieno alla consegna del veicolo e si aspettavano che i consumatori lo restituissero con il serbatoio vuoto, senza prevedere un rimborso nel caso in cui contenesse ancora carburante al momento della restituzione del veicolo.

Ai sensi della direttiva, in base a una valutazione caso per caso, tale pratica commerciale potrebbe essere considerata sleale qualora i professionisti non rispettassero gli obblighi di informazione di cui agli articoli 6 e 7 della direttiva. Quando le società di autonoleggio consegnano un veicolo con il serbatoio pieno, il fatto che il consumatore debba pagare il carburante in anticipo in alcuni casi può essere considerato un'informazione rilevante ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettere b) e d), dell'articolo 7, paragrafo 1, e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettere a) e c). Verosimilmente il costo si qualifica come non facoltativo, quindi fa parte del prezzo totale del prodotto ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera c), della direttiva e le informazioni al riguardo devono essere fornite all'inizio del processo di prenotazione.

Una pratica commerciale in base alla quale i consumatori devono pagare molto più carburante rispetto a quello effettivamente consumato può, in alcune circostanze, essere contraria anche alle norme di diligenza professionale di cui all'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva.

Per esempio:

Quando si valuta se la pratica di addebitare ai consumatori il serbatoio pieno sia sleale, si possono prendere in considerazione la durata del periodo di noleggio e le condizioni locali. Per esempio, il noleggio del veicolo per un breve periodo (per es. due o tre giorni) o la località geografica (per es. l'auto è noleggiata su una piccola isola) potrebbero rendere poco probabile che il consumatore riesca a svuotare il serbatoio.

Ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettere b) e d), e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettere a) e c), i consumatori devono ricevere informazioni chiare riguardo alle caratteristiche principali e al prezzo del servizio di noleggio. Le caratteristiche principali e il prezzo del contratto di autonoleggio potrebbero, per esempio, comprendere informazioni sul tipo di veicolo, i costi, l'entità delle franchigie e le eventuali opzioni (per esempio pneumatici invernali e seggiolini per bambini).

Per esempio:

L'affermazione «Zero responsabilità» da parte di un professionista potrebbe essere ingannevole se, in realtà, in caso di danni si applica sempre una franchigia, anche a un costo modesto.

L'affermazione «Assicurazione completa inclusa» potrebbe essere ingannevole se, per esempio, l'assicurazione non copre i danni al tetto e al parabrezza.

Le società di autonoleggio devono anche tenere conto dei requisiti nazionali o locali specifici.

Per esempio:

La legge nazionale può prescrivere che tutti i veicoli siano dotati di pneumatici da neve durante l'inverno. Una società che offre auto a noleggio in quello Stato membro nel periodo invernale dovrebbe pertanto munire i veicoli di pneumatici da neve. Se i pneumatici da neve comportano un costo aggiuntivo, i consumatori dovrebbero essere informati in merito a tale costo non facoltativo sin dall'inizio del processo di prenotazione.

4.3.6.   Aspetti di particolare rilevanza per i siti di prenotazione di viaggi

La direttiva è applicabile non solo ai professionisti che offrono il servizio turistico, ma anche a intermediari quali i siti di prenotazione di viaggi (416), che devono rispettare le disposizioni chiave trattate nelle sezioni precedenti. I consumatori devono ricevere informazioni rilevanti riguardo all'identità dei professionisti e ai loro dati di contatto, alle politiche di cancellazione applicabili e agli aspetti centrali della sicurezza di viaggio, per es. se le strutture ricettive turistiche sono dotate di rilevatori di fumo e di monossido di carbonio o se i servizi di trasporto di passeggeri sono offerti con veicoli opportunamente ispezionati e assicurati.

Nel 2019 la Commissione e le autorità nazionali hanno ricevuto l'impegno di Airbnb, ai sensi del diritto dell'UE in materia di tutela dei consumatori, riguardo alle pratiche seguenti (417):

mostrare ai consumatori nella pagina dei risultati di ricerca il prezzo totale, comprensivo di tutti gli oneri e i supplementi obbligatori applicabili (come i servizi, le spese di pulizia e le tasse locali);

distinguere chiaramente se l'offerta di alloggio è immessa sul mercato da un privato o da un professionista;

fornire un link facilmente accessibile alla piattaforma ODR (418) sul suo sito web e tutte le informazioni necessarie per la risoluzione delle controversie;

chiarire che i consumatori possono agire in giudizio dinanzi al giudice del proprio paese di residenza e rispettare il diritto di agire giudizialmente contro la persona che gli fornisce ospitalità in caso di danni personali o di altra natura;

non modificare unilateralmente le condizioni generali senza informarne chiaramente e previamente l'utente e senza dargli la possibilità di recedere dal contratto.

Nel 2020 la Commissione e le autorità nazionali hanno ricevuto impegni da Booking e da Expedia, ai sensi del diritto dell'UE in materia di tutela dei consumatori, riguardo alle pratiche seguenti (419):

garantire una presentazione chiara delle riduzioni di prezzo e degli sconti, tra cui non presentare come sconto i prezzi calcolati in relazione a diverse date di soggiorno (per es. utilizzando un testo barrato o termini quali «% di sconto») e chiarire se i prezzi più bassi sono disponibili solo per i membri dei programmi di ricompensa;

chiarire quando i pagamenti ricevuti dai prestatori di servizi di ricettività hanno influenzato il loro posizionamento nei risultati di ricerca e indicare nei risultati di ricerca se le informazioni corrispondono ai criteri di ricerca (per es. qualora i risultati mostrino alberghi che non sono disponibili nelle date specificate, essi dovrebbero essere presentati solo in maniera adeguata);

mostrare in maniera chiara le dichiarazioni riguardanti il numero di visitatori e la disponibilità e includere le precisazioni pertinenti, come «camere limitate su questo sito» o «per le stesse date di soggiorno»;

non presentare falsamente un'offerta come limitata nel tempo se l'offerta continuerà ad essere disponibile allo stesso prezzo anche in un momento successivo;

non limitare o escludere totalmente la responsabilità in relazione all'adempimento degli obblighi contrattuali, e non imporre al consumatore l'obbligo generale e assoluto di assumersi tutti i rischi possibili.

4.4.   Servizi finanziari e beni immobili

Articolo 3, paragrafo 9

In merito ai «servizi finanziari» definiti alla direttiva 2002/65/CE e ai beni immobili, gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla presente direttiva nel settore che essa armonizza.

Considerando 9

(...) Per i servizi finanziari e i beni immobili occorrono, tenuto conto della loro complessità e dei gravi rischi inerenti, obblighi particolareggiati, inclusi gli obblighi positivi per i professionisti. Pertanto, nel settore dei servizi finanziari e dei beni immobili, la presente direttiva non pregiudica il diritto degli Stati membri di andare al di là delle sue disposizioni al fine di tutelare gli interessi economici dei consumatori.

4.4.1.   Aspetti trasversali

Per spiegare la logica alla base dell'articolo 3, paragrafo 9, della direttiva, nella relazione del 2013 sull'applicazione della direttiva (420) la Commissione ha osservato:

«Le principali ragioni sono le seguenti: il rischio finanziario maggiore (rispetto ad altri beni e servizi) insito nei servizi finanziari e nei beni immobili; la particolare mancanza di esperienza dei consumatori in questi settori (unita alla mancanza di trasparenza, specie delle operazioni finanziarie); le particolari vulnerabilità riscontrate in entrambi i settori, che rendono i consumatori soggetti a pratiche promozionali e a pressioni; l'esperienza degli organismi di controllo finanziari competenti nei riguardi di un sistema nazionale che si è ampliato; e infine, il funzionamento e la stabilità dei mercati finanziari in sé».

Dall'articolo 3, paragrafo 9, della direttiva consegue che le disposizioni della direttiva prevedono soltanto un'armonizzazione minima per i servizi finanziari e i beni immobili. Gli Stati membri possono quindi adottare disposizioni nazionali più dettagliate o vincolanti, purché siano conformi al diritto dell'Unione.

Nella causa Citroën Belux la Corte ha stabilito che gli Stati membri possono prevedere un divieto generale delle offerte congiunte proposte al consumatore se almeno un elemento è costituito da un servizio finanziario (421). In questa causa l'offerta congiunta proposta da Citroën consisteva nell'offerta gratuita di un'assicurazione omnium per la durata di sei mesi in occasione dell'acquisto di un nuovo veicolo Citroën. La Corte ha altresì chiarito che l'articolo 3, paragrafo 9:

«non impone (…) alcuna limitazione quanto al grado di rigore delle norme nazionali al riguardo, né prevede criteri relativi al livello di complessità o di rischio che detti servizi devono presentare per essere oggetto di norme più rigorose» (422).

Lo studio della Commissione sull'applicazione della direttiva ai servizi finanziari e ai beni immobili (423) ha dimostrato che l'esenzione è stata ampiamente usata dagli Stati membri. Lo studio rivela che la maggior parte delle disposizioni supplementari consistono in obblighi di informazione precontrattuale e contrattuale specifici per il settore (424). Inoltre, un numero considerevole di divieti riguarda principalmente la vendita diretta e le pratiche promozionali (425), le pratiche che approfittano di particolari vulnerabilità (426) o la prevenzione del conflitto di interessi (427).

La relazione della Commissione sull'applicazione della direttiva ha rilevato che, nonostante l'esistenza di norme nazionali esaurienti, la direttiva è stata citata come base giuridica in almeno la metà dei casi riguardanti pratiche commerciali sleali nei settori dei servizi finanziari e dei beni immobili (428).

L'articolo 5, paragrafo 2, lettera a), della direttiva concernente le norme di diligenza professionale sembra particolarmente attinente alle attività dei professionisti nei confronti dei consumatori nei settori dei beni immobili e dei servizi finanziari (429). Se il professionista non esercita il normale grado di competenza e attenzione che ragionevolmente si possono attendere da un professionista in questi settori di attività commerciale, il consumatore potrebbe subire gravi conseguenze economiche.

Nel caso sia dei servizi finanziari (430) sia dei beni immobili, le pratiche sleali (ai sensi della direttiva) più comunemente riferite riguardano la mancanza di informazioni essenziali nella fase di pubblicità e una descrizione ingannevole dei prodotti (431). Nelle offerte online possono mancare informazioni sulle caratteristiche principali del credito al consumo oppure i costi del credito presentati inizialmente non comprendono tutte le imposte applicabili o non sono indicati in modo chiaro, trasparente e non ambiguo, conformemente a quanto previsto dall'articolo 7, paragrafi 1, 2 e 4, della direttiva (432). Tali pratiche possono anche comportare violazioni di altre normative in materia di protezione dei consumatori, in particolare la direttiva sul credito ai consumatori e la direttiva sulle clausole contrattuali abusive.

4.4.2.   Aspetti specifici relativi ai beni immobili

I beni immobili sono sempre stati disciplinati a livello nazionale, tuttavia da marzo 2016 alcuni aspetti importanti sono disciplinati a livello europeo (433). Le disposizioni generali della direttiva integrano sia la normativa settoriale dell'UE sia le disposizioni nazionali, talvolta più severe.

Alcuni aspetti riguardano specificamente l'applicazione della direttiva in questo settore. Infatti molti consumatori investono in beni immobili in alternativa a un fondo pensione. Acquistano un immobile al fine di affittarlo e percepire un canone di locazione invece degli interessi che otterrebbero se avessero investito in un prodotto finanziario. Ciò solleva alcune questioni riguardo al modo in cui la nozione di «consumatore» si applica agli acquirenti di beni immobili.

Ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della direttiva, qualsiasi persona fisica che agisca a fini che non rientrano nella sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale si qualifica come consumatore. Di conseguenza il fatto che una persona fisica acquisti un immobile a fini di investimento non dovrebbe incidere sul suo status di consumatore, purché l'acquisto sia effettuato al di fuori della sua attività professionale. Pertanto la direttiva si applica e tutela l'acquirente qualora, per esempio, sia ingannato da un promotore immobiliare riguardo all'acquisto.

Per esempio:

Un insegnante tedesco decide di acquistare due appartamenti in un complesso turistico in Spagna per poi affittarli a terzi e, in un secondo tempo, andare in pensione in Spagna. Purché effettui l'operazione al di fuori delle sue attività professionali, l'insegnante si qualifica come consumatore, ai sensi della direttiva, in relazione ai due appartamenti in Spagna.

La nozione di «professionista» può essere applicata ai locatori. Ai sensi dell'articolo 2, lettera b), della direttiva, qualsiasi persona fisica o giuridica si qualifica come professionista se agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale . Di conseguenza, il semplice fatto che una persona affitti un appartamento o una casa a terzi non dovrebbe qualificarla automaticamente come professionista nei riguardi del locatario. Tuttavia se una parte essenziale del reddito di una persona deriva dall'affitto di appartamenti a terzi, tale persona può, in talune circostanze, essere considerata un professionista ai sensi della direttiva (cfr. anche sezione 2.2 sulla nozione di professionista).

Infine, data l'importanza e l'irripetibilità della decisione che i consumatori assumono quando acquistano un bene immobile, i professionisti devono prestare particolare attenzione al rispetto degli obblighi di informazione di cui agli articoli 6 e 7 della direttiva. Nel contesto della direttiva sulle clausole contrattuali abusive, la Corte ha insistito sull'importanza di un'abitazione familiare come diritto fondamentale (434).

Per esempio:

I consumatori che hanno acquistato appartamenti in alcuni progetti immobiliari hanno scoperto, una volta completata la costruzione degli edifici, che gli appartamenti non erano allacciati né alla rete idrica né alla rete elettrica. Le informazioni al riguardo verosimilmente si qualificano come rilevanti per quanto riguarda le «caratteristiche principali del prodotto» ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera a), della direttiva. La necessità di un servizio supplementare per allacciare l'appartamento a tali utenze potrebbe essere un'informazione rilevante anche ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera e).

La metratura di un bene immobile può qualificarsi come informazione rilevante ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettere a) e b), e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera a).

Il prezzo del bene comprensivo dell'IVA e di tutte le spese inevitabili, quali la commissione dell'agente di vendita o dell'intermediario, costituisce un'informazione rilevante ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera c).

4.4.3.   Aspetti specifici relativi ai servizi finanziari

Poiché in questo settore esiste un solido insieme di normative specifiche dell'UE, il carattere di «rete di sicurezza» della direttiva è particolarmente evidente (435).

I servizi finanziari sono definiti nella direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (436) come «qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia, assicurativa, servizi pensionistici individuali, di investimento o di pagamento» (437). Vari tipi di normative settoriali dell'UE rivestono importanza per la tutela dei consumatori nel settore dei servizi finanziari. Per esempio:

direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID 2);

direttiva (UE) 2015/2366 relativa ai servizi di pagamento;

direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori;

direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali;

direttiva 2014/92/UE sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base;

direttiva (UE) 2016/97 sulla distribuzione assicurativa;

regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio (438) relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta;

regolamento (UE) n. 1286/2014 relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati.

In molti casi i prodotti finanziari sono difficili da capire e possono comportare notevoli rischi economici, pertanto i professionisti dovrebbero esercitare con particolare sollecitudine il normale grado di competenza e attenzione che ragionevolmente si possono attendere da un professionista in questo settore di attività commerciale, cfr. articolo 5, paragrafo 2, lettera a), della direttiva.

Per esempio:

Ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 6, della direttiva sul credito ai consumatori, i creditori e, se del caso, gli intermediari del credito sono tenuti a fornire ai consumatori chiarimenti adeguati, in modo che questi possano valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle loro esigenze e alla loro situazione finanziaria, eventualmente illustrando le informazioni precontrattuali che devono essere fornite conformemente all'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva stessa, le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti e gli effetti specifici che possono avere sul consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento.

I professionisti non devono inoltre porre in essere pratiche ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7 della direttiva, quali:

la mancanza nella pubblicità di informazioni circa il tasso annuo effettivo globale (TAEG) e il costo del credito;

le offerte ingannevoli di contratti di credito a tasso d'interesse basso;

la mancanza di informazioni adeguate sugli obblighi di legge legati alla conclusione dei contratti.

Per esempio:

I professionisti non dovrebbero enfatizzare i vantaggi economici, omettere informazioni sui rischi finanziari per i consumatori, né fare eccessivo affidamento sul rendimento passato del prodotto finanziario.

Le caratteristiche principali di un prodotto finanziario ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera a), possono comprendere il fatto che il prodotto è calcolato in una valuta diversa da quella del paese nel quale è concluso il contratto (439).

Ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), e dell'articolo 7, paragrafo 4, lettera c), la presentazione e il calcolo delle commissioni e dei costi devono comprendere tutte le spese a carico del consumatore, per esempio i costi del servizio in termini di commissioni degli agenti o intermediari o in relazione agli addebiti in caso di scoperto di conto corrente. La presentazione e il calcolo delle commissioni e dei costi dovrebbero inoltre indicare in modo chiaro che un tasso d'interesse e/o un costo basso è applicabile soltanto per un periodo di tempo limitato.

Gli articoli 8 e 9 stabiliscono i criteri di valutazione delle pratiche commerciali aggressive. In particolare, l'allegato I, punto 27), della direttiva riguarda una pratica commerciale aggressiva nel settore dei servizi finanziari e pertanto deve essere considerata sleale in ogni circostanza:

Allegato I, punto 27)

Imporre al consumatore che intenda presentare una richiesta di risarcimento in virtù di una polizza di assicurazione di esibire documenti che non potrebbero ragionevolmente essere considerati pertinenti per stabilire la validità della richiesta, o omettere sistematicamente di rispondere alla relativa corrispondenza, al fine di dissuadere un consumatore dall'esercizio dei suoi diritti contrattuali.

Per esempio:

In alcuni casi, gli ostacoli al trasferimento del conto bancario (440) possono essere considerati una pratica commerciale aggressiva e pertanto sleale ai sensi dell'articolo 9, lettera d) (441).

Nel settore delle assicurazioni, l'allegato I, punto 27), è stato applicato in situazioni in cui gli assicuratori rifiutavano di risarcire i danni obbligando i consumatori che volevano chiedere una compensazione a titolo della polizza di assicurazione a produrre documenti che non potevano ragionevolmente essere considerati pertinenti per accertare la validità della richiesta. In tali casi, i professionisti avevano sistematicamente omesso di rispondere alle lettere dei consumatori per dissuaderli dall'esercitare i loro diritti derivanti dal contratto.

Le autorità nazionali hanno ampiamente applicato la direttiva nel settore dei servizi finanziari.

Per esempio:

Un'autorità nazionale ha promosso un'azione legale contro alcune banche che fornivano informazioni ingannevoli sui rischi comportati da alcuni prodotti finanziari, segnatamente le obbligazioni di Lehman Brothers (442).Per stabilire se tali pratiche fossero ingannevoli, l'autorità ha tenuto conto del fatto che i consumatori ai quali le banche offrivano in vendita tali obbligazioni erano normali titolari di conti correnti che non avevano familiarità con questo tipo di prodotti finanziari.


(1)  Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149 dell'11.6.2005, pag. 22).

(2)  SWD(2016) 163 final.

(3)  Direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell'Unione relative alla protezione dei consumatori (GU L 328 del 18.12.2019, pag. 7).

(4)  Articolo 4 e considerando 5, 12 e 13 della direttiva.

(5)  Sentenza del 23 aprile 2009, VTB-VAB NV/Total Belgium NV e Galatea BVBA/Sanoma Magazines Belgium NV, cause riunite C-261/07 e C-299/07, punto 52. Cfr. anche sentenza dell'11 marzo 2010, Telekom. Polska, C-522/08.

(6)  Sentenza del 19 ottobre 2017, Europamur Alimentación, C-295/16.

(7)  Ibid., punto 42.

(8)  Le notifiche degli Stati membri saranno pubblicate sulle pagine web della Commissione riguardanti la direttiva sulle pratiche commerciali sleali al seguente indirizzo: https://ec.europa.eu/info/law/law-topic/consumers/unfair-commercial-practices-law/unfair-commercial-practices-directive_en.

(9)  Sentenza del 4 ottobre 2012, Pelckmans Turnhout NV, C-559/11.

(10)  Sentenza del 4 maggio 2017, Luc Vanderborght, C-339/15.

(11)  Sentenza del 9 novembre 2010, Mediaprint, C-540/08.

(12)  Sentenza del 17 gennaio 2013, Köck, C-206/11, punto 31.

(13)  Direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (GU L 376 del 27.12.2006, pag. 21).

(14)  Direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare (GU L 111 del 25.4.2019, pag. 59).

(15)  Sentenza del 15 dicembre 2011, Inno, C-126/11, punto 29.

(16)  Sentenza del 14 gennaio 2010, Plus Warenhandelsgesellschaft, C-304/08.

(17)  Sentenza dell'8 settembre 2015, Cdiscount, C-13/15.

(18)  Sentenza del 7 marzo 2013, Euronics, C-343/12, punto 31.

(19)  Sentenza del 30 giugno 2011, Wamo, C-288/10, punto 40.

(20)  Cfr. sentenza Wind Tre, cause riunite C-54/17 e C-55/17, punti 60 e 61.

(21)  Direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34).

(22)  Direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (GU L 321 del 17.12.2018, pag. 36).

(23)  Sentenza del 16 luglio 2015, Abcur, cause riunite C-544/13 e C-545/13.

(24)  Sentenza del 25 luglio 2018, Dyson, C-632/16.

(25)  Direttiva 2010/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, concernente l'indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi all'energia, mediante l'etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti (GU L 153 del 18.6.2010, pag. 1); e regolamento delegato (UE) n. 665/2013 della Commissione che integra la direttiva 2010/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l'etichettatura indicante il consumo d'energia degli aspirapolvere (GU L 192 del 13.7.2013, pag. 1).

(26)  Sentenza del 10 settembre 2020, Mezina, C-363/19.

(27)  Regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari (GU L 404 del 30.12.2006, pag. 9).

(28)  Il regolamento (UE) 2017/1369 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2017, che istituisce un quadro per l'etichettatura energetica e che abroga la direttiva 2010/30/UE (GU L 198 del 28.7.2017, pag. 1) prevede, tra gli altri obblighi a carico dei produttori e dei distributori, l'etichettatura dei prodotti connessi all'energia e la fornitura di informazioni uniformi relative all'efficienza energetica, al consumo di energia e di altre risorse da parte dei prodotti durante l'uso, nonché informazioni supplementari sugli stessi, in modo da consentire ai clienti di scegliere prodotti più efficienti al fine di ridurre il loro consumo di energia.

(29)  La direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all'energia (GU L 285 del 31.10.2009, pag. 10) contiene un obbligo di informazione specifico sul ruolo che i consumatori possono svolgere in materia di uso sostenibile del prodotto.

(30)  Regolamento (UE) 2020/740 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 2020, sull'etichettatura dei pneumatici in relazione al consumo di carburante e ad altri parametri, che modifica il regolamento (UE) 2017/1369 e che abroga il regolamento (CE) n. 1222/2009 (GU L 177 del 5.6.2020, pag. 1).

(31)  La direttiva 1999/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 1999, relativa alla disponibilità di informazioni sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 da fornire ai consumatori per quanto riguarda la commercializzazione di autovetture nuove (GU L 12 del 18.1.2000, pag. 16) prescrive di apporre un'etichetta relativa al risparmio di carburante vicino a ogni autovettura nuova presso i punti vendita contenente, in particolare, i dati ufficiali sul consumo di carburante.

(32)  La direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (MiFID II) (GU L 173 del 12.6.2014, pag. 349) impone tra l'altro alle imprese di investimento di fornire ai clienti, tra cui i consumatori, informazioni specifiche sui servizi e sugli strumenti finanziari offerti e sulle strategie di investimento proposte, sui costi e sugli oneri connessi.

(33)  La direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE (GU L 337 del 23.12.2015, pag. 35) contiene, tra gli altri obblighi, disposizioni più specifiche sulle informazioni precontrattuali e sulle modalità di comunicazione delle stesse.

(34)  La direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66) contiene obblighi di informazione specifici attinenti alla pubblicità relativa ai contratti di credito.

(35)  La direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali contiene disposizioni riguardanti la commercializzazione dei crediti ipotecari, ad esempio vieta le pratiche di commercializzazione abbinata. La direttiva contiene inoltre obblighi di informazione specifici per gli annunci pubblicitari e la fase precontrattuale.

(36)  Direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base (GU L 257 del 28.8.2014, pag. 214).

(37)  Regolamento (UE) n. 1286/2014, del 26 novembre 2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (GU L 352 del 9.12.2014, pag. 1).

(38)  La direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU L 311 del 28.11.2001, pag. 67) contiene obblighi supplementari concernenti la pubblicità e l'etichettatura dei medicinali.

(39)  La direttiva (UE) 2018/1972 che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche impone la fornitura di informazioni contrattuali su vari aspetti, in funzione del tipo di servizio di comunicazione elettronica. Gli obblighi sono stabiliti all'articolo 102 e all'allegato VIII e comprendono, tra l'altro, la fornitura di informazioni sui livelli minimi di qualità del servizio, sul tipo di manutenzione offerto e su eventuali accordi di indennizzo e rimborso applicabili qualora il servizio previsto non raggiunga i livelli di qualità. Deve essere fornita separatamente una sintesi contrattuale, utilizzando il modello stabilito nel regolamento di esecuzione (UE) 2019/2243 della Commissione, del 17 dicembre 2019, che stabilisce un modello sintetico di contratto che deve essere usato dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico a norma della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 336 del 30.12.2019, pag. 274).

(40)  Il regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 settembre 2008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità (GU L 293 del 31.10.2008, pag. 3) prescrive l'indicazione del prezzo finale da pagare (che include tutti gli elementi dei prezzi inevitabili e prevedibili al momento della pubblicazione) ripartito per ciascuna componente: tariffa aerea passeggeri o merci, tasse, diritti aeroportuali, altri diritti e supplementi.

(41)  Il regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91 (GU L 46 del 17.2.2004, pag.1) prevede l'obbligo specifico di informare i passeggeri che, in caso di negato imbarco, cancellazione o ritardo del volo, essi possono avere diritto a compensazione e assistenza; regolamento (CE) n. 1107/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, relativo ai diritti delle persone con disabilità e delle persone a mobilità ridotta nel trasporto aereo (GU L 204 del 26.7.2006, pag. 1); regolamento (UE) n. 1177/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 (GU L 334 del 17.12.2010, pag. 1); regolamento (UE) n. 181/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 (GU L 55 del 28.2.2011, pag. 1); e regolamento (UE) n. 2021/782 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2021, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario (GU L 172 del 17.5.2021, pag. 1).

(42)  Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31 dell'1.2.2002, pag. 1).

(43)  Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 18).

(44)  Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

(45)  Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376 del 27.12.2006, pag. 36).

(46)  Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178 del 17.7.2000, pag. 1).

(47)  Comunicazione della Commissione – Orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 2011/83/UE del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori.

(48)  Sentenza del 3 febbraio 2021, Waternet, C-922/19.

(49)  Ibid., punti da 53 a 62.

(50)  Sentenza del 5 dicembre 2019, EVN Bulgaria Toplofikatsia, cause riunite C-708/17 e C-725/17.

(51)  Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95 del 21.4.1993, pag. 29).

(52)  Articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE.

(53)  Articolo 3, paragrafo 3, e allegato I della direttiva 93/13/CEE. Il diritto nazionale può estendere l'elenco o utilizzare formulazioni che conducono a standard più severi, comprese «liste nere» di clausole che sono sempre considerate abusive, senza la necessità di effettuare un'ulteriore valutazione ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva. Per informazioni più dettagliate, cfr. sezione 3.4.7 della comunicazione della Commissione «Orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori» [COM(2019) 5325 final] (GU C 323 del 27.9.2019, pag. 4).

(54)  Articolo 5 della direttiva 93/13/CEE.

(55)  Per informazioni più dettagliate, cfr. comunicazione della Commissione «Orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori» [COM(2019) 5325 final].

(56)  Sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič, C-453/10.

(57)  Sentenza Pereničová e Perenič, C-453/10, punto 2 del dispositivo, penultima frase: «L'accertamento del carattere sleale di una siffatta pratica commerciale rappresenta un elemento tra gli altri sul quale il giudice competente può fondare, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, la sua valutazione del carattere abusivo delle clausole del contratto relative al costo del prestito concesso al consumatore».

(58)  Cfr. sezione 3 della comunicazione della Commissione «Orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori» [COM(2019) 5325 final]. Cfr. anche sentenza BNP Paribas Personal Finance, cause riunite da C-776/19 a C-782/19, punti 76 e 77.

(59)  Sentenza Pereničová e Perenič, C-453/10, punto 46.

(60)  Cfr. ad esempio la sentenza nella causa C-191/15, Verein für Konsumenteninformation / Amazon, punti da 65 a 71 e punto 2 del dispositivo, nella quale la Corte ha stabilito che una clausola di scelta della legge applicabile redatta preventivamente che designi la legge dello Stato membro in cui ha sede il professionista non soddisfa il requisito di redazione chiara e comprensibile stabilito dall'articolo 5 della direttiva sulle clausole contrattuali abusive ed è abusiva quando induce in errore il consumatore dandogli l'impressione che al contratto si applichi soltanto la legge di detto Stato membro, senza informarlo del fatto che i consumatori dispongono inoltre, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, del regolamento Roma I, della tutela assicurata loro dalle disposizioni imperative della legge che sarebbe applicabile in assenza di siffatta clausola.

(61)  Cfr. esempi in Italia, Polonia, Belgio e nei Paesi Bassi.

(62)  Cfr. ad esempio le sentenze Banco Español de Crédito, C-618/10, punti da 41 a 43; Aziz, C-415/11, punto 46; Bankia, C-109/17, punti da 37 a 39. Per informazioni più dettagliate relative alla giurisprudenza pertinente della Corte, cfr. sezione 5 della comunicazione della Commissione «Orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori» [COM(2019) 5325 final].

(63)  Cfr., ad esempio, sentenza Finanmadrid, C-49/14, punto 46. In particolare la Corte ha spiegato che l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva sulle clausole contrattuali abusive è una disposizione imperativa tesa a sostituire all'equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l'uguaglianza tra queste ultime.

(64)  Cfr. ad esempio sentenza Pereničová e Perenič, C-453/10, punto 27.

(65)  Sentenza Bankia, C-109/17.

(66)  Ibid., punto 48.

(67)  Ibid., punti 34, da 40 a 47, 51 e punto 1 del dispositivo.

(68)  Cfr., ad esempio, sentenza Aziz, C-415/11, punto 60.

(69)  Direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori (GU L 80 del 18.3.1998, pag. 27).

(70)  Sentenza del 7 luglio 2016, Citroën, C-476/14.

(71)  Prima che tali modifiche fossero apportate alla direttiva sull'indicazione dei prezzi la Corte aveva confermato, con la sentenza del 10 luglio 2014 nella causa C-421/12, Commissione europea contro Regno del Belgio, l'impossibilità per gli Stati membri di adottare norme nazionali più vincolanti in materia di riduzioni di prezzo sulla base della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e della direttiva (originaria) sull'indicazione dei prezzi.

(72)  Direttiva 2006/114/CE.

(73)  La direttiva sulla pubblicità ingannevole si riferisce pertanto alla pubblicità ingannevole e alla pubblicità illegittimamente comparativa come a due infrazioni autonome; cfr. anche sentenza della Corte del 13 marzo 2014, Posteshop SpA, C-52/13.

(74)  Sentenza dell'8 febbraio 2017, Carrefour, C-562/15.

(75)  Ibid., punti da 33 a 38.

(76)  Direttiva 2006/123/CE.

(77)  Direttiva 2000/31/CE.

(78)  Proposta di regolamento relativo a un mercato unico dei servizi digitali [COM(2020) 825 final].

(79)  Proposta di regolamento relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale [COM(2020) 842 final].

(80)  La proposta legge sui servizi digitali sostituirebbe gli articoli da 12 a 15 della direttiva sul commercio elettronico. Le norme proposte lascerebbero impregiudicato il diritto dei consumatori (articolo 1, paragrafo 5, lettera h), della proposta di legge sui servizi digitali). La legge sui servizi digitali fornirebbe inoltre chiarimenti quanto alla possibile responsabilità delle piattaforme online di ottemperare alla normativa in materia di protezione dei consumatori, compresa la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, qualora le piattaforme operino in modo tale da indurre un consumatore medio e ragionevolmente informato a ritenere che l'operazione in questione sia effettuata con la piattaforma stessa (articolo 5, paragrafo 3, della proposta di legge sui servizi digitali). In base alle proposte si applicherebbero obblighi supplementari a carico delle piattaforme online ai sensi della legge sui servizi digitali e dei fornitori di servizi di piattaforma di base designati come gatekeeper ai sensi della legge sui servizi digitali (ossia motori di ricerca online, servizi di social network online, servizi di piattaforma per la condivisione di video, servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero, servizi di cloud computing, servizi pubblicitari — articolo 2, punto 2), della proposta di legge sui mercati digitali); tali obblighi sarebbero complementari rispetto alle norme specifiche stabilite dalla legislazione dell'UE in materia di tutela dei consumatori.

(81)  Direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) (GU L 95 del 15.4.2010, pag. 1).

(82)  Direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi), in considerazione dell'evoluzione delle realtà del mercato (GU L 303 del 28.11.2018, pag. 69).

(83)  Comunicazione della Commissione «Orientamenti relativi all'applicazione pratica del criterio di funzionalità essenziale della definizione di ‘servizio di piattaforma per la condivisione di video’ a norma della direttiva sui servizi di media audiovisivi» (GU C 223 del 7.7.2020, pag. 3).

(84)  Il diritto alla protezione dei dati personali sancito dall'articolo 8 può essere limitato a norma di legge e secondo i principi di una società democratica: nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (articolo 52, paragrafo 2, della Carta).

(85)  Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1).

(86)  Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37), quale modificata dalla direttiva 2006/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell'ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE (GU L 105 del 13.4.2006, pag. 54) e direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, recante modifica della direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, della direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche e del regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa a tutela dei consumatori (GU L 337 del 18.12.2009, pag. 11).

(87)  Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato (GU L 1 del 4.1.2003, pag. 1). Dal 1o dicembre 2009 gli articoli 101 e 102 TFUE sostituiscono rispettivamente gli articoli 81 e 82 del trattato CE. In entrambi i casi le disposizioni sono sostanzialmente identiche.

(88)  Sentenza Kušinová, C-34/13, punti da 63 a 65, e sentenza Sanchez Morcillo, C-169/14, punto 35.

(89)  Sentenze Deutscher Apothekerverband, C-322/01 punto 64; Gysbrechts, C-205/07, punto 33; Vanacker e Lesage, C-37/92, punto 9; DaimlerChrysler, C-324/99, punto 32; e Deutscher Apothekerverband, C-322/01, punto 64.

(90)  Cfr. sentenza Dassonville, C-8/74, punto 5.

(91)  Comunicazione della Commissione «Guida agli articoli da 34 a 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE)» (GU C 100 del 23.3.2021, pag. 38).

(92)  Sentenza Keck, cause riunite C-267/91 e C-268/91.

(93)  Nella causa Keck la Corte ha chiarito la sua giurisprudenza precedente, in particolare la sentenza nella causa C-8/74, Dassonville.

(94)  Cfr. sentenza Leclerc-Siplec, C-412/93, punto 22, e sentenza ARD, C-6/98, punto 46.

(95)  Cfr. sentenza Tankstation 't Heukske e Boermans, cause riunite C-401/92 e C-402/92, punto 14; sentenza Punto Casa e PPV, cause riunite C-69/93 e C-258/93, e sentenza Semeraro Casa Uno e a., cause riunite da C-418/93 a C-421/93, da C-460/93 a C-462/93, C-464/93, da C-9/94 a C-11/94, C-14/94, C-15/94, C-23/94, C-24/94 e C-332/94, punti da 9 a 11, 14, 15, 23 e 24.

(96)  Cfr. sentenza Commissione/Grecia, C-391/92, punto 15; sentenza Punto Casa e PPV, cause riunite C-69/93 e C-258/93.

(97)  Cfr. sentenza Belgacom, C-63/94.

(98)  Cfr. sentenza Commissione/Danimarca, C-192/01.

(99)  A tal fine cfr. sentenza Commissione/Francia, C-333/08, punto 87.

(100)  Cfr., tra l'altro, sentenza Graffione, C-313/94, punto 17, e sentenza Ruwet, C-3/99, punto 50.

(101)  Sentenza Kakavetsos-Fragkopoulos, C-161/09, punto 39.

(102)  Ibid., punto 42.

(103)  Regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online (GU L 186 dell'11.7.2019, pag. 57).

(104)  Comunicazione della Commissione «Orientamenti sulla trasparenza del posizionamento a norma del regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio» (GU C 424 dell'8.12.2020, pag. 1).

(105)  Sentenza del 16 luglio 2020, Movic e a., C-73/19.

(106)  Direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2020, relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE (GU L 409 del 4.12.2020, pag. 1).

(107)  Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione (GU L 305 del 26.11.2019, pag. 17).

(108)  Regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori e che abroga il regolamento (CE) n. 2006/2004 (GU L 345 del 27.12.2017, pag. 1).

(109)  Articolo 10, paragrafo 2, del regolamento CPC: «L'attuazione e l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 9 in applicazione del presente regolamento è proporzionata e conforme al diritto dell'Unione e al diritto nazionale, comprese le garanzie procedurali applicabili e i principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Le misure di indagine e di esecuzione adottate in applicazione del presente regolamento sono proporzionate alla natura e al danno complessivo, effettivo o potenziale, dell'infrazione delle norme dell'Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori».

(110)  Articolo 3, punto 3), del regolamento CPC: «‘infrazione diffusa’, a) atti od omissioni contrari alle norme dell'Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori, che abbiano arrecato, arrechino o possano arrecare un danno agli interessi collettivi dei consumatori che risiedono in almeno due Stati membri diversi dallo Stato membro in cui: i) hanno avuto origine o si sono verificati l'atto o l'omissione in questione; ii) è stabilito l'operatore responsabile dell'atto o dell'omissione; o iii) si rinvengono elementi di prova o beni dell'operatore riconducibili all'atto o all'omissione; o b) atti od omissioni contrari alle norme dell'Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori che abbiano arrecato, arrechino o possano arrecare un danno agli interessi collettivi dei consumatori e abbiano caratteristiche comuni, comprese l'identità della pratica illecita e dell'interesse leso, e si verifichino contemporaneamente, commessi dal medesimo operatore, in almeno tre Stati membri».

Articolo 3, punto 4), del regolamento CPC: «‘infrazione diffusa avente una dimensione unionale’, un'infrazione diffusa che abbia arrecato, arrechi o possa arrecare un danno agli interessi collettivi dei consumatori in almeno due terzi degli Stati membri, che insieme rappresentano almeno i due terzi della popolazione dell'Unione».

(111)  Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 1).

(112)  Direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 28).

(113)  Regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 luglio 2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II») (GU L 199 del 31.7.2007, pag. 40).

(114)  Sentenza del tribunale amministrativo lettone dell'8 marzo 2012 nella causa A420632710.

(115)  Comunicato stampa del 18 luglio 2014: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-847_it.htm.

(116)  Sentenza del 17 ottobre 2013, RLvS, C-391/12, punto 38.

(117)  Sentenza del 4 ottobre 2018, Kamenova, C-105/17.

(118)  Sentenza del 4 ottobre 2018, Kamenova, C-105/17, punto 38.

(119)  Sentenza del 3 ottobre 2013, BKK Mobil Oil, C-59/12, punto 32.

(120)  Ibid., punto 37.

(121)  Cfr., tra l'altro, sentenza UPC, C-388/13, punto 35, e giurisprudenza citata.

(122)  Sentenza del 19 dicembre 2013, Trento Sviluppo, C-281/12, punto 35.

(123)  Sentenza del 16 aprile 2015, UPC, C-388/13, punto 36.

(124)  Sentenza del 16 aprile 2015, UPC, C-388/13, punti 41, 42 e 60.

(125)  Sentenza del 4 luglio 2019, Kirschstein, C-393/17, punti 44 e 45.

(126)  Sentenza del 17 ottobre 2013, RLvS, C-391/12, punti da 44 a 50.

(127)  Ibid., punti 44 e 49.

(128)  Sentenza del 20 luglio 2017, Gelvora, C-357/16.

(129)  Krajsky sud/Presove, 27 ottobre 2011, 2Co/116/2011.

(130)  PS9042 — Esattoria-Agenzia Riscossioni. Provvedimento n. 24763, 22 gennaio 2014.

(131)  DKK – 61 – 10/07/DG/IS.

(132)  Sentenza del 19 dicembre 2013, Trento Sviluppo srl, Centrale Adriatica Soc. coop. arl/Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, C-281/12, punti 35, 36 e 38.

(133)  Cfr., tra l'altro, la succitata sentenza Trento Sviluppo srl, Centrale Adriatica, C-281/12.

(134)  MD 2010:8, Marknadsdomstolen, Toyota Sweden AB v Volvo Personbilar Sverige Aktiebolag, 12 marzo 2010.

(135)  Sentenza del 16 luglio 1998, Gut Springenheide e Tusky, C-210/96, punto 31.

(136)  Sentenza del 6 luglio 1995, Verein gegen Unwesen in Handel und Gewerbe Koln e.V./Mars GmbH, C-470/93, punto 24.

(137)  Sentenza del 24 ottobre 2002, procedimento penale a carico di Gottfried Linhart e Hans Biffl, C-99/01, punto 35.

(138)  Per «iperbole pubblicitaria» si intende una dichiarazione soggettiva o esagerata sulle qualità di un prodotto che non deve essere presa alla lettera. È il tipo di pratica a cui fa riferimento l'ultima frase dell'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva.

(139)  Sentenza del 16 luglio 1998, Gut Springenheide e Tusky/Oberkreisdirektor Steinfurt, C-210/96, punti 31, 32, 36 e 37. Cfr. anche Estée Lauder Cosmetics GmbH & Co. ORG/Lancaster Group GmbH, C-220/98, conclusioni dell'avvocato generale Fennelly, punto 28.

(140)  4 U 141/11.

(141)  P/0359/07/2010.

(142)  Fővárosi Ítélőtábla, Magyar Telekom Nyrt e altri, ID causa: 2.Kf.27.171/2012/4.

(143)  Decisione del Marknadsdomstolen del 4 luglio 2012.

(144)  Sentenza Estée Lauder Cosmetics GmbH & Co. OHG/Lancaster Group, C-220/98, Racc. 2000, pag. I-00117, punto 29.

(145)  Sentenza F.lli Graffione SNC/Ditta Fransa, C-313/94, Racc. 1996, pag. I-06039, punto 22.

(146)  Commissione europea, Study on consumer vulnerability in key markets across the European Union (EACH/2013/CP/08), http://ec.europa.eu/consumers/consumer_evidence/market_studies/vulnerability/index_en.htm. Nello studio il «consumatore vulnerabile» è definito come un consumatore che, in conseguenza delle caratteristiche sociodemografiche e comportamentali, della situazione personale o del contesto di mercato, è esposto a un rischio più elevato di subire conseguenze negative sul mercato, ha una capacità limitata di migliorare il proprio benessere, ha difficoltà a ottenere o assimilare informazioni, è meno capace di acquistare, scegliere o accedere a prodotti idonei o è più vulnerabile a talune pratiche di marketing.

(147)  Decisione Vj-5/2011/73 dell'autorità ungherese garante della concorrenza, 10 novembre 2011.

(148)  PS6980 — Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

(149)  Commissione europea, Study on the impact of marketing through social media, online games and mobile applications on children's behaviour (EACH/FWC/2013 85 08), https://ec.europa.eu/info/publications/study-impact-marketing-through-social-media-online-games-and-mobile-applications-childrens-behaviour_en.

(150)  Allo stesso modo gli articoli 6, 7 e 8 della direttiva 2005/29/CE fanno riferimento alla nozione di consumatore medio.

(151)  Sentenza del 19 settembre 2013, CHS Tour Services GmbH/Team4 Travel GmbH, C-435/11; confermata nella sentenza del 16 aprile 2015, UPC, C-388/13, punti da 61 a 63.

(152)  Decisione n. DKK 6/2014.

(153)  ECLI:NL:RBROT:2019:226, 17 gennaio 2019.

(154)  PS9540 – Euroservice-Recupero Crediti. Provvedimento n. 25425, 15 aprile 2015.

(155)  Decisione n. RPZ 4/2015.

(156)  PS9678 — Samsung — Caratteristiche Tecniche Smartphone, decisione n. 25138, 19 dicembre 2014.

(157)  ECLI:NL:CBB:2016:103, College van Beroep voor het bedrijfsleven, 15/338.

(158)  ECLI:NL:CBB:2014:412, College van Beroep voor het bedrijfsleven, AWB 13/225.

(159)  Mediatore per i consumatori, 25 febbraio 2013 (n. di protocollo 4995), Banca di Cipro.

(160)  Tribunale per i diritti dei consumatori di Malta, Melita, telefonia mobile, 17 aprile 2013.

(161)  Potrebbero tuttavia essere considerate informazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 7 della direttiva.

(162)  Cfr. ad esempio la sentenza del 12 novembre 2019 nella causa C-363/18, Organisation juive européenne e Vignoble Psagot concernente l'indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza di un alimento.

(163)  Cour d'appel de Paris, 10 maggio 2012, Société Havana Club International e SA Pernod/SAS Etablissements Dugas e Société 1872 Holdings VOF (rif. 10/04016).

(164)  Urteil Az. I-4 U 174/11* OLG Hamm, 8 marzo 2012, e Urteil Az. 3 U 219/11* OLG Bamberg, 21 marzo 2012.

(165)  Tribunale municipale di Praga, 11 maggio 2015, Bredley e Smith/Ispettorato del commercio ceco.

(166)  PS7256, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, 21 dicembre 2011, COMET-APPLE-Prodotti in garanzia.

(167)  Consiglio di Stato, N. 05253/2015REG.PROV.COLL. N. 05096/2012 REG.RIC.

(168)  Sentenza del 26 ottobre 2016, Canal Digital Danmark A/S, C-611/14.

(169)  Ibid., punti da 47a 49.

(170)  Comunicato stampa del 18 dicembre 2020: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_2444.

(171)  MAO:829/15.

(172)  ECLI:NL:RBROT:2019:4155, Rechtbank Rotterdam, ROT 18/4040.

(173)  MD 2009:36, Marknadsdomstolen, 19 novembre 2009.

(174)  MD 2015:9, Marknadsdomstolen, 11 giugno 2015.

(175)  Sentenza del 19 settembre 2018, Bankia, C-109/17.

(176)  Ibid., punto 58.

(177)  CA/NB/527/29, 6 novembre 2010.

(178)  Comunicazione della Commissione sull'applicazione delle norme in materia di tutela degli alimenti e dei consumatori alle questioni di differenze di qualità dei prodotti – Il caso specifico degli alimenti (GU C 327 del 29.9.2017, pag. 1). La presente comunicazione orientativa sostituisce questa precedente comunicazione della Commissione.

(179)  La selezione e il campionamento dei prodotti per il raffronto sono trattati nella metodologia di prova comune stabilita dal Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione nel 2018, consultabile all'indirizzo seguente: https://ec.europa.eu/jrc/sites/default/files/eu_harmonised_testing_methodology_-_framework_for_selecting_and_testing_of_food_products_to_assess_quality_related_characteristics.pdf.

(180)  Relazione del JRC, Empirical testing of the impact on consumer choice resulting from differences in the composition of seemingly identical branded products (2020), disponibile all'indirizzo: https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/empirical-testing-impact-consumer-choice-resulting-differences-composition-seemingly-identical. La relazione ha analizzato, tramite esperimenti di laboratorio e online, se informare i consumatori sulle differenze tra i prodotti (espresse con la designazione «realizzato per il paese X») influisce sulla loro scelta di una versione del prodotto. Nell'esperimento online non è emersa una chiara preferenza per le versioni «nazionali» o non nazionali, mentre nell'esperimento in laboratorio sono state preferite le versioni nazionali. Nell'esperimento online, i consumatori hanno preferito la versione nazionale o non nazionale del prodotto rispettivamente in 6 e 2 delle 30 coppie paese-prodotto. Inoltre i consumatori hanno avuto una preferenza negativa per la versione nazionale e non nazionale rispettivamente in 9 e 8 casi. Nell'esperimento di laboratorio le scelte dei consumatori dipendevano dal prodotto e dal paese, ma spesso preferivano la versione destinata al proprio paese (8 casi su 12).

(181)  Relazione del JRC, Differences in composition of seemingly identical branded products: Impact on consumer purchase decisions and welfare (2020), disponibile all'indirizzo: https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/differences-composition-seemingly-identical-branded-products-impact-consumer-purchase-decisions-and. La relazione ha confermato che i consumatori sono probabilmente influenzati dalla differenziazione delle versioni dei prodotti per i diversi paesi solo quando le differenze di composizione sono percepite come significative.

(182)  Cfr. relazione del JRC, Results of an EU wide comparison of quality related characteristics of branded food products. Part 2 – Sensory testing (2021), disponibile all'indirizzo: https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/results-eu-wide-comparison-quality-related-characteristics-branded-food-products-part-2-sensory. Lo studio ha concluso che differenze di composizione più accentuate avevano maggiori probabilità di essere riconosciute dai valutatori sensoriali, mentre le variazioni di minore entità passavano per lo più inosservate.

(183)  Articolo 8 del regolamento (CE) n. 178/2002.

(184)  Articolo 16 del regolamento (CE) n. 178/2002.

(185)  Articolo 14 del regolamento (CE) n. 178/2002.

(186)  Articolo 17, paragrafo 1, del regolamento (CE) n 178/2002.

(187)  È questa la metodologia adottata nella prima prova comparativa a livello dell'UE (confronto di etichette) che il JRC ha realizzato nel 2019, e nel secondo esercizio di prova che inizierà nel 2021.

(188)  Ad esempio, la risoluzione del Parlamento europeo, del 13 settembre 2018, sui prodotti di qualità differenziata nel mercato interno (GU C 433 del 23.12.2019, pag. 191) fa riferimento alle pratiche di differenziazione anche per quanto riguarda i prodotti non alimentari, tra cui detergenti, cosmetici, prodotti per l'igiene e prodotti per neonati. È anche disponibile all'indirizzo: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2018-0357_IT.html.

(189)  Decisione n. DDK 7/2014 dell'Ufficio polacco per la concorrenza e la tutela dei consumatori.

(190)  Direttiva 2000/31/CE.

(191)  Direttiva 2010/13/UE.

(192)  Direttiva 2002/58/CE.

(193)  Decisione n. RPZ 6/2015 dell'Ufficio polacco per la concorrenza e la tutela dei consumatori.

(194)  Ärenden 2016/53 e 2015/1000.

(195)  Decisione n. K. 27.272/2014, Tribunale amministrativo e del lavoro di Győr.

(196)  KKO 2011:65.

(197)  L'impatto sulla decisione di natura commerciale di un consumatore medio è soggetto alla valutazione degli organi giurisdizionali e delle autorità nazionali. Ad esempio, in uno Stato membro in cui i consumatori comprendono generalmente l'inglese anche se è una lingua straniera, la comunicazione di alcune informazioni solo in inglese può non essere necessariamente un'omissione ingannevole.

(198)  Le clausole contrattuali standardizzate sono valutate ai sensi della direttiva 93/13/CEE (cfr. anche la sezione 1.2.4 sull'interazione con la direttiva sulle pratiche commerciali sleali).

(199)  Sentenza del 26 ottobre 2016, Canal Digital Danmark A/S, C-611/14, punti 29 e segg.

(200)  Sentenza del 26 ottobre 2016 nella causa C-611/14, Canal Digital Danmark A/S, punti 62 e 63.

(201)  KKO 2011:65.

(202)  Sentenza del 12 maggio 2011, Konsumentombudsmannen / Ving Sverige AB, C-122/10, punto 59.

(203)  Audiencia Provincial de Madrid Sentencia no 270/2014. Conclusioni analoghe sono state raggiunge in un'altra causa esaminata da un organo giurisdizionale spagnolo, Juzgado de lo Mercantil de Madrid Sentencia n. 704/2012.

(204)  Sentenza del 12 maggio 2011, Konsumentombudsmannen / Ving Sverige AB, C-122/10, punto 32.

(205)  Per esempio, un annuncio su una rivista reclamizza la vendita di magliette. Nella pubblicità sono indicati i prezzi e le taglie disponibili e la metà inferiore dell'annuncio è costituita da un modulo d'ordine che si può compilare e inviare, accludendo il pagamento, direttamente al rivenditore.

(206)  Tribunale del commercio di Anversa, 29 maggio 2008, Federatie voor verzekerings- en financiële tussenpersonen/ING Insurance Services NV e ING België NV.

(207)  Il considerando 14 precisa che «Per quanto concerne le omissioni, la presente direttiva elenca un limitato novero di informazioni chiave necessarie affinché il consumatore possa prendere una decisione consapevole di natura commerciale…».

(208)  Sentenza del 26 ottobre 2016, Canal Digital Danmark A/S, C-611/14, punto 71.

(209)  Sentenza del 30 marzo 2017, Verband Sozialer Wettbewerb, C-146/16.

(210)  Ibid., punti da 28 a 30.

(211)  Direttiva 2009/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, sulla sicurezza dei giocattoli (GU L 170 del 30.6.2009, pag. 1).

(212)  MD 2015:2, 9 marzo 2015.

(213)  Sentenza del 26 ottobre 2016, Canal Digital Danmark, C-611/14, punti da 46 a 49.

(214)  Decisione n. RBG 38/2014.

(215)  16 luglio 2015 — Decisione amministrativa nei confronti di Stoppa Telefonforsaljning Limited.

(216)  Tribunal Superior de Justicia de Madrid Sala de lo Contencioso Administrativo Sección 10, n. 112/2014.

(217)  Sentenza del 12 maggio 2011, Konsumentombudsmannen / Ving Sverige AB, C-122/10, punto 64.

(218)  Decisione n. RWA-25/2010, Prezes Urzędu Ochrony Konkurencji i Konsumentów, Delegatura w Warszawie, 28 dicembre 2010, Eko-Park S.A.

(219)  Commissione europea, Study on Misleading «free» trials and subscription traps for consumers in EU (2017), https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/bf621260-9441-11e7-b92d-01aa75ed71a1.

(220)  Decisione n. RBG 32/2014.

(221)  Comunicato stampa del 21 maggio 2021: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/mex_21_3127.

(222)  Autorità ungherese responsabile della concorrenza, 17 agosto 2020, VJ/19/2018, be2.hu e academicsingles.hu.

(223)  ECLI:NL:CBB:2018:465, College van Beroep voor het bedrijfsleven, 17/1282.

(224)  Sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska, C-628/17, punto 31.

(225)  Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria — Sentenza 11 maggio 2012, n. 14 — Pres. Coraggio — est. Greco.

(226)  L'articolo 106 della direttiva 2018/1972 (codice europeo delle comunicazioni elettroniche) stabilisce le norme per il passaggio da un fornitore di servizi di comunicazione elettronica a un altro.

(227)  Tribunale supremo della Bulgaria, 3 novembre 2011, 15182/2011, VII d.

(228)  Cfr., ad esempio, PS8215, decisione n. 24117 del 12 dicembre 2012.

(229)  Sentenza del 13 settembre 2018, Wind Tre e Vodafone, cause riunite C-54/17 e C-55/17.

(230)  Punti da 48 a 50.

(231)  Sentenza del 3 febbraio 2021, Waternet, C-922/19.

(232)  Punti da 58 a 62.

(233)  Sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska, C-628/17.

(234)  Direttiva 90/314/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso» (GU L 158 del 26.6.1990, pag. 59). Abrogata e sostituita dalla direttiva (UE) 2015/2302 relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio (GU L 326 dell'11.12.2015, pag. 1) a decorrere dal 1o luglio 2018.

(235)  2009:17, Marknadsdomstolen (Stoccolma), Mediatore per i consumatori/Casa Nordica Altavista C AB, 26 giugno 2009.

(236)  Sentenza della Corte EFTA del 14 dicembre 2019 nella causa E-1/19, Andreas Gyrre contro Governo norvegese, rappresentato dal ministero per l'Infanzia e la parità.

(237)  Sentenza del 3 aprile 2014, «4finance» UAB/Valstybinė vartotojų teisių apsaugos tarnyba e Valstybinė mokesčių inspekcija prie Lietuvos Respublikos finansų ministerijos, C-515/12, punto 20.

(238)  Ibid., punto 34.

(239)  Sentenza del 15 dicembre 2016, Loterie Nationale, C-667/15.

(240)  Ibid., punto 30.

(241)  PS6425 Xango-Prodotti Con Succo Di Mangostano. Provvedimento n. 21917, 15 dicembre 2010.

(242)  PS4893 Agel Enterprises-Integratori. Provvedimento n. 23789, 2 agosto 2012.

(243)  PS7621 – Vemma Italia – Prodotti con succo di mangostano, Provvedimento n. 24784, 5 febbraio 2014.

(244)  Decisione n. RKR 34/2014.

(245)  Decisione del 13 marzo 2012 del presidente dell'Ufficio per la concorrenza e la tutela dei consumatori, rif. RPZ 2/2012 ZdroWita.

(246)  Posizione comune delle autorità della rete di cooperazione per la tutela dei consumatori, Stopping scams and tackling unfair business practices on online platforms in the context of the Coronavirus outbreak in the EU, 20 marzo 2020: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/live_work_travel_in_the_eu/consumers/documents/cpc_common_position_covid19.pdf..

(247)  PS11723, Coronavirus, 17 marzo 2020.

(248)  Casi MR-2020-563: Il Consiglio per il commercio, 23 settembre 2020, Visjon TV & Webshop AS; MR-2020-687: Il Consiglio per il commercio, 22 ottobre 2020, Vitability AS; FOV-2020-663: L'autorità norvegese competente per la tutela dei consumatori, 6 aprile 2020, Emptiodirect AS.

(249)  Regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.

(250)  Regolamento (CE) n. 1924/2006.

(251)  Articolo 12 del regolamento (CE) n. 1924/2006.

(252)  Regolamento (UE) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medici, che modifica la direttiva 2001/83/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002 e il regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio (GU L 117 del 5.5.2017, pag. 1).

(253)  Regolamento (UE) 2017/746 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro e che abroga la direttiva 98/79/CE e la decisione 2010/227/UE della Commissione (GU L 117 del 5.5.2017, pag. 176).

(254)  Regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici (GU L 342 del 22.12.2009, pag. 59).

(255)  2S-17, Lietuvos Respublikos konkurencijos taryba (Vilnius), 4.7.2011.

(256)  Sentenze riunite Dnr B 2/11 e B 3/11 del Marknadsdomstolen, 11 maggio 2012.

(257)  2S-27, Lietuvos Respublikos konkurencijos taryba (Vilnius), 11 novembre 2010.

(258)  «Direttiva sul contenuto digitale».

(259)  Vj-85/2016/189 Facebook Ireland Ltd, 16 dicembre 2019.

(260)  AGCM, PS11112 — Facebook, 29 novembre 2018.

(261)  Cfr. anche la causa pendente C-102/20 StWL Städtische Werke Lauf a.d. Pegnitz, che probabilmente chiarirà l'applicazione di tale divieto alla pubblicità che si visualizza nella casella di posta elettronica.

(262)  4 Ob 174/09f, OGH (Oberster Gerichtshof), 19 gennaio 2010.

(263)  Cfr. anche ICPEN, Best Practice Principles for Marketing Practices directed towards Children Online, giugno 2020.

(264)  MD 2012:14, Tribunale norvegese per il commercio, 6 dicembre 2012, Stardoll.

(265)  MR-2012-1245-2, Consiglio per il commercio norvegese, 3 dicembre 2013, Atomic Soul.

(266)  KUV/5564/41/2012, Autorità finlandese per la Concorrenza e i consumatori, 1o marzo 2013, Nordea Oyj.

(267)  Mediatore finlandese per i consumatori, decisione KKV/54/14.08.01.05/2019.

(268)  Tribunale federale tedesco, 17 luglio 2013 — I ZR, 34/12, Runes of Magic.

(269)  Corte suprema austriaca, 9 luglio 2013, 4 Ob 95/13v, Disney Universe.

(270)  Autorità ungherese garante della concorrenza, 26 maggio 2021, VJ/3/2020, Global AWA Pty Ltd et al.

(271)  Comunicato stampa del 18 luglio 2014: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-847_it.htm.

(272)  Tribunale municipale di Praga, 29 ottobre 2014, Golden Gate Marketing/Ispettorato del commercio ceco.

(273)  Audiencia Provicional de Barcelona, 26 giugno 2014, 323/2014.

(274)  Sentenza del 18 ottobre 2012, Purely Creative e altri/Office of Fair Trading, C-428/11.

(275)  CA/NB/544/10, Consumentenautoriteit, 21 settembre 2010, Garant-o-Matic B.V.

(276)  Comunicato stampa del 28 gennaio 2021, «Greenwashing»: lo screening dei siti web rivela che la metà delle affermazioni ecologiche è priva di fondamento, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_21_269.

(277)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, «Nuova agenda dei consumatori – Rafforzare la resilienza dei consumatori per una ripresa sostenibile» [COM(2020) 696 final], 13.11.2020.

(278)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Un nuovo piano d'azione per l'economia circolare – Per un'Europa più pulita e più competitiva» [COM(2020) 98 final], 11.3.2020. Raccomandazione 2013/179/UE della Commissione, del 9 aprile 2013, relativa all'uso di metodologie comuni per misurare e comunicare le prestazioni ambientali nel corso del ciclo di vita dei prodotti e delle organizzazioni (GU L 124 del 4.5.2013, pag. 1) e ogni eventuale aggiornamento della stessa.

(279)  Nel piano d'azione per l'economia circolare, la Commissione ha annunciato un'iniziativa su un quadro normativo per la certificazione degli assorbimenti di carbonio. Questo meccanismo di certificazione degli assorbimenti di carbonio sosterrebbe la diffusione di soluzioni di assorbimento del carbonio su una scala compatibile con l'obiettivo della neutralità climatica.

(280)  Regolamento (CE) n. 66/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, relativo al marchio di qualità ecologica dell'Unione europea (Ecolabel UE) (GU L 27 del 30.1.2010, pag. 1).

(281)  Regolamento (UE) 2017/1369 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2017, che istituisce un quadro per l'etichettatura energetica e che abroga la direttiva 2010/30/UE (GU L 198 del 28.7.2017, pag. 1).

(282)  In particolare, l'articolo 9, paragrafo 2, di detta direttiva stabilisce che, qualora i consumatori dispongano di «contatori intelligenti» per il gas naturale e/o l'energia elettrica, «i sistemi di misurazione forniscano ai clienti finali informazioni sul tempo d'uso effettivo» e l'articolo 10, paragrafo 1, stabilisce che, «qualora i clienti finali non dispongano dei contatori intelligenti», le informazioni sulla fatturazione siano «precise e fondate sul consumo reale».

(283)  In particolare, la modifica dell'articolo 10 sulle informazioni di fatturazione per il gas e l'elettricità stabilisce che le informazioni di fatturazione debbano essere affidabili, precise e fondate sul consumo reale, conformemente all'allegato VII, punto 1.1, per l'energia elettrica e il gas, qualora ciò sia tecnicamente possibile ed economicamente giustificato; l'articolo 9 bis stabilisce che i clienti finali ricevano a prezzi concorrenziali contatori che riproducano con precisione il loro consumo effettivo d'energia.

(284)  Direttiva (UE) 2019/944 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che modifica la direttiva 2012/27/UE (GU L 158 del 14.6.2019, pag. 125). Secondo l'articolo 10 di detta direttiva, gli attestati di prestazione energetica consentono ai proprietari e ai locatari di valutare e raffrontare la prestazione energetica degli edifici. Per esempio, l'attestato di prestazione energetica «precisa se il proprietario o locatario può ottenere informazioni più particolareggiate (…) delle raccomandazioni formulate nell'attestato di prestazione energetica». Conformemente all'articolo 12, paragrafi 2 e 3, in caso di costruzione, vendita o locazione di un edificio, l'attestato di prestazione energetica deve essere «mostrato al potenziale acquirente o nuovo locatario e consegnato all'acquirente o al nuovo locatario» e, in caso di vendita o locazione prima della costruzione, il venditore deve fornire «una valutazione della futura prestazione energetica dell'edificio». In particolare, ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 4, in caso di offerta in vendita o in locazione di edifici aventi un attestato di prestazione energetica, l'indicatore di prestazione energetica che figura nell'attestato di prestazione energetica dell'edificio deve essere «riportato in tutti gli annunci dei mezzi di comunicazione commerciali».

(285)  Detto regolamento istituisce un quadro relativo alle informazioni armonizzate sui parametri dei pneumatici da fornire mediante l'etichettatura, per consentire ai consumatori finali di fare una scelta consapevole al momento dell'acquisto.

(286)  Ai sensi dell'allegato I, punto 5), di detta direttiva, i consumatori ricevono nelle fatture le informazioni relative alla quota di ciascuna fonte energetica nell'energia elettrica acquistata in base al contratto di fornitura. In particolare, ai sensi delle lettere a) e b), i fornitori specificano «la quota di ciascuna fonte energetica nel mix energetico complessivo utilizzato dall'impresa fornitrice (…)» e «le informazioni sull'impatto ambientale, almeno in termini di emissioni di CO2 e di scorie radioattive risultanti dalla produzione di energia elettrica prodotta mediante il mix energetico complessivo utilizzato dal fornitore nell'anno precedente».

(287)  Sulla base di questa direttiva quadro sono stabilite specifiche minime mediante misure di esecuzione relative a determinati prodotti, per es. lampade e apparecchi domestici. Ai sensi dell'articolo 14 della direttiva, in conformità della misura di esecuzione applicabile, i fabbricanti garantiscono che i consumatori ottengano «l'informazione necessaria sul ruolo che possono svolgere in materia di uso sostenibile del prodotto» e «il profilo ecologico del prodotto e i vantaggi dell'ecoprogettazione, qualora richiesto dalla misura di esecuzione».

(288)  Regolamento (UE) 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio (GU L 150 del 14.6.2018, pag. 1). L'articolo 30 di detto regolamento contiene disposizioni concernenti l'uso di termini riferiti alla produzione biologica. L'articolo 33 contiene disposizioni relative all'uso di loghi di produzione biologica dell'UE.

(289)  Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (GU L 328 del 21.12.2018, pag. 82). Cfr. in particolare l'articolo 24, che stabilisce che siano fornite ai consumatori finali informazioni sulla prestazione energetica e sulla quota di energia da fonti rinnovabili nei loro sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento in un modo facilmente accessibile, ad esempio sui siti web dei fornitori, sulle bollette annuali oppure su richiesta; e l'articolo 19, che stabilisce che «per dimostrare ai clienti finali la quota o la quantità di energia da fonti rinnovabili nel mix energetico di un fornitore di energia e nell'energia fornita ai consumatori in base a contratti conclusi con riferimento al consumo di energia prodotta da fonti rinnovabili, gli Stati membri assicurano che l'origine dell'energia da fonti rinnovabili sia garantita come tale ai sensi della presente direttiva, in base a criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori». Si noti anche la proposta di modifica della direttiva [COM(2021) 557 final], che introduce l'obbligo per l'etichettatura dei prodotti industriali «verdi» di indicare la percentuale di energia rinnovabile utilizzata secondo una metodologia comune a livello UE.

(290)  Direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 94).

(291)  In particolare, ai sensi dell'articolo 6, lettera c), di detto regolamento, è vietato apporre etichette, marchi, simboli o iscrizioni, i quali non siano conformi ai requisiti del regolamento, qualora tale apposizione possa indurre in errore o ingenerare confusione nei clienti per quanto riguarda il consumo di energia o di altre risorse. Ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, le informazioni relative al consumo di energia elettrica, di altre forme di energia nonché, se del caso, di altre risorse essenziali durante l'uso sono rese note agli utilizzatori finali con una scheda informativa del prodotto e con un'etichetta relativa al prodotto offerto in vendita, noleggio, locazione-vendita o esposto all'utilizzatore finale nell'ambito di una vendita a distanza, anche via internet.

(292)  Relazione del MDEC 2013, pag. 18.

(293)  Regolamento (UE) n. 2020/740 sull'etichettatura dei pneumatici in relazione al consumo di carburante e ad altri parametri essenziali.

(294)  MAO:185/13.

(295)  Sentenza del 17 dicembre 2020, CLCV e a., C-693/18.

(296)  PS10211, Volkswagen, 4 agosto 2016. ACM/UIT/23048, 18 ottobre 2017. UOKiK, Volkswagen Group Poland, 15 gennaio 2020.

(297)  Tali principi si riflettono anche in diversi documenti di orientamento nazionali sulle asserzioni ambientali (tra l'altro in CZ, DE, DK, FI, HU, LV, NL, NO, FR e IT). Inoltre la Commissione ha coordinato il lavoro di un gruppo multilaterale sulle asserzioni ambientali (MDEC), che era composto di rappresentanti delle autorità nazionali, organizzazioni delle imprese europee, associazioni dei consumatori e ONG attive nel campo dell'ambiente. L'MDEC ha fornito raccomandazioni nella sua relazione del 2013 (https://ec.europa.eu/consumers/archive/events/ecs_2013/docs/environmental-claims-report-ecs-2013_en.pdf) e nel documento Compliance Criteria on Environmental Claims del 2016 (https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/compliance_criteria_2016_en.pdf). Tali raccomandazioni non sono giuridicamente vincolanti, ma sono state prese in considerazione nell'elaborazione della presente comunicazione orientativa. I principi enunciati si riflettono anche in norme internazionali e nell'autoregolamentazione quali la norma ISO 14021-2016 e il Codice di marketing ICC. Altri criteri ed esempi utili si possono trovare nelle linee guida della Commissione per effettuare e valutare le asserzioni ambientali, pubblicate nel 2000 (https://ec.europa.eu/consumers/archive/cons_safe/news/green/guidelines_it.pdf).

(298)  Cfr., ad esempio, un parere scientifico del dicembre 2020 sulla biodegradabilità della plastica in ambiente aperto: https://ec.europa.eu/info/research-and-innovation/strategy/support-policy-making/scientific-support-eu-policies/group-chief-scientific-advisors/biodegradability-plastics-open-environment_en.

(299)  Which?, Greenwashing claims investigated, agosto 2012.

(300)  Institut national de la Consommation, Les pneus verts tiennent ils leurs promesses ?, '60 millions de consommateurs edition n. 476, novembre 2012.

(301)  Cfr. anche l'articolo 3, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1935/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e che abroga le direttive 80/590/CEE e 89/109/CEE (GU L 338 del 13.11.2004, pag. 4), che stabilisce che l'etichettatura, la pubblicità e la presentazione di un materiale o di un oggetto non devono fuorviare i consumatori.

(302)  Jury de déontologie publicitaire (JDP), 26 June 2014.

(303)  ACM, Guidelines: Sustainability claims, 28 gennaio 2021, pag. 15.

(304)  Tribunale svedese per la proprietà intellettuale e il commercio PMT 697-20, Midsona, sentenza del 18 gennaio 2021.

(305)  MAO: 157/11, Tribunale del commercio di Helsinki, 8 aprile 2011.

(306)  Tribunale del commercio svedese, 1990:20 Norsk Hydro Olje AB.

(307)  Consiglio belga per l'Etica in pubblicità (JEP), Gas.be — décision de modification/arrêt, 21 maggio 2021.

(308)  Cfr. anche MDEC nel documento Compliance Criteria on Environmental Claims, par. 2.1.

(309)  Autorità ungherese garante della concorrenza, Green marketing — Guidance for undertakings from the Hungarian Competition Authority, 2020, pag. 5.

(310)  Decisione di esecuzione 2013/63/UE della Commissione, del 24 gennaio 2013, che adotta linee guida sull'attuazione delle condizioni specifiche per le indicazioni sulla salute di cui all'articolo 10 del regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 22 del 25.1.2013, pag. 25).

(311)  Sentenza del 30 gennaio 2020, Dr. Willmar Schwabe, C-524/18, punti 40, 47 e 48, che interpreta il regolamento (CE) n. 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.

(312)  Ente svedese per la tutela dei consumatori – Mediatore dei consumatori, Recommendations for developments of the Guidance on the implementation/application of Directive 2005/29/EC on unfair commercial practices, 29 ottobre 2020, sez. 3.1.

(313)  Ibid.

(314)  Tribunale svedese per la proprietà intellettuale e il commercio, Midsona, sentenza del 18 gennaio 2021.

(315)  I professionisti potrebbero effettuare una valutazione del ciclo di vita (LCA), tenendo conto della raccomandazione 2013/179/UE della Commissione relativa all'uso di metodologie comuni per misurare e comunicare le prestazioni ambientali nel corso del ciclo di vita dei prodotti e delle organizzazioni e ogni eventuale aggiornamento della stessa. Cfr. http://ec.europa.eu/environment/eussd/smgp/.

(316)  Ente svedese per la tutela dei consumatori – Mediatore dei consumatori, Recommendations for developments of the Guidance on the implementation/application of directive 2005/29/EC on unfair commercial practices, 29 ottobre 2020, sez. 3.2.

(317)  Decisione dell'autorità italiana garante della concorrenza e del mercato, 8 febbraio 2012, ref. PS7235.

(318)  Le condizioni per fare asserzioni comparative relative a specifici impatti ambientali sono discusse nell'ambito dell'iniziativa della Commissione sulle dichiarazioni ecologiche: https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12511-Prestazioni-ambientali-di-prodotti-e-imprese-dimostrare-la-veridicita-delle-affermazioni_it.

(319)  ACM, Guidelines: Sustainability claims, 28 gennaio 2021, pag. 10.

(320)  Juzgado de lo Mercantil de Barcelona, Sentencia 63/2014.

(321)  PS11444 – HP, 9 dicembre 2020, https://en.agcm.it/en/media/press-releases/2020/12/PS11144.

(322)  PS11009-PS11039 – Apple, Samsung, 25 settembre 2018, https://en.agcm.it/en/media/press-releases/2018/10/PS11009-PS11039. DGCCRF, comunicato stampa del 7 febbraio 2020, https://www.economie.gouv.fr/files/files/directions_services/dgccrf/presse/communique/2020/CP-Ralentissement-fonctionnement-iPhone200207.pdf.

(323)  Direttiva 2009/125/CE. L'iniziativa sui prodotti sostenibili della Commissione proporrà ulteriori misure legislative, se del caso, per rendere più sostenibili i prodotti immessi sul mercato dell'UE, anche modificando la direttiva sulla progettazione ecocompatibile per estenderla ad altre categorie di prodotti.

(324)  Regolamento (UE) n. 666/2013 della Commissione, dell'8 luglio 2013, recante modalità di applicazione della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in merito alle specifiche per la progettazione ecocompatibile degli aspirapolvere (GU L 192 del 13.7.2013, pag. 24).

(325)  Regolamento (UE) n. 1194/2012 della Commissione, del 12 dicembre 2012, recante modalità di applicazione della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in merito alle specifiche per la progettazione ecocompatibile delle lampade direzionali, delle lampade con diodi a emissione luminosa e delle pertinenti apparecchiature (GU L 342 del 14.12.2012, pag. 1).

(326)  Regolamento (UE) 2019/2023 della Commissione, del 1o ottobre 2019, che stabilisce specifiche per la progettazione ecocompatibile delle lavatrici per uso domestico e delle lavasciuga biancheria per uso domestico in applicazione della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, modifica il regolamento (CE) n. 1275/2008 della Commissione e abroga il regolamento (UE) n. 1015/2010 della Commissione (GU L 315 del 5.12.2019, pag. 285).

(327)  Regolamento (UE) 2019/2022 della Commissione, del 1o ottobre 2019, che stabilisce specifiche per la progettazione ecocompatibile delle lavastoviglie per uso domestico in applicazione della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, modifica il regolamento (CE) n. 1275/2008 della Commissione e abroga il regolamento (UE) n. 1016/2010 della Commissione (GU L 315 del 5.12.2019, pag. 267).

(328)  Regolamento (UE) 2019/2019 della Commissione, del 1o ottobre 2019, che stabilisce specifiche per la progettazione ecocompatibile degli apparecchi di refrigerazione a norma della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga il regolamento (CE) n. 643/2009 della Commissione (GU L 315 del 5.12.2019, pag. 187).

(329)  Regolamento (UE) 2019/2021 della Commissione, del 1o ottobre 2019, che stabilisce le specifiche per la progettazione ecocompatibile dei display elettronici in applicazione della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, modifica il regolamento (CE) n. 1275/2008 della Commissione e abroga il regolamento (CE) n. 642/2009 della Commissione (GU L 315 del 5.12.2019, pag. 241).

(330)  https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12797-Progettazione-sostenibile-di-telefoni-cellulari-e-tablet-progettazione-ecocompatibile_it.

(331)  https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12852-Efficienza-energetica-ed-economia-circolare-piano-di-lavoro-sulla-progettazione-ecocompatibile-e-letichettatura-energetica-2020-2024_it.

(332)  https://ec.europa.eu/info/news/focus-improved-eu-energy-label-paving-way-more-innovative-and-energy-efficient-products-2021-lut-16_it.

(333)  https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12567-Iniziativa-per-i-prodotti-sostenibili_it.

(334)  Regolamento (CE) n. 66/2010.

(335)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, «Nuova agenda dei consumatori – Rafforzare la resilienza dei consumatori per una ripresa sostenibile» [COM(2020) 696 final], 13.11.2020.

(336)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Un nuovo piano d'azione per l'economia circolare – Per un'Europa più pulita e più competitiva» [COM(2020) 98 final], 11.3.2020.

(337)  Nel 2015-2016 la Commissione ha istituito un gruppo multilaterale sugli strumenti di confronto, che riunisce rappresentanti del settore, gestori di strumenti di confronto, ONG e autorità nazionali, che ha elaborato principi non vincolanti specificamente mirati ad aiutare i gestori degli strumenti di confronto a conformarsi alla direttiva. Nella definizione di «strumenti di confronto», che deve essere intesa in senso generale, rientrano le funzionalità riguardanti gli strumenti di recensione, i mercati online ecc. Disponibile all'indirizzo: https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/consumer-rights-and-complaints/unfair-treatment/unfair-treatment-policy-information_en#comparison-tools.

(338)  Tribunal de commerce de Paris – Carrefour c/Galaec (la coopérative groupement d'achat des centres Leclerc), 29 marzo 2007.

(339)  Sentenza del 30 marzo 2017, Verband Sozialer Wettbewerb, C-146/16.

(340)  Documento di orientamento sulle pratiche commerciali leali per gli acquisti di gruppo del centro di tutela dei diritti dei consumatori della Lettonia, 1o luglio 2013.

(341)  La stessa relazione di complementarità è prevista nella proposta di legge sui servizi digitali esaminata nella sezione 1.2.8.

(342)  Sentenza del 9 novembre 2016, Sabrina Wathelet, C-149/15.

(343)  Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12).

(344)  Cfr. articolo 14, paragrafo 2, della direttiva sul commercio elettronico.

(345)  Direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2016, sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l'acquisizione, l'utilizzo e la divulgazione illeciti (GU L 157 del 15.6.2016, pag. 1).

(346)  Cfr. considerando 23 della direttiva (UE) 2019/2161 e considerando 27 del regolamento P2B.

(347)  Cfr. considerando 23 della direttiva (UE) 2019/2161.

(348)  Comunicazione della Commissione «Orientamenti sulla trasparenza del posizionamento a norma del regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio» (GU C 424 dell'8.12.2020, pag. 1).

(349)  Comunicato stampa del 18 dicembre 2020: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_2444.

(350)  Cass. Com. 4 décembre 2012, 11-27729, Publicité Sté Pewterpassion.com c/ Sté Leguide.com.

(351)  LG Berlin, 25.08.2011, Az.16 O 418/11.

(352)  Per esempio, il Bundeskartellamt tedesco ha stimato che solo l'1 % dei consumatori pubblica recensioni dopo la propria esperienza di acquisto, cfr. «Konsultationspapier zur Sektoruntersuchung Nutzerbewertungen», punto E 1.2. https://www.bundeskartellamt.de/SharedDocs/Meldung/DE/Pressemitteilungen/2020/18_06_2020_SU_Nutzerbewertungen_Konsultation.html.

(353)  OLG Düsseldorf, 19.2.2013, Az. I – 20 U 55/12.

(354)  Linee guida 8/2020 del comitato europeo per la protezione dei dati sul targeting degli utenti di social media, esempio 8 e punti da 85 a 88: https://edpb.europa.eu/system/files/2021-11/edpb_guidelines_082020_on_the_targeting_of_social_media_users_it_0.pdf.

(355)  Comunicato stampa del 9 aprile 2019: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_19_2048; comunicato stampa del 15 febbraio 2018: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_18_761; comunicato stampa del 17 marzo 2017: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_17_631.

(356)  Un personaggio digitale sotto la responsabilità di un professionista o di una persona che agisce in nome o per conto di un professionista.

(357)  Sentenza del 30 marzo 2017, Verband Sozialer Wettbewerb, C-146/16, punto 31.

(358)  Sentenza del 2 settembre 2021, Peek & Cloppenburg, C-371/20, punti 41 e 42.

(359)  Ibid., punto 43.

(360)  Per esempio, sono stati forniti ulteriori orientamenti in materia di autodisciplina su considerazioni specifiche ed esempi di divulgazione per il marketing di influenza dagli organismi nazionali di autodisciplina nel settore della pubblicità.

(361)  Sentenza del 2 settembre 2021, Peek & Cloppenburg, C-371/20, punti 41, 46 e 47.

(362)  Consiglio per il commercio norvegese, MR-2021-349: Sports Nutrition AS.

(363)  Stockholms Tingsrätt Patent- och marknadsdomstolen, Mål nr PMT 5929-20, 10 dicembre 2020.

(364)  Cfr. anche l'obbligo per le piattaforme per la condivisione di video di cui all'articolo 28 ter, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2010/13/UE (direttiva sui servizi di media audiovisivi).

(365)  Cfr. linee guida 8/2020 del comitato europeo per la protezione dei dati sul targeting degli utenti di social media: https://edpb.europa.eu/system/files/2021-11/edpb_guidelines_082020_on_the_targeting_of_social_media_users_it_0.pdf. Cfr. anche le linee guida del Gruppo di lavoro «Articolo 29» per la protezione dei dati sul processo decisionale automatizzato relativo alle persone fisiche e sulla profilazione ai fini del regolamento (UE) 2016/679, capitolo V su bambini e profilazione: https://ec.europa.eu/newsroom/article29/items/612053.

(366)  L'«effetto default» si riferisce alla tendenza delle persone di attenersi per inerzia alle opzioni assegnate loro in maniera predefinita. L'«errore della scarsità» si riferisce alla tendenza delle persone ad attribuire un maggior valore a ciò che è scarso.

(367)  Per esempio, le caselle preselezionate per il consenso presunto al trattamento dei dati personali sono vietate ai sensi del GDPR. Analogamente, la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche richiede il consenso degli utenti finali all'installazione di marcatori («cookies») e altri identificatori nella loro apparecchiatura terminale, tranne in circostanze molto specifiche. Inoltre, qualora il consenso sia stato fornito, revocarlo deve essere facile quanto lo è stato accordarlo.

(368)  Cfr. anche causa pendente C-102/20 StWL Städtische Werke Lauf a.d. Pegnitz, che probabilmente chiarirà l'applicazione di tale divieto alla pubblicità inserita nella posta elettronica in arrivo.

(369)  Forbrukerrådet, You can log out, but you can never leave, 14 gennaio 2021.

(370)  Direttiva 2006/123/CE.

(371)  Cfr. articolo 23, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1008/2008 recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità.

(372)  Cfr. articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1177/2010 relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne.

(373)  Cfr. articolo 5 del regolamento (UE) 2021/782 relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario.

(374)  Cfr. articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 181/2011 relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus.

(375)  Le pratiche dei professionisti in quest'ambito sono ancora in fase di sviluppo. Uno studio della Commissione del 2018 non ha individuato prove di prezzi costantemente e sistematicamente personalizzati negli Stati membri e nei mercati considerati. Sono state osservate differenze di prezzo tra gli scenari con e senza personalizzazione solo nel 6 % delle situazioni con prodotti identici. Nei casi in cui sono state riscontrate, le differenze di prezzo erano minime: la differenza mediana era inferiore all'1,6 %. Commissione europea, Consumer market study on online market segmentation through personalised pricing/offers in the European Union (EAHC/2013/CP/04), https://ec.europa.eu/info/publications/consumer-market-study-online-market-segmentation-through-personalised-pricing-offers-european-union_it.

(376)  Commissione europea, Study on the impact of marketing through social media, online games and mobile applications on children's behaviour (EACH/FWC/2013/85/08), https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/online_marketing_children_final_report_en.pdf.

(377)  Il considerando 9 della direttiva consente agli Stati membri di disciplinare ulteriormente le pratiche commerciali tra imprese e consumatori che comportano attività legate all'azzardo. Per esempio, le autorità di regolamentazione del gioco d'azzardo di BE, NL e SK hanno ritenuto che alcuni tipi di scatole premio soddisfino le condizioni del gioco d'azzardo.

(378)  Per maggiori informazioni sulle scatole premio, cfr. lo studio del Parlamento europeo Loot boxes in online games and their effect on consumers, in particular young consumers (PE 652.727).

(379)  AGCM, Electronic Arts, bollettino n. 41-20 5 risoluzione del 30 settembre 2020.

(380)  Comunicato stampa dell'18 luglio 2014: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-847_it.htm.

(381)  Regolamento (UE) 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018, recante misure volte a impedire i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell'ambito del mercato interno e che modifica i regolamenti (CE) n. 2006/2004 e (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE (GU L 60 I del 2.3.2018, pag. 1.

(382)  Commissione europea, Domande e risposte sul regolamento sui blocchi geografici (Geo-blocking) nel quadro del commercio elettronico, 22 marzo 2018.

(383)  Cfr. sezione 4.3.2.5 del documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna il documento «Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Relazione finale sull'indagine settoriale sul commercio elettronico» [SWD(2017) 0154 final].

(384)  Comunicato stampa del 20 gennaio 2021: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_21_170.

(385)  Sentenza del 7 settembre 2016, Sony, C-310/15.

(386)  Sentenza del 23 aprile 2009, VTB-VAB, cause riunite C-261/07 e C-299/07, punto 66.

(387)  Ibid., punti da 47a 52.

(388)  Decisione della Commissione, del 16 luglio 2020, che avvia un'indagine di settore sui prodotti e servizi relativi all'internet delle cose per i consumatori ai sensi dell'articolo 17 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio [C(2020) 4754 final]. Cfr. la relazione preliminare pubblicata il 9 giugno 2021, che indica preoccupazioni circa la mancanza di interoperabilità, per esempio riguardo ad alcuni fornitori di assistenza vocale e sistemi operativi: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_21_2884.

(389)  Proposta di regolamento relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale [COM(2020) 842 final].

(390)  Direttiva (UE) 2019/770.

(391)  Il pertinente diritto nel GDPR si applica solo qualora i dati personali siano trattati sulla base del consenso o del contratto e siano trasferiti tra titolari del trattamento differenti. Tuttavia tale diritto non si applicherebbe qualora la trasmissione riguardi il passaggio a versioni differenti del servizio fornito dallo stesso professionista, ossia lo stesso titolare del trattamento ai sensi del GDPR.

(392)  Regolamento (UE) 2018/302. Cfr. anche la posizione della Commissione riguardo all'interrogazione 470/21 del Parlamento europeo: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2021-000470-ASW_EN.html.

(393)  La nozione di «passeggero» non è definita dalle normative settoriali relative ai diritti dei passeggeri ed è pertanto più ampia della nozione di «consumatore» di cui alla direttiva, nel senso che i regolamenti sui diritti dei passeggeri si applicano a tutti i passeggeri, senza alcuna distinzione in merito allo scopo del viaggio. D'altro canto, solo il consumatore dei servizi di trasporto (cfr. articolo 2, lettera a), della direttiva, illustrato nella sezione 4.4.2) è soggetto alla direttiva.

(394)  Articolo 23, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1008/2008 sui servizi aerei.

(395)  1 As 59/2001 – 61, Blue Style s.r.o./Ispettorato del commercio ceco, 22 giugno 2011.

(396)  PS3083, Teorema Tour – Adeguamento costo carburante aereo, 26 agosto 2009.

(397)  OLG Hamm, 6.6.2013, Az. I-4 U 22/13.

(398)  Nella sentenza del 18 settembre 2014 nella causa C-487/12, Vueling Airlines, la Corte ha concluso che in linea di principio i bagagli a mano devono essere considerati un elemento indispensabile del trasporto di passeggeri e che il trasporto di questi non può, conseguentemente, essere sottoposto a un supplemento di prezzo, a condizione che tali bagagli a mano posseggano taluni requisiti ragionevoli, in termini di peso e dimensioni, e soddisfino le prescrizioni applicabili in materia di sicurezza.

(399)  Per quanto riguarda il trasporto aereo, l'articolo 23, paragrafo 1, del regolamento sui servizi aerei prevede che i supplementi di prezzo opzionali siano comunicati in modo chiaro, trasparente e non ambiguo all'inizio di qualsiasi processo di prenotazione e che la loro accettazione da parte del passeggero avvenga sulla base dell'esplicito consenso dell'interessato («opt-in»).

(400)  Tipo di servizio turistico separato previsto solo dalla direttiva (UE) 2015/2302.

(401)  Direttiva 2008/122/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 gennaio 2009, sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio (GU L 33 del 3.2.2009, pag. 10).

(402)  Relazione sulla valutazione della direttiva 2008/122/CE sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio [COM (2015) 0644 final].

(403)  Sentenza del 23 aprile 2020, Ryanair, C-28/19.

(404)  Sentenza del 23 aprile 2020, Ryanair, C-28/19.

(405)  Sentenza del 15 gennaio 2015, Air Berlin, C-573/13.

(406)  Sentenza del 18 settembre 2014, Vueling, C-487/12, punto 36.

(407)  Ibid., punto 40.

(408)  Juzgado de lo Mercantil n. 13 de Madrid – Juicio Verbal (250.2) 678/2019, 24 ottobre 2019. La sentenza si è basata sulla legislazione in materia di clausole contrattuali abusive.

(409)  AGCM, PS10972 — Ryanair, 29 maggio 2018; la direzione generale belga per l'ispezione economica ha emesso un'ingiunzione il 5 ottobre 2017.

(410)  Comunicazione della Commissione, Orientamenti interpretativi relativi ai regolamenti UE sui diritti dei passeggeri nel contesto dell'evolversi della situazione connessa al COVID-19 [C(2020) 1830 final] (GU C 89 I del 18.3.2020, pag. 1); raccomandazione (UE) 2020/648 della Commissione, del 13 maggio 2020, relativa ai buoni offerti a passeggeri e viaggiatori come alternativa al rimborso per pacchetti turistici e servizi di trasporto annullati nel contesto della pandemia di Covid-19 (GU L 151 del 14.5.2020, pag. 10).

(411)  Cfr. anche la relazione speciale n. 15/2021 della Corte dei conti europea dal titolo «I diritti dei passeggeri del trasporto aereo durante la pandemia di COVID-19»: https://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/SR21_15/SR_passenger-rights_covid_IT.pdf.

(412)  AGCM, PS11865-PS11830-PS11821 — Ryanair, easyJet, Volotea, 24 maggio 2021, https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2021/5/PS11865-PS11830-PS11821-.

(413)  Comunicato stampa del 28 giugno 2021: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/mex_21_3283.

(414)  AGCM, PS11076 — Blue Panorama Airlines, 31 maggio 2019, https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2019/5/Blue-Panorama-Airlines-sanzione-da-un-milione-di-euro.

(415)  Comunicato stampa del 19 gennaio 2017: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_17_86. Cfr. anche il comunicato stampa sul seguito del 25 marzo 2019: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_19_1790.

(416)  Uno studio della Commissione del 2020 ha esaminato i modelli aziendali dei siti di prenotazione di viaggi, in particolare le loro pratiche pubblicitarie e di marketing e l'impatto decisionale di tali pratiche sul processo decisionale dei consumatori. Commissione europea, Studio comportamentale sulle pratiche pubblicitarie e di marketing nei siti di prenotazione di viaggi e nelle app, 11 agosto 2020, https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/d79a2522-ddd4-11ea-adf7-01aa75ed71a1.

(417)  Comunicato stampa dell'11 luglio 2019: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_19_3990; posizione comune delle autorità CPC: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/final_common_position_on_airbnb_ireland_4.6.2018_en_002.pdf.

(418)  https://ec.europa.eu/consumers/odr.

(419)  Comunicato stampa del 18 dicembre 2020: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_2444.

(420)  Cfr. sezione 3.4.3 della relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo, Prima relazione sull'applicazione della direttiva 2005/29/CE («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») [COM (2013) 0139 final].

(421)  Sentenza del 18 luglio 2013, Citroën Belux NV/Federatie voor Verzekerings- en Financiële Tussenpersonen (FvF), C-265/12, punti da 19 a 23.

(422)  Ibid., punto 25.

(423)  Commissione europea, Study on the application of the Unfair Commercial Practices Directive to financial services and immovable property (2011), https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/5550d564-65af-47c8-b7e4-a44020ad4a78.

(424)  Per esempio, riguardo ai servizi finanziari, specifici obblighi di informazione nel settore bancario (come per la concessione di un credito garantito da terzi in Germania o l'annuncio pubblicitario di servizi di cambio valuta in Spagna), dei servizi di investimento, delle assicurazioni, degli intermediari finanziari. Riguardo ai beni immobili, gli obblighi di informazione legati all'acquisto di un bene, l'operazione commerciale in sé, l'agente immobiliare e i contratti di costruzione.

(425)  Per es. il divieto di chiamate telefoniche indesiderate («cold calling»), di invio di messaggi elettronici non richiesti, di vendita porta a porta di crediti ipotecari e il divieto imposto agli agenti immobiliari di trattenere denaro senza motivo previsto dalla legge in Austria, il divieto di vendita porta a porta di crediti personali nei Paesi Bassi, il divieto di offerte congiunte in Belgio e in Francia.

(426)  Per es. il divieto di crediti usurari nella maggior parte degli Stati membri, il divieto in Francia di pubblicizzare la possibilità di ottenere un prestito senza l'obbligo per il consumatore di documentare la propria situazione finanziaria, o il divieto in Austria di emettere carte di debito intestate a minori senza il previo consenso del loro rappresentante legale.

(427)  Per es. in Danimarca, il divieto per le banche di finanziare l'acquisto, da parte dei loro clienti, di azioni del capitale proprio; in Francia, il divieto per le banche di impedire ai propri clienti di rivolgersi a un assicuratore del credito diverso da quello della banca stessa quando il livello della garanzia offerta è analogo.

(428)  Per quanto riguarda le ipoteche, la direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori (la direttiva sul credito ipotecario, «MCD») ha introdotto norme specifiche riguardanti il comportamento da rispettare quando si concedono crediti ai consumatori (articolo 7 dell'MCD) e le pratiche di commercializzazione abbinata e aggregata da parte dei creditori (articolo 12 dell'MCD).

(429)  Per le ipoteche, cfr. anche le norme specifiche della direttiva sul credito ipotecario (direttiva 2014/17/UE) riguardanti il comportamento da rispettare quando si concedono crediti ai consumatori (articolo 7 dell'MCD) e gli standard in materia di servizi di consulenza (articolo 22 dell'MCD) e gli orientamenti dell'ABE sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio all'indirizzo: https://www.eba.europa.eu/sites/default/documents/files/documents/10180/1412678/4a6942fc-a9c6-481a-afe8-885ecd2f3255/EBA-GL-2015-18%20Guidelines%20on%20product%20oversight%20and%20Governance_IT.pdf.

(430)  Per i servizi finanziari al dettaglio cfr. anche la relazione dell'ABE sulle tendenze dei consumatori disponibile all'indirizzo https://www.eba.europa.eu/eba-assesses-consumer-trends-20202021 e la valutazione della Commissione della direttiva sul credito ipotecario disponibile all'indirizzo https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/e4a1db26-2f94-11eb-b27b-01aa75ed71a1.

(431)  COM(2013) 139 final, sezione 3.4.3.

(432)  Nel 2021 le autorità di cooperazione per la tutela dei consumatori (CPC) e la Commissione hanno svolto un controllo coordinato di 118 siti internet che pubblicizzavano oppure offrivano direttamente contratti di credito al consumo online. Nel 45 % dei siti segnalati per ulteriori accertamenti era stata individuata una possibile violazione della direttiva da parte del sito. https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/consumer-rights-and-complaints/enforcement-consumer-protection/sweeps_it#2021-mini-sweep-on-consumer-credit.

(433)  Direttiva 2014/17/UE (direttiva sul credito ipotecario).

(434)  Cfr., per esempio, la sentenza nella causa C-415/11, Aziz, punto 61, e la sentenza nella causa C-34/13, Kusionova, punto 64.

(435)  L'articolo 12 della direttiva sul credito ipotecario vieta le pratiche di commercializzazione abbinata. Inoltre alcuni atti legislativi recenti dell'UE contengono disposizioni specifiche sulle pratiche di vendita abbinata riguardanti i conti di pagamento (cfr. articolo 8 della direttiva 2014/92/UE sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base) e i servizi di investimento (cfr. articolo 24, paragrafo 11, della direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari). Inoltre la direttiva sulla distribuzione assicurativa (direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa (GU L 26 del 2.2.2016, pag. 19)) contiene disposizioni sulla vendita a distanza.

(436)  Direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE (GU L 271 del 9.10.2002, pag. 16).

(437)  Articolo 2, lettera b), della direttiva 2002/65/CE concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori.

(438)  Regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta (GU L 123 del 19.5.2015, pag. 1).

(439)  In caso di prestiti in valuta estera, l'articolo 23 della direttiva sul credito ipotecario (direttiva 2014/17/UE) prevede norme specifiche volte a limitare il rischio di cambio a carico dei consumatori.

(440)  La direttiva 2014/92/UE sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull'accesso al conto di pagamento istituisce una procedura specifica che i prestatori di servizi di pagamento devono seguire (articolo 10) e impone a questi ultimi di mettere a disposizione dei consumatori informazioni riguardanti il servizio di trasferimento (articolo 14).

(441)  Sullo stesso argomento, cfr. lo studio FISMA, Study on switching of financial services and products, disponibile all'indirizzo https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/a11e1d38-2562-11eb-9d7e-01aa75ed71a1/language-it.

(442)  Ministero dello Sviluppo, direzione generale per i consumatori, direzione per la tutela dei consumatori, ammenda ammontante a 1 milione di EUR inflitta alla società Citibank PLC, Atene, il 27 marzo 2009.


ALLEGATO

Elenco dei procedimenti giudiziari citati nella presente comunicazione

(ordinati in base all'anno della sentenza)

Numero e nome della causa

Merito

Punto/i nella comunicazione

2009

Cause riunite C-261/07 Total Belgium e C-299/07 Galatea BVBA

Il carattere di armonizzazione completa della direttiva osta a una normativa nazionale che preveda un divieto di qualsiasi offerta congiunta, anche se tale normativa nazionale offre un livello più elevato di tutela dei consumatori.

Gli Stati membri possono prevedere un divieto generale, senza tener conto delle circostanze specifiche del caso di specie, solo riguardo alle pratiche elencate nell' allegato I della direttiva.

1.1. Ambito di applicazione materiale

2010

C-304/08 Plus Warenhandelsgesellschaft

La direttiva ha un vasto ambito di applicazione materiale, tra cui la legislazione nazionale volta a limitare le pratiche anticoncorrenziali che hanno un impatto anche sui consumatori.

La direttiva osta a un divieto generale delle pratiche commerciali che subordinano la partecipazione dei consumatori ad un concorso o gioco a premi all'acquisto di una merce o di un servizio, poiché tali pratiche non sono contemplate dall'allegato I della direttiva.

1.1. Ambito di applicazione materiale

C-540/08 Mediaprint

La direttiva osta a un divieto generale nazionale di vendite accompagnate da premi che miri ad assicurare la tutela dei consumatori e persegua anche altri obiettivi.

1.1. Ambito di applicazione materiale

C-522/08 Telekom Polska

La direttiva osta a una normativa nazionale che, salvo talune eccezioni e senza tener conto delle circostanze specifiche del caso di specie, vieti qualsiasi offerta congiunta del venditore al consumatore.

Ciò vale anche quando tale normativa nazionale è autorizzata ai sensi della direttiva quadro e della direttiva sul servizio universale.

1.1. Ambito di applicazione materiale

2011

C-122/10 Ving Sverige

Affinché una comunicazione commerciale possa essere qualificata come invito all'acquisto, non è necessario che essa offra un mezzo concreto di acquisto oppure che avvenga in prossimità o in occasione di un tale mezzo.

L'uso di «prezzi di partenza» non è contrario alla direttiva quando il prezzo finale «non può ragionevolmente essere calcolato in anticipo».

La portata delle informazioni relative alle caratteristiche principali di un prodotto, che un professionista è tenuto a comunicare nell'ambito di un invito all'acquisto, dev'essere valutata a seconda del contesto di tale invito, della natura e delle caratteristiche del prodotto nonché del supporto impiegato per la comunicazione.

2.9.4. La fattispecie concreta e i limiti del mezzo di comunicazione impiegato

2.9.5. Informazioni rilevanti negli inviti all'acquisto — Articolo 7, paragrafo 4

C-288/10 Wamo

Le norme nazionali che vietano le riduzioni di prezzi durante i periodi precedenti ai saldi non sono compatibili con la direttiva nella misura in cui mirano a tutelare gli interessi economici dei consumatori.

1.1. Ambito di applicazione materiale

C-126/11 Inno

Una disposizione nazionale è esclusa dall'ambito di applicazione della direttiva se, come sostenuto dal giudice del rinvio, mira unicamente a disciplinare le relazioni fra concorrenti e non persegue finalità attinenti alla tutela dei consumatori.

1.1. Ambito di applicazione materiale

2012

C-428/11 Purely Creative

L'allegato I, punto 31), vieta qualsiasi pratica che obblighi il consumatore a versare denaro o a sostenere costi per reclamare un premio.

Tali pratiche sono vietate anche se il consumatore ha a disposizione più modalità per ottenere il premio, alcune delle quali sono gratuite.

Il costo richiesto per reclamare il premio è irrilevante: tale pratica è infatti elencata nell'allegato I e pertanto l'intento della direttiva è evitare valutazioni difficili delle circostanze specifiche di ciascun caso, alle quali sarebbe necessario procedere se il valore del premio dovesse essere confrontato con il costo sostenuto dal consumatore per reclamarlo.

3.8. Premi — Punto 31

C-C-559/11 Pelckmans Turnhout

Un divieto nazionale di apertura degli esercizi commerciali sette giorni su sette è stato considerato mirare unicamente alla tutela degli interessi dei lavoratori e dei dipendenti nel settore della distribuzione e non alla protezione dei consumatori.

1.1. Ambito di applicazione materiale

C-453/10 Pereničová e Perenič

Le informazioni erronee fornite nelle clausole contrattuali sono «ingannevoli», ai sensi della direttiva, qualora inducano, o siano idonee a indurre, il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

1.2.4. Interazione con la direttiva sulle clausole contrattuali abusive

2013

C-206/11 Köck

Una normativa nazionale che consente l'annuncio di una vendita di liquidazione soltanto se è autorizzata dall'autorità amministrativa competente è stata considerata finalizzata alla tutela dei consumatori e non esclusivamente a quella dei concorrenti e degli altri operatori del mercato.

1.1. Ambito di applicazione materiale

C-435/11 CHS Tour Services

Se una pratica commerciale soddisfa tutti i criteri di cui all'articolo 6, paragrafo 1, per essere considerata ingannevole nei confronti del consumatore, non è necessario verificare se sia anche contraria alle norme di diligenza professionale di cui all'articolo 5, paragrafo 2, lettera a).

2.7. Articolo 5 — Diligenza professionale

C-59/12 BKK Mobil Oil

Un organismo di diritto pubblico incaricato di una missione di interesse generale, quale la gestione di un regime legale di assicurazione malattia, può essere qualificato come «professionista».

2.2. La nozione di professionista

C-265/12 Citroën Belux

Gli Stati membri possono prevedere un divieto generale delle offerte congiunte proposte al consumatore se almeno un elemento di tali offerte è costituito da un servizio finanziario.

4.4. Servizi finanziari e beni immobili

C-281/12 Trento Sviluppo

Confermata l'interpretazione generale: la definizione di «decisione di natura commerciale» comprende non soltanto la decisione di acquistare o meno un prodotto, ma anche le decisioni che presentano un nesso diretto con quest'ultima, in particolare la decisione di entrare nel negozio.

2.4. Criterio della decisione di natura commerciale

C-391/12 RLvS

Laddove le pratiche commerciali di un operatore siano svolte da un'altra impresa, che agisce in nome e/o per conto di tale operatore, la direttiva potrebbe, in talune situazioni, essere opponibile sia a detto operatore sia all'impresa, quando l'uno e l'altra rispondano alla definizione di «professionista».

La direttiva, in particolare l'allegato I, punto 11), non può essere invocata nei confronti degli editori. La direttiva non osta pertanto all'applicazione di una disposizione nazionale a termini della quale tali editori sono tenuti ad apporre una dicitura specifica, nella specie il termine «annuncio», sulle pubblicazioni nei loro periodici per le quali essi percepiscono un corrispettivo, a meno che la collocazione o la struttura della pubblicazione non consenta, in linea generale, di riconoscerne il carattere pubblicitario.

2.2. La nozione di professionista

2.3. La nozione di pratica commerciale

C-343/12 Euronics

La direttiva osta a una disposizione nazionale che mira a vietare le vendite sottocosto solo nei limiti in cui tale disposizione persegue anche finalità attinenti alla tutela dei consumatori.

1.1. Ambito di applicazione materiale

2014

C-421/12 Commissione europea/Regno del Belgio

Una normativa nazionale che vieta in linea generale pratiche non presenti nell'allegato I, senza procedere a un'analisi individuale del carattere «sleale» delle stesse alla luce dei criteri enunciati agli articoli da 5 a 9 della direttiva, è in contrasto con l'articolo 4 della stessa e si oppone all'obiettivo di armonizzazione completa perseguito da detta direttiva.

Promozioni concernenti i prezzi e carattere di armonizzazione completa alla luce della direttiva sull'indicazione dei prezzi.

L'omissione da parte di un professionista di informazioni prescritte da disposizioni nazionali consentite dalle clausole minime previste dai vigenti strumenti giuridici dell'Unione non si qualifica come omissione di informazioni rilevanti e pertanto non costituisce un'omissione ingannevole ai sensi della direttiva.

1.2.5. Interazione con la direttiva sull'indicazione dei prezzi

C-515/12 «4finance» UAB/Ministero delle finanze lituano

Un sistema di promozione a carattere piramidale costituisce una pratica commerciale sleale in tutte le circostanze unicamente quando esso richiede al consumatore un contributo finanziario, a prescindere dal suo importo, in cambio della possibilità da parte di quest'ultimo di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall'entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti.

3.2. Sistemi piramidali — Punto 14

2015

C-388/13 UPC

Né le definizioni fornite agli articoli 2, lettere c) e d), 3, paragrafo 1, nonché 6, paragrafo 1, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali né quest'ultima, considerata nel suo insieme, contengono indizi secondo cui l'azione o l'omissione da parte del professionista dovrebbe presentare carattere reiterato o riguardare più di un consumatore.

2.3. La nozione di pratica commerciale

C-13/15 Cdiscount

Spetta alle autorità e agli organi giurisdizionali nazionali decidere se una disposizione nazionale sia diretta alla tutela degli interessi dei consumatori.

1.1. Ambito di applicazione materiale

Cause riunite C-544/13 e C-545/13 Abcur

Anche se a una determinata serie di circostanze si applicano altre normative dell'UE, l'applicazione della direttiva non è esclusa.

Anche nell'ipotesi in cui medicinali ad uso umano, come quelli oggetto dei procedimenti principali, ricadessero nella sfera di applicazione della direttiva 2001/83/CE, pratiche pubblicitarie relative a tali medicinali, come quelle indicate nelle controversie principali, sarebbero parimenti suscettibili di ricadere nella sfera della direttiva 2005/29/CE, sempreché ricorrano le condizioni ai fini dell'applicazione della direttiva medesima.

1.2.1. Relazione con altre normative dell'UE

2016

C-310/15 Sony

La vendita di un computer senza che vi sia la possibilità, per il consumatore, di ottenere lo stesso modello di computer sprovvisto di programmi informatici preinstallati non costituisce, in quanto tale, una pratica commerciale sleale ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva, salvo il caso in cui la pratica sia contraria alle norme di diligenza professionale e alteri o sia idonea ad alterare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio in relazione al prodotto.

La mancata indicazione del prezzo di ciascuno dei programmi informatici preinstallati nel computer non costituisce una pratica commerciale ingannevole ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 4, lettera a), e dell'articolo 7 della direttiva.

4.2.11. Dipendenza dei consumatori

C-476/14 Citroën

In caso di contrasto tra la direttiva e le altre norme dell'Unione che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici. La direttiva 98/6/CE sull'indicazione dei prezzi prevale poiché disciplina aspetti specifici riguardanti l'indicazione, nelle offerte di vendita e nella pubblicità, del prezzo di vendita dei prodotti.

1.2.5. Interazione con la direttiva sull'indicazione dei prezzi

C-611/14 Canal Digital Danmark

La valutazione di un'omissione ingannevole di cui all' articolo 7, paragrafi 1 e 3, della direttiva deve tenere conto dei criteri riguardanti il contesto nel quale si inserisce la pratica di cui trattasi, anche qualora tale requisito non figuri nella formulazione della normativa nazionale, ma solo nei lavori preparatori.

L'articolo 7, paragrafo 4, contiene un elenco esaustivo delle informazioni rilevanti che devono comparire in un invito all'acquisto. Il fatto che un professionista fornisca tutte le suddette informazioni non esclude che tale invito possa essere qualificato come pratica ingannevole, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, o dell'articolo 7, paragrafo 2.

Quando un professionista indica il prezzo di un abbonamento in modo tale che il consumatore debba pagare sia un forfait mensile che un forfait semestrale, tale pratica dev'essere considerata un'omissione ingannevole ai sensi dell'articolo 7 nel caso in cui il prezzo del forfait mensile sia messo in particolare evidenza nella pubblicità, mentre quello del forfait semestrale è completamente omesso o è presentato in maniera meno evidente, se tale omissione induce il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Quando un professionista suddivide il prezzo di un prodotto in più elementi e mette in evidenza uno di essi, tale pratica dev'essere qualificata come un'azione ingannevole ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, qualora tale pratica possa dare al consumatore medio l'impressione erronea che gli venga proposto un prezzo vantaggioso e indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. I vincoli temporali ai quali possono essere soggetti taluni mezzi di comunicazione, come gli spot pubblicitari televisivi, non possono essere presi in considerazione.

2.8.2. Vantaggi di prezzo

2.9.4. La fattispecie concreta e i limiti del mezzo di comunicazione impiegato

2.9.5. Informazioni rilevanti negli inviti all'acquisto — Articolo 7, paragrafo 4

C-667/15 Loterie Nationale

Qualificare una pratica commerciale come «sistema di promozione a carattere piramidale» ai sensi dell' allegato I, punto 14), anche nell'ipotesi in cui sussiste solo un legame indiretto tra le partecipazioni versate da nuovi aderenti a tale sistema e i corrispettivi percepiti dagli aderenti già presenti.

3.2. Sistemi piramidali — Punto 14

C-149/15 Wathelet

Un intermediario può qualificarsi come «venditore» se non ha debitamente informato il consumatore acquirente che il venditore dei beni è un'altra persona e in tal modo ha dato l'impressione di essere il venditore. La causa ha per oggetto la direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, ma le conclusioni della Corte hanno una più ampia rilevanza per i rapporti contrattuali.

4.2.2. Intermediazione dei contratti conclusi tra consumatori e terzi

2017

C-562/15 Carrefour

Una pubblicità che confronti i prezzi applicati nei negozi di dimensioni o tipologia superiori della propria insegna con quelli rilevati in negozi di dimensioni o tipologia inferiori delle insegne concorrenti (per es. ipermercati e supermercati) potrebbe essere illecita ai sensi dell'articolo 4, lettere a) e c), della direttiva 2006/114, in combinato disposto con l'articolo 7, paragrafi da 1 a 3, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, a meno che i consumatori non siano informati, in modo chiaro e dal messaggio pubblicitario stesso, che il raffronto è stato effettuato fra i prezzi applicati nei negozi di dimensioni o tipologia superiori dell'insegna dell'operatore pubblicitario e quelli rilevati in negozi di dimensioni o tipologia inferiori delle insegne concorrenti.

1.2.6. Interazione con la direttiva sulla pubblicità ingannevole e comparativa

C-146/16 Verband Sozialer Wettbewerb

La direttiva è applicabile a una pubblicità diffusa da una piattaforma, nella quale si mostrano diversi prodotti che non sono forniti dalla piattaforma stessa ma da venditori terzi attraverso la piattaforma.

La pubblicità deve essere valutata per verificare se sono state fornite tutte le informazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, tenendo conto al contempo delle restrizioni in termini di spazio e delle circostanze specifiche del caso. Nel contesto delle pubblicità diffuse dalle piattaforme online con un elevato numero di possibilità di acquisto presso diversi professionisti, possono esservi restrizioni in termini di spazio ai sensi dell' articolo 7, paragrafo 3, della direttiva che potrebbero giustificare l'omissione dell'indirizzo geografico e dell'identità di ciascun professionista. Tali informazioni devono tuttavia essere comunicate semplicemente e rapidamente, a livello della piattaforma.

2.9.5. Informazioni rilevanti negli inviti all'acquisto — Articolo 7, paragrafo 4

4.2.1. Le piattaforme online e le loro pratiche commerciali

4.2.6. Marketing di influenza

C-339/15 Luc Vanderborght

La direttiva non osta a una disposizione nazionale che tutela la sanità pubblica e la dignità della professione di dentista, da un lato, vietando in modo generale e assoluto ogni tipo di pubblicità relativa a prestazioni di cura del cavo orale e dei denti e, dall'altro, fissando alcuni requisiti di discrezione per quanto concerne le insegne degli studi dentistici.

1.1. Ambito di applicazione materiale

C-357/16 Gelvora

Le pratiche di recupero dei crediti rientrano nell'ambito di applicazione materiale della direttiva.

2.3.1. Pratiche post-vendita, comprese le attività di recupero dei crediti

C-295/16 Europamur Alimentación

La direttiva sulle pratiche commerciali sleali osta a disposizioni nazionali che contengano un divieto generale di proporre in vendita o di vendere prodotti sottocosto e che prevedano motivi di deroga a tale divieto basati su criteri che non figurano nella direttiva.

1.1. Ambito di applicazione materiale

2018

C-632/16 Dyson/BSH

La mancanza di informazioni, che non sono previste dalla normativa settoriale, sulle condizioni della prova che hanno determinato la classificazione energetica indicata sull'etichetta relativa alla classe energetica degli aspirapolvere non costituisce un'omissione ingannevole.

1.2.1. Relazione con altre normative dell'UE

C-54/17 e C-55/17 Wind tre, Vodafone

La vendita di carte SIM con servizi preimpostati e preattivati senza informare adeguatamente i consumatori su tali servizi e sui loro costi potrebbe costituire una pratica aggressiva vietata di fornitura non richiesta ai sensi dell'allegato I, punto 29).

Ai fini della valutazione, è irrilevante se l'utilizzo dei servizi abbia richiesto un'azione consapevole da parte del consumatore o se il consumatore abbia avuto la possibilità di disattivare i servizi, poiché in assenza di informazioni adeguate una siffatta azione non può essere considerata come l'esercizio della libera scelta in relazione ai servizi.

2.10. Articoli 8 e 9 — Pratiche commerciali aggressive

C-105/17 Kamenova

Una persona che pubblica su un sito internet otto annunci per la vendita di beni nuovi e d'occasione non è necessariamente un «professionista». La qualificazione deve tenere conto di vari criteri non esaustivi elencati nella causa.

2.2. La nozione di professionista

C-109/17 Bankia

L'articolo 11 non osta a una normativa nazionale che vieta al giudice del procedimento di esecuzione ipotecaria di controllare, d'ufficio o su istanza di parte, la validità del titolo esecutivo sotto il profilo dell'esistenza di pratiche commerciali sleali e che, in ogni caso, vieta al giudice competente a deliberare nel merito sull'esistenza di tali pratiche di adottare provvedimenti provvisori, come la sospensione del procedimento di esecuzione ipotecaria.

L'articolo 11 non osta a una normativa nazionale che non conferisce carattere giuridicamente vincolante a un codice di condotta come quelli indicati all'articolo 10.

1.2.4. Interazione con la direttiva sulle clausole contrattuali abusive

2.8.4. Inosservanza dei codici di condotta

2019

C-628/17 Orange Polska

La sottoscrizione di un contratto in presenza di un corriere non può essere considerata in ogni caso come pratica aggressiva mediante indebito condizionamento ai sensi degli articoli 8 e 9. Occorre tenere conto del comportamento del professionista nel caso specifico, che ha l'effetto di esercitare una pressione sul consumatore in modo da limitare considerevolmente la sua libertà di scelta, e che risulta importuno per il consumatore o perturba la sua riflessione sulla decisione di natura commerciale da assumere.

Il fatto che al consumatore non sia stata data la possibilità di leggere in anticipo le clausole contrattuali standardizzate non è di per sé indicativo di una pratica aggressiva. Tuttavia potrebbe essere aggressiva se combinata con l'affermazione che qualsiasi ritardo nella sottoscrizione del contratto o dell'addendum comporterebbe la possibilità che la stipulazione del contratto o dell'addendum in un momento successivo avvenga unicamente a condizioni meno favorevoli, o il fatto che il consumatore rischi di dover versare penali contrattuali o subire, nell'ipotesi di modifica del contratto, una sospensione della fornitura del servizio del professionista, o qualora il corriere informi il consumatore che potrebbe ricevere una valutazione negativa da parte del suo datore di lavoro in caso di mancata sottoscrizione o di ritardo nella sottoscrizione.

2.10. Articoli 8 e 9 — Pratiche commerciali aggressive

C-393/17 Kirschstein

Esiste una differenza tra le pratiche di un professionista che sono strettamente connesse alla promozione, vendita o fornitura di prodotti ai consumatori e le pratiche che riguardano il prodotto stesso (per es. autorizzazione di prestatori abilitati a rilasciare gradi universitari).

Una norma nazionale volta a determinare l'operatore che è autorizzato a fornire un servizio oggetto di una transazione commerciale, senza disciplinare direttamente le pratiche che tale operatore può in seguito attuare per promuovere o smaltire le vendite di tale servizio, non può essere considerata come riferita a una pratica commerciale in relazione diretta con la fornitura di detto servizio, ai sensi della direttiva.

2.3. La nozione di pratica commerciale

Cause riunite C-708/17 e C-725/17 EVN Bulgaria Toplofikatsia

La direttiva sui diritti dei consumatori e la direttiva sulle pratiche commerciali sleali non ostano ad una normativa nazionale per effetto della quale i proprietari di un appartamento in un immobile in condominio allacciato ad una rete di teledistribuzione di calore sono tenuti a contribuire ai costi di consumo d'energia termica delle parti comuni e dell'impianto interno dell'immobile, sebbene non abbiano fatto richiesta individuale di fornitura del riscaldamento e non l'utilizzino nel loro appartamento.

1.2.3. Interazione con la direttiva sui diritti dei consumatori

2020

C-393/19 Mezina

In caso di conflitto tra le disposizioni del regolamento n. 1924/2006 e la direttiva 2005/29/CE, le disposizioni di tale regolamento prevalgono e trovano applicazione alle pratiche commerciali sleali in materia di indicazioni sulla salute.

1.2.2. Informazioni qualificate come «rilevanti» da altre normative dell'UE

2021

C-922/19 Waternet

La direttiva sui diritti dei consumatori e la direttiva sulle pratiche commerciali sleali non disciplinano la formazione dei contratti, sicché spetta al giudice del rinvio valutare, conformemente alla normativa nazionale, se un contratto possa essere considerato concluso tra una società di distribuzione di acqua e un consumatore in mancanza di un consenso espresso di quest'ultimo.

La nozione di «fornitura non richiesta» di cui all' allegato I, punto 29), della direttiva 2005/29/CE non comprende una pratica commerciale di una società di distribuzione di acqua potabile consistente nel mantenere l'allaccio alla rete pubblica di distribuzione di acqua in caso di trasferimento di un consumatore in un'abitazione precedentemente occupata, allorché tale consumatore non ha la possibilità di scegliere il fornitore di tale servizio, quest'ultimo fattura tariffe a copertura dei costi, trasparenti e non discriminatorie, in funzione del consumo di acqua e detto consumatore è a conoscenza del fatto che l'abitazione di cui trattasi è allacciata alla rete pubblica di distribuzione di acqua e che la fornitura di acqua è a pagamento.

1.2.3. Interazione con la direttiva sui diritti dei consumatori 2.10. Articoli 8 e 9 — Pratiche commerciali aggressive

C-371/20 Peek & Cloppenburg

L'allegato I, punto 11), deve essere interpretato nel senso che i costi per la promozione di un prodotto tramite la pubblicazione di un contenuto redazionale sono «sostenuti» da un professionista quando per tale pubblicazione detto professionista fornisce una contropartita avente valore patrimoniale, vuoi sotto forma di versamento di una somma di denaro vuoi in qualsiasi altra forma, qualora sussista un collegamento certo tra i costi in tal modo sostenuti da detto professionista e tale pubblicazione. È quanto accade, in particolare, nel caso della messa a disposizione gratuita da parte del medesimo professionista di immagini protette da diritti di utilizzo, sulle quali sono visibili i locali commerciali e taluni prodotti dallo stesso commercializzati.

4.2.5. Marketing di influenza


29.12.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 526/130


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE —

Orientamenti sull’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 6 bis della direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori

(Testo rilevante ai fini del SEE)

(2021/C 526/02)

INDICE

INTRODUZIONE 131

1.

AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 6 BIS 132

1.1.

Significato di «annuncio di riduzione di un prezzo» 132

1.2.

Commercianti interessanti 133

2.

Indicazione del prezzo «precedente» 134

2.1.

Norme generali 134

2.2.

Indicazione del «prezzo precedente» nel caso di annunci generali di riduzione dei prezzi 135

2.3.

Programmi di fedeltà e riduzioni personalizzate dei prezzi 136

3.

INTERAZIONE CON LA DIRETTIVA SULLE PRATICHE COMMERCIALI SLEALI 137

4.

SCELTE NORMATIVE 138

4.1.

Beni deperibili 138

4.2.

Beni di recente immissione sul mercato 139

4.3.

Riduzioni progressive del prezzo 139

INTRODUZIONE

La direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (1) («direttiva sull’indicazione dei prezzi») mira a permettere ai consumatori di valutare e raffrontare agevolmente il prezzo dei prodotti sulla base di informazioni omogenee e trasparenti. In questo modo i consumatori possono effettuare scelte più consapevoli (2).

A norma della direttiva sull’indicazione dei prezzi, i commercianti (denominati anche «professionisti») sono tenuti a indicare il prezzo di vendita e il prezzo per unità di misura (ossia il prezzo per un chilogrammo, un litro o una singola unità di quantità diversa impiegata generalmente e abitualmente nello Stato membro interessato) in modo tale che siano «non equivoci, agevolmente identificabili e facilmente leggibili». La direttiva sull’indicazione dei prezzi è stata modificata dalla direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio (3), che ha introdotto norme specifiche (articolo 6 bis) per gli annunci di riduzione di prezzo. La direttiva (UE) 2019/2161 diverrà applicabile in tutta l’UE a decorrere dal 28 maggio 2022.

Il nuovo articolo 6 bis affronta la questione della trasparenza delle riduzioni di prezzo (4) introducendo norme specifiche per garantirne la genuinità. Tale articolo mira a impedire ai professionisti di gonfiare artificiosamente il prezzo di riferimento e/o di indurre in errore i consumatori riguardo all’entità dello sconto. Esso accresce la trasparenza e garantisce che, quando è annunciata una riduzione di prezzo, il prezzo pagato dai consumatori sia effettivamente inferiore. La nuova disposizione in materia di riduzione di prezzo consente inoltre alle autorità responsabili di far rispettare la legge e alle autorità di vigilanza di controllare più agevolmente l’equità della riduzione, in quanto stabilisce norme chiare sul prezzo «precedente» di riferimento su cui si deve basare la riduzione annunciata.

Lo scopo della presente comunicazione è di fornire orientamenti sulle modalità di interpretazione e applicazione di tali nuove disposizioni relative agli annunci di riduzione di prezzo. Al fine di garantire la certezza del diritto e di agevolare l’applicazione delle norme, la presente comunicazione si focalizza sulle questioni comuni a tutti gli Stati membri, compresa l’interazione tra la direttiva sull’indicazione dei prezzi e altri atti della legislazione dell’UE.

La comunicazione non esamina l’applicazione della direttiva nei singoli Stati membri, comprese le decisioni degli organi giurisdizionali nazionali e di altri organi competenti. In aggiunta alle diverse fonti di informazione disponibili negli Stati membri, le informazioni riguardanti le disposizioni nazionali di recepimento della direttiva sull’indicazione dei prezzi, la giurisprudenza e la dottrina sono reperibili nella banca dati sul diritto dei consumatori accessibile tramite il portale e-Justice (5).

Ove non diversamente specificato, gli articoli citati nella presente comunicazione sono quelli della direttiva sull’indicazione dei prezzi, come successivamente e modificata da ultimo dalla direttiva (UE) 2019/2161. La messa in risalto di parti delle citazioni del testo della direttiva è opera della Commissione.

La presente comunicazione è rivolta agli Stati membri dell’UE e all’Islanda, al Liechtenstein e alla Norvegia, in qualità di firmatari dell’accordo sullo Spazio economico europeo (6) (SEE). I riferimenti all’UE, all’Unione o al mercato unico sono pertanto da intendersi come riferimenti al SEE o al mercato del SEE.

La presente comunicazione intende essere un mero documento di orientamento: soltanto gli atti legislativi dell’Unione hanno forza giuridica. L’interpretazione autentica della normativa deve discendere dal testo della direttiva e direttamente dalle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea («Corte»). La presente comunicazione tiene conto delle sentenze della Corte pubblicate fino all’ottobre 2021 e non pregiudica ulteriori sviluppi della giurisprudenza della Corte.

I pareri espressi nella presente comunicazione non pregiudicano la posizione che la Commissione europea potrebbe assumere dinanzi alla Corte. Le informazioni contenute nella presente comunicazione hanno carattere generale e non si rivolgono a particolari individui od organismi. Né la Commissione europea né qualunque persona che agisca a suo nome è responsabile del possibile uso delle informazioni che seguono.

Poiché la presente comunicazione riflette la situazione al momento della sua stesura, gli orientamenti proposti potranno essere successivamente modificati.

1.   AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 6 BIS

Articolo 6 bis

1.

Ogni annuncio di riduzione di un prezzo deve indicare il prezzo precedente applicato dal professionista per un determinato periodo di tempo prima dell’applicazione di tale riduzione.

2.

Per prezzo precedente si intende il prezzo più basso applicato dal professionista durante un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni prima dell’applicazione della riduzione del prezzo.

3.

Gli Stati membri possono stabilire norme diverse per i beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente.

4.

Se il prodotto è sul mercato da meno di trenta giorni, gli Stati membri possono anche stabilire un periodo di tempo inferiore a quello di cui al paragrafo 2.

5.

Gli Stati membri possono stabilire che, nei casi in cui la riduzione del prezzo sia progressivamente aumentata, il prezzo precedente sia il prezzo senza la riduzione anteriore alla prima applicazione della riduzione del prezzo.

1.1.   Significato di «annuncio di riduzione di un prezzo»

L’articolo 6 bis si applica alle dichiarazioni promozionali del professionista che annunciano una riduzione del prezzo che egli pratica per il bene o i beni. Ad esempio, una riduzione di prezzo si può annunciare:

in termini percentuali (%), ad esempio «sconto del 20 %», o assoluti, ad esempio «sconto di 10 EUR»;

indicando un nuovo prezzo (inferiore) assieme al prezzo applicato in precedenza (più elevato). Il prezzo precedente può essere sbarrato. Ad esempio, «ora 50 EUR (in precedenza 100 EUR)» o «50 EUR/100 EUR»;

mediante qualsiasi altra tecnica promozionale, ad esempio «acquista oggi e non paghi l’IVA», che indica al consumatore che la riduzione del prezzo è pari al valore dell’IVA (il che non significa che l’IVA non sia riscossa);

presentando il prezzo attuale come il prezzo «di lancio» o simili e indicando un prezzo più elevato quale prezzo normale applicato in futuro.

L’articolo 6 bis si applica agli annunci di riduzione di prezzo sia quando questi riguardano beni specifici inclusi nell’offerta del venditore, sia quando fanno parte dell’annuncio di una riduzione di prezzo più generale (cfr. sezioni 2.2 e 3).

L’articolo 6 bis non riguarda né limita in alcun modo le fluttuazioni e le diminuzioni di prezzo che non implicano alcun annuncio di una riduzione di prezzo. Di fatto, l’articolo 6 bis si focalizza sugli «annunci» di una riduzione di prezzo. Pertanto non riguarda i meccanismi a lungo termine che consentono ai consumatori di beneficiare sistematicamente di prezzi ridotti e di singole riduzioni di prezzo specifiche (cfr. sezione 2.3 sui programmi di fedeltà e le riduzioni di prezzo personalizzate).

L’articolo 6 bis si applica indipendentemente dal fatto che l’annuncio di una riduzione di prezzo indichi una riduzione misurabile o meno. Ad esempio, anche gli annunci quali «saldi», «offerte speciali» od «offerte del Black Friday» che creano l’impressione di una riduzione di prezzo sono soggetti all’articolo 6 bis , e il prezzo «precedente» dei beni oggetto dell’annuncio deve essere indicato (cfr. sezione 2.2 sugli annunci di una riduzione generale dei prezzi).

Per contro l’articolo 6 bis non si applica agli annunci pubblicitari di carattere generale che promuovono l’offerta del venditore confrontandola con quelle di altri venditori senza evocare o creare l’impressione di una riduzione di prezzo, ad esempio «prezzi migliori/più bassi». Tali dichiarazioni restano tuttavia soggette alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali (cfr. sezione 3 sull’interazione tra la direttiva sull’indicazione dei prezzi e la direttiva sulle pratiche commerciali sleali).

L’articolo 6 bis non si applica nemmeno ad altre tecniche di promozione dei vantaggi di prezzo che non costituiscono riduzioni di prezzo, quali i confronti tra prezzi e le offerte vincolate (soggette a condizioni). Tali altre tecniche di promozione dei vantaggi di prezzo continuano a essere soggette alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali (cfr. sezione 3).

Quanto al concetto di «prezzo», l’articolo 6 bis si riferisce al «prezzo di vendita» quale definito all’articolo 2, lettera a), della direttiva sull’indicazione dei prezzi (7). La direttiva sull’indicazione dei prezzi richiede inoltre l’indicazione del «prezzo per unità» quale definito all’articolo 2, lettera b) (8). Per i beni commercializzati sfusi (ad esempio tessuti, materiali per l’edilizia, alimenti) (9), per i quali il prezzo di vendita non può essere determinato prima che il consumatore abbia indicato la quantità richiesta, a norma dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva sull’indicazione dei prezzi «deve essere indicato soltanto il prezzo per unità di misura». In relazione a tali beni, l’articolo 6 bis si applica inoltre agli annunci di una riduzione di prezzo che riguardino il prezzo per unità (10). In questi casi l’articolo 6 bis si applica all’indicazione del prezzo per unità «precedente».

La direttiva sull’indicazione dei prezzi si applica ai «prodotti», che nel contesto della direttiva stessa vanno interpretati come«beni». Conformemente ad altre disposizioni del diritto del consumo dell’UE (11) per «beni» si intendono i beni mobili. Pertanto la direttiva sull’indicazione dei prezzi, compreso l’articolo 6 bis, non si applica ai servizi (12) (tra cui i servizi digitali) né ai contenuti digitali.

L’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi si applica agli annunci di una riduzione di prezzo effettuati in tutti i canali di distribuzione (ad esempio in negozi tradizionali, online).

1.2.   Commercianti interessanti

La direttiva sull’indicazione dei prezzi si applica al commerciante, definito all’articolo 2, lettera d), quale «qualsiasi persona fisica o giuridica che vende o mette in commercio prodotti che rientrano nella sfera della sua attività commerciale o professionale». Il nuovo articolo 6 bis pertanto si applica al commerciante che è l’effettiva parte nel contratto con il consumatore, ossia al venditore dei beni, compresi i venditori che si avvalgono di intermediari, in particolare i mercati online.

Per contro l’articolo 6 bis non si applica agli intermediari che si limitano a fornire ai commercianti i mezzi per vendere i loro prodotti (13), quali i mercati online, o ad aggregare e mostrare informazioni sui prezzi fornite da altri venditori (piattaforme per il confronto dei prezzi). Tali intermediari restano soggetti alle norme generali in materia di responsabilità degli intermediari e agli obblighi di diligenza professionale. L’intermediario è tuttavia soggetto alle norme della direttiva sull’indicazione dei prezzi quando si configura come l’effettivo venditore dei beni o quando effettua vendite per conto di un altro commerciante.

Per lo stesso motivo l’articolo 6 bis non si applica agli annunci di rimborso («cash back») in cui terzi che non si configurano come i venditori dei beni, quali produttori/distributori, promettono ai consumatori che hanno acquistato i beni in questione di rimborsare una parte del prezzo pagato, su singola richiesta dei consumatori e per un certo periodo di tempo. Tali pratiche di rimborso restano soggette alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali e non devono essere impiegate per eludere i requisiti relativi agli annunci di una riduzione di prezzo di cui alla direttiva sull’indicazione dei prezzi.

L’articolo 6 bis si applica altresì ai commercianti di paesi terzi che effettuano le proprie vendite ai consumatori dell’UE, compresi i commercianti che offrono beni mediante piattaforme. L’applicabilità della direttiva sull’indicazione dei prezzi ai commercianti di paesi terzi è disciplinata dal regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio (14) sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II»). Tale regolamento si applica, «in circostanze che comportino un conflitto di leggi, alle obbligazioni extracontrattuali in materia civile e commerciale».

Articolo 6, paragrafo 1, del regolamento Roma II

La legge applicabile all’obbligazione extracontrattuale che deriva da un atto di concorrenza sleale è quella del paese sul cui territorio sono pregiudicati, o rischiano di esserlo, i rapporti di concorrenza o gli interessi collettivi dei consumatori.

Articolo 6, paragrafo 4, del regolamento Roma II

Non si può derogare alla legge applicabile in virtù del presente articolo con un accordo ai sensi dell’articolo 14.

Se le condizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento Roma II sono soddisfatte, la direttiva sull’indicazione dei prezzi sarà applicabile ai casi di violazione che pregiudicano gli interessi collettivi dei consumatori dell’UE. A norma dell’articolo 6, paragrafo 4, del regolamento Roma II, non si può derogare alla legge applicabile con un accordo sulla scelta della legge.

Il compito di far rispettare tali norme è affidato alle autorità nazionali, le quali, se necessario, potranno esercitare i poteri di indagine e di esecuzione loro conferiti dal regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio (15) sulla cooperazione ai fini della tutela dei consumatori.

2.   INDICAZIONE DEL PREZZO «PRECEDENTE»

2.1.   Norme generali

L’articolo 6 bis, paragrafo 1, obbliga il professionista che annunci una riduzione di prezzo a indicare il prezzo «precedente». L’articolo 6 bis, paragrafo 2, definisce il prezzo «precedente» come il prezzo più basso applicato dal professionista durante un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni prima dell’applicazione della riduzione del prezzo.

L’articolo 6 bis, paragrafi da 3 a 5, fornisce agli Stati membri alcune scelte normative che consentono loro di derogare a tale norma generale nel caso, rispettivamente, di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente, di beni che sono sul mercato da meno di 30 giorni e di beni per i quali la riduzione del prezzo è progressivamente aumentata (cfr. sezione 4).

Fatti salvi i beni cui si applicano le scelte normative di cui all’articolo 6 bis, paragrafi da 3 a 5, gli Stati membri non possono prevedere un periodo inferiore a 30 giorni per la determinazione del prezzo «precedente». Lo scopo di tale periodo di riferimento, la cui durata deve essere di almeno 30 giorni, è di evitare che i professionisti alterino i prezzi e ne presentino riduzioni fasulle, ad esempio aumentando un prezzo per un breve periodo di tempo per poi ridurlo e presentarlo come una riduzione (significativa) che induce i consumatori in errore. Il periodo di 30 giorni per determinare il prezzo «precedente» di riferimento garantisce dunque che tale prezzo di riferimento sia effettivo e non semplicemente uno strumento commerciale che serve per rendere appetibile la riduzione.

L’articolo 6 bis, paragrafo 2, non impedisce ai professionisti di indicare come prezzo «precedente» il prezzo più basso applicato durante un periodo di durata superiore a 30 giorni (ad esempio, nell’ambito della strategia di commercializzazione). Non è contrario ai requisiti dell’articolo 6 bis indicare un prezzo «precedente» inferiore al prezzo più basso applicato nei 30 giorni immediatamente precedenti l’annuncio della riduzione di prezzo.

Per contro, la legislazione nazionale che preveda un periodo di durata superiore a 30 giorni per la determinazione del prezzo «precedente» andrebbe valutata relativamente alla sua conformità al diritto dell’Unione. A norma dell’articolo 10 della direttiva sull’indicazione dei prezzi, qualsiasi norma nazionale che vada oltre i requisiti di tale direttiva deve introdurre disposizioni più favorevoli in materia di informazione dei consumatori e confronto dei prezzi, fatti salvi gli obblighi imposti agli Stati membri dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea (16).

Per conformarsi all’articolo 6 bis, il professionista che annunci una riduzione di prezzo deve individuare il prezzo più basso che ha praticato per il bene o i beni in questione durante, come minimo, gli ultimi 30 giorni precedenti l’applicazione della riduzione di prezzo. Tale prezzo più basso deve includere gli eventuali prezzi precedenti «ridotti» praticati in quel periodo. L’omessa considerazione dei prezzi praticati negli eventuali periodi promozionali svoltisi nei 30 giorni precedenti l’annuncio della riduzione di prezzo costituirà una violazione dell’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi.

La medesima norma si applica laddove un professionista presenti inizialmente la riduzione di prezzo facendo riferimento a un successivo aumento dello stesso, poi applichi tale aumento per meno di 30 giorni e quindi annunci una riduzione di prezzo. Indipendentemente dal modo in cui la riduzione di prezzo è stata presentata al mercato, il prezzo precedente della successiva riduzione deve comunque essere il prezzo più basso degli ultimi 30 giorni, ossia in questo caso il prezzo di lancio iniziale (cfr. anche la sezione 4.2 sui beni di recente immissione sul mercato).

Di conseguenza la riduzione di prezzo deve essere presentata indicando il prezzo «precedente» a titolo di riferimento, il che significa che qualunque riduzione percentuale indicata deve essere basata sul prezzo «precedente» stabilito conformemente all’articolo 6 bis.

Ad esempio, se l’annuncio della riduzione di prezzo offre uno «sconto del 50 %» e il prezzo più basso degli ultimi 30 giorni era di 100 EUR, il venditore dovrà presentare 100 EUR quale prezzo «precedente» sulla cui base calcolare la riduzione del 50 %, anche qualora l’ultimo prezzo di vendita del bene fosse di 160 EUR.

Allo stesso tempo, l’articolo 6 bis non impedisce al venditore che annunci una riduzione di prezzo di indicare altri prezzi di riferimento, purché tali prezzi di riferimento supplementari siano spiegati in maniera chiara e non creino confusione né distolgano l’attenzione del consumatore dall’indicazione del prezzo «precedente» conformemente all’ articolo 6 bis.

Ad esempio, un professionista che pratichi riduzioni di prezzo più di una volta ogni 30 giorni potrebbe informare ulteriormente il consumatore degli altri prezzi precedenti nel modo seguente: «sconto del 20 % dal [data di inizio] al [data di fine]: 80 EUR al posto di 100 EUR, il nostro prezzo più basso negli ultimi 30 giorni. Negli ultimi 30 (o 100 ecc.) giorni il nostro prezzo normale, esclusi i periodi promozionali, era di 120 EUR».

In generale le modalità di presentazione e calcolo di eventuali altri prezzi di riferimento di questo tipo sono soggette alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali. A tale riguardo i professionisti sono sempre tenuti a garantire che sia chiaro al consumatore che cosa rappresentano gli altri prezzi di riferimento indicati.

L’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi non obbliga i professionisti a precisare per quanto tempo abbiano applicato il prezzo «precedente» indicato, né incide sulla durata delle campagne di riduzione dei prezzi. A norma di tale articolo i professionisti sono soltanto tenuti a indicare il prezzo «precedente» all’inizio di ciascuna riduzione di prezzo, dopodiché possono mantenerlo per l’intera durata della riduzione di prezzo. La riduzione di prezzo dei beni annunciata dai professionisti può avere una durata maggiore, anche superiore ai 30 giorni. Inoltre, se la riduzione di prezzo dura ininterrottamente per più di 30 giorni, il prezzo «precedente» da indicare resta quello più basso applicato per almeno 30 giorni prima della riduzione.

L’equità di periodi di riduzione dei prezzi eccessivamente lunghi rispetto al momento in cui il bene è venduto a prezzo «pieno» continua a dover essere valutata a norma della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (cfr. anche sezione 3 sull’interazione con la direttiva sulle pratiche commerciali sleali).

Se un professionista vende beni tramite canali/punti di vendita diversi (ad esempio diversi negozi fisici e/od online) a prezzi differenti e tali canali/punti di vendita sono oggetto di un annuncio generale di riduzione dei prezzi, egli deve indicare, quale prezzo «precedente» per i beni in questione in ciascun canale/punto di vendita, il prezzo può basso che ha applicato nel canale/punto di vendita in oggetto negli ultimi 30 giorni.

Gli annunci di una riduzione di prezzo ingannevoli, che creano l’impressione che la riduzione si applichi in tutti i canali/punti di vendita del professionista in questione, mentre in realtà solo alcuni di essi sono interessati dalla riduzione di prezzo, devono essere valutati sulla base della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

L’articolo 6 bis non impedisce ai professionisti di prolungare una campagna di riduzione del prezzo, purché i consumatori siano chiaramente informati del fatto che si tratta di una proroga e non di una nuova campagna di riduzione del prezzo, e la presentazione generale della campagna non sia tale da dare una falsa impressione ai consumatori.

2.2.   Indicazione del «prezzo precedente» nel caso di annunci generali di riduzione dei prezzi

L’articolo 6 bis non impedisce ai professionisti di annunciare riduzioni dei prezzi in termini generali, ad esempio:

«oggi sconto del 20 % su tutti gli articoli»; o

«questa settimana sconto del 20 % su tutte le decorazioni di Natale».

Se la riduzione di prezzo (come descritta nella sezione 1.1) è annunciata con una dichiarazione generale, ad esempio un cartellone pubblicitario o una comunicazione online, non è necessario che il prezzo «precedente» sia indicato nello stesso supporto utilizzato per l’annuncio della riduzione di prezzo. Il prezzo «precedente» dei singoli beni oggetto dell’annuncio deve invece essere indicato presso il punto di vendita, vale a dire sulle rispettive etichette nei negozi o nelle sezioni relative ai prezzi delle interfacce dei negozi online.

Un professionista può altresì annunciare una riduzione generale dei prezzi offrendo sconti diversi per categorie di beni diverse. In tali casi il professionista deve indicare chiaramente le categorie di beni in questione e la rispettiva riduzione di prezzo, ad esempio:

«sconto del 30 % sugli articoli contrassegnati da un pallino blu e del 40 % su quelli contrassegnati da un pallino rosso».

Quanto all’indicazione del prezzo «precedente» per i singoli beni oggetto dell’annuncio di riduzione generale dei prezzi, occorre distinguere due casi:

negli ultimi 30 giorni il professionista non ha aumentato il prezzo dei singoli beni oggetto di annunci generali né ha organizzato altre riduzioni (generali) dei prezzi nello stesso periodo. In questo caso il prezzo «precedente» ai fini dell’articolo 6 bis sarà il prezzo di vendita dei beni applicato in precedenza, vale a dire il prezzo già indicato sull’etichetta o nella sezione relativa ai prezzi dell’interfaccia del negozio online. Di conseguenza il professionista non sarà tenuto a modificare le etichette/informazioni online dei beni in questione in virtù dell’applicazione dell’ articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi;

negli ultimi 30 giorni il professionista ha aumentato il prezzo o ha organizzato un’altra riduzione (generale) dei prezzi. In questo caso il prezzo di vendita indicato sull’etichetta o online non può essere considerato il prezzo «precedente», in quanto non è il prezzo più basso degli ultimi 30 giorni richiesto dall’articolo 6 bis. Il professionista dovrà pertanto modificare le etichette o l’indicazione dei prezzi online pertinenti per i beni oggetto dell’annuncio di riduzione generale dei prezzi, in modo tale da indicarne il prezzo «precedente» corretto.

L’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi non vieta la pubblicità collettiva delle riduzioni di prezzo in cui entità centrali, quali gli affilianti, pianificano e pubblicizzano campagne di riduzione dei prezzi per conto dei venditori (dettaglianti) che ne distribuiscono i prodotti. Qualora annunci riduzioni di prezzo per conto dei propri membri, tale entità centrale deve garantire che i dettaglianti partecipanti si trovino nella posizione di rispettare gli obblighi relativi alle riduzioni di prezzo, ad esempio devono permettere ai dettaglianti partecipanti di rispettare le norme relative all’indicazione del prezzo «precedente». Ciascun dettagliante partecipante conserva la responsabilità, anche in questo caso, di garantire che i pertinenti beni da esso venduti nel contesto della campagna di riduzione dei prezzi indichino il prezzo «precedente» corretto.

Come esposto in precedenza, se il dettagliante partecipante ha mantenuto stabili i propri prezzi nei 30 giorni precedenti l’annuncio della riduzione, non sarà necessario alcun adeguamento dei singoli prezzi «precedenti», in quanto il prezzo di vendita applicato in precedenza costituirà il prezzo «precedente» ai fini dell’articolo 6 bis. Se invece il prezzo di taluni beni oggetto della campagna generale è stato modificato negli ultimi 30 giorni, il venditore è tenuto ad adeguarne il prezzo «precedente». Ciò vale anche nei casi in cui le campagne di riduzione dei prezzi lanciate dal rispettivo venditore (dettagliante) per i propri beni siano seguite, entro 30 giorni, da campagne lanciate dall’entità centrale. In tali casi il singolo dettagliante interessato deve tenere conto, ai fini della determinazione del prezzo «precedente», del prezzo ridotto applicato nel corso della/e campagna/e precedente/i.

2.3.   Programmi di fedeltà e riduzioni personalizzate dei prezzi

L’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi non si applica ai programmi di fedeltà dei clienti messi in atto dal venditore, quali buoni o carte di sconto, che permettono al consumatore di usufruire di uno sconto sul prezzo di tutti i prodotti o su specifiche gamme di prodotti del venditore per periodi di tempo continui e prolungati (ad esempio sei mesi o un anno), o grazie ai quali è possibile accumulare crediti (punti) in vista di acquisti futuri.

L’articolo 6 bis della direttiva in questione non si applica nemmeno alle riduzioni dei prezzi personalizzate, che non prevedono l’«annuncio» della riduzione di prezzo. Un esempio tipico di tali riduzioni di prezzo è rappresentato dalle riduzioni applicate in conseguenza di precedenti acquisti del consumatore presso il venditore interessato, ad esempio quando il consumatore riceve un buono di «sconto del 20 %» sul suo acquisto, valido per il prossimo acquisto e fino alla fine del mese. Altri esempi di riduzioni dei prezzi personalizzate che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’ articolo 6 bis sono le riduzioni riservate a un consumatore specifico in occasioni speciali, ad esempio al momento dell’iscrizione al programma di fedeltà o in occasione del matrimonio o del compleanno di tale consumatore, come pure quelle applicate al momento dell’acquisto e che non sono state «annunciate» in precedenza.

I programmi di fedeltà e le offerte personalizzate in questione continuano a essere valutati a norma della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (cfr. sezioni 2.8.2 e 4.2.8 degli orientamenti relativi alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali (17)).

Per contro l’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi si applicherà alle riduzioni di prezzo che, seppure presentate come «personalizzate», sono in realtà offerte/annunciate ai consumatori in generale. Una situazione di questo tipo potrebbe verificarsi qualora il professionista renda disponibili dei «buoni» o codici di sconto a potenzialmente tutti i consumatori che ne visitano il negozio fisico od online durante periodi specifici. Tra gli esempi figurano campagne quali:

«oggi sconto del 20 % usando il codice XYZ»; o

«questo fine settimana sconto del 20 % su tutti gli articoli solo per gli iscritti al programma di fedeltà»,

in cui il codice/programma di fedeltà è accessibile/utilizzato da molti clienti o dalla maggior parte di essi. In questi casi il professionista deve rispettare gli obblighi di cui all’articolo 6 bis, ossia garantire che il prezzo «precedente» di tutti i beni interessati sia il prezzo più basso pubblicamente disponibile praticato negli ultimi 30 giorni (cfr. sezione 2.1 sugli annunci di una riduzione generale dei prezzi).

3.   INTERAZIONE CON LA DIRETTIVA SULLE PRATICHE COMMERCIALI SLEALI

La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali (18) («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») vieta le pratiche commerciali sleali nelle operazioni tra imprese e consumatori (19). Si applica a tutte le pratiche commerciali poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale di un’impresa nei confronti dei consumatori. L’articolo 2, lettera d), di tale direttiva definisce le pratiche commerciali come «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori». Una pratica commerciale sleale potrebbe essere costituita da una pratica ingannevole o aggressiva (articoli da 6 a 9) o da una violazione delle norme di diligenza professionale (articolo 5, paragrafo 2) idonea a falsare la decisione di natura commerciale di un consumatore medio.

L’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali stabilisce che in caso di contrasto tra le disposizioni di tale direttiva e altre norme dell’UE che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, queste ultime prevalgono e si applicano a tali aspetti specifici.

Pertanto, nella misura in cui introduce un insieme specifico di norme relative alla definizione e all’indicazione del prezzo «precedente» al momento dell’annuncio di una riduzione di prezzo, l’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi prevale sulla direttiva sulle pratiche commerciali sleali per quanto concerne gli aspetti della riduzione di prezzo che sono disciplinati da tali norme specifiche (20).

Di conseguenza la correttezza del prezzo «precedente» indicato dal venditore e della corrispondente riduzione di prezzo deve essere valutata sulla base degli obblighi specifici di cui all’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi. Tuttavia ciò non impedisce alle autorità nazionali responsabili del rispetto della legge di applicare la direttiva sulle pratiche commerciali sleali alle pratiche dei professionisti che violano l’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi, qualora tali pratiche costituiscano anche pratiche sleali vietate a norma della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in particolare alle azioni ingannevoli intraprese riguardo all’esistenza di uno specifico vantaggio di prezzo ai sensi dell’ articolo 6, paragrafo 1, lettera d).

Inoltre, come indicato nella sezione 1.2.5 degli orientamenti relativi alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, quest’ultima, in particolare l’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), che si riferisce alle dichiarazioni ingannevoli riguardo all’esistenza di un vantaggio di prezzo, resta applicabile ad altri aspetti delle riduzioni di prezzo. La direttiva sulle pratiche commerciali sleali potrebbe applicarsi a diversi aspetti ingannevoli delle pratiche di riduzione di prezzo, quali:

periodi di validità delle riduzioni di prezzo eccessivamente lunghi rispetto al periodo in cui i beni sono venduti a prezzo pieno (senza riduzioni);

pubblicità di una riduzione che annunci, ad esempio, «sconti fino al 70 %», laddove soltanto un esiguo numero di articoli è scontato del 70 % e lo sconto applicato agli altri è significativamente inferiore.

A tale riguardo occorre osservare che, oltre alle riduzioni di prezzo, un venditore può ricorrere ad altri tipi di pratiche per la promozione di vantaggi di prezzo, quali:

confronti con altri prezzi, ad esempio i prezzi praticati da altri professionisti (21) o il prezzo di vendita al dettaglio raccomandato dal produttore;

offerte combinate od offerte vincolate soggette a condizioni (ad esempio «due al prezzo di uno» o «sconto del 30 % sull’acquisto di tre pezzi»).

Tali pratiche promozionali non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi, bensì restano interamente soggette alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

La direttiva sulle pratiche commerciali sleali si applica anche agli annunci di una riduzione di prezzo o ad altri tipi di pratiche che promuovono vantaggi di prezzo riguardo al contenuto digitale (22) e a tutti i tipi di servizi, dato che la direttiva sull’indicazione dei prezzi si applica soltanto ai beni mobili (cfr. sezione 1.1).

Un venditore può anche combinare i confronti dei prezzi con l’annuncio di una riduzione di prezzo disciplinato dall’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi. Come indicato nella sezione 2.8.2 degli orientamenti relativi alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, un venditore che presenti un confronto dei prezzi deve prestare la massima attenzione per garantire che il consumatore medio non percepisca il confronto, ad esempio con il prezzo raccomandato per la vendita al dettaglio, come una riduzione di prezzo. Se la presentazione ingannevole di un confronto dei prezzi fa sì che esso sia di fatto percepito da un consumatore medio come una riduzione di prezzo, tale pratica può costituire una violazione sia della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, sia dell’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi, a causa della presentazione scorretta del prezzo «precedente».

4.   SCELTE NORMATIVE

L’articolo 6 bis, paragrafi da 3 a 5, offre agli Stati membri la possibilità di derogare alla norma generale in materia di riduzioni di prezzo nel caso di:

beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente («beni deperibili»);

beni che sono sul mercato da meno di 30 giorni («beni di recente immissione sul mercato»); e

successive riduzioni di prezzo entro un periodo di 30 giorni.

4.1.   Beni deperibili

Articolo 6 bis

3.

Gli Stati membri possono stabilire norme diverse per i beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente.

L’opzione di cui all’articolo 6 bis, paragrafo 3, consente agli Stati membri di stabilire norme diverse per i beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente. Tali norme possono prevedere persino la completa esclusione di detti beni dall’ambito di applicazione dell’articolo 6 bis o la possibilità per il venditore di indicare, quale prezzo «precedente», l’ultimo prezzo praticato immediatamente prima della riduzione.

I beni che «rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente» sono beni deperibili che potrebbero, per via dell’imminente scadenza, dover essere scontati con maggiore frequenza al fine di velocizzarne la vendita. Tale concetto è ripreso anche all’articolo16, paragrafo 1, lettera d), della direttiva sui diritti dei consumatori (23), che stabilisce che i consumatori non possono usufruire del diritto di recesso per i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali relativamente alla «fornitura di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente».

La direttiva sui diritti dei consumatori non definisce i «beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente». Il rispetto dei criteri oggettivi secondo cui taluni beni «rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente» deve essere valutato caso per caso. Tra gli esempi di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente figurano le bevande e gli alimenti freschi con scadenza in tempi brevi. La possibilità che gli Stati membri deroghino alla norma generale in materia di riduzioni di prezzo non può essere applicata ai beni che non sono deperibili in virtù della loro composizione fisica e delle loro proprietà ma che «scadono» soltanto nel senso commerciale, come ad esempio gli indumenti stagionali (24).

L’approccio adottato nell’ambito della direttiva sui diritti dei consumatori è lo stesso che si applica anche nell’interpretazione di tale concetto ai sensi della direttiva sull’indicazione dei prezzi.

4.2.   Beni di recente immissione sul mercato

Articolo 6 bis

4.

Se il prodotto è sul mercato da meno di trenta giorni, gli Stati membri possono anche stabilire un periodo di tempo inferiore a quello di cui al paragrafo 2.

L’opzione di cui all’articolo 6 bis, paragrafo 4, permette agli Stati membri di consentire annunci di una riduzione di prezzo anche riguardo ai beni (di recente immissione sul mercato) che sono stati in vendita presso il professionista per meno di 30 giorni prima dell’annuncio della riduzione. L’opzione è formulata in maniera generica e fa riferimento a un «periodo di tempo inferiore» (rispetto al periodo normale di almeno 30 giorni).

A differenza della scelta normativa riguardante i beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente, per i quali gli Stati membri possono stabilire «norme diverse», compresa l’esclusione di tali beni dall’ambito di applicazione dell’ articolo 6 bis, la scelta normativa in questione fa riferimento soltanto a un «periodo di tempo inferiore». Di conseguenza non può essere interpretata nel senso che prevede anche la possibilità di una completa esenzione di tali beni dall’obbligo di osservare un periodo di riferimento per la determinazione del prezzo «precedente».

Pertanto, se scelgono di applicare tale possibilità di deroga alla norma generale, gli Stati membri sono tenuti a stabilire un periodo di tempo specifico per la determinazione del prezzo «precedente» o, in alternativa, a consentire ai professionisti di stabilire autonomamente il periodo di tempo e di indicarlo assieme al corrispondente prezzo«precedente». In quest’ultimo scenario, in cui il periodo di riferimento specifico non è stabilito da norme nazionali, l’equità degli annunci di una riduzione di prezzo relativamente ai beni in questione continuerà a essere valutata caso per caso sulla base della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

Il concetto della presenza sul «mercato» dev’essere interpretato nel contesto della norma generale di cui all’articolo 6 bis, paragrafi 1 e 2, che si riferisce alle azioni del professionista specifico che annuncia la riduzione di prezzo. Pertanto, in questo contesto, per «mercato» si intende la vendita dei beni da parte del commerciante interessato così come definito all’articolo 2, lettera d), della direttiva sull’indicazione dei prezzi.

I beni dovrebbero essere considerati già presenti sul «mercato» se il venditore riattiva l’offerta relativa agli stessi beni dopo averla interrotta per un certo periodo di tempo, ad esempio a seguito di un esaurimento temporaneo delle scorte o nel caso di articoli stagionali quali gli indumenti invernali/estivi. In questo caso, poiché i beni non si configurerebbero, in senso stretto, come beni di recente immissione sul mercato, l’eccezione di cui all’articolo 6 bis, paragrafo 4, non si applicherebbe.

Tuttavia in queste situazioni il professionista può scegliere, quale periodo di riferimento per la determinazione del prezzo «precedente», un periodo di tempo superiore durante il quale il bene è stato messo in vendita per un totale di almeno 30 giorni. Pertanto, laddove metta nuovamente in vendita un bene dopo un periodo di interruzione, il venditore può annunciare una riduzione di prezzo indicando quale prezzo «precedente» il prezzo più basso applicato nel periodo di riferimento prima dell’interruzione (ad esempio nell’ultimo anno), purché:

il bene sia stato in vendita per un totale di almeno 30 giorni in tale periodo di riferimento; e

il prezzo «precedente» indicato sia il prezzo più basso dell’intero periodo di riferimento.

Sulla base di una valutazione caso per caso, al professionista potrebbe essere chiesto, conformemente all’articolo 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, di informare il consumatore quando il prezzo «precedente» indicato è un prezzo che non è stato applicato nel periodo immediatamente precedente la riduzione, bensì nella stagione precedente.

4.3.   Riduzioni progressive del prezzo

Articolo 6 bis

5.

Gli Stati membri possono stabilire che, nei casi in cui la riduzione del prezzo sia progressivamente aumentata, il prezzo precedente sia il prezzo senza la riduzione anteriore alla prima applicazione della riduzione del prezzo.

La scelta normativa di cui all’articolo 6 bis, paragrafo 5, si applica quando il prezzo è oggetto di una riduzione graduale, senza interruzioni, durante le stesse campagne di vendita. In questo caso il prezzo «precedente» è il prezzo più basso degli ultimi 30 giorni precedenti l’applicazione del primo annuncio di una riduzione di prezzo e resta il prezzo «precedente» per tutti i successivi annunci di una riduzione di prezzo effettuati durante la campagna di vendita.

Ad esempio, il prezzo più basso del bene nei 30 giorni immediatamente precedenti l’inizio della campagna di vendita era di 100 EUR. Il venditore indica 100 EUR quale prezzo «precedente» quando annuncia la prima riduzione di prezzo (ad esempio, sconto del 10 %), quindi può mantenere lo stesso prezzo «precedente» anche quando annuncia le successive riduzioni del 20 % e del 30 %.

La situazione è diversa nel caso di campagne di vendita organizzate in successione in un periodo di 30 giorni (ad esempio nel caso di promozioni quali «20 % di sconto ogni domenica di dicembre» o delle campagne di vendita organizzate una dopo l’altra in occasione del «Singles’ Day», del «Black Friday», del «Cyber Monday» o di Natale a novembre/dicembre). Nel contesto di tali campagne di vendita organizzate in successione, durante le quali il prezzo aumenta per (brevi) periodi intermittenti, si applica la norma generale di cui all’articolo 6 bis e, per ciascuna riduzione in successione, il prezzo «precedente» è il prezzo più basso praticato in un periodo non inferiore agli ultimi 30 giorni, compreso dunque il prezzo ridotto applicato nelle promozioni precedenti.

Onde evitare che l’articolo 6 bis, paragrafi 1 e 2, sia aggirato, il paragrafo 5 deve essere interpretato in modo restrittivo. Di conseguenza è applicabile soltanto quando il prezzo è oggetto di una riduzione graduale, senza interruzioni e senza alcun aumento del prezzo «precedente» indicato nel corso della continua riduzione dei prezzi.


(1)  Direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori (GU L 80 del 18.3.1998, pag. 27).

(2)  Cfr. considerando 6 e 12 della direttiva sull’indicazione dei prezzi.

(3)  Direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori (GU L 328 del 18.12.2019, pag. 7).

(4)  Nel 2018, sotto il coordinamento della Commissione, le autorità nazionali per la tutela dei consumatori hanno effettuato un’indagine a tappeto annuale dei siti web di commercio elettronico («sweep») a livello dell’UE nel quadro della rete di cooperazione per la tutela dei consumatori. Tale indagine a tappeto ha riguardato la trasparenza, comprese le riduzioni di prezzo. Per oltre il 31 % dei 431 siti web di commercio elettronico che offrivano sconti e che sono stati oggetto dell’indagine, le autorità di tutela dei consumatori sospettavano che le offerte speciali fossero fasulle, oppure hanno constatato che la modalità di calcolo del prezzo scontato non era chiara. Comunicato stampa della Commissione del 19 febbraio 2019: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_19_1333.

(5)  https://e-justice.europa.eu/591/IT/consumer_law_database.

(6)  GU L 1 del 3.1.1994, pag. 3.

(7)  «[P]rezzo di vendita: il prezzo finale valido per una unità del prodotto o per una determinata quantità del prodotto, comprensivo dell’IVA e di ogni altra imposta» (articolo 2, lettera a), della direttiva sull’indicazione dei prezzi).

(8)  «[P]rezzo per unità di misura: il prezzo finale, comprensivo dell’IVA e di ogni altra imposta, valido per una quantità di un chilogrammo, di un litro, di un metro, di un metro quadrato o di un metro cubo del prodotto o per una singola unità di quantità diversa, se essa è impiegata generalmente e abitualmente nello Stato membro interessato per la commercializzazione di prodotti specifici» (articolo 2, lettera b), della direttiva sull’indicazione dei prezzi).

(9)  «[P]rodotto commercializzato sfuso: un prodotto che non costituisce oggetto di alcuna confezione preliminare ed è misurato in presenza del consumatore» (articolo 2, lettera c), della direttiva sull’indicazione dei prezzi).

(10)  Cfr. considerando 7 della direttiva sull’indicazione dei prezzi.

(11)  A norma della direttiva sui diritti dei consumatori (direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64)], come modificata dalla direttiva (UE) 2019/2161, per beni si intende «a) qualsiasi bene mobile materiale; l’acqua, il gas e l’elettricità sono considerati beni a norma della presente direttiva quando sono messi in vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; b) qualsiasi bene mobile materiale che incorpora o è interconnesso con un contenuto digitale o un servizio digitale in modo tale che la mancanza di detto contenuto digitale o servizio digitale impedirebbe lo svolgimento delle funzioni del bene (“beni con elementi digitali”);».

(12)  Cfr. comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull’applicazione della direttiva 1998/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998 relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori [COM(2006) 325 definitivo, pag. 4].

(13)  A norma della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, questi ultimi devono sempre essere informati dell’identità dell’ effettivo professionista (per ulteriori informazioni, cfr. orientamenti relativi alla direttiva sui diritti dei consumatori).

(14)  Regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II») (GU L 199 del 31.7.2007, pag. 40).

(15)  Regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori e che abroga il regolamento (CE) n. 2006/2004 (GU L 345 del 27.12.2017, pag. 1).

(16)  Cfr. in particolare articoli 34 e 36 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

(17)  https://ec.europa.eu/info/law/law-topic/consumer-protection-law/unfair-commercial-practices-law/unfair-commercial-practices-directive_en.

(18)  Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22).

(19)  Prima che la direttiva (UE) 2019/2161 modificasse la direttiva sull’indicazione dei prezzi, la Corte di giustizia dell’Unione europea aveva confermato, nella causa Commissione europea/Regno del Belgio, C-421/12, ECLI:EU:C:2013:769, l’impossibilità per gli Stati membri di adottare norme nazionali più vincolanti in materia di riduzioni di prezzo sulla base della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e della direttiva (originaria) sull’indicazione dei prezzi.

(20)  Cfr. anche Corte di giustizia dell’Unione europea, causa Citroën, C-476/14, ECLI:EU:C:2016:527.

(21)  Il confronto dei prezzi praticati da professionisti diversi è soggetto altresì alla direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (GU L 376 del 27.12.2006, pag. 21), che stabilisce le condizioni alle quali è permessa la pubblicità comparativa.

(22)  «[I] dati prodotti e forniti in formato digitale» ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 1).

(23)  Direttiva 2011/83/UE.

(24)  Cfr. documento di orientamento sulla direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori: https://ec.europa.eu/info/law/law-topic/consumer-protection-law/consumer-contract-law/consumer-rights-directive_en.