ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 97

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

63° anno
24 marzo 2020


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

548a sessione plenaria del CESE, 11.12.2019 – 12.12.2019

2020/C 97/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo della fiscalità e degli investimenti privati nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile — Collaborazione con il Comitato di esperti dell’ONU sulla cooperazione internazionale in materia fiscale (parere d’iniziativa)

1

2020/C 97/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: Un trattato vincolante dell’ONU su imprese e diritti umani (parere d’iniziativa)

9

2020/C 97/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sugli Aiuti esterni, investimenti e commercio come strumenti per ridurre i motivi della migrazione economica, con un’attenzione particolare all’Africa (parere d’iniziativa)

18

2020/C 97/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: Il valore d’uso è tornato: nuove prospettive e sfide per i prodotti e i servizi europei (parere d’iniziativa)

27

2020/C 97/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Norme minime europee comuni in materia di assicurazione contro la disoccupazione negli Stati membri dell’UE: un passo concreto verso l’effettiva attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali (parere d’iniziativa)

32

2020/C 97/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: Definire l’agenda dell’UE sui diritti delle persone con disabilità 2020-2030: un contributo del Comitato economico e sociale europeo (parere d’iniziativa)

41

2020/C 97/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Populismo e diritti fondamentali: le aree suburbane e rurali (parere d’iniziativa)

53


 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

548a sessione plenaria del CESE, 11.12.2019 – 12.12.2019

2020/C 97/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2018 [COM(2019) 339 final]

62

2020/C 97/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1306/2013 per quanto riguarda la disciplina finanziaria a decorrere dall’esercizio finanziario 2021 e il regolamento (UE) n. 1307/2013 per quanto riguarda la flessibilità tra i pilastri per l’anno civile 2020 [COM(2019) 580 — 2019/0253(COD)]

69


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

548a sessione plenaria del CESE, 11.12.2019 – 12.12.2019

24.3.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 97/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo della fiscalità e degli investimenti privati nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile — Collaborazione con il Comitato di esperti dell’ONU sulla cooperazione internazionale in materia fiscale»

(parere d’iniziativa)

(2020/C 97/01)

Relatore:

Krister ANDERSSON

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2019

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

29.11.2019

Adozione in sessione plenaria

11.12.2019

Sessione plenaria n.

548

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

129/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le politiche fiscali sono essenziali per gli OSS in quanto determinano il contesto economico in cui si inseriscono gli investimenti, l’occupazione e l’innovazione e forniscono al governo le entrate necessarie per finanziare la spesa pubblica. Misure intese a promuovere un ulteriore allineamento delle politiche e a rafforzare la credibilità potrebbero contribuire in maniera significativa ad accrescere gli investimenti privati e a colmare il divario in termini di investimenti a livello mondiale, stimolando i flussi di capitali dai paesi a elevata intensità di capitali verso le economie in via di sviluppo bisognose di investimenti.

1.2.

Le imprese forniscono beni e servizi preziosi per le economie e sono motori importanti degli investimenti, della produttività, della crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro. Considerando che si tratta di organizzazioni diverse tra loro dato che spaziano dalle PMI alle multinazionali, esse rappresentano un’importante risorsa di competenze, creatività e innovazione che contribuiscono a risolvere molte delle sfide in materia di sviluppo sostenibile.

1.3.

Una percentuale elevata di attività economiche informali si traduce in una base imponibile ristretta, che riduce ulteriormente il potenziale gettito fiscale e al contempo accresce le distorsioni. Le basi imponibili dovrebbero essere quanto più ampie possibile per consentire alle aliquote fiscali di produrre la minore distorsione possibile.

1.4.

Il CESE desidera sottolineare che per mobilitare efficacemente le risorse interne è indispensabile che (1) gli accordi fiscali siano conclusi in maniera aperta e trasparente; (2) si predispongano sistemi che garantiscano la rendicontabilità delle organizzazioni della società civile e dei parlamentari; (3) i governi siano trasparenti in materia di imposte e di spesa e (4) le imposte siano visibili.

1.5.

Il settore privato svolge un ruolo importante nella promozione della parità di genere. Le politiche salariali nonché la formazione e l’istruzione sul posto di lavoro sono importanti per promuovere le pari opportunità tra i generi, nell’avanzamento di carriera e nella crescita professionale. Le opportunità legate alla partecipazione delle donne all’economia mondiale sono enormi e dovrebbero costituire un fattore trainante per la crescita economica inclusiva, l’innovazione e la produttività.

1.6.

Le politiche relative alla tassazione dell’economia digitale dovrebbero prefiggersi di promuovere e non ostacolare la crescita economica, gli scambi e gli investimenti transfrontalieri. Di fronte alla crescente importanza delle imprese digitali, è necessario sviluppare una nuova metodologia per il legame con un’amministrazione fiscale e sull’allocazione degli utili al fine di determinare i diritti di imposizione tra i paesi di commercializzazione e il paese di residenza delle multinazionali digitali.

1.7.

Secondo il CESE, è importante che qualsiasi nuova norma sulle modalità di ripartizione dei diritti di tassazione tra i diversi paesi sia equa nei confronti sia dei paesi consumatori piccoli e grandi, sia dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo. Occorre riconoscere una remunerazione adeguata per i contributi forniti in termini di innovazione, imprenditorialità ecc. Il gettito dell’imposta sulle società, seppur modesto rispetto al gettito fiscale complessivo, è importante per la mobilitazione delle risorse e il finanziamento di infrastrutture necessarie, della ricerca e dello sviluppo, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria ecc.

1.8.

Il CESE osserva che gli Stati membri dell’UE figurano tra i paesi con i migliori risultati in termini di OSS e sottolinea che l’UE e i suoi Stati membri devono adottare misure per garantire sistemi fiscali e di bilancio sostenibili, al fine di conseguire tali obiettivi. La partecipazione della società civile organizzata a tutti i livelli è essenziale per realizzare gli OSS, dato che la società civile rappresenta parti interessate fondamentali ai fini dell’attuazione dell’Agenda 2030 e gran parte degli investimenti necessari provengono dal settore privato.

1.9.

Il CESE accoglie con soddisfazione la Piattaforma per la collaborazione fiscale, un’iniziativa congiunta lanciata dal Fondo monetario internazionale (FMI), dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), dalle Nazioni Unite (ONU) e dal gruppo della Banca mondiale (GBM), in quanto agevola le interazioni tra normazione, sviluppo delle capacità e assistenza tecnica nel settore fiscale internazionale. Il CESE ritiene opportuno che anche l’UE sia membro della piattaforma.

1.10.

Il Comitato ritiene che il lavoro sul tema tassazione/investimenti privati e obiettivi di sviluppo sostenibile condotto dal Comitato di esperti dell’ONU sulla cooperazione internazionale in materia fiscale sia della massima importanza per l’avanzamento del dialogo globale e contribuisca notevolmente all’apprendimento tra pari e allo scambio delle migliori pratiche. Il CESE sottolinea che la società civile europea deve svolgere un ruolo attivo in questo dibattito internazionale fondamentale.

2.   Introduzione — Investimenti, fiscalità e obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS)

2.1.

L’Agenda 2030 è incentrata su 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) (1) e su 169 traguardi volti a raccogliere le sfide ambientali, politiche ed economiche che il nostro mondo si trova ad affrontare.

2.2.

Per conseguire tali obiettivi, gli investimenti privati svolgono un ruolo importante e un ulteriore allineamento delle politiche fiscali e in materia di investimenti costituirebbe un passo indispensabile per promuovere gli investimenti, la creazione di posti di lavoro e una crescita economica sostenibile a livello mondiale. L’OCSE ha già realizzato alcuni importanti lavori in questo senso, quali il progetto BEPS (2) (Base Erosion Profit Shifting — Erosione della base imponibile e trasferimento degli utili) e l’iniziativa Coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile (2018) (3).

2.3.

Le politiche fiscali sono essenziali per gli OSS in quanto determinano il contesto economico in cui si inseriscono gli investimenti, l’occupazione e l’innovazione e forniscono al governo le entrate necessarie per finanziare la spesa pubblica. Misure intese a promuovere un ulteriore allineamento delle politiche e a rafforzare la credibilità potrebbero contribuire in maniera significativa ad accrescere gli investimenti privati e a colmare il divario in termini di investimenti a livello mondiale, stimolando i flussi di capitali dai paesi a elevata intensità di capitali verso le economie in via di sviluppo bisognose di investimenti.

2.4.

La lotta all’elusione fiscale e la riduzione della concorrenza fiscale a livello globale sono di fondamentale importanza per conseguire gli OSS. In tempi di austerità e di vincoli di bilancio, la diminuzione del gettito fiscale proveniente dalle società ha un impatto negativo sulla sostenibilità dei sistemi di protezione sociale e potrebbe portare a una tassazione regressiva se la pressione fiscale viene trasferita sui consumatori e sui lavoratori a basso reddito.

2.5.

I paesi in via di sviluppo più bisognosi di risorse registrano ancora difficoltà per quanto riguarda la riscossione delle imposte. Nei paesi in via di sviluppo il contributo delle imposte sul reddito delle persone fisiche è spesso molto basso (si limita solo a qualche punto percentuale del PIL), mentre nei paesi sviluppati esso costituisce la quota più significativa del gettito fiscale, in particolare se si includono gli oneri sociali.

2.6.

Molto importante è anche il modo in cui sono gestite e utilizzate le entrate fiscali. Va osservato che alcuni paesi, in particolare quelli africani, investono dal 25 al 35 % in più di risorse sia nel settore dell’istruzione che in quello sanitario, per ottenere gli stessi risultati di paesi più avanzati ed efficienti (4). È quindi importante garantire che la spesa pubblica sia efficace sotto il profilo dei costi.

3.   La fiscalità come strumento per la tutela dell’ambiente

3.1.

Molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile relativi alla protezione del clima trarrebbero vantaggio dalla creazione di un quadro e di un piano di attuazione coerenti in materia di imposizione fiscale sull’utilizzazione delle risorse naturali. Le politiche in materia di tassazione ambientale potrebbero essere utilizzate per combattere il cambiamento climatico (obiettivo 13) (5) e proteggere gli ecosistemi marini e terrestri (obiettivi 14 e 15) (6). Incidendo sulle strutture dei prezzi dei fattori produttivi, la politica fiscale può essere utilizzata per promuovere l’energia pulita e accessibile (obiettivo 7) (7) e stimolare un uso responsabile delle risorse naturali comuni (obiettivo 12) (8).

3.2.

L’obiettivo delle imposte ambientali, dal punto di vista economico, è quello di correggere le esternalità, ossia le situazioni in cui chi inquina è in grado di trasferire i costi dal danno ambientale alla società; un esempio di esternalità è l’emissione di gas a effetto serra. Al momento di definire questo genere di imposte sarebbe estremamente utile coinvolgere nel processo la società civile e le imprese, in quanto ciò permetterebbe alle politiche volte a rafforzare i quadri normativi di allineare gli incentivi offerti al settore privato con gli obiettivi pubblici (9).

3.3.

Un esempio di policy mix nel settore della fiscalità potrebbe consistere nell’eliminare gradualmente i sussidi inefficienti per i combustibili fossili (traguardo 12.c) (10), il che comporterebbe importanti economie di bilancio per i governi, rendendo al tempo stesso tali tipi di combustibili meno interessanti per le imprese. Se reindirizzati verso un aumento della quota di energie rinnovabili nell’approvvigionamento totale di energia (traguardo 7.2) (11), tali risparmi possono sostenere l’accesso universale all’energia pulita (traguardo 7.1) (12). L’introduzione di politiche supplementari per stimolare gli investimenti nelle infrastrutture per l’energia pulita (traguardo 7.b) (13) agevolerebbe la dissociazione della crescita economica dal degrado ambientale (traguardo 8.4) (14).

3.4.

Il principio di allineare gli incentivi offerti alle imprese con gli obiettivi pubblici è conforme al programma d’azione di Addis Abeba (15), che incoraggia le imprese ad adottare un modello imprenditoriale di base che tenga conto degli impatti ambientali, sociali e di governance delle loro attività. Le imprese forniscono beni e servizi preziosi per le economie e sono degli importanti motori degli investimenti, della produttività, della crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro. Considerando che le imprese sono diverse tra loro e spaziano dalle PMI alle multinazionali, esse rappresentano un’importante risorsa di competenze, creatività e innovazione che contribuisce a risolvere molte delle sfide in materia di sviluppo sostenibile. Al fine di conseguire gli OSS in materia di lotta ai cambiamenti climatici, il settore privato dovrebbe aderire a un codice di condotta che incrementi significativamente gli investimenti verdi e riduca o elimini gli investimenti nocivi per l’ambiente.

3.5.

Alla luce dell’interconnessione tra gli OSS, la partecipazione della società civile è essenziale per garantire che si tenga conto delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (economica, sociale e ambientale) nella progettazione e nell’attuazione delle politiche. Le imposte ambientali sono tradizionalmente considerate regressive, il che significa che hanno un impatto maggiore sulle famiglie a basso reddito. Pertanto è importante garantire che le politiche restino socialmente sostenibili.

3.6.

Il CESE non è favorevole a una fiscalità di carattere arbitrario che avrebbe un impatto negativo e sproporzionato sulle fasce più povere e meno abbienti della società, oltre a compromettere anche numerosi OSS. Ad esempio, un aumento sostanziale delle imposte sui beni e sui servizi laddove non vi siano alternative valide costituirebbe un onere senza assicurare il conseguimento degli obiettivi stabiliti.

3.7.

Al CESE preme sottolineare il ruolo che le organizzazioni della società civile svolgono nel monitorare l’attuazione degli OSS, nel garantire misure socialmente accettabili e nell’indicare la necessità di rivedere gli indicatori (16).

3.8.

Il CESE sottolinea la necessità di creare le giuste condizioni per garantire che sia il risparmio privato che i finanziamenti pubblici siano orientati verso gli investimenti sostenibili a lungo termine necessari per un’economia sostenibile (17).

4.   Tassazione dell’economia informale

4.1.

Per finanziare gli investimenti pubblici e la spesa pubblica necessari per conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile, è importante ampliare la base imponibile dei governi tassando l’economia informale. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, oltre il 61 % della forza lavoro mondiale (2 miliardi di persone) si guadagna da vivere nel settore informale, con il 93 % dell’occupazione informale a livello mondiale concentrata nei paesi emergenti e in via di sviluppo. Per questo motivo è essenziale elaborare delle politiche fiscali e un quadro istituzionale che consentano di integrare il settore informale nell’economia formale.

4.2.

Il ruolo di primo piano dell’economia informale, in particolare nei paesi in via di sviluppo, fa sì che le attività economiche quotidiane dei cittadini e delle imprese restino al di fuori della base imponibile. In molti casi la decisione di operare al di fuori dell’economia formale non è una scelta attiva, ma piuttosto l’unica alternativa praticabile per le imprese e i lavoratori che o non possono accedere al settore formale o ne sono stati esclusi. L’inclusione dell’economia informale deve essere promossa attraverso istituzioni efficaci (traguardi 16.a e 16.6) (18) che consentano ai lavoratori, alle imprese e ai consumatori di contribuire alla base imponibile dello stato usufruendo al tempo stesso di protezione sociale e servizi. In particolare l’equità, la trasparenza, l’efficienza e l’efficacia dei regimi fiscali dovrebbero costituire una priorità in quanto rappresentano un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile.

4.3.

Molte imprese sarebbero disposte ad accettare la formalizzazione, dato vi sono costi nascosti per le PMI che operano al di fuori dell’economia formale e molti vantaggi per le imprese che ne entrano a far parte. I vantaggi derivanti dall’entrare a far parte dell’economia formale comprendono l’accesso agevolato al credito e ad altri strumenti finanziari (traguardo 8.10) (19), programmi di formazione e di sostegno, contratti pubblici di appalto, diritti di proprietà, nonché la possibilità di operare con imprese più grandi. I costi associati alla partecipazione all’economia formale comprendono i costi di registrazione e delle licenze, i costi di adempimento degli obblighi fiscali, i costi di conformità alle norme in materia di lavoro e ad altre regolamentazioni pubbliche. La semplificazione delle procedure di registrazione, di rilascio delle licenze e gestione del rispetto degli obblighi fiscali incoraggerebbe le imprese a optare per la formalizzazione.

4.4.

Dove l’economia informale è molto diffusa, un contributo importante al processo di emersione può provenire dalle imprese in generale e, in particolare talvolta dalle cooperative, attraverso la possibilità data a molte persone prive di risorse economiche di avviare attività economiche e imprenditoriali, anche con un apporto di capitale minimo.

4.5.

Incoraggiare le microimprese e le PMI a far parte dell’economia formale favorirebbe le politiche a sostegno della creazione di posti di lavoro e delle imprese in crescita (traguardo 8.5) (20). È indispensabile rispettare le normative sul mercato del lavoro per conseguire condizioni di lavoro dignitose (traguardo 8.5). Analogamente, una maggiore vigilanza e un controllo regolare dell’attività economica consentirebbero ai governi di adottare politiche, in particolare fiscali, salariali e di protezione sociale, per realizzare progressivamente una maggiore uguaglianza (traguardo 10.4).

4.6.

Sebbene i vantaggi di un sistema di riscossione delle imposte efficace siano evidenti, permangono delle sfide per quanto riguarda le modalità di attuazione delle modifiche necessarie per potenziare le capacità degli Stati al riguardo. Le esperienze passate hanno dimostrato che molti degli sforzi compiuti in tal senso hanno spesso portato a distorsioni, bassi rendimenti, elevati costi di riscossione, problemi in materia di applicazione delle misure e addirittura alla fuga di capitali. Considerando che molti paesi in via di sviluppo dispongono di mezzi limitati, occorre dare la priorità alle misure volte a migliorare l’efficienza amministrativa e l’efficacia dei regimi fiscali. Il settore privato può fornire assistenza per lo sviluppo di capacità, trasferendo le esperienze dai paesi e dalle economie molto avanzati (21).

4.7.

È necessario tenere conto dei costi amministrativi e dei costi di conformità quando i governi cercano di colmare eventuali lacune del gettito, siano esse dovute alle imposte dirette o a quelle indirette. Occorre prestare particolare attenzione alla situazione dei lavoratori a basso reddito e alla ripartizione degli oneri fiscali tra tutte le fasce di reddito. L’aumento delle disuguaglianze può minare la fiducia nel sistema fiscale. A giudizio del CESE, un sistema fiscale progressivo opportunamente concepito potrebbe garantire un’equa ripartizione degli oneri fiscali e contribuire in modo significativo a ridurre le disuguaglianze e la povertà.

4.8.

Una percentuale elevata di attività economiche informali si traduce in una base imponibile ristretta, che riduce ulteriormente il potenziale gettito fiscale e al contempo accresce le distorsioni. È importante sottolineare la necessità di mobilitare le risorse per migliorare la riscossione delle entrate interne (traguardo 17.1) (22) e per combattere l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro. I paesi devono migliorare la cooperazione per contrastare i flussi finanziari illeciti e l’UE dovrebbe valutare la possibilità di stilare un elenco coordinato di possibili contromisure.

4.9.

Il CESE desidera sottolineare che per mobilitare efficacemente le risorse interne è indispensabile che (1) gli accordi fiscali siano conclusi in maniera aperta e trasparente; (2) si predispongano sistemi che garantiscano la rendicontabilità delle organizzazioni della società civile e dei parlamentari; (3) i governi siano trasparenti in materia di imposte e spesa e (4) le imposte siano visibili (23).

5.   Fiscalità e parità di genere

5.1.

L’obiettivo di sviluppo sostenibile 5 mira a porre fine a ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e a promuovere le politiche in materia di parità di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze. Una condizione preliminare per l’emancipazione femminile è garantire pari diritti in materia di risorse economiche, come pure di accesso alla titolarità e al controllo della terra e altre forme di proprietà, eredità e risorse naturali (traguardo 5.a) (24). Perseguendo l’emancipazione economica delle donne si promuovono la piena ed effettiva partecipazione femminile e si migliorano le pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica (traguardo 5.5) (25). Realizzando questi obiettivi, la garanzia dei diritti economici delle donne rafforza anche altri OSS, quali l’obiettivo 8 (lavoro dignitoso e crescita economica) e l’obiettivo 16 (giustizia per la pace e istituzioni solide).

5.2.

Il settore privato svolge un ruolo importante nella promozione della parità di genere. Le politiche salariali nonché la formazione e l’istruzione sul posto di lavoro sono importanti per promuovere le pari opportunità tra i generi, nell’avanzamento di carriera e nella crescita professionale. Le opportunità legate alla partecipazione delle donne all’economia mondiale sono enormi e dovrebbero costituire un fattore trainante per la crescita economica inclusiva, l’innovazione e la produttività.

5.3.

Tra la riduzione del settore informale e la parità di genere esiste un nesso importante. Quando le imprese non versano le imposte, la pubblica amministrazione (a livello statale, regionale e locale) dispone di meno fondi da destinare ai servizi pubblici, alle infrastrutture sostenibili e alla protezione sociale, che sono importanti per la parità di genere. Le persone più povere, e spesso le donne in particolare, risentono dell’assenza di una spesa sociale e di un’infrastruttura adeguate.

6.   La fiscalità nell’economia digitalizzata

6.1.

La rapida digitalizzazione dell’economia costituisce un importante motore della crescita economica mondiale. Essa consente inoltre una raccolta più efficace di informazioni per le autorità fiscali e un servizio migliore per i contribuenti. La digitalizzazione delle economie ha tuttavia sollevato la questione del luogo in cui vengono percepiti i proventi e generati gli utili e delle modalità con cui essi vengono distribuiti tra i diversi paesi. I servizi digitali possono essere forniti a distanza, senza alcuna presenza fisica nella giurisdizione del mercato in cui avviene il consumo.

6.2.

Le politiche relative alla tassazione dell’economia digitale dovrebbero prefiggersi di promuovere e non ostacolare la crescita economica, gli scambi e gli investimenti transfrontalieri. Di fronte alla crescente importanza delle imprese digitali, è necessario sviluppare una nuova metodologia sul legame con un’amministrazione fiscale e sull’allocazione degli utili al fine di determinare i diritti di imposizione tra i paesi del mercato e il paese di residenza delle multinazionali digitali (26).

6.3.

È pertanto indispensabile trovare una soluzione accettata a livello internazionale sulle modalità per tassare questi nuovi modelli di business, tenendo conto nel contempo delle esigenze sia dei paesi sviluppati che di quelli in via di sviluppo (27). Per realizzare un modello fiscale nel contesto dell’economia digitalizzata è necessario istituire un quadro per una cooperazione rafforzata tra le amministrazioni delle autorità tributarie nazionali, nonché un meccanismo di risoluzione delle controversie tra più parti.

6.4.

La relazione interinale elaborata dall’OCSE nel marzo 2018 sul tema Tax Challenges Arising from Digitalisation — Interim Report 2018 («Le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione — Relazione interinale 2018») (28) fissa l’orientamento concordato dal Quadro inclusivo (29) per i lavori in materia di digitalizzazione e le norme fiscali internazionali fino al 2020. Essa descrive in che modo la digitalizzazione influisce anche su altri settori del sistema fiscale, in quanto fornisce alle autorità tributarie nuovi strumenti che permettono di migliorare i servizi rivolti ai contribuenti, aumentando così l’efficienza della riscossione fiscale e contribuendo a individuare l’evasione fiscale. La relazione finale del Quadro inclusivo («Inclusive framework»)/OCSE è attesa per il 2020.

6.5.

Secondo il CESE, è importante che qualsiasi nuova norma sulle modalità di ripartizione dei diritti di tassazione tra i diversi paesi sia equa nei confronti sia dei paesi consumatori piccoli e grandi, sia dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo. Occorre riconoscere una remunerazione adeguata per i contributi forniti in termini di innovazione, imprenditorialità ecc. Il gettito dell’imposta sulle società, seppur modesto rispetto al gettito fiscale complessivo, è importante per la mobilitazione delle risorse e il finanziamento di infrastrutture necessarie, della ricerca e dello sviluppo, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria ecc.

7.   Il ruolo degli investimenti privati nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile

7.1.

Il CESE osserva che gli Stati membri dell’UE figurano tra i paesi con i migliori risultati in relazione a diversi OSS e sottolinea che l’UE e i suoi Stati membri devono adottare delle misure per garantire sistemi fiscali e di bilancio «a prova di futuro», al fine di conseguire degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

7.2.

La partecipazione della società civile organizzata a tutti i livelli è essenziale per realizzare gli OSS, dato che la società civile rappresenta parti interessate fondamentali ai fini dell’attuazione dell’Agenda 2030 e gran parte degli investimenti necessari provengono dal settore privato.

7.3.

Le imprese sono motori globali di produttività, crescita economica inclusiva, creazione di posti di lavoro, investimenti e innovazione. Le competenze del settore privato sono essenziali per far fronte a molte delle sfide legate allo sviluppo sostenibile.

7.4.

Gli investimenti, compresi gli investimenti esteri diretti (IED), svolgono un ruolo importante nella lotta per eliminare la povertà, combattere i cambiamenti climatici e garantire una crescita inclusiva e sostenibile (30). Ad esempio, il conseguimento dell’obiettivo 8 (31) richiederà maggiori investimenti del settore privato, fatto che viene riconosciuto dal piano d’azione di Addis Abeba (2015) in cui si afferma che le attività imprenditoriali, gli investimenti e l’innovazione privati sono importanti motori della produttività, della crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro.

7.5.

Il CESE sottolinea che la prevedibilità delle norme fiscali è essenziale per gli scambi transfrontalieri, gli investimenti delle imprese, l’occupazione e la crescita. Gli accordi sull’imposizione fiscale potrebbero contribuire alla crescita degli scambi assicurando maggiore certezza per le imprese, riducendo la doppia imposizione e prevedendo un meccanismo per combattere la pianificazione fiscale aggressiva e l’evasione fiscale. I governi devono concordare forme accettabili di concorrenza fiscale e le imprese devono aderire alle norme e ai principi concordati dai paesi e tra di essi.

7.6.

L’OCSE e l’FMI hanno di recente pubblicato una relazione congiunta sulla certezza fiscale in risposta alle accresciute preoccupazioni espresse dai leader del G20 in merito all’incertezza in materia fiscale e al suo impatto sugli scambi e sugli investimenti transfrontalieri, in particolare nel contesto della fiscalità a livello internazionale.

7.7.

La relazione della Banca mondiale «Paying Taxes 2018» (32) rileva che per molte imprese nei paesi in via di sviluppo l’onere fiscale è già piuttosto elevato. Nell’Africa subsahariana, ad esempio, le aliquote fiscali effettive che si applicano alle imprese di medie dimensioni sono superiori di sette punti percentuali rispetto alla media mondiale. Le politiche fiscali che promuovono gli investimenti e l’innovazione, in particolare nelle economie in via di sviluppo, contribuirebbero notevolmente ad attrarre investimenti esteri diretti (IED), il che di conseguenza offrirebbe opportunità di lavoro dignitoso, innovazione e aumento della produttività al fine di incrementare efficacemente il prodotto interno lordo dei paesi in questione.

7.8.

Le imprese devono essere trasparenti nei confronti delle autorità fiscali. L’obiettivo principale della rendicontazione paese per paese è, secondo l’OCSE, la messa a punto di uno strumento di valutazione dei rischi ad alto livello che offra alle autorità tributarie un quadro più chiaro delle attività globali delle multinazionali e delle imposte da queste versate, pur se è espressamente escluso che essa costituisca la base imponibile. Inoltre, è anche necessario che i governi assicurino una maggiore trasparenza riguardo all’entità delle imposte riscosse e alle modalità con cui vengono spese.

7.9.

Talvolta si ritiene erroneamente che i fondi destinati allo sviluppo potrebbero essere finanziati interamente o principalmente «dando un giro di vite alle pratiche fiscali discutibili adottate dalle multinazionali». Secondo stime imparziali dell’OCSE, nel caso delle multinazionali, l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (BEPS) erano pari a 100-240 miliardi di dollari prima che fossero adottate delle contromisure (33). Nell’UE si stima che l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili siano pari allo 0,3 % del PIL (34), un importo che pur essendo significativo non è sufficiente per finanziare la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Inoltre, tali entrate non sarebbero probabilmente destinate ai paesi più bisognosi di fondi per lo sviluppo. La principale fonte di entrate per il finanziamento degli OSS è costituita dalla crescita economica sostenibile. Al fine di raggiungere tali obiettivi sono pertanto necessarie delle politiche fiscali che favoriscano la crescita.

7.10.

Il CESE accoglie con soddisfazione la Piattaforma per la collaborazione fiscale, un’iniziativa congiunta lanciata dal Fondo monetario internazionale (FMI), dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), dalle Nazioni Unite (ONU) e dal gruppo della Banca mondiale (GBM), in quanto agevola le interazioni tra normazione, sviluppo delle capacità e assistenza tecnica nel settore fiscale internazionale. Il CESE ritiene opportuno che anche l’UE sia membro della piattaforma.

7.11.

Il Comitato ritiene che il lavoro sul tema tassazione/investimenti privati e obiettivi di sviluppo sostenibile condotto dal Comitato di esperti dell’ONU sulla cooperazione internazionale in materia fiscale sia della massima importanza per far progredire il dialogo globale e contribuisca notevolmente all’apprendimento tra pari e allo scambio delle migliori pratiche. Il CESE sottolinea che la società civile europea deve svolgere un ruolo attivo in questo dibattito internazionale fondamentale.

Bruxelles, 11 dicembre 2019

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  https://sustainabledevelopment.un.org/topics/sustainabledevelopmentgoals.

(2)  http://www.oecd.org/tax/beps/.

(3)  http://www.oecd.org/publications/policy-coherence-for-sustainable-development-2018-9789264301061-en.htm.

(4)  https://openknowledge.worldbank.org/bitstream/handle/10986/8325/wps3645.pdf?sequence=1&isAllowed=y

(5)  Obiettivo 13 — Adottare interventi urgenti per combattere i cambiamenti climatici e i loro effetti.

(6)  Obiettivo 14 — Conservare e utilizzare in maniera sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile; Obiettivo 15 — Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, fermare la perdita di diversità biologica.

(7)  Obiettivo 7 — Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni.

(8)  Obiettivo 12 — Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo.

(9)  Per maggiori informazioni si veda la Business Charter for Sustainable Development — Business Contributions to the Sustainable Development Goals («La Carta delle imprese per lo sviluppo sostenibile — Contributo delle imprese agli obiettivi di sviluppo sostenibile»), Camera di Commercio Internazionale (CCI) https://iccwbo.org/content/uploads/sites/3/2015/09/ICC-Business-Charter-for-Sustainable-Development-Business-contributions-to-the-UN-Sustainable-Development-Goals.pdf

(10)  12 c — Razionalizzare i sussidi inefficienti per i combustibili fossili che incoraggiano lo spreco eliminando le distorsioni del mercato, in conformità alle circostanze nazionali, anche ristrutturando i sistemi di tassazione ed eliminando progressivamente quei sussidi dannosi, ove esistenti, in modo da riflettere il loro impatto ambientale, tenendo bene in considerazione i bisogni specifici e le condizioni dei paesi in via di sviluppo e riducendo al minimo i possibili effetti negativi sul loro sviluppo, in modo da proteggere i poveri e le comunità più colpite.

(11)  7.2 — Aumentare considerevolmente entro il 2030 la quota di energie rinnovabili nel mix energetico globale.

(12)  7.1 — Garantire entro il 2030 l’accesso a servizi energetici che siano convenienti, affidabili e moderni.

(13)  7.b — Implementare entro il 2030 le infrastrutture e migliorare le tecnologie per fornire servizi energetici moderni e sostenibili, specialmente nei paesi meno sviluppati, nei piccoli stati insulari e negli stati in via di sviluppo senza sbocco sul mare, conformemente ai loro rispettivi programmi di sostegno.

(14)  8.4 — Migliorare progressivamente, entro il 2030, l’efficienza globale nel consumo e nella produzione di risorse e tentare di scollegare la crescita economica dalla degradazione ambientale, conformemente al Quadro decennale di programmi relativi alla produzione e al consumo sostenibile, con i paesi più sviluppati in prima linea.

(15)  https://sustainabledevelopment.un.org/index.php?page=view&type=400&nr=2051&menu=35.

(16)  Parere del CESE in corso di elaborazione sul tema L'economia sostenibile di cui abbiamo bisogno (non ancora pubblicato), punto 1.10 — Il CESE invita la Commissione a elaborare un piano per una «riforma fiscale verde» negli Stati membri dell’UE, al fine di contribuire ad allineare l’imposizione fiscale, le sovvenzioni e le politiche predistributive con l’obiettivo di realizzare una transizione giusta verso un’economia del benessere.

(17)  Cfr. il parere del CESE sul tema Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe — L’azione europea a favore della sostenibilità (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 91).

(18)  16.a — Consolidare le istituzioni nazionali più importanti, anche attraverso la cooperazione internazionale, per sviluppare a ogni livello, in particolare nei paesi in via di sviluppo, capacità per prevenire la violenza e per combattere il terrorismo e il crimine.

16.6 — Sviluppare a tutti i livelli istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti.

(19)  8.10 — Rafforzare la capacità degli istituti finanziari interni per incoraggiare e aumentare l’utilizzo di servizi bancari, assicurativi e finanziari per tutti.

(20)  8.5 — Garantire entro il 2030 un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per donne e uomini, compresi i giovani e le persone con disabilità, e un’equa remunerazione per lavori di equo valore.

(21)  Il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) ha avviato tale programma.

(22)  17.1 — Consolidare la mobilitazione delle risorse interne anche attraverso l’aiuto internazionale ai paesi in via di sviluppo per aumentarne la capacità fiscale interna e la riscossione delle entrate.

(23)  Alcune di queste tematiche vengono esaminate nel seguente articolo Promoting Tax Bargains in Uganda and Beyond: The Importance of Civil Society and Parliamentarians (Promuovere gli accordi fiscali in Uganda e oltre: l’importanza della società civile e dei parlamentari).

(24)  5.a — Avviare riforme per dare alle donne uguali diritti di accesso alle risorse economiche così come alla titolarità e al controllo della terra e altre forme di proprietà, ai servizi finanziari, eredità e risorse naturali, in conformità con le leggi nazionali.

(25)  5.5 — Garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica.

(26)  Cfr. il parere del CESE sul tema La tassazione nell’economia digitalizzata (GU C 353 del 18.10.2019 pag.17).

(27)  Cfr. i pareri del CESE sul tema Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce norme per la tassazione delle società che hanno una presenza digitale significativa e Proposta di direttiva del Consiglio relativa al sistema comune d’imposta sui servizi digitali applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di taluni servizi digitali (GU C 367 del 10.10.2018, pag. 73), e La tassazione nell’economia digitalizzata (GU C 353 del 18.10.2019, pag.17).

(28)  http://www.oecd.org/tax/tax-challenges-arising-from-digitalisation-interim-report-9789264293083-en.htm.

(29)  Quadro inclusivo dell’OCSE.

(30)  Cfr. la Carta delle imprese per lo sviluppo sostenibile, Camera di Commercio Internazionale (CCI) (2015).

(31)  Obiettivo 8 — Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti.

(32)  https://www.doingbusiness.org/en/reports/thematic-reports/paying-taxes.

(33)  Relazione BEPS (2015), OCSE.

(34)  Cfr. il parere del CESE sul tema Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio — Verso un processo decisionale più efficiente e democratico nella politica fiscale dell’UE (GU C 353 del 18.10.2019, pag. 90).


24.3.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 97/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: «Un trattato vincolante dell’ONU su imprese e diritti umani»

(parere d’iniziativa)

(2020/C 97/02)

Relatore:

Thomas WAGNSONNER

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

28.11.2019

Adozione in sessione plenaria

11.12.2019

Sessione plenaria n.

548

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

136/23/12

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Conclusioni

1.1.

Il CESE sostiene pienamente i diritti umani, che, in quanto universali, inalienabili, indivisibili, interdipendenti e interconnessi, costituiscono un presupposto imprescindibile per qualsiasi impegno sociale. I diritti umani sono un fondamento della prosperità e della pace in Europa. Il CESE sottolinea che tutti i diritti umani di natura sociale e politica devono assicurare un tenore di vita dignitoso a ogni persona e che la violazione di tali diritti non deve tradursi nel ricavo di profitti ingiustificati.

1.2.

Le violazioni dei diritti umani possono essere evitate meglio in presenza di una norma vincolante concordata a livello internazionale e concepita per essere attuata e fatta rispettare dagli Stati. Il CESE accoglie favorevolmente un approccio che riconosca che agli Stati incombe il dovere di tutelare, promuovere e applicare i diritti umani, e che le imprese devono rispettare tali diritti.

1.3.

Il CESE si compiace che, nell’attuale progetto di testo, siano state prese in considerazione le questioni di merito sollevate dall’UE, come le raccomandazioni volte a includere tutte le imprese nell’ambito di applicazione e a garantire un allineamento concettuale più rigoroso ai principi guida delle Nazioni Unite (UNGP) su imprese e diritti umani. Le norme andranno elaborate in linea con i sistemi vigenti in materia di dovere di diligenza, e in particolare con i suddetti principi guida, per contribuire a renderne l’attuazione più agevole e per evitare ridondanze.

1.4.

Dato che il campo di applicazione del progetto di trattato tiene conto delle raccomandazioni dell’UE, e quindi comprende adesso tutte le attività d’impresa, generalmente a prescindere dalle dimensioni dell’impresa considerata, il CESE incoraggia l’UE e i suoi Stati membri ad adottare misure che aiutino le imprese ad adempiere i loro obblighi in materia di diritti umani; tali misure potrebbero essere basate sugli impegni volontari a favore della responsabilità sociale (RSI) che le imprese hanno assunto, in particolare per quanto riguarda le attività internazionali. Il CESE riconosce le difficoltà per le PMI di applicare le misure previste in un trattato di questo tipo, ed esorta l’UE e i suoi Stati membri a sostenere con forza le PMI e ad agevolare l’introduzione di quadri di riferimento pratici che consentano a tali imprese di garantire il rispetto dei diritti umani nelle loro attività.

1.5.

Il CESE sottolinea che le misure vincolanti e quelle non vincolanti non si escludono a vicenda, ma devono invece completarsi tra loro.

1.6.

Sistemi come le linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali e i criteri di comunicazione contenuti nei principi guida delle Nazioni Unite indicano che già esistono modalità concrete per indurre le imprese a conformarsi a norme di condotta rigorose in materia di diritti umani. Le imprese che si sono già impegnate al rispetto di queste norme non dovrebbero sostenere oneri aggiuntivi. Onde evitare duplicazioni, il protocollo facoltativo previsto nel meccanismo di attuazione dovrà tener conto del sistema dei punti di contatto nazionali dell’OCSE, che andrà adattato per supportare l’applicazione di norme vincolanti, o di altre strutture nazionali esistenti che si occupano di diritti umani (NHRI).

1.7.

Malgrado i notevoli progressi — salutati con favore specialmente in Europa — compiuti con l’adozione di orientamenti non vincolanti per il rispetto dei diritti umani nell’attività d’impresa (ad esempio, gli UNGP e le summenzionate linee guida dell’OCSE), la stipula di un trattato vincolante rimane importante, considerato che vi sono imprese che ancora non si assumono seriamente le loro responsabilità. Con un trattato vincolante, le vittime di violazioni dei diritti umani commesse da un’impresa avranno la garanzia che le norme, la competenza giurisdizionale e il diritto applicabile in materia di diritti umani siano uniformi in tutto il mondo, come anche la garanzia di un accesso equo ed effettivo alla giustizia. Ciò servirà altresì a favorire la parità di condizioni per le imprese, a garantire la certezza del diritto e a stimolare una concorrenza più leale a livello globale.

1.8.

Il CESE raccomanda che la competenza giurisdizionale spetti a un unico foro (1) che assicuri procedure imparziali, in particolare quando non è chiaro se la potenziale responsabilità ricada sulla società madre, su una sua controllata o su un suo fornitore, anche se le imprese considerate sono situate in paesi differenti. Il CESE sottolinea che è possibile evitare una scelta opportunistica del foro tramite una norma cogente sull’assistenza giudiziaria reciproca.

1.9.

Il CESE ritiene che i lavori condotti nel quadro del gruppo di lavoro intergovernativo aperto (Open Ended Intergovernmental Working Group) debbano continuare; e, coerentemente con tale convinzione, è a sua volta disponibile a offrire il proprio contributo in qualità di portavoce della società civile organizzata. Secondo il CESE, il dialogo sociale, le parti sociali e le organizzazioni della società civile contribuiscono in modo significativo al rispetto dei diritti umani.

Raccomandazioni

1.10.

Nell’interesse della promozione e del sostegno dei diritti umani, nonché della creazione di condizioni di parità per le imprese sulla base di norme coerenti e rigorose a livello mondiale, il CESE esorta sia le istituzioni europee — e in particolare la Commissione e il Consiglio europeo — che gli Stati membri a sostenere il processo attualmente in corso per la conclusione di un trattato e a partecipare in modo costruttivo ai relativi negoziati.

1.11.

L’attuale progetto di testo presenta notevoli margini di miglioramento e occorre lavorare in questo senso. La Commissione europea ha bisogno di un mandato chiaro per coordinare il necessario impegno europeo.

1.12.

Il CESE raccomanda che siano introdotte anche delle disposizioni che consentano una certa flessibilità tra — da un lato — norme proporzionate e non eccessive per le PMI e — dall’altro — norme più rigorose per i settori industriali ad alto rischio. Inoltre, l’Unione dovrà offrire strumenti di sostegno speciali volti ad aiutare le PMI a gestire le sfide derivanti da un trattato di questo tipo (ad esempio un’agenzia apposita, oppure un sostegno all’apprendimento tra pari).

1.13.

Il CESE appoggia pienamente le risoluzioni adottate dal Parlamento europeo (PE) (2), e in particolare il suo invito ad impegnarsi al massimo per l’elaborazione di uno strumento vincolante e, più specificamente, il suo richiamo alla necessità di un meccanismo internazionale per il trattamento delle denunce e il monitoraggio. Il CESE osserva che esistono sistemi internazionali, come la procedura di denuncia presso l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), che possono servire da modello per un’applicazione internazionale più ambiziosa, perché le norme vincolanti non saranno efficaci in assenza di un forte impegno da parte degli Stati e di meccanismi di applicazione.

1.14.

Qualora non siano già stati sviluppati, andranno elaborati piani d’azione a livello nazionale tesi a dare attuazione al dovere di diligenza in materia di diritti umani, e dovrà esservi anche un piano d’azione europeo. La società civile organizzata deve essere coinvolta nelle fasi di sviluppo, attuazione e applicazione dei suddetti piani d’azione.

1.15.

Il CESE raccomanda che la Commissione europea studi la fattibilità di un’«agenzia pubblica di rating dell’UE» che si occupi dei diritti umani in relazione all’attività delle imprese.

1.16.

Il CESE raccomanda l’introduzione di un solido meccanismo internazionale di monitoraggio e applicazione, con la possibilità di sporgere denuncia a una commissione internazionale. Inoltre, le vittime di violazioni dei diritti umani dovranno poter rivolgersi a un funzionario indipendente dell’ONU (un difensore civico) che abbia il compito non solo di indagare in seguito alle loro denunce e, ove necessario, sostenerle, ma anche di condurre autonomamente un follow-up riguardo alle presunte violazioni e portarle all’attenzione della suddetta commissione.

1.17.

Il testo del progetto di trattato comprende già una definizione dei diritti umani molto ampia. Tuttavia, il preambolo del progetto dovrà comprendere altresì un riferimento alla Dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale dell’OIL e agli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), i quali andranno richiamati in quanto principi fondamentali per l’interpretazione delle disposizioni del trattato. In particolare, i diritti umani — come il diritto a un ambiente sano, all’istruzione e alla protezione dei dati — devono essere menzionati in modo più esplicito e inclusi nell’ambito di applicazione del trattato.

1.18.

Il progetto di testo già prevede una selezione di giurisdizioni competenti, selezione che necessita di un ulteriore perfezionamento; di conseguenza, secondo il CESE, quando un’impresa svolge la sua attività attraverso catene di approvvigionamento transnazionali, andrà garantita la possibilità di far valere la competenza giurisdizionale del paese in cui tale impresa ha sede. Andrà inoltre chiarito che le controllate e i fornitori locali possono essere convenuti in giudizio o, quantomeno, essere coinvolti nelle azioni legali intraprese nel paese in cui la società madre o la società beneficiaria hanno la sede.

1.19.

Il CESE rileva l’importanza dei testimoni e la funzione svolta dagli informatori, e accoglie con favore le disposizioni per la loro protezione contenute nell’attuale progetto di testo. Le ONG che operano in questo campo andranno sostenute.

1.20.

Il CESE raccomanda di chiarire l’interazione tra dovere di diligenza e responsabilità, adottando tra l’altro disposizioni chiare e concrete tese a garantire che il dovere di diligenza comprenda anche un monitoraggio costante lungo le catene di approvvigionamento, oltre alla ripartizione delle responsabilità, qualora si manchi di adempiere a tale dovere. Un’ulteriore chiarificazione dovrà essere basata sui concetti già sviluppati per i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.

1.21.

Il CESE raccomanda di prevedere la responsabilità penale per i casi di grave negligenza. Per i reati meno gravi, come l’inosservanza dell’obbligo di riferire periodicamente, andrà prevista una responsabilità amministrativa.

1.22.

Il progetto di testo comprende una disposizione sull’inversione dell’onere della prova per quanto concerne la responsabilità civile, disposizione che dovrà essere chiarita non solo per assicurarne un’applicazione omogenea nelle varie giurisdizioni ma anche per garantire che le vittime possano contare sulla sua attivazione ove necessario.

1.23.

Per quanto riguarda gli accordi commerciali e di investimento, andrà chiarito che le misure attuative di un trattato in materia di imprese e diritti umani sono giustificate e non possono essere aggirate dai sistemi di risoluzione delle controversie in materia di investimenti (3).

1.24.

L’attuale progetto di testo prevede la possibilità di partecipare a un sistema di risoluzione delle controversie. Questa possibilità andrà riconsiderata nel senso di un migliore allineamento con i quadri di riferimento esistenti, come quelli relativi ai nove strumenti fondamentali in materia di diritti umani in cui è prevista la facoltà di non partecipare a un sistema di risoluzione delle controversie.

1.25.

Il CESE si compiace che l’attuale progetto di testo affronti le questioni legate all’assistenza reciproca. Tuttavia, constata che le disposizioni relative alle spese processuali hanno subito notevoli modifiche. Eccezion fatta per i contenziosi per futili motivi, le spese processuali non dovranno essere addebitate ai ricorrenti.

1.26.

Il CESE è favorevole all’adozione di uno strumento giuridicamente vincolante in materia di imprese e diritti umani, ma nel contempo incoraggia vivamente una stretta cooperazione con le parti sociali e le organizzazioni della società civile.

2.   Contesto di riferimento

2.1.

Gli OSS si prefiggono in vari modi di migliorare i rapporti di lavoro, di assicurare modi di produzione e consumo responsabili e di rendere possibili impegni rigorosi in materia di diritti umani. Un trattato vincolante potrebbe offrire un sostegno considerevole a questi obiettivi grazie alla creazione di un quadro di responsabilità internazionale.

2.2.

Gli orientamenti internazionali in materia di imprese e diritti umani comprendono gli UNGP e il «Global Compact» delle Nazioni Unite (UNGC), nonché le linee guida elaborate in seno all’OCSE (linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali), che forniscono alle imprese multinazionali, quando operano all’estero e utilizzano catene di approvvigionamento globali, un quadro di riferimento sia per le strategie di responsabilità sociale delle imprese (RSI) che per la relativa attuazione giuridica tramite la strutturazione dei propri contratti. L’OCSE pubblica inoltre documenti di orientamento su una serie di settori. L’effetto prodotto da questi documenti, che si prefiggono di incentivare l’esercizio del dovere di diligenza nelle catene di approvvigionamento (4), mostra che è possibile gestire i rischi e applicare norme rigorose contro le violazioni dei diritti umani.

2.3.

La violazione dei diritti umani si ripercuote sulla vita delle persone e delle loro comunità, sui loro beni o sull’ambiente. Il CESE ha pertanto accolto con favore iniziative come quella in esame (5), e sottolinea che è importante che la società civile e le organizzazioni sindacali partecipino alle procedure riguardanti il dovere di diligenza. Un comportamento imprenditoriale responsabile è diventato una questione di rilievo per le imprese. La società civile e i sindacati constatano che le imprese si stanno adoperando per estendere l’attuazione concreta dei diritti umani e migliorare i principi di comportamento aziendale. Nelle discussioni in corso sul trattato, i rappresentanti delle imprese mettono in risalto l’importanza sia di applicare i diritti umani a livello mondiale a tutti i lavoratori che di far effettivamente rispettare le norme e gli standard dell’OIL in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Le relazioni sulla responsabilità sociale delle imprese non sono strumenti di marketing, ma un modo per illustrarne l’assunzione di responsabilità. Il CESE incoraggia gli Stati membri ad adottare misure efficaci per dare attuazione alle politiche in materia di diritti umani e a sostenere le imprese nei loro impegni volontari a favore della RSI, in particolare per quanto riguarda le attività internazionali.

2.4.

Tuttavia, le misure volontarie non possono prevenire tutte le violazioni dei diritti (6). L’adozione di misure vincolanti, accompagnate da sanzioni adeguate, servirebbe a garantire il rispetto di una norma minima giuridica anche da parte delle imprese che non si assumono le loro responsabilità morali con lo stesso scrupolo di quelle che seguono norme rigorose in materia di diritti umani, ad esempio sulla scorta dei principi guida delle Nazioni Unite. Le norme vincolanti dovranno essere definite in linea con i sistemi vigenti in materia di dovere di diligenza, e in particolare con i suddetti principi guida, al fine di facilitarne un’attuazione più agevole e di evitare ridondanze. Le misure volontarie e quelle vincolanti non si escludono a vicenda, bensì si completano tra loro.

2.5.

Il CESE riconosce che la maggior parte delle imprese, in particolare nell’UE, è impegnata a difendere i diritti umani. Tuttavia, secondo le statistiche dell’OIL il lavoro forzato genera a livello mondiale — nei settori delle costruzioni, delle industrie manifatturiera ed estrattiva, dei servizi pubblici e dell’agricoltura — profitti per 43 miliardi di dollari USA, tratti da imprese che non si sono impegnate in misura sufficiente a rispettare i diritti umani nelle loro catene del valore.

2.6.

L’indice di riferimento per le imprese in materia di diritti umani («Corporate Human Rights Benchmark») è stato sviluppato da investitori professionali insieme a ONG impegnate a favore di tali diritti (7). Questo benchmark è stato concepito come strumento a disposizione degli investitori per individuare le imprese che si fanno carico delle loro responsabilità, ragion per cui sarebbe nell’interesse delle imprese mostrare di aver realizzato una buona performance in questo campo. I risultati derivanti dall’analisi comparativa mostrano che, in molte delle imprese analizzate, l’attuazione dei principi guida delle Nazioni Unite è decisamente scarsa. In tale contesto occorre in particolare richiamare l’attenzione su società come McDonalds e Starbucks (che operano a livello mondiale e sono particolarmente attive in Europa), le quali occupano basse posizioni nella graduatoria riguardante l’applicazione degli UNGP. Si ripete ancora una volta la situazione in cui imprese multinazionali di paesi terzi risultano avvantaggiate rispetto a quelle europee, impegnate al rispetto dei diritti umani. Oltre il 40 % delle imprese analizzate non ha ottenuto assolutamente alcun punteggio per quanto riguarda il dovere di diligenza in materia di diritti umani, mentre i due terzi delle imprese analizzate hanno ottenuto un punteggio inferiore a 30 % per quanto concerne l’attuazione degli UNGP, e in questi due terzi sono comprese anche aziende europee.

2.7.

Anche se la grande maggioranza delle imprese si sente impegnata al rispetto dei diritti umani, le violazioni di tali diritti nel contesto di attività imprenditoriali non cessano di ripetersi. Il trattato vincolante offrirebbe alle vittime la garanzia dell’uniformità a livello mondiale delle norme in materia di diritti umani e del diritto applicabile, nonché la garanzia di un accesso equo alle autorità, comprese quelle giudiziarie. Ciò servirebbe altresì a favorire la parità di condizioni per le imprese, oltre a garantire la certezza del diritto e una concorrenza più leale a livello mondiale.

2.8.

L’UE segue un programma di lavoro teso a promuovere e diffondere i diritti umani tramite le sue politiche esterne. Il regolamento sui minerali originari di zone di conflitto, la direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e il regolamento sul legname sono esempi di atti normativi con cui è stato rafforzato il dovere di diligenza in materia di diritti umani. Alcune clausole degli accordi di libero scambio contengono impegni relativi alla protezione di questi diritti. Taluni Stati membri dell’Unione (in particolare la Francia, ma anche il Regno Unito e i Paesi Bassi) hanno adottato una legislazione volta a rafforzare la responsabilità delle imprese e quadri legislativi più solidi per il dovere di diligenza in materia di diritti umani. L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) ha analizzato le competenze esistenti in Europa in materia di imprese e diritti umani, e ha rilevato che esistono ragioni concludenti per le competenze attribuite all’UE e per quelle attribuite agli Stati membri (8). Essa raccomanda pertanto di seguire un approccio basato sul metodo aperto di coordinamento. La questione della ripartizione delle competenze deve essere chiarita prima della ratifica ufficiale del trattato, fermo restando che, in linea di principio, si deve presupporre l’esistenza di una competenza mista. I procedimenti contro le violazioni dei diritti fondamentali commesse da imprese sono trattati indirettamente ricorrendo al diritto amministrativo, civile o penale. Tali procedimenti sollevano questioni di diritto privato internazionale e di diritto penale (societario) internazionale, rami del diritto che sono stati in una certa misura oggetto di armonizzazione all’interno dell’Unione.

2.9.

Il PE ha adottato una serie di risoluzioni sull’argomento e ha fortemente sostenuto una partecipazione attiva ai negoziati su uno strumento giuridico vincolante. Il PE ha inoltre commissionato uno studio sull’accesso ai mezzi di ricorso per le vittime di violazioni dei diritti umani commesse da imprese in paesi terzi (Access to legal remedies for victims of corporate human rights abuses in third countries(9) in cui sono state formulate, all’indirizzo delle istituzioni dell’UE, delle raccomandazioni concrete per migliorare tale accesso.

2.10.

Il Consiglio ha chiesto il parere dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali sul miglioramento dell’accesso ai mezzi di ricorso nel campo delle imprese e dei diritti umani a livello dell’UE. Il parere ha evidenziato notevoli margini di miglioramento.

2.11.

Nel 2014 il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC) ha adottato la risoluzione 26/9, in cui ha deciso di istituire un gruppo di lavoro intergovernativo aperto (OEIWG) incaricato di elaborare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante teso a regolamentare, nel diritto internazionale sui diritti umani, le attività delle società transnazionali e di altre imprese commerciali. La risoluzione è stata sostenuta da un gran numero di paesi in via di sviluppo. L’attuale progetto di testo è stato presentato nel luglio 2019.

2.12.

L’UE ha preso parte ai lavori di questo gruppo, ma si è dissociata dai risultati della sessione di lavoro dell’ottobre 2018 adducendo una serie di motivi, i più importanti dei quali sembrano riguardare la questione dell’applicabilità a tutte le imprese e non solo a quelle transnazionali, un allineamento più rigoroso agli UNGP e una maggiore trasparenza del processo. Nell’attuale formulazione del progetto di testo sembra che siano state prese in considerazione le questioni di merito sollevate dall’UE. Tenuto conto delle questioni giuridiche relative all’armonizzazione, l’UE dovrebbe partecipare al processo in modo risoluto e con un mandato a negoziare ufficiale, al fine di rappresentare gli interessi dell’Unione stessa e dei suoi Stati membri.

2.13.

Vi sono grandi economie che, al momento attuale, non stanno partecipando attivamente al processo di elaborazione del trattato, come gli Stati Uniti, oppure non sembra vi si stiano impegnando con convinzione, come la Cina. La scelta di conferire al trattato un ampio campo di applicazione servirà a promuovere un comportamento responsabile da parte delle imprese, comprese quelle delle suddette grandi economie. Infatti, anche se tali economie non ratificheranno un trattato vincolante, le loro imprese, se operano all’interno del mercato comune europeo, saranno potenzialmente soggette alla competenza giurisdizionale dell’Unione europea, in virtù del trattato vincolante da questa firmato. Per quei paesi, quindi, se desiderano che le loro imprese continuino a usufruire delle opportunità di profitto offerte dai mercati europei, diventerebbe una necessità introdurre norme più rigorose sul dovere di diligenza in materia di diritti umani.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE sostiene pienamente i diritti umani, che, in quanto universali, inalienabili, indivisibili, interdipendenti e interconnessi, costituiscono un presupposto imprescindibile per qualsiasi impegno sociale che riguardi la politica, la cooperazione internazionale, il dialogo sociale, l’economia o l’attività d’impresa. I diritti umani sono stati e continuano ad essere un fondamento della prosperità e della pace sul continente europeo. Anzi, assieme al modello europeo di Stato sociale e ai sistemi d’istruzione per tutti, hanno assicurato e assicurano lo sviluppo economico e il benessere materiale. Il CESE sottolinea che tutti i diritti umani di natura sociale e politica devono assicurare un tenore di vita dignitoso a ogni persona in tutto il mondo, e che la violazione di tali diritti non deve tradursi nel ricavo di profitti ingiustificati.

3.2.

Secondo il CESE, la prevenzione delle violazioni dei diritti umani dovrebbe costituire l’obiettivo primario di un trattato vincolante. In presenza di una norma minima vincolante, concordata a livello internazionale, che disciplini il comportamento delle imprese, queste avranno bisogno di ancor più sostegno e orientamento nell’attuazione delle relative misure, e l’Unione e i suoi Stati membri dovranno assumersi la propria responsabilità nell’evitare che il comportamento responsabile delle imprese si traduca in uno svantaggio concorrenziale.

3.3.

Il CESE appoggia pienamente le risoluzioni adottate dal PE e rinnova il proprio invito all’UE affinché si impegni pienamente e partecipi attivamente al processo di negoziazione in corso a Ginevra, volto allo sviluppo di uno strumento vincolante comprendente un meccanismo per il trattamento delle denunce, la necessità del quale emerge chiaramente dalle suddette risoluzioni. La Commissione europea dovrebbe agire in base a queste risoluzioni e dare prova di un forte impegno.

3.4.

Il CESE, inoltre, conviene che gli elementi necessari di un trattato vincolante in questa materia debbano essere quelli elencati dal PE, ossia:

lo sviluppo del quadro di riferimento per i principi guida delle Nazioni Unite (UNGP) su imprese e diritti umani;

la definizione di obblighi vincolanti relativi al dovere di diligenza per le società transnazionali e altre imprese commerciali, comprese le loro controllate;

il riconoscimento degli obblighi extraterritoriali in materia di diritti umani che incombono agli Stati e l’adozione di misure normative in tal senso;

il riconoscimento della responsabilità penale delle imprese;

meccanismi di coordinamento e cooperazione tra Stati in materia di indagini, azione penale e applicazione del diritto nelle cause transfrontaliere;

l’istituzione di meccanismi internazionali, giudiziari e non, di controllo e applicazione della normativa.

3.5.

Il CESE appoggia inoltre il punto di vista del PE secondo cui, se i ricorrenti potranno scegliere la giurisdizione, gli Stati saranno incentivati a introdurre norme rigorose e sistemi giuridici equi allo scopo di mantenere le cause di questo tipo nella propria giurisdizione. In ogni caso, i meccanismi di applicazione dovrebbero assicurare che sia nel massimo interesse degli Stati legiferare per introdurre il dovere di diligenza in materia di imprese e diritti umani. Esistono sistemi internazionali, come la procedura di denuncia in sede OIL, che possono fungere da modello per un’applicazione internazionale più ambiziosa.

3.6.

L’introduzione di norme vincolanti non dovrà portare a situazioni in cui le imprese che hanno adottato un comportamento aziendale responsabile siano chiamate in giudizio in contenziosi per futili motivi. Occorre definire chiaramente in che misura un atto vincolante renda le imprese responsabili di eventuali violazioni. Di conseguenza, le violazioni dei diritti umani possono essere meglio evitate in presenza di una norma vincolante che sia concordata a livello internazionale e sia attuata e fatta rispettare dagli Stati. Questa linea di pensiero è rispecchiata nell’approccio seguito attualmente nel progetto di testo, che non introduce obblighi diretti per le imprese, ma impone invece agli Stati di attuare una norma concordata secondo i rispettivi ordinamenti giuridici.

3.7.

Lo studio del PE e il parere dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali di cui sopra esaminano questioni specifiche che si ripresentano regolarmente quando i cittadini cercano di proporre un’azione giudiziaria, davanti a un giudice europeo, per violazioni dei diritti umani commesse da un’impresa, dalle sue controllate o nella filiera dei fornitori.

3.7.1.

La competenza giurisdizionale dei giudici europei è di norma riservata ai convenuti europei. Questo significa che un’impresa con sede in Europa può essere convenuta in giudizio davanti a un giudice europeo, ma che ciò generalmente non vale per le controllate che hanno sede nel paese in cui si è verificato il danno. Quanto ai fornitori e agli intermediari della catena di approvvigionamento, essi sono persino più distanti dall’impresa europea considerata. Il CESE rileva che occorre assicurarsi che le vittime di violazioni dei diritti umani commesse da un’impresa abbiano, quale loro diritto umano, la garanzia di accedere a procedure eque e a giudici e altre autorità imparziali. In particolare, quando non è chiaro se la potenziale responsabilità ricada sulla società madre, su una sua controllata o su un suo fornitore, la competenza giurisdizionale dovrà spettare a un unico foro che assicuri procedure imparziali.

3.7.2.

Lo studio del PE illustra anche le procedure di mediazione a cui le vittime possono ricorrere per far valere le loro ragioni. Il CESE accoglie con aperto favore queste preziose procedure di natura volontaria, di cui l’OCSE, l’UNGP e il «Global Compact» delle Nazioni Unite promuovono la diffusione, ma osserva che tali procedure non risolvono il problema delle violazioni dei diritti umani commesse da imprese che non si conformano agli aspetti della RSI relativi ai diritti umani. Pertanto, è necessario anche poter intentare un’azione giudiziaria.

3.7.3.

Per motivi pratici, la raccolta di prove si rivela spesso ardua per chi propone un’azione di questo tipo. Inoltre, in molti casi le cause coinvolgono un gran numero di persone che parlano lingue diverse. Anche se in molti casi è facile dimostrare che un’impresa locale è una controllata o un fornitore di un’impresa europea, dimostrare in che misura quest’ultima vi eserciti un controllo risulta molto difficile per le vittime. Quando può essere invocata una competenza giurisdizionale europea, le spese processuali possono essere estremamente onerose, anche quando le vittime delle violazioni riescono a vincere la causa. Esistono ampi margini di miglioramento per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria internazionale. Il CESE si compiace che l’attuale progetto di testo affronti il tema dell’assistenza reciproca, ma chiede che le vittime non debbano sostenere le spese processuali, eccezion fatta per i contenziosi per futili motivi.

3.8.

Se uno Stato membro dell’UE inizia a definire, di sua iniziativa, quadri di riferimento obbligatori più rigorosi per il dovere di diligenza, sorgerà il problema dell’asimmetria di tali norme all’interno dell’UE. Le imprese situate negli Stati membri dell’UE che impongono requisiti più rigorosi per il dovere di diligenza non dovranno essere surclassate, sul piano della concorrenza, dalle imprese che non sono soggette a tali requisiti. Il CESE osserva che alle imprese andranno garantite condizioni di parità e la certezza del diritto, con una chiara ripartizione delle responsabilità.

3.9.

Il CESE ritiene pertanto che l’impegno attivo e la partecipazione di rappresentanti dell’UE nella prossima fase del processo di negoziazione rivestano un’importanza cruciale. Non è nell’interesse dell’UE o dei suoi Stati membri astenersi dal partecipare attivamente all’elaborazione di un trattato sui diritti umani che potrebbe avere implicazioni rilevanti per il sistema degli scambi internazionali (10). L’attuale progetto di testo presenta notevoli margini di miglioramento e occorre lavorare in questo senso. Le istituzioni europee e gli Stati membri devono impegnarsi attivamente, e la Commissione europea ha bisogno di un mandato chiaro per riuscire a coordinare l’impegno europeo.

3.10.

Dato che l’attuazione e l’applicazione del trattato spetteranno agli Stati membri e all’UE, negli Stati membri andranno elaborati, se non lo sono già stati, dei piani d’azione nazionali che stabiliscano come dare attuazione al dovere di diligenza in materia di diritti umani. Dovrà inoltre essere previsto un piano d’azione europeo per garantire che tutti i livelli europei di governance partecipino in funzione delle loro competenze. La società civile organizzata deve essere coinvolta nelle fasi di sviluppo, attuazione e applicazione dei suddetti piani d’azione.

3.11.

La Commissione europea dovrà studiare la fattibilità di un’«agenzia pubblica di rating dell’UE» che si occupi dei diritti umani nell’attività delle imprese mediante lo sviluppo di un sistema con cui poter certificare (secondo criteri prestabiliti) e controllare periodicamente (mediante un monitoraggio) le società di revisione contabile. Tale agenzia potrebbe sostenere le imprese (in particolare le PMI) cercando di definire il rapporto che esse hanno con i diritti umani e di migliorarlo, con ripercussioni positive per le imprese riguardo alle questioni della responsabilità. L’esame di tale concetto potrebbe formare oggetto di un successivo parere.

3.12.

La responsabilità nel campo dei diritti umani dovrebbe diventare materia obbligatoria nei programmi di studio riguardanti le discipline economiche e aziendali e nei relativi corsi di formazione, e questa impostazione didattica potrebbe essere appoggiata dai programmi dell’Unione nel settore dell’istruzione.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il trattato è in fase di elaborazione da parte di un gruppo di lavoro del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), competente per l’attuazione delle convenzioni dell’ONU sui diritti umani. Dato che i destinatari delle norme del trattato sono gli Stati, e non le persone fisiche o giuridiche (come le imprese o coloro che sono vittime di violazioni), l’istituzione di un tale gruppo di lavoro in seno all’UNHRC è senz’altro opportuna, anche perché altre organizzazioni — come l’OIL e l’OMC — vengono facilmente associate ai lavori. Il CESE ritiene che il gruppo di lavoro intergovernativo aperto (OEIGWG) debba proseguire la sua attività.

4.2.

Il mandato fondamentale dell’OEIGWG è incentrato sulle situazioni transnazionali. Le associazioni imprenditoriali e i sindacati sono favorevoli a un ampliamento del campo di applicazione del trattato, tale da includere tutte le imprese (ad esempio, quelle di proprietà statale e quelle commerciali operanti a livello nazionale). Il CESE si compiace che il progetto di testo riveduto abbia tenuto conto, in linea di principio, delle richieste avanzate. Tuttavia, tale progetto necessita ancora di ulteriori chiarificazioni. In quest’ottica, il CESE chiede con forza che le istituzioni dell’UE si impegnino attivamente.

4.3.

Andrà anzitutto introdotto un solido meccanismo internazionale di monitoraggio e applicazione, con la possibilità per i privati cittadini di sporgere denuncia a una commissione internazionale. Inoltre, le vittime di violazioni dei diritti umani dovranno poter rivolgersi a un funzionario indipendente dell’ONU (un difensore civico) che abbia il compito non solo di indagare in seguito alle loro denunce e, ove necessario, sostenerle, ma anche di condurre autonomamente un follow-up riguardo alle presunte violazioni per portarle all’attenzione della suddetta commissione.

4.4.

Il testo del progetto di trattato comprende una definizione dei diritti umani molto ampia. Il CESE si compiace che nel preambolo sia stato inserito un riferimento alla convenzione n. 190 dell’OIL. Tuttavia, la dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale dell’OIL comprende anche un elenco esaustivo di dichiarazioni e diritti riguardanti le imprese multinazionali e il lavoro, e in tale elenco sono espressamente richiamate anche le convenzioni e raccomandazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Andranno presi in considerazione i recenti sviluppi in materia di diritti umani, che hanno tra l’altro dato assai maggiore risalto ai diritti a un ambiente sano e alla protezione dei dati. I documenti e i diritti di cui sopra fanno parte di un corpus fondamentale di diritti umani che è applicabile in tutto il mondo e che dovrà pertanto rientrare nel campo di applicazione del trattato. Il CESE si compiace che alla dimensione di genere delle violazioni dei diritti umani, che è un aspetto spesso trascurato, sia stato riservato uno spazio maggiore nelle parti del trattato vincolante che sono dedicate alla prevenzione.

4.5.

Il testo del progetto di trattato già prevede una selezione di giurisdizioni competenti, selezione che necessita di un ulteriore perfezionamento. Quando un’impresa svolge la sua attività attraverso catene di approvvigionamento transnazionali (ad esempio, per ottenere prodotti o risorse), andrà garantita la possibilità di invocare la competenza giurisdizionale nel paese in cui tale impresa ha sede. Andrà inoltre chiarito che le controllate e i fornitori locali possono essere convenuti in giudizio o, quantomeno, essere coinvolti nelle azioni legali intraprese nel paese in cui la società madre o la società beneficiaria hanno la sede.

4.6.

Bisognerà chiarire ulteriormente l’interazione tra dovere di diligenza e responsabilità, anche per quel che riguarda la previsione di disposizioni chiare e concrete tese ad assicurare che il dovere di diligenza comprenda anche un monitoraggio costante (ossia un sistema di verifiche e controlli) lungo le catene di approvvigionamento, oltre alla ripartizione delle responsabilità, qualora si manchi di adempiere a tale dovere. La giurisprudenza inglese ha sviluppato una serie di principi in materia di controllo, da parte delle società madri, sulle violazioni commesse dalle loro controllate (11), principi che potrebbero essere una fonte d’ispirazione per una disposizione più chiara in materia di responsabilità, pensata specificamente per le società controllate. L’attuale progetto di testo è incentrato sui rapporti contrattuali, e questa impostazione potrebbe rendere difficile tracciare in modo affidabile la sequenza delle responsabilità lungo le catene globali del valore, dato che i rapporti commerciali possono assumere forme diverse lungo tali catene. Vi sono margini di miglioramento rispetto all’attuale progetto di testo, e un’ulteriore chiarificazione dovrà essere basata sui concetti già sviluppati per gli UNGP, cui l’UE dovrà accordare la priorità.

4.7.

Poiché adesso nel campo di applicazione rientrano tutte le attività imprenditoriali e non soltanto quelle transnazionali, andranno introdotte anche delle disposizioni che consentano una certa flessibilità tra — da un lato — norme proporzionate e non eccessive per le PMI e — dall’altro — norme più rigorose per le operazioni ad alto rischio. Inoltre, l’UE dovrà offrire strumenti di sostegno speciali volti ad aiutare le PMI a gestire le sfide derivanti da un trattato di questo tipo (ad esempio un’agenzia apposita, oppure un sostegno all’apprendimento tra pari).

4.8.

Il CESE prende atto delle norme sull’assistenza giudiziaria reciproca e la cooperazione internazionale contenute nell’attuale progetto di testo, assistenza e cooperazione che potrebbero eventualmente essere agevolate tramite gli uffici internazionali del difensore civico dell’ONU di cui sopra.

4.9.

Il progetto di testo comprende una disposizione sull’inversione dell’onere della prova nei casi di responsabilità civile, disposizione che dovrà essere chiarita non solo per assicurarne un’applicazione omogenea nelle varie giurisdizioni ma anche per garantire che le vittime possano contare sulla sua attivazione ove necessario. Ne consegue quantomeno che chi propone un’azione giudiziaria per violazione dei diritti umani sarà soltanto tenuto a provare l’esistenza di un legame certo tra l’autore della violazione (ad esempio, un fornitore o una controllata) e la società (beneficiaria o madre), che a sua volta sarà tenuta a spiegare in modo plausibile perché le violazioni andassero al di là del suo raggio di controllo. Il CESE dubita che assegnare all’autorità giudiziaria, e non al legislatore, la decisione di invertire l’onere della prova sia nell’interesse della certezza del diritto e giovi a un’applicazione coerente della normativa.

4.10.

Il CESE rileva l’importanza dei testimoni e la funzione svolta dagli informatori, e accoglie con favore le disposizioni per la loro protezione contenute nell’attuale progetto di testo. Le ONG che operano in questo campo andranno sostenute.

4.11.

Andrà prevista la responsabilità penale per i casi di grave negligenza. Per i reati meno gravi, come l’inosservanza dell’obbligo di riferire periodicamente, andrà prevista una responsabilità amministrativa.

4.12.

Il CESE accoglie con favore l’inserimento di una disposizione sulla coerenza con altri accordi bilaterali e multilaterali. Tuttavia, per quanto riguarda gli accordi commerciali e di investimento, andrà chiarito che le misure attuative di un trattato in materia di imprese e diritti umani sono giustificate e non possono essere aggirate dai sistemi di risoluzione delle controversie in materia di investimenti.

4.13.

Dovrà essere possibile imporre, tra Stati, il rispetto di un trattato vincolante. Esistono già delle procedure da cui prendere spunto per tali possibilità, come le procedure di denuncia previste dalla costituzione dell’OIL, che consente alle parti sociali e agli Stati di presentare denunce per mancata osservanza delle convenzioni dell’OIL. Se a uno Stato viene data la possibilità di sporgere denuncia contro un altro Stato, sarà possibile imporre l’applicazione del trattato. In tal modo le imprese responsabili verrebbero protette meglio dalla concorrenza sleale. Inoltre, la possibilità di sporgere denuncia dovrà essere data anche alle organizzazioni delle parti sociali e alle ONG. Un sistema di questo tipo, se creato indipendentemente dalle procedure dell’OIL, dovrà operare senza arrecare pregiudizio al sistema di tale organizzazione e alle relative disposizioni.

4.14.

L’attuale progetto di testo prevede la possibilità di partecipare a un sistema di risoluzione delle controversie. Questa possibilità andrà riconsiderata nel senso di un suo migliore allineamento con i quadri di riferimento esistenti, come quelli relativi ai nove strumenti fondamentali in materia di diritti umani in cui è prevista la possibilità di non partecipare a un sistema di risoluzione delle controversie.

4.15.

Le disposizioni sulla prescrizione e il diritto applicabile che sono state inserite nel progetto di testo riveduto rappresentano un passo indietro rispetto al progetto di testo originario. Poiché tali disposizioni riguardano diritti procedurali importanti per le vittime, il CESE raccomanda di tornare al progetto di testo iniziale.

4.16.

I rappresentanti della società civile organizzata, e in particolare quelli delle imprese, hanno sottolineato i ritardi con cui sono stati resi disponibili e pubblicati i progetti dei documenti relativi al processo negoziale in corso a Ginevra. Tale processo dev’essere migliorato, in modo da rendere possibili riscontri equilibrati e costruttivi. La trasparenza va garantita per tutti i partecipanti e in tutte le fasi del processo.

4.17.

Il CESE è favorevole all’adozione di uno strumento giuridicamente vincolante in materia di imprese e diritti umani, ma nel contempo incoraggia vivamente una stretta cooperazione con le parti sociali e le organizzazioni della società civile.

Bruxelles, 11 dicembre 2019

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Secondo la definizione riportata nella 7a edizione dell’Oxford Dictionary of Law [dizionario di diritto della casa editrice Oxford University Press], per foro si intende il luogo o il paese in cui ha sede l’autorità giudiziaria investita di una causa.

(2)  Tra cui merita citare in particolare la risoluzione del PE del 4 ottobre 2018 [2018/2763 (RSP)].

(3)  GU C 110 del 22.3.2019, pag. 145

(4)  http://www.oecd.org/daf/inv/mne/oecd-portal-for-supply-chain-risk-information.htm

(5)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 17

(6)  Basti considerare ad esempio alcuni dei casi più recenti, come quello dei rifugiati siriani impiegati come raccoglitori di nocciole in Turchia (https://www.nytimes.com/2019/04/29/business/syrian-refugees-turkey-hazelnut-farms.html) o quelli dei minori sfruttati per produrre lastre tombali in India (https://kurier.at/politik/ausland/blutige-grabsteine-was-friedhoefe-mit-kinderarbeit-zu-tun-haben/400477447) o estrarre minerali destinati alle batterie dei veicoli elettrici in Congo (https://www.dw.com/de/kinderarbeit-f%C3%BCr-elektro-autos/a-40151803).

(7)  https://www.corporatebenchmark.org/

(8)  Parere della FRA sul miglioramento dell’accesso ai mezzi di ricorso nel settore delle imprese e dei diritti umani a livello dell’UE (Improving access to remedy in the area of business and human rights at the EU level), pag. 62.

(9)  EP/EXPO/B/DROI/FWC/2013-08/Lot4/07, febbraio 2019 — PE 603.475.

(10)  Il CESE ha sottolineato l’importanza di un trattato vincolante delle Nazioni Unite con un parere (GU C 110 del 22.3.2019, pag. 145), in particolare al punto 2.19.

(11)  Cfr. la nota 9, pag. 40.


24.3.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 97/18


Parere del Comitato economico e sociale europeo sugli «Aiuti esterni, investimenti e commercio come strumenti per ridurre i motivi della migrazione economica, con un’attenzione particolare all’Africa»

(parere d’iniziativa)

(2020/C 97/03)

Relatore:

Arno METZLER

Correlatore:

Thomas WAGNSONNER

Decisione dell’Assemblea plenaria

23-24/1/2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

28/11/2019

Adozione in sessione plenaria

12/12/2019

Sessione plenaria n.

548

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

152/0/9

1.   Conclusioni e raccomandazioni generali

1.1.

La politica dell’Unione europea in materia di sviluppo mira a promuovere lo sviluppo sostenibile nei paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo primario di eradicare la povertà, stimolare la crescita sostenibile e l’occupazione e promuovere la pace, la sicurezza, la stabilità, la buona governance e i diritti umani. È una pietra angolare delle relazioni dell’UE con il resto del mondo e contribuisce agli obiettivi dell’azione esterna dell’Unione, accanto alla politica estera, di sicurezza e commerciale (nonché agli aspetti internazionali di altre politiche come quelle in materia di ambiente, agricoltura e pesca). Nel perseguire tali obiettivi, le politiche dovrebbero garantire in tutti i casi una vita dignitosa, far rispettare lo Stato di diritto e creare condizioni di lavoro di qualità. Al riguardo, il CESE sottolinea con forza la necessità di realizzare la parità di genere e di garantire l’emancipazione delle donne di ogni età.

1.2.

In un mondo in continua evoluzione, una cosa è certa: l’Africa rimarrà vicina all’Europa e viceversa. I 54 paesi dell’Africa e i 28 Stati membri dell’Unione europea hanno un vicinato, una storia e un futuro comuni; e al riguardo il CESE sottolinea che, nel futuro comune dei due continenti, occorre assolutamente evitare di ripetere gli errori del passato.

1.3.

Settant’anni fa l’Europa era un continente di emigrazione netta, dato che i suoi cittadini fuggivano da piaghe come la guerra, la fame, la povertà, la disoccupazione, il degrado ambientale, l’oppressione e la discriminazione. Poi il successo dell’UE nel creare opportunità per i suoi cittadini ne ha fatto un continente di immigrazione netta. Adesso dovremmo lavorare insieme con i paesi africani per offrire loro un progresso analogo.

1.4.

È difficile individuare una strategia economica coerente dell’UE nei confronti dell’Africa nel suo insieme. Il CESE desidera sottolineare il suo impegno a partecipare — in quanto organo rappresentativo della società civile organizzata e partner attivo in tutti gli accordi pertinenti conclusi dall’UE — alla definizione e all’attuazione di un approccio trasparente e coerente nei rapporti con il continente africano. Il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) ha dichiarato che l’UE è già oggi un forte partner politico dell’Africa e ha annunciato che il passo successivo consiste nel diventare veri partner economici e nell’approfondire i rapporti commerciali e di investimento tra i due continenti. Il CESE ha già avuto modo di svolgere un ruolo di rilievo nel definire i rapporti tra le rispettive società civili nel quadro dell’accordo di Cotonou. Adesso è importante che l’impegno costante e ancora più intenso del CESE e delle sue strutture divenga un elemento essenziale dell’accordo post-Cotonou, in modo che la società civile dell’UE sia posta in condizione di aiutare la società civile dei paesi africani a diventare un partner affidabile e degno di fiducia per gli investitori. Ciò, tuttavia, sarà possibile soltanto promuovendo un partenariato in condizioni di parità e tenendo realmente conto delle attuali asimmetrie della situazione economica.

1.5.

Per conseguire gli obiettivi comuni, sarà essenziale rafforzare la collaborazione economica. Negli ultimi anni si sono registrati diversi sforzi di stabilire un nuovo paradigma nei rapporti tra l’UE e l’Africa (ad esempio in materia di agricoltura) concentrandosi sempre più sulla cooperazione nell’ambito delle politiche e sulla promozione di investimenti sostenibili e di un contesto imprenditoriale stabile, responsabile e inclusivo. Un paradigma, questo, che va ulteriormente sviluppato in maniera efficace nel settore dell’agricoltura e in altri settori, e che deve coinvolgere maggiormente la popolazione locale sul terreno.

1.6.

Il CESE raccomanda all’UE di inaugurare una politica di «sportello unico», instaurando un meccanismo appropriato di consultazione per fornire informazioni e contatti a coloro che intendono investire in Africa e collaborare con i paesi africani. Un tale meccanismo svolgerebbe anche una funzione di monitoraggio, assumendo così la forma di uno strumento politico. L’attuazione di uno sportello unico per tutte le iniziative relative all’Africa permetterebbe di evitare la sovrapposizione dei progetti e di garantire la trasparenza e l’efficienza del sostegno dell’UE.

1.7.

Il CESE raccomanda altresì di istituire una piattaforma adatta per una migliore condivisione delle informazioni tra le PMI europee e africane riguardo alle buone pratiche in materia di investimenti e collaborazione.

1.8.

È necessario sviluppare un’architettura istituzionale chiara e trasparente per la cooperazione allo sviluppo dell’UE con l’Africa, basandosi sul nuovo consenso in materia di sviluppo (1), che consente un’analisi e un’attuazione più realistiche delle prospettive di sviluppo. Il CESE auspica che l’accordo post-Cotonou possa proporre una piattaforma pragmatica per una riforma della politica di cooperazione allo sviluppo coerente con le complessità del processo di sviluppo. Tale piattaforma dovrebbe basarsi sullo sforzo congiunto di tutti gli Stati membri e delle istituzioni dell’Unione europea di registrare tutti i programmi, i progetti e le iniziative a livello nazionale e dell’UE, onde evitare che in determinati ambiti si abbiano sovrapposizioni e duplicazioni di attività mentre in altri manchi qualsiasi sostegno.

1.9.

Nel contempo, il CESE è favorevole a un processo di massimizzazione dell’impatto di altre politiche dell’UE in termini di sviluppo sociale ed economico (2). In particolare, le politiche in materia di commercio, investimenti, fiscalità (3), aiuti esterni (4), lotta contro la criminalità organizzata internazionale e clima devono essere coerenti con gli obiettivi della politica di cooperazione allo sviluppo.

1.10.

Il CESE è fermamente impegnato a rendere i finanziamenti europei per lo sviluppo più efficienti ed efficaci. Tenuto conto dei fondi d’investimento dell’UE che già investono in Africa, raccomanda di istituire un fondo d’investimento simile al Fondo sociale europeo che affianchi, in qualità di coinvestitore, gli investimenti privati e gli altri investimenti pubblici. Tale nuovo fondo dovrebbe basarsi sui criteri e sui principi dell’Agenda 2030 e sul riconoscimento delle norme fondamentali accettate a livello internazionale (5). I progetti sostenuti dovrebbero essere monitorati e iscritti in registri o piattaforme centrali. In relazione a tutti questi progetti, il CESE sollecita una collaborazione ancora più stretta con le organizzazioni della società civile (e in particolare il CESE) per quanto attiene ai valori etici perseguiti.

1.11.

Il CESE invoca l’attuazione di un approccio che segni il passaggio «dagli aiuti agli investimenti», il che significa spostare l’attenzione dal dispensare sussidi al sostenere — e trattare con — soggetti economici autonomi, che fanno assegnamento su sé stessi, e promuovere progetti economici intercontinentali basati su una cooperazione paritaria.

1.12.

Anche le strutture finanziarie presenti nella stessa Africa dovrebbero essere rafforzate, in modo che possano contribuire al finanziamento a lungo termine sia degli investimenti privati che di quelli pubblici. Questo è un presupposto importante per uno sviluppo duraturo e sostenibile. Le esperienze maturate in Europa con le banche cooperative e le banche nazionali di promozione, specie per quanto riguarda il finanziamento dei comuni, possono eventualmente fungere da modello. In particolare il microcredito e gli investimenti potrebbero costituire un fattore chiave per il futuro dell’economia africana. Sarà possibile garantire uno sviluppo sostenibile soltanto sostenendo catene del valore e mercati regionali per i consumatori di una classe media (6).

1.13.

Il CESE ritiene che la cooperazione dell’UE allo sviluppo dovrebbe concentrarsi sulla promozione di un partenariato che metta al centro le persone, garantendo la partecipazione della società civile, delle organizzazioni sindacali e del settore privato e procurando benefici diretti ai cittadini africani ed europei.

1.14.

Il CESE sottolinea che, in partenariato con le strutture africane, la società civile organizzata europea potrebbe contribuire alla creazione di un clima di fiducia irrobustendo la società civile africana affinché questa si doti di strumenti per l’accesso alla giustizia, il mantenimento della sicurezza e la lotta alla corruzione. Dovrebbe essere questo il valore aggiunto apportato dalla società civile europea allo sviluppo dell’Africa, sulla base di valori condivisi come la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti politici e civili.

1.15.

Gli accordi di libero scambio (ALS) e gli accordi di partenariato economico (APE) conclusi dall’UE con i paesi africani non prevedono alcun meccanismo di dialogo con la società civile organizzata. Nel quadro della revisione di tali accordi, l’Unione dovrebbe puntare a istituire tali meccanismi di dialogo rivolti agli attori non statali.

1.16.

Basandosi sull’impostazione, e sulle prime esperienze già acquisite, delle piattaforme per l’imprenditoria sostenibile in Africa (Sustainable Business for Africa — SB4 A), incentrate perlopiù sul coinvolgimento del settore privato, l’UE dovrebbe destinare a questo scopo una quota maggiore degli aiuti e promuovere un’iniziativa analoga per la società civile in generale, all’interno del quadro SB4 A oppure in accompagnamento o parallelamente ad esso. Tali piattaforme potrebbero trasformarsi in piattaforme multipartecipative intese a promuovere scambi commerciali e investimenti sostenibili a favore dell’Africa.

1.17.

Il CESE ritiene che l’UE dovrebbe destinare parte delle sue risorse assegnate agli «aiuti al commercio» per sostenere la partecipazione, nonché lo sviluppo delle capacità, delle organizzazioni della società civile in relazione agli sforzi in materia di commercio e investimenti sostenibili.

1.18.

Attraverso un approccio multipartecipativo che coinvolge anche le organizzazioni della società civile, il CESE promuove le iniziative e gli adeguamenti ai regimi di politica commerciale previsti dagli ALS, dagli APE e dal SPG che favoriscono un’attuazione efficace e sostenibile dell’accordo continentale di libero scambio per l’Africa (AfCFTA) e l’integrazione del mercato africano. Ciò dovrebbe rafforzare in particolare il commercio intra-africano e l’integrazione regionale e continentale, nonché sviluppare settori importanti dell’economia in tutta l’Africa.

1.19.

Al centro del miglioramento delle condizioni di vita in Europa sono stati e sono ancora gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche, specialmente nel campo dell’istruzione. Uno degli obiettivi centrali della nostra politica di sviluppo in Africa deve essere quello di migliorare il livello di istruzione in quel continente, in particolare tra le persone economicamente più fragili.

1.20.

Il CESE accoglie con favore il previsto aumento dei fondi dell’UE per l’Africa a 40 miliardi di EUR (46,5 miliardi di USD) nel prossimo bilancio pluriennale, ed auspica che ciò abbia un significativo effetto leva sugli investimenti privati.

2.   Contesto

2.1.

L’Europa è uno dei leader mondiali in materia di sviluppo ed è il maggior fornitore al mondo di aiuti pubblici allo sviluppo. Finanziando più del 50 % di tutti gli aiuti mondiali allo sviluppo, l’UE e i suoi Stati membri rappresentano nel loro insieme il principale donatore del pianeta.

2.2.

Secondo la Banca mondiale (7), le rimesse inviate dagli espatriati nei paesi di origine in via di sviluppo ammontavano nel 2016 a circa 426 miliardi di USD, pari a circa tre volte l’ammontare degli aiuti pubblici allo sviluppo in tutto il mondo. Offendo opportunità occupazionali legali ai migranti africani in Europa e garantendo servizi di trasferimento di denaro sicuri si contribuirà notevolmente allo sviluppo dell’Africa.

2.3.

L’Africa e l’Europa sono continenti molto vicini, legati da una storia comune, e condividono valori e interessi che devono guidare la loro cooperazione in futuro. Oggi stanno affrontando congiuntamente sfide globali comuni come i cambiamenti climatici e le minacce alla pace e alla sicurezza. Pur contribuendo alle emissioni globali di gas per una percentuale inferiore al 4 %, l’Africa sarà particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici. 27 dei 33 paesi maggiormente a rischio a causa dei cambiamenti climatici sono paesi africani.

2.4.

La cooperazione a livello continentale tra Africa e Unione europea è guidata da un partenariato strategico, basato su valori condivisi e interessi comuni. Nel 2007 l’UE e l’Unione africana hanno adottato la strategia comune Africa-UE per creare legami più forti tra i due continenti in ambiti chiave della cooperazione, approfondire il dialogo politico e definire una tabella di marcia concreta per l’attività congiunta futura.

2.5.

È con il gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (paesi ACP) che l’UE mantiene la cooperazione più duratura, sancita dal 1975 dalla convenzione di Lomé e aggiornata dal 2000 con l’accordo di Cotonou, cui partecipano 48 Stati dell’Africa subsahariana.

2.6.

L’Unione sta attualmente negoziando con i paesi ACP un nuovo accordo che succeda all’accordo di Cotonou e copra il periodo 2000-2020. Negli ultimi vent’anni il contesto politico ed economico è mutato profondamente: i rapporti commerciali tra l’UE e i paesi ACP sono ora ampiamente disciplinati da APE bilaterali e regionali, e il quadro dell’Unione africana ha assunto un’importanza tale da mettere in discussione la coerenza, la complementarità e le sinergie tra tale quadro e i quadri dei paesi ACP.

2.7.

Un nuovo accordo che succeda all’accordo di Cotonou offrirà l’opportunità di ammodernare le norme riguardanti, tra le altre, questioni come gli investimenti, i servizi, il commercio equo, i diritti umani, le condizioni di lavoro dignitose e la migrazione. Tuttavia, la cooperazione deve poggiare su nuove fondamenta, basate sull’Agenda 2030, e gli Stati africani dovranno decidere se vogliono negoziare insieme come continente.

2.8.

Per questi motivi il CESE ribadisce la necessità di adottare una strategia socioeconomica coerente per quanto riguarda i rapporti tra UE e Africa e di attribuire il giusto spazio alla partecipazione della società civile e delle parti sociali ai negoziati sul post-Cotonou.

2.9.

Il CESE ha scoperto che non esiste una supervisione o registrazione centralizzata di tutte le iniziative, i programmi e i partenariati a livello UE o nazionale. Inoltre, non disponiamo di una conoscenza completa dell’importo dei fondi diretti in Africa.

3.   Ostacoli

3.1.

È essenziale sottolineare la crescente eterogeneità del continente africano, e l’Unione europea dovrebbe adeguare le proprie politiche alle realtà. È necessario un approccio molto più pragmatico e realistico allo sviluppo delle relazioni tra l’UE e l’Africa.

3.2.

Il rapporto diretto tra l’Unione europea e l’Unione africana ha assunto un’importanza ancora maggiore in seguito alla proclamazione della strategia comune Africa-UE (Joint Africa-EU Strategy — JAES) nel 2007. L’UE ha inoltre portato avanti con decisione una serie di altre iniziative, come il Fondo fiduciario di emergenza, il Fondo d’investimento per l’Africa, il piano per gli investimenti esterni e una serie di accordi subregionali. Le molteplici modalità con cui si articolano i rapporti tra UE e Africa hanno prodotto un’architettura complessa e talvolta incoerente, in cui elementi di altre politiche si mescolano con la cooperazione allo sviluppo. A tale confusione si aggiungono gli interessi divergenti degli Stati membri.

3.3.

Per stimolare gli investimenti del settore privato, vi è bisogno di pace, sicurezza e stabilità, nonché di un contesto propizio agli investimenti e all’attività d’impresa. Le indagini condotte tra gli investitori (8) indicano chiaramente che sono necessari sforzi molto più intensi in questo campo per migliorare la capacità dell’Africa di competere a livello globale nell’attrarre capitali di investimento. Lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione, l’indipendenza del sistema giudiziario e la prevedibilità dell’imposizione fiscale, così come la pace e la stabilità, sono tutti fattori chiave che influenzano le decisioni degli investitori sia nazionali che stranieri. Si ritiene che, nei paesi fragili, i costi per avviare un’impresa siano circa tre volte più elevati, il che scoraggia notevolmente gli investimenti privati (9).

3.4.

Nel suo parere sul tema Il ruolo fondamentale del commercio e degli investimenti nel conseguire e attuare gli OSS (10), il CESE ha affermato che «l’attuazione degli OSS richiederà il coinvolgimento diretto della società civile, in particolare perché tale coinvolgimento dovrebbe promuovere lo Stato di diritto e contribuire a contrastare la corruzione». In quello stesso parere, inoltre, si sottolineava la necessità di costruire infrastrutture in Africa, una politica perseguita attualmente dalla Cina. Il commercio interno in Africa è scarso, specialmente per quanto riguarda i prodotti agricoli, attestandosi tra il 10 e il 15 % del commercio africano totale. Una situazione che, si auspica, dovrebbe migliorare con l’attuazione dell’accordo OMC del 2017 sull’agevolazione degli scambi.

3.5.

Secondo le proiezioni, per attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile in Africa sono necessarie risorse dell’ordine di 600 miliardi di USD all’anno (11). Anche con il contributo di investimenti esteri e aiuti pubblici allo sviluppo, lo sviluppo sostenibile in Africa dipenderà dalla mobilitazione e dalla generazione di risorse interne. Tali risorse si basano su investimenti di lungo periodo e sulla creazione di valore a lungo termine, tali da generare posti di lavoro di qualità e innescare catene del valore locali e regionali. Un’istruzione migliore e consumi privati più elevati sono fattori importanti per la crescita dell’Africa, il che significa che, ai fini dello sviluppo, è essenziale l’Africa crei mercati, e dunque consumatori, per i suoi stessi prodotti. E, per creare le condizioni per investimenti privati a lungo termine, un fattore decisivo è costituito dalle infrastrutture pubbliche.

3.6.

Il CESE sottolinea l’importanza del programma Erasmus+ al fine di permettere a un maggior numero di giovani africani di accedere a un’istruzione avanzata.

3.7.

Non va dimenticato neppure il nesso tra lo sviluppo economico e la migrazione. Alcuni studi, infatti, hanno messo in luce (12) che la necessità di migrare diminuisce quando viene raggiunto un determinato reddito pro capite (a seconda dello studio considerato, i dati variano tra i 6 000 USD e i 10 000 USD pro capite all’anno). Al di là del fatto che in Africa la maggior parte della migrazione è interna al continente stesso, questi dati mettono in luce la necessità di una politica di sviluppo orientata a garantire alle persone una vita dignitosa, occupazione e prospettive nel loro proprio paese. Conseguire tale obiettivo costituirà una sfida enorme, poiché, secondo le proiezioni demografiche, entro il 2050 in Africa vivranno 2,5 miliardi di persone (13).

3.8.

Gli OSS implicano la necessità di realizzare la parità di genere e di garantire l’emancipazione delle donne di ogni età affinché raggiungano la piena autonomia. Le sfide cui oggi dobbiamo far fronte in materia di sviluppo pongono una questione di genere ben precisa, che è necessario valutare nel definire le politiche ed è necessario affrontare nell’attuarle.

3.9.

La corruzione rappresenta un problema enorme, e non soltanto in Africa. È necessario promuovere una buona governance economica e finanziaria rafforzando la gestione trasparente delle finanze pubbliche, creando un sistema credibile in grado di contrastare la corruzione basato sull’indipendenza del sistema giudiziario, e migliorando il contesto imprenditoriale e le circostanze che favoriscono il progresso sociale.

3.10.

Al riguardo la società civile organizzata potrebbe svolgere un’importante funzione di vigilanza. Affidare alle ONG, ai sindacati e alle associazioni di imprese un ruolo più incisivo e sostenere tali iniziative nei paesi partner serve a promuovere la buona governance, la giustizia e la democratizzazione.

3.11.

L’Europa sta perdendo terreno in Africa rispetto ad altri attori globali come la Cina, che stanno investendo miliardi nel continente africano. Gli Stati membri dell’UE temono quindi di trovarsi relegati in una posizione secondaria. Se l’impegno dell’Europa e quello della Cina non fossero incentrati esclusivamente sui profitti, ma si concentrassero anche sullo sviluppo sostenibile dell’Africa, promuovendo condizioni di vita dignitose, la necessità di migrare potrebbe essere ridotta.

3.12.

Il CESE invoca l’attuazione di un approccio che segni il passaggio «dagli aiuti agli investimenti», il che significa spostare l’attenzione dal dispensare sussidi al sostenere — e trattare con — soggetti economici autonomi, che fanno assegnamento su sé stessi, e promuovere progetti economici intercontinentali basati su una cooperazione paritaria.

3.13.

La riluttanza delle strutture conservatrici (ad esempio le chiese) nei confronti della gestione della crescita demografica riduce le possibilità di sviluppo di una strategia per la crescita economica e sociale sostenibile.

4.   Investimenti

4.1.

Per molti anni la politica dell’UE nei confronti dell’Africa è stata caratterizzata da buone intenzioni e promesse non mantenute. Tuttavia, in seguito alla crisi dei rifugiati è decisamente aumentato l’interesse per una nuova strategia di cooperazione con il continente africano. L’UE intende investire di più in Africa e vuole intensificare i rapporti commerciali, perché il passo successivo necessario consiste nel diventare veri partner economici. Un partenariato, questo, che dovrebbe fondarsi sul riconoscimento delle pari opportunità delle due parti, tenendo conto delle evidenti asimmetrie esistenti tra Africa ed Europa.

4.2.

Il panorama degli investimenti in Africa è un quadro non omogeneo, che rispecchia l’incertezza a livello mondiale: i flussi di investimenti esteri diretti verso l’Africa sono soggetti a fluttuazioni e non mostrano la forte tendenza al rialzo che sarebbe necessaria. Il Sud Africa, la Nigeria, il Kenya, l’Egitto e il Marocco hanno attratto, considerati nel loro insieme, il 58 % del totale degli investimenti esteri diretti nel 2016, mentre i paesi meno avanzati e più fragili devono far fronte a difficoltà sistemiche che ne ostacolano la capacità di attrarre investimenti privati.

4.3.

L’UE è la principale fonte di investimenti in Africa: gli Stati membri detengono circa il 40 % degli stock di investimenti esteri diretti, per un valore complessivo di 291 miliardi di EUR nel 2016 (14). I notevoli progressi compiuti in campo economico dall’Africa negli ultimi vent’anni e il potenziale che essa racchiude per il futuro inducono a concludere che esista la possibilità concreta di fare di più. Le proiezioni demografiche relative all’Africa indicano chiaramente che occorre altresì creare milioni di nuovi posti di lavoro di qualità, in particolare per i giovani che fanno il loro ingresso nel mercato del lavoro. Gli indicatori macroeconomici di per sé non si traducono necessariamente in un tenore di vita migliore per tutti: le politiche adottate devono far sì che lo sviluppo economico migliori le condizioni di vita di tutta la popolazione.

4.4.

Per conseguire uno sviluppo sostenibile e creare posti di lavoro di qualità per la popolazione africana, che è destinata a raddoppiare entro il 2050, si devono intensificare in particolare gli investimenti pubblici e privati.

4.5.

La questione degli investimenti è divenuta cruciale per lo sviluppo futuro dell’Africa e sarà all’ordine del giorno nei negoziati su un accordo che subentri a quello di Cotonou. Considerata la moltitudine di strumenti esistenti, un forte valore aggiunto è atteso in particolare dai negoziati su un regime di investimenti in cui una tutela adeguata degli investitori vada di pari passo con gli impegni in materia di sostenibilità, soprattutto per quanto concerne i diritti umani, la protezione dell’ambiente e la creazione di condizioni di vita dignitose.

4.6.

Per il prossimo periodo di bilancio l’UE prevede di aumentare i finanziamenti per l’Africa portandoli a 40 miliardi di EUR (46,5 miliardi di USD). La speranza è che tali risorse saranno poi moltiplicate dagli investitori privati. Come incentivo, l’UE intende fornire garanzie contro i rischi per incoraggiare il settore privato a impegnarsi e investire nei paesi africani. Andrebbero sostenuti in via prioritaria gli investimenti che perseguono e rispettano chiaramente gli obiettivi di sostenibilità stabiliti nell’Agenda 2030. Accanto al sistema di garanzie contro i rischi, è necessario disporre anche di un sistema adeguato di controlli e monitoraggio che garantisca il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il CESE raccomanda vivamente che la società civile organizzata contribuisca alla lotta contro l’uso improprio dei fondi europei.

4.7.

I potenziali investitori, e principalmente le PMI, esprimono una carenza di fiducia nei confronti del contesto in cui andrebbero effettuati gli investimenti, per quanto concerne la stabilità politica, la giustizia, i diritti di proprietà intellettuale, l’accesso ai mercati e lo stato di attuazione degli accordi commerciali.

4.8.

Il CESE raccomanda di istituire un fondo di investimento simile al Fondo sociale europeo che affianchi, in qualità di coinvestitore, gli investimenti privati e pubblici. Tale nuovo fondo dovrebbe basarsi sui criteri e sui principi dell’Agenda 2030 e sul riconoscimento delle norme fondamentali accettate a livello internazionale (15). I progetti sostenuti dovrebbero essere monitorati e iscritti in registri o piattaforme centrali. In relazione a tutti i progetti sostenuti, il CESE mette in risalto la necessità di una collaborazione ancora più intensa con la società civile organizzata (e in particolare il CESE) per quanto riguarda i valori etici perseguiti.

4.9.

Il CESE sostiene la creazione di un contesto in cui sia agevolato l’accesso ai finanziamenti per le microimprese e le piccole e medie imprese sia africane che europee, in cui venga migliorato il quadro giuridico per gli investimenti sia pubblici che privati, in cui il sistema di appalti pubblici venga reso più efficiente, in cui gli investimenti apportino vantaggi alle persone nelle economie locali e promuovano la creazione di occupazione interna di qualità, e in cui vengano promosse le necessarie norme internazionali.

4.10.

Anche le strutture finanziarie esistenti in Africa dovrebbero essere rafforzate, in modo che possano sostenere finanziamenti a lungo termine. Questo è un presupposto importante per uno sviluppo durevole e sostenibile. Inoltre, si può pensare all’esempio delle banche cooperative, che sono state una pietra angolare dello sviluppo in numerosi paesi europei, mentre le banche nazionali di promozione, che finanziano anche e soprattutto i comuni, in Europa hanno stimolato gli investimenti. Utilizzando tali strumenti i paesi europei hanno finanziato in particolare le infrastrutture pubbliche sociali e locali, che sono state una base importante non solo per gli investimenti privati e una crescita economica durevole, ma anche per lo sviluppo dei sistemi di protezione sociale europei.

4.11.

L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero concentrare i loro strumenti finanziari su obiettivi e istituzioni specifici al fine di evitare una concorrenza distruttiva. La concorrenza tra le diverse istituzioni europee e internazionali ha infatti suscitato incomprensioni e creato difficoltà di accesso ai mercati africani. Sono necessari un impegno più diretto e condiviso, un controllo congiunto e una trasparenza reciproca, e a tal fine, le componenti della società civile potrebbero svolgere un ruolo istituzionale in qualità di controllori indipendenti.

4.12.

Una politica di investimento che promuova investimenti privati europei in Africa dovrebbe essere orientata in particolare alla creazione di catene del valore regionali che producano beni che possono essere consumati primariamente in Africa, creando così mercati interni. Tale processo potrebbe ispirarsi al modello di crescita attuato in Europa nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, che, per lo sviluppo dell’industria, si basava fortemente sui mercati interni.

4.13.

Le ONG africane ed europee, e specialmente quelle che affondano le loro radici nel continente africano, potrebbero fungere da «costruttori di ponti» per lo sviluppo economico e potrebbero contribuire a favorire lo sviluppo economico sostenibile nei rispettivi paesi di origine.

5.   Commercio

5.1.

L’UE rappresenta ancora il principale partner commerciale dell’Africa, dove è diretto il 36 % di tutte le sue esportazioni, davanti alla Cina e agli Stati Uniti. L’obiettivo della Commissione europea è quello intensificare tale cooperazione e di darle una nuova base contrattuale.

5.2.

In quanto partner commerciale principale dell’Africa, l’intenzione dell’UE è stata quella di accordare ai paesi africani le più generose preferenze commerciali: attraverso il suo sistema di preferenze generalizzate (SPG) (e il regime «Tutto tranne le armi» per i paesi meno sviluppati, molti dei quali si trovano proprio in Africa) oppure mediante ALS, e in particolare APE, l’obiettivo principale dei quali è lo sviluppo.

5.3.

Tuttavia, contrariamente alle disposizioni contenute nella nuova generazione di ALS dell’UE e nell’APE con i paesi caraibici, gli ALS e gli APE con i paesi africani non prevedono alcun meccanismo di dialogo con la società civile organizzata. Ad oggi gli ALS con paesi nordafricani non comprendono ancora clausole su gruppi consultivi nazionali né capitoli su commercio e sviluppo sostenibile; e gli APE, che riguardano lo sviluppo, non contengono alcuna clausola relativa a gruppi consultivi per promuovere il dialogo tra attori non statali in merito all’attuazione sostenibile e all’impatto di tali accordi.

5.4.

L’impegno e il dialogo con la società civile organizzata possono svolgersi anche al di fuori degli accordi commerciali (o parallelamente ad essi). Dato che i rapporti commerciali e di investimento tra l’UE e l’Africa sono intesi a promuovere lo sviluppo sostenibile, dovrebbero prendervi parte tutti i soggetti interessati, e non soltanto gli attori statali.

5.5.

Alcune sfide per lo sviluppo derivano dall’attuale struttura del commercio tra l’Africa e l’Europa. Anche quando vengono ratificati, non tutti gli APE vengono effettivamente attuati dai paesi partner. Ciò non è del tutto ingiustificato, dato che sono state segnalate numerose situazioni in cui le esportazioni europee limitavano lo sviluppo delle industrie e dei settori locali (16). L’ampliamento del libero scambio rappresenta un netto mutamento strutturale per i paesi partner, che prima erano in grado di regolare i propri settori economici attraverso sistemi di preferenze. Inoltre, gli APE vengono negoziati con blocchi economici i cui membri spesso presentano situazioni diverse, che potrebbero richiedere approcci differenziati nei confronti della politica commerciale. Non da ultimo, accordi commerciali globali potrebbero comportare di per sé stessi una sfida, in termini di organizzazione dei negoziati, per i paesi in via di sviluppo e i paesi di recente industrializzazione.

5.6.

Da un maggiore impegno con la società civile derivano implicazioni in termini di costi e di creazione di capacità, che andrebbero affrontate al fine di instaurare meccanismi di collaborazione efficaci. L’UE dovrebbe destinare parte dei propri «aiuti al commercio» (ad esempio una determinata percentuale) al sostegno del dialogo sociale, nonché della partecipazione e dello sviluppo di capacità della società civile, in relazione agli sforzi in materia di commercio e investimenti sostenibili.

5.7.

L’Africa è inoltre impegnata nella conclusione di un accordo continentale di libero scambio (AfCFTA) volto alla creazione di un mercato unico africano. Ad oggi tale accordo è stato firmato da più di 40 paesi ed è considerato estremamente significativo da molti attori statali e non statali di ogni parte dell’Africa. Esso dovrebbe infatti rafforzare il commercio intra-africano e l’integrazione regionale e continentale, nonché sviluppare settori importanti dell’economia in tutta l’Africa. L’UE può sostenere efficacemente tale sforzo e contribuire a garantire che i suoi regimi commerciali preferenziali con i paesi e le regioni dell’Africa (ALS con il Nord Africa, APE e SPG) favoriscano l’integrazione commerciale continentale, nella prospettiva di un accordo commerciale tra continenti.

6.   Verso una nuova«alleanza Africa-Europa»

6.1.

L’Africa non ha bisogno di beneficenza, ha bisogno di un partenariato autentico ed equo: questo è il messaggio espresso dall’alleanza Africa-Europa per gli investimenti e l’occupazione sostenibili proposta nel settembre 2018. Secondo la proposta in questione, tale alleanza contribuirebbe a creare in Africa, soltanto nei prossimi cinque anni, fino a dieci milioni di posti di lavoro. Beninteso tali posti di lavoro dovranno garantire un reddito che consenta un tenore di vita dignitoso. L’alleanza si propone di mobilitare investimenti privati ed esplorare le enormi opportunità che possono apportare vantaggi alle persone e alle economie sia africane che europee. L’Unione europea dovrebbe considerare la possibilità di trasformare i numerosi accordi commerciali tra l’UE e l’Africa in un accordo di libero scambio tra continenti che instauri un partenariato economico tra pari. Come tale, l’alleanza rappresenta un segnale politico importante, e il partenariato che essa instaura dovrebbe fondarsi sulla parità di condizioni, avendo ben presenti le asimmetrie esistenti e tenendo conto delle rispettive capacità.

6.2.

Affinché si realizzi un’autentica alleanza, occorrono uno sforzo di riflessione da entrambe le parti, una maggiore comprensione reciproca, un più ampio coordinamento e una più stretta cooperazione; inoltre, è necessario:

assicurarsi che l’Africa abbia la titolarità dei processi;

andare oltre il rapporto con i governi;

includere tutti gli attori non statali;

porsi l’obiettivo di garantire una vita dignitosa a tutte le persone in Africa.

7.   Il dopo-Cotonou e il ruolo della società civile

7.1.

La Commissione europea ha avviato i negoziati per un nuovo ambizioso partenariato con 79 paesi ACP. Sia questi paesi che l’UE considerano la «dimensione politica» un’importante realizzazione dell’accordo di Cotonou ed auspicano che essa sia mantenuta. Tale dimensione riguarda principalmente il dialogo politico su questioni nazionali, regionali e globali di interesse comune, come pure l’impegno a favore dei diritti umani, della buona governance, della pace e della stabilità.

7.2.

Questo nuovo, equo rapporto commerciale sviluppato con i paesi africani dovrebbe promuovere il lavoro dignitoso e sostenere lo sviluppo dei servizi pubblici. La politica commerciale deve garantire il pieno rispetto e la tutela dei diritti umani, della qualità del lavoro e dell’ambiente, e deve anche tener conto delle esigenze di sviluppo dei paesi meno sviluppati. Il commercio può essere un’ottima opportunità soltanto se crea posti di lavoro di qualità e stimola la crescita sostenibile. Ogni accordo commerciale dovrebbe garantire l’inclusione della società civile organizzata, la buona governance e la trasparenza.

7.3.

Il CESE ha già avuto modo di svolgere un ruolo di rilievo nel promuovere i rapporti tra le società civili nel quadro dell’accordo di Cotonou. Adesso è importante che l’impegno costante e ancora più intenso del CESE e delle sue strutture divenga un elemento essenziale dell’accordo post-Cotonou, in modo che la società civile dell’UE sia posta in condizione di aiutare la società civile dei paesi africani a diventare un partner affidabile e degno di fiducia per gli investitori.

Bruxelles, 12 dicembre 2019

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 71.

(2)  https://www.africa-eu-partnership.org//sites/default/files/documents/eas2007_joint_strategy_en.pdf.

(3)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 29.

(4)  Intesi come soccorsi in caso di catastrofi e come aiuti umanitari, prevenzione dei conflitti, democratizzazione, cooperazione allo sviluppo, ma non sostegno e cooperazione in materia militare e di polizia di frontiera.

(5)  Ad esempio la dichiarazione di principi tripartita concernente le imprese multinazionali e la politica sociale.

(6)  Gli studi dimostrano che la disponibilità di un determinato reddito minimo è in grado di ridurre le pressioni migratorie: cfr., tra gli altri, Clemens, Does Development Reduce Migration? («Lo sviluppo riduce la migrazione?»), 2014 (http://ftp.iza.org/dp8592.pdf).

(7)  http://pubdocs.worldbank.org/en/992371492706371662/MigrationandDevelopmentBrief27.pdf.

(8)  Cfr., tra l’altro, la relazione Doing Business («Fare impresa») 2017 della Banca mondiale.

(9)  Nota strategica del Centro europeo di strategia politica The Makings of an African Century («La creazione di un secolo africano»), 2017.

(10)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 27.

(11)  Cfr. il documento del ministero tedesco dello Sviluppo intitolato Afrika und Europa — Neue Partnerschaft für Entwicklung, Frieden und Zukunft — Eckpunkte für einen Marshallplan mit Afrika («Africa ed Europa, nuovo partenariato per lo sviluppo, la pace e il futuro: punti chiave per un piano Marshall con l’Africa») e la relazione 2016 dell’Unctad sullo sviluppo economico in Africa.

(12)  Cfr., tra l’altro, Clemens, Does Development Reduce Migration? («Lo sviluppo riduce la migrazione?»), 2014 (http://ftp.iza.org/dp8592.pdf).

(13)  Africa's Development Dynamics 2018: Growth, Jobs and Inequalities, CUA/OCSE 2018.

(14)  Eurostat, 2018.

(15)  Ad esempio la dichiarazione di principi tripartita concernente le imprese multinazionali e la politica sociale.

(16)  Cfr., ad esempio, https://www.deutschlandfunk.de/das-globale-huhn-ghanas-bauern-leiden-unter-gefluegel.766.de.html?dram:article_id=433177; https://www.wienerzeitung.at/nachrichten/wirtschaft/international/835163_Was-Altkleider-fuer-Afrikas-Wirtschaft-bedeuten.html; https://www.dialog-milch.de/im-fokus-eu-milchpulver-und-der-milchmarkt-in-afrika.


24.3.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 97/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: «Il “valore d’uso” è tornato: nuove prospettive e sfide per i prodotti e i servizi europei»

(parere d’iniziativa)

(2020/C 97/04)

Relatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

19.11.2019

Adozione in sessione plenaria

11.12.2019

Sessione plenaria n.

548

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

191/3/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la fornitura di prodotti e servizi innovativi e altamente specializzati con caratteristiche essenziali riconosciute e certificate rispondenti alle esigenze dei clienti e ai requisiti di sostenibilità sociale e ambientale possa diventare l’essenza e il fulcro della competitività europea moderna. Il presente parere mira a stabilire un’identità europea in linea con i cambiamenti socioeconomici globali e sistemici.

1.2.

Il CESE sostiene che i recenti sviluppi stanno rimettendo il valore d’uso al primo posto nella concorrenza contemporanea. Ciò favorisce una ripresa sostenibile della produzione europea in tutti i settori e in tutte le industrie. In aggiunta al loro impatto socioeconomico ben documentato, le piccole e medie imprese (PMI) europee possono diventare un importante fattore per la ridefinizione della posizione europea nella distribuzione del lavoro contemporanea, in risposta alla domanda mondiale di varietà.

1.3.

Il «ritorno del valore d’uso» collima con i caratteri di base dell’Europa, contrassegnata da una significativa diversità socioculturale, geologica e climatica. Ciò sottolinea l’importanza di puntare a prodotti e servizi altamente specializzati: ai fini della competitività, i processi di produzione dovrebbero essere in linea anche con le politiche di sostenibilità sociale e ambientale.

1.4.

Se consideriamo le enormi economie di scala nelle economie emergenti e in via di sviluppo, e la negazione della responsabilità sociale e ambientale, nonché il ritorno di un protezionismo aggressivo, in molti dei paesi sviluppati, adottare modelli di produzione specializzati, qualitativi e sostenibili, è probabilmente la migliore (se non l’unica) via di uscita da questa trappola, non solo per l’Europa, ma per il mondo intero.

1.5.

In quest’ottica, il CESE raccomanda interventi strategici nelle seguenti direzioni: i) la governance nazionale e dell’Unione dovrebbe utilizzare un mix di politiche orientato al valore d’uso, modulato territorialmente in base alle caratteristiche e ai bisogni locali; ii) sarebbe opportuno sviluppare una politica industriale altrettanto ambiziosa per l’Europa e promuovere la formazione di raggruppamenti (cluster) e il cooperativismo di produttori (semi)autonomi, facendo coincidere la salvaguardia della varietà e vantaggi di scala in segmenti specifici del ciclo di vita del prodotto; iii) occorrerebbe generalizzare il sistema di simbiosi industriale per promuovere l’economia circolare; iv) si dovrebbe migliorare l’accesso alle risorse finanziarie attuando il piano di azione per l’Unione dei mercati dei capitali e la sua promozione di strumenti di microfinanziamento, nonché attraverso approcci bancari verdi e basati sul valore d’uso.

1.6.

L’istruzione e la formazione professionale e la formazione permanente offrono un’ottima opportunità per la creazione di reti e per la formazione di cluster al fine di ridurre i costi dello sviluppo umano, nonché un modo per rafforzare le capacità orizzontali fondamentali.

1.7.

L’accesso ai dati e la capacità di gestione dei dati sono il settore che dovrà essere il prossimo oggetto dell’intervento strategico. Tuttavia, garantire sia la sovranità digitale sia la vita privata delle persone fisiche e giuridiche può essere un compito difficile dal punto di vista tecnico e giuridico. D’altro canto, i produttori di prodotti e servizi devono avere anche la possibilità e la capacità di utilizzare i metodi e i processi necessari, digitalizzati o no. Accanto alla fornitura di un software con codice sorgente aperto (open source), questa discussione ci riconduce alla necessità dell’istruzione e della formazione professionali e dell’apprendimento permanente.

2.   Contesto del presente parere

2.1.

Per «valore d’uso» si intende la risposta alla domanda «a che cosa serve un prodotto o un servizio». In un approccio più ampio e completo, esso comprende tutti i diversi usi, positivi o negativi, direttamente connessi o indirettamente indotti. Il valore d’uso si riferisce a tutti i caratteri qualitativi, oggettivi e/o proiettati a livello soggettivo, di un prodotto o di un servizio durante l’intero ciclo di vita (dalla culla alla tomba). Tutto ciò che ha un valore d’uso, si tratti o no di un bene materiale, costituisce un «bene economico». In un’epoca di «economia commercializzata», il valore di scambio (il prezzo) ha spinto fuori dal quadro del mercato il valore d’uso, per cui nel migliore dei casi si pensava che il secondo fosse rappresentato dal primo.

2.2.

Oggigiorno, a causa dell’accelerazione della crescita della produttività del lavoro, si assiste a una trasformazione graduale dei bisogni umani in direzione del soddisfacimento di un desiderio di varietà piuttosto che di quantità, bisogno questo ormai saturato da tempo nei principali mercati mondiali. In generale, le preferenze dei consumatori si stanno spostando verso prodotti e servizi con qualità specializzate, differenziate, certificate. Ciò caratterizza anche i mercati emergenti, per segmenti speciali della domanda locale in funzione dell’età, dell’istruzione, dell’occupazione, del grado di urbanizzazione ecc.

2.3.

Non sorprende che i più recenti miglioramenti della tecnologia e dei procedimenti mirino a espandere la produttività, non solo per produrre quantità su vasta scala, bensì soprattutto per produrre qualità differenziate, in modo da migliorare la corrispondenza diretta tra la produzione e le preferenze esistenti.

2.4.

Per di più, l’accelerazione del cambiamento tecnico comporta anche che le merci perdano il loro tipico carattere commerciale e che si inneschi un processo di graduale decommercializzazione, anche se in misura differente nei diversi settori. Tutto ciò ricolloca il valore d’uso al centro della concorrenza contemporanea, cosa che potrebbe servire da base per una ripresa sostenibile della produzione europea in tutti i settori.

2.5.

Le istituzioni dell’Unione sembrano aver percepito queste mutazioni strutturali. La comunicazione della Commissione COM(2017) 479 verte sull’esigenza di investire in un’industria europea intelligente, innovativa e sostenibile. Il CESE ha risposto alla relativa consultazione con un parere (1) in cui sottolinea l’esigenza di rafforzare le PMI e di stimolare la pertinente innovazione.

2.6.

In un più recente parere esplorativo, il CESE ha chiesto un «approccio globale che concili lo stimolo alla crescita e la risposta alle sfide climatiche e ambientali e ai problemi sociali nella progettazione di una transizione equa». Su tale base il Comitato prosegue esortando la Commissione e gli Stati membri «ad adottare una strategia globale e di lungo termine, con una visione organica», in cui «l’attrattiva dell’Europa debba essere un obiettivo prioritario di qualsiasi politica industriale basata sull’innovazione e sulla competitività» (2).

2.7.

Più recentemente, dato il dilemma tra «costi elevati o far fronte all’effetto serra», il parere d’iniziativa del CESE sul tema «Conciliare le politiche in materia di clima e di energia: la prospettiva del settore industriale» (3) esamina la fattibilità tecnica e giuridica delle misure di aggiustamento alle frontiere per il prezzo interno delle emissioni di gas a effetto serra. In tale documento il CESE suggeriva alla Commissione di esaminare più da vicino questa possibilità e altre opzioni strategiche, ad esempio la riforma del sistema di scambio di quote di emissione, il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere e un’aliquota IVA modulata in funzione dell’intensità di carbonio.

2.8.

Il presente parere d’iniziativa si spinge oltre, menzionando ciò che un approccio globale alla politica industriale dovrebbe comprendere, al fine di riposizionare la produzione europea di beni e servizi nel contesto globale, sulla base di un modello di mercato aperto eco-sociale che risponda alla tradizione e al futuro dell’Unione.

3.   Il livello micro

3.1.

I summenzionati mutamenti strutturali aggiornano l’«utilità» delle PMI: al di là del loro ben documentato impatto socioeconomico, che consiste nell’accrescere considerevolmente il valore aggiunto in una società moderna e nel creare nuovi posti di lavoro, le PMI possono diventare il principale fattore del riposizionamento della produzione europea, data la loro capacità di rispondere alle specifiche esigenze di mercati di nicchia e alla crescente domanda mondiale di varietà.

3.2.

Il riconoscimento dell’importanza attuale delle PMI non le rende automaticamente meno vulnerabili. Uno degli obiettivi del presente parere è quindi contribuire a trovare nuovi modi per aiutare i piccoli e medi produttori europei a superare gli svantaggi legati alle dimensioni. Il CESE chiede ancora una volta la promozione di nuovi metodi di creazione di reti, formazione di raggruppamenti e cooperativismo, che preservino l’autonomia dei produttori ai fini della realizzazione di beni di qualità differenziata, mentre alcuni segmenti del ciclo di vita della produzione realizzata saranno alimentati congiuntamente utilizzando economie di scala. Ciò potrebbe applicarsi per esempio alla progettazione e alla promozione di beni, alla creazione di incubatori di imprese emergenti e di preincubatori, ai settori dei trasporti e della logistica, all’accesso alle risorse finanziarie, all’accesso ai macrodati (big data) e alle banche dati specializzate e al loro uso, come pure all’interconnettività nel contesto dell’economia circolare.

3.3.

Migliorare l’accesso alle risorse e ai servizi finanziari è fondamentale per le imprese europee e in particolare per le PMI. L’attuazione del piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali è essenziale, perché propone strumenti microfinanziari per l’innovazione, le imprese emergenti e non quotate, nonché metodi per rendere più facile entrare nei mercati e raccogliervi capitale ecc. Inoltre, data l’importanza degli aspetti ambientali e sociali riguardanti i beni e i servizi (direttamente o indirettamente), è opportuno promuovere ulteriormente l’attività bancaria che si basa su principi ecologici e sul valore d’uso. Centri di competenza adeguati potrebbero rivelarsi molto utili per includere i principi di sostenibilità nelle attività di gestione delle PMI.

3.4.

Bisognerebbe anche dedicare speciale attenzione alla transizione verso un’economia circolare, incoraggiando i produttori a collaborare e a condividere in modo efficiente le risorse. A tal fine, oltre a sottolineare l’importanza di fornire ai consumatori europei le informazioni più oggettive, il CESE richiama l’attenzione sulla creazione di parchi e distretti eco-industriali. Una comunità di imprese manifatturiere e di servizi può migliorare i risultati economici e ambientali collaborando alla gestione delle questioni ambientali e delle risorse, tra cui l’energia, l’acqua e i materiali. Questa «simbiosi» territoriale promuove la condivisione delle risorse tra entità dello stesso settore o anche di settori differenti.

3.5.

I vantaggi della simbiosi industriale possono essere percepiti a tutti i livelli di sostenibilità: l’ampliamento di collegamenti a monte e a valle nei parchi industriali e nei distretti produttivi converte il costo dello smaltimento e del trattamento dei rifiuti in un centro di profitto, riducendo il costo delle materie prime, massimizzando l’uso di risorse e strutture sottoutilizzate, ripartendo il costo delle nuove infrastrutture e investendo in collaborazione con parti interessate dello stesso settore o anche di altri settori.

3.6.

Inoltre, la gestione delle risorse diventa una fonte di innovazione, poiché aggiunge valore a risorse «inutili» o «non sfruttabili» e dischiude nuove opportunità d’affari, rendendo possibile nel contempo conformarsi alle normative ed eliminando del pari il rischio di sanzioni pecuniarie. Altrettanto importanti sono i benefici ambientali: grazie alla simbiosi industriale, l’uso di materie prime, la produzione netta di rifiuti e le emissioni di carbonio diminuiscono senza pregiudizio per l’attività economica. Questi fattori possono fungere da base per una certificazione globale riconoscibile della produzione finale, al fine di segnalare ulteriormente la qualità dei prodotti e dei servizi europei.

3.7.

Migliorare la capacità delle imprese europee, e specialmente dei piccoli e medi produttori, di gestire in modo efficiente tutti i dati e le informazioni pertinenti (un nuovo termine pertinente è servizio informazioni aziendale) aumenta le loro possibilità di sopravvivenza, ma anche la loro capacità di adattarsi a un mercato globale in evoluzione:

un uso più intelligente delle risorse, sotto forma di dati in tempo reale sullo stato di prodotti quali i veicoli e altri macchinari, consente alle imprese di individuare possibili guasti e di pianificare di conseguenza la manutenzione predittiva e le riparazioni, prolungando così la durata di vita dei prodotti;

una maggiore sicurezza di approvvigionamento, derivante dalla transizione in corso verso l’economia circolare, ossia da una minore dipendenza da risorse «vergini,» e da un maggiore uso di beni riciclati, comporta per le imprese in una minore esposizione alla volatilità dei prezzi delle materie prime, e un conseguente aumento della loro resilienza;

se i prodotti sono forniti come servizi, utilizzando sensori per controllarne l’uso, i consumatori possono pagare dei canoni in base al consumo, mentre le imprese mantengono la proprietà del prodotto, cosa che consente un uso più prolungato dei prodotti e permette ai clienti di pagare solo per ciò che utilizzano effettivamente;

più flessibilità e competitività grazie a una risposta adeguata a sfide quali la maggiore volatilità, l’interazione con i clienti e la fidelizzazione, e la costosa questione dello smaltimento dei rifiuti;

nuove modalità di interazione creativa con i clienti, per permettere alle imprese di instaurare con essi relazioni di servizio più ravvicinate, e un più efficace adattamento di prodotti e servizi.

3.8.

Non da ultimo, il tema della creazione di reti e della formazione di raggruppamenti riguarda anche lo sviluppo delle competenze richieste ai dipendenti. Il Cedefop ha sottolineato la necessità di una maggiore cooperazione, specie in materia di apprendimento sul lavoro, tra istituti di istruzione e formazione professionale, università, centri di ricerca ed imprese. Bisognerebbe rafforzare le competenze orizzontali, mediante processi di apprendimento iniziale e permanente, per dar vita a processi di fabbricazione più flessibili e stimolare la creatività e l’innovazione, anche in rapporto alla trasformazione digitale ecc.

4.   Il livello macro

4.1.

La reindustrializzazione, nel senso di ricostruzione di una struttura di produzione multisettoriale in Europa è emersa con forza, al termine di un periodo di deindustrializzazione e di un aumento dell’esternalizzazione verso altre regioni, per lo più non europee. È riconosciuto che il ripristino di un «ecosistema» diversificato, produttivo e sostenibile ha molteplici effetti positivi sullo sviluppo socioeconomico. Tale processo, infatti: i) crea collegamenti produttivi a monte e a valle; ii) rafforza i mercati locali; iii) riduce il grado di dipendenza produttiva, promuovendo così la resilienza dell’economia locale; iv) incoraggia attività interdisciplinari di ricerca e sviluppo, che intensificano l’innovazione dei processi produttivi e con riferimento alle caratteristiche dei prodotti e dei servizi offerti.

4.2.

Per mettere a segno una ripresa della produzione europea e trarre vantaggio dall’attuale tendenza globale al rientro delle attività produttive, occorre riaffermare la competitività europea nel quadro dei mercati internazionalizzati contemporanei. Le catene del valore globali subiscono importanti cambiamenti: i) continua contrazione, dalla crisi finanziaria globale in poi; ii) «regionalizzazione» come strategia per avvicinarsi ai principali mercati al consumo; iii) ristrutturazione della distribuzione territoriale delle catene di produzione.

4.3.

L’attribuzione della priorità alla qualità, oltre che al prezzo, e la perdita del carattere tipico commerciale delle merci sono legate alle caratteristiche di base dell’Europa, un’area che si caratterizza per la diversità socioculturale, geologica e climatica e dove, allo stesso tempo, o forse proprio per questo, le PMI continuano a svolgere un ruolo significativo come «intensificatori» nell’economia. Pertanto la fornitura di prodotti e servizi innovativi e altamente specializzati, con caratteristiche essenziali riconosciute e certificate, che soddisfano le esigenze dei clienti e la sostenibilità sociale e ambientale, può diventare l’essenza e il fulcro della competitività europea moderna.

4.4.

Questo argomento è ancora più convincente se consideriamo il mondo bipolare che sta prendendo forma: grandi economie di scala nelle economie emergenti e in via di sviluppo e il rifiuto della responsabilità sociale e ambientale insieme al ritorno del protezionismo aggressivo in molti dei paesi sviluppati, e l’Europa presa nel mezzo tra i due campi (interessata, per esempio, dalla guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina). Spettacolari cambiamenti tecnologici, sociali e demografici provocano profonde trasformazioni nella natura e nella struttura dell’economia globale, mentre emergono nuovi mercati locali e nuovi bisogni. Una via di uscita, non solo per l’Europa ma per il mondo intero, potrebbe consistere nell’adattamento agli sviluppi sistemici e nell’adozione delle caratteristiche summenzionate di una produzione specializzata, qualitativa e sostenibile.

5.   Proposta strategica pertinente a livello locale, nazionale e di Unione

5.1.

Per far fronte a tutte le sfide connesse al consolidamento di un’identità europea e alla riaffermazione del ruolo dei prodotti e dei servizi europei nell’economia globale, l’Unione e i suoi Stati membri devono investire risorse molto maggiori in ricerca e sviluppo, istruzione, infrastrutture, commercializzazione e tecnologie innovative. A tal fine, come sostengono le parti sociali, la società civile e altre parti in causa europee, è necessaria una politica industriale ambiziosa per l’Europa, incentrata sull’innovazione, la regolamentazione intelligente, il partenariato sociale, il libero scambio e la responsabilità sociale e ambientale.

5.2.

Data la rapida trasformazione e intensificazione della concorrenza a livello mondiale, è inevitabile disporre di una politica commerciale. Inoltre, essa è indispensabile per ovviare alle carenze del mercato interno. Tuttavia, piuttosto che restare intrappolata in una spirale protezionistica, la governance nazionale e dell’Unione dovrebbe sviluppare e applicare un mix di politiche orientato al valore d’uso, modulato territorialmente in funzione delle caratteristiche e delle esigenze locali: i) misure di standardizzazione e certificazione per la protezione nazionale e la promozione dei marchi europei all’estero; ii) diplomazia economica (pro)attiva che sfrutti i legami internazionali a livello politico, culturale e socioeconomico; iii) uso degli appalti pubblici come strumento per applicare norme qualitative sui mercati europei; iv) promozione degli investimenti infrastrutturali necessari e delle disposizioni istituzionali che rafforzino ulteriormente la competitività della produzione locale.

5.3.

Le summenzionate regolamentazioni sul commercio intelligente dovrebbero andare di pari passo con politiche industriali dell’Unione e nazionali intelligenti: i) digitalizzazione, cibernetizzazione e applicazioni di intelligenza artificiale nella produzione; ii) investimento nello sviluppo di prodotti e servizi più profondamente differenziati e altamente specializzati; iii) investimento nella capacità tecnica di produrre in modo efficiente varietà differenziate; iv) promozione della formazione di raggruppamenti e del cooperativismo per quanto riguarda i produttori (semi)autonomi, laddove preservare la varietà corrisponde ai vantaggi di scala in specifici segmenti, attentamente scelti, del ciclo di vita dei prodotti; v) generalizzazione del sistema di simbiosi industriale per promuovere l’economia circolare; vi) ulteriore rafforzamento dei legami tra produzione da un lato e ricerca e sviluppo dall’altro, anche in campi scientifici meno applicati (vedere la pertinente discussione per il nuovo programma Orizzonte Europa 2020-2025).

5.4.

In particolare per quanto riguarda la suddetta promozione della formazione mirata di raggruppamenti e della simbiosi industriale, saranno necessari degli studi regionali settoriali per individuare i segmenti della produzione locale in cui si potrebbero istituire diversi tipi di creazione di reti e di cooperativismo.

5.5.

Come già detto, l’istruzione e la formazione professionale e l’apprendimento permanente costituiscono sia strumenti per la creazione di reti e per la formazione di raggruppamenti al fine di ottenere benefici in termini di scala per quanto riguarda i costi dello sviluppo umano che devono essere sostenuti dai datori di lavoro, sia un modo per rafforzare le capacità fondamentali per stimolare la creatività, l’innovazione e la adattabilità nel processo di produzione. La futura politica europea in materia di istruzione e formazione professionale e di apprendimento permanente dovrà dare priorità a queste competenze orizzontali a tutti i livelli in vari modi, compresi nuovi metodi di apprendimento, l’utilizzo di tecnologie aggiornate e nuovi meccanismi di finanziamento, aiutando in tal modo le unità di produzione ad adottare i risultati più recenti e utilizzarli nello sviluppo di nuovi prodotti differenziati.

5.6.

L’accesso ai dati e la capacità di gestione dei dati sono il prossimo settore di intervento strategico che si riferisce all’obiettivo di aiutare i produttori e i prestatori di servizi europei a rispondere all’evoluzione contemporanea dei mercati globalizzati e a utilizzare il loro vantaggio comparativo in beni e servizi altamente specializzati. Ciò è particolarmente importante per le PMI. Tuttavia, la liberalizzazione dell’accesso ai dati va di pari passo con un rischio crescente di abusi dei dati. Garantire sia la sovranità digitale sia la vita privata delle persone fisiche e giuridiche può essere un compito difficile dal punto di vista tecnico e giuridico, ma è al tempo stesso essenziale.

5.7.

Infine, accanto al già più facile accesso a una quantità di dati in crescita esponenziale, i produttori di prodotti e servizi devono avere la possibilità e la capacità di utilizzare il necessario strumentario per la gestione dei dati, costituito da metodi e da processi, digitalizzati o non digitalizzati. L’intelligenza aziendale è un termine relativamente nuovo nella letteratura pertinente e descrive con precisione la capacità di utilizzare le informazioni e le serie di dati. Accanto agli interventi tecnici e legali per fornire il software open source, questa discussione ci conduce nuovamente alle pertinenti competenze orizzontali che devono essere sviluppate attraverso l’istruzione e la formazione professionale e l’apprendimento permanente.

Bruxelles, 11 dicembre 2019

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 70

(2)  GU C 197 dell’8.6.2018, pag. 10

(3)  GU C 353 del 18.10.2019, pag. 59


24.3.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 97/32


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Norme minime europee comuni in materia di assicurazione contro la disoccupazione negli Stati membri dell’UE: un passo concreto verso l’effettiva attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali»

(parere d’iniziativa)

(2020/C 97/05)

Relatore:

Oliver RÖPKE

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.3.2018

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Organo competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

15.11.2019

Adozione in sessione plenaria

11.12.2019

Sessione plenaria n.

548

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

141/65/14

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

In occasione del vertice sociale dell’UE, tenutosi il 17 novembre 2017 a Göteborg, è stato proclamato solennemente il pilastro europeo dei diritti sociali. Affinché tale pilastro sociale prenda realmente vita, occorre intraprendere passi concreti per assicurarne l’effettiva attuazione da parte dell’UE e degli Stati membri.

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) richiama l’attenzione sul principio 13 del pilastro sociale, relativo alle prestazioni di disoccupazione, secondo cui i disoccupati hanno diritto a un adeguato sostegno da parte dei servizi pubblici per l’impiego per (ri)entrare nel mercato del lavoro, e ad adeguate prestazioni di disoccupazione di durata ragionevole, in linea con i loro contributi e le norme nazionali in materia di ammissibilità. Tali prestazioni non dovrebbero costituire un disincentivo a un rapido ritorno all’occupazione.

1.3.

Anche se con strutture diverse a seconda dei paesi, l’assicurazione contro la disoccupazione rappresenta un elemento centrale dei sistemi sociali degli Stati membri. Il CESE è d’accordo con la Commissione quando questa afferma che un miglioramento degli standard dei sistemi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri consentirà di migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro e che gli Stati membri con sistemi di assicurazione contro la disoccupazione più generosi, e una spesa maggiore destinata alle politiche e alle misure attive per il mercato del lavoro, ottengono risultati migliori nel reintegrare i disoccupati nel mercato del lavoro in modo durevole (1). Il CESE mette, inoltre, in rilievo l’importante funzione svolta da tali sistemi in quanto stabilizzatori automatici.

1.4.

Attualmente vi sono grandi differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda le indennità di disoccupazione. Il CESE richiama l’attenzione sulla relazione comune sull’occupazione 2019, in cui si afferma che per fornire assistenza a chi è in cerca di lavoro durante le transizioni sono fondamentali prestazioni di disoccupazione di importo adeguato, di durata ragionevole, accessibili a tutti i lavoratori e accompagnate da misure efficaci di attivazione (2).

1.5.

Il CESE ribadisce la sua richiesta di livelli di occupazione e di standard sociali elevati (3) e raccomanda pertanto di fissare obiettivi per le indennità di disoccupazione degli Stati membri, in particolare per il tasso di sostituzione netto, la durata delle prestazioni e il tasso di copertura. Il CESE raccomanda inoltre di fissare obiettivi per la riqualificazione e l’attivazione.

1.6.

Anzitutto, gli obiettivi in materia di prestazioni di disoccupazione dovrebbero essere fissati e monitorati in un processo di analisi comparativa nell’ambito del semestre europeo. Il CESE ribadisce la raccomandazione di far sì che il pilastro europeo dei diritti sociali abbia un impatto anche sulla governance economica dell’UE (4). Il CESE ritiene che le raccomandazioni specifiche per paese rivolte agli Stati membri nel contesto del semestre europeo dovrebbero includere obiettivi concreti in materia di tassi netti di sostituzione, durata delle prestazioni e tasso di copertura delle indennità di disoccupazione, nonché in materia di riqualificazione e di attivazione. Le raccomandazioni specifiche per paese sono elaborate dalla Commissione, deliberate dal Consiglio e approvate dal Consiglio europeo.

1.7.

Le raccomandazioni specifiche per paese dovrebbero basarsi sugli orientamenti integrati (5). Secondo il settimo degli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione 2018 (6), che rimangono validi anche per il 2019 (7), gli Stati membri dovrebbero fornire ai disoccupati adeguate prestazioni di disoccupazione per un periodo di tempo ragionevole, in linea con i loro contributi e le norme nazionali in materia di ammissibilità, anche se tali prestazioni non dovrebbero costituire un disincentivo a un rapido ritorno all’occupazione.

1.8.

Il pilastro europeo dei diritti sociali è accompagnato da un quadro di valutazione della situazione sociale, che monitora l’attuazione del pilastro rilevando le tendenze e i progressi compiuti negli Stati membri e integrandoli nel semestre europeo. Il CESE raccomanda di monitorare in futuro anche le indennità di disoccupazione nel quadro di valutazione della situazione sociale. Raccomanda inoltre un’analisi comparativa delle indennità di disoccupazione a integrazione del quadro di valutazione della situazione sociale. Il CESE plaude quindi espressamente agli sforzi profusi attualmente dalla Commissione per condurre un’analisi comparativa delle indennità di disoccupazione, e ritiene che tali sforzi dovrebbero essere intensificati e accompagnati da un processo di monitoraggio permanente.

1.9.

L’obiettivo di tale processo di analisi comparativa delle indennità di disoccupazione è quello di promuovere la convergenza sociale verso l’alto negli Stati membri e migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro. Detto processo deve basarsi su un’analisi integrale e oggettiva della situazione attuale, e non deve limitarsi al monitoraggio e alla valutazione. Gli Stati membri devono imparare gli uni dagli altri grazie all’analisi dei migliori risultati in questo campo (apprendimento comparativo), e mettere in atto miglioramenti (azione comparativa).

1.10.

L’analisi comparativa delle indennità di disoccupazione dovrebbe essere gestita dalla Commissione, e le parti sociali dovrebbero essere coinvolte in maniera più costante e intensiva nella definizione dei parametri di riferimento.

1.11.

Gli obiettivi sociali devono portare nel tempo alla convergenza sociale. Le persone devono avere la percezione che i principi del pilastro europeo dei diritti sociali non resteranno solo sulla carta, ma saranno anche attuati concretamente e miglioreranno gradualmente le loro condizioni di vita.

1.12.

Il CESE raccomanda che i risultati dell’analisi comparativa siano attentamente monitorati e valutati. In assenza di progressi sufficienti verso gli effetti auspicati, dovrebbe essere introdotto uno strumento giuridicamente vincolante per sostenere e integrare gli sforzi degli Stati membri volti a modernizzare i sistemi di assicurazione contro la disoccupazione. Oltre a una raccomandazione del Consiglio per orientare gli Stati membri, il CESE raccomanda che sia introdotta, in conformità dell’articolo 153 del TFUE, una direttiva che stabilisca norme minime giuridicamente vincolanti per i regimi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri. Tale direttiva dovrebbe includere requisiti minimi a livello dell’UE per il tasso di sostituzione netto, la durata delle prestazioni e il tasso di copertura delle indennità di disoccupazione. Il CESE è inoltre favorevole a norme minime a livello dell’UE in materia di riqualificazione e attivazione nel contesto dell’assicurazione contro la disoccupazione.

1.13.

Verrebbero gradualmente applicate norme minime giuridicamente vincolanti. Occorre fissare un termine ragionevole per consentire a tutti gli Stati membri di raggiungere gli standard comuni.

1.14.

Come sottolinea l’articolo 153 del TFUE, non devono tuttavia risultarne limitazioni significative della competenza riconosciuta degli Stati membri di fissare i principi di base del loro sistema di sicurezza sociale e dell’equilibrio finanziario di tali sistemi. Tale principio dovrebbe essere rispettato indipendentemente dalla forma o dalla sostanza del sistema dello Stato membro. Agli Stati membri non sarebbe impedito né di esercitare i diritti previsti dai Trattati, né di mantenere o di adottare misure di tutela più elevate (più rigorose). In tal senso, occorre tenere in particolare considerazione la diversa organizzazione dei sistemi di assicurazione nazionali, il coinvolgimento delle parti sociali e il finanziamento.

2.   Situazione attuale e contesto del parere

2.1.

Dopo le esperienze dolorose della crisi economico-finanziaria scoppiata nel 2008 e le conseguenti instabilità, ora l’economia è tornata a crescere, e i tassi di disoccupazione sono in calo. Gli Stati membri, le regioni e le diverse fasce della popolazione, però, non beneficiano allo stesso modo dell’attuale ripresa dei mercati del lavoro. A questo proposito, il CESE richiama l’attenzione sulla relazione comune sull’occupazione 2019 (8).

2.2.

Il CESE condivide l’opinione del Consiglio secondo cui gli Stati membri e l’UE dovrebbero affrontare le conseguenze sociali della crisi economica e finanziaria e mirare a creare una società inclusiva. Si dovrebbero affrontare le diseguaglianze e la discriminazione. Si dovrebbero assicurare a tutti possibilità di accesso e opportunità, e ridurre la povertà e l’esclusione sociale, in particolare garantendo il buon funzionamento dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale (9).

2.3.

Con la strategia Europa 2020, l’UE si è posta l’obiettivo di ridurre di 20 milioni il numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale entro il 2020. Tale obiettivo, però, è ben lungi dall’essere raggiunto. Sebbene dal 2012 (quando quasi il 25 % della popolazione dell’UE risultava a rischio di povertà ed esclusione sociale) la situazione abbia continuato a migliorare, l’Europa si trova ancora di fronte a sfide enormi. Nel 2018 la quota della popolazione dell’UE a rischio di povertà o di esclusione sociale era pari a quasi il 22 % (10).

2.4.

L’assicurazione contro la disoccupazione, che rappresenta un elemento centrale dei sistemi sociali di tutti gli Stati membri, offre una rete di sicurezza ai lavoratori che perdono il posto di lavoro e protegge dalla povertà. Le prestazioni di disoccupazione fungono, al contempo, da stabilizzatori automatici, evitando che, in caso di aumento generalizzato della disoccupazione, i redditi, e quindi i consumi, calino troppo drasticamente. Prestazioni di disoccupazione efficaci e adeguate consentono inoltre ai lavoratori di trovare un’occupazione consona alle loro aspettative e alle loro qualifiche, oppure di riqualificarsi nel quadro delle politiche attive del mercato del lavoro.

2.5.

A seguito delle politiche adottate nel contesto della crisi, negli ultimi anni la protezione sociale è peggiorata in alcuni Stati membri. Sempre più spesso, nell’UE gli interessi e i bisogni sociali delle persone non sono garantiti. Per la prima volta nella storia, l’integrazione europea compie, con la Brexit, un passo indietro. Tali sviluppi vanno interpretati come segnali d’allarme. Affinché l’UE possa avere un futuro e riconquistare la fiducia dei cittadini, secondo il CESE occorre ora rafforzare la dimensione sociale dell’UE, affrontando al tempo stesso altre sfide del momento, quali i cambiamenti climatici e la digitalizzazione. A tal fine è necessario un impegno a tutti i livelli, anche da parte degli Stati membri, delle parti sociali e dei soggetti della società civile, sulla base di un’economia stabile, sostenibile e inclusiva (11).

2.6.

In occasione del vertice sociale dell’UE tenutosi il 17 novembre 2017 a Göteborg, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea hanno proclamato solennemente il pilastro europeo dei diritti sociali. Per dargli vita, occorre intraprendere passi concreti che ne assicurino l’effettiva attuazione da parte dell’UE e degli Stati membri. Gli orientamenti politici per la Commissione europea 2019-2024 della neoeletta presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, annunciano un piano d’azione per la piena attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali. Il CESE intende contribuire all’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali con la sua proposta sugli obiettivi in materia di indennità di disoccupazione degli Stati membri.

2.7.

Il CESE richiama l’attenzione sul principio 13 del pilastro sociale (Prestazioni di disoccupazione), secondo cui i disoccupati hanno diritto a un adeguato sostegno da parte dei servizi pubblici per l’impiego per (ri)entrare nel mercato del lavoro, e ad adeguate prestazioni di disoccupazione di durata ragionevole, in linea con i loro contributi e le norme nazionali in materia di ammissibilità. Tali prestazioni non devono costituire un disincentivo a un rapido ritorno all’occupazione.

2.8.

In tale contesto, il CESE ricorda anche il principio 17 del pilastro sociale, secondo cui le persone con disabilità hanno diritto a un sostegno al reddito che garantisca una vita dignitosa e a servizi che consentano loro di partecipare al mercato del lavoro e alla società. Con riferimento alla durata delle prestazioni di disoccupazione, occorre tener conto del fatto che, per le persone con disabilità, la ricerca di un nuovo posto di lavoro, così come le misure di riqualificazione, sono decisamente più difficoltose e richiedono più tempo.

2.9.

L’assicurazione contro la disoccupazione rappresenta un elemento centrale dei sistemi sociali di tutti gli Stati membri. Le disposizioni nazionali dei sistemi di assicurazione contro la disoccupazione sono strutturate in modo molto diverso, in termini sia di ammissibilità, sia di ammontare, sia di durata che di modalità di calcolo della prestazione. Il CESE raccomanda di fissare obiettivi per le prestazioni di disoccupazione nel contesto del semestre europeo e richiama l’attenzione sull’esigenza di garantire determinate prestazioni sociali fondamentali sulla base di regole comuni a livello di UE (12). Esso raccomanda una continua valutazione del processo di analisi comparativa. Una raccomandazione del Consiglio consentirebbe di avviare negli Stati membri i dibattiti e le riforme riguardanti l’introduzione di norme minime comuni e di dar vita a una cooperazione tra Stati membri in questo settore.

2.10.

In assenza di progressi sufficienti verso gli effetti auspicati, il CESE raccomanda di introdurre una direttiva ai sensi dell’articolo 153 del TFUE che stabilisca norme minime giuridicamente vincolanti per i regimi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri. Tale direttiva dovrebbe includere requisiti minimi a livello dell’UE per il tasso di sostituzione netto, la durata delle prestazioni e il tasso di copertura delle indennità di disoccupazione. Il CESE è inoltre favorevole a norme minime a livello dell’UE in materia di riqualificazione e attivazione nel contesto dell’assicurazione contro la disoccupazione. Le norme minime non devono impedire agli Stati membri di stabilire norme più ambiziose (cfr. punto 16 del preambolo del pilastro sociale). Le norme esistenti negli Stati membri, inoltre, non devono essere indebolite. Il CESE raccomanda che le norme minime sui sistemi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri siano fissate in combinazione con un’opportuna applicazione di una clausola di non regressione (volta a evitare che l’introduzione di norme minime sia accompagnata da un abbassamento degli standard di protezione). Ciò riflette l’obiettivo dell’UE di migliorare le condizioni di vita e di lavoro tra gli Stati membri, in linea con la convergenza verso l’alto (articolo 151 del TFUE).

2.11.

Nell’ambito del sostegno ai disoccupati occorre operare una distinzione tra le prestazioni di sicurezza sociale (prestazioni assicurative) e l’assistenza sociale. Solitamente le prestazioni assicurative sono a carattere contributivo e presuppongono un determinato periodo di occupazione lavorativa. L’assistenza sociale, invece, rappresenta una prestazione assistenziale indipendente dai contributi, finanziata dal gettito fiscale, volta ad aiutare le persone che non sono in grado di provvedere autonomamente al proprio sostentamento e soggetta a una verifica dello stato di bisogno. Il presente parere d’iniziativa del CESE riguarda le prestazioni di sicurezza sociale.

2.12.

Nel contesto del dibattito sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria, la Commissione propone di creare una funzione di stabilizzazione per la zona euro (con possibilità di partecipazione per gli Stati membri non appartenenti alla zona euro) che consenta, in futuro, di reagire meglio agli shock asimmetrici. Tra le possibili opzioni percorribili per una siffatta funzione di stabilizzazione, la Commissione menziona l’istituzione di un regime europeo di riassicurazione contro la disoccupazione quale fondo di riassicurazione per i regimi di disoccupazione nazionali (13). Tale proposta in materia di politica di bilancio, oggetto al momento di un acceso dibattito, dev’essere ben distinta dal presente parere d’iniziativa, che formula invece una proposta di politica sociale volta a consolidare la dimensione sociale dell’UE.

2.13.

Il CESE ha recentemente auspicato che sia valutata la possibilità di introdurre standard minimi a livello UE nei regimi nazionali di disoccupazione per garantire, tra l’altro, a qualsiasi persona in cerca di lavoro la possibilità di beneficiare di un sostegno finanziario (14). Con il presente parere, il CESE dà ora un seguito all’impegno assunto.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Secondo il settimo degli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione 2018 (15), che rimangono validi anche per il 2019 (16), gli Stati membri dovrebbero fornire ai disoccupati adeguate prestazioni di disoccupazione per un periodo di tempo ragionevole, in linea con i loro contributi e le norme nazionali in materia di ammissibilità. Tale raccomandazione tiene conto del pilastro sociale negli orientamenti in materia di occupazione.

3.2.

Ridurre il numero di persone a rischio o in condizioni di povertà e di esclusione sociale è uno dei cinque obiettivi della strategia Europa 2020, e uno dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Anche con il quadro di valutazione della situazione sociale, introdotto attraverso il pilastro europeo dei diritti sociali, vengono monitorate le tendenze e i progressi negli Stati membri riguardo alle persone colpite o minacciate dalla povertà o dall’esclusione sociale.

3.3.

Il CESE rinvia all’osservazione della Commissione, secondo cui la durata delle prestazioni dell’assicurazione contro la disoccupazione influisce direttamente sul rischio di povertà dei disoccupati. Gli Stati membri con sistemi di assicurazione contro la disoccupazione più generosi e una maggiore spesa per politiche e misure attive per il mercato del lavoro sono maggiormente in grado di reintegrare stabilmente i disoccupati nel mercato del lavoro (17). Vi sono grandi differenze tra gli Stati membri, la durata delle prestazioni di disoccupazione variando dai 90 giorni dell’Ungheria a un periodo illimitato in Belgio (18).

3.4.

A parere del CESE, le prestazioni di sicurezza sociale devono essere concepite in modo tale che, nel momento in cui sussiste una situazione di rischio come la disoccupazione, l’interessato possa comunque contare su uno standard di vita adeguato. L’ammontare della prestazione di disoccupazione, vale a dire il tasso di sostituzione netto, deve, pertanto, essere adeguato. Anche in questo caso si palesano differenze significative nell’UE. Per un lavoratore a basso salario e con anzianità lavorativa breve (1 anno) i tassi netti di sostituzione variano da meno del 20 % dell’ultima retribuzione (netta) in Ungheria a circa il 90 % in Lussemburgo (19).

3.5.

Il numero dei disoccupati che percepiscono le prestazioni di disoccupazione rispetto al totale dei disoccupati è espresso, invece, dal tasso di copertura (quota di disoccupati interessati dalla misura). Il tasso di copertura è espresso in funzione di una determinata durata della disoccupazione (ad esempio la percentuale di disoccupati che beneficiano di una prestazione dopo un anno di disoccupazione). Anche in questo caso c’è una notevole divergenza tra gli Stati membri. La percentuale di disoccupati di breve periodo (ossia senza lavoro da meno di un anno) che ricevono un’indennità di disoccupazione è pari mediamente a solo un terzo del totale dei disoccupati. La Germania ha il tasso di copertura più elevato, pari a circa il 63 %. Per contro, il tasso di copertura è nettamente inferiore al 15 % a Malta e in Croazia, Polonia, Romania e Bulgaria (20).

3.6.

Un basso tasso di copertura, in un determinato Stato membro, può essere dovuto a diverse ragioni, tra cui la disoccupazione giovanile. I giovani disoccupati che non riescono a entrare nel mondo del lavoro, spesso non hanno diritto a prestazioni perché non possono vantare periodi di occupazione, e, quindi, in molti casi non beneficiano di alcuna prestazione.

3.7.

A tale proposito, il CESE ribadisce ancora una volta che la transizione dei giovani dall’istruzione e/o dalla formazione al mercato del lavoro è di fondamentale importanza. Ai giovani, pertanto, occorre offrire il massimo sostegno possibile, onde garantirne un’integrazione quanto più rapida possibile nel mercato del lavoro.

3.8.

Anche la durata della disoccupazione influisce sul tasso di copertura. Il tasso di copertura, pari mediamente a circa un terzo nell’UE per i disoccupati di breve periodo, si riduce nel caso dei disoccupati di lungo periodo, essendo la durata delle prestazioni di disoccupazione limitata nella maggior parte degli Stati membri. Il CESE raccomanda di fissare un obiettivo per il tasso di copertura dei disoccupati di breve periodo (persone disoccupate da meno di un anno).

3.9.

Un’ulteriore causa del basso tasso di copertura sono le nuove forme di occupazione e i rapporti di lavoro atipici e precari, che rendono difficile maturare diritti alla prestazione di disoccupazione. Con riferimento all’accordo politico del Consiglio su una raccomandazione relativa all’accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi, il CESE raccomanda una soluzione globale ai fini del riconoscimento dei diritti in materia di sicurezza sociale per i lavoratori nelle nuove forme di occupazione (21).

3.10.

Secondo il principio 1 del pilastro europeo dei diritti sociali, ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro. Il CESE sostiene pertanto gli obiettivi in materia di riqualificazione e attivazione e ribadisce il giudizio secondo cui il diritto all’apprendimento permanente per tutti dovrebbe essere all’ordine del giorno dell’UE (22).

3.11.

Il CESE condivide la posizione della Commissione secondo cui un miglioramento degli standard dei sistemi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri consente a sua volta di migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro. A standard bassi, invece, non corrisponde necessariamente una spesa pubblica inferiore, dal momento che, nella maggior parte dei casi, i disoccupati che non percepiscono una prestazione di disoccupazione beneficiano di un’altra forma di assistenza statale (per esempio un’indennità di disoccupazione di tipo assistenziale oppure un reddito minimo). Come afferma la Commissione, è plausibile ipotizzare che le maggiori spese legate al miglioramento degli standard dell’assicurazione contro la disoccupazione, nonché una politica del mercato del lavoro attiva, possano essere compensate in tempi relativamente brevi da un aumento dell’occupazione e dal conseguente incremento del gettito fiscale, nonché da una crescita più rapida dell’economia (23).

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Attualmente vi sono grandi differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda le indennità di disoccupazione. Il CESE richiama l’attenzione sulla relazione comune sull’occupazione 2019, in cui si afferma che per fornire assistenza a chi è in cerca di lavoro durante le transizioni sono fondamentali prestazioni di disoccupazione di importo adeguato, di durata ragionevole, accessibili a tutti i lavoratori e accompagnate da misure efficaci di attivazione (24).

4.2.

Il CESE raccomanda pertanto di fissare obiettivi per le prestazioni di disoccupazione degli Stati membri, e in particolare per il tasso di sostituzione netto, la durata delle prestazioni e il tasso di copertura. Il CESE raccomanda inoltre di fissare obiettivi per la riqualificazione e l’attivazione.

4.3.

Il CESE plaude espressamente agli sforzi profusi dalla Commissione per dare attuazione al pilastro sociale, tra l’altro nell’ambito del semestre europeo, e per promuovere un’analisi comparativa delle prestazioni delle assicurazioni nazionali contro la disoccupazione (anche tramite la relazione comune sull’occupazione). Tale analisi comparativa è a giusto titolo considerata uno strumento importante per attuare il pilastro dei diritti sociali. Questi sforzi dovrebbero essere intensificati e accompagnati da un processo di monitoraggio permanente. L’analisi comparativa delle prestazioni di disoccupazione deve perseguire l’obiettivo di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto nell’UE e a un migliore funzionamento dei mercati del lavoro.

4.4.

Secondo il CESE, le raccomandazioni specifiche per paese dovrebbero includere obiettivi concreti per i tassi netti di sostituzione, la durata delle prestazioni e i tassi copertura, nonché per la riqualificazione e l’attivazione, a sostegno dell’approccio della Commissione secondo cui prestazioni più generose devono andare di pari passo con una corrispondente attivazione dei disoccupati.

4.5.

Il successo del mercato interno dipende in larga misura dall’efficienza dei mercati del lavoro e del sistema di protezione sociale, e dalla capacità delle economie europee di adattarsi agli shock. Sulla base di tale premessa, la strategia Europa 2020 era stata definita quale strategia per trasformare l’UE in un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva, al fine di realizzare livelli elevati di occupazione, produttività e coesione sociale (25). Il CESE osserva che l’UE non riuscirà a raggiungere l’obiettivo della strategia Europa 2020 di ridurre di 20 milioni il numero delle persone a rischio o in condizioni di povertà e di esclusione sociale.

4.6.

Secondo il CESE, dopo le elezioni del Parlamento europeo del 23-26 maggio 2019, un compito urgente della nuova Commissione dev’essere quello di proporre misure volte a migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro e a conseguire una convergenza sociale verso l’alto negli Stati membri. C’è inoltre bisogno di una nuova strategia sulla dimensione sociale dell’Europa dopo il 2020.

4.7.

Gli Stati membri stanno attualmente discutendo la dimensione sociale dell’Europa dopo il 2020, compresa la questione di quali aspetti chiave debbano essere determinanti per tale futura dimensione sociale (26). Il CESE ritiene che due aspetti essenziali della dimensione sociale dell’Europa dopo il 2020 siano un migliore funzionamento dei mercati del lavoro e la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Un contributo significativo potrebbe derivare dalla definizione di obiettivi per le indennità di disoccupazione degli Stati membri.

4.8.

Gli obiettivi sociali devono portare nel tempo alla convergenza sociale. Le persone devono avere la percezione che diritti e principi come quelli del pilastro europeo dei diritti sociali non resteranno solo sulla carta, ma che saranno attuati concretamente, e miglioreranno gradualmente le loro condizioni di vita.

4.9.

Qualora gli obiettivi previsti nel quadro del semestre europeo non dessero risultati sufficienti, il CESE raccomanda l’introduzione, a norma dell’articolo 153 del TFUE, di una direttiva che stabilisca norme minime giuridicamente vincolanti per i sistemi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri, per tener conto della dimensione sociale dell’Europa. Tale direttiva dovrebbe includere requisiti minimi a livello dell’UE per il tasso di sostituzione netto, la durata delle prestazioni e il tasso di copertura delle indennità di disoccupazione. Il CESE è inoltre favorevole a norme minime a livello dell’UE in materia di riqualificazione e attivazione nel contesto dell’assicurazione contro la disoccupazione.

Bruxelles, 11 dicembre 2019

Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Scheda tematica per il semestre europeo — Prestazioni di disoccupazione — 2017.

(2)  COM(2018) 761 final del 21.11.2018, Consiglio EPSCO, 7619/2019 del 15.3.2019.

(3)  GU C 62 de 15.2.2019, pag. 165.

(4)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145.

(5)  GU L 224 del 5.9.2018, pag. 4.

(6)  GU L 224 del 5.9.2018, pag. 4.

(7)  GU L 185 dell’11.7.2019, pag. 44.

(8)  COM(2018) 761 final del 21.11.2018, Consiglio EPSCO, 7619/2019 del 15.3.2019.

(9)  GU L 224 del 5.9.2018, pag. 4.

(10)  Eurostat, 16.10.2019.

(11)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 1.

(12)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 40.

(13)  COM(2017) 822 final del 6.12.2017.

(14)  GU C 129 del 11.4.2018, pag. 7.

(15)  GU L 224 del 5.9.2018, pag. 4.

(16)  GU L 185 dell’11.7.2019, pag. 44.

(17)  Scheda tematica per il semestre europeo — Prestazioni di disoccupazione — 2017.

(18)  COM(2018) 761 final del 21.11.2018, Consiglio EPSCO, 7619/2019 del 15.3.2019.

(19)  COM(2018) 761 final del 21.11.2018, Consiglio EPSCO, 7619/2019 del 15.3.2019.

(20)  COM(2018) 761 final del 21.11.2018, Consiglio EPSCO, 7619/2019 del 15.3.2019.

(21)  GU C 129 del 11.4.2018, pag. 7.

(22)  GU C 237 del 6.7.2018, pag. 8 e pareri del CESE GU C 14 del 15.1.2020, pag. 1 e GU C 14 del 15.1.2020, pag. 46.

(23)  Scheda tematica per il semestre europeo — Prestazioni di disoccupazione — 2017.

(24)  COM(2018) 761 final del 21.11.2018, Consiglio EPSCO, 7619/2019 del 15.3.2019.

(25)  COM(2018) 761 final del 21.11.2018, Consiglio EPSCO, 7619/2019 del 15.3.2019.

(26)  Consiglio EPSCO ST 6622 2019 INIT, 27.2.2019.


ALLEGATO

I seguenti emendamenti sono stati respinti dall’Assemblea ma hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 59, paragrafo 3, del regolamento interno):

1.   Punto 1.12

Modificare come segue:

Il CESE raccomanda che i risultati dell’analisi comparativa siano attentamente monitorati e valutati. In assenza di progressi sufficienti verso gli effetti auspicati, dovrebbe essere considerata l’introduzione di introdotto uno strumento giuridicamente un quadro giuridico vincolante per sostenere e integrare gli sforzi degli Stati membri volti a modernizzare i sistemi di assicurazione contro la disoccupazione. Oltre a una raccomandazione del Consiglio per orientare gli Stati membri, il CESE raccomanda che sia considerata l’introduzione introdotta, in conformità dell’articolo 153 del TFUE, una direttiva di un quadro giuridico vincolante che stabilisca norme minime giuridicamente vincolanti per i regimi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri. Essa Tale quadro giuridico dovrebbe includere requisiti minimi a livello dell’UE per il tasso di sostituzione netto , la durata delle prestazioni e la copertura delle indennità di disoccupazione. Il CESE è inoltre favorevole a norme minime a livello dell’UE in materia di formazione e attivazione nel contesto dell’assicurazione contro la disoccupazione.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

64

Contrari:

119

Astensioni:

19

2.   Punto 2.10

In assenza di progressi sufficienti verso gli effetti auspicati e dopo un attento monitoraggio e valutazione dei risultati, il CESE raccomanda di considerare la possibilità di introdurre una direttiva ai sensi dell’articolo 153 del TFUE un quadro giuridico vincolante che stabilisca norme minime giuridicamente vincolanti per i regimi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri. Essa Tale quadro giuridico dovrebbe includere requisiti minimi a livello dell’UE per il tasso di sostituzione netto , la durata delle prestazioni e la copertura delle indennità di disoccupazione. Il CESE è inoltre favorevole a norme minime a livello dell’UE in materia di formazione e attivazione nel contesto dell’assicurazione contro la disoccupazione. Le norme minime non devono impedire agli Stati membri di stabilire norme più ambiziose (cfr. punto 16 del preambolo del pilastro sociale). Le norme esistenti negli Stati membri, inoltre, non devono essere indebolite. Il CESE raccomanda che le norme minime sui sistemi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri siano fissate in combinazione con un’opportuna applicazione di una clausola di non regressione (volta a evitare che l’introduzione di norme minime sia accompagnata da un regresso). Ciò riflette l’obiettivo dell’UE di migliorare le condizioni di vita e di lavoro tra gli Stati membri, in linea con la convergenza verso l’alto (articolo 151 del TFUE).

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

63

Contrari:

122

Astensioni:

18

3.   Punto 4.9

Qualora, dopo un attento monitoraggio e valutazione, gli obiettivi previsti nel quadro del semestre europeo non dessero risultati sufficienti, il CESE raccomanda di considerare l’introduzione, a norma dell’articolo 153 del TFUE, di una direttiva di un quadro giuridico vincolante che stabilisca norme minime giuridicamente vincolanti per i sistemi di assicurazione contro la disoccupazione degli Stati membri, per tener conto della dimensione sociale dell’Europa. Essa Tale quadro giuridico dovrebbe includere requisiti minimi a livello dell’UE per il tasso di sostituzione netto , la durata delle prestazioni e la copertura delle indennità di disoccupazione. Il CESE è inoltre favorevole a norme minime a livello dell’UE in materia di formazione e attivazione nel contesto dell’assicurazione contro la disoccupazione.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

63

Contrari:

122

Astensioni:

21


24.3.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 97/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: «Definire l’agenda dell’UE sui diritti delle persone con disabilità 2020-2030: un contributo del Comitato economico e sociale europeo»

(parere d’iniziativa)

(2020/C 97/06)

Relatore:

Ioannis VARDAKASTANIS

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

15.11.2019

Adozione in sessione plenaria

11.12.2019

Sessione plenaria n.

548

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

178/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) invita la Commissione europea a prendere in seria considerazione, nell’elaborare l’agenda sui diritti delle persone con disabilità 2020-2030 (in prosieguo semplicemente «l’agenda»), le raccomandazioni e conclusioni che seguono, così da attuare in modo più completo la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) e onorare gli impegni assunti con l’agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), dove il tema della disabilità viene menzionato 11 volte. Il CESE raccomanda in particolare di attuare le misure descritte qui di seguito:

1.2.

la presenza di punti di contatto sulla disabilità (PCD) in tutte le direzioni generali e le agenzie della Commissione e in generale in tutte le istituzioni dell’UE, con un PCD centrale presso il segretariato generale della Commissione, visto il carattere trasversale delle questioni legate alla disabilità, e l’istituzione di un comitato sui diritti delle persone con disabilità, costituito dalla rete di questi PCD, incaricato di controllare l’attuazione dell’agenda della Commissione. Dato che nella nuova Commissione vi sarà una commissaria responsabile dell’Uguaglianza, è fondamentale che venga istituito un PCD anche presso la DG Giustizia;

1.3.

l’adozione di un meccanismo interistituzionale che coinvolga la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio (1), nell’ambito del quale i presidenti di queste tre istituzioni si riuniscano all’inizio di ogni mandato. Per agevolare il funzionamento di tale meccanismo, il CESE chiede che sia istituito anche un gruppo di lavoro sulla disabilità presso il Consiglio;

1.4.

la messa a disposizione, da parte delle istituzioni dell’Unione, di tutti i mezzi, le risorse umane e il sostegno finanziario necessari affinché il quadro di monitoraggio dell’Unione per la CRPD possa svolgere i suoi compiti conformemente all’articolo 33, paragrafo 2, della CRPD;

1.5.

l’istituzione di una «commissione europea per l’accesso», incaricata di monitorare l’attuazione della normativa dell’Unione in materia di accessibilità;

1.6.

il riesame, da parte della Commissione europea, di tutte le competenze concorrenti con gli Stati membri attribuitele dalla CRPD e dal diritto dell’Unione per stabilire in quali ambiti l’Unione possa lavorare insieme agli Stati membri ai fini dell’attuazione. Tale decisione dovrebbe essere adottata attraverso l’elaborazione di una «dichiarazione sulle competenze» che riveda la dichiarazione sulle competenze esclusive dell’Unione e attraverso la ratifica del protocollo opzionale della CRPD;

1.7.

l’integrazione nell’agenda, da parte della Commissione, dei principi del pilastro europeo dei diritti sociali, con proposte specifiche per l’attuazione del principio n. 17 del pilastro sull’inclusione delle persone con disabilità;

1.8.

l’adozione di provvedimenti concreti per l’attuazione dell’agenda, tra cui i più urgenti sono: l’adozione di norme legislative per combattere tutte le forme di discriminazione basate sulla disabilità (2); una direttiva che armonizzi il riconoscimento della valutazione della disabilità in tutta l’Unione per agevolare la libera circolazione delle persone con disabilità; misure che garantiscano i diritti delle persone con disabilità alla partecipazione politica a livello dell’Unione e orientamenti indirizzati agli Stati membri tesi ad assicurare gli stessi diritti a livello nazionale; una legislazione vincolante che armonizzi le norme sull’accessibilità per l’ambiente edificato; misure che armonizzino le norme minime in materia di soluzioni appropriate per le persone con disabilità sul luogo di lavoro e stabiliscano orientamenti sulle norme minime per quanto concerne il livello delle prestazioni d’invalidità e l’erogazione di servizi, inclusi il sostegno ad una vita autonoma e, ove possibile, la prestazione di un’assistenza personale negli Stati membri;

1.9.

l’integrazione degli aspetti relativi all’uguaglianza nei confronti della disabilità in tutte le politiche economiche, sociali e ambientali dell’Unione, e segnatamente nella strategia per la parità di genere, nella garanzia per i giovani, nel «new deal» (nuovo patto) ecologico, nella garanzia per l’infanzia e nel Libro verde sull’invecchiamento che verrà elaborato a breve;

1.10.

l’introduzione, concordata tra le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri, di una «garanzia per i diritti delle persone con disabilità», modellata sulla «garanzia per i giovani» e intesa ad ottenere per i disabili posti di lavoro, tirocini, collocamenti professionali e anche un’ulteriore istruzione o formazione;

1.11.

un sostegno migliore alle persone con disabilità da parte del bilancio dell’Unione, investendo nella ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie assistive, stanziando fondi per rafforzare l’accessibilità dei programmi Erasmus+ al fine di accrescere la partecipazione delle persone con disabilità, finanziando la transizione dall’assistenza in istituti all’assistenza nell’ambito della famiglia o della comunità (assistenza di prossimità), nonché il passaggio ad una vita autonoma, unitamente a robusti meccanismi di monitoraggio e di valutazione a livello nazionale, e infine investendo strategicamente le risorse dell’Unione per attuare la CRPD negli Stati membri, segnatamente nei settori in cui l’Unione non dispone di una competenza esclusiva;

1.12.

un contributo effettivo dell’agenda alla promozione dei diritti delle persone con disabilità nell’azione esterna dell’Unione;

1.13.

il miglioramento (fondamentale nell’economia dell’agenda) della raccolta e della pubblicazione dei dati sulle persone con disabilità nell’ambito delle attività di Eurostat;

1.14.

l’inclusione nell’agenda di parametri di riferimento chiari e concreti, come pure di indicatori misurabili, specialmente per le donne e le ragazze con disabilità, le persone con disabilità sia giovani che anziane, nonché i rifugiati, i migranti e le persone LGBTI con disabilità;

1.15.

l’esercizio, da parte della Commissione e attraverso il processo del semestre europeo, di pressioni sugli Stati membri affinché elaborino le loro strategie nazionali in materia di disabilità per promuovere l’integrazione nelle politiche del tema dell’uguaglianza nei confronti della disabilità e si occupino dell’attuazione della CRPD nell’ambito dei loro programmi nazionali di riforma;

1.16.

l’inclusione nell’agenda di misure di sensibilizzazione sui diritti delle persone con disabilità sanciti dalla CRPD;

1.17.

la forte considerazione, nelle discussioni svolte nell’ambito del dialogo sociale, a livello dell’Unione e nazionale, e della negoziazione dei contratti collettivi tra le parti sociali, dei diritti delle persone con disabilità e dell’attuazione della CRPD, con la piena consultazione delle organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità e con la loro partecipazione;

1.18.

la garanzia del pieno e attivo coinvolgimento delle organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità e delle altre organizzazioni della società civile nell’elaborazione, nell’attuazione e nella governance dell’agenda.

2.   Introduzione

2.1.

Il CESE sottolinea che, in quanto strategia che sarà elaborata e attuata in un contesto in cui l’Unione e tutti gli Stati membri hanno sottoscritto e ratificato la CRPD, l’agenda dovrebbe rappresentare uno strumento idoneo per trattare l’intera materia che rientra nell’ambito di applicazione della CRPD.

2.2.

A differenza dell’attuale strategia sulla disabilità, l’agenda 2020-2030 dovrebbe tener conto anche del legame inscindibile tra obblighi ai sensi della CRPD e impegni assunti in relazione agli OSS e al pilastro europeo dei diritti sociali. Il CESE, pertanto, propone di ribattezzare l’agenda «l’agenda europea sui diritti delle persone con disabilità 2020-2030».

2.3.

Alla luce del riesame dell’attuazione della CRPD da parte dell’Unione europea, effettuato nel 2015 dal comitato CRPD, il CESE sottolinea la necessità che la nuova agenda sia strutturata altresì intorno alle osservazioni conclusive e a una serie di raccomandazioni.

2.4.

La nuova agenda dovrebbe essere basata su un riesame trasversale e completo di tutte le politiche e normative dell’Unione, e dovrebbe essere coerente con le altre iniziative e strategie dell’Unione onde garantire la piena armonizzazione con la CRPD. Essa dovrà inoltre riflettere l’approccio alle disabilità basato sui diritti umani e integrare gli ultimi sviluppi in materia di diritti sociali e digitali.

2.5.

Considerata la vulnerabilità di taluni gruppi di persone con disabilità, tutti gli ambiti della nuova agenda dovrebbero dedicare particolare attenzione alle donne e ai minori con disabilità, alle persone con disabilità sia giovani che anziane, ai rifugiati e ai migranti con disabilità, alle persone LGBTI con disabilità e alle persone con disabilità senza-dimora.

3.   Principi dell’agenda europea sui diritti delle persone con disabilità

3.1.

In linea con i principi generali enunciati all’articolo 3 della CRPD, il CESE ritiene che la nuova agenda dovrebbe integrare in modo trasversale il tema della disabilità in tutte le politiche e le normative dell’Unione che incidono sulla vita delle persone con disabilità. L’agenda deve promuovere i principi di non discriminazione, accessibilità, partecipazione e inclusione, pari opportunità, parità di genere, rispetto della dignità intrinseca e dell’autonomia individuale, accettazione delle persone con disabilità quale componente della diversità umana e dell’umanità stessa, come pure il riconoscimento delle capacità in evoluzione delle persone con disabilità e del loro diritto a mantenere una propria identità.

4.   Portata dell’agenda europea sui diritti delle persone con disabilità

4.1.   Combattere la discriminazione e le disuguaglianze (3)

4.1.1.

Metà dei cittadini europei ritiene che la discriminazione basata sulla disabilità sia un fenomeno diffuso nell’Unione, e tale percentuale è in crescita (4). Il CESE raccomanda in particolare di attuare le misure descritte qui di seguito.

4.1.2.

Le istituzioni dell’Unione devono prendere misure concrete per l’adozione di una direttiva antidiscriminazione orizzontale (sulla disabilità) che tuteli le persone con disabilità dalla discriminazione in tutti gli ambiti della loro vita. Questa nuova direttiva deve riconoscere il diniego di una soluzione appropriata in un qualsiasi ambito della vita come una forma di discriminazione basata sulla disabilità, e riconoscere anche altre forme di discriminazione come la discriminazione per associazione e la discriminazione multipla («ordinaria» e additiva) e intersezionale.

4.1.3.

Le istituzioni dell’Unione devono accelerare l’adozione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), e adottare inoltre provvedimenti concreti per prevenire, combattere e sanzionare la violenza di genere.

4.1.3.1.

Tutte le istituzioni dell’Unione, nella loro veste di datori di lavoro pubblici, devono garantire l’accessibilità, ad esempio garantendo la disponibilità di siti intranet ed Internet accessibili, adottando, in materia di risorse umane, politiche e procedure volte a incrementare la presenza di personale con disabilità e assicurando l’inclusività delle scuole europee.

4.1.3.2.

Le istituzioni dell’Unione devono garantire le misure necessarie a porre rimedio alla mancanza di pari opportunità per le persone con disabilità attingendo ai fondi europei. Occorrerebbe inoltre dedicare maggiore attenzione alle persone vittime di discriminazione multipla o intersezionale a causa della nazionalità, dell’età, della razza o dell’origine etnica, del genere, della religione o del credo, dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale.

4.1.3.3.

Come già raccomandato in passato dal CESE, l’articolo 7 del regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (5) recante disposizioni comuni (RDC), ossia quello per il periodo 2014-2020, dev’essere inserito nel nuovo RDC (ossia quello proposto per il periodo 2021-2027), e tale principio dev’essere direttamente sancito nel testo principale del regolamento, anch’esso attualmente allo stadio di proposta, relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Inoltre, l’accessibilità alle persone con disabilità dovrebbe diventare una condizione indispensabile affinché i programmi possano beneficiare dei fondi UE.

4.1.3.4.

Le istituzioni dell’Unione devono integrare in modo trasversale le questioni inerenti all’uguaglianza nei confronti della disabilità in tutte le politiche economiche, sociali e ambientali dell’Unione, e segnatamente nella strategia per la parità di genere, nella garanzia per i giovani, nel «new deal» (nuovo patto) ecologico, nella garanzia per l’infanzia e nel Libro verde sull’invecchiamento che verrà elaborato a breve.

4.1.3.5.

La Commissione deve promuovere la conformità delle legislazioni degli Stati membri in materia di capacità di agire alla CRPD sui diritti delle persone con disabilità (6), e favorire lo scambio di competenze tra i paesi dell’Unione.

4.2.   Garantire la piena partecipazione e la libera circolazione

4.2.1.

Le persone con disabilità ancora non riescono a esercitare il loro diritto alla libera circolazione nell’Unione a causa dell’assenza di un riconoscimento armonizzato della valutazione della disabilità e dell’incapacità di trasferire il diritto ai servizi di sostegno e ai sussidi quando si spostano in un altro Stato membro. A ostacolare la partecipazione delle persone con disabilità alla società sono anche il protrarsi dell’istituzionalizzazione, la mancanza di investimenti in servizi di prossimità e la generale inaccessibilità dei servizi tradizionali. Il CESE esorta pertanto ad attuare le misure descritte qui di seguito.

4.2.2.

La Commissione deve proporre una direttiva che armonizzi il riconoscimento della valutazione della disabilità per le persone che si spostano da uno Stato membro all’altro. Con l’adozione di una tale direttiva, le istituzioni dell’Unione devono garantire il diritto delle persone con disabilità alla libera circolazione, assicurando la portabilità delle prestazioni di sicurezza sociale in base a diversi scenari: lo Stato membro di provenienza della persona con disabilità assicura l’erogazione senza soluzione di continuità delle prestazioni, oppure queste sono versate dal nuovo Stato membro di residenza, o ancora è garantita una graduale transizione tra i due regimi. È necessario garantire anche i diritti equivalenti e l’ammissibilità ai servizi per le persone con disabilità che si trasferiscono in un altro Stato membro. Ciò deve avvenire in modo coordinato al fine di facilitare un’agevole e rapida trasferibilità di tali diritti (7), compreso quello all’assistenza personale.

4.2.2.1.

Le istituzioni dell’Unione devono assicurarsi che i fondi dell’Unione non siano mai utilizzati per perpetuare l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità (8) e siano invece attivamente investiti in servizi di assistenza di prossimità e nell’ambito delle famiglie. È di fondamentale importanza che i giovani partecipanti alle attività del Corpo di solidarietà dell’Unione non vengano assegnati a strutture di assistenza istituzionale che perpetuino la segregazione delle persone con disabilità. Si dovrebbe anche investire nella formazione dei lavoratori impiegati attualmente presso strutture di assistenza istituzionale per riqualificarli in modo che possano offrire alle persone con disabilità un’assistenza di prossimità, rispettosa dei principi della CRPD e concepita in collaborazione con i loro assistiti. La Commissione dovrebbe anche organizzare vaste azioni di sensibilizzazione sui danni che l’istituzionalizzazione infligge alle persone con disabilità, al fine di incentivare gli Stati membri a preferire alternative di assistenza di prossimità.

4.2.2.2.

Le istituzioni dell’Unione devono dare priorità all’accesso alla cultura e alle attività ricreative attraverso il ricorso ai fondi europei, in particolare promuovendo e formalizzando l’introduzione della tessera europea d’invalidità in tutti gli Stati membri, con il sostegno dei fondi dell’Unione.

4.2.2.3.

Nel dialogare con i cittadini europei le istituzioni dell’Unione devono garantire, se richiesta, la disponibilità di comunicazioni nella lingua dei segni, di testi in alfabeto Braille e di testi di facile lettura.

4.2.2.4.

Le istituzioni dell’Unione devono adottare iniziative strategiche finalizzate alla rimozione di tutti gli ostacoli che impediscono la partecipazione politica delle persone con disabilità e che privano queste ultime dei loro diritti di voto e di eleggibilità, soprattutto le persone con disabilità intellettive e con problemi di salute mentale, che sono particolarmente discriminate. La Commissione deve inoltre garantire la piena accessibilità delle procedure elettorali. A tal fine, la Commissione dovrebbe sforzarsi di far sì che tutti gli Stati membri assicurino la partecipazione politica dei cittadini con disabilità alle rispettive procedure elettorali nazionali, regionali e locali.

4.2.2.5.

Le istituzioni dell’Unione devono adottare misure adeguate per garantire che tutte le persone con disabilità possano esercitare tutti i diritti sanciti dai Trattati e dalla legislazione dell’Unione, promuovere interventi non coercitivi e sostenere il processo decisionale in relazione a queste persone, nonché garantire la libertà e la sicurezza di ciascuna di esse.

4.2.2.6.

Le istituzioni dell’Unione devono promuovere il coinvolgimento strutturale delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative (comprese quelle che si occupano di minori con disabilità) in tutti i processi decisionali, sia a livello nazionale che dell’Unione, e finanziare lo sviluppo delle capacità di tali organizzazioni. La Commissione e gli altri organismi dell’Unione dovrebbero altresì provvedere affinché le persone con disabilità possano partecipare agevolmente alle consultazioni pubbliche.

4.3.   Realizzare l’accesso in tutti i contesti

4.3.1.

Gli spazi pubblici, gli edifici, i trasporti e le tecnologie inaccessibili non solo impediscono ancora a troppe persone con disabilità di svolgere un ruolo attivo nella società, ma rappresentano anche una minaccia per la loro incolumità. Il CESE esorta pertanto ad attuare le misure descritte qui di seguito.

4.3.1.1.

La Commissione deve adottare iniziative concrete per istituire una commissione europea per l’accesso, sul modello di quella statunitense (US Access Board), che monitori l’attuazione della legislazione dell’Unione in materia di accessibilità, nonché per facilitare l’elaborazione di norme e orientamenti al riguardo, lo scambio delle buone pratiche e una partecipazione significativa delle organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità nel campo dell’accessibilità.

4.3.2.

Le stesse istituzioni dell’Unione devono adoperarsi per conseguire i più alti standard di accessibilità per quanto riguarda le infrastrutture fisiche, i servizi e il contesto digitale, nonché garantire la piena accessibilità per le persone con disabilità in relazione a tutti i siti web e ai moduli di contatto delle amministrazioni dell’Unione.

4.3.2.1.

Le istituzioni dell’Unione devono avvalersi degli strumenti legislativi e di altro tipo, come la normazione, per colmare le lacune lasciate dall’Atto europeo sull’accessibilità, così da armonizzare le norme minime in materia riguardo a tutti gli aspetti dell’ambiente edificato (9), sia nelle zone urbane che in quelle rurali, e da non trascurare le disposizioni a favore delle persone con disabilità intellettive e/o psicosociali.

4.3.2.2.

La Commissione deve rivedere, ampliare e rafforzare i diritti dei passeggeri con disabilità, ad esempio pubblicando una nuova proposta legislativa sul trasporto multimodale, rivedendo il regolamento (CE) n. 1107/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (10) oggi esistente in materia di diritti delle persone con disabilità nel trasporto aereo, nonché, a seconda dei casi, eliminando, armonizzando e definendo nei dettagli i casi di «negato imbarco» e migliorando altri regolamenti in vigore.

4.3.2.3.

Le istituzioni dell’Unione devono assumere una posizione ferma e risoluta sull’abolizione dei periodi di notifica preventiva cui attenersi per ottenere assistenza ferroviaria nel nuovo regolamento UE relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario.

4.3.2.4.

La Commissione deve rafforzare ulteriormente l’accessibilità ferroviaria per le persone con disabilità (11) provvedendo affinché gli Stati membri garantiscano l’accessibilità di tutte le banchine ferroviarie e facilitino l’accesso alle carrozze dei treni, non soltanto nelle infrastrutture di nuova costruzione ma anche adeguando le infrastrutture esistenti.

4.3.2.5.

La Commissione deve fornire agli Stati membri orientamenti sulle modalità di attuazione, relativamente alla disabilità, delle direttive dell’Unione sulle norme minime comuni in materia di diritti procedurali delle vittime di reato o delle persone indagate o imputate di un reato (12), anche per quanto riguarda la formazione sui diritti delle persone con disabilità destinata ai soggetti coinvolti in relazione all’accesso alla giustizia. Le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità dovrebbero essere considerate alla stregua di soggetti collaboratori e possedere uno status specifico che le legittimi ad agire, intervenire o resistere in giudizio.

4.3.2.6.

La Commissione deve assicurarsi che la garanzia dell’accessibilità sia un criterio di ammissibilità per l’accesso ai fondi dell’Unione (13).

4.3.2.7.

La Commissione deve investire nella ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi dispositivi di assistenza per le persone con disabilità.

4.3.2.8.

L’accessibilità va considerata un criterio parallelo a quello della sostenibilità, ad esempio nel settore delle costruzioni e dei trasporti, nonché come una condizione imprescindibile per realizzare un’Europa più verde per tutti.

4.3.2.9.

La Commissione deve aiutare gli Stati membri a migliorare l’accessibilità dell’ambiente edificato nuovo e di quello già esistente, specialmente per quanto riguarda l’edilizia residenziale, nonché a migliorare la formazione del personale sull’assistenza all’accesso a tutte le reti di trasporto.

4.3.2.10.

La Commissione deve sostenere gli Stati membri per fare in modo che le persone con disabilità abbiano accesso ai dispositivi, alle tecnologie e ai servizi di assistenza e che ricevano un aiuto per poterseli permettere, indipendentemente dallo Stato membro dell’Unione in cui essi sono disponibili.

4.3.2.11.

La Commissione deve aiutare gli Stati membri a garantire che gli appalti pubblici assicurino l’accesso delle persone con disabilità in quanto cittadini, beneficiari e funzionari pubblici.

4.3.2.12.

La Commissione deve fornire agli Stati membri il sostegno necessario per recepire in maniera corretta e tempestiva la direttiva sull’accessibilità del web.

4.4.   Promuovere un’occupazione e una formazione professionale di qualità

4.4.1.

Il tasso di occupazione delle persone con disabilità resta estremamente basso rispetto a quello delle persone senza disabilità, attestandosi al 48,1 % contro il 73,9 %. Il tasso di occupazione delle donne con disabilità è ancora più esiguo (14). Il CESE esorta pertanto ad attuare le misure descritte qui di seguito.

4.4.2.

La Commissione deve proporre misure che armonizzino in tutta l’Unione gli obblighi che incombono ai datori di lavoro nonché il sostegno che le amministrazioni pubbliche devono a loro volta fornire a questi ultimi, al fine di garantire soluzioni appropriate per i lavoratori con disabilità (15).

4.4.3.

Le istituzioni dell’Unione devono diventare datori di lavoro esemplari in relazione all’occupazione delle persone con disabilità, incrementando la loro quota di lavoratori con disabilità nei propri ranghi e, in generale, nella funzione pubblica europea.

4.4.3.1.

La Commissione deve esaminare l’efficacia del sistema di quote utilizzato in molti Stati membri per promuovere l’occupazione delle persone con disabilità, così da promuovere le buone pratiche e, eventualmente, introdurre tale sistema per la funzione pubblica europea.

4.4.3.2.

Le istituzioni dell’Unione devono attivarsi per investire fondi europei in iniziative per la formazione, l’occupazione e la mobilità professionale delle persone con disabilità, compreso il sostegno all’imprenditoria sociale e alle imprese dell’economia sociale, promuovendo qualsiasi tipo di occupazione inclusiva in linea con la CRPD, e con una particolare attenzione ai giovani, alle donne, ai migranti, ai rifugiati e ai lavoratori anziani con disabilità (16). È inoltre opportuno adoperarsi per aiutare le persone con disabilità a esercitare una scelta in ambito lavorativo e investire nelle politiche in materia di riqualificazione professionale, stabilità dell’impiego, avanzamento professionale e rientro al lavoro, con un’attenzione specifica allo sviluppo di competenze per le professioni emergenti.

4.4.3.3.

Le istituzioni e gli Stati membri dell’Unione devono concordare l’istituzione di una «garanzia per i diritti delle persone con disabilità», modellata sulla «garanzia per i giovani» e intesa a ottenere per i disabili posti di lavoro, tirocini, collocamenti professionali e anche un’ulteriore istruzione o formazione. Un’iniziativa per l’occupazione dei disabili dovrebbe stanziare risorse finanziarie ad hoc per il raggiungimento di questo obiettivo.

4.4.3.4.

La Commissione deve dare agli Stati membri il sostegno necessario a garantire la piena attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio (17) relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, così da permettere ai genitori di persone con disabilità di usufruire di aspettative e/o congedi speciali adeguati e di modalità di lavoro flessibili. Non solo, ma la Commissione deve insistere affinché anche le persone con disabilità abbiano diritto di usufruire della medesima flessibilità.

4.4.3.5.

Il semestre europeo e la legislazione pertinente devono essere utilizzati come strumenti per garantire che i lavoratori con disabilità ricevano un salario appropriato e/o concordato equiparabile a quello dei dipendenti senza disabilità, e in ogni caso mai inferiore al salario minimo. La Commissione dovrebbe attingere ai fondi dell’Unione per rivedere le buone pratiche e la legislazione del lavoro sul reinserimento e la riqualificazione professionale dei lavoratori dopo lunghi periodi di congedo per malattia, inclusi coloro che potrebbero aver acquisito una disabilità.

4.4.3.6.

La Commissione deve aiutare gli Stati membri a ridurre il rischio legato al passaggio al mercato del lavoro, offrendo prestazioni di invalidità e sistemi di sussidio più flessibili onde evitare la perdita di reti di sicurezza contro la povertà e incentivare l’occupazione.

4.4.3.7.

La Commissione deve spronare gli Stati membri ad assistere meglio i datori di lavoro nell’ottenere informazioni sulle tecnologie assistive e finanziamenti per adottarle, come pure nel rendere i luoghi di lavoro più accessibili e l’orario di lavoro più flessibile in funzione delle esigenze individuali. In particolare, la Commissione dovrebbe sostenere la ricerca finalizzata a motivare sul piano economico la realizzazione di luoghi di lavoro inclusivi per le persone con disabilità.

4.4.3.8.

La Commissione deve fornire agli Stati membri il sostegno necessario a garantire la piena attuazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio (18), che vieta la discriminazione sul lavoro. La Commissione e gli Stati membri dovrebbero inoltre provvedere ad adottare il progetto di direttiva orizzontale sulla non discriminazione in materia di accesso ai beni e servizi, dato che la discriminazione in questo campo può dar luogo a un’ulteriore discriminazione sul mercato del lavoro.

4.4.3.9.

La Commissione deve aiutare gli Stati membri a integrare le politiche in materia di responsabilità sociale delle imprese e di disabilità, così da includere la disabilità nelle politiche aziendali sul lavoro. La Commissione dovrebbe altresì aiutare gli Stati membri a promuovere gli aspetti della disabilità e dell’accessibilità nelle informazioni non finanziarie fornite dalle imprese.

4.4.3.10.

La Commissione deve inoltre sostenere i diritti delle persone con disabilità in tutta l’Unione europea affinché queste possano esercitare i loro diritti sindacali e del lavoro su un piano di parità con gli altri lavoratori. Questo dovrebbe avvenire in collaborazione con le parti sociali. In particolare, il processo europeo per l’elaborazione di «carte della diversità» dovrebbe riservare una maggiore attenzione alla promozione di forze lavoro diversamente abili.

4.4.3.11.

Le parti sociali devono tenere conto, nella conduzione del dialogo sociale a livello UE e nella conclusione di accordi collettivi, dell’attuazione della CRPD e dei diritti dei lavoratori autonomi e dipendenti con disabilità, in consultazione con le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità a livello unionale.

4.5.   Garantire un’istruzione e un apprendimento permanente inclusivi e di qualità

4.5.1.

L’accesso delle persone con disabilità al sistema scolastico generale rimane difficile, e spesso ciò si traduce in contesti didattici segregati. Nell’Unione, la probabilità che le persone con disabilità abbandonino prematuramente la scuola è mediamente più elevata del 13 % rispetto a quella dei loro coetanei non disabili, mentre la probabilità che le persone con disabilità accedano all’istruzione superiore è inferiore del 14 % (19). Il CESE esorta pertanto ad attuare le misure descritte qui di seguito.

4.5.2.

Le istituzioni dell’Unione devono investire fondi europei in contesti di apprendimento, iniziative per la prima infanzia, programmi di apprendimento permanente e programmi di formazione inclusivi onde agevolare il passaggio dall’istruzione all’occupazione per le persone con disabilità. Inoltre, occorrerebbe anche agevolare la mobilità professionale di queste persone.

4.5.2.1.

Le istituzioni dell’Unione devono intraprendere azioni specifiche per garantire l’inclusività dei bambini e dei giovani con disabilità nel loro sistema di scuole europee per i figli dei funzionari e degli altri agenti dell’Unione.

4.5.2.2.

La Commissione deve adottare misure concrete per accrescere la partecipazione delle persone con disabilità all’istruzione superiore, fornendo assistenza per rispondere alle loro esigenze e aiutarle a sostenere i relativi costi durante il percorso di studio o di formazione.

4.5.2.3.

La Commissione deve adottare misure volte a rafforzare l’accessibilità dei programmi Erasmus+ e ad accrescere la partecipazione delle persone con disabilità, fornendo assistenza per rispondere alle loro esigenze e aiutarle a sostenere i relativi costi durante il percorso di studio o di formazione all’estero.

4.5.2.4.

La Commissione deve fornire agli Stati membri il sostegno necessario per formare il personale del sistema scolastico generale e sostenere la formazione degli assistenti di classe specializzati in disabilità («insegnanti di sostegno»), così da favorire l’inclusione dei minori con disabilità nelle scuole ordinarie. Questa formazione dovrebbe essere incentrata anche sulle possibilità di utilizzo delle tecnologie assistive per un migliore inserimento scolastico degli alunni con disabilità. Si dovrebbe inoltre prestare attenzione a creare buone condizioni di lavoro nelle classi, anche facendo sì che esse siano formate da un numero inferiore di alunni.

4.6.   Combattere la precarietà, la povertà e l’esclusione sociale

4.6.1.

Le persone con disabilità nell’Unione hanno in media il 9 % di probabilità in più di dover far fronte a povertà ed esclusione sociale rispetto alle persone senza disabilità (20). Il CESE esorta pertanto ad attuare le misure descritte qui di seguito.

4.6.1.1.

Le istituzioni dell’Unione devono provvedere affinché la nuova agenda includa azioni specifiche per promuovere un sistema di protezione sociale inclusivo, e la Commissione deve fornire agli Stati membri orientamenti relativi a una base minima di protezione sociale per le persone con disabilità e i rispettivi prestatori di assistenza che garantisca loro un tenore di vita adeguato (21). La Commissione e gli Stati membri dovrebbero garantire che le persone con disabilità, e in particolare quelle che hanno acquisito una disabilità durante il loro percorso professionale e che dispongono di periodi contributivi più brevi ai fini dell’assicurazione pensionistica, siano coperte da regimi di protezione sociale adeguati sia prima che dopo il raggiungimento dell’età pensionabile.

4.6.1.2.

La Commissione deve fornire orientamenti sulle riforme dei regimi di prestazioni di invalidità per sostenere i costi aggiuntivi dei dispositivi per le persone con disabilità, delle tecnologie assistive, dell’alloggio, dei trasporti ecc. La Commissione dovrebbe altresì spronare gli Stati membri a essere più flessibili, consentendo alle persone con disabilità di mantenere i sussidi di invalidità anche quando entrano nel mercato del lavoro, così da compensare le uscite sproporzionate, ridurre il rischio di povertà lavorativa e incentivare l’occupazione.

4.6.1.3.

La Commissione deve altresì fornire orientamenti agli Stati membri sulle procedure per la valutazione della disabilità, onde assicurarsi che non venga trascurata la condizione delle persone con malattie rare o molteplici disabilità. La Commissione deve inoltre dissuadere con forza gli Stati membri, attraverso il processo del semestre europeo, dal ridurre le prestazioni di invalidità per i loro cittadini e aggravare così il rischio di povertà ed esclusione sociale. La Commissione dovrebbe invitare gli Stati membri a verificare l’equità delle prestazioni di invalidità lungo tutto arco della vita dei beneficiari, onde garantire che sia le persone con disabilità divenute anziane sia le persone che in tarda età hanno acquisito una disabilità non perdano il diritto di beneficiare di tali prestazioni.

4.6.1.4.

Il quadro di valutazione della situazione sociale deve essere adattato in maniera da includere rilevazioni specifiche relative alle persone con disabilità, affinché questi dati vadano ad integrare i collegamenti sempre più stretti tra il semestre europeo e il pilastro europeo dei diritti sociali.

4.6.1.5.

La Commissione deve fornire agli Stati membri il sostegno necessario per aiutarli ad attuare correttamente la raccomandazione del Consiglio sulla sicurezza sociale per i contratti di lavoro atipici e a garantire che nessuna persona con disabilità, quale che sia il suo status lavorativo, si veda negare il diritto a un’adeguata copertura sanitaria e ad altre prestazioni.

4.6.1.6.

La Commissione deve aiutare gli Stati membri a promuovere l’accesso delle persone con disabilità all’assistenza sanitaria su un piede di parità con le altre (22).

4.6.2.

La Commissione deve provvedere affinché le persone con disabilità che sono state, sono e saranno impiegate nella funzione pubblica europea, o i familiari a carico portatori di una disabilità, beneficino di un’assicurazione sanitaria completa che possa garantire loro le cure mediche e la qualità di vita migliori possibili.

4.7.   Fare dell’Unione europea un leader mondiale nel «non lasciare indietro nessuno» anche oltre i suoi confini

4.7.1.

L’Unione europea è il maggior donatore di aiuti allo sviluppo del mondo. Essa ed i suoi Stati membri dovrebbero, in quanto parti della CRPD, promuovere nella loro azione esterna i diritti delle persone con disabilità. Il CESE esorta pertanto ad attuare le misure descritte qui di seguito.

4.7.2.

Le istituzioni dell’Unione devono provvedere affinché tutte le azioni finanziate dall’Unione nei paesi terzi siano conformi ai principi generali sanciti dalla CRPD e descritti al punto 3.1.

4.7.2.1.

Le istituzioni dell’Unione devono adottare misure per assicurarsi che i paesi candidati e potenziali candidati all’adesione all’Unione europea dimostrino di poter vantare un livello di protezione dei diritti delle persone con disabilità pari a quello degli Stati membri dell’Unione. La Commissione dovrebbe altresì provvedere a che gli strumenti finanziari di assistenza preadesione siano utilizzati per migliorare la loro situazione.

4.7.2.2.

La Commissione deve fare opera di sensibilizzazione in merito alla CRPD e alle esigenze delle persone con disabilità, compresa l’accessibilità, nel campo degli aiuti umanitari e di emergenza, e in merito ai temi della disabilità nelle delegazioni dell’Unione.

4.7.2.3.

Le istituzioni dell’Unione devono garantire che venga dato un seguito adeguato al «consenso europeo in materia di sviluppo» e sostenere l’inclusione degli indicatori sulla disabilità elaborati dal comitato di aiuto allo sviluppo dell’OCSE nei programmi, nei progetti e nelle attività di cooperazione che l’Unione realizza in tutto il mondo.

4.7.2.4.

Le istituzioni dell’Unione devono garantire il rispetto dei diritti e un sostegno adeguato alle persone con disabilità che arrivano nell’Unione come richiedenti asilo o rifugiati, o alle persone che sono diventate disabili durante la fuga dal loro paese.

4.7.2.5.

La Commissione deve aiutare gli Stati membri ad affrontare le questioni legate alla disabilità nel dialogare con i paesi terzi. La Commissione dovrebbe inoltre adoperarsi per promuovere il consenso e l’impegno sui temi della disabilità nei consessi internazionali (ONU, Consiglio d’Europa, OCSE).

4.7.2.6.

La Commissione deve aiutare gli Stati membri a garantire, in vista della Brexit, che i cittadini dell’Unione europea che attualmente risiedono nel Regno Unito, e i cittadini britannici che oggi risiedono in Stati membri dell’Unione, continuino a beneficiare dell’assistenza attualmente erogata dai rispettivi paesi di origine.

5.   Governance, attuazione e monitoraggio

5.1.

Tenendo conto delle osservazioni conclusive indirizzate dal comitato CRPD all’Unione europea, il CESE raccomanda fortemente di istituire punti di contatto sulla disabilità (PCD) in ogni istituzione, agenzia e organismo dell’Unione, e in particolare presso il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea, il servizio europeo per l’azione esterna, il Comitato delle regioni ecc., nonché nelle agenzie quali l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali e l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere. Dovrebbero inoltre essere istituiti PCD in tutte le direzioni generali della stessa Commissione europea. Dato il carattere trasversale dei temi inerenti alla disabilità, il PCD centrale dovrebbe essere stabilito presso il segretariato generale della Commissione europea. Ciò si renderà necessario affinché le istituzioni dell’Unione possano monitorare l’attuazione sia della CRPD che della nuova agenda. Il CESE, dando l’esempio, si è dotato di un suo PCD e di un gruppo di studio sui diritti delle persone con disabilità, supportato sul piano amministrativo dalla segreteria della sezione Occupazione, affari sociali, cittadinanza (sezione SOC). Il CESE esorta altresì ad attuare le misure descritte qui di seguito.

5.2.

Dato che nella nuova Commissione vi sarà una commissaria responsabile dell’Uguaglianza, deve essere istituito un PCD anche presso la DG Giustizia con il compito di assistere la nuova commissaria nell’esercizio di tale mandato: è, questa, una misura di capitale importanza.

5.3.

L’attuale gruppo di alto livello sulla disabilità dev’essere sostituito da un «comitato sui diritti delle persone con disabilità» che funga da piattaforma per l’organizzazione di riunioni periodiche di tutti i PCD presenti nelle diverse direzioni, istituzioni e agenzie nonché nei vari Stati membri. Questo comitato dovrebbe avere il diritto e il compito di monitorare l’attuazione dell’agenda a livello dell’Unione e degli Stati membri, nonché di formulare raccomandazioni rivolte alla Commissione e ai governi nazionali.

5.4.

La Commissione deve riesaminare le competenze concorrenti con gli Stati membri attribuitele dalla CRPD e dal diritto dell’Unione al fine di stabilire in quali ambiti l’Unione possa lavorare insieme agli Stati membri ai fini dell’attuazione. Tale conclusione dovrebbe essere formulata attraverso l’elaborazione di una «dichiarazione sulle competenze».

5.5.

Occorre prevedere un meccanismo interistituzionale che coinvolga la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio (23). I presidenti di queste tre istituzioni dovrebbero cioè riunirsi all’inizio di ogni mandato, per dare prova del loro impegno a favore dei diritti delle persone con disabilità. Per agevolare il funzionamento di tale meccanismo, deve essere istituito un gruppo di lavoro sulla disabilità in seno al Consiglio.

5.6.

Le istituzioni dell’Unione devono includere nell’agenda parametri di riferimento chiari, concreti e specifici e indicatori misurabili, per monitorare le carenze nell’attuazione e misurare efficacemente i progressi compiuti.

5.7.

La Commissione deve garantire la pianificazione di meccanismi di monitoraggio efficaci al momento della definizione delle proposte legislative e delle iniziative, nonché l’assegnazione di risorse e dotazioni di bilancio sufficienti a tale scopo. L’agenda dovrebbe includere un impegno chiaro a favore dei finanziamenti, con un’indicazione degli importi da destinare ai meccanismi di monitoraggio.

5.8.

La Commissione deve dotare il quadro dell’Unione relativo alla CRPD di risorse adeguate al fine di garantirne l’indipendenza e l’adeguato funzionamento.

5.9.

Le istituzioni dell’Unione devono coinvolgere in modo attivo e completo le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità e le altre organizzazioni della società civile nell’elaborazione, nell’attuazione e nella governance dell’agenda 2020-2030 (24). Le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità, inoltre, dovrebbero essere regolarmente consultate e coinvolte nell’elaborazione, nell’adozione, nell’attuazione e nel monitoraggio delle leggi, delle politiche e dei programmi che derivano da tale agenda, nonché avere accesso a risorse che le aiutino a prendervi parte in maniera significativa. I processi di consultazione dovrebbero inoltre essere comprensibili e pienamente accessibili alle persone con disabilità.

5.10.

La Commissione deve adottare misure adeguate per fare in modo che Eurostat, in collaborazione con le autorità statistiche nazionali e le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità, metta a punto un sistema di indicatori basato sui diritti umani e un sistema di raccolta di dati completi e comparabili sull’uguaglianza nei confronti della disabilità relativamente alla situazione delle persone con disabilità nell’Unione, e pubblichi inoltre analisi più pertinenti e basate su dati disaggregati sul tema della disabilità. Queste raccolte dati e queste analisi dovrebbero tener conto dell’intersezionalità delle tematiche e delle esperienze delle persone con disabilità, come quelle riconducibili al genere, all’età, alla condizione di rifugiato, richiedente asilo o migrante o all’appartenenza a una minoranza etnica, nonché dei diversi tipi di disabilità e del modo in cui questi si ripercuotono sul benessere e sui risultati conseguiti (25). Inoltre, occorre raccogliere dati anche sul numero delle persone con disabilità ospitati in istituti specializzati e dei minori con disabilità che non vivono nelle loro famiglie.

5.11.

La Commissione, attraverso il processo del semestre europeo, deve esercitare pressioni sugli Stati membri affinché elaborino le loro strategie nazionali in materia di disabilità e si occupino dell’attuazione della CRPD nell’ambito dei loro programmi nazionali di riforma.

5.12.

La Commissione deve mettere a disposizione del quadro di monitoraggio dell’Unione per la CRPD tutti i mezzi, le risorse umane e il sostegno finanziario necessari affinché esso possa svolgere i suoi compiti conformemente all’articolo 33, paragrafo 2, della CRPD.

6.   Comunicazione e divulgazione (26)

6.1.

Le istituzioni dell’Unione dovrebbero fare opera di sensibilizzazione riguardo agli ostacoli che ancora incontrano le persone con disabilità, allo scopo di eliminare gli stereotipi e di lavorare con i governi nazionali e regionali per garantire che tali informazioni giungano ai responsabili decisionali e ad altri soggetti interessati a tutti i livelli. La Commissione dovrebbe sostenere le attività delle organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità e delle organizzazioni non governative a livello UE attive in questo campo.

6.2.

La Commissione dovrebbe organizzare campagne e corsi di formazione per fare opera di sensibilizzazione in merito ai diritti delle persone con disabilità, con attività rivolte al grande pubblico, ai responsabili politici e decisionali, al personale degli enti pubblici e privati, alle persone con disabilità e alle loro famiglie ecc., nonché incoraggiare gli Stati membri a lanciare campagne analoghe.

6.3.

La Commissione e gli Stati membri dovrebbero dedicarsi in particolare a mettere in luce la discriminazione multipla e intersezionale di cui sono vittime alcune categorie di persone con disabilità, e in particolare donne e bambine, persone LGBTI e persone appartenenti a minoranze etniche.

Bruxelles, 11 dicembre 2019

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Raccomandazioni del comitato CRPD all’UE del 2015.

(2)  A norma dell’articolo 1 della CRPD, per «persone con disabilità» si intendono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che, in interazione con varie barriere, possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri.

(3)  Articoli 1, 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e articoli 10 e 19 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

(4)  Eurobarometro speciale 437. Disponibile online all’indirizzo https://data.europa.eu/euodp/it/data/dataset/S2077_83_4_437_ENG.

(5)  Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio (GU L 347 del 20.12.2013, pag. 320).

(6)  Osservazione generale n. 1 (2014) del comitato CRPD sul pari riconoscimento dinanzi alla legge.

(7)  Raccomandazioni del comitato CRPD, articolo 18.

(8)  Articolo 19 e osservazione generale n. 5 della CRPD.

(9)  CRPD, articoli 9 e 20.

(10)  Regolamento (CE) n. 1107/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, relativo ai diritti delle persone con disabilità e delle persone a mobilità ridotta nel trasporto aereo (GU L 204 del 26.7.2006, pag. 1).

(11)  In occasione della prossima revisione del regolamento (UE) n. 1300/2014 della Commissione, del 18 novembre 2014, relativo alle specifiche tecniche di interoperabilità per l’accessibilità del sistema ferroviario dell’Unione per le persone con disabilità e le persone a mobilità ridotta (GU L 356 del 12.12.2014, pag. 110).

(12)  CRPD, articolo 13.

(13)  GU C 62 del 15.2.2019, pag. 83

(14)  https://www.disability-europe.net/theme/employment.

(15)  CRPD, articoli 5 e 27.

(16)  CRPD, articolo 27.

(17)  Direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio (GU L 188 del 12.7.2019, pag. 79).

(18)  Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303 del 2.12.2000, pag. 16).

(19)  ANED, sulla base dei dati Eurostat 2016, persone con e senza disabilità (età: 30-34 anni), differenza in punti percentuali.

(20)  EU-SILC (statistiche sul reddito e sulle condizioni di vita nell’UE) 2016.

(21)  CRPD, articolo 28.

(22)  Raccomandazioni del comitato CRPD, paragrafo 63.

(23)  Raccomandazioni del comitato CRPD all’UE del 2015.

(24)  Osservazione generale della CRPD.

(25)  CRPD, articolo 31.

(26)  CRPD, articolo 8.


24.3.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 97/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: «Populismo e diritti fondamentali: le aree suburbane e rurali»

(parere d’iniziativa)

(2020/C 97/07)

Relatrice:

Karolina DRESZER-SMALEC

Correlatore:

Jukka AHTELA

Decisione dell’Assemblea plenaria

20.2.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

27.11.2019

Adozione in sessione plenaria

11.12.2019

Sessione plenaria n.

548

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

145/3/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Alle elezioni europee del 2019 i partiti populisti hanno visto aumentare significativamente i consensi da loro ottenuti. Il populismo ha l’effetto di minare la stabilità delle istituzioni politiche, di frammentare e polarizzare ulteriormente le collettività e di creare un contesto sempre più rischioso per le decisioni di investimento delle imprese.

1.2.

Le cause alla base del successo dei movimenti e partiti populisti sono molteplici. In termini molto generali, tale successo è alimentato da processi di globalizzazione che interessano ogni tipo di paese sviluppato. Più nello specifico, il populismo può essere spiegato facendo riferimento sia a fattori culturali e identitari che a sviluppi socioeconomici. Infine, la minaccia populista è particolarmente pronunciata nei «luoghi che non contano» (1), indipendentemente dal fatto che essi si trovino alla periferia o al centro stesso dell’Unione europea.

1.3.

Occorre operare una distinzione netta tra le paure, l’inquietudine e la rabbia che spingono le persone nell’abbraccio dei partiti populisti, da un lato, e i politicanti che cercano deliberatamente di trasformare tali paure in consenso politico, dall’altro. Il malcontento dei cittadini, che spesso si fonda su motivi razionali, deve essere preso sul serio, a differenza di quanto fanno i leader populisti, i quali con la loro retorica cercano di volgerlo a loro vantaggio.

1.4.

La geografia del malcontento combina le dicotomie continentali nord-sud ed est-ovest all’interno dell’Unione europea con la dicotomia nazionale centro-periferia all’interno di ogni singolo Stato membro. A seconda della posizione geografica, il malcontento nasce da forme di disagio e di difficoltà diverse. Per essere efficaci, le strategie di contrasto devono tenere conto di tali complessità. Il CESE ritiene che la creazione di alleanze tra gli enti locali, le organizzazioni della società civile, le parti sociali ed altri attori (ad esempio, i leader locali e i movimenti sociali) sia essenziale per intervenire sulle cause profonde del populismo.

1.5.

Quanto meno le persone traggono vantaggio dal successo dei poli di crescita del proprio paese, tanto più tende ad essere marcato il loro atteggiamento negativo nei confronti delle élite al potere, dei sistemi partitici e degli stili di vita postmoderni. Gli attivisti della società civile vengono spesso classificati come appartenenti a tali élite, il che rafforza ulteriormente l’atteggiamento negativo nei loro confronti.

1.6.

Per la società civile, la situazione diviene particolarmente grave laddove i populisti sono saliti al potere e sono in grado di influire pesantemente sui programmi di governo, scivolando verso l’autoritarismo. Le organizzazioni della società civile (OSC) sono fortemente minacciate non solo dal restringersi degli spazi disponibili per le loro attività, ma anche da intimidazioni personali e atti persecutori.

1.7.

Secondo il CESE, per far fronte a tali sviluppi dovrebbe essere rafforzata l’educazione civica sui principi della democrazia, sui diritti fondamentali e sullo Stato di diritto; e in tal senso si riallaccia alle raccomandazioni che ha rivolto nel parere sul tema «Rafforzare lo Stato di diritto nell’Unione» (2): agli Stati membri, affinché integrino questi temi nei programmi d’istruzione scolastica e universitaria, e alla Commissione europea, affinché proponga un’ambiziosa strategia di comunicazione, istruzione e sensibilizzazione rivolta al pubblico in materia di diritti fondamentali, Stato di diritto, democrazia e ruolo dei mezzi d’informazione indipendenti.

1.8.

Considerato che la popolazione chiede visioni politiche ambiziose ed efficaci, il CESE è convinto che l’Unione europea debba proporre un’esposizione argomentata su un futuro desiderabile e ridare slancio ai principi chiave che hanno svolto un ruolo di primo piano nel progetto europeo, come il principio di partenariato e quello di sussidiarietà.

1.9.

Il CESE appoggia la risoluzione del Parlamento europeo intitolata «Affrontare le esigenze specifiche delle zone rurali, montane e periferiche» (2018/2720 (RSP)] (3), intesa a «promuovere lo sviluppo socioeconomico, la crescita e la diversificazione economica, il benessere sociale, la protezione della natura e la cooperazione e l’interconnessione con le aree urbane al fine di promuovere la coesione e prevenire il rischio di frammentazione territoriale». Il Comitato si associa quindi al PE nel raccomandare la conclusione di un «Patto per i piccoli comuni intelligenti» che coinvolga tutti i livelli di governo, nel rispetto del principio di sussidiarietà.

1.10.

Il CESE reitera la raccomandazione formulata nel suo parere sul tema «Una democrazia resiliente grazie a una società civile forte e pluralistica» (4), in cui propone «l’istituzione di un quadro di valutazione della democrazia che rifletta, tra l’altro, le condizioni quadro per l’attività della società civile e conduca a raccomandazioni specifiche di riforma».

1.11.

Sul piano delle politiche, le autorità dovrebbero seguire un approccio basato sui diritti umani (5) — in particolare, esse dovrebbero adottare politiche di riforma economica basate su sistematiche valutazioni dell’impatto su tali diritti (6). Ciò dovrebbe costituire un presupposto per lo svolgimento di dibattiti nazionali informati e inclusivi, l’adeguamento delle scelte politiche e un’attuazione agevole delle riforme.

1.12.

Il CESE chiede che si presti maggiore attenzione alle nuove attività economiche emergenti nei territori rurali, molte delle quali si basano sui principi del mutualismo e dell’assistenza. Il Comitato appoggia le misure volte a migliorare il sostegno a tali iniziative e la loro interconnessione, in modo che queste possano evolversi da misure isolate e sperimentali ad alleanze politiche e sociali di emancipazione.

1.13.

Il CESE invita l’UE e i suoi Stati membri a rafforzare le infrastrutture a livello infranazionale. L’interruzione di collegamenti di trasporto pubblico e la chiusura di scuole e servizi sanitari sono chiaramente alcuni dei motivi della protesta populista in Europa.

1.14.

Le istituzioni dell’Unione dovrebbero rafforzare lo sviluppo delle capacità delle organizzazioni della società civile a livello europeo, nazionale e locale, e dotare tali organizzazioni di risorse che le aiutino ad accrescere il raggio d’azione e la qualità delle loro attività. Queste organizzazioni svolgono un ruolo importante ai fini dell’individuazione dei bisogni delle collettività e delle risposte da dare per soddisfarli, e risentono in modo particolarmente pesante del deterioramento dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali e della democrazia.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Alle elezioni europee del 2019 i partiti populisti hanno visto aumentare significativamente i consensi da loro ottenuti. Il CESE è profondamente preoccupato da tali sviluppi e chiede che si prendano iniziative di peso per farvi fronte, iniziando con lo sforzarsi di comprenderne meglio le cause di fondo.

2.2.

Il CESE ritiene opportuno prestare un’attenzione specifica alla situazione delle organizzazioni della società civile, che risentono in modo particolarmente acuto del deterioramento dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali e della democrazia. In molti paesi, tali organizzazioni vedono oggi restringersi gli spazi disponibili per le proprie attività. L’ulteriore ascesa del populismo comporterà probabilmente anche una minore stabilità economica e una maggiore inefficienza della governance e delle politiche, con un effetto negativo sugli investimenti.

2.3.

Il CESE si è già detto profondamente preoccupato «dal deteriorarsi della situazione dei diritti umani, dalla sempre più marcata deriva populista e autoritaria e dal rischio che questa comporta per la qualità della democrazia e la salvaguardia dei diritti fondamentali» (7), e ha invitato le istituzioni europee ad adottare, nelle loro attività politiche, «un approccio proattivo e preventivo allo scopo di anticipare ed evitare i problemi».

2.4.

Nel suo parere d’iniziativa sul tema Una democrazia resiliente grazie a una società civile forte e pluralistica (8), il CESE ha sottolineato che, a suo avviso, la società civile svolge un ruolo fondamentale «nel salvaguardare la democrazia liberale in Europa» e che «solo una società civile forte e pluralistica può difendere la democrazia e la libertà e preservare l’Europa dalle tentazioni dell’autoritarismo».

2.5.

Per cogliere appieno il fenomeno del populismo, occorre prendere in considerazione diverse dimensioni. Quando si tratta di individuare la fonte di tale fenomeno, il pensiero di alcuni osservatori corre principalmente ai fattori culturali. Pur non trascurando l’importanza di tali fattori, altri sostengono che la causa primaria della diffusione del populismo sia di natura socioeconomica e sia radicata nelle complessità del processo di globalizzazione.

2.6.

Molte delle preoccupazioni alla base del malcontento delle persone sono fondate e richiedono soluzioni politiche. Tali preoccupazioni legittime devono essere distinte dai tentativi di alcuni politici opportunisti di volgere a loro vantaggio il malcontento e di servirsene a fini di successo elettorale mediante proposte demagogiche ma irragionevoli.

2.7.

Tra i fattori più importanti che spiegano la ricettività al populismo vi sono l’età (elevata), il livello di istruzione (basso), la ricchezza relativa (bassa), il tasso di disoccupazione (elevato) e il tipo di impiego (atipico, a tempo determinato). Tali fattori socioeconomici prevalgono maggiormente nelle aree rurali e fuori dalle grandi città.

2.8.

Il referendum sulla Brexit nel Regno Unito, il movimento dei gilet gialli in Francia e il successo dell’AfD nella Germania orientale, della Lega in Italia e del partito Diritto e giustizia in Polonia differiscono tra loro sotto molti aspetti. Tuttavia, tutti questi sviluppi hanno in comune il fatto di essere espressione del drastico calo della fiducia nelle istituzioni, nei politici e nei mezzi di informazione.

2.9.

Quanto meno le persone riescono a trarre vantaggio dal successo dei poli di crescita del proprio paese, tanto più tende ad essere marcato il loro atteggiamento negativo nei confronti delle élite al potere, dei sistemi partitici e degli stili di vita postmoderni. Gli attivisti delle società civile vengono spesso classificati come appartenenti a queste élite, il che rafforza ulteriormente l’atteggiamento negativo nei loro confronti, con conseguenze rilevanti per il funzionamento delle OSC.

3.   Fattori generali e territoriali alla base del populismo

3.1.

L’ascesa del populismo può essere spiegata da due angolazioni principali. Una prima prospettiva pone l’accento su fattori culturali come la formazione dell’identità e i cambiamenti delle percezioni per effetto di tendenze insite nello sviluppo degli ultimi due o tre decenni. L’altra prospettiva sottolinea la rilevanza dei fattori socioeconomici quali cause principali in grado di spiegare il successo del populismo. Benché entrambe queste spiegazioni siano pertinenti, i fattori connessi alla politica economica assumono chiaramente un’importanza maggiore allorché si prende in considerazione il ruolo dello spazio e del territorio (9).

3.2.

Il populismo è una manifestazione specifica di ciò che viene chiamato un «cambiamento di era», un «cambiamento di epoca» o una «svolta epocale». Tutti i paesi sono interessati, a vari livelli, dalle implicazioni di tale cambiamento, indipendentemente dalla loro collocazione geografica. Tutte le dimensioni principali dell’ordine sociale tendono a essere soggette a tale cambiamento: lo Stato così come il mercato o la collettività, intesa come società civile.

3.3.

Indotto da processi di mercificazione delle relazioni sociali e politiche, il populismo tende a svilupparsi in primo luogo nella dimensione delle comunità. Le comunità cui si può scegliere di aderire (come i gruppi di interesse, i movimenti sociali e altre organizzazioni della società civile) sono sempre più soggette a un fenomeno di disaggregazione, facendo fatica a sopravvivere e a mantenere i propri membri. Anche le comunità cui si appartiene senza averlo scelto (come la famiglia, il vicinato e le comunità locali) sono soggette a frammentazione, perdita di solidarietà, alienazione e dissoluzione.

3.4.

In un mondo sempre più complesso, tale frammentazione sociale e politica tende a provocare insicurezza e inquietudine, e a indurre la ricerca di risposte univoche, che le comunità tradizionali spesso non sono più in grado di fornire. Indipendentemente dall’età e dalla classe sociale, molte persone cercano nuovi modi di appartenenza e identità stabili. I politicanti populisti sono specializzati nel fornire queste risposte semplicistiche, spesso legate a visioni arretrate di un passato glorioso che dovrebbe essere ripristinato.

3.5.

Una volta trasposte in programmi politici allettanti, tali risposte semplicistiche tornano a diffondersi nel corpo della politica e dello Stato, sistemi a loro volta affetti dalla frammentazione dei sistemi partitici e da un calo di fiducia nel sistema di governance.

3.6.

I fattori generali alla base del populismo sono ulteriormente rafforzati dalla frammentazione territoriale che affligge le aree rurali e suburbane. Le loro popolazioni si sentono escluse dallo sviluppo economico e dalle infrastrutture pubbliche per quanto riguarda i trasporti, la sanità, l’assistenza agli anziani, l’istruzione e la sicurezza. Tutto ciò si traduce una profonda avversione per le élite e una forte diffusione dei pregiudizi nei confronti di quello che viene considerato uno stile di vita cosmopolita.

4.   La globalizzazione e la crisi economica

4.1.

La globalizzazione ha generato sia opportunità che pericoli, ma questi ultimi incombono più minacciosi sulle aree rurali e suburbane. Ciò ha fatto sì che si disinvestisse in queste zone e che tra i loro abitanti si diffondesse una sensazione di insicurezza (giustificata dai rischi di delocalizzazione delle infrastrutture industriali e dei posti di lavoro) cui si accompagna un rifiuto delle politiche fiscali, generalmente considerate ingiuste o non abbastanza eque. Inoltre, determinati accordi commerciali (come quello concluso di recente con il Mercosur) hanno suscitato preoccupazione in alcuni Stati membri, nei quali sono percepiti come una minaccia per il sostentamento degli agricoltori europei e per il modello europeo di famiglia contadina.

4.2.

Questa «economia politica del populismo» è esaminata in una relazione elaborata dal gruppo Diversità Europa del CESE (10), secondo cui a livelli superiori di reddito disponibile, occupazione, spesa per le prestazioni sociali e PIL corrisponde una percentuale inferiore di voti populisti a livello regionale. La diminuzione del reddito disponibile si accompagna invece a un aumento del sostegno per i partiti populisti.

4.3.

Malgrado il fatto che, in Europa, in ambito occupazionale si registrino sviluppi complessivamente positivi, in molti Stati membri la disoccupazione, l’occupazione atipica e la marginalizzazione sociale ed economica sono particolarmente acute tra le fasce più giovani della popolazione. Le persone di età compresa tra i 20 e i 30 anni potrebbero essere la prima generazione, da quando esiste l’integrazione europea, a vivere in condizioni peggiori rispetto a quelle della generazione che li precede. I dati Eurostat mostrano che in Europa il 44 % dei lavoratori di età compresa tra i 19 e i 24 anni ha solo un contratto a tempo determinato, rispetto al 14 % della popolazione complessiva.

4.4.

Le aree rurali, suburbane e periferiche sono generalmente più esposte all’influenza del populismo, il quale propone un modello che mette in discussione gli stessi fattori su cui si è basata la recente crescita economica: mercati aperti, migrazione, integrazione economica e globalizzazione (11).

4.5.

Nel contesto di una crescita economica strutturalmente debole, gli Stati europei generalmente tendono ad avere minori entrate e maggiori spese. La pressione sulla spesa pubblica dipende da molteplici fattori, compresi l’invecchiamento della popolazione, il peso del debito e l’aumento dei costi per la pubblica sicurezza. Allo stesso tempo, la pressione sulle entrate dipende da fattori quali le scelte di politica economica, le politiche di austerità e l’evasione o elusione fiscale. Di conseguenza, la penuria di risorse pubbliche limita gli Stati nell’adempimento dei doveri che incombono loro in fatto di politiche ridistributive, che sono essenziali per l’attuazione dei diritti sociali ed economici. Gli investitori pubblici e privati si stanno ritirando dal tessuto industriale, in particolare nelle aree rurali e suburbane, e questa perdita di interesse genera, in alcuni segmenti della popolazione, una sensazione di marginalizzazione e abbandono da parte delle strutture statali e dei servizi pubblici.

4.6.

Il CESE invita le autorità europee e nazionali a considerare l’inclusività, l’accesso ai diritti e la salvaguardia dei tessuti economici e industriali e dei bacini d’occupazione come criteri fondamentali delle politiche economiche, di coesione e territoriali.

5.   Il ruolo della migrazione

5.1.

Come la globalizzazione, la migrazione è un fenomeno che interessa tutti i paesi, sviluppati e meno sviluppati. È improbabile che tale fenomeno venga meno, anzi, esso aumenterà con il passare del tempo. La crescente pressione esercitata dai movimenti populisti rende complicato, ma non perciò meno doveroso, per gli Stati membri raggiungere un accordo su una quanto mai necessaria politica europea in materia di migrazione e asilo che sia equa, solidale e responsabile, nonché conforme al diritto internazionale sui diritti umani.

5.2.

La retorica populista non è orientata razionalmente agli aspetti regolatori propri delle politiche migratorie. Al contrario, essa stigmatizza direttamente i migranti come criminali, terroristi o invasori, creando un clima che incoraggia gli attacchi nei loro confronti.

5.3.

Per quanto riguarda la migrazione, le distinzioni più importanti in termini geografici hanno a che fare con differenze nei sistemi di benessere sociale (welfare) e nei mercati del lavoro, sistemi che in alcuni paesi possono essere relativamente aperti ai migranti, ma in altri possono essere chiusi e fautori di esclusione. Con l’arrivo di un numero maggiore di migranti, le reazioni delle fasce marginalizzate, o che temono di esserlo, della popolazione locale differiscono a seconda dei tipi di politica economica.

5.4.

In alcuni paesi, e in determinate zone di tali paesi, vi è il timore che i sistemi di welfare verranno sovraccaricati, mentre in altri i migranti sono percepiti come concorrenti sul mercato del lavoro. A livello soggettivo, i migranti possono rappresentare una sfida per quanto riguarda la stabilità lavorativa o la fruizione di prestazioni sociali. Timori di questo tipo possono essere particolarmente marcati tra coloro che vivono nelle aree rurali e suburbane.

5.5.

Esiste dunque un gran numero di cause potenziali della crescita dei movimenti populisti, delle quali i governi nazionali, le istituzioni dell’UE e le organizzazioni della società civile dovrebbero tenere conto nel definire le opportune strategie di contrasto sul piano politico e/o economico. Altrettanto importante è il fatto che, in varie parti dell’UE, le sensazioni di declino sociale e di marginalizzazione economica non dipendano dall’immigrazione, bensì dall’emigrazione. Soprattutto in alcune regioni dell’Europa orientale, l’esodo di professionisti altamente qualificati ha assunto proporzioni drammatiche, alterando il tessuto socioeconomico di tali paesi.

5.6.

Il CESE contesta l’idea secondo cui migranti e popolazioni locali si contendano le risorse pubbliche. Esso chiede alle organizzazioni della società civile di intensificare le attività volte ad affrontare i timori e le inquietudini presenti in alcuni settori della popolazione. Chiede altresì l’introduzione di programmi didattici e sociali che affrontino tutta la serie di motivazioni alla base dell’insorgere del populismo, soprattutto nei territori remoti dell’UE. Andrebbero sostenute maggiormente le piattaforme e le reti nazionali ed europee della società civile, così da permettere un’analisi più dettagliata del fenomeno e incoraggiare la diffusione di informazioni affidabili e di attività didattiche rivolte a una sua migliore comprensione.

6.   La geografia del malcontento

6.1.

I partiti populisti hanno ottenuto un successo superiore alla media nelle aree periferiche rurali e postindustriali dell’UE (12). È quanto avvenuto con il referendum sulla Brexit nel Regno Unito, come anche in Austria, dove il candidato del FPÖ ha ottenuto il 62 % dei voti nelle zone rurali alle elezioni presidenziali del maggio 2018.

6.2.

La geografia del malcontento combina le dicotomie continentali tra nord e sud e tra est e ovest all’interno dell’Unione europea con la dicotomia nazionale centro-periferia all’interno di ogni singolo Stato membro. Il populismo è cresciuto nel corso degli anni nel quadro di questa frammentazione multipla delle società e dei territori. Le infrastrutture e le politiche dei trasporti sono pertanto particolarmente importanti poiché garantiscono continuità territoriale e rappresentano un presupposto materiale per l’esercizio dei diritti civili, politici, economici e sociali da parte dei cittadini.

6.3.

Il CESE raccomanda che le autorità europee e nazionali considerino le politiche in materia di trasporti, infrastrutture e connettività a Internet come uno strumento per far fronte al populismo. Le autorità dovrebbero configurare tali politiche, come anche le politiche sociali, di coesione e di riduzione della povertà, secondo un approccio basato sui diritti umani (13). Esse dovrebbero inoltre assicurarsi che le politiche, e in particolare quelle di riforma economica, si basino su valutazioni sistematiche (sia ex ante che ex post) dell’impatto sui diritti umani (14), così da agevolare lo svolgimento di dibattiti nazionali informati e inclusivi in merito al bilanciamento e adeguamento delle scelte politiche.

6.4.

Una delle conseguenze della frammentazione sociale, economica e territoriale è, in concreto, la crescente disaffezione politica di un’ampia parte della popolazione nelle aree suburbane e rurali, che assume la forma di alti tassi di astensionismo, del rifiuto della democrazia rappresentativa e dei «corpi intermedi» (tra cui i partiti politici e le organizzazioni sindacali) e del sostegno ai movimenti populisti radicali. Il CESE reputa che, per far fronte a tali sviluppi, dovrebbe essere rafforzata l’educazione civica sui principi della democrazia, sui diritti fondamentali e sullo Stato di diritto; e in tal senso si riallaccia alle raccomandazioni che ha rivolto nel parere sul tema «Rafforzare lo Stato di diritto nell’Unione» (15): agli Stati membri, affinché integrino questi temi nei programmi d’istruzione scolastica e universitaria, e alla Commissione europea, affinché proponga un’ambiziosa strategia di comunicazione, istruzione e sensibilizzazione rivolta al pubblico in materia di diritti fondamentali, di Stato di diritto e di democrazia.

6.5.

Proprio per via delle interconnessioni tra le politiche in materia di identità, appartenenza, riconoscimento e ridistribuzione, occorre tenere conto del fatto che la religione, le dinamiche di genere e l’identità territoriale e culturale sono importanti, come lo sono gli interessi di classe e le disuguaglianze. Mettere in campo alternative alla facile captatio benevolentiae delle forze politiche regressive non è semplice. Occorrono nuove campagne di comunicazione e nuove esposizioni argomentate. Un modo particolarmente importante per riuscirvi consiste nel prendere in considerazione le molte nuove attività economiche emergenti nelle zone rurali, basate sui principi della comunità, del mutualismo e dell’assistenza. Il compito consiste quindi nello stabilire collegamenti con tali attività facendole uscire dall’isolamento e dalla mera sperimentazione per collegarle tra loro, oltre che ad alleanze politiche di emancipazione.

7.   In che modo la società civile al di fuori delle grandi città è influenzata dal populismo

7.1.

La società civile è profondamente influenzata dall’ascesa dei movimenti e partiti populisti, in tutta Europa e a diversi livelli territoriali. Se in molte parti d’Europa gli spazi della politica sono sempre più invasi da propaganda autoritaria, atteggiamenti xenofobi e razzisti e violenze fasciste, a subirne direttamente le conseguenze sono (senza distinzione) i movimenti sociali, le organizzazioni sindacali e le associazioni di imprenditori.

7.2.

Per la società civile, la situazione è divenuta particolarmente grave laddove i populisti sono saliti al potere e sono in grado di influire pesantemente sui programmi di governo. Quando occupano posizioni chiave nel parlamento e nell’esecutivo, i partiti populisti tendono a spingere società un tempo liberali verso regimi autoritari. Le organizzazioni della società civile sono fortemente minacciate dal restringersi degli spazi disponibili per le loro attività. Nel contempo, alcune pseudo-ONG o false ONG, create dall’alto e spesso mascherate da organizzazioni radicalmente democratiche, complicano ulteriormente il libero svolgimento delle attività delle OSC esistenti.

7.3.

In che misura la società civile sia influenzata dal populismo nelle aree rurali e suburbane è una questione complessa. Nelle aree rurali gli attivisti spesso non dispongono delle risorse essenziali per creare il tipo di alleanze che sono invece più comuni nelle aree metropolitane. Ciò vale anche per le alleanze, ad esempio, con i movimenti dei consumatori e gli attivisti nel settore dell’alimentazione che operano nelle aree urbane, i quali sono spesso più avanzati per quanto riguarda la politica dell’alimentazione sostenibile. L’assenza di movimenti sociali e partiti politici influenti in grado di rappresentare gli interessi degli abitanti delle aree rurali spiega in parte il successo elettorale dei partiti populisti di destra nell’Europa rurale.

8.   Opportunità per contrastare il populismo

8.1.

Come strumenti per combattere il populismo, si raccomandano qui due tipi di politiche. Il primo tipo concerne la minaccia populista in generale e gli strumenti che l’Unione europea potrebbe e dovrebbe impiegare, mentre il secondo riguarda più direttamente specifiche regioni e aree rurali e suburbane.

8.2.

Per intervenire sulle cause alla radice del populismo, possono essere opportune diverse strategie. La prima riguarda il modo in cui i politici e le istituzioni si rivolgono a (ed entrano in contatto con) coloro che devono effettivamente far fronte a difficoltà socioeconomiche. Le complessità sociali, economiche e politiche sono tali che nessuna istituzione (nemmeno l’UE) può trovare da sola risposte facili e univoche per ridurre tale complessità, ripristinando uno status quo socioeconomico idealizzato. Concentrandosi sulle cause alla base del populismo, i politici e le istituzioni dovrebbero smontare la retorica che sostiene di proporre soluzioni immediate e infallibili a problemi complessi.

8.3.

La seconda di queste strategie è legata direttamente all’immagine e al destino dell’Unione europea. Tra le tante frustrazioni percepite da coloro che sono più ricettivi alla propaganda populista, vi è l’assenza di progetti politici veramente allettanti che offrano una speranza credibile in un futuro migliore o azioni volte a migliorare le condizioni di vita di tutti i giorni. I populisti hanno sfruttato tale frustrazione per proporre una visione che guarda a un passato apparentemente glorioso. Per sopravvivere, l’Unione europea non ha altra scelta che riaccendere il desiderio nutrito dai popoli verso il progetto europeo.

8.4.

Il mito fondativo dell’UE non è più sufficiente a richiamare i cittadini europei. L’Unione europea dovrebbe proporre un’esposizione argomentata relativa a un futuro desiderabile e ridare slancio ai principi chiave che hanno svolto un ruolo di primo piano nel progetto europeo, come il principio di partenariato e quello di sussidiarietà.

8.5.

Il CESE chiede pertanto all’UE, agli Stati membri e a tutte le parti interessate pertinenti di rilanciare i principi di sussidiarietà e partenariato. Come indicato nella raccomandazione del gruppo Diversità Europa sul tema «Riconquistare la fiducia dei cittadini nell’UE» (16), il CESE ritiene che vadano compiuti sforzi per chiarire ai cittadini il principio di sussidiarietà e spiegare che l’UE rispetta sia la diversità culturale che le tradizioni locali. La sussidiarietà funzionale consisterebbe in un maggior coinvolgimento delle organizzazioni della società civile sia nella pianificazione regionale che nelle politiche regionali dell’UE, nonché nella difesa della democrazia, della giustizia e della parità di trattamento di tutti gli abitanti nelle aree rurali e periferiche. La sussidiarietà territoriale consentirebbe inoltre agli enti regionali e locali di assumere la responsabilità congiunta della concezione, dell’attuazione e della valutazione delle politiche strutturali.

8.6.

Il CESE raccomanda di potenziare uno strumento attuato nel contesto della politica di coesione europea, ossia lo sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD). Così facendo, gli attori locali e i cittadini avrebbero la possibilità di prendere decisioni in merito a problemi che li riguardano direttamente, contribuendo così in maniera sostanziale a migliorare la qualità di vita dei cittadini stessi.

8.7.

Il partenariato è essenziale per quanto riguarda non solo la comunicazione, ma anche la solidarietà e l’assistenza reciproca tra organizzazioni della società civile di paesi diversi. È tuttavia altrettanto importante per la creazione di alleanze tra le autorità pubbliche e i gruppi della società civile a livello locale.

8.8.

L’UE e gli Stati membri devono migliorare la loro risposta alle violazioni dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto causate dall’azione dei movimenti populisti, compresi quelli al potere. Il CESE richiama qui la raccomandazione formulata nel suo parere sul tema «Una democrazia resiliente grazie a una società civile forte e pluralistica» (17), in cui auspica «l’istituzione di un quadro di valutazione della democrazia che rifletta, tra l’altro, le condizioni quadro per l’attività della società civile e conduca a raccomandazioni specifiche di riforma», nonché alle raccomandazioni contenute nel suo parere sul tema «Rafforzare lo Stato di diritto» (18).

8.9.

Il CESE raccomanda di integrare le considerazioni espresse nel presente parere nel suddetto quadro di valutazione della democrazia e in un futuro meccanismo di monitoraggio dello Stato di diritto. Una comunicazione attenta dovrebbe chiarire che la risposta dell’UE e degli Stati membri punta a reagire alle violazioni dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto causate con talune politiche dai partiti populisti, e non a prendere di mira i loro elettori, alle cui preoccupazioni legittime si deve dare risposta attraverso politiche eque, non discriminatorie ed efficaci.

9.   Sostenere la risposta dal basso al populismo

9.1.

Il problema cui è posta di fronte la società civile nelle zone rurali non è necessariamente quello del «restringersi degli spazi» per la sua azione: il problema è che tali spazi devono ancora essere creati. Una risposta all’ascesa del populismo dovrebbe intervenire sulle cause alla radice del malcontento e provenire dal livello più basso possibile. Il CESE incoraggia un’azione che generi, nei vari gruppi di produttori e consumatori di alimenti, la sensazione di avere interessi comuni e obiettivi condivisi, a prescindere dalle distinzioni generazionali, di genere o di classe e dalla dicotomia tra zone urbane e rurali. La sovranità alimentare e le molteplici questioni che ruotano intorno al diritto all’alimentazione e al concetto di ambiente sano sono altrettanti esempi di sfide specifiche che verrebbero affrontate meglio rafforzando la solidarietà, l’identità collettiva e la partecipazione politica nell’Europa rurale.

9.2.

Per quanto riguarda il rafforzamento della partecipazione dei cittadini, gli Stati membri che reputano opportuno rafforzare la democrazia diretta attraverso referendum locali dovrebbero acquisire maggiore consapevolezza del fatto che questo è esattamente lo strumento oggi caldeggiato dai partiti populisti in tutta Europa. La democrazia diretta può essere un’arma a doppio taglio. Gli enti locali e gli attori della società civile dovrebbero adottare misure adeguate per garantire che il ricorso alla democrazia diretta sia limitato alle situazioni in cui sia ragionevole prevedere che esso apporti un beneficio reale.

9.3.

Il CESE reputa che la creazione di alleanze tra gli enti locali, le organizzazioni della società civile, le parti sociali e altri attori (ad esempio, i leader locali e i movimenti sociali) sia essenziale per intervenire sulle cause profonde alla radice del populismo. Questa azione si inquadrerà negli sforzi volti a dare risposta alla sensazione di abbandono percepito dagli abitanti delle aree rurali e suburbane. Rafforzerà inoltre il ruolo delle parti sociali, che possono contribuire a ridurre le disparità, attrarre investimenti e favorire lo sviluppo economico attraverso la loro azione e il loro dialogo.

9.4.

Gli interessi e le preoccupazioni delle associazioni delle piccole imprese, degli artigiani e degli agricoltori sono altrettanto importanti. Gli operatori economici potrebbero esitare a effettuare investimenti laddove gruppi autoritari sono saliti al potere nei governi (locali). Inoltre, i migranti in cerca di occupazione potrebbero evitare tali territori, benché vi si trovino opportunità di lavoro. È quindi importante spezzare questo circolo vizioso nelle aree suburbane e rurali.

9.5.

L’approccio consistente nell’incoraggiare gli investimenti, sia privati che pubblici, nel potenziale inutilizzato delle regioni che vengono percepite come «lasciate indietro» è un metodo che merita di essere approfondito. L’accento posto sulle sovvenzioni o sul welfare dovrebbe essere integrato potenziando le opportunità per le regioni (19) (tenuto conto del contesto locale), affrontando con decisione le strozzature e le inefficienze istituzionali e adottando misure che incentivino la formazione, l’imprenditorialità, l’assimilazione di conoscenze e l’innovazione.

9.6.

Per affrontare le cause profonde del populismo, accanto ai fattori socioeconomici devono essere presi maggiormente in considerazione fattori quali la religione, le dinamiche di genere, il luogo di residenza, l’identità culturale e il livello di istruzione. Mettere in campo alternative alle facili risposte fornite dalle forze politiche regressive non è semplice. Le risposte devono essere adeguate allo specifico mix in cui le difficoltà si manifestano in determinate situazioni locali.

9.7.

Nuove esposizioni argomentate potrebbero inoltre contribuire a contrastare il tipo di disinformazione alimentato dalle campagne, condotte sui social media, volte a minare i valori europei e quindi a sostenere la nascita di rivendicazioni e atteggiamenti separatisti e nazionalisti. È importante rafforzare il ruolo dei mezzi d’informazione tradizionali (televisione pubblica, giornali indipendenti) al fine di metterli in condizione di svolgere la loro funzione, che è quella di fornire informazioni imparziali. Sebbene la Commissione si sia già attivata in tal senso (cfr. il documento COM(2018) 236 final), sarebbe decisamente opportuno agire con un senso più acuto dell’urgenza della situazione.

9.8.

Il CESE chiede che si presti maggiore attenzione alle nuove attività economiche emergenti nei territori rurali, molte delle quali si basano sui principi del mutualismo e dell’assistenza. Il Comitato appoggia ogni azione volta a migliorare il sostegno e l’interconnessione di tali iniziative, in modo che esse possano evolversi da misure isolate e sperimentali ad alleanze politiche e sociali di emancipazione.

9.9.

Il CESE invita l’UE e i suoi Stati membri a rafforzare le infrastrutture a livello infranazionale. L’interruzione dei collegamenti di trasporto pubblico e la chiusura di scuole e servizi sanitari sono chiaramente tra le motivazioni della protesta populista in Europa. Vi è bisogno di assistenza finanziaria per migliorare le infrastrutture locali, sia materiali (trasporti e servizi pubblici) che immateriali (reti tra i vari tipi di località, istituzioni e organizzazioni).

9.10.

Il CESE, le organizzazioni di appartenenza dei suoi membri e le istituzioni dell’UE dovrebbero rafforzare lo sviluppo di capacità da parte delle OSC locali e dotarle di risorse che le aiutino ad accrescere il raggio d’azione e la qualità della loro attività. Le OSC e le loro reti europee dovrebbero ricevere più sostegno per la formazione dei loro membri a livello locale.

Bruxelles, 11 dicembre 2019

Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Rodriguez-Pose, A., The revenge of places that don't matter (and what to do about it) [La rivalsa dei luoghi che non contano (e cosa fare al riguardo)], pag. 32 (LSE Research online): http://eprints.lse.ac.uk/85888/1/Rodriguez-Pose_Revenge%20of%20Places.pdf.

(2)  Parere del CESE sul tema Rafforzare lo Stato di diritto nell’Unione. Il contesto attuale e possibili nuove iniziative (GU C 282 del 20.8.2019, pag. 39).

(3)  Risoluzione del Parlamento europeo, del 3 ottobre 2018, su come affrontare le esigenze specifiche delle zone rurali, montane e periferiche (GU C 11 del 13.1.2020, pag. 15)..

(4)  Parere del CESE sul tema Una democrazia resiliente grazie a una società civile forte e pluralistica (GU C 228 del 5.7.2019, pag. 24).

(5)  OHCHR, Principles and Guidelines for a Human Rights Approach to poverty reduction [Principi e orientamenti per un approccio alla riduzione della povertà basato sui diritti umani], https://www.ohchr.org/Documents/Publications/PovertyStrategiesen.pdf.

(6)  OHCHR, Guiding principles for human rights impact assessments for economic reform policies [Principi guida per le valutazioni dell’impatto sui diritti umani delle politiche di riforma economica], 19 dicembre 2018, https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G18/443/52/PDF/G1844352.pdf.

(7)  Parere del CESE sul tema «Un meccanismo europeo di controllo dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali» (GU C 34 del 2.2.2017, pag. 8).

(8)  Parere del CESE sul tema «Una democrazia resiliente grazie a una società civile forte e pluralistica» (GU C 228 del 05.07.2019, pag. 24).

(9)  Societies outside Metropolises: the role of civil society organisations in facing populism [Le società al di fuori delle metropoli: il ruolo delle organizzazioni della società civile nel far fronte al populismo], CESE, Bruxelles 2019 https://www.eesc.europa.eu/sites/default/files/files/qe-04-19-236-en-n.pdf..

(10)  Societies outside Metropolises: the role of civil society organisations in facing populism [Le società al di fuori delle metropoli: il ruolo delle organizzazioni della società civile nel far fronte al populismo], CESE, Bruxelles 2019: https://www.eesc.europa.eu/sites/default/files/files/qe-04-19-236-en-n.pdf.

(11)  Rodriguez-Pose, A., The revenge of places that don't matter (and what to do about it) [La rivalsa dei luoghi che non contano (e cosa fare al riguardo)], pag. 32 (LSE Research online): http://eprints.lse.ac.uk/85888/1/Rodriguez-Pose_Revenge%20of%20Places.pdf.

(12)  De Gruyter, C., Commentary: The revenge of the countryside [Commento: la rivalsa delle campagne], 21 ottobre 2016.

(13)  OHCHR, Principles and Guidelines for a Human Rights Approach to poverty reduction [Principi e orientamenti per un approccio alla riduzione della povertà basato sui diritti umani], https://www.ohchr.org/Documents/Publications/PovertyStrategiesen.pdf.

(14)  OHCHR, Guiding principles for human rights impact assessments for economic reform policies [Principi guida per le valutazioni dell’impatto sui diritti umani delle politiche di riforma economica], 19 dicembre 2018, https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G18/443/52/PDF/G1844352.pdf.

(15)  Parere del CESE sul tema Rafforzare lo Stato di diritto nell’Unione. Il contesto attuale e possibili nuove iniziative (GU C 282 del 20.8.2019, pag. 39).

(16)  Gruppo Diversità Europa, Regaining Citizens' Trust and Confidence in the EU: 7 priorities of the Diversity Europe Group [Riconquistare la fiducia dei cittadini nell’UE: 7 priorità del gruppo Diversità Europa].

(17)  Parere del CESE sul tema Una democrazia resiliente grazie a una società civile forte e pluralistica (GU C 228 del 5.7.2019, pag. 24).

(18)  Parere del CESE sul tema Rafforzare lo Stato di diritto nell’Unione. Il contesto attuale e possibili nuove iniziative (GU C 282 del 20.8.2019, pag. 39).

(19)  Rodriguez-Pose, A., The revenge of places that don't matter (and what to do about it) [La rivalsa dei luoghi che non contano (e cosa fare al riguardo)], pag. 32 (LSE Research online): http://eprints.lse.ac.uk/85888/1/Rodriguez-Pose_Revenge%20of%20Places.pdf.


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

548a sessione plenaria del CESE, 11.12.2019 – 12.12.2019

24.3.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 97/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2018

[COM(2019) 339 final]

(2020/C 97/08)

Relatore:

Gerardo LARGHI

Consultazione

Commissione europea, 15.10.2019

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

19.11.2019

Adozione in sessione plenaria

11.12.2019

Sessione plenaria n.

548

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

197/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la relazione della Commissione europea (CE) sulla politica della concorrenza 2018, nella quale viene sviluppato un approccio che mira al rafforzamento del mercato unico, dello sviluppo economico e degli obiettivi di politica sociale.

1.2.

Come ha già evidenziato in più documenti, il CESE ritiene che una politica della concorrenza efficace e rispettosa dei principi sia uno dei pilastri dell’Unione europea e uno strumento indispensabile in vista della realizzazione di un mercato interno, così come inteso nel quadro del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in funzione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), della costruzione di un’economia sociale di mercato e di quanto previsto nel Pilastro sociale (1).

1.3.

Il CESE e l’Unione europea devono assicurare su questo tema un dialogo permanente con le altre istituzioni, la società civile e, in particolare, le associazioni dei consumatori.

1.4.

Per tale ragione il CESE chiede che la concessione degli aiuti sia sempre accompagnata dalla massima trasparenza in materia di ripercussione dei costi sui consumatori e che questi siano informati chiaramente di tali costi nelle fatture (2). Il CESE accoglie con favore la volontà della Commissione di intervenire nei confronti delle restrizioni verticali e orizzontali della concorrenza, in particolare nel mondo del commercio elettronico, in cui si avvertono gli effetti dei comportamenti anticoncorrenziali.

1.5.

Occorre prestare un’attenzione particolare all’intelligenza artificiale (IA) in riferimento alle pratiche di discriminazione. Occorre adattare la legislazione dell’UE al fine di vietare la discriminazione causata dalla profilazione del consumatore con l’ausilio dell’IA.

1.6.

I megadati possono essere utilizzati contro i consumatori, in particolare a scapito del loro benessere, dato che attraverso la profilazione del consumatore vengono ridotte le possibilità di una sua libera scelta.

1.7.

Il CESE auspica che le autorità garanti della concorrenza dispongano delle conoscenze specialistiche, delle competenze e delle risorse necessarie per applicare una legislazione specifica e risolvere i gravi problemi in materia di concorrenza che arrecano un pregiudizio ai consumatori.

1.8.

In merito agli aiuti di Stato il CESE accoglie favorevolmente il fatto che il processo di modernizzazione dei controlli abbia consentito di focalizzare l’attenzione delle autorità sui dossier più importanti e rilevanti, anche grazie all’aiuto della piattaforma informatica «Transparency Award Module» (modulo per la trasparenza degli aiuti concessi).

1.9.

Il CESE insiste sulla necessità di coesione tra le politiche ambientali e quelle di contrasto agli aiuti di Stato. In particolare prende nota della revisione in atto delle linee direttrici in materia di protezione dell’ambiente e dell’energia.

1.10.

Il CESE plaude al fatto che gli orientamenti della Commissione sugli aiuti di Stato mirino a garantire la libera concorrenza sul mercato europeo dell’energia mediante gare d’appalto tecnologicamente neutre, essenziali per la nascita di diverse tecnologie per le energie rinnovabili, per un mercato europeo dell’energia resiliente e competitivo che garantisca la sicurezza dell’approvvigionamento. Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare una strategia globale e a lungo termine in contrapposizione a un approccio basato su misure correttive a breve termine, le quali non consentono la crescita e la creazione di posti di lavoro in modo più concreto e sostenibile. In questo contesto, sarebbe utile che la Commissione realizzasse uno studio comparativo dei diversi piani di sostegno all’industria manifatturiera adottati di recente negli Stati Uniti, in Cina e in Corea (3).

1.11.

Per quanto riguarda la concorrenza con le società di paesi terzi, il CESE chiede che siano garantite le stesse norme sociali e ambientali, al fine di garantire condizioni di parità.

1.12.

Il CESE evidenzia l’importanza, ai fini della realizzazione di un libero mercato sociale, di una politica di concorrenza che contemperi lo sviluppo degli obiettivi sociali ed economici di lavoratori e consumatori e il mantenimento di una struttura produttiva competitiva ed efficace.

1.13.

Il CESE ritiene che le disposizioni del mercato interno relative ai diritti alla libera circolazione (in particolare delle persone, ma anche di servizi, merci e capitali) siano i cardini fondamentali del diritto dell’UE, e che il distacco di lavoratori e la libera circolazione dei servizi vadano garantiti, onde evitare ogni forma di dumping sociale.

1.14.

Infine, il CESE non può astenersi dal manifestare la propria sorpresa per il fatto che la relazione in esame omette di fare riferimento all’evidente stallo delle trattative tra il Consiglio e il PE per quel che concerne i ricorsi collettivi, trattative avviate a seguito della proposta relativa a un «New Deal» per i consumatori che punta sostanzialmente a completare il sistema per l’effettivo risarcimento dei danni arrecati ai consumatori dalla violazione delle norme antitrust.

2.   Sintesi della relazione sulla politica di concorrenza 2018

2.1.

La relazione del 2018 affronta temi quali l’economia digitale, i servizi finanziari, l’energia e l’ambiente, l’agricoltura e l’alimentazione, i trasporti e l’industria manifatturiera e questioni quali l’applicazione decentrata dei poteri antitrust negli Stati membri e un’ampia cooperazione internazionale.

2.2.

Le pratiche esecutive quotidiane della Commissione si basano sui seguenti principi: non discriminazione, equità, trasparenza, prevedibilità, diritto di essere ascoltati e tutela della riservatezza. La «protezione del benessere dei consumatori» è esplicitamente un obiettivo degli interventi del diritto della concorrenza della CE.

2.3.

L’era digitale presenta nuove sfide nel diritto della concorrenza, come l’uso di megadati, gli algoritmi e l’intelligenza artificiale (IA).

2.4.

La Commissione europea, nell’obiettivo di «semplificare le procedure nei casi di concorrenza», ha pubblicato una guida aggiornata per le società sui segreti commerciali e altre informazioni riservate nei procedimenti antitrust. Anche l’uso di circoli di riservatezza ha beneficiato della guida aggiornata.

2.5.

Premiare la cooperazione delle società nei procedimenti antitrust si è dimostrato efficace nell’aiutare la Commissione ad aumentare la pertinenza e l’impatto delle sue decisioni, accelerando le indagini.

2.6.

La direttiva (UE) 2019/1 del Parlamento europeo e del Consiglio (4) (direttiva ECN+) consente alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri di attuare in modo più efficace le regole di concorrenza dell’UE.

2.7.

La modernizzazione della politica in materia di aiuti di Stato ha reso più semplice l’attuazione da parte degli Stati membri delle misure che promuovono investimenti, crescita economica e creazione di posti di lavoro. Essa è stata accompagnata da una più rapida attuazione delle misure di aiuto di Stato negli Stati membri e ha avuto un notevole impatto in termini di riduzione dei costi per le misure di Stato meno distorsive.

2.8.

La procedura di transazione della CE ha consentito di individuare più rapidamente i cartelli, liberando risorse per altre indagini e riducendo i costi delle indagini. Inoltre, le imprese hanno beneficiato di decisioni più rapide.

2.9.

La relazione del 2018 evidenzia le decisioni adottate nel 2018 (e negli anni precedenti) in relazione ai cartelli nel settore automobilistico e l’avvio di un’indagine approfondita sulla possibile collusione tra costruttori automobilistici per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico dei sistemi di depurazione delle emissioni delle autovetture.

2.10.   Economia digitale

2.10.1.

La politica di concorrenza è parte integrante della creazione di un mercato unico digitale funzionante. In questo senso deve essere impedito ai «giganti della rete» di usare il loro potere di mercato per indebolire la concorrenza e quindi di indebolire l’innovazione nei mercati digitali.

2.10.2.

Il mantenimento dei prezzi di rivendita su piattaforme di commercio elettronico è una delle restrizioni più diffuse nell’economia digitale. Per questo fine si registra un maggior uso degli algoritmi di determinazione del prezzo.

2.11.

Gli aiuti di Stato nell’economia verde offrono un sostegno agli investimenti necessari per garantire non solo la sicurezza degli approvvigionamenti, ma anche la decarbonizzazione del sistema energetico europeo.

2.12.   Energia

2.12.1.

Le autorizzazioni di aiuti di Stato concesse nel 2018 nel settore delle energie rinnovabili hanno indotto gli Stati membri a promuovere l’energia sostenibile e ridurre i costi per i consumatori del sistema elettrico nel suo insieme.

2.12.2.

La Commissione ha sostenuto che le misure di aiuto di Stato contribuiranno a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento senza comportare prezzi più elevati per i consumatori o impedire i flussi di elettricità oltre i confini dell’UE.

2.12.3.

L’UE deve aumentare la quota di energie rinnovabili nel suo mix energetico per quanto riguarda la diversificazione dell’approvvigionamento di gas e dotarsi di una legislazione energetica dell’UE e nazionale mirata.

2.13.   Concorrenza nel mercato unico

2.13.1.

La CE ha vietato l’acquisizione di Alstom proposta da Siemens. Ha autorizzato la fusione nel settore agroalimentare tra Bayer e Monsanto, ma condizionandola ad alcune cessioni di attività. Per il mercato dell’acciaio è stata approvata l’acquisizione di ILVA da parte di Arcelor Mittal, condizionandola ad alcune cessioni. La prevista acquisizione di Alstom da parte di Siemens è stata bloccata perché nociva alla concorrenza.

2.14.   Settore finanziario

2.14.1.

La stabilizzazione generale del comparto ha ridotto gli interventi di bilancio pubblico in casi di aiuti di Stato in questo settore. Tuttavia, in alcuni Stati membri, i crediti deteriorati non sono ancora stati sradicati.

2.15.   Garantire condizioni di parità nell’area fiscale

2.15.1.

Occorre creare condizioni di parità per le aziende per competere sul merito. Gli Stati membri non possono offrire vantaggi fiscali alle società multinazionali a dispetto delle PMI.

3.   Osservazioni generali

3.1.

La relazione 2018 sviluppa un approccio che mira al rafforzamento del mercato unico, dello sviluppo economico e degli obiettivi di politica sociale.

3.2.

L’economia digitale richiederà ingenti investimenti, pari a circa 500 miliardi di EUR, nei prossimi dieci anni, allo scopo di raggiungere gli obiettivi in materia di connettività. È essenziale attuare una seria politica in materia di concorrenza, in particolare nelle zone rurali e meno urbanizzate.

3.3.

L’era digitale presenta nuove sfide nel diritto della concorrenza, come l’uso dei megadati, degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale (IA). Occorre quindi vegliare affinché i «giganti della tecnologia» non utilizzino il loro potere sul mercato per indebolire la concorrenza nei loro confronti. Le autorità garanti della concorrenza dovrebbero disporre delle conoscenze specialistiche, delle competenze e delle risorse necessarie per applicare una legislazione specifica e risolvere, prima che sia troppo tardi, i gravi problemi in materia di concorrenza che arrecano un pregiudizio ai consumatori.

3.4.

L’attuazione dovrebbe inoltre essere basata su un uso proattivo degli strumenti per la raccolta di informazioni e delle indagini settoriali.

3.5.

Andrebbe evitato qualsiasi ritardo nell’applicazione delle regole tramite un impiego proattivo dello strumentario in materia di concorrenza (ad esempio, delle misure provvisorie) nei casi in cui sia ravvisabile un pregiudizio evidente per la concorrenza e i consumatori.

3.6.

È essenziale spostare l’onere della prova sulle imprese che partecipano a una fusione sui mercati digitali affinché possano provare che gli accordi non falseranno la concorrenza.

3.7.

È necessario valutare con maggiore rigore se gli operatori possono bloccare l’accesso al mercato, con la conseguenza sia di limitare la scelta dei consumatori e i flussi di informazione che di manipolare il comportamento degli utenti.

3.8.

Per richiamare l’attenzione sui problemi in materia di concorrenza sollevati da talune pratiche, sarebbe importante fornire orientamenti alle imprese e aiutarle ad operare entro i limiti della legislazione.

3.9.

L’IA ha oggi un impatto sulle politiche in materia di fissazione dei prezzi o sulla relativa vigilanza, con ricadute non prive di pericoli. Gli algoritmi permettono alle piattaforme di commercio elettronico di controllare e limitare non solo la libertà dei rivenditori nelle loro politiche dei prezzi ma anche la concorrenza nel quadro della grande distribuzione (con pratiche sleali che non possono continuare in futuro).

3.10.

Un fenomeno identico colpisce il settore del turismo, in cui le piattaforme per la vendita di prodotti turistici sono caratterizzate da un abuso di posizione dominante. Esistono quattro grandi reti di vendita, che esercitano un’enorme pressione sugli alberghi, sui piccoli operatori e sulle PMI.

3.11.

Occorre riservare un’attenzione particolare all’IA in riferimento alle pratiche di discriminazione. Occorre adattare la legislazione dell’UE al fine di vietare la discriminazione causata dalla profilazione per mezzo dell’IA.

3.12.

Il CESE approva la scelta della Commissione di considerare le imprese che usano degli algoritmi le sole responsabili delle azioni che da questi dipendono. I megadati possono essere utilizzati contro i consumatori, in particolare a scapito del loro benessere, dato che portando la profilazione del consumatore all’estremo vengono ridotte le sue possibilità di scelta.

3.13.

Nell’ottica del CESE il tema dell’impatto dei megadati sulla concorrenza è e sarà sempre più importante. Una politica eccessivamente interventista potrebbe però ridurre gli incentivi all’innovazione (cioè migliori servizi e minori prezzi che potrebbero dipendere da innovazioni in materia di distribuzione di prodotti e di piattaforme di acquisto).

3.14.

Un vantaggio sui concorrenti in termini di megadati può consentire agli operatori di primo piano di detenere una posizione dominante sul mercato. Le tecniche per l’analisi di masse di dati (scambio di dati, commercializzazione online, riconoscimento morfologico, stima della domanda, ottimizzazione dei prezzi) possono tradursi in pratiche di sfruttamento.

3.15.

Nell’ambito della strategia per il mercato unico digitale le indagini della CE hanno dimostrato che le restrizioni relative al prezzo di rivendita sono di gran lunga le più diffuse restrizioni della concorrenza sui mercati del commercio elettronico. Nel 2018 la CE ha emesso una serie di decisioni che infliggono ammende a società per l’imposizione di restrizioni dei prezzi di rivendita online in violazione delle norme dell’UE in materia di concorrenza.

3.16.

In tema di fiscalità, il CESE prende atto con favore degli interventi messi in opera dalla Commissione nel 2018. Nel contempo è importante che anche in questo campo si assicuri una concorrenza leale tra diversi paesi. In particolare occorre una maggiore vigilanza in tema di «tax ruling» (accordo fiscale preventivo) e di vantaggi competitivi illeciti ottenuti attraverso accordi tra alcuni paesi e i «grandi operatori», comportamenti che distorcono il libero mercato e producono danni nei confronti delle PMI, oltre a generare concorrenza sleale tra paesi.

3.17.

In materia di energia, il CESE constata che in alcuni paesi non è ancora garantita una piena e generale trasparenza delle bollette domestiche. Senza trasparenza si riduce la possibilità per i consumatori di una scelta consapevole e si favorisce lo status quo a favore dei grandi operatori.

3.18.

Agricoltura e alimentazione. In questo settore appare importante proteggere le produzioni di denominazioni di origine europee nell’agroalimentare. Il settore delle semenze e dei pesticidi è essenziale per agricoltori e consumatori, ma esso genera anche preoccupazioni che oltrepassano la protezione dei consumatori, la sicurezza alimentare e la garanzia del rispetto delle norme in materia di ambiente e clima.

3.19.

In tema di trasporti, si suggerisce alla Commissione di verificare se e in quale misura l’esenzione dalla tassa sul cherosene possa costituire un aiuto indebito alle compagnie aeree rispetto al settore ferroviario.

3.20.

Per garantire un equilibrio tra libertà di mercato e concentrazioni, non sembra sufficiente menzionare la concorrenza di altri grandi operatori mondiali, specie se provenienti da paesi chiusi alla concorrenza di imprese estere. A tal riguardo si suggerisce che, in alternativa a fusioni societarie che indeboliscono la concorrenza, si mettano in campo azioni mirate a superare le barriere all’entrata su mercati terzi, incentivi fiscali più robusti alla ricerca e allo sviluppo, accordi tra produttori europei per coordinare le strategie di esportazione e investimenti all’estero.

3.21.

In ogni caso la difesa del consumatore deve equilibrarsi con l’azione di sostegno e promozione delle imprese innovatrici e delle PMI (con strumenti non lesivi della concorrenza dinamica sul mercato), strada maestra verso la creazione di occupazione di qualità e la sostenibilità dinamica del sistema produttivo.

3.22.

Riguardo al mercato del lavoro e alla tutela della concorrenza, il CESE ritiene che tra i punti su cui è necessario intervenire per garantire una vera libera concorrenza tra le imprese nell’attuale mercato, vi sia anche quello relativo al quadro normativo entro cui si iscrivono il rispetto dei diritti sociali fondamentali e della libera circolazione di lavoratori e servizi.

3.23.

Si tratta di prevenire ogni forma di «dumping sociale» (concorrenza sleale in materia di retribuzioni e condizioni di lavoro che causano una spirale verso il basso), per garantire parità di trattamento dei lavoratori, dovunque essi operino e da ovunque provengano, e la non discriminazione di lavoratori e di aziende nel luogo in cui il lavoro viene eseguito.

3.24.

Infine, il CESE non può astenersi dal manifestare la propria sorpresa per il fatto che, a differenza di tutte le sue relazioni degli ultimi anni, per la prima volta la Commissione ha completamente omesso — sia nella relazione in esame che nel documento di lavoro (SWD(2019) 297 final) che la accompagna — di fare qualsiasi riferimento alla mancanza di progressi in rapporto alle azioni collettive. Tali azioni collettive, pur essendo un mezzo per promuovere un effettivo risarcimento dei danni arrecati ai consumatori dalla violazione delle norme antitrust, non sono contemplate dalla direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (5) sulle azioni di risarcimento per violazione delle norme antitrust. Tale sorpresa è tanto più grande se si tiene conto del parere del CESE (6) sulla proposta della Commissione riguardante un «New Deal» per i consumatori (7) e della decisione del Consiglio di escludere tutta la parte relativa alle azioni collettive dalla direttiva recentemente adottata (8), direttiva che il CESE aveva peraltro giudicato manifestamente insufficiente.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

In materia di digitalizzazione il CESE concorda con la scelta della CE di considerarla prioritaria e di focalizzare il programma relativo alla concorrenza per il 2021-2027 sulle sfide connesse ai megadati, agli algoritmi e all’IA. Il CESE invita la CE a dare seguito a quanto contenuto nella relazione intitolata Competition Policy for the Digital Era («Una politica della concorrenza per l’era digitale») pubblicata lo scorso aprile, in particolare relativamente a:

4.1.1.

le strategie da perseguire per contrastare ogni limitazione alla concorrenza ed al libero mercato messe in atto da piattaforme digitali, anche nei settori del commercio e del turismo;

4.1.2.

la reale e completa conoscenza e trasferibilità dei dati personali da ogni piattaforma da parte dell’utilizzatore-consumatore;

4.1.3.

il contrasto ad ogni forma di esclusione delle aziende che alcune piattaforme digitali giudicano potenzialmente pericolose per la propria posizione dominante;

4.1.4.

la salvaguardia del libero mercato tramite la protezione delle piccole imprese in fase di avviamento (start-up) che presentano un potenziale in termini di mercato e che sono spesso assorbite dai grandi operatori del settore digitale, che considerano tali imprese come futuri concorrenti pericolosi.

4.2.

Il CESE ritiene che i soggetti che a ogni livello hanno affidato a piattaforme digitali incarichi di interesse generale debbano avere anche gli strumenti legislativi per accedere e controllare gli algoritmi utilizzati da tali piattaforme.

4.3.

Il CESE suggerisce alla CE di rafforzare le misure di controllo sull’applicazione degli accordi di libero scambio e di tutelare la libertà di accesso delle imprese europee ai mercati mondiali.

4.4.

In questo senso, bisogna garantire una reale reciprocità sui mercati degli appalti pubblici a livello mondiale.

Bruxelles, 11 dicembre 2019

Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Artt. 7, 9, 11 e 12 del TFUE.

(2)  Direttiva (UE) 2019/944 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che modifica la direttiva 2012/27/CE.

(3)  GU C 197 dell'8.6.2018, pag. 10.

(4)  Direttiva (UE) 2019/1 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e che assicura il corretto funzionamento del mercato interno (GU L 11 del 14.1.2019, pag. 3).

(5)  Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea (GU L 349 del 5.12.2014, pag. 1).

(6)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 66.

(7)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE, COM(2018) 184 final — 2018/0089 (COD).

(8)  Cfr. il documento PE-CONS 83/19 del 18 ottobre 2019.


24.3.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 97/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1306/2013 per quanto riguarda la disciplina finanziaria a decorrere dall’esercizio finanziario 2021 e il regolamento (UE) n. 1307/2013 per quanto riguarda la flessibilità tra i pilastri per l’anno civile 2020

[COM(2019) 580 — 2019/0253(COD)]

(2020/C 97/09)

Consultazione

Parlamento europeo, 13.11.2019

Consiglio dell’Unione europea, 15.11.2019

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, e articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sessione plenaria

11.12. 2019

Sessione plenaria n.

548

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

191/1/1

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 548a sessione plenaria dei giorni 11 e 12 dicembre 2019 (seduta dell’11 dicembre), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 191 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

Bruxelles, 11 dicembre 2019

Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER