ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 159

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

62° anno
10 maggio 2019


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

2019/C 159/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul dialogo sociale per l’innovazione nell’economia digitale (parere d’iniziativa)

1

 

PARERI

2019/C 159/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla condizione delle donne nei Balcani occidentali (parere d’iniziativa)

7

2019/C 159/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Riformare l’OMC per adattarsi all’evoluzione del commercio mondiale(parere d’iniziativa)

15

2019/C 159/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul Ruolo dei gruppi consultivi interni nel monitoraggio dell’attuazione degli accordi di libero scambio(Parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo)

28


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

Comitato economico e sociale europeo

2019/C 159/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda l’introduzione di misure tecniche dettagliate per il funzionamento del sistema dell’IVA definitivo per l’imposizione degli scambi tra Stati membri[COM(2018) 329 final — 2018/0164 (CNS)]

38

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

2019/C 159/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1303/2013 per quanto riguarda l’adeguamento del prefinanziamento annuale per gli anni dal 2021 al 2023[COM(2018) 614 final — 2018/0322 (COD)]

45

2019/C 159/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Raccomandazione di raccomandazione del Consiglio sulla politica economica della zona euro[COM(2018) 759 final]

49

2019/C 159/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare - Contributo della Commissione europea alla riunione dei leader di Salisburgo del 19-20 settembre 2018[COM(2018) 634 final – 2018/0329 COD]

53

2019/C 159/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le misure di conservazione e di controllo da applicare nella zona di regolamentazione dell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale e che abroga il regolamento (CE) n. 2115/2005 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1386/2007 del Consiglio [COM(2018) 577 final — 2018/0304 (COD)]

60

 

Comitato economico e sociale europeo

2019/C 159/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Centro europeo di competenza industriale, tecnologica e di ricerca sulla cibersicurezza e la rete dei centri nazionali di coordinamento [COM(2018) 630 final - 2018/0328 (COD)]

63

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

2019/C 159/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che adatta la direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’efficienza energetica [modificata dalla direttiva (UE) 2018/2002] e il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio [Governance dell’Unione dell’energia], a motivo del recesso del Regno Unito dall’Unione europea [COM(2018)744 final - 2018/0385 (COD)]

68

2019/C 159/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (UE) n. 1305/2013 e (UE) n. 1307/2013 per quanto riguarda alcune norme sui pagamenti diretti e sul sostegno allo sviluppo rurale per gli anni 2019 e 2020[COM(2018) 817 final — 2018/0414 (COD)]

71


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul dialogo sociale per l’innovazione nell’economia digitale

(parere d’iniziativa)

(2019/C 159/01)

Relatore: Jukka AHTELA

Decisione dell’Assemblea plenaria

15/02/2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere di iniziativa

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

18/12/2018

Adozione in sessione plenaria

23/01/2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

133/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’innovazione è un fattore importante per la competitività, la produttività e il potenziale di crescita delle imprese, in grado anche di accrescere la qualità del lavoro, promuovere la creazione di occupazione e migliorare il tenore di vita. Per sfruttare appieno il potenziale dell’innovazione è necessario il coinvolgimento e la motivazione dei lavoratori, anche attraverso il dialogo sociale. Ciò dovrebbe essere sostenuto da un contesto politico e normativo favorevole all’innovazione in tutta Europa.

1.2.

La digitalizzazione e altri sviluppi che incidono sulle condizioni di lavoro, sulla situazione economica dei lavoratori e sulla vita lavorativa rappresentano una sfida alle strutture, ai metodi di gestione e di leadership attuali delle imprese, alle relazioni industriali, nonché all’ambito di applicazione e ai metodi del dialogo sociale.

1.3.

Il lavoro della conoscenza sta diventando la regola in tutti i settori del mondo del lavoro. Le tecnologie dell’informazione e in particolare la digitalizzazione consentono di scindere il tempo e il luogo di lavoro. L’evoluzione verso un lavoro basato sulle competenze e sulla conoscenza rafforza l’autonomia dei lavoratori della conoscenza, mentre si può discernere una tendenza alla polarizzazione tra il lavoro che prevede conoscenze altamente specializzate e lavoro potenzialmente meno produttivo. Per contrastare l’aumento dell’insicurezza economica in parte prodotta dalla digitalizzazione, andrebbe promossa a tutti i livelli la contrattazione collettiva, soprattutto nei settori e nelle imprese interessati dal processo di digitalizzazione. Questo può contribuire a nuove forme di organizzazione digitalizzata del lavoro che migliorino la qualità dell’occupazione, invece di peggiorarla (1).

1.4.

Se da un lato lo sviluppo verso una maggiore autonomia per un certo numero di lavoratori costituisce una sfida per le strutture di gestione e i metodi di leadership, esso richiede, dall’altro, nuove forme di dialogo, di messa a disposizione di informazioni e di consultazione nonché di contributo dei lavoratori ai metodi di gestione. Sono necessari nuovi approcci partecipativi per coinvolgere il numero più alto possibile di risorse umane nei processi di sviluppo e di innovazione.

1.5.

Il CESE sottolinea l’importanza di fare in modo che i benefici e le sfide che apporterà ai dipendenti l’adozione di nuovi approcci di cultura del luogo di lavoro, in termini di sicurezza e qualità dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, anche in materia di salute, sicurezza e formazione, siano compresi nella misura più ampia possibile. Un reale sostegno e coinvolgimento dei lavoratori richiede sforzi reali e specifici a tutti i livelli.

1.6.

Il dialogo sociale e in particolare la contrattazione collettiva fra le parti sociali saranno preferiti come strumenti fondamentali se essi sono contemplati fin dall’inizio (cfr. punti 5.1 e 5.5) quando si introducono nuove tecnologie, in un clima basato sulla fiducia tra il personale e la dirigenza. Nell’ambito della loro autonomia, e senza compromettere i principi fondamentali delle strutture esistenti, le parti sociali dovrebbero continuare a cercare per il dialogo sociale, in particolare per i negoziati, nuove soluzioni adatte a far fronte alle nuove sfide, affinché si trovino soluzioni equilibrate e si mantenga il senso e il sentimento di utilità del ruolo delle parti sociali a tutti i livelli.

1.7.

Nuove forme di lavoro frammentato e l’aumento del numero di lavoratori atipici richiedono un maggiore coinvolgimento di tali lavoratori, mediante misure più ampie di informazione e consultazione a loro dirette, nonché attraverso un adeguamento dei diritti collettivi, degli orari di lavoro e dei diritti sociali (2).

1.8.

Come già sottolineato dal CESE, la rappresentanza sindacale e la contrattazione collettiva per i lavoratori vengono rimesse in discussione nel caso di alcune nuove forme di lavoro (3). Si devono pertanto eliminare gli ostacoli all’esercizio da parte delle persone dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) (4).

1.9.

Il CESE sostiene l’idea che la probabilità di innovazione è rafforzata quando forti strutture di organizzazione del lavoro sono combinate con varie forme di una partecipazione accresciuta dei dipendenti all’interno di un solido quadro giuridico e contrattuale. A tal fine la rappresentanza collettiva deve essere sempre più accompagnata da un dialogo più inclusivo, più meditato e più democratico in materia di strutture e metodi di lavoro. Dovrebbe ugualmente essere presa in considerazione l’importanza della formazione dei dirigenti al dialogo sociale al fine di adeguare i metodi di gestione nel nuovo contesto. Il CESE sottolinea inoltre la necessità di promuovere un ambiente favorevole alle imprese, che consenta a queste di crescere e di essere competitive.

1.10.

Relazioni basate sulla fiducia tra gli organi di rappresentanza dei lavoratori, i sindacati e la dirigenza, unite alla partecipazione diretta dei dipendenti negli organi decisionali (cfr. punto 6.7), sono associate a livelli più elevati di efficienza e benessere e alla creazione di un ambiente positivo per le azioni innovative. Il cambiamento partecipativo fa nascere un contesto caratterizzato dalla fiducia reciproca tra dirigenza, lavoratori e sindacati (5). La fiducia dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali nonché il loro contributo, a tutti i livelli e in tutti gli organi pertinenti, a livello locale e/o a quello dei consigli di amministrazione e di vigilanza, sono elementi di importanza capitale. Il loro coinvolgimento nell’anticipazione, nella gestione e nella presa di decisioni sui cambiamenti in atto al fine di affrontare gli effetti delle trasformazioni digitali e di creare una mentalità e una cultura orientate all’innovazione è di importanza fondamentale (6).

1.11.

A livello nazionale, le iniziative delle parti sociali per migliorare la produttività e il benessere dei lavoratori sul luogo di lavoro sono un metodo promettente che dovrebbe essere favorito in un più ampio contesto europeo. A questo riguardo, il CESE accoglie con favore le iniziative e la ricerca di Eurofound e della Rete europea dell’innovazione sul luogo di lavoro e propone che l’UE adotti misure per sviluppare il dialogo tra le parti sociali e altre parti interessate nel contesto di approcci partecipativi per promuovere l’innovazione sul luogo di lavoro.

2.   Introduzione

2.1.

L’innovazione è un fattore importante per la competitività, la produttività e il potenziale di crescita delle imprese. Per sfruttare appieno il potenziale dell’innovazione è necessario il coinvolgimento e la motivazione dei lavoratori. Le attività di innovazione mettono i siti di lavoro europei in una posizione migliore per competere a livello internazionale e quindi creare una solida base per un’occupazione di qualità, costituendo pertanto un fattore chiave per un tenore di vita più elevato. Ciò dovrebbe essere sostenuto da un contesto politico e normativo favorevole all’innovazione in Europa.

2.2.

La digitalizzazione è un importante motore dell’innovazione. La digitalizzazione dell’industria e dei servizi offre un enorme potenziale in termini, per esempio, di automazione, tecnologie di trasformazione, aumento della produttività e della flessibilità con vantaggi reciproci. Investire nell’istruzione e nella formazione in modo inclusivo con l’obiettivo di assicurarsi le competenze necessarie nell’economia digitale è anche un importante strumento per ridurre le disuguaglianze e raccogliere i benefici di questo potenziale per tutti, nei luoghi di lavoro e nella società in generale. Il settore pubblico ha una responsabilità cruciale nel modernizzare l’istruzione pubblica e promuovere le competenze necessarie e nel contribuire a un contesto imprenditoriale di alta qualità. Al tempo stesso, anche le imprese e il settore industriale devono svolgere il loro ruolo e contribuire ad agevolare l’accesso per i lavoratori alla formazione professionale e all’apprendimento permanente. La prospettiva di genere deve essere al centro di tutte le iniziative in campo digitale promuovendo la piena integrazione delle donne nell’economia digitale, onde ridurre il divario retributivo di genere e promuovere l’equilibrio tra vita professionale e vita privata.

2.3.

Nonostante il forte calo dei prezzi delle TIC, un passaggio dagli investimenti nelle TIC ai servizi nel settore delle TIC e un costante aumento degli attivi basati sulla conoscenza, non sembra che la nuova economia digitale abbia stimolato la crescita della produttività. Studi internazionali fanno pensare che la nuova economia digitale sia ancora in una fase di «installazione» e gli effetti sulla produttività possano prodursi solo una volta che la tecnologia entri nella «fase di diffusione» (7). Anche l’immagine del passaggio da forme più produttive a forme meno produttive di occupazione fornita dalle statistiche nazionali può nascondere il pieno contributo delle TIC alla crescita, dato che il contributo delle TIC alla produttività e all’occupazione può variare notevolmente da un comparto a un altro.

2.4.

Il mondo del lavoro si trova dinanzi a cambiamenti che avranno un impatto profondo sui datori di lavoro, i lavoratori e le loro relazioni contrattuali di lavoro. Alcuni di questi cambiamenti si verificano fuori dalle imprese, come nel caso dell’esternalizzazione, mentre numerosi cambiamenti hanno luogo al loro interno, come il passaggio a orari di lavoro e forme di lavoro flessibili. Questi sviluppi, che si stanno verificando nel quadro fondato sulla legislazione e sui contratti collettivi, costituiscono una sfida per le strutture, i metodi di gestione e la leadership attuali delle imprese, nonché per l’ambito di applicazione e i metodi del dialogo sociale, oltre ad avere implicazioni per la sicurezza e la qualità dell’occupazione. Tuttavia, il dialogo sociale e i negoziati fra le parti sociali possono e dovrebbero essere preferiti come strumenti fondamentali se si adeguano ai cambiamenti e sono utilizzati a monte (cfr. punto 5.1) dell’introduzione di nuove tecnologie, in un clima di fiducia. Le parti sociali europee hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sulla digitalizzazione nel 2016 (8).

2.5.

Il presente parere si prefigge di chiarire e stabilire i collegamenti tra le competenze e il ruolo dei lavoratori come fattore che contribuisce ai processi di innovazione, all’aumento della produttività e al benessere dei lavoratori, da un lato, e la necessità di definire pratiche di lavoro ben funzionanti per sostenere e promuovere questi obiettivi, dall’altro.

3.   La posta in gioco: le sfide della cultura dell’innovazione nel luogo di lavoro

3.1.

Vi è un’urgente necessità di adattare le strutture aziendali e i metodi di lavoro all’economia digitale. Trovare nuovi modi per aumentare la produttività nell’era digitale è una sfida per tutte le parti interessate. Un’attività di innovazione continua al fine di sfruttare il potenziale delle risorse umane promuovendo al tempo stesso il benessere dei lavoratori è fondamentale per vincere queste sfide. Il dialogo sociale, in particolare sotto forma di negoziati a livello locale, può svolgere un ruolo essenziale nel facilitare i processi di innovazione e di adeguamento.

3.2.

La digitalizzazione ha un impatto profondo sia sulle organizzazioni esistenti che su quelle nuove sotto l’aspetto delle modalità di organizzazione delle attività dell’impresa e del lavoro. Anche se forme tradizionali di lavoro possono ancora resistere, si può già discernere l’impatto esercitato dalla digitalizzazione sui nuovi metodi di lavoro, come il rapido aumento del lavoro a distanza in numerosi settori con un’accresciuta autonomia per una serie di lavoratori.

3.3.

Il lavoro della conoscenza sta diventando la regola in tutti i settori del mondo del lavoro. Le tecnologie dell’informazione e in particolare la digitalizzazione consentono di scindere il tempo e il luogo di lavoro. L’evoluzione verso un lavoro basato sulle competenze e sulla conoscenza rafforza l’autonomia dei lavoratori della conoscenza, mentre si può discernere una tendenza alla polarizzazione tra il lavoro che prevede conoscenze altamente specializzate e lavoro potenzialmente meno produttivo con uno svuotamento di contenuti dei compiti.

3.4.

La maggiore autonomia che la digitalizzazione tendenzialmente consente a determinati lavoratori costituisce una sfida per le aziende, i loro organi, la loro governance, nonché per i loro metodi di gestione e le loro strutture gerarchiche tradizionali. Rappresenta una sfida anche per le condizioni di lavoro, la situazione economica dei lavoratori e le relazioni industriali. Questi sviluppi impongono una gamma più ampia di forme di dialogo sociale di attività di informazione e consultazione nonché un forte coinvolgimento dei lavoratori, i quali possono contribuire in prima persona all’adozione di pratiche innovative e di processi di sviluppo vantaggiosi sia per l’azienda che per le parti interessate (9). Pertanto le parti sociali dovrebbero cercare di trovare soluzioni, in modo da garantire la coesistenza di forme tradizionali e di impostazioni innovative del dialogo sociale.

4.   Come si può rafforzare la cultura dell’innovazione sul luogo di lavoro?

4.1.

Se da un lato lo sviluppo verso una maggiore autonomia per un certo numero di lavoratori costituisce una sfida per le strutture di gestione e i metodi di leadership, esso richiede, dall’altro, anche nuove forme di dialogo, di messa a disposizione di informazioni e di consultazione nonché di contributo dei lavoratori ai metodi di gestione. Sono necessari approcci nuovi per coinvolgere il numero più alto possibile di risorse umane nei processi di sviluppo e di innovazione.

4.2.

Tuttavia, portare i lavoratori al centro dei processi di innovazione del luogo di lavoro non sempre richiede importanti modifiche organizzative. Una serie di strumenti semplici può essere utilizzata a tale scopo, ma lo strumento principale per raggiungere questo obiettivo dovrebbe essere la contrattazione collettiva e il dialogo sociale in linea con le esigenze del luogo di lavoro interessato. Equipe autosufficienti, laboratori sperimentali, cassette dei suggerimenti e gruppi di progetto interdisciplinari sono solo alcuni esempi. Una caratteristica comune è una cultura sul luogo di lavoro che favorisce l’inventiva dei lavoratori e tale cultura del luogo di lavoro può solo basarsi sulla reciproca fiducia tra la dirigenza e il personale.

4.3.

Il CESE sottolinea l’importanza di fare in modo che i benefici che apporterà ai dipendenti l’adozione di nuovi approcci di cultura del luogo di lavoro, in termini di sicurezza e qualità dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, siano compresi nella misura più ampia possibile. Occorre inoltre tener conto dei rischi per i lavoratori, ad esempio per quanto riguarda le condizioni di lavoro, la protezione della loro salute e sicurezza, l’insicurezza economica e un’accresciuta polarizzazione. Un sostegno e un coinvolgimento effettivi dei lavoratori e dei sindacati andrebbero promossi a tutti i livelli, e richiedono sforzi reali e specifici a tutti i livelli dell’organizzazione interessata, in modo da evitare un approccio che consista semplicemente nello «spuntare una casella».

4.4.

Una cultura dell’innovazione nel luogo di lavoro implica che il singolo lavoratore non solo si concentri nello svolgimento delle sue funzioni, ma valuti anche se tali funzioni potrebbero essere esercitate in una maniera soggetta a costanti miglioramenti. Inoltre, una cultura dell’innovazione comporta che la dirigenza ascolti attivamente le idee dei lavoratori e li incoraggi a partecipare ai processi di innovazione (10).

4.5.

Aumentare l’autonomia dei lavoratori nel quadro delle attività d’innovazione e di sviluppo delle imprese presenta una grande opportunità di attingere alle competenze dei lavoratori. Lo stesso vale per la flessibilità dell’orario e dell’ubicazione del posto di lavoro, flessibilità che funziona in modo più efficace se gli approcci innovativi di organizzazione del lavoro sono basati su modalità che sono concordate a livello dello specifico luogo di lavoro e si fondano sulla fiducia reciproca. Tutto ciò richiede una cultura moderna di leadership inquadrata in un solido regime giuridico e contrattuale basato su strategie partecipative da promuovere anche a livello dell’UE.

5.   Il ruolo delle diverse forme di dialogo sociale

5.1.

Una delle funzioni principali del dialogo sociale, in particolare della contrattazione collettiva, è quella di contribuire a definire il contesto imprenditoriale e a gestire i cambiamenti nella vita lavorativa, attraverso la messa a disposizione di informazioni, l’anticipazione, la partecipazione e la facilitazione, per costruire la fiducia reciproca tra le parti sociali a tutti i livelli, un obiettivo dell’Unione europea, attuato secondo le prassi nazionali.

5.2.

Il CESE ha ribadito in numerosi pareri il ruolo centrale che riveste il dialogo sociale nel mondo del lavoro in evoluzione (11). Al dialogo sociale spetta un ruolo di primo piano a tutti i livelli pertinenti, sempre nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali.

5.3.

Tuttavia, tenendo conto delle difficoltà e dell’accelerazione dei cambiamenti, vi è la chiara necessità di adeguare le strutture e gli obiettivi del dialogo sociale al flusso continuo delle trasformazioni, pur sempre nel rispetto dei regimi giuridici e contrattuali nazionali e europei. Si tratta di una sfida per le parti sociali a tutti i livelli. Nell’ambito della loro autonomia, e senza compromettere i principi fondamentali delle strutture esistenti, le parti sociali dovrebbero continuare a cercare per il dialogo sociale, in particolare per i negoziati, nuove soluzioni adatte a far fronte alle nuove sfide, affinché si trovino soluzioni equilibrate e si mantenga il senso e il sentimento di utilità del ruolo delle parti sociali a tutti i livelli. Anche il partenariato con le comunità locali può essere una fonte di ispirazione per le parti sociali.

5.4.

Il CESE ha sostenuto che «è impossibile, nella fase attuale, anticipare tutte le opportunità e le sfide future dell’economia digitale. Il ruolo del dialogo sociale e civico non consiste nell’opporsi a questi mutamenti, bensì nell’imprimere loro il miglior orientamento possibile per sfruttare tutti i benefici che tali trasformazioni possono apportare per la crescita, per la promozione delle innovazioni e delle competenze, per un’occupazione di qualità e per il finanziamento sostenibile e solidale della protezione sociale (12)

5.5.

Per quanto riguarda la gestione della transizione in un mondo del lavoro digitalizzato, è importante contare su processi decisionali fluidi, in modo che le imprese e i lavoratori possano rapidamente adeguarsi a un contesto in evoluzione. Il CESE ha dichiarato che «Di fronte all’introduzione di nuove tecnologie come i robot o le macchine intelligenti, nel suo studio il CESE ricorda l’importanza di informare e consultare «a monte» i rappresentanti dei lavoratori e la necessità della contrattazione collettiva per accompagnare i cambiamenti indotti da queste tecnologie; e ricorda inoltre come tale consultazione sia obbligatoria ai sensi della direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (13) concernente i comitati aziendali europei (14)».

5.6.

Inoltre, il CESE ha fornito esempi di casi in cui le attività delle parti sociali hanno portato a risolvere problemi che sono sorti in questo periodo di transizione (15). Un altro esempio è l’accordo collettivo tra la piattaforma digitale per servizi di pulizia Hilfr e il sindacato 3F in Danimarca (16). L’UE dovrebbe incoraggiare tali attività, promuovendo il dialogo sociale e sostenendo lo sviluppo di capacità delle parti sociali.

6.   Principali conclusioni a sostegno di nuovi approcci per stimolare l’innovazione

6.1.

Come sottolineato in un recente studio di Eurofound (17), le imprese che incoraggiano i propri dipendenti a partecipare a un ampio processo decisionale riguardante le operazioni o la direzione strategica possono non solo migliorare la soddisfazione sul lavoro, ma anche aumentare il livello di innovazione. Il cambiamento partecipativo fa nascere un contesto caratterizzato dalla fiducia reciproca tra dirigenza, lavoratori e sindacati. La fiducia dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali nonché il loro contributo, a tutti i livelli e in tutti gli organi pertinenti, a livello locale e/o a quello dei consigli di amministrazione e di vigilanza, sono elementi di importanza capitale. Il loro coinvolgimento nell’anticipazione, nella gestione e nell’assunzione di decisioni sui cambiamenti in atto al fine di affrontare gli effetti delle trasformazioni digitali e di creare una mentalità e una cultura orientate all’innovazione è un fattore cruciale (18).

6.2.

Secondo Eurofound, la probabilità di innovazione è stimolata quando strutture solide di organizzazione del lavoro sono combinate con la partecipazione diretta dei dipendenti (per esempio, coinvolgimento nella risoluzione dei problemi o miglioramento della qualità della produzione) (19). Questa osservazione conferma l’idea che è stata avanzata secondo cui, se da un lato la rappresentanza collettiva svolge un ruolo importante nel garantire la partecipazione dei lavoratori ai processi di innovazione, vi è una crescente necessità di un dialogo più inclusivo e più democratico basato sul coinvolgimento dei lavoratori nel processo di riflessione. I metodi di dialogo sociale dovrebbero, in questo spirito, facilitare la condivisione e la realizzazione delle conoscenze specifiche collettive di tutti i membri dell’organizzazione, siano i lavoratori, i loro rappresentanti o i dirigenti (20).

6.3.

Allo stesso modo, l’analisi di Eurofound ha rivelato che l’accesso dei lavoratori alla formazione presenta una correlazione positiva con l’innovazione. Come il CESE ha già sottolineato, il lavoro deve offrire a chi lo presta la soddisfazione di mostrare tutte le sue competenze e il livello dei suoi risultati e di dare il massimo contributo al benessere comune (21).

6.4.

Dallo studio di Eurofound emerge che la motivazione, sotto forma di incentivi finanziari come retribuzioni variabili, mostra anch’essa una correlazione positiva con l’innovazione. Si è inoltre riscontrato che le organizzazioni più innovative registrano migliori risultati e maggiore benessere sul posto di lavoro. Tali imprese innovative tendono ad avere pratiche consolidate di partecipazione dei dipendenti.

6.5.

Un dialogo sociale basato sulla fiducia è importante per le prestazioni e per il benessere secondo Eurofound. I livelli di prestazioni e il benessere sul posto di lavoro sono ben al di sotto della media in stabilimenti in cui si sono registrati conflitti di lavoro e azioni sindacali. Una relazione di fiducia tra gli organi di rappresentanza dei lavoratori e la dirigenza, unita alla partecipazione diretta dei dipendenti, è associata a livelli più elevati di efficienza e benessere e alla creazione di un ambiente positivo per le azioni innovative (22). Il CESE sottolinea inoltre l’importanza della formazione dei dirigenti per adattare i metodi di gestione nel nuovo contesto.

6.6.

Una cultura della fiducia è anche un importante fattore di competitività per le imprese. Quando in un luogo di lavoro si affrontano questioni complesse inerenti alla digitalizzazione, la cultura della fiducia è una solida base per una cooperazione riuscita in contrasto con la cultura del controllo e della conformità (23).

6.7.

Come ha sostenuto Eurofound, non esiste una ricetta per creare fiducia in un luogo di lavoro, ma vi sono determinate condizioni che ne favoriscono l’emergere. Tra queste figurano il riconoscimento reciproco per le due parti incaricate di trovare soluzioni a problemi comuni, un intervento tempestivo che consenta uno spazio di dibattito reale, la trasparenza, la tempestiva condivisione di informazioni di buona qualità e il coinvolgimento di tutte le parti interessate nella strategia e negli obiettivi (24). Come il CESE osserva nel proprio parere (25) è necessario che i lavoratori dispongano di un peso maggiore e di una partecipazione rafforzata negli organi decisionali. Il loro coinvolgimento nell’anticipazione degli sviluppi futuri, nella gestione e nelle decisioni da prendere in merito a questi cambiamenti sono altrettanti fattori essenziali per far fronte agli effetti delle trasformazioni digitali e creare una mentalità e una cultura orientate all’innovazione.

6.8.

A livello nazionale le iniziative delle parti sociali per migliorare la produttività e il benessere dei lavoratori sul luogo di lavoro sono un metodo promettente che dovrebbe essere promosso in un più ampio contesto europeo. Il progetto congiunto della Federazione delle industrie tecnologiche finlandesi e dell’Unione industriale è un progetto unico in Finlandia (26). In Danimarca la Confederazione danese dei sindacati ha prodotto uno studio specifico sul tema dell’innovazione trainata dai dipendenti (27). Inoltre, nella Repubblica ceca, in Danimarca, in Germania, in Italia, in Francia e in Spagna le parti sociali sono coinvolte nei dibattiti e nei progetti nazionali in materia di trasformazione digitale e relativi effetti sulla vita lavorativa (28).

6.9.

A questo riguardo, il CESE accoglie con favore le iniziative e la ricerca di Eurofound e della Rete europea dell’innovazione sul luogo di lavoro lanciata dalla Commissione europea e propone che l’UE adotti misure per sviluppare il dialogo tra le parti sociali e le altre parti interessate nel contesto di approcci partecipativi per promuovere l’innovazione sul luogo di lavoro.

Bruxelles, 23 gennaio 2019

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161.

(2)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 36 e come ha riconosciuto la commissaria europea Marianne Thyssen in occasione del convegno congiunto ETUI/CES nel giugno 2016 sul tema Dare forma al nuovo mondo del lavoro

(3)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 54.

(4)  Articoli 12 e 28 della Carta, e convenzioni dell’OIL n.87 e 98, cfr. anche sotto, punti 3.2 e seguenti.

(5)  3rd European Company Survey: "Innovative changes in European companies" (3a indagine sulle imprese in Europa: cambiamenti innovativi nelle imprese europee). Eurofound, 2017.

(6)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(7)  The Productivity Paradox of the New Digital Economy (Il paradosso della produttività della nuova economia digitale), Bart Van Ark (The Conference Board and the University of Groningen, International Productivity Monitor, 2016, pagg. 3-18.

(8)  Statement by the European Social Partners on digitalisation (Dichiarazione delle parti sociali europee sulla digitalizzazione).

(9)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(10)  "Employee-driven innovation" (L’innovazione trainata dai dipendenti), Danish Confederation of Trade Unions, 2007.

(11)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10 e GU C 303 del 19.8.2016, pag. 54.

(12)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(13)  Direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (rifusione) (GU L 122 del 16.5.2009, pag. 28).

(14)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(15)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(16)  Contratto collettivo Hilfr.

(17)  3rd European Company Survey: "Innovative changes in European companies" (3a indagine sulle imprese: cambiamenti innovativi nelle imprese europee). Eurofound, 2017.

(18)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(19)  3rd European Company Survey: "Innovative changes in European companies" (3a indagine sulle imprese: cambiamenti innovativi nelle imprese europee). Eurofound, 2017.

(20)  Workplace Social Dialogue as a Form of 'Productive Reflection (Dialogo sociale nel luogo di lavoro come una forma di «riflessione produttiva»). Peter Cressey, Peter Totterdill, Rosemary Exton; International Journal of Action Research, Volume 9, Issue 2, 2013.

(21)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 43.

(22)  3rd European Company Survey: "Innovative changes in European companies" (3a indagine sulle imprese: cambiamenti innovativi nelle imprese europee). Eurofound, 2017.

(23)  Vertrauenskultur als Wettbewerbsvorteil in digitalen Zeiten (La cultura della fiducia come vantaggio competitivo nell’epoca della digitalizzazione).

(24)  Win-win arrangements: Innovative measures through social dialogue at company level (Accordi vantaggiosi per entrambe le parti: misure innovative grazie al dialogo sociale a livello aziendale), Eurofound, 2016.

(25)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(26)  "Productivity together" project (Progetto «produttività insieme»).

(27)  "Employee-driven innovation" (L’innovazione trainata dai dipendenti), Danish Confederation of Trade Unions, 2007.

(28)  Addressing digital and technological change through social dialogue (Affrontare il cambiamento digitale e tecnologico attraverso il dialogo sociale), Eurofound, 2017.


PARERI

10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla condizione delle donne nei Balcani occidentali

(parere d’iniziativa)

(2019/C 159/02)

Relatrice: Dilyana SLAVOVA

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

19.12.2018

Adozione in sessione plenaria

23.1.2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

174/1/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Un nuovo slancio è stato conferito alla politica dell’Unione europea (UE) nei confronti dei Balcani occidentali. Essa ha ricevuto un ulteriore impulso grazie alla presidenza bulgara, che ha fatto della regione la propria priorità, e alla comunicazione della Commissione europea «Una prospettiva di allargamento credibile e un maggior impegno dell’UE per i Balcani occidentali», pubblicata il 6 febbraio 2018.

1.2.

Il vertice di Sofia e le conclusioni del Consiglio del giugno 2018 sull’allargamento e il processo di stabilizzazione e di associazione hanno confermato tale impegno, definendo le fasi successive dell’integrazione europea della regione. Più precisamente, per l’Albania e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia è stata stabilita una possibile data, subordinata all’adempimento di determinate condizioni, per l’avvio dei negoziati di adesione nel giugno 2019. È probabile che questo orientamento e queste attività saranno sostenuti e portati avanti dalle successive presidenze, poiché queste saranno detenute da Stati membri che mostrano anch’essi una più forte sensibilità e un più marcato impegno nei confronti dei Balcani occidentali, ossia Austria, Romania e Croazia.

1.3.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è un fervente sostenitore dell’allargamento, in quanto quest’ultimo è nell’interesse di ambo le parti, ossia i Balcani occidentali e l’UE. Il successo di tale politica rappresenta un fattore determinante per la posizione globale dell’UE, nonché il fondamento della stabilità e della prosperità dell’Europa. Il CESE è pertanto convinto che il processo di adesione debba essere perseguito ulteriormente con determinazione e scrupolosità, poiché esso costituisce una delle priorità assolute dell’UE, sulla base delle condizioni chiare e rigorose che rappresentano il fondamento di tutti i processi di adesione, niente di più e niente di meno.

1.4.

L’uguaglianza di genere costituisce un diritto fondamentale, sancito negli articoli 2 e 3 del trattato sull’Unione europea e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Nel presente parere il CESE sottolinea il ruolo delle donne come forza trainante decisiva per il consolidamento della democrazia, il rispetto dei diritti umani e delle libertà e il progresso economico e sociale. Lo scopo del parere è far conoscere meglio e promuovere i diritti politici, sociali ed economici delle donne e la parità di genere nei Balcani occidentali. L’integrazione di genere può riuscire solo se vi sono una forte volontà politica e la fiducia nei benefici che la parità tra uomini e donne può apportare alla società.

1.5.

Le donne hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo essenziale nella riconciliazione e nello sviluppo economico e sociale della regione, soprattutto in condizioni caratterizzate da strutture economiche estremamente indebolite, povertà e rottura dei legami sociali, in cui le donne mostrano una maggiore flessibilità e una più spiccata iniziativa nel ripristinare e rinnovare le reti sociali e nell’esplorare nuove prospettive di lavoro. Malgrado alcune buone pratiche e alcuni sviluppi positivi riguardo all’emancipazione delle donne e ai programmi attuati, le donne continuano a rimanere in una posizione svantaggiata per quanto concerne la loro capacità di esercitare appieno i loro diritti politici, economici e sociali e di trarre pieno vantaggio dalle opportunità di sviluppo socioeconomico. A causa della cultura patriarcale che porta a una marginalizzazione delle donne, queste ultime si trovano confrontate a pregiudizi e stereotipi di genere, segregazione sul mercato del lavoro e nell’ambito dell’istruzione e un rischio molto più elevato di discriminazione e violenza: tutti fattori, questi, che impediscono loro di avanzare e occupare posizioni ai massimi livelli.

1.6.

Il CESE chiede non solo un’equa rappresentanza e inclusione delle donne nella vita socioeconomica e politica a tutti i livelli, ma anche l’attuazione di leggi e politiche efficaci per contrastare i comportamenti discriminatori e gli atteggiamenti patriarcali profondamente radicati nei confronti delle donne, incluse le donne appartenenti a minoranze (in particolare quella rom e LGBTIQ), le ragazze, le donne anziane, le donne che abitano in zone rurali e le donne con disabilità, nonché le donne e le ragazze profughe che cercano asilo nei Balcani occidentali.

1.7.

Il CESE rimarca l’importanza di elaborare una tabella di marcia e misure in materia di parità di genere che possano portare a una distribuzione più equa del potere e delle risorse nei Balcani occidentali. I gruppi che difendono i diritti delle donne, le associazioni di imprese e le organizzazioni sindacali sono stati attivi nel sostenere il ruolo delle donne nella regione, ed è necessario impegnarsi ulteriormente, in modo mirato e costante, con le parti sociali e civili al fine di lottare per i diritti delle donne e promuoverli in modo efficace. Le istituzioni dell’UE dovrebbero fare di più per sostenere finanziariamente tali organizzazioni e associazioni fornendo piani e progetti specifici mirati all’emancipazione delle donne a tutti i livelli, ivi inclusi programmi volti a offrire supporto alle organizzazioni attive nel campo della parità di genere e piani d’azione dettagliati.

1.8.

Il CESE esorta l’UE e le autorità nazionali a cooperare maggiormente per eliminare gli stereotipi nel settore dell’istruzione al fine di garantire alle ragazze e alle donne, nel corso dell’intero ciclo di vita, l’accesso a un’istruzione economicamente accessibile e di qualità, che permetta loro di acquisire le competenze necessarie e agevoli le loro carriere e l’accesso a impieghi di qualità sul mercato del lavoro.

1.9.

Dato che la violenza e la discriminazione contro le donne costituiscono una delle più gravi violazioni dei diritti umani e sono sempre più frequenti in questa regione postbellica, il CESE invita la Commissione a promuovere una cooperazione regionale più decisa per quanto concerne lo scambio delle migliori pratiche riguardo alla violenza domestica e ad estendere i finanziamenti necessari e il sostegno specialistico a tutti gli sforzi compiuti al fine di ridurre e possibilmente eradicare questo diffuso male sociale.

1.10.

Il CESE ritiene che le autorità nazionali dovrebbero compiere sforzi considerevoli per migliorare la libertà dei media, anche rafforzando la legislazione vigente e attuandola in modo coerente. Tali interventi, tra l’altro, contribuiranno a sensibilizzare sulle questioni legate all’uguaglianza di genere e a promuovere un contesto più sicuro a livello di media, nel quale gli stereotipi di genere possano essere smontati con il dibattito pubblico e le donne non siano bersaglio di sessismo, di discorsi di incitamento all’odio e di campagne diffamatorie online.

1.11.

Il CESE ribadisce la necessità che i partner dei Balcani occidentali integrino la prospettiva di genere in tutti i programmi pertinenti finanziati dallo strumento di assistenza preadesione (IPA II), in particolare nel settore d’intervento 3 che comprende l’occupazione, le politiche sociali, l’istruzione, la promozione della parità di genere e lo sviluppo delle risorse umane. Si dovrebbero sviluppare fondi tematici per lottare contro la violenza domestica e per sostenere l’attivismo civico e dei media a favore delle donne.

1.12.

Si dovrebbe garantire un impegno chiaro e costante a favore dell’uguaglianza di genere come valore fondante dell’UE. Il CESE invita la Commissione a integrare indicatori fondamentali dell’uguaglianza di genere nel sistema dei parametri di riferimento per i negoziati di adesione, che vengano sviluppati e monitorati in stretta collaborazione con le parti sociali e civili impegnate a favore dell’emancipazione delle donne nella regione e nell’UE. L’applicazione sistematica di una prospettiva di genere dovrebbe essere considerata come un parametro orizzontale per valutare l’accettabilità e la qualità del processo legislativo nel quadro dei negoziati di adesione.

1.13.

Il CESE si aspetta che nei Balcani occidentali vengano compiuti degli sforzi tesi non solo ad allineare la legislazione riguardante i diritti umani delle donne con l’acquis dell’UE e con i meccanismi e gli strumenti internazionali pertinenti, ma anche e soprattutto a colmare il divario tra le leggi esistenti e la loro corretta attuazione. Le autorità pubbliche dei Balcani occidentali dovrebbero essere esortate e sostenute nell’elaborazione di meccanismi pubblici di finanziamento economicamente validi, incentrati sulla protezione delle donne dalla violenza, dalla discriminazione e dallo sfruttamento economico.

1.14.

Il CESE invita gli Stati membri e i partner dei Balcani occidentali che non hanno ancora ratificato la Convenzione di Istanbul a farlo urgentemente, poiché essa rappresenta il quadro politico più completo per prevenire la violenza domestica, proteggere le vittime e perseguire gli autori di tali reati. Il CESE esorta altresì le chiese e le altre istituzioni religiose e le organizzazioni della società civile di qualsiasi confessione religiosa a non violare i diritti delle donne e a non interferire con i loro diritti riproduttivi, il che costituisce un presupposto essenziale per la responsabilizzazione e l’emancipazione sociale ed economica delle donne.

1.15.

Il CESE ribadisce l’importanza di collegare il bilancio di genere alle misure globali in materia di uguaglianza di genere. Esso chiede l’inclusione della prospettiva di genere in tutte le politiche e in tutti i programmi mediante una migliore assegnazione delle risorse in linea con le esigenze specifiche di genere. Alla luce di ciò e in considerazione del prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP), l’UE dovrebbe agire con maggiore coerenza nel trattare con i paesi dei Balcani occidentali per quanto concerne l’inclusione di genere e dovrebbe insistere sul bilancio di genere e sulla raccolta di dati disaggregati per genere, al fine di garantire che l’uguaglianza e il rispetto dei diritti delle donne vengano presi in considerazione in modo sostenibile. A tal fine, i partner dei Balcani occidentali, così come la Commissione, sono invitati a intensificare le consultazioni politiche con gli attivisti per i diritti delle donne e gli esperti di parità di genere in diversi settori d’intervento collegati all’allargamento.

1.16.

Il CESE sottolinea che occorre rivolgere particolare attenzione all’imprenditorialità femminile, considerando che quest’ultima potrebbe aumentare considerevolmente le prospettive di crescita della regione, e invita le istituzioni dell’UE a svolgere un ruolo a tal riguardo. Le misure a sostegno della creazione di imprese includono, tra l’altro, le seguenti azioni: garantire l’accesso alle risorse finanziarie e istituzionali, offrire infrastrutture ottimali per le start-up, fornire informazioni pertinenti riguardanti la costituzione di un’impresa, promuovere l’interesse nell’imprenditorialità femminile mediante campagne mediatiche e concedere prestiti per start-up e progetti di espansione. Le imprenditrici e le loro organizzazioni aziendali dovrebbero essere sistematicamente incluse in tutti i processi di sviluppo delle politiche che siano pertinenti per la dimensione sociale ed economica dell’allargamento.

2.   Contesto generale

2.1.

L’uguaglianza tra uomini e donne costituisce un diritto fondamentale e un valore comune, riconosciuto dall’UE. L’uguaglianza di genere, sancita nei Trattati dell’UE e nelle convenzioni internazionali sui diritti umani, costituisce parte delle condizioni di adesione a cui devono adempiere i candidati e i potenziali candidati dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Kosovo (1), Montenegro e Serbia). È essenziale investire nell’uguaglianza di genere; ciò rappresenta non solo un obbligo prescritto dall’UE, ma funge anche da indicatore principale di una società equa e democratica.

2.2.

Nell’ambito della preparazione all’adesione all’UE, negli ultimi anni i paesi dei Balcani occidentali hanno preso provvedimenti volti a promuovere i diritti delle donne. Tali misure includono l’adozione o la modifica della normativa pertinente (per esempio norme antidiscriminazione, il diritto penale e quello del lavoro), l’elaborazione di strategie e piani d’azione nazionali, come pure la creazione di meccanismi istituzionali per attuare e monitorare le politiche in materia. Ciononostante, la promozione dell’uguaglianza di genere è spesso solo superficiale, mentre le azioni adottate al riguardo mancano di autentico impegno politico, competenze e risorse finanziarie, il che comporta un’attuazione debole e sporadica.

2.3.

Purtroppo il vertice dei Balcani occidentali che si è svolto a Londra nel luglio 2018 ha rappresentato un’opportunità mancata per compiere progressi nel promuovere la parità di genere nella regione. La proposta di un’azione coerente, che è stata presa in considerazione durante i preparativi per il vertice, dovrebbe pertanto ottenere rapidamente un avallo politico ed essere attuata celermente in maniera sostenibile.

2.4.

La disuguaglianza tra uomini e donne continua a essere un problema nei Balcani occidentali a causa delle strutture fortemente patriarcali tipiche della regione, che si traducono in violenza di genere, discriminazione e sfruttamento, un doppio onere cronico per le donne riguardo alle loro responsabilità legate al lavoro e alla famiglia, numerose barriere alla mobilità ascendente delle donne e alla parità di retribuzione e un accesso insufficiente ai servizi sociali e per la salute riproduttiva nonché agli strumenti finanziari. Vi sono stati alcuni miglioramenti per quanto concerne la rappresentanza politica delle donne, tuttavia con effetti limitati a lungo termine per quanto riguarda un’equa ridistribuzione del potere politico tra uomini e donne. Il problema cruciale risiede nella debole attuazione di politiche progressiste, fattore che riflette una mancanza di autentico impegno politico, finanziamenti e competenze.

2.5.

Garantire l’uguaglianza tra uomini e donne rimane una questione in sospeso (2) nella regione. Con il presente parere il CESE richiama l’attenzione sugli sforzi compiuti dalle parti sociali dell’UE e dalla società civile al fine di promuovere la parità di genere nel quadro della politica di allargamento dell’UE e di renderla un indicatore trasversale in tutti gli ambiti della società. In tale parere vengono anche affrontate alcune delle grandi sfide incontrate dalle donne nei Balcani occidentali, quali il ruolo più debole in campo sociale, economico e politico e il diffuso fenomeno della violenza di genere.

3.   Violenza di genere

3.1.

La violenza di genere, ossia la violenza sessuale, riproduttiva e domestica, continua a essere un problema dominante nella regione. Sebbene la violenza domestica non venga denunciata in misura sufficiente, il numero di casi registrati è comunque elevato. Dai dati emerge che in Albania il 56 % delle donne è esposto almeno a una forma di violenza domestica; in Kosovo almeno il 70 % delle donne subisce forme di violenza domestica nel corso della vita, mentre in Serbia nel 2017 sono stati registrati almeno 26 casi di femminicidio, nella maggior parte dei quali l’autore del reato era il partner della vittima (3). Un riesame dei servizi di contrasto alla violenza domestica nei paesi della regione ha mostrato che essi non erano finanziati in misura adeguata, presentavano carenze di personale e un sovraccarico di lavoro (4) e che i sistemi di segnalazione erano generalmente molto deboli.

3.2.

Ciascun partner dei Balcani occidentali dispone di una strategia nazionale volta a contrastare la violenza domestica (5). Nella maggior parte dei casi, le donne non denunciano le violenze subite per una serie di ragioni: la consuetudine ad accettare tali comportamenti, la diffidenza nei confronti delle istituzioni responsabili della sicurezza e della giustizia, nonché la mancanza di una risposta istituzionale anche per i casi segnalati. L’assenza di reti di supporto, case rifugio e istituti finanziariamente sostenibili per le vittime così coraggiose da denunciare le violenze contribuisce a un’ulteriore vittimizzazione delle donne più vulnerabili. Nella raccolta dei dati comparabili nella regione esistono numerose carenze che devono essere affrontate. L’obiettivo è avere politiche ben concepite, finanziate e monitorate in grado di prevenire, proteggere e perseguire legalmente. Ciò richiede una formazione idonea per tutti gli attori coinvolti nel processo, un’adeguata opera di sensibilizzazione e un cambiamento di mentalità della società. Il CESE ritiene che la prevenzione, come in altri settori, rivesta un’importanza primaria e costi meno rispetto agli interventi da attuare in una fase successiva.

3.3.

È necessario che in tutta la regione dei Balcani occidentali sia pienamente attuata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). Avendo sottoscritto e ratificato la Convenzione, la maggior parte dei partner dei Balcani occidentali dovrebbe intensificare l’attività relativa all’assegnazione di finanziamenti pubblici adeguati, al coordinamento delle politiche e all’attuazione di misure concrete per contrastare qualsiasi forma di violenza inflitta alle donne. Inoltre, la Commissione è invitata a far sì che la questione della violenza domestica diventi una priorità nel contesto dei finanziamenti di preadesione sia per la società civile che per le attività di rafforzamento delle capacità istituzionali. Il CESE esorta la Commissione a promuovere una cooperazione regionale più intensa nell’ambito dello scambio di migliori pratiche riguardanti la violenza domestica, superando le divisioni tra gli Stati membri dell’UE e i paesi candidati all’adesione. Nel contesto dell’allargamento, è importante che gli Stati membri dell’UE offrano un modello positivo al riguardo.

Sono richiesti un impegno più deciso e un coordinamento rafforzato tra tutti gli attori appartenenti al settore pubblico e privato, nonché una maggiore inclusione delle ONG, poiché la collaborazione tra i servizi pubblici e le ONG è essenziale per attuare la legislazione con efficacia e per realizzare interventi strategici nella lotta a tutte le forme di violenza contro le donne.

3.4.

Le famiglie e le scuole svolgono un ruolo determinante. L’educazione dei figli e l’istruzione dovrebbero tenere conto delle questioni di genere ed essere incentrate sull’eradicazione della violenza di genere rivolta specificamente contro le ragazze e le giovani donne. Istituire un quadro che introduca nelle scuole chiare politiche volte ad affrontare la violenza di genere contribuirebbe alla riduzione di tale fenomeno e, di conseguenza, creerebbe un ambiente più favorevole alle vittime e rafforzerebbe l’uguaglianza di genere quale principio fondamentale alla base della società.

4.   Diritti umani

4.1.

Nei Balcani i diritti umani delle donne sono sistematicamente bersaglio di soggetti nazionalisti e clericali che spesso invocano dogmi religiosi e interessi nazionali, quali i valori tradizionali della famiglia patriarcale e il rinnovamento demografico, come giustificazione morale per privare le donne delle loro libertà, dell’uguaglianza e della sicurezza. Malgrado l’esistenza di norme globali e generalmente protettive riguardo ai diritti umani, i meccanismi per l’applicazione e l’attuazione presentano notevoli carenze. Il CESE chiede una cooperazione più efficace e un’azione congiunta tra le strutture nazionali preposte alla difesa dei diritti umani, le parti sociali, le organizzazioni della società civile e le autorità pubbliche, al fine di promuovere un programma in materia di diritti umani e fornire assistenza ai soggetti particolarmente vulnerabili.

4.2.

Sono molto diffusi i ruoli di genere e gli atteggiamenti tradizionali nei confronti della sessualità delle donne. L’assistenza alla maternità è ragionevolmente accessibile, ma in molti casi, al di là di questo ambito specifico, le donne ancora scelgono di non andare dal medico. Le donne che lavorano affrontano spesso una discriminazione in termini di diritti di maternità, e ciò comprende anche il fatto che nei colloqui di lavoro venga loro chiesto quale sia il loro stato civile e se abbiano intenzione di avere figli, sebbene siano state attuate leggi che vietano di porre questo tipo di domande. Si dovrebbero incentivare e promuovere controlli medici periodici. Sono necessarie intense attività di sensibilizzazione riguardo ai servizi per la salute riproduttiva.

4.3.

Per il CESE costituisce una particolare preoccupazione il fatto che nei paesi dei Balcani occidentali la salute riproduttiva delle donne venga messa a repentaglio dai crescenti attacchi di gruppi di interesse ultraconservatori, strettamente legati alle comunità religiosi dominanti. Si dovrebbe effettuare un’ulteriore analisi dell’impatto che le credenze legate al fondamentalismo religioso esercitano sui diritti delle donne nella regione, in particolare sui loro diritti riproduttivi.

4.4.

La comunità LGBTIQ merita una particolare attenzione, dato che i suoi diritti sono lungi dall’essere consolidati. A ciò si aggiunge il fatto che su tali diritti viene esercitata una pressione costante da parte di diversi gruppi sociali conservatori.

5.   Diritti sociali

5.1.

Nei paesi della regione sussistono ancora carenze in termini di garanzia e monitoraggio dei diritti economici e sociali, ivi incluso il diritto alla non discriminazione. Ciò riguarda tutte le donne attive sul mercato del lavoro, ma in particolare le donne e le ragazze appartenenti a gruppi vulnerabili, tra cui le minoranze etniche (soprattutto i rom), gli sfollati interni, le persone con disabilità, i migranti e i profughi.

5.2.

Le donne appartenenti a tali gruppi svantaggiati spesso non dispongono di conoscenze sufficienti per quanto concerne i diritti sociali, l’accesso ai servizi sociali, l’istruzione, l’assistenza sanitaria o gli alloggi. Le istituzioni giuridicamente responsabili per questi settori non sono ancora in grado di fornire a queste persone un sostegno adeguato. Il CESE ritiene che le parti interessate, quali i centri per il lavoro sociale, le amministrazioni locali e le organizzazioni non governative, dovrebbero migliorare le condizioni necessarie a garantire l’uguaglianza dei diritti sociali per i gruppi vulnerabili. Vi è un’urgente necessità di rivedere la qualità e la sostenibilità finanziaria dei programmi di riforma sociale sostenuti dall’UE, ad esempio mediante un memorandum congiunto sull’inclusione volto all’inserimento sociale, alla diversificazione, alla democratizzazione e alla decentralizzazione dei servizi sociali. Si dovrebbero esplorare possibili piste per un’attuazione tempestiva del pilastro europeo dei diritti sociali nel processo di allargamento.

5.3.

La radicalizzazione delle donne in alcune comunità musulmane e il loro coinvolgimento nell’estremismo violento costituiscono un fenomeno sociale preoccupante. Dal 2012 al 2016, circa il 20 % del migliaio di individui che hanno lasciato la regione dei Balcani occidentali per recarsi nelle zone di conflitto in Siria e in Iraq era costituito da donne (6). Le autorità pubbliche, le istituzioni e le organizzazioni della società civile non fanno abbastanza per riconoscere pubblicamente il fenomeno della migrazione di donne nel Medio Oriente, né per garantire che la prospettiva di genere venga inclusa negli sforzi attuali di lotta contro l’estremismo violento. All’emanazione della legislazione volta a criminalizzare la partecipazione, il supporto materiale e il reclutamento per gruppi paramilitari stranieri dovrebbero fare seguito misure pratiche a sostegno della deradicalizzazione e della riabilitazione delle donne, che dovrebbero essere riconosciute in primo luogo come vittime della propaganda e del reclutamento di stampo estremista.

6.   Le donne nel mercato del lavoro

6.1.

L’esclusione delle donne dal mercato del lavoro è diffusa nella regione ed è notevolmente più elevata rispetto alla media dell’UE (7). Quasi due terzi delle donne in età lavorativa di questa regione sono inattive o disoccupate, Per le donne rom e le donne con disabilità i tassi sono addirittura più alti. Dalle statistiche emerge che le donne presentano livelli di attività più bassi rispetto agli uomini e che sono stati compiuti pochi progressi per colmare il divario occupazionale di genere.

6.2.

Ciò non solo rappresenta una violazione dei diritti umani fondamentali, ma comporta anche elevati costi economici e sociali, arrestando la potenziale crescita economia della regione. Ogni anno i paesi dei Balcani occidentali perdono una media del 18 % del proprio PIL totale a causa dei divari di genere presenti sul mercato del lavoro (8). Un terzo di tale perdita è imputabile alle distorsioni nella scelta delle professioni tra uomini e donne. I rimanenti due terzi corrispondono ai costi connessi ai divari relativi alla partecipazione alla forza lavoro. I Balcani occidentali dovrebbero essere stimolati a sfruttare in modo ottimale le risorse umane ancora inutilizzate di cui dispongono, a sostenere e agevolare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e ad affrontare il problema dell’elevata percentuale di donne occupate nell’economia informale.

6.3.

Questa disuguaglianza di genere deriva dall’esistenza di norme radicate riguardanti i ruoli familiari e da una risposta istituzionale inadeguata ad affrontare tali sfide. Le incombenze familiari tendono a ricadere sulle donne e le modalità di lavoro flessibili sono estremamente limitate, con la conseguenza che le donne sono costrette a scegliere tra famiglia e carriera. Le donne sono formalmente impiegate in una percentuale molto inferiore rispetto agli uomini, guadagnano meno e occupano raramente posizioni di alto livello. È importante coinvolgere gli uomini nella discussione ed esortarli ad assumersi maggiori responsabilità in ambito familiare.

6.4.

L’accesso a un’assistenza all’infanzia economicamente abbordabile e il sostegno al congedo parentale per i padri costituiscono uno dei prerequisiti per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Sono altresì necessarie misure specifiche per migliorare la corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro per le lavoratrici, come la disponibilità di asili e scuole materne pubblici per i bambini piccoli. Gli stereotipi insiti nell’educazione impartita dai genitori e gli atteggiamenti (specialmente in alcune comunità) nei confronti dell’istruzione per i ragazzi rispetto a quella per le ragazze, nonché i luoghi comuni riguardanti la scelta di una professione tipicamente «femminile» o «maschile» contribuiscono, tra gli altri fattori, al divario tra uomini e donne in termini di retribuzione e pensioni.

6.5.

Il divario retributivo di genere nella regione, che è all’incirca del 20 % (9), costituisce un problema persistente. Di conseguenza, ciò incide sul divario pensionistico tra i generi e sulla disuguaglianza tra uomini e donne quando raggiungono l’età pensionabile. Con il possibile aumento del numero di lavoratori poveri, molti dei quali sono donne, occorre chiaramente una maggiore attenzione politica e un’azione più incisiva da parte del governo, dei datori di lavoro e delle parti sociali, non solo mediante misure dirette associate al salario minimo e alla retribuzione minima per vivere, alla tassazione progressiva, alle prestazioni a favore dei lavoratori e all’assistenza sociale, ma anche e soprattutto tramite misure indirette quali modalità di lavoro più flessibili, alloggi, miglioramento delle competenze e assistenza all’infanzia.

6.6.

La situazione economica e la mancanza di opportunità occupazionali incidono negativamente sulle donne, in particolare sulle ragazze, costringendole ad abbandonare i loro paesi e aggravando così la fuga di cervelli dalla regione. Dovrebbero essere elaborate misure politiche volte a sfruttare appieno i talenti e le competenze delle donne in un contesto economico in dinamico cambiamento. A tal merito, si dovrebbe considerare la costituzione di pool di esperte al fine di mettere in risalto le competenze di queste ultime nei diversi settori. Inoltre, si dovrebbe migliorare e garantire l’accesso delle donne all’apprendimento permanente.

6.7.

Per rompere con gli stereotipi nel campo dell’istruzione, è necessario incoraggiare sistematicamente le ragazze e le donne a impegnarsi maggiormente nelle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), nell’istruzione e formazione professionale e nell’apprendistato.

7.   Emancipazione delle donne

7.1.   Emancipazione economica delle donne

7.1.1.

Le imprenditrici costituiscono ancora una fonte non sfruttata in termini di attività e di creazione di posti di lavoro e rappresentano un’importante forza trainante per la crescita economica. Nell’imprenditoria, le donne incontrano sfide e ostacoli peculiari per quanto riguarda l’avvio e l’espansione di attività commerciali, quali una carenza di competenze aziendali e imprenditoriali e pregiudizi diffusi nelle banche riguardo all’affidabilità creditizia delle imprese gestite da donne. Non esiste una definizione unica di «imprenditorialità femminile», il che comporta una mancanza di dati su questo importante aspetto.

7.1.2.

L’impulso al cambiamento scaturisce dal fatto che vi sono elementi validi per ritenere che esista una riserva di manodopera femminile altamente qualificata nei paesi dei Balcani occidentali e, pertanto, qualsiasi argomento a favore dell’equilibrio di genere dovrebbe basarsi sulla «regola del merito e della preferenza» piuttosto che sulla discriminazione positiva. Nondimeno, sussistono ancora fattori che impediscono alle donne di assumere posizioni di vertice, come l’assenza di misure per conciliare vita professionale e vita familiare, l’accesso limitato a reti che sono importanti per ricoprire posizioni più elevate, la mancanza di fiducia in sé stesse ecc. (10)

7.1.3.

Il CESE raccomanda inoltre che i responsabili politici e le imprese riconsiderino i seguenti aspetti per garantire che nei Balcani occidentali le donne occupino posizioni a livello dirigenziale (11):

migliore visibilità delle donne che ricoprono incarichi di elevata responsabilità;

maggiore trasparenza nella ricerca di talenti;

messa in discussione degli stereotipi associati ai ruoli definiti per genere;

pianificazione della successione ai vertici;

creazione di un vivaio di talenti;

diffusione di esempi di buone pratiche;

creazione di una banca dati coordinata di donne con qualifiche adeguate per occupare incarichi nei consigli societari.

7.1.4.

Alle start-up e alle aziende in crescita guidate da donne dovrebbero essere forniti formazione e accesso ai finanziamenti, compresi i microfinanziamenti, nel quadro di un pacchetto integrato (12). La promozione dell’imprenditorialità femminile nella regione favorirebbe la creazione di posti di lavoro e apporterebbe vantaggi economici a tutti. A tale scopo, si dovrebbe ricorrere più attivamente a misure quali incubatori di imprese, programmi di tutorato, poli di innovazione, laboratori tecnologici e altre forme di sostegno alle donne nell’ambito imprenditoriale.

7.1.5.

Le associazioni di imprenditrici dovrebbero partecipare attivamente ai processi decisionali e al dialogo pubblico con gli enti locali e regionali e le organizzazioni partner. Nell’ambito di progetti recentemente condotti in questo settore si è giunti alla conclusione che tale argomento gode di un livello di riconoscimento più elevato rispetto al passato e il sostegno a favore delle imprenditrici è progredito dallo stato di progetto a processo in corso. Il conseguimento di ulteriori progressi sostanziali richiederebbe un cambiamento di mentalità delle persone.

7.1.6.

Le imprese sociali svolgono un ruolo importante nel riunire le imprenditrici e dovrebbero essere incentivate nella regione al fine di coordinare le azioni intraprese e agevolare un accesso effettivo ai finanziamenti.

7.1.7.

L’imprenditorialità giovanile è essenziale per la regione ed è necessario un nuovo modello di crescita per toccare la frontiera digitale. Esso dovrebbe basarsi sull’innovazione e sullo spirito imprenditoriale della nuova generazione del millennio. Tale modello, tra l’altro, dovrebbe contemplare un’istruzione destinata alle ragazze e ai ragazzi che sia adeguata al nuovo mondo del lavoro, con soluzioni di finanziamento sicure.

7.2.   Emancipazione politica delle donne

7.2.1.

Tutti i partner dei Balcani occidentali hanno una quota di genere e una politica piuttosto risoluta volta ad accrescere la rappresentanza delle donne. Nella maggior parte di tali paesi, il sistema di quote prevede che i partiti politici includano almeno il 30 % di candidate donne nelle loro liste, ad eccezione della Bosnia-Erzegovina e dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, dove la percentuale minima è del 40 %.

7.2.2.

Sebbene le quote di genere si stiano sviluppando e consentano cambiamenti positivi nella regione, non vi è coerenza nel perseguimento di tale politica. Di conseguenza, lo status delle donne in politica e la loro partecipazione ai processi decisionali non hanno fatto registrare miglioramenti sostanziali e non sono ancora sostenibili.

7.2.3.

Nella regione sussiste una marginalizzazione gerarchica che evidenzia la presenza di un maggior numero di uomini nelle posizioni decisionali di alto livello. Le donne ancora non occupano posizioni di potere ai vertici. Sono molto spesso attive negli organi politici che si occupano di istruzione, salute, politica sociale e amministrazione: un dato, questo, che può comportare una segregazione orizzontale in alcuni settori. Sono tuttavia rappresentate in misura molto inferiore in altri organi che dispongono di poteri decisionali maggiori ed esercitano un’influenza più marcata sul processo decisionale o sulla legislazione statale.

7.2.4.

Vi sono alcuni esempi positivi di emancipazione politica delle donne nella regione. Le organizzazioni locali sono riuscite a mobilitare le donne nei processi politici, e il sostegno fornito alle donne nei partiti politici ha reso possibile l’elezione della prima donna sindaco del Kosovo. In Albania, i partner hanno spinto la coalizione della società civile a chiedere il rispetto delle quote di genere in parlamento, portando a un aumento del livello di partecipazione delle donne nelle ultime elezioni. Sono in corso di attuazione numerosi piani, meccanismi e strutture di supporto volti ad accrescere la partecipazione politica delle donne nella regione, e sono stati registrati considerevoli miglioramenti (13).

8.   Il ruolo delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile

8.1.

Le parti sociali e le organizzazioni della società civile (OSC) dei Balcani occidentali possono svolgere un ruolo importante nel persuadere le autorità ad impegnarsi a realizzare la parità di genere. Esse si sono rivelate un catalizzatore per il cambiamento positivo e la creazione di società resilienti e tolleranti. Numerose sono le iniziative, i progetti e le piattaforme di successo a favore delle donne, e il CESE sostiene con forza tali iniziative positive.

8.2.

Le organizzazioni delle donne nell’ambito delle OSC sono particolarmente funzionali a tale riguardo e svolgono un ruolo decisivo nella prevenzione della violenza contro le donne, nonché nella riconciliazione a livello locale e regionale. Costituiscono un elemento chiave del processo di monitoraggio e responsabilizzazione dei governi riguardo a un’efficace attuazione delle politiche.

8.3.

Malgrado i meccanismi formalmente introdotti per includere le parti sociali e le OSC nelle procedure di consultazione, la comunicazione e la cooperazione con le autorità pubbliche lasciano molto a desiderare. Il recente atteggiamento più negativo nei confronti delle OSC ostacola queste ultime nell’esprimere critiche costruttive e proporre misure per affrontare efficacemente le attuali carenze. Il CESE sottolinea la necessità di sostenere e salvaguardare gli spazi della società civile per i diritti e l’emancipazione delle donne.

8.4.

Il processo di allargamento e il processo di Berlino hanno contribuito all’inclusione della società civile nelle iniziative regionali e nel processo decisionale. Vi sono segnali di progresso per quanto riguarda lo status e la posizione del settore nel suo complesso; in tal senso, sono stati effettuati numerosi cambiamenti nella legislazione, nelle politiche e nei bilanci, tenendo conto delle richieste dei cittadini.

8.5.

Il CESE ha messo a punto un approccio su due livelli, regionale e bilaterale, per le sue relazioni con le OSC dei paesi dei Balcani occidentali. Il comitato di monitoraggio Balcani occidentali, istituito dal CESE nel 2004, costituisce lo strumento principale per coordinare le attività del CESE nella regione e per monitorare i cambiamenti nel contesto politico, economico e sociale nei partner dei Balcani occidentali, nonché nelle relazioni tra l’UE e i Balcani occidentali, ivi incluso il settore dei diritti delle donne. Tra le attività del comitato di monitoraggio rientra il forum della società civile dei Balcani occidentali. In occasione del 6o forum, che si è tenuto nel luglio 2017 a Sarajevo, sono state discusse e adottate raccomandazioni riguardanti i diritti e l’emancipazione delle donne.

8.6.

Nella comunicazione del 2018 sull’allargamento la Commissione invita le autorità nazionali, con il sostegno delle loro società, ad assumersi le proprie responsabilità e a rispettare le ben note condizioni di adesione all’UE. Un dialogo strutturato inclusivo ed efficace sulle priorità di riforma, con il coinvolgimento di una società civile emancipata, determinerebbe in larga misura il successo di qualunque intervento di trasformazione. L’UE dovrebbe pertanto adoperarsi maggiormente per stimolare e facilitare tale dialogo.

Bruxelles, 23 gennaio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Questa denominazione lascia impregiudicate le posizioni concernenti lo status del Kosovo ed è in linea con la risoluzione 1244/99 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e con il parere della Corte internazionale di giustizia sulla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo.

(2)  Servizio Ricerca del Parlamento europeo (EPRS). Briefing on Women in the Western Balkans («Resoconto sulle donne nei Balcani occidentali»), luglio 2018.

(3)  Civil Society forum (CSF) of the Western Balkans Summit, Gender Issues in the Western Balkans, Policy Brief No. 04 («Forum della società civile del vertice dei Balcani occidentali, questioni di genere nei Balcani occidentali, documento di sintesi n. 04»), aprile 2018 http://wb-csf.eu/wp-content/uploads/2018/04/CSF-PB-04-Gender-Issues-in-the-Western-Balkans.pdf.

(4)  Hughson, 2014, Gender Country Profile of Bosnia and Erzegovina («Profilo della Bosnia-Erzegovina in una prospettiva di genere») e Brankovic, 2015, Multisectoral Cooperation: An Obligation or Wishful Thinking («Cooperazione multisettoriale: un obbligo o un’illusione»), Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP).

(5)  Petričević, I. 2012, Women’s Rights in the Western Balkans in the Context of EU Integration («Diritti delle donne nei Balcani occidentali nel contesto dell’integrazione nell’UE»).

(6)  Consiglio di cooperazione regionale, A Waiting Game: Assessing and Responding to the Threat from Returning Foreign Fighters in the Western Balkans («Un gioco di attesa: valutare e rispondere alla minaccia posta dai combattenti all’estero che rientrano nei Balcani occidentali»), novembre 2017, https://www.rcc.int/pubs/54/a-waiting-game-assessing-and-responding-to-the-threat-from-returning-foreign-fighters-in-the-western-balkans.

(7)  Servizio Ricerca del Parlamento europeo (EPRS). Briefing on Women in the Western Balkans («Resoconto sulle donne nei Balcani occidentali»), luglio 2018.

(8)  http://blogs.worldbank.org/europeandcentralasia/key-unlocking-economic-potential-western-balkans-women.

(9)  Progetto regionale di UN Women.

(10)  GU C 133 del 9.5.2013, pag. 68.

(11)  GU C 133 del 9.5.2013, pag. 68.

(12)  EC SME Policy Index: Western Balkans and Turkey 2016, Assessing the implementation of the Small Business Act for Europe (Indice politico sulle PMI elaborato in collaborazione con la Commissione europea: Balcani occidentali e Turchia 2016, «Valutare l’attuazione dello Small Business Act per l’Europa»).

(13)  PNUS, 2016.


10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Riformare l’OMC per adattarsi all’evoluzione del commercio mondiale»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 159/03)

Relatrice: Emmanuelle BUTAUD-STUBBS

Decisione dell’Assemblea plenaria

12.7.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

REX

Adozione in sezione

19.12.2018

Adozione in sessione plenaria

23.1.2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

174/2/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) desidera ribadire il proprio impegno nei confronti dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), che svolge la funzione di custode del commercio internazionale e costituisce un crogiolo in cui vengono elaborate norme e discipline volte a garantire un commercio equo, la liberalizzazione del commercio di beni e servizi, nonché la trasparenza del processo decisionale attinente alle questioni commerciali.

1.2.

Il CESE è convinto non solo che occorra attuare quanto prima riforme urgenti, in particolare per il funzionamento dell’organo di appello dell’organo di conciliazione (DSB), ma anche che i membri dell’OMC debbano impegnarsi per cambiamenti più ambiziosi e sistemici relativi alle norme del lavoro, e lottare per il clima e per gli obiettivi globali di sviluppo sostenibile, al fine di adattare le regole del commercio internazionale alle sfide globali.

1.3.

Il CESE invita la Commissione europea a perseguire, con il sostegno degli Stati membri, una politica commerciale ambiziosa dell’UE-27, che offrirà alle imprese dell’UE opportunità migliori di accesso al mercato e divulgherà i valori dell’UE nel campo dei diritti umani e delle norme fondamentali sul lavoro, come la lotta contro la discriminazione, l’eguaglianza tra uomini e donne, le libertà sindacali e così via, tramite i canali offerti dagli accordi multilaterali, plurilaterali (compresa l’OMC), bilaterali e unilaterali (sistema di preferenze generalizzate, «Tutto tranne le armi»). La società civile dell’UE chiede un commercio libero ma equo.

1.4.

Il Regno Unito diventerà un membro indipendente dell’OMC dopo il suo recesso dall’UE, il 29 marzo 2019. Ciò significa che l’UE-27 e il Regno Unito dovrebbero mettere in sicurezza le loro relazioni bilaterali in materia di scambi e investimenti, e che l’UE 27 dovrebbe dedicare la debita attenzione all’importante questione dei contingenti tariffari con i paesi con i quali ha firmato accordi di libero scambio. Il CESE auspica che il Regno Unito sostenga le proposte dell’UE volte a riformare l’OMC allo scopo di modernizzare le norme commerciali multilaterali.

1.5.

Il CESE sostiene la proposta della Commissione europea per una soluzione praticabile che consenta di riavviare l’organo di appello dell’organo di conciliazione, e appoggia le comunicazioni diffuse recentemente dai membri dell’OMC, dirette a modificare talune disposizioni dell’intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la conciliazione.

1.6.

Il CESE, in qualità di rappresentante della società civile europea organizzata, è molto coinvolto nel monitoraggio degli accordi sul libero scambio, dell’adempimento degli impegni assunti dalle parti nel quadro dei capitoli sullo sviluppo sostenibile e del requisito che prevede di tenere conto degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e della lotta contro i cambiamenti climatici.

1.7.

La proliferazione di barriere commerciali e l’aumento dell’imposizione fiscale sulle importazioni (alluminio, acciaio ecc.) imputabili ad attori fondamentali nel commercio mondiale (Stati Uniti, Cina ecc.) costituiscono un vero e proprio pericolo per la crescita del commercio mondiale, già in fase di rallentamento dal 2014, e potrebbero pregiudicare la crescita globale, gli sforzi compiuti per ridurre la disuguaglianza, lo sviluppo delle economie più fragili e la creazione di valore e posti di lavoro nelle catene globali del valore.

1.8.

In considerazione di tali rischi, il CESE ritiene necessaria un’ambiziosa riforma dell’OMC. Tale riforma dovrebbe essere suddivisa in due parti: una prima parte più tecnica riguardante le questioni più urgenti da risolvere prima della fine del 2019, al fine di evitare un blocco dell’organo di appello dell’organo di conciliazione e di chiarire alcune definizioni; e una seconda parte, di natura più sistemica, che potrebbe richiedere più tempo e che punterà ad adeguare i compiti e il funzionamento dell’OMC in funzione dei principali sviluppi del commercio mondiale.

1.9.

Per quanto concerne la prima fase, si dovrebbe sostenere una serie di proposte presentate dalla Commissione europea in un documento di riflessione elaborato nel settembre 2018, a seguito di un mandato conferito dagli Stati membri in occasione del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno.

1.10.

Le proposte in questione sono le seguenti: rafforzare il ruolo del segretariato, modificare le norme riguardanti il mandato dei giudici in seno all’organo di appello del DSB, aggiornare le norme in materia di sovvenzioni, imprese di proprietà statale e trasferimento di tecnologia, e ricorrere in misura maggiore ai negoziati plurilaterali aperti.

1.11.

Il CESE ritiene inoltre urgente per la prima fase che l’OMC mostri anche maggiore ambizione in merito al settore agricolo al fine di garantire approvvigionamenti alimentari di buona qualità, stabili e sicuri. Il ruolo dell’OMC nel ridurre le incertezze del commercio internazionale è essenziale per il futuro dell’agricoltura in tutti i paesi, al pari della sua capacità di garantire la sicurezza alimentare in conformità ad elevati standard ambientali relativi alla produzione e al benessere animale.

1.12.

Il CESE considera essenziale che il principio di precauzione, come sancito dai trattati dell’UE, sia adeguatamente protetto anche a livello multilaterale e venga pienamente riconosciuto, al fine di garantire un livello più elevato di protezione attraverso il processo decisionale preventivo in caso di rischi per la salute umana o l’ambiente. Data la sua importanza, l’UE dovrebbe farne un interesse offensivo in tutti i suoi negoziati commerciali.

1.13.

Il CESE ritiene che un’ulteriore priorità sia costituita dalla salvaguardia della protezione dei dati nel commercio internazionale, mediante strumenti multilaterali orientati alle norme e alle regole messe in atto nell’UE, nell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE), nell’ambito della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) e in seno all’ONU. L’attuale strumento multilaterale nell’ambito della protezione dei dati andrebbe ulteriormente sviluppato promuovendo l’adesione di altri paesi terzi. L’approccio dell’UE alle disposizioni orizzontali sui flussi transfrontalieri di dati e sulla protezione dei dati dovrebbe essere promosso come norma multilaterale.

1.14.

L’adeguamento delle norme esistenti sul settore agricolo e sulla protezione dei dati è necessario per tener conto delle caratteristiche del mercato e delle pratiche commerciali di un certo numero di paesi membri dell’OMC.

1.15.

Meritano tuttavia di essere considerate anche altre strade che conducono a una riforma più ambiziosa e sistemica, che non sono menzionate in questa fase dalla Commissione europea.

1.16.

Il CESE propone di avviare un processo di riflessione sulla definizione di paese in via di sviluppo ai fini dei lavori dell’OMC, definizione che potrebbe basarsi su una serie di criteri tra cui (ad esempio) la quota di mercato nell’economia mondiale e gli indici di sviluppo umano, allineati con definizioni già esistenti in altre organizzazioni internazionali.

1.17.

Tali proposte, sostenute dal CESE, riguardano principalmente tre ambiti: norme del lavoro e lavoro dignitoso, obiettivi inerenti ai cambiamenti climatici e il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) dell’ONU entro il 2030.

1.18.

La questione del rapporto tra le norme fondamentali del lavoro e le norme commerciali multilaterali è aperta da oltre 20 anni. Il CESE ritiene che, con l’adozione di obiettivi di sviluppo sostenibile ambiziosi e globali da parte delle Nazioni Unite, sia giunto il momento per l’OMC, in quanto custode del commercio internazionale, di svolgere il suo ruolo nella promozione attiva delle norme fondamentali del lavoro. Ciò potrebbe essere realizzato tramite il riconoscimento degli OSS e delle convenzioni fondamentali dell’OIL in un preambolo generale, e il pieno ricorso all’articolo XX del GATT sia per le questioni ambientali (XX, lettera g) che per quelle sociali (XX, lettera e).

1.19.

Ma al di là delle possibili strade da intraprendere per aggiornare le norme esistenti e delineare nuove regole adeguate al commercio del XXI secolo, è proprio la complessa struttura di governance dell’OMC, basata sull’unanimità, che andrebbe resa più flessibile e trasparente per accrescere l’efficienza dell’organizzazione.

1.20.

Per tale motivo, il CESE chiede alla Commissione europea di avviare, assieme ai partner principali, una riflessione sulla possibile evoluzione delle procedure decisionali in seno all’OMC, sulla trasparenza dell’attività di tale organizzazione e sul coinvolgimento della società civile.

2.   Un attore chiave nel commercio internazionale

2.1.

L’OMC è una pietra angolare del multilateralismo commerciale, che ha reso possibili numerosi sviluppi positivi: un processo di liberalizzazione del commercio mondiale, maggiore trasparenza riguardo alle misure di politica commerciale attraverso la valutazione inter pares, la giurisprudenza dell’organo di conciliazione (che consente a qualsiasi paese membro dell’organizzazione di fare valere i propri diritti nei confronti di un altro membro dell’OMC, qualora tali diritti venissero violati) e l’elaborazione, seppur lenta e complessa, di norme e discipline volte a regolamentare lo sviluppo del commercio internazionale (agevolazione degli scambi, lotta ai sussidi nel settore della pesca ecc.).

2.2.

Il CESE considera un successo il fatto che l’OMC abbia accolto un numero crescente di paesi membri, abbia ammesso nel suo consesso dei «giganti»geopolitici (Cina e Russia) che hanno accettato i principi del multilateralismo, e abbia facilitato l’integrazione di economie vulnerabili (Liberia, Cambogia ecc.) nel commercio mondiale.

2.3.

Fin dalla sua istituzione nel gennaio 1995, l’OMC ha quindi svolto il triplice ruolo di custode delle regole degli scambi commerciali, di motore dell’internazionalizzazione delle economie dei paesi in via di sviluppo e di facilitatore della creazione di catene globali del valore.

2.4.

L’attività dell’OMC è stata svolta principalmente nel quadro dei tre pilastri di seguito illustrati.

2.4.1.   Elaborazione di una serie di norme e discipline per il commercio internazionale

2.4.1.1.

Tali norme riguardano attualmente tre ambiti principali: l’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT), l’accordo generale sugli scambi di servizi (GATS) e l’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPS). Questi tre pilastri sono stati integrati da un sistema di risoluzione delle controversie e dal principio di trasparenza, sulla base di un’analisi delle politiche commerciali dei paesi membri. L’intera serie di norme, attuate dal DSB, conferisce certezza giuridica e prevedibilità agli attori del commercio internazionale, aspetto essenziale per gli investimenti nel lungo termine.

2.4.2.   Organo di risoluzione delle controversie

2.4.2.1.

Tale organo costituisce uno dei principali risultati conseguiti dall’OMC sulla scia dei lavori intrapresi dal GATT. La tempistica e le norme procedurali applicabili alla risoluzione delle controversie tra i paesi membri sono state istituzionalizzate e vengono rigorosamente disciplinate da scadenze, il che ha fatto sì che oltre 500 controversie siano state sottoposte all’organo di conciliazione dal 1995 e che siano state emanate più di 350 decisioni.

2.4.2.2.

Il DSB ha adottato una serie di decisioni importanti, anche se potrebbero sussistere timori circa la loro concreta attuazione, in materia di sovvenzioni all’industria aeronautica (UE/USA), società di vendita all’estero (Foreign Sales Corporations), sussidi alla produzione di cotone ecc. Di recente la percentuale dei ricorsi è aumentata, in un contesto caratterizzato dalla proliferazione delle misure di politica commerciale che impongono dazi doganali supplementari o di tipo protezionistico (Stati Uniti/Cina) e comportano trasferimenti forzati di tecnologia e mancata conformità alle norme riguardanti i diritti di proprietà intellettuale.

2.4.3.   Cicli di negoziati per la liberalizzazione del commercio

2.4.3.1.

L’Uruguay Round (1986-1994) costituisce l’ultimo ciclo di negoziati multilaterali che ha reso possibile un ambizioso programma di riduzione dei dazi doganali industriali, l’abbattimento di misure non tariffarie, compresi i contingenti sui tessili e l’abbigliamento, nonché il rafforzamento delle norme e l’istituzione di nuove norme procedurali sulla risoluzione delle controversie.

3.   Le carenze attuali dell’OMC

3.1.    L’attuale crisi dell’organo di appello del DSB

3.1.1.

L’organo di appello, che costituisce la pietra miliare della funzione giuridica dell’OMC, corre attualmente il rischio di arenarsi completamente. Nel dicembre 2019 vi saranno meno di tre giudici permanenti in grado di operare in seno all’organo, se gli Stati Uniti continueranno a rifiutarsi di nominare nuovi giudici. Tale blocco impedirebbe all’organo di appello di adottare decisioni, poiché è richiesto un minimo di tre giudici, e si produrrebbe in un momento in cui il numero di controversie è in aumento, per effetto della crescente pressione esercitata dal protezionismo.

3.1.2.

Sono state sollevate varie critiche da parte del rappresentante per il commercio degli Stati Uniti d’America riguardo all’attuale funzionamento del DSB: un’attività che va al di là della sua funzione centrale tesa ad assistere i membri dell’OMC nella risoluzione di controversie commerciali, l’inosservanza del termine dei 90 giorni, pareri formulati su questioni non correlate all’oggetto della controversia, e il fatto che sia necessario trovare un nuovo equilibrio tra diritti e obblighi dell’organo di appello.

3.1.3.

Tale aspetto rappresenta un paradosso, dal momento che gli Stati Uniti si annoverano tra l’esiguo gruppo di membri che ricorre maggiormente al DSB, unitamente a Unione europea, Canada, Brasile e India.

3.2.    Incapacità di concepire nuove norme o nuovi accordi commerciali

3.2.1.

Il CESE prende atto del fatto che l’OMC ha subito una serie di insuccessi, come lo stallo del ciclo di Doha lanciato nel 2001, la mancata reazione alle pratiche sleali di vari paesi membri e l’incapacità di adottare una dichiarazione ministeriale alla conferenza ministeriale di Buenos Aires nel dicembre 2017, sebbene ci siano stati anche passi in avanti, in particolare l’entrata in vigore dell’accordo sull’agevolazione degli scambi nel 2013. Tali sviluppi hanno spinto diversi partner commerciali (UE, Stati Uniti, Giappone, Canada, Cina ecc.) e varie ONG a proporre riforme sostanziali, concernenti sia la sfera di competenza che i metodi operativi dell’organizzazione.

3.2.2.

Di fatto, tali carenze riflettono la difficoltà dell’OMC di adeguare le proprie norme di funzionamento alla nuova situazione del commercio internazionale: il numero crescente di misure protezionistiche, la complessità del contesto commerciale mondiale, la pressione dell’opinione pubblica sui responsabili delle politiche commerciali a causa delle ripercussioni sociali e ambientali del commercio, l’attuale resistenza a taluni impatti avversi della globalizzazione, l’apertura eccessivamente lenta e geograficamente limitata degli appalti pubblici, nonché l’emergere di sovraccapacità in determinati settori industriali a causa delle ingenti sovvenzioni.

3.2.3.

Le difficoltà legate all’inclusione integrale di alcuni membri dell’OMC nel sistema commerciale multilaterale fondato su norme: considerata la loro dimensione economica e il ruolo svolto dallo Stato e da diversi enti pubblici nelle decisioni commerciali, è un dato di fatto che, nel corso degli ultimi 15 anni, numerosi membri dell’OMC (Stati Uniti, Unione europea, Giappone, Canada ecc.) abbiano presentato molte denunce e ricorsi al DSB riguardo alle infrazioni del diritto di proprietà intellettuale, al trasferimento forzato di tecnologia, all’accesso limitato agli investimenti per aziende estere in determinati settori, ai controlli delle esportazioni, alle ingenti sovvenzioni pubbliche concesse in taluni settori industriali, solo per menzionare alcuni esempi.

3.3.    Squilibrio generale di diritti e doveri tra paesi sviluppati e grandi economie emergenti

3.3.1.

Fin dalla sua istituzione, l’OMC ha continuamente accolto nuovi membri, nel complesso 36, sia paesi chiave che sono ora nuovi membri della «classe multilaterale»che paesi in via di sviluppo fragili ma desiderosi di integrarsi nel commercio internazionale.

3.3.2.

Occorre osservare che non vi è una definizione interna all’OMC relativa ai paesi sviluppati e in via di sviluppo, ad eccezione dei paesi meno sviluppati, come definiti dalle Nazioni Unite: ciascun paese che completa con successo il processo di adesione dichiara la propria categoria di appartenenza, e questa impostazione può essere contestata. Tale situazione, basata su un’autodichiarazione, risulta problematica poiché alcune grandi economie emergenti, che si sono dichiarate «paesi in via di sviluppo», ottengono esenzioni sulla base di tale dichiarazione, sebbene i loro risultati economici e l’integrazione riuscita nel commercio internazionale suggeriscano piuttosto una loro inclusione nella categoria dei «paesi industrializzati». Il CESE propone pertanto di avviare un processo di riflessione sulla definizione di paese in via di sviluppo ai fini dei lavori dell’OMC, definizione che potrebbe basarsi su una serie di criteri tra cui (ad esempio) la quota di mercato nell’economia mondiale e, come proposto dal Parlamento europeo, gli indici di sviluppo umano (1), in linea con definizioni già esistenti in altre organizzazioni internazionali.

3.3.3.

Come ha sottolineato la Commissione europea nella comunicazione del 2015 (2), «vi è stato un importante spostamento del potere economico relativo dei principali partner commerciali che non è ancora stato pienamente assimilato dal sistema dell’OMC. Si allarga di conseguenza lo squilibrio fra il contributo che i grandi paesi emergenti apportano al sistema commerciale multilaterale e i benefici che ne traggono»(pag. 28).

3.3.4.

Tuttavia, nel periodo 2005-2015 i paesi meno avanzati, sebbene abbiano beneficiato di preferenze tariffarie generalizzate concesse loro dai paesi industrializzati, non sono tuttavia riusciti a compiere un netto balzo in avanti nel contesto del commercio internazionale, dato che la loro quota è passata dallo 0,8% a soltanto l’1% (3). il CESE riconosce che questa stagnazione rende palese il fatto che non soltanto i paesi industrializzati, ma anche le grandi economie emergenti dovrebbero concedere ai suddetti paesi meno avanzati un accesso al mercato libero da contingenti e dazi doganali.

4.   Le componenti di una riforma urgente che mira a superare la crisi attuale

4.1.    Trovare una soluzione rapida per «rimettere in marcia»il DSB

4.1.1.

Il CESE sostiene le proposte elaborate dalla Commissione e dal Parlamento europeo che autorizzerebbero a prorogare il mandato dei giudici attualmente in carica oltre i tre anni, per provvedere in futuro alla nomina di giudici togati indipendenti e impiegati a tempo pieno, al fine di accrescere da sette a nove il numero di giudici che operano in seno all’organo di appello.

4.1.2.

Il CESE sostiene le due comunicazioni diffuse da vari membri dell’OMC in vista del Consiglio generale del 12 e 13 dicembre 2018, in cui vengono proposte modifiche di alcune disposizioni relative all’intesa sulle regole e procedure che disciplinano la conciliazione delle controversie, ossia: possibile eccezione al periodo di 90 giorni; esclusione di specifiche normative comunali da parte di un membro, aumento da sette a nove dei membri dell’organo di appello e prolungamento del loro mandato.

4.2.    Ricorso più frequente a negoziati plurilaterali aperti

4.2.1.

La conclusione di un ampio numero di accordi bilaterali e regionali (4) è una conseguenza diretta dell’assenza, dal 2001, di una dinamica multilaterale. Il CESE raccomanda che gli accordi plurilaterali vengano conclusi nel quadro dell’OMC e siano in ogni caso aperti e trasparenti. I negoziati plurilaterali presentano di fatto diversi vantaggi rispetto a quelli multilaterali:

sono basati su una massa critica di paesi disposti ad agire;

comportano negoziati più brevi;

non sussiste il pericolo di un uso improprio del principio di unanimità, poiché un accordo non può essere bloccato da un solo paese o da un gruppo di paesi con rilevanza minore;

il loro campo di applicazione è spesso limitato; essi possono quindi concentrare l’impatto degli impegni assunti dai partner e promuovere investimenti, scambi commerciali e la creazione di posti di lavoro.

4.2.2.

Si è già fatto ricorso a tale soluzione, che ha prodotto risultati positivi, sebbene debba essere vagliata ulteriormente [accordo sulle tecnologie dell’informazione (ITA I e II), accordo sugli appalti pubblici].

4.2.3.

Si dovrebbe ricorrere in maniera più sistematica ad accordi plurilaterali aperti, inclusivi e trasparenti, prevedendo al contempo meccanismi di inclusione che consentano ai paesi non firmatari di godere dei benefici dell’accordo a determinate condizioni in termini di impegni e di attuazione.

4.2.4.

Sono attualmente in corso negoziati su una serie di temi, quali il commercio elettronico, l’agevolazione degli investimenti e le micro, piccole e medie imprese (MPMI), la liberalizzazione dei beni e dei servizi ambientali e gli scambi di servizi, nell’ottica di concludere accordi plurilaterali aperti.

4.2.5.

I membri dell’OMC hanno adottato misure importanti per mettere la prospettiva delle MPMI al centro delle discussioni, ad esempio attraverso l’iniziativa aperta congiunta a sostegno delle MPMI, lanciata a Buenos Aires nel 2017. L’accento è posto sul finanziamento al commercio, e le banche di sviluppo multilaterali hanno risposto mediante i loro programmi di facilitazione del finanziamento al commercio. Razionalizzando, semplificando e standardizzando le procedure doganali, l’accordo sull’agevolazione degli scambi contribuirà a ridurre i costi legati agli scambi e ad alleggerire gli oneri amministrativi per le MPMI. Il CESE propone un approccio multilaterale globale, inclusivo, coerente ed efficace, che tenga in considerazione le necessità di tutti i diversi sottogruppi delle PMI e i loro interessi.

4.3.    Aggiornamento di alcune norme vigenti

4.3.1.   Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative

4.3.1.1.

Considerati gli ampi programmi di sovvenzioni dirette e indirette all’industria di taluni paesi aderenti all’OMC (ad esempio Made in China 2025), il CESE sostiene le proposte elaborate dalla Commissione europea nel documento di riflessione del settembre 2018 e attualmente in discussione con Stati Uniti, Giappone e Canada, in cui si chiede di: introdurre la presunzione secondo cui tutte le sovvenzioni non notificate distorcono il mercato, migliorare la procedura di notifica e aggiungere nuove categorie di sovvenzioni, come quelle concesse a una società insolvente o in difficoltà in assenza di un piano di ristrutturazione credibile. Andrebbe inoltre prestata maggiore attenzione alla questione della doppia tariffazione, una pratica utilizzata da alcuni Stati aderenti all’OMC, ad esempio la Russia, allo scopo di ottenere un vantaggio concorrenziale, in particolare nelle industrie ad alta intensità energetica.

4.3.1.2.

Poiché il numero di paesi membri dell’OMC che dichiarano le proprie sovvenzioni è tendenzialmente in calo, con una percentuale scesa dal 50% del 1995 (su 128 paesi membri) all’attuale 38% (su 164 paesi membri) (5), si dovrebbe introdurre un sistema più solido, corredato di sanzioni, per il monitoraggio delle notifiche.

4.3.2.   Trasferimenti forzati di tecnologia

4.3.2.1.

Il CESE sostiene le proposte avanzate dalla Commissione europea che intende istituire nuovi meccanismi volti a controllare le varie forme di trasferimenti forzati di tecnologia (limiti imposti alle joint venture, limiti imposti al finanziamento di tipo azionario da parte delle società estere, concessione di licenze sulla base di criteri poco trasparenti, concessione di licenze con restrizioni) e a salvaguardare i segreti commerciali in maniera più efficace. Questi nuovi meccanismi dovrebbero coprire solo i trasferimenti forzati di tecnologia e non i trasferimenti di tecnologia in generale, i quali producono un impatto positivo nei paesi in via di sviluppo.

4.3.3.   Imprese di Stato

4.3.3.1.

Occorre aggiornate e precisare la definizione delle imprese di Stato, e le regole che le riguardano, per abbracciare l’intero ventaglio di imprese legate, direttamente o indirettamente, a uno Stato o a enti pubblici.

4.3.4.   Discussione di nuove norme in rapporto al trattamento speciale e differenziato (TSD)

4.3.4.1.

Nel documento di riflessione del settembre 2018, la Commissione europea presenta una serie di opzioni interessanti (avanzamento e rinuncia al TSD, criteri oggettivi per la concessione del TSD ai paesi in via di sviluppo, valutazione caso per caso delle richieste di nuove flessibilità nel quadro del TSD), che il CESE sostiene.

4.3.5.   Investimenti

4.3.5.1.

Nel corso della conferenza ministeriale di Buenos Aires, 45 paesi membri dell’OMC hanno firmato una dichiarazione congiunta sull’agevolazione degli investimenti per il commercio, invitando a intavolare una serie di discussioni sull’istituzione di un quadro multilaterale che consenta di assicurare trasparenza e prevedibilità. Il CESE rileva che gli investimenti esteri, benché utili, possono anche comportare rischi, e rimanda al suo parere in cui raccomanda talune misure da adottare per affrontare potenziali impatti negativi (6).

4.3.5.2.

Si rende necessaria una maggiore trasparenza nell’ambito degli investimenti diretti esteri (IDE), poiché alcuni ingenti flussi indirizzati ai paesi in via di sviluppo sembrano poco trasparenti. Riguardo l’istituzione di un tribunale multilaterale per gli investimenti (MIC), il CESE rimanda al parere in materia, in cui sono evidenziate talune questioni fondamentali da considerare (7).

4.3.6.   Appalti pubblici

4.3.6.1.

È necessario realizzare progressi in tre aree:

trasparenza: prevedere l’applicazione di sanzioni in caso di mancato adempimento degli obblighi di notifica;

campo di applicazione: aumentare il numero di paesi che hanno sottoscritto l’accordo sugli appalti pubblici, e le procedure per gli appalti pubblici che rientrano in tale accordo. Esortare paesi quali Cina, Russia e India a firmare tale accordo costituisce una priorità, e i loro impegni devono estendersi sia al livello nazionale che a quello delle loro suddivisioni amministrative, nonché alle imprese che hanno legami con lo Stato;

mantenere la facoltà delle entità contraenti di utilizzare nelle gare d’appalto criteri ambientali e sociali o attinenti al lavoro, come l’obbligo di rispettare i contratti collettivi e di conformarvisi (8).

4.3.7.   Commercio elettronico

4.3.7.1.

Nel corso della conferenza ministeriale dell’OMC tenutasi a Buenos Aires nel dicembre 2017, 71 paesi membri, che rappresentano il 77% del commercio elettronico, hanno sostenuto l’idea di un’iniziativa plurilaterale volta a definire un quadro regolamentare e a mobilitare capacità e competenze nelle economie più vulnerabili. Il gruppo ad alto livello Commercio elettronico all’orizzonte del 2030ha successivamente presentato la propria relazione al Forum pubblico dell’OMC il 4 ottobre 2018.

4.3.7.2.

Il CESE ritiene che l’allegato sulle telecomunicazioni del GATS e il documento di riferimento vadano utilizzati come punto di partenza per fornire un insieme di regole uniformi e ambiziose sul commercio elettronico, a misura delle numerose sfide che ci attendono. Tali norme comprendono l’applicazione del principio di non discriminazione tra operatori nazionali e stranieri mediante la rimozione delle barriere allo sviluppo dei flussi transfrontalieri, ad esempio il requisito secondo cui i server dovrebbero essere ubicati a livello locale, sebbene con l’importante esigenza di introdurre un’eccezione connessa all’interesse generale (sicurezza, ordine pubblico o altro); la garanzia dell’accesso alle piattaforme di commercio digitale a parità di condizioni per le imprese nazionali e quelle straniere; la garanzia dell’integrità dei dati; la garanzia della certezza giuridica per gli operatori riguardo ai loro investimenti; e la promozione degli investimenti nelle infrastrutture delle telecomunicazioni al fine di contrastare il divario digitale.

4.3.7.3.

Il CESE sottolinea tuttavia che qualsiasi iniziativa in materia di commercio elettronico dev’essere pienamente in linea con la raccomandazione riportata più avanti sulla protezione dei dati nel commercio internazionale e con le disposizioni orizzontali sui flussi transfrontalieri di dati (negli accordi dell’UE in materia di scambi e investimenti).

4.4.    Protezione dei dati nel commercio internazionale

4.4.1.

Secondo il CESE, tenuto conto della velocità dei progressi tecnologici e del costante sviluppo delle infrastrutture delle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), i poteri pubblici devono esercitare una vigilanza e un monitoraggio accurati. Sebbene le decisioni di adeguatezza debbano essere riesaminate ogni quattro anni (cfr. articolo 45, paragrafo 3, del regolamento generale sulla protezione dei dati (9)), il CESE raccomanda che la Commissione, le autorità di protezione dei dati degli Stati membri e le autorità governative del paese terzo interessato si tengano costantemente in contatto per individuare le nuove sfide che si profilano in un contesto tecnologico ed economico molto dinamico (10).

4.4.2.

Il CESE ritiene che la Commissione europea debba considerare una priorità la promozione delle norme in materia di protezione dei dati tramite strumenti multilaterali, e che servano risorse per sostenere questo impegno, affinché sia possibile conseguire, a priori, un’effettiva protezione dei diritti umani e garantire, a posteriori, un ricorso giuridico efficace per i danni subiti (11). La convenzione del Consiglio d’Europa n. 108 del 1981, con il protocollo addizionale del 1999, rappresenta l’unico strumento multilaterale vincolante in materia di protezione dei dati, uno strumento che andrebbe ulteriormente sviluppato promuovendo l’adesione di nuovi paesi terzi.

4.4.3.

Si dovrebbero intensificare gli sforzi multilaterali nell’ambito dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici), del G20 e dell’APEC (Cooperazione economica Asia-Pacifico) per realizzare un sistema globale di protezione dei dati autenticamente multilaterale. I rapporti di cooperazione con il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla vita privata dovrebbero essere solidi e funzionali.

4.4.4.

Il CESE auspica che la Commissione, il Consiglio, i governi e i parlamenti degli Stati membri, nonché il governo e il Congresso degli Stati Uniti accolgano con favore le proposte avanzate nella risoluzione del Parlamento europeo del 6 aprile 2017 sull’adeguatezza della protezione offerta dallo scudo UE-USA per la privacy. Nella risoluzione il Parlamento europeo solleva gravi preoccupazioni, molte delle quali sottolineano che l’accordo e il quadro normativo attualmente in vigore negli Stati Uniti non tutelano, di fatto, i diritti dei cittadini dell’UE (12).

4.4.5.

Il CESE chiede che, in ogni caso, eventuali future iniziative multilaterali sui flussi di dati siano pienamente conformi alle disposizioni orizzontali dell’UE in materia di flussi transfrontalieri di dati e di protezione dei dati negli accordi commerciali e di investimento dell’UE, e in particolare all’articolo B, paragrafo 2 (13).

4.5.    L’agricoltura nei negoziati commerciali

4.5.1.

Con importazioni ed esportazioni combinate pari a 242 miliardi di EUR nel 2015, l’UE è il maggiore operatore commerciale di prodotti agroalimentari al mondo e apporta in tal modo benefici a produttori e consumatori sia all’interno che all’esterno dell’UE (14). Il CESE ritiene che l’UE debba considerare gli effetti derivanti all’agricoltura dell’intera UE dai recenti accordi commerciali conclusi dall’UE e dagli sviluppi negli scambi mondiali (15). Il ruolo dell’OMC nel ridurre le incertezze nel commercio internazionale sarà di cruciale importanza per il futuro dell’agricoltura.

4.5.2.

Un settore agricolo forte e vitale in ognuno dei paesi membri dell’OMC è fondamentale per mantenere o aumentare un approvvigionamento stabile, sicuro e certo di alimenti. È evidente che gli scambi commerciali contribuiscono a correggere gli squilibri nella domanda e nell’offerta, a promuovere l’efficienza nell’impiego delle risorse, ad aumentare le opportunità di mercato e a stimolare la crescita economica, generando quindi occupazione, reddito e prosperità nelle zone rurali (16).

4.5.3.

L’accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (MSF) dell’OMC, concluso nel 1995, riguarda l’applicazione delle norme in materia di sicurezza alimentare e salute animale e vegetale. L’articolo 5, paragrafo 7, riguarda il principio di precauzione, ora sancito dal trattato di Lisbona. Un eventuale tentativo di modificare tale articolo a un livello differente da quello multilaterale avrebbe profonde ripercussioni sull’ordinamento commerciale mondiale e sulla futura credibilità dello stesso accordo (17). Tuttavia, il CESE considera fondamentale il principio di precauzione sancito dai trattati UE, e chiede la sua adeguata protezione e il suo pieno riconoscimento giuridico a livello multilaterale, ai fini di norme di alto livello non solo per quel che concerne la sicurezza alimentare, ma anche in materia ambientale e di benessere animale nella produzione agricola. Il CESE rileva con preoccupazione che l’UE non è riuscita a difendere efficacemente le sue misure cautelari in due controversie dell’OMC ai sensi delle norme vigenti. Data la sua importanza, l’UE dovrebbe fare del suo principio di precauzione un interesse offensivo in tutti i suoi negoziati commerciali.

4.5.4.

Come mostrato da Nairobi (dove, a dispetto delle aspettative, è stata concordata un’importante dichiarazione ministeriale) l’UE gode di una posizione solida per svolgere un ruolo di primo piano nei futuri negoziati sugli scambi commerciali nel settore agricolo. Questo è dovuto sia alla percezione del ruolo di guida svolto dall’UE nel promuovere sostenibilità e (al tempo stesso) sviluppo (il ruolo che essa ha svolto a Nairobi) che alle precedenti riforme della politica agricola comune (PAC), grazie alle quali l’UE non è più considerata essenzialmente sulla difensiva (18). Occorre in ogni caso proteggere i paesi meno sviluppati, tenendo conto della loro particolare vulnerabilità nel settore agricolo, con tutti gli strumenti disponibili, come il trattamento speciale e differenziato e il meccanismo speciale di salvaguardia.

4.5.5.

In tal senso, il CESE ritiene necessario che la PAC e la politica commerciale internazionale perseguita dall’UE rientrino in una strategia molto più coerente.

4.6.    Servizi

4.6.1.

Alla conferenza ministeriale di Buenos Aires, 34 paesi membri dell’OMC hanno chiesto che siano intensificati i lavori relativi alle regolamentazioni nazionali (licenze, qualifiche professionali, procedure ecc.), affinché prenda forma un quadro multilaterale chiaro e trasparente, dato lo stallo dei negoziati per l’accordo multilaterale sugli scambi di servizi (TiSA). La società civile e i sindacati hanno espresso varie preoccupazioni circa l’efficace attuazione delle garanzie per i servizi pubblici.

4.6.2.

Questo sforzo di istituire un simile quadro multilaterale è fondamentale dato che, con un volume totale, tra importazioni ed esportazioni, di 1 809 miliardi di EUR nel 2017, l’UE è di gran lunga il principale attore mondiale nello scambio di servizi, a vantaggio dei produttori e dei consumatori all’interno e al di fuori dell’UE (19). I servizi contribuiscono a oltre il 75% del PIL dei paesi sviluppati e al 50% di quello dei paesi in via di sviluppo, e rappresentano l’elemento portante delle catene globali del valore.

4.7.    L’impatto della Brexit

4.7.1.

A partire dalla fine di marzo 2019 il Regno Unito opererà come paese che aderisce all’OMC a titolo individuale. Il CESE spera che, in tale veste, il Regno Unito sosterrà le riforme ambiziose e lungimiranti sollecitate dall’UE. Il recente impegno ad aderire all’accordo sugli appalti pubblici (AAP) è valutato positivamente.

4.7.2.

L’UE-27 avrà il compito di ridefinire le offerte di accesso al mercato per i partner commerciali dell’UE, in particolare nel settore agricolo, con una giusta ed equa ridistribuzione dei contingenti fra gli Stati membri.

5.   Avvio delle discussioni su una riforma significativa e anche sistemica dell’OMC

5.1.    Definire un nuovo sistema di governance per un nuovo ordine mondiale

5.1.1.

L’organizzazione interna dell’OMC, che è stato creato nel 1994, dovrebbe essere riveduta per poter essere adattata a importanti sviluppi:

un rapido aumento del numero dei membri che, qualora non venga modificato il principio del consenso, bloccherà il processo decisionale;

considerevoli cambiamenti nella struttura del commercio internazionale;

l’adozione di obiettivi ambiziosi nell’ambito dello sviluppo sostenibile (gli OSS dell’ONU) e della lotta contro i cambiamenti climatici (accordo di Parigi).

l’esperienza acquisita dall’UE nell’inserimento di capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile in tutti i suoi recenti accordi di libero scambio.

5.1.2.   Concepire una soluzione creativa per porre fine alla necessità sistematica dell’unanimità

5.1.2.1.

Il processo decisionale dell’OMC, ereditato dal GATT, è di fatto basato sul consenso, ossia l’unanimità dei 164 membri. È richiesta un’unanimità «positiva»per adottare le decisioni e le dichiarazioni ministeriali in seno al Consiglio generale. Per quanto concerne la risoluzione delle controversie, è richiesta l’unanimità «negativa»per respingere la relazione finale redatta da un gruppo di esperti. È chiaro che tale regola consente a un paese da solo oppure, nella maggior parte dei casi, a una coalizione di paesi membri, costituita sulla base di obiettivi comuni (G3, G20), di porre il veto alla conclusione dei negoziati.

5.1.2.2.

La maggior parte delle organizzazioni internazionali ha adottato meccanismi decisionali che consentono un dibattito ed evitano che le questioni oggetto di discussione giungano a una fase di stallo, come la ponderazione dei voti in base a criteri oggettivi (FMI) o l’adozione del voto a maggioranza qualificata (Unione europea). Il CESE propone di avviare una riflessione sulle possibili nuove norme per un processo decisionale sulla maggioranza qualificata, in base al doppio criterio della quota di mercato nell’economia globale e dell’indicatore composito di sviluppo.

5.1.2.3.

Il CESE propone di ridurre il numero di questioni che richiedono l’unanimità, evitando che si applichi anche al normale funzionamento dell’OMC. Il concetto di normale funzionamento dovrebbe comprendere l’accordo sull’ordine del giorno per le riunioni dei comitati, le proposte di discussione su temi connessi alla politica commerciale, nonché gli inviti che si propone di rivolgere a esperti indipendenti affinché forniscano un contributo su argomenti che hanno una rilevanza diretta per l’attuazione di un accordo dell’OMC (20).

5.1.3.   Razionalizzare l’organizzazione per aumentare l’efficienza

5.1.3.1.

L’OMC ha una complessa struttura organizzativa (21). La struttura generale comprende il Consiglio generale, costituito dai rappresentanti dei paesi membri incaricati di approvare le posizioni formulate dai tre organi specializzati, che sono: il Consiglio per gli scambi di merci, il Consiglio per gli scambi di servizi e il Consiglio per gli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio. Tali consigli tematici sono affiancati da altri organi incaricati di gestire gli accordi plurilaterali esistenti e di elaborare nuove iniziative plurilaterali. La conferenza ministeriale a livello politico, che si svolge almeno una volta ogni due anni e riunisce i ministri del Commercio dei paesi membri, opera sulla base di un accordo unanime sulle risoluzioni elaborate dagli altri organi.

5.1.3.2.

Alcuni comitati istituiti per un’occasione specifica, che non risulta più pertinente, come il gruppo di lavoro sui temi di Singapore, sono concepiti per operare in via provvisoria. Il numero di comitati dovrebbe essere ridotto, sulla base del numero di riunioni svolte e dei risultati conseguiti, in modo tale da destinare le risorse a tematiche considerate prioritarie dai membri. Occorre creare una cultura della valutazione.

5.1.4.   Rafforzare il ruolo del segretariato destinando ad esso risorse supplementari

5.1.4.1.

Al fine di assicurare che l’OMC metta a punto le risoluzioni ministeriali e lanci nuove iniziative plurilaterali in modo più efficace, bisognerebbe rafforzare il ruolo del segretariato conferendogli il diritto di iniziativa per quanto concerne la proposta di nuovi temi negoziali e le modifiche da apportare al corpus di norme e discipline, nonché le proposte di compromesso su tematiche oggetto di discussione.

5.1.5.   Accantonare il principio dell’impegno unico

5.1.5.1.

In occasione della conferenza ministeriale di Bali, l’OMC ha abbandonato l’approccio dell’impegno unico, secondo cui non c’è accordo su nulla finché non c’è accordo su tutto. Questo nuovo approccio, più flessibile, ha reso possibile l’adozione dell’accordo multilaterale sull’agevolazione degli scambi, entrato in vigore il 22 febbraio 2017, allorché oltre i due terzi dei membri dell’OMC (ossia 110) hanno presentato lo strumento di ratifica. Tale accordo mira ad agevolare e accelerare gli scambi internazionali di beni, grazie a procedure più rapide ed efficaci in ambiti quali lo svincolo e lo sdoganamento delle merci (22).

5.1.6.   Creare legami più forti con la società civile

5.1.6.1.

L’Unione europea vanta una considerevole esperienza per quanto concerne la consultazione e il coinvolgimento della società civile nella politica commerciale. I capitoli in materia di commercio e sviluppo sostenibile di tutti gli accordi di libero scambio negoziati di recente dall’UE comprendono impegni in materia di lavoro e di ambiente, intesi a contribuire allo sviluppo sostenibile delle parti. Tali accordi prevedono in genere dei meccanismi di monitoraggio della società civile, noti come gruppi consultivi interni, nell’UE e nel paese o nei paesi partner. Il CESE raccomanda di promuovere presso altri membri dell’OMC tale esperienza di partecipazione attiva della società civile, affinché siano formulate proposte sui meccanismi più adeguati attuabili a livello multilaterale.

5.1.6.2.

Il CESE propone che il Forum pubblico dell’OMC, sotto forma di assemblea equilibrata e rappresentativa degli attori sociali ed economici di tutti i diversi settori e gruppi d’interesse, agisca come una possibile piattaforma per la partecipazione della società civile e possa formulare raccomandazioni nell’ambito delle procedure dell’OMC. Si potrebbe anche prendere in considerazione la maniera in cui l’OCSE è stata in grado di strutturare la consultazione di una vasta cerchia di parti interessate.

5.1.6.3.

Come è stato proposto bilateralmente dal CESE (23), in ognuno degli accordi multilaterali e plurilaterali potrebbe essere inserita una specifica clausola che imponga a entrambe le parti di ciascun meccanismo di monitoraggio della società civile «di lavorare insieme per promuovere gli OSS e monitorare i relativi effetti».

5.2.    Assicurare la coerenza tra il sistema commerciale multilaterale e le norme internazionali del lavoro e sociali

5.2.1.

L’OCSE e l’UE hanno sollevato la questione delle catene globali del valore nel 2010, cercando di comprendere la loro modalità di funzionamento e di proporre soluzioni volte a rettificare le disfunzioni individuate riguardo all’ambiente e ai diritti umani fondamentali. Sono state redatte monografie dettagliate per diversi settori, sono state allestite guide pratiche e sono state individuate questioni specifiche relative alla responsabilità sociale delle imprese (lavoro minorile, libertà di associazione e di contrattazione collettiva, livello di vita dignitoso, perdita di biodiversità e pratiche tariffarie sleali).

5.2.2.

In una dichiarazione formulata dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nel 2016 riguardante il lavoro dignitoso nelle catene globali di approvvigionamento, sono stati individuati diversi ambiti di intervento: promuovere norme internazionali del lavoro, colmare le lacune in termini di governance, promuovere un dialogo sociale inclusivo ed efficace, rafforzare i sistemi di amministrazione del lavoro, migliorare le conoscenze ed ampliare le statistiche.

5.2.3.

Il CESE si rammarica del fatto che il campo di applicazione dell’attuale articolo XX, lett. e) sia limitato al lavoro forzato, e propone di prendere in considerazione un’estensione delle norme fondamentali del lavoro (lavoro minorile, lavoro forzato e così via). Il CESE osserva inoltre che l’esperienza che l’UE ha maturato con l’inserimento delle norme ambientali e per la tutela del lavoro nella sua politica commerciale potrebbero ispirare l’OMC a menzionare, ad esempio in un preambolo, le otto convenzioni dell’OIL, l’accordo di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Ogni membro dell’OMC che non sia pienamente conforme dovrebbe ratificare la convenzione dell’OIL mancante, o quanto meno dimostrare di avere un livello di protezione equivalente e, a questo fine, dovrebbe beneficiare di risorse per lo sviluppo di capacità.

5.2.4.

Attualmente l’OIL e l’OMC collaborano a livello tecnico, elaborando studi congiunti. Lo studio del 2007 sul tema Trade and employment, challenges for policy research (Commercio e occupazione: sfide per la ricerca strategica) ha illustrato che la crescente disuguaglianza è da imputare alle tecnologie piuttosto che al commercio. Nel 2017, da un altro studio congiunto sul tema Investing in skills for inclusive trade (Investire nelle competenze per un commercio inclusivo) è emerso che il potenziamento delle competenze di base e di quelle tecniche e gestionali ha aiutato i paesi a cogliere i vantaggi del commercio.

5.2.5.

L’OMC ha sviluppato una banca dati sulle catene globali del valore e ha realizzato studi scientifici, tra cui Trade patterns and global value chains in South-East Asia (Flussi commerciali e catene globali del valore nel sud-est asiatico), che forniscono dati sulla loro struttura e sui metodi operativi che dovrebbero essere impiegati per concepire nuovi orientamenti multilaterali, ispirati a quelli dell’OCSE, al fine di garantire una gestione sostenibile di tali catene globali del valore.

5.2.6.

Il CESE appoggia la creazione, in seno all’OMC, di un nuovo gruppo di lavoro che si occupi del tema Commercio e lavoro dignitoso, i cui obiettivi sarebbero di due tipi, in coerenza con i lavori nell’ambito delle Nazioni Unite su uno strumento internazionale giuridicamente vincolante per regolamentare le attività delle società transnazionali e di altre imprese commerciali e sulla base di iniziative multilaterali (24): da un lato, promuovere buone pratiche su come tener fede alla responsabilità di rispettare e proteggere i diritti umani, data la complessità di una condotta responsabile delle imprese nelle catene di valore globali (lineari o complesse, lunghe o corte) (25); dall’altro, sensibilizzare i paesi in via di sviluppo al comportamento responsabile delle imprese, concentrandosi su azioni concrete, per rispondere alle sfide attuali e future sul piano sociale, ambientale e della governance, ed esplorando le modalità per porre rimedio a potenziali effetti negativi. L’esame delle politiche commerciali stabilito all’interno del sistema dell’OMC dovrebbe sistematicamente includere un esame dell’attuazione, da parte dei vari paesi, delle norme fondamentali sul lavoro dell’OIL.

5.3.    Far sì che il commercio internazionale contribuisca alla lotta contro i cambiamenti climatici

5.3.1.

L’adattamento delle norme dell’OMC all’esigenza di contrastare i cambiamenti climatici costituisce una delle massime priorità della riforma dell’OMC e mira a garantire che gli scambi internazionali di prodotti industriali e agricoli possano entrare in un circolo più virtuoso. Il CESE incoraggia le imprese che investono in una produzione più sostenibile, e ritiene che la concorrenza sleale debba essere evitata. Tali sforzi sono particolarmente necessari per quanto riguarda gli investimenti che risultano indispensabili per attuare gli OSS. La Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) stima che serva un bilancio di 2 500 miliardi di dollari USA all’anno, e anche l’OMC ha un ruolo da svolgere nell’incentivare tali investimenti responsabili nei trasporti, nelle risorse idriche e nelle infrastrutture dell’energia.

5.3.2.

Sarebbe possibile prendere in considerazione una serie di misure, tra cui le seguenti:

estendere le eccezioni di cui all’articolo XX del GATT, che consente ai membri dell’OMC entro determinati limiti di definire autonomamente i propri obiettivi ambientali (lotta contro il tabagismo, protezione dei delfini, lotta contro l’amianto ecc.), per tener conto delle misure nazionali adottate a sostegno della lotta contro le emissioni di gas a effetto serra. Questa possibilità permetterebbe, ad esempio, a un dato paese membro di istituire un meccanismo di inclusione del carbonio alle proprie frontiere, nell’ottica di salvaguardare la qualità dell’aria (articolo XX, lettera g);

sviluppare un metodo internazionale per la misurazione e la modellizzazione delle emissioni aggiuntive di gas a effetto serra connesse allo sviluppo dei flussi commerciali, ad esempio tra due paesi o due regioni che hanno sottoscritto un accordo di libero scambio (ALS);

i gruppi di riflessione congiunta istituiti dall’OMC e dal segretariato dell’UNFCCC (convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), che registra tutti i contributi di ciascun paese, potrebbero elaborare proposte volte a compensare tali emissioni aggiuntive (imboschimento, rimboschimento, cattura di CO2, investimenti nelle tecnologie pulite). I riesami quinquennali, previsti per il 2023, potrebbero anche contribuire a rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso verso basse emissioni di gas a effetto serra e uno sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici (26);

rilanciare l’accordo plurilaterale sulla liberalizzazione dei prodotti e servizi ambientali, che incentiverebbe la circolazione di prodotti e servizi con un impatto positivo sull’ambiente (energia, risorse idriche, rifiuti ecc.).

5.4.    Inglobare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) nell’agenda multilaterale

5.4.1.

Le norme e le discipline dell’OMC contribuiscono intrinsecamente al raggiungimento di alcuni OSS, in particolare i seguenti: Promuovere un sistema commerciale multilaterale universale, basato su regole, aperto, non discriminatorio ed equo nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (obiettivo 17.10) e Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile (obiettivo 2).

5.4.2.

I lavori in tal senso sono stati avviati con la dichiarazione ministeriale di Nairobi, con cui si è assunto l’impegno di abolire le sovvenzioni all’esportazione dei prodotti agricoli, e con la dichiarazione ministeriale di Buenos Aires, con cui è stato affrontato il tema relativo alle sovvenzioni più dannose alla pesca. Tuttavia, si potrebbe certamente sostenere che anche altri OSS, quali l’obiettivo 8 (Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti), l’obiettivo 14 (Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile) e l’obiettivo 17 (Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile) meritino di essere presi in considerazione dall’OMC nelle sue attività.

5.4.3.

Questo significherebbe che tutti gli accordi plurilaterali e multilaterali conclusi sotto l’egida dell’OMC dovrebbero contribuire al conseguimento di tali obiettivi e che la loro mancata osservanza potrebbe eventualmente attivare il meccanismo di risoluzione delle controversie.

5.4.4.

Bisognerebbe dare attuazione concreta alle conclusioni emerse nel quadro del 6o riesame globale dell’OMC sugli aiuti al commercio, tenutosi a Ginevra nel luglio del 2017, allo scopo di aiutare i paesi in via di sviluppo a sfruttare i vantaggi offerti dal commercio elettronico e dalle opportunità digitali e di incoraggiare gli investimenti nelle infrastrutture fisiche e digitali.

Bruxelles, 23 gennaio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Risoluzione del Parlamento europeo sul tema OMC: la via da seguire, punto 9, 29 novembre 2018 [2018/2084(INI)].

(2)  «Commercio per tutti – Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile»

(3)  Quota dei paesi meno avanzati nel commercio mondiale (fonte: World Trade Statistical Review 2016 - Analisi statistica del commercio mondiale 2016, OMC, pag. 59).

(4)  Accordi regionali notificati all'OMC (fonte: www.wto.org)

(5)  Improving disciplines on subsidies notification (Migliorare le discipline di notifica delle sovvenzioni) TN/RL/GEN/188, OMC, 2017.

(6)  Parere CESE Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione europea, [COM(2017) 487 final - 2017/0224 (COD)], relatore: Christian Bäumler, correlatore: Gintaras Morkis, (GU C 262 del 25.7.2018, pag. 94).

(7)  Parere del CESE Convenzione che istituisce un tribunale multilaterale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti, relatore Philippe de Buck, correlatrice: Tanja Buzek (GU C 110 del 22.3.2019, pag. 145).

(8)  Strumento interpretativo comune sull’accordo economico e commerciale globale tra il Canada e l’Unione europea e i suoi Stati membri (http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-13541-2016-INIT/it/pdf).

(9)  Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1).

(10)  Parere del CESE sul tema Scambio e protezione dei dati personali in un mondo globalizzato, relatore: Christian Pîrvulescu (GU C 81, del 2.3.2018, pag. 209).

(11)  Parere del CESE sul tema Scambio e protezione dei dati personali in un mondo globalizzato, relatore: Christian Pîrvulescu (GU C 81, del 2.3.2018, pag. 209).

(12)  Parere del CESE sul tema Scambio e protezione dei dati personali in un mondo globalizzato, relatore: Christian Pîrvulescu (GU C 81, del 2.3.2018, pag. 209).

(13)  «Ciascuna parte può adottare e mantenere le garanzie che ritiene necessarie per assicurare la protezione dei dati personali e della vita privata, anche attraverso l’adozione e l’applicazione di norme per il trasferimento transfrontaliero di dati personali. Le disposizioni del presente accordo lasciano impregiudicata la protezione dei dati personali e della vita privata garantita dalle rispettive salvaguardie delle parti.»http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2018/june/tradoc_156884.pdf.

(14)  https://ec.europa.eu/agriculture/sites/agriculture/files/trade-analysis/statistics/graphs/eu-agrifood-trade.pdf.

(15)  Parere d’iniziativa del CESE Il ruolo dell’agricoltura negli accordi commerciali multilaterali, bilaterali e regionali alla luce della riunione ministeriale dell’OMC a Nairobi, relatore: Jonathan Peel (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 20).

(16)  Parere d’iniziativa del CESE Il ruolo dell’agricoltura negli accordi commerciali multilaterali, bilaterali e regionali alla luce della riunione ministeriale dell’OMC a Nairobi, relatore: Jonathan Peel (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 20).

(17)  Parere d’iniziativa del CESE Il ruolo dell’agricoltura negli accordi commerciali multilaterali, bilaterali e regionali alla luce della riunione ministeriale dell’OMC a Nairobi, relatore: Jonathan Peel (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 20).

(18)  Parere d’iniziativa del CESE Il ruolo dell’agricoltura negli accordi commerciali multilaterali, bilaterali e regionali alla luce della riunione ministeriale dell’OMC a Nairobi, relatore: Jonathan Peel (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 20).

(19)  https://www.wto.org/english/res_e/statis_e/wts2018_e/wts2018_e.pdf.

(20)  Policy Brief Revitalizing Multilateral Governance at the World Trade Organization - Report of the High-Level Board of Experts on the Future of Global Trade Governance [Documento strategico: Ridare slancio alla governance multilaterale in seno all’OMC - Resoconto del gruppo di esperti di alto livello sulla futura governance del commercio mondiale], Bertelsmann Stiftung, 2018.

(21)  Struttura dell’OMC (fonte: Revitalizing Multilateral Governance at the World Trade Organization [Ridare slancio alla governance multilaterale in seno all'Organizzazione mondiale del commercio], Bertelsmann Stiftung, pag. 54).

(22)  Les trois réformes de l’OMC, Zaki Laïdi, Libération, 2003.

(23)  Parere del CESE Il ruolo fondamentale del commercio e degli investimenti nel conseguire e attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile, relatore: Peel, correlatore: Quarez (GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 27 punto 1.8).

(24)  Ossia la recente legge francese sull’obbligo di vigilanza.

(25)  Parere del CESE sul tema Lavoro dignitoso nelle catene globali di approvvigionamento, relatrice Emmanuelle Butaud_Stubbs (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 17).

(26)  2 dell’accordo di Parigi (UNFCCC).


10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul «Ruolo dei gruppi consultivi interni nel monitoraggio dell’attuazione degli accordi di libero scambio»

(Parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo)

(2019/C 159/04)

Relatore: Alberto MAZZOLA

Consultazione

Parlamento europeo, 11/09/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

15/01/2019

Adozione in sessione plenaria

23/01/2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

152/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che il commercio contribuisce allo sviluppo economico in senso lato e sostiene, a tale proposito, l’ampliamento del numero di accordi commerciali dell’UE in vigore. Tuttavia, gli accordi di libero scambio sono anche al centro di un intenso dibattito sul loro contributo allo sviluppo sociale e alla protezione dell’ambiente, sui loro pro e contro e sul modo in cui essi vengono ripartiti tra i paesi e i diversi portatori di interesse. Il CESE desidera sottolineare questo punto.

1.2.

Oggi l’UE si trova ad affrontare una crescente domanda di dialogo costruttivo con la società civile sul tema del commercio. Tra i principali successi del coinvolgimento delle parti interessate attraverso i gruppi consultivi interni figura il rafforzamento dei processi della società civile.

1.3.

Il CESE ritiene indispensabile la partecipazione della società civile in tutti i tipi di accordi. Da un lato, tale partecipazione risponde alla necessità di monitoraggio e rappresenta un modo per sollevare questioni legittime che hanno un impatto su tutte le componenti della società. Dall’altro lato, si tratta di un elemento essenziale al fine di conseguire efficacemente le aspirazioni strategiche che fanno attualmente parte degli accordi e che non possono essere sviluppate unicamente attraverso le relazioni tra le istituzioni e i governi.

Il CESE ritiene che la partecipazione a tutti i tipi di accordi debba avvenire attraverso un organismo di partecipazione della società civile unico e comune a entrambe le parti all’accordo.

A giudizio del CESE, i gruppi consultivi interni dovrebbero svolgere un ruolo consultivo e di consulenza, essere istituzionalizzati e competenti a gestire tutti gli aspetti dell’accordo, rappresentare in maniera equilibrata tutti e tre i settori, e svolgere un ruolo rappresentativo, responsabile e indipendente nel monitoraggio e nella valutazione degli accordi dell’UE. Tutti questi criteri sono essenziali per il rafforzamento della società civile, la sua visibilità e la sua capacità di redigere proposte strutturate in grado di influenzare efficacemente il processo decisionale.

1.4.

I gruppi consultivi interni dovrebbero, tra l’altro, porre una particolare enfasi sul rispetto, da parte delle parti, delle norme fondamentali del lavoro e delle convenzioni fondamentali dell’OIL, nonché degli accordi multilaterali in materia di ambiente.

1.5.

Il CESE raccomanda nuovamente di incaricare i gruppi consultivi interni di monitorare l’impatto che avranno sui diritti umani, del lavoro e ambientali tutte le parti degli accordi commerciali, e ritiene che l’ambito di applicazione debba includere gli interessi dei consumatori (1).

1.6.

Il CESE si aspetta che l’estensione dell’ambito di applicazione del monitoraggio dei gruppi consultivi interni all’intero accordo e a tutti gli aspetti di quest’ultimo, anche se non attinenti allo sviluppo sostenibile, prestando tuttavia particolare attenzione a tali aspetti, possa integrare gli sforzi messi in atto dalla Commissione europea per promuovere una migliore attuazione dei futuri accordi di libero scambio dell’UE, e sostiene tale estensione. I gruppi consultivi interni dovrebbero avere un impatto positivo sulla sensibilizzazione di fasce più ampie della società civile in merito ai vantaggi derivanti da scambi commerciali liberi, inclusivi, sostenibili e basati su regole, affrontando al tempo stesso le lacune. Inoltre, potrebbero fornire informazioni fattuali e contribuire all’adozione di un approccio obiettivo agli accordi commerciali.

1.7.

L’estensione delle competenze a tutti gli aspetti dell’accordo, con ogni probabilità, renderà più facile per i paesi partner accettare il monitoraggio della società civile e accelererà la creazione di un gruppo consultivo interno.

1.8.

È particolarmente importante impegnarsi con i paesi terzi sulla base del rispetto e della comprensione reciproci. Ad avviso del CESE, le riunioni dei gruppi consultivi interni con il paese partner sono estremamente importanti. Per tutti i futuri accordi pertinenti, il CESE raccomanda di creare un gruppo interconsultivo interno (ovvero un organo congiunto della società civile con i paesi partner) piuttosto che gruppi consultivi interni/nazionali distinti per ciascuna parte (2). Nei casi in cui già esistano altri meccanismi per esprimere il punto di vista della società civile, sarebbe essenziale mantenerli, dato che occorrono anni per creare fiducia e condizioni di lavoro adeguate.

1.9.

Il CESE ritiene che contribuiscano altresì a rendere i gruppi consultivi interni rilevanti la loro composizione e, in particolare, la rappresentatività e la competenza dei loro membri, da assicurare mediante il miglioramento del meccanismo di selezione, in consultazione con il CESE, come in altri casi di successo; in tali gruppi dovrebbero essere garantite una rappresentanza equilibrata degli interessi della società civile e adeguate competenze interne. I gruppi consultivi interni dovrebbero essere in grado di coinvolgere e di consultare le parti interessate esterne.

1.10.

Il CESE raccomanda che i membri dei gruppi consultivi interni si riuniscano almeno due volte l’anno a livello UE e che le riunioni formali tra gruppi consultivi interni si svolgano due volte l’anno, in forma istituzionale, anche in videoconferenza, ma che almeno una volta l’anno gli incontri si tengano faccia a faccia.

1.11.

Il CESE raccomanda di organizzare ogni anno a Bruxelles una conferenza con tutti i membri dei gruppi consultivi interni a livello UE, per consentire la condivisione di esperienze tra i propri rispettivi gruppi consultivi.

1.12.

I gruppi consultivi interni dovrebbero inoltre avere la possibilità di organizzare ogni anno un’audizione. La cooperazione con gli organismi istituzionali nazionali che rappresentano la società civile (le controparti nazionali del CESE) rappresenterebbe un vantaggio per quanto riguarda l’estensione del dialogo al di fuori di Bruxelles e l’intercettazione di un pubblico più vasto, oltre lo scenario attuale, che privilegia organizzazioni con sede a Bruxelles.

1.13.

La creazione di molteplici organismi nel quadro dello stesso accordo crea confusione nei paesi partner commerciali dell’UE (3) e comporta un onere sia per i paesi terzi che per il CESE. Il CESE invita l’UE a prevedere meccanismi consultivi misti competenti per tutti i pilastri dei futuri accordi di associazione, in primo luogo con gli accordi rinegoziati con Cile e Messico, e in futuro con il Mercosur.

1.14.

Dovrebbe essere previsto un meccanismo di rendicontazione che permetta alle organizzazioni della società civile che parteciperanno ai futuri gruppi consultivi interni di segnalare problemi di attuazione o di presentare proposte di miglioramento. Il CESE osserva inoltre che il presidente di un gruppo consultivo interno dovrebbe avere il diritto di presentare il punto di vista del proprio gruppo ai Comitati sugli scambi e lo sviluppo sostenibile, che dovrebbero essere tenuti a dare una risposta ai problemi sollevati e alle raccomandazioni formulate dai gruppi consultivi interni entro un lasso di tempo ragionevole. Il CESE accoglie con favore l’impegno della Commissione europea a favore di un meccanismo di ricorso strutturato, trasparente e basato sul tempo per l’attuazione dei capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile in futuro.

1.15.

Prima che vengano istituiti gli organi della società civile, il CESE compie un grande sforzo per lavorare alla creazione di gruppi consultivi interni/comitati consultivi molto prima dell’entrata in vigore dell’accordo. Gli sforzi del CESE dovrebbero essere riconosciuti e sostenuti dal Parlamento europeo e dal Consiglio, soprattutto nella loro capacità di bilancio, nonché dalla Commissione

1.16.

Per assicurare la visibilità dei gruppi consultivi interni, il CESE raccomanda l’elaborazione di una strategia di comunicazione, che riguardi anche l’utilizzo delle pagine web, una piattaforma informatica per gli scambi e i social media.

1.17.

Serve un sostegno finanziario per l’attuazione di accordi futuri, in particolare dai governi partner. Il CESE ritiene che il testo degli accordi dovrebbe prevedere esplicitamente l’impegno a finanziare adeguatamente e a sostenere politicamente e logisticamente gli organi della società civile previsti, anche tramite i governi delle controparti.

1.18.

Il CESE ritiene la propria partecipazione preziosa e auspica di poter continuare ad aderire a tutti i gruppi consultivi interni.

1.19.

Grazie al suo regolamento, alle sue modalità operative e ai suoi membri, il CESE assicura che i gruppi consultivi interni funzionino in maniera strutturata e organizzata, e fornisce aiuto in materia di individuazione delle controparti nei paesi partner, definizione dell’ordine del giorno, gestione delle riunioni, presentazione di relazioni alle istituzioni dell’UE e alla società civile, e assunzione di responsabilità.

1.20.

Si prevede che il costo della partecipazione del CESE ai gruppi consultivi interni raddoppierà nei prossimi tre anni e triplicherà per poter coprire gli ALS attualmente in fase di negoziato. I gruppi consultivi interni rappresentano pertanto una sfida per il CESE, in termini di risorse umane e finanziarie. Il CESE chiede alle autorità di bilancio di prevedere una dotazione aggiuntiva in linea con le spese correnti previste dalla Commissione, per aiutare i gruppi consultivi interni a svolgere le attività previste sul piano sia quantitativo che qualitativo.

1.21.

Il CESE suggerisce di considerare i seguenti criteri per l’istituzione di un gruppo consultivo interno e per stabilire il numero dei membri: volume totale annuo del commercio extra UE, investimenti UE nel paese o nei paesi partner, importanza dell’accordo da un punto di vista strategico e geopolitico, considerazioni pertinenti in materia di sostenibilità.

1.22.

Per quanto riguarda l’UE, i gruppi consultivi interni riferiscono essenzialmente alla Commissione europea ma sarebbe importante che in futuro potessero riferire anche al Parlamento europeo e al Consiglio. Il CESE raccomanda di instaurare un dialogo regolare e strutturato tra i gruppi consultivi interni dell’UE, la Commissione, il SEAE, il Parlamento europeo e gli Stati membri dell’UE. Per quanto riguarda il Parlamento europeo, potrebbero essere previsto un meccanismo di consultazione regolare e strutturato.

2.   Contesto

2.1.

Il presidente del Parlamento europeo, in linea con l’articolo 304, primo comma, seconda frase, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ha consultato il CESE in merito a un parere sul funzionamento dei gruppi consultivi interni (4), sottolineando che «[vi] sono diversi aspetti che richiedono un’ulteriore analisi e discussione, come le questioni riguardanti le risorse di cui hanno bisogno [i gruppi consultivi interni] per svolgere con efficacia i loro compiti, i modi per risolvere le difficoltà organizzative e logistiche che devono attualmente affrontare gli organismi della società civile, le soluzioni per migliorare l’interazione tra [i gruppi consultivi interni] e [i comitati per il commercio e lo sviluppo sostenibile], e qualsiasi altro aspetto che consenta di migliorare la situazione attuale».

2.2.

I gruppi consultivi interni sono uno dei principali risultati dell’inclusione dei capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile negli accordi di libero scambio dell’UE. La loro istituzione si fonda non solo sulla politica commerciale dell’UE, ma, più in generale, sulla forte volontà politica dell’UE di integrare lo sviluppo sostenibile in tutte le sue politiche e strategie, a partire dalla dichiarazione di Rio + 20 del 2012. Nel 2015 la Commissione europea ha adottato la strategia Commercio per tutti , allo scopo di rafforzare ulteriormente la trasparenza e l’inclusività della politica commerciale dell’UE, anche attraverso un approfondimento del dialogo con la società civile.

2.3.

Il 26 febbraio 2018 la Commissione europea ha presentato un documento informale (5) che «propone una serie di 15 azioni concrete e realizzabili da intraprendere per rilanciare i capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile», compreso, tra l’altro, «[l’ampliamento dell’]ambito di applicazione materiale delle competenze di consulenza dei gruppi consultivi interni, per comprendere l’attuazione dell’intero accordo nei futuri accordi di libero scambio». Il documento informale indica che «[tale] approccio sarà inizialmente seguito con gli ALS UE-Messico e UE-Mercosur, e diverrà successivamente parte integrante della strategia negoziale standard della Commissione».

2.4.

Gli accordi UE-Messico e UE-Mercosur sono accordi di associazione, che comprendono quindi anche dei pilastri relativi alla politica e alla cooperazione, negoziati dal SEAE. L’UE ha proposto un approccio «annidato»con gruppi consultivi interni e forum della società civile a livello di accordo di associazione generale e anche per la parte commerciale. Viceversa, gli accordi di libero scambio autonomi, ad esempio con l’Indonesia, l’Australia o la Nuova Zelanda, seguirebbero un approccio più semplice, applicabile all’intero accordo di libero scambio. In una serie di scambi con la Commissione, è stato sottolineato che l’elaborazione delle disposizioni per la società civile sarà aperta e sarà possibile fornire contributi su qualsiasi tema di interesse, compresi quelli non connessi allo sviluppo sostenibile.

2.5.

Il CESE ha già adottato diversi pareri (6) in materia di commercio e sviluppo sostenibile, che esortano a rafforzarne il meccanismo di monitoraggio e che formulano raccomandazioni intese a migliorare il funzionamento dei gruppi consultivi interni. Nel suo parere Capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile (CSS) negli accordi di libero scambio (ALS) dell’UE, il CESE ha raccomandato specificamente di incaricare i gruppi consultivi interni di monitorare l’impatto che avranno sui diritti umani, del lavoro e ambientali tutte le parti degli accordi commerciali, e di estendere l’ambito di applicazione agli interessi dei consumatori e all’impatto sociale ed economico. E si compiace del fatto che, da ora in poi, ogni anno verrà pubblicata una relazione sull’attuazione degli accordi di libero scambio.

2.6.

L’accordo di partenariato economico UE-Cariforum e l’accordo di libero scambio UE-Corea, entrati rispettivamente in vigore nel 2014 e nel 2011, sono stati i primi a prevedere l’istituzione di un organo consultivo della società civile incaricato di monitorare l’attuazione del capitolo Commercio e sviluppo sostenibile (CSS) dell’accordo. Tutti i successivi accordi dell’UE, anche con l’America centrale, la Colombia, il Perù e l’Ecuador, la Georgia, la Moldova, l’Ucraina e il Canada, hanno adottato questo approccio. Attualmente sono attivi 8 gruppi consultivi interni, con 27 membri del CESE, e altri 5 dovrebbero essere creati entro il 2021, mentre altri potrebbero seguire in futuro, subordinatamente alla conclusione dei negoziati già avviati per nuovi accordi di libero scambio, come quelli con l’Australia e la Nuova Zelanda, o alla revisione degli accordi vigenti.

2.7.

I gruppi consultivi interni, nell’ambito degli accordi vigenti, consentono di mantenere una rappresentanza equilibrata degli interessi della società civile attraverso i tre sottogruppi in cui sono organizzati: datori di lavoro, sindacati e attività diverse, incluse le organizzazioni ambientali e dei consumatori, nonché altre parti interessate pertinenti. I membri dei gruppi consultivi sono i rappresentanti delle principali organizzazioni economiche e sociali europee, nonché delle organizzazioni ambientaliste, dei consumatori, degli agricoltori e di altri interessi del terzo settore. Il CESE è un elemento permanente nella composizione di tali gruppi.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE riconosce che il commercio contribuisce alla crescita economica e allo sviluppo economico in senso lato e sostiene, a tale proposito, l’ampliamento del numero di accordi commerciali dell’UE in vigore. Tuttavia, gli accordi di libero scambio sono anche al centro di un intenso dibattito sul loro contributo allo sviluppo sociale e alla protezione dell’ambiente, sui loro pro e contro e sul modo in cui essi vengono ripartiti tra i paesi e i diversi portatori di interesse. Oggi l’UE si trova ad affrontare una crescente domanda di dialogo costruttivo con la società civile sul tema degli accordi di libero scambio. Gli attuali meccanismi dell’UE per gli accordi comprendono i gruppi consultivi interni, i comitati consultivi misti, le piattaforme e i forum della società civile, nonché i forum congiunti della società civile. Per via della loro complessa architettura, trasformare questi meccanismi di consultazione in strutture efficaci e funzionanti può risultare in un certo qual modo una sfida (7). Tra gli ulteriori meccanismi per gli scambi con la società civile sulla politica commerciale dell’UE figurano le piattaforme e le consultazioni pubbliche come il dialogo con la società civile e il gruppo di esperti in materia di accordi commerciali dell’UE (sollecitato dalla DG Trade).

3.2.

Il trattato di Lisbona ha rafforzato e ha confermato la funzione e la composizione del CESE in quanto rappresentante istituzionale della società civile organizzata. Il CESE, in partenariato con le altre istituzioni, è stato concepito come lo strumento della democrazia partecipativa e del dialogo civile a livello europeo. Da un punto di vista istituzionale, i punti di vista della società civile dell’UE sulla politica commerciale dell’Unione vengono espressi tramite i pareri del CESE ma anche con altri strumenti. Tenuto conto della sua capacità, il CESE chiede di essere consultato durante la fase negoziale degli accordi di associazione, di partenariato economico e di libero scambio dell’UE.

3.3.

Il CESE, che è membro permanente dei gruppi consultivi interni, fornisce la segreteria di tutti i gruppi consultivi interni esistenti, e ha un’ampia conoscenza diretta dei vantaggi e dell’impatto che il monitoraggio della società civile esercita sull’attuazione dei capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile. Alcuni degli insegnamenti tratti grazie al lavoro dei gruppi consultivi interni esistenti si applicheranno, mutatis mutandis, quando le competenze dei gruppi consultivi interni verranno estese agli altri capitoli degli accordi. Al tempo stesso, il CESE ritiene importante fare ulteriori considerazioni e desidera formulare raccomandazioni in merito ai gruppi consultivi interni: pertinenza, efficacia ed efficienza, composizione, metodo di lavoro e durata del mandato, aspetti amministrativi e di bilancio.

Pertinenza dei gruppi consultivi nazionali

3.4.

Il CESE sostiene il concetto di sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni interconnesse e che si rafforzano reciprocamente: economica, sociale e ambientale. È chiaro che il commercio internazionale è possibile solo se lo sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente, la protezione sociale dei lavoratori, e i diritti dei cittadini e dei consumatori vengono presi in considerazione. Gli accordi devono comprendere disposizioni volte a creare condizioni di parità e una concorrenza leale su tutti questi aspetti.

3.5.

In generale, la partecipazione dei rappresentanti della società civile ha permesso di conseguire risultati migliori, in termini di impatto positivo, a livello economico, sociale e ambientale, degli accordi commerciali. Il valore aggiunto del loro coinvolgimento nel monitoraggio degli ALS dell’UE è fondamentale, come hanno dimostrato i progressi concreti nel caso della Corea (8). È importante ricordare che il dialogo istituzionale con la società civile rappresenta un elemento distintivo del modo di vita e del metodo di lavoro dell’UE; dobbiamo però riconoscere che non è sempre pienamente condiviso dai nostri partner. A giudizio del CESE, i gruppi consultivi interni dovrebbero continuare ad avere un ruolo consultivo, di consulenza, responsabile e indipendente nel monitoraggio e nella valutazione degli accordi dell’UE. La partecipazione della società civile offre inoltre un contributo essenziale al valore strategico di questi accordi, che oggi va oltre i meri benefici del commercio.

3.6.

Uno dei risultati chiave del coinvolgimento delle parti interessate attraverso strutture come i gruppi consultivi interni consiste nel rafforzamento dei processi della società civile e nella responsabilizzazione delle organizzazioni della società civile che godono di scarso o di nessun riconoscimento da parte dei propri governi. Ciò vale in particolare per i paesi partner che hanno una diversa comprensione del ruolo della società civile nell’UE e per quelli che hanno pratiche meno sviluppate in materia di consultazione della società civile. In diverse occasioni, in particolare quando il partner commerciale era un paese in via di sviluppo, la creazione di un gruppo consultivo interno ha consentito di responsabilizzare le parti interessate in possesso di competenze specifiche fondamentali, e di adottare un approccio dal basso alla risoluzione dei problemi, attraverso il dialogo, la cooperazione e il potenziamento delle capacità (9).

3.7.

L’approccio «cooperativo»delle organizzazioni della società civile (OSC) può rappresentare un contributo politicamente rilevante, al fine di garantire un monitoraggio efficace, innovativo e di successo dell’attuazione delle clausole degli accordi di libero scambio, anche in assenza di disposizioni esecutive. In tal caso, il ruolo delle organizzazioni della società civile nell’ambito del commercio è di sostenere un approccio pragmatico e flessibile allo sviluppo sostenibile che sia adeguato alle condizioni specifiche dei paesi in cui il gruppo consultivo sarà istituito. Il lavoro congiunto dei gruppi consultivi organizzati in questo contesto, tra i paesi partner e l’UE, può svolgere un ruolo importante sia nell’individuare i problemi che nel proporre le politiche pubbliche adatte a risolverli.

3.8.

I gruppi consultivi interni dovrebbero, tra l’altro, porre una particolare enfasi sulla ratifica e sul rispetto, da parte delle parti, delle norme fondamentali del lavoro e delle convenzioni fondamentali dell’OIL, nonché degli accordi multilaterali in materia di ambiente. L’attuazione e l’applicazione di una legislazione concreta e fondamentale, ad esempio in materia di libertà di associazione, contrattazione collettiva, dialogo sociale, protezione sociale, salute e sicurezza, e ispezione del lavoro, dovrebbero formare oggetto di particolare attenzione da parte dei gruppi consultivi interni.

3.9.

La partecipazione della società civile, attraverso i gruppi consultivi interni, contribuisce al mantenimento e al miglioramento della protezione dei consumatori, tenendo conto delle implicazioni ambientali e garantendo il pieno rispetto degli obiettivi di sostenibilità, nonché esaminando le opportunità per le piccole e medie imprese. I gruppi consultivi interni possono anche verificare la presenza di eventuali conseguenze sociali negative per quanto riguarda le pari opportunità tra uomini e donne, i diritti delle persone con disabilità e di altre minoranze, nonché la parità di accesso ai servizi di interesse generale. Le organizzazioni dei consumatori hanno espresso il loro sostegno agli accordi di libero scambio dell’UE e hanno chiesto che la protezione dei consumatori continui ad essere garantita anche dopo la liberalizzazione dei mercati. I consumatori hanno raccomandato di prevedere un capitolo sui consumatori nei futuri accordi dell’UE. L’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’attività di monitoraggio dei gruppi consultivi interni consentirebbe alle associazioni di consumatori di seguire più da vicino l’attuazione del capitolo dedicato ai consumatori.

3.10.

I gruppi consultivi interni potrebbero contribuire a stabilire un ordine di priorità tra le questioni relative all’attuazione. Come evidenziato dalla Commissione europea nella sua relazione sugli ostacoli al commercio e agli investimenti, il protezionismo nelle sue varie forme continua ad aumentare, con effetti negativi per le parti interessate dell’UE. Qualora vengano constatate violazioni di disposizioni o attuazioni non ottimali, gli operatori economici troveranno nel gruppo consultivo interno un ulteriore canale per intraprendere azioni di sensibilizzazione riguardo a problematiche sul campo; inoltre dovrebbe essere prevista la possibilità, per i gruppi consultivi interni, di segnalare eventuali collegamenti tra i tassi di utilizzo delle preferenze negli ALS e gli ostacoli al commercio inclusi nella banca dati sull’accesso ai mercati. Come indicato in una recente relazione (10), il mancato utilizzo delle tariffe preferenziali previste dagli accordi di libero scambio può essere un fenomeno diffuso e difficile da misurare, soprattutto per le piccole e medie imprese. Allo stesso modo, il CESE desidera ribadire il nesso essenziale esistente tra la dimensione economica e il modo in cui vengono applicate le tariffe, da un lato, e la promozione e la protezione dei posti di lavoro, dall’altro.

Estensione dell’ambito di azione dei gruppi consultivi interni

3.11.

Tenuto conto di tali vantaggi derivanti dal coinvolgimento della società civile, il CESE si aspetta che l’estensione dell’ambito di applicazione del monitoraggio dei gruppi consultivi interni all’intero accordo e a tutti gli aspetti di quest’ultimo, anche se non attinenti allo sviluppo sostenibile, prestando tuttavia particolare attenzione a tali aspetti, possa integrare gli sforzi messi in atto dalla Commissione europea per promuovere una migliore attuazione degli accordi di libero scambio dell’UE. I gruppi consultivi interni dovrebbero avere un impatto positivo sulla sensibilizzazione di fasce più ampie della società civile in merito ai vantaggi derivanti da scambi commerciali liberi, inclusivi, sostenibili e basati su regole, affrontando al tempo stesso le lacune. Il monitoraggio dell’attuazione degli accordi di libero scambio è essenziale per dimostrare sia i benefici che gli effetti negativi derivanti dagli accordi per le imprese, i lavoratori, i consumatori e i cittadini in generale. Inoltre, potrebbero fornire informazioni fattuali e contribuire all’adozione di un approccio obiettivo agli accordi commerciali.

3.12.

L’estensione delle competenze agli aspetti commerciali dell’accordo, con ogni probabilità, renderà più facile per i paesi partner accettare il monitoraggio della società civile e accelererà la creazione di un gruppo consultivo interno (11). I gruppi consultivi interni sono in grado (composizione, metodo di lavoro ecc.) di affrontare adeguatamente l’ampio ventaglio di questioni derivanti da tutti i capitoli degli accordi di libero scambio, e di dialogare con le parti interessate della società civile. Il CESE ritiene che l’estensione dell’ambito di applicazione del monitoraggio all’intero accordo richiederà una definizione delle priorità, in modo che gli sforzi vengano compiuti dove maggiormente necessario, mantenendo una rappresentanza equilibrata di tutti gli interessi nel programma di lavoro del gruppo consultivo interno.

3.13.

Il CESE si rammarica tuttavia che l’estensione dell’ambito di applicazione non sia stata accompagnata da un ulteriore rafforzamento del meccanismo di monitoraggio, per quanto riguarda l’effettiva applicabilità degli impegni nei capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile (un aspetto, questo, di fondamentale importanza per il CESE) e con riguardo anche al ruolo importante dei gruppi consultivi interni nel garantire che le violazioni di tali impegni siano individuate e affrontate in modo efficace.

4.   Questioni specifiche da affrontare

I gruppi consultivi nazionali nei paesi partner

4.1.

È particolarmente importante impegnarsi con i paesi terzi sulla base del rispetto e della comprensione reciproci. Diversi governi si sono dimostrati molto restii a negoziare un capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile e ad istituire un meccanismo di monitoraggio della società civile. In molti paesi, la partecipazione della società civile al monitoraggio dell’attuazione dei capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile è spesso organizzata in base a sistemi diversi rispetto all’UE. Il Canada, ad esempio, sta istituendo due gruppi consultivi, uno sull’ambiente e uno sul lavoro. L’istituzione di gruppi consultivi è un processo graduale che richiede uno sforzo da parte dell’UE, volto ad aiutare la controparte a coinvolgere la società civile. Ad avviso del CESE, i gruppi consultivi interni con il paese partner sono estremamente importanti. Per tutti i futuri accordi, il CESE raccomanda di creare un gruppo interconsultivo interno (ovvero un organo congiunto della società civile con i paesi partner) piuttosto che gruppi consultivi interni/nazionali distinti per ciascuna parte (12). Tuttavia, nei casi in cui già esistano altri meccanismi per esprimere il punto di vista della società civile, come nel caso dell’accordo di associazione UE-Cile, sarebbe essenziale mantenerli, dato che occorrono anni per creare fiducia e condizioni di lavoro adeguate.

4.2.

Tra le principali lacune, alcune delle quali evidenziate in precedenti pareri del CESE, figurano lo squilibrio nella composizione, gravi ritardi, la mancanza di sostegno politico e finanziario da parte dei governi delle controparti, e l’esclusione delle organizzazioni più rappresentative in un paese specifico, che restano chiari ostacoli nell’assicurarsi una controparte adeguata. La scelta di organizzazioni nazionali al posto delle strutture esistenti della società civile regionale, rappresentative ed equilibrate (come nel caso dell’America centrale e del Mercosur), va a scapito della capacità della società civile di collaborare a livello regionale, e della coesione regionale stessa.

4.3.

L’UE deve convincere, diplomaticamente ma con fermezza, i paesi che sono sue controparti in merito alla necessità di rispettare l’accordo di creare gruppi consultivi nazionali equilibrati e rappresentativi; a tal fine, dovrà essere stabilito un coordinamento tra la Commissione, il SEAE, il Parlamento europeo e i suoi diversi organi costitutivi, e il CESE.

Composizione e rappresentatività

4.4.

Ciò che rende i gruppi consultivi interni pertinenti è anche la loro composizione e, in particolare, la rappresentatività e la competenza dei loro membri, che sono aspetti fondamentali che devono essere mantenuti in futuro e ulteriormente incoraggiati nei paesi terzi. Tali aspetti devono essere garantiti durante il processo di selezione e il CESE si attende di essere consultato sul miglioramento di questo processo. Nei gruppi consultivi interni dovrebbe essere garantita una rappresentanza equilibrata degli interessi della società civile. L’obiettivo è assicurare che un singolo attore o sottogruppo di parti interessate non assuma una posizione dominante nel dibattito o nell’ordine del giorno, che dovrebbero comprendere elementi proposti da tutti i sottogruppi.

Efficienza ed efficacia/Sfide logistiche e organizzative

4.5.

Il numero limitato di membri (di solito non più di sei per sottogruppo) e il loro modus operandi garantiscono l’efficienza e l’efficacia dei gruppi consultivi interni. Il CESE raccomanda che i membri dei gruppi consultivi interni si riuniscano almeno due volte l’anno a livello UE e che le riunioni tra gruppi consultivi interni siano formalizzate nei testi dei futuri accordi, in modo che si svolgano due volte l’anno (di cui almeno una volta in un incontro faccia a faccia e l’altra volta eventualmente anche in videoconferenza, per motivi logistici e di bilancio). Il CESE esorta i negoziatori a imparare dall’esperienza di altri accordi di libero scambio, nel cui ambito sono stati istituiti gruppi consultivi interni/nazionali della società civile da ciascuna parte, senza alcuna possibilità di dialogo congiunto riconosciuta negli accordi. I chiari limiti di tale modello sono stati dimostrati. Il CESE raccomanda che le riunioni tra gruppi consultivi interni nel quadro degli accordi in vigore siano riconosciute formalmente dalle parti degli accordi esistenti. Le riunioni tra gruppi consultivi interni consentono alle organizzazioni della società civile, regolarmente coinvolte nei rispettivi esercizi di monitoraggio interno, di scambiarsi opinioni sulle questioni relative all’attuazione. La definizione di obiettivi e di un programma di lavoro comune consente ai membri dei gruppi consultivi interni di valutare i progressi compiuti, di elaborare raccomandazioni comuni e di riferire alle istituzioni e alla società civile in senso lato, assicurando trasparenza, assunzione di responsabilità e continuità.

4.6.

Un più efficiente coordinamento dei gruppi consultivi garantirà una migliore qualità di monitoraggio da parte della società civile. In considerazione della notevole esperienza acquisita in seno a ciascun gruppo consultivo interno, il CESE raccomanda di organizzare ogni anno a Bruxelles una conferenza con tutti i membri dei gruppi consultivi interni a livello UE, per consentire la condivisione di esperienze tra i propri rispettivi gruppi consultivi.

4.7.

La composizione dei futuri gruppi consultivi interni dovrebbe rispecchiare la gamma di temi previsti dal programma di lavoro. Ciò richiede la partecipazione di organizzazioni con competenze tecniche in tutti gli aspetti degli accordi commerciali e che hanno interessi diretti in gioco. Affinché il monitoraggio dei gruppi consultivi interni possa coprire in maniera adeguata tutti gli aspetti degli accordi di libero scambio, tali gruppi devono possedere adeguate competenze a livello interno, ed essere al tempo stesso in grado di ampliare la partecipazione e di consultare parti interessate esterne. I gruppi consultivi interni dovrebbero inoltre avere la possibilità di organizzare ogni anno un’audizione. La cooperazione con gli organismi istituzionali nazionali che rappresentano la società civile (le controparti nazionali del CESE) rappresenterà un vantaggio per quanto riguarda l’estensione del dialogo al di fuori di Bruxelles e l’intercettazione di un pubblico più vasto, oltre lo scenario attuale, che privilegia organizzazioni con sede a Bruxelles.

4.8.

La creazione di molteplici organismi nel quadro dello stesso accordo crea confusione nei paesi partner commerciali dell’UE (13) e comporta un onere sia per i paesi terzi che per il CESE. È inutile e inefficace prevedere una doppia rappresentanza della società civile, nell’ambito generale dell’AA e nel capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile. Ad esempio, nel caso degli accordi di associazione con la Moldova, la Georgia e l’Ucraina, vengono istituiti due diversi organismi: il pilastro politico dell’accordo crea una piattaforma della società civile, che è competente per tutte le problematiche nel quadro dell’accordo, mentre il pilastro commerciale dell’accordo istituisce un gruppo consultivo. Il CESE invita l’UE a prevedere meccanismi consultivi misti competenti per tutti i pilastri dei futuri accordi di associazione, in primo luogo con gli accordi rinegoziati con Cile e Messico, e in futuro con il Mercosur.

4.9.

È stato osservato che le violazioni di alcune disposizioni segnalate in passato da un gruppo consultivo interno non sono state prese in considerazione tempestivamente. Dovrebbe essere previsto un meccanismo di rendicontazione che permetta alle organizzazioni della società civile che parteciperanno ai futuri gruppi consultivi interni di segnalare problemi di attuazione o di presentare proposte di miglioramento. Il CESE osserva inoltre che il presidente di un gruppo consultivo interno dovrebbe avere il diritto di presentare il punto di vista del proprio gruppo ai Comitati sugli scambi e lo sviluppo sostenibile, che dovrebbero essere tenuti a dare una risposta ai problemi sollevati e alle raccomandazioni formulate dai gruppi consultivi interni entro un lasso di tempo ragionevole. Il CESE accoglie con favore l’impegno della Commissione europea a favore di un meccanismo di ricorso strutturato, trasparente e basato sul tempo per l’attuazione dei capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile in futuro. Tale impegno dovrebbe anche riguardare il futuro approccio.

Più trasparenza e strategia di comunicazione

4.10.

Prima che vengano istituiti gli organi della società civile, il CESE compie un grande sforzo per lavorare alla creazione di gruppi consultivi interni/comitati consultivi molto prima dell’attuazione dell’accordo. È quanto avviene in particolare nel caso dell’America centrale, del Canada, del Giappone, del Cile, del Mercosur o dell’Ucraina, dove i membri del CESE hanno preso contatto con le organizzazioni e i governi delle controparti al fine di sensibilizzarli sulla necessità di preparare il nostro futuro lavoro comune. Gli sforzi del CESE dovrebbero essere sostenuti dal Parlamento europeo, dalla DG Commercio e dal SEAE, in modo che siano fornite informazioni alle organizzazioni della società civile nei paesi partner sulla necessità di istituire tali organi della società civile e di renderli operativi il più presto possibile dopo l’entrata in vigore dell’accordo.

4.11.

Dopo la creazione dei gruppi consultivi interni e per assicurarne la visibilità, il CESE raccomanda che venga condotta una campagna di comunicazione e che la pagina web dedicata sia regolarmente aggiornata con i documenti delle riunioni, compresi gli ordini del giorno e i verbali. A tal fine, potrebbe essere creata una piattaforma informatica per facilitare gli scambi tra i gruppi consultivi dell’UE e dei paesi partner. Dovrebbero essere utilizzati anche i social media.

Risorse necessarie

4.12.

Sia il CESE che la Commissione europea hanno finora fornito finanziamenti e risorse umane per contribuire al funzionamento dei gruppi consultivi interni. Nel 2018 la Commissione ha previsto un bilancio di tre milioni di EUR per tre anni. Un contraente esterno sarà incaricato dell’organizzazione logistica delle riunioni dei gruppi consultivi interni.

4.13.

Serve un ulteriore sostegno finanziario per l’attuazione di accordi futuri, in particolare dai governi partner. Le istituzioni dell’UE dovrebbero sollevare costantemente la questione con i governi dei paesi partner, per esaminare insieme soluzioni sostenibili a lungo termine. Il CESE ritiene che il testo degli accordi dovrebbe prevedere esplicitamente l’impegno a finanziare adeguatamente e a sostenere politicamente e logisticamente gli organi della società civile previsti, anche tramite i governi delle controparti.

5.   Il CESE e i gruppi consultivi interni

5.1.

Su richiesta della Commissione europea, il CESE sostiene i gruppi consultivi interni attraverso i suoi membri e il suo segretariato. Il CESE ritiene la propria partecipazione utile e auspica di continuare a aderire a tutti i gruppi consultivi interni. Raccomanda che la loro composizione sia definita per un mandato di cinque anni, in modo da garantire stabilità e continuità. Tuttavia, i membri della presidenza dovrebbero ruotare ogni due anni e mezzo.

5.2.

Il CESE assicura che i gruppi consultivi interni funzionino in maniera strutturata e organizzata, e fornisce aiuto in materia di individuazione delle controparti nei paesi partner, definizione dell’ordine del giorno, gestione delle riunioni, presentazione di relazioni alle istituzioni dell’UE e alla società civile, e assunzione di responsabilità. Per tali motivi, il CESE si trova nella posizione migliore per presiedere i gruppi consultivi interni, e propone pertanto che le disposizioni dei futuri accordi di libero scambio prevedano che sia il Comitato a presiedere i gruppi consultivi interni europei.

5.3.

Si prevede che il costo della partecipazione del CESE ai gruppi consultivi interni raddoppierà nei prossimi tre anni e triplicherà per poter coprire gli ALS attualmente in fase di negoziato. La partecipazione del CESE ai gruppi consultivi interni dovrebbe richiedere il coinvolgimento di altri 50 membri del Comitato.

5.4.

I gruppi consultivi interni rappresentano pertanto una sfida per il CESE, in termini di risorse umane e finanziarie. Si stima che con tutti gli attuali e futuri gruppi consultivi interni i costi annuali potrebbero rappresentare fino al 24 % dell’attuale bilancio per i membri della sezione specializzata Relazioni esterne.

5.5.

In termini di risorse umane, dovrà inoltre essere potenziata la segreteria della sezione Relazioni esterne e dovrà essere aumentato il bilancio di questa sezione destinato alle missioni. Sulla base degli accordi conclusi tra il CESE e la Commissione europea (DG Commercio), la sezione specializzata Relazioni esterne del CESE (REX) fornisce servizi di segreteria per i gruppi consultivi interni dell’UE istituiti e funge da collegamento con i gruppi consultivi nazionali dei paesi partner, per quanto riguarda le questioni relative alle riunioni congiunte annuali e alla cooperazione tra le sessioni.

5.6.

Il CESE desidera richiamare in particolare l’attenzione sul fatto che l’attività di segreteria svolta dai suoi funzionari facilita il lavoro dei gruppi consultivi in settori che vanno al di là degli aspetti puramente organizzativi. I gruppi consultivi interni beneficiano della vasta esperienza del personale del CESE nelle attività a sostegno delle consultazioni della società civile, sia in seno all’UE che con le regioni o i paesi terzi (la segreteria della sezione REX gestisce attualmente 17 organismi congiunti con paesi terzi). La segreteria:

fornisce consulenza politica ai membri nel quadro della loro attività;

assiste i presidenti dei gruppi consultivi interni nell’elaborazione degli ordini del giorno e redige i verbali delle riunioni;

fornisce consulenza in merito a oratori, esperti e organizzazioni della società civile che potrebbero essere invitati;

prepara i fascicoli delle riunioni e facilita la diffusione di un flusso costante di informazioni su temi di interesse per i membri dei gruppi consultivi;

utilizza la propria rete di contatti in altre istituzioni dell’UE e organizzazioni internazionali, al fine di facilitare gli scambi tra i gruppi consultivi interni e tali istituzioni.

Tuttavia, questo compito comporta sforzi sempre maggiori in termini sia economici che umani.

5.7.

Il CESE è grato al Parlamento europeo, che ha richiesto un aumento del bilancio dei membri e del personale nel 2017 e nel 2018, e auspica che tale sostegno possa essere mantenuto in futuro. Il CESE chiede alle autorità di bilancio di prevedere una dotazione aggiuntiva in linea con le spese correnti previste dalla Commissione, per aiutare i gruppi consultivi interni a svolgere le attività previste sul piano sia quantitativo che qualitativo.

5.8.

Le limitate risorse impongono di prevedere, nella fase iniziale di istituzione di un gruppo consultivo interno, la partecipazione di 3 membri del CESE per un gruppo consultivo interno ordinario e di 6 membri soltanto in via eccezionale, come nel caso di:

un gruppo consultivo con un paese/un’area che rappresenti oltre 100 miliardi di euro nel volume totale annuo del commercio UE;

o benefici di investimenti UE per oltre 100 miliardi di euro;

o che abbia una forte rilevanza da un punto di vista strategico e geopolitico;

o in cui vi siano considerazioni di sostenibilità particolarmente rilevanti.

Criteri analoghi potrebbero essere presi in considerazione per decidere se istituire o meno un gruppo consultivo interno. L’UE ha stipulato accordi commerciali con 69 paesi e regioni in tutto il mondo. Non tutti richiederebbero l’istituzione di un gruppo consultivo interno.

Il CESE e le istituzioni dell’UE

5.9.

I gruppi consultivi svolgono un ruolo diverso nei confronti dell’UE e nei confronti del paese partner. Per quanto riguarda l’UE, i gruppi consultivi interni riferiscono essenzialmente alla Commissione europea ma sarebbe importante che in futuro potessero riferire anche al Parlamento europeo e al Consiglio. Per quanto riguarda il Parlamento europeo, la comunicazione avviene attualmente su base informale ad hoc, su richiesta della commissione per il Commercio internazionale (INTA) o di una delle delegazioni del PE per le relazioni con i paesi terzi. Potrebbe essere previsto un meccanismo di consultazione regolare, più strutturato.

Bruxelles, 23 gennaio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE sui Capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile (CSS) negli accordi di libero scambio (ALS) dell’UE (GU C 227 del 28.6.2018, pag. 27).

(2)  Parere del CESE Verso un accordo di associazione UE-Mercosur, punto 6 (GU C 283 del 10.8.2018, pag. 9).

(3)  Parere del CESE sui Capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile (CSS) negli accordi di libero scambio (ALS) dell’UE (GU C 227 del 28.6.2018, pag. 27).

(4)  Lettera di Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, a Luca Jahier, presidente del Comitato economico e sociale europeo, 11 ottobre 2018.

(5)  Il documento informale dei servizi della Commissione Feedback and way forward on improving the implementation and enforcement of Trade and Sustainable Development chapters in EU Free Trade Agreements («Riscontri e via da seguire in relazione al miglioramento dell’attuazione e dell’esecuzione dei capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile negli accordi di libero scambio dell’UE») ha fatto il punto sul dibattito che ha previsto consultazioni con gli Stati membri dell’UE, il Parlamento europeo e la società civile http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2018/february/tradoc_156618.pdf

(6)  Parere del CESE sui Capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile negli accordi di libero scambio (GU C 227, del 28.6.2018, pag. 27), pareridel CESE Verso un accordo di associazione UE-Mercosur (GU C 283, del 10.8.2018, pag. 9), Accordo di libero scambio UE-Corea – Capitolo su commercio e sviluppo sostenibile (GU C 81, del 2.3.2018, pag. 201).

(7)  Aspetto sviluppato ulteriormente al punto 4.8.

(8)  Cfr. consultazione formale nel 2018 da parte della DG Commercio con il governo coreano sulla situazione dei diritti sindacali in Corea e sulla mancata ratifica, da parte della Corea, di talune convenzioni OIL, come richiesto a più riprese dal gruppo consultivo interno dell’UE per la Corea.

(9)  Damien Raess, pag. 13.

(10)  Relazione dell’Unctad e dell’Ente nazionale svedese per il commercio.

(11)  Ad esempio, nel 2018 tra le questioni relative all’attuazione dell’accordo di libero scambio con la Corea figurano: la ratifica e l’attuazione delle convenzioni dell’OIL, l’esportazione di carni bovine verso la Corea, la remunerazione dei diritti di proprietà intellettuale, il quadro normativo, l’accesso al mercato per i prodotti elettronici, le automobili e i macchinari, e il miglioramento delle procedure doganali. Gli altri accordi di libero scambio si concentreranno naturalmente su altre questioni.

(12)  Parere del CESE Verso un accordo di associazione UE-Mercosur, punto 6 (GU C 283 del 10.8.2018, pag. 9).

(13)  Parere del CESE sui Capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile (CSS) negli accordi di libero scambio (ALS) dell’UE (GU C 227 del 28.6.2018, pag. 27).


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

Comitato economico e sociale europeo

10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda l’introduzione di misure tecniche dettagliate per il funzionamento del sistema dell’IVA definitivo per l’imposizione degli scambi tra Stati membri»

[COM(2018) 329 final — 2018/0164 (CNS)]

(2019/C 159/05)

Relatore: Krister ANDERSSON

Correlatore: Giuseppe GUERINI

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 11.7.2018

Base giuridica

Articolo 113 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

20.12.2018

Adozione in sessione plenaria

24.1.2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione (favorevoli/contrari/astenuti)

163/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di sostituire il regime transitorio dell’IVA per l’imposizione degli scambi tra gli Stati membri introdotto oltre 25 anni fa e tuttora in vigore. Superare il regime transitorio costituisce una tappa cruciale nel completamento del passaggio al sistema dell’IVA definitivo basato sul principio di destinazione per l’imposizione dei beni nei rapporti B2B ed è un traguardo importante che dimostra il progressivo consolidamento del mercato interno dell’UE.

1.2.

Il CESE esorta nuovamente (1) la Commissione a esaminare in che modo introdurre il più rapidamente possibile un sistema comune per i servizi e i beni, riducendo i prevedibili problemi causati dalla vigenza di un doppio regime applicabile ai beni, da un lato, e ai servizi, dall’altro. Tuttavia, la Commissione ha ripetutamente auspicato una transizione graduale, in due fasi, verso il nuovo regime, che riguardi prima i beni e successivamente i servizi.

1.3.

Il CESE sottolinea l’importanza di continuare il lavoro in vista della seconda fase, poiché trattare i beni e i servizi allo stesso modo ai fini dell’IVA potrebbe essere più favorevole per la crescita e più efficace contro le frodi.

1.4.

Il CESE sottolinea che, sebbene la proposta della Commissione sia di ampia portata e ben formulata, alcune questioni rimangono ancora in sospeso. Il sistema proposto, infatti, trarrebbe vantaggio da disposizioni chiare o da un’ulteriore chiarezza che stabilisca le norme in materia di crediti inesigibili e gestione dei rimborsi nell’ambito dello sportello unico. Potrebbero altresì essere inserite e sviluppate ulteriori definizioni per quanto riguarda i concetti quali «mercato» e «piattaforme».

1.5.

Il CESE rileva che il sistema proposto determinerà effetti sul flusso di cassa dovuti all’IVA sulle cessioni transfrontaliere di beni B2B, e quindi un’eccedenza di cassa per il venditore e un disavanzo di cassa per l’acquirente Tuttavia, il costo del capitale sarà in generale maggiore, poiché il tempo per il recupero dell’IVA sarà sempre più lungo del tempo per il quale l’IVA è detenuta dal venditore. Inoltre, attraverso il sistema dello sportello unico si verrà a creare un periodo di dichiarazione differenziato a causa dei periodi di rendicontazione degli Stati membri, dei termini di pagamento all’autorità fiscale locale e dell’efficienza dell’amministrazione fiscale nella restituzione dell’IVA al paese dell’acquirente.

1.6.

Il CESE ritiene che questi aspetti debbano essere oggetto di ulteriori riflessioni al fine di evitare effetti negativi sul mercato unico e di garantire la certezza e la prevedibilità del nuovo quadro dell’IVA in via di definizione, riducendo in tal modo i costi di conformità e gli oneri amministrativi.

1.7.

Il CESE chiede che in tutti gli Stati membri siano applicati criteri chiari e proporzionati riguardo al concetto di «soggetto passivo certificato» (SPC), in modo da facilitare il più ampio accesso possibile a tale status. Al fine di raggiungere gli obiettivi perseguiti dal nuovo regime basato sulla destinazione, sarebbe opportuno armonizzare i termini entro i quali gli Stati membri devono gestire le domande di concessione dello status di SPC. Gli Stati membri dovrebbero esaminare prontamente tali domande per consentire alle imprese di continuare a operare senza inutili interruzioni, ritardi e oneri amministrativi dovuti all’incertezza. Allo stesso tempo, il funzionamento di tale status dovrebbe essere attentamente monitorato dalla Commissione europea per evitare possibili abusi e una mancanza di uniformità normativa, in particolare durante i primi mesi di applicazione.

1.8.

Il CESE sottolinea che il corretto funzionamento del regime dello sportello unico è fondamentale per l’attuazione del nuovo sistema basato sulla destinazione. Senza uno sportello unico correttamente funzionante, basato su verifiche contabili nel paese d’origine (home-country audits), semplificazioni scalabili e la possibilità di compensare l’IVA incassata a monte da tutti gli Stati membri, qualsiasi sistema basato sulla destinazione comporterà un drastico aumento degli oneri amministrativi, in particolare per le PMI.

1.9.

Il CESE teme che l’attuale proposta possa rivelarsi un ostacolo proibitivo sia per le PMI che per le start-up. Il CESE ritiene che il sistema dell’inversione contabile debba essere concesso a tutte le cessioni transfrontaliere di beni B2B, fino a quando il sistema definitivo non sarà pienamente operativo e il rimborso dell’IVA non sarà effettuato in maniera tempestiva.

1.10.

Il CESE raccomanda un investimento adeguato nelle risorse informatiche hardware e software per sviluppare correttamente uno sportello unico solido e affidabile in grado di gestire in modo efficiente una notevole quantità di informazioni sensibili, garantendo un funzionamento rapido e sicuro del sistema a vantaggio sia delle imprese europee che delle amministrazioni fiscali. Tali investimenti sono strategici per evitare esiti negativi durante il periodo di transizione dal vecchio sistema a quello nuovo, il che comporterà significativi costi di adeguamento che dovrebbero essere ridotti il più possibile al minimo mediante un’adeguata digitalizzazione.

1.11.

Il CESE sottolinea la necessità di un’ulteriore cooperazione tra gli Stati membri per combattere le frodi e di continue analisi in materia, al fine di garantire che il sistema proposto non porti a nuovi tipi di frode e a perdite da mancata riscossione. La tassazione delle operazioni transfrontaliere B2B aumenterà l’importo totale dell’IVA nel sistema. Ciò potrebbe accrescere la possibilità del verificarsi di altri tipi di frode, dispersione e mancata riscossione. Un soggetto passivo in uno Stato membro con un importante divario dell’IVA agirà come soggetto di riscossione per gli Stati membri con un divario dell’IVA minore.

1.12.

Il CESE raccomanda una collaborazione più stretta tra le autorità fiscali e le autorità di controllo a livello nazionale al fine di rendere più efficace il nuovo sistema dell’IVA basato sulla destinazione in termini sia di efficacia contro le frodi che di affidabilità a favore delle imprese europee. Tale collaborazione dovrebbe includere, tra l’altro, lo scambio automatico di informazioni e di dati, nonché relazioni periodiche e analisi in merito al funzionamento del nuovo regime, in particolare durante i primi anni della sua attuazione.

1.13.

Infine, il CESE ritiene che le imprese europee trarrebbero beneficio da un’ampia azione di comunicazione condotta dalla Commissione volta a spiegare adeguatamente, in termini chiari e concreti, le caratteristiche principali del nuovo sistema dell’IVA, nonché i vantaggi effettivi che la riforma dell’IVA dovrebbe produrre al fine di favorire le imprese europee e la loro crescita.

2.   Introduzione e contesto

2.1.

Nell’ambito del suo piano d’azione sull’IVA adottato nell’aprile 2016 (2), la Commissione europea ha pubblicato una proposta di direttiva del Consiglio che introduce modifiche tecniche dettagliate alla normativa dell’UE in materia di imposta sul valore aggiunto («IVA») (3). La direttiva proposta modifica circa duecento articoli della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 (4), adattandoli in modo da introdurre le misure tecniche dettagliate per il funzionamento del sistema dell’IVA definitivo per l’imposizione degli scambi tra gli Stati membri (sulla base del principio di destinazione).

2.2.

La proposta della Commissione sostituisce il regime transitorio in vigore dal 1o gennaio 1993 e contiene disposizioni dettagliate per il commercio tra imprese («business to business» o B2B) all’interno dell’UE, in base alle quali le operazioni nazionali e transfrontaliere relative ai beni sarebbero trattate nello stesso modo. Inoltre, costituisce il primo dei due obiettivi normativi, uno riguardante i beni e l’altro i servizi, perseguiti dalla Commissione al fine di realizzare un sistema dell’IVA definitivo più semplice e maggiormente a prova di frode per il commercio all’interno dell’Unione.

2.3.

La proposta della Commissione comporta importanti modifiche della direttiva IVA e mira ad apportare i seguenti benefici alle imprese e ai bilanci nazionali: i) semplificazione delle modalità di tassazione dei beni; ii) sviluppo di un portale unico online per gli operatori commerciali («sportello unico»); iii) riduzione delle formalità burocratiche; iv) definizione della responsabilità generale del venditore nella riscossione dell’IVA.

2.4.

Le principali modifiche comprendono la soppressione del concetto di «acquisto intracomunitario di beni» secondo il quale, ai fini dell’IVA, uno scambio di beni tra imprese è suddiviso in due operazioni: una vendita esente da IVA nello Stato membro di origine e un acquisto tassato nello Stato membro di destinazione. Questo concetto sarà sostituito dalla nuova nozione di «cessione intraunionale di beni», secondo cui una cessione transfrontaliera di beni B2B all’interno dell’UE comporterà un’unica operazione ai fini dell’IVA.

2.5.

Le modifiche proposte dalla Commissione comprendono inoltre: i) una nuova eccezione alla regola generale in base alla quale sarà considerato luogo di cessione di una cessione intraunionale di beni il luogo in cui i beni si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto dei beni a destinazione dell’acquirente; ii) una modifica che stabilisce una norma unica per il momento in cui sorge l’esigibilità dell’IVA sulle cessioni intraunionali; iii) un nuovo articolo in base al quale l’IVA sarà dovuta dal destinatario della cessione dei beni a condizione che si tratti di un soggetto passivo certificato («SPC»). Secondo la Commissione, la proposta permetterebbe inoltre di ridurre le frodi transfrontaliere in materia di IVA fino a 41 miliardi di EUR all’anno.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di sostituire il regime transitorio dell’IVA per l’imposizione degli scambi tra gli Stati membri introdotto oltre 25 anni fa e tuttora in vigore. Superare il regime transitorio costituisce una tappa cruciale nel completamento del passaggio al sistema dell’IVA definitivo basato sul principio di destinazione per l’imposizione dei beni nei rapporti B2B ed è un traguardo importante che dimostra il progressivo consolidamento del mercato interno dell’UE.

3.2.

Il CESE esprime preoccupazione circa il costo per le imprese, e in particolare per le PMI, che dovranno adattare i propri sistemi per conformarsi alle norme per gli scambi sia all’interno che all’esterno dell’Europa. È di fondamentale importanza che la proposta o la sua attuazione non introducano nuovi obblighi di segnalazione ai fini dell’IVA, che farebbero soltanto aumentare i costi di conformità.

3.3.

Nei suoi precedenti pareri, il CESE ha esortato la Commissione a esaminare in che modo introdurre il più rapidamente possibile un sistema comune per i servizi e i beni, riducendo i prevedibili problemi causati dalla vigenza di un doppio regime applicabile ai beni, da un lato, e ai servizi, dall’altro (5). Tuttavia, la Commissione si è ripetutamente espressa a favore di un graduale passaggio in due fasi al nuovo regime.

3.4.

Pertanto, prima di includere i servizi, la Commissione e le autorità fiscali nazionali saranno in grado di valutare i risultati del nuovo sistema dell’IVA basato sulla destinazione dal punto di vista: i) della sua efficacia nella lotta contro le frodi; ii) dei costi di conformità per le imprese europee; iii) della gestione del nuovo quadro da parte delle autorità fiscali.

3.5.

Il CESE auspica che la scelta di una transizione progressiva e più lenta verso il nuovo regime dell’IVA possa consentire, nel prossimo futuro, la costruzione di un sistema definitivo unico ed efficiente che comprenda sia i beni che i servizi. Durante questa graduale attuazione sarebbe possibile trarre insegnamenti proficui dai primi risultati operativi raggiunti dal nuovo regime limitatamente per quanto riguarda i beni.

3.6.

Tuttavia, occorre rilevare che il sistema dell’IVA definitivo costituisce la seconda fase nel superamento del sistema transitorio che si attendeva da oltre 25 anni. Il CESE sottolinea pertanto l’importanza di continuare a lavorare in direzione di tale seconda fase. Se i beni e i servizi fossero trattati allo stesso modo, il sistema dell’IVA sarebbe più propizio alla crescita e più resistente alle frodi.

3.7.

Sebbene la proposta sia di ampia portata, il CESE desidera sottolineare il fatto che restano ancora alcune questioni in sospeso. Per esempio, il sistema proposto trarrebbe vantaggio da disposizioni chiare o da un’ulteriore chiarezza che stabilisca le norme in materia di crediti inesigibili, gestione dei rimborsi nell’ambito dello sportello unico, pagamenti in acconto e la definizione dei concetti di «mercato», «piattaforme» ecc. Queste incertezze, insieme a un flusso di cassa negativo, spingeranno le imprese ad agire per ridurre al minimo i rischi. Il CESE auspica che tali aspetti siano ulteriormente esaminati al fine di prevenire effetti negativi sul mercato unico.

3.8.

Da una prospettiva diversa, è opportuno notare che le imprese europee trarrebbero beneficio da un’ampia azione di comunicazione condotta dalla Commissione volta a spiegare adeguatamente, in termini chiari e concreti, le caratteristiche principali del nuovo sistema dell’IVA, nonché i vantaggi effettivi che la riforma dell’IVA dovrebbe produrre al fine di sostenere le imprese europee e la loro crescita.

3.9.

La tassazione delle operazioni transfrontaliere B2B aumenterà l’importo totale dell’IVA nel sistema. Ciò potrebbe accrescere la possibilità del verificarsi di altri tipi di frode, dispersione e mancata riscossione. Un soggetto passivo in uno Stato membro con un importante divario dell’IVA agirà come soggetto di riscossione per gli Stati membri con un divario dell’IVA minore. Pertanto, il CESE sottolinea la necessità di un’ulteriore cooperazione tra gli Stati membri per combattere le frodi e di continue analisi in materia al fine di garantire che il sistema proposto non porti a nuovi tipi di frode e a perdite da mancata riscossione.

4.   Principali modifiche della direttiva 2006/112/CE

4.1.

L’attuale suddivisione in due parti di un’operazione relativa a beni ai fini dell’IVA – un’operazione esente nella giurisdizione di partenza dei beni e un «acquisto intracomunitario» tassato nello Stato di destinazione – sarà sostituita da un’unica operazione denominata «cessione intraunionale di beni», in cui il termine «comunitario» è sostituito dal termine «unionale» (6).

4.1.1.

Il passaggio a una singola operazione è necessario per realizzare il nuovo sistema dell’IVA basato sul principio di destinazione e dovrebbe semplificare la gestione amministrativa dei singoli scambi. D’altra parte, l’eliminazione del riferimento alla «Comunità europea» nell’intero testo della direttiva 2006/112/CE costituisce un adeguamento necessario del testo alla luce della nuova denominazione istituzionale di «Unione europea» adottata nel trattato di Lisbona.

4.1.2.

Per «cessione intraunionale di beni» s’intende «una cessione di beni effettuata da un soggetto passivo per un soggetto passivo o un ente non soggetto passivo in cui i beni sono spediti o trasportati da o per conto del fornitore o dell’acquirente all’interno dell’Unione, da uno Stato membro all’altro» (7).

4.1.3.

È importante osservare che questa nozione così ampia non comprenderà: i) la cessione di beni con montaggio o installazione, con o senza collaudo; ii) la cessione di beni esenti a norma degli articoli 148 o 151 della direttiva 2006/112/CE; e iii) i beni compresi nei regimi forfettari per gli agricoltori (8). Tali operazioni, se effettuate all’estero, attualmente non danno luogo a cessioni e acquisti intracomunitari, e il nuovo testo conferma questo regime specifico.

4.1.4.

Il CESE ritiene che le suddette esenzioni costituiscano utili conferme delle disposizioni già incluse nella direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda un elenco specifico di beni e che consentano quindi di garantire la coerenza e la certezza delle norme sull’IVA in tutto il mercato unico durante la fase iniziale dell’attuazione del nuovo sistema.

4.2.

La nozione di cessione intraunionale di merci è integrata nella direttiva 2006/112/CE con l’inserimento specifico del concetto di «luogo di cessione dei beni», che determina lo Stato membro in cui è dovuta l’IVA. Le attuali regole generali in materia sono confermate, ma con una nuova eccezione (9) in base alla quale «è considerato luogo di cessione di una cessione intraunionale di beni il luogo in cui i beni si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto dei beni a destinazione dell’acquirente» (10).

4.2.1.

Il CESE appoggia l’idea alla base di entrambe le scelte normative della Commissione, poiché il loro obiettivo è chiaramente quello di sviluppare il nuovo sistema basato sulla destinazione, mentre conservare ampie eccezioni, basate sul principio dello Stato di origine, potrebbe nuocere alla coerenza del nuovo quadro dell’IVA, riducendo la prevedibilità della legge ed eventualmente aumentando sia i costi di conformità per le imprese che gli oneri amministrativi per le autorità fiscali.

4.2.2.

Tuttavia, è importante analizzare ulteriormente gli effetti sul flusso di cassa del sistema proposto. Attualmente non si registrano effetti sul flusso di cassa dovuti all’IVA sulle cessioni transfrontaliere di beni B2B. Il sistema proposto determinerà invece un’eccedenza di cassa per il venditore e un disavanzo di cassa per l’acquirente (11).

4.2.3.

Tuttavia, il costo del capitale sarà in generale maggiore poiché il tempo per il recupero dell’IVA sarà di norma più lungo del tempo per il quale l’IVA è detenuta dal venditore. Ciò è dovuto al fatto che molti Stati membri tendono a differire il rimborso dell’IVA. Il costo del capitale varierà a seconda dei periodi di rendicontazione degli Stati membri, dei termini di pagamento all’autorità fiscale locale e dell’efficienza dell’amministrazione fiscale nel rimborso dell’IVA all’acquirente. Il costo del capitale interessa in particolare gli Stati membri più piccoli con elevati volumi di esportazioni.

4.2.4.

Tali implicazioni sul flusso di cassa e sulla liquidità delle imprese europee dovrebbero essere adeguatamente considerate dalle autorità fiscali europee e nazionali e affrontate efficacemente, al fine di evitare ritardi nei rimborsi e i relativi costi. I cambiamenti nelle catene di approvvigionamento dovuti agli effetti sul flusso di cassa, rischiano di ostacolare il commercio all’interno dell’Unione e di pregiudicare la realizzazione del mercato unico.

4.3.

Il principio secondo cui l’IVA deve essere pagata da qualsiasi soggetto passivo che effettua una cessione di beni imponibile rimane un elemento centrale del sistema dell’IVA, tranne che per alcune eccezioni elencate e già previste dall’articolo 193 della direttiva 2006/112/CE, che sono ora integrate da una nuova deroga di cui all’articolo 194 bis. In base a tale deroga, nel caso in cui il fornitore non abbia sede nello Stato in cui è dovuta l’IVA, questa è dovuta dal destinatario della cessione dei beni a condizione che si tratti di un soggetto passivo certificato (12).

4.3.1.

Per quanto riguarda i soggetti passivi certificati, il CESE comprende l’idea alla base che consente alle imprese con dimostrata affidabilità fiscale di beneficiare di adeguate misure di semplificazione. Tuttavia, come indicato nel parere ECO/442, Pacchetto di riforma dell’IVA (I), il concetto di soggetto passivo certificato dovrebbe essere sostenuto da criteri di attuazione chiari e trasparenti atti a consentire alle imprese, e in particolare alle PMI, di beneficiare dello status di soggetto passivo certificato.

4.3.2.

Il Comitato sottolinea l’importanza, al fine di ottenere i benefici attesi, di consentire a un soggetto passivo che trasferisce prestazioni miste di applicare le semplificazioni previste a tutte le parti di un’operazione. Forzando una divisione fittizia dell’operazione, la semplificazione prevista rischia di diventare una complicazione.

4.3.3.

A tale riguardo, è fondamentale che siano applicati criteri armonizzati, chiari e proporzionati in tutti gli Stati membri per facilitare il più ampio accesso possibile allo status di soggetto passivo certificato. Allo stesso tempo, il funzionamento di tale status dovrebbe essere attentamente monitorato dalla Commissione europea per evitare possibili abusi e una mancanza di uniformità normativa, in particolare durante i primi mesi di applicazione.

4.3.4.

Al fine di raggiungere gli obiettivi perseguiti da questo regime, sarebbe opportuno armonizzare i termini entro i quali gli Stati membri devono gestire una domanda di concessione dello status di soggetto passivo certificato. Gli Stati membri dovrebbero esaminare prontamente tali domande per consentire alle imprese di continuare a operare senza inutili interruzioni, ritardi e oneri amministrativi dovuti all’incertezza.

4.3.5.

Inoltre, il CESE teme che l’attuale proposta possa rivelarsi un ostacolo proibitivo sia per le PMI che per le start-up. Il CESE ritiene che il sistema dell’inversione contabile debba essere concesso a tutte le cessioni transfrontaliere di beni B2B, fino a quando il sistema definitivo non sarà pienamente operativo e il rimborso dell’IVA non sarà effettuato in maniera tempestiva.

4.4.

L’eliminazione degli elenchi riepilogativi dell’IVA relativi ai beni proposti dalla Commissione è in linea con il nuovo quadro dell’IVA perseguito, che ripristina la natura autoregolamentativa dell’IVA. Per contro, il mantenimento degli elenchi riepilogativi per i servizi è coerente con la scelta della Commissione di attuare il piano d’azione in due diverse fasi (13).

4.4.1.

Il CESE sostiene le modifiche proposte dalla Commissione per consentire agli Stati membri di semplificare l’obbligo di presentare gli elenchi riepilogativi, poiché si auspica che la semplificazione produca una riduzione delle formalità burocratiche e dei costi operativi per le imprese europee. Sottolinea tuttavia che tali misure di semplificazione dovrebbero essere concepite correttamente per evitare irregolarità da parte delle imprese, considerando anche che la realizzazione di un sistema più semplice potrebbe essere notevolmente favorita da un maggiore uso della fatturazione elettronica all’interno dei sistemi fiscali nazionali.

4.4.2.

L’attuale regime speciale per le vendite a distanza intraunionali di beni e per i servizi prestati da soggetti passivi all’interno dell’UE, ma non negli Stati membri di consumo, è soggetto a modifiche sostanziali al fine di attuare il principio di un regime di registrazione unico per la dichiarazione, il pagamento e la detrazione dell’imposta.

4.5.

A partire dal 1o gennaio 2021, un soggetto passivo registrato nel proprio Stato di identificazione sarà in grado di presentare elettronicamente, tramite il mini sportello unico, le dichiarazioni IVA trimestrali relative alle prestazioni di servizi e alle vendite a distanza intraunionali a soggetti non passivi in un altro Stato membro (Stato di consumo), assieme all’IVA dovuta (14).

4.5.1.

Lo Stato membro di identificazione trasmetterà quindi le dichiarazioni unitamente all’IVA versata allo Stato membro di consumo, evitando che tali soggetti passivi debbano essere registrati nello Stato membro di consumo.

4.5.2.

L’ambito di applicazione delle operazioni coperte da tale meccanismo è aumentato ed esteso dalle operazioni B2C a quelle B2B (estensione oggettiva) e reso disponibile anche per i soggetti passivi stabiliti al di fuori dell’UE che designano un intermediario all’interno dell’UE, che diventa debitore dell’IVA e che è tenuto al rispetto dei relativi obblighi (estensione soggettiva).

4.5.3.

I soggetti passivi che utilizzano il regime devono presentare le dichiarazioni IVA ogni mese tramite lo sportello unico se il loro fatturato annuo è superiore a 2 500 000 EUR.

4.5.4.

La possibilità di esercitare la detrazione dell’IVA, nonché di ottenere il rimborso del credito dell’IVA da uno Stato membro all’interno dello sportello unico, consente di concentrare efficacemente in un’unica sede diversi obblighi in materia di IVA da parte sia dei contribuenti che delle amministrazioni fiscali.

4.5.5.

Il Comitato osserva che è positivo che il nuovo regime, compresa la detrazione, sia semplificato consentendo al soggetto passivo di versare l’importo netto dell’IVA (15) in ciascuno degli Stati membri di imposizione.

4.5.6.

La possibilità di effettuare una detrazione aumenta peraltro la necessità della certezza del diritto e della completezza delle informazioni disponibili per le autorità fiscali e giustifica pertanto la proposta della Commissione di integrare la dichiarazione IVA mediante lo sportello unico con informazioni aggiuntive, tra cui: i) l’importo totale dell’IVA divenuta esigibile sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi per i quali il soggetto passivo in quanto destinatario è tenuto a pagare l’imposta e sull’importazione di beni se lo Stato membro si avvale dell’opzione di cui all’articolo 211, secondo comma; ii) l’IVA che forma oggetto di detrazione; iii) le modifiche relative a periodi d’imposta precedenti; e iv) l’importo netto dell’IVA da pagare, da rimborsare o da accreditare.

4.5.7.

Uno sportello unico che funzioni correttamente è un elemento essenziale di un sistema basato sulla destinazione. Senza uno sportello unico correttamente funzionante, basato su verifiche contabili nel paese d’origine (home-country audits), semplificazioni scalabili e la possibilità di compensare l’IVA incassata a monte da tutti gli Stati membri, qualsiasi sistema basato sulla destinazione comporterà un drastico aumento degli oneri amministrativi, in particolare per le PMI.

4.5.8.

I primi risultati operativi del mini sportello unico in vigore dal 1o gennaio 2015 per le telecomunicazioni, la radiodiffusione e i servizi elettronici e che dovrebbe essere esteso a tutte le operazioni B2C di commercio elettronico (16) dovrebbero essere presi sufficientemente in considerazione al fine di realizzare uno sportello unico solido e pienamente funzionante con un ambito di applicazione esteso e significativo, basato sui risultati concreti forniti finora da tale strumento quando applicato a settori o industrie specifici.

4.5.9.

Infine, il CESE raccomanda un investimento adeguato nelle risorse informatiche hardware e software per sviluppare correttamente uno sportello unico solido e affidabile in grado di gestire in modo efficiente una notevole quantità di informazioni sensibili, garantendo un funzionamento rapido e sicuro del sistema a vantaggio sia delle imprese europee che delle amministrazioni fiscali. Tali investimenti sono strategici per evitare esiti negativi durante il periodo di transizione dal vecchio sistema a quello nuovo, il che comporterà significativi costi di adeguamento che dovrebbero essere ridotti il più possibile al minimo mediante un’adeguata digitalizzazione.

Bruxelles, 24 gennaio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Cfr. i precedenti pareri del CESE: Piano d’azione sull’IVA (GU C 389 del 21.10.2016, pag. 43); Pacchetto di riforma dell’IVA (I) (GU C 237 del 6.7.2018, pag. 40); Pacchetto sulla riforma del regime IVA (II) (GU C 283 del 10.8.2018, pag. 35).

(2)  COM(2016) 148 final.

(3)  COM(2018) 329 final.

(4)  Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347 dell’11.12.2006, pag. 1).

(5)  Cfr. i precedenti pareri del CESE: Piano d’azione sull’IVA (GU C 389 del 21.10.2016, pag. 43); Pacchetto di riforma dell’IVA (I) (GU C 237 del 6.7.2018, pag. 40); Pacchetto sulla riforma del regime IVA (II) (GU C 283 del 10.8.2018, pag. 35).

(6)  Modifiche degli articoli da 2 a 4 della direttiva 2006/112/CE.

(7)  COM (2018) 329 final, pag. 7.

(8)  Modifiche dell’articolo 14 della direttiva 2006/112/CE.

(9)  Stabilita dall’articolo 35 bis della direttiva 2006/112/CE.

(10)  COM (2018) 329 final, pag. 7.

(11)  Se il venditore deve pagare l’IVA prima di aver ricevuto l’importo dall’acquirente, subirà un flusso di cassa negativo e quindi un costo.

(12)  Modifiche degli articoli 193 e 194 bis della direttiva 2006/112/CE.

(13)  Modifiche degli articoli da 262 a 271 della direttiva 2006/112/CE.

(14)  Modifiche degli articoli da 358 a 369 della direttiva 2006/112/CE.

(15)  IVA dovuta meno IVA deducibile.

(16)  Consentendo alle imprese di prestare servizi di telecomunicazione, trasmissione radiotelevisiva e servizi forniti elettronicamente a soggetti non passivi negli Stati membri in cui essi non hanno una sede per la quale contabilizzare l’IVA dovuta su tali forniture, tramite un portale web nello Stato membro in cui sono identificati.


COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1303/2013 per quanto riguarda l’adeguamento del prefinanziamento annuale per gli anni dal 2021 al 2023»

[COM(2018) 614 final — 2018/0322 (COD)]

(2019/C 159/06)

Relatore: Javier DOZ ORRIT

Consultazione

Parlamento europeo, 13.9.2018

Consiglio dell’UE, 17.9.2018

Base giuridica

Articoli 177 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria coesione economica e sociale

Adozione in sezione

20.12.2018

Adozione in sessione plenaria

24.1/.2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

121/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La proposta di regolamento della Commissione europea in esame (1) è volta a modificare il vigente regolamento recante disposizioni comuni sui fondi europei (2) allo scopo di ridurre il prefinanziamento del sostegno concesso agli Stati membri nell’ambito del QFP 2014-2020 tramite la riduzione, dal 3 % all’1 %, dell’importo di tale sostegno tra il 2021 e il 2023.

1.2.

Se il nuovo regolamento recante disposizioni comuni (3) sarà approvato nei termini proposti dalla Commissione, la diminuzione del tasso di prefinanziamento nel periodo finale dell’attuazione dei programmi finanziati con i fondi europei del QFP 2014-2020 sarà accompagnata, all’inizio dell’entrata in vigore del QFP 2021-2027, da una riduzione persino maggiore di questo tasso, che scenderà allo 0,5 % tra il 2021 e il 2026, per arrivare all’eliminazione del prefinanziamento nel 2027 e negli anni successivi. Al tempo stesso, per il prossimo QFP la Commissione propone una riduzione delle risorse per le politiche di coesione (-10 %) e del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (-13 %), un aumento del tasso di cofinanziamento a carico degli Stati membri e una riduzione del periodo di attuazione dei programmi (da N+3 a N+2).

1.3.

Il prefinanziamento è innanzitutto un sostegno alla liquidità degli Stati membri che viene concesso sia per dare inizio all’attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi europei che per poter evitare ritardi eccessivi nella loro realizzazione. Il prefinanziamento è uno strumento utile e necessario. Va ricordato che, per dare avvio a un programma finanziato con fondi europei, gli Stati membri devono anticipare le risorse alle istituzioni pubbliche e/o agli attori privati che hanno la diretta responsabilità dell’attuazione del programma considerato.

1.4.

Secondo il CESE, le ragioni addotte dalla Commissione per ridurre i tassi di prefinanziamento nella fase finale dell’attuazione del QFP 2014-2020 non sembrano sufficientemente solide da giustificare tale riduzione.

1.5.

Il CESE ritiene che la Commissione disponga di strumenti sufficienti per controllare che i fondi europei, compreso il prefinanziamento, siano utilizzati in modo adeguato dagli Stati membri e, in ogni caso, il CESE appoggerebbe qualsiasi riforma volta a migliorare questa capacità di controllo.

1.6.

Il CESE chiede alla Commissione di riconsiderare la sua proposta tesa a ridurre i tassi di prefinanziamento e, quindi, di mantenere i tassi previsti nel vigente regolamento recante disposizioni comuni sui fondi europei per il QFP 2014-2020.

1.7.

Analogamente, il CESE invita la Commissione a rivedere il prefinanziamento previsto nella proposta di regolamento recante disposizioni comuni per i fondi europei del QFP 2021-2027, in linea con quanto raccomandato nel presente parere.

2.   La proposta della Commissione nel suo contesto

2.1.

Il vigente regolamento (UE) n. 1303/2013 recante disposizioni comuni sui fondi europei istituisce le norme a disciplina della distribuzione delle relative risorse all’interno del quadro finanziario pluriennale (QFP) 2014-2020. All’articolo 134 di detto regolamento sono stabiliti gli importi del prefinanziamento che gli Stati membri possono ricevere dall’UE per mettere in atto i programmi approvati che saranno finanziati con tali fondi. Il regolamento stabiliva che il tasso di prefinanziamento aumentasse progressivamente dall’1 % (nel 2014) al 3 % (tra il 2020 e il 2023) dell’importo del sostegno fornito ai programmi a titolo dei fondi e del FEAMP.

2.2.

L’articolo 1 della proposta di regolamento che modifica il regolamento (UE) n. 1303/2013 oggetto del presente parere (l’unico dei due articoli del testo in esame che ha un contenuto normativo), modifica l’articolo 134 del regolamento (UE) n. 1303/2013 per ridurre il prefinanziamento dal 3 % all’1 % nel periodo 2021-2023, mantenendolo al 3 % soltanto nell’anno 2020. Il suddetto articolo riguarda il prefinanziamento dei programmi del QFP per il periodo 2014-2020 la cui attuazione prosegue fino al 2023.

2.3.

I motivi del cambiamento di criterio per il prefinanziamento, esposti nella relazione della proposta di regolamento, sono riassunti nella volontà di introdurre «... una maggiore trasparenza e per contribuire alla prevedibilità della pianificazione del bilancio e a un profilo dei pagamenti più stabile e programmabile», in riferimento alle restituzioni di fondi da parte degli Stati membri all’UE che il sistema genera allorché si procede al pareggio contabile dei flussi finanziari. Il testo in esame accenna anche all’inclusione nella base di calcolo del prefinanziamento, già a partire dal 2019, della «riserva di rendimento», pari a circa il 6 % del valore totale dell’aiuto programmato.

2.4.

La proposta di regolamento concerne il prefinanziamento dei programmi finanziati dai seguenti fondi: Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo Plus, Fondo di coesione, Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e lo strumento per la gestione delle frontiere esterne e la politica comune dei visti.

2.5.

La proposta di regolamento recante disposizioni comuni sui fondi europei nell’ambito del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 (4) prevede, all’articolo 84 dedicato al prefinanziamento, che la percentuale dello stesso sull’importo totale del sostegno a titolo dei fondi, stabilito nella decisione recante approvazione del programma, sarà dello 0,5 % e tale prefinanziamento sarà accordato unicamente nei primi sei anni del periodo, dal 2021 al 2026. La proposta della Commissione non contempla alcun prefinanziamento nel 2027 né negli anni successivi. I programmi Interreg saranno disciplinati da norme specifiche che prevedono un prefinanziamento pari all’1 % dell’ammontare totale del programma.

2.6.

Tra le altre modifiche rispetto alla normativa vigente e comprese nella proposta di regolamento recante disposizioni comuni per il periodo 2021-2027, figurano la diminuzione del tasso di cofinanziamento a carico dei bilanci dell’UE e la riduzione del tempo per l’attuazione dei programmi, in relazione al quale si propone di sostituire la regola N+3 con la regola N+2.

3.   Osservazioni generali e specifiche, unite alle proposte

3.1.

Le procedure di assegnazione degli aiuti ai programmi finanziati dai fondi interessati dal regolamento (UE) n. 1303/2013, e le ulteriori regole sulla contabilità e il controllo delle risorse che l’UE eroga agli Stati membri, obbligano questi ultimi ad anticipare le risorse alle istituzioni pubbliche, agli attori privati o ai partenariati pubblico-privati che hanno la diretta responsabilità dell’attuazione di tali programmi. Man mano che i programmi sono attuati e gli Stati membri certificano adeguatamente tale attuazione, l’UE eroga agli Stati membri la parte corrispondente al cofinanziamento impegnato in ognuno dei programmi approvati.

3.2.

Il prefinanziamento è innanzitutto un sostegno alla liquidità degli Stati membri che si rivela assai utile sia per dare inizio all’attuazione dei programmi cofinanziati con fondi europei che per evitare eccessivi ritardi nella loro realizzazione dovuti ad eventuali problemi di liquidità. Tali problemi di liquidità sono stati particolarmente gravi negli anni più duri della recente crisi economica e finanziaria (nei quali sono state applicate politiche di estrema austerità) e persistono oggigiorno, in particolare per gli Stati membri che devono ridurre i propri disavanzi di bilancio.

3.3.

Il periodo di preparazione, elaborazione, presentazione, approvazione e avvio dell’attuazione dei programmi varia a seconda della natura degli stessi e delle capacità delle amministrazioni e degli attori privati di ogni Stato membro. In molti casi, tale periodo si protrae per più di due anni, motivo per cui è normale che la loro attuazione si concentri negli anni finali di ciascun QFP e termini due o tre anni dopo la conclusione di questo. Il regolamento recante disposizioni comuni del 2013 sembrava tener conto di tale circostanza allorché prevedeva che i tassi del prefinanziamento annuale aumentassero dall’1 % del 2014 al 3 % negli anni dal 2020 al 2023, passando per una percentuale compresa tra il 2 % e il 2,875 % tra il 2016 e il 2019.

3.4.

La Commissione adotta adesso una logica diametralmente opposta. Nella proposta di modifica del regolamento del 2013, che è oggetto del presente parere, il prefinanziamento annuale, pari al 2,875 % del valore di ciascun programma nel 2019, scende all’1 % tra il 2021 e il 2023. Nella stessa ottica, ma in modo più radicale, la proposta di regolamento recante disposizioni comuni sul QFP 2021-2027 fissa il prefinanziamento annuale allo 0,5 % tra il 2021 e il 2026 e lo elimina nel 2027 e negli anni successivi, in cui continuerà l’attuazione dei programmi finanziati dai fondi strutturali e di coesione.

3.5.

A giudizio del Comitato, i motivi addotti dalla Commissione nella relazione della proposta di regolamento non appaiono sufficienti a giustificare il cambiamento. Sono addotti la trasparenza e la prevedibilità nella pianificazione del bilancio e un profilo dei pagamenti più programmabile e stabile. Ad avviso del CESE, non c’è motivo che tali criteri, assai auspicabili, siano incompatibili con una procedura di anticipazione e liquidazione del sostegno finanziario, se esistono, come deve essere il caso, i controlli sufficienti.

3.6.

Il flusso finanziario, menzionato nella relazione, di 6,6 miliardi di euro (nel 2017) restituiti dagli Stati membri all’UE non può, per la sua entità, essere esclusivamente frutto di prefinanziamenti in eccesso, ma è imputabile anche alla mancata o cattiva attuazione dei programmi, o alla carente pianificazione delle certificazioni delle spese. D’altro canto l’accenno, contenuto nella relazione, al fatto che la diminuzione del tasso di prefinanziamento sarà compensata dall’applicazione del tasso anche alla «riserva di efficacia» (a partire dal 2019) non è corretto. Tale riserva ammonta soltanto al 6 % dell’importo del programma e il nuovo tasso proposto per il prefinanziamento sarà pari soltanto a un terzo del previsto. Per di più, tale «riserva di efficacia» è già contabilizzata nei bilanci di ciascuno Stato membro e l’unica evenienza che può accader loro è di perdere totalmente o parzialmente tale 6 % se non sono rispettati in modo soddisfacente i criteri di attuazione.

3.7.

Se il problema che la modifica al regolamento intende risolvere fosse relativo alla gestione della liquidità delle risorse di bilancio, con la proposta della Commissione i problemi di liquidità verrebbero trasferiti dall’UE agli Stati membri. Il tema è complesso perché, quando si parla della liquidità dell’UE, si sta parlando anche della liquidità degli Stati membri, proporzionalmente al rispettivo livello di ricchezza, dato che nell’attuale QFP 2014-2020 le risorse dell’UE fondate sul contributo degli Stati membri in base al loro reddito nazionale lordo (RNL) rappresentano il 72 % del totale delle entrate dell’UE (5).

3.8.

Bisogna altresì tener conto del fatto che la proposta di regolamento recante disposizioni comuni sul QFP 2021-2027 stabilisce un aumento del tasso di cofinanziamento a carico degli Stati membri e che la regola che disciplina il periodo di attuazione si riduce di un anno, passando da N+3 a N+2. Al contempo, la proposta di bilanci pluriennali per il periodo 2021-2027 prevede, per le risorse destinate alle politiche di coesione, una riduzione del 10 % e, per quelle del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, del 13 %. Vale a dire, si propone in contemporanea di ridurre in misura rilevante le risorse dei fondi, di abbreviare il periodo d’attuazione dei programmi e di aumentare gli obblighi di cofinanziamento a carico degli Stati membri, a fronte di una riduzione molto consistente del prefinanziamento.

3.9.

Va rammentato che nel parere sull’intero pacchetto riguardante il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027 (6), il CESE «in linea con la posizione del Parlamento europeo, propone che l’ammontare delle spese e delle entrate raggiunga l’1,3 % dell’RNL» e ritiene che «il finanziamento delle politiche di coesione (l’insieme di FESR, FC e FSE) debba essere mantenuto, nel QFP 2021-2027, almeno con le stesse risorse, a prezzi costanti, dell’attuale quadro finanziario». Una proposta analoga viene avanzata in rapporto alla PAC e al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca. Per quanto riguarda le entrate, nel suddetto parere il CESE ha affermato che «il punto di partenza dovrebbe essere rappresentato dalle proposte avanzate dal gruppo ad alto livello sulle risorse proprie e dal Parlamento europeo relative all’ampliamento del ventaglio delle fonti di risorse proprie, che dovrebbero portare a uno spostamento significativo in direzione di un QFP per il prossimo periodo che faccia affidamento sulle risorse proprie». Su questo punto e su molti altri aspetti relativi al prossimo QFP, è particolarmente evidente l’unanimità di vedute tra il CESE, il Parlamento europeo e il Comitato delle regioni.

3.10.

Le posizioni già sostenute sono ribadite nei pareri settoriali sul nuovo quadro finanziario dell’UE, in particolare nel parere sul regolamento recante disposizioni comuni applicabili ai fondi europei (7) in cui, sulla falsariga di quanto affermato nel parere sul quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027 (8), il CESE «deplora il fatto che la proposta ... modifichi la vigente regola N+3 in regola N+2» e invita la Commissione europea a riesaminare la questione», in particolare per quanto concerne l’aumento dei tassi di cofinanziamento a carico degli Stati membri.

3.11.

Il CESE ritiene che la Commissione disponga di strumenti sufficienti per controllare che i fondi europei, compreso il prefinanziamento, siano utilizzati in modo adeguato dagli Stati membri. Al tempo stesso, è dell’avviso che tramite una stretta collaborazione tra la Commissione e gli Stati membri possano e debbano essere migliorati diversi aspetti della pianificazione e gestione dei programmi; il CESE appoggerebbe pertanto le riforme volte a migliorare tali capacità di pianificazione e gestione.

3.12.

Tenendo conto di tutto quanto esposto ai punti precedenti, il CESE esprime il proprio disaccordo in merito alla proposta di regolamento che modifica il regolamento (UE) n. 1303/2013 per ridurre in misura sostanziale il prefinanziamento annuale per gli anni dal 2021 al 2023.

3.13.

Il Comitato invita la Commissione a riconsiderare la sua proposta e a tener conto sia di quanto esposto nel presente parere che del punto di vista degli Stati membri - in particolare, di quelli che attuano più correttamente ed efficacemente i programmi cofinanziati con fondi europei - e, nel caso non fossero mantenuti i tassi di prefinanziamento previsti nel regolamento vigente, chiede alla Commissione che tali tassi siano ridotti in misura significativamente minore e non di due terzi (riduzione calcolata in rapporto al tasso) come intende fare.

3.14.

Il CESE chiede infine che venga riesaminata la decisione di tagliare drasticamente il prefinanziamento, e poi di eliminarlo per l’anno 2027 e quelli successivi, presa nel quadro della proposta di regolamento recante disposizioni comuni sui fondi europei del QFP 2012-2027.

Bruxelles, 24 gennaio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1303/2013 per quanto riguarda l’adeguamento del prefinanziamento annuale per gli anni dal 2021 al 2023, COM(2018) 614 final – 2018/0322 (COD).

(2)  Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio (GU L 347 del 20.12.2013, pag. 320).

(3)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante le disposizioni comuni applicabili al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo sociale europeo Plus, al Fondo di coesione, al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e le regole finanziarie applicabili a tali fondi e al Fondo Asilo e migrazione, al Fondo Sicurezza interna e allo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti, COM(2018) 375 final – 2018/0196 (COD) e allegati.

(4)  COM(2018) 375 final – 2018/0196 (COD) e allegati.

(5)  Nella proposta relativa al QFP 2021-2027 della Commissione sono aumentate le «risorse proprie» dell’UE previste, ma i contributi degli Stati in base al loro RNL continuerebbero ad essere attorno al 57 %.

(6)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 106.

(7)  GU C 62 del 15.2.2019, pag. 83.

(8)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 106.


10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Raccomandazione di raccomandazione del Consiglio sulla politica economica della zona euro»

[COM(2018) 759 final]

(2019/C 159/07)

Relatore: Javier DOZ ORRIT

Consultazione

Commissione europea, 24.1.2019

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

20.12.2018

Adozione in sessione plenaria

24.1.2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione (favorevoli/contrari/astenuti)

162/2/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è del parere che lo sviluppo della resilienza economica, obiettivo alla base delle raccomandazioni della Commissione europea sulla politica economica della zona euro, rivesta la massima importanza per le economie di tale zona, tenuto conto dei notevoli rischi al ribasso per la crescita economica, che potrebbero facilmente essere forieri di una nuova crisi in un futuro non troppo remoto. Il Comitato desidera nondimeno porre l’accento sulla necessità che il perseguimento della resilienza economica vada di pari passo con una maggiore resilienza dei mercati del lavoro, intesa come la capacità di tali mercati di superare gli shock con costi sociali contenuti (1).

1.2.

Il Comitato apprezza la raccomandazione della Commissione europea a favore di orientamenti di bilancio differenziati in tutti gli Stati membri. Tuttavia, avverte che in vari Stati membri dal debito pubblico elevato e dai margini di potenziale produttivo negativi o pari a zero, la creazione di riserve di bilancio in questo momento può essere controproducente sia per una crescita sostenibile e inclusiva che per la sostenibilità del debito.

1.3.

Il Comitato ribadisce la posizione sostenuta nel suo parere sul tema Politica economica della zona euro 2018 (2) per quanto concerne l’importanza cruciale di ovviare alla carenza di investimenti sia pubblici che privati di cui l’UE risente. Per questi motivi, il CESE chiede alle istituzioni dell’UE di adottare gli orientamenti e i provvedimenti necessari per incoraggiare gli investimenti pubblici e per agevolare quelli privati.

1.4.

Il CESE accoglie con favore le proposte tese a trasferire oneri fiscali dal lavoro e a rafforzare i sistemi di istruzione e gli investimenti nelle competenze, nonché l’efficacia delle politiche attive del mercato del lavoro che sostengono le transizioni verso posti di lavoro di alta qualità. Andrebbe inoltre affrontata la questione della segmentazione del mercato del lavoro. Gli Stati membri devono assicurare finanziamenti sufficienti a favore degli investimenti sociali e dei sistemi di protezione sociale.

1.5.

Oltre a ciò, il CESE condivide appieno la preoccupazione della Commissione europea relativa alla necessità di contrastare le frodi, l’evasione e l’elusione fiscali, con provvedimenti contro la pianificazione fiscale aggressiva, per rendere più efficienti ed equi i sistemi fiscali, anche nel quadro di un miglioramento qualitativo delle finanze pubbliche.

1.6.

Il CESE ribadisce l’importanza di attuare il pilastro europeo dei diritti sociali quale mezzo per aumentare la resilienza, promuovere la convergenza verso l’alto e, in ultima istanza, proteggere il progetto di integrazione europea dalle tendenze centrifughe.

1.7.

Il CESE accoglie con favore la raccomandazione della Commissione europea che propugna un riequilibrio simmetrico degli squilibri delle partite correnti nella zona euro e, in specie, l’invito a una maggior crescita dei salari negli Stati membri che presentano avanzi delle partite correnti. Il CESE ritiene che, nel medio termine, la crescita dei salari reali a livello nazionale debba essere commisurata alla crescita della produttività nello Stato membro considerato e quindi non essere inferiore all’aumento della produttività.

1.8.

Il miglioramento del contesto imprenditoriale e la promozione del completamento del mercato unico, senza intaccare i diritti sociali e del lavoro, sono, a parere del CESE, importanti modalità di rafforzamento della resilienza economica nella zona euro. Il Comitato concorda appieno con la Commissione europea sul fatto che l’introduzione della base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società sia un passo in quella direzione e che vada portata avanti.

1.9.

Un’altra priorità della politica economica dovrebbe essere quella di facilitare il finanziamento delle imprese. Il CESE ribadisce che l’Unione dei mercati dei capitali è molto importante per il finanziamento dell’attività economica, ed esprime la propria preoccupazione per i ritardi e gli ostacoli che stanno intralciando lo sviluppo dell’Unione bancaria, tra i quali figura il volume dei crediti in sofferenza in alcuni Stati membri.

1.10.

Il CESE esorta gli Stati membri a dare prova di leadership politica e di impegno nella misura del necessario per superare i disaccordi sulla strada da intraprendere per approfondire l’UEM, anzitutto ultimando l’Unione bancaria, aumentando le risorse proprie e introducendo (nel quadro del bilancio dell’UE) una funzione di stabilizzazione macroeconomica che permetta di accrescere la resilienza economica della zona euro.

2.   Contesto

2.1.

Anche se il prodotto della zona euro è in crescita da sei anni, adesso se ne prevede un rallentamento, mentre i rischi di evoluzione negativa stanno visibilmente crescendo e permangono le conseguenze della grande recessione, che vanno da una minore crescita potenziale alle disparità tra gli Stati membri e agli elevati tassi di disoccupazione in determinate zone. La convergenza verso strutture economiche più resilienti è quindi un obiettivo di primaria importanza, come lo è portare avanti l’approfondimento dell’UEM. In tale contesto, le principali raccomandazioni della Commissione europea in merito alle politiche economiche nella zona euro nel 2019 sono le seguenti:

2.2.

Approfondire il mercato unico, migliorare il contesto imprenditoriale e perseguire riforme del mercato dei prodotti e dei servizi volte ad aumentare la resilienza. Ridurre il debito esterno e perseguire riforme intese ad accrescere la produttività negli Stati membri della zona euro con un disavanzo delle partite correnti e a rafforzare le condizioni favorevoli alla crescita dei salari, nel rispetto del ruolo delle parti sociali; attuare misure che promuovano gli investimenti negli Stati membri della zona euro con un ingente avanzo delle partite correnti.

2.3.

Ripristinare le riserve di bilancio nei paesi della zona euro che presentano livelli elevati di debito pubblico, sostenere gli investimenti pubblici e privati, e migliorare la qualità e la composizione delle finanze pubbliche in tutti i paesi. A differenza degli anni precedenti, la Commissione europea non ha raccomandato uno specifico orientamento di bilancio per la zona euro nel 2019.

2.4.

Trasferire oneri fiscali dal lavoro e rafforzare i sistemi di istruzione e gli investimenti nelle competenze, nonché l’efficacia delle politiche attive del mercato del lavoro che sostengono le transizioni. Affrontare la segmentazione del mercato del lavoro e garantire sistemi di protezione sociale adeguati in tutta la zona euro.

2.5.

Avviare l’operatività del sostegno comune di ultima istanza per il Fondo di risoluzione unico, istituire un sistema europeo di assicurazione dei depositi e rafforzare il quadro europeo di regolamentazione e vigilanza. Promuovere la riduzione ordinata della leva finanziaria degli ingenti stock di debito privato. Ridurre rapidamente il livello di crediti deteriorati nella zona euro e impedirne l’accumulo, anche eliminando la distorsione a favore del debito nella tassazione.

2.6.

Compiere rapidi progressi sul fronte del completamento dell’Unione economica e monetaria, anche nella prospettiva di rafforzare il ruolo internazionale dell’euro, tenendo conto delle proposte della Commissione e in particolare di quelle riguardanti il settore finanziario, il programma di sostegno alle riforme e la funzione europea di stabilizzazione degli investimenti nel quadro del pacchetto per il quadro finanziario pluriennale 2021-2027.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE è preoccupato per la possibilità che i rischi di evoluzione negativa per le prospettive economiche della zona euro diventino facilmente forieri di un’altra crisi socioeconomica in un futuro non troppo remoto, una crisi che porrebbe notevoli difficoltà in termini di adeguamento.

3.1.1.

L’attuale crescita del prodotto, dopo essere arrivata soltanto all’1,7 % nel 2017, ha già raggiunto il suo picco. La crescita potenziale del prodotto risulta tuttora inferiore al suo tasso del 2008, mentre gli investimenti pubblici sono assai lontani da una ripresa dopo il forte calo (di oltre un quarto rispetto al loro livello massimo) fatto registrare dall’inizio della crisi.

3.1.2.

Persistono le disparità tra gli Stati membri, specialmente in termini di disoccupazione. A dispetto dei miglioramenti negli indicatori principali, il numero totale delle ore lavorate e il volume dell’occupazione restano al di sotto del livello del 2008, mentre la crescita dei salari in termini reali è stata modesta e continua a segnare il passo rispetto alla crescita della produttività, lasciando intendere che i guadagni, pur in presenza di una crescita modesta, restano ripartiti in modo disuguale.

3.1.3.

La zona euro registra ancora un notevole avanzo delle partite correnti, indotto soprattutto dagli avanzi delle partite correnti in determinati Stati membri; ciò denota una domanda interna relativamente bassa, e questa situazione è una delle cause delle tensioni internazionali che alimentano il protezionismo commerciale.

3.1.4.

Nonostante i recenti adeguamenti al ribasso delle previsioni di crescita, la Banca centrale europea ha deciso di porre termine al suo programma di alleggerimento quantitativo, togliendo così un importante pilastro di sostegno strategico alla crescita della zona euro.

3.1.5.

Sebbene persistano le vulnerabilità scaturite dalla crisi, quali gli elevati livelli di debito pubblico e privato e i crediti deteriorati che gravano sui bilanci delle banche, è tuttora insufficiente il progresso nel rafforzamento dell’architettura istituzionale dell’UEM secondo modalità che accrescano la resilienza dell’economia dell’euro senza incidere in modo troppo pesante sulle finanze pubbliche, sui mercati del lavoro e sulle politiche sociali di adeguamento in caso di shock.

3.1.6.

Esistono importanti rischi di evoluzione negativa a livello mondiale, dal crescente protezionismo commerciale alla volatilità nei mercati finanziari.

3.2.

Date le conseguenze della crisi precedente, le cui sequele, specialmente nel mercato del lavoro e in campo sociale, sono ancora visibili in diversi Stati membri, il CESE reputa che il rafforzamento della resilienza economica della zona euro mediante decisivi e solleciti passi avanti verso il completamento e l’approfondimento dell’UEM e del mercato unico, sulla falsariga di quanto proposto dalla Commissione europea, sia essenziale per prevenire un’altra crisi economica, che si tradurrebbe in crisi sociali e dei mercati del lavoro.

3.3.

Oltre a tali rischi, i progressi tecnologici presentano opportunità ma anche pericoli. Da un lato, e a condizione che si effettuino investimenti sufficienti, possono contribuire ad aumentare la crescita della produttività, che è cronicamente debole, nella zona euro. Dall’altro, possono probabilmente favorire alcune categorie di persone più di altre, segnatamente quelle che possiedono competenze superiori e migliori.

3.4.

Anche se le proiezioni relative al margine medio di potenziale produttivo (3) nella zona euro indicano un valore leggermente positivo nel 2018 (lo 0,3 % del PIL potenziale), sussistono differenze rilevanti tra gli Stati membri, che fanno intendere che la ripresa congiunturale non è la stessa ovunque. Il valore positivo del margine di potenziale produttivo di un paese indica in che misura il suo orientamento di bilancio potrebbe divenire più rigoroso senza che la politica di bilancio sia prociclica. Vari Stati membri con un rapporto debito pubblico/PIL elevato (e più in particolare un paio di paesi di grandi dimensioni, che incidono considerevolmente sulla performance generale della zona euro) presentano margini di potenziale produttivo trascurabili o negativi. Sebbene gli Stati membri debbano fare il massimo per assicurare l’elevata qualità delle loro finanze pubbliche, è probabile che l’esortarli a costituire riserve di bilancio mediante orientamenti di bilancio restrittivi perpetui la bassa crescita al loro interno, senza contribuire a ridurre il loro debito pubblico in rapporto al PIL.

3.5.

Inoltre, il fatto che tutta l’attenzione venga dedicata alla conformità delle politiche di bilancio nazionali con le regole dell’UE in questo campo, senza tenere conto dell’orientamento di bilancio aggregato nella zona euro, costituisce una carenza comprovata della governance economica dell’UE nonché una delle motivazioni alla base di riforme quali l’istituzione del Comitato consultivo europeo per le finanze pubbliche. L’assenza, quest’anno, di una raccomandazione relativa all’orientamento aggregato della zona risulta quindi inopportuna, con la conseguenza di lasciarsi sfuggire l’opportunità di associare tale raccomandazione a raccomandazioni più specifiche di differenziazione tra gli Stati membri.

3.6.

In linea con i suoi pareri precedenti, il CESE esorta gli Stati membri e la Commissione europea a rafforzare gli investimenti pubblici quale mezzo non solo per promuovere la crescita a lungo termine, ma anche per ridurre le attuali incertezze e favorire transizioni agevoli a un modello di crescita più sostenibile ed equo.

3.7.

Il CESE si domanda se, nei paesi con un rapporto debito pubblico/PIL elevato, una maggiore efficacia ed efficienza degli appalti pubblici possano, da sole (4) generare il margine necessario per portare la spesa pubblica per gli investimenti (anche nell’istruzione, nelle competenze e nelle politiche attive del mercato del lavoro che conferiscano capacità abilitanti) ai livelli atti a rafforzare una crescita inclusiva a lungo termine e a rispettare gli obiettivi dell’accordo di Parigi sulla riduzione delle emissioni di carbonio, e se tali cambiamenti possano essere attuati in modo sufficientemente tempestivo, vista la pressante esigenza di investimenti pubblici.

3.8.

Nel suo parere sul tema Politica economica della zona euro 2018 (5), il CESE ha sottolineato la grande contraddizione insita nel fatto che alcuni paesi che hanno fatto registrare un saldo delle partite correnti di segno eccessivamente positivo, oltre ad avanzi di bilancio, presentano anche tassi netti di segno negativo per quanto concerne la formazione di capitale pubblico. Il CESE teme che, malgrado le ripetute raccomandazioni della Commissione e del Consiglio, le previsioni economiche d’autunno lascino intendere che tali paesi continueranno a presentare ingenti avanzi delle partite correnti fino al 2020 (6).

3.9.

Il CESE accoglie con favore l’accento posto sul rafforzamento dei sistemi di istruzione e degli investimenti in competenze e sulla riduzione della segmentazione del mercato del lavoro. Ribadisce inoltre il suo invito ad attuare riforme strutturali che promuovano una maggiore crescita aggregata della produttività, con la creazione di posti di lavoro di qualità elevata e la garanzia di un’equa distribuzione dei guadagni derivanti dalla maggiore produttività.

3.10.

Il CESE concorda con l’esortazione a una maggior crescita dei salari negli Stati membri che presentano avanzi delle partite correnti. Osserva, nondimeno, che la sola crescita della produttività non contribuirà necessariamente a far aumentare i salari reali negli Stati membri con una posizione patrimoniale netta sull’estero negativa, dato che ormai in molti paesi la produttività e le retribuzioni reali sono tra loro sganciate. Inoltre, si dovrebbero adottare provvedimenti che sostengano una distribuzione più equa dei guadagni derivanti dall’aumento della produttività. Lo strumento principale per far ciò è la contrattazione collettiva, basata sull’autonomia delle parti sociali, che, nel fissare i salari e affrontare altri aspetti che migliorano la qualità del lavoro, dovrebbero tener conto sia dell’aumento del costo della vita che di quello della produttività.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Le attività di contrasto delle frodi fiscali, dell’evasione tributaria e della pianificazione fiscale aggressiva sono essenziali per rendere più equi ed efficienti i regimi fiscali. Queste misure sono fondamentali per garantire le entrate pubbliche, impedire la distorsione della concorrenza tra le imprese, salvaguardare la coesione sociale e lottare contro l’aumento delle disuguaglianze. Il CESE concorda appieno con tale posizione, espressa nel documento di lavoro che accompagna la raccomandazione in esame (7), e chiede pertanto che si applichino senza ritardi le norme adottate a livello europeo per combattere tali reati e tali pratiche abusive, ma si valuti anche la possibilità di adottare altre misure ancora più efficaci, compresi strumenti volti a porre fine alle attività illecite dei paradisi fiscali.

4.2.

Il CESE reputa che si debbano prendere provvedimenti più risoluti per agevolare la spesa pubblica per gli investimenti, ad esempio scorporando la spesa per gli investimenti pubblici dal calcolo dei disavanzi ai fini dell’applicazione delle norme dell’UE in materia di bilancio degli Stati membri (la cosiddetta «regola d’oro»), senza perdere di vista la sostenibilità degli attuali livelli di indebitamento.

Bruxelles, 24 gennaio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Questa definizione di resilienza dei mercati del lavoro è tratta dalla relazione dell’OCSE del 2012 intitolata What makes labour markets resilient during recessions? [«Che cosa rende i mercati del lavoro resilienti durante le recessioni?»], contenuta nelle Prospettive sull’occupazione dell’OCSE, OECD Publishing, Parigi.

(2)  GU C 62 del 15.2.2019, pag. 312.

(3)  Ossia la differenza tra PIL reale e PIL potenziale misurata in rapporto a quest’ultimo.

(4)  Cfr. l’analisi dell’economia della zona euro effettuata dalla Commissione europea (Analysis of the Euro Area economy) SWD(2018), 467 final, 2018, pag. 8.

(5)  GU C 62 del 15.2.2019, pag. 312.

(6)  Allegato statistico, previsioni economiche per l'Europa - autunno 2018, tabella 50, pag. 196.

(7)  Cfr. l’analisi dell’economia della zona euro effettuata dalla Commissione europea (Analysis of the Euro Area economy) SWD(2018), 467 final, 2018.


10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare - Contributo della Commissione europea alla riunione dei leader di Salisburgo del 19-20 settembre 2018»

[COM(2018) 634 final – 2018/0329 COD]

(2019/C 159/08)

Relatore: José Antonio MORENO DÍAZ

Correlatrice: Vladimíra DRBALOVÁ

Consultazione

Commissione 24.10.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

18.12.2018

Adozione in sessione plenaria

23.1.2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione (favorevoli/contrari/astenuti)

169/2/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE prende atto delle argomentazioni della Commissione a favore di una rifusione della direttiva sui rimpatri (1), ma riafferma la propria convinzione secondo cui è essenziale che l’UE disponga di una politica e di una legislazione comuni in materia tanto di migrazione legale quanto di protezione internazionale e asilo (2).

1.2.

Il CESE esprime preoccupazione per la disparità dei criteri di gestione della migrazione adottati dagli Stati membri, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei migranti irregolari, che genera incertezza giuridica e disparità di trattamento.

1.3.

Il CESE ritiene che la Commissione avrebbe dovuto avviare un processo di comunicazione e consultazione con i governi e con la società civile, tenendo conto delle nuove circostanze venutesi a creare, come già avvenuto in precedenza con il Libro verde (3).

1.4.

Il CESE ritiene che la Commissione avrebbe dovuto fornire i dati (o almeno le sue stime) relativi al livello di applicazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (4) sui rimpatri, alla sua applicabilità, all’intensità del monitoraggio della sua efficacia, alle principali difficoltà incontrate durante il suo periodo di validità e al rispetto da parte dei singoli Stati membri.

1.5.

La Commissione dovrebbe esercitare un minimo di autocritica o almeno condurre un’analisi per spiegare il basso tasso di rimpatri realizzato dagli Stati membri, specificandone in dettaglio le cause e i soggetti responsabili. Se gli Stati membri non hanno applicato la direttiva, né rispettato la raccomandazione (UE) 2017/432 della Commissione (5) destinata a rendere più efficaci i rimpatri, dovrebbe essere effettuata una valutazione d’impatto. Tale studio dovrebbe comprendere una valutazione delle modalità con cui gli Stati membri hanno provveduto alla definizione di programmi operativi al fine di fornire assistenza e consulenza in materia di rimpatri, nonché un confronto del rapporto costi-benefici tra i rimpatri volontari e quelli forzati.

1.6.

Il CESE è consapevole del fatto che determinati discorsi politici sui flussi migratori, da parte dell’estrema destra e dei movimenti nazionalisti, incoraggiano atteggiamenti xenofobi e intolleranti. Il CESE ritiene che una politica comune globale dell’UE in materia di migrazione costituirebbe il miglior argomento per placare i timori dei cittadini europei.

1.7.

In linea con quanto già affermato dal CESE in altri pareri (6), occorre adottare un discorso diverso sulla migrazione, che favorisca una visione normale di questo fenomeno quale fattore sociale ed economico comune e renda possibile l’azione della pedagogia sociale in questo settore.

1.8.

D’altro canto, il CESE può sostenere le conclusioni del Consiglio europeo del giugno 2018, in cui si afferma che una condizione preliminare per il buon funzionamento della politica dell’UE è un approccio globale alla migrazione che combini un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’UE, il rafforzamento dell’azione esterna e la dimensione interna, in linea con i nostri principi e i valori, e che questi sforzi dovrebbero essere proseguiti per evitare catastrofi umanitarie (7).

1.9.

I dati forniti dal Consiglio europeo (18 ottobre 2018) (8) indicano che il numero degli ingressi irregolari nell’UE è diminuito del 95 %. I dati dell’OIM del settembre 2018 (9) mostrano inoltre che, entro quella data, 83 067 persone sono arrivate nell’UE via mare e 1 987 persone sono morte.

1.10.

Il CESE ritiene che una politica di rimpatrio efficace costituisca una parte integrante della politica globale dell’Unione in materia di migrazione e asilo; tale politica, tuttavia, non esiste, e la Commissione dovrebbe agire in modo coerente ed equilibrato, evitando una visione basata esclusivamente sull’attività di contrasto e sulla sicurezza tale da criminalizzare il fenomeno della migrazione.

1.11.

Il CESE ritiene necessario che venga effettuato uno studio comparativo (basato su dati e visite in loco) dei centri di permanenza temporanea dell’UE, della loro situazione e del rispetto dei diritti umani al loro interno.

1.12.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi della Commissione tesi ad accelerare le decisioni in materia di rimpatrio e a vincolarle con quelle di rigetto di domande di asilo e di cessazione del soggiorno regolare, nonché ad accelerare e rendere più efficiente la procedura di rimpatrio in generale. Nondimeno, si dovrebbe valutare se i termini proposti siano realistici ed esaminare gli ostacoli che possono impedirne il rispetto.

1.13.

Nel contempo, il CESE ritiene che un’efficace politica di rimpatrio passi attraverso un processo di collaborazione efficace con i paesi terzi e l’adozione e l’attuazione di accordi di riammissione; invita la Commissione a raddoppiare gli sforzi e gli Stati membri a fare pieno uso di tali meccanismi.

1.14.

Il CESE ritiene inoltre necessario menzionare le buone pratiche applicate da alcuni paesi dell’UE per impedire il protrarsi di situazioni di soggiorno irregolare di cittadini stranieri, quali la concessione di un permesso di soggiorno in circostanze eccezionali di radicamento sociale, lavorativo o familiare in Spagna («arraigo») o il cosiddetto «Duldung» in Germania.

2.   Contesto e proposta della Commissione

2.1.

Fin dal 1999 l’UE sta cercando di elaborare un approccio globale alla migrazione che comprenda l’armonizzazione delle condizioni di rimpatrio, i diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti, la predisposizione di misure legali per prevenire l’immigrazione irregolare e lo sviluppo di una cooperazione pratica in questo settore. La direttiva sui rimpatri (2008/115/CE) mirava a stabilire un’efficace politica di espulsione e di rimpatrio sulla base di norme comuni; tuttavia la relazione sulla sua attuazione, pubblicata nel 2014, ha mostrato scarsi progressi in termini di aumento del tasso effettivo di rimpatri raggiunto dall’UE: 2014 - 36,3 %, 2015 - 36,8 %, 2016 - 45,8 %, 2017 - 36,6 %. Neppure la raccomandazione (UE) 2017/432 della Commissione, che includeva un pacchetto di misure che gli Stati membri dovevano adottare per approfittare pienamente della flessibilità prevista dalla direttiva, ha apportato miglioramenti.

2.2.

Senza cambiare la portata della direttiva o incidere sulla protezione dei diritti dei migranti garantiti attualmente, anche per quanto riguarda l’interesse superiore del minore, la vita familiare e le condizioni di salute, nonché il principio di non-refoulement, la rifusione in esame dovrebbe rendere più efficace il processo di rimpatrio, tramite:

una maggiore coerenza e sinergie con le procedure di asilo;

una nuova procedura di frontiera;

procedure e regole chiare contro gli abusi;

raccomandazioni volte a promuovere rimpatri volontari efficaci;

norme chiare sul trattenimento.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE esprime preoccupazione per la disparità dei criteri di gestione della migrazione adottati dagli Stati membri, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei migranti irregolari, che genera incertezza giuridica e disparità di trattamento.

3.2.

Il CESE richiama le raccomandazioni formulate nel proprio parere in merito alla comunicazione della Commissione del 2002 su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone soggiornanti illegalmente, in quanto ritiene che esse non siano state accolte, o lo siano state solo in parte, nelle diverse misure legislative e politiche adottate da allora a livello di UE, in particolare per quanto riguarda i diritti dei migranti irregolari, la regolarizzazione, il rimpatrio forzato, il ricorso giurisdizionale, il diritto all’unità familiare, il trattenimento e la necessità di una vera politica comune in materia di migrazione legale (10).

3.3.

L’intenzione annunciata della rifusione (migliorare l’efficacia delle procedure di rimpatrio, accelerarne il trattamento e collegarle direttamente con le decisioni di rigetto di domande di asilo e di cessazione del soggiorno regolare) può solo essere valutata positivamente; gli Stati membri hanno il diritto di rimpatriare i migranti irregolari, purché esistano sistemi di asilo equi ed efficienti che rispettino pienamente il principio di non-refoulement. Tuttavia, in relazione agli obiettivi dichiarati delle modifiche proposte, il CESE è preoccupato per l’impatto che esse potranno avere. Il CESE si interroga sull’efficacia di tali cambiamenti e teme che possano tradursi unicamente in un irrigidimento, in senso repressivo, della situazione. Non bisogna mettere da parte il principio fondamentale che sta alla base della priorità dei rimpatri volontari, sancito dalla direttiva originaria 2008/115/CE, per sostituirlo soltanto con politiche repressive.

3.4.

La proposta deve essere valutata anche dal punto di vista della fattibilità dei suoi obiettivi, in particolare se essa deve continuare a essere compatibile con i diritti umani. L’obiettivo dell’espulsione generale di tutti gli stranieri che risiedono irregolarmente nell’Unione come unico modo per ripristinarne la legalità è semplicemente irrealizzabile, alla luce dell’esperienza degli ultimi anni nonché del costo umano sproporzionato e degli eccessivi oneri economici e di altro tipo che comporterebbe.

3.5.

Negli ultimi dieci anni non vi sono stati nessuna attuazione, controllo e valutazione efficaci di una politica di rimpatrio che, peraltro, non è ancora efficacemente integrata in una politica globale e comune dell’UE in materia di migrazione.

3.6.

Nella proposta, la Commissione avrebbe dovuto spiegare il motivo per cui gli Stati membri non hanno applicato correttamente la direttiva 2008/115/CE, né hanno seguito la raccomandazione (UE) 2017/432, che includeva linee guida per l’applicazione della direttiva e invitava gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per rimuovere gli ostacoli giuridici e pratici ai rimpatri.

3.7.

Inoltre, nel contesto della crescente incertezza sociale, sarebbe opportuno cercare di pubblicare e interpretare in modo responsabile dati reali sulla migrazione irregolare nell’UE per evitare di alimentare la retorica xenofoba e razzista che promuove posizioni di estrema destra.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Alla luce degli sviluppi intervenuti dopo il 2008, la Commissione considera la modifica della direttiva uno strumento per realizzare gli obiettivi legittimi di ripristino della legalità e di attuazione più efficace dei rimpatri. Tuttavia, esistono molti altri mezzi più efficaci e meno onerosi per raggiungere lo stesso scopo (ad esempio, i rimpatri volontari, le regolarizzazioni individuali ecc.). Il CESE ritiene che un’efficace politica di rimpatrio costituisca parte integrante di una politica globale dell’Unione in materia di migrazione e asilo; tuttavia, l’assenza di una politica di questo tipo dovrebbe indurre la Commissione ad adottare un atteggiamento autocritico, coerente ed equilibrato, che non si limiti a una visione basata esclusivamente sull’attività di contrasto e sulla sicurezza tale da criminalizzare il fenomeno della migrazione (11).

4.2.

Nel parere precedente il CESE ricordava «alla Commissione di aver già segnalato in vari pareri la necessità di varare iniziative di regolarizzazione» (12). Tuttavia, la legislazione europea prevede delle misure che consentono di porre termine allo status di migrante irregolare in modo ragionevole e costruttivo.

4.3.

Esempi di misure di questo tipo figurano agli articoli 6 (Decisione di rimpatrio) e 7 (Partenza volontaria) della direttiva 2008/115/CE, che tuttavia sono state prese in considerazione e utilizzate molto raramente dagli Stati, principalmente nel caso di persone che si tenta di rimpatriare senza successo. Alla luce di quanto precede, il CESE appoggia la raccomandazione (UE) 2017/432 sull’istituzione di programmi operativi per il rimpatrio volontario assistito.

4.4.

Inoltre il CESE osserva che le norme vigenti per l’espulsione di cittadini europei e dei loro familiari per ragioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza (13) non vengono applicate ai migranti irregolari. Si fa qui riferimento alla possibilità di chiedere l’annullamento di una decisione di espulsione a causa di un cambiamento della situazione verificatosi dopo un ragionevole periodo di tempo, compreso l’obbligo di non eseguire la decisione senza rivedere le sue circostanze, se sono trascorsi due anni dalla decisione stessa. Non sembra appropriato che l’approccio adottato per i cittadini dell’UE (ossia, decisione di espulsione soltanto nei casi in cui l’interessato costituisca una minaccia per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza) non possa essere applicato a coloro la cui unica mancanza riguarda i documenti se le loro circostanze sono cambiate in modo sostanziale.

4.5.

Al fine di proteggere i diritti e gli interessi dei cittadini di paesi terzi che siano stati oggetto di procedimenti amministrativi, è assolutamente necessario garantire meccanismi e garanzie reali per le procedure di rimpatrio che vadano oltre la semplice possibilità di presentare ricorso contro la decisione. È essenziale che questa possibilità venga realizzata in modo efficace con un’adeguata assistenza legale, designando automaticamente, per ogni procedura, avvocati appositamente formati, specializzati nella materia, che articoleranno, caso per caso, gli elementi di difesa.

4.6.

La politica volta a perseguire le persone che soggiornano irregolarmente deve essere accompagnata da un divieto fermo e assoluto di identificare le persone sulla base della loro appartenenza etnica e/o religiosa. L’attuale allentamento di questo divieto fa dell’Europa un territorio in cui le minoranze razziali rischiano di essere intollerabilmente oggetto di sospetti e controlli delle autorità. Illuminante è il caso in riferimento al quale il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani, il 31 luglio 2009 (14), ha condannato la Spagna per aver trattenuto una cittadina spagnola soltanto per il fatto di essere nera, sospettandola per questo di essere una migrante irregolare.

4.7.

Il CESE ritiene necessario effettuare uno studio comparativo (basato su dati e visite in loco) dei centri di permanenza temporanea dell’UE, delle loro condizioni e del rispetto dei diritti umani.

4.8.

Il CESE propone inoltre che la Commissione esamini in qualsiasi momento le formule utilizzate dagli Stati membri per l’istituzione di programmi operativi che forniscano una migliore assistenza e un sostegno più efficace in materia di rimpatri, compreso il sostegno alla reintegrazione nei paesi terzi di rimpatrio, programmi che avrebbero dovuto iniziare ad attuare già nel 2017. Lo studio dovrebbe comprendere un confronto del rapporto costi-benefici tra i rimpatri volontari e quelli forzati.

4.9.

Il CESE desidera menzionare le buone pratiche applicate da alcuni paesi dell’UE per impedire il protrarsi di situazioni di soggiorno irregolare di migranti, come nel caso dell’«arraigo» in Spagna o del «Duldung» in Germania, che concedono eccezionalmente, a determinati cittadini stranieri soggiornanti irregolarmente sul loro territorio da lungo tempo, un permesso di soggiorno regolare in base a criteri specifici individuali e selettivi.

5.   Analisi delle proposte di modifica

5.1.

La formulazione della direttiva introduce chiaramente nove modifiche specifiche, sulle quali il CESE esprime il proprio parere.

5.2.

È necessario stabilire criteri obiettivi a livello di Unione per determinare l’esistenza o meno di un rischio di fuga, compresi i movimenti secondari non autorizzati. Per impedire interpretazioni divergenti o inefficaci, l’articolo 6 della proposta stabilisce un elenco comune di criteri obiettivi per determinare se vi sia un rischio di fuga nell’ambito di una valutazione globale delle circostanze specifiche del caso individuale. L’elenco dei criteri è troppo ampio e va al di là della raccomandazione (UE) 2017/432. Di conseguenza, sebbene la direttiva preveda due procedure di rimpatrio, una delle quali urgente, straordinaria, che esclude la possibilità di lasciare volontariamente il territorio e soggetta a ulteriori oneri, e l’altra garantista, che offre l’opzione di ottemperare volontariamente, nella pratica alla maggior parte dei migranti irregolari verrà applicata quella a cui, in teoria, si dovrebbe ricorrere in via eccezionale.

5.2.1.

Solo un numero limitato dei criteri obiettivi proposti all’articolo 6, derivati dalla raccomandazione (UE) 2017/432 e corrispondenti nel testo modificato ai criteri di cui alle lettere f), h) e k), servono a definire il rischio di fuga. Anche la lettera j) può essere considerata un criterio adeguato conformemente all’articolo 7 sull’obbligo di cooperare.

a)

La mancanza di documenti può essere, nella maggior parte dei casi, rettificata su richiesta al momento dell’avvio della procedura amministrativa e, in caso di non ottemperanza, questo criterio può essere trasferito alla lettera f).

b)

Questo obiettivo fa sì che l’onere della prova incomba al migrante (che dovrà dimostrare un domicilio effettivo) eliminando una garanzia giuridica di base. Le difficoltà generali connesse alla dimora e gli ostacoli che molti comuni pongono agli stranieri in generale, e a quelli che soggiornano in modo irregolare in particolare, comportano che questo punto abbia un’ampiezza eccessiva.

c)

Se si vuole impedire che TUTTI i migranti irregolari possano essere accusati di rischio di fuga, rendendo la procedura di garanzia completamente marginale, tale rischio non può essere stabilito sulla base di parametri come questo. Dopotutto, chiunque sia privato del diritto al lavoro viene ovviamente privato anche delle risorse economiche, e la maggior parte dei migranti irregolari soffrirà pertanto di una mancanza di risorse finanziarie.

d)

Data la politica di chiusura delle frontiere attuata dagli Stati membri, molti migranti irregolari (e anche legali) risulteranno entrati illegalmente nel territorio degli Stati membri.

e)

Lo spostamento di un migrante irregolare da uno Stato membro all’altro è per definizione non autorizzato, ma non costituisce necessariamente un motivo per dichiarare l’esistenza di un rischio di fuga.

g)

Decisione di rimpatrio emanata da un altro Stato membro nei confronti del cittadino interessato. L’inclusione di questa possibilità risulta incomprensibile, dal momento che la direttiva stessa stabilisce l’esecuzione diretta di questa decisione da parte dell’altro Stato.

i)

Inosservanza dell’obbligo di recarsi nel territorio di un altro Stato membro che abbia rilasciato un permesso di soggiorno valido. In questi casi, l’avvio della procedura di espulsione verso il paese di origine senza la possibilità di lasciare volontariamente il territorio è del tutto sproporzionata. È opportuno invece attuare determinate misure forzate di trasferimento verso l’altro Stato membro, ma non l’espulsione nel paese di origine, e tanto meno con una procedura d’urgenza.

5.3.

Prima di analizzare gli articoli 7 e 8 e altri articoli della proposta, occorre chiarire quanto segue: l’intera formulazione della modifica proposta dimostra chiaramente un’ignoranza della natura giuridica della decisione di rimpatrio, che, una volta chiarita, costituirà la base per mettere completamente in discussione il paragrafo 3, così come rispecchiato nel nuovo articolo 8 della direttiva. La decisione di rimpatrio è una decisione esecutiva di uno Stato che ha un impatto diretto sui diritti e gli interessi personali di un essere umano. Inoltre, questa decisione si basa in una certa misura, direttamente o indirettamente, sull’adempimento di obblighi o su determinati comportamenti di cui tale persona è accusata, e merita pertanto una procedura appropriata per verificare se tali accuse sono fondate, che in questi casi avrà certamente un carattere indipendente. In sintesi, l’espulsione è una sanzione, una pena o una punizione di natura amministrativa, non penale, pur essendo governata dagli stessi principi costituzionali e principi relativi ai diritti fondamentali del diritto penale.

5.4.

Per quanto concerne l’articolo 7 (Obbligo di cooperare), il CESE prende atto del fatto che la Commissione presume che l’obbligo dei cittadini di paesi terzi di cooperare con le autorità competenti degli Stati membri in tutte le fasi della procedura di rimpatrio potrebbe contribuire al corretto funzionamento e all’efficacia di tali procedure. Va segnalato tuttavia che esso viola il diritto fondamentale a non fornire prove contro sé stessi. Gli obblighi stabiliti da questo articolo possono essere riassunti in un unico dovere di cooperare e collaborare con una procedura che va contro la persona interessata. L’articolo 8 (Decisione di rimpatrio) stabilisce attualmente l’obbligo per gli Stati membri di emettere la decisione di rimpatrio nei confronti del cittadino di paese terzo immediatamente dopo l’adozione della decisione di porre fine a un suo soggiorno regolare, ivi compresa una decisione di non concedergli lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria. Il CESE ritiene che detto articolo vada ampliato per includere la possibilità di offrire ai cittadini dei paesi terzi un’adeguata opportunità di adempiere all’obbligo di lasciare volontariamente il territorio o di cercare possibilità alternative di regolarizzare la loro situazione.

5.5.

L’articolo 9 (Partenza volontaria) prevede che debba essere concesso un periodo congruo di trenta giorni per la partenza volontaria, modificando la disposizione originaria che stabiliva un termine compreso tra sette e trenta giorni. Sebbene l’aver fissato il termine massimo a soli 30 giorni avesse già dato luogo a critiche, l’esistenza di un periodo minimo costituiva comunque una garanzia. L’abolizione di questo termine minimo consente agli Stati membri di non concedere alcun periodo per la partenza volontaria.

5.6.

La nuova misura introdotta all’articolo 13 consente agli Stati membri di imporre un divieto d’ingresso, che non corredi una decisione di rimpatrio, a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno irregolare nel territorio degli Stati membri sia stato scoperto in occasione di verifiche di frontiera svolte nel momento in cui l’interessato lasciava (volontariamente) l’UE. Il CESE ritiene che tale misura costituisca una sanzione imposta a una persona che in quel preciso momento sta rispettando la legge, ossia sta lasciando il territorio dell’UE e ponendo fine al suo soggiorno irregolare. D’altra parte, la misura può essere considerata come uno scudo protettivo contro futuri ingressi nello Stato membro interessato.

5.7.

L’articolo 14 (Gestione dei rimpatri) chiede ad ogni Stato membro di istituire, mettere in opera, mantenere e sviluppare un sistema nazionale di gestione dei rimpatri che tratti tutte le informazioni necessarie all’attuazione della direttiva. Sarà comunque obbligatorio garantire la compatibilità tecnica con il sistema centrale dell’UE. L’articolo prevede inoltre che gli Stati membri istituiscano programmi operativi volti a fornire assistenza alle persone interessate.

5.7.1.

A causa delle carenze del sistema d’informazione Schengen (SIS), sono necessarie misure per migliorare il coordinamento tra gli Stati. È più che certo che a tal fine sarebbe opportuna una regolamentazione esplicita a livello di direttiva, in quanto si tratta di questioni pratiche relative alla gestione.

5.7.2.

La proposta secondo la quale gli Stati membri istituiscono programmi volti a fornire assistenza logistica e finanziaria e assistenza materiale o in natura di altro tipo al fine di sostenere il rimpatrio volontario, compreso il sostegno alla reintegrazione, proviene dalla raccomandazione (UE) 2017/432, e la Commissione deve sostenere, monitorare e valutare la loro creazione.

5.8.

L’articolo 16 riguarda esclusivamente il «solo caso in cui la presente proposta prevede l’obbligo di un effetto sospensivo automatico», vale a dire l’espulsione della persona la cui domanda di protezione internazionale sia stata respinta. Il CESE non è contrario a tale disposizione, tuttavia ritiene che vi siano altri casi in cui l’espulsione dovrebbe essere rinviata automaticamente al fine di rafforzare il quadro delle salvaguardie o garanzie. Questi includono:

i casi in cui sono interessati, direttamente o indirettamente, dei minori;

i casi in cui sono interessati, direttamente o indirettamente, familiari che sono cittadini di Stati membri dell’Unione e che non possono essere compresi nelle disposizioni della direttiva 2004/38/CE;

i casi in cui è possibile dimostrare un rischio per la salute o l’integrità fisica dell’interessato;

i casi di rimpatrio verso paesi considerati non sicuri, tra cui quelli che non rispettano i diritti umani.

5.9.

Per quanto riguarda il trattenimento e la fissazione di un periodo minimo di tre mesi come limite massimo, occorre notare che nella realtà è stato dimostrato che le misure e le procedure necessarie per l’espulsione in un paese terzo sono attuate entro un periodo inferiore a tre mesi oppure non portano praticamente a nulla neppure estendendo questa scadenza, tanto meno quando si ricorre a misure estreme come la privazione della libertà di una persona che non ha commesso alcun reato.

5.10.

Si ripete l’invito a cercare altre soluzioni, come il «Duldung» tedesco o l’«arraigo» spagnolo citati in precedenza, e si ritiene che per determinare se una persona possa essere espulsa o meno occorra un tempo molto inferiore a tre mesi. Il trattenimento o la detenzione preventiva è una misura precauzionale il cui scopo è quello di facilitare il rimpatrio forzato e prevenire la fuga, ma non deve essere consentito utilizzarla come forma occulta di reclusione o come punizione dell’immigrazione irregolare. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE vieta esplicitamente questa forma di reclusione (15).

5.11.

La direttiva dovrebbe pertanto esigere che le strutture destinate a tale trattenimento non siano comparabili o peggiori degli istituti di reclusione, mediante una regolamentazione che impone che la sorveglianza di tali strutture da parte delle autorità di contrasto dello Stato non sia mai interna, ma solo esterna, mentre la sicurezza interna sarà affidata ad altri enti statali, e che in ciascuno Stato membro lo status giuridico dei diritti delle persone trattenute sia, da ogni punto di vista, allo stesso livello di quello dei detenuti o a un livello superiore.

5.12.

La modifica introdotta dal paragrafo 7 dell’articolo 22 è del tutto superflua in quanto la questione è già regolamentata nelle varie procedure di asilo degli Stati membri. In ogni caso, è sproporzionato prevedere la possibilità che una persona, che può essere trattenuta fino a quattro mesi in vista del rimpatrio a seguito del rifiuto della sua domanda di asilo, possa essere nuovamente sottoposta a questa procedura senza soluzione di continuità per un nuovo periodo di sei mesi allo stesso scopo, ovvero quello del suo rimpatrio.

5.13.

Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che l’efficacia della politica di rimpatrio dell’UE dipende anche dalla cooperazione dei paesi di origine. Sebbene l’UE abbia già compiuto alcuni progressi al riguardo, il CESE invita la Commissione a proseguire gli sforzi in quest’ambito e, nel contempo, a incoraggiare gli Stati membri a trarre il massimo beneficio dai risultati conseguiti e a fare pieno uso dei meccanismi introdotti.

Bruxelles, 23 gennaio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2018) 634 final.

(2)  GU C 85 dell'8.4.2003, pag. 51.

(3)  COM(2002) 175 final.

(4)  Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 348 del 24.12.2008, pag. 15).

(5)  Raccomandazione (UE) 2017/432 della Commissione, del 7 marzo 2017, per rendere i rimpatri più efficaci nell'attuazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 66 dell’11.3.2017, pag. 15).

(6)  Cfr. il parere del Comitato economico e sociale europeo su «I costi della non immigrazione e non integrazione (GU C 110 del 22.3.2019, pag. 1).

(7)  Riunione del Consiglio europeo, 18.10.2018, Conclusioni.

(8)  Riunione del Consiglio europeo, 18.10.2018, Conclusioni.

(9)  OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) - Migration: Flow Monitoring Europe («Migrazione: monitoraggio dei flussi – Europa»).

(10)  GU C 85 dell'8.4.2003, pag. 51.

(11)  Cfr. la relazione della Research Social Platform on Migration and Asylum sul tema Migration - Crackdown on NGO's assisting refugees and other migrants ("Migrazione - la repressione delle ONG che assistono i rifugiati e altri migranti").

(12)  GU C 85 dell'8.4.2003, pag. 51.

(13)  Articoli 32 e 33 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158 del 30.4.2004, pag. 77).

(14)  FF. Comunicazione n. 1493/2006, Williams Lecraft/Spagna.

(15)  Sentenze C-47/15 e C-61/11.


10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/60


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le misure di conservazione e di controllo da applicare nella zona di regolamentazione dell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale e che abroga il regolamento (CE) n. 2115/2005 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1386/2007 del Consiglio

[COM(2018) 577 final — 2018/0304 (COD)]

(2019/C 159/09)

Relatore generale: Gabriel SARRÓ IPARRAGUIRRE

Consultazione

Consiglio, 03/09/2018

 

Parlamento europeo, 10/09/2018

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, e articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sessione plenaria

23/01/2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

104/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene necessario il recepimento nel diritto dell’UE delle misure di conservazione e di controllo adottate dall’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale (NAFO), al fine di conseguire un’applicazione uniforme ed efficace di dette misure all’interno dell’UE.

1.2.

Ciononostante, secondo il CESE, la proposta in esame non istituisce un meccanismo agevole per il recepimento delle norme approvate dalla NAFO, né tiene conto della necessità di aggiornarle con cadenza annuale.

1.3.

Il CESE è favorevole a un meccanismo più agevole e semplice e, per tale motivo, propone l’adozione di un regolamento, composto di un unico articolo, in cui si stabilisca che l’Unione europea deve imperativamente applicare alla sua flotta le norme approvate dalla NAFO.

1.4.

Il CESE sottolinea il rischio insito nel ricorso al sistema degli atti delegati, mediante il quale viene conferito alla Commissione il potere di legiferare senza dover passare per le procedure ordinarie.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1.

La proposta in esame è volta a recepire nel diritto dell’Unione le misure adottate dalla NAFO tra il 2008 e il 2017, che è l’anno di entrata in vigore della convenzione NAFO modificata. Poiché tali misure vengono modificate ogni anno, la proposta prevede il recepimento di quelle più recenti e istituisce un meccanismo per accelerare e facilitare le misure che dovranno essere applicate in futuro.

2.2.

È così prevista una delega di poteri alla Commissione affinché possa stabilire le misure connesse alle condizioni di operatività dei pescherecci che esercitano la loro attività in questa zona di regolamentazione. Queste misure riguardano, ad esempio, le possibilità di pesca (limitazioni dei contingenti e/o dello sforzo di pesca), la chiusura delle attività di pesca, le catture accessorie, la pesca di determinate specie ittiche (razza, gamberello boreale e ippoglosso nero), la conservazione degli squali, gli attrezzi da pesca utilizzati, la protezione degli ecosistemi marini vulnerabili, nonché l’ispezione e il controllo dell’attività di pesca. In totale, vengono stabiliti trenta tipi di misure.

2.3.

Infine, la proposta abroga i regolamenti (CE) n. 2115/2005 (1) e n. 1386/2007 (2), entrambi del Consiglio.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE ritiene necessario il recepimento nel diritto dell’UE delle misure di conservazione e di controllo adottate dalla NAFO, al fine di conseguire un’applicazione uniforme ed efficace di dette misure all’interno dell’UE.

3.2.

Ciononostante, tenuto conto che la NAFO modifica ogni anno le misure di conservazione e di controllo, per il CESE la proposta in esame non istituisce un meccanismo agevole né per il recepimento delle norme approvate dalla NAFO, né per il loro aggiornamento con cadenza annuale.

3.3.

Secondo il CESE, il meccanismo più agevole per tener conto di tali aggiornamenti periodici delle norme adottate in ambito NAFO consisterebbe nell’adozione di un regolamento, redatto in maniera snella e formato da un unico articolo, in cui venisse stabilito l’impegno dell’Unione europea ad applicare imperativamente ai propri pescherecci le norme adottate ogni anno dalla NAFO, adducendo a giustificazione proprio la necessità di aggiornare periodicamente almeno le norme riguardanti i trenta settori proposti.

3.4.

Se non si procederà in questo modo, il CESE segnala il rischio di un possibile sfasamento permanente tra le norme approvate in ambito NAFO e la legislazione adottata dall’UE, con tutta l’incertezza giuridica che ne potrebbe risultare.

3.5.

Il CESE esprime preoccupazione per la riduzione concatenata dei termini previsti per taluni adempimenti, dato che la Commissione riduce i termini per specifiche comunicazioni da parte degli Stati membri e questi, a loro volta, sono obbligati a ridurre i termini stabiliti per chi opera a bordo dei pescherecci.

3.6.

Secondo il CESE, l’unica semplificazione derivante dal ricorso al sistema degli atti delegati è che la Commissione può stabilire norme senza dover passare per le procedure ordinarie.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

All’articolo 5, paragrafo 1, viene stabilito che gli Stati membri provvedono affinché «i limiti di cattura e di sforzo» siano applicati agli stock indicati nelle possibilità di pesca. Il CESE ritiene che occorra modificare tale paragrafo nel modo seguente: «i limiti di cattura e/o di sforzo».

4.2.

L’articolo 28, relativo alle comunicazioni elettroniche nel quadro del programma di osservazione, presenta una formulazione poco chiara non solo al paragrafo 3, ma soprattutto al paragrafo 1, dato che non si capisce se possa riferirsi all’osservatore elettronico pur senza menzionarlo esplicitamente. Per questo motivo, il CESE ritiene che l’interpretazione del contenuto di questo articolo possa dare adito a confusione.

4.3.

Infine, secondo il CESE, il paragrafo 1, lettera a), dell’articolo 31 relativo alle procedure di sorveglianza non spiega chiaramente in che modo sia possibile effettuare una valutazione volumetrica, oppure una valutazione della composizione delle catture di una retata, senza aver condotto un’ispezione.

Bruxelles, 23 gennaio 2019

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Regolamento (CE) n. 2115/2005 del Consiglio, del 20 dicembre 2005, che istituisce un piano di ricostituzione per l’ippoglosso nero nell’ambito dell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nordoccidentale (GU L 340 del 23.12.2005, pag. 3).

(2)  Regolamento (CE) n. 1386/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, che stabilisce le misure di conservazione e di esecuzione da applicare nella zona di regolamentazione dell’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nord-occidentale (GU L 318 del 5.12.2007, pag. 1).


Comitato economico e sociale europeo

10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Centro europeo di competenza industriale, tecnologica e di ricerca sulla cibersicurezza e la rete dei centri nazionali di coordinamento

[COM(2018) 630 final - 2018/0328 (COD)]

(2019/C 159/10)

Relatore: Antonio LONGO

Correlatore: Alberto MAZZOLA

Consultazione

Consiglio europeo, 5.10.2018

Parlamento europeo, 1.10.2018

Base giuridica

Articoli 173, paragrafo 3, 188 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

9.1.2019

Adozione in sessione plenaria

23.1.2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

143/5/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente l’iniziativa della Commissione e la considera funzionale allo sviluppo di una strategia industriale per la cibersicurezza e strategica per raggiungere una solida ed ampia autonomia digitale. Tali fattori sono indispensabili per rafforzare i meccanismi di difesa europea a fronte della guerra cibernetica in atto che rischia di compromettere i sistemi politici, economici e sociali.

1.2.

Il Comitato rileva che qualunque strategia sulla cibersicurezza non possa prescindere da una consapevolezza diffusa e da comportamenti sicuri attuati da tutti gli utenti.

1.3.

Il Comitato condivide gli obiettivi generali della proposta ed è consapevole che specifici aspetti di funzionamento saranno oggetto di un’analisi successiva. Tuttavia, trattandosi di un regolamento, ritiene che taluni aspetti sensibili relativi alla governance, al finanziamento e al raggiungimento degli obiettivi prefissati dovrebbero essere definiti in anticipo. È importante che la futura rete e il Centro europeo facciano tesoro, quanto più possibile, delle capacità cibernetiche e delle conoscenze specialistiche degli Stati membri, e che non vi sia una concentrazione eccessiva dei compiti nell’istituendo Centro europeo. Inoltre, è necessario evitare che gli ambiti di intervento della futura rete e del Centro si sovrappongano a quelli dei meccanismi di cooperazione e delle istituzioni esistenti.

1.4.

Il CESE sostiene l’allargamento della collaborazione al mondo industriale, sulla base di impegni fermi in termini scientifici e d’investimento, includendolo in futuro nel consiglio di direzione. Nell’ipotesi di una collaborazione tripartita tra Commissione europea, Stati membri e Industria, la presenza di imprese provenienti da paesi non-UE dovrebbe limitarsi a quelle da tempo stabilitesi sul suolo europeo e pienamente coinvolte nella base tecnologica e industriale europea, a condizione che siano sottoposte ad adeguati meccanismi di screening e controllo, nonché al rispetto del principio di reciprocità e degli obblighi di riservatezza.

1.5.

La cibersicurezza deve essere un impegno comune di tutti gli Stati membri, che quindi devono partecipare al consiglio di direzione con modalità da definire. In merito al contributo finanziario degli Stati membri, si potrebbe attingere alla dotazione dei fondi europei destinati a ciascuno.

1.6.

La proposta dovrebbe meglio esplicitare con quale modalità il Centro potrà intervenire nel coordinare i finanziamenti dei programmi Europa digitale e Orizzonte Europa e soprattutto secondo quali linee guida saranno stilati ed assegnati eventuali appalti. Questo aspetto è fondamentale per evitare duplicazioni o sovrapposizioni. Inoltre, al fine di aumentare la dotazione finanziaria, si raccomanda di estendere le sinergie con altri strumenti finanziari dell’UE (ad esempio fondi regionali, fondi strutturali, CEF, EDF, InvestEU…).

1.7.

Il CESE ritiene fondamentale definire le modalità di cooperazione e i rapporti tra il Centro europeo e i centri nazionali. Inoltre, è importante che i centri nazionali siano finanziati dall’UE, almeno per i costi amministrativi, facilitando l’armonizzazione amministrativa e delle competenze al fine di ridurre il gap esistente tra gli Stati europei.

1.8.

Il Comitato ribadisce l’importanza del capitale umano ed auspica che il Centro di competenze possa promuovere, in collaborazione con le università, i centri di ricerca e i centri di alta formazione, un’educazione e formazione di eccellenza, anche attraverso specifici percorsi didattici universitari e nelle scuole superiori. Analogamente, è fondamentale prevedere un sostegno specifico per le start-up e le PMI.

1.9.

Il CESE ritiene fondamentale chiarire meglio i rispettivi ambiti di competenza e le linee di demarcazione tra il mandato del Centro e quello dell’European Network and Information Security Agency (ENISA), definendo con chiarezza le modalità di collaborazione e reciproco supporto ed evitando sovrapposizioni di competenze e duplicazione di sforzi. Analoghi problemi si pongono con altri organismi che si occupano di cibersicurezza come l’EDA, Europol e CERT-EU, e si raccomanda la creazione di altrettanti meccanismi di dialogo strutturato tra i vari enti.

2.   Quadro attuale della cibersicurezza

2.1.

La cibersicurezza è uno dei temi in testa all’agenda dell’UE, in quanto è un fattore irrinunciabile per la difesa delle istituzioni, delle aziende, dei cittadini, nonché uno strumento necessario per la tenuta stessa delle democrazie. Tra i fenomeni più preoccupanti si segnala l’aumento esponenziale dei malware diffusi in rete attraverso sistemi automatici, passati da 130 mila nel 2007 a 8 milioni nel 2017. Inoltre l’Unione è un importatore netto di prodotti e soluzioni di cibersicurezza, il che genera un problema di competitività economica e di sicurezza civile e militare.

2.2.

Sebbene l’UE vanti importanti competenze ed esperienze nel campo della cibersicurezza, l’industria del settore, le università e i centri di ricerca appaiono ancora frammentati, disallineati e svincolati da una strategia condivisa di sviluppo. Questo è dovuto al fatto che i settori pertinenti in materia di cibersicurezza (es. energia, spazio, difesa e trasporti) non sono sostenuti a sufficienza, così come non vengono valorizzate le sinergie tra la cibersicurezza civile e della difesa.

2.3.

Per far fronte alle sfide crescenti, l’Unione ha fissato una strategia per la cibersicurezza nel 2013 per promuovere un ecosistema cibernetico affidabile, sicuro e aperto (1). Successivamente, nel 2016, sono state adottate le prime misure specifiche per la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi (2). Questo percorso ha portato alla creazione del partenariato pubblico-privato («cPPP») sulla cibersicurezza.

2.4.

Nel 2017 la comunicazione intitolata «Resilienza, deterrenza e difesa: verso una cibersicurezza forte per l’UE» (3) rilevava la necessità di garantire il mantenimento e lo sviluppo di capacità tecnologiche essenziali in materia di sicurezza informatica per tutelare il mercato unico digitale e, in particolare, per proteggere reti e sistemi informativi critici e fornire servizi fondamentali di cibersicurezza.

2.5.

Quindi, l’Unione deve essere in grado di salvaguardare le proprie risorse e processi digitali e competere sul mercato mondiale della cibersicurezza fino a raggiungere una solida ed ampia autonomia digitale (4).

3.   Le proposte della Commissione

3.1.

Il Centro di competenza (o «Centro») avrà l’obiettivo di agevolare e coordinare il lavoro della rete dei centri nazionali e fungere da riferimento per la comunità delle competenze in materia di cibersicurezza, impostando l’agenda tecnologica in tema di cibersicurezza e facilitando l’accesso alle competenze acquisite.

3.2.

In particolare, il Centro dovrebbe attuare le parti pertinenti dei programmi Europa digitale e Orizzonte Europa stanziando fondi e occupandosi degli appalti. Visti gli investimenti ingenti in cibersicurezza che sono stati fatti in altre parti del mondo e considerata la necessità di un coordinamento e di una condivisione delle risorse del settore in Europa, viene proposto di configurare il Centro di competenza come partenariato europeo con una doppia base legale, di modo che risultino agevolati gli investimenti congiunti dell’Unione, degli Stati membri e/o dell’industria.

3.3.

La proposta prevede che gli Stati membri contribuiscano con un importo commisurato alle attività del Centro di competenza e della rete. La dotazione finanziaria prevista dall’UE è di circa 2 miliardi di EUR da parte del programma Europa digitale; un importo proveniente dal programma Orizzonte Europa da determinare; un contributo complessivo degli Stati membri almeno pari a quello comunitario.

3.4.

Il principale organo decisionale sarà il consiglio di direzione, nel quale saranno rappresentati tutti gli Stati membri, ma avranno diritto di voto soltanto quelli che contribuiscono finanziariamente. Il meccanismo di voto seguirà il principio della doppia maggioranza, fissata al 75 % del contributo finanziario e al 75 % dei voti. La Commissione deterrà il 50 % dei voti. Il Centro sarà assistito da un consiglio consultivo industriale e scientifico che garantirà il dialogo con le aziende, i consumatori e gli altri soggetti interessati.

3.5.

Operando a stretto contatto con la rete dei centri nazionali di coordinamento e la comunità delle competenze in materia di cibersicurezza, il Centro costituirebbe l’organo esecutivo principale per le risorse finanziarie dell’UE dedicate alla sicurezza informatica nell’ambito dei programmi proposti, Europa digitale e Orizzonte Europa.

3.6.

I centri nazionali di coordinamento saranno selezionati dagli Stati membri. Questi dovranno disporre di competenze tecnologiche in materia di cibersicurezza o devono potervi accedere direttamente, in particolare in ambiti quali la crittografia, i servizi di sicurezza delle TIC, la rilevazione automatica di intrusioni, la sicurezza dei sistemi, delle reti, del software e delle applicazioni e gli aspetti umani e sociali della sicurezza e della privacy. Inoltre devono essere in grado di interagire e di coordinarsi efficacemente con l’industria, il settore pubblico, fra cui le autorità designate ai sensi della direttiva 2016/1148.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie favorevolmente l’iniziativa della Commissione e la considera strategica per lo sviluppo della cibersicurezza in attuazione di quanto deciso in occasione del vertice di Tallinn del settembre 2017. In tale circostanza i capi di Stato e di governo hanno invitato l’UE a diventare «un leader mondiale della cibersicurezza entro il 2025, al fine di garantire la fiducia, la sicurezza e la tutela dei nostri cittadini, dei nostri consumatori e delle nostre imprese online e di fare sì che Internet sia libero e regolamentato».

4.2.

Il CESE ribadisce che è in atto una vera e propria guerra cibernetica che rischia di compromettere i sistemi politici, economici e sociali, aggredendo i sistemi informatici di istituzioni, infrastrutture critiche (energia, trasporti, banche e istituti finanziari…) e imprese, e condizionando altresì con le fake-news i processi elettorali e democratici in generale (5). Occorre quindi una presa di coscienza forte e una reazione ferma e tempestiva. Per tali ragioni è necessario stabilire una chiara e ben supportata strategia industriale per la cibersicurezza come precondizione indispensabile al raggiungimento dell’autonomia digitale. Il CESE ritiene che il programma di lavoro dovrebbe dare la priorità a settori individuati dalla direttiva (UE) 2016/1148, che si applica alle aziende fornitrici di servizi essenziali, siano esse pubbliche o private, a causa della loro rilevanza per la società (6).

4.3.

Il Comitato rileva che qualunque strategia sulla cibersicurezza non possa prescindere da una consapevolezza diffusa e da comportamenti sicuri attuati da tutti gli utenti. Per tale ragione, ogni iniziativa tecnologica deve essere accompagnata da adeguate campagne di informazione e sensibilizzazione al fine di creare una «cultura della sicurezza digitale» (7).

4.4.

Il Comitato condivide gli obiettivi generali della proposta ed è consapevole che specifici aspetti di funzionamento saranno oggetto di un’analisi successiva. Tuttavia, trattandosi di un regolamento, ritiene che taluni aspetti sensibili relativi alla governance, al finanziamento e al raggiungimento degli obiettivi prefissati dovrebbero essere definiti in anticipo. È importante che la futura rete e il Centro europeo facciano tesoro, quanto più possibile, delle capacità cibernetiche e delle conoscenze specialistiche degli Stati membri, e che non vi sia una concentrazione eccessiva dei compiti nell’istituendo Centro europeo. Inoltre, è necessario evitare che gli ambiti di intervento della futura rete e del Centro si sovrappongano a quelli dei meccanismi di cooperazione e delle istituzioni esistenti.

4.5.

Il CESE ricorda che, nel suo parere TEN/646 in merito al regolamento sulla cibersicurezza (8), aveva proposto una collaborazione tripartita PPP tra Commissione europea, Stati membri e industria, includendo le PMI, mentre la struttura attuale, la cui forma giuridica deve essere approfondita, prevede sostanzialmente un partenariato pubblico-pubblico tra Commissione europea e Stati membri.

4.6.

Il CESE sostiene l’allargamento della collaborazione al mondo industriale, sulla base di impegni fermi in termini scientifici e d’investimento, includendolo in futuro nel consiglio di direzione. La creazione di un consiglio consultivo industriale e scientifico potrebbe non garantire il costante dialogo con le aziende, i consumatori e gli altri soggetti interessati. Inoltre, nel nuovo contesto disegnato dalla Commissione non appare chiaro quale ruolo avrà l’European Cyber-Security Organization (ECSO), creata nel giugno 2016 su stimolo della Commissione in qualità di controparte della Commissione ed il cui capitale di rete e conoscenze non dovrebbe essere disperso.

4.6.1.

Nell’ipotesi di una collaborazione tripartita è importante prestare attenzione al caso delle aziende provenienti da paesi terzi. In particolare, il CESE sottolinea che questa dovrebbe basarsi su un rigoroso meccanismo per prevenire la presenza di imprese provenienti da Stati non-UE, che potrebbero ostacolare la sicurezza e l’autonomia dell’Unione. Le relative clausole definite nell’EDIDP (9) dovrebbero essere applicate anche in questo contesto.

4.6.2.

Allo stesso tempo, il CESE riconosce che talune imprese provenienti da paesi non-UE, ma da tempo stabilitesi sul suolo europeo e pienamente coinvolte nella base tecnologica e industriale europea, potrebbero essere molto utili per i progetti comunitari, e dovrebbero potervi avere accesso a condizione che gli Stati membri stabiliscano adeguati meccanismi di screening e controllo su tali imprese, nonché a condizione del rispetto del principio di reciprocità e degli obblighi di riservatezza.

4.7.

La cibersicurezza deve essere un impegno comune di tutti gli Stati membri, che quindi devono partecipare al consiglio di direzione con modalità da definire. È altresì importante che tutti gli Stati contribuiscano finanziariamente ed in modo adeguato all’iniziativa della Commissione. In merito al contributo finanziario degli Stati membri, si potrebbe attingere alla dotazione dei fondi europei destinati a ciascuno.

4.8.

Il CESE concorda sul fatto che ogni Stato membro sia libero di designare un proprio rappresentate nel consiglio di direzione del Centro europeo di competenze. Il Comitato raccomanda che i profili curriculari dei rappresentanti nazionali siano chiaramente definiti, integrando le competenze strategiche e tecnologiche con quelle gestionali, amministrative e di bilancio.

4.9.

La proposta dovrebbe meglio esplicitare in quale modalità il Centro potrà intervenire nel coordinare i finanziamenti dei programmi Europa Digitale e Orizzonte Europa, ad oggi ancora oggetto di negoziato, e soprattutto secondo quali linee guida saranno stilati ed assegnati eventuali appalti. Questo aspetto è fondamentale per evitare duplicazioni o sovrapposizioni. Inoltre, al fine di aumentare la dotazione finanziaria, si raccomanda di estendere le sinergie con altri strumenti finanziari dell’UE (ad esempio fondi regionali, fondi strutturali, CEF, EDF, InvestEU). Il Comitato auspica che la rete dei centri nazionali sia coinvolta nella gestione e nel coordinamento di fondi.

4.10.

Il CESE nota che il Comitato consultivo dovrebbe essere composto di 16 membri e che non si esplicitano i meccanismi con i quali si dovrebbe attingere al mondo dell’impresa, dell’università, della ricerca e dei consumatori. Il Comitato ritiene utile ed opportuno che i componenti di tale comitato si contraddistinguano per le elevate conoscenze in materia e siano rappresentativi in modo equilibrato dei diversi settori coinvolti.

4.11.

Il CESE ritiene importante definire le modalità di cooperazione e i rapporti tra il Centro europeo e i centri nazionali. Inoltre, è importante che i centri nazionali siano finanziati dall’UE, almeno per i costi amministrativi, facilitando l’armonizzazione amministrativa e delle competenze al fine di ridurre il gap esistente tra gli Stati europei.

4.12.

In linea con i suoi precedenti pareri (10), il CESE sottolinea l’importanza dell’educazione e formazione di eccellenza di risorse umane nel settore della cibersicurezza, anche attraverso specifici corsi scolastici, universitari e post-universitari. È altresì importante offrire adeguato sostegno finanziario alle PMI e start-up del settore (11), fondamentali nello sviluppo della ricerca di punta.

4.13.

Il CESE ritiene fondamentale chiarire meglio i rispettivi ambiti di competenza e le linee di demarcazione tra il mandato del Centro e dell’ENISA, definendo con chiarezza le modalità di collaborazione e reciproco supporto ed evitando sovrapposizioni di competenze e duplicazione di sforzi (12). Nella proposta di regolamento si prevede la presenza di un delegato dell’ENISA come osservatore permanente in consiglio di direzione, ma detta presenza non è garanzia di un dialogo strutturato tra i due organismi. Analoghi problemi si pongono con altri organismi che si occupano di cibersicurezza come l’EDA, Europol e CERT-EU. A tal proposito è interessante il memorandum d’intesa siglato nel maggio 2018 tra ENISA, EDA, Europol e CERT-EU.

Bruxelles, 23 gennaio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  JOIN (2013) 1 final.

(2)  Direttiva (UE) 2016/1148 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell'Unione (GU L 194 del 19.7.2016, pag. 1).

(3)  JOIN (2017) 450 final.

(4)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 86

(5)  Relazione informativa sul tema L'uso dei media per influenzare i processi politici e sociali nell'UE e nei paesi del vicinato orientale, Vareikytė, 2014.

(6)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 86.

(7)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 86.

(8)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 86.

(9)  COM(2017) 294.

(10)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 25.

(11)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 86.

(12)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 86.


COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che adatta la direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’efficienza energetica [modificata dalla direttiva (UE) 2018/2002] e il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio [Governance dell’Unione dell’energia], a motivo del recesso del Regno Unito dall’Unione europea

[COM(2018)744 final - 2018/0385 (COD)]

(2019/C 159/11)

Relatore generale: Séamus BOLAND

Consultazione

Parlamento europeo, 15.11.2018

Consiglio dell’Unione europea, 26.11.2018

Base giuridica

Articoli 192, paragrafo 1, 194, paragrafo 2, e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Decisione dell’Ufficio di presidenza

11.12.2018

Adozione in sessione plenaria

23.1.2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

106/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di introdurre nella legislazione dell’UE sull’efficienza energetica le modifiche rese necessarie dal recesso del Regno Unito dall’UE.

1.2.

Il CESE riconosce che dette modifiche sono di natura tecnica e si compiace del fatto che esse consentiranno alla nuova Unione a 27 di portare avanti i piani di attuazione della direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (1) sull’efficienza energetica e del regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio (2)sulla governance dell’Unione dell’energia.

1.3.

Il CESE si compiace del fatto che le modifiche proposte non pregiudicheranno l’ulteriore dinamica delle pertinenti direttive in materia di energia, come indicato nell’accordo politico annunciato nel giugno 2018.

1.4.

Il CESE raccomanda all’UE di incoraggiare il Regno Unito ad allinearsi, dopo la Brexit, agli obiettivi di cui all’accordo relativo agli obiettivi specifici enunciati nella direttiva.

1.5.

Il CESE raccomanda che la Commissione europea si impegni a lanciare un’ampia strategia di comunicazione dell’UE volta a garantire che gli obiettivi della direttiva sull’efficienza energetica e del regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia siano raggiunti con urgenza, in particolare dopo la Brexit.

1.6.

Il CESE raccomanda vivamente che l’UE si avvalga di ogni opportunità per coinvolgere la società civile nel conseguimento degli obiettivi di efficienza energetica, comprese le modifiche rese necessarie dalla Brexit.

1.7.

Il CESE invita la Commissione ad evitare accuratamente che le modifiche proposte producano effetti indesiderati in termini di bilancio o di diritti umani.

2.   Contesto

2.1.

La direttiva dell’UE sull’efficienza energetica e il regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia sono strumenti essenziali per garantire che l’UE mantenga i propri impegni riguardo al conseguimento degli obiettivi di efficienza energetica entro il 2030, contribuendo così a onorare gli impegni ambientali che ha assunto nei vari accordi internazionali.

2.2.

Nel quadro della preparazione del recesso del Regno Unito dall’UE, la Commissione europea ha proposto di modificare la legislazione dell’UE in materia di efficienza energetica e il regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia.

2.3.

La proposta è resa necessaria dal fatto che i dati sul consumo energetico indicati nella direttiva riveduta sull’efficienza energetica e nel regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia si basano su un’Unione di 28 Stati e devono quindi essere adeguati a una nuova Unione di 27 membri.

2.4.

La proposta non inciderà sugli obiettivi di efficienza energetica dell’UE indicati nell’accordo politico del giugno 2018, che sottolinea l’impegno a raggiungere un obiettivo di efficienza pari al 32,5 % per il 2030.

3.   Quadro dell’iniziativa

3.1.

Il 23 giugno 2016, in un referendum sulla permanenza nell’UE, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha votato a favore del recesso dall’Unione europea. Tale decisione riguarda anche il territorio di Gibilterra.

3.2.

Il 29 marzo 2017 il Regno Unito ha notificato l’intenzione di recedere dall’Unione. Questo significa che, a meno che non sia ratificato un accordo di recesso in cui si stabilisca una data diversa, tutto il diritto primario e derivato dell’Unione cesserà di applicarsi al Regno Unito a decorrere dal 30 marzo 2019 (la data del recesso). A partire da quella data il Regno Unito sarà un paese terzo.

3.3.

La direttiva sull’efficienza energetica persegue un obiettivo di efficienza energetica del 32,5 % per il 2030, imponendo agli Stati membri di stabilire contributi nazionali indicativi di efficienza energetica.

3.4.

Pertanto gli Stati membri devono tenere conto delle proiezioni riguardanti il consumo energetico dell’Unione.

3.5.

La proposta fa riferimento al regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia, che obbliga inoltre gli Stati membri a tenere conto del consumo energetico del 2030 nella definizione dei loro contributi all’obiettivo dell’Unione per il 2030.

3.6.

Poiché il regolamento sulla governance riprende i valori assoluti di cui alla direttiva sull’efficienza energetica, tali valori devono essere modificati di conseguenza.

3.7.

Le proiezioni dell’UE indicano per il 2030 un consumo di energia primaria non superiore a 1 273 Mtoe (milioni di tonnellate equivalenti petrolio) e un consumo finale non superiore a 956 Mtoe. Proiezioni equivalenti per l’UE a 27 indicano un consumo di energia primaria non superiore a 1 128 Mtoe e un consumo finale non superiore a 846 Mtoe.

3.8.

I principi di sussidiarietà (articolo 5, paragrafo 3, del TUE) e proporzionalità (articolo 5, paragrafo 4, del TUE) sono pienamente rispettati, anzitutto perché la proposta persegue soltanto modifiche tecniche che non riguardano la legislazione già adottata.

3.9.

Tutte le parti interessate hanno già riconosciuto che si tratta di modifiche tecniche necessarie, che consentiranno alla nuova Europa a 27 di perseguire gli obiettivi contenuti nelle pertinenti direttive.

4.   Osservazioni del CESE

4.1.

È evidente che la proposta in esame è intesa a introdurre nella legislazione dell’UE in materia di efficienza energetica e di governance dell’Unione dell’energia una modifica tecnica resa necessaria dal recesso del Regno Unito dall’UE.

4.2.

Risulta inoltre evidente, alla luce dei recenti pareri del CESE sulla governance dell’Unione dell’energia (3) e sulla revisione della direttiva sull’efficienza energetica (4) (relatore: Manoliu), che tutte le raccomandazioni ivi formulate rimangono del tutto valide e devono essere promosse con decisione dal CESE.

4.3.

Anche se la proposta non ha alcuna incidenza su questioni più ampie, quali il bilancio o i diritti umani, è comunque necessario vigilare al fine di evitare ripercussioni non volute sul bilancio o sui diritti umani.

4.4.

Il CESE si compiace che essa rispetti pienamente i principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

4.5.

Preso atto che la proposta è volta a modificare la vigente legislazione in materia di energia e che viene mantenuto un forte impegno a favore di determinati obiettivi, va rilevato che il fatto che il Regno Unito continui o no a conformarsi agli stessi obiettivi, in linea con i 27 Stati membri rimasti, potrebbe incidere sui risultati ottenuti.

4.6.

Il CESE raccomanda quindi di mettere a punto una strategia forte di comunicazione tesa a evitare che la Brexit ingeneri confusione nelle parti interessate circa l’impegno profuso e l’attuazione di piani già concordati fra gli Stati membri riguardo al conseguimento di determinati obiettivi di efficienza energetica.

4.7.

Il CESE osserva che le modifiche proposte sono di natura tecnica e non necessitano di una consultazione pubblica; tuttavia, raccomanda vivamente di approfittare di ogni opportunità per coinvolgere la società civile nel sostegno dei piani di attuazione dei governi.

4.8.

Il CESE prende atto della necessità di tali modifiche tecniche e ritiene che esse contribuiranno a migliorare l’attuazione della direttiva.

4.9.

Il CESE si rallegra del fatto che l’accordo provvisorio del giugno 2018 in merito alla revisione della direttiva sull’efficienza energetica non sarà interessato dalla decisione in esame.

4.10.

A parte la necessità di garantire l’adozione di una strategia di comunicazione per dissipare qualsiasi confusione sul proseguimento dell’attuazione delle direttive, il CESE ritiene che la proposta non inciderà sostanzialmente sui piani adottati dagli Stati membri per conseguire gli obiettivi dichiarati.

Bruxelles, 23 gennaio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE (GU L 315 del 14.11.2012, pag. 1).

(2)  Regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla governance dell'Unione dell'energia e dell'azione per il clima che modifica le direttive (CE) n. 663/2009 e (CE) n. 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 94/22/CE, 98/70/CE, 2009/31/CE, 2009/73/CE, 2010/31/UE, 2012/27/UE e 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive del Consiglio 2009/119/CE e (UE) 2015/652 e che abroga il regolamento (UE) n. 525/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 328 del 21.12.2018, pag. 1).

(3)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 34

(4)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 42


10.5.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 159/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (UE) n. 1305/2013 e (UE) n. 1307/2013 per quanto riguarda alcune norme sui pagamenti diretti e sul sostegno allo sviluppo rurale per gli anni 2019 e 2020»

[COM(2018) 817 final — 2018/0414 (COD)]

(2019/C 159/12)

Consultazione

Parlamento europeo, 13/12/2018

Consiglio dell’Unione europea, 14/12/2018

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2 e articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sessione plenaria

23/01/2019

Sessione plenaria n.

540

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

175/1/5

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 540a sessione plenaria dei giorni 23 e 24 gennaio 2019 (seduta del 23 gennaio), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 175 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

Bruxelles, il 23 gennaio 2019

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER