ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 220

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

64° anno
9 giugno 2021


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

559a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo - Interactio, 24.3.2021 – 25.3.2021

2021/C 220/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le sfide del telelavoro: organizzazione dell'orario di lavoro, equilibrio tra attività lavorativa e vita privata e diritto alla disconnessione [parere esplorativo richiesto dalla presidenza portoghese]

1

2021/C 220/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Telelavoro e parità di genere — Condizioni affinché il telelavoro non aggravi la distribuzione ineguale dell'assistenza non retribuita e del lavoro domestico tra donne e uomini e costituisca un motore per la promozione della parità di genere[parere esplorativo richiesto dalla presidenza portoghese]

13

2021/C 220/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Spazio ferroviario europeo unico[Parere esplorativo richiesto dalla presidenza portoghese]

26


 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

559a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo - Interactio, 24.3.2021 – 25.3.2021

2021/C 220/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione 2020 sullo stato dell’Unione dell’energia in applicazione del regolamento (UE) 2018/1999 sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima[COM(2020) 950 final] e su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Valutazione a livello dell’Unione dei piani nazionali per l’energia e il clima. Impulso alla transizione verde e promozione della ripresa economica attraverso la pianificazione integrata delle misure nei settori dell’energia e del clima[COM(2020) 564 final]

38

2021/C 220/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla strategia dell’UE per ridurre le emissioni di metano[COM(2020) 663 final]

47

2021/C 220/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti per le infrastrutture energetiche transeuropee e che abroga il regolamento (UE) n. 347/2013[COM(2020) 824 final — 2020/0360 (COD)]

51

2021/C 220/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Fare avanzare l’unione doganale al livello successivo: un piano d’azione[COM(2020) 581 final]

56

2021/C 220/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l’ambiente dello sportello unico dell’Unione europea per le dogane e modifica il regolamento (UE) n. 952/2013[COM(2020) 673 final — 2020/0306 (COD)]

62

2021/C 220/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Relazione 2020 in materia di previsione — Previsione strategica: tracciare la rotta verso un’Europa più resiliente[COM(2020) 493 final]

67

2021/C 220/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa a una strategia in materia di pagamenti al dettaglio per l’UE[COM(2020) 592 final]

72

2021/C 220/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un nuovo SER per la ricerca e l’innovazione[COM(2020) 628 final]

79

2021/C 220/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla proroga della durata della privativa comunitaria per ritrovati vegetali per le specie di asparago e i gruppi di specie di piante bulbose, piante legnose a piccoli frutti e piante legnose ornamentali[COM(2020) 36 final — 2021/0019 (COD)]

86

2021/C 220/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva (UE) 2017/2397 per quanto riguarda le misure transitorie per il riconoscimento dei certificati di paesi terzi[COM(2021) 71 final — 2021/0039 (COD)]

87

2021/C 220/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Rafforzare il processo di adesione — Una prospettiva europea credibile per i Balcani occidentali[COM(2020) 57 final], su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali[COM(2020) 641 final], e su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Comunicazione 2020 sulla politica di allargamento dell’UE[COM(2020) 660 final]

88

2021/C 220/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea — Far fronte ai crediti deteriorati all’indomani della pandemia di COVID-19[COM(2020) 822 final]

98

2021/C 220/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea[COM(2020) 682 final — 2020/310 (COD)]

106

2021/C 220/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Resilienza delle materie prime critiche: tracciare un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità[COM(2020) 474 final]

118

2021/C 220/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Requisiti di sostenibilità per le batterie nell’UE[COM(2020) 798 final — 2020/353 (COD)]

128


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

559a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo - Interactio, 24.3.2021 – 25.3.2021

9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le sfide del telelavoro: organizzazione dell'orario di lavoro, equilibrio tra attività lavorativa e vita privata e diritto alla disconnessione»

[parere esplorativo richiesto dalla presidenza portoghese]

(2021/C 220/01)

Relatore:

Carlos Manuel TRINDADE

Consultazione da parte della presidenza portoghese del Consiglio dell'UE

26.10.2020

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

11.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24/3/2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

221/15/20

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE riconosce che, nel contesto della pandemia di COVID-19, il telelavoro ha contribuito alla continuità del funzionamento dell'economia e alla difesa dell'occupazione nei vari Stati membri, limitando la perdita di attività. Secondo le stime di Eurofound, hanno iniziato a lavorare da casa molti milioni di lavoratori europei, quasi il 40 % del totale.

1.2.

La realtà europea di prima della pandemia mostrava un minor peso relativo del telelavoro (meno della metà) rispetto agli Stati Uniti e al Giappone. D'altro canto, la pandemia ha accelerato il ricorso al telelavoro in modo esponenziale, facendone uno strumento insostituibile nella lotta contro la diffusione della malattia. Ciò significa che le imprese, i lavoratori e la società si trovano ad affrontare sfide enormi. Naturalmente, ci saranno molti insegnamenti da trarre da questa pandemia, che consentiranno di massimizzare le opportunità e di eliminare i rischi associati al telelavoro.

1.3.

In tale contesto, il CESE riconosce la lungimiranza di cui hanno dato prova le parti sociali europee con l'accordo sul telelavoro del 2002. Il CESE invita le parti sociali degli Stati membri a proseguire il dialogo sociale e la contrattazione collettiva, e a definire norme e procedure adatte a ciascuno Stato e a ciascuna situazione settoriale.

1.4.

Il CESE ritiene che le soluzioni da trovare debbano essere considerate alla luce della transizione dell'economia verso la digitalizzazione, nell'ottica di uno sviluppo più sostenibile e della riduzione delle disuguaglianze esistenti.

1.5.

Il CESE invita la Commissione europea e gli Stati membri a seguire da vicino l'attuazione degli accordi in materia di telelavoro (2002) e digitalizzazione (2020). Sulla base dell'esperienza maturata con la pandemia, si potrebbero apportare adeguamenti alla normativa esistente nell'UE e negli Stati membri ed elaborare una nuova regolamentazione per promuovere gli elementi positivi del telelavoro e tutelare i diritti fondamentali dei lavoratori. Il CESE osserva che l'organizzazione dell'orario di lavoro, i rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, l'equilibrio tra vita professionale e vita privata, il diritto alla disconnessione e l'effettività dei diritti dei lavoratori nel telelavoro sono questioni che meritano una particolare attenzione. Si sta accelerando il ritmo con cui i cambiamenti tecnologici prendono piede nel mondo del lavoro e le nuove modalità di lavoro si diffondono, ed è necessario garantire che le norme e le pratiche siano adeguate alle nuove circostanze del futuro.

1.6.

Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità che gli Stati membri, con la partecipazione delle parti sociali, garantiscano l'esistenza di un quadro nazionale adeguato per il telelavoro, che definisca le regole del caso per le imprese e i lavoratori interessati dalla sua adozione.

1.7.

Il CESE invita gli Stati membri a recepire e attuare correttamente la direttiva sull'equilibrio tra vita professionale e vita privata.

1.8.

Il CESE sottolinea che negli accordi tra le parti sociali europee del 2002 e del 2020 figurano i principi fondamentali in grado di amplificare gli effetti positivi del telelavoro e di ridurne al minimo gli effetti negativi.

1.9.

Il CESE è del parere che, dal punto di vista normativo, gli aspetti essenziali consistano nel garantire che il telelavoro sia volontario e reversibile e che i telelavoratori godano degli stessi diritti, individuali e collettivi, dei lavoratori con mansioni analoghe delle imprese per le quali prestano la propria attività lavorativa, ivi compresa un'organizzazione del lavoro tale da garantire che il carico di lavoro sia analogo e che il regime di telelavoro sia stabilito per iscritto; occorre inoltre che siano adottate, ove necessario, misure specifiche tese a garantire l'effettività dei diritti dei telelavoratori, anche per quel che concerne le condizioni di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro.

1.10.

Il CESE riconosce l'importanza di definire chiaramente tutte le questioni relative alle attrezzature, alle responsabilità e ai costi prima che inizi il telelavoro. In linea di massima, il CESE ritiene che i datori di lavoro abbiano la responsabilità della fornitura, installazione e manutenzione delle attrezzature necessarie al telelavoro. Al datore di lavoro andrebbero direttamente addebitati i costi sostenuti nel telelavoro, in particolare quelli connessi alla comunicazione (materiali di consumo, telefoni cellulari, collegamento a Internet).

1.11.

Il CESE propone che, nel contesto del telelavoro e nel rispetto della legislazione europea e nazionale e della contrattazione collettiva a livello nazionale, regionale, settoriale o di singola azienda, le imprese utilizzino meccanismi adeguati che consentano di misurare l'orario di lavoro normale e quello straordinario.

1.12.

Secondo il CESE, i metodi di controllo e registrazione dell'orario di lavoro dovrebbero perseguire rigorosamente tale scopo, essere noti ai lavoratori e non intrusivi, e rispettare la vita privata dei lavoratori, tenendo conto dei principi applicabili in materia di protezione dei dati.

1.13.

Il CESE sottolinea che i dipendenti in telelavoro non possono essere svantaggiati nella loro vita lavorativa, in particolare per lo sviluppo della loro carriera professionale, la formazione continua, l'accesso alle informazioni interne dell'impresa, la partecipazione e la rappresentanza sindacali, i diritti specifici dei lavoratori (medicina del lavoro, assicurazioni, ecc.) e il godimento di altri diritti specifici esistenti nell'impresa.

1.14.

Secondo il CESE, la Commissione europea, l'OIL e l'OCSE dovrebbero avviare un processo congiunto, basato sugli studi relativi all'impatto del telelavoro, teso a elaborare una convenzione OIL sul telelavoro. Il CESE ritiene inoltre che condizioni di telelavoro dignitose debbano far parte dell'agenda dell'OIL per il lavoro dignitoso e dei corrispondenti programmi nazionali.

2.   Aspetti concettuali e contesto del telelavoro

2.1.

Il presente parere fornisce una risposta agli interrogativi sollevati dalla presidenza portoghese in merito alle sfide poste dal telelavoro riguardo all'organizzazione dell'orario di lavoro, all'equilibrio tra vita professionale e vita privata e al diritto alla disconnessione, nell'ottica di promuovere il modello sociale europeo. Tra le suddette questioni figura la prospettiva di genere, che sarà tuttavia sviluppata in un apposito parere (SOC/662), complementare al presente parere.

2.2.

Il CESE apprezza il lavoro svolto dall'OIL e da Eurofound sulle metodologie e sui concetti relativi al telelavoro che consentono di raffrontare i dati a livello europeo e internazionale (1).

2.3.

In linea con questo lavoro, il CESE utilizza il termine telelavoro in riferimento all'attività che lavoratori svolgono a distanza, al di fuori dei locali dell'impresa e utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC). Il luogo in cui si svolge il lavoro e l'impiego delle TIC sono pertanto due degli aspetti fondamentali del telelavoro. Il CESE riconosce che esistono diverse modalità di telelavoro, a seconda delle leggi e delle prassi nazionali in vigore. Il presente parere si concentra sul telelavoro dei lavoratori dipendenti, senza prendere in considerazione la problematica dei lavoratori autonomi, che dovrà essere affrontata, in futuro, in un parere specifico.

2.4.

Il telelavoro è già oggetto di politiche volte a disciplinarlo. Sebbene non esistano direttive o norme specifiche sul telelavoro a livello europeo e internazionale, l'UE dispone di strumenti applicabili a questa fattispecie, quali la direttiva 2003/88/CE sull'organizzazione dell'orario di lavoro (2), la direttiva 89/391/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro (3), la direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'UE (4) e la direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare (5). Il CESE esorta gli Stati membri a procedere a un recepimento efficace di dette direttive.

2.5.

Anche le parti sociali europee si sono occupate di questo settore, e nel 2002 hanno firmato un accordo quadro sul telelavoro, attuato in modo non omogeneo nelle diverse parti d'Europa (accordo autonomo). In esso sono evidenziati aspetti quali il carattere volontario del telelavoro; la parità di trattamento rispetto ai lavoratori con mansioni analoghe della stessa impresa, con riferimenti specifici al carico di lavoro, all'accesso alla formazione e al godimento dei diritti collettivi; la reversibilità; l'inalterabilità dello status del lavoratore nonostante il passaggio al telelavoro; il rispetto della vita privata del telelavoratore; la protezione dei dati e il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Al fine di verificare la corretta applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza, il datore di lavoro, i sindacati/rappresentanti dei lavoratori e le altre autorità competenti hanno accesso al luogo di lavoro entro i limiti stabiliti dalle leggi nazionali e dai contratti collettivi. Se il telelavoro è svolto a domicilio, tale accesso è soggetto a previa notifica e consenso del lavoratore, e quest'ultimo ha il diritto di chiedere visite di ispezione.

2.6.

Nel giugno 2020 le parti sociali europee hanno concluso un accordo quadro autonomo sulla digitalizzazione riguardante 4 ambiti specifici, e più precisamente: competenze digitali e sicurezza del posto di lavoro; modalità di connessione e disconnessione; intelligenza artificiale e mantenimento del controllo umano; rispetto della dignità umana e sorveglianza. Il CESE ritiene necessario effettuare quanto prima una valutazione dei risultati emersi dall'attuazione delle disposizioni contenute nell'accordo. Il CESE invita la Commissione, gli Stati membri e le parti sociali a promuovere una rapida e corretta attuazione dell'accordo. Sarebbe eventualmente possibile avviare un'iniziativa legislativa europea, conformemente alle disposizioni del TFUE in materia di politica sociale (articoli 151 e seguenti), e/o a livello di Stato membro, per tutelare e rendere effettivo il diritto dei lavoratori alla disconnessione.

2.7.

Anche a livello delle parti sociali europee è stato svolto e continuerà a svolgersi un lavoro importante in un numero significativo di settori. L'elenco non esaustivo degli accordi in materia di telelavoro e digitalizzazione che illustrano questo impegno di dialogo sociale è riportato nell'allegato al presente parere.

2.8.

A livello di Stati membri, il diritto del lavoro disciplina aspetti pertinenti al telelavoro quali la durata e l'organizzazione dell'orario di lavoro, la prestazione di lavoro subordinato, nonché la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, con disposizioni specifiche tra cui l'obbligo di un contratto di lavoro scritto. L'accordo quadro sul telelavoro ha influito sul contenuto delle norme adottate.

2.9.

Il telelavoro è stato e continuerà a essere oggetto di contrattazione collettiva e di accordi conclusi a livello nazionale (in alcuni casi di natura tripartita), settoriale o aziendale, il cui contenuto è stato influenzato anche dall'accordo europeo del 2002. I negoziati avvengono spesso a livello di impresa, pertanto i contenuti concordati sono meno noti (6).

2.10.

Gli Stati membri dell'Europa orientale costituiscono un'eccezione a questa realtà. Il CESE invita le parti sociali di questi Stati membri a negoziare o aggiornare le convenzioni in materia di telelavoro.

2.11.

Secondo i dati dell'indagine europea sulle condizioni di lavoro condotta nel 2015, la percentuale complessiva dei lavoratori era elevata nei paesi dell'Europa del Nord — come Danimarca (37 %), Svezia (33 %) e Paesi Bassi (30 %) –, mentre era media in paesi come Lussemburgo (26 %), Francia (25 %), Estonia (24 %), Belgio (24 %) e Finlandia (24 %), e bassa in metà dei paesi dell'UE, con percentuali comprese tra il 12-13 % (Germania, Spagna, Bulgaria, Lituania, Romania) e il 7-11 % (Italia, Repubblica ceca, Polonia, Slovacchia, Portogallo e Ungheria). Va osservato che, in generale, metà dei telelavoratori rientra nella categoria «occasionale» e poco meno di 1/4 nella categoria «strutturale» (home-based telework(7).

2.12.

Sono disponibili i risultati di alcune recenti ricerche (8):

2.12.1.

Nel 2019 solo il 5,4 % degli occupati nell'UE-27 lavorava abitualmente da casa, una percentuale quasi invariata nell'ultimo decennio; tuttavia, tra il 2009 e il 2019, la percentuale di coloro che telelavoravano in modo occasionale è passata dal 5,2 % al 9 %; secondo gli studi dell'OIL, l'incidenza del telelavoro (anche «mobile») è dell'8 % per l'insieme della forza lavoro dell'UE, rispetto al 20 % negli Stati Uniti e al 16 % in Giappone (9).

2.12.2.

La prevalenza del telelavoro varia notevolmente a seconda dei settori e delle professioni, ed è particolarmente elevata nei settori dell'informazione e della tecnologia e nei settori ad alta intensità di conoscenza, nonché tra i professionisti altamente qualificati. La struttura industriale degli Stati membri, la distribuzione dell'occupazione per dimensione aziendale, il tasso di lavoro autonomo e le competenze digitali dei lavoratori sono alcuni dei fattori che spiegano le differenze e le variazioni nell'incidenza del telelavoro tra i diversi paesi.

2.12.3.

Le disparità nell'accesso al telelavoro e nella protezione di cui beneficiano i lavoratori possono far aumentare le disuguaglianze tra i lavoratori, compresa la questione di genere trattata nel parere SOC/662, e devono essere affrontate.

2.12.4.

Lo sviluppo delle competenze digitali dei lavoratori è fondamentale per affrontare le sfide derivanti dai cambiamenti tecnologici e dalle nuove modalità di lavoro (nel 2019 era stata impartita una formazione in materia di competenze digitali in meno del 25 % delle imprese dell'UE, e questa percentuale variava dal 6 % della Romania fino al 37 % della Finlandia).

2.13.

Con lo scoppio della pandemia di COVID-19, molti milioni di lavoratori in Europa hanno iniziato a lavorare da casa, ed Eurofound stima che circa il 40 % sia passato al telelavoro a tempo pieno a causa della pandemia. Nella maggioranza dei casi, ciò è obbligatorio a seguito di decisioni adottate dalle autorità pubbliche per motivi di controllo sanitario.

2.14.

Il CESE si richiama ai propri svariati pareri (10) su questioni relative al futuro del lavoro, alla digitalizzazione, all'organizzazione dell'orario di lavoro e all'equilibrio tra vita professionale e vita privata.

3.   Opportunità e rischi del telelavoro

3.1.

Per le imprese, il telelavoro può portare ad un aumento della produttività, ma può creare difficoltà sul piano della cultura organizzativa e dell'organizzazione del lavoro. Dal punto di vista delle imprese, il ricorso al telelavoro comporta il perseguimento di molteplici obiettivi, tra i quali (11):

i.

organizzare il lavoro sulla base dei risultati, con una maggiore autonomia e responsabilità dei lavoratori a questo riguardo;

ii.

lavorare con maggiore produttività ed efficienza (con meno interruzioni);

iii.

risparmiare in termini di spazio (locali/uffici) e di costi associati;

iv.

agevolare l'accesso al lavoro per talune categorie di lavoratori (con responsabilità di assistenza o con disabilità motoria).

3.2.

Per i lavoratori, il telelavoro può facilitare la conciliazione tra vita professionale e vita privata e ridurre i costi associati al pendolarismo. In generale, il telelavoro può portare a un aumento dell'autonomia, della concentrazione e della produttività (12). Tuttavia, l'autonomia non elimina sempre gli effetti negativi sulla salute e sul benessere, e può addirittura portare a intensificare il lavoro se combinata con un carico di lavoro eccessivo e con culture organizzative dominate dalla competizione volte a imporre prestazioni lavorative elevate, con conseguenti carichi di lavoro eccessivi (e non retribuiti) e periodi di riposo insufficienti (13).

3.3.

Il CESE sottolinea che il telelavoro costituisce un fattore positivo per lo sviluppo sostenibile e la decarbonizzazione dell'economia e anche per agevolare la mobilità urbana.

3.4.

Il CESE osserva che, grazie al telelavoro, l'impatto negativo della pandemia di COVID-19 è stato notevolmente ridotto. L'aumento significativo del ricorso al telelavoro ha permesso a molti settori dell'economia di rimanere in vita.

3.5.

Il CESE osserva che la dissoluzione dei confini tra orario di lavoro e orario non lavorativo può portare a un aumento delle ore effettivamente prestate e a una maggiore intensità di lavoro, a difficoltà nello staccarsi dall'attività lavorativa e a una riduzione del tempo dedicato alla famiglia. La misurazione e il monitoraggio degli orari di lavoro costituiscono una sfida importante per le amministrazioni degli ispettorati del lavoro degli Stati membri che deve essere affrontata in modo adeguato.

3.6.

La ricerca mette in risalto i rischi per i lavoratori, e non solo quelli relativi ai diversi tipi di isolamento —come lo stress, la depressione e l'ansia —ma anche i rischi muscolo-scheletrici, la cefalea, la stanchezza, i disturbi del sonno e i nuovi fenomeni digitali come il «presenteismo virtuale». L'effetto del presenteismo sulla vita lavorativa varia. Secondo Eurofound, l'esperienza è negativa per alcuni lavoratori, mentre altri sono soddisfatti di poter lavorare da casa invece di recarsi sul luogo di lavoro quando si sentono male. Tuttavia, ciò non dovrebbe ledere il diritto al congedo per malattia. Il telelavoro pone inoltre notevoli difficoltà per quanto riguarda l'organizzazione e la partecipazione alle attività sindacali, la mancanza di visibilità, le violazioni della vita privata e la dispersione dei telelavoratori.

3.7.

Il CESE osserva che vi sono altri rischi associati al telelavoro, come quelli in materia di cibersicurezza, che dovrebbero essere affrontati in modo adeguato per difendere le imprese e proteggere la vita privata dei telelavoratori. Un altro rischio associato al telelavoro può essere l'impatto negativo sulle culture organizzative esistenti in unità che producono beni e servizi o sono di natura associativa e/o volontaria.

3.8.

Il telelavoro richiede competenze in materia di TIC e la disponibilità di attrezzature e servizi, nonché condizioni abitative e di altro tipo adeguate allo svolgimento del lavoro, il che solleva la questione delle disuguaglianze economiche e sociali.

3.9.

Il CESE riconosce che il telelavoro può facilitare l'inclusione nel mercato del lavoro di alcuni gruppi discriminati, in particolare le persone con disabilità, le donne incinte e i genitori soli, che spesso incontrano ostacoli strutturali all'accesso all'occupazione.

3.10.

Il CESE è del parere che, dal punto di vista normativo, gli aspetti essenziali consistano nel garantire che il telelavoro sia volontario e reversibile (salvo qualora, in casi eccezionali come la pandemia, le autorità pubbliche lo impongano), che i telelavoratori godano degli stessi diritti, individuali e collettivi, dei lavoratori con mansioni analoghe delle imprese per le quali prestano la propria attività lavorativa e che il regime di telelavoro sia stabilito per iscritto; occorre inoltre che siano adottate, ove necessario, misure specifiche tese a garantire l'effettività dei diritti dei telelavoratori e la parità di trattamento rispetto agli altri lavoratori.

3.11.

Il CESE ritiene che la regolamentazione del telelavoro possa garantire condizioni di lavoro dignitose e contribuire a ridurre le disuguaglianze e la povertà lavorativa (14).

3.12.

Il CESE ritiene che i datori di lavoro abbiano la responsabilità di formare i lavoratori, nonché di assicurare la fornitura, l'installazione e la manutenzione delle attrezzature necessarie al telelavoro. Al datore di lavoro andrebbero direttamente addebitati i costi sostenuti nel telelavoro, in particolare quelli connessi alla comunicazione (materiali di consumo, telefoni cellulari, collegamento a Internet).

3.13.

Devono essere garantite tutte le misure necessarie per proteggere i dati relativi al telelavoro, in particolare i dati personali dei telelavoratori.

3.14.

Il CESE osserva che si è registrato un forte aumento dei sistemi di sorveglianza, controllo e monitoraggio dell'attività dei telelavoratori da parte delle imprese in generale. Il CESE raccomanda che il ricorso a tali strumenti di controllo tenga conto dei principi in materia di protezione dei dati e, se necessario, sia inquadrato da una futura normativa europea e/o dalla contrattazione collettiva a livello nazionale, regionale, settoriale e aziendale tra le parti sociali degli Stati membri.

4.   Le sfide del telelavoro

4.1.   Organizzazione dell'orario di lavoro

4.1.1.

Il CESE constata che le ricerche sono unanimi quanto agli effetti del telelavoro sull'orario di lavoro, e individuano nella tendenza a prolungare l'orario stesso il principale svantaggio di questa forma di lavoro (15). Il lavoratore è autorizzato a strutturare autonomamente la propria giornata lavorativa ed evita il pendolarismo, ma la contropartita è l'estensione del lavoro alle ore serali e al fine settimana.

4.1.2.

Il CESE prende atto con soddisfazione che le parti sociali europee hanno recentemente convenuto che periodici scambi di opinioni tra dirigenti e lavoratori e/o i loro rappresentanti sul carico di lavoro e sui processi lavorativi (16) figurano tra le misure da prendere in considerazione nel quadro del processo di partenariato congiunto che costituisce la base dell'accordo.

4.1.3.

In effetti, da uno studio di Eurofound (17) risulta che:

4.1.3.1.

nel telelavoro «strutturale», circa il 30 % dei lavoratori lavora nel tempo libero ogni giorno o più volte alla settimana; circa il 50 % deve interrompere il lavoro per svolgere compiti imprevisti e circa il 20 % lavora più di 48 ore settimanali (circa il 30 % se è «mobile» e il 10 % se è «occasionale»);

4.1.3.2.

nel telelavoro «strutturale», circa il 40 % dei lavoratori riposa per meno di 11 ore (circa il 25 % per il telelavoro «occasionale» e circa il 60 % per quello «mobile»).

4.1.4.

Le indagini di Eurofound mostrano che l'intensità del lavoro rappresenta un problema comune nei paesi europei (ad esempio, il 37 % dei lavoratori riferisce di scadenze ravvicinate) e che è più frequente tra i telelavoratori, in particolare quelli «mobili» (18).

4.1.5.

Occorre valutare le conseguenze per la salute e il benessere dell'uso intensivo delle TIC, come il lavoro davanti allo schermo di un computer o allo smartphone. Gli effetti negativi, che possono essere amplificati dal telelavoro, riguardano la pressione psicologica («stress»), l'affaticamento degli occhi, l'ansia, la cefalea, la stanchezza, i disturbi del sonno e i disturbi muscoloscheletrici (19).

4.1.6.

Sebbene esistano norme applicabili al telelavoro, è necessario valutare se la direttiva sull'orario di lavoro e altre direttive di cui al punto 2.4, oppure l'accordo sul telelavoro (2002) e l'accordo sulla digitalizzazione (2020), siano sufficienti per proteggere tali lavoratori (20). A questo proposito, il CESE rileva l'importanza della giurisprudenza europea, secondo cui «(…) gli Stati membri devono imporre ai datori di lavoro l'obbligo di predisporre un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell'orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore» (21). Il CESE osserva che spetta agli Stati membri definire le modalità specifiche di attuazione di tale sistema, tenendo conto, tra l'altro, delle differenze tra settori e attività (22).

4.1.7.

In tale prospettiva, il CESE propone che, nel contesto del telelavoro e nel rispetto della legislazione europea e nazionale e della contrattazione collettiva a livello nazionale, regionale, settoriale o di singola azienda, le imprese utilizzino meccanismi adeguati che consentano di misurare l'orario di lavoro normale e quello straordinario.

4.1.8.

Secondo il CESE, nella parità di trattamento rispetto ai lavoratori con mansioni analoghe della stessa impresa rientrano le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, un'organizzazione del lavoro tale da garantire che il carico di lavoro sia analogo e il diritto dei sindacati/rappresentanti dei lavoratori di poter accedere ai luoghi in cui è prestato il telelavoro, entro i limiti stabiliti dalle leggi e dai contratti collettivi nazionali.

4.1.9.

I telelavoratori non possono essere svantaggiati nella loro vita lavorativa, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo della carriera professionale, la formazione continua, l'accesso alle informazioni interne dell'impresa, la partecipazione e la rappresentanza sindacali, i diritti specifici dei lavoratori (medicina del lavoro, assicurazioni, ecc.) e il godimento di altri diritti specifici esistenti nell'impresa.

4.2.   Equilibrio tra vita professionale e vita privata

4.2.1.

Una delle forze trainanti alla base dell'espansione del telelavoro è il fatto che questa forma di lavoro sembri consentire un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata, nonché una migliore produttività, una maggiore lealtà e un minore avvicendamento del personale. Tuttavia, poiché è difficile giungere a conclusioni definitive in merito agli effetti del telelavoro sul mondo del lavoro basandosi sulle ricerche attualmente disponibili sull'argomento, la realtà potrebbe essere è ben più complessa e ambigua —e forse persino contraddittoria —rispetto a questo potenziale di vantaggi reciproci per i lavoratori e i datori di lavoro (23).

4.2.2.

Il CESE osserva che esiste una contraddizione tra la crescente flessibilità dell'orario di lavoro e l'obiettivo del lavoro dignitoso auspicato dall'OIL.

4.2.3.

Il CESE sottolinea che gli effetti negativi sull'equilibrio tra vita professionale e vita privata si amplificano nel caso dei telelavoratori e variano anche in funzione delle caratteristiche individuali del lavoratore, della cultura e dell'organizzazione del lavoro (24). Il CESE ritiene che un efficace recepimento della direttiva che disciplina la materia contribuirà certamente a migliorare le condizioni dei telelavoratori (25). Il Comitato invita quindi gli Stati membri a recepire e attuare correttamente questa direttiva.

4.2.4.

Il CESE osserva che gli effetti del telelavoro sull'equilibrio tra vita professionale e vita privata sono estremamente ambigui, se non contraddittori, e che sono necessarie ulteriori ricerche sul suddetto equilibrio (26).

4.2.5.

Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità di una formazione adeguata, sia per i lavoratori che per il personale dirigente, sulle buone pratiche in materia di gestione del telelavoro e sul rispetto delle norme giuridiche e contrattuali, in particolare per quanto riguarda la promozione dell'equilibrio tra vita professionale e vita privata.

4.2.6.

Il CESE invita gli Stati membri a effettuare investimenti adeguati tesi alla creazione e/o allo sviluppo di servizi sociali di alta qualità per l'assistenza agli anziani e ai minori, con accesso universale, che potrebbero contribuire a garantire l'equilibrio tra vita professionale e vita privata.

4.3.   Diritto alla disconnessione

4.3.1.

Il CESE è consapevole che la cultura dell'always on, l'essere costantemente connessi e la mancanza di riposo per i telelavoratori creano importanti rischi fisici e psicosociali (27). Se si rimane connessi, è molto difficile rispettare i limiti tra lavoro retribuito e vita privata,

4.3.2.

Per limitare questi effetti negativi, di recente gli Stati membri hanno sviluppato delle politiche —benché seguendo approcci diversi —e/o le parti sociali e le imprese hanno lanciato iniziative sul diritto alla disconnessione che sono tese a proteggere i lavoratori nel loro tempo libero.

4.3.3.

Il fatto di rimanere sempre connessi comporta conseguenze negative. Le donne sono più svantaggiate in quanto sopportano l'onere del lavoro domestico non retribuito e dell'assistenza ai minori, agli anziani o agli ammalati (28).

4.3.4.

La legislazione disciplina la maggior parte delle questioni legate al telelavoro, pertanto la sua effettiva attuazione rimane molto pertinente. A livello europeo, nel giugno del 2020 è stato firmato un accordo quadro sulla digitalizzazione che riguarda, tra l'altro, le modalità del diritto alla disconnessione, il rispetto delle disposizioni in materia di orario di lavoro contenute nella legislazione e nei contratti collettivi e in altre disposizioni contrattuali, e il diritto del lavoratore a non essere contattabile dai datori di lavoro al di fuori dell'orario di lavoro. Il CESE osserva che tale accordo è in fase di attuazione da parte delle parti sociali negli Stati membri. Rimane tuttavia possibile un'iniziativa legislativa conformemente alle disposizioni del TFUE (articoli 151 e seguenti), per tutelare e rendere effettivo il diritto dei lavoratori alla disconnessione, evitando il deterioramento delle loro condizioni di lavoro.

4.3.5.

Negli Stati membri esistono posizioni diverse in merito all'instaurazione di un diritto alla disconnessione (29). Quattro paesi (Belgio, Spagna, Francia e Italia) hanno adottato una legislazione specifica. In due paesi si è svolta una discussione su progetti di legge (Portogallo) o vi è stato un processo di consultazione (Paesi Bassi), ma non è stata adottata alcuna legislazione specifica. In altri Stati membri le posizioni divergono: in alcuni casi, i sindacati invocano una legislazione specifica, perché la normativa esistente non è considerata sufficiente; in altri, ritengono che la contrattazione collettiva sia la migliore forma di regolamentazione; in altri ancora, sostengono che la normativa che disciplina l'orario di lavoro sia sufficiente.

4.3.6.

Alla luce di questa situazione, il CESE accoglie con favore la risoluzione che il Parlamento europeo ha adottato il 21 gennaio 2021 e che la Commissione europea ha preso in considerazione nel piano d'azione del pilastro europeo dei diritti sociali del 4 marzo, nell'ambito del capitolo sul telelavoro e il diritto alla disconnessione (30). In tale contesto, il CESE ritiene che il piano d'azione del pilastro europeo dei diritti sociali debba affrontare in modo adeguato il diritto alla disconnessione.

4.3.7.

Il CESE sottolinea che, per quanto riguarda il diritto alla disconnessione, le ore di lavoro straordinario non costituiscono di per sé un problema, a condizione che rispettino le norme stabilite, in particolare il tetto massimo, e che sia garantito che tutti i lavori eseguiti siano retribuiti in base al quadro giuridico di ciascun paese.

5.   Azioni della Commissione europea, degli Stati membri e delle parti sociali

5.1.

Il CESE rileva la necessità di incrementare la quantità e la qualità delle informazioni statistiche — nonché di intensificare la ricerca — in materia di telelavoro, al fine di individuare le migliori pratiche e analizzarne l'impatto sulla vita dei lavoratori, delle imprese e della società. Il CESE esorta la Commissione europea a migliorare la ricerca sul telelavoro e sui suoi effetti, a promuovere lo scambio tra gli Stati membri delle migliori pratiche in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, equilibrio tra vita professionale e vita privata e diritto alla disconnessione, e infine a sostenere lo sviluppo della necessaria transizione delle competenze, nel rispetto del dialogo sociale e della contrattazione collettiva tra le parti sociali ai diversi livelli.

5.2.

Il CESE sottolinea che negli accordi del 2002 e del 2020 figurano i principi fondamentali in grado di amplificare gli effetti positivi del telelavoro e di ridurne al minimo gli effetti negativi.

5.3.

Il CESE invita la Commissione europea e gli Stati membri a seguire da vicino l'attuazione degli accordi del 2002 e del 2020 e, se necessario, ad apportare adeguamenti alla normativa esistente sulla base dell'esperienza maturata con la pandemia —nonché a elaborare una nuova regolamentazione —al fine di promuovere gli elementi positivi del telelavoro e tutelare i diritti fondamentali dei lavoratori. Si sta accelerando il ritmo con cui i cambiamenti tecnologici prendono piede nel mondo del lavoro e le nuove modalità di lavoro si diffondono, ed è possibile che sia necessario adeguare le norme e le pratiche alle nuove circostanze del futuro.

5.4.

Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità che gli Stati membri, con la partecipazione delle parti sociali, garantiscano un quadro nazionale adeguato per il telelavoro, che definisca le regole del caso per le imprese e i lavoratori interessati dalla sua adozione, tenendo conto degli accordi di cui sopra.

5.5.

In particolare, l'organizzazione dell'orario di lavoro, i rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, l'equilibrio tra vita professionale e vita privata, il diritto alla disconnessione e l'effettività dei diritti dei lavoratori nel telelavoro sono questioni che meritano una particolare attenzione.

5.6.

Il CESE è convinto che i problemi del telelavoro debbano trovare soluzione nel quadro degli orientamenti del pilastro europeo dei diritti sociali e degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

5.7.

Il CESE ritiene che la partecipazione e il coinvolgimento delle parti sociali a tutti i livelli, in particolare attraverso la contrattazione collettiva, siano essenziali per trovare soluzioni equilibrate, dignitose ed eque.

5.8.

Secondo il CESE, la Commissione europea, l'OIL e l'OCSE dovrebbero avviare un processo congiunto, basato sugli studi relativi all'impatto del telelavoro, teso a elaborare una convenzione OIL sul telelavoro. Il CESE ritiene inoltre che condizioni di telelavoro dignitose debbano far parte dell'agenda dell'OIL per il lavoro dignitoso e dei corrispondenti programmi nazionali.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Alex Soojung-Kim Pang (2017), Rest — Why you get more done when you work less (Riposatevi — Perché si è più produttivi lavorando meno).

(2)  GU L 299 del 18.11.2003, pag. 9.

(3)  GU L 183 del 29.6.1989, pag. 1.

(4)  GU L 186 del 11.7.2019, pag. 105.

(5)  GU L 188 del 12.7.2019, pag. 79.

(6)  Eurofound e OIL (2017), Working anytime, anywhere: The effects on the world of work (Lavorare in qualsiasi momento e ovunque: gli effetti sul mondo del lavoro), pagg. 51-54 [nel prosieguo, «Eurofound e OIL (2017)»].

(7)  Commissione europea (2020), Telework in the EU before and after the COVID-19: where we were, where we head to. Science for Policy Briefs, (Il telelavoro nell'UE prima e dopo la COVID-19: dove eravamo, dove stiamo andando).

(8)  Ibidem.

(9)  OIL (2019), Telework in the 21st century (Il telelavoro nel XXI secolo), pag. 294.

(10)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 44, GU C 197 dell'8.6.2018, pag. 45, GU C 237 del 6.7.2018, pag. 8, GU C 367 del 10.10.2018, pag. 15, GU C 440 del 6.12.2018, pag. 37, GU C 232 del 14.7.2020, pag. 18.

(11)  Eurofound e OIL (2017), pag. 51.

(12)  Eurofound (2020), Telework and ICT-based mobile work: flexible working in the digital age (Telelavoro e lavoro mobile basato sulle TIC: il lavoro flessibile nell'era digital"), pag. 53 [di seguito «Eurofound (2020)»].

(13)  Eurofound e OIL (2017), pag. 40.

(14)  Cfr. la risoluzione adottata di recente dal Parlamento europeo.

(15)  OIL (2019), Telework in the 21st century (Il telelavoro nel XXI secolo), pag. 298.

(16)  Accordo quadro autonomo delle parti sociali europee sulla digitalizzazione, giugno 2020, pag. 10.

(17)  Further exploring the working conditions of ICT-based mobile workers and home-based teleworkers (Approfondire le condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che utilizzano le TIC e dei telelavoratori a domicilio), documento di lavoro, 2020, pagg. 23-33.

(18)  Eurofound (2016), Sesta indagine europea sulle condizioni di lavoro — Relazione di sintesi, pagg. 47-51. Cfr. anche la nota precedente.

(19)  Sulle implicazioni del telelavoro per la salute e il benessere, cfr. Eurofound (2020), pagg. 27-35.

(20)  Eurofound e OIL (2020), pag. 54.

(21)  Sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea nella causa C-55/18, ECLI:EU:C:2019:402, punto 60. In materia di telelavoro, cfr. anche altra giurisprudenza: C-518/15; C-344/19; C-580/19; C-214/20; C-84/94.

(22)  Ibidem, causa C-55/18, ECLI: EU:C:2019:402, punto 63.

(23)  OIL (2019), Telework in the 21st century (Il telelavoro nel XXI secolo), pag. 302.

(24)  La fonte principale è Eurofound (2020), pagg. 13-26.

(25)  Eurofound e OIL (2020), pag. 54.

(26)  Eurofound e OIL (2017), pagg. 33 e 40.

(27)  Eurofound e OIL (2017), pag. 37.

(28)  Cfr. il parere del CESE SOC/662 (cfr. pag. 13 della presente Gazzetta ufficiale).

(29)  La fonte principale è Eurofound (2020), pagg. 13-26.

(30)  Cfr. la risoluzione adottata di recente dal Parlamento europeo.


ALLEGATO I

EUROPEAN SECTORAL SOCIAL DIALOGUE JOINT TEXTS ON TELEWORK AND DIGITALISATION (1)

Telework

Eurocommerce and UNI, Europa, European agreement on guidelines on Telework and ICT-mobile work in commerce, 25 May 2018 (commerce)

EACB, EBF-FBE, ESBG and UNI Global Union, Declaration on Telework in the European Banking Sector, 17 November 2017 (banking)

ETNO and UNI Europa, Joint Declaration on ICT-based mobile work, 2 February 2017 (telecommunications)

ETNO and UNI Europa, Joint declaration on telework, 9 June 2016 (telecommunications)

ACME, BIPAR, CEA and UNI-Europa, Joint declaration on telework by the European social partners in the insurance sector, 10 February 2015 (insurance)

CEMR-CCRE and EPSU, CEMR-EP/EPSU joint statement on telework, 13 January 2004 (local and regional government)

Eurelectric and EPSU, EMCEF, Joint declaration on telework, 13 November 2002 (electricity)

Eurocommerce and UNI Europa, European Agreement on Guidelines on Telework in Commerce, 26 April 2001 (Commerce)

ETNO and UNI Europa, Guidelines for Telework in Europe, 7 February 2001 (telecommunications)

Joint Committee, Opinion on telework, 23 November 1998 (telecommunications)

Digitalisation

ETNO and UNI-Europa, Joint Declaration on Artificial Intelligence, 30 November 2020 (telecommunications)

CEEMET and IndustriAll, Joint opinion on the impact of digitalisation on the world of work in the met industries, 9 November 2020 (metal industry)

EFIC and EFBWW, European Social Partners joint statement on Digital Transformation in workplaces of the European Furniture Industry, 6 July 2020 (Furniture)

Federation of European Social Employers and EPSU, Joint Position Paper on Digitalisation in the Social Services Sector — Assessment of Opportunities and Challenges, 6 June 2020 (social services)

Eurelectric and EPSU, IndustriAll, Digitalisation at the heart of social partners' commitment to keep the lights on, 9 April 2020 (electricity)

Eurelectric and EPSU, IndustriAll, A Social Partners' Framework of Actions —Challenges and opportunities of the digitalisation for the workforce in the European Electricity Sector, 9 April 2020 (electricity)

PostEurop and UNI Europa, Joint Declaration on Training in the Digital Era, 6 December 2019 (postal services)

ECEG and IndustriAll, Joint recommendations on digital transformations in the workplace for the European chemicals, pharmaceuticals, rubber and plastics sectors, 8 November 2019 (chemical industry)

EFCI/FENI and UNI Europa, Joint Statement on the Impact of Digitalization on Employment in the Cleaning and Facility Services Industry, 29 October 2019 (industrial cleaning)

INTERGRAF and UNI-Europa, Print is vital for the future of reading —INTERGRAF and UNI Europa Graphical & Packaging joint statement, 21 October 2021 (graphical industry)

FEPORT, ESPO and ETF, Joint statement «Market based and technological developments in the shipping sector and technological innovation represent major challenges for the port sector», 24 June 2019 (ports)

AMICE, BIPAR, Insurance Europe and UNI Europa, Follow-up statement on the social effects of digitalization, 15 February 2019 (insurance)

IRU and ETF, Joint statement from Social partners for better regulation and digital enforcement, 7 December 2018 (road transport)

EBF-FBE and UNI Europa, Joint Declaration on the Impact of Digitalisation on Employment, 30 November 2018 (banking)

CEPI and IndustriAll, A social partner resolution addressing the ongoing digitalisation in the European pulp and paper sector and its potential impact on industry and employment, 6 July 2018 (paper industry)

CEEMET and IndustriAll, The impact of digitalisation on the world of work in the metal, engineering and technology-based industries, 8 December 2016 (metal industry)

AMICE, BIPAR, Insurance Europe and UNI Europa, Joint declaration on the social effects of digitalisation by the European social partners in the insurance sector, 12 October 2016 (Insurance)

EPSU and CEMR, Joint Declaration on the opportunities and challenges of digitalisation in local and regional administration, 11 December 2015 (local and regional administration)


(1)  Based on the European Commission EU social dialogue texts database, the European Trade Union Institute (ETUI) EU Social Dialogue texts database (not yet publicly available) and own research.


ALLEGATO II

I seguenti emendamenti sono stati respinti dall'Assemblea ma hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 43, paragrafo 2, del Regolamento interno):

Punto 1.14 (collegato al punto 5.8)

Modificare come segue:

 

1.14.

Il CESE ritiene, sulla base di studi sull'impatto del telelavoro, che sia importante includere buone condizioni di telelavoro nell'agenda per il lavoro dignitoso, in generale, e nei programmi nazionali per il lavoro dignitoso, in particolare. Secondo il CESE, la La Commissione europea, l'OIL e l'OCSE dovrebbero avviare un processo congiunto, basato sugli studi relativi all'impatto del telelavoro, teso a valutare se sia necessario elaborare una convenzione OIL sul telelavoro.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

109

Voti contrari:

130

Astensioni:

14

Punto 4.1.1

Modificare come segue:

 

4.1.1.

Il CESE constata che è difficile giungere a conclusioni definitive in merito agli effetti del telelavoro sul mondo del lavoro basandosi sullo stato attuale delle ricerche. le ricerche sono unanimi quanto agli effetti del telelavoro sull'orario di lavoro, e individuano nella tendenza a prolungare l'orario stesso il principale svantaggio di questa forma di lavoro (15) . Il lavoratore è autorizzato a strutturare autonomamente la propria giornata lavorativa ed evita il pendolarismo, ma la contropartita è l'estensione del lavoro alle ore serali e al fine settimana.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

111

Voti contrari:

120

Astensioni:

18

Punto 1.14 (collegato al punto 1.14)

Modificare come segue:

 

5.8.

Il CESE ritiene, sulla base di studi sull'impatto del telelavoro, che sia importante includere buone condizioni di telelavoro nell'agenda per il lavoro dignitoso, in generale, e nei programmi nazionali per il lavoro dignitoso, in particolare. Secondo il CESE, la La Commissione europea, l'OIL e l'OCSE dovrebbero avviare un processo congiunto, basato sugli studi relativi all'impatto del telelavoro, teso a valutare se sia necessario elaborare una convenzione OIL sul telelavoro.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

109

Voti contrari:

130

Astensioni:

14


(15)  OIL (2019), Telework in the 21st century (Il telelavoro nel XXI secolo), pag. 302.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/13


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Telelavoro e parità di genere — Condizioni affinché il telelavoro non aggravi la distribuzione ineguale dell'assistenza non retribuita e del lavoro domestico tra donne e uomini e costituisca un motore per la promozione della parità di genere»

[parere esplorativo richiesto dalla presidenza portoghese]

(2021/C 220/02)

Relatrice:

Milena ANGELOVA

Correlatrice:

Erika KOLLER

Parere richiesto dalla presidenza portoghese del Consiglio

Lettera del 26.10.2020

Base giuridica

Art. 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

11.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

219/10/18

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il telelavoro è una forma di lavoro ben nota da molto tempo. Tuttavia, la sua diffusione è aumentata in modo sostanziale per effetto delle misure rese necessarie dalla pandemia di COVID-19, in seguito alle quali ormai oltre un terzo degli occupati lavora da casa, con una percentuale maggiore di donne che di uomini (1). Sono generalmente le donne a svolgere la maggior parte del lavoro di assistenza e domestico, ragion per cui esse ravvisano nel telelavoro la sola possibilità di conciliare tali prestazioni non remunerate con la loro occupazione retribuita. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) desidera richiamare l'attenzione proprio sul rischio che si ricorra al telelavoro in quanto rappresenta una possibilità di far fronte al doppio onere del lavoro retribuito e di quello non retribuito. Pertanto, il CESE accoglie con favore la campagna della Commissione europea per lottare contro gli stereotipi di genere (2), ribadisce la necessità di un cambiamento culturale e di rimuovere tutti gli ostacoli strutturali allo scopo di promuovere una distribuzione più equa del lavoro domestico non retribuito, ed esorta gli Stati membri ad attuare in maniera efficiente e tempestiva la direttiva sull'equilibrio tra attività professionale e vita privata.

1.2.

Poiché la pandemia costituisce una situazione eccezionale, è necessario valutare i legami tra il telelavoro e la parità di genere adottando una prospettiva più generale e a più lungo termine. Durante la pandemia, infatti, il telelavoro è, laddove possibile, reso obbligatorio in quanto misura di protezione della salute, nonché accompagnato da numerosi tratti distintivi di carattere eccezionale e restrittivo. In condizioni normali, invece, il telelavoro è effettuato su base volontaria, in modo da permettere una strutturazione del lavoro tale da soddisfare nella maniera più idonea gli obiettivi e le esigenze generali delle imprese e delle organizzazioni, nonché i bisogni sia dei datori di lavoro che dei lavoratori, nel rispetto del quadro giuridico e normativo nazionale e unionale (3) e dei risultati del dialogo sociale, con tutte le modalità pratiche definite nei contratti e/o negli accordi collettivi di lavoro.

1.3.

Il telelavoro offre molte opportunità di contribuire alla parità di genere: ad esempio, una maggiore partecipazione al mercato del lavoro; una maggiore flessibilità nell'organizzazione dell'orario di lavoro e nel combinare compiti di assistenza non retribuiti e lavoro retribuito, il che a sua volta può migliorare la partecipazione al mercato del lavoro; l'aumento della produttività dovuto al miglioramento delle prestazioni; una maggiore corrispondenza geografica tra domanda e offerta di lavoro, senza necessità di trasferirsi in un altro luogo; risparmi di tempo e di costi grazie all'eliminazione o alla diminuzione del pendolarismo ecc. Allo stesso tempo, il telelavoro presenta alcuni rischi e può comportare alcune sfide: ad esempio, la possibilità che il lavoratore diventi invisibile nella comunità di lavoro; l'esclusione dalle strutture di sostegno ufficiali e non ufficiali, dai contatti personali con i colleghi e dall'accesso alle informazioni, dalle opportunità di promozione e formazione; il possibile aumento delle disuguaglianze di genere e del rischio di violenza e di molestie. Per le donne, ciò può significare un aumento delle già forti disparità di genere esistenti. Per riuscire veramente ad attenuare tali rischi, è necessaria un'adeguata analisi di genere, in quanto anche le politiche che potrebbero sembrare neutre dal punto di vista del genere possono, in realtà, non tenere conto del genere e avere un impatto negativo sulle donne. Occorre pertanto compiere ogni sforzo per conseguire un impatto positivo.

1.4.

Il CESE prende atto del quadro legislativo e contrattuale vigente in materia di telelavoro, comprendente la direttiva sull'orario di lavoro, la direttiva sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, la direttiva sull'equilibrio tra attività professionale e vita privata e gli accordi quadro autonomi delle parti sociali europee sul telelavoro (2002) e sulla digitalizzazione (2020). Osserva inoltre che ad oggi non esiste un quadro europeo consolidato in materia di telelavoro, e richiama la necessità, rilevata dal Parlamento europeo, di «un quadro legislativo volto a regolamentare le condizioni del telelavoro all'interno dell'UE, al fine di garantire condizioni lavorative e occupazionali dignitose nell'economia digitale, contribuendo in tal modo a ridurre le disuguaglianze e ad affrontare la povertà lavorativa». Raccomanda pertanto di effettuare una valutazione delle norme esistenti per determinarne l'efficacia alla luce della rapida espansione del telelavoro, della consapevolezza dei nuovi rischi che esso pone e degli insegnamenti tratti dall'esperienza. In particolare, incoraggia le parti sociali a riesaminare l'accordo quadro del 2002 sul telelavoro e ad imprimere ad esso un nuovo slancio.

1.5.

Le parti sociali possono svolgere un ruolo importante nel promuovere il telelavoro in una forma che contribuisca alla parità di genere, promuovendo il benessere sul lavoro e la produttività, per esempio attraverso la contrattazione collettiva. Considerata la notevole varietà dei luoghi di lavoro, i risultati migliori possono essere raggiunti con misure mirate a livello di impresa e di luogo di lavoro. Benché spetti ai datori di lavoro decidere in merito all'organizzazione del lavoro, il dialogo sociale è uno strumento essenziale nei luoghi di lavoro per affrontare questioni come quelle riguardanti le retribuzioni, l'orario di lavoro, la connettività e le sue modalità concrete, la salute e la sicurezza, la formazione e lo sviluppo delle competenze nel contesto del telelavoro.

1.6.

Tra i prerequisiti fondamentali di un telelavoro neutro dal punto di vista del genere figura senz'altro l'accessibilità delle tecnologie, delle strutture e delle competenze necessarie. Il CESE ribadisce la sua richiesta di investire nelle infrastrutture e nei collegamenti digitali per tutti, compresi gli spazi locali condivisi che agevolano il telelavoro all'esterno del domicilio, nonché di potenziare le competenze digitali prestando una particolare attenzione alle donne, per metterle in condizione di partecipare pienamente ai mercati del lavoro e per affrontare qualsiasi forma di divario digitale (4).

1.7.

La disponibilità e l'accessibilità, anche economica, delle infrastrutture e dei servizi di assistenza per i bambini, le persone con esigenze particolari e gli anziani sono un altro prerequisito fondamentale per un telelavoro, e più in generale un lavoro, rispettoso della parità di genere. Il CESE chiede un «Care Deal per l'Europa», che garantisca la prestazione di servizi di migliore qualità per tutti durante tutto l'arco della vita; ed esorta gli Stati membri a garantire la disponibilità di servizi di assistenza di alta qualità, a un costo abbordabile, accessibili e diversificati, in grado di rispondere alle diverse richieste e situazioni, e ad investire in servizi siffatti.

1.8.

Il telelavoro rischia di rendere il lavoratore invisibile per la comunità di lavoro, privandolo delle strutture di sostegno formali e informali, dei contatti personali con i colleghi e dell'accesso alle informazioni. Per il telelavoratore in genere, questo può comportare la mancata considerazione ai fini delle promozioni, la perdita di opportunità di formazione e una carenza di informazioni importanti sulla retribuzione e sui diritti dei lavoratori. Per le donne, tutto ciò rischia di rendere ancora più forti le disparità di genere già esistenti, come il divario retributivo rispetto agli uomini. La direttiva sulla trasparenza retributiva, proposta il 4 marzo scorso dalla Commissione europea, potrebbe costituire uno strumento importante per affrontare il problema della carenza di informazioni causata dalla suddetta invisibilità.

1.9.

Per mettere il settore privato in condizione di innovare e investire in nuovi metodi e di creare nuovi posti di lavoro per un'occupazione inclusiva, nonché per incoraggiarlo ad agire in tal senso, è essenziale che l'UE garantisca condizioni favorevoli all'imprenditorialità e all'attività d'impresa e promuova la digitalizzazione, in particolare per le microimprese e le PMI. Parimenti, il settore pubblico è un datore di lavoro importante, nel quale è necessario investire adeguatamente per garantire condizioni di lavoro dignitose e la modernizzazione delle infrastrutture al fine di conseguire gli obiettivi della digitalizzazione. È inoltre necessaria una stretta e agevole cooperazione, a livello pratico, tra il settore pubblico e quello privato, nei settori delle infrastrutture digitali, dell'istruzione e della formazione, della sanità e dei servizi sociali, nonché della ricerca e dell'innovazione.

1.10.

Il CESE chiede che siano condotte ricerche sulle implicazioni di genere e sui prerequisiti del telelavoro in condizioni in cui la pandemia non sia l'aspetto dominante, tenendo conto degli sviluppi a lungo termine in diversi settori dell'economia e della società, nonché raccogliendo e diffondendo le buone pratiche esistenti in tutta l'UE. Ciò consentirebbe un approccio sensibile alla dimensione di genere nella realizzazione della necessaria innovazione tecnologica e sociale, per fare in modo che il telelavoro contribuisca a promuovere la parità di genere (5).

1.11.

Poiché le tradizioni e gli atteggiamenti socioculturali delle persone determinano le implicazioni del telelavoro sulla parità di genere, il CESE invoca azioni e campagne mirate per smussare ed estirpare i modi di pensare stereotipati. Il CESE incoraggia le parti sociali e le organizzazioni della società civile a livello europeo e nazionale ad assumere un ruolo attivo nella promozione di ruoli familiari e scelte di vita di donne e uomini — per quanto riguarda gli studi, la professione e il posto di lavoro — non determinati da stereotipi.

1.12.

Il CESE invita i responsabili decisionali dell'UE e dei singoli Stati membri a compiere ogni sforzo, dialogando e collaborando con le parti sociali, per combattere ogni forma di violenza contro le donne, anche sul posto di lavoro, a casa e online; e invita gli Stati membri a ratificare rapidamente la convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro (C190 — convenzione sulla violenza e sulle molestie, 2019) e la convenzione di Istanbul.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE accoglie con favore l'iniziativa della presidenza portoghese di chiedergli di elaborare due pareri esplorativi, che si completeranno a vicenda, finalizzati a un'analisi più approfondita del telelavoro che tenga conto degli insegnamenti tratti durante la pandemia. Ciò potrebbe inoltre dare indicazioni più precise sull'attuazione della direttiva sull'equilibrio tra attività professionale e vita privata, oltre a incoraggiare l'applicazione di condizioni corrispondenti alle buone pratiche nel quadro dell'adozione del telelavoro. I due pareri in questione contribuiranno al futuro progetto di conclusioni del Consiglio nel primo semestre del 2021.

2.2.

La rapida digitalizzazione dell'economia e della società, notevolmente accelerata dalla pandemia di COVID-19, ha stimolato la diffusione del telelavoro, con il risultato che, nel luglio 2020, il 34 % dei dipendenti lavorava esclusivamente, e il 14 % in parte, da casa (6). Se è vero che la situazione sanitaria attuale permette di comprendere questa grande diffusione, tuttavia occorre rivolgere l'attenzione al telelavoro svolto in condizioni normali, non influenzate dalla pandemia.

2.3.

Sebbene la parità di genere dipenda da numerosi fattori, e il telelavoro abbia anche svariate conseguenze economiche e sociali che non incidono su tale parità, il presente parere esplorativo esamina specificamente i legami tra il telelavoro e la parità di genere, come richiesto dalla presidenza portoghese. L'obiettivo è trovare modi per fare del telelavoro uno dei motori per promuovere la parità di genere ed evitare di aggravare l'ineguale ripartizione del carico dell'assistenza non retribuita e del lavoro domestico tra donne e uomini, considerato che il telelavoro può comportare sia benefici che rischi per quanto riguarda la parità di genere. Il CESE sottolinea la necessità di integrare la dimensione di genere nell'elaborazione delle politiche al fine di contribuire a ridurre i rischi e a cogliere le opportunità.

2.4.

Sfruttare il potenziale del telelavoro attenuando nel contempo i rischi ad esso correlati contribuisce a preservare i risultati positivi complessivi ottenuti in termini di parità di genere (7). Sebbene gli uomini abbiano maggiori probabilità delle donne di svolgere un lavoro mobile all'esterno dei locali del datore di lavoro, le donne lavorano da casa con maggiore regolarità rispetto agli uomini. Ciò può essere spiegato in una certa misura dai ruoli di genere e dai modelli di vita professionale e familiare propri dei singoli paesi e delle diverse culture (8). Di solito sono le donne a svolgere la maggior parte del lavoro di assistenza non retribuito nelle famiglie (9), un lavoro che, pur costituendo parte essenziale della vita sociale ed economica, tuttavia non è riconosciuto come tale. Se il telelavoro può contribuire a un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata, esso rischia però anche di far gravare un ulteriore peso sulle donne, che possono trovarsi a svolgere una parte ancora maggiore del lavoro domestico non retribuito ed essere nel contempo esposte ad altri rischi, come quello di subire violenza domestica e online o di perdere opportunità di carriera.

2.5.

Sia la società nel suo insieme che le imprese devono fare tutto il possibile per eliminare questi stereotipi di genere e per riconoscere le donne come lavoratrici a pieno titolo al di là delle loro numerose altre funzioni e qualità. Il costo economico e sociale di questi pregiudizi per la società è molto elevato. Le parti sociali e le organizzazioni della società civile di ogni ambito dovrebbero essere in grado di assumere un ruolo guida su questo tema, che è essenziale per i diritti umani e i diritti delle donne, ma anche per l'economia europea (10).

2.6.

Nel valutare l'impatto del telelavoro, è importante osservare che le implicazioni registrate nel periodo della pandemia possono differire notevolmente da quelle in condizioni normali. È probabile che tanto i benefici quanto gli svantaggi del telelavoro siano più evidenti durante la pandemia, quando il telelavoro è obbligatorio e la vita delle persone è per molti versi limitata, anche in ragione della condivisione dell'abitazione come spazio comune di lavoro/studio/vita per tutti i membri della famiglia. È quindi necessario adottare non solo una prospettiva a breve termine, ma soprattutto una prospettiva a lungo termine nel valutare le implicazioni del telelavoro per la parità di genere e il mondo del lavoro, anche con la dovuta attenzione a garantire condizioni di lavoro normali durante il telelavoro. In tempi normali, il telelavoro dovrebbe essere svolto sulla base di un accordo reciproco e su base volontaria, e tutte le sue modalità pratiche dovrebbero essere stabilite nell'ambito di un contratto di lavoro individuale e/o collettivo.

2.7.

Il CESE coglie anche l'occasione per definire alcuni elementi del parere come contributi alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) fissati nell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e in particolare degli OSS 5 (uguaglianza di genere) e 8 (lavoro dignitoso e crescita economica). Gli obiettivi dell'OSS 5 consistono nell'«eliminare a tutte le forme di discriminazione ed eliminare tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze» e nel riconoscere e valorizzare «la cura e il lavoro domestico non retribuito attraverso la fornitura di servizi pubblici, le politiche infrastrutturali e di protezione sociale e la promozione della responsabilità condivisa all'interno della famiglia e a livello nazionale». Un ulteriore obiettivo è quello di «migliorare l'uso della tecnologia, in particolare la tecnologia dell'informazione e della comunicazione, per promuovere l'empowerment delle donne». L'OSS 8 mira a «promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per tutti» e include l'obiettivo di «raggiungere livelli più elevati di produttività economica attraverso la diversificazione, l'aggiornamento tecnologico e l'innovazione».

3.   Gli insegnamenti tratti dall'esperienza della pandemia: la prospettiva di genere

3.1.

Nel considerare la dimensione di genere del telelavoro, le esperienze acquisite nel periodo della pandemia possono insegnarci qualcosa. La pandemia mette in evidenza l'importanza del ruolo delle donne nell'economia, in quanto lavoratrici essenziali nel campo dell'assistenza che, nella maggior parte dei casi, operano «in prima linea» (11). Gli studi rivelano (12) che molte disparità strutturali di genere esistenti nel mercato del lavoro e nella società sono state esacerbate dalla pandemia, le cui conseguenze hanno colpito le donne in misura più che proporzionale. La presente sezione del parere verte su alcuni dati di cruciale importanza riguardanti il telelavoro (principalmente quello svolto da casa) durante la pandemia, in quanto la loro analisi in una prospettiva di genere può essere utile per promuovere la parità di genere.

3.2.

Nel tentativo di far fronte alla pandemia, il telelavoro è stato, ove possibile, reso obbligatorio; tuttavia, non per tutti i lavoratori è stato possibile lavorare a distanza. Si è constatato che il telelavoro è più diffuso nelle città che nelle zone rurali e tra le persone con un'istruzione universitaria. La sua incidenza, inoltre, varia a seconda dei settori, essendo maggiore in quelli dell'istruzione, dei servizi finanziari e della pubblica amministrazione e minore in quelli della sanità, dei trasporti, dell'agricoltura, del commercio e dell'ospitalità (13). Studi recenti forniscono dati sulle occupazioni che possono essere svolte in telelavoro, ma è ancora necessaria un'ulteriore analisi (14). È inoltre evidente che alcuni lavori non possono essere svolti a distanza e altri possono esserlo soltanto in misura molto limitata (15).

3.3.

Durante la pandemia il numero di donne che lavorano a distanza è maggiore di quello degli uomini. In questo periodo, mentre l'orario di lavoro settimanale viene ridotto per gli uomini più che per le donne, queste hanno maggiori probabilità di dover interrompere temporaneamente la loro attività lavorativa (venendo così collocate in aspettativa non retribuita). Una spiegazione plausibile è che, durante la pandemia di COVID-19, le donne e le madri lavoratrici subiscono l'impatto delle maggiori responsabilità domestiche a causa della chiusura dei luoghi di lavoro, delle scuole e dei centri di assistenza all'infanzia. Nelle famiglie con due persone che lavorano, nei casi in cui vi è possibilità di scelta, le donne hanno maggiori probabilità dei partner maschili di interrompere il lavoro per mettersi in aspettativa non retribuita (16). In molti Stati membri, durante la pandemia, il ridursi della gamma dei servizi di assistenza disponibili — sia per l'infanzia che di altro tipo — e la scarsa flessibilità delle strutture che erogano tali servizi hanno aggravato ulteriormente la situazione dei genitori e in particolare delle donne.

3.4.

Un quarto delle persone che lavorano a distanza è costituito da genitori di bambini di età inferiore ai 12 anni, e il 22 % di tali genitori ha difficoltà «molto più di altri gruppi a concentrarsi sul lavoro e a raggiungere un adeguato equilibrio tra vita professionale e vita privata» (17). In particolare per le donne con responsabilità di assistenza, il lavoro da casa è stato compromesso da diversi fattori: per esempio, da un lato la mancanza di uno spazio tranquillo in cui poter lavorare senza essere interrotte, ma anche la mancanza di tempo disponibile per dedicarsi al lavoro, e dall'altro la tendenza a lavorare più a lungo e persino a restare collegate tutto il giorno, nonché a non rispettare le modalità di connessione e di disconnessione. Una situazione, questa, che esige una migliore applicazione della legislazione vigente in materia e un monitoraggio più rigoroso da parte degli ispettori del lavoro, come pure una valutazione dell'adeguatezza del quadro esistente. I genitori soli, l'85 % dei quali nell'UE è costituito da donne, sono particolarmente vulnerabili in quanto nel loro caso la pandemia ha peggiorato un già fragile equilibrio tra vita professionale e vita privata (18).

3.5.

Vi sono inoltre indicazioni del fatto che le donne occupate in settori ad alta specializzazione, impegnativi e competitivi, ad esempio nel mondo accademico, sono state maggiormente colpite rispetto ai loro colleghi maschi (19) perché il fatto di dover svolgere anche prestazioni on retribuite di assistenza e lavoro domestico ne hanno ridotto la capacità di essere produttive e ne hanno ulteriormente compromesso le prospettive professionali. Analogamente, le imprenditrici che gestiscono piccole e medie imprese e si sforzano di proseguire l'attività durante i periodi di chiusura forzata e confinamento devono fare i conti con stretti vincoli di tempo, che sono andati a sommarsi ai gravi problemi finanziari (20).

3.6.

Il periodo della pandemia ha inoltre portato a un aumento allarmante della violenza, sia fisica che online, contro le donne, trovatesi a lavorare in un ambiente in cui le vittime sono molto più isolate dalle potenziali risorse e opportunità di aiuto (21). La violenza domestica è aumentata di un terzo nel corso della pandemia, durante la quale l'imperativo è quello di rimanere a casa e lavorare da lì ogni qual volta possibile in modo da ridurre la diffusione del virus (22); e i dati dimostrano che, con il telelavoro, sono aumentate anche le molestie sessuali online legate all'ambiente di lavoro.

4.   Opportunità, rischi e prerequisiti del telelavoro

4.1.

Per sfruttare al meglio il telelavoro per promuovere la parità di genere e facilitare l'equilibrio tra vita professionale e vita privata, è necessario un esame completo dei suoi potenziali benefici e rischi per le donne e gli uomini. Senza un'adeguata analisi di genere, politiche apparentemente «neutre» in termini di genere potrebbero in realtà essere «insensibili» alle specificità di genere e avere un impatto negativo sulle donne.

4.2.

Tra le opportunità offerte dal telelavoro figurano:

una maggiore flessibilità nell'organizzazione dell'orario di lavoro in generale e, in una certa misura, la disponibilità per le persone di maggiori opportunità di organizzare il proprio tempo per raggiungere i risultati attesi;

una maggiore flessibilità nel combinare le responsabilità di assistenza non retribuite con l'occupazione retribuita, il che può migliorare la partecipazione al mercato del lavoro;

l'opportunità di condividere in modo più equo la cura dei figli o dei familiari a carico quando entrambi i genitori lavorano da casa;

una migliore inclusione nel mercato del lavoro di coloro che sono limitati da barriere nella società o sul posto di lavoro, per esempio le persone con limitazioni dovute a una disabilità;

un aumento della produttività grazie a migliori prestazioni;

una migliore corrispondenza geografica tra domanda e offerta di lavoro senza la necessità di trasferirsi in un altro luogo, il che potrebbe tradursi in un'inversione di tendenza nella distribuzione regionale dei posti di lavoro tra città e zone rurali (23);

risparmi in termini di tempo e di costi dovuti all'eliminazione o alla diminuzione del pendolarismo.

4.3.

Correlativamente, al telelavoro può essere associata una serie di rischi, riscontrabili soprattutto in relazione alle seguenti sfide:

organizzazione dello spazio di lavoro a distanza e concentrazione sul lavoro, in particolare quando altri membri della famiglia lavorano o studiano da casa e quando lo spazio domestico è troppo piccolo per consentire uno spazio di lavoro separato;

accesso a strutture adeguate per ufficio, compreso il mobilio ergonomico, e ad attrezzature e programmi specifici o adattati, nonché alla formazione;

mancanza di contatti personali e di spirito di collaborazione tra colleghi e rischio di diventare «invisibili» nella comunità di lavoro;

ripartizione ancora più squilibrata — perché basata su ruoli professionali e familiari stereotipati — delle prestazioni di assistenza e lavoro domestico;

aumento della violenza di genere e delle molestie, comprese le molestie online, e mancanza di sostegno sociale quando ci si trova in una situazione di isolamento;

mancanza di movimento e interruzione della routine e delle abitudini quotidiane, nonché pressione derivante dalla necessità di combinare il lavoro con i compiti domestici e di evitare di cancellare i confini tra vita professionale e vita privata, il che può dar luogo a problemi di salute mentale e fisica, compreso un maggior numero di casi di burnout;

utilizzo improprio delle nuove possibilità di monitoraggio e abuso dei dati personali;

difficoltà — sia per i datori di lavoro che per i sindacati — nel controllare le condizioni di lavoro lavorando da casa;

questioni relative alla sicurezza informatica e all'applicazione del regolamento generale sulla protezione dei dati;

maggiore controllo sociale;

rischio di prolungare l'orario di lavoro e di fruire di periodi di riposo troppo brevi risultanti dal mancato rispetto delle modalità di connessione e disconnessione;

impossibilità o difficoltà per i sindacati di tutelare i diritti dei lavoratori;

incertezza circa le responsabilità del datore di lavoro di garantire la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, le condizioni di lavoro e l'applicazione dei contratti collettivi.

4.4.

La possibilità di svolgere lavoro a distanza poggia una serie di presupposti, a cominciare da quelli più concreti riguardanti l'accessibilità delle infrastrutture e delle tecnologie necessarie. L'espansione della connettività non raggiunge tutti: alcune categorie di donne (quelle di età avanzata, appartenenti a gruppi svantaggiati, con un'istruzione inferiore) hanno un accesso ineguale alla connettività e alle tecnologie digitali, il che contribuisce al divario digitale (24). Sono pertanto necessarie politiche pubbliche forti per consentire l'accesso alle reti e agli spazi locali condivisi che agevolano il telelavoro fuori casa. Il CESE sottolinea la necessità di evitare situazioni nelle quali sui lavoratori a distanza gravi (come previsto dall'accordo quadro delle parti sociali sul telelavoro e dalla legislazione nazionale pertinente) l'onere dei costi dell'attrezzatura necessaria per il telelavoro, vale a dire i costi per apparecchiature informatiche e di comunicazione, mobili ergonomici, misure sanitarie e di sicurezza, nonché l'onere dei maggiori costi relativi allo spazio in cui il lavoro è eseguito.

4.5.

Un'altra precondizione importante per il telelavoro è costituita dalle competenze e dalla formazione digitali, riguardo alle quali gli uomini si trovano, nella maggior parte dei casi, in una posizione migliore rispetto alle donne: soltanto in sei Stati membri (Bulgaria, Cipro, Finlandia, Lettonia, Lituania e Slovenia) le donne mostrano competenze informatiche più elevate rispetto agli uomini (25). Il divario di genere nelle competenze digitali aumenta con l'età. Tali differenze devono essere prese in considerazione anche in sede di valutazione delle dimensioni di genere del telelavoro.

4.6.

Oltre alle competenze digitali, il telelavoro richiede le competenze necessarie per adottare tecniche di gestione e di orientamento del lavoro in continua evoluzione e comporta pertanto una serie di sfide sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, e in particolare per le PMI. La gestione a distanza delle imprese e del personale richiede competenze di gestione specifiche, flessibilità, resilienza e modalità innovative di organizzazione del lavoro, in quanto il telelavoro richiede una gestione basata sui risultati piuttosto che sui processi. Sarebbe opportuno fornire una formazione specifica per aiutare i dirigenti e/o i supervisori a gestire in modo efficace i lavoratori a distanza.

4.7.

Per i lavoratori, una maggiore flessibilità e libertà nell'organizzazione del lavoro richiede anche una forte responsabilità e un forte impegno, nonché competenze di autogestione e un rapporto di fiducia tra i lavoratori stessi e i loro dirigenti. Diversi studi hanno dimostrato che, in alcuni settori, il telelavoro potrebbe dar luogo a una maggiore produttività; un'opportunità, questa, che può essere sfruttata meglio fornendo ai dirigenti una formazione specifica. Il telelavoro può rendere i lavoratori più esigenti quanto alla loro stessa prestazione lavorativa e generare prestazioni migliori.

4.8.

I lavoratori a distanza dovrebbero avere le stesse possibilità di accesso alla formazione e allo sviluppo professionale continuo, nonché le stesse opportunità di promozione e di avanzamento professionale. Ciò è particolarmente importante per le donne lavoratrici a distanza, che possono avere meno tempo e opportunità di intraprendere attività rivolte a un avanzamento di carriera al di fuori degli orari di lavoro.

4.9.

A condizione che le strutture e le competenze necessarie siano disponibili per tutti, il telelavoro in quanto tale sarebbe una forma di lavoro disponibile e accessibile sia per gli uomini che per le donne. La disponibilità di servizi pubblici di assistenza di alta qualità, a un costo abbordabile, accessibili e diversificati è quindi di cruciale importanza per utilizzare al meglio il telelavoro. In alcuni Stati membri esistono aiuti finanziari e incentivi fiscali specifici per promuovere l'assistenza all'infanzia, anche a domicilio, da parte di professionisti qualificati, e in questo campo vale la pena di condurre un'analisi comparativa.

4.10.

Se, da un lato, il telelavoro può aumentare la domanda di alcuni servizi, dall'altro può causare un deterioramento della situazione di alcune PMI i cui titolari sono perlopiù donne e la cui clientela è costituita principalmente da donne che si recano o ritornano dal luogo di lavoro. Ciò vale, per esempio, per i piccoli negozi di prodotti alimentari e di non, per i mercati e per i centri di servizi. Per mitigare tale rischio, sarebbe necessario abbandonare le scelte professionali stereotipate. Lo stesso vale per l'attenuazione delle differenze quanto alle possibilità per donne e uomini di lavorare a distanza causate dalla segregazione settoriale e dalla diversa applicabilità del telelavoro a seconda dei settori.

5.   Modi per integrare la parità di genere

5.1.

Benché spetti ai datori di lavoro decidere in merito all'organizzazione del lavoro, le parti sociali possono svolgere un ruolo significativo, ad esempio attraverso la contrattazione collettiva, nel promuovere il telelavoro in maniera che contribuisca alla parità di genere, oltre che all'aumento della produttività e del benessere sul lavoro. L'accordo quadro sul telelavoro, concluso dalle parti sociali dell'UE nel 2002 e attuato entro il 2008 da tutti gli Stati membri (26), stabilisce il quadro generale dell'acquis in materia in modo tale da soddisfare in modo equilibrato le esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori. Il dialogo sociale è uno strumento essenziale per affrontare questioni come quelle riguardanti le retribuzioni, gli orari di lavoro, la connettività e le sue modalità concrete, la salute e la sicurezza e lo sviluppo delle competenze nel contesto del telelavoro. Il CESE chiede inoltre sia di diffondere buone pratiche che consentano a donne e uomini di conciliare lavoro e famiglia in modo paritario che di promuovere e finanziare azioni congiunte delle parti sociali.

5.2.

Poiché il telelavoro dipende dalle infrastrutture tecnologiche e dai relativi collegamenti, il CESE sottolinea l'estrema importanza di investire in infrastrutture digitali adeguate, fornendo l'accesso a connessioni digitali stabili e a hardware e software adatti per mettere le persone di ogni categoria sociale in condizione di lavorare a distanza in modo efficiente e per evitare problemi in altri ambiti della digitalizzazione dell'economia e della società.

5.3.

Il CESE ribadisce la sua richiesta di migliorare le competenze digitali per tutti per consentire alle persone di rispondere allo sviluppo digitale e di plasmarlo, cogliendo appieno le opportunità offerte dall'apprendimento elettronico (e-learning). Si tratta di una questione che riguarda l'istruzione formale, informale e non formale e la sua convalida, coinvolgendo l'istruzione di base, il miglioramento delle competenze e la riqualificazione, in linea con l'approccio basato sull'apprendimento continuo e lungo tutto l'arco della vita. Occorre prestare particolare attenzione alle competenze delle donne per metterle in condizione di partecipare anch'esse pienamente ai mercati del lavoro e di gestire anch'esse con modalità digitali le questioni pratiche di ogni giorno.

5.4.

Il CESE sottolinea la necessità di un «Care Deal per l'Europa», in quanto investire nel settore dell'assistenza garantirebbe la prestazione di servizi di migliore qualità per tutti lungo tutto l'arco della vita e riconoscerebbe la parità tra le donne e gli uomini sia in quanto percettori di reddito che in quanto prestatori di assistenza. Inoltre, incoraggia gli Stati membri a investire in infrastrutture di assistenza di ogni tipo. I piani nazionali per la ripresa e la resilienza nell'ambito dell'iniziativa NextGeneration EU offrono l'opportunità di orientare gli investimenti verso il settore dell'assistenza. Il CESE chiede inoltre sia di diffondere buone pratiche che consentano a donne e uomini di conciliare lavoro e famiglia in modo paritario che di promuovere e finanziare azioni congiunte delle parti sociali; invita la Commissione e gli Stati membri a rivedere gli obiettivi di Barcellona (27) per garantire la disponibilità di servizi di assistenza all'infanzia di alta qualità, flessibili, diversificati e a prezzi accessibili (28); e sottolinea inoltre l'importanza, espressa negli orientamenti europei comuni pubblicati dalla Commissione europea (29), di passare dall'assistenza istituzionale a servizi basati sulla comunità e incentrati sulla persona per i bambini e gli adulti vulnerabili con esigenze specifiche.

5.5.

Il CESE incoraggia gli Stati membri ad attuare la direttiva sull'equilibrio tra attività professionale e vita privata in modo efficiente e tempestivo per offrire alle famiglie un'adeguata possibilità di scegliere pratiche improntate a una maggiore uguaglianza, tenendo conto anche delle esigenze delle imprese e in particolare delle PMI. Le imprese più piccole, la cui attività dipende — per definizione — dal lavoro di un piccolo gruppo di persone, hanno bisogno, ancor di più delle altre, di poter contare sulla continuità e stabilità della loro organizzazione produttiva. Sulla base degli insegnamenti tratti finora, si possono prendere in considerazione regimi flessibili che combinino il lavoro in presenza fisica con le opzioni di telelavoro.

5.6.

Una particolare attenzione andrebbe prestata alle condizioni delle donne appartenenti a categorie sociali vulnerabili, come le donne con disabilità, le genitrici sole, le anziane, le migranti e le Rom. Le organizzazioni che rappresentano le donne e le famiglie devono essere sostenute, anche attraverso misure mirate, finanziate dai fondi europei e nazionali.

5.7.

L'intera gamma dei servizi di sostegno dovrebbe poi essere dispiegata nei casi di violenza (giacché la violenza domestica è aumentata considerevolmente a causa delle misure di confinamento durante la pandemia (30)), ferma restando la necessità di assicurare il rispetto della legislazione antiviolenza. Il CESE esorta gli Stati membri a elaborare e attuare misure volte a prevenire qualsiasi forma di violenza contro le donne, sia fisica che online. È necessaria un'azione più incisiva per contrastare la violenza e le molestie sessuali sul luogo di lavoro, anche nel contesto del telelavoro. Se un luogo di lavoro «sicuro» non è disponibile (ad esempio proprio a causa del fatto di dover lavorare a distanza), le persone sopravvissute alla violenza domestica non beneficiano di alcun controllo sociale e hanno un accesso limitato o nullo alle informazioni e all'aiuto pertinenti (31). Le parti sociali dovrebbero essere incoraggiate e aiutate a sviluppare politiche di prevenzione della violenza domestica, ad esempio con azioni congiunte specifiche e mettendo a disposizione sistemi di monitoraggio e rendicontazione adeguati, anche e soprattutto quando il lavoro viene svolto a distanza (32). Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di una decisione del Consiglio che autorizza gli Stati membri a ratificare, nell'interesse dell'UE, la convenzione OIL del 2019 sulla violenza e sulle molestie (C 190), esorta gli Stati membri a procedere in tempi brevi a tale ratifica (33) e invita l'UE a spronare i paesi terzi a fare altrettanto. Il CESE osserva che il Consiglio ha invitato gli Stati membri che non l'hanno ancora fatto a ratificare la convenzione di Istanbul, e accoglie con favore l'intenzione della Commissione, espressa nel piano d'azione relativo al pilastro europeo dei diritti sociali, di proporre una normativa per combattere la violenza di genere contro le donne, comprese le molestie sessuali nel luogo di lavoro.

5.8.

Benché il telelavoro non sia una forma di lavoro inedita, molte delle sue implicazioni sono ancora sconosciute e meritano ulteriori ricerche. Per esempio, sarebbe utile esaminarne l'impatto e i prerequisiti in condizioni in cui la pandemia non sia l'aspetto dominante e tenendo conto degli sviluppi a più lungo termine in diversi settori dell'economia e della società. Poiché le innovazioni tecnologiche e sociali progettate secondo criteri universali sono fondamentali per sfruttare al meglio le opportunità offerte dal telelavoro e nel contempo risolvere i problemi legati alla parità di genere, il CESE invita a integrare questi temi nelle politiche di R&S&I a livello sia nazionale che di Unione europea. Inoltre, gli esempi di buone pratiche esistenti in tutta l'UE dovrebbero essere raccolti e condivisi per dare impulso a soluzioni avanzate.

5.9.

Poiché gli investimenti in infrastrutture tecniche, sociali e di innovazione progettate secondo criteri universali sono elementi centrali dei bilanci statali, la giusta ripartizione delle risorse può svolgere un ruolo decisivo nel promuovere un telelavoro paritario sotto il profilo del genere. Anche i fondi dell'UE, compresi i fondi strutturali e il dispositivo per la ripresa e la resilienza, dovrebbero essere utilizzati per sostenere questo obiettivo.

5.10.

La connettività è un fenomeno sociale. È necessario sviluppare pratiche virtuose a livello di luogo di lavoro, ad esempio attuando strumenti quali l'accordo delle parti sociali sulla digitalizzazione, tenendo conto anche del fatto che l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) sta preparando una campagna «Ambienti di lavoro sani e sicuri» sulla digitalizzazione, che sarà avviata nel 2023.

5.11.

Il CESE richiama inoltre l'accordo quadro autonomo delle parti sociali europee sulla digitalizzazione (Autonomous framework agreement on digitalisation, AFAD) (34) e invita la Commissione europea a destinare un sostegno finanziario speciale ad azioni congiunte mirate delle parti sociali, nonché a sostenere le organizzazioni della società civile che contribuiscono all'equilibrio tra vita privata e attività professionale. L'AFAD approfondisce le modalità di gestione delle questioni relative alle modalità di connessione e disconnessione negli ambienti di lavoro digitalizzati, comprese le cause alla base della durata eccessiva della connessione e del prolungamento di fatto dell'orario di lavoro, ed è probabile che esista già un ampio spettro di esempi nazionali riguardo alle modalità di attuazione di tale accordo, anche attraverso accordi settoriali o aziendali e documenti di orientamento.

5.12.

Per quanto riguarda gli approcci nazionali in materia di connessione e disconnessione, Belgio, Francia, Italia e Spagna hanno adottato una legislazione sul diritto di disconnettersi per precisare i relativi diritti e sensibilizzare in merito alla necessità di cambiare l'organizzazione dell'orario di lavoro o addirittura di promuovere un cambiamento culturale verso un'organizzazione del lavoro più sana. Progetti di legge sono stati presentati nei Paesi Bassi e in Portogallo. In Finlandia, Germania, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Slovenia e Svezia così come a Malta il dibattito è in corso, mentre i restanti 13 Stati membri non hanno ancora avviato una discussione su questo tema. Il Parlamento europeo ha di recente votato una risoluzione (35) sul diritto di disconnettersi, nella quale invita la Commissione a proporre una legge che consenta a chi lavora in forma digitale di disconnettersi al di fuori del proprio orario di lavoro, a stabilire requisiti minimi per il lavoro a distanza e a definire con chiarezza le condizioni di lavoro, gli orari e i periodi di riposo. Le opinioni divergono sulla questione se sia necessaria una nuova normativa o se le disposizioni attuali siano sufficienti e se sia opportuno adottare un approccio basato esclusivamente sulla contrattazione collettiva. Nonostante la diversità di punti di vista, tra le parti sociali vi è un consenso relativamente ampio riguardo alla necessità che le «modalità di connessione e disconnessione» siano determinate e concordate attraverso il dialogo sociale a livello aziendale (e/o settoriale) per far sì che siano adeguate alle esigenze specifiche dei settori, delle imprese e delle altre organizzazioni e nel contempo tengano conto dei bisogni dei lavoratori, in particolare in termini di salute e di sicurezza.

5.13.

Inoltre, è necessario che le parti sociali siano consultate dai responsabili politici in sede di elaborazione delle politiche in materia di lavoro e occupazione, comprese quelle che incidono sul telelavoro e le sue implicazioni di genere. Il CESE sottolinea che le questioni di genere dovrebbero essere integrate in tutte le politiche. Poiché il telelavoro è legato anche alla vita quotidiana dei cittadini, nonché alle politiche ambientali e climatiche, le organizzazioni della società civile pertinenti attive in ambiti quali le donne, la famiglia, i consumatori e l'ambiente dovrebbero avere voce in capitolo nella preparazione delle politiche.

5.14.

Per aiutare e incoraggiare il settore privato a innovare e investire in nuovi metodi e creare nuovi posti di lavoro, in modo tale da promuovere i prerequisiti del telelavoro paritario sotto il profilo del genere, è essenziale che l'UE assicuri condizioni favorevoli all'imprenditorialità e all'attività d'impresa. Una gestione efficace del telelavoro richiede inoltre, a livello pratico, una stretta e agevole cooperazione tra il settore pubblico e quello privato. Ciò vale, ad esempio, nei settori delle infrastrutture digitali, dell'istruzione e della formazione, della sanità e dei servizi sociali, della ricerca e dell'innovazione.

5.15.

Tutto ciò, tuttavia, non è sufficiente. È necessario un nuovo tipo di mentalità a livello individuale e familiare. E, per smussare ed estirpare modi di pensare stereotipati, occorrono una maggiore consapevolezza e un maggiore impegno. Inoltre, si deve promuovere attivamente una cultura organizzativa che garantisca consapevolezza della dimensione di genere e sensibilità alle relative questioni, ad esempio applicando i principi della parità retributiva, della «visibilità» di ciascuna persona ecc., oltre a sostenere i dirigenti privati e pubblici nell'elaborazione e nell'attuazione di pratiche favorevoli al telelavoro. Queste azioni dovrebbero essere potenziate, ad esempio, nel quadro dell'attuazione della direttiva sull'equilibrio tra attività professionale e vita familiare, attraverso campagne di sensibilizzazione. Il CESE incoraggia le parti sociali e le organizzazioni della società civile a svolgere un ruolo centrale in questo senso, promuovendo sia ruoli familiari non stereotipati che scelte non stereotipate riguardo agli studi, alla professione e al posto di lavoro. La parità di genere deve essere integrata anche nell'istruzione, dalla scuola materna e primaria fino alla formazione professionale e all'università.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Eurofound, relazione Living, working and COVID-19 (La vita, il lavoro e la COVID-19), 2020. Rispetto al 2018, quando meno del 5 % dei dipendenti lavorava regolarmente a distanza e meno del 10 % occasionalmente, come indicato nel 2020 dalla Commissione europea.

(2)  https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/qanda_20_357

(3)  Accordi quadro delle parti sociali dell'UE sulla digitalizzazione (2020) e sul telelavoro (2002); cfr. anche la relazione della Commissione europea sull'attuazione di quest'ultimo accordo [COM(2008) 412 final], http://erc-online.eu/european-social-dialogue/database-european-social-dialogue-texts/.

(4)  GU C 237 del 6.7.2018, pag. 8.

(5)  http://erc-online.eu/european-social-dialogue/database-european-social-dialogue-texts/ e http://resourcecentre.etuc.org/.

(6)  Eurofound, Living, working and COVID-19, 2020.

(7)  Servizio ricerca del Parlamento europeo, Gender equality: a review in progress (Parità di genere: un riesame in corso): l'ONU avverte che la pandemia di COVID-19 potrebbe invertire i progressi compiuti nel mondo in termini di parità di genere, proprio quando la comunità internazionale era decisa a imprimere un nuovo slancio alle iniziative in questo campo.

(8)  Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, Gender Equality Index 2020: Digitalisation and the future of work (Indice dell'uguaglianza di genere 2020: la digitalizzazione e il futuro del lavoro).

(9)  Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, Gender Equality Index 2020: Digitalisation and the future of work.

(10)  Documenti dell'UNAPL, di FEPIME Catalunya e di AFAEMME.

(11)  https://data.unwomen.org/features/covid-19-and-gender-what-do-we-know-what-do-we-need-know.

(12)  Servizio ricerca del Parlamento europeo, «Conseguire la parità di genere alla luce della pandemia e delle sfide attuali», https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2021/659440/EPRS_ATA(2021)659440_IT.pdf; https://eige.europa.eu/topics/health/covid-19-and-gender-equality.

(13)  Eurofound, Living, working and COVID-19, 2020.

(14)  E-Survey COVID group, Structure of Earnings Survey (gruppo COVID, Indagine elettronica sulla struttura delle retribuzioni). Eurofound, Teleworkability and the COVID-19 crisis: a new digital divide? (La fattibilità del telelavoro e la crisi indotta dalla pandemia di COVID-19: un nuovo divario digitale?), 2020.

(15)  In generale, si stima che nell'UE circa il 37 % delle occupazioni possa essere svolta in telelavoro (cfr. i dati Eurofound).

(16)  Eurofound, COVID-19: Some implications for employment and working life (COVID-19: alcune implicazioni per l'occupazione e la vita lavorativa), Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, Lussemburgo, di prossima pubblicazione (2021).

(17)  Eurofound, Living, Working and COVID-19, 2020.

(18)  Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, Gender Equality Index 2020: Digitalisation and the future of work.

(19)  https://www.nature.com/articles/d41586-020-01294-9

(20)  Documenti dell'UNAPL, di FEPIME Catalunya e di AFAEMME.

(21)  https://www.opendemocracy.net/en/5050/covid19-sexual-harassment-work-online/

(22)  https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20200406IPR76610/covid-19-stopping-the-rise-in-domestic-violence-during-lockdown

(23)  https://ec.europa.eu/commission/commissioners/2019-2024/suica/announcements/speech-vice-president-suica-demographic-change-eu-epc_en, https://horizon-magazine.eu/article/teleworking-here-stay-here-s-what-it-means-future-work.html.

(24)  https://www.oecd.org/going-digital/bridging-the-digital-gender-divide-key-messages.pdf

(25)  Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, Gender Equality Index 2020: Digitalisation and the future of work.

(26)  http://erc-online.eu/european-social-dialogue/database-european-social-dialogue-texts/

(27)  In linea con la nuova «strategia dell'UE sulla parità di genere 2020-2025».

(28)  European Social Partners joint statement on childcare provisions in the EU (Dichiarazione comune delle parti sociali europee sulle disposizioni relative all'assistenza all'infanzia nell'UE), 24 novembre 2020.

(29)  https://deinstitutionalisationdotcom.files.wordpress.com/2017/07/guidelines-final-english.pdf/

(30)  https://unric.org/en/who-warns-of-surge-of-domestic-violence-as-covid-19-cases-decrease-in-europe/; https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20200406IPR76610/covid-19-stopping-the-rise-in-domestic-violence-during-lockdown.

(31)  Nella sua nota informativa n. 3 del marzo 2020, intitolata Domestic violence and its impact on the world of work (La violenza domestica e il suo impatto sul mondo del lavoro), l'OIL ha illustrato l'alto costo della violenza domestica per le economie nazionali. https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---gender/documents/briefingnote/wcms_738117.pdf).

(32)  Come esempio di buona pratica, si veda il toolkit di Vodafone Recognise, respond and refer (Riconoscere, reagire e riferire) contro la violenza domestica e gli abusi nel luogo di lavoro, https://www.vodafone.com/content/dam/vodcom/files/vodafone_domestic_violence_toolkit_2020.pdf.

(33)  https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2020/IT/COM-2020-24-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF

(34)  https://www.ceep.eu/wp-content/uploads/2020/06/Final-22-06-20_Agreement-on-Digitalisation-2020.pdf

(35)  https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20210114IPR95618/pe-il-diritto-alla-disconnessione-dovrebbe-essere-un-diritto-fondamentale. La risoluzione è stata adottata con 472 voti favorevoli, 126 contrari e 83 astensioni.


ALLEGATO

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso del dibattito, ma hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi (articolo 59, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Punto 4.3, tredicesimo trattino

Sopprimere il testo:

 

4.3.

Correlativamente, al telelavoro può essere associata una serie di rischi, riscontrabili soprattutto in relazione alle seguenti sfide:

[…]

incertezza circa le responsabilità del datore di lavoro di garantire la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, le condizioni di lavoro e l'applicazione dei contratti collettivi.

Motivazione

L'acquis dell'UE contiene disposizioni ampie e complete che, grazie anche a diritti ed obblighi ben precisi, garantiscono la salubrità e la sicurezza dei luoghi di lavoro durante il telelavoro. Nel processo di elaborazione del parere non sono emerse prove e nemmeno indizi delle incertezze evocate nel testo.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

103

Voti contrari:

112

Astensioni:

25

Punto 1.4

Modificare come segue:

 

1.4.

Il CESE prende atto reputa pertinente e sufficiente del il quadro legislativo e contrattuale vigente in materia di telelavoro, comprendente la direttiva sull'orario di lavoro, la direttiva sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, la direttiva sull'equilibrio tra attività professionale e vita privata e gli accordi quadro autonomi delle parti sociali europee sul telelavoro (2002) (attuati con diversi strumenti a seconda degli Stati membri) e sulla digitalizzazione (2020). Il CESE chiede che tali normative siano attuate in modo rapido ed efficace e che si dia loro nuovo impulso, anche promuovendo la contrattazione collettiva a livello nazionale, con l'obiettivo di produrre un impatto positivo sulla parità di genere. Osserva inoltre che ad oggi non esiste un quadro europeo consolidato in materia di telelavoro, e richiama la necessità, rilevata dal Parlamento europeo, di «un quadro legislativo volto a regolamentare le condizioni del telelavoro all'interno dell'UE, al fine di garantire condizioni lavorative e occupazionali dignitose nell'economia digitale, contribuendo in tal modo a ridurre le disuguaglianze e ad affrontare la povertà lavorativa». Raccomanda pertanto di effettuare una valutazione delle norme esistenti per determinarne l'efficacia alla luce della rapida espansione del telelavoro, della consapevolezza dei nuovi rischi che esso pone e degli insegnamenti tratti dall'esperienza. In particolare, incoraggia le parti sociali a riesaminare l'accordo quadro del 2002 sul telelavoro e ad imprimere ad esso un nuovo slancio.

Motivazione

L'emendamento proposto rende il testo più preciso e più chiaro e lo allinea all'ambito tematico del parere.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

109

Voti contrari:

112

Astensioni:

18

Punto 1.8

Sopprimere il punto:

 

1.8.

Il telelavoro rischia di rendere il lavoratore invisibile per la comunità di lavoro, privandolo delle strutture di sostegno formali e informali, dei contatti personali con i colleghi e dell'accesso alle informazioni. Per il telelavoratore in genere, questo può comportare la mancata considerazione ai fini delle promozioni, la perdita di opportunità di formazione e una carenza di informazioni importanti sulla retribuzione e sui diritti dei lavoratori. Per le donne, tutto ciò rischia di aggravare le disparità di genere già esistenti, come il divario retributivo rispetto agli uomini. La direttiva sulla trasparenza retributiva, proposta il 4 marzo scorso dalla Commissione europea, potrebbe costituire uno strumento importante per affrontare il problema della carenza di informazioni causata dalla suddetta invisibilità.

Motivazione

L'emendamento proposto rende il testo più accurato e più chiaro, in quanto gli elementi di questo punto sono già inclusi sia nelle «conclusioni e raccomandazioni» che nel corpo del parere.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

113

Voti contrari:

125

Astensioni:

13

I seguenti punti del parere della sezione sono stati modificati conformemente ai relativi emendamenti approvati dall'Assemblea, ma hanno tuttavia ottenuto oltre un quarto dei voti espressi (articolo 59, paragrafo 4 del Regolamento interno).

Punto 3.4

Modificare come segue:

 

3.4.

Un quarto delle persone che lavorano a distanza è costituito da genitori di bambini di età inferiore ai 12 anni, e il 22 % di tali genitori ha difficoltà «molto più di altri gruppi a concentrarsi sul lavoro e a raggiungere un adeguato equilibrio tra vita professionale e vita privata» (17) . In particolare per le donne con responsabilità di assistenza, il lavoro da casa è stato compromesso da diversi fattori: per esempio, da un lato la mancanza di uno spazio tranquillo in cui il lavoro può essere svolto senza interruzioni, ma anche la mancanza di tempo disponibile per dedicarsi al lavoro, e dall'altro la tendenza a lavorare più a lungo e persino a restare collegate tutto il giorno, nonché a non rispettare le modalità di connessione e di disconnessione, situazione che richiede una migliore applicazione della legislazione vigente in materia e un monitoraggio più rigoroso da parte degli ispettori del lavoro. I genitori soli, l'85 % dei quali nell'UE è costituito da donne, sono particolarmente vulnerabili in quanto nel loro caso la pandemia ha peggiorato un già fragile equilibrio tra vita professionale e vita privata (18).

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

120

Voti contrari:

111

Astensioni:

15

Punto 4.3, dodicesimo trattino

Modificare come segue:

 

4.3.

Correlativamente, al telelavoro può essere associata una serie di rischi, riscontrabili soprattutto in relazione alle seguenti sfide:

[…]

ostacoli al mantenimento dei contatti con i rappresentanti sindacali;

[…].

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

124

Voti contrari:

113

Astensioni:

11


(17)  Eurofound, Living, working and COVID-19, 2020.

(18)  Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, Gender Equality Index 2020: Digitalisation and the future of work.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/26


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Spazio ferroviario europeo unico»

[Parere esplorativo richiesto dalla presidenza portoghese]

(2021/C 220/03)

Relatore:

Stefan BACK

Consultazione

Presidenza portoghese del Consiglio dell’UE, 26.10.2020

Base giuridica

Art. 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

9.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

149/68/10

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Riguardo ai quesiti posti dalla presidenza portoghese

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che, nonostante sia stato fatto molto nell’ambito dell’apertura dei mercati e dell’armonizzazione tecnica in tre decenni di liberalizzazione, molto resti ancora da fare a livello politico, normativo e culturale. Le misure devono riservare una maggiore attenzione allo sviluppo, all’adattamento e all’attuazione efficace della legislazione sociale. Esse devono essere volte a conseguire l’aumento della quota di mercato, come previsto nella strategia per una mobilità sostenibile e intelligente adottata dalla Commissione, e a migliorare la sostenibilità ambientale e sociale.

1.2.

Sono necessarie misure per agevolare le operazioni transfrontaliere riducendo la necessità di controlli alle frontiere ed eliminando i problemi amministrativi e i ritardi ai valichi di frontiera.

1.3.

Le priorità in materia di pianificazione del traffico, la pianificazione delle capacità e l’informazione devono essere migliorate per consentire sia una maggiore flessibilità che una pianificazione ottimizzata delle capacità, non solo in materia di infrastrutture ferroviarie ma anche, ad esempio, per quanto riguarda i terminali, al fine di ottimizzare i flussi multimodali.

1.4.

Per migliorare la scorrevolezza dei flussi di traffico, ottimizzare l’utilizzo delle risorse e assicurare l’occupazione sono indispensabili investimenti nelle infrastrutture, ma anche nella digitalizzazione e nell’aggiornamento del materiale rotabile — ad esempio ricorrendo al sistema europeo di gestione del traffico ferroviario (ERTMS) e a sistemi di accoppiamento — nonché nella transizione giusta e nello sviluppo delle competenze.

1.5.

Per migliorare il traffico merci su rotaia, il CESE raccomanda di adottare ulteriori misure, come ad esempio la cooperazione tra le imprese e i modi di trasporto per realizzare meglio la sostenibilità ambientale e sociale e l’efficienza, il rilancio di un sistema europeo a carro singolo, il collegamento delle infrastrutture strategiche (ad esempio i porti) alle soluzioni ferroviarie, gli investimenti in binari secondari industriali e il coinvolgimento delle grandi imprese di logistica in un riorientamento modale dei loro flussi, garantendo che tutti i modi di trasporto offrano prestazioni esemplari sul piano ambientale e sociale.

1.6.

Per quanto riguarda il debito pubblico, il CESE raccomanda di prevedere un’eccezione ai criteri di Maastricht per gli investimenti pubblici nelle infrastrutture di trasporto, anche per il periodo successivo alla crisi della COVID-19. Occorre intensificare gli sforzi per incoraggiare gli investimenti nel settore ferroviario, al fine di promuovere trasporti sostenibili sul piano sociale e ambientale.

1.7.

Lo sviluppo delle infrastrutture, compresa la tempestiva attuazione dei corridoi della rete centrale TEN-T e di quelli della rete merci, è essenziale e va considerato altamente prioritario in termini di finanziamento e pianificazione. Per lo sviluppo della rete ferroviaria dell’UE dopo il 2030 è particolarmente importante procedere sulla strada della realizzazione di una rete ad alta velocità che colleghi tutte le capitali e le principali città dell’UE.

1.8.

Il CESE sottolinea che lavoratori qualificati e motivati e buone condizioni di lavoro sono di cruciale importanza per una positiva evoluzione del trasporto ferroviario. Pertanto è importante che sia in vigore una legislazione sociale adeguata, anche per quanto riguarda il distacco del personale ferroviario. A tale riguardo, il CESE sottolinea l’importanza di un dialogo sociale ben funzionante.

1.9.

Le esperienze acquisite durante la crisi della COVID-19 devono essere utilizzate per sviluppare un sistema ferroviario più resiliente ed efficace. La pianificazione della resilienza deve essere adottata in stretta consultazione con le parti sociali.

1.10.

Lo status del gestore dell’infrastruttura inizialmente previsto ha indubbiamente contribuito, in quanto tale, a garantire una ripartizione indipendente, equa e non discriminatoria delle capacità d’infrastruttura, e ha aumentato la fiducia degli operatori in un trattamento equo. Tuttavia, le successive modifiche apportate al quadro normativo della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (1) offrono una scelta più ampia per quanto riguarda il modello organizzativo, incentrato sull’indipendenza del gestore dell’infrastruttura nelle cosiddette funzioni essenziali (assegnazione delle bande orarie, imposizione e riscossione dei canoni) e sulla trasparenza garantita dalla contabilità separata. Le disposizioni attuali sono assolutamente adeguate per garantire l’indipendenza e la trasparenza necessarie per assicurare il buon funzionamento del mercato interno.

1.11.

Il CESE sottolinea che i sistemi ferroviari integrati possono garantire un’assegnazione equa pari a quella assicurata dai sistemi non integrati. Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che molti dei grandi paesi ferroviari di successo hanno optato per società ferroviarie integrate per garantire sinergie, un migliore coordinamento, flessibilità e un mercato interno del lavoro che tuteli l’occupazione.

1.12.

Il meccanismo di coordinamento tra i gestori dell’infrastruttura e gli operatori ferroviari, nonché la rete europea dei gestori dell’infrastruttura sono elementi fondamentali per contribuire a raggiungere la massima efficienza.

Altre conclusioni

1.13.

I gestori dell’infrastruttura devono prestare maggiore attenzione alle strozzature, alle zone urbane, ai collegamenti transfrontalieri nonché ai flussi di traffico e alla cooperazione transfrontalieri.

1.14.

La possibilità di realizzare una gestione coordinata del traffico e delle risorse a livello di corridoi o di UE è interessante e va studiata come elemento, ad esempio, dell’attuazione dei corridoi ferroviari per il trasporto merci o nel quadro dei corridoi della rete centrale TEN--T.

1.15.

Il CESE si chiede se il trasporto ferroviario necessiti di un cambiamento culturale e di un approccio molto più incentrato sulle esigenze dei clienti, per quanto riguarda sia il trasporto di passeggeri che il trasporto di merci. L’Anno europeo delle ferrovie 2021 dovrebbe costituire l’occasione per promuovere questo cambiamento comportamentale, sviluppare una più agevole cooperazione tra operatori e clienti e sfruttare appieno le possibilità offerte dalla digitalizzazione.

1.16.

Il CESE osserva che la crisi della COVID-19 ha provocato dei ritardi nei progetti o li ha addirittura bloccati. Ora è importante recuperare il tempo perduto.

1.17.

Appare chiaro che occorre tenere conto delle attuali esigenze in materia di misure strategiche e di miglioramento del sistema ferroviario, al fine di poter conseguire gli obiettivi di ripartizione modale del traffico e consentire alla ferrovia di svolgere appieno il suo ruolo nel quadro di un sistema europeo di trasporto multimodale sostenibile. Gli aiuti di Stato e gli interventi statali rimangono fondamentali per garantire servizi essenziali anche una volta superata la crisi della COVID--19.

1.18.

L’impatto della COVID-19 è negativo per tutti i tipi di traffico passeggeri su rotaia e, in particolare, per le rotte internazionali. Tenendo conto delle specificità del settore ferroviario, della perdita di entrate nel 2020, pari a 26 miliardi di EUR, delle perdite del 2021 e della prevista lentezza della ripresa, è necessario un sostegno finanziario adeguato e flessibile alle imprese ferroviarie e ai gestori dell’infrastruttura, che deve essere fornito in modo efficace, al fine di sostenere lo sviluppo del mercato del trasporto ferroviario e la competitività del settore rispetto ad altri modi di trasporto.

1.19.

I contratti di servizio pubblico sono cruciali per assicurare servizi di trasporto passeggeri accessibili, a prezzi abbordabili e inclusivi per tutti. Secondo il CESE, l’aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico costituisce una delle misure più efficaci ed efficienti per promuovere il trasporto ferroviario di passeggeri.

1.20.

L’Anno europeo delle ferrovie 2021 offre un’ottima opportunità per fare il punto sugli sviluppi intervenuti fino ad oggi e per stabilire obiettivi per il futuro. Il CESE chiede pertanto un’analisi imparziale della politica ferroviaria dell’UE e dei risultati conseguiti, conformemente al mandato delineato al punto 7.2 e in linea con gli obiettivi della politica dei trasporti di cui agli articoli 90 e 91 del TFUE, tenendo debitamente conto del diritto a un servizio pubblico adeguato in caso di fallimento del mercato, come previsto dal Regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio (2), dall’articolo 14 e dal protocollo 26 del TFUE nonché dall’articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

2.   Osservazioni generali/Quesiti della presidenza portoghese

2.1.

La presidenza ha auspicato che il parere sia incentrato sui tre quesiti seguenti:

2.2.

Quali insegnamenti si possono trarre dai tre decenni di tentativi di liberalizzazione del settore ferroviario nei paesi dell’UE (e in Gran Bretagna)?

2.3.

La separazione proprietaria (unbundling) del sistema ferroviario ne ha, nel complesso, migliorato o peggiorato le prestazioni?

2.4.

La separazione dei gestori dell’infrastruttura dagli operatori dei servizi ferroviari dovrebbe seguire un «modello unico per tutti», oppure dovrebbe essere promossa una pluralità di modelli?

3.   Spazio ferroviario europeo unico

3.1.

Lo spazio ferroviario europeo unico è stato presentato nel Libro bianco Strategia di rilancio delle ferrovie comunitarie del 1996 ed è stato attuato attraverso quattro pacchetti legislativi adottati nel 2001, 2004, 2007 e 2016. Nel 2001 la quota modale del trasporto ferroviario di merci (rispetto ai modi di trasporto terrestre) è stata del 17,5 %, per passare al 17,0 % nel 2006 e al 17,9 % nel 2018. La quota modale del trasporto ferroviario di passeggeri ha registrato la seguente evoluzione: 6,6 % nel 2007, 6,6 % nel 2010 e 6,9 % nel 2018 (rispetto a tutti i modi di trasporto di passeggeri), mentre rispetto unicamente ai trasporti terrestri lo sviluppo è stato del 6,9 % nel 2007, del 7,0 % nel 2011 e del 7,9 % nel 2018 (3). Nonostante lo stesso quadro legislativo, negli Stati membri si sono registrati andamenti diversi.

3.2.

In sintesi, tali pacchetti hanno aperto i mercati nazionali e internazionali del trasporto di passeggeri e merci, promosso l’armonizzazione tecnica, con i requisiti relativi alle infrastrutture e al materiale rotabile, e introdotto il sistema europeo comune di gestione del traffico ferroviario (ERTMS), da utilizzare principalmente nel quadro della rete TEN-T.

3.3.

Il quadro garantisce l’indipendenza dei gestori dell’infrastruttura rispetto a funzioni essenziali quali l’assegnazione delle bande orarie e contiene disposizioni in materia di contabilità separata per il gestore dell’infrastruttura.

3.4.

Il quadro legislativo si riferisce anche alla direttiva 2007/59/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (4) relativa alla certificazione delle competenze e all’idoneità medica dei macchinisti addetti alla guida di locomotori e treni, incluse le qualifiche linguistiche nel contesto del trasporto internazionale, e alla direttiva 2005/47/CE del Consiglio (5) sulle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario; entrambe le direttive si basano su accordi conclusi dalle parti sociali europee conformemente all’articolo 155 del TFUE.

3.5.

Il quadro prevede inoltre un meccanismo di coordinamento a livello nazionale tra i gestori dell’infrastruttura e gli operatori per quanto riguarda la manutenzione dell’infrastruttura e gli obiettivi in termini di prestazioni delle capacità, l’intermodalità e l’interoperabilità, nonché l’accesso all’infrastruttura e il relativo utilizzo, l’intramodalità e la qualità del servizio. Una rete europea dei gestori dell’infrastruttura ferroviaria garantirà la cooperazione e lo scambio di opinioni.

3.6.

Le regole relative al trasporto passeggeri prevedono disposizioni sui contratti di servizio pubblico e gli appalti pubblici, nonché la possibilità di adottare disposizioni generali in materia di tariffazione e livelli di servizio. Il trasporto pubblico di passeggeri è disciplinato dal regolamento OSP (CE) 1370/2007 [modificato dal regolamento (UE) 2016/2338], che prevede l’aggiudicazione di contratti di servizio pubblico da parte delle autorità competenti conformemente alle norme stabilite dal regolamento. Tali norme prevedono la possibilità che le autorità competenti e gli Stati membri impongano criteri e norme sociali nonché il trasferimento del personale in caso di cambiamento di operatore.

4.   Stato di attuazione attuale — Problemi residui dopo 30 anni

4.1.

Gli sforzi compiuti in quasi tre decenni a favore dell’apertura del mercato internazionale e nazionale del trasporto merci e passeggeri su rotaia, attraverso l’armonizzazione di una serie di norme tecniche e di sicurezza in modo da creare uno spazio ferroviario europeo unico, non hanno prodotto i risultati complessivi auspicati.

4.2.

Occorre inoltre ricordare che, per quanto riguarda gli itinerari ferroviari internazionali per passeggeri e lo sviluppo della capacità di questo segmento di mercato, la strategia dell’UE per una mobilità sostenibile e intelligente è volta a realizzare entro il 2050 una rete transeuropea di trasporto (TEN-T) pienamente operativa e multimodale per trasporti sostenibili e intelligenti con connettività ad alta velocità. Questo tipo di connettività dovrebbe essere in grado di collegare le principali città dell’UE con servizi sostenibili su rotaia, sostituendo, gradualmente e almeno parzialmente, i collegamenti aerei intracontinentali.

4.3.

Nonostante la totale apertura del mercato, le misure volte a garantire un accesso libero e non discriminatorio alle infrastrutture, l’armonizzazione delle norme tecniche e la semplificazione amministrativa, il trasporto ferroviario presenta tuttora notevoli lacune per quanto riguarda la sua capacità di aumentare la sua quota modale nel trasporto tanto passeggeri che merci. Un certo numero di questioni è trattato nel documento di lavoro dei servizi della Commissione del 2020 che accompagna la comunicazione della Commissione intitolata Strategia per una mobilità sostenibile e intelligente (in prosieguo il «documento di lavoro»), in cui viene formulata una serie di proposte (6). Punti di vista simili, in merito al trasporto merci, compaiono nella relazione speciale della Corte dei conti europea del 2016 dal titolo Il trasporto delle merci su rotaia nell’UE non è ancora sul giusto binario.

4.4.

Il CESE ritiene che un’analisi che si limita all’attuazione del quadro giuridico dell’UE e alla misurazione del grado di apertura del mercato non sia sufficiente per esaminare e comprendere pienamente le carenze dello spazio ferroviario europeo unico. Chiede pertanto un’analisi ampia ed esaustiva dei fattori di successo e dei problemi, nonché una valutazione del quadro attuale, compreso il suo impatto sulle condizioni di lavoro, tenendo presente l’obbligo di cui agli articoli 90 e 91 del TFUE di istituire un mercato interno con norme armonizzate per il trasporto internazionale e di definire le condizioni relative al cabotaggio, nonché l’articolo 14 del TFUE sui servizi di interesse economico generale, nel rispetto dei principi del mercato unico e del diritto della concorrenza previsti per il settore dei trasporti ferroviari dal regolamento (CE) n. 1370/2007, e tenendo altresì conto del ruolo degli Stati membri al riguardo, come previsto dal protocollo 26 del TFUE e dall’articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

4.5.

L’apertura del mercato ha prodotto risultati disomogenei. Tuttavia, essa può vantare anche una serie di storie di successo. Ad esempio, l’Austria, la Germania e la Svezia hanno registrato un miglioramento dei risultati nella ripartizione modale e di volumi di merci trasportate su rotaia, nonostante il declino globale a livello dell’UE (7).

4.6.

La società austriaca di trasporto ferroviario ÖBB, di proprietà statale, ha messo a punto con buon esito una rete di collegamenti ferroviari internazionali per il trasporto notturno di passeggeri, mentre nel 2018 la sua quota di mercato nazionale è scesa dall’88,4 % all’86,5 %. Sul fatturato totale di 2,2 miliardi di EUR realizzato nel 2019 nel settore del trasporto passeggeri, circa 1,4 miliardi di EUR sembrano riguardare gli obblighi di servizio pubblico (OSP) (8).

4.7.

Gli OSP sono fondamentali per assicurare ai cittadini servizi di trasporto passeggeri accessibili, a prezzi abbordabili e inclusivi. L’accesso al mercato è aperto ai servizi commerciali di trasporto di passeggeri, spesso a lunga distanza. Tuttavia, non è possibile scindere il traffico a lunga distanza da quello regionale. Tutti i treni a lunga percorrenza assolvono funzioni regionali per i passeggeri, in particolare quando si fermano nelle aree suburbane. Le linee regionali garantiscono il numero necessario di passeggeri e alimentano le linee principali. Inoltre, esse alleggeriscono l’infrastruttura delle «grandi linee» e garantiscono la distribuzione nella zona.

Gli Stati membri stanno adottando iniziative nuove al fine di creare collegamenti essenziali con i nuovi servizi ferroviari, tra cui i treni notturni, e tali iniziative vengono portate avanti dagli operatori ferroviari storici. Di fatto questi progetti sono già stati annunciati, ad esempio, dalla Germania (TEE 2.0), dai Paesi Bassi e dalla Svezia. A giudizio del CESE, queste iniziative dimostrano che il sistema ferroviario è complesso e che il libero accesso al mercato, in vigore dal 2010 per il trasporto internazionale di passeggeri, non costituisce lo strumento adeguato per stimolare lo sviluppo del trasporto (internazionale) di passeggeri su lunghe distanze. A tal fine sono indispensabili volontà politica e decisioni politiche volte a dare priorità a soluzioni inclusive e rispettose dell’ambiente, accompagnate dai necessari investimenti e da una buona governance.

4.8.

Secondo il CESE, l’aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico costituisce una delle misure più efficaci ed efficienti per promuovere il trasporto ferroviario di passeggeri. Essa rappresenta la chiave di volta dei sistemi ferroviari, ad esempio in Austria e in Svizzera che sono campioni in termini di quota di mercato. Inoltre, il CESE osserva che non esiste alcuna correlazione tra il grado di apertura del mercato e la soddisfazione dei clienti, o il livello dei prezzi dei biglietti.

4.9.

Tuttavia, secondo il suddetto documento di lavoro della Commissione, permangono alcuni problemi concernenti l’apertura dell’accesso al mercato e la creazione di collegamenti ferroviari con una buona attrattiva. A tale riguardo vengono menzionati i seguenti elementi essenziali:

4.9.1.

disponibilità di informazioni adeguate per consentire agli operatori di presentare offerte adeguate nel quadro delle procedure di gara, nonostante le modifiche apportate al quarto pacchetto ferroviario del 2016 per garantire la disponibilità di informazioni adeguate per gli offerenti.

4.9.2.

L’accesso al materiale rotabile rimane un problema importante per i nuovi arrivati. La disponibilità in quanto tale di materiale rotabile dotato di una certificazione valida in tutta l’UE rimane relativamente limitata, e ciò vale sia per il trasporto passeggeri che per il trasporto merci.

4.9.3.

Per quanto riguarda la disponibilità di materiale rotabile per l’obbligo di servizio pubblico di trasporto passeggeri, le disposizioni del regolamento (CE) n. 1370/2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia prevedono la possibilità che le autorità competenti adottino misure per agevolare tale accesso, se ritenuto necessario.

4.9.4.

L’emissione di biglietti di trasporto ferroviario combinato rimane problematica, in particolare per quanto riguarda la disponibilità di informazioni aggiornate in merito alle tariffe, alle prenotazioni e al traffico ferroviario.

4.10.

Nonostante le disposizioni del quarto pacchetto ferroviario che consentono agli operatori di ottenere dall’Agenzia ferroviaria europea un certificato di sicurezza unico per le operazioni sull’intero territorio dell’UE, numerose norme non sono state armonizzate, il che rende le operazioni transfrontaliere più complesse e costose, provocando, in particolare, ritardi ai valichi di frontiera. L’armonizzazione di tali norme può pertanto rappresentare un compito importante da portare a termine in futuro nonché una condizione necessaria per future soluzioni digitali e automatizzate comuni.

4.11.

Il CESE sottolinea che l’armonizzazione tecnica e la modernizzazione delle infrastrutture sono fattori chiave per realizzare uno spazio ferroviario europeo unico ben funzionante. La modernizzazione delle infrastrutture e del materiale rotabile richiede investimenti assai ingenti. E in effetti, le innovazioni nel settore ferroviario, come l’alta velocità, sono state sviluppate da operatori statali con il sostegno pubblico. In materia di aiuti di Stato a favore di ricerca e innovazione esistono norme specifiche.

4.12.

Il CESE osserva inoltre che la Commissione sta collaborando con il settore ferroviario e con gli Stati membri, a quanto pare allo scopo di agevolare l’attraversamento delle frontiere lungo i corridoi ferroviari merci. Ritiene importante che la Commissione compili un inventario esaustivo degli ostacoli esistenti, compresi i diversi problemi di atteggiamento, e proponga soluzioni. In tale contesto, il CESE chiede che le parti sociali siano coinvolte nei lavori preparatori della Commissione.

4.13.

Per quanto riguarda il trasporto merci su rotaia, si pongono diversi problemi specifici che hanno condotto alla formulazione delle seguenti osservazioni e dei seguenti suggerimenti nel documento di lavoro:

4.13.1.

la natura del mercato del trasporto merci è cambiata. Una percentuale più elevata di beni che richiede sia flessibilità che un grado più elevato di affidabilità nelle catene di approvvigionamento complesse e ad alto valore pone spesso il settore ferroviario in una posizione di svantaggio competitivo a causa della sua mancanza di puntualità, affidabilità, prevedibilità e flessibilità. Ad esempio, nel primo trimestre del 2018, oltre il 50 % dei treni del corridoio merci alpino ha registrato ritardi superiori a tre ore.

4.13.2.

Le informazioni sul traffico sono scarse per quanto riguarda, ad esempio, la localizzazione dei treni e l’orario di arrivo previsto. Inoltre, la gestione della capacità e del traffico non è in genere coordinata tra l’infrastruttura ferroviaria e le strutture come i terminali, il che pregiudica l’ottimizzazione della gestione delle risorse.

4.13.3.

L’assenza nell’UE di moderni sistemi di accoppiamento automatico, ampiamente utilizzati nel resto del mondo, pregiudica le prestazioni del carro singolo.

4.13.4.

Nella pianificazione della capacità, il trasporto merci rimane in secondo piano, a livello sia transfrontaliero che nazionale.

4.13.5.

La pianificazione a lungo termine della capacità e degli orari ostacola i modelli imprenditoriali orientati al mercato e impedisce al settore ferroviario di soddisfare le richieste a breve termine dei clienti. La prevalenza accordata al traffico nazionale e l’assenza di coordinamento della pianificazione transfrontaliera sono all’origine di ulteriori problemi per il trasporto transfrontaliero di merci.

4.13.6.

La bassa redditività riduce gli investimenti e gli investimenti infrastrutturali non sono adeguatamente coordinati a livello transfrontaliero, né lungo i corridoi principali.

4.13.7.

Si può auspicare che almeno una parte dei problemi di coordinamento e pianificazione riguardanti il trasporto transfrontaliero di merci possa essere affrontata nel quadro della valutazione in corso del regolamento che istituisce i corridoi ferroviari merci europei (9).

4.14.

In generale, sembra necessario ridefinire il processo di governance della capacità ferroviaria per consentire agli operatori di fornire servizi in funzione delle esigenze dei clienti, garantendo un adeguato grado di affidabilità, puntualità e flessibilità. A tal fine vi è bisogno, tra l’altro, di una visione globale della gestione della capacità, che comprenda sia il trasporto passeggeri che il trasporto merci, il che faciliterebbe l’ottimizzazione dell’utilizzo della capacità.

4.15.

Per quanto riguarda il trasporto merci su rotaia, delle osservazioni analoghe a quelle formulate dalla Commissione nel documento di lavoro sono espresse dalla Corte dei conti nella relazione speciale sul trasporto merci su rotaia menzionata in precedenza.

Tale relazione speciale formula una serie di raccomandazioni in merito al miglioramento del funzionamento del mercato del trasporto merci su rotaia, tra cui una migliore supervisione per combattere i comportamenti anticoncorrenziali da parte degli operatori storici e dei gestori dell’infrastruttura, una migliore gestione del traffico nei corridoi ferroviari merci, il monitoraggio delle prestazioni e un migliore orientamento delle esigenze infrastrutturali.

4.16.

La relazione solleva inoltre la questione dei macchinisti, anche per quanto riguarda il regime linguistico previsto dalla direttiva 2007/59 relativa alla certificazione dei macchinisti, suggerendo che i requisiti linguistici definiti al punto 8 dell’allegato VI dovrebbero essere sostituiti da requisiti relativi alla conoscenza di un’unica lingua da utilizzare nel quadro del trasporto ferroviario internazionale.

4.17.

La relazione speciale conclude che le questioni strategiche e normative individuate sono tali che, se non vengono affrontate, dei finanziamenti supplementari non saranno sufficienti per risolvere i problemi.

4.18.

Occorre inoltre richiamare l’attenzione sulla dichiarazione ministeriale rilasciata il 21 settembre 2020 sui corridoi per il trasporto ferroviario di merci, che sottolinea l’importanza della digitalizzazione e della tempestiva attuazione dei corridoi della rete centrale TEN-T e del lancio del sistema europeo di gestione del traffico ferroviario (ERTMS).

4.19.

Sembra esservi un consenso generale sull’importanza di disporre di personale ferroviario qualificato che benefici di buone condizioni di lavoro. A tal fine è necessaria un’azione volta a prevenire il dumping sociale nel settore ferroviario che si sta sviluppando con l’attuale apertura del mercato, come negli altri settori dei trasporti dell’UE. La regolamentazione esistente — come la direttiva relativa al distacco dei lavoratori — non sempre affronta adeguatamente la situazione dei lavoratori del settore ferroviario in quanto non tiene conto delle esigenze specifiche dei lavoratori altamente mobili, ad esempio in questo settore, per cui risulta anche difficile il monitoraggio. Il CESE ritiene pertanto che, come nel caso del trasporto su strada, possano essere necessarie norme specifiche rivolte ai lavoratori del settore ferroviario.

4.20.

In tale contesto, il CESE prende anche atto delle carenze, segnalate dalle parti sociali del settore ferroviario, riguardanti le disposizioni sociali e la legislazione in questo settore e la relativa attuazione e applicazione, quali l’attuazione delle clausole sociali del regolamento OSP e l’attuazione, il monitoraggio e l’applicazione della direttiva 2005/47/CE sulle condizioni di lavoro del personale mobile nelle operazioni transfrontaliere.

4.21.

Il CESE sostiene pienamente il consenso generale sull’importanza di disporre di personale ferroviario qualificato che benefici di buone condizioni di lavoro, e prende atto dell’accordo del 2004 sui periodi di guida e di riposo dei lavoratori mobili impegnati in servizi transfrontalieri interoperabili, concluso tra le parti sociali nel gennaio 2004 nel quadro del dialogo sociale e attuato mediante la direttiva 2005/47/CE.

4.22.

Il CESE prende atto del fatto che le parti sociali hanno deciso di continuare a lavorare nel quadro del dialogo sociale al fine di migliorare il monitoraggio dell’attuazione dell’accordo. Attraverso una dichiarazione comune si sono impegnate a promuovere le operazioni transfrontaliere, a evitare la concorrenza basata unicamente sulle differenze nelle condizioni di lavoro e a mantenere condizioni di parità tra le imprese che effettuano operazioni transfrontaliere (10).

Per quanto riguarda la direttiva 2005/47/CE, le parti sociali hanno sottolineato che «uno dei risultati del progetto è che un monitoraggio e un’applicazione adeguati dell’accordo a livello di Stati membri sono ostacolati dalla mancanza di chiarezza sulle autorità nazionali competenti. Anche nelle situazioni in cui un’autorità è chiaramente definita (di solito l’ispettorato nazionale del lavoro), essa sembra mancare delle risorse, delle capacità e/o della consapevolezza necessarie in merito all’accordo e alla direttiva che lo attua per svolgere efficacemente i propri compiti». Il CESE ritiene che l’UE debba intervenire.

4.23.

Il CESE prende atto di una dichiarazione delle parti sociali in merito al regolamento (CE) n. 1370/2007 sugli OSP secondo cui «le conseguenze della concorrenza non dovrebbero incidere sulle condizioni di lavoro del personale. A tal fine, a livello nazionale, regionale o locale, sono necessarie norme sociali vincolanti e/o il trasferimento obbligatorio di personale in caso di cambiamento di operatore» (11). Ciò non è sufficientemente attuato e garantito nella pratica, per cui è necessaria un’azione da parte dell’UE. Il CESE chiede alla Commissione di monitorare attentamente l’attuazione di tali disposizioni e di adottare le misure necessarie.

4.24.

Sembra esservi un consenso generale tra gli operatori sul fatto che il settore ora ha bisogno di tempo per assimilare il quarto pacchetto ferroviario e adattarvisi.

5.   Crisi pandemica della COVID-19 — Una prova di resilienza

5.1.

La crisi provocata dalla pandemia di COVID-19 ha rappresentato un banco di prova e una sfida per il trasporto ferroviario, come per tutti gli altri settori dei trasporti e per tutti i lavoratori del comparto. L’affidabilità, la sicurezza e il ruolo centrale delle ferrovie nel trasporto di persone e merci durante la pandemia di COVID-19 costituiscono un risultato positivo, che è stato raggiunto anche grazie agli sforzi compiuti dal personale ferroviario in circostanze estremamente difficili. Gli aiuti di Stato hanno permesso a molte imprese ferroviarie di superare un periodo difficile in cui i volumi si sono ridotti.

5.2.

Secondo i dati raccolti dalla Comunità europea delle compagnie e dei gestori ferroviari (CER), l’impatto della COVID-19 è negativo per tutti i tipi di traffico passeggeri su rotaia e, in particolare, per le rotte internazionali. Le perdite di entrate sono state pari a 26 miliardi di EUR nel 2020 e proseguono nei primi mesi del 2021. Si prevede inoltre che la ripresa proceda a rilento.

5.3.

Tuttavia, la crisi provocata dalla pandemia ha permesso anche di comprendere la necessità di elaborare misure a favore della resilienza, migliorare la coerenza e il coordinamento sulla rete e dare maggiore priorità allo sviluppo delle infrastrutture transfrontaliere (12). Peraltro, la pandemia ha anche dimostrato che le città svolgono il ruolo più importante nella risoluzione dei problemi del traffico, che non dovrebbero essere lasciate da sole e che l’UE deve prestare la massima attenzione ad esse.

5.4.

Durante la pandemia, gli operatori statali sono stati obbligati a continuare a prestare i servizi di trasporto passeggeri e merci, garantendo nel contempo la sicurezza delle operazioni. Gli aiuti di Stato e gli interventi statali hanno spesso consentito di evitare il collasso del sistema ferroviario, una necessità per garantire i servizi essenziali.

6.   Le questioni relative alla separazione proprietaria (unbundling) sollevate dalla presidenza

6.1.

Le disposizioni di cui al capo II, sezioni I e II, della direttiva 2012/34/UE, come modificata, che sono volte a garantire l’indipendenza gestionale delle imprese ferroviarie e dei gestori dell’infrastruttura (sezione 1) e la separazione della gestione dell’infrastruttura e dell’attività di trasporto e dei diversi tipi di attività di trasporto (sezione 2), sembrano offrire una risposta adeguata alle due questioni relative alla separazione proprietaria sollevate dalla presidenza.

6.2.

Le disposizioni in questione prevedono un’ampia scelta di opzioni in termini di struttura organizzativa, purché sia garantita l’indipendenza dell’entità che assicura la gestione dell’infrastruttura riguardo all’assegnazione delle tracce ferroviarie e all’imposizione dei canoni. Altrettanto sembra valere per l’obbligo di tenere una contabilità separata per la gestione dell’infrastruttura e le attività operative, le attività di trasporto passeggeri e quelle di trasporto merci, nonché per l’obbligo di trasparenza dei fondi pubblici erogati per la prestazione di servizi di trasporto per servizio pubblico.

6.3.

La garanzia relativa alla neutralità circa l’assegnazione delle tracce ferroviarie e l’imposizione dei canoni, nonché la trasparenza prevista dalle disposizioni in materia di contabilità devono essere considerate vantaggiose in quanto garantiscono parità di condizioni e trasparenza.

6.4.

Si può osservare che i grandi paesi ferroviari come la Germania, la Polonia, l’Italia e l’Austria hanno conservato una società ferroviaria integrata, mentre l’indipendenza del gestore dell’infrastruttura è garantita per quanto riguarda le funzioni essenziali di assegnazione delle bande orarie e l’imposizione e riscossione dei canoni. La Francia, ad esempio, ha reintegrato la gestione delle infrastrutture e l’attività di trasporto. Tali paesi ritengono che sia vantaggioso per il sistema ferroviario sfruttare le sinergie, garantire una più stretta cooperazione, una maggiore flessibilità ecc. Si dovrebbe tenere conto anche dei vantaggi per il personale ferroviario di disporre di un grande mercato del lavoro interno, in particolare, per le professioni rilevanti per la sicurezza che presentano requisiti medici e psicologici.

6.5.

Tuttavia, la libertà di scelta della struttura organizzativa deve essere considerata un elemento positivo e pertanto agli Stati membri non dovrebbe essere imposta alcuna separazione proprietaria.

7.   Osservazioni conclusive

7.1.

Dalle considerazioni sopra esposte consegue che lo spazio ferroviario europeo è lungi dall’essere perfetto. Occorre effettuare un esame più approfondito dei fattori positivi e dell’impatto sulle condizioni di lavoro. Le analisi disponibili hanno valutato problemi relativi all’attuazione della legislazione vigente, tra cui l’accesso al mercato, l’interoperabilità e l’armonizzazione tecnica, compresa l’armonizzazione incompleta delle norme operative e tecniche. Ma hanno anche definito problemi di costo, l’assenza di puntualità, la mancanza di materiale rotabile in grado di circolare in tutta l’UE e problemi generali di adattamento a un contesto di mercato aperto. Risulta che non sia stata realizzata alcuna analisi dei possibili effetti dell’apertura del mercato sulle condizioni di lavoro. Molti aspetti potrebbero e dovrebbero essere migliorati per consentire al sistema di funzionare meglio, diventare più competitivo e accrescere la sua quota di mercato in tutta l’Unione, diventando un attore a pieno titolo in un sistema di mobilità e trasporto multimodale efficiente e sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale al servizio degli utenti e dell’ambiente.

7.2.

Il CESE ritiene che sia giunto il momento di fare un bilancio generale del sistema ferroviario dell’UE. Chiede pertanto un’analisi ampia ed esaustiva dei fattori di successo e dei problemi, nonché una valutazione del quadro attuale, compreso il suo impatto sulle condizioni di lavoro. Il CESE chiede una valutazione imparziale tenendo presente l’obbligo di cui agli articoli 90 e 91 del TFUE di istituire un mercato interno con norme armonizzate per il trasporto internazionale e di definire le condizioni relative al cabotaggio, nel rispetto delle disposizioni in materia di servizi di interesse economico generale stabilite dall’articolo 14 del TFUE, dal Protocollo 26 del TFUE e dall’articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Tale analisi dovrebbe prendere in considerazione gli aspetti ambientali e gli obiettivi stabiliti nel Green Deal europeo, il ruolo delle ferrovie in quanto servizio di interesse generale a favore della coesione socioeconomica, la competitività del trasporto ferroviario e il suo funzionamento all’interno di un sistema di trasporto transfrontaliero multimodale, basato sulla cooperazione, l’efficienza delle risorse, i livelli di servizio e la soddisfazione dei clienti e dei consumatori, prestando particolare attenzione alle ripercussioni sulle condizioni di lavoro dei dipendenti. L’Anno europeo delle ferrovie 2021 offre un’ottima opportunità per fare il punto sugli sviluppi intervenuti fino ad oggi e per stabilire obiettivi per il futuro.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU L 343 del 14.12.2012, pag. 32.

(2)  GU L 315 del 3.12.2007, pag. 1.

(3)  Dati tratti da diversi prontuari statistici dell'UE.

(4)  GU L 315 del 3.12.2007, pag. 51.

(5)  GU L 195 del 27.7.2005, pag. 15.

(6)  SWD(2020) 331 final.

(7)  Relazione speciale 2016 della Corte dei conti europea Il trasporto delle merci su rotaia nell’UE non è ancora sul giusto binario, punti 23-27.

(8)  Relazione annuale ÖBB Holding Geschäftsbericht 2019, pagg. 61 e 65-66.

(9)  GU L 276 del 20.10.2010, pag. 22.

(10)  Valutazione dell’attuazione e dell'applicazione dell'accordo su taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili impegnati in servizi transfrontalieri interoperabili nel settore ferroviario; Progetto «Lavoratori mobili del settore ferroviario» — Conclusioni comuni della Comunità delle ferrovie europee (CER) e della Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF), parti sociali del settore ferroviario europeo.

(11)  https://www.etf-europe.org/resource/joint-cer-etf-opinion-protection-of-staff-september-2013

(12)  Cfr. ad esempio: Ministero federale tedesco dei Trasporti e delle infrastrutture digitali, Folgerungen für die zukünkftige Verkehrspolitik nach den Erfahrungen und dem Umgang mit der COVID-19-Pandemie (Implicazioni per la futura politica dei trasporti dopo l’esperienza e la gestione della pandemia di COVID-19), Comitato scientifico del Ministero federale dei Trasporti e delle infrastrutture digitali, n. 2/Anno 2020.


ALLEGATO

Pur avendo ottenuto il sostegno di almeno un quarto dei voti espressi, i seguenti emendamenti sono stati respinti in sessione plenaria:

Punto 1.17

Modificare come segue:

 

Appare chiaro che occorre tenere conto delle attuali esigenze in materia di misure strategiche e di miglioramento del sistema ferroviario, al fine di poter conseguire gli obiettivi di ripartizione modale del traffico e consentire alla ferrovia di svolgere appieno il suo ruolo nel quadro di un sistema europeo di trasporto multimodale sostenibile e competitivo. Gli aiuti di Stato e gli interventi statali rimangono Il settore avrà bisogno di aiuti di Stato anche durante la ripresa dalla crisi della COVID-19, e gli aiuti di Stato per il finanziamento degli obblighi di servizio pubblico rimarranno fondamentali per garantire servizi essenziali anche una volta superata la crisi della COVID-19.

Esito della votazione sull’emendamento

Voti favorevoli:

94

Voti contrari:

119

Astensioni:

7

Punto 1.18

Modificare come segue:

 

I contratti di servizio pubblico sono cruciali per assicurare servizi di trasporto passeggeri accessibili, a prezzi abbordabili e inclusivi per tutti. Secondo il CESE, l’aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico costituisce una delle misure più efficaci ed efficienti per promuovere il trasporto ferroviario di passeggeri. Il CESE prende atto dell’attuale predominanza delle aggiudicazioni dirette e dell’evoluzione del quadro normativo nella direzione di appalti pubblici competitivi. Il CESE si aspetta che la Commissione fornisca un’analisi dei risultati di questo cambiamento di orientamento per quanto riguarda l’accessibilità economica e i livelli di servizio, come previsto all’articolo 11 del regolamento (CE) n. 1370/2007, come modificato.

Esito della votazione sull’emendamento

Voti favorevoli:

97

Voti contrari:

114

Astensioni:

12

Punto 4.6

Modificare come segue:

 

Vi è una tendenza generale a ricorrere agli OSP, con diritti di traffico esclusivi, sulle linee deficitarie, solitamente regionali, allorché l’accesso al mercato è aperto sulle linee a lunga percorrenza. Il CESE sottolinea l’importanza del ruolo svolto dagli OSP nell’offrire l’accessibilità economica e garantire la coerenza globale del sistema ferroviario per il trasporto passeggeri al fine di assicurare l’accessibilità. Gli OSP sono fondamentali per assicurare ai cittadini servizi di trasporto passeggeri accessibili, a prezzi abbordabili e inclusivi. L’accesso al mercato è aperto ai servizi commerciali di trasporto di passeggeri, spesso a lunga distanza. Tuttavia, non è possibile scindere il traffico a lunga distanza da quello regionale. Tutti i treni a lunga percorrenza assolvono funzioni regionali per i passeggeri, in particolare quando si fermano nelle aree suburbane. Le linee regionali garantiscono il numero necessario di passeggeri e alimentano le linee principali. Inoltre, esse alleggeriscono l’infrastruttura delle «grandi linee» e garantiscono la distribuzione nella zona.

Gli Stati membri stanno adottando iniziative nuove, portate avanti dagli operatori ferroviari storici, al fine di creare collegamenti essenziali con i nuovi servizi ferroviari, tra cui i treni notturni, e tali iniziative vengono portate avanti dagli operatori ferroviari storici. Di fatto questi progetti sono già stati annunciati, ad esempio, dalla Germania (TEE 2.0), dai Paesi Bassi e dalla Svezia. La concorrenza tra gli operatori sulla rete ad alta velocità italiana ha portato a una migliore qualità del servizio, a biglietti più economici e a un aumento della frequenza dei servizi, determinando un evidente trasferimento modale dal trasporto aereo a quello ferroviario. Iniziative analoghe sono previste in Spagna. A giudizio del CESE, queste iniziative dimostrano sia le possibilità offerte dal quadro attuale di creare alternative di trasporto attraenti e rispettose dell’ambiente, sia la necessità di misure volte a facilitare la creazione di collegamenti transfrontalieri. A giudizio del CESE, queste iniziative dimostrano che il sistema ferroviario è complesso e che il libero accesso al mercato, in vigore dal 2010 per il trasporto internazionale di passeggeri, non costituisce lo strumento adeguato per stimolare lo sviluppo del trasporto (internazionale) di passeggeri su lunghe distanze. A tal fine sono indispensabili volontà politica e decisioni politiche volte a dare priorità a soluzioni inclusive e rispettose dell’ambiente, accompagnate dai necessari investimenti e da una buona governance.

Esito della votazione sull’emendamento

Voti favorevoli:

104

Voti contrari:

112

Astensioni:

15

Punto 4.7

Modificare come segue:

 

Il CESE prende atto dell’attuale predominanza delle aggiudicazioni dirette di contratti di servizio pubblico e dell’evoluzione del quadro normativo nella direzione di appalti pubblici competitivi. Il CESE si aspetta che la Commissione fornisca un’analisi imparziale dei risultati di questo cambiamento di orientamento per quanto riguarda l’accessibilità economica e i livelli di servizio, come previsto all’articolo 11 del regolamento (CE) n. 1370/2007, come modificato, e che l’analisi formuli anche raccomandazioni su un sistema di aggiudicazione che dia i migliori risultati in termini di costi/benefici per gli utenti. Secondo il CESE, l’aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico costituisce una delle misure più efficaci ed efficienti per promuovere il trasporto ferroviario di passeggeri. Essa rappresenta la chiave di volta dei sistemi ferroviari, ad esempio in Austria e in Svizzera che sono campioni in termini di quota di mercato. Inoltre, il CESE osserva che non esiste alcuna correlazione tra il grado di apertura del mercato e la soddisfazione dei clienti, o il livello dei prezzi dei biglietti.

Esito della votazione sull’emendamento

Voti favorevoli:

97

Voti contrari:

114

Astensioni:

12

Punto 5.3

Modificare come segue:

 

Durante la pandemia, gli operatori statali sono stati in grado di obbligati a continuare a prestare i servizi sicuri di trasporto passeggeri e merci, garantendo subendo nel contempo la sicurezza delle operazioni notevoli perdite in seguito al calo dei volumi di merci e passeggeri. Gli aiuti di Stato e l’azione messi in campo dalla Commissione europea e dagli Stati membri per sostenere finanziariamente il settore ferroviario, in particolare agevolando la continuità dei servizi essenziali, anche transfrontalieri, hanno consentito alle necessarie catene di trasporto passeggeri e di approvvigionamento di continuare a funzionare gli interventi statali hanno spesso consentito di evitare il collasso del sistema ferroviario, il che costituisce una necessità per garantire i servizi essenziali.

Esito della votazione sull’emendamento

Voti favorevoli:

94

Voti contrari:

119

Astensioni:

7

Punto 6.5

Modificare come segue:

 

Tuttavia, Il CESE ritiene pertanto che la libertà di scelta della struttura organizzativa deve essere considerata sia un elemento positivo e pertanto non dovrebbe essere imposta alcuna separazione proprietaria agli Stati membri. Il CESE reputa inoltre che il dialogo aperto tra i gestori dell’infrastruttura e gli operatori, introdotto con il quarto pacchetto ferroviario, apporti un valore aggiunto in quanto consente lo scambio di informazioni pertinenti per migliorare il funzionamento del trasporto ferroviario e dell’intermodalità.

Esito della votazione sull’emendamento

Voti favorevoli:

95

Voti contrari:

118

Astensioni:

12


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

559a sessione plenaria del Comitato economico e sociale europeo - Interactio, 24.3.2021 – 25.3.2021

9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione 2020 sullo stato dell’Unione dell’energia in applicazione del regolamento (UE) 2018/1999 sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima»

[COM(2020) 950 final]

e su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Valutazione a livello dell’Unione dei piani nazionali per l’energia e il clima. Impulso alla transizione verde e promozione della ripresa economica attraverso la pianificazione integrata delle misure nei settori dell’energia e del clima»

[COM(2020) 564 final]

(2021/C 220/04)

Relatore:TBL

Lutz RIBBE

Consultazioni

Commissione europea, 11.11.2020 e 27.11.2020

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

9.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

236/4/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è favorevolmente colpito dalla meticolosità e dalla precisione con cui la Commissione documenta e valuta lo sviluppo dell’Unione dell’energia. Il modo in cui i piani nazionali per l’energia e il clima (PNEC) sono stati elaborati e valutati dimostra il buon funzionamento della governance dell’Unione dell’energia.

1.2.

Il CESE prende atto con sollievo del fatto che, nonostante alcuni Stati membri siano evidentemente in ritardo rispetto agli obiettivi, i traguardi energetici e climatici fissati per il 2020 siano stati nel complesso conseguiti. Non bisogna tuttavia accontentarsi di tali risultati. Gli obiettivi fissati per i prossimi trent’anni, a partire dagli anni 20 del Duemila, sono ben più ambiziosi e occorre accelerare nettamente il ritmo della trasformazione, senza tuttavia perdere di vista la situazione sociale ed economica dei singoli Stati membri. In caso contrario verrebbe messa a rischio l’accettazione sociale degli investimenti e delle riforme volti ad accelerare la transizione energetica. La trasformazione energetica sarebbe messa a repentaglio anche se la politica promettesse la partecipazione di ampie fasce della società, ma in realtà non prendesse sul serio questa promessa e non la attuasse.

1.3.

È quindi ancora più importante tenere presenti non solo gli obiettivi (climatici) globali, ma anche quelli specifici che la stessa Commissione si è prefissata con la strategia quadro per un’Unione dell’energia resiliente e con il pacchetto Energia pulita per tutti gli europei. A tale riguardo, i risultati che emergono sono di gran lunga peggiori.

1.4.

Nella strategia quadro la Commissione individuava come obiettivo principale un’Unione dell’energia che mettesse i cittadini in primo piano. Ciononostante, nella comunicazione sullo stato dell’Unione dell’energia, la Commissione non si sofferma in alcun modo a descrivere la situazione attuale in relazione al conseguimento di detto obiettivo e a illustrare le strategie da adottare in futuro a tale scopo. A giudizio del CESE ciò è del tutto inaccettabile.

1.5.

Nella valutazione degli PNEC la Commissione sostiene che gli Stati membri dedicano un’attenzione insufficiente allo sviluppo delle comunità dell’energia nell’ambito dei propri PNEC. Si tratta di un aspetto preoccupante. È tuttavia deludente che, alla luce di ciò, la Commissione si limiti a rivolgere un appello molto generico agli Stati membri. Se agli ambiziosi obiettivi formulati nel pacchetto Energia pulita per tutti gli europei e nella strategia quadro per l’Unione dell’energia non sarà dato un seguito serio, vi saranno ripercussioni negative non solo per l’Unione dell’energia, ma anche per la credibilità della politica europea nel suo insieme.

1.6.

Secondo il CESE è pertanto necessario che nelle sue relazioni future la Commissione esamini in maniera più rigorosa il grado e la qualità dell’attuazione, del rispetto e della realizzazione del terzo pacchetto dell’energia negli Stati membri, in particolare per quanto concerne il modo in cui essi intendono mettere «in primo piano i cittadini». In passato le disposizioni nel settore energetico sono state attuate in ritardo e spesso non in modo tale da portare beneficio ai cittadini.

1.7.

È il caso di formulare una posizione critica anche in relazione ad altri tre obiettivi dell’Unione dell’energia, vale a dire la riduzione della dipendenza energetica mediante la diminuzione delle importazioni di energia, l’eliminazione delle sovvenzioni alle fonti energetiche dannose per il clima e l’ambiente e l’assunzione di un ruolo di guida nell’ambito delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e della mobilità elettrica. Dalle comunicazioni della Commissione emerge che i tre obiettivi menzionati sono stati tutti mancati. I motivi di tale fallimento sono tuttavia sottaciuti. Parimenti, non si trovano dichiarazioni in merito agli insegnamenti da trarre da detti insuccessi e alle loro conseguenze per le azioni future, ad esempio nel quadro del fondo per la ripresa.

1.8.

Il CESE ritiene che gli PNEC degli Stati membri evidenzino una mancanza di coerenza della politica energetica europea. Considera inoltre troppo poco specifica la maggior parte degli PNEC, in particolare per quanto riguarda le importanti questioni della sicurezza energetica e della transizione giusta.

1.9.

Invita pertanto la Commissione a dedicare maggiore attenzione, nella valutazione degli PNEC, all’adeguatezza delle strategie per una transizione giusta e, in tale contesto, specialmente al conseguimento dei seguenti obiettivi:

agevolazione delle transizioni occupazionali;

sostegno ai lavoratori che perdono il posto a causa della decarbonizzazione (ciascun posto di lavoro perso dovrebbe almeno essere sostituito da un altro di pari valore);

lotta alla povertà energetica, nonché compensazione degli effetti distributivi degressivi e

sviluppo dei potenziali economici regionali derivanti da fonti energetiche rinnovabili e nuove forme di coinvolgimento e partecipazione nella produzione di energia elettrica.

2.   Osservazioni generali in merito ai documenti della Commissione

2.1.

Il 25 febbraio 2015 la Commissione ha presentato la comunicazione Una strategia quadro per un’Unione dell’energia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici (1). La strategia delineava i seguenti obiettivi:

la sicurezza energetica, anche mediante la riduzione della dipendenza dalle importazioni di energia;

una piena integrazione del mercato europeo dell’energia;

un’economia sostenibile, a basse emissioni di carbonio e rispettosa del clima;

ricerca, innovazione e competitività, affinché l’Europa possa raggiungere il primo posto nel mondo nel campo delle energie rinnovabili;

la qualificazione dei lavoratori europei per il settore energetico di domani;

il consolidamento della fiducia degli investitori mediante un andamento dei prezzi che rispecchi le esigenze a lungo termine e gli obiettivi strategici.

2.2.

Ma soprattutto, spiegava la Commissione nel documento, la sua visione è quella di «un’Unione dell’energia che mette in primo piano i cittadini che svolgono un ruolo attivo nella transizione energetica, si avvantaggiano delle nuove tecnologie per pagare di meno e partecipano attivamente al mercato, e che tutela i consumatori vulnerabili». La Commissione definiva inoltre prioritario il coinvolgimento dei portatori di interessi nella gestione dell’Unione dell’energia e indicava una transizione socialmente giusta come principio fondamentale per la gestione della transizione energetica.

2.3.

La Commissione sottolineava poi la necessità di una governance e di un monitoraggio integrati dell’Unione dell’energia. Con il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio (2) sulla governance l’UE si è dotata della corrispondente base giuridica a tal fine. A norma di detto regolamento gli Stati membri sono tenuti a presentare periodicamente piani nazionali per l’energia e il clima (PNEC), illustrando in tali piani anche i contributi prestati al conseguimento degli obiettivi dell’Unione dell’energia.

2.4.

Nella sua relazione 2020 sullo stato dell’Unione dell’energia, la Commissione si sofferma sui progressi compiuti, suddividendoli in cinque sezioni:

decarbonizzazione (compresa la diffusione delle energie rinnovabili);

efficienza energetica, con particolare considerazione per il principio «efficienza energetica al primo posto»;

sicurezza energetica (comprese la riduzione delle importazioni di energia nell’UE, una maggiore flessibilità e una maggiore resilienza dei sistemi energetici nazionali);

mercati interni dell’energia;

ricerca, innovazione e competitività.

La Commissione affronta inoltre il tema «l’Unione dell’energia nel più ampio contesto del Green Deal».

2.5.

Su tali basi, la Commissione presenta riflessioni sul tema «perseguire la ripresa verde e un’economia sostenibile», illustrando anzitutto le strategie esistenti per l’integrazione del sistema energetico e la diffusione dell’idrogeno in Europa.

2.6.

La Commissione espone inoltre i motivi che rendono necessario portare l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 ad almeno il 55 % rispetto ai livelli del 1990 e annuncia una strategia volta a ridurre le emissioni di metano, nonché una visione per l’energia offshore. A tal proposito, la Commissione critica le strategie presentate dagli Stati membri nell’ambito degli PNEC, osservando che esse risultano spesso poco chiare e non abbastanza concrete.

2.7.

In generale, la Commissione ritiene che la situazione non sia ancora soddisfacente, pur osservando che gli obiettivi stabiliti a livello dell’UE per il 2020 in relazione alla diffusione delle energie rinnovabili saranno ampiamente conseguiti. Alcuni Stati membri devono compiere «maggiori progressi».

2.8.

La Commissione chiede di intensificare gli sforzi in materia di efficienza energetica, in quanto riscontra lacune notevoli in particolare nell’ambito della ristrutturazione degli edifici.

2.9.

La relazione è accompagnata per la prima volta da un’analisi dettagliata delle sovvenzioni all’energia (3), nella quale si osserva chiaramente che a) rimane fondamentale disporre di dati migliori sulle sovvenzioni all’energia (4) e b) sussiste «la necessità di intensificare gli sforzi» per ridurre le sovvenzioni ai combustibili fossili. Gli strumenti giuridici attualmente esistenti a livello dell’UE sono definiti insufficienti.

2.10.

È giudicato inoltre «non incoraggiante» il fatto che negli ultimi anni nell’UE-27 si siano registrati investimenti sempre minori di risorse di R&I nel settore e che a tale riguardo l’Europa sia in notevole ritardo rispetto ad altre regioni economiche. La Commissione annuncia sforzi, ad esempio, nell’ambito dello stoccaggio di energia nelle batterie e dell’idrogeno, al fine di rilanciare la ricerca e l’innovazione e controbilanciare la riduzione degli investimenti rilevata a livello nazionale.

2.11.

La relazione osserva altresì che negli ultimi anni la spesa per le importazioni di energia è tornata ad aumentare (fino a oltre 330 miliardi di EUR all’anno), segnando così un’inversione di tendenza rispetto al calo registrato precedentemente.

2.12.

La Commissione conclude la sua relazione constatando che nel contesto della crisi della COVID-19 l’Europa si trova di fronte a un’occasione unica di investire a sostegno del rilancio dell’economia dell’UE, accelerando nel contempo la transizione verde e digitale.

2.13.

Nella comunicazione sulla valutazione a livello dell’Unione dei piani nazionali per l’energia e il clima, la Commissione valuta positivamente il fatto che i progressi compiuti in termini di riduzione dei gas a effetto serra e di energie rinnovabili abbiano consentito già nel 2021 di innalzare notevolmente le corrispondenti ambizioni per il 2030. Dall’altro lato, la Commissione riconosce la necessità di recuperare un notevole ritardo in materia di efficienza energetica, di investimenti nella ricerca e di innovazione, osservando che, per colmare le relative carenze, gli Stati membri dovranno tenere conto delle nuove opportunità di finanziamento nell’ambito del quadro finanziario pluriennale e dello strumento per la ripresa e la resilienza.

3.   Osservazioni generali del CESE

3.1.

La Commissione merita anzitutto un chiaro elogio: la meticolosità con cui gestisce la governance dell’Unione dell’energia e la comunica in documenti esaustivi (comprensivi di allegati) è indice di grande serietà. Ciò risulta d’altronde assolutamente opportuno, dal momento che gli obiettivi climatici fissati finora, che dovranno essere resi più ambiziosi, saranno raggiunti, nella migliore delle ipotesi, solo di misura. L’obiettivo di condurre l’Unione europea verso la neutralità climatica al più tardi entro il 2050 riveste un’importanza epocale e richiede una pianificazione e un coordinamento strategici forse unici nella storia, che riuniscano approcci politici molto differenti e che vadano ben oltre quanto già stabilito.

3.2.

In questo contesto, il CESE concorda pienamente con la Commissione quando essa sottolinea la necessità che gli Stati membri elaborino strategie più chiare e le attuino senza indugio. A tal fine, occorre tenere in debita considerazione le implicazioni per la società, l’occupazione e le competenze, nonché altri effetti distributivi della transizione energetica, ed esporre come vadano affrontate le relative sfide.

3.3.

Le conclusioni della Commissione sono comprensibili e meritano sostegno. Quanto detto vale in particolare per la constatazione che i progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni di gas serra, aumento dell’efficienza energetica e diffusione delle energie rinnovabili rappresentano un trampolino per traguardi ancora più ambiziosi.

3.4.

Il CESE concorda inoltre con la Commissione sulla necessità di nuovi impulsi. Sarebbe tuttavia stato auspicabile che la Commissione specificasse in cosa dovrebbero consistere in concreto detti impulsi.

3.5.

Sembra inoltre logico che la Commissione stabilisca un collegamento tra lo sviluppo dell’Unione dell’energia da un lato e il Green Deal europeo e la politica di ripresa connessa alla pandemia dall’altro, dato che entrambi tali approcci non potevano essere previsti al momento dell’elaborazione del quadro strategico dell’Unione dell’energia e del regolamento sulla governance. Il CESE sottolinea che l’Unione europea dell’energia costituisce una base d’azione eccellente per il Green Deal. Ancor più importante sarebbe stato indicare in maniera più precisa nell’attuale verifica le lacune evidenziatesi e sviluppare strategie per porvi rimedio. Ciò non è tuttavia accaduto in almeno tre casi, che saranno esaminati in appresso.

Attuazione insufficiente dell’obiettivo «Cittadini in primo piano nell’ambito dell’Unione dell’energia»

3.6.

Come riportato al punto 2.2, nel quadro strategico dell’Unione dell’energia la Commissione ha individuato come obiettivo principale (!) di tale Unione il ruolo di una politica guidata dai cittadini e orientata ad essi. A detto obiettivo dovrebbe pertanto essere dedicata una particolare attenzione anche nella relazione sullo stato dell’Unione dell’energia, in particolare attraverso proposte concrete su come realizzare la partecipazione e il coinvolgimento attivi e trasparenti di cittadini, parti sociali e portatori di interessi nei processi decisionali, ad esempio gli PNEC, nonché la loro partecipazione attiva al mercato. La relazione, tuttavia, non cita neppure l’aspetto della partecipazione e non si sofferma a valutare se le misure proposte per il futuro siano volte esplicitamente al raggiungimento di tale obiettivo.

3.7.

Lo stesso problema si riscontra attualmente anche, ad esempio, nella strategia per l’integrazione del sistema energetico presentata dalla Commissione, nella quale i cittadini sono citati solo in qualità di consumatori e non come protagonisti attivi del mercato. Anche fra i temi principali enunciati dalla Commissione europea (5), come la strategia per l’idrogeno, e nella visione per l’energia offshore che è stata annunciata, è difficile ipotizzare che la partecipazione dei cittadini sia possibile, o che sia presa in considerazione. Suscita quindi grande rammarico che la Commissione, nella comunicazione sulla valutazione degli PNEC, dichiari di voler impiegare i nuovi meccanismi di finanziamento dell’UE per le energie rinnovabili soprattutto al fine di promuovere le tecnologie offshore.

3.8.

Nell’affermare ciò, la Commissione non si cura del diritto europeo vigente, dal momento che la direttiva (UE) 2019/944 del Parlamento europeo e del Consiglio (6) relativa al mercato interno dell’energia elettrica recita, al considerando 43: «le comunità energetiche sono divenute un modo efficace ed economicamente efficiente di rispondere ai bisogni e alle aspettative dei cittadini […]. […] Grazie alla partecipazione diretta dei consumatori, le iniziative di comunità energetica dimostrano di possedere il potenziale di favorire la diffusione delle nuove tecnologie e di nuovi modi di consumo, tra cui le reti di distribuzione intelligenti e la gestione della domanda, in maniera integrata. Esse possono inoltre aumentare l’efficienza energetica dei consumatori civili e contribuire a combattere la povertà energetica riducendo i consumi e le tariffe di fornitura. […] Nei casi di buona gestione, queste iniziative hanno apportato alla comunità benefici economici, sociali e ambientali». Pertanto, secondo il legislatore europeo, le comunità energetiche sono in grado di eliminare varie lacune messe in luce nei documenti della Commissione. Risulta perciò ancora più incomprensibile il fatto che la Commissione non dia seguito a tale aspetto nei suoi stessi documenti. Esiste un grande divario fra ambizione e realtà e, secondo l’opinione del CESE, continua a non essere ravvisabile una vera strategia della Commissione per rendere i cittadini partner attivi.

3.9.

Tale critica va tuttavia mossa anche alla maggior parte degli Stati membri, che, a norma dell’articolo 20 del regolamento (UE) 2018/1999 sulla governance, sono tenuti a includere le comunità energetiche nei relativi PNEC. Nella sua valutazione, la Commissione sottolinea che gli Stati membri non hanno adempiuto a tale obbligo o lo hanno fatto in maniera insufficiente. Il CESE esorta la Commissione europea a proporre, nell’ambito della prossima revisione della direttiva sulle energie rinnovabili, disposizioni più specifiche per la promozione delle comunità energetiche.

Attuazione insufficiente degli obiettivi «Sicurezza dell’approvvigionamento/riduzione delle importazioni di energia»

3.10.

Uno degli obiettivi strategici dell’Unione dell’energia consiste nel conseguimento di una maggiore sicurezza dell’approvvigionamento energetico, anche attraverso una riduzione delle importazioni di energia. La Commissione osserva in maniera più o meno accidentale che in tale ambito non si riscontrano progressi, ma che, anzi, le spese per le importazioni di energia sono tornate ad aumentare. La crescente importanza dell’idrogeno potrebbe determinare in futuro persino un ulteriore aumento delle importazioni, dal momento che nella sua strategia per l’idrogeno è la stessa Commissione a puntare consapevolmente sulle importazioni. Il CESE si attende che la Commissione fornisca spiegazioni chiare in proposito.

3.11.

Il CESE chiede inoltre che nel garantire le inevitabili importazioni di energia venga applicato il principio della solidarietà europea. Azioni nazionali unilaterali come il progetto di gasdotto Nord Stream 2 possono mettere a repentaglio non solo la protezione del clima ma anche la sicurezza dell’approvvigionamento. Tali azioni, che compromettono la solidarietà europea, mettono a rischio la fiducia dei cittadini nell’UE e l’immagine dell’UE nei paesi terzi.

Attuazione insufficiente dell’obiettivo «Innovazione, leadership globale»

3.12.

Anche riguardo all’innovazione emerge un quadro di segno negativo. L’obiettivo altisonante dell’Unione dell’energia di assumere un ruolo di guida a livello globale è in contrasto con il quadro che emerge dalla relazione sullo stato dell’Unione dell’energia per quanto concerne gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione e le domande di brevetto. Alla luce di questa preoccupante constatazione serve un’analisi accurata e approfondita degli errori, che permetta di individuarne, in maniera differenziata e dettagliata, le cause. Su questa base dovrebbero poi essere sviluppate contromisure concrete.

3.13.

Nel contesto illustrato ai punti da 3.6 a 3.11 occorre affermare chiaramente che non basta ripetere sempre gli stessi slogan se a questi non seguono poi azioni concrete, altrimenti la credibilità della politica europea sarà messa in discussione. In effetti, in tutti i documenti della Commissione presi in esame, compresa la strategia per l’integrazione del sistema energetico e per l’idrogeno, si rileva l’assenza di riferimenti a misure concrete che possano contribuire al conseguimento degli obiettivi sopra citati.

Rilevanza dell’Unione dell’energia a livello di politica sociale e regionale

3.14.

Ai capitoli 2.6 e 3.3 della relazione sullo stato dell’Unione dell’energia, la Commissione presenta anche alcune riflessioni di politica sociale, con le quali il CESE concorda. Il Comitato condivide in particolare l’idea di legare gli aiuti per la ripresa dopo la pandemia di COVID-19 agli obiettivi climatici ed energetici. Anche le misure previste per una transizione giusta (just transition) risultano adeguate e costituiscono la base per ottenere efficacemente il sostegno della popolazione al conseguimento degli obiettivi climatici ed energetici. La possibilità di garantire in tal modo il successo effettivo del principio «Non lasciare indietro nessuno» dipenderà a livello concreto dall’attivazione e dal finanziamento dei singoli strumenti, nonché dalla loro attuazione concreta a livello nazionale.

3.15.

Il CESE ricorda la posizione espressa nei suoi pareri precedenti (7), vale a dire che non sono solo le risorse destinate alla coesione sociale e regionale e gli aiuti per la ripresa a dover essere impiegati a sostegno della tutela climatica e della transizione energetica, bensì anche le politiche energetica e climatica devono (e possono) essere configurate in modo da promuovere la coesione sociale e regionale. Approcci di questo tipo esistono già e alcuni di essi sono anche citati nella comunicazione della commissione sulla valutazione degli PNEC, ad esempio i progetti per la costruzione di parchi solari in ex cave di lignite in Grecia e Portogallo e il sostegno finanziario destinato in maniera molto strategica ai prosumatori in Lituania. Tali esempi non costituiscono tuttavia pratiche generalizzate e sono anzi tutt’altro che diffusi.

3.16.

Sussiste pertanto il pericolo che la transizione energetica acuisca le differenze sociali e regionali, ad esempio se la Commissione metterà in atto l’integrazione del sistema energetico, l’ampliamento dell’infrastruttura dell’idrogeno e la promozione delle energie offshore nelle modalità finora previste, poiché in tal caso favorirebbe approcci centralizzati a spese di quelli decentrati.

3.17.

In ogni caso, la realizzazione parallela di infrastrutture centralizzate e decentrate risulta problematica e rischia di dare luogo a investimenti errati. Ad esempio, una rete capillare di condotti dell’idrogeno, da un lato, e l’espansione delle reti di teleriscaldamento a bassa temperatura auspicata nella comunicazione della Commissione sulla valutazione degli PNEC, dall’altro, sono usi in concorrenza fra loro. Pertanto, nell’ottica della sicurezza degli investimenti, il CESE ha sollecitato l’adozione di decisioni di principio in proposito (8), che rivestono un’importanza strategica anche per il successo dell’Unione dell’energia e che tuttavia non trovano spazio nei documenti qui presi in esame.

3.18.

Come accade in quasi tutti i documenti in materia di politica energetica presentati dalla Commissione negli ultimi tempi, nella relazione sullo stato dell’Unione dell’energia non si fa alcun riferimento alla digitalizzazione. Nel settore in esame, tuttavia, la digitalizzazione apre la strada ad approcci interessanti, quali smart micro grids (micro-reti intelligenti) e smart markets (mercati intelligenti), micro trading (micro contrattazione), centrali elettriche virtuali ecc., che possono contribuire a una maggiore efficienza e a migliori prestazioni del mercato interno dell’energia, anche perché rafforzano il ruolo dei consumatori attivi. Nella strategia quadro per l’Unione dell’energia (9) la Commissione ha affrontato tale tema, seppure in maniera sintetica. Risulta quindi incomprensibile il fatto che tale aspetto sia trascurato nella relazione sullo stato dell’Unione dell’energia, soprattutto considerando che l’impiego delle tecnologie digitali deve essere accuratamente verificato per valutarne l’opportunità e gli eventuali problemi etici, soprattutto in relazione alla sovranità dei dati.

3.19.

Occorre in ogni caso fare in modo che la digitalizzazione sia realizzata tenendo conto dei consumatori finali. I cittadini attendono ancora di poter godere di miglioramenti nei servizi resi possibili dalla crescente digitalizzazione, come ad esempio gli ordinari cambi di fornitore, riscontri immediati in caso di malfunzionamento dei contatori o modelli di consumo sospetti e procedure semplici per la connessione dell’energia autoprodotta alla rete.

4.   Osservazioni particolari

Capitolo «Decarbonizzazione» della relazione sullo stato dell’Unione dell’energia

4.1.

La Commissione osserva, a ragione, che l’impiego delle energie rinnovabili comporta numerosi vantaggi. Ma la gestione essenzialmente decentrata o centralizzata della transizione energetica determinerà in maniera decisiva quali soggetti beneficeranno di tali vantaggi (10). Nella sua relazione, la Commissione non affronta tale aspetto.

Capitolo «Sicurezza energetica» della relazione sullo stato dell’Unione dell’energia

4.2.

La Commissione dedica legittimamente una grande attenzione al tema della «sicurezza dell’approvvigionamento» e, in tale contesto, a quello della sicurezza energetica. Detto tema riveste in effetti un ruolo di enorme rilevanza per l’economia. Oltre alla classica questione della dipendenza dalle importazioni, occorre prendere in considerazione anche il tema della resilienza agli attacchi esterni, ad esempio quelli della cibercriminalità. Alcune recenti ricerche (11) mostrano a questo proposito che la strategia migliore per conseguire un’elevata resilienza consiste nel rafforzamento di strutture decentrate dotate di capacità indipendente dalla rete. La Commissione dovrebbe tenere in maggior considerazione questa constatazione.

4.3.

È indubbio che in futuro l’idrogeno verde contribuirà al conseguimento di un sistema energetico europeo sicuro dal punto di vista dell’approvvigionamento. Il CESE rimanda ai suoi pareri sulla strategia per l’idrogeno (12) e sulla strategia di integrazione del sistema energetico (13).

4.4.

Anche in questo caso non bisogna pensare esclusivamente su larga scala (compreso lo sviluppo di infrastrutture per l’importazione di idrogeno). Esistono diverse soluzioni innovative, rispettose dell’ambiente e soprattutto su scala regionale o locale, che possono essere attuate direttamente in loco (compresa la produzione di idrogeno regionale o di elettrocarburanti sintetici). Ciò aumenterà la sicurezza dell’approvvigionamento, ridurrà la dipendenza dalle importazioni e promuoverà l’occupazione locale sotto forma di posti di lavoro verdi e la creazione di valore nelle regioni. Anche le microimprese e le piccole e medie imprese dovrebbero avere l’opportunità di partecipare al Green Deal e di beneficiarne, il che aumenterà anche l’accettazione del Green Deal e della trasformazione energetica.

Capitolo «Mercati interni dell’energia» della relazione sullo stato dell’Unione dell’energia e della relazione sullo stato di avanzamento del mercato interno dell’energia

4.5.

La Commissione spiega che con il pacchetto «Energia pulita» sono state create condizioni migliori per promuovere la partecipazione dei consumatori ai mercati dell’energia e condizioni di parità per i nuovi operatori. In tal senso risultano tuttavia pertinenti solamente le disposizioni della direttiva sul mercato interno dell’elettricità. Non è ancora possibile stabilire quanto sia stata efficace l’attuazione di tali disposizioni da parte degli Stati membri. La conclusione tratta dalla Commissione è pertanto prematura. Il CESE sollecita con urgenza una seria valutazione dell’importante obiettivo della partecipazione dei consumatori, compresi gli effetti della politica di distribuzione sulla partecipazione anche delle famiglie a basso reddito.

4.6.

La Commissione sottolinea l’importanza dei segnali derivanti dai prezzi di mercato, tra l’altro per gli investitori. Si tratta di un aspetto senza dubbio rilevante, ma occorre valutare la situazione da punti di vista differenti. La maggior parte dei mercati dell’energia elettrica all’ingrosso riflette prezzi a breve termine. La possibilità che ne derivino segnali per gli investitori costituisce una questione dibattuta nell’ambito dell’economia dell’energia. Il CESE ha già evidenziato detti aspetti in pareri precedenti (14). Alla luce di ciò, non è opportuno che a tal proposito la Commissione parli di un «mercato interno dell’energia» senza operare alcuna distinzione. Per il successo dell’Unione dell’energia occorre un nuovo assetto di mercato, perlomeno nel settore dell’energia elettrica. Una piena responsabilità del bilanciamento per le sole energie rinnovabili non è sufficiente. Il CESE esorta pertanto la Commissione a presentare quanto prima le sue riflessioni per un nuovo assetto del mercato. A tale riguardo occorre inoltre garantire che tutti i partecipanti al mercato si trovino di fronte alle stesse condizioni nei mercati di compensazione e di bilanciamento. Ciò è indispensabile anche per il successo dell’integrazione del sistema energetico (15).

4.7.

Allo stesso tempo, occorre considerare che gli obiettivi della sicurezza dell’approvvigionamento e della neutralità climatica non possono essere conseguiti solo tramite i segnali di prezzo.

4.8.

Nella relazione sullo stato di avanzamento del mercato interno dell’energia, la Commissione sottolinea molto giustamente che consentire la concorrenza a livello di generazione e di approvvigionamento deve rimanere una priorità per la politica energetica nazionale e dell’UE, senza tuttavia specificare cosa ciò significhi in concreto. Non è corretto, e per di più non è conforme al diritto europeo sancito nel pacchetto «Energia pulita», che l’accoppiamento dei mercati costituisca l’unico modo per promuovere la concorrenza. Nell’applicazione dei principi generali di allocazione della capacità e di gestione della congestione di cui all’articolo 16 del regolamento sul mercato interno dell’energia elettrica, si dovrebbe tenere conto anche della posizione geografica degli Stati membri, che potrebbe giustificare anche un prolungamento dei termini per il conseguimento della capacità. In ogni caso, ai fini di una concorrenza attiva è importante soprattutto l’accesso al mercato, in particolare per i piccoli attori; anche la digitalizzazione può offrire un notevole contributo in tal senso.

4.9.

Nella relazione sullo stato di avanzamento del mercato interno dell’energia, la Commissione osserva inoltre che, sebbene le centrali termoelettriche, ad esempio quelle alimentate a gas con cogenerazione, possano conferire un’importante flessibilità al sistema, i meccanismi di regolazione della capacità, se progettati in modo inadeguato, possono provocare gravi perturbazioni del mercato interno. A tal proposito, il CESE rimanda alla posizione espressa nel suo parere TEN/625. Il CESE invita la Commissione a svolgere una valutazione critica dei meccanismi di regolazione della capacità disponibili negli Stati membri, anche per quanto concerne il rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 22 del regolamento sul mercato interno dell’energia elettrica, che prevedono, fra le altre cose, un valore massimo di emissioni pari a 550 g di CO2 per kWh.

4.10.

Nella relazione sullo stato di avanzamento del mercato interno dell’energia, la Commissione ricorda che, in linea generale, i gestori dei sistemi di trasmissione o distribuzione sono stati esclusi dal possesso e dall’esercizio di sistemi di stoccaggio dell’energia elettrica. Il CESE ha accolto essenzialmente con favore tale decisione (16), pur specificando che ai gestori dei sistemi di distribuzione dovrebbero essere consentiti il possesso e l’esercizio dei sistemi di stoccaggio dell’energia elettrica per scopi utili alla rete. Il Comitato ritiene inoltre che ciò debba andare di pari passo con il rafforzamento degli smart market, in modo che i gestori dei sistemi di stoccaggio dell’energia elettrica siano stimolati a seguire i segnali dei gestori delle reti e a configurare i sistemi di stoccaggio in maniera utile al sistema. Gli operatori di rete hanno bisogno di incentivi adeguati per inviare i segnali.

4.11.

Le reti di distribuzione svolgono un ruolo fondamentale nella creazione di mercati intelligenti e, in generale, per il successo della transizione energetica. In futuro la politica energetica dell’Unione dovrà pertanto essere maggiormente incentrata sulla loro modernizzazione.

4.12.

Sulla scia dell’opinione della Commissione, che ritiene che l’obiettivo prioritario della direttiva 2003/96/CE del Consiglio (17) sulla tassazione dei prodotti energetici non potrà più essere raggiunto, il CESE sostiene la richiesta della Commissione e sollecita una rifusione ambiziosa di tale direttiva e degli altri meccanismi per l’eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili e l’internalizzazione dei costi esterni.

4.13.

Il CESE richiama ancora una volta l’attenzione sul problema della povertà energetica ed esorta la Commissione ad adottare misure concrete, che vadano oltre gli orientamenti astratti in materia di definizione del fenomeno e un osservatorio ad esso dedicato. Il CESE ha più volte sottolineato che un’ampia partecipazione dei cittadini al settore energetico costituisce uno dei differenti approcci che potrebbero porre rimedio a tale situazione.

4.14.

A questo proposito, il CESE ricorda la propria posizione secondo cui è essenziale evitare che si crei una società energetica divisa in due classi. Non è concepibile che solo i nuclei familiari adeguatamente attrezzati sul piano finanziario e tecnico beneficino della transizione energetica e che tutti gli altri debbano sostenerne i costi. I cittadini che si trovano in condizioni di povertà energetica non sono generalmente quelli politicamente più forti. Per questo motivo, la Commissione dovrebbe adoperarsi maggiormente affinché gli Stati membri si impegnino attivamente a contrastare in maniera efficace la povertà energetica. L’auspicata ondata di ristrutturazioni sotto il profilo energetico nel settore edile e un coinvolgimento attivo dei cittadini nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili possono contribuire ad alleviare il problema della povertà energetica. Va inoltre tenuto presente che l’eventuale estensione dello scambio di quote di emissione ai settori del riscaldamento e dei trasporti può avere un impatto sull’equità della distribuzione.

Capitolo «Ricerca, innovazione e competitività» della relazione sullo stato dell’Unione dell’energia

4.15.

Il CESE teme che uno dei motivi del ritardo dell’UE in determinati settori, quali le batterie solari e quelle agli ioni di litio, risieda in una domanda troppo bassa. Il CESE invita pertanto la Commissione a elaborare una strategia più ampia: l’UE ha bisogno di iniziative attive di politica industriale per porre fine al dominio della Cina sul mercato. La proposta di un regolamento sulle batterie formulata dalla Commissione è l’esempio di un passo nella giusta direzione. Nel sistema energetico del futuro occorrerà inoltre rafforzare le strutture decentrate, perché ciò stimola la domanda, ad esempio di batterie, crea un’economia di scala e rende le batterie interessanti dal punto di vista del prezzo.

Capitolo «L’Unione dell’energia nel più ampio contesto del Green Deal» della relazione sullo stato dell’Unione dell’energia

4.16.

Il CESE sostiene la Commissione nei suoi sforzi di promuovere accordi climatici ambiziosi su scala mondiale. A tale scopo occorre introdurre negli accordi commerciali internazionali un dazio compensativo, nell’ambito di una concezione più ambiziosa e concreta della tutela climatica (e di altri obiettivi di sostenibilità) (18).

Comunicazione sulla valutazione degli PNEC

4.17.

Il CESE non comprende perché la Commissione limiti al solo settore offshore la sua critica in merito alla insufficiente valutazione del potenziale delle energie rinnovabili ed esorta la Commissione ad abbandonare la sua preferenza unidirezionale per le tecnologie offshore a scapito del fotovoltaico e dell’energia eolica onshore, nonché a presentare una propria strategia per lo sviluppo di queste ultime tecnologie.

4.18.

Pur prendendo atto con soddisfazione del fatto che la Commissione riconosce il potenziale delle energie rinnovabili per la creazione di posti di lavoro, il CESE osserva che il pieno sfruttamento di tale potenziale non avverrà in maniera automatica, ma richiederà una politica attiva, in particolare per quanto attiene alla qualità dei posti di lavoro. A tal proposito, risulta assolutamente incomprensibile il fatto che la Commissione dedichi un’attenzione così limitata al fotovoltaico, a maggior ragione considerando che questo, come illustrato nella comunicazione, è il settore che presenta la massima intensità di occupazione.

4.19.

Il CESE invita la Commissione, in occasione della prossima revisione della direttiva sulle energie rinnovabili, a definire le norme per gli appalti in modo da semplificare la partecipazione delle comunità delle energie rinnovabili e delle PMI.

4.20.

Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che siano auspicabili urgenti investimenti nei sistemi di teleriscaldamento a bassa temperatura e ritiene che sia necessario avviare un’iniziativa di questo tipo.

4.21.

I pozzi di assorbimento di CO2 costituiscono un importante strumento per la tutela climatica. Occorre tuttavia prendere in seria considerazione la preoccupazione espressa negli PNEC degli Stati membri in relazione all’aumento delle perturbazioni naturali. Pertanto, i crediti LULUCF dovrebbero essere considerati esclusivamente come uno strumento complementare ad altre opzioni di tutela climatica.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  COM(2015) 80 final.

(2)  GU L 328 del 21.12.2018, pag. 1.

(3)  COM(2020) 950 final — Allegato 2.

(4)  Ciò che deve sorprendere è che da oltre 30 anni si parla della necessità di eliminare le sovvenzioni dannose per l’ambiente nell’UE.

(5)  E dalla presidenza tedesca del Consiglio.

(6)  GU L 158 del 14.6.2019, pag 125.

(7)  GU C 47 dell'11.2.2020, pag. 30, GU C 62 del 15.2.2019, pag. 269.

(8)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 85.

(9)  COM(2015) 80 final, pag. 13.

(10)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 85.

(11)  Cfr. Hirschl, B., Aretz, A., Bost, M., Tapia, M., & Gößling-Reisemann, S. (2018): Vulnerabilität und Resilienz des digitalen Stromsystems (Vulnerabilità e resilienza dei sistemi elettrici digitali). Relazione finale. Berlino, Brema, download: www.strom-resilienz.de.

(12)  GU C 123 del 9.4.2021, pag. 30.

(13)  GU C 123 del 9.4.2021, pag. 22.

(14)  GU C 82 del 3.3.2016, pag. 13.

(15)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 158.

(16)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 91.

(17)  GU L 283 del 31.10.2003, pag. 51

(18)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 44.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla strategia dell’UE per ridurre le emissioni di metano»

[COM(2020) 663 final]

(2021/C 220/05)

Relatore:

Udo HEMMERLING

Consultazione

Commissione europea, 27.11.2020

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

9.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

252/5/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene l’obiettivo della strategia dell’UE per ridurre le emissioni di metano e il suo orientamento di fondo volto a un’ulteriore sensibile diminuzione delle emissioni di metano, finalizzata alla protezione del clima.

1.2.

È quindi comprensibile l’attenzione dedicata ai settori responsabili della maggior parte delle emissioni di metano, ossia l’agricoltura, il settore energetico e quello dei rifiuti.

1.3.

La strategia per il metano dovrebbe essere collegata alle strategie per la bioeconomia e l’economia circolare.

1.4.

Il Comitato approva espressamente l’importanza attribuita al miglioramento del rilevamento delle emissioni di metano e alle iniziative internazionali di riduzione, perché spesso le emissioni di metano provengono da fonti decentrate e diffuse lungo catene di produzione e distribuzione internazionali.

Si propongono le seguenti integrazioni alla strategia dell’UE per ridurre le emissioni di metano.

1.5.

L’ampia diffusione delle fonti di metano e la complessità del rilevamento delle emissioni di tale gas rendono spesso difficile, se non impossibile, il loro monitoraggio. Il miglioramento del monitoraggio dovrebbe essere realizzato in modo uniforme e comparabile per i settori pertinenti quali l’agricoltura, l’energia, i rifiuti e l’industria chimica.

L’inclusione diretta delle emissioni diffuse di metano in un sistema di scambio di quote di emissione e/o la fissazione diretta del loro prezzo è molto difficile e spesso impossibile. Nella misura del possibile, tuttavia, bisognerebbe cercare di effettuare un rilevamento delle emissioni puntuali, adottando lo stesso approccio per tutte le fonti di emissioni.

1.6.

Nei loro piani di azione per il clima gli Stati membri dovrebbero descrivere lo stato attuale e il potenziale dell’utilizzo di biogas proveniente da letame e liquame, rifiuti organici, acque reflue, discariche e gas da estrazione, e predisporre misure volte a incrementarne l’utilizzo.

1.7.

Nel settore agricolo vi è ancora un notevole potenziale in termini di riduzione delle emissioni di metano, soprattutto mediante la fermentazione di letame e liquame negli impianti di produzione di biogas e grazie ai progressi nell’alimentazione e nell’allevamento degli animali, come pure nello spandimento di fertilizzanti a basse emissioni. Tali potenzialità andrebbero ulteriormente concretizzate nel corso dell’attuazione della strategia dell’UE sul metano.

1.8.

Nel settore della gestione dei rifiuti, la raccolta differenziata e il recupero dei rifiuti organici dovrebbero diventare gradualmente la norma in tutta l’UE. Ciò rappresenta il presupposto per un’ulteriore riduzione delle emissioni di metano in tale settore.

2.   Panoramica sulla strategia della Commissione europea per ridurre le emissioni di metano

2.1.

Il metano rappresenta il 10,5 % delle emissioni complessive di gas a effetto serra dell’UE, pari a 3,76 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (2018). Dal 1990 si è riusciti a ridurre le emissioni di metano quasi del 34 %.

2.2.

La strategia per il metano è rivolta ai settori maggiormente responsabili delle emissioni antropiche, ovvero l’agricoltura (53 % delle emissioni di metano dell’UE), i rifiuti (26 % delle emissioni) e l’energia (19 % delle emissioni), e propone misure di riduzione per ciascuno di essi. Di conseguenza non rientrano nella strategia le emissioni naturali di metano, ad esempio quelle prodotte dai ruminanti selvatici o dalle paludi.

2.3.

A livello mondiale, la riduzione delle emissioni di metano può dare un contributo importante alla protezione del clima. Il dimezzamento delle attuali emissioni globali di metano, infatti, potrebbe far diminuire l’aumento della temperatura del pianeta di 0,18 oC entro il 2050.

2.4.

L’UE è responsabile del 5 % delle emissioni di metano a livello mondiale e, attraverso le importazioni di gas fossile, petrolio e carbone, genera livelli elevati di emissioni di metano anche in paesi terzi. La Commissione europea propone quindi di intraprendere delle attività di riduzione di tali emissioni lungo le catene di approvvigionamento internazionali.

2.5.

La Commissione europea propone inoltre un netto miglioramento del rilevamento e della rendicontazione delle emissioni di metano.

2.6.

Nella strategia non viene trattato in modo specifico l’attuale stato delle conoscenze scientifiche sull’impatto particolare del metano come gas a effetto serra di breve durata (cfr. punto 3).

3.   Stato delle conoscenze sull’impatto climatico del metano e conseguenze per una politica di neutralità climatica

3.1.

Fra le caratteristiche fondamentali del metano (CH4) quale gas a effetto serra rientrano la durata di vita relativamente breve e il fatto che si degrada in acqua (H2O) e CO2 nell’atmosfera nell’arco di circa 12 anni. Ciò ha conseguenze determinanti per il suo impatto climatico e per il raffronto con la CO2, che nei bilanci climatici viene presa come riferimento.

3.2.

La CO2 nell’atmosfera è stabile e, contrariamente al metano, non si degrada, ragion per cui viene definita anche «gas a effetto serra di lunga durata» («stock gas»). Ciò fa sì che le emissioni di CO2, dovute ad esempio alla combustione di fonti energetiche fossili, a parità di altre condizioni continuino ad accumularsi nell’atmosfera, aumentando così costantemente la concentrazione di CO2.

3.3.

Al contrario, le emissioni di gas a effetto serra di breve durata («flow gases») come il metano vengono compensate attraverso processi di decomposizione naturali. Inoltre, la durata di vita breve fa sì che le emissioni si compensino automaticamente con l’assorbimento, il che nel caso di emissioni stabili porta a una concentrazione stabile nell’atmosfera.

3.4.

Oltre alla brevità della durata di vita, anche l’origine del metano è determinante per il suo impatto climatico, dal momento che con la sua decomposizione viene prodotta anidride carbonica, un gas ad effetto serra. La CO2 che deriva dalla decomposizione del metano biogenico (prodotto ad esempio dalla digestione dei ruminanti o dalla risicoltura sommersa) era stata precedentemente prelevata dall’atmosfera per fotosintesi attraverso la crescita delle piante e quindi essenzialmente fa parte di un ciclo che non modifica la concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

3.5.

Al contrario, la decomposizione del metano fossile (prodotto ad esempio dall’estrazione di gas naturale, petrolio o carbone) in anidride carbonica e acqua rappresenta un’ulteriore fonte di CO2 per l’atmosfera, aumentandone così la concentrazione.

3.6.

Tali caratteristiche del metano hanno una serie di conseguenze per l’impatto climatico e la definizione della politica climatica, in particolare per quanto riguarda l’obiettivo della neutralità climatica. Dal momento che è un gas a effetto serra di breve durata, nel medio termine un’emissione di metano (biogenico) che resta costante porta a una concentrazione costante di metano nell’atmosfera, che esercita un forzante radiativo costante sul sistema climatico e di conseguenza determina un impatto costante sulla temperatura. Se l’emissione di metano diminuisce, si riduce la concentrazione nell’atmosfera, il che produce un calo del forzante radiativo e dunque una riduzione della temperatura (effetto di raffreddamento).

3.7.

Al contrario, un’emissione di CO2 che resta costante porta a un aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera finché la fonte emette CO2. Anche al termine dell’emissione di anidride carbonica la concentrazione di CO2 così prodotta si mantiene nell’atmosfera e determina quindi un forzante radiativo prolungato ed effetti di riscaldamento duraturi.

3.8.

Per ottenere un impatto climaticamente neutro sono quindi necessari approcci diversi per i gas a effetto serra di lunga e breve durata. Per invertire il duraturo aumento della temperatura dovuto al prolungato forzante radiativo di CO2 ritornando al livello di temperatura precedente l’emissione di tale gas, è necessario ridurre attivamente la concentrazione di CO2 nell’atmosfera mediante pozzi di assorbimento del carbonio; come pure, per mantenere stabile il livello della temperatura nel caso di emissioni di CO2 costanti (che non possono essere evitate), deve essere costantemente sottratta dall’atmosfera la stessa quantità di CO2 che viene immessa (azzeramento delle emissioni nette). Ciò si traduce nell’obiettivo della neutralità in termini di gas a effetto serra. Nel caso delle fonti (biogeniche) di metano, invece, un impatto neutro dal punto di vista climatico si ottiene già con emissioni stabili, mentre una compensazione delle emissioni di metano convertite in CO2 equivalente, grazie alla sottrazione di gas a effetto serra dall’atmosfera, produce un effetto di raffreddamento.

3.9.

L’azzeramento delle emissioni («zero netto») espresso in CO2 equivalente non è quindi un approccio strategico adeguato per un gas a effetto serra di breve durata come il metano. Ad esempio, in Nuova Zelanda la legge «Zero Carbon Act» prevede un approccio specifico per le emissioni di metano. L’impatto climatico dei gas a effetto serra di breve durata dovrebbe essere rappresentato con una metrica più adeguata nei bilanci dei gas a effetto serra (cfr. in proposito il lavoro dell’Università di Oxford: https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/ab6d7e).

4.   Riduzione delle emissioni di metano — Altre osservazioni integrative

4.1.

Un cambiamento nelle abitudini dei consumatori ha indubbiamente il potenziale di ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Ciò vale anche per l’alimentazione: nello specifico, si fa riferimento alla raccomandazione di limitare il consumo di prodotti di origine animale. Nella politica climatica occorre però tenere conto del fatto che in una società aperta i cambiamenti dei comportamenti nella vita delle persone sono di carattere volontario.

4.2.

Nell’agricoltura, oltre alle possibilità di riduzione delle emissioni di metano nell’allevamento, occorre prendere in considerazione anche i collegamenti con l’utilizzo del terreno. In concreto, la presenza di ruminanti rappresenta la ragione fondamentale per l’utilizzo e il mantenimento dei terreni erbosi, la cui preservazione, a sua volta, è molto importante per la politica climatica, a causa dell’anidride carbonica sequestrata dall’humus del terreno.

4.3.

Per quanto riguarda i gas di metano provenienti dalle discariche, dagli impianti di trattamento delle acque reflue o dalle miniere di carbone dismesse, in alcuni Stati membri dell’UE non vengono ancora applicate misure capillari per la loro cattura e il loro utilizzo a fini energetici.

4.4.

Anche nel caso della raccolta dei rifiuti, in molti Stati membri non esistono ancora sistemi per la raccolta differenziata e il recupero dei rifiuti organici che siano diffusi su tutto il territorio. Ciò impedisce di sfruttare la possibilità di evitare al massimo le emissioni di metano nel trattamento dei rifiuti organici mediante il compostaggio o la fermentazione (biogas).

4.5.

Nel caso delle importazioni di fonti energetiche fossili come il gas naturale, il petrolio e il carbone, l’UE finora non ha imposto alcun requisito particolare in relazione alla tutela del clima, della natura e dell’ambiente. L’annunciata messa a punto di requisiti per la riduzione delle emissioni di metano dovrebbe far parte di una più ampia iniziativa volta a ridurre l’impronta ecologica di tali importazioni energetiche nel quadro del Green Deal.

4.6.

Nell’ambito del monitoraggio delle emissioni di metano antropiche, che dovrebbe essere sviluppato, andrebbero documentate a titolo indicativo anche le emissioni di metano naturali, così da ottenere un quadro generale completo.

4.7.

La ricerca, lo sviluppo e l’ulteriore penetrazione sul mercato delle tecnologie di riduzione delle emissioni di metano dovrebbero essere portati avanti nelle reti europee coinvolgendo le parti economiche e sociali.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti per le infrastrutture energetiche transeuropee e che abroga il regolamento (UE) n. 347/2013»

[COM(2020) 824 final — 2020/0360 (COD)]

(2021/C 220/06)

Relatore:

Philippe CHARRY

Consultazione

Parlamento europeo, 18.1.2021

Consiglio dell’Unione europea, 19.1.2021

Base giuridica

Articoli 172 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

9.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

252/3/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è favorevole ad adeguare le norme europee relative alle reti transeuropee nel settore dell’energia (RTE-E) agli obiettivi del Green Deal, per «garantire l’approvvigionamento di energia pulita, economica e sicura», combinando in particolare la decarbonizzazione del sistema energetico, la transizione verso la neutralità climatica, lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, l’efficienza energetica e la prevenzione del rischio di povertà energetica. A tal fine, tiene conto del fatto che l’Europa ha bisogno di un sistema energetico che garantisca a tutti gli Stati membri la sicurezza dell’approvvigionamento di energia e a tutti gli utenti l’accesso a un’energia a prezzi abbordabili, sulla base di un’elettrificazione rapida che si accompagni al raddoppio della quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Il CESE chiede che le basi giuridiche proposte per il regolamento siano integrate da un riferimento esplicito all’articolo 194 del TFUE.

1.2.

Il CESE ribadisce la necessità di conseguire l’insieme degli obiettivi della politica energetica messa in atto tramite il regolamento RTE-E. Dal momento che le reti energetiche assolvono una funzione essenziale di equilibrio, resilienza e sviluppo del sistema energetico, il CESE chiede che il regolamento proposto si collochi più chiaramente in una dinamica di integrazione del sistema energetico, in modo da promuovere tutte le forme di energia decarbonizzata, e che si renda impossibile qualsiasi forma di «dis-integrazione».

1.3.

Il CESE invita la Commissione, il Consiglio e il Parlamento a promuovere le fonti di energia ad emissioni zero di carbonio, nel rispetto della neutralità tecnologica. Esorta altresì a sostenere gli sforzi profusi nel quadro del progetto del reattore sperimentale termonucleare internazionale (ITER) per ottenere, dopo il 2050, un’energia pulita e a prezzi accessibili per tutti. Il CESE auspica che una serie di progetti sia dedicata a creare le condizioni preliminari per un’era dell’idrogeno e della fusione.

1.4.

Il CESE chiede di accordare la priorità all’innovazione e alla progettazione di reti energetiche intese a ridurre le perdite di energia connesse alla sua trasmissione.

1.5.

Per quanto concerne l’energia eolica offshore, il CESE chiede di dare priorità ai progetti di collegamento radiale e di effettuare una valutazione ambientale globale di questa tecnologia.

1.6.

Il CESE chiede di non escludere i progetti riguardanti le infrastrutture di trasmissione di gas naturale dai criteri di selezione stabiliti dal regolamento per i progetti di interesse comune (PIC) o i progetti di interesse reciproco.

1.7.

Il CESE auspica che il regolamento proposto utilizzi la formulazione «rinnovabile e/o decarbonizzata» anziché «rinnovabile» nei criteri di selezione per i PIC e i progetti di interesse reciproco.

1.8.

Il CESE chiede inoltre che il regolamento faccia riferimento esplicito agli obiettivi unionali di assicurare ad ogni comunità l’approvvigionamento energetico a un prezzo accessibile e di garantire un alto livello di qualità e sicurezza, nonché alla parità di trattamento e alla promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente.

1.9.

Per quanto riguarda la governance, il CESE chiede che il ricorso agli atti delegati da parte della Commissione sia ridotto al minimo strettamente necessario e che sia attuata una governance che coinvolga le varie parti interessate («governance multiattoriale») appoggiandosi ai rappresentanti della società civile: associazioni di categoria, organizzazioni sindacali di lavoratori dipendenti, associazioni di utenti ecc.

1.10.

A parere del CESE, il regolamento dovrebbe introdurre una responsabilità dell’Unione per il finanziamento dei PIC, combinando le diverse modalità di finanziamento senza stabilire una gerarchia tra di esse.

1.11.

Per mantenere l’equilibrio generale del sistema e la continuità di fornitura delle reti di trasmissione ad altissima tensione su scala europea, il CESE chiede alla Commissione di valutare l’ipotesi di un operatore transeuropeo delle reti di trasmissione di energia elettrica ad altissima tensione che sia al tempo stesso integrato e decentrato.

2.   Osservazioni generali

2.1.

La Commissione propone la revisione del regolamento sulle RTE-E.

2.2.

Il regolamento (UE) n. 347/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (1), adottato dunque otto anni orsono, dettava delle regole per lo sviluppo e l’interoperabilità delle reti transeuropee nel settore dell’energia. Nella proposta ora in esame, la Commissione sottolinea che tale regolamento ha contribuito alla realizzazione degli obiettivi della politica energetica unionale, volti ad ampliare le interconnessioni energetiche in tutta l’UE.

2.3.

Malgrado ciò, la valutazione condotta dalla Commissione conclude che «il quadro attuale non è stato in grado di dimostrare una flessibilità sufficiente per adattarsi all’evoluzione nel tempo degli obiettivi politici dell’Unione»; e tale constatazione induce la Commissione a proporre la revisione del regolamento.

2.4.

L’aggiornamento proposto modifica in particolare le condizioni di selezione dei PIC ai fini del loro finanziamento da parte dell’UE, introducendo specialmente l’obbligo di conformarsi al criterio della sostenibilità e di rispettare il principio del «non nuocere» sancito dal «Green Deal».

2.5.

Il regolamento proposto modifica le categorie di infrastrutture ammissibili al sostegno finanziario nel quadro della politica delle RTE-E, con l’eliminazione del sostegno alle infrastrutture per il petrolio e il gas.

2.6.

Dedica particolare attenzione alle reti elettriche offshore e alla loro integrazione con le infrastrutture onshore grazie all’introduzione di uno sportello unico.

2.7.

Mira a prendere meglio in considerazione le infrastrutture che utilizzano l’idrogeno, comprese quelle di trasmissione e alcuni tipi di elettrolizzatori.

2.8.

Oltre a ciò, promuove lo sviluppo delle reti elettriche intelligenti al fine di agevolare l’elettrificazione rapida e incrementare la produzione di elettricità a partire da fonti rinnovabili.

2.9.

Nuove disposizioni sono tese a stimolare gli investimenti in reti intelligenti allo scopo di integrare i gas «puliti» (come il biogas e l’idrogeno rinnovabile) nelle reti esistenti. Nel testo proposto, inoltre, si presta attenzione all’ammodernamento delle reti elettriche nonché delle reti di stoccaggio e di trasmissione del carbonio.

2.10.

Si propongono nuove disposizioni volte a promuovere con maggiore efficacia i progetti di interconnessione con paesi terzi — ad esempio con quelli dei Balcani occidentali — e i PIC che dimostrino di recare un contributo agli obiettivi energetici e climatici generali dell’UE in materia di sicurezza dell’approvvigionamento e di decarbonizzazione.

2.11.

La proposta riesamina il quadro di governance allo scopo dichiarato di migliorare la pianificazione delle infrastrutture e di garantirne l’allineamento agli obiettivi climatici e ai principi di integrazione del sistema energetico dell’UE. Essa prevede di intensificare la partecipazione dei portatori di interesse lungo tutto l’arco del processo, di rafforzare il ruolo dell’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER) e di potenziare la vigilanza da parte della Commissione.

2.12.

Si propongono altresì varie misure volte a semplificare le procedure amministrative, in modo da accelerare la realizzazione dei progetti.

3.   Osservazioni particolari

3.1.

La proposta in esame si inserisce nel quadro della politica europea dell’energia come definita dai Trattati (2), dal regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia (3) e dallo sviluppo delle reti transeuropee (4), nonché nel quadro di un ampio «pacchetto» che delinea la nuova strategia dell’Unione europea: «trasformare l’UE in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva» (5). L’UE si propone di combinare tra loro i propri obiettivi in questo campo, ovvero il buon funzionamento del mercato dell’energia, la sicurezza dell’approvvigionamento, l’efficienza energetica, il risparmio energetico, lo sviluppo delle energie rinnovabili, la lotta contro i cambiamenti climatici e l’interconnessione delle reti, senza però incidere «sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico». Il CESE chiede pertanto che le basi giuridiche proposte per il regolamento siano integrate da un riferimento esplicito all’articolo 194 del TFUE.

3.2.

Il CESE è favorevole ad adeguare le norme europee agli obiettivi del Green Deal per «garantire l’approvvigionamento di energia pulita, economica e sicura», combinando in particolare la decarbonizzazione del sistema energetico, la transizione verso la neutralità climatica, lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, l’efficienza energetica e la prevenzione del rischio di povertà energetica.

3.3.

Il CESE sostiene l’obiettivo di realizzare la neutralità climatica entro il 2050 e di conseguire livelli più elevati di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030. A tal fine, tiene conto del fatto che l’Europa ha bisogno di un sistema energetico che garantisca a tutti gli Stati membri la sicurezza dell’approvvigionamento di energia e a tutti gli utenti l’accesso a un’energia a prezzi abbordabili, sulla base di un’elettrificazione rapida che si accompagni al raddoppio della quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, e, nel contempo, garantisca la decarbonizzazione del settore del gas e ricorra in maggiore misura a soluzioni innovative.

3.4.

Nella comunicazione «Energia per un’economia climaticamente neutra: strategia dell’UE per l’integrazione del sistema energetico» (6), la Commissione sottolinea che «la pianificazione e il funzionamento coordinati del sistema energetico nel suo complesso, che comprende molteplici vettori energetici, infrastrutture e settori di consumo — è la via che conduce a una decarbonizzazione dell’economia europea profonda, efficace e a costo accessibile». La Commissione, inoltre, ricorda che «l’attuale sistema energetico è ancora fondato su diverse catene del valore energetico parallele e verticali che collegano rigidamente determinate risorse energetiche a determinati settori d’uso finale» e che «si tratta di un modello a compartimenti stagni che non è funzionale alla realizzazione di un’economia climaticamente neutra».

3.5.

Tra gli anni cinquanta e gli anni settanta, in tutti i paesi europei esistevano sistemi energetici integrati (produzione-trasmissione-distribuzione) a livello nazionale o regionale, di carattere settoriale o più generale. A partire dagli anni ottanta, la formazione dei mercati interni europei, fondati sulle quattro libertà fondamentali di circolazione, ha prodotto una serie di «dis-integrazioni» e di aperture alla concorrenza, giustificate con l’obiettivo di promuovere la qualità e l’efficienza a beneficio dei consumatori.

3.6.

Il CESE approva la strategia di integrazione, che deve ispirare tutte le dimensioni della politica europea dell’energia. Ciò comporta la ricostruzione progressiva delle integrazioni e la sospensione di ogni nuova iniziativa di dis-integrazione, che accentuerebbe la tendenza a creare compartimenti stagni, mentre l’obiettivo è quello di assicurare la pianificazione e il funzionamento coordinati del sistema energetico. Il CESE chiede di inserire il regolamento proposto in una dinamica di integrazione del sistema energetico e di porre fine a qualsiasi forma di dis-integrazione.

3.7.

Il CESE sottolinea la necessità di conseguire l’insieme degli obiettivi della politica energetica messa in atto tramite il regolamento RTE-E. Le reti energetiche assicurano i collegamenti tra produttori e utenti. Costituiscono, in un certo senso, il «cuore del reattore» del sistema energetico. La proposta di regolamento in esame risulterebbe più incisiva se rispecchiasse più fedelmente l’impostazione suindicata, basata sull’integrazione, che implica altresì lo sviluppo dei «prosumatori» e delle cooperative, e non restasse invece ancorata a un timido riferimento nel considerando 13. Pur menzionando in quella sede l’«integrazione dei sistemi energetici», il regolamento proposto non riesce a collocare le infrastrutture energetiche transeuropee in questa dinamica strategica di pianificazione e di funzionamento coordinati. Si tratta infatti di conseguire l’obiettivo essenziale di tali infrastrutture di rete, che è quello di garantire l’equilibrio, la resilienza e lo sviluppo del sistema energetico. Ed è in vista di tale obiettivo che occorre precisare la portata dello sviluppo delle capacità di interconnessione tra i singoli Stati membri, capacità che dovrebbero concentrarsi maggiormente sull’eliminazione delle strozzature piuttosto che sulle medie generali (10 % nel 2020, 15 % nel 2030). A giudizio del CESE, la proposta presentata è assai povera di ambizioni e di risorse.

3.8.

Il CESE invita la Commissione, il Consiglio e il Parlamento a promuovere le fonti di energia ad emissioni zero di carbonio, nel rispetto della neutralità tecnologica. Sostiene altresì gli sforzi profusi nel quadro del progetto ITER nella prospettiva di ottenere, dopo il 2050, un’energia pulita e accessibile per tutti. La progettazione delle reti energetiche deve privilegiare l’innovazione e l’efficienza delle infrastrutture, nonché la riduzione degli alti costi dovuti alle perdite di energia connesse alla trasmissione di quest’ultima.

3.9.

Il CESE comprende l’importanza attribuita all’energia eolica offshore nel progetto di regolamento, e auspica che sia data priorità ai progetti di collegamento radiale. Il CESE invoca inoltre l’elaborazione di una valutazione ambientale globale per tutti gli impianti eolici offshore, che tenga conto dello smantellamento e del riciclaggio delle turbine eoliche. D’altro canto, l’introduzione di uno sportello unico per l’energia eolica offshore rischia di comportare gravosi oneri amministrativi senza benefici sicuri, dal momento che il numero dei progetti che necessitano di domande di autorizzazione da presentare a diversi Stati membri è molto limitato. Inoltre, l’encomiabile volontà di pianificare l’energia eolica offshore si traduce in un regime inutilmente rigido di definizione degli obiettivi di capacità, che entrano in conflitto con quelli indicati nei piani nazionali per l’energia e il clima, oltre che con la libertà di scelta del mix energetico sancita dal trattato.

3.10.

Il CESE si interroga sulla volontà della Commissione di escludere del tutto il sostegno alle infrastrutture per il gas, che oggi sono indispensabili per la sicurezza dell’approvvigionamento di alcuni territori dell’UE, tanto più che il gas naturale si configura come una fonte energica di transizione (7), meno nociva del carbone o del petrolio. Il CESE ha già affermato, in precedenti pareri, che le infrastrutture dedicate al gas naturale saranno potenzialmente riutilizzabili per i gas rinnovabili, e che è dunque opportuno continuare a investire in esse (8). Per questi motivi, il CESE auspica che il gas naturale non venga escluso finché non sarà effettivamente sostituito da altre fonti di energia a prezzi comparabili, e chiede che i progetti riguardanti le infrastrutture di trasmissione di gas naturale siano ammissibili, in base ai criteri del regolamento, per essere selezionati come PIC o progetti di interesse reciproco.

3.11.

Il CESE constata che il riferimento ricorrente al carattere «rinnovabile» nei criteri di selezione dei progetti (9) induce a dubitare che siano presi in considerazione anche i progetti di trasmissione di energia decarbonizzata, dei quali tuttavia l’UE ha assoluto bisogno per realizzare la dimensione climatica dei propri obiettivi. Per tale motivo il CESE auspica che il regolamento proposto preferisca impiegare la formula «rinnovabile e/o decarbonizzata».

3.12.

Il CESE non condivide la «logica in tre fasi», menzionata al considerando 46, che presiede al finanziamento degli investimenti dei PIC e secondo la quale tali investimenti «dovrebbero essere realizzati in via prioritaria dal mercato» anche si tratta di infrastrutture essenziali per conseguire gli obiettivi dell’UE, che dovrebbero fondarsi sugli approcci di solidarietà o perequazione, tipici dell’Unione, combinando varie modalità di finanziamento senza prevedere una gerarchia. A parere del CESE, il regolamento dovrebbe introdurre una responsabilità dell’Unione per il finanziamento dei PIC, combinando le diverse modalità di finanziamento senza stabilire una gerarchia tra di esse.

3.13.

In quanto rappresentante della società civile organizzata, il CESE tiene particolarmente ai diritti degli utenti, e in particolare delle comunità, come pure a una governance democratica.

3.14.

Attento a evitare che si sviluppi un’Unione dell’energia non egualitaria e a migliorare la condizione dei cittadini in situazioni di povertà energetica e a basso reddito, il CESE conferma il punto di vista espresso in numerosi pareri precedenti (10) quanto alla necessità di garantire ad ogni comunità l’approvvigionamento energetico a un prezzo accessibile, conformemente agli obiettivi unionali di «un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente» (11), in quanto criterio prioritario per la selezione dei PIC. Il Comitato chiede dunque che il regolamento faccia riferimento esplicito agli obiettivi unionali di assicurare ad ogni comunità l’approvvigionamento energetico a un prezzo abbordabile e di garantire «un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente».

3.15.

Per quanto riguarda la governance, il regolamento proposto attribuisce un peso eccessivo al ruolo della Commissione — il cui ricorso agli atti delegati, previsto all’articolo 3, andrebbe ridotto al minimo strettamente necessario — e a quello dell’ACER, senza invece esplorare i modi di ridurre le asimmetrie esistenti in materia di informazione e competenze per fondare una governance multiattoriale, che si appoggi maggiormente ai rappresentanti della società civile — associazioni di categoria, organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti, associazioni di utenti ecc. –, anche all’interno dei gruppi regionali. Il CESE chiede che il ricorso agli atti delegati da parte della Commissione sia ridotto allo stretto necessario e che sia attuata un’effettiva governance multiattoriale.

3.16.

Tenuto conto delle specificità delle reti elettriche, il CESE suggerisce alla Commissione di studiare insieme con tutti i portatori di interesse, e di aprire a una vasta consultazione, un progetto teso a creare un operatore transeuropeo che sia al tempo stesso integrato e decentrato, basato su una governance multilivello:

integrato, per garantire l’equilibrio generale del sistema e la continuità della fornitura da parte delle reti di trasmissione ad altissima tensione su scala europea, e responsabile di missioni e obblighi di servizio pubblico/servizi di interesse generale europeo, fermo restando che tale operatore pubblico dovrà appoggiarsi agli operatori nazionali e subnazionali, e dunque essere

decentrato, al livello dell’anello territoriale più pertinente, tenendo conto delle caratteristiche di ciascuno Stato membro.

Il CESE chiede dunque alla Commissione di valutare l’ipotesi di un operatore transeuropeo delle reti di trasmissione di energia elettrica ad altissima tensione.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU L 115 del 25.4.2013, pag. 39.

(2)  GU C 326 del 26.10.2012, pag. 134.

(3)  GU L 328 del 21.12.2018, pag. 1.

(4)  GU C 115 del 09.5.2008, pag. 124, GU C 202 del 7.6.2016, pag. 125 e GU C 202 del 7.6.2016, pag. 125.

(5)  COM(2019) 640 final.

(6)  COM(2020) 299 final.

(7)  Conclusioni del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2020.

(8)  Cfr. COM(2020) 301 final (GU C 123 del 9.4.2021, pag. 30).

(9)  Ad esempio, all’articolo 4, paragrafo 3, o all’allegato IV del regolamento proposto in esame [COM(2020) 824 final].

(10)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 77, GU C 47 dell'11.2.2020, pag. 98, GU C 14 del 15.1.2020, pag. 105, GU C 353 del 18.10.2019, pag. 96, GU C 353 del 18.10.2019, pag. 79, GU C 282 del 20.8.2019, pag. 51, GU C 262 del 25.7.2018, pag. 86 e la relazione informativa del CESE sul tema «Valutazione dell'Unione dell'energia — La dimensione sociale e socioculturale della transizione energetica».

(11)  GU C 115 del 9.5.2008, pag. 308.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Fare avanzare l’unione doganale al livello successivo: un piano d’azione»

[COM(2020) 581 final]

(2021/C 220/07)

Relatore:

Anastasis YIAPANIS

Consultazione

Commissione europea, 11.11.2020

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

2.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

259/0/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore il piano d’azione molto concreto proposto per il prossimo quinquennio allo scopo di sostenere le autorità doganali nazionali. Una volta entrato nella fase di attuazione, che prevede valutazioni d’impatto periodiche, il piano porterà a una vera modernizzazione delle dogane in tutta l’UE.

1.2.

Sebbene questo processo di ammodernamento sia iniziato nel 2016 con l’introduzione del codice doganale dell’Unione (1), recenti sviluppi come, ad esempio, l’aumento dei flussi commerciali, la forte espansione del settore del commercio elettronico, l’elusione dei dazi doganali e dell’IVA, il traffico illecito di merci e la sottostima del loro valore, richiedono una risposta immediata e coordinata. Il recesso del Regno Unito dall’unione doganale sta inoltre provocando già adesso un carico di lavoro maggiore e sfide particolari per le autorità doganali.

1.3.

Un piano così ambizioso richiede un congruo finanziamento i cui costi vanno condivisi. Il CESE non è sicuro che tutti gli Stati membri siano pronti ad accettare il calendario proposto e a mettere sul tavolo la quota di finanziamento a loro carico.

1.4.

Bisogna celermente rafforzare la cooperazione e l’interoperabilità tra le autorità doganali e le altre autorità e amministrazioni incaricate dell’applicazione della legge. La condivisione delle buone pratiche potrebbe altresì accrescere la produttività dei servizi doganali, mentre una gestione adeguata dell’ampia quantità di dati disponibili potrebbe assicurare una vigilanza intelligente delle catene di approvvigionamento, oltre a rafforzare le capacità di previsione.

1.5.

Alle autorità doganali dovrebbero essere fornite risorse adeguate per tutte le responsabilità non finanziarie, e andrebbero anche introdotte norme minime in materia di controlli e di dotazione di organico. Il CESE ritiene estremamente importante adottare quanto prima atti di esecuzione per il regolamento sulla vigilanza del mercato (2).

1.6.

L’estremo protrarsi del processo di approvazione del prossimo QFP e le difficoltà incontrate dai leader dell’UE a 27 nel trovare un accordo su azioni molto importanti stanno compromettendo sia un’adeguata ripresa dell’economia dell’UE che il sostegno immediato di cui hanno bisogno tanto i cittadini quanto le imprese.

1.7.

Il CESE raccomanda di prendere prontamente in considerazione l’introduzione della tecnologia blockchain («a catena di blocchi») nel piano d’azione proposto. Sarebbe inoltre possibile avvalersi agevolmente — e con risultati immediati e rilevanti — dei progressi tecnologici e delle soluzioni innovative esistenti che la robotica e l’intelligenza artificiale offrono.

1.8.

Il CESE suggerisce di prestare particolare attenzione ai punti di ingresso e di uscita più vulnerabili, e apprezza il fatto che la forza dell’unione doganale sia valutata in funzione del suo anello più debole. Un sistema di gestione dei rischi che sia conforme, più coordinato e integrato ridurrebbe i divari tra le autorità e rafforzerebbe gli anelli più deboli della catena. È quindi da accogliere favorevolmente l’annuncio di una nuova strategia per la gestione dei rischi, prevista per il secondo trimestre del 2021.

1.9.

Occorre prevedere risorse finanziarie specifiche per l’interconnessione del sistema doganale di controllo delle importazioni (ICS2) con altri sistemi elettronici. Il CESE sottolinea l’importanza di una gestione adeguata di una rete così complessa.

1.10.

Il CESE richiama l’attenzione sulla necessità di assicurare risorse umane sufficienti, nonché una formazione adeguata per il personale incaricato dell’analisi dei dati prima del carico e dell’arrivo dei vettori. Il Comitato ha già chiesto lo sviluppo di «quadri formativi comuni basandosi sul “Quadro delle competenze per il settore delle dogane dell’UE”, che mira ad armonizzare e ad innalzare gli standard di prestazioni doganali in tutta l’UE» (3).

1.11.

L’istituzione di un centro dell’UE per le informazioni fiscali nell’ambito della rete antifrode Eurofisc rappresenta un miglioramento significativo, e il CESE attende con interesse la valutazione della Commissione al riguardo.

1.12.

Il commercio elettronico è un settore molto importante per le PMI. Il CESE si dichiara preoccupato perché la comunicazione non menziona la creazione di un quadro favorevole per le PMI attraverso l’ambizioso piano d’azione in esame.

1.13.

Il CESE ritiene che le piattaforme dispongano di dati importanti che le autorità doganali potrebbero utilizzare, ma sarebbero necessari investimenti specifici in programmi informatici come i sistemi robotici automatizzati. Le piattaforme dovrebbero quindi ricevere finanziamenti per la raccolta di dati di cui non avrebbero altrimenti bisogno. Il CESE accoglie comunque con favore il riesame che la Commissione sta conducendo sul ruolo e gli obblighi dei mercati online.

1.14.

Bisogna celermente realizzare un’analisi completa dei sistemi internazionali dell’Unione in materia di cooperazione e assistenza amministrativa reciproca nel settore doganale, perché ne potrebbe derivare una migliore applicazione delle norme.

1.15.

Il CESE accoglie con favore la proposta di introdurre lo sportello unico dell’UE per le dogane ed esprime il proprio pieno sostegno alla proposta.

1.16.

Il CESE teme che la gestione di un sistema così complesso e interconnesso possa costituire un onere ulteriore per i servizi della Commissione qualora gli Stati membri non approvino la controversa proposta relativa al progetto di istituire un’agenzia doganale dell’UE.

1.17.

Il CESE è fermamente convinto che il coinvolgimento delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile aiuterà non solo a realizzare un piano d’azione così ambizioso, ma anche ad assicurare una vasta diffusione dei vantaggi che esso offre tanto ai cittadini quanto alle imprese.

2.   Introduzione

2.1.

L’unione doganale dell’UE, che esiste dal 1968, riguarda tutti gli scambi di merci in circolazione nei 27 Stati membri. Ogni anno l’unione doganale facilita gli scambi di merci per un valore superiore a 3 500 miliardi di EUR, e ogni secondo le dogane dell’UE gestiscono in media 27 articoli per i quali è stata presentata una dichiarazione doganale.

2.2.

Il 28 settembre 2020, facendo seguito agli orientamenti politici annunciati dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen all’inizio del suo mandato, la Commissione europea ha pubblicato un ambizioso piano d’azione per potenziare l’unione doganale rendendola più intelligente, più semplice e più efficiente sul piano digitale entro il 2025. Ne sortirebbero effetti positivi sia per le entrate dell’UE che per la sicurezza e la protezione dei cittadini europei. Inoltre, le imprese trarrebbero vantaggio da una semplificazione degli obblighi di comunicazione e dallo sveltimento delle relative procedure.

2.3.

Il CESE ha già sottolineato che un’unione doganale efficiente rappresenta «una conditio sine qua non del processo di integrazione europea, per assicurare una libera circolazione delle merci efficiente, sicura e trasparente; con la massima tutela dei consumatori e dell’ambiente, con la migliore occupazione, e una efficace lotta contro frodi e contraffazioni» (4).

2.4.

Il CESE accoglie pertanto con favore il piano d’azione molto concreto proposto per il prossimo quinquennio, articolato in 30 azioni; tali azioni, destinate ad aiutare le autorità doganali nazionali, sono state programmate con un preciso calendario e sono raggruppate in quattro categorie strategiche, ossia: gestione dei rischi, gestione del commercio elettronico, promozione della conformità e azione congiunta delle autorità doganali.

2.5.

L’attuale sistema doganale ha evidenziato carenze e punti deboli; inoltre, una gran parte dei dati scambiati tra le dogane di tutti gli Stati membri non viene utilizzata in modo efficiente. Il Parlamento europeo e la Corte dei conti europea hanno già espresso preoccupazione per la perdita di entrate dovuta all’inefficacia dei controlli doganali sulle merci importate.

2.6.

I dazi doganali costituiscono una parte importante del bilancio dell’UE, in quanto rappresentano circa il 14 % delle entrate totali. L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha segnalato che le frodi doganali sono diffuse e ha raccomandato il recupero di oltre 2,7 miliardi di EUR di dazi doganali non versati nel periodo 2017-2019. Si stima che le merci contraffatte importate da paesi terzi si aggirino sui 121 miliardi di EUR l’anno, mentre le violazioni della proprietà intellettuale generano oltre 83 miliardi di EUR in termini di vendite e provocano una perdita di gettito fiscale pari a 15 miliardi di EUR.

2.7.

Guardando agli aspetti positivi, va osservato che quasi il 100 % delle dichiarazioni doganali è inviato per via elettronica.

3.   Osservazioni generali

3.1.

L’unione doganale necessita di investimenti rapidi per un ammodernamento coordinato delle capacità sia di software che umane. Sebbene la modernizzazione sia iniziata nel 2016 con l’introduzione del codice doganale dell’Unione (5), è necessario fornire una risposta immediata e coordinata alle questioni riguardanti l’aumento dei flussi commerciali, la forte espansione del settore del commercio elettronico, l’elusione dei dazi doganali e dell’IVA, il traffico illecito di merci e la sottostima del loro valore. Inoltre, le dogane hanno il compito di controllare le merci anche per numerosi motivi diversi da quelli finanziari. Il CESE apprezza il fatto che la forza dell’unione doganale sia valutata in funzione del suo anello più debole e suggerisce pertanto di prestare particolare attenzione ai punti di ingresso e di uscita più vulnerabili. Gli Stati membri dovrebbero avvalersi appieno del nuovo Strumento relativo alle attrezzature per il controllo doganale, appositamente concepito per aiutare non solo nell’acquisto di attrezzature all’avanguardia, ma anche nella manutenzione e sostituzione di quelle esistenti.

3.2.

Il recesso del Regno Unito dall’unione doganale sta provocando già adesso un carico di lavoro maggiore e sfide particolari per le autorità doganali. Si prevede un aumento significativo delle dichiarazioni doganali che saranno presentate, unitamente alla reintroduzione dei controlli doganali.

3.3.

Bisogna celermente rafforzare la cooperazione e l’interoperabilità tra le autorità doganali e le altre autorità e amministrazioni incaricate dell’applicazione della legge. Il CESE ha già avvertito che «la cooperazione tra le varie autorità e istituzioni degli Stati membri — polizia, servizi di intelligence, magistratura, autorità doganali e fiscali — è lungi dall’essere ottimale» (6).

3.4.

Le dogane sono molto coinvolte nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Nel solo 2019 le dogane hanno sequestrato 400 tonnellate di droga e 3 699 armi da fuoco, oltre a sigarette e prodotti del tabacco per un valore complessivo di 3,5 miliardi di EUR. L’11,5 % di tutte le dichiarazioni di denaro contante è risultato non corretto, per un ammontare pari a circa 331 milioni di EUR (7).

3.5.

La gestione dei dati è estremamente importante per un settore che si avvale — tra l’altro — di una grande quantità di dichiarazioni e di informazioni sui prodotti e produce anche un notevole gettito fiscale. Un’efficace gestione delle grandi quantità di dati disponibili rappresenterebbe un miglioramento immediato e sostanziale rispetto all’attuale sistema doganale e faciliterebbe altresì una risposta migliore e risolutiva alle crescenti sfide che si prospettano. Consentirebbe inoltre una vigilanza intelligente delle catene di approvvigionamento e migliori capacità di previsione.

3.6.

Il CESE esprime il proprio disappunto per il fatto che, nell’ultima frase della comunicazione in esame, la Commissione abbia invitato SOLTANTO il Parlamento europeo e il Consiglio a sostenere questo piano d’azione, non includendo affatto il CESE. Il CESE è fermamente convinto che il coinvolgimento delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile aiuterà non solo a realizzare un piano d’azione così ambizioso, ma anche a garantire una vasta diffusione dei vantaggi che esso offre tanto ai cittadini quanto alle imprese.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Innanzitutto, il CESE esprime apprezzamento per l’ambiziosa tabella di marcia e le precise scadenze fissate per l’attuazione delle azioni proposte. Si tratta chiaramente di un passo in avanti e queste azioni, una volta attuate e accompagnate da valutazioni d’impatto periodiche, porteranno a una vera modernizzazione delle dogane in tutta l’UE.

4.2.

Un piano così ambizioso richiede un congruo finanziamento. Poiché sarà necessario condividere i costi connessi al finanziamento di alcune azioni, e tenuto conto che l’UE è pronta a fare la sua parte, il CESE si domanda se tutti gli Stati membri siano disposti ad accettare il calendario proposto e a mettere sul tavolo la quota di finanziamento a loro carico. Solo un finanziamento e un’attuazione pienamente coordinati garantirebbero la riuscita delle azioni proposte.

4.3.

L’UE ha tuttavia dimostrato di disporre di strutture fragili e ha risposto con ritardo e senza coordinamento a situazioni critiche come la pandemia di COVID-19. L’invito del presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron a riorganizzare lo spazio Schengen e la sua richiesta di riesaminare la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione sono segni tanto gravi quanto preoccupanti.

4.4.

Inoltre, l’incredibile protrarsi del processo di approvazione del prossimo QFP sta compromettendo un’adeguata ripresa dell’economia dell’UE e il sostegno immediato di cui hanno bisogno tanto i cittadini quanto le imprese. Se da un lato sembra sempre più complicato per i leader dell’UE a 27 trovare un accordo su interventi di grande importanza, dall’altro, la vaghezza delle soluzioni decise, per le quali occorre oltretutto attendere parecchio tempo, dimostra che il sistema di governance dell’UE è obsoleto e inefficiente.

4.5.

Sebbene sia già stata discussa e analizzata nel 2018, la proposta in esame non prevede alcun uso della tecnologia blockchain. Il CESE ritiene che il sistema doganale disponga della struttura idonea per fare propri questi sviluppi, e raccomanda quindi di valutare senza indugio la possibilità di introdurre la tecnologia blockchain nel piano d’azione proposto.

4.6.

Il CESE osserva inoltre che non vi è assolutamente alcuna analisi del possibile utilizzo della robotica e dell’intelligenza artificiale per mettere le operazioni doganali al passo coi tempi. Secondo il Comitato, in un piano d’azione così complesso sarebbe possibile avvalersi agevolmente — e con risultati immediati e significativi — dei progressi tecnologici e delle soluzioni innovative esistenti che la robotica e l’intelligenza artificiale offrono.

4.7.   Gestione dei rischi

4.7.1.

Da quando nel 2005 sono state apportate modifiche in materia di sicurezza al codice doganale dell’Unione, l’UE conduce attività di gestione dei rischi basate su due linee di difesa, ossia una valutazione preventiva e un controllo delle merci prima e dopo il loro svincolo nel territorio doganale. Il CESE ritiene che la sfida maggiore sia rappresentata dal mancato coordinamento tra gli Stati membri per quel che concerne l’applicazione delle procedure, nonché dall’assenza di uno scambio di informazioni tra i paesi. Con un sistema di gestione dei rischi che sia conforme, più coordinato e integrato si ridurrebbero i divari tra le autorità e si rafforzerebbero gli anelli più deboli della catena. È quindi molto incoraggiante l’annuncio di una nuova strategia di gestione dei rischi, prevista per il secondo trimestre del 2021.

4.7.2.

La digitalizzazione e l’espansione del commercio elettronico rendono più facile per i consumatori acquistare online merci da tutto il mondo, ma non tutti i prodotti sono conformi agli alti standard europei in materia di sicurezza dei prodotti e/o protezione dei consumatori, e questo fatto è spesso motivo di sorpresa per i consumatori. Il CESE si compiace che ci si prefigga l’obiettivo di rafforzare il processo di gestione dei rischi al fine di proteggere meglio il mercato unico — e in particolare i cittadini dell’UE — dai prodotti non conformi e non sicuri.

4.7.3.

La proposta di avviare un’iniziativa relativa alle capacità di analisi congiunta costituisce sicuramente un passo avanti. Va accolto favorevolmente anche lo scambio di dati con le autorità preposte al contrasto delle frodi. Il CESE si domanda tuttavia se saranno disponibili i finanziamenti necessari per l’interconnessione dell’ICS2 con altri sistemi elettronici. Sorge infatti un altro, immediato timore in rapporto alla gestione di una rete così complessa e alle risorse umane, specializzate e adeguatamente formate, di cui c’è bisogno.

4.7.4.

Inoltre, il CESE teme che la gestione di un sistema così complesso e interconnesso possa costituire un onere ulteriore per gli esistenti servizi della Commissione qualora gli Stati membri non approvino il progetto di istituire la nuova agenzia doganale dell’UE.

4.7.5.

La Commissione ha proposto che fino al 2024 venga effettuata l’analisi dei dati pertinenti, prima del carico e dell’arrivo, per tutte le merci e per tutti i vettori. Non è tuttavia chiaro il tipo di risorse umane che si renderà necessario in ciascuno Stato membro, né il livello e la durata della formazione richiesta per il personale incaricato di questo compito. Lo stesso vale per il processo supplementare di gestione dei rischi che è previsto per le procedure nella fase successiva all’ingresso. Il CESE ha già chiesto di «sviluppare quadri formativi comuni basandosi sul “Quadro delle competenze per il settore delle dogane dell’UE”, che mira ad armonizzare e ad innalzare gli standard di prestazioni doganali in tutta l’UE» (8).

4.8.   Gestione del commercio elettronico

4.8.1.

Il commercio elettronico ha offerto grandi benefici e opportunità sia ai cittadini che alle imprese, ma ha pure comportato sfide significative per quel che concerne non solo la conformità fiscale e doganale delle merci commercializzate, ma anche l’elevato numero di richieste di sdoganamento in rapporto a un’ampia gamma di controlli a fini non finanziari, tra cui la sicurezza e la proprietà intellettuale. Il CESE riconosce il ruolo significativo svolto dalle autorità doganali nel prevenire l’ingresso nel mercato unico di prodotti non conformi e/o non sicuri, e ritiene quindi che esse debbano essere dotate di risorse adeguate anche in rapporto a tutte le responsabilità non finanziarie.

4.8.2.

L’attuazione del pacchetto sull’IVA nel commercio elettronico (9) a partire dal 2021 dovrebbe generare entrate significative per i bilanci degli Stati membri e creare condizioni di parità per il contesto imprenditoriale. La creazione di un centro dell’UE per le informazioni fiscali nell’ambito della rete antifrode Eurofisc è considerata un miglioramento significativo per quel che concerne l’accessibilità delle informazioni per le autorità doganali Il CESE attende con interesse la valutazione della Commissione al riguardo.

4.8.3.

Il CESE ritiene che il modo migliore per regolamentare e gestire il commercio elettronico sia una cooperazione rafforzata con gli altri paesi dell’OCSE e del G20. Il Comitato ha già sottolineato come «le politiche fiscali da applicare alla digitalizzazione dell’economia e l’elaborazione di strumenti e soluzioni operative debbano essere coordinati a livello internazionale» (10).

4.8.4.

Il commercio elettronico è un settore molto importante per le PMI, ma il commercio transfrontaliero è frammentato a causa dei vari ostacoli esistenti; in quest’ottica, il CESE si dichiara preoccupato perché la comunicazione non menziona la creazione di un quadro favorevole per le PMI attraverso l’ambizioso piano d’azione in esame. Secondo l’Eurobarometro del settembre 2020, soltanto il 4 % delle PMI vende i propri prodotti a consumatori situati in altri Stati membri (11).

4.8.5.

La proposta di imporre obblighi di comunicazione doganale alle piattaforme rappresenta un potenziale onere per le imprese che operano legalmente. Le piattaforme dispongono in effetti di dati importanti che le autorità doganali potrebbero utilizzare, ma dovrebbero effettuare investimenti specifici in programmi informatici in grado di raccogliere e trasmettere questi dati. Andrebbe subito valutata la possibilità di impiegare sistemi robotici automatizzati, in quanto potrebbero fornire un aiuto prezioso per agevolare il processo di comunicazione obbligatoria. Il CESE ritiene inoltre che tali imprese debbano ricevere un congruo finanziamento se viene chiesto loro di raccogliere dati di cui non avrebbero altrimenti bisogno. La gestione di questi dati è estremamente importante per contrastare le frodi doganali e dell’IVA, la sottostima del valore delle merci, le false dichiarazioni di origine ecc. Il CESE ha già chiesto «lo sviluppo di uno standard europeo di raccolta dei dati e delle informazioni sui propri utenti, che le piattaforme dovranno comunicare» (12).

4.8.6.

Il CESE accoglie comunque con favore il riesame che la Commissione sta conducendo sul ruolo e gli obblighi dei mercati online, che dovrebbero avere maggiori obblighi e responsabilità in rapporto alle verifiche di conformità e sicurezza per le merci vendute sulle loro piattaforme.

4.9.   Promozione della conformità

4.9.1.

Gli operatori commerciali affidabili sono già ricompensati con un sistema che prevede la concessione di benefici per la loro conformità alla normativa doganale dell’UE. Il CESE appoggia la proposta di monitorare gli accordi preferenziali esistenti con paesi terzi; un’analisi completa dei sistemi internazionali di cooperazione e assistenza amministrativa reciproca in materia doganale dell’UE porterebbe a una migliore applicazione delle norme pertinenti.

4.9.2.

La proposta di introdurre lo sportello unico dell’UE rappresenta un progetto vantaggioso per tutti, e il CESE la sostiene pienamente. Per il settore privato la possibilità di comunicare quanto richiesto con un’unica operazione rappresenterebbe un vantaggio, e le varie autorità competenti potrebbero selezionare i dati di cui hanno bisogno. Si tratta chiaramente di un passo in avanti per tutte le parti interessate, e questa misura dovrebbe permettere alle imprese di risparmiare fino 690 milioni di EUR nelle pratiche doganali nei primi sette anni della sua attuazione.

4.9.3.

È tuttavia piuttosto difficile comprendere come sia possibile che l’analisi proposta del codice doganale dell’Unione induca a pensare che i sistemi elettronici siano obsoleti a neanche quattro anni dall’adozione della proposta.

4.9.4.

La disomogeneità delle sanzioni per mancata conformità applicate negli Stati membri genera distorsioni della concorrenza nel mercato unico e, al tempo stesso, fa comparire anelli più deboli all’interno del sistema. La creazione di un quadro saldo e uniforme rafforzerebbe la solidità dell’unione doganale nel suo complesso. Sebbene sul piano teorico appaia tutto eccellente, il CESE si domanda in che modo la Commissione intenda integrare questo aspetto, dal momento che la proposta del 2013 sullo stesso argomento è stata respinta.

4.9.5.

È inoltre difficile assicurare lo stesso livello di controlli se il numero di funzionari doganali ogni 100 000 abitanti varia tra 7 e 70, a seconda dello Stato membro considerato (13). Il CESE raccomanda di aggiungere norme minime in materia di controllo e di dotazione di organico.

4.9.6.

La crisi della COVID-19 ha messo in luce le carenze del sistema doganale, dato che in vari casi prodotti non conformi e non sicuri sono entrati in circolazione nel territorio dell’UE. Il CESE ritiene molto importante adottare quanto prima atti di esecuzione per il regolamento sulla vigilanza del mercato (14).

4.9.7.

Il CESE appoggia inoltre la proposta di prestare particolare attenzione all’applicazione delle norme e procedure sull’origine preferenziale ai 41 accordi di libero scambio conclusi dall’UE. Per quanto riguarda altri partner commerciali, in particolare la Cina, la crescita esponenziale del commercio elettronico ha accentuato le sfide già esistenti per le dogane. È quindi perfettamente normale preoccuparsi di valutare la situazione e di legiferare ove opportuno.

4.10.   Azione congiunta delle autorità doganali

4.10.1.

Le analisi mostrano che la cooperazione transfrontaliera può essere notevolmente rafforzata. Secondo il CESE, l’unica via percorribile consiste nell’assicurare una maggiore e migliore cooperazione non solo tra le autorità doganali dei diversi Stati membri, ma anche tra le dogane e altre pertinenti autorità nazionali. La condivisione delle buone pratiche potrebbe inoltre accrescere la produttività dei servizi doganali.

4.10.2.

Sono necessari notevoli investimenti al fine di acquistare le attrezzature per il controllo doganale che si rendono necessarie per dare attuazione concreta a questa cooperazione. Il CESE osserva che, nella proposta originaria (15), la Commissione ha accettato di coprire le spese sostenute per gli opportuni investimenti soltanto fino all’80 %, mentre il 20 % rimanente dovrebbe essere a carico degli Stati membri. Tenuto conto della situazione finanziaria in cui si trovano gli Stati a causa della pandemia di COVID-19, il CESE non prevede che tutti i 27 Stati membri dell’UE siano in grado di effettuare nel 2021 gli investimenti richiesti.

4.10.3.

Infine, la Commissione ha coraggiosamente messo sul tavolo la controversa proposta di effettuare entro il 2023 una valutazione d’impatto sulla creazione di un’agenzia doganale dell’UE. Il CESE dubita che gli Stati membri siano d’accordo su questo punto.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU L 269 del 10.10.2013, pag. 1.

(2)  GU L 169 del 25.6.2019, pag. 1.

(3)  Parere del CESE sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce, nell'ambito del Fondo per la gestione integrata delle frontiere, lo Strumento di sostegno finanziario relativo alle attrezzature per il controllo doganale. (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 67)

(4)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 39.

(5)  GU L 269 del 10.10.2013, pag. 1.

(6)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 22.

(7)  2nd Biennial Report on Progress in Developing the EU Customs Union and its Governance (Seconda relazione biennale sui progressi compiuti nello sviluppo dell’unione doganale dell’UE e della sua governance).

(8)  GU C 62 del 15.2.2019, pag. 67.

(9)  Modernising VAT for cross-border e-commerce (Mettere al passo coi tempi l’IVA sul commercio elettronico transfrontaliero).

(10)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 62.

(11)  Flash Eurobarometer 486.

(12)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 62.

(13)  Survey from the Union of Finance Personnel in Europe (indagine del sindacato dei dipendenti delle amministrazioni fiscali e doganali in Europa UFE).

(14)  GU L 169 del 25.6.2019, pag. 1.

(15)  COM(2018) 321 final.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l’ambiente dello sportello unico dell’Unione europea per le dogane e modifica il regolamento (UE) n. 952/2013»

[COM(2020) 673 final — 2020/0306 (COD)]

(2021/C 220/08)

Relatore:

Athanasios IOANNIDIS

Consultazione

Parlamento europeo, 11.11.2020

Consiglio, 13.11.2020

Base giuridica

Articoli 3, 114 e 207 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

2.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

268/0/3

1.

Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta della Commissione europea di istituire l’ambiente dello sportello unico dell’Unione europea per le dogane e di modificare il regolamento (UE) n. 952/2013. La proposta mira ad affrontare la frammentazione dell’interoperabilità tra le dogane e le autorità competenti partner nella gestione delle procedure di sdoganamento delle merci.

1.2.

Il CESE ritiene che la proposta sia coerente con la visione e gli obiettivi strategici dell’Unione per quanto riguarda sia il piano d’azione volto a far avanzare l’unione doganale al livello successivo, per un’unione doganale forte e moderna, sia la comunicazione sullo sviluppo dell’unione doganale dell’UE e della sua governance.

1.3.

Il CESE ritiene che la proposta sia funzionale al piano strategico della direzione generale Fiscalità e unione doganale (DG TAXUD) 2016-2020, nonché al piano d’azione europeo per l’eGovernment 2016-2020 presentato nella comunicazione della Commissione del 19 aprile 2016 (1) e inteso ad aumentare l’efficienza dei servizi pubblici eliminando gli ostacoli digitali esistenti, riducendo gli oneri amministrativi e migliorando la qualità delle interazioni tra le amministrazioni nazionali.

1.4.

Il CESE osserva che, con l’attuazione dell’ambiente dello sportello unico europeo, gli scambi di merci passeranno alla nuova era digitale tramite la loro semplificazione e automatizzazione, il commercio in generale nell’UE crescerà, l’Unione diventerà più competitiva, le dogane saranno modernizzate e si otterranno molteplici risultati per i soggetti interessati — autorità doganali degli Stati membri, autorità competenti partner, operatori economici, cittadini.

1.5.

Il CESE ritiene che lo sportello unico europeo, come pure gli sportelli nazionali, non dovrebbero essere solo dei portali digitali per le procedure di raccolta dei dati e di scambio di informazioni. In futuro, con lo sviluppo dei sistemi e dei processi di informazione dovrebbe esservi la possibilità — con l’accordo degli Stati membri e del Consiglio — di passare a procedure di calcolo automatizzate anche più complesse, come quelle che saranno utilizzate per le quantità di merci. In questo modo l’operatore potrà avere visione d’insieme della transazione, che deve pertanto essere qualificata come «intelligente».

1.6.

Il CESE ritiene che l’integrazione delle formalità non doganali nel sistema per lo scambio dei certificati nell’ambito dello sportello unico doganale dell’UE (EU CSW-CERTEX) richieda lo sviluppo di una nuova infrastruttura informatica al fine di creare collegamenti tra gli ambienti nazionali dello sportello unico per le dogane e i sistemi non doganali dell’UE. Si dovrebbe specificare chiaramente quali siano i dati da scambiare.

1.7.

Il CESE raccomanda alla Commissione di prestare particolare attenzione alla cibersicurezza dei sistemi e degli sportelli, istituendo standard elevati di sicurezza in grado di proteggere dagli attacchi che rischiano di danneggiare il commercio di merci nell’UE e produrre effetti economici devastanti.

1.8.

Il CESE sostiene che, al fine di attuare efficacemente il programma dello sportello unico per le dogane e di evitare ritardi, si dovrebbe prestare particolare attenzione agli Stati membri che non hanno partecipato al progetto pilota del 2015 «Documento veterinario comune di entrata dello sportello unico doganale dell’UE» (EU CSW-DVCE) e che pertanto non hanno sviluppato ambienti nazionali dello sportello unico per le dogane armonizzati con lo sportello unico europeo.

1.9.

Una questione simile si pone rispetto a diversi Stati membri che hanno avviato iniziative proprie di sportello unico a livello nazionale, che rimangono isolate e sono caratterizzate da modalità di funzionamento diverse basate sul livello dell’architettura informatica doganale esistente, sulle loro priorità e sulla struttura dei costi.

1.10.

Per questi motivi, il CESE raccomanda di stabilire un calendario più preciso con gli obiettivi e le azioni che gli Stati membri devono adottare al fine di allineare gli ambienti nazionali dello sportello unico per le dogane con lo sportello unico europeo.

1.11.

Il CESE riconosce la complessità del sistema e la necessità di un coordinamento sia all’interno degli Stati membri che tra di essi per realizzare quest’azione, e raccomanda di fissare un calendario più preciso per il monitoraggio e la comunicazione in merito al funzionamento e allo sviluppo dello sportello, corredandolo degli obiettivi e delle azioni che gli Stati membri e le parti interessate nazionali devono adottare per attuare il sistema.

1.12.

Il CESE raccomanda di far sì che il programma contribuisca a rafforzare, nel suo ambito di applicazione, il rispetto dei diritti fondamentali e della protezione dei dati.

1.13.

Il CESE ritiene fondamentale preparare, formare e istruire il personale che sarà addetto al funzionamento dei sistemi informatici, degli ambienti nazionali dello sportello unico e dello sportello europeo per le dogane. Per questo motivo, nell’ambito del progetto esistente dovrebbero essere previsti programmi di formazione e di sviluppo delle competenze per i lavoratori, nonché l’utilizzo, a tal fine, di finanziamenti provenienti da fondi nazionali e/o dell’UE.

2.   Contesto — Introduzione

2.1.

Nel 2008 gli Stati membri e la Commissione si sono impegnati a promuovere un ambiente doganale elettronico nell’UE adoperandosi per istituire un quadro di servizi di sportello unico. La dichiarazione di Venezia del 2014 ha proposto un piano d’azione progressivo per attuare un ambiente dello sportello unico dell’UE per le dogane e per sviluppare il relativo quadro giuridico. Questa intenzione è stata ribadita nella comunicazione del 2016 della Commissione «Sviluppare l’unione doganale dell’UE e la sua governance», che annunciava i piani della Commissione per esplorare una soluzione praticabile per lo sviluppo e la creazione di un ambiente dello sportello unico dell’UE per le dogane. Questo approccio è stato sostenuto dalle conclusioni del Consiglio Ecofin del 23 maggio 2017.

2.2.

Nel 2015 la Commissione ha avviato un progetto pilota, il documento veterinario comune di entrata dello sportello unico doganale dell’UE (EU CSW-DVCE). Il progetto è stato gestito congiuntamente dalla DG TAXUD e dalla DG SANTE per consentire la verifica automatizzata da parte delle autorità doganali di tre formalità regolamentari non doganali presentate unitamente alla dichiarazione doganale come prova di conformità. Le amministrazioni doganali di cinque Stati membri hanno inizialmente partecipato a questo progetto pilota su base volontaria. Il successore del progetto pilota, il sistema per lo scambio dei certificati nell’ambito dello sportello unico doganale dell’UE (EU CSW-CERTEX), ha ampliato la portata dei requisiti normativi e ha introdotto nuove funzionalità come la gestione della quantità. Il numero degli Stati membri partecipanti è passato da cinque a nove, con un aumento dei settori politici coperti dal sistema.

2.3.

Con la pandemia di COVID-19 è più importante che mai istituire un quadro più solido per l’unione doganale e agevolare ulteriormente l’espletamento delle formalità doganali e delle formalità non doganali dell’UE a sostegno della ripresa economica. A tal fine, l’accresciuta digitalizzazione delle formalità regolamentari doganali e non doganali dell’Unione applicabili al commercio internazionale offre agli Stati membri nuove opportunità per migliorare la cooperazione digitale.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

Il commercio internazionale dell’Unione è soggetto alla normativa doganale e alla normativa non doganale dell’Unione. Le autorità responsabili delle formalità regolamentari non doganali dell’Unione («autorità competenti partner») e le autorità doganali spesso operano a compartimenti stagni, creando obblighi di dichiarazione complessi e onerosi per gli operatori e procedure inefficienti di sdoganamento delle merci che possono condurre a errori e frodi. Per risolvere il problema della frammentazione dell’interoperabilità tra le autorità doganali e le autorità competenti partner nella gestione dei processi di sdoganamento delle merci e coordinare le azioni in questo settore, la Commissione e gli Stati membri hanno assunto nel corso degli anni una serie di impegni intesi a sviluppare iniziative nell’ambito dello sportello unico per lo sdoganamento delle merci.

3.2.

La proposta della Commissione prevede l’istituzione di un ambiente dello sportello unico dell’Unione europea per le dogane, che fornisce un insieme integrato di servizi elettronici interoperabili a livello nazionale e dell’Unione tramite il sistema di scambio di certificati nell’ambito dello sportello unico dell’Unione europea per le dogane, per sostenere l’interazione e lo scambio di informazioni tra gli ambienti nazionali dello sportello unico per le dogane e i sistemi non doganali dell’Unione di cui all’allegato della proposta.

4.   Osservazioni generali

4.1.

La proposta di regolamento costituisce il primo passo fondamentale verso il miglioramento della cooperazione tra le autorità doganali attraverso un’applicazione elettronica unica. Si tratta di una proposta globale che analizza su larga scala i risultati, le azioni e le misure per il funzionamento dell’ambiente dello sportello unico europeo per le dogane.

4.2.

L’attuazione dello sportello unico consente agli imprenditori e agli operatori commerciali di fornire dati per via elettronica, che siano i documenti di accompagnamento o le formalità non doganali dell’Unione, tramite uno sportello elettronico (sportello nazionale) in ciascuno Stato membro, riducendo nel contempo il rischio di duplicazioni e risparmiando sui tempi e sui costi della transazione. Grazie allo sportello unico, le autorità doganali e le altre autorità coinvolte potranno raccogliere i dati forniti avendo la possibilità di adottare un approccio armonizzato per le procedure di sdoganamento delle merci. Al tempo stesso, lo sportello consente all’UE di avere un quadro completo dei prodotti in entrata e in uscita dai suoi confini, nonché di controllare le quantità nell’ambito delle quote e della lotta contro le frodi.

4.3.

Come indicato nella proposta di regolamento della Commissione, i finanziamenti per l’attuazione del programma provengono da risorse dell’UE e nazionali. I costi associati allo sviluppo, all’integrazione e al funzionamento dello sportello unico EU CSW-CERTEX sono a carico dell’Unione, mentre sono a carico del bilancio degli Stati membri i costi relativi allo sviluppo, all’integrazione e al funzionamento del loro ambiente dello sportello unico per le dogane e al suo collegamento con lo sportello unico EU CSW-CERTEX. Dato che la pandemia di COVID-19 ha causato una crisi finanziaria in tutti gli Stati membri dell’UE, il CESE si chiede in che modo la Commissione europea possa garantire che gli Stati membri rispettino tale requisito mettendo a disposizione, dai loro bilanci nazionali, le risorse destinate all’attuazione del programma.

4.4.

L’armonizzazione e la realizzazione di questa azione dipendono dall’obbligo di attuazione da parte degli Stati membri. Il successo dello sportello unico per le dogane dipende dalla conformità, dall’armonizzazione e dall’attuazione simultanee da parte di tutti gli Stati membri. Il CESE fa presente il rischio che alcuni Stati membri ritardino l’attuazione di questa azione rispetto al calendario previsto a causa della mancanza di risorse finanziarie (derivante dalla crisi economica dovuta alla COVID-19) e di altre loro priorità politiche. Ciò creerà molteplici problemi per la politica doganale e commerciale dell’Unione, come pure per gli Stati membri. Il CESE chiede alla Commissione europea se siano previste sanzioni in caso di mancata attuazione dell’iniziativa o di mancato rispetto del calendario stabilito da parte di taluni Stati membri.

4.5.

L’iniziativa dello sportello unico deve andare di pari passo con la modernizzazione delle dogane e delle autorità doganali. Sarebbe estremamente utile realizzare uno studio o un’indagine preliminare che descriva la situazione attuale dei portali di accesso degli Stati membri, come pure effettuare una valutazione degli investimenti necessari per migliorare i servizi, in modo che siano in grado di sostenere lo sportello unico. Allo stesso tempo, si potrebbe anche fissare una data indicativa per il completamento della parte nazionale dello sportello unico.

4.6.

La Commissione stabilisce nella proposta di regolamento che ciascuno Stato membro designerà un’autorità che funga da coordinatore nazionale per l’attuazione e il coordinamento dell’azione. Il CESE si chiede in quale misura la designazione del coordinatore nazionale sarà di competenza esclusiva di ciascuno Stato membro o se la Commissione europea formulerà delle raccomandazioni.

4.7.

Per quanto riguarda la garanzia della protezione dei dati, il CESE ritiene che l’azione complementare volta a proteggere i dati raccolti, come pure tutte le dichiarazioni doganali, debba tenere conto dei seguenti aspetti:

quale autorità pubblica avrà il compito di garantire la riservatezza e in che modo sarà specificato espressamente il grado di tolleranza a ciascun livello;

l’assicurazione fornita agli operatori con lo sportello unico e i dettagli delle garanzie fornite.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE ritiene che, nella proposta di regolamento in esame e in particolare nel punto in cui si fa riferimento alla sussidiarietà, si potrebbe valutare il contributo di quest’iniziativa, ossia la creazione di uno sportello unico, al PIL europeo e all’aumento della competitività.

5.2.

Inoltre, il CESE ritiene necessario effettuare una valutazione d’impatto per ciascuno Stato membro, sottolineando i vantaggi dell’attuazione di questa iniziativa, al fine di convincere gli Stati membri a realizzarla senza indugi. Al tempo stesso, il CESE invita la Commissione europea a riferire sull’impatto del progetto pilota di sportello unico per le dogane in ciascuno degli Stati membri che vi hanno partecipato.

5.3.

A seguito della valutazione d’impatto analizzata nella proposta di regolamento, il CESE ritiene adeguato il pacchetto composto dalle opzioni 1 + 6 + 8 (ii) (2).

5.4.

Il CESE sottolinea che la Commissione europea dovrebbe adottare specifiche tecniche uniformi per il funzionamento dell’ambiente nazionale dello sportello unico, come definito all’articolo 2 della proposta di regolamento.

5.5.

Il CESE osserva che la Commissione europea dovrebbe adottare specifiche tecniche uniformi per il funzionamento dell’ambiente nazionale dello sportello unico, come definito nelle disposizioni dell’articolo 8, al fine di evitare malfunzionamenti nelle dichiarazioni doganali. Il CESE ritiene che sarebbe utile creare un modello unico.

5.6.

Il CESE ritiene che, affinché lo sportello unico doganale funzioni correttamente, gli ambienti nazionali debbano funzionare in modo efficace e con personale adeguatamente formato. Poiché il numero dei funzionari doganali (3) varia, a seconda degli Stati membri, da 7 a 70 per 100 000 abitanti, il CESE raccomanda di aggiungere delle norme minime relative al funzionamento del sistema e al numero di impiegati necessari.

5.7.

Il CESE propone di aggiungere all’articolo 1 della proposta di regolamento il seguente testo: «fatte salve le disposizioni del regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) e le disposizioni dell’articolo 6 del presente regolamento».

5.8.

Il CESE osserva che, dal punto di vista sia giuridico che sostanziale, nell’articolo 3 si potrebbe ravvisare una contraddizione, in quanto esso fa riferimento al sistema dello sportello unico dell’UE per le dogane e, al tempo stesso, comprende anche i sistemi non doganali dell’Unione. Per questi ultimi si potrebbe introdurre un comma separato (oltre ad adeguare i riferimenti di conseguenza).

5.9.

Il CESE chiede di chiarire se il programma di lavoro della Commissione precederà il regolamento o se seguirà la sua entrata in vigore. Nel caso in cui l’entrata in vigore giunga prima, in quale arco di tempo dovrebbe essere adottato il piano d’azione?

5.10.

Il CESE giudica troppo vago il riferimento alla possibilità di revocare il potere di adottare atti delegati, di cui alla prima frase del paragrafo 3 dell’articolo 21. Chiede di chiarire se la revoca riguardi una sola o tutte le categorie previste (articolo 5, paragrafo 4, articolo 10, paragrafo 3, e articolo 13, paragrafo 4). Inoltre, non è chiaro se essa si riferisca ad un solo atto all’interno di queste categorie o in generale alla possibilità di adottare atti nel quadro di una di esse. Il CESE sottolinea che deve esserci concertazione tra i colegislatori per quanto riguarda la procedura relativa alla loro informazione.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione dell’UE per l’eGovernment 2016-2020 — Accelerare la trasformazione digitale della pubblica amministrazione [COM(2016) 179 final del 19 aprile 2016].

(2)  L’opzione 1 rende obbligatorio il sistema EU CSW-CERTEX e riguarda i requisiti normativi dell’UE per i quali sono disponibili le pertinenti informazioni relative alle dogane a livello dell’UE per tutti gli Stati membri, fornendo una funzionalità automatizzata di gestione della quantità. L’opzione 6 istituisce sportelli unici a livello nazionale per fornire agli operatori economici punti di accesso unico armonizzati per l’espletamento delle formalità doganali e non doganali. L’opzione 8 (ii) si basa su un uso più esteso dell’attuale sistema di registrazione e identificazione degli operatori economici (EORI), unicamente per la convalida [COM(2020) 673 final].

(3)  https://ufe-online.eu/wp-content/uploads/2020/04/2020-04-04.pdf.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Relazione 2020 in materia di previsione — Previsione strategica: tracciare la rotta verso un’Europa più resiliente»

[COM(2020) 493 final]

(2021/C 220/09)

Relatrice:

Sandra PARTHIE

Consultazione

Lettera della Commissione europea dell’11.11.2020

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

2.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

270/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con grande favore la prevista integrazione della metodologia di previsione nel futuro processo di elaborazione delle politiche dell’Unione europea. Il Comitato accoglie molto positivamente la decisione di includere espressamente le «Prospettive strategiche» tra le competenze del vicepresidente della Commissione europea, oltre a quella per le Relazioni interistituzionali. Si attende che questa decisione rafforzi le sinergie e aumenti il coinvolgimento strutturale di tutte le istituzioni dell’UE, incluso il CESE.

1.2.

Il CESE accoglie inoltre molto favorevolmente il nuovo approccio adottato dalla Commissione europea che consiste nell’effettuare una previsione strategica sotto forma di un processo annuale, ciclico e permanente. Nel quadro di questo esercizio di previsione, il primo tema che è stato scelto è quello della resilienza dell’Unione europea. Con la crisi della COVID-19, la resilienza è divenuta il nuovo punto di riferimento per le politiche dell’UE. Essa indica la capacità non solo di resistere alle sfide e di farvi fronte, ma anche di trasformarsi in modo giusto, sostenibile e inclusivo.

1.3.

Secondo il CESE, le quattro dimensioni del tema della resilienza, ossia quella «sociale ed economica», quella «geopolitica», quella «verde» e quella «digitale», sono state scelte e sviluppate in maniera adeguata. Esse rappresentano i grandi temi centrali del nostro tempo, temi che continueranno a rivestire un’importanza straordinaria per la definizione delle politiche europee. Il CESE sostiene fortemente la scelta di questo tema, in quanto è di fatto estremamente pertinente nella nostra collaborazione intesa a creare le condizioni quadro più adeguate per uscire dalla crisi pandemica e affrontare sfide globali quali i cambiamenti climatici. Il Comitato ha esaminato in modo approfondito l’argomento nel parere d’iniziativa sul tema Verso un’economia europea più resiliente e sostenibile (1) e nella risoluzione sul Coinvolgimento della società civile organizzata nei piani nazionali per la ripresa e la resilienza — Cosa funziona e cosa no (2)?

1.4.

La previsione strategica è contraddistinta da un’analisi e da una prospettiva d’azione orientate verso il futuro. In quest’ottica, tali attività devono soddisfare tre requisiti di base per poter produrre dei risultati di qualità. In primo luogo, le analisi devono produrre risultati adeguati alla situazione futura che costituisce l’oggetto dell’esame. In secondo luogo, esse dovrebbero basarsi su metodi e processi scientifici e tenere conto del fatto che il futuro non si può osservare né tantomeno misurare empiricamente. In terzo luogo, esse dovrebbero essere efficaci, nel senso di fornire degli orientamenti utili per l’azione politica concreta.

1.5.

La prima relazione 2020 in materia di previsione strategica elaborata dalla Commissione europea non presenta ancora l’intero ciclo di previsione auspicato e non fornisce spiegazioni sul modo in cui si collegherebbe al dispositivo per la ripresa e la resilienza e al processo del semestre europeo. Inoltre, essa omette di chiarire quali delle megatendenze individuate siano le più probabili e pertinenti per l’UE, e pertanto non consente ai responsabili politici di stabilire delle priorità. Questo aspetto deve essere migliorato nelle prossime relazioni. La previsione potrà realizzare gli obiettivi dichiaratamente prefissi solo se consisterà in un esercizio aperto, pluralistico, diversificato e multidisciplinare, in grado di coinvolgere le organizzazioni delle parti sociali e la società civile organizzata, e in particolare il CESE, in tutte le fasi del processo di previsione e di elaborazione di scenari di riferimento con il ricorso ad un insieme di metodi e strumenti per orientare le diverse prospettive al futuro.

1.6.

Quindi se, da un lato, il CESE accoglie con grande favore l’intenzione della Commissione, dall’altro individua degli ambiti in cui è possibile apportare miglioramenti, nella fattispecie l’attuazione della previsione nel quadro del processo decisionale:

rimangono tuttora poco chiare le modalità concrete per integrare pienamente la previsione nella pianificazione pluriennale e nel programma «Legiferare meglio», oltre che nell’ecosistema europeo in materia di valutazione d’impatto (3) o nei lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa;

la relazione 2020 non presenta le valutazioni quantitative necessarie per consentire di classificare le megatendenze e le tematiche strategiche individuate in termini di probabilità e pertinenza, il che complica la definizione delle azioni prioritarie;

il processo di previsione dovrebbe mettere a disposizione un meccanismo permanente di monitoraggio e di controllo, che potrebbe consentire alla società civile di effettuare, ad esempio, delle valutazioni ex post;

la relazione presenta già i temi delle prossime relazioni di previsione, senza tuttavia chiarire il modo in cui il processo di previsione sia stato effettivamente utilizzato per selezionare tali temi, il che appare in contraddizione con il suo obiettivo.

1.7.

Il livello di impegno ad avvalersi della previsione per rafforzare la resilienza europea è piuttosto limitato. In generale, nella relazione la Commissione si limita ad affermare che «può» utilizzare la previsione a livello dell’UE, anziché dichiarare che la utilizzerà realmente. Invece di delineare le modalità concrete di impiego della previsione nel processo decisionale politico, gli strumenti di previsione sono ridotti a mere opzioni alle quali le parti interessate possono ricorrere o meno nei casi concreti di attuazione.

1.8.

Per quanto riguarda le dimensioni della resilienza, ossia l’argomento della relazione 2020,

in molti casi l’aspetto futuro non è trattato in maniera esaustiva, bensì si concentra eccessivamente sulla descrizione della situazione attuale;

manca una visione orientata al futuro per stabilire i progressi da compiere e i tempi necessari per realizzarli, inclusa la definizione di nuovi indicatori di benessere, ad esempio indicatori che vadano «al di là del PIL»;

non è precisato quale sia il metodo per affrontare le vulnerabilità individuate e non vengono presentate soluzioni mirate per evitare l’aggravamento delle condizioni delle persone a rischio di esclusione, ad esempio le persone con disabilità e gli anziani.

1.9.

Le quattro dimensioni summenzionate fungono da base per la definizione del programma delle future attività di previsione. Il CESE raccomanda pertanto che le quattro dimensioni della resilienza si articolino in una serie di sotto-obiettivi specifici che possano essere attuati concretamente e quindi sottoposti, in futuro, a una valutazione periodica. I prossimi temi sull’agenda della previsione strategica sono già stati proposti: si tratta dell’autonomia strategica aperta, del futuro dell’occupazione e delle competenze e dell’approfondimento della duplice transizione verde e digitale. Questi temi derivano da tre delle quattro dimensioni della resilienza. Non è chiaro, tuttavia, come la Commissione sia giunta alla decisione di trattare questi temi né in quale ordine e forma saranno affrontati. È quindi difficile comprendere il motivo per cui sono stati selezionati questi temi piuttosto che altri argomenti, quali, ad esempio, una visione interna orientata verso lo sviluppo dell’UE, l’ascesa del nazionalismo, la futura cooperazione tra gli Stati membri o le questioni di sicurezza. In questo contesto la previsione strategica consente anche di conseguire una maggiore trasparenza.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Lo strumento della previsione strategica, vale a dire l’anticipazione delle tendenze e degli sviluppi, è indispensabile per formulare politiche responsabili. La previsione strategica svolgerà un importante ruolo ausiliare nell’adeguare la definizione delle politiche dell’UE alle esigenze future, garantendo che le iniziative a breve termine siano fondate su una prospettiva a lungo termine. Tale processo è di vitale importanza perché siamo alla soglia di una nuova era, nella quale la previsione orientata all’azione stimolerà il pensiero strategico e darà forma alle politiche ed iniziative dell’UE, tra cui i programmi di lavoro futuri della Commissione.

2.2.

Sebbene sia impossibile prevedere tutto e sebbene gli eventi continueranno a sorprenderci, vi è tuttavia ampio margine per agire, ad esempio la possibilità di mappare le probabilità e preparare coloro che occupano posizioni decisionali a esaminare, comprendere e riconoscere quanto prima i segnali, in particolare quelli legati agli eventi perturbatori. Questo significa anche elaborare piani d’azione, creare catene di comando e canali di comunicazione, definire chiaramente ambiti di responsabilità e funzioni qualora detti eventi si producano. Gli analisti incaricati della previsione spesso ricorrono alle metafore, ad esempio quella del «cigno nero» (un evento del tutto inatteso, che rientra nella categoria delle «incognite sconosciute») o del «rinoceronte grigio» (un evento noto su larga scala che, se si verificasse, avrebbe un impatto enorme ma che viene ignorato o sottovalutato). La pandemia di COVID-19 è un «rinoceronte grigio», dato che vi erano segnali di allarme che indicavano rischi pandemici crescenti a livello globale dovuti agli effetti combinati del degrado ambientale, della globalizzazione e di un’accresciuta connettività. È necessario impiegare tecniche di previsione e di pianificazione che distinguano nettamente tra questi due diversi tipi di shock che hanno un impatto massiccio. A questo proposito, gli istituti di ricerca dell’UE dovrebbero lavorare per migliorare le tecniche di elaborazione di scenari trasversali ai vari settori e non lineari, nonché l’individuazione dei principali rischi emergenti e il riconoscimento delle tendenze iniziali.

2.3.

La resilienza indica la capacità non solo di resistere alle sfide e di farvi fronte, ma anche di trasformarsi in modo sostenibile, equo, inclusivo e democratico. Secondo il CESE, le quattro dimensioni del tema della resilienza, ossia quella «sociale ed economica», quella «geopolitica», quella «verde» e quella «digitale», sono state scelte e sviluppate in maniera adeguata. Il Comitato sottolinea, tuttavia, che le molteplici interazioni tra le quattro dimensioni non possono essere esaminate separatamente ma devono anzi essere affrontate collettivamente nel quadro delle analisi e delle relative misure.

2.4.

Il CESE accoglie con favore la proposta di creare «quadri operativi della resilienza» dotati di indicatori pertinenti per monitorare la situazione attuale e le dimensioni sociale ed economica, geopolitica, verde e digitale degli sviluppi all’interno dell’UE e degli Stati membri. Tuttavia, un quadro operativo che si limita ad esaminare la situazione attuale e a descrivere il presente non costituisce, di per sé, una previsione. Lo diventa solo se vi vengono inseriti degli obiettivi lungimiranti. Il CESE è disposto a sostenere la Commissione in questo processo difficile e complesso, ad esempio attingendo alle proprie competenze e attività.

2.5.

È evidente che occorre sviluppare ulteriormente tali quadri operativi. Attualmente essi rispecchiano il presente e la situazione attuale. Per trasformarli in strumenti utili nel processo di previsione è indispensabile inserirvi un collegamento con una prospettiva orientata al futuro. I quadri operativi possono assumere un significato nel processo di previsione solo se prevedono degli obiettivi, che dovrebbero — di preferenza — essere definiti per i singoli Stati membri. È quindi possibile avvalersi di tali quadri per valutare i progressi compiuti rispetto a un determinato obiettivo e per farne uno strumento di monitoraggio. Il CESE raccomanda poi vivamente di stabilire un collegamento tra i quadri operativi e gli indicatori di competitività attualmente utilizzati nel processo del semestre europeo e nell’ambito della governance economica europea, nonché di collegarli al quadro di valutazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza e dei piani nazionali per la ripresa e la resilienza.

2.6.

Il CESE concorda appieno con la Commissione in merito al ruolo essenziale svolto dalle imprese dell’economia sociale durante la pandemia e alla loro importanza nella costruzione di un’Europa resiliente che avanzi verso il futuro. Per questo il CESE attende con interesse il prossimo piano d’azione per la promozione dell’economia sociale e invita la Commissione a dimostrare ambizione e coraggio nelle proposte che formulerà in questo piano.

2.7.

Tuttavia, se l’intenzione di pervenire a una governance previsionale con gli strumenti forniti dalla previsione strategica è lodevole e presenta un gran numero di aspetti positivi, quali la partecipazione, l’interdisciplinarità e la configurazione come un processo continuo, essa perde gran parte del suo smalto e persino della sua forza quando si esaminano le modalità specifiche relative alla messa in pratica e all’attuazione di questo approccio in rete o a maglie. Attualmente, la relazione presenta una serie di dichiarazioni di intenti sull’inclusione di metodi di previsione nel processo decisionale a livello politico. Per garantire alle parti interessate che le conoscenze acquisite nel processo di previsione siano effettivamente attuate e utilizzate, il CESE ritiene che tale processo dovrebbe proporre un meccanismo di verifica e controllo che consenta, tra l’altro, alla società civile di effettuare delle valutazioni ex post. Questo approccio contribuirà a creare fiducia sia nel processo che nelle intenzioni e limiterà i rischi di «angoli morti» di visibilità nella previsione.

2.8.

La necessità di disporre di meccanismi di controllo e verifica riguarda anche il controllo di qualità, vale a dire il processo volto a stabilire se l’approccio scelto sia adeguato per conseguire gli obiettivi stabiliti. Questo meccanismo di controllo deve essere comprensibile e prevedere dei criteri che permettano di determinare se siano rispettati standard di qualità e all’avanguardia in materia di previsione.

2.9.

Per quanto riguarda il contenuto dei temi selezionati, sarebbe auspicabile operare una netta distinzione tra l’analisi della situazione attuale e la proiezione attesa o auspicata nel futuro. Questo permetterebbe di rendere più trasparenti e comprensibili delle questioni estremamente complesse e diverse tra loro. Le conoscenze acquisite sugli sviluppi futuri potrebbero quindi essere integrate in maniera mirata nei processi di elaborazione delle politiche, in particolare riguardo alle incertezze e ai rischi esistenti che sono sempre insiti nelle recenti analisi del futuro.

2.10.

Prima che il processo si traduca potenzialmente in richieste concrete o addirittura in proposte legislative, il CESE esorta a effettuare una valutazione equilibrata, con un approccio qualitativo e basato su una molteplicità di criteri, che integri, rispettivamente, i benefici attesi, i potenziali oneri aggiuntivi e gli effetti per le imprese, i lavoratori e le parti interessate, tenendo conto in maniera realistica dei rispettivi livelli di capacità (4).

2.11.

Il CESE accoglie molto favorevolmente il nuovo approccio adottato dalla Commissione europea che consiste nell’avviare una previsione strategica sotto forma di un processo annuale, ciclico e continuo. Tuttavia, l’Unione europea non è il primo attore ad occuparsi di questo ambito e dovrebbe pertanto trarre insegnamenti dagli esempi esistenti nonché dalle buone e cattive pratiche. Essa non dovrebbe concentrarsi esclusivamente su un unico metodo, ovvero l’individuazione delle tendenze emergenti (horizon scanning), bensì ricorrere a diverse metodologie esistenti, quali il «metodo Delphi», l’analisi dell’impatto delle tendenze, la previsione normativa o esplorativa, la previsione sia qualitativa che quantitativa o l’approccio «Wild Card», utilizzandole singolarmente o in combinazione tra loro. Si dovrebbe altresì ricorrere in misura molto maggiore alle possibilità offerte dai megadati e dall’intelligenza artificiale (IA) per individuare dinamiche ed elaborare scenari.

2.12.

L’approccio attualmente delineato dalla Commissione europea per realizzare una previsione strategica presenta, tuttavia, un carattere eccessivamente «top-down» (calato dall’alto), e non crea il necessario senso di consapevolezza e di titolarità tra i soggetti interessati. È necessario rimediare a questa situazione, magari attraverso un coinvolgimento strutturale delle parti sociali e di altri soggetti nel processo di previsione strategica, a livello sia europeo che nazionale, ad esempio prendendo come punto di partenza il processo del semestre europeo. La partecipazione delle parti interessate, campi di applicazione tematici diversificati e trasversali nonché un confronto permanente con le problematiche future pertinenti costituiscono dei criteri fondamentali per riuscire a creare un programma di previsione strategica efficace.

2.13.

I programmi di previsione potranno avere successo solo se presenteranno dei collegamenti chiari tra i temi della previsione e l’agenda politica del momento, in modo da permettere a coloro che vi contribuiscono di constatare che il loro apporto viene utilizzato e che ha un’incidenza reale. Su questa base è possibile mettere a punto una visione comune dei rischi e delle sfide, comprendere quali sono le azioni da intraprendere e organizzare il necessario trasferimento di competenze e responsabilità. Una mappatura congiunta dei rischi da parte dei responsabili politici nell’Unione, abbinata a circuiti di feedback e ai necessari adeguamenti in funzione dell’evolversi della situazione, darà un senso e un certo peso al processo. Il CESE invita pertanto la Commissione ad assicurare che i risultati della previsione siano trasparenti, comprensibili e verificabili.

2.14.

Attualmente non tutti gli Stati membri si avvalgono della previsione per elaborare le loro politiche nazionali. È quindi essenziale che la Commissione europea si adoperi per utilizzare al meglio le risorse di cui dispone. Il CESE può dunque fornire contributi e informazioni importanti per il processo di previsione grazie alle competenze dei suoi membri, che rappresentano un’ampia gamma di punti di vista e opinioni provenienti da tutti gli Stati membri. Con la formulazione e la pubblicazione dei suoi pareri il CESE è in grado di individuare rischi sistemici e di lanciare l’allarme al riguardo. I membri del Comitato sono inoltre nella posizione ideale per informare le rispettive comunità in merito alle attività di previsione e per contribuire a comunicare i risultati conseguiti ai cittadini, e pertanto il Comitato può anche dare un notevole contributo all’attuazione del programma «Legiferare meglio».

2.15.

Il CESE invita la Commissione a dare seguito alle sue proposte e riflessioni, a consentire alle parti interessate di utilizzare l’approccio di previsione e a trasformarlo in un elemento obbligatorio nella definizione delle politiche per un’Europa resiliente.

2.16.

Nel contesto istituzionale dell’UE, il Sistema europeo di analisi strategica e politica (European Strategy and Policy Analysis System — ESPAS) è diventato un punto di riferimento e un elemento costitutivo essenziale della cooperazione in materia di previsione. Il CESE ha già lo status di osservatore in seno al Sistema e tale pratica dovrebbe essere mantenuta e integrata garantendo la partecipazione attiva di uno o più rappresentanti di alto livello del CESE alla conferenza annuale dell’ESPAS.

2.17.

Per consentire ai membri del CESE di contribuire in modo più significativo alle attività di previsione condotte dalla Commissione europea, il Comitato chiede che essi siano tempestivamente informati e coinvolti nel processo di previsione, nella relativa programmazione e nel relativo piano di lavoro specifico.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU C 353 del 18.10.2019, pag. 23 e anche l’audizione pubblica organizzata dal CESE sul tema «Verso un’economia europea più resiliente e sostenibile con una visione per il completamento dell’UEM», 12 aprile 2019.

(2)  Risoluzione del CESE sul tema «Coinvolgimento della società civile organizzata nei piani nazionali per la ripresa e la resilienza — Cosa funziona e cosa no?» (GU C 155 del 30.4.2021, pag. 1).

(3)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 11.

(4)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 11.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa a una strategia in materia di pagamenti al dettaglio per l’UE»

[COM(2020) 592 final]

(2021/C 220/10)

Relatore:

Antonio GARCÍA DEL RIEGO

Correlatore:

Kęstutis KUPŠYS

Consultazione

Commissione europea, 11.11.2020

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea,

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

2.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

268/2/8

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

I pagamenti assumono un ruolo di punta nella digitalizzazione dei servizi finanziari, e disporre di metodi di pagamento agevoli è essenziale per imprenditori e commercianti, in quanto consente loro di avviare e far crescere le proprie attività con successo. La COVID-19 ha accelerato la tendenza a effettuare pagamenti senza contante e nell’ambito del commercio elettronico, e ha reso maggiormente necessaria per i dettaglianti l’adozione di strumenti omnicanale per accettare pagamenti offline, online e basati su dispositivi mobili. L’adozione di tali strumenti, che richiede investimenti in sistemi informatici e hardware, rappresenta un onere aggiuntivo in particolare per i piccoli e medi dettaglianti.

1.2.

Il Comitato condivide l’opinione della Commissione secondo cui i pagamenti rivestono un’importanza strategica ed è necessario adoperarsi ulteriormente per consentire operazioni di pagamento all’interno del mercato unico utilizzando nuove soluzioni di pagamento sviluppate nel nostro continente e di carattere paneuropeo. Il Comitato appoggia l’idea che la Commissione debba fungere da catalizzatore politico e che sia il settore privato a dover progettare le soluzioni di pagamento digitali innovative.

1.3.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che il contante continua a essere il mezzo di pagamento preferito dei consumatori per le operazioni al dettaglio presso il punto vendita e fra privati; inoltre, esso è di cruciale importanza per l’inclusione sociale e l’accesso ai servizi di base.

1.4.

Il Comitato è favorevole all’idea che l’euro digitale debba essere complementare alle passività esistenti della banca centrale, che non debba mirare a escludere il settore privato, che quest’ultimo debba fare la sua parte nel distribuire soluzioni relative all’euro digitale e che i diritti e gli obblighi degli utenti debbano essere definiti con chiarezza. Occorrerebbe considerare con attenzione l’aspetto della riservatezza delle operazioni, in quanto è un importante diritto dell’utente, nonché altre caratteristiche, analoghe a quelle del contante.

1.5.

Il CESE chiede alla Commissione di:

1.5.1.

ordinare per priorità azioni e sforzi, dato il gran numero di «azioni principali» individuate nella strategia;

1.5.2.

ridurre le attuali incertezze in merito a un modello di business sostenibile per i pagamenti istantanei;

1.5.3.

considerare prematuro qualsiasi intervento legislativo nel settore degli strumenti di pagamento. Il Comitato ritiene preferibile che siano gli attori del mercato a sviluppare prodotti adeguati per i clienti e che l’intervento legislativo sia preso in considerazione soltanto se non si trova alcuna soluzione adatta;

1.5.4.

garantire la piena applicazione del regolamento SEPA da parte degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda l’articolo 9, di cui si constata fin troppo spesso l’inosservanza (la cosiddetta discriminazione dell’IBAN) da parte di pagatori o beneficiari, mentre i consumatori europei dovrebbero poter utilizzare un unico conto di pagamento per i bonifici in euro e dovrebbero poter effettuare bonifici bancari transfrontalieri in euro all’interno dello spazio SEPA con la stessa facilità di un bonifico nazionale;

1.5.5.

concentrare gli sforzi sull’interoperabilità fra le soluzioni di identità elettronica esistenti e nascenti; è dell’avviso che il settore privato, insieme alle autorità, dovrebbe essere posto in condizioni più favorevoli per creare soluzioni di identità elettronica, da usare in parte per effettuare un’autenticazione forte del cliente per le operazioni di pagamento; È necessaria un’identità elettronica pubblica accettata universalmente, basata sulla scelta dei consumatori, sul loro consenso e sulla garanzia del pieno rispetto della loro riservatezza;

1.5.6.

armonizzare l’accettazione del contante a livello dell’UE, dal momento che attualmente essa varia notevolmente da un paese all’altro;

1.5.7.

estendere la condivisione di dati fra diversi settori, con disposizioni che coprano tutti i prestatori di servizi finanziari in linea con i principi del regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) (1) al fine di offrire ulteriori benefici per i consumatori europei, dato che ciò può promuovere un settore finanziario innovativo e competitivo;

1.5.8.

proporre una legislazione tesa a garantire un diritto di accesso a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie alle tecnologie infrastrutturali ritenute necessarie per sostenere la prestazione di servizi di pagamento.

1.6.

Il CESE ritiene che gli attori del mercato pertinenti debbano essere soggetti a una disciplina, vigilanza e sorveglianza adeguate, che garantiscano parità di condizioni fra coloro che offrono gli stessi servizi e svolgono le stesse attività.

1.7.

Il Comitato comprende la necessità di garantire un ecosistema dei pagamenti aperto e accessibile e di valutare l’opportunità di includere gli istituti di pagamento e di moneta elettronica nell’ambito di applicazione della direttiva sul carattere definitivo del regolamento.

1.8.

Il CESE accoglie con favore le azioni proposte che mirano a garantire l’impegno a ridurre il costo globale medio delle rimesse a meno del 3 % entro il 2030, ed esorta la Commissione a svolgere un ruolo attivo nel monitorare e garantire il sostegno alle azioni pertinenti, definite nella tabella di marcia per la promozione dei pagamenti transfrontalieri del Consiglio per la stabilità finanziaria.

2.   Strategia della Commissione

2.1.

Nella sua comunicazione del dicembre 2018, la Commissione sostiene «un sistema di pagamento istantaneo pienamente integrato nell’UE, allo scopo di ridurre i rischi e le vulnerabilità dei sistemi di pagamento al dettaglio e di aumentare l’autonomia delle attuali soluzioni di pagamento» (2).

2.2.

L’innovazione digitale sta ridefinendo radicalmente l’erogazione dei servizi finanziari. Con la digitalizzazione, e con il mutare delle preferenze dei consumatori, le operazioni senza contante sono in rapido aumento (3). La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente accelerato il passaggio ai pagamenti digitali e ha confermato l’importanza vitale di pagamenti sicuri, accessibili e pratici (anche senza contatto) per le operazioni effettuate a distanza e di persona.

2.3.

Negli ultimi anni si sono registrati miglioramenti sostanziali, grazie soprattutto allo sviluppo dell’area unica dei pagamenti in euro (SEPA) e all’armonizzazione della legislazione sui pagamenti al dettaglio. Tuttavia, nell’UE il mercato dei pagamenti rimane in larga misura frammentato lungo i confini nazionali, poiché la maggior parte delle soluzioni di pagamento nazionali basate su carte o pagamenti istantanei non funziona a livello transfrontaliero. Il dinamismo del panorama europeo dei pagamenti dimostra, in ogni caso, che sussiste il rischio di incoerenze, il che richiede un quadro di «governance» chiaro a sostegno della strategia europea per i pagamenti al dettaglio.

2.4.

La Commissione mira a realizzare un mercato dei pagamenti altamente competitivo, a vantaggio di tutti gli Stati membri, indipendentemente dalla valuta utilizzata, in cui tutti i partecipanti al mercato siano in grado di competere a condizioni eque e paritarie per offrire soluzioni di pagamento innovative, nel pieno rispetto degli impegni internazionali dell’UE.

2.5.

Dato che i pagamenti sono in prima linea nell’innovazione digitale della finanza, l’attuazione di tale strategia contribuirà alla più ampia visione della Commissione per la finanza digitale e ai suoi obiettivi di eliminare la frammentazione del mercato, promuovere l’innovazione basata sul mercato nel settore della finanza e affrontare le nuove sfide e i nuovi rischi associati alla finanza digitale, garantendo nel contempo la neutralità tecnologica.

2.6.

Tale strategia viene quindi presentata accanto alla strategia in materia di finanza digitale per l’UE (4) e alle due proposte legislative su un nuovo quadro dell’UE per accrescere la resilienza operativa digitale (5) e per i mercati delle cripto-attività (6). È inoltre complementare alla strategia aggiornata per i pagamenti al dettaglio presentata dalla BCE/Eurosistema nel novembre del 2019 (7).

3.   Osservazioni generali

3.1.

I servizi finanziari digitali sono sempre più importanti per le imprese e i consumatori europei. La pandemia di COVID-19 non ha che accresciuto l’importanza della digitalizzazione nelle società, anche nei servizi finanziari. I pagamenti assumono un ruolo di punta nella digitalizzazione dei servizi finanziari, e disporre di metodi di pagamento agevoli è essenziale per imprenditori e commercianti, in quanto consente loro di avviare e far crescere le proprie attività con successo. La COVID-19 ha accelerato la tendenza a effettuare pagamenti senza contante e nell’ambito del commercio elettronico, e ha reso maggiormente necessaria per i dettaglianti l’adozione di strumenti omnicanale per accettare pagamenti offline, online e basati su dispositivi mobili. L’adozione di tali strumenti richiede investimenti in sistemi informatici e hardware, il che rappresenta un onere aggiuntivo in particolare per i piccoli e medi dettaglianti.

3.2.

Il CESE accoglie con favore il sostegno della Commissione alla modernizzazione e alla semplificazione dei dispositivi per l’accettazione dei pagamenti usati dai commercianti dell’UE, fornito offrendo loro possibilità di finanziamento e formazione. In proposito è importante evidenziare il ruolo chiave svolto dalle PMI nell’economia europea. Si tratta di un settore cruciale, poiché le PMI rappresentano circa il 90 % delle imprese europee e oltre il 50 % dei posti di lavoro. Le piccole e medie imprese possono contribuire a una ripresa economica forte.

3.3.

Il Comitato condivide l’opinione della Commissione secondo cui i pagamenti rivestono un’importanza strategica, e il fatto che continuino a mancare soluzioni di pagamento digitali di carattere paneuropeo, che possano essere utilizzate in tutta Europa, comporta il rischio di un’ulteriore frammentazione del mercato, mentre gli operatori globali dominano l’intero mercato dei pagamenti transfrontalieri intraeuropei. Pertanto, anche se i consumatori e le imprese europei hanno già accesso a soluzioni e strumenti di pagamento efficienti, competitivi e innovativi, è necessario adoperarsi ulteriormente per consentire operazioni di pagamento all’interno del mercato unico che utilizzino nuove soluzioni di pagamento sviluppate nel nostro continente e di carattere paneuropeo. Il Comitato appoggia l’idea che la Commissione debba fungere da catalizzatore politico e che sia il settore privato a dover progettare le soluzioni di pagamento digitali innovative.

3.4.

Il CESE è fermamente convinto che le soluzioni di pagamento istantaneo sono fondamentali. Tuttavia, invita la Commissione a ordinare chiaramente per priorità azioni e sforzi, dato il gran numero di «azioni principali» individuate nella strategia. Affinché alcune azioni principali e gli obiettivi generali della strategia per i pagamenti al dettaglio, in particolare quello di soluzioni di pagamento paneuropee e sviluppate nel nostro continente, possano concretizzarsi, saranno necessari sforzi notevoli da parte dell’industria. Il Comitato ritiene che qualsiasi requisito supplementare e progetto normativo in materia debba essere valutato con attenzione.

3.5.

Il CESE invita la Commissione a prestare particolare attenzione ai livelli di frode dei pagamenti istantanei e a prendere, se necessario, provvedimenti adeguati.

3.6.

Il CESE ribadisce l’urgente necessità di migliorare le competenze e l’alfabetizzazione digitali attraverso l’istruzione e la formazione. Ciò deve avvenire in parte attingendo al quadro europeo delle competenze digitali e incoraggiando gli Stati membri a migliorare l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita per le competenze che saranno maggiormente richieste, a tutti i livelli di istruzione. L’obiettivo è quello di consentire ai cittadini di diventare soggetti ben informati in materia di dati, di acquisire una maggiore consapevolezza e un maggiore controllo dei loro dati, delle applicazioni di big data e della governance dei dati e di comprendere l’ambiente digitale nel quale si muovono e i relativi rischi (ad esempio, in rapporto alla personalizzazione).

3.7.

Il Comitato desidera impedire che i consumatori finiscano per essere «disconnessi» ed esposti all’esclusione finanziaria a causa di una carenza di strumenti o competenze digitali, che è un rischio evidente fra i sempre più numerosi anziani che vivono in Europa.

4.   Osservazioni particolari

Pilastro 1: soluzioni di pagamento sempre più digitali e istantanee di portata paneuropea

4.1.

Il CESE sostiene con vigore gli sforzi volti a dotare il mercato dei pagamenti europeo di varie soluzioni di pagamento sviluppate nel nostro continente e di carattere paneuropeo. Esse dovrebbero apportare un valore aggiunto per i consumatori e le imprese come utenti finali, dovrebbero consentire agli attori del mercato europeo di competere meglio con gli attori che già adesso dominano il mercato e con quelli che stanno emergendo e quindi potenzialmente dominanti, come le grandi imprese tecnologiche («BigTech»), e rafforzerebbero il ruolo internazionale dell’euro. Data l’attuale situazione di mercato e la posizione ben consolidata degli attuali attori del mercato delle carte, la creazione di tali soluzioni di pagamento paneuropee sarebbe un’iniziativa importante per il settore dei pagamenti europeo.

4.2.

Il CESE sostiene l’idea di valutare la possibilità di utilizzare gli addebiti diretti in tutta Europa per i pagamenti nei negozi. Il modello di addebito diretto elettronico (ELV), ampiamente diffuso in Germania, potrebbe essere esteso; ciò esporrebbe alcuni circuiti di carte dominanti sul mercato a una concorrenza basata sull’addebito diretto (addebito diretto SEPA).

4.3.

Al fine di consentire lo sviluppo di soluzioni di pagamento paneuropee basate sui pagamenti istantanei, è essenziale che il modello di business sia chiaro agli attori del mercato; in caso contrario, non ci si può aspettare che vengano prese decisioni di investimento. Il Comitato chiede alla Commissione di ridurre le attuali incertezze per quanto riguarda un modello di business sostenibile per i pagamenti istantanei.

4.4.

Per quanto riguarda il numero dei prestatori di servizi di pagamento che offrono pagamenti istantanei denominati in euro e iscritti al circuito «SEPA Credit Transfer Inst» (SCT Inst), vi è già una buona copertura dei prestatori di servizi di pagamento, in particolare nella zona euro. Tuttavia, ciò non è ancora sufficiente per ottenere la piena copertura dei servizi di pagamento. Il mercato sta cercando di aumentare i livelli di adesione dei prestatori di servizi di pagamento e di ampliare la copertura e l’erogazione di bonifici istantanei denominati in euro. Il Comitato è a favore di misure che volte ad affrontare, fra l’altro, una serie di questioni poste dal diffondersi dell’uso del circuito SCT Inst, come quelle relative all’adesione al circuito e all’interoperabilità, nonché alla tutela dei consumatori.

4.5.

Il CESE concorda con la Commissione nel ritenere che le soluzioni per gli utenti finali dovrebbero essere interoperabili e accessibili, creare valore aggiunto e rispondere alle esigenze di un’ampia gamma di utenti, oltre ad avere caratteristiche equivalenti a quelle di altri strumenti di pagamento corrispondenti. Il Comitato ritiene prematuro prendere in considerazione qualsiasi intervento legislativo in questo campo, e preferibile lasciare che siano gli attori del mercato, spinti dalla concorrenza esistente su di esso, a sviluppare prodotti adeguati per i consumatori, mentre un intervento legislativo andrebbe contemplato soltanto qualora non si trovi alcuna soluzione adatta.

4.6.

Il CESE concorda pienamente con la Commissione in merito alla necessità di garantire la piena attuazione del regolamento SEPA da parte degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda l’articolo 9, di cui si constata fin troppo spesso l’inosservanza (la cosiddetta discriminazione dell’IBAN) da parte di pagatori o beneficiari. A norma dell’articolo 9, infatti, i consumatori dell’UE dovrebbero poter utilizzare un unico conto di pagamento per i bonifici in euro e dovrebbero poter effettuare bonifici bancari transfrontalieri in euro all’interno dello spazio SEPA con la stessa facilità di un bonifico nazionale, mentre ad oggi molti operatori continuano a rifiutare le richieste di addebito diretto transfrontaliero di clienti che hanno IBAN non nazionali, o addirittura bonifici di credito SEPA verso IBAN non nazionali. Si tratta di un notevole ostacolo al mercato unico, che limita la capacità dei clienti di accedere a servizi transfrontalieri. Gli Stati membri dovrebbero essere chiamati ad adottare una politica più rigorosa riguardo all’applicazione il regolamento SEPA, che è in vigore dal 2014.

4.7.

Le soluzioni di identità elettronica (e-ID) sono una parte essenziale dei servizi digitali, compresi quelli finanziari; il regolamento eIDAS è stato il primo passo per consentire il riconoscimento e l’uso transfrontalieri dei regimi di identificazione elettronica riconosciuti a livello nazionale. È tuttavia evidente che l’attuale quadro eIDAS non è sufficiente e non può conseguire i risultati necessari. È necessaria un’identità elettronica accettata universalmente, basata sulla scelta dei consumatori, sul loro consenso e sulla garanzia del pieno rispetto della loro riservatezza. Il Comitato esorta la Commissione a concentrare gli sforzi sull’interoperabilità fra le soluzioni esistenti e nascenti, e reputa che il settore privato, insieme alle autorità come già avviene nei paesi nordici, debba essere posto in condizioni più favorevoli per creare soluzioni di identità elettronica, da usare in parte per effettuare un’autenticazione forte del cliente per le operazioni di pagamento.

4.8.

Un’accettazione diffusa dei pagamenti digitali è una componente essenziale di un mercato dei pagamenti moderno. Il CESE appoggia le misure intese a valutare il livello di accettazione dei mezzi di pagamento digitali da parte dei commercianti e a trovare modi per aumentare e facilitare tale accettazione, in particolare da parte delle PMI e dei commercianti più piccoli. Per la società nel suo insieme, è essenziale preservare l’accesso al contante e garantirne l’accettazione. Tuttavia, lo stesso vale per i mezzi di pagamento digitale, in quanto i consumatori dovrebbero poter scegliere.

4.9.

Il Comitato fa notare che il contante continua ad essere lo strumento di pagamento preferito dai consumatori per i pagamenti al dettaglio presso il punto vendita o tra persone, come dimostrato dallo studio «SPACE» recentemente pubblicato dalla Banca centrale europea (8). Le caratteristiche del contante differiscono notevolmente da quelle dei pagamenti digitali. Il denaro contante è l’unico strumento di pagamento che tutela la riservatezza ed è l’unico tipo di denaro pubblico di cui la banca centrale è responsabile. Se tutti i dispositivi elettrici ed elettronici dovessero smettere di funzionare (una sorta di «coronavirus digitale»), il contante rimarrebbe l’unica soluzione come mezzo di pagamento nell’economia. Inoltre, il contante è di cruciale importanza per l’inclusione sociale nonché per l’accesso a determinati servizi di base. La Commissione e la BCE dovrebbero esaminare con estrema attenzione le questioni dell’accesso al contante e della sua accettazione, adottando, ove necessario, misure appropriate.

4.10.

Una delle conseguenze della crisi della COVID-19 è che molti dettaglianti hanno deciso (temporaneamente) di non accettare il contante. Come indicato dalla Commissione, il corso legale del contante è garantito dai Trattati. L’evoluzione dell’uso del denaro contante dovrebbe essere guidata dalla domanda. Le norme sull’accettazione del contante differiscono da un paese all’altro; è necessaria un’armonizzazione a livello europeo.

4.11.

Dati gli sviluppi in corso, è comprensibile che la BCE stia studiando l’eventuale emissione di un euro digitale e che la Commissione stia appoggiando i suoi sforzi in questo senso. L’impatto di un euro digitale potrebbe essere senza precedenti e dovrebbe essere valutato con grande attenzione. Il CESE è favorevole ai principi portati avanti dalla BCE, secondo cui l’euro digitale dovrebbe essere complementare alle passività esistenti della banca centrale e non dovrebbe mirare a escludere il settore privato, il quale dovrebbe fare la sua parte nel distribuire soluzioni relative all’euro digitale, e i diritti e gli obblighi degli utenti dovrebbero essere definiti con chiarezza. Occorrerebbe considerare con attenzione l’aspetto della riservatezza delle operazioni, in quanto è un importante diritto dell’utente, nonché altre caratteristiche, analoghe a quelle del contante. Lo stesso approccio dovrebbe valere per qualsiasi iniziativa di valuta digitale della banca centrale (CBDC) negli Stati membri dell’UE, al di fuori dell’eurozona.

Pilastro 2: mercati innovativi e competitivi dei pagamenti al dettaglio

4.12.

L’attuazione della seconda direttiva sui servizi di pagamento (PSD2) (9) rappresenta uno sforzo importante per il settore dei servizi di pagamento ed è in parte ancora in corso. La PSD2 ha introdotto due importanti novità: l’introduzione dell’autenticazione forte del cliente e l’accesso di un prestatore terzo ai conti di pagamento. In alcuni casi, in particolare per quanto riguarda l’autenticazione forte del cliente per le operazioni nell’ambito del commercio elettronico, il termine ultimo fissato per l’attuazione era la fine del 2020. Il CESE chiede alla Commissione di esaminare nel dettaglio l’impatto di tale direttiva prima di proporne un riesame.

4.13.

Il Comitato è a favore di interventi volti a sviluppare un quadro in materia di «finanza aperta» per l’Europa. La finanza aperta ha il potenziale per offrire ulteriori benefici per i consumatori europei, in quanto può promuovere un settore finanziario innovativo e competitivo. Il CESE ritiene che un quadro ampio in materia di finanza aperta non si possa basare sugli stessi principi della PSD2, dato che tale direttiva si applica unicamente ai conti di pagamento e ai fornitori di servizi di pagamento e prevede una condivisione di dati unilaterale da una parte del mercato. È necessario un testo specifico che si applichi a tutti i fornitori di servizi finanziari, in linea con i principi del regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) (10) e occorre valutare la possibilità di estendere la condivisione di dati a diversi settori. La comunicazione relativa a una strategia in materia di finanza digitale (11) indica che la Commissione presenterà tale proposta entro la metà del 2022.

4.14.

I pagamenti senza contatto sono diventati sempre più diffusi e rivestono una particolare importanza nell’attuale contesto della pandemia di COVID-19. Nella maggior parte dei paesi il limite massimo dell’importo dei pagamenti senza contatto è stato innalzato durante le prime fasi della pandemia, in molti casi fino al massimo consentito dalla PSD2 (50 EUR per operazione e 150 EUR complessivi), in risposta alle richieste rivolte in particolare dalle categorie dei commercianti. Qualsiasi modifica a tali importi massimi previsti dalla legge nell’ambito del riesame della PSD2 dovrebbe essere valutata con attenzione per trovare un equilibrio fra la facilità d’uso e le considerazioni in materia di sicurezza e responsabilità.

4.15.

Il CESE concorda con la Commissione nel ritenere che, nell’ambito del riesame della PSD2, i rischi derivanti dai servizi attualmente non regolamentati dovrebbero essere presi in considerazione nel definire il campo di applicazione della normativa. I prestatori di tali servizi, che svolgono una funzione ausiliaria alla prestazione di servizi di pagamento o di denaro elettronico regolamentati, restano infatti al di fuori del perimetro regolamentato, pur essendo attori rilevanti sul mercato. Il CESE è dell’avviso che, qualora siano molto rilevanti per le dinamiche di mercato e siano percepiti dai clienti come prestatori di un servizio di pagamento, anche tali attori dovrebbero essere soggetti a disciplina e vigilanza in quanto prestatori di servizi di pagamento. È importante che tutti gli attori del mercato pertinenti siano soggetti a una disciplina, vigilanza e sorveglianza adeguate, che garantiscano parità di condizioni fra coloro che offrono gli stessi servizi e le stesse attività.

Pilastro 3: sistemi di pagamento al dettaglio efficienti e interoperabili e altre infrastrutture di sostegno

4.16.

Il CESE comprende la necessità di garantire un ecosistema di pagamento aperto e accessibile e di valutare, in sede di riesame della direttiva sul carattere definitivo del regolamento (12), se sia utile ampliare l’ambito di applicazione di tale direttiva per includervi gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica, in modo da consentire loro un accesso diretto ai sistemi e alle infrastrutture di pagamento quali il TARGET2 e il TARGET Instant Payment System (TIPS). Il CESE pone l’accento sulla necessità di salvaguardare la sicurezza e l’integrità dei grandi sistemi di pagamento. Ciò risulterà ancora più importante qualora l’ambito di applicazione della direttiva sia ampliato in sede di riesame della PSD2 per includervi operatori del mercato attualmente non contemplati dalla legislazione, quali i prestatori di servizi tecnici. Ancora una volta, ciò pone in evidenza la necessità di garantire che tutte le parti abbiano accesso alle stesse condizioni, su una base di parità.

4.17.

Il CESE appoggia pienamente l’obiettivo della Commissione di proporre una normativa tesa a garantire un diritto di accesso a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie alle tecnologie infrastrutturali ritenute necessarie per sostenere la prestazione di servizi di pagamento. Attualmente l’accesso ad alcune importanti tecnologie a sostegno della prestazione di servizi di pagamento, come l’antenna NFC (Near Field Communication) su taluni dispositivi mobili, è soggetto a restrizioni, il che ha l’effetto di limitare la concorrenza nel campo dei pagamenti mobili senza contatto, obbligando le banche a pagare una tassa a terzi semplicemente per consentire a un consumatore di utilizzare una tecnologia (come la NFC) per i loro pagamenti quotidiani. Tali tasse pagate dalle banche in alcuni casi possono essere addebitate successivamente al consumatore. Sebbene in alcuni Stati membri la questione sia già stata affrontata, è importante sollevarla a livello europeo per permettere a tutti i cittadini dell’UE di trarre beneficio da una maggiore concorrenza in questo campo, per consentire la parità di condizioni fra i prestatori di servizi di pagamento e per rendere più diffusa l’adozione di pagamenti mobili senza contatto. La normativa in questione dovrebbe garantire che tutti i partecipanti abbiano gli stessi diritti e obblighi e siano soggetti agli stessi requisiti di legge, in particolare ma non solo per quanto riguarda il rilascio delle licenze.

Pilastro 4: pagamenti internazionali efficienti, anche per le rimesse

4.18.

Il CESE concorda sull’importanza di migliorare i pagamenti transfrontalieri globali e le azioni individuate dalla Commissione, come la promozione dell’adozione delle norme internazionali globali per i pagamenti, quali l’iniziativa globale per i pagamenti (Global Payment Initiative — GPI) della Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie mondiali (SWIFT) e la norma ISO 20022, che migliora i pagamenti transfrontalieri attraverso la rete bancaria corrispondente.

4.19.

Le rimesse continuano a essere il tipo di pagamento più costoso. Il CESE accoglie con favore le azioni proposte intese a garantire l’impegno a ridurre il costo medio globale delle rimesse a meno del 3 % entro il 2030, ed esorta la Commissione a svolgere un ruolo attivo nel monitorare e nel garantire sostegno alle azioni pertinenti, definite nella tabella di marcia per la promozione dei pagamenti transfrontalieri del Consiglio per la stabilità finanziaria. Gli oneri in questione possono danneggiare in modo sproporzionato coloro che si trovano in condizioni finanziarie svantaggiate. La concorrenza e i progressi tecnologici hanno già contribuito a migliorare l’accesso a mezzi più rapidi e meno costosi per effettuare le rimesse transfrontaliere, ma resta ancora molto da fare. Per gli operatori delle rimesse che lavorano verso/da paesi del vicinato europeo, un migliore accesso alle infrastrutture di pagamento con sede in Europa potrebbe fornire una base per una riduzione dei costi.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1.

(2)  COM(2018) 796 final.

(3)  Secondo la BCE, nel 2018 i pagamenti senza contante hanno rappresentato 91 miliardi di operazioni nella zona euro e 112 miliardi nell’UE, mentre nel 2017 ammontavano a circa 103 miliardi.

(4)  COM/2020/591 final.

(5)  COM(2020) 595 final.

(6)  COM/2020/593 final.

(7)  https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2019/html/ecb.sp191126~5230672c11.en.html

(8)  Study on the payment attitudes of consumers in the euro area (SPACE) (Studio sulle consuetudini di pagamento dei consumatori della zona euro), dicembre 2020.

(9)  GU L 337 del 23.12.2015, pag. 35.

(10)  GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1.

(11)  COM(2020) 591 final.

(12)  GU L 166 dell'11.6.1998, pag. 45.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/79


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un nuovo SER per la ricerca e l’innovazione»

[COM(2020) 628 final]

(2021/C 220/11)

Relatore:

Paul RÜBIG

Consultazione

Commissione europea, 11.11.2020

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

2.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

254/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la nuova visione per l’agenda per lo Spazio europeo della ricerca (SER) e il suo rinnovo. Il nuovo SER, lungi dall’essere una «versione ampliata» della stessa cosa, costituisce un vero e proprio «New Deal» per la ricerca, la tecnologia e l’innovazione (RTI) dell’UE.

1.2.

Il CESE accoglie molto favorevolmente l’attenzione data alla rapida trasposizione dei risultati della ricerca e innovazione (R&I) in attività economiche sostenibili, così come indicato nel documento. Tutelare un processo di transizione giusta è uno dei fattori più importanti per garantire che la R&I sostenga l’economia e l’occupazione nell’Unione europea.

1.3.

Il CESE è risolutamente a favore di una nuova governance nel settore della ricerca che elimini gli ostacoli amministrativi e normativi all’innovazione.

1.4.

Il Comitato accoglie con favore il fatto che il nuovo documento sul SER sia complessivamente in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite e li sostenga. Pur promuovendo la transizione verso un’economia europea più resiliente, è essenziale garantire una ripresa inclusiva che non lasci indietro alcun cittadino europeo nel processo di transizione verso un’economia europea sostenibile (1).

1.5.

Il CESE desidera sottolineare l’importanza di combinare tra loro in modo intelligente gli strumenti di ricerca e sviluppo (R&S) a tutti i livelli (regionale, nazionale, dell’UE e globale). La ricerca, lo sviluppo e l’innovazione dovrebbero essere promossi anche utilizzando gli ingenti fondi strutturali dell’UE, nonché attraverso misure dirette e indirette in materia di R&S, quali ad esempio gli incentivi fiscali.

1.6.

Il CESE ritiene che i seguenti settori e tecnologie chiave siano da considerare essenziali per la prosperità dell’UE:

modelli imprenditoriali digitali;

tecnologie per la produzione di beni e prodotti alimentari;

ricerca clinica, settore farmaceutico e delle biotecnologie;

tecnologie spaziali;

acqua pulita e servizi igienico-sanitari.

1.7.

Il Comitato insiste sulla notevole importanza della ricerca nel campo delle scienze sociali e umane ai fini del complesso rinnovamento dell’agenda del SER.

1.8.

Il CESE desidera sottolineare che la ricerca svolta nell’UE è in ritardo per quanto riguarda i risultati registrati in materia di brevetti. L’Asia ha aumentato la sua quota nelle domande di brevetto a livello mondiale: nel 2019, ha infatti presentato il 65 % delle domande di brevetto globali. La quota europea dei brevetti è diminuita e al momento rappresenta solo l’11,3 % delle domande di brevetto presentate in tutto il mondo.

1.9.

Numerosi studi hanno dimostrato che l’UE è in ritardo rispetto agli Stati Uniti e all’Asia nella cultura imprenditoriale, un tema, questo, che deve essere trattato nell’ambito dell’istruzione, compresa l’istruzione superiore. La cultura imprenditoriale deve dunque rivestire un ruolo importante in tutte le fasi del processo, dall’innovazione nella ricerca di base e nella ricerca applicata fino alla commercializzazione di una nuova tecnologia.

1.10.

Il Consiglio europeo per l’innovazione (CEI) e l’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (EIT), con le relative comunità della conoscenza e dell’innovazione (CCI), sono considerati partner e strumenti preziosi in questo sforzo volto ad «accelerare la traduzione della R&I in termini economici» e a riorientare le attività di base della ricerca e innovazione dell’UE verso la generazione di innovazioni pionieristiche che rispondano a esigenze concrete dei cittadini e delle imprese, in particolare in relazione alle principali sfide di natura socioculturale. L’acceleratore del CEI mette a disposizione fondi UE consistenti a favore di start-up europee con un elevato potenziale di crescita, mentre l’obiettivo fondamentale dell’EIT è per definizione quello di raggiungere l’eccellenza nella ricerca di innovazioni indotte dalla tecnologia nell’ambito delle proprie comunità della conoscenza e dell’innovazione (CCI); pertanto, sia l’EIC che l’EIT sono partner importanti per riuscire ad accelerare la trasposizione della R&I nell’economia.

1.11.

Il CESE sottolinea che occorre integrare i principi di integrità scientifica ed etica, così da evitare danni alla salute umana, perdite di risorse finanziarie e insuccessi scientifici.

1.12.

L’Europa è particolarmente indietro rispetto agli USA e all’Asia per quanto riguarda la rapidità di traduzione dei risultati della R&S in prodotti e servizi innovativi. Il CESE incoraggia pertanto la Commissione a puntare, nella sua politica di RTI, all’«eccellenza» e alla «rapidità» allo stesso tempo.

1.13.

Il CESE raccomanda alla Commissione di mirare, nella sua nuova strategia per la ricerca e l’innovazione, alla creazione di un insieme ben equilibrato composto da:

R&S/R&I nel campo della produzione industriale ad alta tecnologia nonché nell’industria dei servizi;

innovazioni stimolate dal mercato (innovazione orientata dalla domanda) e innovazioni indotte dalla tecnologia.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE accoglie con favore il fatto che una nuova visione per l’agenda per il SER e il suo rinnovo siano elementi essenziali del documento, il quale dimostra così che il nuovo SER, lungi dall’essere una «versione ampliata» della stessa cosa, costituisce un vero e proprio «New Deal» per la ricerca, la tecnologia e l’innovazione (RTI) dell’UE. Un aspetto fondamentale del «New Deal» consiste nell’obiettivo di ottenere che l’innovazione incida in misura molto più forte sull’economia e sulla società. Con questo «New Deal» l’UE a 27 si impegna risolutamente ad arrestare il processo attuale che la vede perdere terreno rispetto a Cina e Corea del Sud per quanto riguarda sia la ricerca di base che la ricerca applicata, le domande di brevetto, nonché i prodotti e i servizi ad alta tecnologia. Il «New Deal» intende istruire e formare ancora meglio i cittadini europei alla R&S, all’innovazione e all’imprenditorialità di qualsiasi tipo, liberando così pienamente le capacità di innovazione della società europea.

2.2.

Il CESE si compiace dell’approccio della Commissione europea volto ad aumentare l’impatto dell’innovazione sull’economia e sulla società e sottolinea che la società civile organizzata è un catalizzatore dell’innovazione sociale. Oggi la partecipazione della società civile è più necessaria che mai e un’autentica innovazione sociale è possibile solo con il coinvolgimento della società civile organizzata (2).

2.3.

Negli ultimi vent’anni, l’Asia, in particolare la Cina e la Corea, ha notevolmente migliorato le sue prestazioni in materia di ricerca, tecnologia e innovazione. La Cina non solo ha aumentato la sua quota di spesa per la ricerca e sviluppo dallo 0,55 % (1995) al 2,2 % (2018), ma ha anche superato l’UE per quanto riguarda la quota di bilancio totale destinata alla R&S, con una spesa di 496 miliardi di USD nel 2017, contro i 430 miliardi di USD spesi dall’UE. Secondo il quadro di valutazione degli investimenti industriali in R&S nell’UE del 2020, dal 2018 al 2019 le aziende europee hanno incrementato la ricerca e lo sviluppo del 5,6 %, le aziende statunitensi del 10,8 % e quelle cinesi del 21,0 %.

2.4.

Le relazioni del quadro di valutazione della scienza, della tecnologia e dell’industria dell’OCSE mostrano, tra le altre cose, il particolare ritardo dell’UE nelle imprese di servizi digitali e nelle cosiddette innovazioni spinte da progressi tecnologici. Il CESE sostiene un percorso europeo di digitalizzazione grazie alla capacità di cogliere le opportunità per l’economia tutelando nel contempo i valori socioculturali e i diritti fondamentali. Il Comitato apprezza molto il fatto che la Commissione metta le persone al centro di tutte le sue iniziative nell’ottica di sviluppare un approccio europeo al progresso (3).

2.5.

Promuovere lo sviluppo di innovazioni pionieristiche (4) tutelando nel contempo un processo di transizione giusta è una delle sfide principali del prossimo futuro.

2.6.

Il CESE è pienamente favorevole a concentrarsi chiaramente sulla «duplice transizione», vale a dire la transizione digitale e il Green Deal europeo.

2.7.

Il CESE accoglie positivamente gli sforzi volti a garantire una rapida trasposizione dei risultati della R&I in attività economiche sostenibili. Tutelare un processo di transizione giusta — ossia verso un’Europa più verde/rispettosa del clima e un futuro digitale equo, nel rispetto dei diritti e delle posizioni dei lavoratori, come viene precisato nel documento — è uno dei fattori più importanti per garantire che la R&I sostenga l’economia e l’occupazione nell’UE.

2.8.

Il CESE accoglie con favore il fatto che il nuovo documento sul SER sia nel complesso in linea con gli OSS e li sostenga. Pur promuovendo la transizione verso un’economia europea più resiliente, è essenziale garantire una ripresa inclusiva che non lasci indietro alcun cittadino europeo nel processo di transizione verso un’economia europea sostenibile (5).

2.9.

Il CESE desidera sottolineare l’importanza di combinare tra loro in modo intelligente gli strumenti di ricerca e sviluppo (R&S) a tutti i livelli (regionale, nazionale e dell’UE). La ricerca, lo sviluppo e l’innovazione dovrebbero essere promossi anche utilizzando gli ingenti fondi strutturali dell’UE, nonché attraverso misure dirette e indirette in materia di R&S, quali ad esempio gli incentivi fiscali.

3.   Lo Spazio europeo della ricerca in un nuovo contesto

3.1.

Come sottolineato nelle osservazioni generali, il CESE è chiaramente del parere che, se la strategia in materia di ricerca, tecnologia e innovazione dell’UE rimane una «versione ampliata» della stessa cosa, l’Europa continuerà a perdere terreno nella concorrenza globale nel settore della RTI, in particolare rispetto a Cina, Corea e Stati Uniti.

3.2.

Il CESE sottolinea che occorre integrare i principi di integrità scientifica ed etica, così da evitare danni alla salute umana, perdite di risorse finanziarie e insuccessi scientifici.

3.3.

Il Comitato incoraggia la Commissione europea a elaborare un’agenda per un «New Deal» dell’UE in materia di ricerca, tecnologia e innovazione.

3.4.

Infrastrutture di R&I all’avanguardia e gestite in modo efficiente sono un elemento chiave importante al fine di accelerare la trasposizione dei risultati della R&I in termini economici.

3.5.

Il Comitato è altresì del parere che la gestione quotidiana di queste infrastrutture di R&I potrebbe essere professionalizzata. L’utilizzo di alcune di queste costose infrastrutture di ricerca e innovazione è relativamente scarso: per alcune si registra un utilizzo dell’orario di lavoro annuale inferiore al 25 %.

3.6.

Il CESE accoglie con favore le iniziative per la scienza aperta (EOSC) della Commissione europea.

3.7.

Il CESE concorda con la Commissione che quelle citate nella comunicazione sono tecnologie strategiche chiave che rivestono grande importanza per l’UE e propone di aggiungere all’elenco i settori e le tecnologie che seguono:

modelli imprenditoriali digitali;

tecnologie per la produzione di beni e prodotti alimentari;

ricerca clinica, settore farmaceutico e delle biotecnologie;

tecnologie spaziali;

acqua pulita e servizi igienico-sanitari.

3.8.

I modelli imprenditoriali digitali sono attualmente le aziende a più rapida crescita nel mondo e continueranno ad esserlo negli anni a venire. Basti pensare al commercio elettronico (per esempio, Amazon), all’industria 4.0, ai servizi bancari online, al gaming online, alle reti sociali digitali (ad esempio, Facebook), alla sicurezza elettronica ecc.

3.9.

Il Comitato insiste sulla notevole importanza della ricerca nel campo delle scienze sociali e umane ai fini del complesso rinnovamento dell’agenda per il SER.

3.10.

Il CESE osserva che la ricerca svolta nell’UE è in ritardo per quanto riguarda i risultati registrati in materia di brevetti. L’Asia ha aumentato la sua quota nelle domande di brevetto a livello mondiale: nel 2019, ha infatti presentato il 65 % delle domande di brevetto globali. La quota europea dei brevetti è diminuita e al momento rappresenta l’11,3 % delle domande di brevetto presentate in tutto il mondo.

3.11.

Altri temi importanti in materia di R&I includono, a titolo di esempio non esaustivo, la produzione di beni (che è sempre stato ed è tuttora uno dei capisaldi dell’UE), la tecnologia dell’informazione, i software e l’intelligenza artificiale e la media tecnologia.

3.12.

La maggior parte dei posti di lavoro nell’UE sono ancora inerenti al settore della media tecnologia (che, analogamente, è sempre stata uno dei capisaldi dell’UE). L’alta tecnologia riveste ovviamente una grande importanza, ma anche la media tecnologia ha ancora molto potenziale in termini di crescita e di creazione di posti di lavoro.

3.13.

La crisi dovuta alla COVID-19 rappresenta una sfida immane per l’umanità e dovrebbero essere adottate tutte le misure possibili per sviluppare vaccini e cure contro il coronavirus. La crisi in atto ha messo in luce tutta una serie di problemi che devono essere affrontati per scongiurare lo scoppio di pandemie simili in futuro, non da ultimo per quanto riguarda il nostro rapporto con il mondo naturale e animale. La R&I europea deve svolgere un ruolo importante per l’individuazione, la ricerca e la risoluzione di questi problemi. D’altro canto, la crisi non dovrebbe rappresentare la sola bussola su cui orientare la strategia di lungo periodo dell’UE nel campo della R&I.

3.14.

Numerosi studi hanno dimostrato che l’UE è in ritardo rispetto agli Stati Uniti e all’Asia nella cultura imprenditoriale, un tema, questo, che deve essere trattato nell’ambito dell’istruzione, compresa l’istruzione superiore. La cultura imprenditoriale deve dunque rivestire un ruolo importante in tutte le fasi del processo, dall’innovazione nella ricerca di base e nella ricerca applicata fino alla commercializzazione di una nuova tecnologia. La cultura imprenditoriale deve essere una competenza essenziale in tutte le misure in materia di ricerca, tecnologia e innovazione dell’UE e pertanto, chiaramente, anche nel nuovo SER.

4.   Prospettive: uno Spazio europeo della ricerca più forte per il futuro

4.1.

La comunicazione dedica una serie di paragrafi a nuove tabelle di marcia tecnologiche comuni, alla nuova strategia industriale e alle tecnologie future in settori chiave per la Commissione. Il Comitato desidera sottolineare, ancora una volta, che tutti questi temi devono essere visti in stretta correlazione con gli OSS. In altre parole, occorre dare impulso alla R&S, in particolare nell’ambito del nuovo SER e nelle tabelle di marcia tecnologiche comuni, un quadro in cui ognuna delle 17 aree degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) può essere sostenuta. Il CESE è convinto che un dialogo sociale e civico costruttivo a tutti i livelli contribuirà a un’attuazione efficace della strategia.

4.2.

Il CESE apprezza il rafforzamento della cooperazione in materia di ricerca, tecnologia e innovazione all’interno dell’UE. Preso singolarmente, qualsiasi Stato membro dell’UE è semplicemente troppo piccolo per poter competere con le grandi potenze della ricerca come gli Stati Uniti o la Cina. I singoli Stati membri non dispongono di «economie di scala», che sono molto importanti in particolare per le grandi tecnologie pionieristiche. L’Europa ha ottenuto risultati significativi nel campo della scienza e della tecnologia e l’azione in materia di ricerca e sviluppo è parte integrante dell’economia europea. L’Europa vanta alcuni dei più importanti ricercatori in varie discipline scientifiche, in particolare la fisica, la matematica, la chimica e l’ingegneria. La ricerca scientifica in Europa è sostenuta dall’industria, dalle università europee e da svariate istituzioni scientifiche. Il prodotto della ricerca scientifica europea si colloca costantemente tra i primi posti a livello mondiale. Tuttavia, benché la cooperazione sia un elemento chiave dell’innovazione efficiente che genera nuovi prodotti e servizi, è la concorrenza ad essere la principale forza trainante dell’innovazione nell’economia mondiale. Il CESE raccomanda pertanto di pervenire ad un insieme ben equilibrato che includa sia la cooperazione che la concorrenza tra gli Stati membri nell’ambito del «New Deal» dell’UE per la RTI.

4.3.

Il Consiglio europeo per l’innovazione (CEI) e l’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (EIT), con le relative comunità della conoscenza e dell’innovazione (CCI), sono considerati partner e strumenti preziosi in questo sforzo volto ad «accelerare la traduzione della R&I in termini economici» e a riorientare le attività di base della ricerca e innovazione dell’UE verso la generazione di innovazioni pionieristiche che rispondano a esigenze concrete dei cittadini e delle imprese, in particolare in relazione alle principali sfide di natura socioculturale.

5.   Tradurre i risultati di R&I in termini economici

5.1.

Nella comunicazione si afferma che «l’UE è in ritardo rispetto ai suoi principali concorrenti a livello mondiale per quanto riguarda l’intensità di R&S delle imprese, in particolare nei settori dell’alta tecnologia e nell’espansione delle PMI innovative, con effetti negativi sulla produttività e sulla competitività. […] Sbloccare gli investimenti nell’innovazione nel settore imprenditoriale, nei servizi e nel settore pubblico è fondamentale per invertire questa tendenza e rafforzare la sovranità industriale e tecnologica dell’Europa. L’UE deve sfruttare appieno i suoi eccellenti risultati di ricerca e innovazione per sostenere la transizione verde e digitale della sua economia». Il Comitato aderisce pienamente a questa posizione, ma desidera sottolineare che la transizione digitale, in particolare, richiede un approccio responsabile in materia di RTI. Il CESE ribadisce il suo pieno sostegno alla strategia dell’UE che si propone di realizzare un’intelligenza artificiale (IA) affidabile e antropocentrica, e rinnova il suo appello ad adottare un approccio all’IA basato sul «controllo umano», una richiesta espressa fin dal suo primo parere sull’intelligenza artificiale pubblicato nel 2017 (6).

5.2.

L’Europa è particolarmente indietro rispetto agli USA e all’Asia per quanto riguarda la rapidità di traduzione dei risultati della R&S in prodotti e servizi innovativi. Il CESE incoraggia pertanto la Commissione a puntare, nella sua politica di RTI, all’«eccellenza» e alla «rapidità» allo stesso tempo.

5.3.

Il CESE riconosce, naturalmente, che la comunicazione prende atto della necessità di prestare attenzione alla traduzione delle attività di R&I in prodotti redditizi e alla catena dell’innovazione. Tuttavia, la maggior parte delle azioni e delle misure proposte nel documento si concentra ancora sul versante in ingresso nella catena dell’innovazione: istruzione superiore, carriere nel settore della ricerca per le persone di talento, più risorse economiche per la ricerca pubblica e di base, ecc.

5.4.

Il Comitato incoraggia la Commissione ad adoperarsi per il conseguimento di un equilibrio armonioso tra gli sforzi impiegati sul versante in ingresso della catena dell’innovazione e quelli rivolti al versante in uscita.

5.5.

Il CESE incoraggia la Commissione a dare ulteriore impeto alle innovazioni stimolate dal mercato, ad esempio:

promuovere il concetto di «lead user» (utilizzatore di punta);

investire in studi sistematici in materia di innovazione sociale per prevedere il gradimento e l’accettazione sociali nelle prime fasi di lancio di nuovi prodotti e servizi.

6.   Le industrie dei servizi

6.1.

I processi di produzione industriale possono essere altamente automatizzati, al punto di riuscire a produrre lotti di grandi dimensioni con una quota modesta dei costi di manodopera e costi di produzione competitivi a livello mondiale, anche considerando le retribuzioni orarie elevate dell’Europa. Nel caso delle industrie di servizi, tuttavia, la situazione è più complessa. Anche i modelli commerciali-imprenditoriali dei servizi digitali possono essere altamente automatizzati, ma è invece impossibile automatizzare i servizi alla persona, come il taglio dei capelli, i massaggi e simili. Per tutti questi motivi, sarebbe opportuno che, nella sua nuova strategia per la ricerca e l’innovazione, l’UE mirasse a un insieme equilibrato di produzione industriale ad alta tecnologia e di industrie dei servizi.

7.   Approfondire il quadro di riferimento per le carriere nel settore della ricerca

7.1.

Il CESE accoglie con favore le misure proposte nella comunicazione intese a migliorare l’eccellenza tecnologica e scientifica e la mobilità dei giovani ricercatori, tuttavia incoraggia la Commissione a rafforzare le misure volte a incrementare anche l’imprenditorialità dei giovani ricercatori e degli innovatori. Ciò comprenderebbe migliori prospettive di carriera per i ricercatori e salari più elevati, in particolare per i ricercatori all’inizio della propria carriera. Inoltre, sembra vantaggioso collegare tra loro università ed enti economici al fine di garantire la trasformazione dell’innovazione in prodotti commerciabili. Il CESE propone di istituire un registro unico dei ricercatori e innovatori dell’UE, comprensivo dei dati di ricerca professionale di base, così da consentire un contatto più stretto tra i ricercatori e gli innovatori dell’UE.

7.2.

Competenze chiave e culture dell’innovazione fondamentali, nuove tecnologie di apprendimento e di insegnamento, formazioni personalizzate.

7.2.1.

Il CESE desidera ribadire la grande importanza per la prosperità dell’UE che rivestono non solo le tecnologie strategiche chiave, ma anche le competenze fondamentali dei dipendenti e le culture dell’innovazione all’interno di tutte le imprese dell’UE.

7.2.2.

Il seguente elemento è particolarmente importante per la nuova agenda per il SER, la nuova agenda per R&I e il nuovo «patto per la ricerca e l’innovazione in Europa»: la promozione di una cultura dell’innovazione e dell’imprenditorialità all’interno delle imprese dell’UE, sia a livello dirigenziale che dei dipendenti, ad esempio offrendo loro adeguati corsi di formazione ecc.

8.   Il coinvolgimento dei cittadini

8.1.

Il CESE concorda con quanto affermato nella comunicazione: «al fine di ottenere un maggiore impatto sociale e di aumentare la fiducia nei confronti della scienza, il coinvolgimento dei cittadini, delle comunità locali e della società civile sarà alla base del nuovo SER». Il Comitato esprime il proprio sostegno all’approccio della Commissione europea, basato sull’idea che «è opportuno che […] l’industria e gli organismi di ricerca coinvolgano i cittadini nelle scelte legate alla tecnologia».

8.2.

Le parti sociali e le organizzazioni della società civile (ad esempio le organizzazioni dei consumatori, le ONG ecc.) dovrebbero essere coinvolte come partner attivi nei processi e nei progetti europei nel campo della R&I, in particolare quando la ricerca ha un’incidenza sulle persone o le cause che tali organizzazioni difendono. Il coinvolgimento di questi partner fin dall’inizio favorirà l’impegno, la comprensione, la titolarità e l’accettazione dell’innovazione e sosterrà i processi di transizione giusta che sono necessari, in particolare per le innovazioni pionieristiche. Aiuterà inoltre i ricercatori a comprendere l’impatto delle loro innovazioni sulla società in generale come pure ad affrontare il problema dei potenziali impatti negativi dell’innovazione fin dalle prime fasi del processo. Per questo il CESE invoca anche un approccio multidisciplinare in alcuni ambiti di ricerca, nei casi in cui l’impatto interessi tutta una serie di settori di ricerca. Uno di questi settori è, ancora una volta, quello dell’IA, per il quale il CESE ha chiesto di coinvolgere nel campo della R&I sull’IA, al di là del mero elemento tecnico, diverse discipline quali le scienze umane, il diritto, l’economia, l’etica, la psicologia e altre ancora (7).

8.3.

L’economia dell’UE dipende fortemente dalle esportazioni dei suoi beni e servizi.

8.4.

Le scelte tecnologiche dovrebbero quindi basarsi sulle preferenze dei cittadini dell’UE in merito a beni e servizi, ma anche su quelle del resto dei 7,8 miliardi di persone nel mondo. Il CESE invita la Commissione a promuovere in particolare la R&I nel conseguimento degli OSS delle Nazioni Unite.

8.5.

Come sottolineato nella sezione Osservazioni generali, è necessario comunicare in modo più efficace sull’importanza della ricerca, della tecnologia e dell’innovazione rivolgendosi ai politici, ai media e alla società in generale.

8.6.

Pertanto, occorre anche sviluppare mezzi e strategie intelligenti per comunicare l’importanza della ricerca, della tecnologia e dell’innovazione, ma anche i risultati di tali attività, sia nel contesto della comunicazione che in quello della nuova strategia dell’UE in materia di RTI.

9.   La governance del nuovo SER

9.1.

Il CESE concorda sul fatto che un sistema di monitoraggio trasparente realizzato attraverso un quadro SER di valutazione sarà essenziale per esaminare le prestazioni dell’UE nella concorrenza globale in materia di ricerca, tecnologia e innovazione. Il CESE è favorevole ad una nuova governance nel settore della ricerca che elimini gli ostacoli amministrativi e normativi all’innovazione.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Risoluzione sulle proposte del CESE per la ricostruzione e la ripresa dopo la crisi della COVID-19: «L'UE deve essere guidata da un principio: quello di essere considerata una comunità unita da un destino comune» (GU C 311 del 18.9.2020, pag. 1) punto 5.3.1.

(2)  Risoluzione sulle proposte del CESE per la ricostruzione e la ripresa dopo la crisi della COVID-19: «L'UE deve essere guidata da un principio: quello di essere considerata una comunità unita da un destino comune» (GU C 311 del 18.9.2020, pag. 1) punto 6.8.

(3)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 101.

(4)  Clayton M. Christensen, Il dilemma dell'innovatore. Come le nuove tecnologie possono estromettere dal mercato le grandi aziende, 2016.

(5)  Risoluzione sulle proposte del CESE per la ricostruzione e la ripresa dopo la crisi della COVID-19: «L’UE deve essere guidata da un principio: quello di essere considerata una comunità unita da un destino comune» (GU C 311 del 18.9.2020, pag. 1) punto 5.3.1.

(6)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1.

(7)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla proroga della durata della privativa comunitaria per ritrovati vegetali per le specie di asparago e i gruppi di specie di piante bulbose, piante legnose a piccoli frutti e piante legnose ornamentali»

[COM(2020) 36 final — 2021/0019 (COD)]

(2021/C 220/12)

Consultazione

Parlamento europeo, 11.2.2021

Base giuridica

Articoli 118 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

262/0/14

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 559a sessione plenaria dei giorni 24 e 25 marzo 2021 (seduta del 24 marzo), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 262 voti favorevoli, 0 voti contrari e 14 astensioni.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/87


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva (UE) 2017/2397 per quanto riguarda le misure transitorie per il riconoscimento dei certificati di paesi terzi»

[COM(2021) 71 final — 2021/0039 (COD)]

(2021/C 220/13)

Consultazioni

Consiglio dell'Unione europea, 26.2.2021

Parlamento europeo, 8.3.2021

Base giuridica

Articolo 91, par. 1 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

262/0/14

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 559a sessione plenaria dei giorni 24 e 25 marzo 2021 (seduta del 24 marzo), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 262 voti favorevoli, 0 voti contrari e 14 astensioni.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Rafforzare il processo di adesione — Una prospettiva europea credibile per i Balcani occidentali»

[COM(2020) 57 final]

su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali»

[COM(2020) 641 final]

e su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Comunicazione 2020 sulla politica di allargamento dell’UE»

[COM(2020) 660 final]

(2021/C 220/14)

Relatore:

Andrej ZORKO

Correlatore:

Ionuţ SIBIAN

Consultazione

Commissione europea, 11.11.2020

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

3.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

243/1/10

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore le comunicazioni della Commissione adottate nel 2020 in relazione all’allargamento dell’Unione europea (UE) ai Balcani occidentali (1) e concorda sul fatto che l’integrazione dei partner dei Balcani occidentali nell’UE rappresenta un investimento geostrategico nella pace, stabilità, sicurezza e crescita economica dell’intero continente.

1.2.

Il CESE concorda con le conclusioni del vertice di Zagabria (2), in cui i leader dell’UE hanno ribadito la determinazione dell’Unione a rafforzare la cooperazione con la regione e hanno accolto con favore l’impegno dei partner dei Balcani occidentali ad attuare le riforme necessarie in modo capillare e decisivo. I Balcani occidentali sono parte integrante dell’Europa e rappresentano una priorità geostrategica per l’UE.

1.3.

Il CESE è convinto che, nell’affrontare sfide e problemi comuni che non sono solo politici, ma anche economici e sociali, le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile (OSC) (3) dovrebbero svolgere un ruolo più rilevante ed essere coinvolte più attivamente nel processo di allargamento nella sua interezza. È opportuno che la Commissione definisca con maggiore chiarezza il concetto di «principali parti interessate». Dopo tutto, la società civile organizzata rappresenta il ponte tra la politica e i cittadini, e contribuisce a verificare se principi fondamentali quali la libertà di parola, lo Stato di diritto, l’indipendenza dei media, la parità di trattamento e la lotta alla corruzione siano effettivamente attuati nella pratica.

1.4.

Il CESE accoglie con favore la metodologia di allargamento riveduta adottata dalla Commissione nel 2020 (4). Poiché lo scopo della revisione era quello di rendere il processo più credibile, prevedibile e politico, la Commissione dovrebbe procedere alla sua attuazione per l’Albania e la Macedonia del Nord non appena il Consiglio dell’UE avrà adottato i relativi quadri di negoziato, e dovrebbe chiarire rapidamente come tale metodologia sarà adattata anche al Montenegro e alla Serbia, che hanno già manifestato la disponibilità ad adottarla.

1.5.

Il CESE accoglie con favore il fatto che i capitoli di negoziato saranno organizzati in gruppi tematici e che i negoziati relativi a ciascun gruppo saranno avviati globalmente. L’idea di applicare una serie di condizioni rigorose in modo tangibile renderà più semplice per i paesi candidati all’adesione all’UE realizzare progressi nel percorso verso le riforme. Il CESE, inoltre, è particolarmente soddisfatto dell’enfasi posta sull’importanza del gruppo di capitoli sulle questioni fondamentali e del fatto che i progressi in tale ambito determineranno il ritmo generale dei negoziati.

1.6.

Il CESE accoglie con favore le proposte della Commissione per rafforzare il processo di adesione e il «via libera» del Consiglio all’apertura dei negoziati di adesione con l’Albania e la Macedonia del Nord (5), ma deplora che il processo sia stato bloccato ancora una volta; chiede all’UE di agire come partner credibile e di eliminare, il più rapidamente possibile, gli ostacoli che stanno impedendo l’avvio dei negoziati.

1.7.

Il CESE apprezza il modo in cui la Commissione sta attribuendo grande importanza al rafforzamento della fiducia tra tutte le parti interessate e il fatto che si assicuri che il processo di adesione sia basato sulla fiducia reciproca e su impegni chiari e congiunti, per far sì che riacquisti credibilità presso entrambe le parti e realizzi il suo pieno potenziale.

1.8.

Viste le difficoltà sperimentate dagli Stati membri nel raggiungere l’unanimità riguardo all’allargamento, il CESE ritiene che il Consiglio debba riconsiderare la possibilità di introdurre il voto a maggioranza qualificata, quanto meno per tutte le fasi intermedie del processo di adesione all’UE (6). In questo modo si assegnerebbe agli Stati membri un forte ruolo politico, come intende fare la nuova metodologia, evitando allo stesso tempo che gli Stati vanifichino o blocchino il processo mentre è in atto, il che è precisamente quello che sta mettendo a repentaglio la fiducia nei confronti dell’allargamento e nel potere trasformativo della politica.

1.9.

Per ricostruire la fiducia nei confronti dell’allargamento e rafforzare le modalità con cui l’UE si rivolge ai suoi alleati naturali nella regione, il CESE è convinto che l’UE dovrebbe consentire ai leader politici e ai cittadini dei Balcani occidentali di partecipare alle attività e alle discussioni organizzate nel contesto della Conferenza sul futuro dell’Europa, su base consultiva. In questo modo, l’UE si baserebbe sul precedente della Convenzione europea dei primi anni 2000 (7).

1.10.

Il CESE è fermamente convinto che l’UE dovrebbe investire anche nello sviluppo di strutture orizzontali per la società civile, offrendo alle parti sociali e alle altre OSC dei Balcani occidentali competenze, supporto tecnico e opportunità di creazione di reti a livello regionale e internazionale, non da ultimo per garantire che assumano un ruolo più attivo nel processo di allargamento. Per verificare la trasparenza e l’assunzione di responsabilità delle élite politiche dei Balcani occidentali, l’UE dovrebbe commissionare alle OSC della regione l’elaborazione di relazioni «ombra» periodiche sullo stato della democrazia (8).

1.11.

Il CESE precisa che tra le priorità dell’UE e dei finanziamenti nazionali dovrebbero essere mantenuti lo sviluppo della capacità nazionale delle OSC, la promozione della cooperazione regionale e lo scambio di competenze specifiche. Il riconoscimento reciproco e la collaborazione tra le parti sociali e le altre OSC, inoltre, sono essenziali per raggiungere il livello adeguato ad affrontare le sfide poste dal programma delle riforme nella regione e dalla prosecuzione del processo di allargamento dell’UE.

1.12.

Il CESE è consapevole del fatto che per aiutare i partner dei Balcani occidentali ad attenuare le forti ripercussioni della pandemia e a rilanciare la convergenza economica e sociale con l’UE, il sostegno dell’Unione dovrebbe essere generoso e comprendere molto di più che il semplice accesso ai programmi dell’UE. La graduale apertura dei fondi strutturali e d’investimento europei ai partner dei Balcani occidentali (ad esempio per sostenere progetti infrastrutturali), l’ampliamento dell’utilizzo dei meccanismi di stabilità finanziaria dell’UE, l’opportunità per la regione di partecipare alla politica agricola comune (PAC) europea o la possibilità della migrazione circolare, ad esempio, sono idee che meritano di essere prese seriamente in considerazione (9).

1.13.

Il CESE accoglie con favore il Green Deal europeo (10), che prevede obiettivi specifici per i Balcani occidentali, nonché gli orientamenti per l’attuazione dell’agenda verde per i Balcani occidentali che accompagnano il piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali (Guidelines for the Implementation of the Green Agenda for the Western Balkans accompanying the Economic and Investment Plan for the Western Balkans(11), e invita i partner della regione a collaborare con l’UE per adottare le politiche verdi entro il 2030 e conseguire la neutralità climatica entro il 2050.

1.14.

L’aspettativa del CESE è che le prossime relazioni per paese seguano una struttura chiara per monitorare in che modo i governi dei Balcani occidentali trattano il tema della società civile. Tale controllo dovrebbe fornire la base per rispondere con azioni politiche negli ambiti di intervento in cui i passi indietro avrebbero delle conseguenze e i progressi apporterebbero vantaggi concreti. In definitiva, ciò rafforzerà la credibilità e il potere trasformativo della politica di allargamento nei confronti dei Balcani occidentali.

1.15.

Il CESE invita ancora una volta le istituzioni dell’UE e i governi dei paesi dei Balcani occidentali a provvedere al rafforzamento delle capacità complessive delle parti sociali, nel pieno rispetto della loro autonomia. Il buon funzionamento del dialogo sociale dovrebbe costituire un elemento importante dei negoziati di adesione all’UE. Il CESE sottolinea che sarebbe opportuna una consultazione più sistematica e tempestiva delle parti sociali in merito a tutte le proposte legislative pertinenti e in tutte le fasi di elaborazione dei documenti strategici (12).

1.16.

Il CESE chiede di organizzare conferenze o forum di alto livello con la società civile appena prima dei periodici vertici UE-Balcani occidentali o sotto forma di loro eventi collaterali, al fine di consentire alla società civile di far sentire la propria voce riguardo agli argomenti trattati in occasione dei vertici (13). Tali consultazioni sono essenziali per garantire un monitoraggio oggettivo ed esercitato dal basso dei progressi del processo negoziale. Il CESE potrebbe svolgere un ruolo nell’ambito di questi eventi.

1.17.

Il CESE ribadisce le raccomandazioni formulate nel contributo della sua sezione Relazioni esterne (REX) al vertice UE-Balcani occidentali del 6 maggio 2020 (14) nonché nel suo recente parere sul tema Contributo della società civile all’agenda verde e allo sviluppo sostenibile dei Balcani occidentali nel quadro del processo di adesione all’UE (15), adottato il 18 settembre 2020 (16).

1.18.

Il CESE invita l’attuale presidenza portoghese del Consiglio dell’UE e, in particolare, la futura presidenza slovena, a continuare ad assegnare alla politica di allargamento verso i Balcani occidentali una priorità elevata nell’agenda dell’UE per il 2021.

2.   L’allargamento dell’UE verso i Balcani occidentali è importante

2.1.

Una prospettiva di adesione credibile è un incentivo fondamentale e un motore per la trasformazione della regione — che ironicamente è già un’enclave geografica dell’UE, essendo circondata dai suoi Stati membri — e rafforza pertanto la sicurezza collettiva e la prosperità dell’Europa. Si tratta di uno strumento essenziale per promuovere la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali, che sono anche i principali motori dell’integrazione economica e un’ancora essenziale per la promozione della riconciliazione e della stabilità regionali.

2.2.

Il mantenimento e il rafforzamento di tale politica è pertanto indispensabile per la credibilità, il successo e l’influenza dell’UE nella regione e oltre, soprattutto in tempi di più intensa concorrenza geopolitica. Relegare l’allargamento a una posizione secondaria fra le priorità dell’UE o rallentare il processo potrebbero consentire più facilmente ad altri attori, che spesso non condividono le ambizioni democratiche dell’UE (in particolare Russia e Cina), di interferire nei Balcani e conquistarsi il favore di paesi come la Serbia, il Montenegro e la Bosnia-Erzegovina, come si è visto anche durante la pandemia in atto. Queste potenze straniere possono pregiudicare gli sforzi dell’UE di garantire la sicurezza del continente.

2.3.

Le sfide dell’era moderna, come la globalizzazione, l’invecchiamento della società, la migrazione, i cambiamenti climatici, le disparità sociali, il terrorismo, la radicalizzazione, la criminalità organizzata, gli attacchi informatici e la COVID-19, sono la riprova del fatto che l’UE e la regione dei Balcani occidentali non condividono solo interessi simili, ma anche, e sempre di più, i medesimi problemi. In termini strategici, politici ed economici, l’UE e i Balcani occidentali sono quindi sulla stessa barca. Tale interdipendenza richiede un’azione congiunta affinché essi possano destreggiarsi con successo nella complessità e nell’imprevedibilità del mondo di oggi (17).

3.   La capacità di influenza dell’UE dipende dalla sua credibilità

3.1.

Un sondaggio Ipsos effettuato nel 2020 (18) evidenzia che l’opinione pubblica della regione continua a essere a favore, nella stragrande maggioranza dei casi, dell’adesione all’UE (82,5 % in media). È probabile che i cittadini dei paesi dei Balcani occidentali sostengano ancora l’integrazione nell’UE perché la considerano un’opportunità per realizzare il cambiamento fortemente necessario per quanto riguarda la qualità della governance e i risultati economici nei loro paesi. Le persone valutano positivamente il ruolo dell’UE nelle riforme politiche (39,7 %) ed economiche (40,3 %) nazionali. È inoltre possibile che l’opinione pubblica dei Balcani occidentali associ l’UE alla libertà di lavorare e viaggiare, oltre che alla pace e alla sicurezza.

3.2.

Il CESE esprime soddisfazione per la solidarietà senza precedenti dimostrata dall’UE nei confronti dei paesi dei Balcani occidentali durante la pandemia di COVID-19, tra l’altro consentendo loro l’accesso e la partecipazione agli strumenti e alle piattaforme dell’UE solitamente riservati ai soli Stati membri dell’Unione, ad esempio il comitato per la sicurezza sanitaria (CSS), l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e l’accordo sull’aggiudicazione congiunta. Esprime l’auspicio che tale inclusione nelle politiche e negli strumenti dell’UE prosegua anche dopo la fine della pandemia. D’altro canto, il CESE teme che i ritardi nella capacità dell’UE di rifornire i paesi dei Balcani occidentali di vaccini contro la COVID-19, fornitura che è al tempo stesso necessaria e urgente, possano incidere negativamente sull’immagine che ha dell’UE l’opinione pubblica della regione.

3.3.

Secondo lo stesso sondaggio Ipsos del 2020, tuttavia, il 52,1 % degli intervistati della regione è insoddisfatto dei progressi del rispettivo paese verso l’adesione all’UE e, in particolare, della lentezza del processo. Un numero crescente di cittadini dei Balcani occidentali ritiene che i propri paesi non aderiranno mai all’UE ed è preoccupato che «l’UE non ci voglia». Oltre il 44,9 % degli intervistati in Bosnia-Erzegovina, il 42 % in Serbia, il 40,5 % in Macedonia del Nord e il 36,8 % in Albania prevede che il proprio paese diventerà membro dell’UE solo dopo il 2040, o forse mai (19). Ciò suggerisce che probabilmente l’elevato livello attuale di sostegno popolare per l’UE nella regione rimarrà tale solo se le prospettive di adesione si dimostreranno credibili. I tempi in cui l’UE poteva dare per scontato il sentimento europeista da parte dei partner dei Balcani occidentali stanno per volgere al termine.

3.4.

Il CESE sottolinea che le numerose posizioni adottate dai partiti politici del Parlamento europeo, dai governi degli Stati membri dell’UE e dalle istituzioni dell’Unione non sono sempre in linea le une con le altre e che ciò può inviare messaggi incoerenti e confusi alla regione. Il Comitato è convinto che serva maggiore coerenza interna tra i diversi attori coinvolti nella formulazione della politica di allargamento all’interno degli Stati membri, affinché possano parlare con una voce unica e coerente.

3.5.

Le istituzioni dell’UE, come la Commissione e il Parlamento europeo, dovrebbero comunicare meglio e collaborare più strettamente con gli Stati membri nel quadro del processo di valutazione dei progressi e della definizione di strategie per aiutare i partner dei Balcani occidentali e rispondere alle loro esigenze. La Commissione dovrebbe sviluppare contatti bilaterali più stretti con gli Stati membri, ad esempio organizzando riunioni con i ministeri degli Esteri e i parlamenti nazionali per discutere dell’allargamento, e dovrebbe coordinarsi meglio con gli altri attori regionali e a livello dell’UE (come il Servizio europeo per l’azione esterna, il Consiglio, il Parlamento europeo, il CESE, il Comitato delle regioni e il Consiglio di cooperazione regionale), oltre che con la società civile. Il Parlamento europeo dovrebbe incoraggiare ulteriormente una migliore cooperazione con e tra i parlamenti nazionali nell’UE quale mezzo per alimentare la loro europeizzazione (20).

3.6.

Il CESE concorda con la conclusione della Commissione (21) che occorre concentrare maggiormente l’attenzione sulla natura politica del processo e garantire orientamenti e una cooperazione ad alto livello più solidi da parte degli Stati membri. Il Comitato sottolinea, inoltre, che è essenziale che tale guida politica e cooperazione rafforzate siano costruttive e vantaggiose, e che l’efficacia dell’assistenza riveste grande importanza.

3.7.

Il CESE è convinto che il sostegno e l’impegno dell’UE a favore del processo di allargamento nei Balcani occidentali debba essere forte e visibile. In particolare, è necessario garantire che i risultati delle riforme attuate siano presentati adeguatamente e che gli effetti di tali riforme rappresentino un miglioramento nella qualità di vita delle persone.

3.8.

La Commissione dovrebbe intensificare e diversificare i propri sforzi di comunicazione riguardo all’allargamento sul campo, sia negli Stati membri dell’UE che nella regione attraverso le delegazioni e gli uffici locali, ma anche ricorrendo a iniziative che coinvolgano i portatori di interessi e le parti sociali locali. Una comunicazione affidabile sul sostegno massiccio a favore dell’UE da parte dei partner dei Balcani occidentali nonché, più in generale, riguardo ai costi e ai benefici dell’integrazione europea, dipende anche dall’esistenza di media liberi e vitali nella regione. Per questo motivo, la Commissione dovrebbe insistere sul rispetto della libertà dei media da parte dei partner dei Balcani occidentali e dovrebbe investire nello sviluppo e nella sostenibilità del settore.

4.   Il consolidamento democratico della regione non è negoziabile

4.1.

Il sondaggio Ipsos (2020) rivela che l’elemento centrale dell’insoddisfazione delle persone è costituito dai politici e dalle istituzioni nazionali. Gli intervistati di tutta la regione dubitano che i loro leader si impegnino seriamente per l’agenda di integrazione nell’UE e condannano le istituzioni statali corrotte e disfunzionali dei loro paesi (22).

4.2.

Da quanto emerge né l’adozione di costituzioni democratiche né la rigorosa condizionalità democratica dell’UE sono riuscite a superare le strutture di potere informali, la «presa in ostaggio dello Stato» e il clientelismo nei Balcani occidentali, ma al contrario hanno di fatto consolidato tali fenomeni (23). Istituzioni democratiche deboli e l’ascesa di dirigenti autocratici nei Balcani occidentali possono ridurre gli standard dello Stato di diritto, l’indipendenza della magistratura e la libertà dei media in tali paesi.

4.3.

L’UE non dovrebbe fare concessioni ai politici della regione che chiaramente si sottraggono al loro impegno nei confronti della democrazia. La portata della denuncia di una «presa in ostaggio dello Stato» nella strategia 2018 della Commissione nei confronti della regione (24) o della valutazione critica dei diversi paesi nelle relazioni annuali viene fortemente ridotta se la medesima retorica non trova eco presso i funzionari dell’UE o i politici degli Stati membri che si recano nei Balcani occidentali (25). Senza un acquis democratico da contrapporre ai monopoli del potere, all’organizzazione dei partiti e alla concorrenza tra di essi oppure alle pratiche informali, è improbabile che i politici dei Balcani occidentali prestino attenzione ai requisiti democratici europei quando il fatto di ignorarli è proprio ciò che tiene in piedi il loro potere.

4.4.

Gli sforzi delle istituzioni dell’UE per migliorare la qualità della democrazia nei Balcani occidentali attraverso il processo di adesione sarebbero notevolmente rafforzati se le riforme democratiche negli attuali Stati membri fossero discusse e trattate insieme ai paesi che aspirano a entrare nell’Unione. I molti anni di rigorosa condizionalità democratica applicati ai paesi dei Balcani occidentali che aspirano ad aderire all’Unione hanno prodotto un ricco bagaglio di conoscenze ed esperienze pratiche riguardo a ciò che contribuisce o meno alla realizzazione delle riforme nazionali in materia di governance. I partner dei Balcani occidentali potrebbero quindi contribuire alle discussioni dell’UE riguardo alla tutela del suo Stato di diritto, della libertà dei media e della società civile, ad esempio nel contesto della Conferenza sul futuro dell’Europa (26).

4.5.

L’UE, inoltre, dovrebbe prendere atto del fatto che la pratica sempre più diffusa in seno al Consiglio di non concedere le ricompense promesse nonostante i progressi tangibili registrati nella regione demotiva i politici di quei paesi dall’attuare l’agenda delle riforme dell’UE, rischiando di far deviare dalla loro traiettoria anche i leader politici più orientati alle riforme e alla ricerca del consenso nei Balcani occidentali.

5.   Una situazione socioeconomica fragile

5.1.

Il CESE accoglie con favore anche l’adozione del piano economico e di investimenti (27), che mira a stimolare la ripresa a lungo termine, favorire la crescita economica e sostenere le riforme necessarie per progredire nel cammino verso l’adesione all’UE, anche avvicinando i Balcani occidentali al mercato unico dell’UE. Il suo scopo è realizzare il potenziale economico non sfruttato della regione e utilizzare l’ampio margine di incremento della cooperazione economica e degli scambi commerciali a livello intraregionale.

5.2.

Il CESE è convinto che tutte queste misure adottate dalla Commissione sono molto positive e dovrebbero dare un impulso notevole alla politica; nella realtà, tuttavia, la situazione è ancora problematica (l’ultima comunicazione della Commissione sulla politica di allargamento dell’UE e le sue relazioni annuali per paese fanno un resoconto adeguato dei problemi che permangono (28)).

5.3.

La pandemia di COVID-19 ha sicuramente provocato gravi shock in termini di domanda e offerta di beni e servizi, una flessione nella produzione, l’aumento della disoccupazione e un crescente disagio sociale. I problemi economici della regione, tuttavia, sono precedenti alla crisi della COVID-19. Dalla crisi finanziaria, economica e sociale del 2008, il processo di convergenza economica e sociale con l’UE in termini di PIL pro capite è stato molto lento o inesistente. Incapaci di accelerare lo sviluppo economico attraverso la correzione di problemi strutturali quali la mancanza di investimenti pubblici e privati e una popolazione in rapido invecchiamento, i cittadini dei Balcani occidentali guardano impotenti a un futuro di inesorabile deprivazione. La pandemia non ha fatto altro che esacerbare tali problemi socioeconomici, con il rischio di creare un’enclave di sottosviluppo de facto nel bel mezzo dell’Europa (29).

5.4.

Il CESE sottolinea che la cooperazione economica rafforzata e il commercio intraregionale devono aiutare a creare posti di lavoro dignitosi, sicuri e di qualità e a ridurre le disparità sociali e non dovrebbero basarsi sulla concorrenza sleale e sul dumping sociale. In questo senso, l’UE dovrebbe fornire maggiore sostegno finanziario e tecnico allo spazio economico regionale e all’agenda per la connettività dei Balcani occidentali, per incoraggiare la liberalizzazione degli scambi e l’integrazione nella regione (30), ma anche per impedire che finisca per diventare dipendente da potenze esterne all’UE.

5.5.

I Balcani occidentali hanno un elevato potenziale economico non sfruttato e notevoli possibilità di aumentare la cooperazione e gli scambi commerciali al loro interno. Nonostante un’accelerazione nella crescita e nella creazione di posti di lavoro e gli aumenti del reddito degli ultimi anni, i paesi della regione accusano ancora ritardi nelle riforme delle loro strutture economiche e nel miglioramento della competitività. Registrano ancora elevati tassi di disoccupazione, in particolare tra i giovani, notevoli squilibri tra domanda e offerta di competenze, persistenti economie informali, la fuga dei cervelli, una scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro e bassi livelli di innovazione (31). Il CESE raccomanda che venga presa in considerazione la possibilità di applicare i principi del pilastro europeo dei diritti sociali nel valutare il soddisfacimento dei requisiti per l’adesione all’UE (32).

5.6.

Il CESE ritiene che sia molto importante migliorare la qualità e la pertinenza dei sistemi di istruzione e formazione della regione e che sia essenziale rafforzare i collegamenti tra datori di lavoro e istituti di istruzione.

5.7.

Il clima degli investimenti resta per lo più inalterato ed è caratterizzato da uno Stato di diritto debole, da un’applicazione inadeguata delle norme sugli aiuti di Stato, da un’economia sommersa consolidata, dallo scarso accesso ai finanziamenti per le imprese e da bassi livelli di integrazione e connettività a livello regionale. L’interferenza dello Stato nell’economia permane. Sussiste la necessità reale di migliorare le infrastrutture, e gli investimenti dovrebbero essere convogliati attraverso canali unici per i progetti ed essere coerenti con le priorità concordate con l’UE.

5.8.

Il CESE ricorda che i Balcani occidentali sono altamente sensibili all’impatto dei cambiamenti climatici, che si ripercuotono sulla salute e sull’economia in generale, e sottolinea che è necessaria un’azione urgente per migliorare la qualità della vita dei loro cittadini, in particolare dei bambini e dei giovani, attraverso una giusta transizione verso un modello più verde, tenendo presente il principio che «nessuno deve essere lasciato indietro» (33). Nei Balcani occidentali si osservano numerose tendenze preoccupanti riguardo ai cambiamenti climatici, come l’elevata dipendenza dai combustibili fossili solidi, ma sono presenti anche molte opportunità, ad esempio il potenziale in termini di energie rinnovabili e una ricca biodiversità. Il coinvolgimento dei Balcani occidentali nel Green Deal è importante e necessario non solo perché i cambiamenti climatici non conoscono frontiere nazionali o fisiche, ma anche perché rappresenta un passo importante per il benessere e la salute delle persone e costituisce un vantaggio tangibile che l’UE apporta ai cittadini della regione (34).

5.9.

L’UE dovrebbe identificare i principali settori trainanti delle economie dei Balcani occidentali, comprese le PMI e il settore agroalimentare, e investirvi, nonché provvedere affinché gli standard imposti alla regione non frenino lo sviluppo di tali settori con misure attualmente troppo restrittive per i Balcani occidentali. L’asticella, invece, deve essere calibrata sulla base dei progressi compiuti in tali paesi e in modo da consentire la crescita.

5.10.

Il CESE accoglie con favore il pacchetto finanziario da 3,3 miliardi di EUR mobilitato dall’UE a vantaggio dei cittadini e delle imprese dei Balcani occidentali, ma ricorda che è necessario garantire che tali fondi siano convogliati correttamente e che i vantaggi degli investimenti raggiungano le persone, in linea con la logica su cui si basano. Il CESE ritiene che la ripresa dalla crisi legata alla COVID-19 dovrebbe promuovere la coesione economica e sociale della regione nonché le politiche ecologiche e che la transizione verde debba essere parte integrante di un piano di ripresa globale orientato verso il futuro nei Balcani occidentali.

5.11.

Il CESE ritiene che la partecipazione attiva delle parti sociali, anche incoraggiando la contrattazione collettiva, e delle altre OSC alla pianificazione e attuazione delle riforme economiche, sociali e di altro tipo possa contribuire in modo significativo al rafforzamento della convergenza economica e sociale, in particolare all’indomani della pandemia di COVID-19.

5.12.

La richiesta della Commissione di maggiore trasparenza nell’uso dei fondi e nell’attuazione delle riforme è accolta con favore, ma non è chiaro se la Commissione annoveri la società civile tra le «principali parti interessate». Di fatto, la società civile è, purtroppo, a malapena citata nelle comunicazioni del 2020 della Commissione sui Balcani occidentali.

6.   Cooperazione regionale

6.1.

Il CESE ritiene che la cooperazione regionale sia un fattore essenziale per migliorare il tenore di vita nei Balcani occidentali.

6.2.

Sia il vertice sui Balcani occidentali tenutosi a Poznań nel 2019 sia il vertice UE-Balcani occidentali svoltosi a Zagabria nel maggio 2020 sono state, per i leader della regione, opportunità per concordare di perseguire una trasformazione verde e digitale ambiziosa e continuare a sviluppare la connettività in tutte le sue dimensioni: trasporti, energia, digitale e relazioni interpersonali.

6.3.

Il CESE concorda sul fatto che l’agenda verde, il piano economico e di investimenti, gli sforzi di ristrutturazione economica, gli investimenti nel turismo e nell’energia e la trasformazione digitale sono particolarmente importanti per lo sviluppo e la stabilità della regione. Sottolinea, tuttavia, che è necessario offrire posti di lavoro dignitosi e di qualità che consentiranno ai lavoratori di lavorare in sicurezza, garantiranno la sicurezza economica e sociale dei lavoratori e apporteranno vantaggi alle persone.

6.4.

Il CESE ritiene che si debba prestare particolare attenzione alla competitività, alla crescita inclusiva, al tenore di vita, allo sviluppo sostenibile, alla connettività e alla transizione digitale nei Balcani occidentali. La capacità imprenditoriale e l’innovazione sono anch’esse essenziali per la ripresa delle economie locali e regionali. Il CESE raccomanda pertanto di utilizzare maggiormente i fondi preadesione dell’UE per sostenere le start-up, facilitare la formazione nell’ambito dell’imprenditoria e rafforzare le strategie economiche intelligenti nella regione, oltre che per gli investimenti nelle infrastrutture necessarie.

6.5.

Nell’ambito della politica ambientale, l’UE concentra l’attenzione sulla graduale eliminazione delle fonti energetiche fossili e sulla loro sostituzione con energie rinnovabili. Per contro, i partner dei Balcani occidentali, in particolare la Serbia, hanno accettato prestiti cinesi per costruire nuovi impianti termici alimentati con il carbone, poco costoso ma inefficiente, senza eseguire valutazioni sull’impatto ambientale (35). Di conseguenza, Belgrado, Skopje e Sarajevo si contendono regolarmente il titolo di città più inquinata al mondo durante i freddi mesi invernali, quando i consumi energetici aumentano (36). È lecito presumere che se si volesse coinvolgere la regione nello sforzo dell’UE per dare forma a una transizione verde, anche durante il processo della Conferenza sul futuro dell’Europa, tali progetti sarebbero inconcepibili (37).

6.6.

Il CESE accoglie con favore il fatto che il vertice dei Balcani occidentali di Poznań abbia approvato la dichiarazione sul riconoscimento dei titoli di istruzione superiore, stabilendo un modello per il riconoscimento automatico dei titoli di istruzione superiore e dei periodi di studio all’estero, ma ritiene comunque che sia necessario intensificare gli sforzi per far progredire il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali, al fine di creare un mercato del lavoro più integrato e offrire opportunità fortemente necessarie ai giovani della regione.

6.7.

Il CESE sottolinea l’importanza di promuovere una cooperazione rafforzata e un partenariato transfrontaliero tra gli Stati membri dell’UE e i partner dei Balcani occidentali, non solo a livello di governi, ma anche a livello regionale e locale nonché di società civile organizzata (38).

7.   La società civile svolge un ruolo essenziale nel processo di adesione e legislativo

7.1.

Il CESE chiede che la società civile organizzata riceva un migliore riconoscimento nel contesto della metodologia riveduta. Sebbene il CESE accolga con notevole favore il fatto che i finanziamenti per le OSC non diminuiranno in caso di mancanza di progressi in un dato paese, osserva con rammarico che la società civile non è riconosciuta adeguatamente nella comunicazione (39), in particolare tenuto conto degli specifici contesti politico, economico e sociale dei Balcani occidentali, dove il ruolo delle OSC nelle riforme democratiche deve essere rafforzato.

7.2.

Il CESE sostiene in modo particolare l’approccio per gruppi della nuova metodologia e sottolinea l’importanza essenziale del ruolo delle OSC in tutti i gruppi, con un’enfasi particolare sui gruppi delle questioni fondamentali e dell’agenda verde e connettività sostenibile.

7.3.

La società civile continua a essere valutata separatamente nell’ambito dei criteri politici in quanto uno dei quattro pilastri della democrazia; tuttavia, come è avvenuto nelle relazioni precedenti, la profondità della valutazione varia a seconda del paese e manca un riferimento coerente e sistematico agli orientamenti per il sostegno da parte dell’UE alla società civile nei paesi dell’allargamento (2014-2020) (40) [Guidelines for EU Support to Civil Society in Enlargement Countries (2014-2020)], anche se rappresentano uno strumento di monitoraggio dettagliato. In assenza di coerenza strategica, di un chiaro quadro di monitoraggio e dell’impegno politico per sostenere ulteriormente la società civile organizzata nei paesi dell’allargamento, l’UE non sta offrendo il sostegno politico di cui le OSC hanno fortemente bisogno, per non parlare di orientamenti chiari per i governi nazionali (41).

7.4.

Il CESE ritiene che il merito fattuale, in un approccio fondato sul merito, non possa essere determinato o considerato completo senza una maggiore partecipazione da parte delle OSC e il loro monitoraggio obiettivo degli specifici contesti politici che ciascuno dei partner della regione sta vivendo.

7.5.

Il CESE appoggia la proposta della Commissione secondo cui i meccanismi di attuazione relativi ai finanziamenti dell’UE dovrebbero offrire una base chiara per difendere lo spazio civico e per rispondere alle minacce immediate che incombono su di esso. Investire nell’educazione civica, in un ambiente più favorevole, in infrastrutture per la società civile e in un’azione congiunta sarebbe essenziale per conseguire tale scopo. Una risposta efficace alla riduzione dello spazio a disposizione della società civile potrebbe essere fornita attraverso l’applicazione del principio di prestazione, introdotto recentemente, per sostenere l’azione della società civile. Invece di revocare semplicemente gli stanziamenti ai paesi che compiono passi indietro nel loro sviluppo democratico, i fondi potrebbero essere riassegnati come sostegno per la società civile, al fine di far fronte all’arretramento democratico nel medesimo paese (42).

7.6.

Le istituzioni dell’UE possono attingere alle risorse della società civile locale e ricorrere all’aiuto delle delegazioni dell’UE nella regione per mobilitare i cittadini dei paesi partner dei Balcani occidentali, dando loro la possibilità di aderire alle piattaforme su cui i cittadini dell’Unione si confronteranno durante la Conferenza sul futuro dell’Europa. Consentire ai giovani e/o ai comuni cittadini dei Balcani occidentali di partecipare agli eventi della Conferenza sul futuro dell’Europa aperti ai cittadini dell’intera UE sarebbe un investimento importante nel capitale sociale della regione, per sensibilizzare maggiormente la popolazione locale nei Balcani occidentali riguardo agli affari europei e alla loro pertinenza per i rispettivi paesi. Ciò permetterebbe anche di creare contatti interpersonali tra l’UE e la regione e di migliorare la capacità di tali cittadini meglio informati di esercitare un controllo sulle loro élite politiche riguardo alle questioni collegate al processo di integrazione nell’UE (43).

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  COM(2020) 57 final (5.2.2020) Rafforzare il processo di adesione — Una prospettiva europea credibile per i Balcani occidentali; COM(2020) 641 final (6.10.2020) Un piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali; COM(2020) 660 final {SWD(2020) 350 final} — {SWD(2020) 351 final} — {SWD(2020) 352 final} — {SWD(2020) 353 final} — {SWD(2020) 354 final} — {SWD(2020) 355 final} — {SWD(2020) 356 final} (6.10.2020) Comunicazione 2020 sulla politica di allargamento dell’UE.

(2)  Dichiarazione di Zagabria, 6 maggio 2020.

(3)  Secondo la terminologia consolidata del CESE, i concetti di «società civile» e di «organizzazioni della società civile» nel presente parere includono le parti sociali (ovvero i datori di lavoro e i sindacati) e qualsiasi altro attore non statale [cfr. il parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Coesione economica e sociale e integrazione europea dei Balcani occidentali — sfide e priorità (GU C 262 del 25.7.2018, pag. 15)].

(4)  COM(2020) 57 final (5.2.2020).

(5)  Conclusioni del Consiglio sull’allargamento e il processo di stabilizzazione e di associazione — Repubblica di Macedonia del Nord e Repubblica di Albania, 25.3.2020.

(6)  Cvijic, Srdjan, Kirchner, Marie Jelenka, Kirova, Iskra e Nechev, Zoran (2019), From enlargement to the unification of Europe: Why the European Union needs a Directorate General Europe for future Members and Association Countries («Dall’allargamento all’unificazione dell’Europa: perché l’Unione europea ha bisogno di una direzione generale Europa per i futuri membri e i paesi del processo di associazione»), Open Society Foundations.

(7)  Stratulat, Corina e Lazarevic, Milena (2020), The Conference on the Future of Europe: Is the EU still serious about the Balkans? (La Conferenza sul futuro dell’Europa: l’UE fa ancora sul serio con i Balcani?), documento di discussione dell’EPC, Bruxelles, Centro di politica europea (European Policy Centre — EPC).

(8)  Stratulat et al. (2019), op. cit., pag. 113.

(9)  Stratulat e Lazarević (2019), op. cit.

(10)  COM(2019) 640 final (11.12.2019), Il Green Deal europeo.

(11)  SWD(2020) 223 final {COM(2020) 641 final} (6.10.2020) Guidelines for the Implementation of the Green Agenda for the Western Balkans accompanying the Economic and Investment Plan for the Western Balkans (Orientamenti per l’attuazione dell’agenda verde per i Balcani occidentali — documento che accompagna la comunicazione Un piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali).

(12)  Dichiarazione finale del 7o Forum della società civile dei Balcani occidentali — 16-17 aprile 2019, Tirana (Albania).

(13)  Conclusions of the High Level Conference on Economic and social cohesion in the Western Balkans (Conclusioni della Conferenza di alto livello sulla coesione economica e sociale nei Balcani occidentali), 15 maggio 2018, Sofia (Bulgaria).

(14)  EESC Contribution to the EU-Western Balkans Summit on 6 May 2020 (Contributo del CESE al vertice UE-Balcani occidentali del 6 maggio 2020 — pubblicato il 28.4.2020).

(15)  GU C 429 dell’11.12.2020, pag. 114

(16)  Cfr. anche il parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Coesione economica e sociale e integrazione europea dei Balcani occidentali — sfide e priorità (GU C 262 del 25.7.2018, pag. 15) e il parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA III) (GU C 110 del 22.3.2019, pag. 156).

(17)  Stratulat et al. (2019), op. cit.

(18)  Indagine commissionata dal Fondo europeo per i Balcani nell’ottobre 2020, quale risorsa per il gruppo consultivo «Balcani in Europa» (Balkans in Europe Policy Advisory Group, BiEPAG) e condotta in tutti e sei i paesi della regione, sulla base di un campione rappresentativo a livello nazionale costituito da un minimo di 1 000 intervistati di età superiore ai 18 anni, attraverso colloqui telefonici e online.

(19)  Stratulat, Corina, Kmezić, Marko, Tzifakis, Nikolaos, Bonomi, Matteo, e Nechev, Zoran (2020), Between a rock and a hard place: Public opinion on integration in the Western Balkans (Fra l’incudine e il martello: l’opinione pubblica sull’integrazione nei Balcani occidentali), Balkans in Europe Policy Advisory Group — BiEPAG (Gruppo consultivo «Balcani in Europa»).

(20)  Balfour, Rosa e Stratulat, Corina (2015) (a cura di), EU member states and enlargement towards the Balkans (Gli Stati membri dell’UE e l’allargamento verso i Balcani), documento tematico n. 79 dell’EPC, Bruxelles, Centro di politica europea, pag. 234.

(21)  COM(2018) 65 final (6.2.2018), Una prospettiva di allargamento credibile e un maggior impegno dell’UE per i Balcani occidentali.

(22)  Stratulat et al. (2020), op. cit., pag. 5.

(23)  Richter, Solveig e Wunsch, Natasha (2020), «Money, power, glory: the linkages between EU conditionality and state capture in the Western Balkans» (Denaro, potere, gloria: i collegamenti fra la condizionalità dell’UE e la «presa in ostaggio dello Stato» nei Balcani occidentali), Journal of European Public Policy 27(1), pagg. 41-62.

(24)  COM(2018) 65 final (6.2.2018).

(25)  Stratulat et al. (2020), op. cit., pag. 7.

(26)  Stratulat e Lazarević (2019), op. cit.

(27)  COM(2020) 641 final (6.10.2020) Un piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali.

(28)  COM(2020) 660 final {SWD(2020) 350 final} — {SWD(2020) 351 final} — {SWD(2020) 352 final} — {SWD(2020) 353 final} — {SWD(2020) 354 final} — {SWD(2020) 355 final} — {SWD(2020) 356 final} (6.10.2020) Comunicazione 2020 sulla politica di allargamento dell’UE.

(29)  Bonomi, Matteo e Reljić, Dušan (2017), The EU and the Western Balkans: so near and yet so far (L’UE e i Balcani occidentali: così vicini, eppure così lontani), Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) Commentary, SWP.

(30)  Stratulat et al. (2019), op. cit., pag. 113, e parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Contributo della società civile all’agenda verde e allo sviluppo sostenibile dei Balcani occidentali nel quadro del processo di adesione all’UE (parere d’iniziativa) (GU C 429 dell’11.12.2020, pag. 114).

(31)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Coesione economica e sociale e integrazione europea dei Balcani occidentali — sfide e priorità (GU C 262 del 25.7.2018, pag. 15).

(32)  Ibidem.

(33)  GU C 429 dell’11.12.2020, pag. 114.

(34)  Ibidem.

(35)  Matkovic Puljic, Vlatka, Jones, Dave, Moore, Charles, Myllyvirta, Lauri, Gierens, Rosa, Kalaba, Igor, Ciuta, Ioana, Gallop, Pippa, e Risteska, Sonja (2019), Chronic coal pollution EU action on the Western Balkans will improve health and economies across Europe (Inquinamento cronico da carbone: l’azione dell’UE nei Balcani occidentali migliorerà la salute e le economie in tutta Europa), Bruxelles: Health and Environment Alliance, pag. 18.

(36)  Cfr., ad esempio, «European Western Balkans, Sarajevo and Belgrade among the most polluted world capitals» (I Balcani occidentali europei, Sarajevo e Belgrado fra le capitali più inquinate al mondo), 13 gennaio 2020; Bateman, Jessica, «The young people fighting the worst smog in Europe» (I giovani impegnati nella lotta contro il peggiore smog d’Europa), BBC, 2 luglio 2020.

(37)  Straulat e Lazarević (2019), op. cit.

(38)  Tra i numerosi esempi positivi di tale cooperazione si possono citare: la strategia dell’UE per la regione adriatica e ionica (EUSAIR), la strategia dell’UE per la regione danubiana (EUSDR), la rete CIVINET Slo-Cro-SEE (Slovenia — Croazia — Europa sudorientale), la rete per lo sviluppo rurale dei Balcani (BRDN), il Forum per gli investimenti delle camere di commercio e dell’industria dei 6 paesi dei Balcani occidentali (WB6 CIF) e il consiglio regionale dei sindacati Solidarnost

(39)  COM(2020) 57 final (5.2. 2020) Rafforzare il processo di adesione — Una prospettiva europea credibile per i Balcani occidentali.

(40)  Guidelines for EU Support to Civil Society in Enlargement Countries (2014-2020).

(41)  BCSDN, Background Analysis of the Enlargement Package 2020: Should Civil Society Be Satisfied with Just Being Acknowledged? (Analisi delle circostanze del pacchetto del 2020 per l’allargamento: la società civile dovrebbe essere soddisfatta di un mero riconoscimento?), ottobre 2020.

(42)  BCSDN, Feedback on the Consultation of CSOs in the Preparation of IPA III (Riscontro sulle consultazioni delle OSC nella preparazione di IPA III), 22 aprile 2020.

(43)  Stratulat e Lazarević (2020), op.cit., pag. 7.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/98


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea — Far fronte ai crediti deteriorati all’indomani della pandemia di COVID-19»

[COM(2020) 822 final]

(2021/C 220/15)

Relatore:

Kęstutis KUPŠYS

Consultazione

Commissione europea, 24.2.2021

Base giuridica

Articolo 304 TFUE

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

10.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

246/2/11

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la presentazione del nuovo piano d’azione (comunicazione) della Commissione sui crediti deteriorati, ma deplora che in tale piano non siano formulate nuove proposte idonee a far fronte alla pandemia di COVID-19, lasciando quindi che l’Europa affronti un periodo senza precedenti con norme concepite per tempi «normali». Il CESE raccomanda pertanto di affrontare prima di tutto le cause alla radice dei crediti deteriorati per scongiurarne l’accumulo in futuro, e propone inoltre un’attenta revisione e un adattamento temporaneo della definizione di inadempienza («default»), garantendo un «atterraggio morbido» alle famiglie e alle imprese. Il CESE osserva che, nell’attuale crisi della COVID-19, è necessario che sia la politica monetaria e fiscale che la regolamentazione del settore finanziario siano coerenti con i tempi in cui viviamo.

1.2.

È fondamentale affrontare le cause che sono alla radice dei crediti deteriorati. Il CESE sottolinea che il modo più efficace per evitare l’accumulo di elevati volumi di crediti deteriorati nei bilanci sia delle famiglie che delle PMI consiste: nel fare in modo di adoperarci incessantemente per migliorare la competitività, nel prestare particolare attenzione alla continuità operativa e alla ripresa economica, nell’elaborare robusti sistemi di sicurezza sociale e nel contrastare la povertà, l’indebitamento eccessivo e la disoccupazione, assicurando salari adeguati e mettendo in campo misure anticicliche di politica economica in periodi di crisi. Grazie a queste misure saremo in grado di preservare e rafforzare la stabilità dei mercati finanziari e la resilienza economica, affrontando al tempo stesso il problema della povertà e delle enormi disuguaglianze esistenti.

1.3.

Il CESE afferma che il trattamento dei crediti deteriorati «pre-COVID-19» dovrebbe essere molto diverso da quello riservato ai crediti deteriorati «post-COVID-19» (indotti dalla COVID-19), date le circostanze completamente diverse prima e dopo marzo del 2020. Il CESE propone pertanto una revisione attenta, mirata e rigorosamente temporanea degli orientamenti dell’Autorità bancaria europea (ABE) sulla definizione di inadempienza («default»). Il CESE raccomanda inoltre che gli orientamenti dell’ABE in materia di moratoria sui prestiti rimangano in vigore per tutto il tempo necessario.

1.4.

Il CESE chiede che in parallelo alle misure di alleviamento per gli istituti di credito siano previste anche misure di aiuto dei governi a favore dei debitori che versano oggi in condizioni difficili unicamente a causa della pandemia. Tra i provvedimenti da adottare in questo contesto si possono citare le dilazioni di pagamento del prestito con scadenze da uno a tre anni, gli sconti sui tassi d’interesse, la ristrutturazione del debito per convertirlo in forme di credito meno costose e, laddove possibile, le moratorie sui rimborsi dei prestiti. Il CESE è favorevole a un tale processo interno di rinegoziazione.

1.5.

Il CESE osserva che la necessità di realizzare un mercato transfrontaliero e paneuropeo dei crediti deteriorati è sovrastimata. Esprime quindi preoccupazione per il progetto della Commissione di rilasciare alle agenzie di recupero crediti un «passaporto» che consenta loro di operare in tutta l’UE senza un’adeguata supervisione da parte sia dei paesi di «origine» di tali enti che dei paesi «ospitanti». Questo approccio potrebbe essere giustificato solo se venisse riequilibrato da una serie di misure compensative atte a proteggere i debitori in difficoltà — ad esempio una norma sulla protezione dei consumatori valida a livello dell’UE per le agenzie di recupero crediti.

1.6.

Un altro dei punti chiave del piano d’azione sui crediti deteriorati si riferisce alla proposta di un’AECE (Accelerated Extrajudicial Collateral Enforcement — procedura accelerata di escussione extragiudiziale delle garanzie), che è strettamente limitata ai prestiti alle imprese e applicabile solo se è stato raggiunto un accordo preventivo volontario tra le parti al momento della stipula del contratto di prestito. Il CESE osserva che l’AECE potrebbe costituire una soluzione equilibrata per i debitori, ma chiede che l’escussione extragiudiziale non diventi un’opzione standard prevista dai contratti di prestito.

1.7.

Il CESE esorta vivamente a non mettere nello stesso sacco la questione dei crediti deteriorati, che rispecchia un fenomeno largamente diffuso nell’economia, e le questioni relative alla salvaguardia della stabilità finanziaria. Per preservare l’integrità etica e operativa del settore bancario, le due questioni dovrebbero essere affrontate separatamente.

1.8.

Il CESE chiede che l’opzione di vendita di crediti deteriorati alle società di gestione patrimoniale (anche dette, in maniera colloquiale, «bad banks», o «banche cattive») rimanga un’eccezione e che venga invece privilegiata la stipula di accordi bilaterali di rinegoziazione del debito tra l’istituto di credito e il debitore, nel qual caso la soluzione da trovare dovrebbe essere incentrata sulla continuità operativa e sulla ripresa economica. Il CESE sottolinea che, probabilmente, qualsiasi ricorso ad una «ricapitalizzazione precauzionale», se quest’ultima è finanziata con denaro pubblico, sottrae fondi pubblici che andrebbero investiti in altri e più utili obiettivi dal punto di vista sociale ed economico. Il CESE insiste altresì sulla necessità che il ricorso ad eventuali misure «precauzionali» avvenga in maniera estremamente responsabile, al fine di evitare rischi morali e il salvataggio di banche a spese della società attingendo a denaro pubblico.

1.9.

Nel contesto attuale, in cui imprese potenzialmente sane potrebbero trovarsi in condizioni di difficoltà di pagamento malgrado l’affidabilità creditizia di cui godevano nel periodo «pre-COVID-19», il CESE suggerisce di rivedere attentamente gli orientamenti dell’Autorità bancaria europea (ABE) sulla definizione di inadempienza («default»), poiché in seguito a tale revisione i debitori in difficoltà dovute alla pandemia di COVID-19 potrebbero avere una possibilità di ripresa prima che i loro prestiti siano classificati come «crediti deteriorati». Tuttavia, il CESE sottolinea che le eventuali modifiche così introdotte dovranno essere rigorosamente temporanee, non dovrebbero interferire con un’accurata e particolareggiata identificazione e segnalazione del rischio di credito da parte delle banche e dovrebbero essere effettuate in linea con la necessità primaria di garantire la stabilità e la solvibilità del settore bancario.

1.10.

Il CESE raccomanda in generale di mantenere saldamente in vigore gli attuali requisiti patrimoniali, compreso il regolamento sul «backstop» (sicurezza prudenziale) per i crediti deteriorati. Ciò garantirà alle banche la piena capacità di sostenere le perdite e renderà meno probabili futuri interventi pubblici (ad esempio il ricorso alla «ricapitalizzazione precauzionale») e salvataggi di banche a spese dei contribuenti. Tuttavia, si potrebbe prendere in considerazione l’idea di una flessibilità temporanea che potrebbe essere applicata alla definizione di inadempienza («default») e alla messa a disposizione del «backstop» per i crediti deteriorati allo scopo di attenuare l’impatto della crisi della COVID-19.

2.   Contesto

2.1.

Il piano d’azione sui crediti deteriorati della Commissione europea, annunciato nel dicembre 2020 (1), si propone di scongiurare in futuro un accumulo di crediti deteriorati in tutta l’Unione europea in conseguenza della crisi della COVID-19. Un prestito è classificato come «credito deteriorato» quando è improbabile che venga rimborsato o quando il pagamento da parte del debitore è in arretrato di 90 giorni. Secondo le stime della Banca centrale europea, nell’ipotesi di uno scenario grave, in cui la pandemia determini una ripresa molto più debole e per un periodo prolungato, l’ammontare dei crediti deteriorati detenuti dalle banche della zona euro potrebbe arrivare fino a 1 400 miliardi di EUR (2).

2.2.

Nel luglio 2017 era stato presentato il piano d’azione per affrontare la questione dei crediti deteriorati in Europa (3) che, negli anni successivi, ha contribuito a fronteggiare il problema dell’accumulo di crediti deteriorati nei bilanci delle banche e ad invertire tale tendenza. A questo piano d’azione è seguita una comunicazione sul completamento dell’Unione bancaria (4).

2.3.

Nel marzo 2018 la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa (5) intesa a promuovere lo sviluppo del mercato secondario dei crediti deteriorati nell’UE. Questo progetto di direttiva dovrebbe agevolare le banche nella vendita dei loro portafogli di crediti deteriorati a investitori terzi ovunque nell’UE. La proposta prevede inoltre una procedura di recupero del credito in sede extragiudiziale denominata «procedura accelerata di escussione extragiudiziale delle garanzie (Accelerated Extrajudicial Collateral Enforcement, AECE)». Il progetto di direttiva è una proposta ancora in fieri, ma va ricordato che le due questioni vengono affrontate in modo separato in atti legislativi distinti.

2.4.

Di fronte allo scoppio della pandemia di COVID-19 la Commissione ha reagito con rapidità mettendo in campo delle misure per aiutare il settore bancario ad affrontare l’atteso accumulo di crediti deteriorati nei loro bilanci e anche quello futuro. Il pacchetto per il settore bancario dell’aprile 2020 ha già fornito un notevole sostegno a breve termine al settore bancario (6), comprese norme sulle modalità di valutazione da parte delle banche del rischio che un debitore non sia in grado di rimborsare un prestito, norme prudenziali sulla classificazione dei crediti deteriorati e il trattamento contabile dei ritardi di rimborso del prestito. Le banche hanno beneficiato anche di significative misure di sostegno alla liquidità [il programma di acquisto per l’emergenza pandemica (PEPP) della BCE (7) e l’allentamento delle condizioni per operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (TLTRO III), nel marzo 2020]. È giunto il momento di condurre una riflessione sui livelli di solvibilità delle aziende europee.

2.5.

Il pacchetto di misure di accompagnamento per la ripresa dei mercati dei capitali ha fornito un ulteriore sostegno al settore bancario eliminando gli ostacoli normativi alla cartolarizzazione (8) dei crediti deteriorati.

2.6.

Negli ultimi mesi il settore bancario europeo ha beneficiato di misure di semplificazione degli obblighi normativi e di sostegno alla liquidità mirate a salvaguardare la stabilità finanziaria ed economica e a sostenere le famiglie e le imprese europee; le banche hanno quindi continuato a concedere prestiti ai loro clienti e non si è verificata nessuna stretta creditizia.

2.7.

Anche gli Stati membri hanno adottato un’azione risoluta, con regimi di aiuti per alleviare la situazione di famiglie e imprese in difficoltà di liquidità. Si tratta tipicamente di regimi che prevedono sistemi di garanzie pubbliche e/o dilazioni di pagamento dei prestiti («moratorie»). Queste misure aiutano i debitori con problemi temporanei di liquidità e impediscono che si registri un forte e immediato aumento dei crediti deteriorati. La Commissione ha inoltre adottato un quadro temporaneo per consentire agli Stati membri di sfruttare pienamente la flessibilità prevista dalle norme in materia di aiuti di Stato al fine di sostenere l’economia durante la pandemia di COVID-19.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE osserva che il piano d’azione (comunicazione) della Commissione in esame riprende e conferma le stesse misure già presentate nel piano del 2017, e che, in sostanza, non formula nuove proposte idonee a far fronte alla pandemia di COVID-19, lasciando quindi che l’Europa affronti un periodo senza precedenti con norme concepite per tempi «normali». Il CESE afferma che il trattamento dei crediti deteriorati «pre-COVID-19» dovrebbe essere molto diverso da quello riservato ai crediti deteriorati «post-COVID-19» (indotti dalla COVID-19), date le circostanze completamente diverse prima e dopo marzo del 2020. Il CESE raccomanda pertanto una revisione attenta, mirata e rigorosamente temporanea della definizione di inadempienza («default») dell’ABE, al fine di evitare che i debitori siano automaticamente classificati in stato di default, ma anche di attenuare gli effetti prociclici della regolamentazione vigente e di garantire un «atterraggio morbido» per le famiglie e le imprese europee.

3.2.

La pandemia ha determinato una riduzione della domanda e dei consumi, il che ha suscitato preoccupazioni tra le PMI dovute alla difficoltà di reperire clienti. Sebbene l’accesso ai finanziamenti non costituisca attualmente il problema più urgente segnalato dalle PMI (nei sondaggi della BCE (9)), nel far fronte ai crediti deteriorati occorre tenere conto di tutti i problemi che le PMI si trovano ad affrontare.

3.3.

Il CESE chiede da sempre (10) che i crediti deteriorati vengano ridotti in maniera socialmente sostenibile, preservando al contempo la stabilità finanziaria (11). Oggi, con la pandemia di COVID-19 in corso, questa considerazione è più importante che mai. A differenza di quanto accaduto dieci anni fa durante la crisi finanziaria del 2008-2009, l’attuale, previsto forte aumento dei crediti deteriorati non è imputabile al settore finanziario né a nessun’altra specifica categoria di operatori del sistema economico, ma non è nemmeno colpa dell’«economia reale», dei governi o dei cittadini europei. È di fondamentale importanza che le autorità di regolamentazione a livello dell’UE e i governi degli Stati membri intervengano con gli strumenti giusti.

3.4.

Pur riconoscendo che lo sviluppo di mercati secondari dei crediti deteriorati comporta una serie di vantaggi, il CESE sarebbe favorevole alla stipula di accordi bilaterali di rinegoziazione del debito tra l’istituto di credito e i debitori solvibili. Benché sia possibile ridurre i volumi dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche rivendendoli ad acquirenti di crediti, ciò non significa che le vendite di crediti deteriorati siano una soluzione ottimale dal punto di vista del debitore o della società nel suo complesso. Le vendite di crediti deteriorati dovrebbero rappresentare una soluzione di ultima istanza.

3.5.

È fondamentale affrontare le cause che sono alla radice dei crediti deteriorati. Il CESE sottolinea che il modo più efficace per evitare l’accumulo di elevati volumi di crediti deteriorati nei bilanci sia delle famiglie che delle PMI consiste: nel garantire robusti sistemi di sicurezza sociale e nel contrastare la povertà, l’indebitamento eccessivo e la disoccupazione, nell’assicurare salari adeguati e nel mettere in campo misure anticicliche di politica economica in periodo di crisi, migliorando al tempo stesso la produttività e la competitività dell’economia europea e concentrandosi sulla continuità operativa e sulla ripresa economica, con un quadro normativo chiaro e aggiornato che permetta la visibilità per la realizzazione di investimenti a lungo termine. Grazie a queste misure saremo in grado di preservare e rafforzare la stabilità dei mercati finanziari e la resilienza economica, affrontando al tempo stesso il problema della povertà e delle disuguaglianze esistenti. In quest’ottica, il CESE raccomanda che gli orientamenti dell’ABE (Autorità bancaria europea) in materia di moratoria sui prestiti rimangano in vigore per tutto il tempo necessario e propone una revisione attenta, mirata e rigorosamente temporanea della definizione di inadempienza («default»).

3.6.

Secondo il CESE, il piano d’azione in esame rispecchia la logica di base secondo cui oggi le banche hanno una funzione di infrastruttura essenziale in un’economia fondata sui flussi monetari in Europa, e la buona salute e la stabilità del settore bancario costituiscono un presupposto indispensabile della ripresa economica. Come sottolinea la Commissione in un comunicato stampa sull’argomento (12), «[g]arantire che i cittadini e le imprese europei continuino a ricevere sostegno dalla loro banca è una priorità assoluta per la Commissione». In tale contesto, il CESE sottolinea il ruolo determinante della BCE nel salvaguardare la stabilità e l’offerta di credito delle banche, e osserva che l’economia europea è sostenuta da misure intese a garantire che i prestiti vengano concessi laddove vi sia una domanda solvibile di credito.

3.7.

Il CESE sottolinea la parziale mancanza di dati attendibili sui crediti deteriorati e osserva che permane tuttora una notevole incertezza quanto al futuro della vaccinazione contro la COVID-19, le mutazioni del virus SARS-CoV-2 (le cosiddette «varianti» della COVID-19), le misure di confinamento e la ripresa economica. Il CESE sottolinea l’importanza della qualità dei dati per valutare correttamente la portata del problema e individuare le imprese sane. Il CESE invita pertanto alla cautela e chiede misure che possano rilanciare rapidamente l’economia europea, ad esempio provvedimenti che sostengano le piccole imprese e garantiscano salari adeguati e robusti sistemi di sicurezza sociale. Il CESE fa notare che i depositi bancari sono notevolmente aumentati (13), il che significa che esiste un buon potenziale di domanda dei consumatori nei mesi che seguiranno alla revoca delle misure restrittive di confinamento.

3.8.

Resta da vedere in che modo imprese e famiglie che «a causa della pandemia […] si trovano in gravi difficoltà finanziarie» (14) possano essere aiutate dalle banche [«ricevere sostegno dalla loro banca» (15)] se viene affrontato il problema dell’aumento dei crediti deteriorati. Né le proposte di modifiche né l’allentamento normativo proposto sono attualmente subordinati all’erogazione di prestiti da parte delle banche alle PMI o alle famiglie solvibili. Il CESE si rammarica che, fatta eccezione per il settore bancario, il piano d’azione della Commissione preveda solo un numero limitato di nuove misure volte ad aiutare gli operatori economici in difficoltà. Di fronte allo shock economico esterno che rende tanti lavoratori e imprese ancora più dipendenti dai prestiti, le misure di sostegno e attenuazione a favore delle banche dovrebbero essere intese a concedere maggiori prestiti alle PMI e alle famiglie solvibili. Al tempo stesso, le autorità dovrebbero introdurre opportune garanzie per impedire le pratiche irresponsabili in materia di concessioni di prestiti e il conseguente sovraindebitamento.

3.9.

Il CESE raccomanda di riconoscere la società civile nel suo complesso in quanto insieme di soggetti interessati in materia di regolamentazione dei mercati finanziari. Per quanto riguarda, in particolare, la questione di far fronte ai crediti deteriorati all’indomani della pandemia di COVID-19, tali crediti hanno conseguenze di vario genere, dato che hanno anche un impatto, ad esempio, sugli interessi dei lavoratori in quanto debitori, dipendenti di società indebitate, lavoratori del settore finanziario o contribuenti (soprattutto qualora vengano decise misure di sostegno con denaro pubblico per affrontare i crediti deteriorati).

3.10.

Il CESE osserva che la necessità di realizzare un mercato transfrontaliero e paneuropeo dei crediti deteriorati è sovrastimata, benché il settore bancario stia compiendo costanti progressi verso un’Unione bancaria a livello dell’UE. È tutt’altro che certo che le operazioni transfrontaliere effettuate da acquirenti di crediti apportino benefici economici tangibili al sistema economico nel suo complesso e non unicamente alle banche, agli stessi acquirenti di crediti e ai gestori di crediti (mentre è vero invece che questi ultimi possono sicuramente trarre vantaggio dalle economie di scala).

3.11.

Tenuto conto di tale contesto, il CESE sottolinea inoltre che distribuire il rischio può non portare a ridurlo: la crisi dei mercati finanziari del 2008-2009 ci ha insegnato, al contrario, che ciò potrebbe a tradursi in un accumulo non trasparente dei rischi nell’economia. Il CESE raccomanda vivamente che l’obiettivo di tutte le misure in materia di incentivi per il settore finanziario sia quello di scoraggiare gli operatori del mercato dall’assumersi rischi eccessivi.

3.12.

Al tempo stesso, il CESE sottolinea che alle imprese, alle famiglie, ai lavoratori e alla società civile europei servono risorse e un pieno sostegno per resistere alla crisi e che tali misure di sostegno dovrebbero essere fornite dall’UE. Questo aiuto dovrebbe essere disponibile per un periodo massimo di tre anni (come nel caso del pacchetto di misure di stimolo Next Generation EU) per offrire un aiuto a imprese e debitori ritenuti sani e solvibili prima dello scoppio della pandemia. Praticamente l’intera popolazione europea subisce l’impatto della crescente insicurezza socioeconomica. Le imprese devono far fronte a perturbazioni dovute alle chiusure forzate e al calo della domanda, mentre sulle famiglie incombe lo spettro della disoccupazione e della diminuzione del reddito. Il CESE ritiene che i cittadini e le imprese europee avrebbero bisogno di una tipologia di misure completamente diversa e, ovviamente, non di una rapida applicazione del quadro sui crediti deteriorati così come proposto dalla Commissione.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

La Commissione è convinta che giungere ad un accordo sulla proposta di direttiva relativa ai gestori di crediti e agli acquirenti di crediti, che in sostanza crea un mercato secondario comune per i crediti deteriorati, costituisca una priorità assoluta. Il CESE esprime preoccupazione per il progetto della Commissione di rilasciare alle agenzie di recupero crediti un «passaporto»che consenta loro di operare in tutta l’UE senza un’adeguata supervisione da parte sia dei paesi di «origine» di tali enti che dei paesi «ospitanti». Questo approccio potrebbe essere giustificato solo se venisse riequilibrato da una serie di misure compensative atte a proteggere i debitori in difficoltà — ad esempio una norma sulla protezione dei consumatori valida a livello dell’UE per le agenzie di recupero crediti. Il CESE esprime inoltre preoccupazione per il fatto che la proposta di direttiva relativa ai gestori di crediti e agli acquirenti di crediti (16) impedirebbe agli Stati membri di applicare ai gestori e acquirenti di crediti qualsiasi altro obbligo o qualsiasi obbligo supplementare, anche qualora gli Stati ritenessero che tali obblighi tutelino i debitori. Se fosse garantita una supervisione da parte sia dei paesi di «origine» che dei paesi «ospitanti», se venissero rispettate le norme sulla protezione dei consumatori, se tramite l’Autorità bancaria europea (ABE) venissero forniti degli orientamenti sulle «buone pratiche» e se fosse prevista l’adozione di un approccio uniforme a tali attività, allora la maggior parte delle questioni sollevate nel presente documento sarebbe affrontata e risolta. Alla luce di tali argomentazioni, al fine di rendere operativo il passaporto che consente il recupero di crediti in tutta l’UE, occorre rafforzare le norme di protezione dei debitori per evitare i rischi di cui sopra.

4.2.

Il CESE sottolinea che sia alcuni acquirenti di crediti che alcune agenzie di recupero crediti hanno una cattiva reputazione — ragion per cui taluni acquirenti di crediti sono denominati «fondi avvoltoio» (vulture funds) — e osserva che la concessione alle agenzie di recupero crediti di un «passaporto» che consenta loro di operare in tutta l’UE senza un’adeguata supervisione da parte sia dei paesi di «origine» di tali enti che dei paesi «ospitanti» e senza un’attuazione tempestiva ed efficace di orientamenti sulle «buone pratiche» in tutta l’Unione potrebbe portare tali acquirenti di crediti o gestori di crediti a comportamenti commerciali scorretti, a danno dei debitori in difficoltà. Il CESE sottolinea inoltre che occorre garantire che la proposta di direttiva relativa ai gestori di crediti e agli acquirenti di crediti non impedisca agli Stati membri di applicare requisiti giuridici supplementari a tali enti, assicurando così che, nella fattispecie, il principio di sovraregolamentazione (gold-plating) sia correttamente osservato.

4.3.

Inoltre, è risaputo che alcuni acquirenti di crediti hanno problemi di elusione fiscale. Ad esempio, in Irlanda alcuni di questi soggetti sono registrati come enti di beneficenza e non pagano quasi nessuna imposta. Il CESE invita la Commissione europea a intensificare gli sforzi per affrontare il problema dell’elusione fiscale.

4.4.

Un altro dei punti chiave del piano d’azione sui crediti deteriorati si riferisce alla proposta di un’AECE (procedura accelerata di escussione extragiudiziale delle garanzie), che è strettamente limitata ai prestiti alle imprese e applicabile solo se è stato raggiunto un accordo preventivo volontario tra le parti al momento della stipula del contratto di prestito. Il CESE prende atto che le famiglie (consumatori privati) sono escluse da questa procedura e sottolinea che è necessario pervenire ad un equilibrio tra lo strumento che consiste in una procedura accelerata di escussione extragiudiziale delle garanzie (AECE), la direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio (17) e le procedure di insolvenza. Il CESE osserva che l’AECE potrebbe offrire una soluzione equilibrata per i debitori, ma chiede che l’escussione extragiudiziale non diventi l’opzione standard prevista dal contratto di prestito. Si dovrebbe garantire che le imprese in difficoltà non siano lasciate prive di assistenza e conservino la possibilità di accedere alla giustizia ordinaria con il suo sistema di pesi e contrappesi, che è frutto di una lunga tradizione. Secondo il CESE, i problemi di ritardi sistematici nel recupero delle garanzie andrebbero affrontati paese per paese, attuando riforme ben preparate e con interventi mirati da parte degli Stati membri in cui perdurano queste strozzature.

4.5.

Il CESE conviene con la Commissione che «[…] le banche dovrebbero essere incentivate il più possibile ad adottare un approccio proattivo per avviare tempestivamente un dialogo costruttivo con i propri debitori», poiché ciò eviterà di danneggiare imprese sane e ne garantirà la continuità operativa. Il Comitato invita tuttavia la Commissione a proporre misure concrete per raggiungere questo obiettivo cruciale.

4.6.

Il CESE accoglie con favore l’iniziativa della Commissione di far convergere ulteriormente i diversi quadri nazionali in materia di insolvenza in tutta l’UE, e osserva che questa convergenza è vantaggiosa non solo per il settore bancario, ma per il panorama imprenditoriale complessivo dell’intera Europa. Tale convergenza non dovrebbe necessariamente essere collegata alla questione dei crediti deteriorati. Va osservato, tuttavia, che questa misura non risulterà utile nel breve periodo e neppure sarà di grande aiuto all’indomani della crisi della COVID-19. La certezza delle norme relative ai diritti dei creditori e dei debitori e una maggiore armonizzazione delle procedure di rimozione delle garanzie in tutti gli Stati membri porteranno a una riduzione dei rischi e daranno ulteriore impulso agli investimenti transfrontalieri e agli scambi commerciali interni. Il CESE sottolinea che, nel riformare i quadri in materia di insolvenza, si dovrebbe prestare la dovuta attenzione ai debitori.

4.7.

Il CESE sottolinea che il mercato secondario dei crediti deteriorati non contribuisce in alcun modo alla prosperità delle imprese, non sostiene l’occupazione né permette alle aziende chiuse di riaprire. Perché le imprese possano rilanciare le loro attività, è di fondamentale importanza adottare misure mirate finanziate dallo Stato. Il CESE ritiene essenziale erogare prestiti a un’economia che registra oggi un calo di produzione senza precedenti a causa del blocco delle attività dovuto alla crisi della COVID-19, tuttavia tale erogazione di prestiti non dovrebbe assumere dimensioni eccessive, poiché in tal caso potrebbe non essere sostenibile.

4.8.

Tuttavia, la proposta che la Commissione vorrebbe adottare — il mercato secondario su scala paneuropea e, in misura minore, la procedura AECE — fa temere che un mercato secondario unico per i crediti deteriorati in Europa renda possibili degli abusi e lasci i clienti delle banche esposti al rischio di cadere nelle mani dei «fondi avvoltoio», la maggior parte dei quali non proviene da paesi dell’UE. Il CESE raccomanda una maggiore trasparenza e norme adeguate al fine di garantire la protezione dei consumatori da abusi commessi da gestori di crediti, acquirenti di crediti o «fondi avvoltoio».

4.9.

Il CESE raccomanda di non rilasciare agli investitori nel settore crediti e alle agenzie di recupero crediti un «passaporto» che consenta loro di operare in tutta l’UE se questi soggetti acquistano crediti al consumo (di clienti privati) deteriorati. Si potrebbe valutare se sia opportuno esentare anche i debiti delle microimprese.

4.10.

L’accento posto sulla standardizzazione dei dati relativi ai crediti deteriorati in tutta l’UE è accolto positivamente, ma non è sufficiente considerata la missione da portare avanti e, in linea di principio, non è neppure molto pertinente. Il CESE osserva inoltre che le istituzioni e i contribuenti dell’UE non dovrebbero farsi carico dei costi della creazione di mercati efficienti e di una migliore standardizzazione dei crediti deteriorati al fine di agevolarne il commercio; tali costi dovrebbero essere sostenuti dagli stessi operatori del mercato poiché sono principalmente loro a ricavare vantaggi dalle operazioni commerciali sui crediti deteriorati. La trasparenza dei dati è necessaria per garantire che le vendite sia esterne che interne (vale a dire all’interno dei gruppi bancari) di crediti deteriorati rispettino tutti i principi contabili internazionali (International Financial Reporting Standards — IFRS) e siano eseguite correttamente.

4.11.

Le società nazionali di gestione patrimoniale — ampiamente pubblicizzate nel documento della Commissione, che vengono anche dette, in maniera colloquiale, «bad banks», o «banche cattive» — possono richiedere, e con ogni probabilità richiederanno, denaro pubblico. Il CESE esorta pertanto ciascuno Stato membro a svolgere un’analisi approfondita dell’utilizzo di fondi pubblici per la creazione di tali società di gestione patrimoniale, in funzione della situazione attuale dei singoli paesi e nel rispetto delle norme in materia di aiuti di Stato.

4.12.

Il CESE esorta vivamente a non mettere nello stesso sacco la questione dei crediti deteriorati, che rispecchia un fenomeno largamente diffuso nell’economia, e i temi legati al mantenimento della stabilità finanziaria. Per preservare l’integrità etica e operativa del settore bancario, le due questioni dovrebbero essere affrontate separatamente. Il CESE ritiene che, sebbene i problemi di determinati istituti finanziari possano essere dovuti al fatto di avere un carico eccessivo di crediti deteriorati nei loro bilanci, il salvataggio con denaro pubblico di queste banche economicamente non più capaci di operare — ricorrendo al modello delle società di gestione patrimoniale sotto le mentite spoglie di una «rimozione» di «cattivi» crediti deteriorati — non sarebbe in alcun modo giustificato, ed è inoltre del parere che la questione della gestione delle crisi bancarie debba essere affrontata in una prospettiva globale. Il CESE chiede che la vendita di crediti deteriorati alle società di gestione patrimoniale rimanga un’eccezione e che venga invece privilegiata la ricerca di una soluzione per tali crediti iscritti nei bilanci delle banche.

4.13.

Inoltre, è essenziale che la Commissione eviti che sia utilizzato denaro pubblico per salvare, ancora una volta, interessi bancari privati. Il salvataggio di una banca non dovrebbe essere considerato un valore in sé; non è il fine ultimo delle politiche economiche. Le reiterate campagne per il salvataggio delle banche, che assorbono ingenti somme di denaro pubblico, potrebbero creare a lungo andare un rischio morale e perturbare il sistema di incentivi integrato nell’attività bancaria. Pertanto, il CESE mette in guardia contro qualsiasi politica che si traduca in una «privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite». Le banche andrebbero invece incoraggiate ad affrontare internamente il problema dei crediti deteriorati nei loro bilanci e a gestire meglio i loro portafogli di prestiti; un sostegno pubblico, implicito o esplicito, di qualsiasi genere non le aiuterà ad affrontare i loro problemi di bilancio sottostanti. Il CESE prende atto dell’esistenza del Fondo di risoluzione unico, finanziato dai contributi degli istituti di credito. Il dimensionamento della giusta capacità di tale Fondo permetterebbe di evitare che il denaro pubblico sia utilizzato per salvare interessi bancari privati, tenendo quindi conto delle preoccupazioni di una «privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite».

4.14.

Il CESE esorta ad adoperarsi per il completamento dell’Unione bancaria, che creerebbe un settore bancario resiliente, adeguatamente capitalizzato e, soprattutto, autosufficiente. È necessario trovare un equilibrio tra condivisione dei rischi e riduzione del rischio. Si dovrebbero evitare ripercussioni significative sui bilanci pubblici e sui contribuenti in caso di crisi, che sia nazionale o a livello dell’UE. Occorre pertanto applicare requisiti minimi di fondi propri e passività ammissibili (minimum requirement for own funds and eligible liabilities — MREL) e attuare misure antiriciclaggio efficaci. Inoltre, si dovrebbe riservare maggiore attenzione alla regolamentazione del settore bancario ombra. Occorre garantire che il rischio non sia trasferito da operatori di mercati finanziari ben regolamentati ad altri meno regolamentati. Inoltre, si deve prestare attenzione alla regolamentazione di qualsiasi attività finanziaria che non sia svolta da un’entità regolamentata, in base al principio «stessi rischi, stessa attività, stessa regolamentazione e stessa vigilanza».

4.15.

Dal punto di vista della protezione dei consumatori, l’obiettivo delle società di gestione patrimoniale è chiaramente quello di massimizzare i rendimenti e l’efficienza grazie alla vendita di prestiti a investitori terzi o al realizzo delle garanzie reali, e ciò non sembra compatibile con l’assicurazione di una protezione adeguata per i debitori privati e con la garanzia di piani di rimborso dei prestiti sostenibili e di un tenore di vita minimo. Il CESE raccomanda che le società di gestione patrimoniale includano nelle loro politiche degli obiettivi di carattere sociale.

4.16.

Il CESE teme che, probabilmente, qualsiasi ricorso ad una «ricapitalizzazione precauzionale» sottragga fondi pubblici che andrebbero investiti in obiettivi più utili dal punto di vista sociale ed economico. Di conseguenza, il ricorso alla «ricapitalizzazione precauzionale» dovrebbe rimanere assolutamente un’eccezione nel contesto della crisi della COVID-19. Il CESE insiste sulla necessità che il ricorso ad eventuali «misure precauzionali» avvenga in maniera estremamente responsabile, al fine di evitare rischi morali e il salvataggio di banche a spese della società attingendo a denaro pubblico. È opportuno osservare che la stabilità finanziaria costituisce anche un bene pubblico e che pertanto le autorità di regolamentazione e di vigilanza dei mercati finanziari dovrebbero assicurare l’applicazione di robuste norme prudenziali onde evitare di compromettere quel bene pubblico che è la stabilità finanziaria.

4.17.

Il CESE prende atto dell’affermazione contenuta nella comunicazione secondo cui il dispositivo per la ripresa e la resilienza può fornire un sostegno sostanziale a «riforme volte a […] migliorare i quadri giudiziari, amministrativi e in materia di insolvenza alla base di un’efficiente risoluzione dei crediti deteriorati». Come sostenuto dal Consiglio europeo, i fondi del dispositivo per la ripresa e la resilienza dovrebbero essere utilizzati per «promuovere la crescita, l’occupazione e la resilienza economica e sociale» (18). Servono ulteriori precisazioni per chiarire come la Commissione intenda collegare il dispositivo per la ripresa e la resilienza alla questione dei crediti deteriorati e per garantire che il dispositivo non venga deviato dal suo obiettivo originario, che è quello di promuovere la duplice transizione verde e digitale.

4.18.

Nonostante gli obiettivi del dispositivo per la ripresa e la resilienza concordati dai colegislatori, nessuna misura del piano d’azione della Commissione è rivolta alle imprese europee in difficoltà — che si tratti di piccole e grandi imprese, grandi multinazionali o aziende a conduzione familiare. Inoltre, il CESE osserva che nella comunicazione in esame la Commissione non mette a disposizione nessuno strumento per risolvere il problema di come i consumatori che hanno difficoltà a pagare le bollette e ad arrivare alla fine del mese riescano a sopravvivere all’impatto della pandemia ed evitare di ritrovarsi a poco a poco in condizioni di povertà. Il CESE mette l’accento anche su altri aspetti che devono beneficiare di piani d’azione specifici, come la questione delle piccole e grandi imprese nonché delle aziende a conduzione familiare che risentono dell’impatto della pandemia.

4.19.

Il CESE raccomanda di riesaminare le seguenti regolamentazioni specifiche:

4.19.1.

Nel contesto attuale, in cui imprese potenzialmente sane potrebbero trovarsi in condizioni di difficoltà di pagamento malgrado l’affidabilità creditizia di cui godevano nel periodo «pre-COVID-19», il CESE suggerisce che un’attenta revisione degli orientamenti dell’ABE sulla definizione di inadempienza («default») (ad esempio il numero di giorni oltre la data di scadenza prima che un credito sia considerato deteriorato, la soglia del valore attuale netto oltre la quale un debito ristrutturato è considerato una «inadempienza probabile» (o «incaglio») nei bilanci ecc.) potrebbe offrire a queste imprese una possibilità di ripresa prima che siano classificate come «non più sane». Tuttavia, il CESE sottolinea che le eventuali modifiche così introdotte dovranno essere rigorosamente temporanee e correlate unicamente alla pandemia di COVID-19, e non dovrebbero interferire con un’accurata e particolareggiata identificazione e segnalazione del rischio di credito da parte delle banche; inoltre, le autorità di regolamentazione e di vigilanza devono contemperare l’introduzione di qualsiasi modifica temporanea con la necessità primaria di garantire la stabilità e la solvibilità del settore bancario.

4.19.2.

Il CESE raccomanda inoltre che gli orientamenti dell’ABE in materia di moratoria sui prestiti rimangano in vigore per tutto il tempo necessario.

4.19.3.

Dal momento che i crediti deteriorati sono tali indipendentemente dalle ragioni sottostanti alle difficoltà di pagamento, e dato che è estremamente difficile stabilire quali, tra i debitori in difficoltà, registreranno effettivamente una ripresa una volta che la pandemia sarà sotto controllo, il CESE raccomanda di mantenere saldamente in vigore gli attuali requisiti patrimoniali — compreso il regolamento sul «backstop» (sicurezza prudenziale) per i crediti deteriorati, il cui calendario degli accantonamenti prevede già aumenti molto graduali di capitale. Questo consentirà alle banche di essere in grado di sostenere le perdite, che siano connesse alla pandemia o ad altri fattori, e costituirebbe un elemento chiave nel rendere meno probabili interventi pubblici e salvataggi di banche a spese dei contribuenti. Tuttavia, si potrebbe prendere in considerazione l’idea di una flessibilità temporanea che potrebbe essere applicata alla definizione di inadempienza («default») e alla messa a disposizione del «backstop» per i crediti deteriorati allo scopo di attenuare l’impatto della crisi della COVID-19. Tale iniziativa potrebbe inoltre contribuire ad evitare le svendite di crediti deteriorati da parte delle banche. In tale contesto, il CESE prende atto della sospensione dell’attività dei tribunali civili e di altri ritardi nei procedimenti civili che si sono verificati in tutta Europa, e raccomanda di tenerne conto.

4.19.4.

Per le banche che siano in grado di dimostrare di avere un forte collegamento con l’economia reale (una quota significativa delle loro attività collegata a imprese non finanziarie e alle famiglie), il CESE prevede la possibilità di concedere un’ulteriore flessibilità. D’altro canto, occorre prestare la massima attenzione agli istituti finanziari di importanza sistemica a livello globale, che sono fortemente interconnessi con altri operatori dei mercati finanziari.

4.20.

Il CESE raccomanda che la Commissione proponga metodi affidabili per garantire l’applicazione di norme rigorose di protezione dei debitori in difficoltà da trattamenti iniqui.

4.20.1.

Il CESE chiede che in parallelo alle misure di alleviamento per gli istituti di credito siano previste anche misure di aiuto dei governi a favore dei debitori che versano oggi in condizioni difficili unicamente a causa della pandemia. Tra i provvedimenti da adottare in questo contesto si possono citare le dilazioni di pagamento del prestito con scadenze da uno a tre anni, gli sconti sui tassi d’interesse, la ristrutturazione del debito per convertirlo in forme di credito meno costose e, laddove possibile, le moratorie sui rimborsi dei prestiti.

4.20.2.

Per quanto riguarda le vendite interne di crediti deteriorati, in alcuni casi le società veicolo potrebbero ricavare profitti dal debito di un cliente nell’ambito di una procedura di recupero crediti, anche se in esito alla procedura il cliente rimane fortemente indebitato. Il CESE raccomanda alla Commissione europea di valutare ulteriormente la possibilità di regolamentare al fine di garantire che i diritti dei debitori vengano tutelati e assicurare che questi ultimi non siano ancora più indebitati al termine dell’operazione sopra descritta.

4.21.

Il CESE ribadisce che dovrebbero essere previste misure complessive volte a creare e mantenere un clima imprenditoriale equo e sicuro, avendo particolare cura di garantire che vengano soddisfatte le esigenze dei soggetti più vulnerabili. La competitività delle imprese europee si fonda prima di tutto su un mercato interno solido, un’innovazione costante e un insieme di norme prevedibili e socialmente responsabili basate sulla fiducia tra gli attori economici. Il CESE mette in guardia contro qualsiasi iniziativa legislativa che tratti i crediti deteriorati alla stregua di qualunque altra merce. Il CESE osserva che una simile iniziativa non rafforzerebbe il clima di fiducia ma provocherebbe, anzi, maggiori danni. È assolutamente indispensabile garantire un giusto equilibrio tra i diritti dei debitori e quelli dei creditori.

4.22.

La pandemia di COVID-19 non è che uno dei tanti shock esterni, e molti altri ne verranno in futuro. Le misure strategiche destinate a mitigare i vasti danni causati da questi massicci shock dovrebbero essere fondate su principi universali e resistenti alla prova del tempo. L’UE si sforza di preservare il suo orientamento a un’economia sociale di mercato e rinnova la promessa di non lasciare indietro nessuno, pur migliorando la competitività dell’economia europea. Il CESE raccomanda vivamente che i piani d’azione e le iniziative legislative della Commissione tengano ben presente il rispetto di questi principi fondamentali.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  COM(2020) 822 final.

(2)  Discorso pronunciato il 1o ottobre 2020 da Andrea Enria, presidente del Consiglio di vigilanza della BCE. Alla fine del 2016 la somma dei crediti deteriorati sfiorava i 1 000 miliardi di EUR, pari al 5,1 % del totale dei prestiti bancari. Con riferimento ai dati del 2019, il portafoglio di crediti deteriorati per un importo di 1 400 miliardi di EUR sarebbe pari a circa il 12 % del PIL dell’area dell’euro.

(3)  Piano d’azione per affrontare la questione dei crediti deteriorati in Europa, Consiglio Ecofin, luglio 2017. https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2017/07/11/conclusions-non-performing-loans/.

(4)  COM(2017) 592 final

(5)  Proposta di direttiva relativa ai gestori di crediti, agli acquirenti di crediti e al recupero delle garanzie reali [COM(2018) 135 final — 2018/063 (COD)].

(6)  COM(2020) 169 final.

(7)  https://www.ecb.europa.eu/mopo/implement/pepp/html/index.it.html.

(8)  COM(2020) 822 final e COM(2020) 283 final.

(9)  https://www.ecb.europa.eu/stats/ecb_surveys/safe/html/ecb.safe202011~e3858add29.it.html.

(10)  GU C 353 del 18.10.2019, pag. 32

(11)  Come viene sottolineato in una lettera della BCE del 4 dicembre 2020, gli istituti finanziari dovrebbero «continuare a identificare e rendicontare il deterioramento della qualità degli attivi e l’accumulo degli NPL [non-performing loans — crediti deteriorati] conformemente alle regole vigenti, al fine di mantenere una chiara e accurata visione dei rischi nel settore bancario». Inoltre, la BCE avverte che «[i]n prospettiva prudenziale, politiche e procedure solide per lo staging e la determinazione degli accantonamenti sono fondamentali al fine di assicurare l’adeguata gestione e copertura del rischio di credito, comprese l’identificazione e la gestione tempestive dei debitori in difficoltà».

(12)  https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_2375. Valdis Dombrovskis, vicepresidente esecutivo per Un’economia al servizio delle persone, auspica che la strategia «contribuirà alla ripresa […] dell’Europa consentendo alle banche di rimuovere questi crediti [deteriorati] dal bilancio e di continuare a erogare prestiti».

(13)  Nonostante la pandemia, i depositi totali di società non finanziarie nell’area dell’euro sono aumentati da 2 730 miliardi di EUR (marzo 2020) a 3 120 miliardi di EUR (ottobre 2020). Nello stesso arco di tempo i depositi totali delle famiglie sono aumentati da 7 850 miliardi di EUR a 8 210 miliardi di EUR. (https://sdw.ecb.europa.eu).

(14)  Mairead McGuinness, commissaria europea per la Stabilità finanziaria, i servizi finanziari e l’Unione dei mercati dei capitali — https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_2375.

(15)  Ibidem.

(16)  Cfr. l’articolo 5, l’articolo 11, in particolare il paragrafo 5, e l’articolo 15, paragrafo 2, della proposta di direttiva.

(17)  GU L 172 del 26.6.2019, pag. 18.

(18)  https://www.consilium.europa.eu/it/infographics/20201006-recovery-resilience-rrf/. Inoltre, i fondi del dispositivo per la ripresa e la resilienza possono essere spesi «in linea con le raccomandazioni specifiche per paese del semestre europeo», almeno il 37 % delle risorse dovrebbe essere destinato all’azione per il clima e alla sostenibilità ambientale, e almeno il 20 % alla transizione digitale dell’UE.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/106


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea»

[COM(2020) 682 final — 2020/310 (COD)]

(2021/C 220/16)

Relatrici:

Milena ANGELOVA e Cinzia DEL RIO

Consultazione

Parlamento europeo, 11.11.2020

Consiglio, 10.11.2020

Base giuridica

Articoli 153, paragrafo 2, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

11.3.2021

Adozione in sessione plenaria

25.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

155/100/20

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene con forza l'obiettivo dichiarato dell'Europa di indicare la via di uscita dalla fragilità per approdare a una nuova vitalità, creando opportunità e prosperità attraverso la promozione dell'innovazione, della crescita sostenibile e della concorrenza leale (1), al fine di promuovere una convergenza economica e sociale verso l'alto. Il CESE concorda con gli obiettivi generali della proposta consistenti nel conseguire salari minimi adeguati e nel rafforzare i sistemi di contrattazione collettiva in tutta l'UE, rendere il lavoro remunerativo, combattere la povertà e rafforzare il ruolo delle parti sociali e del dialogo sociale, in linea con i sistemi nazionali di relazioni industriali.

1.2.

Il CESE rileva che la proposta di direttiva in esame contribuirà al conseguimento degli obiettivi dell'Unione — vale a dire promuovere il benessere dei suoi popoli, sviluppare un'economia sociale di mercato fortemente competitiva (articolo 3 TUE) e promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (articolo 151 TUE). La direttiva tratta inoltre dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE, come il diritto dei lavoratori a condizioni di lavoro giuste ed eque (articolo 31), ed è in conformità con il principio 6 del pilastro europeo dei diritti sociali. La Commissione europea sottolinea che la proposta di direttiva non contiene misure che abbiano un impatto diretto sul livello delle retribuzioni e che, pertanto, le disposizioni di cui all'articolo 153, paragrafo 5, del TFUE sono pienamente rispettate.

1.3.

Il CESE concorda con gli obiettivi generali della proposta e si aspetta che essa sia attentamente concepita in modo da rispettare le tradizioni, le leggi e le prassi nazionali e da lasciare un margine discrezionale per adattare gli obblighi da essa stabiliti al contesto nazionale. All'interno del CESE vi sono punti di vista divergenti per quanto riguarda taluni elementi della base giuridica della proposta. Nonostante queste differenze di vedute, il CESE esprime il proprio punto di vista su alcune questioni comprese nella proposta della Commissione.

1.4.

Il ruolo dello Stato nel creare «condizioni abilitanti», sia politiche che giuridiche, sostenendo e rispettando il ruolo del dialogo sociale e della contrattazione collettiva per i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro, è riconosciuto da diverse istituzioni internazionali e ribadito in diversi pareri del CESE. Le parti sociali dovrebbero essere autonome e le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati dovrebbero essere protetti da qualsiasi forma di limitazione del loro diritto di organizzare, rappresentare o intraprendere azioni collettive. Al tempo stesso, il CESE ribadisce ancora una volta l'importanza di azioni congiunte e di programmi di sviluppo delle capacità a livello europeo e nazionale gestiti direttamente dalle parti sociali europee e nazionali.

1.5.

Il CESE sostiene l'obiettivo di aumentare la copertura della contrattazione collettiva, secondo le leggi e le prassi nazionali nonché nel pieno rispetto, e in conformità, della ripartizione delle competenze e dell'autonomia delle parti sociali. Il CESE concorda con l'obiettivo del 70 % che è stato proposto e ritiene che i piani d'azione nazionali (articolo 4) potrebbero svolgere un ruolo cruciale nella convergenza dei salari verso l'alto e nella definizione delle misure e dei meccanismi più appropriati per la fissazione dei salari e per aumentare la copertura a livello nazionale, anche al fine di colmare il divario retributivo di genere e di età e di ridurre le disuguaglianze e la discriminazione, con particolare attenzione per i giovani lavoratori. Il CESE raccomanda che qualsiasi piano d'azione nazionale sia definito dalle parti sociali e concordato nell'ambito di un processo tripartito.

1.6.

Il CESE riconosce che nei paesi in cui esiste un sistema di contrattazione collettiva autoregolamentato, che garantisce minimi salariali equi e adeguati, insieme ad altre condizioni di lavoro concordate, dovrebbe essere evitato qualsiasi intervento dello Stato, onde salvaguardare/preservare un sistema di relazioni industriali ben funzionante, che sia di per sé in grado di garantire il conseguimento degli obiettivi fissati nella proposta di direttiva.

1.7.

Il CESE ritiene che la rappresentatività delle parti sociali sia un fattore importante perché garantisce il loro mandato democratico. Esistono diversi criteri che potrebbero rappresentare una buona pratica da considerare nel definire i piani di azione secondo le leggi e le prassi nazionali. Vi è una serie di fattori/criteri complessi che potrebbero essere presi in considerazione nel valutare la rappresentatività delle parti sociali a livello nazionale, tenendo presente che essi variano da uno Stato membro all'altro.

1.8.

Il CESE sostiene sistemi ben sviluppati di determinazione dei salari e sistemi di protezione sociale ben funzionanti, che forniscano reti di sicurezza per coloro che ne hanno bisogno, nonché altre misure volte a prevenire la povertà lavorativa. Il CESE osserva che la proposta di direttiva stabilisce soltanto il principio generale di adeguatezza delle retribuzioni, basato su valori di riferimento non vincolanti stimati per i salari mediani o medi lordi o netti, e non contiene misure o disposizioni specifiche sulle modalità di fissazione dei salari a livello nazionale, in quanto ciò rimane di competenza esclusiva degli Stati membri. Il CESE è favorevole alla definizione di indicatori vincolanti per guidare gli Stati membri e le parti sociali nella loro valutazione dell'adeguatezza dei salari minimi legali e nell'individuazione e nell'introduzione di misure pertinenti nei piani d'azione nazionali.

1.9.

Il CESE rileva che l'articolo 9 della direttiva contiene disposizioni per i lavoratori impiegati nel quadro di appalti pubblici e subappalti, attraverso l'invito rivolto agli Stati membri a rispettare i salari minimi in tutti i progetti di appalti pubblici. Il CESE torna a chiedere che gli appalti pubblici rispettino pienamente i contratti collettivi e che gli accordi commerciali siano sospesi in caso di mancato rispetto delle convenzioni fondamentali e aggiornate dell'OIL.

1.10.

Il CESE raccomanda che le relazioni presentate dagli Stati membri siano esaminate e valutate con l'opportuno coinvolgimento delle parti sociali in seno al comitato per l'occupazione (EMCO) e che a tal fine si possa creare un sottogruppo specifico, composto da rappresentanti dei governi nazionali, dei sindacati e dei datori di lavoro nazionali ed europei e di esperti nominati dalla Commissione europea.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE concorda con gli obiettivi generali della proposta consistenti nel conseguire salari minimi adeguati e nel rafforzare i sistemi di contrattazione collettiva in tutta l'UE, rendere il lavoro remunerativo, combattere la povertà e rafforzare il ruolo delle parti sociali e del dialogo sociale, in linea con i sistemi nazionali di relazioni industriali. Un salario minimo di livello ben adeguato contribuisce a stimolare la domanda interna e la crescita economica e a sviluppare un'economia sociale di mercato altamente competitiva. Esistono diversi strumenti di governance attraverso i quali l'UE e gli Stati membri collaborano per raggiungere tali obiettivi, compreso il semestre europeo. Il pieno coinvolgimento strutturato ed efficace delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile nell'intero processo del semestre a livello europeo e nazionale è fondamentale per l'attuazione delle politiche economiche e sociali.

2.2.

Il CESE rileva che la proposta di direttiva in esame contribuirà al conseguimento degli obiettivi dell'Unione — vale a dire promuovere il benessere dei suoi popoli, sviluppare un'economia sociale di mercato fortemente competitiva (articolo 3 TUE) e promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (articolo 151 TFUE). La direttiva tratta inoltre dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE, come il diritto dei lavoratori a condizioni di lavoro giuste ed eque (articolo 31), ed è conforme al principio 6 del pilastro europeo dei diritti sociali. La Commissione europea sottolinea che la proposta di direttiva non contiene misure che abbiano un impatto diretto sul livello delle retribuzioni e che, pertanto, le disposizioni di cui all'articolo 153, paragrafo 5, del TFUE sono pienamente rispettate.

2.3.

Nel CESE sono presenti preoccupazioni e punti di vista divergenti per quanto riguarda gli elementi della base giuridica della proposta (2) ma, nonostante tali differenze, nel presente parere il CESE esprime il proprio punto di vista su alcune questioni incluse nella proposta della Commissione.

2.4.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che la percentuale di persone che lavorano ma si trovano ancora in condizioni di povertà sia aumentata dall'8,3 % della forza lavoro totale dell'UE nel 2007 al 9,4 % nel 2018, con un impatto significativo sui giovani (il 28,1 % dei lavoratori di età compresa tra 16 e 24 anni è a rischio di povertà o di esclusione sociale), sulle donne, sulle persone provenienti da un contesto migratorio, sulle persone con disabilità e sulle persone ai margini del mercato del lavoro. Questi gruppi occupano posti di lavoro più precari e atipici, con salari bassi e una minore copertura della protezione sociale, il che avrà un impatto sulla sostenibilità dei sistemi di protezione sociale a medio e lungo termine. Dovrebbero essere intraprese azioni e riforme mirate per garantire che i gruppi emarginati siano sufficientemente protetti contro il rischio di cadere in una situazione di povertà (3).

2.5.

Il CESE raccomanda l'adozione di misure volte a prevenire il rischio di non conformità, compreso un aumento indesiderato del numero di lavoratori non dichiarati, che porti a una concorrenza sleale, e chiede che tali aspetti siano attentamente monitorati e affrontati nella fase di attuazione della proposta.

3.   Osservazioni specifiche sulla proposta

3.1.   Percorsi e condizioni favorevoli alla promozione della contrattazione collettiva in materia di determinazione dei salari

3.1.1.

La direttiva proposta mira a garantire che i lavoratori nell'UE siano protetti da salari minimi adeguati che consentano una vita dignitosa ovunque lavorino, nonché a promuovere la contrattazione collettiva in materia di determinazione dei salari e, in generale, di condizioni di lavoro in tutti gli Stati membri (4). A parere del CESE la proposta di direttiva deve essere concepita con cura in modo da rispettare le tradizioni nazionali consolidate in tale campo e da lasciare un margine discrezionale per adattare gli obblighi da essa stabiliti al contesto nazionale.

3.1.2.

Le parti sociali europee hanno più volte invitato le istituzioni a promuovere o creare, ove necessario, condizioni favorevoli e propizie all'efficacia del dialogo sociale e della contrattazione collettiva e alla loro capacità di rispondere alle sfide reali. Nelle dichiarazione quadripartita (5) Un nuovo inizio per il dialogo sociale e nelle conclusioni del Consiglio del 16 giugno 2016 gli Stati membri vengono invitati a: «sostenere il miglioramento del funzionamento e dell'efficacia del dialogo sociale a livello nazionale, che è propizio alla contrattazione collettiva e crea uno spazio adeguato per i negoziati tra parti sociali».

3.1.3.

Il ruolo dello Stato nella creazione delle «condizioni favorevoli», sia politiche che giuridiche, è riconosciuto da diverse istituzioni internazionali. «Il CESE riconosce che un dialogo sociale efficace deve includere i seguenti elementi: parti sociali rappresentative e dotate di legittimità, nonché di conoscenze, capacità tecnica e un accesso tempestivo alle informazioni pertinenti e rilevanti per la loro partecipazione; la volontà e l'impegno politici a prendere parte al dialogo sociale; il rispetto dei diritti fondamentali delle parti sociali all'autonomia, alla libertà di associazione e alla contrattazione collettiva, diritti che rimangono il fulcro delle relazioni industriali; e un quadro giuridico e istituzionale favorevole che sostenga le procedure di dialogo sociale con istituzioni ben funzionanti» (6). Gli studi dimostrano che nei paesi in cui il ruolo della contrattazione collettiva è ben riconosciuto e pienamente sostenuto e rispettato dallo Stato, i tassi di disoccupazione sono inferiori, la produttività è più elevata e viene promossa la convergenza salariale (7). È altresì importante che gli esiti dei processi di dialogo sociale producano risultati tangibili sia per i lavoratori che per le imprese.

3.1.4.

Le azioni congiunte e i programmi di rafforzamento delle capacità a livello europeo e nazionale gestiti direttamente dalle parti sociali europee e nazionali sono uno strumento efficace per rafforzare la capacità nel settore del dialogo sociale e della contrattazione collettiva per i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro laddove necessario (8). Il CESE raccomanda che i programmi e le azioni di potenziamento delle capacità siano sufficientemente sostenuti e che i loro risultati siano valutati al fine di conseguire nella maniera migliore gli obiettivi previsti.

3.1.5.

Il CESE raccomanda che alcune disposizioni e alcuni concetti della proposta (9) siano formulati in modo più preciso in modo da non lasciare spazio a incertezze e interpretazioni da parte della Corte di giustizia dell'UE. L'oggetto e l'ambito di applicazione di cui agli articoli 1 e 2 riguardano tutti gli Stati membri, compresi quelli in cui esiste un sistema autoregolamentato di contrattazione collettiva.

3.1.6.

Il CESE raccomanda che qualsiasi piano d'azione nazionale volto a consentire la promozione dell'ambito di applicazione della contrattazione collettiva sia definito dalle parti sociali e concordato in un processo tripartito. Tali piani dovrebbero inoltre essere elaborati nel pieno rispetto dei principi ben riconosciuti della libertà di associazione e del carattere volontario della contrattazione collettiva sanciti dalle convenzioni dell'OIL. Il CESE apprezza l'approccio equilibrato di cui agli articoli 1 e 3 della convenzione n. 131 dell'OIL sulla fissazione del salario minimo (10). Il CESE raccomanda che le disposizioni della proposta di direttiva rispettino i principi delle convenzioni 87, 98 e 154 dell'OIL, al fine di salvaguardare l'autonomia delle parti sociali, le loro possibilità di accogliere membri, nonché gli incentivi e i diritti alla negoziazione e alla conclusione di accordi collettivi.

3.1.7.

Il CESE sostiene l'obiettivo di aumentare la copertura della contrattazione collettiva, secondo le leggi e le prassi nazionali nonché nel pieno rispetto, e in conformità, della ripartizione delle competenze e dell'autonomia delle parti sociali. A tale riguardo, il CESE sostiene la promozione della capacità delle parti sociali e promuove le loro azioni congiunte per impegnarsi nella contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e per incoraggiare trattative costruttive, significative e informate in materia di salari (11). L'articolo 4 stabilisce i requisiti per l'intervento pubblico nella preparazione dei quadri e dei piani d'azione e il CESE insiste sul fatto che ciò avvenga mediante un approccio tripartito, nel rispetto dell'autonomia delle parti sociali e in cooperazione con esse. In alcuni Stati membri l'ambito di applicazione dei contratti collettivi è deciso dalle parti sociali, mentre in altri Stati membri la legge o la prassi comune offrono meccanismi volti a estendere i contratti collettivi, e tali differenze devono essere rispettate.

Il CESE concorda con l'obiettivo del 70 % che è stato proposto e ritiene che i piani d'azione nazionali, concordati ed elaborati con le parti sociali, possano svolgere un ruolo cruciale nella convergenza dei salari verso l'alto e nell'istituzione di meccanismi equi per la determinazione dei salari a livello nazionale, anche allo scopo di colmare i divari retributivi di genere e di età. Essi consentiranno inoltre di tenere conto delle prassi nazionali e di migliorare i sistemi ove necessario. Detti piani d'azione dovrebbero essere attuati correttamente, valutati, riesaminati e adattati al fine di aumentare gradualmente la copertura della contrattazione collettiva a medio termine. In alcuni paesi sono presenti meccanismi di estensione dei contratti collettivi che mirano ad aumentare la copertura della contrattazione collettiva. Tuttavia, il ricorso a meccanismi di estensione è solo uno dei modi per promuovere la contrattazione collettiva e aumentare la copertura, accanto alle azioni congiunte e allo sviluppo delle capacità, alle misure contro le attività antisindacali, alla tutela dei diritti dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro alla contrattazione collettiva, alla definizione di criteri concordati di rappresentatività e alla lotta contro tutte le forme di discriminazione, per esempio. Tali elementi e delle proposte mirate dovrebbero essere presi in considerazione nei piani d'azione nazionali, insieme ad altre iniziative.

3.1.8.

Tuttavia, nei paesi in cui esiste un sistema di contrattazione collettiva autoregolamentato, che garantisce minimi salariali equi e adeguati, insieme ad altre condizioni di lavoro concordate, dovrebbe essere evitato qualsiasi intervento dello Stato, onde salvaguardare/preservare un sistema di relazioni industriali ben funzionante, che sia di per sé in grado di garantire il conseguimento degli obiettivi fissati nella proposta di direttiva. In questi paesi, nel caso in cui la copertura della contrattazione collettiva scenda al di sotto di una determinata soglia, i piani d'azione nazionali devono provenire in primo luogo dalle parti sociali ed essere da queste approvati.

3.2.

La proposta stabilisce un approccio differenziato tra gli Stati membri in cui i salari minimi sono determinati per legge e quelli in cui ciò avviene attraverso la contrattazione collettiva. Tale classificazione, anche se ampiamente utilizzata dall'OCSE, da Eurofound e da altre istituzioni a scopo accademico e di ricerca, potrebbe essere messa in discussione se utilizzata ai fini di qualsiasi attività correlata alla determinazione dei salari e questo per diversi motivi, uno dei quali è che in alcuni Stati membri, in cui l'intervento del governo si limita all'ufficializzazione dei contratti negoziati dalle parti sociali, il salario minimo non è stabilito per legge, ma è il risultato di un accordo.

3.3.   Contrattazione collettiva — Definizioni e copertura

3.3.1.

Il CESE sottolinea che la contrattazione collettiva è lo strumento più efficace per fissare salari minimi confacenti e ben adattati, compresi i salari minimi, che sono una componente essenziale dell'economia sociale di mercato. L'articolo 3 della proposta contiene alcune definizioni che si applicano ai fini della direttiva.

3.3.2.

Il CESE ritiene che la rappresentatività delle parti sociali sia un fattore importante, in quanto garantisce il loro mandato democratico. Esistono diversi criteri che potrebbero rappresentare una buona pratica da considerare a livello nazionale secondo le leggi e le prassi nazionali. Vi è una serie di fattori e criteri complessi che potrebbero essere presi in considerazione nel valutare la rappresentatività delle parti sociali a livello nazionale, tenendo presente che essi variano da uno Stato membro all'altro: il numero di membri e l'importanza della presenza sul territorio a livello nazionale; la capacità di mobilitare i propri membri e di agire; il numero di contratti collettivi firmati ai diversi livelli (settore/impresa, ecc.); il numero di rappresentanti eletti dei sindacati o dei datori di lavoro; l'affiliazione a un'organizzazione europea delle parti sociali (riconosciuta dalla Commissione europea); il riconoscimento da parte del governo e la presenza in strutture o organismi nazionali o settoriali bipartiti o tripartiti del dialogo sociale, ecc. Il CESE chiede che l'espressione «organizzazioni dei lavoratori» sia sostituita con «sindacati», dato che la prima potrebbe causare interpretazioni fuorvianti e aprire le negoziazioni ad altre forme di gruppi di interesse dei lavoratori non riconosciuti, o persino a sindacati gialli.

3.3.3.

Il CESE ha affermato ripetutamente che il dialogo sociale è parte integrante del modello sociale europeo. Le parti sociali dovrebbero essere autonome e le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori dovrebbero essere protette da qualsiasi forma di restrizione del loro diritto di organizzare, rappresentare o intraprendere azioni collettive. Ciò è ugualmente importante sia per i datori di lavoro che per i sindacati.

3.3.4.

L'articolo 7 della direttiva contiene disposizioni sul coinvolgimento e sulla consultazione delle parti sociali per quanto riguarda la determinazione e l'aggiornamento dei salari minimi legali. Negli ultimi anni, nel contesto del semestre europeo, sono state formulate diverse raccomandazioni specifiche per paese per invitare gli Stati membri a garantire un adeguato coinvolgimento delle parti sociali in questo processo. Nel semestre 2020-2021, a 12 Stati membri sono state rivolte raccomandazioni specifiche per paese che sottolineano la necessità di aumentare il coinvolgimento e la titolarità delle parti sociali nei processi decisionali (12).

4.   Adeguatezza

4.1.

A seguito delle crisi economiche e dell'attuale pandemia, i dati indicano che negli ultimi anni si è avuta una stagnazione generale dei salari e che in alcuni paesi si è addirittura registrato un loro arretramento. Il CESE sottolinea che la contrattazione collettiva svolge un ruolo fondamentale nel fornire una protezione adeguata dei salari minimi. I paesi caratterizzati da un'elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere, rispetto agli altri paesi, una percentuale inferiore di percettori di bassi salari, salari minimi più elevati in rapporto al salario mediano, minori disuguaglianze salariali e salari più elevati (13).

4.2.

Il CESE sostiene sistemi ben sviluppati di determinazione dei salari e sistemi di protezione sociale ben funzionanti, che forniscano reti di sicurezza per coloro che ne hanno bisogno, nonché altre misure volte a prevenire la povertà lavorativa. Il CESE rileva che la direttiva proposta stabilisce soltanto il principio generale di adeguatezza delle retribuzioni, basato su valori di riferimento non vincolanti stimati per i salari mediani o medi lordi o netti, e non contiene misure o disposizioni specifiche sulle modalità di fissazione dei salari a livello nazionale, in quanto ciò rimane di competenza esclusiva degli Stati membri. Il CESE è favorevole alla definizione di indicatori vincolanti per guidare gli Stati membri e le parti sociali nella loro valutazione dell'adeguatezza dei salari minimi legali e nell'individuazione e nell'introduzione di misure pertinenti nei piani d'azione nazionali. I salari sono infatti fissati da leggi nazionali che stabiliscono un salario minimo legale, laddove esistano, o da una contrattazione collettiva. D'altro canto far uscire un maggior numero di persone da una situazione di povertà ridurrà la spesa pubblica per i regimi di protezione sociale. Le soglie di povertà e gli indicatori di esclusione sociale sono utilizzati a livello dell'UE per le analisi e la raccolta comune di dati, ma attualmente a livello dell'UE non esiste alcun indicatore concordato per misurare in termini assoluti l'equità e l'adeguatezza dei salari minimi, che la proposta lascia agli Stati membri perché li affrontino a livello di piani nazionali.

4.3.

Elementi importanti, quali la competitività, la produttività, lo sviluppo economico per settore, la gestione delle competenze, i nuovi processi di produzione dovuti all'introduzione di nuove tecnologie, la digitalizzazione e un'organizzazione del lavoro diversa e più flessibile in taluni settori produttivi dovrebbero essere presi in considerazione dalle parti sociali al momento di determinare i salari attraverso la contrattazione collettiva conformemente al diritto e alle prassi nazionali. Sottolineando la necessità di una convergenza salariale verso l'alto, il CESE rileva che salari più elevati comportano anche un aumento dei consumi e quindi della domanda interna, con un impatto economico positivo, e che l'aumento dei salari determina anche un aumento delle entrate per i sistemi di sicurezza sociale e fiscali. Questi effetti devono essere analizzati attentamente.

4.4.

La direttiva proposta mira tuttavia a fissare una soglia indicativa a livello dell'UE come riferimento per i salari minimi legali nei paesi in cui questi esistono. Tenendo presente che i salari costituiscono il compenso per il lavoro svolto, possono essere presi in considerazione anche altri fattori, quali la soglia di povertà, un tenore minimo di vita dignitoso, il costo della vita in ciascun paese. Questi elementi sono i fattori fondamentali per la determinazione di salari minimi legali e concordati attraverso contrattazioni collettive nei paesi dell'UE. È opportuno operare una chiara distinzione tra la determinazione dei salari minimi e gli aumenti salariali.

4.5.

I criteri proposti in merito all'adeguatezza dei salari minimi riguardano tutti, ad eccezione del potere d'acquisto, la distribuzione dei salari e la loro evoluzione. Essi si riferiscono più in generale agli aspetti della disuguaglianza e non già alla protezione dei lavoratori più vulnerabili. «I salari minimi dovrebbero essere equi in rapporto alla distribuzione salariale nei diversi paesi e il loro livello dovrebbe inoltre essere adeguato in termini di prezzi reali, per consentire un tenore di vita dignitoso e salvaguardare al tempo stesso la sostenibilità delle imprese che offrono posti di lavoro di qualità» (14).

5.   Appalti pubblici

5.1.

L'articolo 9 della direttiva contiene disposizioni per i lavoratori impiegati nel quadro di appalti pubblici e subappalti, attraverso l'invito rivolto agli Stati membri a rispettare i salari minimi in tutti i progetti di appalti pubblici. In linea con le direttive 2014/23/UE (15), 2014/24/UE (16) e 2014/25/UE (17) del Parlamento europeo e del Consiglio, la disposizione obbliga tutti i contraenti a rispettare il livello di salario minimo applicabile, sia esso previsto per legge o stabilito in contratti collettivi. Tale disposizione è inoltre in linea con alcune decisioni della Corte di giustizia dell'UE e in particolare con la sentenza «Regiopost» del 2015 (causa C-115/14) (18). Gli Stati membri hanno la possibilità di respingere le offerte di appalti pubblici presentate da contraenti che non si impegnano a pagare ai lavoratori tariffe minime salariali regolamentate a livello locale o concordate collettivamente, come stabilito all'articolo 70 della direttiva 2014/24/UE e all'articolo 3 della direttiva sul distacco dei lavoratori (19). Il CESE ha già chiesto che gli appalti pubblici rispettino pienamente i contratti collettivi e che gli accordi commerciali siano sospesi in caso di mancato rispetto delle convenzioni fondamentali e aggiornate dell'OIL. Il CESE ha inoltre chiesto sanzioni, compresa l'esclusione dagli appalti pubblici e dai finanziamenti pubblici, per le imprese che non rispettano gli obblighi di diligenza nell'ambito dello strumento obbligatorio di dovuta diligenza proposto (20).

6.   Monitoraggio e raccolta dei dati

6.1.

Esiste già un numero significativo di banche dati e analisi riguardanti i salari minimi e i processi di contrattazione collettiva. Mettere a disposizione delle istituzioni e delle parti sociali dati affidabili e aggiornati potrebbe contribuire a una migliore valutazione e comprensione delle tendenze effettive, quando si tratta di prendere decisioni in questo settore. Il CESE invita pertanto la Commissione ad assistere ulteriormente gli Stati membri, in cooperazione con le parti sociali, per continuare a migliorare la raccolta di dati e a monitorare l'evoluzione dei salari minimi obbligatori (21).

6.2.

In alcuni Stati membri i contratti collettivi sono disponibili e pubblicati e, in alcuni casi, i siti Internet pubblici ne consentono la consultazione gratuita, mentre in altri Stati membri i contratti collettivi e l'adeguatezza dei livelli salariali sono di proprietà e sono soggetti all'esame delle parti sociali stesse e non delle autorità, né sono resi accessibili al pubblico. Pur essendo favorevole al delicato sviluppo ulteriore dell'accessibilità dei dati (aspetto che potrebbe rivelarsi sensibile in termini di rispetto dell'autonomia delle parti sociali e della contrattazione e dei contratti collettivi, protezione dei dati, concorrenza leale e altri settori), il CESE esprime preoccupazione per il possibile aumento degli oneri amministrativi, specie per le PMI e per le imprese senza fini di lucro dell'economia sociale, e chiede di trovare un equilibrio tra il valore aggiunto derivante dall'obbligo di informazione annuale molto dettagliato e la necessità di ridurre il più possibile tale onere, quando tale disposizione è applicata a livello nazionale, soprattutto se si tratta di dover dare informazioni riguardo a lavoratori coperti o non coperti suddivisi per genere, età, disabilità, dimensioni dell'impresa e settore. Occorre inoltre chiarire ulteriormente la necessità di dare una distribuzione in decili dei salari minimi nei paesi in cui sono tali salari sono fissati sulla base di accordi.

6.3.

Il CESE raccomanda che le relazioni presentate dagli Stati membri siano esaminate e valutate con l'opportuno coinvolgimento delle parti sociali in seno al comitato per l'occupazione (EMCO) e che a tal fine si possa creare un sottogruppo specifico, composto da rappresentanti dei governi nazionali, dei sindacati e dei datori di lavoro nazionali ed europei e di esperti nominati dalla Commissione europea.

6.4.

Il CESE prende atto dell'introduzione nella direttiva di robuste clausole di non regresso e invita il Parlamento a rafforzare ulteriormente alcuni punti chiave in questo ambito, e in particolare:

nessuna possibile futura interpretazione della direttiva dovrebbe essere utilizzata per compromettere il buon funzionamento dei regimi di salari minimi o dei sistemi di contrattazione collettiva;

nessuna disposizione della direttiva dovrebbe essere sfruttata a scapito della libertà di associazione o dell'autonomia delle parti sociali;

non verranno introdotti salari minimi legali laddove essi non esistano, salvo accordo delle parti sociali;

i meccanismi di determinazione dei salari sono una prerogativa nazionale e nessuna decisione delle istituzioni dell'Unione europea dovrebbe essere volta ad interferire direttamente con i meccanismi di determinazione dei salari a livello nazionale o aziendale, che rimangono una prerogativa delle parti sociali.

Il CESE invita inoltre il Parlamento europeo a sottolineare ulteriormente che nessuna disposizione della direttiva deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti e dei principi riconosciuti, nei rispettivi ambiti di applicazione, dal diritto dell'Unione o dal diritto internazionale e dagli accordi internazionali di cui l'UE o gli Stati membri sono parti, compresa la Carta sociale europea e le pertinenti convenzioni e raccomandazioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).

L'articolo prevede inoltre che gli Stati membri e le parti sociali introducano disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o applichino contratti collettivi che siano più favorevoli per i lavoratori. Il CESE sottolinea inoltre la necessità di garantire il rispetto dei contratti collettivi applicabili e un'applicazione efficace, che è essenziale per garantire l'accesso alla protezione del salario minimo e per evitare la concorrenza sleale per le imprese.

Bruxelles, 25 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Discorso sullo stato dell'Unione pronunciato dalla Presidente von der Leyen alla plenaria del Parlamento europeo.

(2)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159.

(3)  Questions and answers: Adequate minimum wages (Domande e risposte: salari minimi adeguati).

(4)  COM(2020) 682 final, articolo 4, pag. 24.

(5)  Dichiarazione quadripartita.

(6)  GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14, punto 1.3. cfr. OECD Job Strategy (Strategia per l'occupazione dell'OCSE); Studio di Eurofound Capacity building: towards effective social dialogue (Sviluppo delle capacità: verso un dialogo sociale efficace), 2019; risoluzioni OIL 2013 e 2018 sul tema Recurrent Discussion on Social Dialogue (Discussione ricorrente sul dialogo sociale).

(7)  The role of collective bargaining systems for labour market performance (Il ruolo dei sistemi di contrattazione collettiva per le prestazioni del mercato del lavoro).

(8)  Le parti sociali europee hanno recentemente affermato congiuntamente che occorre intraprendere ulteriori lavori nel settore dello sviluppo delle capacità. Nel loro programma congiunto 2019-2021 esse affermano che le attività di sviluppo delle capacità rimangono una priorità per le parti sociali europee e riconoscono che, affinché il dialogo sociale europeo abbia un impatto positivo, occorre fare molto per rafforzare e sostenere il dialogo sociale a tutti i livelli. Cfr. anche GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14, punti 3.23 e 3.24.

(9)  In particolare per quanto riguarda il rispetto delle competenze delle parti sociali.

(10)  Ratificata da dieci Stati membri, tutti dotati di un sistema di salario minimo legale.

(11)  OCSE, Job strategy 2018 (Strategia per l'occupazione 2018), pagina 143, Achieving higher convergence (Conseguire una maggiore convergenza).

(12)  Cfr. GU C 10 dell'11.1.2021, pag. 14, punto 6.13, e la panoramica delle raccomandazioni specifiche per paese 2020-2021 nel settore sociale.

(13)  Banca dati AMECO Online.

(14)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 1.5.

(15)  GU L 94 del 28.3.2014, pag. 1.

(16)  GU L 94 del 28.3.2014, pag. 65.

(17)  GU L 94 del 28.3.2014, pag. 243.

(18)  Causa C-115/14.

(19)  Cfr. Convenzione OIL 94, GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 197 e GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 136.

(20)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 197, punto 6.4 e GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 136, punto 4.10.

(21)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 6.4.1.


ALLEGATO

Il seguente controparere, pur avendo ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 43, paragrafo 2, del Regolamento interno) è stato respinto nel corso delle deliberazioni:

1.   Conclusioni

1.1.

Nel suo recente parere SOC/632 Salari minimi dignitosi in tutta Europa, il CESE ha riconosciuto che la situazione giuridica relativa a un'iniziativa dell'UE in materia di salari minimi è estremamente complessa. L'UE può adottare strumenti giuridici sulle condizioni di lavoro in base all'articolo 151 e all'articolo 153, paragrafo 1, lettera b) del TFUE. Il Trattato prevede che le disposizioni dell'articolo 153 non si applichino alle «retribuzioni». D'altro canto, nella giurisprudenza dell'UE e nelle direttive in vigore la questione della retribuzione è stata trattata come una condizione di lavoro fondamentale. Vi sono pareri nettamente divergenti su questo tema e il CESE riconosce che la Commissione dovrà adottare un approccio equilibrato e cauto (1), nel momento in cui un numero crescente di voci chiede alla Commissione di ricorrere a una raccomandazione del Consiglio invece che a una direttiva (2).

1.2.

Il CESE ha anche segnalato che (3) è importante che un eventuale intervento dell'UE avvenga sulla base di un'analisi e di una comprensione approfondite della situazione e delle sensibilità negli Stati membri e che esso rispetti pienamente il ruolo e l'autonomia delle parti sociali, nonché i diversi modelli di relazioni industriali. È altresì fondamentale che qualsiasi iniziativa dell'UE tuteli i modelli degli Stati membri in cui le parti sociali non ritengono necessari i salari minimi legali.

1.3.

Qui di seguito il CESE espone le ragioni per cui la proposta della Commissione (4) relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea non segue un approccio equilibrato e cauto e non può essere considerata come basata su un'analisi accurata e sul pieno rispetto dell'autonomia delle parti sociali e dei diversi modelli di relazioni industriali, come richiesto dal CESE.

2.   Osservazioni generali

2.1.

I salari, compresi quelli minimi, costituiscono un aspetto importante del modello di economia sociale di mercato dell'Unione europea. Garantire salari minimi dignitosi in tutti gli Stati membri contribuirebbe al raggiungimento di una serie di obiettivi dell'UE, tra cui la convergenza salariale verso l'alto, il miglioramento della coesione sociale ed economica, l'eliminazione del divario retributivo di genere, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro in generale e la garanzia di condizioni di parità nel mercato unico. I salari rappresentano la retribuzione del lavoro svolto e vanno annoverati tra i fattori che assicurano vantaggi reciproci alle imprese e ai lavoratori. Essi sono legati alla situazione economica di un paese, di una regione o di un settore. Le relative modifiche possono avere un impatto sull'occupazione, sulla competitività e sulla domanda macroeconomica (5).

2.2.

Il CESE rammenta quanto indicato in precedenti lavori (6) riguardo al tema dei salari minimi: all'interno del CESE vi sono vedute divergenti. Alcuni membri del CESE sostengono il giudizio secondo cui tutti i lavoratori dell'UE dovrebbero essere tutelati da salari minimi equi che consentano loro un tenore di vita dignitoso ovunque essi lavorino. Altri membri del CESE sono del parere che la determinazione dei salari minimi rientri nella competenza nazionale e debba avvenire conformemente alle caratteristiche specifiche dei rispettivi sistemi nazionali.

2.3.

Il CESE ha già espresso (7) la convinzione che occorra compiere sforzi maggiori per conseguire la convergenza dei salari e la fissazione di retribuzioni minime negli Stati membri, e ha nel contempo sottolineato che la competenza e l'autonomia delle parti sociali nazionali riguardo ai processi di determinazione dei salari devono essere pienamente rispettate, conformemente alle pratiche nazionali (8). Tali sforzi dovrebbero anche mirare a rafforzare la contrattazione collettiva, cosa che contribuirebbe anche a salari più equi in generale.

2.4.

Il CESE sottolinea che il livello del salario minimo costituisce uno strumento chiave di politica economica, che deve rimanere nella competenza decisionale degli Stati membri, per tenere conto in modo flessibile dei loro sviluppi politici, economici e sociali.

2.5.

Come la Commissione afferma nella relazione che illustra le misure proposte, gli Stati membri con un'elevata copertura della contrattazione collettiva ottengono risultati migliori rispetto ad altri in termini di salari più elevati e di riduzione del numero di lavoratori a bassa retribuzione. Il CESE ritiene che il successo di tali modelli di contrattazione collettiva dipenda dal fatto che lo Stato non partecipa né alla definizione dei criteri riguardanti gli accordi raggiunti attraverso la contrattazione collettiva, né alla loro applicazione, e che le parti sociali hanno piena responsabilità e autonomia riguardo a entrambe.

Pandemia di COVID

2.6.

Già nel parere SOC/632, il CESE ha affermato che la pandemia di COVID-19 ha colpito duramente l'Europa. L'Unione europea e i suoi Stati membri fanno ancora fronte a una recessione economica di dimensioni storiche e dalle ripercussioni drammatiche per le persone e le imprese (9). Da allora la situazione è peggiorata invece di migliorare. Gli investimenti delle imprese sono ancora scarsi.

2.7.

Non abbiamo ancora visto il pieno impatto occupazionale della crisi della COVID, ma è chiaro che l'attuale crisi dovrebbe determinare un aumento significativo della disoccupazione nel prossimo anno. La crisi della COVID ha indebolito la situazione finanziaria di molte PMI, il che le rende più vulnerabili all'aumento dei costi. La situazione si presenta simile in tutta Europa.

Effetti sull'occupazione

2.8.

Il CESE ha osservato in precedenza (10) che un'ulteriore fonte di preoccupazione è il fatto che una politica europea sui salari minimi legali potrebbe eventualmente generare effetti negativi sull'occupazione (11), segnatamente nel caso dei giovani e dei lavoratori poco qualificati, e aggravare il problema della non conformità, il che potrebbe anche spingere un certo numero di lavoratori con basse retribuzioni a optare per il lavoro informale (12). Il lavoro sommerso porta a una concorrenza sleale, deteriora i sistemi sociali e fiscali e viola i diritti dei lavoratori, compresi i diritti a condizioni di lavoro dignitose e a un salario minimo. Il CESE deplora la mancanza di una valutazione completa, da parte della Commissione europea, dell'impatto complessivo della sua proposta sull'occupazione e sull'economia. Una direttiva sui salari minimi è particolarmente dannosa in questo momento, perché le nostre economie e società devono far fronte alla sfida senza precedenti rappresentata dalla COVID-19.

3.   Osservazioni in merito all'attuale proposta della Commissione

3.1.    Base giuridica

3.1.1.

Secondo la proposta della Commissione (13), la direttiva proposta si basa sull'articolo 153, paragrafo 1, lettera b), del TFUE.

3.1.2.

Il CESE osserva che l'articolo 153, paragrafo 5, del TFUE esclude espressamente le retribuzioni, il diritto di associazione, il diritto di sciopero e il diritto di serrata dalla competenza legislativa dell'UE in materia di politica sociale. Tali questioni sono quindi di esclusiva competenza nazionale.

3.1.3.

Nel CESE sono presenti opinioni divergenti circa la legittimità di eventuali iniziative giuridiche dell'UE, e specialmente di una direttiva, sulla base dell'articolo 153 TFUE (14). Il CESE ha già affermato (15) che tra le principali preoccupazioni vi è il fatto che l'UE non ha alcuna competenza in materia di «retribuzioni», compresi i livelli salariali, e che un tale intervento potrebbe interferire con l'autonomia delle parti sociali e compromettere i sistemi di contrattazione collettiva, in particolare negli Stati membri in cui le soglie salariali minime sono determinate attraverso contratti collettivi. Inoltre, anche in seno allo stesso Comitato, vi sono opinioni divergenti sul valore aggiunto di un intervento dell'UE: mentre la maggioranza dei componenti del CESE ritiene che un tale intervento possa apportare un valore aggiunto, altri non sono d'accordo. In ogni circostanza, e dato che la fissazione dei salari minimi è una competenza nazionale, l'UE dovrebbe esercitare i suoi poteri legislativi con cautela in qualsiasi iniziativa legislativa, in modo da rispettare pienamente il principio di sussidiarietà.

3.1.4.

Per di più, riguardo la base giuridica, altre disposizioni della proposta fanno riferimento a diritti collettivi, come la promozione, in vari modi, dei contratti collettivi (articolo 4). Il CESE osserva che il TFUE contiene, all'articolo 153, paragrafo 1, lettera f), una base giuridica speciale, che riguarda la rappresentanza e la difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione, fatto salvo il paragrafo 5. L'UE ha una competenza legislativa su questa base solo con decisione unanime. Il CESE ritiene che le disposizioni sulla promozione della contrattazione collettiva avrebbero dovuto basarsi su tale articolo.

3.1.5.

Sulla base delle preoccupazioni di cui sopra, ulteriormente rafforzate dal fatto che in molti casi la formulazione utilizzata nel titolo della proposta, nel titolo di alcuni articoli, nel loro testo e nel preambolo non è del tutto coerente con il campo di applicazione effettivo della proposta, la Commissione dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di presentare una raccomandazione anziché una direttiva. Ciò offrirebbe agli Stati membri la flessibilità necessaria per conseguire gli obiettivi della proposta, nel rispetto dei rispettivi sistemi di formazione dei salari e dell'autonomia delle parti sociali.

3.2.    Oggetto e ambito di applicazione

3.2.1.

L'articolo 1 stabilisce che i lavoratori dovrebbero avere «accesso alla tutela garantita dal salario minimo» per legge o per contratto collettivo. Ai sensi dell'articolo 2, la direttiva si applicherebbe «ai lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore».

3.2.2.

Nessuno Stato membro o lavoratore è escluso dal campo di applicazione della direttiva. Nei paesi che si avvalgono esclusivamente della contrattazione collettiva — in cui non tutti i lavoratori sono coperti da salari minimi e quindi non hanno accesso alla tutela garantita dal salario minimo — ciò comporta un'incertezza giuridica significativa e inaccettabile. Il CESE teme che la direttiva possa essere interpretata, anche per quanto riguarda i paesi che si avvalgono esclusivamente della contrattazione collettiva, nel senso di garantire a tutti i lavoratori il diritto di beneficiare di una protezione salariale minima. Nonostante le rassicurazioni di cui all'articolo 1, paragrafo 3, ciò in pratica interferirebbe direttamente con la copertura del salario minimo negli Stati membri e spingerebbe tali paesi verso l'applicazione universale dei contratti collettivi, compromettendo i loro modelli di mercato del lavoro — e a più lungo termine — costringendoli a modificare tali modelli.

3.2.3.

Il CESE raccomanda che alcune disposizioni e alcuni concetti della proposta (16) siano formulati in modo più preciso in modo da non lasciare spazio a incertezze e interpretazioni da parte della Corte di giustizia dell'UE. L'oggetto e l'ambito di applicazione di cui agli articoli 1 e 2 riguardano tutti gli Stati membri, compresi quelli in cui esiste un sistema autoregolamentato di contrattazione collettiva. Come indicato in precedenza, nei paesi che si avvalgono esclusivamente della contrattazione collettiva, ciò lascia spazio all'incertezza giuridica. Inoltre, occorre introdurre alcuni adeguamenti per alcuni casi specifici che non dovrebbero rientrare nel campo di applicazione della proposta — ad esempio i marittimi — il cui livello di retribuzione è stabilito da convenzioni internazionali (17).

3.3.    Definizioni

3.3.1.

L'articolo 3 della proposta non opera alcuna distinzione tra salario minimo legale e salario minimo, o piuttosto soglia minima salariale, stipulati nei contratti collettivi.

3.3.2.

Il CESE si rende conto che, nei sistemi di determinazione del salario minimo legale, sono necessari criteri di adeguatezza, stabiliti a livello nazionale con il coinvolgimento delle parti sociali, ma si interroga sul fatto che la proposta di direttiva riservi il medesimo trattamento a entrambi i tipi di salario minimo. Nel caso di sistemi che si avvalgono unicamente della contrattazione collettiva, la regolamentazione dell'adeguatezza dei salari minimi viola l'autonomia delle parti sociali.

3.3.3.

Il CESE ricorda che i salari minimi nei modelli basati su accordi collettivi sono determinati nell'ambito di negoziati tra datori di lavoro e lavoratori che coprono i salari e anche, più in generale, le condizioni di lavoro. Ciò significa, ad esempio, che in tali situazioni l'«adeguatezza» è il prodotto di un equilibrio interno con altri interessi e altre parti del contratto collettivo, mentre i salari minimi legali sono esogeni.

3.4.    Promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari

3.4.1.

L'articolo 4 impone agli Stati membri di adottare misure per rafforzare la capacità delle parti sociali di partecipare alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari a livello settoriale o intersettoriale. In questo caso si propone una soglia del 70 % per la copertura della contrattazione collettiva.

3.4.2.

In un suo precedente parere (18), il CESE sottolineava che «sistemi di contrattazione collettiva ben funzionanti, specie a livello di categoria, svolgono un ruolo fondamentale nella definizione di retribuzioni giuste e adeguate in tutta la struttura salariale, compresi i salari minimi legali, dove questi esistono».

3.4.3.

Il CESE sottolinea che è necessario garantire che resti di competenza di ciascuno Stato membro decidere, in considerazione delle condizioni nazionali e in funzione dei rispettivi sistemi di relazioni industriali, in primo luogo quale sia l'obiettivo di copertura adeguato e, in secondo luogo, quali misure adottare a livello nazionale nel caso in cui il livello si collochi al di sotto dell'obiettivo definito su scala nazionale.

3.4.4.

Il CESE teme inoltre che l'obiettivo vincolante proposto (copertura del 70 %) indebolirebbe le parti sociali sul lungo periodo, poiché, in alcuni paesi, un modo per raggiungere tale obiettivo sarebbe quello di introdurre un sistema di estensione automatica dei contratti collettivi a tutte le imprese e a tutti i lavoratori, riducendo in tal modo il ruolo delle parti sociali e indebolendo la contrattazione collettiva.

3.5.    Adeguatezza

3.5.1.

L'articolo 5, paragrafo 2, fa riferimento ai criteri nazionali che gli Stati membri devono utilizzare per fissare i salari minimi legali. Tali criteri includono, ad esempio, il potere d'acquisto, il tasso di crescita dei salari lordi e l'andamento della produttività del lavoro. Il considerando 21 recita che gli indicatori «quali il 60 % del salario lordo mediano e il 50 % del salario lordo medio, [possono] contribuire a orientare la valutazione dell'adeguatezza dei salari minimi in relazione al livello retributivo lordo». Tuttavia tali indicatori si riferiscono più in generale agli aspetti della disuguaglianza e non già alla protezione dei lavoratori più vulnerabili.

3.5.2.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che, nonostante le rassicurazioni in senso contrario formulate dalla Commissione nella relazione, la proposta punta ad avere un impatto sul livello del salario minimo e, di conseguenza, sul livello retributivo. Inoltre, le dichiarazioni contenute nella relazione precisano che la direttiva dovrebbe consentire una vita dignitosa, ridurre la povertà lavorativa e creare condizioni di maggiore parità. Il CESE ritiene che tali disposizioni affrontino la questione del livello dei salari minimi, accrescendo così le sue preoccupazioni circa la validità della base giuridica e la scelta dello strumento giuridico.

3.6.

Il CESE osserva che la proposta va oltre le disposizioni dell'articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, in base al quale gli Stati membri garantiscono che gli operatori economici rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto del lavoro stabiliti, tra l'altro, nei contratti collettivi. Nella proposta, all'articolo 9, il termine «applicabili» non compare. Si ha così l'impressione che l'articolo 9 preveda che negli appalti pubblici siano sempre richiesti salari concordati tramite contratti collettivi. Ciò induce a chiedersi se l'intenzione della Commissione sia di andare oltre la direttiva 2014/24/UE, esigendo sempre, in tutti gli appalti, un salario determinato da un contratto collettivo.

3.7.    Monitoraggio e raccolta dei dati

3.7.1.

L'articolo 10 impone agli Stati membri di comunicare, tra l'altro, i dati sul tasso di copertura della contrattazione collettiva e sul livello dei salari minimi. Gli Stati membri devono inoltre garantire che i contratti collettivi siano trasparenti e accessibili al pubblico per quanto riguarda sia i salari che altre disposizioni relative ai salari. I salari minimi saranno quindi esaminati dalla Commissione e dal comitato per l'occupazione (EMCO) del Consiglio.

3.7.2.

Nei modelli di mercato del lavoro basati esclusivamente sulla contrattazione collettiva, l'adeguatezza dei salari non è oggetto di esame da parte dello Stato o di un'agenzia governativa. Tali accordi sono di proprietà delle parti sociali, che li interpretano in via esclusiva. Sarebbe inaccettabile sottoporre a revisione i livelli salariali stipulati nei contratti collettivi. Sarebbe anche discutibile dal punto di vista dell'autonomia delle parti sociali obbligare queste ultime a rendere gli accordi accessibili e trasparenti in linea generale, tanto più che sono le uniche a poter interpretare e rivedere tali accordi. Il CESE ricorda peraltro che i contratti collettivi non sempre specificano i livelli minimi per i salari o le soglie minime salariali. Inoltre, gli obblighi di comunicazione richiedono un'intensità di lavoro molto elevata ed è impossibile, in alcuni casi, ottemperare ai requisiti in materia di dati.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

106

Voti contrari:

147

Astensioni:

17


(1)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, Salari minimi dignitosi in tutta Europa, https://www.eesc.europa.eu/it/our-work/opinions-information-reports/opinions/decent-minimum-wages-across-europe, punto 6.1.2.

(2)  Nove Stati membri hanno inviato alla presidenza tedesca e alla presidenza portoghese del Consiglio dell'Unione europea una lettera in cui segnalano la necessità di un'analisi giuridica, individuano come strumento giuridico più adeguato una raccomandazione del Consiglio e rilevano che l'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbe rispettare i limiti dei trattati dell'UE.

(3)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 1.11.

(4)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea {SEC(2020) 362 final} — {SWD(2020) 245 final} — {SWD(2020) 246 final}.

(5)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, Salari minimi dignitosi in tutta Europa https://www.eesc.europa.eu/it/our-work/opinions-information-reports/opinions/decent-minimum-wages-across-europe, punto 1,4.

(6)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 1.2.

(7)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 1.3.

(8)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 1.3 e GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.

(9)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 1.1.

(10)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 3.4.8.

(11)  Sulla base del grafico A12.9, Valutazione d'impatto della Commissione, pagina 197.

(12)  Eurofound (2019) Upward convergence in employment and socioeconomic factors (Convergenza verso l’alto dei fattori occupazionali e socioeconomici).

(13)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea {SEC(2020) 362 final} — {SWD(2020) 245 final} — {SWD(2020) 246 final}.

(14)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 1.8.

(15)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 1.9.

(16)  In particolare per quanto riguarda il rispetto delle competenze delle parti sociali.

(17)  Convenzione OIL sul lavoro marittimo (OIL, CLM, 2006).

(18)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 159, punto 3.3.10.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/118


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Resilienza delle materie prime critiche: tracciare un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità»

[COM(2020) 474 final]

(2021/C 220/17)

Relatore:

Dumitru FORNEA

Correlatore:

Michal PINTÉR

Consultazione

Commissione europea, 23.9.2020

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

28.10.2020

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in sezione

5.3.2021

Adozione in sessione plenaria

25.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

258/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La comunicazione della Commissione rappresenta un passo avanti, in quanto fornisce una chiara tabella di marcia con iniziative e azioni da intraprendere a livello dell’UE; il CESE raccomanda pertanto al Parlamento europeo e al Consiglio di sostenere questo approccio per migliorare la resilienza dell’UE in rapporto alle materie prime critiche.

1.2.

Il CESE è convinto che le misure proposte dalla Commissione possano contribuire alla sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime critiche, mantenendo e sviluppando in tal modo una base industriale e tecnologica nell’UE. Esse possono inoltre promuovere le capacità essenziali di ricerca e sviluppo, consentendoci di realizzare gli ambiziosi obiettivi del Green Deal europeo e garantendo nuovi posti di lavoro duraturi e dignitosi e, al tempo stesso, una transizione equa nelle comunità interessate dalle trasformazioni industriali.

1.3.

Il CESE sostiene pienamente la transizione verde del settore energetico e considera fondamentale l’estrazione delle materie prime necessarie per la diffusione delle tecnologie verdi. Questi materiali, come i metalli e i minerali, sono gli elementi essenziali per la creazione di solide infrastrutture per la fornitura di idrogeno o elettricità verde. La produzione di energie verdi e di vettori energetici verdi consentirà di decarbonizzare l’industria estrattiva e di lavorazione, creando in tal modo una situazione vantaggiosa per tutti.

1.4.

L’esplorazione è un’attività ad alto rischio che aumenta notevolmente il costo del capitale. La riduzione del rischio mediante garanzie sui prestiti e regimi di ammortamento può contribuire notevolmente agli investimenti. Altri incentivi fiscali sono rappresentati dai crediti d’imposta e dagli aiuti di Stato. Questi meccanismi di sostegno alle attività di estrazione e lavorazione sono ampiamente utilizzati a livello mondiale, ma non lo sono in modo altrettanto generalizzato nell’UE. Tuttavia, in Europa esiste un’eccezione: la Finlandia, che ha istituito un sostegno nazionale sotto forma di fondi di rischio. Iniziative analoghe dovrebbero essere avviate a livello europeo.

1.5.

Il CESE, prendendo a riferimento le buone pratiche attuali e le migliori tecniche e tecnologie esistenti, propone che l’UE definisca un processo di autorizzazione semplificato per le attività minerarie. Per esempio, la realizzazione di infrastrutture critiche come le reti per le energie rinnovabili ha aperto la strada a una maggiore fiducia nelle procedure semplificate. Una procedura semplificata non pregiudica l’esito di un processo decisionale, ma è volta a migliorare la tempistica, la prevedibilità e la trasparenza delle procedure di analisi ambientale e di autorizzazione dei progetti infrastrutturali realizzati con questo metodo.

1.6.

Il CESE ritiene di fondamentale importanza l’esistenza di strumenti di finanziamento adeguati che facilitino la transizione verde nei settori dell’estrazione e della lavorazione di minerali. Al tempo stesso, è fondamentale investire (per esempio, tramite il programma Orizzonte 2020) nel riciclaggio di materie prime critiche e strategiche.

1.7.

Il CESE ha già riconosciuto l’importanza della circolarità per l’economia dell’UE. È essenziale che l’economia circolare chiuda il ciclo dei materiali in Europa. Di conseguenza, l’esportazione di rifiuti contenenti materiali di valore il cui trattamento nell’UE potrebbe contribuire a ridurre le emissioni di gas a effetto serra dell’UE dovrebbe essere valutata attentamente e avvenire solo se utile in termini di sostenibilità. Pertanto, il CESE sostiene una revisione rapida ed efficace degli strumenti esistenti, quali il regolamento relativo alle spedizioni di rifiuti.

1.8.

Il CESE ritiene che la proposta di mappare il potenziale approvvigionamento di materie prime critiche secondarie provenienti da scorte e rifiuti dell’UE sia un’azione chiave per migliorare la resilienza dell’UE in rapporto alle materie prime. Invita pertanto la Commissione a fare di questo esercizio di mappatura una priorità da realizzare entro la fine del 2021, anziché entro il 2022 come attualmente previsto.

1.9.

Il CESE ritiene che sia necessario eliminare gli ostacoli presenti nella legislazione e nei regolamenti riguardanti l’utilizzo e la spedizione interni di materie prime secondarie. Tuttavia, le questioni ambientali, sanitarie e di sicurezza relative al commercio di flussi pericolosi di tali materiali devono essere attentamente monitorate e occorre far rispettare le misure pertinenti. Occorre trovare un equilibrio tra procedure rigorose e rapide, in modo da non ostacolare la spedizione, il riciclaggio e il riutilizzo interni delle materie prime secondarie. Sono numerosi gli esempi in cui le opportunità di riciclaggio sono ostacolate dalle formalità (1).

1.10.

Il CESE sottolinea l’importanza di integrare nuove dimensioni nella metodologia utilizzata per la valutazione periodica dell’elenco dei minerali critici. Onde valutare la «dimensione etica» di questi tipi di materie prime è opportuno definire criteri adeguati per verificare se le loro catene di approvvigionamento globali siano conformi ai principi etici. Alla base di tali principi dovrebbero esservi la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (2), i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (3), in particolare i diritti fondamentali del lavoro dell’OIL, la Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro, che include le norme fondamentali del lavoro e la Dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale (4), nonché gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (5). Inoltre, si dovrebbe tenere conto della situazione del commercio e del mercato mondiale delle materie prime, migliorando la valutazione delle condizioni commerciali associate a ciascuna materia prima. L’approccio effettivo della metodologia applicata per valutare gli ostacoli agli scambi è un indicatore molto approssimativo. Occorre tenere maggiormente conto dell’esistenza di barriere commerciali e di oligopoli.

1.11.

Il CESE sottolinea la necessità di un coordinamento tra i sistemi nazionali di istruzione, formazione, riqualificazione e certificazione, al fine di riservare e destinare capacità sufficienti per formare specialisti nei settori che contribuiscono a rafforzare la resilienza in relazione alle materie prime critiche e strategiche. L’UE deve migliorare la formazione degli specialisti in modo da tenere il passo con i rapidi sviluppi della rivoluzione digitale e per fornire opportunità professionali a coloro che sono coinvolti nel garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e della lavorazione di questi minerali essenziali per il funzionamento delle economie avanzate.

1.12.

Il CESE, nel contesto delle politiche volte a rafforzare la resilienza in rapporto alle materie prime critiche e strategiche, evidenzia l’importanza della disponibilità di capacità tecnologiche e industriali nell’UE necessarie a sostituire questi minerali in caso di persistente scarsità. È necessario rafforzare il ruolo delle istituzioni europee preposte alla pianificazione di investimenti significativi e costanti nei programmi di R&S volti a scoprire nuovi materiali e processi che garantiscano un’adeguata sostituzione.

1.13.

Il CESE chiede che la Commissione europea tenga conto, in maniera convincente e rispettosa, delle esigenze e delle aspirazioni dei paesi in via di sviluppo fornitori di materie prime, incoraggiando e sostenendo le imprese che operano in modo chiaro nel rispetto degli interessi economici, sociali ed ecologici di questi paesi e delle loro popolazioni. La Commissione dovrebbe concepire una formula per un «partenariato in condizioni di parità» che promuova la fiducia, la stabilità nel tempo, la sicurezza, l’affidabilità e il rispetto reciproco nell’interesse comune dei partner commerciali.

1.14.

Il CESE sottolinea l’importanza di ampliare la definizione e il paradigma delle materie prime critiche. Tradizionalmente, per materie prime critiche si intendono le materie prime provenienti principalmente dal settore minerario. Questo è un ambito troppo ristretto e limita la crescita delle energie verdi. Oggi i materiali a base di legno possono ormai essere utilizzati in modo efficiente in un numero molto maggiore di applicazioni rispetto al passato. Dalle fibre tessili alle nuove tecnologie per batterie più leggere e più ecologiche: questo è un settore che sta progredendo con grande rapidità. La bioeconomia offre possibilità straordinarie per aumentare la resilienza dell’economia dell’UE e la stabilità geopolitica del nostro continente. L’utilizzo di materiali rinnovabili contribuirebbe contemporaneamente anche a mitigare i cambiamenti climatici, in quanto consente di contenere le emissioni da combustibili fossili, creando resilienza verde.

2.   Contesto di riferimento

2.1.

Il settore delle materie prime fornisce circa 350 000 posti di lavoro all’interno dell’UE, ma nelle industrie manifatturiere a valle vi sono oltre 30 milioni di posti di lavoro che dipendono da un accesso affidabile e senza ostacoli alle materie prime minerali. Nel 2018 la dipendenza dell’UE dalle importazioni di metalli andava dal 75 al 100 % a seconda dei metalli, e più della metà del fabbisogno energetico dell’UE è coperto dalle importazioni nette. I prezzi delle materie prime sono estremamente volatili e le risorse costituiscono la quota maggiore del costo dei fattori produttivi delle industrie (6). Ciononostante, le industrie dell’UE che dipendono dalle materie prime hanno generato 206 miliardi di EUR di valore aggiunto (7).

2.2.

La Banca mondiale prevede che la domanda di metalli e minerali aumenterà in maniera proporzionale all’aumentare delle ambizioni in materia di clima. L’OCSE stima che l’utilizzo di materiali a livello mondiale raddoppierà entro il 2060. L’impiego di metalli dovrebbe aumentare del 150 %, passando dagli 8 miliardi di tonnellate di oggi a 20 miliardi di tonnellate entro il 2060. L’OCSE prevede inoltre che la crescita dell’utilizzo dei materiali e dei processi di estrazione e lavorazione degli stessi aumenterà molto probabilmente la pressione sulle risorse del pianeta compromettendo i progressi in termini di benessere. Questo può causare problemi ambientali e sociali, inquinamento, perdita di biodiversità e di terreni fertili ecc.

2.3.

L’UE produce meno del 5 % delle materie prime minerali estratte nel mondo. La Cina fornisce, da sola, il 66 % delle batterie al litio finite, mentre l’UE ne fornisce meno dell’1 %. Dall’UE proviene meno dell’1 % delle celle a combustibile prodotte nel mondo e appena l’1 % delle materie prime per l’energia eolica (8). La Cina ha una posizione quasi monopolistica in termini di componenti per il fotovoltaico. L’UE fornisce l’1 % dei moduli fotovoltaici a base di silicio. 44 sono i materiali importanti per l’industria della robotica, ma l’UE ne produce solo il 2 % mentre la Cina il 52 %.

2.4.

Il buon esito della trasformazione dell’economia dell’UE e la realizzazione degli obiettivi climatici dell’UE entro il 2030 e il 2050 dipendono dalla garanzia di un approvvigionamento sostenibile di materie prime critiche e strategiche. I minerali, i metalli e i materiali avanzati sono essenziali per l’energia pulita, le tecnologie verdi e la mobilità. Senza di essi, l’attuazione e i progressi delle tecnologie pulite e digitali saranno ritardati, così come l’attuazione dell’Agenda 2030 per gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. L’UE deve agire per ridurre la dipendenza esterna, diversificare le sue catene di approvvigionamento e investire in impianti di riciclaggio. Se non riuscirà in questa impresa, la sopravvivenza dei posti di lavoro e delle industrie europee sarà messa a repentaglio.

3.   Le azioni della Commissione nel settore delle materie prime

3.1.

Il 3 settembre 2020 la Commissione ha presentato la comunicazione dal titolo Resilienza delle materie prime critiche: tracciare un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità, nella quale prospetta dieci azioni volte a sostenere un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime. La comunicazione mette in risalto l’importanza di conseguire un’autonomia strategica aperta nell’UE attraverso le misure seguenti: diversificare i fornitori di paesi terzi; ridurre la dipendenza estrema attraverso la circolarità e l’efficienza delle risorse come anche l’estrazione e la lavorazione all’interno del territorio europeo; aumentare la capacità di approvvigionamento all’interno dell’UE; creare catene di approvvigionamento resilienti per gli ecosistemi industriali dell’UE; rafforzare l’approvvigionamento sostenibile e responsabile; creare un’alleanza per le materie prime e programmi di R&S; accrescere le opportunità di finanziamento; migliorare le competenze minerarie; aumentare la capacità di prospezione; valutare l’impatto ambientale; promuovere il commercio internazionale e i partenariati.

3.2.

L’11 marzo 2020 la Commissione ha pubblicato la comunicazione Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare — Per un’Europa più pulita e più competitiva, nella quale ha evidenziato l’importanza di creare un mercato per le materie prime secondarie e di tenere conto dell’approvvigionamento etico di materie prime e della sicurezza dell’approvvigionamento.

3.3.

Il 10 marzo 2020, nella sua comunicazione Una nuova strategia industriale per l’Europa, la Commissione ha messo in rilevo l’importanza di tutte le catene del valore industriali nell’UE. Un approvvigionamento sicuro di energia e materie prime pulite e a prezzi accessibili è un passo fondamentale verso la riduzione dell’impronta di carbonio industriale, e quindi per accelerare la transizione.

3.4.

L’11 dicembre 2019 la Commissione ha presentato la comunicazione Il Green Deal europeo, che costituisce la nuova strategia di crescita dell’UE per trasformare l’attuale economia in un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse, competitiva e climaticamente neutra. Nella comunicazione viene sottolineata l’importanza della sicurezza strategica dell’accesso alle risorse al fine di attuare il Green Deal. Per la transizione bisognerà pervenire a un approvvigionamento sostenibile di tutte le materie prime necessarie per le tecnologie pulite e digitali.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie con favore e sostiene gli sforzi e le azioni della Commissione europea volti ad accrescere la sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime. I pareri adottati negli ultimi 15 anni dalla commissione consultiva per le trasformazioni industriali del CESE, nonché i lavori congiunti su questo tema con la Commissione europea, confermano l’interesse e l’impegno della società civile organizzata dell’UE affinché si prosegua lo sviluppo del partenariato europeo per le materie prime.

4.2.

A tal riguardo, è necessario sviluppare proposte e azioni più concrete per garantire il percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità indicato nella comunicazione qui in esame. Inoltre, si invita la Commissione a prendere in considerazione azioni adeguate in merito a tutte le materie prime rilevanti per l’industria e l’economia dell’UE, al fine di evitare ulteriori dipendenze.

4.3.

L’iniziativa «materie prime», lanciata dalla Commissione europea nel 2008, ha gettato le basi per un’azione strutturata e coordinata a livello delle pertinenti istituzioni europee, per sensibilizzare i cittadini europei in merito alla necessità sia di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime critiche e strategiche per le industrie europee, che di realizzare azioni concrete in tal senso a livello dell’UE e degli Stati membri.

4.4.

La piattaforma tecnologica europea per le risorse minerali sostenibili (ufficialmente riconosciuta nel 2008), il partenariato europeo per l’innovazione concernente le materie prime (2012), l’istituto europeo di innovazione e tecnologia per quanto concerne le materie prime (2015), l’alleanza europea per le batterie (2017), l’alleanza europea per le materie prime (settembre 2020) o le attività annuali nel quadro della Settimana europea delle materie prime sono iniziative di successo della Commissione e rappresentano importanti strumenti di lavoro dell’Unione europea nel suo costante impegno volto a individuare le soluzioni tecnologiche, legislative e amministrative necessarie per adottare un piano d’azione coerente dell’UE per le materie prime. Tuttavia, queste iniziative avrebbero potuto essere intensificate, e il CESE invita la Commissione a effettuare valutazioni rigorose dell’attività, dei risultati e dell’efficacia di tali piattaforme di alleanza e a trasmettergli i risultati su base periodica (annuale). In quanto organo che rappresenta la società civile, il Comitato deve essere informato sulla reale capacità di questo approccio di produrre risultati tangibili per progredire e raggiungere l’obiettivo della resilienza in rapporto alle materie prime.

4.5.

La comunicazione della Commissione europea è inquadrata in primo luogo in una prospettiva europea, il che è del tutto comprensibile, dal momento che la questione centrale è quella dell’approvvigionamento di materie prime per l’economia europea. Tuttavia, il CESE ritiene che la Commissione debba tenere conto delle esigenze e degli interessi dei cittadini e delle economie dei paesi dai quali le materie prime devono essere esportate verso l’Europa, soprattutto se si fa comunicazione parlando spesso di «valori europei», di «responsabilità mondiale» e di «obiettivi di sviluppo sostenibile» a livello mondiale. È inoltre importante considerare che i paesi non UE dello Spazio economico europeo sono ricchi di risorse minerarie e che le strategie relative alle materie prime, i partenariati strategici e l’accesso agli strumenti finanziari per la transizione verde nel settore minerario dovrebbero essere messi a disposizione anche di questi paesi.

4.6.

L’obiettivo di rafforzare la resilienza dell’UE in rapporto alle materie prime critiche e strategiche è indissolubilmente legato agli sforzi dell’UE volti a conservare una solida base industriale e tecnologica in grado di tenere il passo con la rivoluzione digitale e con le sfide mondiali imposte dai cambiamenti climatici e dalla protezione dell’ambiente. È fondamentale che l’UE realizzi questo processo con buoni risultati. Il CESE ha già sottolineato che i «pannelli solari, batterie e parchi eolici sono elementi cruciali del nostro nuovo paradigma industriale. Possono tuttavia richiedere materie prime controllate da concorrenti che si trovano al nostro stesso livello in campo internazionale. La politica industriale deve accompagnarsi a una decisa politica estera e commerciale, tesa a sua volta ad assicurare l’accesso a tali risorse» (9).

4.7.

Le politiche sulle materie prime devono contribuire positivamente, insieme ad altre politiche, a garantire l’approvvigionamento delle industrie europee, a soddisfare la domanda europea di prodotti e servizi, a rispettare l’ambiente e a limitare l’impatto delle attività umane sul clima, nonché a creare posti di lavoro dignitosi. Questi benefici — economici, ambientali e sociali — dovrebbero essere distribuiti equamente in tutta l’UE. È importante concentrarsi non solo sulle materie prime classificate come «critiche» secondo la metodologia proposta dalla Commissione europea. Le materie prime che costituiscono una parte essenziale di molte catene di approvvigionamento e del valore e dalla cui estrazione si ottengono anche altre materie prime essenziali dovrebbero essere riconosciute importanti dal punto di vista strategico.

4.8.

La domanda costante e prevedibile di materie prime critiche e strategiche nell’UE è una condizione fondamentale per rafforzare le relazioni commerciali e le catene di approvvigionamento all’interno dell’UE e a livello mondiale. Poiché la domanda di materie prime è in costante aumento, l’UE dovrebbe anche continuare a migliorare la sua capacità di approvvigionamento a livello interno e internazionale. L’affidabilità e la prevedibilità delle catene di approvvigionamento sono fondamentali non solo per mantenere la produzione industriale e le relative infrastrutture all’interno degli Stati membri, ma fungono anche da presupposti necessari per accrescere la resilienza dell’UE in relazione alle materie prime critiche.

4.9.

La necessità di materie prime critiche e strategiche è uno degli indicatori che ci consentono di valutare e stabilire il tipo di capacità produttiva industriale dell’UE, nonché le esigenze in termini di istruzione, formazione, riqualificazione, apprendimento permanente e certificazione che dovremmo mantenere nell’UE per far fronte alla concorrenza mondiale ed evitare non solo la dipendenza da determinate materie prime, ma anche la subordinazione nel campo dell’innovazione, della ricerca e dello sviluppo tecnologico.

4.10.

La capacità tecnologica e industriale di sostituire le materie prime critiche è considerata essenziale per rafforzare la resilienza, ma non è un obiettivo realizzabile in breve tempo e senza investimenti significativi e costanti nell’attività di ricerca e sviluppo per scoprire nuovi materiali. Rispetto agli sviluppi dinamici osservabili in Cina, si potrebbe affermare che la resilienza dell’UE in relazione alle materie prime critiche può essere rafforzata attuando progetti ambiziosi per collegare e modernizzare le infrastrutture transeuropee dei trasporti, dell’energia e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). Tutto ciò può essere fatto nel contesto del Green Deal europeo, mantenendo così una domanda sufficientemente elevata di tali materie prime nell’UE, una domanda che stabilizzi le catene di approvvigionamento mondiali, portando a un afflusso di nuovi investimenti, non solo nelle industrie che lavorano queste materie prime, ma anche nei programmi di R&S per la sostituzione delle materie prime critiche.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

La comunicazione della Commissione rappresenta un passo avanti, in quanto fornisce una chiara tabella di marcia con iniziative e azioni da intraprendere a livello europeo; il CESE raccomanda pertanto al Parlamento europeo e al Consiglio di sostenere questo approccio per migliorare la resilienza dell’UE in rapporto alle materie prime critiche.

5.2.

Se da un lato gli investimenti nelle attività minerarie sostenibili creano offerta, occupazione e progresso economico, dall’altro devono anche garantire miglioramenti socioeconomici e ambientali in linea con la responsabilità sociale delle imprese. La principale preoccupazione è come raggiungere un equilibrio tra la promozione delle attività minerarie sostenibili in Europa e l’accettazione da parte dell’opinione pubblica. A tal riguardo, la sensibilizzazione dei cittadini è fondamentale.

Il Green Deal europeo, gli obiettivi climatici per il 2030 e il 2050 e la domanda di materie prime

5.3.

Un’economia pulita e circolare promette di ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni di materiali ed energia, di abbassare l’impatto negativo sulla salute e sull’ambiente nell’UE, di sviluppare modelli economici futuri e di creare più posti di lavoro a livello locale. Un’economia di questo tipo contribuirà inoltre a migliorare l’autosufficienza e ad affrontare i problemi di resilienza messi a nudo dalla pandemia di COVID-19 in relazione alle catene di approvvigionamento globali. Il CESE ha già chiesto una strategia chiara affinché l’UE possa «diventare il leader mondiale nel campo dell’economia circolare e delle tecnologie pulite, e [operare] per decarbonizzare le industrie ad alta intensità energetica» (10).

5.4.

La comunicazione della Commissione non menziona né tantomeno tratta l’estrazione mineraria nei fondali marini (11), né contribuisce a modificare la percezione che le industrie estrattive non siano rispettose dell’ambiente, anche se esistono casi in cui effettivamente lo sono grazie a pratiche minerarie sostenibili.

5.5.

La Commissione sostiene che i rifiuti delle attività estrattive sono ricchi di materie prime critiche e possono creare nuove attività economiche. Ciò che non è chiaro, tuttavia, è il livello di investimenti necessari così come il livello di accettazione da parte dell’opinione pubblica in rapporto a tali attività. Le opportunità economiche derivanti dalle materie prime critiche presenti nei rifiuti delle attività estrattive sono associate non solo ai siti di estrazione del carbone, ma anche ad altri minerali come il ferro, lo zinco o il nichel.

5.6.

Aumentare la capacità di riciclaggio, estrazione e lavorazione dei metalli è essenziale per sviluppare le tecnologie verdi e pulite necessarie per il passaggio all’energia verde e, in più larga misura, anche per la transizione industriale verde. Il recupero di materiali strategici e critici è fondamentale, e occorre quindi impiegare tecnologie innovative per la cernita e il trattamento dei rifiuti. Entrambi i percorsi di approvvigionamento — l’estrazione e il riutilizzo — all’interno dell’UE devono essere adeguatamente promossi e sostenuti finanziariamente.

Elenco delle materie prime critiche dell’UE: metodologia di valutazione

5.7.

Sulla base dei nuovi sviluppi tecnologici, ogni due anni dovrebbe essere effettuata una revisione dell’elenco delle materie prime critiche nell’UE. La Commissione menziona il monitoraggio delle azioni presentate nella proposta in esame. Sono necessarie valutazioni d’impatto lungo tutto il percorso, con la possibilità di intervenire con modifiche/regolamentazioni.

5.8.

Nella comunicazione, la Commissione sottolinea che l’elenco delle materie prime critiche sottoposto a valutazione periodica è rilevante anche per promuovere un approvvigionamento sostenibile e responsabile. Pertanto, la metodologia utilizzata per la valutazione periodica di questo elenco dovrebbe essere riveduto sulla base della conformità con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (12), i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (13), in particolare i diritti fondamentali del lavoro dell’OIL, la Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro, che include le norme fondamentali del lavoro, e la Dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale (14), nonché gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (15).

5.9.

I rischi di violazioni dei diritti umani, comprese le violazioni di tali diritti commesse da un’impresa nelle catene globali del valore (16), o di degrado ambientale nei potenziali paesi produttori devono essere presi efficacemente in considerazione nella metodologia di valutazione periodica dell’elenco delle materie prime critiche. Bisogna quindi individuare dei criteri adeguati e includerli nella metodologia di valutazione. Questo è di fondamentale importanza, dato che il commissario europeo per la Giustizia sta lavorando a una direttiva sugli obblighi di dovuta diligenza che sarà presentata nel primo semestre del 2021.

5.10.

Le materie prime critiche sono state generalmente intese come materiali provenienti dal settore minerario, ma si tratta di un concetto molto più ampio. Per esempio, i materiali a base di legno possono essere utilizzati in modo efficiente in un numero di applicazioni molto maggiore rispetto al passato: dalle fibre tessili alle nuove tecnologie per batterie più leggere e più ecologiche: questo è un settore che sta avanzando con grande velocità. Inoltre, la bioeconomia offre possibilità straordinarie per aumentare la resilienza dell’economia dell’UE e la stabilità geopolitica del nostro continente. L’utilizzo di materiali rinnovabili contribuirebbe contemporaneamente a mitigare i cambiamenti climatici e consentirà di contenere le emissioni da combustibili fossili, creando resilienza verde.

Mappatura delle materie prime dell’UE

5.11.

La proposta di mappare il potenziale approvvigionamento di materie prime critiche secondarie provenienti da scorte e rifiuti dell’UE costituisce un’azione chiave per migliorare la resilienza dell’UE in rapporto alle materie prime. Pertanto, la Commissione deve dare priorità a tale mappatura e realizzarla entro la fine del 2021, anziché entro il 2022 come attualmente previsto, facendo conoscere i dati disponibili alle parti interessate e ai cittadini.

5.12.

Data l’attuale mancanza di una visione d’insieme e di informazioni sulla disponibilità di materie prime secondarie all’interno dell’UE, il monitoraggio, sia settoriale che intersettoriale, dei materiali strategici e critici deve essere effettuato come azione prioritaria, anche utilizzando strumenti digitali e basati sui big data.

Estrazione mineraria, competenze collegate e licenza sociale a operare

5.13.

Le attività di estrazione delle materie prime sono essenziali per ridurre il rischio di approvvigionamento, ad esempio fornendo materiali per la diffusione di tecnologie a basse emissioni di carbonio e per l’agricoltura, e aumentando la resilienza delle catene di valore manifatturiere. Fornendo materie prime in modo sostenibile e responsabile, il settore minerario europeo può garantire la disponibilità dei materiali essenziali necessari per le tecnologie attuali e future al fine di creare un’economia climaticamente neutra, orientata ai servizi e al benessere, circolare ed efficiente sotto il profilo delle risorse.

5.14.

Inoltre, rispetto ai paesi terzi, il settore minerario in Europa opera secondo le più elevate norme ambientali e sociali. L’industria in Europa è impegnata a contribuire in modo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici: non solo è alla continua ricerca di metodi di decarbonizzazione per soddisfare in modo efficiente ed efficace la crescente domanda di risorse, ma consente anche ad altre attività economiche di migliorare le loro prestazioni ambientali.

5.15.

È un dato di fatto che nei paesi in via di sviluppo sono pochissimi gli esempi di esportazioni di materie prime che innescano uno sviluppo economico e sociale sostenibile che vada a beneficio di ampie fasce della popolazione. Anzi, la situazione è spesso associata a sfruttamento sociale e l’inquinamento ambientale, e di solito a trarre vantaggio e a essere dalla parte dei vincenti sono solo in pochi.

5.16.

Le materie prime non devono servire soltanto a garantire la prosperità economica in Europa, ma devono anche costituire la base di uno sviluppo economico sostenibile, ossia compatibile sul piano sociale e ambientale, nei paesi di origine. In questo senso, l’UE dovrebbe assumere un ruolo propositivo sostenendo in maniera chiara tutti i possibili sforzi da parte delle imprese che si lasciano alle spalle le strategie tese a procurarsi in modo unilaterale le materie prime ai prezzi più economici possibili, e adottano invece un nuovo approccio di «partenariato strategico». Questo partenariato deve tenere conto, in modo equo, delle esigenze e degli interessi economici, sociali ed ecologici sia dei paesi fornitori che di quelli destinatari delle materie prime e deve sostenere e promuovere uno sviluppo socioeconomico autodeterminato nei paesi di origine. La creazione di «condizioni di partenariato» consente di raggiungere un elevato livello di fiducia, stabilità nel tempo, sicurezza e affidabilità nelle relazioni commerciali nell’interesse comune e sulla base del rispetto reciproco.

5.17.

È sempre necessario soppesare i problemi ambientali locali rispetto ai benefici che questo tipo di progetti potrebbe apportare nella soluzione di questioni di più ampia portata a livello europeo e mondiale legate alle emissioni di CO2, come ad esempio la domanda di maggiori quantità di rame. Questo bilanciamento dovrebbe essere parte integrante della definizione delle priorità in rapporto ai progetti minerari in Europa, nella quale dovrebbero essere comprese anche considerazioni economiche regionali.

5.18.

Non è sufficiente avere accesso alle materie prime se l’UE non dispone di impianti di lavorazione ad alta tecnologia. Il commissario Breton ha dichiarato che «per le materie prime critiche, l’obiettivo è quello di far sì che la capacità europea di estrazione e raffinazione sia operativa entro l’inizio del prossimo decennio». Questo obiettivo però non è sufficientemente ambizioso. Il CESE raccomanda pertanto che l’UE promuova investimenti immediati e incentivi comuni regolamentati per gli investitori. Per accelerare l’«autonomia strategica» dell’Europa in rapporto alle materie prime critiche dovrebbe essere presa in considerazione la creazione di un partenariato europeo (Orizzonte Europa) o di un importante progetto di comune interesse europeo (IPCEI). Esso dovrebbe abbracciare l’intera catena di approvvigionamento delle materie prime critiche: la valutazione delle fonti interne di minerali, l’estrazione, la fusione, la trasformazione, il riciclaggio e il riutilizzo per altri fini. Infatti, per quanto riguarda le batterie, la creazione di una catena del valore interna, pienamente integrata, delle terre rare sarà di fondamentale importanza per realizzare la doppia transizione digitale e verde.

5.19.

In Europa sono in corso quattro progetti industriali fondamentali in materia di estrazione e lavorazione sostenibili, per un totale di quasi 2 miliardi di EUR. Si prevede che entro il 2025 questi progetti copriranno l’80 % del nostro fabbisogno di litio nel settore delle batterie. Essi potrebbero servire da esempio per la copertura del fabbisogno di altre materie prime essenziali per le catene del valore europee in molti altri settori strategici.

5.20.

L’industria sta già utilizzando l’automazione, la digitalizzazione, la tecnologia blockchain e l’intelligenza artificiale, ma occorre esplorare il ricorso al programma Copernicus per individuare nuovi siti di materie prime e monitorare l’impronta ambientale. A questo riguardo, il CESE ha già raccomandato «l’elaborazione di una tabella di marcia normativa dell’UE che affronti le sfide poste dalla trasformazione digitale del settore delle materie prime, occupandosi di temi quali la cibersicurezza, l’intelligenza artificiale, l’automazione, la governance multilivello nonché le attività minerarie marine e spaziali» (17).

5.21.

Occorre sviluppare nuovi metodi di estrazione, recupero e produzione che rispondano alle più elevate norme ambientali e sociali. Lo sfruttamento delle risorse presenti all’interno delle discariche e degli sterili minerari dell’UE rappresenta una potenziale fonte di materie prime critiche. Da parte loro, gli specialisti ambientali chiedono che le comunità locali siano coinvolte nel processo decisionale sui futuri siti minerari.

5.22.

Le competenze minerarie possono essere trasferite allo sfruttamento dei metalli e dei minerali, eventualmente nelle stesse regioni. Il meccanismo per una transizione giusta aiuterà le regioni carbonifere e ad alta intensità di carbonio grazie ai finanziamenti per le infrastrutture sostenibili a valere sulle risorse di InvestEU. Tuttavia, per gli investitori sono necessari tempi e incentivi, così come una normativa in merito a procedure di autorizzazione più rapide (un regolamento UE in materia potrebbe essere una soluzione). Le norme sociali, ambientali e di sostenibilità sono requisiti fondamentali per tutti i futuri progetti dell’UE.

5.23.

Uno dei presupposti fondamentali affinché le politiche in materia di requisiti minimi di contenuto nazionale siano efficaci ai fini della creazione di posti di lavoro più verdi e meglio retribuiti nei paesi ricchi di minerali è la disponibilità delle competenze e delle capacità necessarie per soddisfare le esigenze dell’industria durante l’intero ciclo di vita di una miniera. È inoltre fondamentale sviluppare nuove competenze e adattare quelle esistenti per rispondere rapidamente ai cambiamenti tecnologici. Studi recenti hanno confermato il probabile impatto delle nuove tecnologie sulla natura dei posti di lavoro, evidenziando il fatto che, nel settore minerario, saranno necessarie nuove competenze non solo per le nuove occupazioni, ma anche per quelle esistenti, dato che le attuali figure professionali operative dovranno probabilmente adattarsi all’automazione. I licenziamenti dovrebbero essere evitati con il dialogo sociale, riqualificando i lavoratori e garantendo loro l’accesso alle nuove posizioni e ai nuovi posti di lavoro creati dalle nuove tecnologie e dai processi di riciclaggio.

5.24.

L’istruzione, la formazione, la riqualificazione e la certificazione sono estremamente importanti per il futuro dell’industria, ed è importante che avvengano nel quadro del dialogo sociale, e l’acquisizione delle competenze necessarie richiede tempo e finanziamenti. Materie specifiche come la geologia, la metallurgia e l’estrazione mineraria potrebbero essere insegnate anche a livello universitario.

Investimenti

5.25.

La prospezione è un’attività ad alto rischio che aumenta notevolmente il costo del capitale. La riduzione del rischio mediante garanzie sui prestiti e regimi di ammortamento può contribuire notevolmente agli investimenti. Altri incentivi fiscali sono rappresentati dai crediti d’imposta e dagli aiuti di Stato. Questi meccanismi di sostegno alle attività di estrazione e lavorazione sono ampiamente utilizzati a livello mondiale, ma non nell’UE.

5.26.

Occorre concepire e sviluppare un sistema efficiente di incentivi finanziari al fine di sostenere le transizioni ecologiche nell’industria dei rifiuti. Inoltre, si dovrebbero applicare sanzioni in caso di utilizzo abusivo di risorse di valore contenute nei rifiuti.

5.27.

Rafforzare la capacità dell’UE di affrontare efficacemente le barriere commerciali tariffarie e non tariffarie, anche nel settore del dumping e degli appalti pubblici, messe in atto dai nostri partner internazionali, è essenziale per garantire condizioni di parità nel commercio delle materie prime.

5.28.

L’Europa ha bisogno di ingenti investimenti nell’attività di R&S per conservare la leadership nelle catene del valore su scala mondiale. Tenere il passo con le altre potenze economiche è importante e richiede uno stretto coordinamento degli strumenti afferenti a diverse politiche, tra cui la nuova strategia industriale e la politica commerciale dell’UE. L’attuazione del regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti sta diventando sempre più importante per proteggere le catene del valore strategiche dell’UE.

5.29.

L’UE deve prestare particolare attenzione al monitoraggio dei mercati mondiali delle materie prime nonché all’evoluzione delle catene di approvvigionamento strategiche. Informazioni affidabili e complete devono provenire da tutti gli Stati membri e dalle parti interessate attraverso formati standard di comunicazione dei dati.

5.30.

Gli investimenti legati alla transizione verde da parte delle imprese dell’UE nel settore dell’estrazione, della lavorazione e del riciclaggio devono sostenere gli sforzi dell’industria per concorrere alla transizione e progredire verso gli obiettivi di neutralità climatica (18). Il settore dovrebbe beneficiare di un facile accesso a finanziamenti sostenibili, ma solo se i suoi investimenti programmati, i piani di R&S e i progetti di trasformazione industriale mostrano una chiara adesione agli obiettivi climatici e ai criteri di occupazione piena e produttiva, crescita economica sostenibile e lavoro dignitoso per tutti. Il CESE ha già sottolineato in un precedente parere che «una crescita sostenibile dovrebbe fare riferimento alle dimensioni ambientale, economica, sociale e di governance, in un approccio equilibrato, globale e generale, in linea con tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile e l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, stabilendo condizioni trasversali minime insostituibili» (19).

5.31.

Inoltre, i progetti minerari che presentano gli stessi impegni dovrebbero essere sostenuti e incentivati anche nel quadro di IPCEI (importanti progetti di comune interesse europeo) e PCI (progetti di interesse comune). La valutazione del contributo di tali investimenti e progetti deve concentrarsi anche sull’individuazione di comportamenti virtuosi di pura facciata («greenwashing») o di informazioni fuorvianti.

Gli scambi commerciali e la dimensione internazionale

5.32.

La Cina copre oggi il 98 % dell’approvvigionamento dell’UE di terre rare. Stiamo entrando in un’epoca di grande competizione geopolitica, per cui lo sviluppo di un’efficace diplomazia economica a livello dell’UE è fondamentale per garantire l’accesso a fornitori diversificati, investendo nel contempo nelle capacità di riutilizzo e riciclaggio. A tale riguardo, il CESE insiste sulla creazione di partenariati strategici con nazioni che condividono gli stessi principi in un quadro plurilaterale, al fine di evitare che interruzioni dell’approvvigionamento (talvolta dettate da considerazioni politiche) creino situazioni di stallo in sofisticate catene industriali del valore nell’UE.

5.33.

Rafforzare il ruolo dell’euro come valuta internazionale e di riferimento è essenziale per prevenire la volatilità dei prezzi e ridurre la dipendenza delle parti interessate dell’UE dal dollaro statunitense. La Commissione dovrebbe cercare modi per incoraggiare il commercio delle materie prime critiche in euro, avvalendosi degli strumenti di diplomazia economica e di politica commerciale disponibili. A tal riguardo, il CESE esprime apprezzamento per la comunicazione della Commissione europea dal titolo Il sistema economico e finanziario europeo: promuovere l’apertura, la forza e la resilienza (20).

5.34.

L’esportazione di materie prime secondarie deve essere consentita solo quando ha senso sul piano della sostenibilità. Tuttavia, l’UE dovrebbe adoperarsi per cambiare le regole del gioco e consentire l’esportazione di rifiuti contenenti materiali di valore solo quando è utile dal punto di vista della sostenibilità. Più precisamente, l’esportazione di questo tipo di rifiuti dovrebbe avvenire solo qualora, nel paese di destinazione, le norme ambientali e sociali e le misure volte a mitigare gli effetti climatici siano equivalenti a quelle applicate nell’UE.

5.35.

La cooperazione internazionale in seno all’OCSE, alle Nazioni Unite, all’OMC e al G20 deve essere rafforzata, tenendo presente la futura sostenibilità dell’industria e l’interesse dell’UE a garantire l’accesso alle materie prime critiche. Per le parti interessate europee è essenziale che siano garantite condizioni di parità con le altre regioni del mondo. L’UE deve avvalersi di tutti gli strumenti a sua disposizione, compresi gli accordi commerciali e i partenariati strategici, al fine di creare le condizioni per agevolare le joint venture dell’UE nei paesi terzi ricchi di risorse, in particolare dell’Africa e dell’America del Sud, tenendo sempre conto dell’approvvigionamento responsabile e delle buone pratiche in materia di comportamento commerciale. Infine, è essenziale che nella catena di approvvigionamento dell’UE siano integrati anche i paesi dei Balcani occidentali.

Bruxelles, 25 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Per esempio, diversi Stati membri applicano metodi di classificazione diversi per stabilire se le caratteristiche dei rifiuti siano pericolose o meno. Tutto questo crea burocrazia inutile (troppi documenti, procedure lunghe, incongruenze tra le diverse autorità competenti) e oneri ingiustificati dovuti alla garanzia finanziaria associata alla spedizione dei rifiuti in base alla loro classificazione.

(2)  https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/DICHIARAZIONE_diritti_umani_4lingue.pdf

(3)  http://www.iriss.cnr.it/irisswp/wp-content/uploads/2016/09/principi-guida-su-imprese-e-diritti-umani-con-commentario.pdf.

(4)  https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---europe/---ro-geneva/---ilo-rome/documents/publication/wcms_614707.pdf

(5)  https://www.aics.gov.it/home-ita/settori/obiettivi-di-sviluppo-sostenibile-sdgs/.

(6)  2018 EU Raw Materials Scoreboard (Quadro di valutazione delle materie prime nell’UE 2018).

(7)  Euromines.

(8)  UNEP IRP.

(9)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 108.

(10)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 108.

(11)  L’Autorità internazionale dei fondali marini ha il compito di rendere possibile sul piano giuridico e pratico l’estrazione mineraria dai fondali marini.

(12)  Cfr. la nota 2.

(13)  http://www.iriss.cnr.it/irisswp/wp-content/uploads/2016/09/principi-guida-su-imprese-e-diritti-umani-con-commentario.pdf/.

(14)  Cfr. la nota 4.

(15)  Cfr. la nota 5.

(16)  Global Value Chains (GVC).

(17)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 37.

(18)  Relazione McKinsey How the European Union could achieve NET-zero emissions at NET-zero cost (Come l’Unione europea potrebbe raggiungere la neutralità climatica a costo zero), 3 dicembre 2020: «Per raggiungere la neutralità climatica occorrerebbe investire circa 28 mila miliardi di EUR in tecnologie e tecniche pulite nei prossimi 30 anni». «Di questi 5 400 miliardi di EUR, circa 1 500 miliardi sarebbero investiti nel settore dell’edilizia (29 %), 1 800 miliardi sarebbero utilizzati per l’energia elettrica (33 %), 410 miliardi per l’industria (8 %), 76 miliardi per l’agricoltura (circa l’1 %) e 32 miliardi per i trasporti (meno dell’1 %). Infine, circa 1 500 miliardi (28 %) servirebbero a finanziare le infrastrutture per migliorare la trasmissione e la distribuzione dell’energia in tutti i settori».

(19)  Piano d’azione sulla finanza sostenibile. (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 73).

(20)  COM(2021) 32 final, 19.1.2021, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni;

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52021DC0032&from=IT.


9.6.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 220/128


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Requisiti di sostenibilità per le batterie nell’UE»

[COM(2020) 798 final — 2020/353 (COD)]

(2021/C 220/18)

Relatore:

Bruno CHOIX

Correlatore:

Franck UHLIG

Consultazione

Parlamento europeo, 18.1.2021

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

1.12.2020

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in sezione

5.3.2021

Adozione in sessione plenaria

24.3.2021

Sessione plenaria n.

559

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

256/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene le misure stabilite dalla proposta di regolamento della Commissione europea in esame [COM(2020) 798 final — 2020/0353 (COD)].

1.2.

A parere del CESE evitare la frammentazione del mercato interno, che sarebbe provocata da eventuali approcci divergenti da parte degli Stati membri, è una questione essenziale che tutti i portatori di interessi devono affrontare.

1.3.

Il CESE chiede di definire, con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, meccanismi e strumenti di governance più precisi e operativi per l’attuazione del nuovo regolamento.

1.4.

Il CESE propone di rispondere a queste sfide potenziando ancor più il ruolo e i mezzi dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA).

1.5.

Per le questioni concernenti la salute, la sicurezza e le condizioni di lavoro nella produzione, nel riciclaggio e nel cambio di destinazione delle batterie, il CESE propone di potenziare il ruolo dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (OSHA).

1.6.

Per quanto riguarda l’attuazione del dovere di diligenza nel monitoraggio della catena di approvvigionamento delle batterie, il CESE chiede con insistenza che questo sistema di sorveglianza sia attuato in condizioni di completa trasparenza.

1.7.

Il riciclaggio, il rinnovo e il reimpiego consentono di rendere più sicura la catena del valore a monte. È indispensabile promuovere la ricerca e lo sviluppo in materia di progettazione ecocompatibile, e il CESE propone che ciò si concretizzi sotto forma di importante progetto di comune interesse europeo (IPCEI).

1.8.

Per quanto riguarda le sfide connesse all’occupazione e alle competenze volte a favorire lo sviluppo di una filiera industriale europea delle batterie sostenibili, il CESE propone di ampliare e rafforzare il ruolo del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop) nonché il ruolo dei comitati europei di dialogo sociale settoriale interessati, in linea con il percorso di transizione giusta integrato nel Green Deal europeo.

1.9.

Nel quadro dell’iniziativa della Commissione europea «Un patto per le competenze» e dei progetti europei ALBATTS (Alliance for Batteries Technology Training and Skills = Alleanza per le qualifiche e la formazione nel settore della tecnologia delle batterie), DRIVES (Development and Research on Innovative Vocational Educational Skills = Sviluppo e ricerca sulle competenze innovative in materia di formazione professionale) e COSME (programma pluriennale europeo per la competitività delle imprese e le PMI), il CESE ritiene assolutamente prioritario definire e attuare progetti di formazione dedicati alla progettazione ecocompatibile e al riciclaggio delle batterie, dotati di risorse finanziarie adeguate per garantirne il successo, con la partecipazione attiva delle parti sociali e in cooperazione con gli eventuali meccanismi nazionali o alcuni bacini di occupazione direttamente interessati.

1.10.

Il CESE propone, in linea con gli impegni assunti dall’UE per la neutralità in termini di emissioni di carbonio, di introdurre rapidamente soglie massime dell’impronta di carbonio associata alla fabbricazione di batterie, oltre che alla logistica di approvvigionamento a monte dei materiali, e di rafforzare i mezzi assegnati dalla Commissione per elaborare e attuare rapidamente gli strumenti di valutazione e di controllo dell’impronta di carbonio nella filiera delle batterie.

1.11.

Il CESE ritiene necessario introdurre una responsabilità del produttore che si concili con lo stimolo alla progettazione ecocompatibile. In tale contesto, sembra necessario dissociare il fine vita delle batterie dal fine vita degli apparecchi che le utilizzano.

1.12.

Il CESE propone di introdurre il concetto di «fine uso» per integrare quello di «fine vita» e favorire il reimpiego, il rinnovo o la seconda vita e il riciclaggio delle batterie.

1.13.

Le disposizioni della proposta di regolamento in materia di etichettatura dovrebbero prevedere l’obbligo di informare meglio i consumatori in merito ai rischi potenziali delle sostanze pericolose contenute nelle batterie diverse dal cadmio, dal piombo e dal mercurio nonché in merito ad altri rischi per la sicurezza, per consentire una scelta informata e un migliore utilizzo delle batterie.

2.   Introduzione

2.1.

Il 10 dicembre 2020 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio [COM(2020) 798 final — 2020/0353 (COD)] relativo alle batterie e ai rifiuti di batterie, che abroga la direttiva 2006/66/CE, del 6.9.2006, relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e modifica il regolamento (UE) 2019/1020, del 20 giugno 2019, sulla vigilanza del mercato e sulla conformità dei prodotti.

2.2.

La proposta di regolamento mira a elaborare un quadro dell’UE che interessi l’intero ciclo di vita delle batterie e che comprenda norme armonizzate e più ambiziose riguardanti le batterie, i componenti, i rifiuti di batterie e i materiali riciclati.

2.3.

I principali obiettivi di questo regolamento consistono nel rafforzare la sostenibilità delle batterie durante tutto il loro ciclo di vita, garantendo requisiti minimi di sostenibilità per le batterie immesse sul mercato interno dell’UE, nell’aumentare la resilienza della catena di approvvigionamento delle batterie dell’UE favorendo l’economia circolare, e nel ridurre l’impatto ambientale e sociale in tutte le fasi del ciclo di vita delle batterie.

2.4.

Si tratta in particolare di promuovere la produzione e l’immissione sul mercato dell’UE di batterie di alta qualità e ad alte prestazioni, di sviluppare e sfruttare il potenziale delle materie prime per batterie dell’UE, sia primarie che secondarie, garantendo una produzione efficiente e sostenibile, e infine di garantire il funzionamento dei mercati delle materie prime secondarie e dei relativi processi industriali.

2.5.

Con questo regolamento, la Commissione intende promuovere l’innovazione, lo sviluppo e la concreta applicazione delle competenze tecnologiche dell’UE.

2.6.

Ciò deve consentire, in una logica di economia circolare, di ridurre la dipendenza dell’UE dalle importazioni di materie prime e terre rare di importanza strategica e di garantire che tutti i rifiuti di batterie siano raccolti e riciclati in modo appropriato.

2.7.

Allo scopo di ridurre l’impatto ambientale e sociale, il regolamento deve contribuire a un approvvigionamento responsabile, promuovere l’utilizzo efficiente delle materie prime e dei materiali riciclati, ridurre le emissioni di gas a effetto serra durante l’intero ciclo di vita delle batterie, attenuare i rischi per la salute umana e per la qualità dell’ambiente e migliorare le condizioni sociali delle comunità interessate.

3.   Osservazioni generali

3.1.

In Europa, nel prossimo decennio la tecnologia delle batterie sarà uno dei principali catalizzatori della transizione energetica verde. Permettendo di elettrificare i trasporti, ove opportuno, e di utilizzare le energie rinnovabili come fonti di energia affidabili, l’impiego delle batterie dovrebbe consentire di contribuire agli obiettivi europei dell’accordo di Parigi sul clima.

3.2.

Secondo Maros Šefčovič, vicepresidente della Commissione, alla luce dei progressi compiuti nel quadro dell’Alleanza europea delle batterie (EBA) varata dalla Commissione nel 2017, l’UE sarebbe in grado di garantire fino all’80 % del proprio fabbisogno entro i prossimi cinque anni.

3.3.

Quest’autonomia strategica sarà realizzata in collaborazione con l’EBA, allo scopo di offrire strumenti giuridici per poi riunire tra gli Stati membri i settori dell’automobile, delle materie prime e della chimica e progettare e attuare catene del valore europee al 100 % con le prime unità di produzione di batterie europee che dovrebbero cominciare nel 2021 o nel 2022.

3.4.

Il CESE appoggia le misure stabilite dalla proposta di regolamento della Commissione, per la loro capacità di far fronte alle molteplici sfide poste dall’incremento della produzione e del consumo mondiali di batterie.

3.5.

Il CESE segnala tuttavia che, in base all’autonomia strategica dell’UE, tali misure devono essere rafforzate e attuate rapidamente per evitare non solo l’aggravarsi della dipendenza tecnologica, industriale ed energetica degli utilizzatori di batterie nell’UE dai produttori asiatici o americani, ma anche la delocalizzazione degli stabilimenti automobilistici europei a vantaggio degli stabilimenti dei paesi terzi situati in regioni prossime alle unità di produzione delle batterie, con conseguenze economiche, sociali e ambientali negative, come segnalava già un precedente parere del CESE (1). Occorre inoltre tutelare anche gli interessi delle imprese europee sfruttando fino in fondo tutti i pertinenti strumenti dell’UE. A questo proposito, il CESE desidera inoltre esprimere preoccupazione per il modo in cui la Commissione intende verificare e applicare i requisiti relativi all’impronta di carbonio, i livelli di contenuto riciclato e il dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento. Il CESE insiste quindi sulla necessità di svolgere rigorose indagini circa la conformità dei prodotti importati onde evitare la concorrenza sleale dall’estero.

3.6.

I pannelli solari, le batterie e i parchi eolici sono elementi cruciali del nostro nuovo paradigma industriale (2). Si basano su materie prime e materiali, competenze e valore aggiunto generati da paesi che quasi sempre si trovano al di fuori dell’UE. Attualmente appena l’1 % della produzione mondiale di batterie al litio è realizzato in Europa (3). In parallelo allo sviluppo di una filiera europea delle batterie fisse o stazionarie (per lo stoccaggio dell’energia), per attuare in modo sicuro ed efficiente i piani attuali e futuri delle reti elettriche, il CESE raccomanda che l’approccio complementare V2G (vehicle to grid = dal veicolo alla rete) venga inserito in un quadro a livello europeo.

3.7.

Il CESE sostiene le proposte per una maggiore sostenibilità dei trasporti ed il Piano d’azione strategico sulle batterie, volto a ridurre il deficit energetico europeo e a creare una catena del valore delle batterie. La decarbonizzazione dei trasporti e la transizione verso un’energia pulita rappresentano uno degli aspetti chiave del terzo pacchetto di misure per la mobilità, del Green Deal europeo e della strategia di mobilità sostenibile e intelligente. Questa iniziativa rientra nel quadro più ampio del Piano d’azione per l’economia circolare (4).

3.8.

La piattaforma europea degli attori dell’economia circolare può svolgere un ruolo nella comunicazione relativa a questi temi (5).

3.9.

È poi necessario introdurre un meccanismo adeguato per informare gli utilizzatori finali in merito alla qualità delle batterie disponibili sul mercato e per migliorare la comprensione da parte dei consumatori del ruolo che devono svolgere nella raccolta dei rifiuti di batterie.

3.10.

La garanzia che le batterie prodotte siano «pulite» può essere ottenuta meglio nel quadro delle norme e delle regole ambientali dell’UE, ad esempio grazie all’approccio dell’economia circolare, che va dalla miniera al fine vita delle batterie. Sono essenziali grandi investimenti da parte dell’industria per realizzare questo obiettivo, mentre il ruolo della Commissione è quello di stabilire le condizioni limite adeguate, come per esempio le norme tecniche (6).

3.11.

Il CESE approva la volontà espressa nella proposta di regolamento della Commissione di tener conto delle importanti questioni collegate alle materie prime critiche utilizzate nelle batterie, secondo la definizione di cui alla comunicazione della Commissione europea del 3 settembre 2020 intitolata «Resilienza delle materie prime critiche: tracciare un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità». Le materie prime critiche contenute nelle batterie sono il litio, il cobalto, la grafite naturale e l’antimonio, e i due criteri principali che vengono presi in considerazione per determinare la criticità sono l’importanza economica e il rischio associato all’approvvigionamento.

3.12.

Il CESE si è già dichiarato favorevole all’opportunità di adottare requisiti giuridicamente vincolanti per dare impulso al mercato delle materie prime secondarie, soprattutto per gli imballaggi, i veicoli, i materiali da costruzione e le batterie (7).

3.13.

A causa della loro intermittenza, le energie rinnovabili e il loro sviluppo comportano una vera e propria sfida in termini di stoccaggio. Quest’ultimo rappresenta una questione strategica per l’Unione europea, nell’ottica di garantire in modo permanente la sicurezza di approvvigionamento dell’Unione e un mercato energetico sostenibile sul piano sia tecnico che dei costi. Il Comitato ricorda che lo stoccaggio dell’energia, al di là dei vantaggi, può comportare considerevoli costi finanziari, ambientali e sanitari e chiede pertanto che siano eseguiti sistematicamente degli studi di impatto volti a valutare non soltanto la competitività delle tecnologie, ma anche le loro conseguenze sull’ambiente e sulla salute. Il Comitato ritiene inoltre importante valutare gli effetti di tali tecnologie sulla creazione di attività e di posti di lavoro. Il CESE condivide l’idea che sia necessario armonizzare meglio le disposizioni regolamentari dei vari Stati membri in materia di stoccaggio dell’energia. Il Comitato chiede inoltre che venga avviato un dialogo pubblico su scala europea in materia di energia, il dialogo europeo per l’energia, affinché i cittadini e la società civile nel suo insieme facciano propria la transizione energetica e possano incidere sulle future scelte in materia di tecnologie di stoccaggio dell’energia (8). Anche la qualità dell’etichettatura dovrà recare un contributo a tal fine.

3.14.

La sfida economica è di grande portata: secondo le stime della Commissione la domanda mondiale di batterie si moltiplicherà di 14 volte da qui al 2030 rispetto al livello del 2018 e il 17 % di tale domanda dovrebbe provenire dall’UE. Tra il 2020 e il 2040 il numero di batterie al litio si moltiplicherà di 700 volte.

3.15.

Per valutare l’impatto dell’attuazione della nuova legislazione sull’occupazione e sul fabbisogno di competenze, il regolamento si avvale di due studi di riferimento pubblicati dal CEPS (9) e dall’organizzazione RREUSE (Reuse and Recycling European Union Social Enterprises = Imprese sociali dell’UE per il riutilizzo e il riciclaggio) (10), nonché sulle ricerche condotte dall’Alleanza europea delle batterie (European Battery Alliance, EBA).

3.16.

Secondo lo studio del CEPS lo sviluppo delle attività di raccolta e riciclaggio delle batterie avrà un impatto sulla creazione di occupazione diretta e indiretta: circa 850 posti di lavoro con un tasso di riciclaggio del 55 % e 5 500 posti di lavoro con un tasso del 75 %.

3.17.

Secondo lo studio dell’organizzazione RREUSE, invece, l’attività di riparazione e riutilizzo delle batterie crea un numero di posti di lavoro «equivalenti a tempo pieno» da 5 a 10 volte superiore rispetto all’attività di raccolta e riciclaggio; si pone allora la questione delle sfide politiche di misure che favoriscono la filiera di raccolta e riciclaggio rispetto a quella della riparazione e riutilizzo delle batterie.

3.18.

Il deficit di competenze riguarda soprattutto l’attività di progettazione ecocompatibile delle batterie per ottimizzarne la sostenibilità e il loro utilizzo ottimale.

3.19.

Per migliorare gli investimenti nella capacità di produzione di batterie sostenibili alla luce dei rischi sociali e ambientali, è necessario allineare i progetti legati alle batterie con la tassonomia dell’UE (11) per le attività sostenibili, tenendo conto del programma InvestEU.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE chiede di definire meccanismi e strumenti di governance e di attuazione più precisi e operativi per l’applicazione concreta ed effettiva dell’insieme delle misure introdotte dal nuovo regolamento.

4.2.

Il CESE propone inoltre di raccogliere queste sfide riesaminando il ruolo dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), che ha sede a Helsinki ed è incaricata dell’attuazione del regolamento europeo Reach (2005, riveduto nel 2018) sulle sostanze chimiche per integrarvi la registrazione, la valutazione, la verifica e il controllo delle nuove norme e regole definite dal nuovo regolamento sulla sostenibilità delle batterie.

4.3.

Lo sviluppo di una filiera di batterie sostenibili deve affrontare il problema di rispetto delle norme dell’UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro in rapporto alla protezione dei lavoratori che vengono a contatto con le batterie e le materie prime riciclabili da cui sono composte le batterie industriali o dei veicoli. L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (OSHA), con sede a Bilbao, ha effettuato degli studi in materia di cui è necessario tener conto per far sì che il regolamento introduca le norme appropriate. Il CESE propone dunque di potenziare anche il ruolo dell’Agenzia OSHA.

4.4.

In merito all’attuazione del dovere di diligenza per la verifica della catena di approvvigionamento delle batterie e per un sistema indipendente di audit, di sorveglianza e di controllo sotto l’egida della Commissione europea, coerentemente con le norme definite dalla guida dell’OCSE su questo tema (12), il CESE chiede con insistenza una totale trasparenza nell’attuazione di questo sistema di sorveglianza.

4.5.

Per quanto riguarda le sfide connesse all’occupazione e alle competenze necessarie per attuare le misure del regolamento volte a favorire lo sviluppo di una filiera industriale europea delle batterie sostenibili, il CESE propone di ampliare e rafforzare il ruolo del Cedefop in questo campo, nonché il ruolo dei comitati europei di dialogo sociale settoriale interessati (elettricità, metallurgia, industria chimica, industria estrattiva ecc.), in un percorso di transizione giusta integrato nel Green Deal europeo. Gli istituti di istruzione professionale degli Stati membri dovranno realizzare progetti di formazione simili nei programmi di studio destinati agli studenti, allo scopo di garantire la disponibilità di lavoratori qualificati per un’industria europea sostenibile nel settore delle batterie.

4.6.

Nel quadro dell’iniziativa della Commissione europea «Un patto per le competenze» sono stati varati i progetti ALBATTS (Alliance for Batteries Technology Training and Skills = Alleanza per le qualifiche e la formazione nel settore della tecnologia delle batterie), DRIVES (Development and Research on Innovative Vocational Educational Skills = Sviluppo e ricerca sulle competenze innovative in materia di formazione professionale) e COSME (programma pluriennale europeo per la competitività delle imprese e le PMI). Il CESE assegna una priorità particolare alla definizione e all’attuazione dei progetti di formazione relativi alle nuove competenze in materia di progettazione ecocompatibile, ma anche di diagnostica delle batterie a fini di riparazione, ricondizionamento e riciclaggio, con la partecipazione attiva delle parti sociali e in cooperazione con gli eventuali meccanismi nazionali o alcuni bacini di occupazione direttamente interessati.

La ricerca e l’innovazione sono necessarie per migliorare la sostenibilità, la qualità e la sicurezza dei prodotti e delle procedure, nonché per ridurre i costi. Si tratta di dare immediata priorità alla ricerca e allo sviluppo nel campo delle batterie, con un approccio olistico all’intera catena del valore della batteria e degli investimenti importanti e continui nel corso del tempo, in modo da coprire contemporaneamente le priorità di ricerca nel breve e nel lungo periodo.

4.7.

Nel settore dello stoccaggio di energia, le batterie e l’idrogeno assolveranno funzioni complementari. Occorrerà massimizzare le sinergie tra queste due soluzioni tecnologiche.

4.8.

Le nuove tecnologie digitali dovrebbero contribuire ad accelerare gli sviluppi nel settore delle batterie: da una scoperta sempre più rapida dei materiali all’ottimizzazione dell’utilizzo intersettoriale dei sistemi di batterie per sostenere la rete energetica.

4.9.

Il riciclaggio, il rinnovo e il reimpiego consentono di rendere più sicura la catena del valore a monte. È indispensabile promuovere la ricerca e lo sviluppo in materia di progettazione ecocompatibile. Il CESE propone di dare concretezza a tale constatazione realizzando un importante progetto di comune interesse europeo (IPCEI). Si tratta di sviluppare le competenze che consentono di valorizzare al massimo le batterie, riorientandole se possibile verso il rinnovo, una seconda vita o anche una migliore valorizzazione delle loro componenti, nonché di attuare procedure ottimizzate dal punto di vista ambientale, garantendo la sicurezza dei lavoratori e realizzando un modello economico che contribuisca alla continuità di quest’attività sul territorio europeo. Si tratta in particolare di mettere a punto processi industriali competitivi che consentano di produrre materiali da utilizzare per le batterie tramite il riciclaggio, con un maggiore sostegno alle imprese che operano in maniera integrata a ciclo chiuso.

4.10.

Il CESE propone, in linea con gli impegni assunti dall’UE per raggiungere la neutralità in termini di emissioni di carbonio entro il 2050 (con l’obiettivo intermedio di ridurre del 55 % le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030), di introdurre rapidamente soglie massime (la data di luglio 2027 è troppo tardiva rispetto agli obiettivi definiti dal Consiglio europeo l’11 dicembre 2020) dell’impronta di carbonio associata alla fabbricazione di batterie, oltre che alla logistica di approvvigionamento a monte dei materiali, e di rafforzare i mezzi assegnati dalla Commissione per elaborare e attuare rapidamente gli strumenti di valutazione e di controllo dell’impronta di carbonio nella filiera delle batterie. Occorre privilegiare l’accesso ai materiali strategici delle batterie a partire dalle miniere (urbane o naturali) situate nel mercato in cui le batterie vengono fabbricate e riciclate. Queste misure contribuiranno a semplificare e ridurre al minimo i flussi logistici. Quanto alla fabbricazione di batterie, che è la fase più importante dal punto di vista dell’impronta di carbonio, il regolamento dovrà promuovere processi economici in termini di consumo di elettricità, che privilegino il ricorso a fonti di elettricità decarbonizzate.

4.11.

Il CESE ritiene necessario introdurre una responsabilità del produttore che si concili con lo stimolo alla progettazione ecocompatibile, in particolare incoraggiando una progettazione di batterie che favorisca il retrofit, la rifabbricazione e il reimpiego delle batterie. Tale necessità è legata alla seconda vita delle batterie, che occorre promuovere. In questo contesto, sembra indispensabile dissociare il fine vita delle batterie dal fine vita degli apparecchi, senza attribuire automaticamente lo status di rifiuto alle batterie nel momento in cui l’apparecchio su cui sono montate è giunto al fine vita. Una volta raggiunto il presunto fine vita della batteria o dell’apparecchio su cui questa è montata, spetterà al produttore dimostrare che alla batteria dev’essere attribuito lo status di rifiuto e dovrà farlo eseguendo una valutazione o prove sulla batteria e comprovando con un documento l’impossibilità tecnica — tenuto conto delle tecnologie attuali e delle filiere che potrebbero fungere da sbocco — di reimpiegare la batteria con operazioni di retrofit o di rifabbricazione compatibili con le condizioni del mercato. Inoltre sarebbe opportuno introdurre il concetto di «fine uso» per integrare quello di «fine vita» e favorire il reimpiego, il rinnovo o la seconda vita e il riciclaggio delle batterie. Per far ciò, è necessario che il nuovo regolamento tenga conto di questi nuovi soggetti e di queste nuove attività.

Bruxelles, 24 marzo 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU C 353 del 18.10.2019, pag. 102.

(2)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 108.

(3)  GU C 282 del 20.8.2019, pag. 51.

(4)  GU C 62 del 15.2.2019, pag. 254.

(5)  https://circulareconomy.europa.eu/platform/en

(6)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 75.

(7)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 94.

(8)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 19.

(9)  CEPS (Centro per gli studi politici europei): Drabik E. e Rizos V., Prospects for electric vehicle batteries in a circular economy (Prospettive per le batterie dei veicoli elettrici in un’economia circolare), 2018.

(10)  RREUSE: Briefing on job creation potential in the re-use sector (Briefing sul potenziale di creazione di posti di lavoro nel settore del riutilizzo), 2015.

(11)  Regolamento (UE) n. 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’18 giugno 2020.

(12)  OCSE (2018), OECD Due Diligence Guidance for Responsible Business Conduct (Guida dell’OCSE sul dovere di diligenza per una condotta responsabile delle imprese).