ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 262

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

61° anno
25 luglio 2018


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

534a sessione plenaria del CESE — Sessione Rinnovo, 18.4.2018 – 19.4.2018

2018/C 262/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Finanziare il pilastro europeo dei diritti sociali (parere d'iniziativa)

1

2018/C 262/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su La strategia LeaderSHIP 2020 — una visione per il settore delle tecnologie marittime: verso un settore marittimo innovativo, sostenibile e competitivo nel 2020 (parere d'iniziativa)

8

2018/C 262/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Coesione economica e sociale e integrazione europea dei Balcani occidentali — sfide e priorità (parere esplorativo)

15

2018/C 262/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Completare il programma Legiferare meglio: soluzioni migliori per conseguire risultati migliori [COM(2017) 651 final] (parere d'iniziativa)

22


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

534a sessione plenaria del CESE — Sessione Rinnovo, 18.4.2018 – 19.4.2018

2018/C 262/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea — Ulteriori tappe verso il completamento dell'unione economica e monetaria dell'Europa: tabella di marcia [COM(2017) 821 final] — Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea — Nuovi strumenti di bilancio per una zona euro stabile nel quadro dell'Unione [COM(2017) 822 final] — Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea su un ministro europeo dell'economia e delle finanze [COM(2017) 823 final] — Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce disposizioni per rafforzare la responsabilità di bilancio e l'orientamento di bilancio a medio termine negli Stati membri [COM(2017) 824 final — 2017/0335 (CNS)] — Proposta di regolamento del Consiglio sull'istituzione del Fondo monetario europeo [COM(2017) 827 final — 2017/0333 (APP)]

28

2018/C 262/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali delle imprese di investimento e che modifica i regolamenti (UE) n. 575/2013, (UE) n. 600/2014 e (UE) n. 1093/2010 [COM(2017) 790 final — 2017/0359 (COD)] e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla vigilanza prudenziale sulle imprese di investimento e recante modifica delle direttive 2013/36/UE e 2014/65/UE [COM(2017) 791 final — 2017/0358 (COD)]

35

2018/C 262/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa a un quadro europeo per apprendistati efficaci e di qualità — [COM(2017) 563 final — 2017/0244 (NLE)]

41

2018/C 262/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1073/2009 che fissa norme comuni per l'accesso al mercato internazionale dei servizi di trasporto effettuati con autobus[COM(2017) 647 final — 2017/0288 (COD)]

47

2018/C 262/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 92/106/CEE relativa alla fissazione di norme comuni per taluni trasporti combinati di merci tra Stati membri[COM(2017) 648 final/2 — 2017/0290(COD)]

52

2018/C 262/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/33/CE, relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada[COM(2017) 653 final — 2017/0291(COD)]

58

2018/C 262/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale[COM(2017) 660 final — 2017/0294 (COD)]

64

2018/C 262/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso l’uso più ampio possibile di combustibili alternativi: un piano d’azione sulle infrastrutture per i combustibili alternativi a norma dell’articolo 10, paragrafo 6, della direttiva 2014/94/UE, compresa la valutazione di quadri strategici a norma dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2014/94/UE[COM(2017) 652 final]

69

2018/C 262/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Mobilità a basse emissioni: manteniamo gli impegni. Un’Unione europea che protegge il pianeta, dà forza ai suoi consumatori e difende la sua industria e i suoi lavoratori[COM(2017) 675 final]

75

2018/C 262/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Comunicazione sul rafforzamento delle reti energetiche europee [COM(2017) 718 final]

80

2018/C 262/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Terza relazione sullo Stato dell’Unione dell’energia[COM(2017) 688 final]

86

2018/C 262/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione europea[COM(2017) 487 final — 2017/0224 (COD)]

94

2018/C 262/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul Piano d’azione dell’UE per il 2017-2019 — Affrontare il problema del divario retributivo di genere[COM(2017) 678 final]

101


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

534a sessione plenaria del CESE — Sessione Rinnovo, 18.4.2018 – 19.4.2018

25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Finanziare il pilastro europeo dei diritti sociali»

(parere d'iniziativa)

(2018/C 262/01)

Relatrice:

Anne DEMELENNE

Decisione dell'Assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d'iniziativa

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

26.3.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

155/3/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

I principi del pilastro europeo dei diritti sociali (il «pilastro sociale») e la necessità di attuarlo, unitamente all'attuazione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, dovrebbero costituire una delle linee guida dei negoziati sul prossimo quadro finanziario pluriennale dell'UE per il periodo successivo al 2020.

1.2.

Realizzare il pilastro sociale richiederà una serie di miglioramenti negli Stati membri. Il quadro di valutazione sociale, elaborato per accompagnare il pilastro, evidenzia i punti deboli e le significative divergenze che si registrano all'interno dell'UE. Per superare queste carenze è necessario un impegno a tutti i livelli, in particolare da parte degli Stati membri, delle parti sociali e dei soggetti della società civile. Bisognerà inoltre prevedere una solida base di bilancio, nonché investimenti e una spesa corrente robusti, e occorrerà riflettere sulle modalità di finanziamento.

1.3.

Le esigenze di spesa sono particolarmente forti in paesi con bassi livelli di reddito e in quelli che hanno registrato un calo del reddito negli ultimi anni. Tutti questi Stati membri devono scontrarsi, in qualche misura, con i vincoli imposti dalle norme dell'UE in materia di bilanci e di livelli del debito. Un margine per un incremento della spesa può essere creato negli Stati membri, con l'aiuto di una serie di programmi dell'UE.

1.4.

Se vengono realizzate le opportune condizioni normative, gli investimenti del settore privato possono dare un contributo in alcuni ambiti, ad esempio per quanto riguarda un accesso più esteso alle tecnologie digitali. Tuttavia, gli investimenti del settore privato non sono di per sé sufficienti e non rappresentano una garanzia contro l'esclusione delle categorie sociali più deboli — un tema, questo, che riveste grande importanza nell'ambito del pilastro sociale.

È possibile promuovere la realizzazione di maggiori investimenti pubblici negli Stati membri con un riferimento ad una «regola d'oro» relativa a investimenti pubblici con una finalità sociale: una simile regola consentirebbe una maggiore flessibilità delle regole di bilancio (1) allo scopo di conseguire gli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali.

1.5.

Un aiuto a realizzare maggiori investimenti pubblici può venire inoltre dal ricorso a strumenti esistenti dell'UE, in particolare ai fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE), i quali possono essere più chiaramente mirati a obiettivi messi in risalto nel pilastro sociale. Anche la Banca europea per gli investimenti può sostenere gli investimenti pubblici con il contributo del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), che negli ultimi anni ha consentito alla BEI di mantenere i propri livelli di credito. Questo sostegno dovrebbe espressamente includere obiettivi collegati al pilastro sociale, dato che questo è conforme al mandato della Banca.

1.6.

Politiche fiscali adeguate, che prevedano anche misure efficaci di lotta contro la frode fiscale, l'elusione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva, dovrebbero consentire agli Stati membri e all'UE di raccogliere risorse supplementari per contribuire al finanziamento del pilastro sociale. Per garantire un impiego efficiente di questi finanziamenti supplementari è necessario applicare i programmi d'azione e le tabelle di marcia per l'attuazione del pilastro sociale che formano parte integrante del semestre europeo, in particolare per quanto riguarda l'elaborazione dei programmi nazionali di riforma e dei programmi di convergenza. A tale proposito, l'UE dovrebbe anche esplorare nuove strade per aumentare le sue risorse proprie.

1.7.

La realizzazione del pilastro sociale richiede la titolarità, la responsabilità e la partecipazione attive delle competenti parti interessate a tutti i diversi livelli: le istituzioni dell'UE, gli Stati membri e gli enti locali e regionali, nonché le parti sociali e altri soggetti della società civile.

2.   Contesto del parere

2.1.

Il pilastro europeo dei diritti sociali, che è stato proclamato e firmato dal Consiglio dell'UE, dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea il 17 novembre 2017, è stato concepito come un passo avanti inteso a rafforzare i diritti sociali e a produrre effetti positivi sulla vita delle persone nel breve e medio termine. La realizzazione degli obiettivi di tale «pilastro sociale» dipende dall'impegno e dalla responsabilità condivisi tra l'Unione europea, gli Stati membri e le parti sociali.

2.2.

Il pilastro riflette la dichiarata consapevolezza da parte dei leader di 27 Stati membri del fatto che è prioritario affrontare l'insicurezza economica e sociale (2). Tra i motivi per cui è urgente realizzare il pilastro sociale si possono citare: gli insufficienti risultati economici e sociali registrati in molti paesi dal 2008 ad oggi; le nuove opportunità offerte e le nuove sfide poste dalla globalizzazione, dai cambiamenti climatici, dai movimenti migratori di grandi dimensioni, dalla digitalizzazione e dall'invecchiamento demografico; l'accresciuta diversità dei livelli economici e sociali all'interno dell'UE sulla scia della crisi finanziaria ed economica; e gli sviluppi politici verificatisi in numerosi paesi che implicano una minaccia per l'unità e la coesione future dell'Europa. Fare in modo che l'UE meriti «una 'tripla A' del sociale» è stato indicato come un obiettivo «altrettanto importante della 'tripla A' in campo economico-finanziario» dal Presidente eletto della Commissione europea nel discorso pronunciato dinanzi al Parlamento europeo nell'ottobre 2014 (3). Per conseguire questo traguardo è chiaramente necessario che ciascun livello all'interno dell'UE si faccia carico delle proprie responsabilità. Il raggiungimento di un simile obiettivo dovrebbe riuscire a migliorare la coesione, la stabilità politica e sociale e i risultati economici, senza dimenticare l'importanza degli stabilizzatori automatici in caso di shock economici.

2.3.

Il CESE ha già riconosciuto (4) che il pilastro sociale è una dichiarazione politica di intenti, dal momento che non è tuttora disponibile una chiara tabella di marcia per la sua attuazione. Sotto questo aspetto, il pilastro è ancora incompleto e manca del riconoscimento di nuovi diritti e doveri. Nel contesto di un'economia solida e di una tassazione equa, devono essere messe a disposizione adeguate risorse finanziarie a livello di Stati membri con il sostegno dell'Unione europea: sarà, questo, un aspetto di fondamentale importanza per la realizzazione del pilastro sociale.

2.4.

La Commissione europea dovrebbe presentare le sue proposte per il prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) nel maggio 2018. È essenziale che il pilastro sociale, unitamente agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, rappresentino una delle linee guida che le istituzioni europee e gli Stati membri seguiranno nel predisporre il prossimo bilancio dell'UE che verrà applicato sul lungo periodo a partire dal 2020.

2.5.

La corretta attuazione del pilastro sociale dipenderà dalla realizzazione di opportune riforme politiche nei vari Stati membri, ad esempio per quanto riguarda l'introduzione di meccanismi adeguati per la creazione di posti di lavoro di qualità, per il miglioramento delle competenze e per la garanzia di un impiego efficiente delle risorse pubbliche. Sulla scia di raccomandazioni formulate in precedenti pareri, il CESE invoca l'attuazione di riforme strutturali orientate allo sviluppo sociale ed economico: un maggior numero di posti di lavoro di migliore qualità, crescita sostenibile, qualità dell'amministrazione e delle istituzioni, e sostenibilità ambientale (5). Queste riforme non dovrebbero risultare dall'adozione di un approccio indifferenziato per tutti gli Stati membri, bensì essere specifiche per ciascun paese e coerenti con i programmi nazionali di riforma (PNR) al fine di migliorare il benessere e godere di sostegno democratico (6).

2.6.

Per attuare correttamente il pilastro sociale sarà inoltre necessario potenziare le risorse finanziarie disponibili (7). Attualmente la spesa dell'UE destinata agli affari sociali rappresenta, in media, appena lo 0,3 % del totale della spesa pubblica sociale nell'UE, e la maggior parte di tale quota proviene dai bilanci degli Stati membri (8). L'uscita del Regno Unito dall'Unione europea avrà conseguenze molto rilevanti per il bilancio dell'UE. Il CESE sottolinea che occorre mettere a disposizione risorse sufficienti per l'attuazione delle politiche sociali: appoggia la richiesta del Parlamento europeo secondo cui l'attuale massimale dell'1 % previsto per la spesa dell'UE dovrebbe essere aumentato portandolo all'1,3 % dell'RNL (9), e ritiene che incrementare le risorse proprie dell'UE, ad esempio con un aumento dell'IVA, sarebbe particolarmente ingiusto sul piano sociale. Il Comitato insiste inoltre sulla necessità di destinare maggiori risorse al sostegno alla politica di coesione, oltre che al sostegno per i lavoratori e i cittadini in generale. Particolare attenzione sarà rivolta all'acquisizione di competenze da parte dei lavoratori quale fattore di rafforzamento dell'economia. Al tempo stesso, il CESE conviene quanto al fatto che l'aumento dei finanziamenti non dovrebbe essere limitato ai soli settori della sicurezza, della difesa e del controllo delle frontiere esterne. Il Fondo sociale europeo è un fattore di spinta importante verso una maggiore convergenza e il CESE sottolinea ancora una volta che, se si vogliono vincere le sfide future, esso non dovrebbe subire alcun taglio in vista del prossimo quadro finanziario pluriennale dell'UE (10).

2.7.

Il quadro di valutazione sociale che accompagna la pubblicazione del pilastro europeo dei diritti sociali da parte della Commissione (11) è pensato come uno strumento per monitorare i progressi compiuti verso il traguardo di un'Europa più giusta dotata di una dimensione sociale rafforzata. Le critiche rivolte a questo specifico strumento hanno riguardato la scelta di taluni indicatori, i periodi selezionati per svolgere i confronti e, in alcuni casi, le relative interpretazioni (12). Il CESE ha già chiesto di migliorare il quadro di valutazione sociale (13).

2.8.

In alcuni casi gli indicatori utilizzati sono chiaramente inadeguati, ad esempio per quanto riguarda i progressi registrati nel ridurre il divario retributivo e occupazionale tra uomini e donne. Sia gli uni che le altre hanno subito una diminuzione delle ore di lavoro prestate, ma tale riduzione è maggiore per gli uomini che per le donne, cosicché un divario più ridotto (l'indicatore usato nel quadro di valutazione sociale) non riflette un netto miglioramento. Inoltre i periodi selezionati per valutare i progressi compiuti variano, talvolta si tratta di un solo anno e talvolta di periodi più lunghi, fino a risalire a prima dello scoppio della crisi nel 2008. Un periodo di tempo più lungo è più idoneo per individuare le tendenze più a lungo termine. Non solo, ma gli indicatori vanno interpretati con una certa flessibilità e adattati nel corso del tempo, servendosi di conoscenze e competenze che evolvono con il tempo e attingendo a dati da fonti come Eurofound. La revisione e l'aggiornamento degli indicatori dovrebbe essere frutto di una discussione aperta, in cui siano coinvolte le parti sociali e altri soggetti della società civile.

2.9.

Malgrado queste riserve, il quadro di valutazione sociale fornisce un'indicazione delle dimensioni del lavoro che ci aspetta se intendiamo raggiungere gli obiettivi prefissi. Dal quadro emergono punti deboli in tutti gli Stati membri e livelli significativamente divergenti tra i paesi UE che possono portare a un aumento delle disuguaglianze sociali. Non in tutti gli Stati membri si sono chiaramente raggiunti livelli accettabili di reddito, nonché di condizioni di vita, di sicurezza sociale, di prestazioni sociali, di tasso di istruzione e di accesso alle tecnologie digitali.

2.10.

I dati sui tassi di occupazione e di disoccupazione mostrano quanto grandi siano le divergenze. Il tasso di occupazione in Grecia è del 56 %, mentre in Svezia è arrivato all'81 %. Il tasso di disoccupazione in Grecia è pari al 23 % a fronte del 4 % in Germania, il livello più basso nell'intera UE. Questi dati tratti dal quadro di valutazione sociale indicano ampie divergenze di condizione sociale in tutta l'UE, con livelli molto più elevati di potenziale non utilizzato in alcuni paesi rispetto ad altri.

2.11.

Numerosi altri indicatori puntano nella stessa direzione. Ad esempio, la percentuale di abbandono prematuro dell'istruzione tocca il 20 % della popolazione di età compresa tra i 18 e i 24 anni in Spagna, ma è inferiore al 3 % in Croazia. Quest'ultimo dato può fornire un quadro distorto delle condizioni generali della gioventù croata: in base all'indicatore del tasso di disoccupazione giovanile, infatti, la situazione della Croazia è tra le peggiori dell'UE in questo campo. La percentuale di popolazione a rischio di povertà è del 40 % in Bulgaria, a fronte di una media UE del 23 %.

2.12.

Il tasso di NEET (14) (percentuale di giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni che non lavorano, non studiano e non seguono una formazione) va dal 20 % dell'Italia a meno del 5 % nei Paesi Bassi. Il sostegno all'attivazione (inclusi formazione, incentivi all'occupazione e misure analoghe) è adottato dal 54 %, di chi vuole lavorare in Danimarca, ma da meno del 3 % di chi vuole lavorare in Bulgaria.

2.13.

La percentuale di bambini da 0 a 3 anni che beneficiano di un'assistenza all'infanzia a tempo pieno va dall'1,1 % in Slovacchia a oltre il 77 % in Danimarca. La percentuale di esigenze di assistenza sanitaria non soddisfatte, di solito a causa di restrizioni finanziarie, è, secondo quanto riferito, di oltre il 12 % in Estonia e in Grecia, ma è invece trascurabile in Austria.

2.14.

Nell'UE nel suo complesso il 44 % della popolazione dispone di un livello insufficiente di competenze digitali, ma la percentuale va dal 74 % in Bulgaria al 14 % nel Lussemburgo.

2.15.

Realizzare il pilastro sociale, quindi, non solo migliorerebbe le condizioni sociali e del mercato del lavoro di molti cittadini europei, ma, così facendo, rafforzerebbe anche il potenziale economico dell'Unione europea. Il pilastro significherebbe una convergenza verso l'alto per i paesi che oggi rimangono ancora indietro. Benché alcuni indicatori mostrino che si sono registrati miglioramenti proprio nell'ultimo periodo, questo non è vero per tutti e, anche in tal caso, permangono ampi divari.

2.16.

Fare del pilastro sociale una realtà costituirà una sfida enorme, tale da richiedere l'impegno degli Stati membri con il sostegno dell'Unione europea. Sarà inoltre necessario coinvolgere pienamente le parti sociali, nonché incoraggiarne e promuoverne le iniziative congiunte, in particolare la conclusione di accordi collettivi e l'ottenimento di un ambito di applicazione migliorato di tali accordi, soprattutto in materia di sicurezza e qualità dell'occupazione, condizioni salariali e salute e sicurezza sul lavoro. Anche le organizzazioni della società civile, grazie alle loro competenze e alla loro conoscenza dei problemi, possono fornire un contributo determinante. Un apporto importante può venire anche dall'imprenditoria privata attraverso partenariati pubblico-privato e investimenti nello sviluppo di competenze e qualifiche all'interno delle imprese.

3.   Ambiti d'intervento

3.1.

Le diverse fasi di un'ulteriore attuazione del pilastro possono prevedere l'adozione di nuove misure sia legislative che non legislative, e in particolare la garanzia che le politiche già concordate siano effettivamente attuate negli Stati membri, il ricorso al semestre europeo e le raccomandazioni specifiche per paese formulate nel quadro del relativo processo (15). Il coinvolgimento delle parti sociali a tutti i livelli è essenziale per attuare con successo queste iniziative.

3.2.

Le raccomandazioni specifiche per paese del 2015 e/o del 2016 riguardavano una serie di settori menzionati anche nel pilastro sociale, soprattutto in tema di pensioni, servizi pubblici, assistenza sociale, assistenza sanitaria, assistenza all'infanzia, alloggi, miglioramento delle competenze, politiche attive del mercato del lavoro e istruzione.

3.3.

Perché abbiano un senso, tuttavia, queste raccomandazioni devono basarsi sul presupposto che saranno messi a disposizione i finanziamenti necessari ad attuarle. L'UE può svolgere un ruolo positivo al riguardo attraverso il suo ventaglio di programmi e grazie alla flessibilità della sua regolamentazione in materia di bilanci pubblici e livelli di debito pubblico.

3.4.

Le questioni degli investimenti e dei finanziamenti emergono a vario titolo in tutti i settori contemplati dal pilastro sociale. Il quadro di valutazione sociale è di aiuto anche nel dimostrare che è necessario realizzare investimenti in settori specifici in tutti gli Stati membri, e in particolare in quelli con i livelli di reddito più bassi. Pertanto il tema del finanziamento del pilastro sociale è collegato a questioni di politica macroeconomica, a politiche di governance economica orientate verso la convergenza — e non la divergenza — sociale, al dibattito sulla gestione della zona euro e alle politiche di promozione degli investimenti, compresi gli investimenti sociali.

3.5.

Il CESE ha già illustrato gli argomenti a favore dei molteplici effetti positivi derivanti da investimenti sociali ben pianificati, efficaci ed efficienti: questi, come riconosce la Commissione europea nel suo pacchetto di investimenti sociali, dovrebbero essere considerati non come un fattore di costo ma come un investimento nel potenziale di crescita e di occupazione dell'Europa. Il CESE si è rammaricato che non si sia fatto di più per attuare questi obiettivi in modo efficace. Gli investimenti sociali generano in prospettiva una serie di ricadute economiche e sociali in termini di incremento dell'occupazione o dei redditi da lavoro, migliori condizioni generali di salute, riduzione della disoccupazione, migliore livello di istruzione, diminuzione della povertà e dell'esclusione sociale, ecc. Inoltre, essi apportano più benessere e prosperità ai singoli, oltre a favorire nel contempo la ripresa economica garantendo una forza lavoro meglio qualificata, un'accresciuta produttività e un aumento dell'occupazione. Tali investimenti, in particolare quando promuovono la crescita sostenibile, contribuirebbero anche a rafforzare le qualifiche e le competenze dei cittadini e a migliorare le loro opportunità nella società e nel mercato del lavoro, nonché a stimolare l'economia, aiutando l'UE a superare la crisi diventando più forte. Inoltre essi assicurerebbero una spesa pubblica più efficiente ed efficace, con conseguenti risparmi dei bilanci pubblici nelle finanze a medio e a lungo termine (16). Il CESE ha inoltre messo in evidenza i costi a lungo termine dell'inazione e dei mancati investimenti nel settore sociale. Non solo, ma a tale riguardo ha pure messo l'accento sull'importanza di investire in solidi sistemi di sicurezza sociale, i quali hanno anche una funzione di stabilizzatore automatico (17).

3.6.

Tra le questioni elencate nel pilastro sociale che è impossibile affrontare senza maggiori investimenti o con gli attuali livelli di spesa figurano: il diritto ad un'istruzione, una formazione e un apprendimento permanente di qualità e inclusivi; il sostegno alla ricerca di un impiego; il miglioramento della parità di genere e la riduzione del divario retributivo di genere; la prevenzione della povertà lavorativa; l'accesso ai servizi di assistenza; l'accessibilità economica dei servizi di educazione e cura della prima infanzia; un'adeguata protezione sociale; indennità di disoccupazione adeguate; pensioni che garantiscano un reddito adeguato; una vecchiaia dignitosa; un'assistenza sanitaria preventiva e curativa di qualità e a prezzi accessibili; servizi di assistenza a lungo termine di qualità e a prezzi accessibili; alloggi sociali o assistenza abitativa di qualità; e infine l'accesso all'acqua, ai servizi igienico-sanitari, all'energia, ai trasporti, ai servizi finanziari e alle comunicazioni digitali.

3.7.

I principali fondi dell'UE destinati a sostenere la crescita economica e sociale sono i fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE), l'iniziativa a favore dell'occupazione giovanile (Youth Employment Initiative — YEI), i programmi per la competitività e il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). Gli investimenti possono anche essere realizzati attingendo ai bilanci degli Stati membri e a risorse del settore privato.

3.8.

I fondi strutturali e di investimento europei sono la fonte di risorse finanziarie più importante, oltre che dotata di procedure complesse per il controllo e la valutazione degli investimenti, che in un precedente parere il CESE ha indicato come uno strumento idoneo per effettuare un maggior numero di investimenti nell'economia reale. I fondi SIE hanno portato ad un aumento degli investimenti pubblici nei paesi con livelli di reddito più bassi, ma non sono stati sufficienti a compensare la diminuzione degli investimenti provenienti da altre fonti o a garantire una rapida convergenza a livello economico e sociale. È importante fare in modo che questi fondi siano potenziati e aumentati, al fine di accompagnare gli sforzi di attuazione del pilastro sociale. Il CESE ribadisce di essere favorevole a rivedere i regolamenti che disciplinano i fondi SIE e di voler migliorare la valutazione dell'efficacia e dell'efficienza del contributo fornito da tali fondi (18).

3.9.

È possibile garantire che gli investimenti siano mirati per allinearli con gli obiettivi del pilastro sociale, tanto sotto il profilo delle attività intraprese quanto in termini di clausole di garanzia di condizioni di lavoro eque e di sostegno a gruppi sociali altrimenti esclusi.

3.10.

Il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) fornisce una garanzia alla Banca europea per gli investimenti che consente a quest'ultima di mantenere livelli di credito che, in assenza della garanzia, avrebbero dovuto subire una riduzione. Come nel caso dei progetti della BEI in generale, il FEIS può sostenere progetti coerenti con gli obiettivi del pilastro sociale, e questo è quel che avviene in alcuni casi (a sostegno di alcune imprese sociali e di determinati progetti di assistenza sanitaria e sociale). Si è osservata una tendenza a sostenere maggiormente progetti commerciali tradizionali, tanto che le ricadute sociali positive sono più un sottoprodotto che un obiettivo in sé.

3.11.

Il CESE ha invocato un rafforzamento della dimensione sociale degli interventi del FEIS ad esempio in materia di istruzione, formazione e formazione professionale per le competenze e l'apprendimento permanente, sviluppo delle industrie creative e culturali, soluzioni sanitarie e medicine innovative, servizi sociali, alloggi sociali e assistenza all'infanzia, infrastrutture turistiche e di protezione dell'ambiente. Il piano di investimenti per l'Europa dovrebbe sostenere chiaramente gli impegni assunti nel quadro della COP 21 (19).

3.12.

Inoltre, non viene posto sufficientemente l'accento sulla valutazione e sulla supervisione di progetti relativi alle condizioni di lavoro, all'inclusione di gruppi svantaggiati e agli investimenti in infrastrutture fisiche per i servizi sociali.

3.13.

Poiché inizialmente era stato preso l'impegno ad evitare qualsiasi considerazione di carattere geografico nell'assegnazione delle risorse del FEIS, certi paesi UE a basso reddito, che pure possono dimostrare di averne grandemente bisogno, ricevono una quota molto ridotta di tali fondi. Con opportune modifiche alle norme è possibile garantire che, nella seconda fase d'intervento, venga data priorità ai paesi meno sviluppati.

3.14.

Il finanziamento della realizzazione del pilastro sociale dipenderà anche in gran parte dalle risorse disponibili a livello di singolo Stato membro. Saranno necessari fondi attinti ai bilanci pubblici da destinare agli investimenti ma anche ai costi di esercizio delle attività nei prossimi anni, e questo potrebbe scontrarsi con i vincoli imposti dalle norme dell'UE in materia di bilancio e di debito (20). Come già ribadito dal CESE in più occasioni (21), si dovrebbero prendere in considerazione dei modi per rafforzare la flessibilità consentita all'interno di queste regole, introducendo ad esempio una «regola d'oro» che permetta di realizzare investimenti pubblici con una finalità sociale, allo scopo di conseguire gli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali, in particolare aumentando i livelli di reddito, rafforzando la coesione sociale, prevenendo l'esclusione di gruppi svantaggiati che non potrebbero altrimenti partecipare pienamente alla società, e generando al tempo stesso una crescita economica sostenibile.

3.15.

Per il finanziamento degli obiettivi sociali è essenziale anche la responsabilità delle imprese. Gli investimenti privati non consentiranno, da soli, di realizzare gli obiettivi del pilastro sociale: dovrebbe quindi esserci un margine perché gli investimenti privati, abbinati alla responsabilità pubblica, diano un contributo in molti dei settori interessati (tra cui, ad esempio, occupazione, miglioramento delle competenze digitali e assistenza sociale), soprattutto con gli adeguati quadri normativi e un qualche sostegno finanziario fornito da risorse pubbliche, come i fondi strutturali e di investimento europei e/o la BEI.

3.16.

La necessità di risorse finanziarie per attuare il pilastro sociale andrebbe riconosciuta e pianificata. Sono già disponibili quadri istituzionali idonei. La missione affidata ai fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE) e al FEIS dovrebbe essere meglio precisata in modo da fare esplicito riferimento al pilastro sociale, e i costi relativi al perseguimento degli obiettivi del pilastro dovrebbero poter trovare spazio sia nel bilancio dell'UE che nei bilanci degli Stati membri.

3.17.

Infine, nel quadro della lotta contro la frode fiscale, i paradisi fiscali e la pianificazione fiscale aggressiva, e nell'ottica di una riduzione della concorrenza fiscale sleale tra Stati membri (22), andrebbero rafforzate le misure adottate dalla Commissione europea in materia di tassazione equa (relative alle società multinazionali e ai singoli contribuenti) nonché le misure per contrastare l'appropriazione indebita delle risorse del bilancio dell'UE e le frodi in materia (23). Per quanto riguarda la ricerca di nuove fonti di gettito fiscale per finanziare il pilastro sociale, sarebbe opportuno, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, promuovere forme di tassazione che tengano conto della capacità contributiva di ciascuno, pur senza pregiudicare gli incentivi ad una crescita economica sostenibile.

3.18.

Quanto al finanziamento del bilancio dell'UE, il CESE concorda con l'analisi svolta nella relazione sul Futuro finanziamento dell'UE del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie, in cui si chiede un bilancio dell'Unione costituito in prevalenza da risorse proprie autonome, trasparenti ed eque (24). Inoltre, il CESE ritiene che dovrebbe essere realizzato un aumento del bilancio.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Trarre insegnamento dal passato per evitare il rigore delle politiche di austerità nell'UE, punto 1.6, non ancora pubblicato; Politica economica della zona euro 2018, punti 1.8 e 3.6, non ancora pubblicato; GU C 327 del 12.11.2013, pag. 11; Analisi annuale della crescita 2018, punto 1.4, non ancora pubblicato; GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21.

(2)  Opuscolo sul Pilastro europeo dei diritti sociali, pag. 6, (ISBN 978-92-79-74092-3).

(3)  http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-14-1525_it.htm

(4)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145.

(5)  Ad esempio: migliorare il contesto economico, il finanziamento delle imprese e la spesa in R&S; aumentare la produttività di imprese, settori ed economie; promuovere la creazione di posti di lavoro di qualità e con salari migliori riducendo al tempo stesso il numero di posti di lavoro temporanei e precari con bassi salari; rafforzare la contrattazione collettiva e l'autonomia delle parti sociali nel quadro di tale processo, nonché il dialogo sociale a livello locale, regionale, nazionale ed europeo; riformare la pubblica amministrazione per renderla più efficiente per lo sviluppo economico e sociale, oltre che più trasparente per i cittadini; promuovere sistemi di istruzione e formazione di qualità per i lavoratori al fine di creare pari opportunità e di conseguire risultati per tutti i gruppi sociali.

(6)  Sostegno alle riforme strutturali negli Stati membri, punto 3.9, non ancora pubblicato.

(7)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145.

(8)  Documento di riflessione sulla dimensione sociale dell'Europa, pag. 24.

(9)  Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2018 sul prossimo QFP: preparazione della posizione del Parlamento in merito al QFP per il periodo successivo al 2020 (2017/2052(INI)) (correlatori: Jan Olbrycht, Isabelle Thomas), punto 14.

(10)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145; GU C 81 del 2.3.2018, pag. 131.

(11)  https://composite-indicators.jrc.ec.europa.eu/social-scoreboard/#

(12)  Galgoczi, B. et al, The Social Scoreboard Revisited (Il quadro di valutazione sociale riconsiderato), ETUI (Istituto sindacale europeo), 2017.

(13)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145.

(14)  Not in education, employment or training (persone che non lavorano, non studiano né seguono una formazione).

(15)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145.

(16)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.

(17)  GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21.

(18)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 94.

(19)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 57.

(20)  GU C 177 del 18.5.2016, pag. 35.

(21)  Trarre insegnamento dal passato per evitare il rigore delle politiche di austerità nell'UE, punto 1.6, non ancora pubblicato; Politica economica della zona euro 2018, punti 1.8 e 3.6, non ancora pubblicato; GU C 327 del 12.11.2013, pag. 11; Analisi annuale della crescita 2018, punto 1.4, non ancora pubblicato; GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21.

(22)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 131.

(23)  Analisi annuale della crescita 2018, punto 3.3.4, non ancora pubblicato.

(24)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 131.


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «La strategia LeaderSHIP 2020 — una visione per il settore delle tecnologie marittime: verso un settore marittimo innovativo, sostenibile e competitivo nel 2020»

(parere d'iniziativa)

(2018/C 262/02)

Relatore:

Marian KRZAKLEWSKI

Correlatore:

Patrizio PESCI

Decisione dell'Assemblea plenaria

1.6.2017

Base giuridica

Art. 29, par. 2, del Regolamento interno

 

Parere d'iniziativa

 

 

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

4.4.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

197/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) raccomanda che tutti i servizi della Commissione moltiplichino gli sforzi per assumersi la responsabilità di completare l'iniziativa LeaderSHIP 2020 («LS 2020») e per preparare e attuare la nuova strategia per il settore — LeaderSHIP 2030 («LS 2030») — collaborando con le parti interessate pertinenti.

1.2.

Dato che la strategia è stata adottata nel 2013, le relative conclusioni e raccomandazioni sono state dettate dalle conseguenze della crisi economica del 2008. Negli ultimi anni, tuttavia, sono sopravvenuti numerosi sviluppi che pongono gravi sfide e creano nuove opportunità per le industrie marittime in Europa. Il CESE raccomanda pertanto alla Commissione di aiutare maggiormente queste industrie ad affrontare tali sfide e a cogliere tali opportunità.

1.3.

Nell'annunciare la strategia LS 2020, la Commissione e le parti interessate hanno concordato insieme 19 raccomandazioni, la cui applicazione dovrebbe consentire l'attuazione concreta della strategia. Nel corso dell'audizione, le parti interessate del settore hanno valutato l'applicazione di tali raccomandazioni in un'indagine i cui risultati sono discussi nella sezione 3 del presente parere.

1.3.1

Il CESE osserva che, se si considerano tutte le raccomandazioni 4 anni dopo l'annuncio della strategia, risulta che esse sono attuate in misura diseguale e, in media, soltanto per il 25 %. Le raccomandazioni relative al pilastro «Ricerca, sviluppo e innovazione» sono state attuate in modo abbastanza soddisfacente. Positiva, ma non altrettanto avanzata, risulta essere l'attuazione delle raccomandazioni relative al pilastro «Occupazione e competenze», eccezion fatta per quelle riguardanti l'apprendimento informale. Meno avanzata si presenta l'attuazione delle raccomandazioni in materia di «Miglioramento dell'accesso al mercato e condizioni di concorrenza eque», i cui progressi sono stati valutati pari al 20 % soltanto. Le raccomandazioni meno attuate sono quelle relative al pilastro «Accesso ai finanziamenti», applicate in media solo per il 15 %, eccezion fatta per le misure volte a promuovere i finanziamenti erogati dalla BEI. Il CESE invita la Commissione e le parti interessate ad accelerare e migliorare l'attuazione della strategia e a tradurre in pratica le principali raccomandazioni proposte dalle parti stesse per la nuova strategia per il settore: LeaderSHIP 2030.

1.4.

Dall'audizione è emerso con chiarezza che il settore delle tecnologie marittime (TM) riveste per l'Europa una cruciale importanza strategica ed è in condizioni relativamente buone, malgrado le numerose difficoltà con cui ha dovuto confrontarsi negli ultimi due decenni, in particolare in seguito alla crisi economica. Per contro, i cantieri navali asiatici si trovano in condizioni molto difficili, anche a causa delle massicce politiche di aiuti di Stato. Tuttavia, proprio a causa dei loro problemi attuali, i concorrenti asiatici, e in particolare la Cina, aumenteranno la pressione competitiva sull'industria europea. Il CESE raccomanda quindi alla Commissione di adottare un quadro che garantisca realmente parità di condizioni di concorrenza a livello globale per il settore europeo delle TM.

1.5.

Il governo e le banche cinesi garantiranno pieno sostegno finanziario alle imprese di Stato di quel paese, impegnate nell'attuazione della strategia, recentemente annunciata da Pechino, che punta a scalzare l'Europa dalla sua posizione di leader nel settore della costruzione di navi sofisticate come quelle da crociera e in un comparto tecnologicamente avanzato come quello delle attrezzature marittime. In un siffatto contesto, il CESE raccomanda alla Commissione di adottare una politica industriale e manifatturiera forte, basata sulla reciprocità, che consenta al settore europeo delle tecnologie marittime di resistere alla concorrenza.

1.6.

Le industrie marittime devono attualmente fare i conti con le sfide poste dalla normativa in materia e dall'evoluzione della società. Sul piano normativo, tale settore è sottoposto a pressioni volte a migliorarne le prestazioni in termini di tutela dell'ambiente e di sicurezza sia generale che tecnica. Per quanto riguarda il contesto sociale, la digitalizzazione, l'automazione, la cibersicurezza o l'Internet degli oggetti sono altrettante tecnologie potenzialmente dirompenti che potrebbero trasformare radicalmente il futuro del settore marittimo. Nel contempo, però, queste stesse sfide creano opportunità interessanti per il settore europeo delle TM. Il CESE raccomanda pertanto alla Commissione di stimolare gli investimenti del settore europeo delle TM in ricerca, sviluppo e innovazione (RSI) — ad esempio attraverso un partenariato pubblico-privato (PPP) — allo scopo di far fronte alle necessità del settore. L'RSI riveste un'importanza cruciale affinché il settore europeo delle TM mantenga una posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti del resto del mondo.

1.7.

Il settore europeo delle TM nutre un interesse crescente per lo sfruttamento sostenibile del potenziale economico dei mari e degli oceani. L'energia eolica in mare, le energie oceaniche o l'acquacoltura sono solo alcuni esempi al riguardo. Per liberare appieno questo potenziale e sfruttare le nuove possibilità (ad esempio ai fini dello stoccaggio energetico in mare), il CESE raccomanda alla Commissione di sostenere il settore europeo delle tecnologie marittime con un PPP blu.

1.8.

A differenza che per i loro concorrenti asiatici, per i cantieri navali e i fabbricanti di attrezzature marittime europei l'accesso ai finanziamenti è un problema rilevante. In un settore a così alta intensità di capitale, gli strumenti finanziari esistenti a livello europeo sono o troppo poco conosciuti oppure del tutto inadeguati. Il CESE invita quindi la Commissione ad attivare e mobilitare uno strumento finanziario specifico che rafforzi gli investimenti in un settore ad alta intensità di capitale di rischio come è quello europeo delle TM.

1.9.

Il CESE reputa che il sottosettore della marina militare svolga un ruolo molto importante nel mantenere la «massa critica» dell'intero settore europeo della costruzione navale e costituisca, inoltre, un fattore trainante per la ricerca e l'innovazione nel settore delle TM e al di là di esso; e chiede pertanto alla Commissione che, nel prosieguo dell'iniziativa LeaderSHIP, l'industria della difesa navale sia uno dei pilastri di tale strategia.

1.10.

Per rimanere competitivo e innovativo, il settore europeo delle TM ha bisogno di applicare nuove tecnologie e disporre di manodopera qualificata e formata in modo appropriato. Il CESE consiglia quindi alla Commissione di continuare ad appoggiare con decisione il lavoro delle parti sociali del settore della cantieristica navale in sede di Consiglio europeo delle competenze per il settore delle tecnologie marittime, e richiama l'attenzione della Commissione stessa sulla necessità di promuovere iniziative guidate dalle imprese e conoscenze specifiche per porre rimedio agli squilibri tra domanda e offerta di competenze nel settore.

1.11.

Il CESE ha esaminato con attenzione le conclusioni della relazione intitolata New trends in the shipbuilding and marine supply industries (1), e invita la Commissione a collaborare con SEA Europe, IndustriALL e le altre parti interessate al fine di attuare le raccomandazioni formulate nella relazione.

2.   Contesto del parere

Situazione attuale del settore europeo delle tecnologie marittime

2.1.

Il settore europeo delle tecnologie marittime comprende tutte le imprese coinvolte nella progettazione, costruzione, manutenzione e riparazione di ogni tipo di navi e altre strutture marittime, inclusa l'intera catena dell'indotto (sistemi, attrezzature e servizi), e si avvale del contributo di centri di ricerca scientifica e di formazione. Le imprese europee sono leader nell'innovazione in questo settore e forniscono ogni anno la metà delle attrezzature marittime prodotte nel mondo.

2.2.

I cantieri navali europei riscuotono notevole successo nelle attività di costruzione, riparazione, manutenzione e trasformazione di navi civili e militari di tipo tecnologicamente avanzato, quali ad esempio navi da crociera, traghetti, navi e impianti offshore, fregate o sottomarini. Essi, inoltre, producono e forniscono tecnologie connesse con lo sviluppo della «crescita blu» (energie offshore, acquacoltura, estrazione mineraria dai fondali marini ecc.). Il settore europeo della cantieristica navale realizza un fatturato annuo di circa 31 miliardi di euro, occupa direttamente oltre 200 000 persone e in Europa conta attualmente circa 300 stabilimenti (2).

2.3.

I produttori e i fornitori europei di attrezzature marittime sono i leader mondiali di questo mercato: tra piccoli medi e grandi, sono circa 22 000 e forniscono una gran varietà di materiali, sistemi, tecnologie e apparecchiature o prestano servizi nel campo dell'ingegneria e della consulenza; realizzano un fatturato annuo di circa 60 miliardi di euro, occupano direttamente oltre 350 000 persone e detengono una quota pari al 50 % del mercato mondiale.

2.4.

Il settore europeo delle tecnologie marittime investe in RSI il 9 % dei ricavi, realizzando così l'intensità di investimenti in RSI più elevata d'Europa.

2.5.

Il settore mondiale della cantieristica navale si trova oggi ad affrontare una delle crisi più gravi da diversi anni a questa parte; finora l'anno più difficile è stato il 2016, ma si prevede che nei prossimi due o tre anni la situazione sarà ancora peggiore. Il calo della domanda di trasporti di merci via mare registratosi in Asia ha condotto a una drastica diminuzione delle commesse. Solo l'Europa è riuscita, dopo il 2012, a mantenere una tendenza all'aumento degli ordini, senza peraltro beneficiare di sovvenzioni o altre forme di sostegno finanziario. Nel contempo, però, i fabbricanti di attrezzature marittime europei si trovano ad affrontare le conseguenze negative della drastica contrazione del portafoglio ordini dell'Asia.

2.6.

Nel 2016 nei cantieri navali europei il valore delle nuove ordinazioni ha superato quello delle unità già consegnate. Il valore complessivo dei contratti per nuove navi conclusi da costruttori europei ammontava a 14,7 miliardi di dollari USA, pari al 55 % del valore dei nuovi ordini in tutto il mondo.

2.7.

La competitività dei paesi dell'Asia orientale si fonda in gran parte su politiche nazionali protezionistiche, consistenti tra l'altro in sovvenzioni e altri aiuti finanziari e in requisiti sostanziali locali. Inoltre, per la costruzione di nuove navi, tali paesi (a differenza di quelli europei) si rivolgono sistematicamente ai propri cantieri navali. Gli armatori europei, invece, hanno trasferito i loro ordini per la costruzione di navi da trasporto merci (ma anche di navi di supporto agli impianti offshore) dai cantieri navali europei a quelli asiatici. Per i cantieri navali europei, ciò ha comportato, nell'ultimo decennio, un cambiamento nella composizione del portafoglio ordini costruzioni, orientatisi verso tipologie navali sofisticate, a maggiore valore aggiunto. Ed è interessante notare come questo cambiamento abbia avuto luogo in un periodo in cui lo stesso settore europeo dei trasporti marittimi beneficiava di programmi di sostegno fiscale o finanziario.

Contesto della strategia LeaderSHIP 2020

2.8.

L'attuale strategia LeaderSHIP 2020 (3) prende le mosse dall'iniziativa LeaderSHIP 2015 lanciata nel 2003, il cui obiettivo era reagire in maniera coordinata alle sfide che attendevano il settore europeo della costruzione navale. In essa l'accento principale era posto sulle azioni fondate sulla conoscenza e sulla necessità di migliorare il rendimento degli investimenti effettuati dalla cantieristica navale nella RSI.

2.9.

Nel 2008, tuttavia, anche il settore europeo delle costruzioni navali è stato colpito dalla crisi mondiale, i cui effetti si fanno sentire ancora oggi. Si è quindi reso necessario approntare una risposta forte, nella forma di una nuova strategia: LeaderSHIP 2020.

2.10.

La relazione del 2013 che espone la strategia LS 2020 è frutto del lavoro di un ampio gruppo di parti interessate, in particolare rappresentanti degli operatori del settore, della Commissione, del Parlamento europeo e delle parti sociali (SEA Europe e IndustriALL).

2.11.

La strategia individua una serie di qualità che contraddistinguono il settore in questione: innovatività, rispetto dell'ambiente, specializzazione nei mercati delle tecnologie avanzate, efficienza sotto il profilo energetico e capacità di espandersi su nuovi mercati.

2.12.

La relazione che presenta la strategia LS 2020 la articola in quattro «pilastri», nel senso di ambiti d'intervento prioritari:

occupazione e competenze,

miglioramento dell'accesso al mercato e condizioni di concorrenza eque,

accesso ai finanziamenti,

ricerca, sviluppo e innovazione.

3.   Valutazione dello stato di avanzamento dell'attuazione delle raccomandazioni formulate nella strategia LS 2020

3.1.

La valutazione dell'attuazione delle raccomandazioni formulate nella strategia LS 2020 è stata compiuta sulla base dell'indagine condotta presso i partecipanti all'audizione pubblica. Qui di seguito vengono presentati i risultati di tale indagine.

3.2.

Per quanto riguarda l'attuazione delle misure rientranti nel pilastro «Occupazione e competenze», in generale si ritiene che siano stati compiuti moderati progressi. Qui le raccomandazioni meglio attuate sono quelle relative alla «creazione di un sottogruppo specifico per il settore delle TM nell'ambito del sistema ESCO» e alla «promozione del settore delle TM» (stato di avanzamento valutato intorno al 30 %). È invece stata valutata negativamente («nulla di fatto») l'attuazione della raccomandazione di effettuare uno studio sul riconoscimento dell'apprendimento informale. Altre raccomandazioni rientranti in questo pilastro sono state ritenute attuate per il 15-20 %.

3.3.

L'attuazione delle raccomandazioni relative al secondo pilastro («Miglioramento dell'accesso al mercato e condizioni di concorrenza eque») è valutata piuttosto negativamente. Qui tre azioni sono già state avviate, ossia quelle riguardanti: il gruppo di lavoro dell'OCSE sulla cantieristica navale; una più stretta cooperazione tra le imprese del settore e la Commissione sulle questioni della tutela della proprietà intellettuale e dell'applicazione delle norme OMI; il ricorso agli strumenti di politica commerciale esistenti e gli sforzi volti a concludere accordi di libero scambio. Il loro stato di avanzamento è valutato intorno al 20 %. Le altre misure raccomandate in relazione a questo pilastro sono state attuate in misura trascurabile.

3.4.

Riguardo al pilastro «Accesso ai finanziamenti», le parti hanno ravvisato progressi (valutati intorno al 20-30 %) soltanto nell'attuazione della raccomandazione di «valutare e promuovere le opportunità di finanziamento offerte dalla BEI e le possibilità di ampliare le sue attività di prestito». L'attuazione della raccomandazione di «vagliare le possibilità di funzionamento di un PPP blu» è stimata al 15 %, mentre la della raccomandazione di «esaminare la possibilità di garantire le risorse necessarie per un finanziamento a lungo termine da parte della Commissione» è rimasta praticamente lettera morta (5 %).

3.5.

L'attuazione delle raccomandazioni riguardanti l'RSI autorizza un moderato ottimismo: quella di tre di esse è ormai giunta a metà percorso o persino oltre. Queste le valutazioni in dettaglio:

studio della fattibilità di progetti di PPP nel campo dell'RSI per il settore delle TM: 50 %,

inserimento, da parte della Commissione, di disposizioni sull'RSI nella normativa UE in materia di aiuti di Stato a favore della cantieristica navale, in vista della scadenza del relativo regolamento: 60 %,

analisi della possibilità di destinare fondi strutturali alla diversificazione del settore delle TM, specie nel contesto delle strategie regionali per la specializzazione intelligente: 45 %,

sviluppo, da parte del settore delle TM, di un ampio PPP a livello UE volto a orientare la ricerca marittima verso navi a emissioni zero, ad alta efficienza energetica ecc.: 30 %.

4.   Osservazioni generali e specifiche riguardo all'attuazione delle priorità della strategia LeaderSHIP 2020

Occupazione e competenze

4.1.

Vi è la forte necessità di porre rimedio alla penuria di competenze, sviluppare le abilità dei lavoratori e garantire le formazioni e riqualificazioni corrispondenti, nell'ottica di mantenere una massa critica di conoscenze e di know-how nel settore europeo delle tecnologie marittime. È quindi importante sostenere e proseguire i lavori avviati dalle parti sociali con il progetto relativo al Consiglio delle competenze (4). Inoltre, è altrettanto essenziale che le parti sociali siano coinvolte e consultate dalle istituzioni europee nel processo di definizione delle politiche e in merito ad ogni iniziativa dell'UE che interessi il settore, e che le organizzazioni di categoria che rappresentano i datori di lavoro e i lavoratori continuino ad essere associate al dialogo, specie nel quadro del dialogo sociale.

4.2.

I lavoratori devono disporre di una formazione adeguata, che consenta loro di affrontare con successo le sfide poste dall'industria 4.0 nonché dalla futura evoluzione tecnologica (ad esempio dalla digitalizzazione). In futuro i lavoratori del settore delle tecnologie marittime dovranno possedere le competenze necessarie per cogliere le opportunità e affrontare le sfide dell'«economia blu».

4.3.

Occorre moltiplicare gli sforzi per migliorare l'attrattiva del settore. Si dovrebbero censire e far conoscere le diverse possibilità di carriera offerte ai suoi lavoratori, nonché accrescere la mobilità degli studenti (programma Erasmus per il settore delle tecnologie marittime). La Commissione dovrebbe continuare a garantire il suo pieno sostegno alle attività svolte a livello europeo da SEA Europe e IndustriALL nel quadro del comitato di dialogo sociale per questo settore.

Miglioramento dell'accesso al mercato e condizioni di concorrenza eque

4.4.

L'industria europea continua a dover far fronte alla concorrenza sleale dei paesi terzi anche nel settore della costruzione navale e, in misura sempre crescente, in quello delle attrezzature marittime. La crisi provocata in Asia dall'eccesso di capacità produttiva, a sua volta causato dalle massicce sovvenzioni statali, induce le autorità pubbliche dei paesi di tale regione del mondo a voler sostenere i cantieri navali locali e i produttori locali di attrezzature marittime, il che si traduce in un maggiore impulso all'esportazione. Vi è quindi una maggiore pressione concorrenziale sui cantieri navali e i produttori di attrezzature marittime europei.

4.5.

I cantieri navali asiatici concentrano adesso l'attenzione sui floridi mercati europei delle tipologie navali più avanzate, come le navi da crociera e quelle per il trasporto passeggeri. Inoltre, nei documenti ufficiali intitolati «Made in China 2025» e «China Manufacturing 2025», la Repubblica popolare cinese ha dichiarato di puntare alla leadership mondiale nella costruzione di navi ad alta tecnologia (come ad esempio quelle da crociera) e nella produzione di attrezzature marittime avanzate: essa, dunque, sarà una diretta concorrente di quei mercati europei che oggi riscuotono tanto successo. Tale politica riceve il pieno sostegno del governo cinese, sotto forma di aiuti di Stato, e rappresenta una minaccia per il settore europeo delle tecnologie marittime.

4.6.

Per quanto riguarda il mercato statunitense, esso rimane ancora chiuso in virtù della legge Jones. L'allentamento delle restrizioni che essa impone e l'apertura di tale mercato potrebbero offrire al settore della costruzione navale alcune allettanti opportunità. L'UE deve continuare a insistere affinché tale apertura abbia luogo, benché il clima politico oggi prevalente negli Stati Uniti sia maggiormente incline al protezionismo.

4.7.

Come la Cina, gli Stati Uniti, il Giappone o la Corea del Sud, i responsabili politici dell'UE e degli Stati membri dovrebbe rendersi conto che l'industria della costruzione navale e la produzione di attrezzature marittime dell'Unione costituiscono settori strategici della sua economia, che richiedono un'attenzione e un approccio specifici sia in un'ottica commerciale che dal punto di vista della tecnica navale.

4.8.

La Commissione dovrebbe puntare a concludere un accordo a livello mondiale che stabilisca i principi in materia di controllo delle sovvenzioni e, se del caso, quelli della disciplina dei prezzi nel quadro dell'OCSE (associandovi però la Cina), nonché appoggiare le azioni intraprese in tal senso.

4.9.

La reciprocità tra l'Europa e i paesi terzi è essenziale, e dovrebbe quindi costituire il principio guida dei negoziati commerciali sia bilaterali che multilaterali nonché delle questioni relative all'accesso ai mercati. È fondamentale per rendere l'industria europea, compreso il settore delle TM, più competitiva nei confronti dei suoi concorrenti a livello mondiale. Pertanto, qualora le imprese europee che operano in paesi terzi debbano far fronte a misure protezionistiche, l'UE dovrà applicare le medesime restrizioni nei confronti delle imprese di tali paesi che desiderino fare affari con l'Europa. Solo in questo modo vi sarebbe una concorrenza più equa per i cantieri navali europei e l'industria europea delle attrezzature marittime.

Accesso ai finanziamenti

4.10.

La Commissione ha spesso presentato il FEIS (lo strumento finanziario del piano Juncker) come uno strumento di finanziamento per l'industria. Ciò nonostante, però, la sua portata e i benefici che esso offre sono ancora poco conosciuti, anche perché è orientato principalmente alle PMI. Occorre perciò spiegare e far conoscere meglio tale strumento e i benefici che esso può apportare al settore delle tecnologie marittime.

4.11.

La cantieristica navale richiede una grande quantità di capitali, tuttavia, negli ultimi anni i cantieri navali europei incontrano maggiori difficoltà nell'ottenere finanziamenti, mentre i loro concorrenti stranieri beneficiano di incentivi finanziari, anche sotto forma di aiuti di Stato. La Commissione dovrebbe quindi considerare la possibilità di creare un sistema ad hoc che garantisca alla cantieristica navale europea, settore ad alta intensità di capitale, un accesso più agevole ai finanziamenti.

4.12.

Si dovrebbe fare uso di incentivi finanziari (ad es. tramite i programmi di finanziamento europei, come il meccanismo per collegare l'Europa) per consentire agli armatori di investire in navi, attrezzature o tecnologie rispettose dell'ambiente, con un rendimento degli investimenti in Europa.

4.13.

Va esaminata la possibilità di adottare un regime specifico per il settore, che fornisca incentivi in grado di migliorare la competitività globale del settore europeo delle TM e nel contempo eviti l'insorgere di situazioni che ingenerino tensione tra gli Stati membri dell'UE. A questo proposito, è possibile (almeno in una certa misura) ispirarsi agli esempi di buone pratiche esistenti in altri settori, in particolare quello trasporto marittimo.

4.14.

L'UE, di concerto con la Norvegia, dovrebbe studiare la possibilità di creare un programma speciale volto a promuovere una navigazione marittima a corto raggio rispettosa dell'ambiente ed efficiente nell'uso dell'energia grazie al ricorso al settore europeo delle costruzioni navali e delle attrezzature marittime. Il CESE invita a trarre spunti utili a tal fine dal proprio parere esplorativo, richiestogli dalla presidenza maltese, sulle «strategie di diversificazione del turismo nautico e marittimo» (5).

4.15.

Occorre inoltre studiare la possibilità di varare un programma di finanziamento che metta gli stabilimenti europei di riciclaggio in condizione di demolire tipi di navi di maggior stazza.

4.16.

Per un settore ad alta tecnologia come quello delle TM, gli strumenti finanziari dell'UE a sostegno degli appalti pubblici per la marina militare sono un fattore di traino molto importante, oltre a contribuire in larga misura a mantenere un volume minimo («massa critica») di produzione nell'intero settore della cantieristica navale europea, stimolando al tempo stesso la ricerca e l'innovazione in tutto il settore e nei settori correlati. In tale contesto, il CESE apprezza il ruolo positivo svolto dal piano d'azione europeo in materia di difesa (EDAP) recentemente elaborato dalla Commissione.

Ricerca, sviluppo e innovazione

4.17.

La Commissione dovrebbe istituire un partenariato pubblico-privato contrattuale per l'industria marittima per consentire al settore di investire ulteriormente al fine di rispondere alle sfide normative e sociali dell'industria del trasporto marittimo e di sfruttare appieno il potenziale economico delle attività di crescita blu. Le innovazioni europee dovrebbero essere promosse con l'ausilio di un programma specifico (europeo) di sostegno all'innovazione.

4.18.

L'Europa dovrebbe garantire un sostegno finanziario alla ricerca e sviluppo (R&S) europea, mentre le innovazioni europee andrebbero protette assicurando una tutela adeguata dei relativi diritti di proprietà intellettuale. L'Ufficio europeo dei brevetti dovrebbe monitorare efficacemente i brevetti europei, in particolare nel settore europeo delle TM, e irrogare sanzioni in caso di violazione delle disposizioni vigenti.

4.19.

Il prossimo (ossia il nono) programma quadro dovrebbe garantire all'industria marittima un sostegno (finanziario) sufficiente, tale cioè da metterla in condizione di affrontare con successo le sfide normative e sociali fondamentali del futuro (internazionali o europee), quali l'ecologizzazione (6), la digitalizzazione, le tecnologie di punta e la navigazione connessa o automatizzata.

4.20.

Inoltre, ad avviso del CESE tale programma quadro dovrebbe includere anche un capitolo dedicato al sostegno finanziario dell'industria europea, con l'idea di consentirle di sfruttare pienamente le possibilità economiche offerte in Europa dall'economia blu.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  «Nuove tendenze nei settori della cantieristica navale e delle forniture marittime».

(2)  The Voice of Maritime Civil & Naval Industries in Europe, bollettino d'informazione di SEAEurope, 2017.

(3)  http://ec.europa.eu/growth/sectors/maritime/shipbuilding/ec-support_it.

(4)  Il Consiglio delle competenze per il settore delle TM.

(5)  Cfr. il parere del CESE pubblicato nella (GU C 209 del 30.6.2017, pag. 1).

(6)  In quanto industrie internazionali che competono a livello globale, le industrie del trasporto marittimo e delle tecnologie marittime preferiscono soluzioni internazionali (attraverso l'Organizzazione marittima internazionale di Londra) per l'ecologizzazione del trasporto marittimo.


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Coesione economica e sociale e integrazione europea dei Balcani occidentali — sfide e priorità»

(parere esplorativo)

(2018/C 262/03)

Relatore:

Andrej ZORKO

Correlatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Consultazione

Presidenza bulgara, 5.9.2017

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Articolo 30 del Regolamento interno del CESE

 

 

Sezione competente

REX

Adozione in sezione

28.3.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

189/2/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra della scelta della presidenza bulgara di iscrivere tra le sue priorità l'integrazione nell'UE dei paesi dei Balcani occidentali e la loro coesione economica e sociale.

1.2.

Il CESE è convinto che l'allargamento dell'Unione europea e, in particolare, la diffusione dei suoi valori democratici e norme giuridiche nella regione dei Balcani occidentali siano nell'interesse sia dei paesi dei Balcani occidentali che della stessa UE. La politica di allargamento rappresenta un elemento chiave della strategia globale dell'UE nonché il fondamento della stabilità e della prosperità dell'Europa. Di conseguenza, il CESE propone che in futuro l'integrazione dei paesi dei Balcani occidentali figuri tra le principali priorità dell'UE, a condizione che tali paesi proseguano il loro cammino verso la realizzazione delle condizioni necessarie per l'adesione all'UE (1).

1.3.

Il CESE accoglie con favore il vertice dei capi di Stato e di governo UE-Balcani occidentali che si terrà il 17 maggio a Sofia e, in previsione di tale vertice, organizzerà, in collaborazione con i suoi partner, la conferenza della società civile dei Balcani occidentali (15 maggio, Sofia). Il CESE si è infatti assunto l'impegno di organizzare, prima di ogni vertice di questo tipo, un evento congiunto con i rappresentanti delle organizzazioni della società civile (2) dei Balcani occidentali e dell'UE. Il CESE invita le istituzioni europee e gli Stati membri dell'UE a coinvolgere regolarmente i capi di Stato dei paesi dei Balcani occidentali nei vertici UE, a dimostrazione che l'UE considera questa regione parte integrante del proprio futuro.

1.4.

Il CESE spera che il vertice di Sofia confermerà il rinnovato impulso per l'impegno dell'UE nella regione e incoraggerà le altre future presidenze a mantenere l'integrazione dei paesi dei Balcani occidentali tra le loro priorità principali. L'allargamento dell'Unione europea a questi paesi dovrebbe procedere in parallelo con il rafforzamento del progetto politico dell'UE e delle sue istituzioni.

1.5.

Il CESE invita i capi di Stato a manifestare chiaramente, in occasione di tale vertice, il loro impegno a favore di un sostegno più coerente e diretto alle organizzazioni della società civile a tutti i livelli, e a promuovere un sostegno pubblico più diretto per i mezzi di comunicazione indipendenti.

1.6.

Il CESE invita i capi di Stato partecipanti al vertice di Sofia ad assumere un ruolo proattivo nelle controversie bilaterali, promuovendo una cooperazione mirata con l'OSCE e il Consiglio d'Europa, e sostenendo il ruolo della società civile nella risoluzione di tali controversie.

1.7.

Il CESE ritiene inoltre che l'effettivo ampliamento dell'Unione europea e la promozione dei suoi valori nei paesi dei Balcani occidentali garantiscano la sicurezza e la stabilità, rafforzino lo sviluppo economico e sociale e la prosperità, consolidino la democrazia e lo Stato di diritto, agevolino la libera circolazione delle persone e delle merci, stimolino la politica degli investimenti e promuovano la mobilità.

1.8.

Il CESE ritiene che il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze rivesta un'importanza fondamentale per lo sviluppo democratico, economico e sociale dei paesi dei Balcani occidentali.

1.9.

Il CESE ritiene anche che il ruolo dell'istruzione e di mezzi di informazione liberi e indipendenti sia molto importante al fine di superare le controversie del passato e rafforzare i valori democratici.

1.10.

Il CESE osserva che il processo di adesione all'UE rimane un'importante motivazione per l'attuazione di riforme nei paesi dei Balcani occidentali; rileva la mancanza di attenzione per gli effetti economici e sociali delle riforme realizzate, tenuto conto della notevole differenza nel livello di sicurezza economica e sociale di cui godono i cittadini degli Stati membri dell'UE e quelli dei paesi candidati all'adesione; e raccomanda pertanto di considerare la coesione sociale, economica e territoriale nel valutare il soddisfacimento dei criteri per l'adesione all'UE.

1.11.

Il CESE ritiene che alle questioni concernenti le infrastrutture, i trasporti e l'energia debba essere attribuita una priorità elevata nei negoziati con i paesi dei Balcani occidentali. Reputa inoltre che la creazione di una società digitale e lo sviluppo delle competenze digitali in tutti i paesi dei Balcani occidentali dovrebbero andare a beneficio sia del settore pubblico che di quello privato. L'UE può e dovrebbe contribuire, in tali paesi, al miglioramento delle infrastrutture e alla creazione di una rete a banda larga che, in alcuni casi, è ampiamente al di sotto della media UE.

1.12.

Il CESE propone alle istituzioni dell'UE di prendere in considerazione l'esistenza di un effettivo dialogo sociale e civile come uno dei criteri per l'adesione all'UE.

1.13.

L'UE dovrebbe elaborare una tabella di marcia specifica per i negoziati con i paesi dei Balcani occidentali, che preveda un calendario preciso e impegni tangibili per ciascuno di tali paesi. Sarebbe necessario anche mettere a punto una strategia di comunicazione per gli Stati membri dell'UE, che permetta di evidenziare i vantaggi della politica di allargamento dell'UE per i paesi dei Balcani occidentali, specialmente per quanto riguarda il mantenimento della pace e la garanzia di stabilità, prosperità e sviluppo economico e sociale.

1.14.

Il CESE incoraggia la Commissione a includere il rispetto dei diritti delle minoranze e la parità di genere tra le principali priorità nei negoziati di adesione all'UE con i paesi dei Balcani occidentali.

1.15.

Il CESE accoglie con favore la nuova strategia della Commissione per i Balcani occidentali Una prospettiva di allargamento credibile e un maggior impegno dell'UE per i Balcani occidentali (3), pubblicata il 6 febbraio 2018, e le sue sei iniziative faro che riguardano il consolidamento dello Stato di diritto, il rafforzamento della cooperazione in materia di sicurezza e migrazione attraverso le squadre investigative comuni, l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, l'ampliamento dell'Unione dell'energia dell'UE ai Balcani occidentali, la riduzione delle tariffe di roaming e la diffusione della banda larga nella regione.

1.16.

Il CESE esprime la propria disponibilità ad impegnarsi con la società civile dei Balcani occidentali per contribuire all'adozione di azioni concrete in materia di Stato di diritto, sicurezza e migrazione, sviluppo socioeconomico, connettività, agenda digitale nonché riconciliazione e relazioni di buon vicinato, come indicato nel piano d'azione a sostegno della trasformazione dei Balcani occidentali per il periodo 2018-2020.

1.17.

Il CESE è convinto che la Commissione potrebbe sviluppare programmi specifici che consentano ai paesi dei Balcani occidentali di accelerare la convergenza sociale. La discontinuità e la lentezza dei progressi compiuti nell'affrontare tali questioni sono chiaramente un fattore importante, che contribuisce in generale alla lentezza del loro processo di integrazione nell'UE. È quindi urgente imprimere un nuovo slancio all'europeizzazione.

1.18.

Le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile, a livello sia UE che nazionale, devono essere coinvolte in modo significativo nell'intero processo di integrazione dei paesi dei Balcani occidentali nell'UE. È necessario rafforzare le capacità delle organizzazioni della società civile attraverso un sostegno tecnico ed economico, facilitando il loro accesso alle fonti di finanziamento europee (Commissione, Banca europea per gli investimenti, BERS, ecc.) e informandole in modo tempestivo e dettagliato sul processo dei negoziati di adesione.

1.19.

Il CESE incoraggia le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile dei paesi dei Balcani occidentali a collaborare strettamente durante il processo di integrazione europea, sia a livello nazionale che a livello regionale.

2.   Situazione politica

2.1.

I Balcani occidentali sono tuttora una regione politicamente instabile, ma presentano anche un considerevole potenziale di crescita.

2.2.

Il CESE raccomanda alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento europeo di intensificare gli sforzi di comunicazione per illustrare i vantaggi e le sfide della politica di allargamento ai cittadini europei; le OSC, dal canto loro, dovrebbero collaborare da vicino in tale processo e farsi portavoce dei relativi messaggi (4).

2.3.

È estremamente importante che in futuro l'integrazione dei Balcani occidentali continui a rappresentare una priorità per l'UE, non solo durante la presidenza bulgara, e che l'UE contribuisca attivamente alla pace e alla stabilità dei Balcani occidentali e offra a tali paesi la prospettiva di adesione alle organizzazioni euroatlantiche. Tali adesioni possono anche dare un contributo alla stabilità della regione, garantendo la sicurezza e la prosperità, e offrire a queste nazioni la prospettiva di riunificarsi in un'Europa senza frontiere.

2.4.

Il CESE accoglie con favore l'annunciato vertice UE di Sofia con i leader dell'UE e dei paesi dei Balcani occidentali, ma ritiene che tale vertice dovrebbe anche prevedere un ruolo più attivo per i rappresentanti delle organizzazioni della società civile a livello dell'UE.

2.5.

Il CESE accoglie con favore il recente annuncio dell'agenda «processo di Berlino Plus» (5), che mette a disposizione finanziamenti speciali per lo sviluppo di imprese, la formazione professionale, le infrastrutture e la tecnologia, nonché per progetti volti a creare collegamenti di trasporto tra i paesi della regione meno connessi. Questo «piano Marshall» dovrebbe accelerare la creazione di un'unione doganale e di un mercato comune nei Balcani. Tuttavia, tale cooperazione regionale non deve causare un ritardo nel processo di allargamento o essere considerata come un suo sostituto.

2.6.

Il CESE constata nei paesi dei Balcani occidentali la volontà e la disponibilità a realizzare delle riforme che porterebbero all'integrazione nell'Unione europea, ma sottolinea che il successo di tali riforme continua a dipendere dalla misura in cui le istituzioni pubbliche saranno in grado di attuarle e applicarle efficacemente, nonché dal livello di titolarità del processo raggiunto dalle organizzazioni della società civile e dalla popolazione in generale. Una tabella di marcia specifica per i negoziati di adesione all'UE che preveda un calendario preciso e impegni tangibili per ciascun paese dei Balcani occidentali potrebbe indurre tali paesi ad attuare le riforme necessarie in tempi più brevi.

2.7.

Il CESE afferma di aver sviluppato ottimi contatti con le organizzazioni della società civile nei Balcani occidentali e di essere ben consapevole della situazione in tali paesi. È altresì convinto che i comitati consultivi misti con la società civile (CCM) dovrebbero cercare di inserirsi nelle «nicchie» non occupate da altri organi coinvolti nel processo negoziale e concentrarsi su una serie di ambiti specifici. A questo proposito, il CESE chiede un migliore scambio di informazioni tra i CCM e la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo. Sollecita inoltre un rafforzamento del ruolo dei CCM (6).

2.8.

La corruzione, l'impatto della criminalità organizzata, la debolezza generale delle istituzioni pubbliche e dello Stato di diritto, le controversie bilaterali, come pure le discriminazioni nei confronti dei gruppi minoritari, rappresentano altrettanti problemi importanti e persistenti sia per la partecipazione che per l'integrazione.

2.9.

I criteri di Copenaghen sono le norme che stabiliscono se un paese è ammissibile a entrare a far parte dell'Unione europea (7). In base a tali criteri, lo Stato deve disporre delle istituzioni atte a garantire la governance democratica e lo Stato di diritto, rispettare i diritti umani, avere un'economia di mercato funzionante e accettare gli obblighi e la missione dell'UE.

2.10.

I paesi dei Balcani occidentali non potranno aderire tutti contemporaneamente all'UE. Il CESE si compiace del fatto che la Serbia e il Montenegro siano attualmente in prima fila nel processo di integrazione. Inoltre, esprime l'auspicio che l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia e l'Albania inizino i negoziati con l'UE non appena possibile. Si rallegra del fatto che la Bosnia-Erzegovina abbia presentato le risposte al questionario della Commissione e che quest'ultima stia attualmente valutando la possibilità di concederle lo status di paese candidato all'UE.

2.11.

I paesi dei Balcani occidentali risentono tuttora delle ferite di guerre e conflitti, dell'odio etnico, di progetti irredentisti e di conflitti congelati che potrebbero esplodere nuovamente. È necessario promuovere con forza la risoluzione delle questioni bilaterali più pressanti prima dell'adesione all'UE, anche se insistere sulla risoluzione di tutte le questioni in sospeso potrebbe ritardare tale processo.

2.12.

Il CESE ritiene inoltre che la società civile possa svolgere un ruolo importante facendo incontrare le nuove generazioni di paesi diversi e aprendo un dialogo pubblico su una serie di questioni che sono di cruciale importanza per la regione. Lo sviluppo economico e il miglioramento delle condizioni di vita, come pure l'occupazione e la sicurezza sociale, sono alla base della coesistenza pacifica nella regione.

2.13.

I paesi dei Balcani occidentali potrebbero istituire dei consigli nazionali per l'integrazione europea nei quali si riunirebbero periodicamente autorità politiche ad alto livello e le organizzazioni di maggior rilievo della società civile con l'intento di rendere più trasparente il processo d'integrazione con l'UE e di pubblicizzarlo in misura maggiore (8).

2.14.

Il CESE ha già individuato il ruolo della società civile durante il processo di adesione e indicato molto chiaramente che la partecipazione della società civile al processo di adesione assume varie forme: 1) coinvolgimento diretto nei negoziati veri e propri (ossia analisi, definizione delle posizioni nazionali, controllo dei progressi compiuti); 2) dialogo sociale e civile in materia di formulazione delle politiche e di armonizzazione legislativa in riferimento all'acquis; 3) partecipazione alla programmazione dei finanziamenti di preadesione; 4) monitoraggio indipendente dei progressi realizzati e dell'impatto sociale dei processi di riforma. L'esercizio di queste funzioni richiede un adeguato sostegno finanziario, attraverso il governo nazionale in questione e i finanziamenti di preadesione dell'UE (9).

2.15.

Il CESE constata un calo dell'interesse dell'Unione per un'integrazione rapida ed efficace dei paesi dei Balcani occidentali nell'UE, dovuto ad altre priorità politiche e alla mancanza di una strategia di allargamento dell'UE, ma anche ad approcci politici diversi da parte degli Stati membri. Negli ultimi anni, a causa delle aspettative deluse, l'euroscetticismo nei paesi dei Balcani occidentali è cresciuto, il che ha ridotto l'impatto dei criteri di adesione e rallentato le riforme. Ciò è particolarmente evidente in termini di garanzia dello Stato di diritto, libertà dei mezzi di informazione e prevenzione della corruzione.

2.16.

I paesi dei Balcani occidentali si stanno riformando, ma a ritmi molto diversi. Occorre fare molto di più per combattere la corruzione imperante, la criminalità organizzata e il riciclaggio di denaro. Anche l'indipendenza della magistratura è essenziale per una democrazia sana.

2.17.

Il CESE ritiene necessario rafforzare la lotta contro il terrorismo nei paesi dei Balcani occidentali e sostiene con forza l'iniziativa per la lotta al terrorismo nei Balcani occidentali (WBCTi) (10).

2.18.

Il CESE ritiene che la cooperazione tra i paesi dei Balcani occidentali e l'UE e le sue agenzie competenti (come Europol) dovrebbe essere ulteriormente ampliata al fine di accelerare il processo di allargamento. Questa misura è particolarmente urgente in settori quali la sicurezza e la migrazione.

3.   Stabilità economica e prosperità

3.1.

Le economie dei paesi dei Balcani occidentali continuano a crescere, con una crescita reale del PIL della regione stimata al 2,6 % nel 2017, in aumento al 3,0 % nel 2018, per effetto di consumi e investimenti privati, della graduale ripresa del credito, delle rimesse e dei grandi progetti infrastrutturali. Rispetto alla situazione del 1995, il tenore di vita è aumentato considerevolmente in tutti e sei gli Stati dei Balcani occidentali. Ciò nonostante, tali paesi restano tuttora tra i più poveri d'Europa. Inoltre, la convergenza economica degli Stati dei Balcani occidentali ha perso slancio dall'inizio della crisi e resta indietro rispetto alla convergenza dei nuovi Stati membri dell'Europa centro-orientale e sud-orientale.

3.2.

Il processo di convergenza economica nei Balcani occidentali è estremamente lungo. È pertanto fondamentale creare un ambiente che renda possibili/acceleri gli investimenti esteri, adottare riforme economiche adeguate, rafforzare la competitività e creare posti di lavoro di qualità.

3.3.

Il CESE accoglie con favore i progressi compiuti in termini di integrazione economica dei paesi dei Balcani occidentali, dato che i leader della regione si sono impegnati ad approfondire i legami e a lavorare insieme verso l'adesione all'Unione europea, e chiede un maggiore coinvolgimento delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile nell'elaborazione dei programmi di riforma economica (ERP), nonché conclusioni congiunte con raccomandazioni specifiche per ciascun paese della regione (11).

3.4.

Il CESE è convinto che i paesi candidati abbiano bisogno di maggiori incentivi per le riforme. In particolare, occorre promuovere una più stretta cooperazione regionale, al fine di facilitare il rispetto dei criteri per l'adesione all'UE.

3.5.

Il CESE ritiene necessario mobilitare i nuovi afflussi di investimenti esteri diretti nei settori manifatturieri, sostenendo le catene di approvvigionamento locali e rafforzando le competenze e le capacità tecnologiche delle PMI.

3.6.

L'energia e i trasporti dovrebbero essere un fattore di sviluppo e di interconnettività per la regione. Ciò garantirebbe che i cittadini dei paesi dei Balcani occidentali si facciano un'idea chiara dei vantaggi sociali, economici e ambientali derivanti dall'adesione all'UE. Ad esempio, l'efficienza energetica e il risparmio di energia consentono di generare attività per le imprese e di creare posti di lavoro, sia verdi che tradizionali.

3.7.

Il CESE sostiene il trattato che istituisce la Comunità dei trasporti firmato dall'UE e dai paesi dei Balcani occidentali il 12 luglio 2017, e incoraggia le parti a svilupparlo ulteriormente. A tale riguardo, la Commissione europea, la Banca europea per gli investimenti e i paesi dei Balcani occidentali dovrebbero concentrare i loro investimenti sui collegamenti tra la rete centrale TEN-T dell'UE e le infrastrutture dei Balcani occidentali. Pertanto, è ora necessario elaborare un programma condiviso, che individui i fondi disponibili e definisca un calendario comune.

3.8.

Il miglioramento delle infrastrutture permetterà di ridurre i costi dei trasporti e dell'energia e faciliterà l'arrivo di investimenti consistenti nella regione. Inoltre, la promozione di una migliore digitalizzazione nei Balcani occidentali favorirà lo sviluppo di attività economiche, l'aumento della produttività e miglioramenti nella qualità della vita.

3.9.

Il CESE ritiene inoltre che gli investimenti in approcci complementari alle tradizionali politiche economiche (economia circolare, economia sociale, integrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile) possano assicurare crescita e occupazione in generale.

3.10.

Il CESE osserva che in tutti i paesi dei Balcani occidentali lo Stato continua a svolgere un ruolo eccessivamente ampio, mentre il settore privato è inferiore a quello delle sette piccole economie in transizione dell'Europa (12).

3.11.

Il CESE ritiene che lo Stato debba diventare più efficiente e affidabile nell'erogazione dei servizi pubblici e garantire un contesto favorevole per le imprese private.

3.12.

Il CESE ritiene che le piccole e medie imprese, che rappresentano la maggioranza delle imprese, potrebbero diventare i motori della crescita economica in tutti e sei i paesi dei Balcani occidentali. Per conseguire quest'obiettivo, occorrono una riduzione della burocrazia, un'amministrazione pubblica più trasparente, un'azione di lotta contro la corruzione e la piena indipendenza della magistratura.

3.13.

Il CESE sostiene le conclusioni del sesto Forum della società civile dei Balcani occidentali ed esprime profonda preoccupazione per la riduzione dello spazio per la società civile in un numero crescente di paesi dei Balcani occidentali. Rileva che l'UE e i suoi Stati membri si sono impegnati a promuovere lo spazio per la società civile e a intensificare il sostegno allo sviluppo delle capacità delle OSC per rafforzare la loro voce nel processo di sviluppo e portare avanti il dialogo politico, sociale ed economico.

3.14.

Il CESE osserva che le organizzazioni della società civile dovrebbero essere coinvolte in modo significativo nel processo di riforma economica, sociale, pubblica e legislativa in tutti i paesi dei Balcani occidentali. È necessario rafforzare le loro capacità attraverso un sostegno tecnico e finanziario, facilitando il loro accesso alle fonti di finanziamento europee e informandole in modo tempestivo sul processo di adesione.

4.   Stabilità sociale — disoccupazione — emigrazione

4.1.

Dall'inizio della crisi economica, la convergenza dei redditi, e in particolare la convergenza sociale, tra i paesi più ricchi e più poveri all'interno dell'UE ha subito un rallentamento e, in alcuni casi, addirittura un'inversione di tendenza. Questo dato mette un freno alle ambizioni dell'UE e rimette in questione l'attrattiva che essa esercita sui futuri membri. La povertà, la disoccupazione elevata, l'economia informale, i bassi salari, la corruzione, le condotte illecite, l'emigrazione di lavoratori qualificati, la discriminazione contro le minoranze e la fuga di cervelli sono fenomeni che interessano tutti i paesi dei Balcani occidentali.

4.2.

Sebbene nei paesi dei Balcani occidentali sia in atto un processo di convergenza verso i livelli dell'UE-28, tale processo avanza con un ritmo piuttosto lento, e i paesi della regione sono in ritardo rispetto agli Stati membri dell'UE. I dati indicano che la piena convergenza con gli standard di vita dell'UE può richiedere fino a 40 anni.

4.3.

La convergenza dei salari nei paesi dei Balcani occidentali non è stata raggiunta. In alcuni paesi il divario retributivo con l'UE è addirittura aumentato, il che compromette la sicurezza economica e sociale dei cittadini dei paesi dei Balcani occidentali. Nella maggior parte dei paesi dei Balcani occidentali non si è registrato alcun aumento dei salari reali dall'inizio della crisi. Sebbene i salari minimi garantiti esistano in tutti gli Stati dei Balcani occidentali, in molti casi essi non arrivano ad assicurare un livello minimo di sussistenza per le famiglie.

4.4.

Il CESE rileva inoltre che, a causa dell'elevato tasso di disoccupazione, la migrazione di manodopera da tutti e sei i paesi dei Balcani occidentali rimane una questione centrale. Si stima che un quarto della popolazione dei sei paesi dei Balcani occidentali si sia trasferito all'estero. Anche se le rimesse dei lavoratori emigrati sono un'importante fonte di reddito e contribuiscono all'economia nazionale a breve termine, la migrazione di massa e la perdita di popolazione hanno gravi conseguenze a lungo termine per il potenziale di sviluppo economico di questi paesi (13).

4.5.

Con l'eccezione del Montenegro, nella regione dei Balcani occidentali il calo dell'occupazione ha colpito in misura maggiore le donne e i giovani poco qualificati. Un altro dato essenziale è che nel 2015, in tutti e sei i paesi dei Balcani occidentali, oltre il 70 % dei disoccupati era senza lavoro da più di un anno in media (14).

4.6.

Il CESE è convinto che l'UE e i paesi dei Balcani occidentali dovrebbero prestare maggiore attenzione alla qualità della vita e alla sicurezza sociale dei cittadini di questi Stati. Propone quindi che si consideri la possibilità di applicare i principi del pilastro europeo dei diritti sociali nel valutare il soddisfacimento dei requisiti per l'adesione all'UE. La Commissione potrebbe inoltre mettere a punto programmi specifici che consentano ai paesi dei Balcani occidentali di accelerare la convergenza sociale.

4.7.

Il CESE, inoltre, prevede che sarà necessario aumentare ulteriormente la competitività e intensificare le riforme strutturali in tutti e sei i paesi dei Balcani occidentali, al fine di rafforzare il mercato del lavoro e rallentare l'emigrazione. Le organizzazioni della società civile dovrebbero essere realmente consultate in sede di elaborazione delle riforme strutturali (15).

4.8.

Il CESE sottolinea che le tendenze del mercato del lavoro nella regione indicano elevati tassi di inattività tra le donne ed esorta i governi a fornire assistenza per garantire il raggiungimento di livelli di occupazione più elevati per le donne. Incoraggia altresì la Commissione a includere la parità di genere tra le principali priorità nei negoziati di adesione all'UE con i paesi dei Balcani occidentali.

4.9.

Il CESE è convinto che il rispetto dei diritti delle minoranze e della loro cultura sia fondamentale per lo sviluppo di una società civile democratica in tutti i paesi dei Balcani occidentali.

4.10.

Il CESE ritiene che il ruolo dell'istruzione in tutti i paesi dei Balcani occidentali, compresa la parità di accesso ai sistemi d'istruzione, sia un fattore fondamentale in termini di promozione dei valori europei, educazione alla tolleranza nei confronti delle minoranze, lotta contro i pregiudizi e rafforzamento della coesione sociale.

4.11.

Il CESE è inoltre dell'avviso che un'«agenda della coesione sociale» dovrebbe risolvere il problema della carenza di competenze e degli squilibri tra domanda e offerta di competenze, migliorando l'efficienza e l'efficacia dei sistemi di istruzione. Un maggiore sostegno finanziario per programmi di istruzione professionale contribuirebbe a ridurre lo squilibrio tra domanda e offerta di competenze nel mercato del lavoro e gli elevati livelli di disoccupazione.

4.12.

Il CESE accoglie con favore le iniziative lanciate da istituzioni pubbliche del settore della cultura e dell'istruzione, dal mondo accademico o da organizzazioni della società civile per favorire la riconciliazione, le relazioni di buon vicinato e un approccio critico nei confronti del passato.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  I principi fondamentali della strategia dell'UE nei confronti dei Balcani occidentali sono stati fissati dalla Commissione il 6 febbraio 2018 nella comunicazione Una prospettiva di allargamento credibile e un maggior impegno dell'UE per i Balcani occidentali, COM(2018) 65 final.

(2)  Nel presente parere, che utilizza la terminologia consolidata del CESE, i concetti di «società civile» e di «organizzazioni della società civile» comprendono le parti sociali (ovvero datori di lavoro e sindacati) e tutti gli altri attori non statali.

(3)  COM(2018) 65 final, del 6.2.2018.

(4)  GU C 133 del 14.4.2016, pag. 31.

(5)  http://shtetiweb.org/berlin-process/.

(6)  GU C 133 del 14.4.2016, pag. 31.

(7)  https://ec.europa.eu/neighbourhood-enlargement/policy/glossary/terms/accession-criteria_en.

(8)  GU C 133 del 14.4.2016, pag. 31.

(9)  GU C 133 del 14.4.2016, pag. 31.

(10)  http://wbcti.wb-iisg.com/, https://ec.europa.eu/neighbourhood-enlargement/sites/near/files/ipa_ii_2016_039-858.13_mc_pcve.pdf.

(11)  Dichiarazione finale del sesto Forum della società civile dei Balcani occidentali.

(12)  Gruppo della Banca mondiale, The Western Balkans: Revving up the Engines of Growth and Prosperity («I Balcani occidentali: riaccendere i motori della crescita e della prosperità»), 2017.

(13)  «Il tasso di disoccupazione nella regione dei Balcani occidentali è significativamente superiore alla media dell'UE-28, con alcuni miglioramenti negli ultimi anni. In particolare, la Bosnia-Erzegovina, l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia e il Montenegro continuano a registrare elevati livelli di disoccupazione, ma persino l'attuale tasso di disoccupazione del 13,5 % della Serbia, il più basso della regione dopo i recenti miglioramenti, è troppo elevato rispetto agli Stati membri dell'UE. Nonostante l'elevatissimo tasso di disoccupazione, nella regione sono stati creati circa 230 000 posti di lavoro nei 12 mesi fino a giugno 2017 (con un aumento del 3,8 %), di cui oltre la metà nel settore privato. Di conseguenza, l'occupazione (in termini di numero di posti di lavoro, ma non di ore lavorate) è tornata ai livelli antecedenti il 2008 in tutti i paesi dei Balcani occidentali, ad eccezione della Bosnia-Erzegovina», Gruppo della Banca mondiale, Western Balkans Regular Economic Report («Relazione economica periodica sui Balcani occidentali»), n. 12, autunno 2017.

(14)  Gruppo della Banca mondiale, Western Balkans Labor Market Trends 2017 («Le tendenze del mercato del lavoro nei Balcani occidentali, 2017»).

(15)  Come indicato nel parere del CESE (GU C 133 del 14.4.2016, pag. 31) e nella Dichiarazione finale del sesto Forum della società civile dei Balcani occidentali organizzato dal CESE a Sarajevo il 10 e l'11 luglio 2017.


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Completare il programma «Legiferare meglio»: soluzioni migliori per conseguire risultati migliori

[COM(2017) 651 final]

(parere d'iniziativa)

(2018/C 262/04)

Relatore:

Bernd DITTMANN

Decisione dell'Assemblea plenaria

15 febbraio 2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

09 marzo 2018

Adozione in sessione plenaria

19 aprile 2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

185/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE è dell'avviso che il programma «Legiferare meglio» debba diventare un piano permanente volto a produrre una legislazione dell'Unione di qualità elevata, senza che questo comprometta gli obiettivi politici fondamentali o eserciti una pressione a favore della deregolamentazione. Questo programma dovrebbe essere portato avanti, ulteriormente sviluppato e migliorato dalla nuova Commissione dopo il 2019.

1.2

Il CESE invita la Commissione a presentare una tabella di marcia dettagliata per la prossima valutazione dell'iniziativa «Legiferare meglio» e a chiarire quale forma di coinvolgimento sia prevista per il CESE e le parti interessate.

2.   La comunicazione della Commissione sul programma «Legiferare meglio»

2.1

Il 24 ottobre 2017 la Commissione ha pubblicato la comunicazione intitolata Completare il programma «Legiferare meglio»: soluzioni migliori per conseguire risultati migliori (1) (nel prosieguo, «la comunicazione»).

2.2

In quel documento la Commissione fa il punto sui progressi compiuti nell'attuazione del programma «Legiferare meglio» (nel prosieguo, «il programma») a partire dalla sua adozione nel maggio 2015.

2.3

Nel 2018 la Commissione valuterà il sistema per una migliore legiferazione nella sua interezza. Il presente parere costituisce una risposta alla comunicazione, nonché un contributo ai lavori preparatori in vista di questa prossima valutazione.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore il costante impegno mostrato dalla Commissione in rapporto all'iniziativa «Legiferare meglio», nonché i suoi continui sforzi volti a conseguire gli obiettivi stabiliti dal programma nel maggio 2015, come indicato nella comunicazione. Una migliore legiferazione è il risultato di un processo soggetto a costanti miglioramenti e richiede sia l'impegno che il contributo di tutti i soggetti coinvolti.

3.2

Una migliore legiferazione dovrebbe contribuire a istituire processi decisionali responsabili, partecipativi e trasparenti che producano norme semplici, chiare, coerenti, adatte allo scopo e facilmente attuabili. Si tratta di una premessa essenziale per garantire la fiducia dei cittadini nell'UE e nelle sue istituzioni. Una migliore legiferazione dovrebbe contribuire a istituire quadri normativi efficaci e coerenti che rendano possibili l'innovazione e la crescita sostenibile, oltre a sostenere il completamento e il corretto funzionamento del mercato unico.

3.3

Un migliore legiferazione non dovrebbe portare a un'eccessiva burocratizzazione del processo di definizione delle politiche nel quadro dell'UE. Le procedure tecniche non devono prendere il posto delle decisioni politiche.

3.4

In un parere precedente (2), il CESE ha messo in evidenza che legiferare meglio «non implica affatto che nell'UE debbano esservi “più” o “meno” atti normativi, e non significa nemmeno deregolamentare determinati settori d'intervento oppure subordinarli ad altre priorità e quindi mettere in forse i valori propugnati dall'UE, ossia tutela sociale, protezione ambientale e diritti fondamentali (3). “Legiferare meglio” è in primo luogo uno strumento con cui garantire che gli obiettivi delle politiche siano realizzati sulla base di dati fattuali e concreti e nel rispetto dei suddetti valori, senza comprimere i diritti ambientali o dei consumatori o gli standard sociali e senza determinare uno spostamento di competenze nell'assetto istituzionale attraverso l'istituzione di nuovi organi. Il miglioramento normativo non può e non deve sostituirsi alle decisioni politiche».

3.5

Il CESE prende atto dei progressi compiuti sinora nell'attuazione del programma. Accoglie in particolare con favore l'impiego più metodico delle valutazioni d'impatto e delle valutazioni ex-post, la consultazione più sistematica delle parti interessate, la revisione degli orientamenti e strumenti per legiferare meglio, il programma REFIT e la piattaforma omonima, nonché la nomina del comitato per il controllo normativo (RSB).

3.6

Il CESE è attivamente coinvolto nell'iniziativa «Legiferare meglio», in particolare attraverso la sua partecipazione alla piattaforma REFIT e all'elaborazione delle valutazioni ex post. Il Comitato rinvia ai suoi numerosi pareri al riguardo (4). Tuttavia, né il programma ne la comunicazione fanno menzione del CESE. Inoltre, il Comitato non è fra le parti che hanno sottoscritto l'accordo interistituzionale «Legiferare meglio». Ciò dimostra che la Commissione e i legislatori continuano a non prestare sufficiente considerazione né al ruolo e alla funzione del Comitato, che sono sanciti dai trattati, né alle conoscenze e competenze dei suoi membri e della società civile che questi rappresentano.

3.7

Per partecipare al programma «Legiferare meglio», oltre che agli strumenti e alle procedure pertinenti, sono necessarie risorse umane e finanziarie che però non sono alla portata di tutte le organizzazioni della società civile (ad esempio, in termini di produzione di dati, di partecipazione alle consultazioni pubbliche, ecc.). Lo stesso vale per le piccole imprese. Il CESE invita la Commissione ad assicurare che il programma «Legiferare meglio» rimanga disponibile e accessibile a tutte le organizzazioni e a tutti i portatori di interesse, indipendentemente dalla loro dimensione e dalle risorse finanziarie e umane a loro disposizione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE è il portavoce istituzionale della società civile organizzata europea e funge da intermediario tra i legislatori dell'UE, da un lato, e le organizzazioni della società civile e le parti sociali, dall'altro. Il CESE ha accumulato una notevole esperienza in merito a tutte questioni relative al programma «Legiferare meglio» e ha sviluppato competenze in materia. In tale contesto, desidera riproporre alla Commissione alcune delle sue raccomandazioni specifiche riguardanti taluni punti affrontati dalla comunicazione, nonché altri aspetti che ritiene necessario sottolineare.

4.2

Il CESE ritiene che la comunicazione fornisca una buona panoramica generale dei progressi compiuti nell'attuazione del programma per quel che concerne i settori interessati dal miglioramento della legislazione. La comunicazione, tuttavia, rimane troppo sul vago in merito alle misure precise che la Commissione prevede di adottate per sviluppare ulteriormente il programma di miglioramento della legislazione. Inoltre, la comunicazione non presenta o menziona né l'imminente valutazione del programma «Legiferare meglio», prevista per il 2018, né i suoi principali settori d'intervento, e tanto meno quale forma di partecipazione sia prevista per il CESE e le parti interessate.

4.3   Proporzionalità e sussidiarietà

4.3.1

Il CESE accoglie con favore l'attenzione riservata dalla Commissione alle priorità fondamentali e al «dare importanza alle cose importanti». Ribadisce che l'Unione dovrebbe agire unicamente nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità e qualora l'azione comune apporti un vantaggio per tutti.

4.3.2

Come indicato in un precedente parere (5), il CESE è «favorevole a un chiarimento dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, che sono talvolta usati come argomentazioni da coloro che avversano le iniziative legislative senza che la fondatezza del loro ragionamento sottostante sia sufficientemente certa».

4.3.3

Il CESE prende atto della creazione di una task force sulla sussidiarietà e la proporzionalità (6), e invita tale task force a tenere debitamente conto dei pareri e delle raccomandazioni formulati in queste materie dal Comitato stesso.

4.3.4

Il CESE chiede un migliore controllo del rispetto della sussidiarietà e della proporzionalità, nonché un maggiore coinvolgimento degli Stati membri e dei loro parlamenti nazionali nelle valutazioni ex post.

4.3.5

Il CESE invita la Commissione a promuovere in misura maggiore lo strumento n. 5 («Base giuridica, sussidiarietà e proporzionalità»), tra quelli disponibili per legiferare meglio, in tutti i suoi servizi (sia orizzontalmente che verticalmente) per aumentare il rispetto di tale strumento al momento dell'elaborazione delle valutazioni d'impatto.

4.4   Valutazioni d'impatto (VI)

4.4.1

Il Comitato rinvia alle proposte formulate in un parere precedente (7) sui modi per migliorare l'ecosistema europeo in materia di valutazione d'impatto.

4.4.2

Le VI dovrebbero rappresentare la procedura standard per ogni nuova proposta legislativa, compresi gli atti delegati e quelli di esecuzione. Qualora le proposte avanzate non siano accompagnate da una VI, la Commissione deve spiegarne i motivi nel dettaglio e fornire tutti i dati e gli elementi che hanno portato alla formulazione della proposta oppure che la corroborano.

4.4.3

Gli orientamenti per legiferare meglio fanno esplicito riferimento al fatto che le valutazioni d'impatto possono e devono essere condotte sia per le iniziative legislative che per gli atti delegati e quelli di esecuzione. Il CESE esorta pertanto la Commissione a valutare in modo più approfondito (e facendo prova di maggiore trasparenza con i soggetti interessati e il CESE) la necessità di realizzare una valutazione d'impatto per tali atti. Il fatto che sia stata condotta una valutazione d'impatto sul testo legislativo da cui derivano gli atti delegati e quelli di esecuzione non rappresenta una giustificazione sufficiente per la mancata realizzazione di una VI sugli atti derivati. Ogni singolo atto deve essere valutato sulla base delle sue caratteristiche, specialmente perché gli atti delegati e quelli di esecuzione possono avere notevoli ripercussioni sulle parti interessate e sulla società civile in generale.

4.4.4

Gli orientamenti e gli strumenti per legiferare meglio (8) costituiscono il manuale più importante per i servizi della Commissione al momento di condurre le VI. Il CESE fa tuttavia notare che questi orientamenti e strumenti sono stati messi a punto soprattutto per essere specificamente usati dai servizi dell'UE e, per le loro caratteristiche intrinseche, non offrono alle parti interessate la possibilità di comprendere come impiegare correttamente gli strumenti necessari all'analisi d'impatto. Pertanto, il CESE chiede alla Commissione di rendere tali strumenti accessibili al grande pubblico in una versione operativa.

4.4.5

Il CESE rileva tuttavia una mancanza di conformità a tali orientamenti, con la conseguenza di valutazioni d'impatto inadeguate. Tale osservazione è confermata e corroborata dall'edizione 2016 della relazione annuale preparata dal comitato per il controllo normativo (RSB) (9). Il CESE incoraggia pertanto la Commissione a promuovere in modo più incisivo i principi per legiferare meglio in tutti i suoi servizi, ad esempio attraverso programmi periodici obbligatori di formazione del personale.

4.4.6

Dalla relazione annuale per il 2016 del comitato per il controllo normativo emerge che i servizi della Commissione, dopo aver ricevuto un parere iniziale negativo, seguono solo in parte le raccomandazioni del comitato. Il CESE propone pertanto che il comitato per il controllo normativo abbia diritto a un veto sospensivo qualora emetta un doppio parere negativo, costringendo così i servizi della Commissione a rivedere la VI affinché vengano soddisfatti i necessari requisiti qualitativi. Il comitato per il controllo normativo non dovrebbe invece avere diritto di veto sulle decisioni politiche.

4.4.7

Il CESE appoggia il principio «pensare anzitutto in piccolo» e incoraggia la Commissione a prestare maggiore attenzione alle PMI, comprese le microimprese e le imprese piccolissime, nelle sue valutazioni d'impatto.

4.5   Trasparenza, legittimità e responsabilità

4.5.1

In merito al registro per la trasparenza, il CESE accoglie con favore la proposta, avanzata dalla Commissione nel 2016, relativa a un accordo interistituzionale giuridicamente vincolante sull'istituzione di un registro obbligatorio per la trasparenza valido non solo per la Commissione e il Parlamento europeo, ma anche per il Consiglio.

4.5.2

Il CESE accoglie con favore il fatto che le iniziative importanti saranno adesso pubblicamente consultabili in tutte le lingue ufficiali dell'UE, mentre per le altre iniziative la consultazione sarà possibile almeno in francese, tedesco e inglese. Il CESE ricorda alla Commissione la necessità di tradurre in tutte le lingue ufficiali dell'UE le sintesi delle valutazioni d'impatto (10).

4.5.3

Per quanto concerne il coinvolgimento delle parti interessate, il CESE fa riferimento sia al proprio parere in materia (11) che a quello della piattaforma REFIT (12), che i rappresentanti del CESE in seno a tale piattaforma hanno contribuito a elaborare. Il CESE accoglie con favore gli sforzi compiuti dalla Commissione per migliorare i suoi meccanismi di consultazione delle parti interessate, ma ritiene che siano necessari sforzi supplementari volti ad aumentare la partecipazione, trasparenza e responsabilità, nonché l'efficacia e la coerenza di tali consultazioni. A tal fine, il CESE esorta la Commissione a prendere in considerazione e ad attuare pienamente le proposte contenute nei due pareri di cui sopra.

4.5.4

Data la sua funzione rappresentativa, il CESE è nella posizione idonea per contribuire sia a individuare le parti interessate su cui le misure politiche proposte incidono in misura maggiore, che a raccogliere informazioni sulle esperienze maturate con la normativa già in vigore. La Commissione dovrebbe consultare il CESE più strettamente non solo nell'elaborazione delle strategie di consultazione ma anche nell'individuazione dei gruppi di destinatari pertinenti, sia ex ante che ex post.

4.6   Semplificare la legislazione e ridurre i costi inutili

4.6.1

In un parere precedente (13), il CESE afferma che «la regolamentazione europea è un fattore fondamentale di integrazione e non costituisce affatto un onere o un costo da ridurre: se ben proporzionata, essa è anzi un'importante garanzia di protezione, di promozione e di certezza del diritto per tutti i cittadini e gli altri soggetti europei».

4.6.2

Nel contempo, in quello stesso parere (14) il CESE sostiene che è «necessario evitare i costi superflui della regolamentazione; i costi della regolamentazione devono essere proporzionati ai benefici che ne derivano».

4.6.3

Il CESE sostiene fermamente il principio «in primo luogo la valutazione». Come affermato nel suddetto parere (15), il CESE può «svolgere un'utile funzione di intermediario tra i legislatori e gli utenti della legislazione europea. […] Il CESE adegua costantemente i propri metodi di lavoro per contribuire a valutare la qualità dell'applicazione del diritto dell'UE. […] Di recente, infatti, ha deciso di partecipare attivamente alla valutazione del ciclo legislativo effettuando proprie valutazioni ex post dell'acquis dell'Unione europea».

4.6.4

Come affermato in un proprio parere (16), il CESE «raccomanda un approccio qualitativo che si collochi sullo stesso piano rispetto all'analisi quantitativa e tenga conto della ricerca dei benefici attesi dalla legislazione». Oltre ai costi della regolamentazione, andrebbero quantificati (ove opportuno) anche i benefici derivanti dalla regolamentazione, compresi i benefici netti, e le valutazioni d'impatto della Commissione dovrebbero tener conto di tali benefici in maniera più sistematica.

4.6.5

Il CESE è dell'avviso che sia indispensabile sostenere certi costi per raggiungere gli obiettivi strategici. I costi andrebbero ridotti soltanto se è dimostrato che non sono necessari per conseguire l'obiettivo strategico stabilito. Il CESE condivide il punto di vista della Commissione secondo cui la riduzione dei costi superflui dovrebbe essere basata su elementi concreti tratti da una valutazione «caso per caso» e non su semplici obiettivi numerici, in modo che gli obiettivi stabiliti della legislazione rimangano del tutto invariati.

4.6.6

In merito al programma REFIT, il CESE rimanda ai propri pareri in materia (17). Il CESE è coinvolto nel suddetto programma attraverso la sua partecipazione alla piattaforma REFIT, alle cui riunioni prendono parte (a rotazione) tre suoi membri, uno per ciascun gruppo del CESE. I membri collaborano strettamente per individuare le priorità politiche per il CESE e preparano posizioni comuni per le riunioni della piattaforma, sulla base delle posizioni concordate stabilite in pareri precedenti.

4.6.7

Il CESE ricorda che la piattaforma REFIT incentra i suoi lavori sulla fase ex post. La piattaforma ha il compito di esaminare le osservazioni formulate tramite il sito web «Ridurre la burocrazia», nonché di elaborare delle propose sui modi per semplificare la legislazione dell'UE già in vigore. La piattaforma non dovrebbe essere utilizzata per proporre nuove normative.

4.6.8

Il CESE osserva che gli interessi specifici delle PMI non sono esplicitamente rappresentati in seno alla piattaforma REFIT. Il Comitato esorta pertanto la Commissione a invitare un rappresentante appropriato affinché partecipi al gruppo delle parti interessate della piattaforma REFIT.

4.7   Valutazione degli approcci alternativi alla semplificazione e alla riduzione dei costi

4.7.1

In merito alla fissazione di obiettivi di riduzione dell'onere normativo nel quadro dell'iniziativa Legiferare meglio, il CESE è dell'avviso che gli obiettivi di riduzione dell'onere normativo debbano essere fissati ex post, nell'ambito del programma REFIT, ed essere basati su una valutazione a tutto campo che comprenda un dialogo con la società civile e le parti interessate.

4.7.2

Tenuto conto della difficoltà nell'ottenere i dati necessari per stabilire calcoli scientificamente validi dello scenario di base allo scopo di fissare ex ante gli obiettivi di riduzione dell'onere normativo, il CESE non è favorevole all'introduzione di questi obiettivi, sia che riguardino i singoli settori oppure l'economia nel suo complesso. Lo stesso vale per gli obiettivi numerici fissati a livello politico, come il principio «one in, one out».

4.8   Attuazione e applicazione del diritto dell'Unione

4.8.1

In merito all'attuazione e applicazione del diritto dell'Unione, il CESE rimanda ai suoi numerosi pareri in materia (18).

4.8.2

L'applicabilità della legislazione dell'Unione deve essere presa in considerazione nella fase iniziale del processo di elaborazione delle politiche, nel quadro della valutazione d'impatto. Il CESE raccomanda ai servizi della Commissione di rispettare rigorosamente gli orientamenti per la valutazione d'impatto descritti nel capitolo IV degli strumenti per legiferare meglio («Attuazione, recepimento e preparazione delle proposte»). Andrebbe riservata un'attenzione particolare alle specificità dei differenti sistemi giuridici e politici nazionali, nonché alle differenti risorse e capacità di cui gli Stati membri dispongono per recepire e applicare il diritto europeo.

4.8.3

Nella maggior parte dei casi, l'onere normativo è il risultato del processo nazionale attraverso il quale le autorità competenti degli Stati membri recepiscono e applicano il diritto dell'Unione (eccesso di regolamentazione). Nei propri pareri in materia (19), il CESE afferma che la maggior parte degli insuccessi nell'applicazione o attuazione del diritto dell'Unione sono in realtà dovuti al mancato recepimento delle direttive. Il CESE raccomanda pertanto di ricorrere ai regolamenti anziché alle direttive, per evitare l'incoerenza dei quadri normativi all'interno dell'UE (20). L'attuale livello di protezione dei cittadini, dei consumatori, dei lavoratori e dell'ambiente non deve tuttavia diminuire in nessuno Stato membro.

4.8.4

Il CESE reputa che una corretta attuazione della legislazione dell'Unione sia il risultato dell'impegno congiunto e coordinato dei principali soggetti coinvolti, ossia la Commissione, il Parlamento europeo, il Consiglio e gli Stati membri, coinvolgendo nella massima misura possibile il livello regionale e locale, nonché la società civile e le parti interessate. Il CESE ritiene che la Commissione debba fungere da capofila nel coordinare questo impegno, come affermato nel proprio parere in materia (21), «per promuovere la fiducia tra le autorità responsabili dell'attuazione della normativa europea e per sostenere le reti di enti pubblici, il monitoraggio sistematico dei loro risultati e l'individuazione e la diffusione delle migliori prassi».

4.8.5

Nella sua comunicazione la Commissione propone varie misure per migliorare l'attuazione della legislazione dell'Unione. Tra queste figurano un approccio più sistematico in materia di monitoraggio e valutazione dell'efficacia della legislazione, nel quadro dell'accordo interistituzionale «Legiferare meglio», l'aiuto agli Stati membri attraverso l'offerta di piani di attuazione, nonché l'elaborazione di relazioni per paese che riportano i punti di forza e le debolezze nazionali per quanto riguarda l'attuazione. Il CESE apprezza l'attenzione speciale che la Commissione dedica a questo argomento e alle misure proposte, ma deplora che in nessun caso sia previso il coinvolgimento del CESE.

4.8.6

Come indicato in un parere precedente (22), «nel caso del recepimento di talune direttive, il Comitato intende contribuire in modo specifico alla relazione d'iniziativa del Parlamento europeo sull'attuazione della legislazione dell'UE da parte degli Stati membri, valutando più precisamente le aggiunte apportate dagli Stati membri in sede di recepimento».

4.8.7

Infine, il CESE accoglie favorevolmente l'approccio strategico che la Commissione ha stabilito per la sua politica in materia di infrazioni nella comunicazione intitolata Diritto dell'Unione europea: risultati migliori attraverso una migliore applicazione (23). Incoraggia inoltre la Commissione a perseguire più rapidamente e in modo più rigoroso i casi in cui gli Stati membri non recepiscono correttamente la legislazione dell'UE, oppure non la recepiscono affatto.

4.9   Collaborazione con le altre istituzioni

4.9.1

Il CESE rappresenta gli utenti finali organizzati del diritto dell'Unione e, alla luce del suo ruolo, dovrebbe essere considerato dal Consiglio, dal Parlamento europeo e dalla Commissione come un partner e una risorsa per valutare la fattibilità dei progetti legislativi da un punto di vista concreto ed empirico.

4.9.2

Tenuto conto del ruolo attivo che il CESE svolge ai fini di una migliore legiferazione e regolamentazione, come indicato più sopra, il Comitato esorta vivamente la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio a includerlo ufficialmente nell'accordo interistituzionale Legiferare meglio.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2017) 651 final.

(2)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192.

(3)  COM(2015) 215 final.

(4)  Cfr. inter alia il gruppo ad hoc Controllo dell'applicazione della legislazione dell'UE; GU C 487 del 28.12.2016, pag. 51; GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45; GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192; GU C 345 del 13.10.2017, pag. 67; GU C 13 del 15.1.2016, pag. 145; GU C 434 del 15.12.2017, pag. 11; GU C 291 del 4.9.2015, pag. 29; GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66; GU C 43 del 15.2.2012, pag. 14; GU C 248 del 25.8.2011, pag. 87; GU C 18 del 19.1.2011, pag. 95; GU C 128 del 18.5.2010, pag. 103; GU C 277 del 17.11.2009, pag. 6; GU C 100 del 30.4.2009, pag. 28; GU C 204 del 9.8.2008, pag. 9.

(5)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 51.

(6)  C(2017) 7810.

(7)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 11.

(8)  SWD (2017) 350 e https://ec.europa.eu/info/better-regulation-toolbox_it.

(9)  Comitato per il controllo normativo, relazione annuale 2016, https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2016-rsb-report_en.pdf; cfr. in particolare la pag. 13 e la pag. 15.

(10)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 11 (punto 4.3.1).

(11)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57.

(12)  Parere della piattaforma REFIT sull'osservazione XXII.4.a, presentata dalla Camera tedesca dell'industria e del commercio (DIHK), e sull'osservazione XXII.4.b, presentata da un cittadino, in merito ai meccanismi di consultazione delle parti interessate. Data dell'adozione: 07 giugno 2017.

(13)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45.

(14)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 51.

(15)  Gruppo ad hoc — Analisi panoramica sull'applicazione della legislazione dell'UE (esame da parte della Corte dei conti europea), GU C 81 del 2.3.2018, pag. 81.

(16)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 11.

(17)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66; GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45.

(18)  Gruppo ad hoc; GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45; GU C 291 del 4.9.2015, pag. 29; GU C 18 del 19.1.2011, pag. 95; GU C 175 del 28.7.2009, pag. 26; GU C 204 del 9.8.2008, pag. 9; GU C 325 del 30.12.2006, pag. 3; GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52; GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39.

(19)  Gruppo ad hoc; GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192.

(20)  GU C 18 del 15.12.2017, pag. 95.

(21)  GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52

(22)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45.

(23)  C(2016) 8600, GU C 18 del 19.1.2017, pag. 10.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

534a sessione plenaria del CESE — Sessione Rinnovo, 18.4.2018 – 19.4.2018

25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea — Ulteriori tappe verso il completamento dell'unione economica e monetaria dell'Europa: tabella di marcia

[COM(2017) 821 final]

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea — Nuovi strumenti di bilancio per una zona euro stabile nel quadro dell'Unione

[COM(2017) 822 final]

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea su un ministro europeo dell'economia e delle finanze

[COM(2017) 823 final]

Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce disposizioni per rafforzare la responsabilità di bilancio e l'orientamento di bilancio a medio termine negli Stati membri

[COM(2017) 824 final — 2017/0335 (CNS)]

Proposta di regolamento del Consiglio sull'istituzione del Fondo monetario europeo

[COM(2017) 827 final — 2017/0333 (APP)]

(2018/C 262/05)

Relatore:

Mihai IVAŞCU

Correlatore:

Stefano PALMIERI

Consultazione

Commissione europea, 12.2.2018 e 28.2.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

26.3.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

152/3/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE apprezza la tabella di marcia per il completamento dell'Unione economica e monetaria europea (UEM) proposta, ma il suo non è un sostegno completo ed entusiastico, in quanto una serie di questioni sociali, politiche ed economiche, messe in evidenza nei precedenti pareri del Comitato in materia, non sono state prese in considerazione. Il completamento dell'UEM richiede innanzitutto un forte impegno politico, una governance efficiente e un uso migliore delle risorse finanziarie disponibili, al fine di gestire sia la riduzione del rischio che la sua condivisione tra gli Stati membri. Per questi motivi il CESE sottolinea che a livello dell'UE il principio di responsabilità e quello di solidarietà dovrebbero andare di pari passo.

1.2

Il CESE manifesta la sua enorme delusione per il fatto che i due comitati consultivi istituzionali dell'UE, il CESE e il CdR, siano esclusi dalla comunicazione e che il ruolo del Parlamento europeo sia ancora piuttosto limitato. Inoltre, non vi è nessun riferimento a una partecipazione rafforzata delle parti sociali e della società civile organizzata alla valutazione del semestre europeo.

1.3

Il CESE ha sostenuto a più riprese che mancano una visione strategica per il futuro e la capacità di reagire in maniera adeguata ad altre crisi economiche e finanziarie. Il pacchetto sull'Unione economica e monetaria andrebbe valutato e attuato nella consapevolezza che gli europei hanno bisogno di più Europa e di un'Europa migliore.

1.4

L'Unione sociale, propugnata dal CESE, è assente dall'elenco delle unioni che compongono l'UEM, mentre non si riscontra alcun impegno per integrare il pilastro europeo dei diritti sociali.

1.5

Il CESE si sente in dovere di segnalare ancora una volta che, più l'attuale politica di austerità prosegue nel tempo senza un efficace piano di investimenti, più la prosperità dell'Europa viene messa in pericolo.

1.6

«Riparare il tetto finché il tempo è bello» è vitale e bisogna farlo immediatamente, sulla base di una valutazione aggiornata delle ragioni per cui «il tetto è danneggiato» e delle relative responsabilità. Il CESE mette in risalto la necessità di sviluppare nuovi strumenti finanziari per la prevenzione delle crisi e per neutralizzare le misure procicliche.

1.7

Il completamento dell'Unione bancaria e dell'Unione dei mercati dei capitali dovrebbe rimanere la priorità assoluta. La proposta in esame non contiene assolutamente nulla sul sistema europeo di assicurazione dei depositi, sebbene il CESE abbia già emesso un parere sull'argomento (1). Devono inoltre essere prese iniziative per affrontare immediatamente ed efficacemente il problema dei crediti deteriorati.

1.8   Fondo monetario europeo (FME)

1.8.1

Il compito che la proposta assegna al nuovo FME, vale a dire fornire un sostegno comune al Fondo di risoluzione unico, è estremamente importante e riceve il pieno sostegno del Comitato. Tuttavia, il CESE mette in rilievo la necessità di fare in modo che questa disposizione non funzioni come un paracadute d'oro, incoraggiando le banche ad assumere rischi inutili e pericolosi.

1.8.2

È estremamente importante che il nuovo FME abbia un ruolo più attivo nel contesto dell'UE, analogo a quello svolto a livello internazionale dal Fondo monetario internazionale, sostenendo lo sviluppo economico e assorbendo gli shock, non limitandosi quindi a prevenire le crisi bancarie.

1.9   Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance

1.9.1

Il trattato dovrebbe diventare parte integrante del diritto dell'UE, insieme con la trasformazione del meccanismo europeo di stabilità (MES) in FME, senza che sia data agli Stati membri la possibilità di scegliere gli aspetti per loro convenienti e lasciar cadere il resto.

1.9.2

Pur prendendo atto dell'interpretazione flessibile data al patto di stabilità e crescita (PSC), il CESE ritiene che ciò non sia sufficiente e raccomanda di aprire tavoli di discussione a livello dell'UE per quanto riguarda l'esclusione degli investimenti pubblici strategici che conferiscono valore aggiunto dall'ambito di applicazione di detto patto. Ciò non dovrebbe essere calcolato come un costo, ma piuttosto come una fonte di entrate future, permettendo un ciclo economico regolare e garantendo la creazione di posti di lavoro di qualità e la riduzione delle disuguaglianze, in linea con le richieste formulate dal CESE in suoi precedenti pareri (2) e con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (OSS) (3).

1.9.3

Gli investimenti pubblici, compresi gli investimenti sociali, oltre a indurre un'espansione della domanda nel breve termine, rafforzerebbero anche il potenziale di crescita a lungo termine, contribuendo così a dare soluzione al problema della sostenibilità del debito pubblico.

1.10   Nuovi strumenti di bilancio

1.10.1

Il CESE approva incondizionatamente la proposta di introdurre uno specifico strumento di convergenza per gli Stati membri in procinto di entrare a far parte della zona euro. L'assistenza tecnica deve essere diretta al raggiungimento di una convergenza effettiva.

1.10.2

Ai fini della riduzione delle divergenze esistenti tra le economie dell'UE, risulta particolarmente importante la funzione di stabilizzazione macroeconomica, considerando che la capacità d'azione indipendente degli Stati membri è sempre più ristretta a causa dei vincoli dell'UEM.

1.11   Ministro dell'economia e delle finanze

1.11.1

Il CESE appoggia l'istituzione della carica di ministro dell'economia e delle finanze dell'UEM, come primo passo per migliorare la coerenza delle politiche, che sono attualmente caratterizzate da disorganicità. Questa figura dovrebbe rappresentare la zona euro negli organismi internazionali, gestire in piena trasparenza il bilancio specifico della zona euro proposto, definire l'orientamento aggregato della politica di bilancio della zona euro e stabilire le modalità per conseguirlo.

1.11.2

Tuttavia, la proposta della Commissione comporta il rischio di un eccessivo accentramento del potere esecutivo nelle mani di una sola persona. Il CESE chiede pertanto di riflettere ulteriormente sulla carica di ministro proposta e di rafforzarne la responsabilità democratica.

2.   Introduzione e osservazioni generali

2.1

Dopo anni di gestione di crisi, in cui si è privilegiato il metodo intergovernativo per superare le carenze istituzionali di un'Unione economica e monetaria (UEM) incompleta, il CESE accoglie con favore il ritorno all'uso del metodo comunitario, l'unico capace di garantire la legittimità democratica del processo decisionale a livello dell'UE e un approfondimento dell'integrazione dell'UE. In questo contesto, il completamento dell'UEM esige un forte impegno politico, una governance efficiente e un migliore impiego delle risorse finanziarie disponibili.

2.2

Il CESE, come ha già manifestato nei suoi precedenti pareri (4), apprezza il fatto che la tabella di marcia proposta sia ambiziosa, tanto nella sua portata che nel calendario, e vada nella giusta direzione. Il suo però non è un sostegno pieno ed entusiastico, per il fatto che nel pacchetto non si è tenuto conto di diverse questioni sociali, politiche ed economiche, punto che è stato anch'esso messo in rilievo in precedenti pareri.

2.3

In primo luogo, il ruolo del Parlamento europeo è ancora troppo limitato e i due comitati consultivi istituzionali, il CESE e il CdR, non vengono considerati. Non vi è nessun riferimento a un migliore dialogo sociale e civile sul semestre europeo mediante una più attiva partecipazione delle parti sociali e della società civile. In un precedente parere, il CESE ha affermato che «… per motivi di responsabilità democratica e di titolarità, il processo del semestre europeo dovrebbe coinvolgere il Parlamento europeo, i parlamenti nazionali, le parti sociali e la società civile. La dimensione sociale deve essere presa in considerazione su un piano di parità con la dimensione economica» (5).

2.4

Il completamento rapido ed efficiente dell'Unione bancaria è di fondamentale importanza per garantire un contesto imprenditoriale europeo competitivo e per creare una vera moneta unica europea.

2.5

Inoltre, l'Unione sociale, sostenuta dal CESE, è assente dall'elenco delle unioni che costituiscono l'UEM. Non vi è alcun impegno a integrare (6) il pilastro europeo dei diritti sociali, annunciato nel novembre 2017 a Göteborg, nella governance della zona dell'euro. Ai diritti sociali dovrebbe essere assegnata un'importanza pari a quella delle libertà economiche al fine di realizzare nei fatti l'idea di «economia sociale di mercato» sancita dal Trattato.

2.6

In aggiunta, la Commissione sembra restia a usare il termine «Unione politica», o sembra aver paura di farlo, optando invece per espressioni più deboli e meno esplicite come «responsabilità democratica» e «governance rafforzata». Ciò non ha motivo di essere se si spiega chiaramente che «Unione politica» non significa necessariamente un'unica compagine politica, ma piuttosto una serie di piccole tappe che riconoscono la necessità di una governance politica comune a livello dell'UE in determinati ambiti. Quest'idea è stata spiegata in modo molto chiaro dal CESE nei suoi pareri (7).

2.7

Il pacchetto sull'Unione economica e monetaria andrebbe valutato e attuato nella consapevolezza che gli europei hanno bisogno di più Europa e di un'Europa migliore. Il CESE ha sostenuto a più riprese che manca una visione strategica del futuro e la capacità di rispondere in maniera adeguata alla crisi economica e finanziaria. La governance economica dell'UE dovrebbe ispirarsi al principio di fondo secondo cui agendo a livello di UE si ottiene un valore aggiunto maggiore rispetto all'azione individuale degli Stati membri (8).

2.8

Nonostante la ripresa sia in corso, gli effetti della crisi economica si fanno sentire ancora nella vita quotidiana dei cittadini e nelle politiche attuate al momento dagli Stati membri. Il CESE ha già avvertito che più a lungo si proseguirà con l'attuale politica di austerità, incentrata prima di tutto sul taglio della spesa, senza un efficace piano d'investimenti che generi reddito attraverso la crescita, la coesione sociale e la solidarietà, più diventerà evidente che l'aumento delle diseguaglianze sociali mette a rischio l'integrazione economica e la prosperità dell'Europa (9).

2.9

I mercati dei capitali, inoltre, sono ben lontani dall'essere integrati e non sono ancora in grado di assorbire gli shock simmetrici ed asimmetrici, come è successo negli Stati Uniti. È prevedibile un'ulteriore frammentazione alla luce dell'evoluzione dei negoziati sulla Brexit e dell'imminente uscita dal mercato unico europeo di uno dei mercati dei capitali più grande al mondo. È necessario prendere misure per reagire a tali sviluppi.

3.   Istituzione di un Fondo monetario europeo (FME)

3.1

Il CESE accoglie con favore la trasformazione del Meccanismo europeo di stabilità (MES) in Fondo monetario europeo, nella convinzione che l'ancoraggio istituzionale proposto farà ulteriormente crescere la fiducia nella capacità dell'UE di rispondere a future crisi finanziarie ed economiche.

3.2

Il CESE mette in risalto la necessità di sviluppare nuovi strumenti finanziari per la prevenzione delle crisi e per incoraggiare le misure anticicliche. La metafora «riparare il tetto finché il tempo è bello» si applica a questo aspetto come a tutto il pacchetto. Poiché l'FME prenderà il posto del MES, con le sue attuali strutture finanziarie e istituzionali, è molto importante svilupparne le capacità e le abilità, sotto la diretta supervisione della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europeo e in stretta collaborazione con la Banca centrale europea.

3.3

Una novità molto significativa della proposta della Commissione è la capacità dell'FME di fornire un sostegno comune al Fondo di risoluzione unico, in base all'accordo raggiunto dagli Stati membri nel 2013. Pur ammettendo che il sostegno farà aumentare la credibilità del settore bancario, il CESE sottolinea la necessità di fare in modo che la misura proposta non funzioni come un paracadute d'oro, spingendo le banche ad assumere rischi inutili e pericolosi.

3.4

Non occorre un rafforzamento del controllo finanziario sugli Stati membri da parte dell'UE, la quale dovrebbe rendere invece più efficaci e sostenibili gli strumenti finanziari esistenti. Il nuovo FME dovrebbe avere un ruolo più attivo nel contesto dell'UE, analogo a quello svolto dal Fondo monetario internazionale a livello internazionale, sostenendo lo sviluppo economico in tutta l'UE e assorbendo gli shock simmetrici e asimmetrici e non limitandosi a prevenire le crisi bancarie.

3.5

In particolare, l'FME dovrebbe poter intervenire rapidamente e neutralizzare qualsiasi shock asimmetrico che non possa essere gestito a livello di uno Stato membro e che potrebbe espandersi ad altri paesi dell'UE, mettendo così in pericolo l'integrità della zona dell'euro e il mercato unico. Anche gli Stati membri non appartenenti alla zona dell'euro, ma che fanno parte dell'Unione bancaria, dovrebbero poter beneficiare dell'FME, a condizione che abbiano sottoscritto e versato il loro apporto al capitale autorizzato.

3.6

Livelli crescenti di crediti deteriorati continuano a pesare sui bilanci delle banche e rappresentano un fardello enorme per l'ulteriore finanziamento dell'economia dell'UE, determinando la contrazione dell'offerta di credito, la distorsione nell'allocazione del credito, il calo della fiducia sui mercati e il rallentamento della crescita economica. Sono urgentemente necessarie misure volte a ridurre i livelli dei crediti deteriorati ed esse dovrebbero rimanere una priorità assoluta nell'agenda delle istituzioni europee.

3.7

L'esigenza di favorire la credibilità del nuovo FME dovrebbe essere accompagnata da misure per prevenire le crisi e per proteggere i contribuenti evitando che debbano accollarsi la responsabilità per i debiti di banche non solvibili.

3.8

L'FME dovrebbe operare in cooperazione con la Banca centrale europea (BCE), dato che esso potrebbe contribuire a impedire attacchi speculativi nei confronti degli Stati membri, mentre la BCE può solo mobilitare risorse finanziarie per respingere attacchi contro i grandi sistemi economici. A tale proposito, il CESE si rammarica dell'assenza nel pacchetto della Commissione di una proposta per lanciare un dibattito sul miglioramento dello statuto della BCE, allo scopo di introdurre la crescita e la piena occupazione come secondo obiettivo della politica monetaria, in aggiunta alla stabilità dei prezzi.

3.9

Il CESE è d'accordo con il ruolo consultivo assegnato al Parlamento europeo in relazione alla procedura di nomina del direttore generale dell'FME e con l'obbligo imposto all'FME di presentare una relazione annuale al Parlamento, al Consiglio e alla Commissione.

3.10

La proposta attuale non contiene alcun riferimento al sistema europeo di assicurazione dei depositi. La Commissione ha pubblicato in realtà una proposta in materia nel novembre del 2015, ma fino a questo momento i legislatori non sono riusciti a trovare un accordo sulla proposta, anche se il CESE ha già formulato il suo parere sull'argomento (10).

4.   Integrazione del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria (TSCG) nell'ordinamento giuridico dell'UE

4.1

Il CESE è profondamente convinto che il TSCG e il MES hanno visto la luce nel momento più critico della crisi come soluzioni intergovernative che incarnano in larga misura i principi di responsabilità e solidarietà a livello dell'UE. Il Comitato è dell'avviso che tali principi siano inseparabili e non si possano fare progressi per quanto riguarda l'uno e non l'altro. Essi devono quindi essere integrati e devono godere dello stesso status nell'ordinamento giuridico dell'UE, senza che gli Stati membri prendano quello che loro aggrada e lascino cadere gli elementi indesiderati. Responsabilità e solidarietà dovrebbero essere un pacchetto unico.

4.2

Anche se la proposta di direttiva volta a integrare il TSCG nell'ordinamento giuridico dell'UE tiene conto dell'interpretazione flessibile data alle regole del patto di stabilità e di crescita (PSC) dalla Commissione, il CESE ha già sostenuto che tale flessibilità non è sufficiente e che si dovrebbero aprire discussioni a livello dell'UE su una norma di diritto completa che escluda dal campo di applicazione del PSC gli investimenti pubblici che apportano valore aggiunto, una clausola nota come la «regola d'oro» (golden rule).

4.3

È per questo motivo che il CESE nutre dubbi sulla proposta di integrare il TSCG e, in special modo il «patto di bilancio», nell'ordinamento giuridico dell'UE senza l'introduzione di una flessibilità aggiuntiva, specie per quanto riguarda gli investimenti pubblici o le considerazioni sociali. Ove necessario, questo tipo di investimenti dovrebbe essere diretto a migliorare la produttività e la competitività, attraverso il finanziamento di progetti relativi alla ricerca e allo sviluppo, alle infrastrutture fisiche e sociali, alla digitalizzazione dell'economia e allo sviluppo permanente delle competenze per tenere il passo dell'evoluzione tecnologica e dell'apertura globale.

4.4

I bilanci in pareggio che non permettono di finanziare investimenti pubblici con il debito avranno ripercussioni negative sullo sviluppo economico (attraverso aumenti delle imposte e tagli alla spesa pubblica). Gli investimenti pubblici, il cui attuale livello nell'UE è il più basso degli ultimi 20 anni, non dovrebbero essere considerati un costo, e quindi una voce dei disavanzi pubblici, bensì dovrebbero essere registrati piuttosto come una fonte di introiti futuri, ai fini di un andamento senza scosse del ciclo economico e allo scopo di assicurare la crescita e la creazione di posti di lavoro.

4.5

Il CESE approva la relazione della task force ad alto livello presieduta da Romano Prodi e Christian Sautter sullo stimolo agli investimenti nelle infrastrutture sociali in Europa, al fine di accelerare la creazione di posti di lavoro e migliorare il benessere, la salute, le condizioni abitative e le competenze della popolazione (11).

4.6

Se si raggiungerà un accordo sulla concessione di un trattamento più favorevole agli investimenti pubblici produttivi e orientati al futuro, l'integrazione del TSCG e dell'FME nell'ordinamento giuridico dell'UE può potenzialmente rafforzare i nostri strumenti di bilancio e favorire una governance dell'UEM più efficace, legittima e democratica.

5.   Nuovi strumenti di bilancio per la stabilità della zona dell'euro

5.1

La funzione di stabilizzazione macroeconomica è particolarmente rilevante, considerato che la sua mancanza è stata una delle cause della crisi strategica nell'UE. Se da un lato gli Stati membri hanno una minore capacità di muoversi in autonomia e di incidere su mercato del lavoro e sistema del welfare, dall'altro lato non sono state ancora create a livello europeo reti di protezione sociale che permettano a tutti i cittadini di beneficiare della crescita e della concorrenza globale (12).

5.2

Il CESE approva incondizionatamente la proposta di introdurre uno specifico strumento di convergenza per gli Stati membri in procinto di entrare a far parte della zona euro, in quanto ciò rafforzerebbe il ruolo della zona dell'euro sul piano internazionale e farebbe aumentare l'impiego dell'euro come divisa. Per ottenere una convergenza reale, l'assistenza tecnica deve essere mirata, in modo da neutralizzare e attenuare i rischi per il benessere generale dei cittadini e per le economie dei paesi candidati all'ingresso nella zona euro.

5.3

La strada da seguire è quella di politiche di bilancio sane e di una spesa orientata agli investimenti, ricordando che coefficienti elevati di debito pubblico in rapporto al PIL sono spesso il risultato di una crisi economica e di una recessione. Il CESE chiede pertanto un meccanismo agile che possa essere attivato rapidamente nel caso di una flessione dell'economia, e considera adeguata la proposta di un ordine di grandezza pari all'1 % del PIL.

5.4

Il CESE è favorevole alla creazione di un bilancio della zona euro nel quadro del bilancio dell'UE. Ciò eviterebbe di introdurre nuove istituzioni che potrebbero inserire un cuneo politico tra i paesi della zona euro e i paesi che non vi appartengono. In ogni caso è necessaria una profonda riforma del bilancio dell'UE.

5.5

Un bilancio autonomo e di dimensioni ragguardevoli della zona euro, con un gettito fiscale proprio, potrebbe trasferire risorse in via temporanea ma significativa in caso di shock regionali, contrastare recessioni gravi nell'intera zona e garantire la necessaria stabilità finanziaria, con una funzione di stabilizzazione macroeconomica a protezione degli investimenti e contro disoccupazione e precariato, come è già stato sostenuto dal CESE (13).

6.   Ministro europeo dell'economia e delle finanze

6.1

Il CESE ha sostenuto a più riprese (14) la necessità di introdurre la figura di ministro dell'economia e delle finanze per l'UEM, come primo passo per migliorare la coerenza delle politiche, che sono attualmente caratterizzate da disorganicità a causa delle diverse istituzioni coinvolte. Il ministro dell'economia e delle finanze dovrebbe rappresentare l'UEM negli organismi internazionali. Dovrebbe gestire il suo bilancio specifico, guidato dai principi di semplicità, trasparenza, equità e responsabilità democratica. Il ministro dovrebbe inoltre essere responsabile della definizione dell'orientamento aggregato della politica di bilancio della zona euro e delle modalità per conseguirlo.

6.2

Le funzioni e le attribuzioni descritte nella comunicazione della Commissione corrispondono più a quelle di un ministro delle finanze della zona euro che a quelle di un ministro per l'intera UE. La carica delineata nella proposta della Commissione, tuttavia, non è quella di un reale ed effettivo ministro delle finanze e questa denominazione impropria potrebbe creare false aspettative e confusione.

6.3

Il CESE ritiene che la concentrazione in un'unica carica della rappresentanza della zona euro a livello dell'UE, della funzione di presidente dell'Eurogruppo, della presidenza del Consiglio dei governatori del nuovo FME e della funzione di vicepresidente della Commissione europea costituirebbe un eccessivo accentramento del potere esecutivo nelle mani di una sola persona. Inoltre, il CESE giudica che non sia democratico proporre che il presidente dell'Eurogruppo resti in carica automaticamente per due mandati al fine di sincronizzare il suo mandato all'Eurogruppo con quello della Commissione europea.

6.4

Il CESE teme che, nella sua forma attuale, la struttura proposta creerebbe confusione tra il ruolo della Commissione e quello del Consiglio, compromettendo il sottile equilibrio tra interessi dell'Unione e interessi nazionali su cui si fonda l'UE. Il CESE chiede pertanto di riflettere ulteriormente sulla carica di ministro proposta e di rafforzarne la responsabilità democratica.

6.5

Dalla comunicazione, inoltre, non emerge chiaramente se verrebbero create altre cariche ministeriali o se ci si limiterebbe a questa sola figura. La carica di ministro europeo dell'economia e delle finanze ha senso soltanto se l'UE dispone di un proprio bilancio e di un proprio gettito fiscale, insieme con strumenti e politiche per gestire il bilancio, ed è quindi in grado di promuovere la crescita economica e l'uguaglianza sociale.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Sistema europeo di assicurazione dei depositi (GU C 177 del 18.5.2016, pag. 21).

(2)  Politica economica della zona euro (2016), (GU C 177 del 18.5.2016, pag. 41); Politica economica della zona euro (2017) (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 33); e Politica economica della zona euro 2017 (supplemento di parere), (GU C 81, del 2.3.2018, pag. 216).

(3)  Gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

(4)  Strumento di convergenza e competitività / Grandi riforme di politica economica (GU C 271 del 19.9.2013, pag. 45), Completare l'UEM — La prossima legislatura europea, (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10), Completare l'UEM: il pilastro politico, (GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 8).

(5)  Approfondire l'UEM entro il 2025, punto 1.5, (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 124).

(6)  Pilastro europeo dei diritti sociali.

(7)  Completare l'UEM: il pilastro politico, (GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 8) e Approfondire l'UEM entro il 2025, (GU C 81, del 2.3.2018, pag. 124).

(8)  Le finanze dell'UE entro il 2025, punti 1.2 e 1.3, (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 131).

(9)  Un'UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario, punto 1.2, (GU C 13 del 15.01.2016, pag. 33).

(10)  Sistema europeo di assicurazione dei depositi (GU C 177 del 18.5.2016, pag. 21).

(11)  L. Fransen, G. del Bufalo and E. Reviglio, Boosting Investment in Social Infrastructure in Europe (Stimolare gli investimenti nelle infrastrutture sociali in Europa) «Report of the High-Level Task Force on Investing in Social Infrastructure in Europe» (Relazione della task force ad alto livello per gli investimenti nelle infrastrutture sociali in Europa), European Economy Discussion Paper, n. 74, gennaio 2018.

(12)  Le finanze dell'UE entro il 2025, punto 3.3.1, (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 131).

(13)  Le finanze dell'UE entro il 2025, punto 3.3, (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 131).

(14)  Rilanciare la crescita, punto 3.2, (GU C 143, del 22.5.2012, pag. 10); Completare l'UEM: il pilastro politico, punti 4.3.1 e 4.3.4, (GU C 332, dell'8.10.2015, pag. 8); Politica economica della zona euro (2016), punto 3.5, (GU C 177, del 18.5.2016, pag. 41); Politica economica della zona euro (2017), punto 1.13, (GU C 173, del 31.5.2017, pag. 33) e Approfondire l'UEM entro il 2025, punto 1.11, (GU C 81, del 2.3.2018, pag. 124).


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali delle imprese di investimento e che modifica i regolamenti (UE) n. 575/2013, (UE) n. 600/2014 e (UE) n. 1093/2010

[COM(2017) 790 final — 2017/0359 (COD)]

e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla vigilanza prudenziale sulle imprese di investimento e recante modifica delle direttive 2013/36/UE e 2014/65/UE

[COM(2017) 791 final — 2017/0358 (COD)]

(2018/C 262/06)

Relatore:

Jarosław MULEWICZ

Consultazione

Parlamento europeo — COM(2017) 790 final: 18.1.2018 e COM(2017) 791 final: 18.1.2018

Consiglio dell'Unione europea — COM(2017) 790 final: 14.2.2018 e COM(2017) 791 final: 14.2.2018

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

26.3.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

193/2/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore le proposte della Commissione europea e si augura che esse contribuiscano in maniera efficace al conseguimento degli obiettivi fissati dalla Commissione stessa.

1.1.1

L'UE ha bisogno di mercati dei capitali più robusti per promuovere gli investimenti, sbloccare le fonti di finanziamento esistenti per le imprese e garantirne di nuove, offrire alle famiglie migliori opportunità finanziarie e rafforzare l'Unione economica e monetaria (UEM). La Commissione si è impegnata a porre in essere tutti gli elementi costitutivi che ancora servono per completare l'Unione dei mercati dei capitali entro il 2019.

1.1.2

Il secondo obiettivo riguarda la Brexit e la necessità di attirare nell'UE le imprese di investimento. La decisione del Regno Unito di recedere dall'Unione europea, infatti, determina la necessità di aggiornare il quadro normativo dell'UE al fine di renderla una sede interessante per le imprese finanziarie. Data la sua centralità per i mercati dei capitali e le attività d'investimento, il Regno Unito conta il maggior numero di imprese di investimento (la metà circa) dello spazio economico europeo (SEE), seguito da Germania, Francia, Paesi Bassi e Spagna. Le imprese di investimento del SEE sono per la maggior parte medio-piccole: l'Autorità bancaria europea (ABE) stima che l'80 % circa degli attivi di tutte le imprese di investimento del SEE sia controllato da otto imprese di investimento, con sede nel Regno Unito.

1.1.3

Il terzo obiettivo è quello di creare un quadro giuridico ad hoc per le imprese di investimento. L'attuale quadro prudenziale si concentra per lo più sugli enti creditizi e sui rischi che li riguardano. Le imprese di investimento non accettano depositi né erogano prestiti, il che significa che esse sono assai meno esposte al rischio di credito e al rischio che i clienti ritirino i propri depositi con un breve preavviso. Le imprese di investimento prestano servizi incentrati su strumenti finanziari, i quali, a differenza dei depositi, non sono pagabili alla pari ma fluttuano secondo i movimenti del mercato; tuttavia, esse sono in concorrenza con gli enti creditizi nell'offerta di servizi di investimento che tali enti possono fornire alla clientela in virtù della loro autorizzazione bancaria. Gli enti creditizi e le imprese di investimento costituiscono pertanto istituti di tipo diverso. Tuttavia, le imprese di investimento a rilevanza sistemica («imprese di investimento sistemiche») non esulano dall'ambito di applicazione del regolamento e della quarta direttiva sui requisiti patrimoniali (rispettivamente CRR e CRD IV) (1), essendo equiparate agli enti creditizi. In virtù di tale equiparazione, quindi, tali imprese dovrebbero continuare a rientrare nell'ambito di applicazione del regolamento (UE) n. 575/2013 e della direttiva 2013/36/UE ed essere soggette alla vigilanza delle autorità competenti, compresa la Banca centrale europea (BCE), nel quadro del meccanismo di vigilanza unico previsto per gli enti creditizi.

1.1.4

Il quarto obiettivo della Commissione è quello di creare, a livello di Unione europea, un quadro normativo integrato unico per le imprese di investimento. Data la diversità dei profili aziendali delle imprese di investimento, vi sono molte esenzioni legali diverse nei vari paesi, fatto che mette di fronte molte imprese, specie se operano in molti paesi, a una situazione di complessità normativa. Questo comporta un rischio supplementare. L'attuazione del quadro giuridico vigente da parte degli Stati membri dà luogo a una frammentazione del paesaggio regolamentare complessivo per le imprese di investimento, lasciando margini per un esiziale arbitraggio normativo, che potrebbe minacciare l'integrità e il funzionamento del mercato unico. Le norme prudenziali proposte dalla Commissione per le imprese di investimento si applicano a gran parte delle piccole e medie imprese di investimento in tutti gli Stati membri dell'UE.

1.2

Il CESE osserva che, per quanto non sia questo l'intento, le imprese di investimento con sede nel Regno Unito si sposterebbero negli Stati membri appartenenti all'Unione bancaria o alla zona euro, e in particolare nei centri finanziari di paesi di tale zona quali la Germania, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e l'Irlanda, mentre gli Stati membri dell'UE — che non fanno parte dell'eurozona non verrebbero presi in considerazione.

1.3

Il CESE apprezza il fatto che ci si aspetta che le PMI siano tra i principali beneficiari della direttiva e del regolamento. Un quadro prudenziale più proporzionato e adatto per queste imprese dovrebbe contribuire a migliorare le condizioni in cui esse svolgono la loro attività e a rimuovere le barriere al loro ingresso nel mercato. Ciò vale in particolare per i requisiti patrimoniali e gli oneri amministrativi. Il CESE osserva che le norme potrebbero incoraggiare le imprese innovative a sforzarsi di crescere utilizzando strumenti digitali, ad esempio rendendo più agevole l'accesso ai finanziamenti per le PMI che non sono esse stesse banche o imprese di investimento. Un quadro prudenziale più adeguato dovrebbe contribuire a liberare capitali dalle pastoie create da procedure normative inutili e consentire alle piccole imprese di investimento di fornire servizi migliori ai loro clienti, ivi comprese altre PMI. Ciò dovrebbe inoltre contribuire ad aiutare le imprese di investimento a fungere da intermediari nella mobilitazione degli investimenti dei risparmiatori in tutta l'UE e a facilitare in tal modo l'accesso delle imprese europee a fonti di finanziamento non bancarie.

1.4

La direttiva e il regolamento proposti dalla Commissione relativamente ai requisiti e alla vigilanza prudenziali per le imprese di investimento dettano le norme e i requisiti necessari in materia di capitale iniziale ed esistente, poteri di vigilanza, pubblicazione e remunerazione. Questo consente di ridurre il rischio insito nelle operazioni finanziarie delle società di investimento. Rimane la questione della misura in cui il rischio sostenuto dalle società di investimento sarà trasferito ai singoli investitori e alle imprese che sono loro clienti. Se le imprese agiscono esclusivamente per conto dei loro clienti e si limitano a fornire servizi di consulenza in materia di investimenti o gestione del portafoglio, il rischio insito negli strumenti finanziari sarà sostenuto per lo più dai clienti stessi.

1.5

Resta aperta la questione di sapere se l'introduzione unilaterale, da parte dell'UE, di un quadro giuridico specifico per le imprese di investimento nell'Unione senza tener conto di mercati come gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina o l'India, in un contesto di globalizzazione e di mercati elettronici, non si tradurrà in una fuga degli investitori dall'Europa. La grande complessità del quadro normativo MiFID II e l'obbligo di registrare i prodotti finanziari hanno fatto sì che una percentuale compresa tra il 20 e il 50 % di tali prodotti non sia più offerta. Pertanto, nel caso di un quadro legislativo specifico per le imprese d'investimento, occorrerà monitorare gli effetti delle nuove regole e modificarle in modo flessibile se la reazione dei mercati finanziari si mostrerà negativa. Il CESE condivide la preoccupazione riguardante l'importante rischio che può rappresentare il volume delle operazioni finanziarie, che può raggiungere il 54 % del PIL mondiale. Tuttavia, tali operazioni costituiscono allo stesso tempo una grande opportunità per finanziare lo sviluppo. Se il quadro giuridico non sarà modificato in modo flessibile, allora, nonostante le buone intenzioni, le imprese di investimento stabilite nel Regno Unito si trasferiranno non nell'UE bensì negli Stati Uniti.

2.   Contesto

2.1

Nell'UE vi sono molti tipi diversi di imprese di investimento, che forniscono servizi differenti a clientele differenti. Secondo i dati dell'ABE, alla fine del 2015 nel SEE vi erano 6 051 imprese di investimento, per la maggior parte di dimensioni medie o piccole, e l'ABE stima che l'80 % circa degli attivi di tutte le imprese di investimento del SEE sia per lo più controllato da otto imprese di investimento, che hanno sede nel Regno Unito. Sempre secondo i dati dell'ABE, circa il 40 % delle imprese di investimento del SEE è autorizzato esclusivamente a prestare consulenza in materia di investimenti. L'80 % delle imprese di investimento del SEE si limita a svolgere attività di consulenza in materia di investimenti, ricezione e trasmissione di ordini, gestione del portafoglio ed esecuzione di ordini, mentre circa il 20 % di esse è autorizzato a svolgere attività di negoziazione e sottoscrizione per conto proprio, ossia a fornire i servizi che sono attualmente soggetti ai requisiti prudenziali più rigorosi.

2.2

Data la sua centralità per i mercati dei capitali e le attività d'investimento, il Regno Unito conta il maggior numero di imprese di investimento del SEE (la metà circa), seguito da Germania, Francia, Paesi Bassi e Spagna. Le imprese di investimento del SEE sono per la maggior parte medio-piccole. Attualmente, le imprese di investimento considerate sistemiche sono in genere società controllate da gruppi bancari o intermediari finanziari indipendenti (broker-dealer) statunitensi, svizzeri o giapponesi.

2.3

L'ABE ha finora suddiviso le imprese di investimento in 11 categorie, principalmente in base ai servizi di investimento che esse sono autorizzate a prestare ai sensi della direttiva MiFID (2) e al fatto di essere autorizzate o meno a detenere denaro e titoli appartenenti ai loro clienti. Le imprese di investimento che prestano un'ampia gamma di servizi sono soggette alle stesse regole vigenti per gli enti creditizi per quanto concerne i requisiti patrimoniali relativi al rischio di credito, di mercato e operativo e, potenzialmente, quelli in materia di liquidità, remunerazione e governance, mentre le imprese autorizzate a prestare solo una gamma limitata di servizi (in genere quelli considerati meno rischiosi, ossia la consulenza in materia di investimenti e la ricezione e trasmissione di ordini) sono esenti dalla maggior parte di tali requisiti. L'ABE propone adesso una nuova categorizzazione delle imprese di investimento, che, anziché in 11, risulterebbero suddivise in tre grandi categorie. In base alle raccomandazioni iniziali, le imprese di investimento sistemiche costituirebbero la «classe 1» e continuerebbero a rientrare nell'ambito di applicazione del CRR e della CRD IV. Le imprese di classe 2, invece, sarebbero quelle che: negoziano per conto proprio e sostengono il rischio di mercato e di controparte; salvaguardano e amministrano attività dei clienti; detengono liquidità dei clienti od oltrepassano determinate soglie dimensionali (attività gestite nel quadro di gestioni discrezionali di portafoglio e operazioni non discrezionali (consulenza) per un valore superiore a 1,2 mld di euro; ordini di clienti trattati per un valore di almeno 100 mio di euro al giorno per le operazioni a pronti e/o di almeno 1 mld di euro al giorno per i derivati; uno stato patrimoniale superiore a 100 mio di euro; ricavi lordi complessivi superiori a 30 mio di euro). Queste imprese dovranno calcolare i requisiti patrimoniali loro applicabili con riferimento a una serie di nuovi fattori di rischio (fattori K). Le imprese di classe 3 sarebbero quelle che non svolgono le attività di cui sopra e rimangono al di sotto di tutte le soglie sopraindicate. Tali imprese non saranno tenute a soddisfare un insieme di requisiti patrimoniali con riferimento ai fattori K.

2.4

Il quadro normativo UE per le imprese di investimento consta di due parti principali. La prima è costituita dalla direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID) e, dal gennaio 2018, dalla MiFID II e dal MiFIR (3), che dettano le disposizioni in materia di autorizzazione, organizzazione e attività di tali imprese. La seconda consiste nel quadro prudenziale stabilito dal regolamento e dalla quarta direttiva sui requisiti patrimoniali (rispettivamente CRR e CRD IV), la stessa disciplina che si applica agli enti creditizi. La ragione di ciò sta nel fatto che le imprese di investimento possono essere in concorrenza con gli enti creditizi nella prestazione dei servizi di investimento che questi enti possono offrire alla clientela in virtù della loro autorizzazione bancaria. Gli enti creditizi sono, a loro volta, soggetti alle disposizioni fondamentali della MiFID, che allineano le condizioni per la prestazione di servizi di investimento da parte delle imprese di investimento e degli enti creditizi, sia in termini di norme a tutela degli investitori e regole di condotta della stessa MiFID sia in termini di requisiti prudenziali fondamentali del CRR e della CRD IV.

2.5

Come richiesto dagli articoli del CRR, il quadro prudenziale per le imprese di investimento è stato riveduto in consultazione con l'ABE, con l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) e con le autorità nazionali competenti. A seguito di una prima richiesta di consulenza avanzata dalla Commissione nel dicembre 2014, nel dicembre 2015 l'ABE ha pubblicato una relazione sul quadro prudenziale vigente per le imprese di investimento, nella quale chiedeva di cambiare impostazione. Nel giugno 2016 la Commissione ha formulato una seconda richiesta di consulenza, in seguito alla quale, nel novembre dello stesso anno, l'ABE ha pubblicato un documento di riflessione incentrato su un possibile nuovo regime prudenziale per la maggior parte delle imprese di investimento. Per un periodo di tre mesi è stato possibile inviare osservazioni in merito al documento, dopodiché, alla luce dei riscontri e dei dati supplementari raccolti presso le imprese di investimento in collaborazione con le autorità nazionali competenti, nel settembre 2017 l'ABE ha pubblicato le sue raccomandazioni finali, invitando le parti interessate a farle pervenire le loro osservazioni. Le raccomandazioni di nuovi requisiti patrimoniali sono state calibrate con esattezza in base a un processo minuzioso di raccolta di dati, che ha coinvolto le imprese di investimento. La raccolta è stata effettuata a nome dell'ABE dalle autorità nazionali competenti in due fasi, nel 2016 e nel 2017.

2.6

La relazione dell'ABE costituisce un'analisi dello status quo esauriente e accessibile al pubblico, completa di dati sul numero e sulla tipologia delle imprese di investimento che operano negli Stati membri. Essa propone inoltre un nuovo regime per la maggior parte delle imprese di investimento, che le sottrae completamente alla disciplina del CRR e della CRD IV, nel cui ambito di applicazione resterebbero soltanto le imprese di investimento sistemiche, individuate secondo l'impostazione riveduta prevista nella proposta. La proposta, inoltre, è coerente con la direttiva MiFID e con il binomio MiFID II/MiFIR. Nello stabilire requisiti prudenziali ritagliati su misura sull'attività e i rischi delle imprese di investimento, precisa i casi in cui e perché tali requisiti trovino applicazione. In tal senso, essa permette di superare i casi di applicazione arbitraria che si verificano perché, nel quadro attuale, i requisiti prudenziali sono stabiliti con riguardo ai servizi di investimento degli istituti creditizi elencati nella MiFID piuttosto che all'attività svolta dalle imprese di investimento.

2.7

Dei risultati della revisione condotta dall'ABE (4) si è discusso con gli Stati membri in sede di comitato per i servizi finanziari, nel marzo e nell'ottobre 2017, e di gruppo di esperti sull'attività bancaria, i pagamenti e le assicurazioni, nel giugno e nel settembre dello stesso anno. La Commissione ha tenuto conto anche dei contributi da essa ricevuti da parte delle parti interessate in occasione della valutazione d'impatto iniziale pubblicata nel marzo 2017, così come di quelli ricevuti in precedenza in risposta all'invito generico a presentare riscontri oggettivi dell'efficienza, della coerenza e dell'organicità della disciplina complessiva dell'UE in materia di servizi finanziari. Data l'esaustività della consultazione pubblica e della raccolta di dati effettuate dall'ABE, la Commissione non ha ritenuto necessario procedere in parallelo a una consultazione pubblica generale; i suoi servizi hanno invece optato per una consultazione mirata delle parti interessate. La consultazione si è articolata in:

una tavola rotonda con gli operatori del settore (imprese di investimento, investitori, studi legali, consulenti) sui progetti presentati dall'ABE in vista delle proposte di regime futuro (27 gennaio 2017);

un seminario sui costi del regime vigente (30 maggio 2017);

un seminario sul progetto finale di raccomandazioni dell'ABE (17 luglio 2017).

2.8

Secondo le stime dell'ABE, la nuova normativa determinerebbe, in volume aggregato per tutte le imprese di investimento dell'UE che non hanno rilevanza sistemica, un incremento del 10 % dei requisiti patrimoniali rispetto agli attuali requisiti e una loro diminuzione del 16 % rispetto ai requisiti complessivi risultanti dalle maggiorazioni del primo pilastro. Il modo in cui questi effetti si distribuiranno fra le imprese di investimento sarà funzione delle dimensioni di ciascuna, dei servizi di investimento che esse erogano e del modo in cui si applicheranno ad esse i nuovi requisiti patrimoniali. Riguardo alla disponibilità di fondi propri, l'ABE ritiene che soltanto poche imprese — un numero esiguo di consulenti d'investimento, imprese di negoziazione e imprese multiservizi — non disporrebbero di capitale sufficiente a soddisfare agevolmente i nuovi requisiti. Comunque, per le imprese di questo gruppo, per le quali i requisiti attuali risulterebbero più che raddoppiati, si potrebbe prevedere l'applicazione di un tetto massimo per un periodo di alcuni anni.

2.9

Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea conferisce all'UE il potere di stabilire le opportune disposizioni riguardanti «l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno» (articolo 114 TFUE) e di adottare direttive al fine di agevolare l'accesso alle attività commerciali e il loro esercizio in tutta l'UE (articolo 53 TFUE). Ciò vale anche per la normativa in materia di vigilanza prudenziale sui prestatori di servizi finanziari, nel caso di specie sulle imprese di investimento. Le disposizioni della proposta di direttiva in esame sostituiscono, per quanto riguarda le imprese di investimento, quelle della CRD IV, basate anch'esse sull'articolo 53 TFUE, mentre le norme del regolamento proposto sostituiscono, sempre per quanto concerne le imprese di investimento, quelle del CRR, basate a loro volta sull'articolo 114 TFUE.

2.10

La nuova normativa non avrà alcuna incidenza sul bilancio dell'Unione europea.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore il fatto che la normativa proposta detti disposizioni in materia di designazione delle autorità di vigilanza prudenziale, capitale iniziale ed esistente delle imprese di investimento, liquidità, rischio di concentrazione, poteri e strumenti di vigilanza prudenziale di cui dispongono le autorità competenti, obblighi di segnalazione, informazione e pubblicazione, revisione e valutazione prudenziali, governance societaria e remunerazione. Così la direttiva stabilisce una serie di norme per la vigilanza e il controllo delle imprese di investimento e riduce tutti i tipi di rischi inerenti alle attività delle imprese di investimento; essa si applica a tutte le imprese di investimento disciplinate dalla MiFID II, la quale è entrata in vigore il 3 gennaio 2018.

3.2

Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che la direttiva proposta impone agli Stati membri di designare un'autorità incaricata dell'esercizio dei poteri di vigilanza prudenziale a norma della direttiva stessa. Gli Stati membri possono attribuire questi poteri a un'autorità esistente, ricalcando le funzioni e i poteri conferiti a norma della CRD IV, oppure a una nuova autorità. Le autorità competenti dovrebbero avere il potere di riesaminare e valutare la situazione prudenziale delle imprese di investimento e di imporre, se del caso, cambiamenti in ambiti quali la governance e i controlli interni, i processi e le procedure di gestione del rischio, nonché, ove necessario, il potere di stabilire obblighi supplementari, in particolare in relazione ai requisiti patrimoniali e di liquidità.

3.3

Il CESE reputa di cruciale importanza il fatto che le autorità competenti dovranno cooperare strettamente con le autorità o gli organismi pubblici responsabili, nel rispettivo Stato membro, della vigilanza sugli enti creditizi e sugli enti finanziari. Gli Stati membri, infatti, dovranno assicurare che le autorità competenti, in qualità di parti del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF), cooperino, garantendo uno scambio di informazioni adeguate e affidabili con le altre parti del SEVIF. In particolare, tali autorità dovrebbero scambiarsi informazioni relative alla struttura di gestione e all'assetto proprietario dell'impresa di investimento e al rispetto dei requisiti patrimoniali da parte della stessa, nonché al rischio di concentrazione, alla liquidità dell'impresa d'investimento, alle sue procedure amministrative e contabili e ai suoi meccanismi di controllo interno e a ogni altro fattore pertinente che possa influire sul rischio rappresentato dall'impresa stessa. Tutto ciò, a parere del CESE, farà sì che il mercato europeo degli investimenti diventi assai più trasparente.

3.4

Le autorità competenti possono trasmettere informazioni riservate all'ABE, all'ESMA, al Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS), alle banche centrali degli Stati membri, al Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e alla BCE, in qualità di autorità monetarie, nonché, se del caso, alle autorità pubbliche incaricate della vigilanza sui sistemi di pagamento e di regolamento, se dette informazioni sono necessarie allo svolgimento dei loro compiti. In tal modo, a parere del CESE, verrà a crearsi un sistema europeo di informazioni sulle imprese di investimento tale da impedire, almeno in teoria, alle imprese non conformi di compiere operazioni finanziarie.

3.5

I requisiti relativi al capitale iniziale, specie per le imprese di investimento di piccole e medie dimensioni che non detengono denaro o titoli dei clienti, aumentano leggermente, passando da 50 000 a 75 000 EUR, mentre i requisiti relativi al capitale iniziale delle imprese di investimento sistemiche sono dettati dal CRR e dalla CRD IV. Il CESE rileva ancora una volta che la proposta di direttiva sulla vigilanza prudenziale delle imprese di investimento crea un'opportunità per le PMI, e in particolare un'opportunità di crescita attraverso strumenti digitali.

3.6

Dai dati raccolti, relativi a oltre 1 200 imprese, risulta che l'80 % delle imprese soddisfa i requisiti minimi di liquidità proposti e che circa il 70 % delle imprese dispone di un importo tre volte superiore. Pertanto, secondo il CESE, la nuova normativa non eliminerà dal mercato la grande maggioranza delle imprese di investimento già esistenti.

3.7

La politica di remunerazione adottata nelle imprese di investimento dovrà essere trasparente e legata ai rischi sostenuti e agli utili generati. I sistemi di remunerazione dovranno essere soggetti all'approvazione e al controllo degli organi di vigilanza. Gli Stati membri dovrebbero imporre alle imprese di investimento di divulgare la loro politica di remunerazione e sarebbero tenuti ad assicurarsi che tali imprese forniscano alle autorità competenti le informazioni concernenti il numero delle persone fisiche la cui remunerazione è pari o superiore a 1 milione di euro per esercizio finanziario, comprese le informazioni concernenti le loro responsabilità professionali, le aree di attività interessate e i principali elementi della retribuzione, i bonus, le gratifiche a lungo termine e i contributi pensionistici. Tali informazioni sarebbero quindi trasmesse all'ABE e rese di pubblico dominio. A giudizio del CESE, queste sono le misure più appropriate per agganciare la remunerazione ai risultati economici delle imprese di investimento.

3.8

Il CESE nota con soddisfazione che le succursali delle imprese di investimento estere saranno soggette a controlli e saranno tenute a comunicare annualmente informazioni concernenti la denominazione, la natura delle attività e l'ubicazione delle filiazioni e succursali, il fatturato, il numero di dipendenti in equivalenti a tempo pieno, l'utile o la perdita al lordo delle imposte, le imposte sull'utile o sulla perdita e i contributi pubblici ricevuti.

3.9

Il CESE, inoltre, si rallegra del fatto che, ai sensi dell'articolo 33 della direttiva proposta, le autorità competenti sarebbero tenute ad adottare provvedimenti adeguati qualora la revisione e la valutazione di cui al paragrafo 1, lettera e), di tale articolo abbiano evidenziato che il valore economico del capitale proprio dell'impresa di investimento è calato di oltre il 15 % del suo capitale. In genere a ciò dovrebbe provvedere l'impresa di investimento aumentando il proprio capitale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE fa notare che, con l'estensione della MiFID a tutti i mercati dei derivati nel 2007, alcune imprese specializzate che si occupano di derivati su materie prime sono state esentate completamente dall'applicazione di tale direttiva e delle norme prudenziali. L'attività di molte di queste imprese concernente strumenti finanziari tende a concentrarsi sulla copertura dei rischi delle rispettive società madri relativi alla produzione fisica, al trasporto, allo stoccaggio o all'acquisto dei prodotti di base fisici sottostanti. A seconda del settore (ad esempio, energia o agricoltura), il volume di tale attività di copertura può essere considerevole, il che fa sì che, nell'ambito del quadro attuale, i requisiti patrimoniali assumano una notevole importanza. Adesso queste imprese dovranno operare nel rispetto della direttiva proposta in materia di vigilanza prudenziale delle imprese di investimento.

4.2

Il CESE ritiene particolarmente importante che la direttiva e il regolamento proposti introducano nuove metriche di rischio (i fattori K) e la possibilità di introdurre gradualmente requisiti più rigorosi e di fissare un tetto massimo per tali requisiti più rigorosi. I fattori K riflettono i rischi per il cliente (RtC) e per le imprese che negoziano per conto proprio ed eseguono ordini dei clienti a nome proprio, i rischi per il mercato (RtM) e i rischi per l'impresa (RtF).

4.3

Il CESE ricorda che, nei suoi pareri sul tema della Riforma del settore bancario — Modifiche dei requisiti patrimoniali e del quadro di risoluzione (ECO/424) (5) e in merito alla MiFID e al MiFIR (INT/790) (6), nonché in altri suoi precedenti pareri sul CRR e la CRD IV, si è sempre dichiarato favorevole alle norme prudenziali per i mercati dei capitali dell'UE.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU L 176 del 27.6.2013, pag. 1) e direttiva 2013/36/UE (direttiva CRD IV) (GU L 176 del 27.6.2013, pag. 338), i quali costituiscono insieme il quadro prudenziale vigente per le imprese di investimento.

(2)  Direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari: direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio (GU L 145 del 30.4.2004, pag. 1).

(3)  Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (GU L 173 del 12.6.2014, pag. 349) e regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU L 173 del 12.6.2014, pag. 84).

(4)  Relazione dell'ABE sulle imprese di investimento, in risposta alla richiesta di consulenza formulata dalla Commissione nel dicembre 2014 (EBA/Op/2015/20). Come richiesto dagli articoli del CRR, il quadro prudenziale per le imprese di investimento è stato riveduto in consultazione con l'ABE, con l'ESMA e con le autorità nazionali competenti rappresentate in tali autorità europee di vigilanza (AEV).

(5)  GU C 209 del 30.6.2017, pag. 36.

(6)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 91.


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa a un quadro europeo per apprendistati efficaci e di qualità»

[COM(2017) 563 final — 2017/0244 (NLE)]

(2018/C 262/07)

Relatrice:

Imse SPRAGG NILSSON

Correlatrice:

Vladimíra DRBALOVÁ

Consultazione

Commissione europea, 17.11.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 1, del TFUE

 

 

Decisione dell'Assemblea plenaria

17.10.2017

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

27.3.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

194/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esprime apprezzamento per la tempestività della raccomandazione in esame, che giunge in un momento in cui, nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione europea, sono in corso importanti riforme in materia di apprendistato; il CESE elogia inoltre l'intenzione della Commissione europea di pervenire a un'intesa a livello europeo sugli elementi costituitivi di un apprendistato efficace e di qualità.

1.2.

Il CESE conviene che lo strumento giuridico scelto dalla Commissione incoraggia il coordinamento di uno sforzo comune teso a migliorare la qualità e l'efficacia degli apprendistati, lasciando al tempo stesso una certa flessibilità a livello nazionale.

1.3.

Il CESE osserva che la definizione e i criteri stabiliti dalla Commissione nella proposta di raccomandazione del Consiglio rispettano la diversità dei sistemi nazionali in materia di apprendistato.

1.4.

Il CESE accoglie con favore l'invito che la proposta di raccomandazione rivolge agli Stati membri affinché promuovano il coinvolgimento attivo delle parti sociali nella progettazione, gestione e attuazione dei programmi di apprendistato, in linea con i sistemi nazionali di relazioni industriali e le prassi seguite in materia di istruzione e formazione.

1.5.

Il CESE ritiene che la progettazione, la gestione e l'attuazione dei programmi di apprendistato debbano anche prevedere l'attiva partecipazione di coloro che, pur non essendo tradizionalmente considerati come parti interessate naturali in questo ambito, sono tuttavia altrettanto importanti per questo processo, come le organizzazioni giovanili e le associazioni dei genitori, i sindacati studenteschi e gli apprendisti stessi.

1.6.

Il CESE riconosce il ruolo concreto che gli apprendistati possono svolgere per migliorare le competenze e l'occupabilità — in particolare dei giovani — ma sottolinea che la disoccupazione è un fenomeno complesso, e occorre un approccio onnicomprensivo per affrontarne le cause profonde, al di là del problema dello squilibrio tra domanda e offerta di competenze.

1.7.

Il CESE ritiene che la proposta di raccomandazione debba porre un accento maggiore sui modi in cui i discenti possono sviluppare una maggiore titolarità della progettazione e gestione dei loro percorsi di apprendistato. Se agli apprendisti viene data la capacità di influire sulla loro esperienza di apprendimento, tale esperienza è destinata a diventare più produttiva, con un vantaggio anche per l'erogatore dell'apprendistato.

1.8.

Il CESE chiede che vengano stabiliti chiari collegamenti, oltre a un coordinamento e a sinergie efficienti, con le iniziative già avviate dalla rete EQAVET (1) e connesse ad EURES (2).

1.9.

Il CESE chiede iniziative che valutino le potenzialità di una mobilità transnazionale degli apprendisti nell'UE. Tali iniziative dovrebbero tenere conto dei progressi compiuti negli Stati membri, in particolare per quanto riguarda le sfide connesse alla creazione delle condizioni necessarie per sostenere la mobilità degli apprendisti.

1.10.

Il CESE accoglie con favore l'intenzione di monitorare l'attuazione della raccomandazione con il sostegno del comitato consultivo per la formazione professionale (CCFP), anche nel quadro del semestre europeo, e propone l'elaborazione di indicatori per valutare l'impatto a livello nazionale. Il Comitato è pronto a valutare l'attuazione della raccomandazione negli Stati membri dal punto di vista della società civile organizzata.

2.   Contesto della proposta di raccomandazione del Consiglio

2.1.

La proposta di un quadro europeo per apprendistati efficaci e di qualità fa seguito alla nuova agenda per le competenze per l'Europa (3), pubblicata nel 2016, e contribuisce al conseguimento delle priorità dell'UE in materia di occupazione, crescita e investimenti. La proposta completa i principi sanciti nel pilastro europeo dei diritti sociali e ne appoggia l'attuazione a livello nazionale. Apprendistati efficaci e di qualità sono essenziali anche per la riuscita attuazione dell'iniziativa denominata «garanzia per i giovani», e la proposta costituisce una risposta alla richiesta sempre più pressante di assicurare un'offerta di tirocini di qualità migliore nell'ambito della suddetta iniziativa.

2.2.

Nel quadro del programma di dialogo sociale dell'UE relativo a progetti integrati per il periodo 2014-2016, le parti sociali europee hanno avviato progetti distinti in materia di apprendistato: la Confederazione europea dei sindacati (CES) si è concentrata sulla qualità dell'apprendistato, mentre BusinessEurope, l'Unione europea artigianato e piccole e medie imprese (UEAPME) e il Centro europeo dei datori di lavoro e delle imprese o organizzazioni che offrono servizi di interesse generale (CEEP) hanno rivolto la loro attenzione all'efficacia in termini di costi. I loro lavori sono confluiti in una dichiarazione congiunta dal titolo Towards a Shared Vision of Apprenticeships (4), in cui è stata sottolineata l'importanza sia della qualità degli apprendistati che della loro efficacia in termini di costi.

2.3.

Nel luglio 2013 è stata creata l'Alleanza europea per l'apprendistato (EAfA), che costituisce una piattaforma senza eguali a cui partecipano sia i governi che le parti interessate (imprese, parti sociali, camere di commercio, erogatori di istruzione e formazione professionale (IFP), regioni, rappresentanti delle associazioni giovanili e gruppi di riflessione) con l'obiettivo di rafforzare la qualità, l'offerta e l'attrattiva degli apprendistati in Europa (5).

2.4.

Lo strumento proposto è una raccomandazione del Consiglio che rispetta sia il principio di sussidiarietà che quello di proporzionalità. In quanto strumento giuridico, mostra l'impegno degli Stati membri nei confronti delle misure stabilite nella raccomandazione e fornisce una solida base politica per una cooperazione a livello europeo in questo settore. Poiché gli apprendistati sono generalmente inquadrati in un contratto di lavoro o in altre forme di rapporto contrattuale, gli apprendisti sono considerati, quindi, non solo dei discenti che apprendono attraverso il lavoro ma anche dei lavoratori. La base giuridica di questa iniziativa risiede pertanto negli articoli 153, 166 e 292 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

2.5.

L'obiettivo generale della raccomandazione è «accrescere l'occupabilità e lo sviluppo personale degli apprendisti e contribuire allo sviluppo di una forza lavoro altamente preparata e qualificata, in grado di rispondere alle esigenze del mercato» (6). L'obiettivo specifico è, invece, «fornire un quadro coerente per gli apprendistati sulla base di una interpretazione comune di ciò che ne definisce la qualità e l'efficacia, tenendo conto della diversità dei sistemi di istruzione e di formazione professionale (IFP) degli Stati membri».

2.6.

Ai fini della raccomandazione, per apprendistato si intende «un programma di istruzione e formazione professionale formale che combina un apprendimento prevalentemente acquisito in ambito lavorativo, in imprese e altri luoghi di lavoro, con un apprendimento in istituti di istruzione e formazione, che conduce a qualifiche riconosciute a livello nazionale. Gli apprendistati sono caratterizzati da un rapporto contrattuale tra l'apprendista, il datore di lavoro e/o l'istituto di istruzione e formazione professionale e prevedono che l'apprendista riceva una retribuzione o un compenso per il lavoro svolto».

2.7.

Per assicurare che i programmi di apprendistato vadano incontro alle esigenze del mercato del lavoro e apportino benefici sia ai discenti che ai datori di lavoro, la proposta stabilisce e raccomanda dei criteri per apprendistati efficaci e di qualità in due campi complementari. Nel primo campo riguardante «le condizioni di apprendimento e di lavoro», i criteri specifici sono i seguenti: contratto scritto, risultati di apprendimento, supporto pedagogico, componente del posto di lavoro, retribuzione e/o compenso, protezione sociale, nonché condizioni di salute e di sicurezza. Nel secondo campo riguardante «le condizioni quadro», i criteri specifici sono i seguenti: quadro di regolamentazione, coinvolgimento delle parti sociali, sostegno alle imprese, percorsi flessibili e mobilità, orientamento professionale e sensibilizzazione, trasparenza, assicurazione qualità e monitoraggio dei percorsi di carriera.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore e appoggia la proposta di raccomandazione che riprende e completa le recenti iniziative a tutti i livelli incentrate sul rilancio di apprendistati efficaci e di qualità nell'Unione europea.

3.2.

Nella dichiarazione di Roma, adottata nel 2017, i capi di Stato o di governo dell'UE si sono impegnati ad adoperarsi per realizzare «un'Unione in cui i giovani ricevano l'istruzione e la formazione migliori e possano studiare e trovare un lavoro in tutto il continente». Un aspetto essenziale dell'impegno assunto consisteva nel fornire ai giovani le competenze che potevano agevolarne l'accesso al mercato del lavoro. Un modo efficace per raggiungere questo obiettivo è attraverso gli apprendistati.

3.3.

È chiaro che gli apprendistati non possono rappresentare la soluzione per la disoccupazione. Essi possono risultare utili per il perfezionamento e la riqualificazione professionale delle persone di ogni età, nell'ottica di reinserirle nel mercato del lavoro. Gli apprendistati andrebbero offerti anche alle persone che provengono da un contesto migratorio, in quanto rappresentano un approccio strategico efficace per promuovere l'inclusione sociale e una forza lavoro inserita professionalmente. Al tempo stesso, bisognerebbe evitare che gli apprendistati siano orientati all'apprendimento di lavori poco qualificati e all'offerta di formazioni scadenti, visto che questo potrebbe danneggiarne il prestigio.

3.4.

Come forma di apprendimento basato sul lavoro, gli apprendistati permettono ai singoli individui di acquisire qualifiche formali, oltre a capacità e competenze specifiche al mestiere imparato, che soddisfano le esigenze del mercato del lavoro, rafforzando in questo modo la loro l'occupabilità e le loro prospettive di lavoro (7). L'esperienza di apprendimento dovrebbe permettere l'acquisizione di capacità e competenze resilienti che possono essere utilizzate dopo lo specifico periodo di apprendistato. È un modo per contribuire allo sviluppo personale dei singoli, aiutandoli ad acquisire competenze tecniche, digitali, trasversali e sociali nel quadro di un approccio integrato.

3.5.

Gli apprendistati possono rivelarsi degli strumenti particolarmente efficaci per facilitare la transizione dall'istruzione e dalla formazione al mondo del lavoro (8). Per molti giovani questa fase di transizione risulta sempre più lunga e bisognerebbe considerare con maggiore attenzione in che modo abbreviarla. Di conseguenza, bisognerebbe accrescere ulteriormente la pertinenza delle opportunità di formazione come gli apprendistati attraverso la fissazione di parametri qualitativi e l'introduzione di programmi efficaci.

3.6.

Anche se gli apprendisti sono perlopiù giovani, il CESE desidera sottolineare che i programmi di apprendistato dovrebbero essere concepiti in modo da renderli appetibili per gli adulti. Gli apprendistati per adulti forniscono la possibilità di acquisire qualifiche che aumentano l'occupabilità, creando nuove opportunità per lo sviluppo della carriera.

3.7.

I datori di lavoro devono fare fronte a una crescente carenza di lavoratori dotati di competenze adeguate che soddisfino le loro esigenze e permettano di rimanere competitivi. Con gli apprendistati i discenti possono acquisire le competenze che migliorano la loro occupabilità e che al tempo stesso sono richieste dal mercato del lavoro. Se c'è una corrispondenza fra le competenze necessarie per gli apprendisti e quelle richieste dai datori di lavoro, i programmi di apprendistato possono risultare appetibili per entrambe le parti. Inoltre, gli apprendistati permettono ai datori di lavoro di formare e di investire nelle persone, nonché di mantenere nel tempo lavoratori qualificati e motivati (9).

3.8.

Il CESE riconosce che le imprese stanno valutando come poter prendere parte ai programmi di apprendistato in modo da aumentarne l'attrattiva e il beneficio per le stesse imprese. Inoltre, il Comitato sottolinea che l'efficacia degli apprendistati è una questione che ha molteplici risvolti e non si riduce a un'analisi dei costi e dei benefici. Da un lato, essa significa riconoscere che chi fornisce l'apprendistato investe nella creazione di un'esperienza di apprendimento, e si attende, nel tempo, una remunerazione dell'investimento in termini di una migliore corrispondenza delle competenze, e questo incoraggia e promuove l'offerta di posti di apprendistato (10). Dall'altro, per efficacia si intende riuscire a inserire le persone nel mercato del lavoro in modo qualitativo.

4.   Progettazione e attuazione dei programmi di apprendistato: un approccio di partenariato

4.1.

In molti paesi è necessario migliorare i sistemi di apprendistato esistenti e la loro attrattiva. Tra le sfide figurano l'immagine negativa dell'apprendistato agli occhi del pubblico, il valore dell'apprendimento, la mancanza di attrattiva per i datori di lavoro, nonché la limitatezza o l'assenza di un partenariato con la società civile organizzata nella fase di progettazione, attuazione e valutazione dei programmi.

4.2.

Gli apprendistati sono innanzitutto un'opportunità di istruzione e, pertanto, dovrebbero essere basati su un approccio incentrato sul discente e modellati in funzione del migliore interesse degli apprendisti, oltre che delle loro capacità e possibilità, tenendo conto nel contempo delle esigenze del mercato del lavoro. Questo significa assicurare che gli apprendisti sviluppino appieno le loro potenzialità e raggiungano i loro obiettivi di apprendimento, un risultato che andrebbe a vantaggio anche dei datori di lavoro.

4.3.

Il punto di vista degli apprendisti dovrebbe essere preso in considerazione nelle decisioni che li riguardano direttamente e che hanno attinenza con i loro diritti prima, durante e dopo l'apprendistato. Essi dovrebbero avere voce in capitolo per quanto concerne gli obiettivi di apprendimento, ed avere la possibilità di dare un feedback sulla qualità e l'efficacia del loro apprendistato. La mancanza di strutture rappresentative ostacola le possibilità per gli apprendisti di far sentire la loro voce.

4.4.

Gli apprendistati hanno le potenzialità per aiutare sia i giovani che gli adulti ad acquisire in pieno le competenze e le capacità proprie di un'occupazione o professione, e a rafforzarne l'occupabilità. Tuttavia, in molti casi tali potenzialità non sono messe a frutto, in quanto gli apprendistati sono di qualità carente, non viene data priorità al valore dell'apprendimento e i diritti degli apprendisti non vengono difesi nella misura dovuta.

4.5.

Inoltre, il CESE ritiene che un mercato del lavoro dinamico abbia bisogno di competenze più che di capacità. Pertanto, il risultato dell'apprendimento dovrebbe essere l'acquisizione non tanto di capacità a breve termine quanto piuttosto di competenze resilienti.

4.6.

Gli apprendistati dovrebbero comprendere una forte dimensione basata sul lavoro, in cui almeno la metà del tempo didattico sia dedicata a imparare concretamente le specificità del mestiere, e, laddove possibile, andrebbero abbinati a un'esperienza internazionale.

4.7.

I formatori, i tutori pedagogici o i responsabili degli apprendistati dovrebbero disporre delle debite certificazioni ed essere dotati delle necessarie competenze, sul piano pedagogico e in rapporto allo specifico mestiere insegnato, per formare gli apprendisti. Inoltre, andrebbe loro fornito l'accesso a una formazione continua, in linea con il principio dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita.

4.8.

Le sinergie tra la qualità, l'efficacia e l'attrattiva degli apprendistati possono essere assicurate solo attraverso una stretta cooperazione tra tutti i soggetti interessati pertinenti — i fornitori di formazione, le parti sociali e altre organizzazioni della società civile, oltre che gli apprendisti — a livello nazionale, regionale e locale.

4.9.

Andrebbero istituite delle strutture a tutti i livelli di governo, con il coinvolgimento di tutte le parti interessate pertinenti sul piano socioeconomico (ad esempio gli erogatori di apprendistati, le organizzazioni dei datori di lavoro, i sindacati, le camere del lavoro, le organizzazioni giovanili, i sindacati studenteschi, gli apprendisti), con procedure e ruoli chiari per influenzare e prendere parte alle decisioni riguardanti la progettazione, l'attuazione e il monitoraggio dei programmi di apprendistato.

5.   Promozione degli apprendistati

5.1.

Per controbilanciare la percezione secondo cui gli apprendistati costituiscono un percorso formativo meno interessante o prestigioso, in particolare per i giovani, è necessario promuoverli come una scelta valida e un'opportunità di apprendimento di pari qualità, non come uno strumento attivo del mercato del lavoro.

5.2.

La promozione di tali esperienze dovrebbe essere accompagnata dall'impegno ad affrontare gli stereotipi di genere basati sui ruoli sociali tradizionali, che continuano a incidere negativamente sugli apprendistati e sulla loro diffusione, promozione e pubblicità.

5.3.

Tutte le parti interessate pertinenti — dai responsabili delle politiche alle parti sociali, dalle organizzazioni della società civile agli istituti di istruzione — svolgono un ruolo cruciale nell'aumentare l'attrattiva degli apprendistati e devono lavorare assieme. La promozione di una migliore immagine degli apprendistati deve andare di pari passo con un miglioramento della qualità e dell'efficacia dei programmi, e deve essere subordinata a tale miglioramento.

5.4.

Le autorità pubbliche dovrebbero investire maggiori risorse nell'attuazione di misure volte a promuovere gli apprendistati a livello locale presso i potenziali interessati, nonché a incoraggiare i datori di lavoro ad offrire opportunità di apprendistato.

5.5.

Il CESE ritiene che esista la possibilità di ricorrere al Fondo sociale europeo (FSE) per aiutare a istituire — o a sviluppare ulteriormente — programmi di apprendistato efficaci e di qualità negli Stati membri che hanno bisogno di un'assistenza maggiore sul piano finanziario e tecnico per raggiungere gli obiettivi del quadro di riferimento.

5.6.

È fondamentale fornire ai datori di lavoro, in particolare alle PMI e alle microimprese, il sostegno finanziario e non finanziario di cui hanno bisogno per offrire esperienze e programmi di apprendistato efficaci e di qualità.

5.7.

Il processo di costruzione di una nuova immagine per gli apprendistati dovrebbe essere basato su un approccio equo, inclusivo, non discriminatorio e innovativo. Le persone più svantaggiate della società dovrebbero avere accesso al migliore sostegno e orientamento esistente ai fini di un'istruzione di qualità e un apprendimento basato sul lavoro che corrisponda ai loro interessi e alle loro aspirazioni. A tutti i livelli andrebbero varate misure volte a contrastare le discriminazioni — basate sullo status di migrante, l'origine socioeconomica, l'appartenenza etnica, la religione, l'età, il genere o altra condizione — che ostacolano la parità di accesso alle opportunità di apprendistato.

6.   Condizioni di apprendimento e di lavoro

6.1.

Il CESE ritiene che gli apprendistati debbano essere basati su un documento scritto e giuridicamente vincolante, che si tratti di un accordo di apprendimento o di un contratto scritto concluso tra il datore di lavoro, l'apprendista e l'istituto d'istruzione o formazione. Tale documento dovrebbe indicare chiaramente i diritti e gli obblighi di tutte le parti contraenti, comprendere una descrizione degli obiettivi di apprendimento e dei compiti, nonché riportare altre informazioni pertinenti per l'esperienza di apprendistato (ad esempio, ma non esclusivamente, la durata, l'orario di lavoro, la retribuzione, ecc.).

6.2.

Il CESE è fermamente convinto che gli apprendisti abbiano diritto a una retribuzione e/o a un compenso dignitosi, da negoziare mediante accordi collettivi oppure in linea con le disposizioni nazionali o settoriali in materia. Una retribuzione o un compenso adeguati possono permettere a un maggior numero di persone di partecipare a un apprendistato, in particolare coloro che appartengono alle fasce a basso reddito, e può contribuire a evitare l'uso improprio di tali esperienze come forme di occupazione non retribuite ed eccessivamente flessibili.

6.3.

Il CESE ribadisce l'importanza di assicurare che gli apprendisti siano adeguatamente e tempestivamente informati di eventuali rischi per la salute e la sicurezza connessi allo svolgimento dell'apprendistato; inoltre, essi devono essere pienamente tutelati dalle normative in materia di salute e sicurezza.

7.   Monitoraggio e valutazione dei programmi di apprendistato

7.1.

Tutti gli erogatori di apprendistati dovrebbero impegnarsi a rispettare dei parametri di qualità. Gli apprendisti dovrebbero essere sempre seguiti da un responsabile competente in materia prima, durante e dopo il periodo di apprendistato, per assicurare il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e il rispetto dei loro diritti, oltre che a garanzia della qualità.

7.2.

Andrebbe creato un sistema di monitoraggio per tenere sotto osservazione non solo i progressi compiuti dagli apprendisti nel raggiungimento dei loro obiettivi di apprendimento, ma anche la qualità e l'efficacia dell'esperienza di apprendimento. I risultati di tale processo di valutazione dovrebbero essere condivisi con gli apprendisti e con chi fornisce l'apprendistato, per permettere loro di migliorare, se necessario. Ove possibile, questo sistema di monitoraggio potrebbe essere utilizzato come metodo per misurare quanti apprendistati hanno in seguito permesso ai discenti di trovare un'occupazione.

8.   Riconoscimento delle qualifiche

8.1.

I programmi di apprendistato dovrebbero conferire qualifiche ufficiali, riconosciute a livello nazionale, europeo e internazionale, in linea con il quadro europeo delle qualifiche. Le qualifiche riconosciute permetterebbero così di aumentare l'occupabilità e la mobilità degli apprendisti sia nel loro paese che all'interno dell'UE. Gli apprendistati dovrebbero offrire degli sbocchi e permettere agli interessati di accedere all'istruzione superiore una volta conclusa la loro esperienza.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  EQAVET: quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell'istruzione e della formazione professionale.

(2)  EURES: portale europeo della mobilità professionale.

(3)  COM(2016) 381 final.

(4)  Dichiarazione congiunta delle parti sociali europee, Towards a Shared Vision of Apprenticeships (Verso una visione condivisa degli apprendistati), 30 maggio 2016.

(5)  Alleanza europea per l'apprendistato.

(6)  COM(2017) 563 final.

(7)  Parere del CESE sul tema Migliorare l'efficacia dei sistemi nazionali di formazione duale (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 57).

(8)  I dati indicano che il 60-70 % degli apprendisti ottiene direttamente un posto di lavoro al termine dell'apprendistato e, in alcuni casi, questa percentuale arriva al 90 %. (Pagina web della Commissione europea sugli apprendistati).

(9)  Cedefop, 2015, Nota informativa, Far funzionare l'apprendistato per la piccola e media impresa.

(10)  Parere del comitato consultivo per la formazione professionale (CCFP) su una visione condivisa per apprendistati e un apprendimento basato sul lavoro di qualità ed efficaci, 2 dicembre 2016.


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1073/2009 che fissa norme comuni per l'accesso al mercato internazionale dei servizi di trasporto effettuati con autobus»

[COM(2017) 647 final — 2017/0288 (COD)]

(2018/C 262/08)

Relatore:

Raymond HENCKS

Consultazione

Parlamento europeo, 29 novembre 2017

Consiglio, 22 novembre 2017

Base giuridica

Articolo 91, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

 

 

Decisione dell'Ufficio di presidenza del Comitato

17 ottobre 2017

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione

Adozione in sezione

05 aprile 2018

Adozione in sessione plenaria

19 aprile 2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

200/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE condivide l'obiettivo della Commissione di migliorare la mobilità dei cittadini che si spostano su lunghe distanze tramite autobus, di promuovere l'uso di modi di trasporto sostenibili e di permettere l'offerta di servizi più aderenti alle esigenze dei cittadini, in particolare quelli con redditi inferiori.

1.2

Tuttavia, in alcuni Stati membri viene considerata problematica la proposta di estendere il campo di applicazione delle norme comuni per l'accesso al mercato internazionale dei servizi di trasporto effettuati con autobus a tutti i servizi regolari, compresi i servizi nazionali, assicurati da un vettore non residente per conto terzi.

1.3

Secondo questi paesi, l'applicazione ai servizi di trasporto urbani ed extraurbani delle nuove disposizioni relative all'accesso al mercato di un servizio regolare internazionale e nazionale con autobus su una distanza inferiore a 100 o 120 km in linea d'aria potrebbe compromettere gravemente l'adempimento della missione e degli obblighi di servizio pubblico di un servizio di interesse economico generale (SIEG).

1.4

La proposta di regolamento non tiene conto delle differenze sostanziali esistenti tra gli Stati membri per quanto riguarda l'organizzazione dei rispettivi servizi di trasporto di passeggeri su strada, nonché la tariffazione, in particolare dei servizi urbani o extraurbani, che spesso sono gratuiti o beneficiano di riduzioni tariffarie generali o riservate a determinate categorie di passeggeri in risposta ad esigenze e vincoli sociali e ambientali che richiedono regolamentazioni specifiche e diversificate. Tuttavia, vi sono anche Stati membri in cui l'accesso ai mercati del trasporto pubblico è maggiormente liberalizzato.

1.5

La disposizione proposta, che consente di rifiutare l'accesso al mercato per i servizi di trasporto internazionale e nazionale (compreso il trasporto urbano ed extraurbano) per una distanza inferiore a 100 km in linea d'aria se il servizio proposto compromette l'equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico, potrebbe essere, in alcuni casi, difficilmente conciliabile con un servizio di interesse generale che deve essere economicamente accessibile e assicurare una qualità adeguata per tutti. Il mercato può, nel rispetto della normativa in materia di concorrenza leale, limitarsi a proporre un prezzo stabilito in funzione dei costi. Tuttavia, alcuni Stati membri hanno un mercato liberalizzato, in tutto o in parte, con risultati ragionevolmente positivi. In tali casi la proposta costituirebbe un passo indietro.

1.6

Il CESE si interroga sulla conformità della proposta di regolamento con l'articolo 5, paragrafo 3 del Trattato sull'Unione europea (TUE) riguardante il principio di sussidiarietà, nella misura in cui il protocollo n. 26 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) riconosce l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare i SIEG, al fine di garantire un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente. Tuttavia, poiché in alcuni Stati membri i servizi nazionali di trasporto passeggeri su strada a lunga percorrenza (oltre 100 km) sono già liberalizzati, l'impegno volto a consentire un libero accesso al mercato dei servizi di trasporto con autobus, in quanto tale, non può essere messo in discussione.

1.7

Il CESE sottolinea che, se in virtù di una tale applicazione del principio di sussidiarietà si lascia agli Stati membri l'ampio margine discrezionale concesso loro dal Trattato di organizzare i loro SIG in linea con le esigenze della popolazione, ciò significherà ovviamente che anche gli Stati membri con mercati liberalizzati per i trasporti con autobus potranno continuare in tale direzione, e che l'obiettivo della Commissione di un mercato unico per tali servizi non sarà conseguito.

1.8

Infine, il CESE sottolinea che l'apertura di nuovi collegamenti di trasporto di passeggeri su strada potrebbe rischiare di compromettere i servizi pubblici forniti da modi di trasporto più sostenibili. Il CESE ritiene pertanto ragionevole che le autorità possano garantire l'uso, da parte dei servizi di trasporto, di veicoli efficienti a basse emissioni di carbonio che non determinano un aumento delle emissioni, in particolare nel caso dei servizi ferroviari. Il CESE esorta pertanto la Commissione a collegare la liberalizzazione del mercato dei trasporti su strada a un'applicazione più chiara del principio «chi inquina paga» in tutti i modi di trasporto.

2.   Introduzione

2.1

Conformemente al paragrafo 2, lettera g) dell'articolo 4 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, l'Unione ha competenza concorrente con quella degli Stati membri nel settore dei trasporti, e in base all'articolo 91 del TFUE, stabilisce, tra l'altro:

a)

norme comuni applicabili ai trasporti internazionali in partenza dal territorio di uno Stato membro o a destinazione di questo, o in transito sul territorio di uno o più Stati membri;

b)

le condizioni per l'ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali in uno Stato membro; […]

2.

All'atto dell'adozione delle misure di cui al paragrafo 1, si tiene conto dei casi in cui la loro applicazione rischi di pregiudicare gravemente il tenore di vita e l'occupazione in talune regioni come pure l'uso delle attrezzature relative ai trasporti.

2.2

Con la modifica del regolamento (CE) n. 1073/2009 sull'accesso al mercato internazionale dei servizi di trasporto effettuati con autobus, la Commissione intende, a suo dire, migliorare la mobilità dei cittadini che si spostano su lunghe distanze, promuovere l'uso di modi di trasporto sostenibili e permettere l'offerta di servizi più aderenti alle esigenze dei cittadini, in particolare quelli con redditi inferiori.

2.3

La distinzione tra «autobus» e «pullman» non esiste in alcune lingue europee. La distanza è spesso uno dei criteri principali per la regolamentazione dei servizi di autobus a lunga distanza. Ad esempio, essa deve essere superiore a 50 miglia nel Regno Unito e a 100 km in Francia e in Svezia.

2.4

In alcuni Stati membri il mercato dei servizi di autobus a lunga distanza è, almeno in parte, già liberalizzato. La liberalizzazione del mercato tedesco, ad esempio, è avvenuta a due condizioni: i collegamenti devono coprire una distanza di almeno 50 km e non devono entrare in concorrenza con il trasporto ferroviario. In Francia, la legge Macron autorizza tutti i vettori a offrire servizi regolari per percorsi superiori a 100 km.

3.   Normative UE attualmente in vigore

3.1

Il regolamento n. 1073/2009 del 21 ottobre 2009 si applica al trasporto su strada di più di 9 persone nel quadro di servizi regolari di trasporto internazionale di passeggeri nonché, a determinate condizioni e in via temporanea, all'ammissione dei vettori non residenti al trasporto nazionale di passeggeri su strada in uno Stato membro.

3.2

Il trasporto con partenza da Stati membri e destinazione in paesi terzi è disciplinato, in larga misura, da accordi bilaterali tra gli Stati membri e i paesi terzi in questione. Le norme UE si applicano tuttavia al territorio degli Stati membri attraversati in transito.

3.3

Le norme comuni non si applicano ai servizi urbani ed extraurbani effettuati con autobus. I trasporti di cabotaggio effettuati da un vettore non residente in uno Stato membro ospitante sono autorizzati, ad eccezione dei servizi di trasporto che soddisfano le esigenze di un centro o di un agglomerato urbano o quelle del trasporto fra detto centro o agglomerato e le periferie. I trasporti di cabotaggio non possono essere effettuati indipendentemente da un servizio internazionale.

3.4

Invece, le disposizioni riguardanti il distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi si applicano alle imprese di trasporto con autobus che effettuano trasporti di cabotaggio.

3.5

Ogni anno gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione europea il numero di trasportatori titolari di una licenza comunitaria al 31 dicembre dell'anno precedente e il numero delle copie certificate conformi corrispondenti ai veicoli in circolazione a tale data. Al 31 dicembre 2016 l'Unione europea contava 34 390 licenze per il trasporto su strada di persone e 300 155 autobus, di cui circa 46 000 erano utilizzati principalmente per il trasporto di passeggeri su lunga distanza.

4.   Nuove misure proposte dalla Commissione

4.1

Il campo di applicazione viene notevolmente ampliato e copre tutte le operazioni di trasporto regolare (internazionale e nazionale) con autobus in tutta l'Unione, effettuate nell'ambito di servizi regolari da un vettore non residente.

4.2

La normativa attuale, che definisce i servizi di cabotaggio come «servizi nazionali di trasporto passeggeri su strada effettuati per conto terzi, a titolo temporaneo, da un vettore in uno Stato membro ospitante» è modificato con la soppressione di «a titolo temporaneo». Di conseguenza, le attività di cabotaggio rientrano nei servizi regolari.

4.3

I trasporti regolari di cabotaggio sono d'ora in poi ammessi, con riserva del possesso di una licenza comunitaria. I trasporti di cabotaggio a titolo temporaneo sono autorizzati soltanto qualora siano coperti da un contratto stipulato tra l'organizzatore e il vettore e a condizione che si tratti di servizi occasionali.

4.4

Per quanto riguarda i servizi regolari, il nuovo regolamento traccia una differenza tra, da un lato, il trasporto internazionale e nazionale di passeggeri su una distanza inferiore a 100 km in linea d'aria e, dall'altro, il medesimo tipo di trasporto su una distanza pari o superiore a 100 km in linea d'aria.

4.5

Per i servizi regolari di trasporto internazionale di passeggeri e i servizi regolari nazionali su una distanza pari o superiore a 100 km in linea d'aria, l'accesso al mercato è completamente liberalizzato.

4.6

Per i servizi regolari di trasporto internazionale e nazionale (compresi i trasporti urbani ed extraurbani) su una distanza inferiore a 100 km in linea d'aria, è possibile rifiutare l'accesso al mercato di un nuovo servizio se esso compromette l'equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico. La distanza inferiore a 100 km può essere aumentata fino a 120 chilometri se il servizio regolare da introdurre è finalizzato a collegare un punto di partenza e una destinazione già serviti da più di un contratto di servizio pubblico.

4.7

I servizi espressi, ossia quelli che assicurano il trasporto di passeggeri con una frequenza e su un itinerario determinati, in cui non sono previste fermate intermedie, saranno d'ora in poi considerati come «servizi regolari», allo stesso titolo dei servizi di trasporto in cui l'imbarco e lo sbarco dei passeggeri hanno luogo alle fermate preventivamente stabilite.

4.8

Per il settore del trasporto di passeggeri su strada è istituito un organismo di regolamentazione indipendente incaricato di:

effettuare analisi economiche per stabilire se un nuovo servizio proposto comprometta l'equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico. Le conclusioni dell'organismo di regolamentazione sono vincolanti per le autorità competenti in materia di diritto di accesso al mercato internazionale e nazionale, e le sue decisioni sono soggette a controllo giurisdizionale;

raccogliere e fornire informazioni sull'accesso alle autostazioni;

decidere in merito ai ricorsi contro le decisioni dei gestori delle autostazioni.

4.9

Gli adattamenti tecnici riguardanti le licenze comunitarie, le autorizzazioni di accesso al mercato e altri certificati vengono effettuati mediante atto delegato della Commissione.

4.10

I vettori hanno il diritto di accedere alle aree di parcheggio utilizzate dagli autobus (autostazioni) a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie.

5.   Osservazioni generali

5.1

L'estensione del campo di applicazione del regolamento in esame a tutti i servizi regolari effettuati da un vettore non residente per conto terzi implica che quest'ultimo possa effettuare servizi regolari nazionali alle stesse condizioni dei vettori residenti e che un'attività di cabotaggio, quando acquista un carattere continuo e permanente, sia considerata come un servizio regolare. Di conseguenza, il regolamento in esame si applica a tutte le operazioni dei servizi regolari internazionali e nazionali di trasporto passeggeri su strada.

5.2

Per gli appalti di servizi di trasporto internazionale e nazionale su una distanza pari o superiore a 100 km in linea d'aria il mercato è quindi totalmente liberalizzato, e gli eventuali contratti di servizio pubblico non possono più costituire una motivazione per rifiutare l'accesso al mercato.

5.3

Per un servizio di trasporto regolare internazionale e nazionale con autobus su una distanza inferiore a 100 o 120 km in linea d'aria, l'accesso al mercato può essere rifiutato se tale servizio compromette l'equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico e se vi è il consenso dell'organismo di regolamentazione indipendente incaricato di effettuare un'analisi economica al riguardo.

5.4

Contrariamente al regolamento in vigore, la nuova proposta della Commissione non esclude più espressamente i servizi urbani ed extraurbani di trasporto passeggeri su strada, cui si applicherà pertanto la nuova normativa.

5.5

Inoltre, le autorità competenti a decidere dell'accesso al mercato non possono respingere una domanda per il solo motivo che il vettore offre prezzi inferiori a quelli proposti da altri vettori. Orbene, è accertato che alcuni trasportatori del settore privato, non soggetti ad obblighi di servizio pubblico, propongono dei prezzi (ad esempio 1 euro per un tragitto di lunga distanza) che si configurano chiaramente come dumping. La formulazione generale della disposizione in questione, che non pone alcuna restrizione, rischia di essere considerata un «assegno in bianco» a favore di una concorrenza sleale.

5.6

La proposta di regolamento non tiene conto delle differenze sostanziali esistenti tra gli Stati membri per quanto riguarda l'organizzazione dei rispettivi servizi di trasporto di passeggeri su strada, nonché la tariffazione, in particolare dei servizi urbani o extraurbani, che spesso sono gratuiti o beneficiano di riduzioni tariffarie generali o riservate a determinate categorie di passeggeri in risposta ad esigenze e vincoli sociali e ambientali che richiedono regolamentazioni specifiche e diversificate. Tuttavia, vi sono anche Stati membri in cui l'accesso ai mercati del trasporto pubblico è maggiormente liberalizzato.

5.7

Il CESE si interroga sulla conformità della proposta di regolamento con l'articolo 5, paragrafo 3 del Trattato sull'Unione europea (TUE) riguardante il principio di sussidiarietà e ritiene che gli argomenti esposti nella scheda di valutazione (prevista dall'articolo 5 del protocollo n. 2 sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità) non siano pienamente convincenti. Tuttavia, poiché in alcuni Stati membri i servizi nazionali di trasporto passeggeri su strada a lunga percorrenza (oltre 100 km) sono già liberalizzati, l'impegno volto a consentire un libero accesso al mercato dei servizi di trasporto con autobus, in quanto tale, non può essere messo in discussione.

5.8

Ciò nonostante, il trasporto di passeggeri è anche un servizio di interesse economico generale, previsto dal Trattato e, in quanto tale, soggetto all'art. 106, par. 2 del TFUE, ai sensi del quale «le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata».

5.9

Tale articolo riguarda la preminenza del corretto adempimento della missione, che non dipende da un approccio basato sull'equilibrio economico.

5.10

Nei valori comuni applicabili alle missioni dei servizi di interesse economico generale ripresi nel protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale (SIG, in riferimento all'articolo 14 del TFUE) rientrano, tra le altre cose: il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare i SIEG, un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente.

5.11

Ne consegue che un equilibrio economico non fa parte dei valori che i SIEG devono necessariamente rispettare. Inoltre, in alcuni casi l'equilibrio economico potrebbe essere difficilmente conciliabile con un servizio che deve essere finanziariamente accessibile a tutti. Il mercato può soltanto limitarsi a proporre un prezzo stabilito in funzione dei costi, il che non può garantire l'accesso universale al servizio a prezzi accessibili. Tuttavia, va anche osservato che alcuni Stati membri hanno un mercato liberalizzato, in tutto o in parte, con risultati ragionevolmente positivi. In tali casi la proposta costituirebbe un passo indietro.

5.12

Pertanto, l'organismo di regolamentazione istituito dal regolamento in esame potrebbe unicamente accertare se le condizioni dell'art. 106, par. 2 del TFUE e del protocollo 26 siano soddisfatte o meno, un potere (constatazione di un errore manifesto) che finora spetta solo alla Commissione, fatto salvo un ricorso presso la Corte di giustizia europea.

5.13

Contrariamente alla nuova proposta della Commissione, la disposizione del regolamento (CE) n. 1073/2009 in vigore, in particolare all'articolo 8, lettera d) del paragrafo 4 (che la Commissione propone di sopprimere), è conforme al Trattato, poiché dispone che «l'autorizzazione è rilasciata, a meno che uno Stato membro decida, in base ad un'analisi dettagliata, che il servizio interessato comprometterebbe gravemente l'esistenza di un servizio comparabile coperto da uno o più contratti di servizio pubblico in conformità del diritto comunitario sulle tratte dirette interessate».

5.14

Il CESE ritiene pertanto che non occorra modificare la disposizione succitata dell'articolo 8, bensì lasciare agli Stati membri, conformemente al principio di sussidiarietà, l'ampio potere discrezionale, che il Trattato riconosce loro, di organizzare i servizi di interesse generale conformemente alle loro esigenze, salvo errore manifesto accertato dalla Commissione.

5.15

Il CESE sottolinea che l'apertura di nuovi collegamenti di trasporto di passeggeri su strada potrebbe rischiare di compromettere i servizi pubblici forniti da modi di trasporto più sostenibili, in particolare il servizio ferroviario. Non è quindi accettabile che, per motivi esclusivamente economici, venga abbandonato un servizio ferroviario che serve la stessa tratta.

5.16

A tale riguardo, il CESE ricorda che l'obiettivo della regolamentazione dello spazio ferroviario unico europeo è creare uno spazio ferroviario europeo che risulti competitivo, in modo sostenibile, con gli altri modi di trasporto.

5.17

È giocoforza constatare, invece, che la concorrenza tra la ferrovia e la strada rimane ampiamente sleale poiché i diritti del trasporto ferroviario, dovuti dagli operatori ferroviari, e i costi di esercizio sono circa tre volte superiori ai costi sostenuti dagli operatori di servizi di trasporto mediante autobus. Finora, l'annuncio della Commissione di «misure volte ad internalizzare i costi esterni del trasporto in modo coordinato ed equilibrato fra i vari modi di trasporto così che le tariffe tengano conto del livello dei costi esterni che gravano sulla società» è rimasto senza conseguenze significative.

5.18

Il CESE esorta pertanto la Commissione a collegare la liberalizzazione del mercato dei trasporti su strada a un'applicazione più chiara del principio «chi inquina paga» in tutti i modi di trasporto.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 92/106/CEE relativa alla fissazione di norme comuni per taluni trasporti combinati di merci tra Stati membri»

[COM(2017) 648 final/2 — 2017/0290(COD)]

(2018/C 262/09)

Relatore:

Stefan BACK

Consultazione

Parlamento europeo, 29.11.2017

Consiglio europeo, 04.12.2017

Base giuridica

Art. 91, par. 1, del TFUE

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione

Adozione in sezione

05.04.2018

Adozione in sessione plenaria

19.04.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

159/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE appoggia l'iniziativa volta a mettere al passo coi tempi la direttiva 92/106/CEE (in appresso, «la direttiva») al fine non solo di rendere il concetto di trasporto combinato più efficiente e attraente, ma anche di aumentare la sostenibilità dei trasporti, in linea con gli obiettivi definiti nel Libro bianco del 2011 sulla politica dei trasporti e con gli impegni assunti nel quadro dell'accordo di Parigi.

1.2

Il CESE è favorevole a estendere il campo di applicazione della direttiva alle operazioni nazionali, al fine di ridurre ulteriormente il trasporto su strada.

1.3

Il CESE si compiace inoltre delle iniziative tese a semplificare la direttiva al fine di rendere più attraente il concetto di trasporto combinato e rafforzare la certezza del diritto.

1.4

Il CESE ritiene utile in particolare la semplificazione della delimitazione dei tragitti di trasporto stradale, ivi compresa l'opzione di flessibilità offerta agli Stati membri, che consente l'adattamento alle condizioni locali. Secondo il CESE, tuttavia, il limite del 20 % della distanza tra il punto di carico iniziale e il punto di scarico finale potrebbe condurre a distanze di trasporto stradale ben al di sopra del limite dei 300 km, al di là del quale il Libro bianco sui trasporti del 2011 favorisce un successivo trasferimento modale dal trasporto su strada.

1.5

Per agevolare l'accesso alle informazioni sull'attuazione della direttiva in ogni Stato membro e facilitare la pianificazione delle operazioni di trasporto combinato, il CESE propone che ciascuno Stato membro abbia l'obbligo di rendere disponibili su un apposito sito web tutte le informazioni pertinenti sull'attuazione della direttiva.

1.6

Il CESE approva il chiarimento e la semplificazione introdotti tramite l'elenco esaustivo dei documenti che andrebbero messi a disposizione per il controllo della conformità, nonché mediante la disposizione che consente di presentare tali documenti per via elettronica. Il CESE propone che, ove applicabile, eventuali decisioni nazionali che autorizzano un tragitto stradale più lungo siano incluse tra i documenti da presentare.

1.7

Il CESE approva l'obbligo proposto per gli Stati membri per quanto riguarda gli investimenti nei terminali di trasbordo, in particolare l'obbligo di coordinare gli investimenti con gli Stati membri limitrofi. Il CESE, tuttavia, dubita che l'obiettivo di una distanza massima di 150 km tra qualsiasi luogo dell'UE e il più vicino terminale sia realistico, tenuto conto della situazione in zone a bassa densità di popolazione e con reti ferroviarie e portuali limitate, e propone pertanto di offrire una chiara opzione di flessibilità.

1.8

A giudizio del CESE, per rafforzare la certezza e accelerare gli effetti degli incentivi per questo tipo di trasporto, le misure di sostegno al trasporto combinato devono essere considerate compatibili con il mercato interno ed essere esentate dall'obbligo di notifica a norma delle regole sugli aiuti di Stato, a condizione che il sostegno sia inferiore a una soglia predefinita.

1.9

Il CESE mette in dubbio l'utilità della disposizione proposta all'articolo 1, paragrafo 2, secondo comma, che mira ad escludere la possibilità di prendere in considerazione per operazioni di trasporto combinato talune vie navigabili interne e alcuni tragitti di trasporto marittimo. Il CESE considera detta proposta poco chiara ed esposta a interpretazioni divergenti, e dubita della sua utilità perché criteri di selezione simili, chiaramente basati sull'idea di escludere scelte che non hanno bisogno di essere incoraggiate, non sono stati ritenuti necessari per quanto riguarda il trasporto ferroviario.

1.10

Inoltre, il CESE trova difficile capire il motivo per cui la cosiddetta «esenzione del cabotaggio», di cui all'articolo 4 della direttiva, rimanga invariata. In materia di politica dei trasporti, il CESE fa riferimento in primo luogo alle proposte attualmente in sospeso riguardanti l'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada per quanto riguarda il cabotaggio, nonché al dibattito attualmente in corso sull'accesso al mercato e sulla concorrenza, ivi compresi gli aspetti sociali. Il CESE ricorda inoltre il principio generale secondo il quale la prestazione di servizi in un paese diverso da quello in cui è stabilito il prestatore del servizio dovrebbe essere effettuata in via temporanea. A giudizio del CESE, nulla impedisce di adottare una disposizione che preveda che i tragitti stradali nell'ambito di un trasporto combinato siano operazioni di trasporto separate, salvo nei casi in cui l'intera operazione di trasporto è effettuata con un unico autocarro o veicolo combinato che includa la motrice, e che il regolamento (CE) n. 1072/2009 sia applicato a tutte le operazioni di trasporto. L'articolo 4 della direttiva dovrebbe essere modificato in tal senso.

1.11

Il CESE trova sorprendente che le proposte di modifica della direttiva non comprendano la disposizione di cui all'articolo 2 della direttiva vigente, che impone agli Stati membri di liberalizzare le operazioni di trasporto combinato di cui all'articolo 1 da qualsiasi regime di contingentamento e autorizzazione entro il 1o luglio 1993. Nella sua forma attuale, alla luce dell'estensione del campo di applicazione della direttiva, tale articolo potrebbe essere interpretato come se avesse un effetto più ampio di quello probabilmente desiderato, in particolare per quanto riguarda l'accesso al mercato. Il CESE suggerisce pertanto di riformulare o sopprimere tale articolo.

1.12

Il CESE prende atto del fatto che la proposta di modificare la direttiva tace sull'applicabilità al trasporto combinato della direttiva 96/71 sul distacco dei lavoratori. Il CESE parte dal presupposto che la direttiva si applicherà anche alle operazioni di trasporto combinato e che ciò vale anche per quanto riguarda la proposta di lex specialis in materia di distacco nel settore dei trasporti su strada presentata dalla Commissione (COM(2017) 278).

1.13

Il CESE sottolinea altresì il notevole potenziale della digitalizzazione ai fini della facilitazione e promozione del trasporto combinato. Alcuni esempi di possibili modi di procedere sono stati menzionati in precedenza. Il potenziale di sviluppo in quest'ambito è considerevole per l'intero settore dei trasporti, ivi compreso il trasporto combinato.

1.14

Per quanto concerne i costi di trasporto relativi a Cipro e Malta, il CESE raccomanda alla Commissione di esaminare anche la possibilità di una soluzione analoga a quella adottata nel regolamento (CE) n. 1405/2006 del Consiglio.

2.   Contesto

2.1

L'8 novembre 2017 la Commissione europea ha presentato la seconda parte del pacchetto mobilità, incentrata sulla comunicazione programmatica Mobilità a basse emissioni: manteniamo gli impegni (COM(2017) 675).

2.2

La seconda parte del pacchetto comprende le seguenti proposte:

una proposta riguardante nuove norme per le emissioni di CO2 di autovetture e furgoni dopo il 2020, con una proposta di revisione del regolamento (CE) n. 715/2007 che prevede norme migliorate in materia di emissioni;

una proposta di revisione della direttiva sui veicoli puliti (2009/33/CE), per rafforzare le disposizioni riguardanti la promozione di appalti pubblici per l'acquisizione di tali veicoli;

una proposta intesa a modificare la direttiva 92/106/CEE in materia di trasporto combinato per promuovere ulteriormente tale sistema e incoraggiare sistemi di trasporto che riducano gli spostamenti su strada;

una proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1073/2009 sull'accesso al mercato internazionale dei servizi di trasporto effettuati con autobus, al fine di favorire un'ulteriore apertura di tale mercato e di promuovere trasporti pubblici per autobus più economici, riducendo così l'uso delle autovetture.

Il pacchetto comprende inoltre un piano d'azione sull'infrastruttura per i combustibili alternativi finalizzato a stimolare gli investimenti per la costruzione di tale infrastruttura, facilitando in tal modo la mobilità transfrontaliera nell'UE che utilizza tali combustibili.

2.3

Il pacchetto combina misure orientate all'offerta e alla domanda per instradare l'Europa verso una mobilità a basse emissioni e rafforzare la competitività del suo ecosistema automobilistico e della mobilità, anche allo scopo di offrire una maggiore certezza programmatica e normativa e di stabilire condizioni eque di concorrenza.

2.4

La proposta oggetto del presente parere (in appresso «la proposta») modifica la direttiva 92/106/CEE relativa alla fissazione di norme comuni per taluni trasporti combinati di merci tra Stati membri (COM(2017 648) (in appresso «la direttiva»). Essa contiene i seguenti elementi principali:

non è più necessario che il trasporto combinato sia di natura transfrontaliera. La Commissione ritiene che negli Stati membri vi sia un potenziale importante per il trasporto combinato a livello nazionale;

è abolito il requisito della distanza minima per il trasporto non stradale. D'altro canto, una nuova disposizione stabilisce che il trasporto via mare o per vie navigabili interne non può essere preso in considerazione in assenza di alternative;

ogni unità di carico che soddisfa i criteri stabiliti nella norma ISO 6346 o nella ENI 13044, e i veicoli stradali trasportati per ferrovia, per via navigabile interna o per mare, possono essere utilizzati nel trasporto combinato;

l'attuale norma sulla limitazione del trasporto stradale viene modificata per disporre che il primo e/o l'ultimo tratto stradale nell'UE può essere equivalente al massimo a una linea retta di 150 km o al 20 % della distanza diretta in linea d'aria tra il primo punto di carico e l'ultimo punto di scarico. Questa limitazione non si applica né alle unità di carico vuote, né al trasporto dal punto di prelievo o verso il punto di consegna;

gli Stati membri possono autorizzare distanze più lunghe di quelle indicate al punto precedente per consentire di raggiungere il più vicino terminale con attrezzature e capacità adeguate;

perché il trasporto stradale possa essere accettato come parte di un'operazione di trasporto combinato, l'operatore deve dimostrare che il trasporto rientra in un'operazione di trasporto combinato. La proposta indica quali informazioni devono essere fornite per quanto riguarda l'operazione di trasporto nel suo complesso e le diverse parti della stessa. Non può essere richiesta alcuna ulteriore informazione. Le informazioni possono essere fornite mediante diversi documenti di trasporto, anche in forma elettronica, e deve essere possibile presentare le informazioni nel corso di un controllo su strada;

sono accettate deviazioni debitamente giustificate dal tragitto previsto;

gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie a sostenere gli investimenti richiesti nei terminali di trasbordo, in coordinamento con gli Stati membri confinanti;

ogni Stato membro deve nominare una o più autorità responsabili dell'attuazione della direttiva, che fungano da punto di contatto per le questioni riguardanti l'attuazione;

la proposta impone inoltre agli Stati membri di rispettare un obbligo di comunicazione per quanto riguarda lo sviluppo del trasporto combinato;

l'attuale esenzione dalle norme in materia di cabotaggio rimane valida per quanto riguarda le operazioni di trasporto su strada (tragitti stradali), facenti parte di operazioni di trasporto transfrontaliere tra Stati membri, che si svolgono esclusivamente sul territorio di uno Stato membro. La Commissione giustifica tale esenzione affermando che le consultazioni svolte hanno dimostrato che la disposizione contribuisce a rendere più attraenti le soluzioni di trasporto combinato. La Commissione fa inoltre riferimento alla sentenza della Corte di giustizia nella causa 2/84 (Commissione contro Italia), secondo la quale il trasporto combinato deve essere considerato come un'unica operazione di trasporto internazionale interconnessa;

nelle motivazioni della proposta, la Commissione sottolinea inoltre che la norme in materia di distacco dei lavoratori si applicano al trasporto combinato nazionale così come al cabotaggio. Non vi sono indicazioni chiare, tuttavia, per quanto riguarda le disposizioni sul distacco di lavoratori e le operazioni di trasporto combinato internazionale.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE appoggia l'iniziativa tesa a mettere al passo coi tempi la direttiva sul trasporto combinato, in modo da accrescere l'efficienza e l'attrattiva dei sistemi di trasporto combinato. L'attuazione delle misure proposte consentirà di rendere i trasporti più sostenibili, di ridurre il trasporto su strada e le emissioni di gas a effetto serra, e contribuirà tanto al conseguimento degli obiettivi stabiliti nel Libro bianco del 2011 sulla politica dei trasporti quanto al rispetto degli impegni assunti dall'UE e dagli Stati membri nel quadro dell'accordo di Parigi.

3.2

Il CESE approva la decisione di ampliare il campo d'applicazione della direttiva includendo le operazioni nazionali che attualmente presentano un potenziale non sfruttato per lo sviluppo del trasporto combinato e, di conseguenza, per la riduzione del trasporto su strada.

3.3

Il CESE rileva inoltre con soddisfazione la semplificazione del quadro normativo per il trasporto combinato, destinata a migliorare la certezza giuridica e a rendere il concetto più accessibile e, di conseguenza, più attraente.

3.4

In tale contesto, risulta particolarmente utile la maggiore chiarezza dei criteri che descrivono la delimitazione dei tratti stradali: i criteri sono semplici, chiari e sembrano non lasciare spazio a interpretazioni divergenti. Il CESE reputa tuttavia che il limite del 20 % della distanza in linea d'aria tra il punto di carico iniziale e il punto di scarico finale possa condurre a distanze di trasporto stradale che siano al di sopra del limite dei 300 km, al di là del quale il Libro bianco sui trasporti del 2011 favorisce un trasferimento modale dal trasporto su strada, in particolare nelle regioni con reti limitate o grandi distanze tra i terminali. Nondimeno, il CESE ritiene che l'interesse generale di rendere i sistemi di trasporto combinato interessanti per gli utenti e il valore aggiunto di una definizione chiara e semplice abbiano la priorità e, pertanto, approva la soluzione proposta.

3.5

Il CESE apprezza inoltre quel quid di flessibilità che concede agli Stati membri di estendere i tratti stradali nella misura necessaria a consentire di raggiungere il più vicino terminale di trasporto che dispone della necessaria capacità operativa per le operazioni di carico o scarico in termini di impianti di trasbordo, capacità del terminale e adeguati servizi di trasporto ferroviario di merci.

3.5.1

Il CESE rileva che il testo sembra lasciare agli Stati membri la facoltà di decidere se la suddetta autorizzazione debba essere concessa mediante una disposizione di applicazione generale o caso per caso. Il CESE sottolinea l'importanza della trasparenza e, pertanto, ritiene che le disposizioni nazionali in materia e, ove applicabili, le decisioni riguardanti casi specifici debbano essere consultabili su un apposito sito web, conformemente al nuovo articolo 9 bis, di cui all'articolo 1, paragrafo 7, della proposta.

3.6

Al fine di facilitare la pianificazione delle operazioni di trasporto combinato e rendere il concetto più attraente, il CESE propone che tutte le pertinenti informazioni in merito all'attuazione della direttiva in ciascuno Stato membro siano disponibili su un apposito sito web in ciascuno Stato membro, e che una disposizione in tal senso venga introdotta nell'articolo 9 bis, paragrafo 2, della proposta.

3.7

Il CESE approva il chiarimento nell'articolo 3 della proposta per quanto riguarda i documenti da fornire ai fini del controllo di conformità, il divieto di richiedere documentazione supplementare e la possibilità di fornire i documenti per via elettronica. Tale disposizione agevola le operazioni e rafforza la certezza del diritto. Nondimeno, il CESE si chiede se non debba essere disponibile anche una copia della decisione adottata, nei casi in cui un tragitto stradale più lungo sia stato autorizzato da uno Stato membro ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 3, terzo comma, e tale autorizzazione sia oggetto di una decisione apposita.

3.8

Il CESE rileva con soddisfazione l'accento posto sugli investimenti nei terminali di trasbordo e l'obbligo di coordinare detti investimenti con gli Stati membri confinanti e con la Commissione, allo scopo sia di assicurare una distribuzione geografica equilibrata e sufficiente, in particolare nella rete TEN-T, che di garantire in modo prioritario che nessun luogo dell'UE si trovi a più di 150 km da un terminale di questo tipo. Il CESE dubita tuttavia che tale obiettivo sia realistico in zone a bassa densità di popolazione e dotate di reti ferroviarie e portuali limitate.

3.9

Prima di poter essere concesso, il sostegno al trasporto combinato deve essere notificato alla Commissione europea ed essere necessariamente autorizzato, conformemente alle regole in materia di aiuti di Stato. A causa della lunghezza delle procedure, molto spesso i beneficiari ricevono l'aiuto a 3 anni dal momento in cui l'autorità pubblica nazionale ha deciso di erogarlo e talvolta, quando è necessario modificare i regimi, rischiano di perdere tutti i benefici. Per ridurre l'incertezza e accelerare il processo, il CESE ritiene che gli aiuti inferiori a una certa soglia, ad esempio il 35 % dei costi totali, debbano essere automaticamente considerati conformi al Trattato ed essere esentati dall'obbligo di notifica.

3.10

Il CESE desidera inoltre richiamare l'attenzione sulle possibilità offerte di sviluppare ulteriormente il trasporto combinato mediante la digitalizzazione. La proposta compie un passo avanti consentendo l'uso di documenti elettronici e la creazione di appositi siti Internet in tutti gli Stati membri.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il CESE osserva che l'articolo 1, paragrafo 2, della proposta esclude dal concetto di trasporto combinato il trasporto su vie navigabili interne o il trasporto marittimo per i quali non esista alcuna alternativa equivalente su strada o che siano inevitabili in un'operazione di trasporto sostenibile dal punto di vista commerciale. Questa disposizione sembra essere connessa all'eliminazione di un requisito di distanza minima per le vie navigabili interne e il trasporto marittimo, e rappresenta la traduzione di quanto affermato al considerando 9 del preambolo, secondo cui «sarebbe pertanto utile sopprimere la condizione relativa alla distanza minima, pur mantenendo l'esclusione di determinate operazioni come quelle che comprendono spedizioni in alto mare o brevi traversate su traghetti». Il CESE nutre dubbi sia sul merito che sulla formulazione di questa disposizione.

4.1.1

Appare evidente che uno degli effetti del requisito dei 100 km per le vie navigabili interne e il trasporto marittimo, previsto dalla direttiva attuale, è quello di escludere le brevi traversate su traghetti e le spedizioni in alto mare, che vanno distinti dal trasporto marittimo a corto raggio. Ciò deriva dal fatto che il requisito dei 100 km si applica ai trasporti effettuati all'interno dell'UE. La proposta di cui all'articolo 2, paragrafo 2, è chiaramente destinata ad avere lo stesso effetto.

4.1.2

La disposizione ora proposta sembra tuttavia suscettibile di creare incertezza relativamente al momento in cui essa vada applicata, con il rischio di creare un ostacolo normativo all'attuazione di progetti di trasporto combinato.

Pertanto, il criterio dell'assenza di un'alternativa di trasporto equivalente lascia aperta la questione se l'equivalenza debba essere valutata sulla base del tempo necessario, della lunghezza in chilometri o del costo. Analogamente, il criterio riguardante il fatto di essere «inevitabile in un'operazione di trasporto sostenibile dal punto di vista commerciale» lascia un ampio margine di interpretazione.

4.1.3

Il CESE pertanto mette in dubbio l'utilità della disposizione proposta, in particolare perché simili criteri di selezione, chiaramente basati sull'idea di escludere scelte che non hanno bisogno di essere incoraggiate, non sono stati ritenuti necessari per quanto riguarda il trasporto ferroviario.

4.2

Inoltre, il CESE trova difficile capire il motivo per cui la cosiddetta «esenzione del cabotaggio», di cui all'articolo 4 della direttiva, rimanga invariata. In materia di politica dei trasporti, il CESE intende pertanto fare riferimento in primo luogo alle proposte in sospeso riguardanti l'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada per quanto riguarda il cabotaggio e all'attenzione dedicata attualmente all'accesso al mercato e alla concorrenza, ivi compresi gli aspetti sociali. Il CESE, inoltre, ha chiaro in mente il principio generale secondo il quale la prestazione di servizi in un paese diverso da quello in cui è stabilito il prestatore del servizio dovrebbe essere effettuata in via temporanea.

4.2.1

Il CESE prende atto dei due argomenti invocati dalla Commissione a favore della soluzione prescelta. Il primo è che le risposte fornite dalle imprese nel corso delle consultazioni indicano che l'attuale soluzione è considerata utile a rendere attraente il trasporto combinato. L'altro è che un'operazione di trasporto combinato, secondo la definizione fornita dalla direttiva nella sua versione attuale, è da considerarsi come un'unica operazione di trasporto internazionale. A sostegno di questa tesi, la Commissione invoca la giurisprudenza della Corte di giustizia e, in particolare, la causa 2/84 (Commissione/Italia).

4.2.2

A giudizio del CESE, l'argomento fondato sulla giurisprudenza della Corte di giustizia è semplicemente basato sul fatto che la Corte è vincolata dalla scelta del legislatore di definire il trasporto combinato in modo da poter essere considerato come un'unica operazione o un unico viaggio. La questione, pertanto, riguarda la decisione del legislatore di considerare l'operazione di trasporto combinato nel suo complesso o come una serie di operazioni diverse nell'ambito di un sistema di trasporto. In ogni caso, il CESE rammenta che, al momento dell'adozione della direttiva, il legislatore ha ritenuto necessario garantire il libero accesso dei trasportatori al mercato per quanto riguarda «i tragitti stradali iniziali e/o terminali che costituiscono parte integrante del trasporto combinato e comprendono o meno il varco di una frontiera».

4.2.3

A giudizio del CESE, nulla impedisce di adottare una disposizione che preveda che i tragitti stradali nell'ambito di un trasporto combinato siano operazioni di trasporto separate e che il regolamento (CE) n. 1072/2009 si applica a tutte le operazioni di trasporto su strada. L'articolo 4 della direttiva dovrebbe essere modificato in tal senso.

4.3

In questo contesto e, in particolare, alla luce del fatto che il campo d'applicazione della direttiva sarà esteso per includere il trasporto combinato, è sorprendente rilevare che la proposta non comprende la disposizione di cui all'articolo 2 della direttiva vigente, che impone agli Stati membri di liberalizzare le operazioni di trasporto combinato di cui all'articolo 1 da qualsiasi regime di contingentamento e autorizzazione entro il 1o luglio 1993.

4.3.1

Con l'estensione del campo d'applicazione della direttiva alle operazioni di trasporto combinato nazionali, questa disposizione si applicherà anche a dette operazioni. La formulazione di tale disposizione è piuttosto generica e potrebbe essere interpretata nel senso di un'esenzione del trasporto combinato dalle norme in materia di accesso alla professione di cui al regolamento (CE) n. 1071/2009, nonché da tutte le limitazioni relative all'accesso al mercato per quanto riguarda il trasporto combinato.

4.3.2

Il CESE parte dal presupposto che tali effetti non siano voluti e propone pertanto di sopprimere questo articolo, oppure di riformularlo al fine di chiarire che l'esenzione da regimi di contingentamento e autorizzazione si applica fatte salve le norme in materia di accesso alla professione o accesso al mercato, con riferimento a ciascun modo di trasporto interessato.

4.4

Il CESE osserva inoltre che la proposta non menziona in alcun modo l'applicabilità della direttiva sul distacco dei lavoratori alle operazioni di trasporto combinato, a eccezione di un riferimento — contenuto nella relazione di accompagnamento — all'applicabilità delle norme specifiche (lex specialis) proposte in materia di distacco dei lavoratori nel settore dei trasporti su strada. Ciò significherebbe che le norme che disciplinano il distacco dei lavoratori nell'ambito della direttiva 96/71/CE si applicherebbero al trasporto su strada nell'ambito del trasporto combinato nazionale.

4.4.1

Il CESE parte dal presupposto che le norme che disciplinano il distacco dei lavoratori si applicano anche a qualsiasi distacco nell'ambito di un'operazione di trasporto combinato che soddisfi i criteri di cui all'articolo 1 della direttiva 96/71/CE e di cui alla lex specialis proposta, se e quando verrà approvata.

4.5

Il CESE prende atto delle preoccupazioni per i costi che i collegamenti marittimi a lunga distanza impongono alle isole periferiche quali Cipro e Malta e torna a insistere sulla pertinenza, al riguardo, del regime di sostegno istituito tramite il regolamento (CE) n. 1405/2006 del Consiglio per compensare i costi di trasporto rispetto ai prodotti agricoli su alcune isole minori del Mar Egeo. A suo giudizio, la Commissione dovrebbe valutare la possibilità di una soluzione analoga anche per Cipro e Malta.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/33/CE, relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada»

[COM(2017) 653 final — 2017/0291(COD)]

(2018/C 262/10)

Relatore:

Ulrich SAMM

Consultazione

Parlamento europeo, 30.11.2017

Consiglio dell’Unione europea, 4.12.2017

Base giuridica

Articolo 192 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

5.4.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

206/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il principio che alimenta la direttiva sui veicoli puliti (nell’ambito del pacchetto di proposte per una mobilità pulita), anche se questa avrà solo un impatto limitato rispetto agli sforzi generali necessari per conseguire gli obiettivi climatici dell’UE, in particolare la decarbonizzazione dei trasporti, visto che è rivolta soltanto agli appalti pubblici. La direttiva mira a promuovere determinate categorie di veicoli (a zero emissioni allo scarico) che sono le tecnologie più pulite (e non solo pulite) introducendo rigorosi obiettivi minimi per l’acquisto, tramite appalto pubblico, di tali veicoli.

1.2.

Il CESE vorrebbe criticare la scarsa chiarezza della direttiva, in particolare la dispersione delle informazioni, in presenza di definizioni diverse, e i complicati metodi per conteggiare i «veicoli puliti» su due periodi di tempo distinti, nel corso dei quali le definizioni delle soglie di emissioni cambieranno con ogni probabilità di nuovo. Questa complessità creerà gravi incertezze tra le parti interessate.

1.3.

Di fronte alle incertezze riguardo alle soglie di emissioni, il CESE dubita che il periodo di transizione previsto fino al 2025 sia realmente in grado di contribuire a colmare il divario tecnologico fino al momento in cui i veicoli a zero emissioni allo scarico saranno ampiamente disponibili, e ritiene che ciò servirà, piuttosto, ad irritare i responsabili delle decisioni in materia di appalti pubblici. Di conseguenza gli appalti potrebbero subire forti ritardi o, al contrario, un’accelerazione, ma in questo caso per gli acquisti di vecchie tecnologie, bloccando così eventuali investimenti futuri nelle tecnologie a zero emissioni.

1.4.

Per i veicoli commerciali pesanti, le incertezze sono ancora maggiori. Non esistono nel loro caso norme in materia di emissioni da utilizzare nel periodo di transizione e la tecnologia a zero emissioni allo scarico è meno matura di quella sviluppata per i veicoli leggeri. Per la prima fase del periodo di transizione, il gas naturale con aggiunta di biometano è autorizzato, ma con un fattore di ponderazione ridotto, mentre, per la fase successiva, non vengono affatto fornite definizioni o soglie, né viene specificato su che base stabilire le nuove soglie di emissioni. In base a tali elementi, il CESE giunge alla conclusione che, nel caso dei veicoli pesanti, la direttiva è ancora prematura e raccomanda di stralciare questa categoria dalla proposta attuale per trattarla in una fase successiva.

1.5.

Il CESE accoglie con favore l’approccio generale neutrale dal punto di vista tecnologico, aperto a nuovi sviluppi, da aspettarsi in considerazione delle intense attività di R&S condotte dall’UE. Il CESE osserva tuttavia che la direttiva non segue fedelmente questo approccio. Anche altre tecnologie di propulsione (oltre ai veicoli elettrici a batteria) presentano notevoli potenzialità ai fini di una mobilità pulita. Il CESE si rammarica che tecnologie come i combustibili al 100 % non fossili o forse, in futuro, i combustibili sintetici prodotti a partire da rifiuti o CO2, ricavati dall’energia elettrica in eccesso, non trovino un riconoscimento sufficiente nella direttiva.

1.6.

Di fronte alla continua evoluzione delle moderne tecnologie di trasporto, il CESE raccomanda quindi, per gli anni a venire, di adottare un approccio più flessibile, invece di stabilire soglie di emissioni e obiettivi fissi in materia di appalti. Andrebbe quantomeno effettuata, ad esempio, una revisione intermedia degli obiettivi minimi, per consentire un adeguamento dei valori in una fase successiva.

1.7.

Una parte importante degli appalti pubblici è collegata alle aziende di trasporto pubblico locale che sono amministrate dalle città e dai comuni, la cui disponibilità finanziaria è alquanto limitata. Il CESE vorrebbe sollevare forti dubbi quanto alla proporzionalità di questo approccio, in quanto non tiene alcun conto dell’onere finanziario supplementare per gli enti pubblici e non effettua un confronto tra la proposta ed altre opzioni di politica industriale. Non è detto, quindi, che un onere ulteriore, nella procedura di appalto pubblico, per lo più a carico di città e comuni costituisca il modo più efficiente per incentivare le attività industriali e lo sviluppo del mercato.

1.8.

Il CESE sottolinea che qualunque costo ulteriore può produrre un onere notevole per i cittadini sotto forma di aumento del prezzo dei biglietti e delle imposte locali, o addirittura di un calo dell’offerta di trasporto pubblico. Inoltre, i notevoli sforzi già compiuti da città e comuni a favore di un’aria più pulita, anche estendendo l’uso del trasporto pubblico, dovrebbero essere riconosciuti e non ostacolati da nuove norme in materia di appalti che impongono allo Stato membro obiettivi minimi, ma che sono difficili da applicare e controllare a livello di comuni per la presenza di una grande varietà di piccole e grandi aziende di trasporto pubblico.

1.9.

Dal momento che il subappalto rientra anch’esso nella proposta di direttiva della Commissione, il CESE esprime preoccupazione riguardo alle possibili conseguenze di tale proposta sulle piccole e medie imprese: in effetti, numerose società di autolinee locali di piccole dimensioni contribuiscono, nell’ambito di un subappalto, a fornire servizi di trasporto agli operatori locali nelle zone urbane più ampie. Tali società potrebbero non disporre degli automezzi richiesti dalla direttiva e di conseguenza non avere più le qualifiche necessarie per il subappalto.

1.10.

Il CESE ritiene, in conclusione, che il principale ostacolo alla modernizzazione del trasporto pubblico e degli appalti pubblici per l’acquisto di veicoli puliti sia costituito dalla mancanza di sostegno finanziario e sollecita la Commissione a riconsiderare la proposta di direttiva in esame con l’attenzione puntata, questa volta, sui finanziamenti, in particolare tenendo conto degli strumenti esistenti. Questo sostegno finanziario specifico deve tener conto della diversità dei paesi, delle città e delle regioni in termini di forza economica e di percentuale della popolazione residente nelle zone urbane, con l’obiettivo generale di armonizzare l’acquisto di veicoli puliti mediante appalto in tutti gli Stati membri.

1.11.

Il CESE rileva che, oltre alla necessità di disporre di una maggiore quantità di veicoli puliti per il trasporto pubblico, è essenziale convincere un maggior numero di cittadini a utilizzare tale trasporto, rendendolo molto più attraente (collegamenti, comodità), anziché concentrarsi sui prezzi bassi dei biglietti.

2.   Introduzione

2.1.

L’Unione europea si è impegnata a creare un sistema energetico decarbonizzato, come descritto nel pacchetto Energia pulita, che punta ad accelerare, trasformare e consolidare la transizione dell’economia dell’UE verso l’energia pulita in conformità degli impegni presi dall’UE in occasione della 21a conferenza delle parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), mantenendo nel contempo gli importanti obiettivi della crescita economica e della creazione di posti di lavoro.

2.2.

L’UE ha già fatto molto. Le emissioni di gas a effetto serra nell’UE sono state ridotte del 23 % tra il 1990 e il 2016, mentre, nello stesso periodo, l’economia è cresciuta del 53 %. Questo successo è stato raggiunto in molti settori, fanno però eccezione i trasporti, che contribuiscono al 24 % circa delle emissioni di gas a effetto serra (dati 2015) e hanno perfino registrato un aumento delle emissioni, in parallelo con la ripresa economica dell’Europa. L’urgenza, inoltre, di limitare l’inquinamento atmosferico nelle città esercita ulteriori pressioni sull’esigenza di modalità di trasporto pulite.

2.3.

Alla luce di quanto sopra, il CESE ha accolto la Strategia europea per una mobilità a basse emissioni (1) (2), ivi compresi i suoi obiettivi e metodi che sono in linea con il Libro bianco dell’UE sulla politica dei trasporti (3) del 2011. Inoltre il pacchetto Energia pulita per tutti gli europei del novembre 2016 e la strategia L’Europa in movimento del 2017 hanno introdotto misure per accelerare la diffusione di veicoli puliti, che sono state accolte con favore dal CESE (4) (5).

2.4.

Il recente pacchetto di proposte per una mobilità pulita (6) comprende ora iniziative giuridiche specifiche quali la direttiva sui veicoli puliti (oggetto del presente parere), le nuove norme in materia di emissioni di CO2 dei veicoli, un piano d’azione sulle infrastrutture per i combustibili alternativi a livello transeuropeo, la revisione della direttiva sui trasporti combinati, il regolamento sui servizi di trasporto passeggeri effettuati con autobus e un’iniziativa sulle batterie quale importante strategia per la politica industriale integrata dell’UE.

2.5.

Tra i numerosi strumenti per decarbonizzare i trasporti, il ricorso agli appalti pubblici per l’acquisizione di veicoli puliti può svolgere un ruolo determinante di stimolo sul versante della domanda. Gli appalti pubblici possono servire da incentivo per lo sviluppo del mercato, ad esempio nel segmento di mercato occupato dagli autobus urbani. L’acquisizione, tramite appalto pubblico, di veicoli puliti per il parco veicoli destinato al servizio pubblico potrebbe anche influenzare l’acquisto di veicoli puliti da parte di privati.

3.   Lacune della direttiva (vecchia) in vigore

3.1.

Al fine di incentivare l’acquisizione, tramite appalto pubblico, di veicoli puliti, la Commissione ha introdotto nel 2009 la direttiva 2009/33/CE relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada, che è stata accolta con favore dal CESE (7) (8).

3.2.

In Europa, però, gli enti pubblici hanno acquisito quantità piuttosto limitate di veicoli a basse/zero emissioni o alimentati con combustibili alternativi in applicazione della direttiva sui veicoli puliti. Nel periodo 2009-2015, ad esempio, secondo una media approssimativa solo l’1,7 % di tutti gli acquisti di autobus nuovi era costituito da veicoli elettrici a batteria, a celle di combustibile, ibridi plug-in o alimentati a gas naturale.

3.3.

Alcuni Stati membri o singole regioni e città hanno già messo in atto quadri di riferimento ambiziosi in materia di appalti pubblici, i quali stabiliscono requisiti minimi per l’acquisizione di veicoli puliti, vale a dire a basse/zero emissioni o alimentati con altri combustibili alternativi, ma ciò non basta per stabilire incentivi sufficienti e stimolare il mercato dei veicoli puliti nell’intera UE.

3.4.

Una valutazione ex post condotta nel 2015 ha messo in luce gravi lacune nella direttiva. Essa ha avuto scarsi effetti sulla diffusione dei veicoli puliti sul mercato di tutta l’UE, in quanto non ha finora incentivato l’acquisizione, tramite appalto pubblico, di veicoli puliti. Le principali lacune rilevate sono le seguenti:

la direttiva non definisce in modo chiaro i «veicoli puliti»,

la direttiva non copre pratiche diverse dall’acquisto diretto da parte di organismi pubblici, non contempla la locazione, il leasing o la vendita a rate di veicoli e non comprende nemmeno contratti per servizi di trasporto diversi dal trasporto pubblico di passeggeri,

la metodologia di monetizzazione descritta nella direttiva è stata raramente utilizzata dagli enti pubblici in quanto è troppo complessa.

3.5.

Nell’ambito della valutazione d’impatto, le parti interessate sono state consultate nel 2016 e nel 2017 in merito a diverse opzioni suggerite per migliorare la direttiva. È stata quindi proposta una serie di emendamenti che forniscono una definizione di «veicoli leggeri puliti» e stabiliscono obiettivi minimi di appalto per i veicoli commerciali leggeri e per quelli pesanti. Tali criteri armonizzati a livello dell’UE non sono stati ancora introdotti.

4.   Proposte di revisione della direttiva

4.1.

La nuova direttiva riveduta fornisce una definizione di veicoli puliti e contempla ora tutte le pertinenti pratiche di appalto, proponendo disposizioni semplificate ed efficaci. I nuovi elementi più importanti sono i seguenti:

definizione di veicoli puliti basata su zero emissioni allo scarico per i veicoli commerciali leggeri e sui combustibili alternativi per i veicoli commerciali pesanti,

un periodo di transizione fino al 2025, nel quale anche i veicoli a basse emissioni sono considerati puliti, ma calcolati con un fattore di ponderazione dello 0,5 soltanto,

possibilità di adottare un atto delegato a norma della direttiva per applicare, con alcuni adattamenti, ai veicoli pesanti l’approccio utilizzato per i veicoli leggeri una volta che le norme per le emissioni di CO2 riferite a tali veicoli saranno introdotte a livello di UE,

estensione del campo di applicazione della direttiva alle forme di appalto diverse dall’acquisto, ovvero al leasing e ai contratti per servizi di trasporto pubblico terrestre, servizi di trasporto non regolare di passeggeri e noleggio di autobus e pullman con autista,

definizione di obiettivi minimi per gli appalti pubblici a livello dei singoli Stati membri, differenziati per paese e per categoria di veicoli,

abbandono della metodologia di monetizzazione degli effetti esterni,

elaborazione da parte degli Stati membri di una relazione sull’attuazione della direttiva ogni tre anni, cominciando da una relazione intermedia nel 2023 e una relazione completa nel 2026 in merito all’attuazione degli obiettivi per il 2025.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE accoglie con favore il principio che anima la direttiva sui veicoli puliti, anche se avrà solo un impatto limitato rispetto agli sforzi generali necessari per conseguire gli obiettivi climatici dell’UE, visto che la direttiva punta solo agli appalti pubblici e non all’acquisto di veicoli puliti da parte di privati o per scopi commerciali. La direttiva potrebbe però svolgere comunque un ruolo importante, in quanto gli investimenti pubblici possono offrire un modello da imitare e contribuire a sviluppare le infrastrutture, che potrebbero essere utilizzate anche dal settore privato, e quindi servire a incentivare gli investimenti privati. Gli investimenti pubblici destinati ai veicoli puliti hanno un impatto immediato sull’aria pulita per i cittadini, in particolare nei centri urbani (ad esempio in prossimità delle stazioni degli autobus).

5.2.

Il CESE vorrebbe criticare la scarsa chiarezza della direttiva in esame (9), in particolare la dispersione delle informazioni, in presenza di definizioni diverse, e i complicati metodi per conteggiare i «veicoli puliti» su due periodi di tempo distinti (fino al 2025 e dal 2025 al 2030), nel corso dei quali le definizioni delle soglie di emissioni cambieranno con ogni probabilità di nuovo. Questa complessità creerà gravi incertezze tra le parti interessate.

5.3.

L’unica regola semplice presente nella direttiva è la definizione e contabilizzazione dei veicoli a zero emissioni allo scarico. Tale regola si riferisce principalmente al 100 % dei veicoli elettrici, ma consente anche una deviazione dal principio definendo «puliti» anche i veicoli pesanti alimentati a gas, purché si tratti al 100 % di biometano. Tutte le altre regole, come la contabilizzazione di taluni veicoli come se valessero solo metà e le varie tipologie di carburante in funzione delle categorie di veicolo e delle norme di emissione, destinate a cambiare nel prossimo futuro, sono maggiormente complesse.

5.4.

Per un periodo di transizione (fino al 2025), anche i veicoli commerciali leggeri che si collocano al di sotto di una certa soglia di emissioni allo scarico sono considerati puliti, ma calcolati con un fattore di ponderazione dello 0,5 soltanto. Le soglie di emissioni sono fissate a 40 CO2 g/km per i furgoni e a 25 CO2 g/km per quelli adibiti al trasporto passeggeri (raggiungibili attualmente solo da veicoli ibridi plug-in). Queste soglie saranno modificate non appena sarà adottata (ben prima del 2025) la nuova procedura di prova per i veicoli leggeri armonizzata a livello mondiale (WLTP). Il periodo di transizione è quindi diviso in due. Le conseguenze di tale cambiamento non sono prevedibili per le parti interessati in base alle informazioni fornite nella direttiva. Di fronte a queste incertezze, il CESE dubita che il periodo di transizione previsto fino al 2025 sia realmente in grado di contribuire a colmare il divario tecnologico fino al momento in cui i veicoli a zero emissioni allo scarico saranno ampiamente disponibili, e ritiene che ciò servirà, piuttosto, ad irritare i responsabili delle decisioni in materia di appalti pubblici. Di conseguenza, gli appalti potrebbero subire forti ritardi o, al contrario, un’accelerazione, ma in questo caso per gli acquisti di vecchie tecnologie, bloccando così eventuali investimenti futuri nelle tecnologie a zero emissioni.

5.5.

Per i veicoli commerciali pesanti, le incertezze sono ancora maggiori. Non esistono nel loro caso norme in materia di emissioni da utilizzare nel periodo di transizione e la tecnologia a zero emissioni allo scarico è meno matura di quella sviluppata per i veicoli leggeri. Per la prima fase del periodo di transizione, il gas naturale con aggiunta di biometano è autorizzato, ma con un fattore di ponderazione ridotto, mentre, per la fase successiva, non vengono affatto fornite soglie o definizioni. La Commissione intende introdurre tali soglie, una volta definite, tramite un atto delegato, ma non sono disponibili informazioni quanto ai criteri per ricavare le nuove soglie di emissioni. In base a tali elementi, il CESE giunge alla conclusione che, nel caso dei veicoli pesanti, la direttiva è ancora prematura e raccomanda di stralciare questa parte della proposta attuale per poi trattarla in una fase successiva.

5.6.

Il CESE accoglie con favore l’approccio generale neutrale dal punto di vista tecnologico, aperto a nuovi sviluppi, da aspettarsi in considerazione delle intense attività di R&S condotte dall’UE. Il CESE osserva tuttavia che la direttiva non segue fedelmente questo approccio, in quanto, ad esempio, non comprende i carburanti liquidi non fossili.

5.7.

I veicoli elettrici a batteria ricevono attualmente forti incentivi in numerosi paesi al mondo, e vengono prodotti da un numero crescente di costruttori. La crescita del mercato dei veicoli elettrici dipende, tuttavia, da molti fattori che l’industria automobilistica può influenzare solo in misura limitata, come i costi delle batterie e il loro riciclaggio, le infrastrutture di ricarica, il prezzo dei combustibili e gli appalti pubblici, come raccomandato dalla direttiva.

5.8.

Anche altre tecnologie di propulsione (oltre ai veicoli elettrici a batteria) presentano notevoli potenzialità ai fini di una mobilità pulita. Il CESE si rammarica che tutto ciò non trovi sufficientemente riscontro nella direttiva. Si prendano ad esempio i combustibili al 100 % non fossili (come il biodiesel HVO100 largamente utilizzato in Svezia e in altri paesi) o forse, in futuro, i combustibili sintetici prodotti a partire da rifiuti o CO2, ricavati dall’energia elettrica in eccesso disponibile in quantità sempre maggiore grazie alla continua diffusione di fonti energetiche rinnovabili variabili.

5.9.

Di fronte alla continua evoluzione delle moderne tecnologie di trasporto, il CESE raccomanda quindi, per gli anni a venire, di adottare un approccio più flessibile, invece di stabilire soglie di emissioni e obiettivi fissi in materia di appalti. Andrebbe quantomeno effettuata, ad esempio, una revisione intermedia degli obiettivi minimi, per consentire un adeguamento dei valori in una fase successiva.

6.   Protezione del clima o politica industriale

6.1.

Evidentemente, la direttiva in esame (nonostante il titolo) non è incentrata in via primaria sui veicoli puliti, la protezione del clima e l’aria pulita, quanto piuttosto sugli appalti pubblici e la politica industriale, con l’intenzione di promuovere talune categorie di veicoli che sono le tecnologie più pulite (e non solo pulite) da acquisire. Basta uno sguardo più attento ai vari tipi di «veicoli puliti» e di carburanti alternativi secondo la definizione offerta dalla direttiva per svelare questa discrepanza. Alcuni tipi di combustibile possono contribuire a migliorare la qualità dell’aria nelle città, ma non presentano vantaggi per il clima, se ad esempio l’energia elettrica o l’idrogeno per i veicoli elettrici provengono da centrali elettriche a carbone. Viceversa, i veicoli a basse emissioni alimentati a gas naturale derivato dal biometano, pur essendo rispettosi del clima, possono comunque contribuire all’inquinamento atmosferico locale. In vista della scadenza temporale del 2030 stabilita dalla direttiva, i biocarburanti completamente non fossili, pur non accolti da tale direttiva, svolgeranno un ruolo cruciale nel conseguire gli obiettivi climatici dell’UE. Inoltre l’approccio a zero emissioni allo scarico non rispecchia affatto l’impronta di carbonio di un veicolo nel corso della sua intera esistenza.

6.2.

L’attenzione della direttiva è incentrata principalmente sulla politica industriale, mediante il ricorso agli appalti pubblici per l’acquisizione di veicoli puliti quale stimolo dal lato della demanda al fine di incentivare lo sviluppo del mercato, ad esempio del segmento di mercato costituito dagli autobus urbani. La Commissione parte dal presupposto che l’acquisizione, tramite appalto pubblico, di veicoli puliti possa anche influenzare l’acquisto di veicoli leggeri puliti da parte di privati. I consumatori saranno infatti influenzati positivamente dall’aumento della fiducia dei cittadini nella maturità e affidabilità di queste tecnologie ed, elemento ancora più significativo, dal miglioramento dell’infrastruttura pubblica di ricarica e di rifornimento (ricarica intelligente) a disposizione degli utenti privati, soprattutto se non provvisti di garage.

6.3.

Il CESE vorrebbe però sollevare forti dubbi quanto alla proporzionalità di questo approccio. La proposta si dichiara in linea con il principio di proporzionalità, quando invece non tiene alcun conto dell’onere finanziario supplementare per gli enti pubblici e non effettua un confronto tra la proposta ed altre opzioni di politica industriale. Non è detto, quindi, che un onere ulteriore, nella procedura di appalto pubblico, per lo più a carico di città e comuni costituisca il modo più efficiente per incentivare le attività industriali e lo sviluppo del mercato. Le organizzazioni di trasporto locale e i rappresentanti di città e comuni hanno espresso al riguardo forti preoccupazioni. Segue un elenco dei principali punti sollevati dalle parti interessate:

sono necessarie considerevoli risorse finanziarie supplementari per gli investimenti, che vanno ben oltre le loro capacità,

numerose città hanno già fatto molto per i trasporti puliti, ma la direttiva ignora tutti questi loro sforzi,

non si tiene conto dei moderni autobus diesel Euro VI, anche se sono stati fissati come nuovo standard nel 2011 (10) e potrebbero portare a riduzioni delle emissioni del trasporto pubblico efficaci sotto il profilo dei costi,

i veicoli ibridi plug-in non sono autorizzati dopo il 2025,

le infrastrutture necessarie per la ricarica di autobus e autocarri sono alquanto diverse da quelle per la ricarica di veicoli leggeri come le auto private; la sinergia è quindi piuttosto limitata,

vanno previste deroghe per gli automezzi dei vigili del fuoco e della polizia e per le ambulanze,

in alcuni comuni, gli appalti pubblici riguardano un parco veicoli piuttosto esiguo (meno di 10 veicoli), ed è alquanto improbabile conseguire gli obiettivi minimi,

l’attività di informazione proposta può essere realizzata con un impegno amministrativo accettabile solo una volta che la categoria «veicoli puliti» sarà introdotta nei registri automobilistici ufficiali.

6.4.

Una parte importante degli appalti pubblici è collegata alle aziende di trasporto pubblico locale che sono amministrate dalle città e dai comuni, la cui disponibilità finanziaria è alquanto limitata. Qualunque investimento ulteriore nelle tecnologie più avanzate a costi (e rischi) maggiori può produrre un onere notevole per i cittadini, sotto forma di aumento del prezzo dei biglietti e delle imposte locali, o addirittura di calo dell’offerta di trasporto pubblico. Inoltre, i notevoli sforzi già compiuti da città e comuni a favore di un’aria più pulita, anche estendendo l’uso del trasporto pubblico, dovrebbero essere riconosciuti e non ostacolati da nuove norme in materia di appalti che impongono allo Stato membro obiettivi minimi, ma che sono difficili da applicare e controllare a livello di comuni per la presenza di una grande varietà di piccole e grandi aziende di trasporto pubblico.

6.5.

Dal momento che il subappalto rientra anch’esso nella proposta di direttiva della Commissione, il CESE esprime preoccupazione riguardo alle possibili conseguenze di tale proposta sulle piccole e medie imprese: in effetti, numerose società di autolinee locali di piccole dimensioni contribuiscono, nell’ambito di un subappalto, a fornire servizi di trasporto agli operatori locali nelle zone urbane più ampie. Tali società potrebbero non disporre degli automezzi richiesti dalla direttiva e di conseguenza non avere più le qualifiche necessarie per il subappalto.

6.6.

Il CESE conclude che il principale ostacolo alla modernizzazione del trasporto pubblico e degli appalti pubblici per l’acquisto di veicoli puliti sia costituito dalla mancanza di sostegno finanziario e sollecita la Commissione a riconsiderare la proposta di direttiva in esame con l’attenzione puntata, questa volta, sui finanziamenti, in particolare tenendo conto degli strumenti esistenti, come i fondi strategici e strutturali (FEIS, fondi SIE) e il meccanismo per collegare l’Europa (CEF), e, fattore ancor più importante, a definire le giuste priorità per il prossimo quadro finanziario pluriennale. Questo sostegno finanziario specifico deve tener conto della diversità dei paesi, delle regioni e delle città in termini di forza economica e di percentuale della popolazione residente nelle zone urbane, con l’obiettivo generale di armonizzare l’acquisto di veicoli puliti mediante appalto in tutti gli Stati membri. Il CESE rileva infine che, oltre alla necessità di disporre di una maggiore quantità di veicoli puliti per il trasporto pubblico, è essenziale convincere un maggior numero di cittadini a utilizzare tale trasporto, rendendolo molto più attraente (in termini di collegamenti, comodità), anziché concentrarsi sui prezzi bassi dei biglietti.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2016) 501 final.

(2)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 55.

(3)  COM(2011) 144 final.

(4)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 64.

(5)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 195.

(6)  COM(2017) 675 final.

(7)  GU C 51 del 17.2.2011, pag. 37.

(8)  GU C 424 del 26.11.2014, pag. 58.

(9)  COM(2017) 653 final, allegato 1.

(10)  Regolamento (UE) n. 582/2011 della Commissione.


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/64


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale»

[COM(2017) 660 final — 2017/0294 (COD)]

(2018/C 262/11)

Relatrice:

Baiba MILTOVIČA

Consultazioni

Parlamento europeo, 29.11.2017

Consiglio dell’Unione europea, 22.11.2017

Base giuridica

Articolo 194 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Organo competente

Sezione Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

5.4.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

149/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La società civile nel suo insieme può prosperare soltanto con uno Stato di diritto coerente. Pertanto il Comitato economico e sociale europeo, pur rilevando alcuni punti di disaccordo con la Commissione e pur deplorando l’iniziale disattenzione all’origine del vuoto giuridico che la direttiva in esame mira a colmare, sostiene le finalità delle modifiche proposte alla direttiva sul gas del 2009, modifiche che si prevede condurranno a una migliore integrazione del mercato e a una maggiore sicurezza dell’approvvigionamento.

1.2.

Tali proposte di modifica alla direttiva sul gas (1) hanno suscitato un vasto dibattito e sono state motivo di disaccordo fra gli Stati membri. Il Comitato ritiene che tale dibattito comporti importanti questioni di principio e solidarietà che devono essere affrontate senza ambiguità.

1.3.

È necessario che le sensibilità politiche ed economiche trovino pieno riconoscimento, cosa che oggi purtroppo non avviene. Ma l’UE dovrà anche decidere se sia possibile conseguire, nell’attuale clima politico, l’obiettivo di un mercato dell’energia coerente, sostenibile ed equo per tutti gli Stati membri. Per alcuni paesi, la posta in gioco nel breve periodo è accettare la sfida di rinunciare a ciò che essi considerano i loro interessi nazionali in favore di un sostegno a principi normativi chiari e coerenti applicati, in materia di approvvigionamento energetico e di sicurezza energetica, al mercato unico. Nel lungo periodo, la sfida è diversa, e vi è il rischio di impegnare in maniera irreversibile una costosa infrastruttura per i combustibili fossili che, favorendo una crescente dipendenza, potrebbe ridurre la capacità dell’UE di adempiere ai suoi impegni in materia di clima.

1.4.

Il Comitato osserva che il superamento della dipendenza dall’esterno è un programma a lungo termine, che richiede l’ulteriore sviluppo dell’interconnettività dell’approvvigionamento di gas tra gli Stati membri, un miglioramento della capacità di stoccaggio, un aumento della capacità per le opzioni di fornitura alternative come il gas naturale liquefatto (GNL) e il riconoscimento del ruolo sempre maggiore delle fonti energetiche rinnovabili.

1.5.

Il Comitato ritiene che un’area di incertezza normativa circa i futuri programmi di costruzione, dovuta alla mancanza di chiarezza sul processo di deroga proposto, potrebbe costituire un rischio per la sicurezza degli investimenti e bloccare la libera concorrenza di mercato fra autorità nazionali e regionali nell’attirare gli investimenti esteri. Tutto ciò deve formare oggetto di valutazione, insieme ai significativi miglioramenti nel mercato del gas ottenuti grazie a processi di regolamentazione introdotti negli ultimi due decenni.

1.6.

In numerosi pareri degli ultimi anni sulla politica dell’energia e del clima (2) il CESE ha espresso con forza il giudizio che soltanto una governance chiara ed efficace e un notevole grado di pragmatismo e buona volontà a livello politico permetteranno di risolvere questioni così sensibili relative all’approvvigionamento energetico. La proposta della Commissione in esame è in linea con tale giudizio e dovrebbe essere portata avanti speditamente.

1.7.

Il Comitato, tuttavia, osserva che le modifiche proposte potrebbero dar luogo a una serie di obiezioni giuridiche, e reputa che vi saranno senz’altro notevoli disaccordi sul piano politico nonché preoccupazioni commerciali da parte di alcune parti interessate del settore. Suscita quindi rammarico, in queste circostanze, la mancanza di una valutazione d’impatto.

1.8.

Il Comitato appoggia le modifiche proposte alla direttiva sul gas, volte a garantire che, nel territorio rientrante nella giurisdizione dell’UE, i principi fondamentali della legislazione europea in materia di energia (come l’accesso di terzi, la regolazione tariffaria, la separazione proprietaria e la trasparenza) siano applicati anche agli interconnettori di gas con paesi terzi. Al riguardo, il Comitato ritiene che le necessarie modifiche alla direttiva sul gas dovrebbero essere adottate senza ulteriore indugio e non dovrebbero dare adito a incertezze giuridiche in materia di piena applicabilità del diritto dell’UE agli interconnettori in servizio o previsti.

1.9.

Il Comitato reputa che eventuali deroghe all’applicazione delle principali disposizioni della direttiva debbano essere rigorosamente circoscritte e limitate nel tempo (ad esempio a un massimo di 10 anni), e vadano concesse soltanto in casi eccezionali, dopo un’ampia valutazione da parte della Commissione, onde assicurarsi che non siano in conflitto con gli obiettivi dell’Unione dell’energia e che non si ripercuotano negativamente sulla concorrenza e sull’efficace funzionamento del mercato interno del gas o sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas nell’UE.

2.   Introduzione

2.1.

Il gas rimane una delle principali fonti di energia primaria per l’Unione europea, e l’efficienza del mercato interno del gas svolge un ruolo importante tanto per l’economia quanto per la sicurezza energetica di molti Stati membri dell’UE. È anche vero, però, che, da 25 anni a questa parte, la dipendenza dell’UE dalle importazioni di energia di tutti i tipi è in costante aumento: dal 44 % nel 1990 al 53 % nel 2015. È necessario importare quasi il 70 % del gas naturale consumato nell’UE, il 90 % del quale proviene via gasdotto da paesi terzi. Il fornitore principale è la Russia, con una quota complessiva pari a circa il 40 %, anche se in alcuni paesi dell’Europa orientale tale quota è notevolmente più alta.

2.2.

Riconoscendo che tale dipendenza può anche creare vulnerabilità, la direttiva sul gas ha avuto, tra le sue finalità principali, quelle di migliorare l’interconnettività dell’approvvigionamento di gas tra gli Stati membri, aumentare la capacità di stoccaggio e incrementare la capacità per le opzioni di fornitura alternative come il GNL. L’obiettivo dell’Unione dell’energia rimane quello di incrementare la resilienza interna, riconoscendo al tempo stesso che l’eliminazione della dipendenza dall’esterno è un programma a lungo termine.

2.3.

La direttiva sul gas stabilisce norme comuni concernenti il trasporto, la distribuzione, la fornitura e lo stoccaggio di gas naturale tra gli Stati membri dell’UE, ma non si applica ai gasdotti che collegano gli Stati membri con i paesi terzi. La nuova direttiva proposta mira, attraverso una serie di modifiche, a estendere i principi della direttiva sul gas ai gasdotti esistenti e futuri, fino alle frontiere dell’UE. Alcuni di tali gasdotti, ad esempio quelli provenienti dal territorio della Comunità dell’energia, rientrano già adesso nell’ambito di applicazione della direttiva sul gas. Tuttavia, esistono gasdotti sui quali la direttiva proposta avrà un impatto, e sono quelli che entrano nell’Unione europea da paesi quali Norvegia, Algeria, Libia, Tunisia, Marocco e Russia. Inoltre, dopo la Brexit, la nuova direttiva potrebbe avere un impatto anche sui gasdotti che collegano il Regno Unito con gli Stati membri dell’UE.

2.4.

È chiaro che il diritto dell’Unione si applica solo nell’ambito delle giurisdizioni dell’UE e non nei paesi terzi. Tuttavia, le modifiche introdotte garantiscono la sua applicazione a qualsiasi disposizione normativa e contrattuale concordata tra uno Stato membro e un paese terzo, a partire dal punto in cui un gasdotto entra nel territorio sotto la giurisdizione dell’UE. Nondimeno, i singoli Stati membri che stipulano tali accordi con fornitori di paesi terzi potranno concedere deroghe a molti dei principi fondamentali della direttiva sul gas, per quanto riguarda i gasdotti esistenti. I nuovi gasdotti, previsti o in costruzione al momento dell’entrata in vigore della direttiva proposta, saranno invece soggetti a tutti i requisiti del mercato interno del gas naturale. Ma, qualora le autorità nazionali e la Commissione giudicassero motivata una richiesta di esenzione, un quadro normativo ad hoc potrebbe comunque essere concesso. In pratica, ciò conferirebbe alla Commissione europea un ruolo significativo, se non determinante, per quanto concerne le disposizioni regolamentari e di accesso al mercato di qualsiasi accordo su un nuovo gasdotto. Questi poteri possono essere considerati un meccanismo essenziale di conformità nella definizione del mercato globale dell’approvvigionamento energetico e nel mantenimento di un equilibrio tra accessibilità, sicurezza e sostenibilità. Il Comitato ritiene che un approccio del genere sia coerente con il quadro di governance dell’Unione dell’energia e con il conseguimento dei suoi obiettivi globali.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

Estendere i principi della direttiva sul gas è importante, in quanto il processo di creazione di un mercato interno del gas naturale per l’UE deve tener conto del fatto che i sistemi di trasporto del gas presentano caratteristiche simili a quelle di un monopolio naturale. Gli enormi investimenti necessari per realizzare imprese infrastrutturali di così grandi dimensioni creano ostacoli eccezionalmente elevati all’ingresso di altri operatori nel mercato. Risultano pertanto necessarie misure volte a garantire l’accesso ai terzi, la separazione delle attività di produzione e di fornitura di gas dalle attività di trasporto di gas attraverso la disaggregazione degli operatori dei sistemi di trasporto, e infine l’obbligo per le autorità nazionali di regolamentazione di fissare o approvare tariffe non discriminatorie e basate sui costi reali per quanto concerne l’uso dei sistemi di trasporto.

3.2.

La proposta contiene una serie di modifiche alla direttiva sul gas che rientrano in quattro grandi categorie:

modifiche che estendono l’ambito di applicazione : la definizione di «interconnettore» è estesa ai gasdotti da e verso paesi terzi;

regole di separazione: vengono agevolati modelli di separazione alternativi;

requisiti di consultazione : le autorità nazionali di regolamentazione consultano le autorità pertinenti dei paesi terzi in merito all’applicazione della direttiva sul gas fino alle frontiere dell’UE;

deroghe : uno Stato membro può concedere una deroga alle disposizioni di alcuni articoli della direttiva sul gas per i gasdotti esistenti da e verso paesi terzi.

4.   Osservazioni generali

4.1.

È opportuno sottolineare che, sebbene l’obiettivo principale della proposta sia quello di accrescere, a medio e lungo termine, l’efficacia del mercato interno dell’energia, si può affermare che in pratica le modifiche introdotte potrebbero comportare, nel breve periodo, un certo grado di incertezza normativa. Ciò è dovuto al fatto che gli Stati membri possono decidere di chiedere una serie di deroghe ad alcune prescrizioni della direttiva sul gas per i gasdotti esistenti. Va osservato, tuttavia, che tale incertezza sarebbe alla fine risolta attraverso una piena e coerente applicazione delle prescrizioni della direttiva sul gas, compresi i principi di base di tale direttiva, vale a dire la separazione, l’accesso di terzi e le tariffe basate su tutti i costi di costruzione e di gestione.

4.2.

Inoltre alcuni dei nuovi progetti di gasdotti sono ancora in fase di sviluppo: in particolare il progetto Nord Stream 2 ha suscitato un’opposizione significativa da parte di alcuni Stati membri dell’UE. Questo nuovo elemento di incertezza normativa può avere un impatto sui programmi di costruzione e comportare dei ritardi. Vi è inoltre chi sostiene che le modifiche rischiano di bloccare la libera concorrenza di mercato tra le autorità nazionali e regionali nell’attirare gli investimenti esteri. Tuttavia nel corso dello sviluppo del mercato unico vi sono stati molti casi di rinuncia al controllo nazionale nell’interesse di tutti i cittadini dell’UE, in considerazione dell’entità dei benefici diffusi che un’azione solidale comporta.

4.3.

I gasdotti ad alta pressione e a lunga distanza sono infrastrutture complesse e costose, le cui spese richiedono molti anni per essere ammortizzate. Per quanto tale infrastruttura possa eventualmente essere utilizzata per il trasporto innovativo di gas a basso tenore di carbonio (bio o idrogeno), vi è il forte rischio di dover impegnare in maniera irreversibile una costosa infrastruttura per i combustibili fossili, che, favorendo una crescente dipendenza, potrebbe ridurre la capacità dell’UE di onorare i suoi impegni in materia di clima.

4.4.

Alcuni Stati membri potrebbero ravvisare nelle modifiche introdotte una limitazione, almeno in certa misura, della loro sovranità. Questo perché uno Stato membro non potrà derogare al diritto dell’UE tramite un accordo intergovernativo negoziato a livello bilaterale nell’ambito che forma oggetto della direttiva sul gas, un ambito in precedenza non ancora disciplinato dal diritto dell’UE. Il Comitato concorda sul fatto che, per motivi di logica e opportunità, questa lacuna giuridica debba essere colmata.

4.5.

Per quanto riguarda i punti di cui sopra, il Comitato si rammarica del fatto che la Commissione abbia ritenuto non necessaria una valutazione d’impatto. È evidente che, in un ambito politicamente sensibile come questo, in cui entrano in gioco fattori economici, si devono addurre dei dati fattuali a sostegno delle argomentazioni fornite per giustificare le modifiche proposte. Una parte di questi dati, si può osservare, è contenuta nel documento di lavoro dei servizi della Commissione o in analisi approfondite condotte dalla Commissione, come la valutazione d’impatto della direttiva sul gas.

4.6.

La Commissione dovrebbe dar prova di maggiore chiarezza anche per quanto riguarda i benefici attesi per il mercato interno. In diversi Stati membri permangono lacune nell’attuazione del terzo pacchetto sull’energia, ma non è chiaro in che modo le modifiche introdotte incideranno su tale attuazione.

4.7.

Detto ciò, è altresì evidente che la proposta è intesa a rendere possibile (ove necessario e al livello politico europeo concordato) un intervento significativo in grado di limitare un’ulteriore dipendenza dal gas russo e quindi a incoraggiare la diversificazione dell’approvvigionamento energetico; e, ad avviso del Comitato, questo è un obiettivo funzionale agli interessi dell’UE.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

La proposta va intesa come parte del programma volto a migliorare la coerenza, la solidarietà, la sicurezza, la competitività e la regolarità del mercato nella politica energetica dell’UE, rappresentata dall’Unione dell’energia. In tale contesto, l’obiettivo a medio termine è quello di ridurre la dipendenza da un fornitore dominante di gas attraverso un maggiore utilizzo delle fonti interne di gas dello Spazio economico europeo e dei terminali GNL, una migliore efficienza energetica e un rafforzamento del ruolo delle energie rinnovabili. Nel breve periodo, vi è un modesto margine di manovra per la sostituzione del gas naturale in alcuni settori della produzione di energia, come ad esempio alcuni impianti di cogenerazione. La cosa è di particolare importanza per i sistemi di teleriscaldamento. Le centrali elettriche a gas e gli impianti di cogenerazione rapidamente controllabili sono utilizzati anche per attenuare le fluttuazioni naturali nelle energie rinnovabili, fornendo un importante contributo alla sicurezza dell’approvvigionamento nel settore dell’elettricità e garantendo altresì la sicurezza dell’approvvigionamento nel settore del riscaldamento. Il margine di manovra è limitato per quanto concerne la sostituzione del gas naturale nel settore residenziale e commerciale, in quanto non è realistico, in questo comparto, mantenere attrezzature/infrastrutture alternative.

5.2.

Va inoltre osservato che i governi degli Stati membri hanno a più riprese dichiarato che «l’interconnettività» (ossia l’integrazione con i paesi vicini, la creazione di un mercato comune del gas naturale, lo sviluppo di infrastrutture regionali per il gas naturale come il Baltic Connector ecc.) consentirà di garantire i presupposti di una concorrenza equa fra i fornitori di gas, una migliore qualità dei servizi e una scelta più ampia per tutti i consumatori di gas naturale. Nei mercati in cui il consumo di gas naturale è in calo anno dopo anno, sono pochi i fornitori interessati a prestare un servizio alle utenze domestiche.

5.3.

Nel dibattito in corso sulle forniture di gas naturale all’UE, il termine «sicurezza energetica» è interpretato in due modi differenti. Da un lato, si sostiene che un notevole aumento della capacità dei gasdotti che trasportano gas verso l’Europa incrementerà la resilienza energetica, in quanto consentirà a forniture aggiuntive di gas naturale di colmare qualsiasi penuria causata dal continuo calo di produzione di tutti i tipi di combustibili fossili in Europa (carbone, petrolio e gas). Il gas può inoltre contribuire a sopperire alle carenze causate dalla discontinuità nella fornitura di energia elettrica da fonti rinnovabili e può svolgere una funzione importante nella transizione energetica. Il gas naturale presenta la più bassa impronta di carbonio tra i combustibili fossili e pertanto si rivela chiaramente una scelta prioritaria quando l’energia nucleare o le energie rinnovabili risultano inadeguate o non disponibili.

5.4.

D’altro canto, si dice che l’Europa potrebbe diventare più vulnerabile in quanto l’aumento della capacità di gas naturale incoraggerebbe la dipendenza da forniture provenienti da un paese (la Russia) i cui interessi possono essere notevolmente diversi da quelli dell’UE e che può utilizzare la fornitura di gas come moneta di scambio a livello economico e di politica estera. Su questo punto gli interessi economici e politici degli Stati membri sono in certa misura in conflitto, ed è difficile prevedere come queste due interpretazioni potranno essere conciliate nel breve e medio termine.

5.5.

In numerosi pareri adottati negli ultimi anni, e in particolare in quelli relativi alla creazione e al funzionamento dell’Unione dell’energia, il CESE ha affermato in linea generale che soltanto un meccanismo di governance efficace, nonché stabilito di comune accordo, consentirà di raggiungere gli obiettivi concordati dall’UE in materia di clima e di sicurezza energetica, compresa la riduzione del rischio di dipendenza da un unico fornitore di energia.

5.6.

La direttiva in esame mira a porre rimedio a una «zona grigia» legislativa, facendo sì che vengano applicati le norme e i principi del mercato unico e che un settore finora non regolamentato a livello europeo rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE, con un maggiore coinvolgimento della Commissione europea nell’esame di questioni di interesse comune.

5.7.

Le proposte modifiche alla direttiva sul gas mirano a garantire che, nel territorio rientrante nella giurisdizione dell’UE, i principi fondamentali della legislazione europea in materia di energia (come l’accesso di terzi, la regolazione tariffaria, la separazione proprietaria e la trasparenza) siano applicati anche agli interconnettori di gas con paesi terzi. Al riguardo, il Comitato ritiene che le necessarie modifiche alla direttiva sul gas dovrebbero essere adottate senza ulteriore indugio e non dovrebbero dare adito ad alcuna incertezza giuridica riguardo alla piena applicabilità del diritto dell’UE agli interconnettori in servizio o previsti.

5.8.

Il Comitato reputa che eventuali deroghe all’applicazione delle principali disposizioni della direttiva debbano essere rigorosamente circoscritte e limitate nel tempo (ad esempio a un massimo di 10 anni), e vadano concesse soltanto in casi eccezionali, dopo un’ampia valutazione da parte della Commissione, onde assicurarsi che non siano in conflitto con gli obiettivi dell’Unione dell’energia e che non si ripercuotano negativamente sulla concorrenza e sull’efficace funzionamento del mercato interno del gas, o sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas nell’UE.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU L 211, 14.8.2009, pag. 94.

(2)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 70; GU C 487 del 28.12.2016, pag. 81; GU C 246 del 28.7.2017, pag. 34.


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso l’uso più ampio possibile di combustibili alternativi: un piano d’azione sulle infrastrutture per i combustibili alternativi a norma dell’articolo 10, paragrafo 6, della direttiva 2014/94/UE, compresa la valutazione di quadri strategici a norma dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2014/94/UE»

[COM(2017) 652 final]

(2018/C 262/12)

Relatore:

Séamus BOLAND

Consultazione

Commissione europea, 18.1.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

5.4.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

170/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il presente parere riguarda principalmente la realizzazione di infrastrutture per i combustibili alternativi nell’UE, alla luce degli impegni assunti dall’Unione nel quadro dell’accordo di Parigi. Si tratta quindi di un supplemento che va ad integrare i numerosi pareri già adottati dal CESE in materia di trasporti. Il CESE raccomanda vivamente all’UE e a tutti gli altri soggetti pertinenti di accordare la priorità all’attuazione del piano d’azione sulle infrastrutture per i combustibili alternativi.

1.2.

Il CESE accoglie con grande favore le iniziative della Commissione europea intese a decarbonizzare il settore dei trasporti, ed esprime apprezzamento, in particolare, per la sua determinazione ad accelerare la messa a punto dell’infrastruttura per i combustibili alternativi, in modo da ridurre a zero le emissioni di gas a effetto serra e di inquinanti atmosferici entro il 2050.

1.3.

Tuttavia, il CESE è preoccupato per il fatto che, allo stato attuale, i quadri strategici nazionali concordati da ciascuno Stato membro in quanto strumenti per realizzare la decarbonizzazione sono nettamente insufficienti rispetto ai loro scopi e obiettivi dichiarati. Di conseguenza, il piano d’azione sulle infrastrutture per i combustibili alternativi rischia di non avere alcun esito. Il CESE auspica vivamente che la Commissione e gli Stati membri riconoscano che si tratta di una questione urgente.

1.4.

Il CESE raccomanda pertanto alla Commissione di riesaminare al più presto i quadri strategici nazionali al fine di garantire che soddisfino gli obiettivi dichiarati.

1.5.

Il CESE raccomanda altresì che ciascuno Stato membro individui ed elimini ogni ostacolo, compresa la perdita di gettito fiscale legato ai combustibili fossili.

1.6.

Il CESE prende atto del notevole impegno finanziario assunto dall’UE per la messa a disposizione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi. Tuttavia, teme che il finanziamento stimato come necessario sia troppo basso e che l’effetto leva dei finanziamenti del settore privato tardi a realizzarsi. Il CESE raccomanda di rivedere con urgenza le stime relative ai finanziamenti da mobilitare e, ove necessario, di intraprendere azioni adeguate per correggere una situazione in cui i necessari obiettivi finanziari non vengono raggiunti.

1.7.

Il CESE prende atto dell’impegno messo in campo dall’industria del trasporto marittimo e aereo per realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione concordati da tutti i soggetti interessati. Tuttavia, sottolinea la necessità di intensificare nel breve termine il dialogo tra la Commissione, gli Stati membri e questi due settori.

1.8.

Il CESE è estremamente preoccupato per il basso livello di coinvolgimento dei consumatori e di interazione con le parti interessate, ragion per cui raccomanda vivamente che i consumatori svolgano un ruolo molto più importante in tutti gli aspetti della diffusione dei combustibili alternativi.

1.9.

Il CESE raccomanda di svolgere ricerche per individuare nuove fonti di terre rare e raccomanda altresì alla Commissione di tenere aggiornate, in collaborazione con gli Stati membri, le informazioni sulle tecnologie più recenti nel settore dei trasporti.

1.10.

Il CESE accoglie con favore il fatto che venga data priorità alle misure nelle zone urbane, ma sottolinea altresì che è necessario elaborare dei programmi che siano adeguati anche per i trasporti nelle zone rurali. Il CESE raccomanda pertanto che tali programmi possano includere la creazione di infrastrutture basate sull’utilizzo di biocarburanti, derivati principalmente dai rifiuti agricoli, ma anche da rifiuti provenienti da altre fonti, e sull’impiego della tecnologia di biodigestione. Tali programmi potrebbero comprendere la creazione di infrastrutture basate sull’utilizzo di biocarburanti avanzati prodotti da rifiuti agricoli, silvicoli o di altra origine.

2.   Introduzione

2.1.

Il presente parere verte sul piano d’azione volto a rendere disponibile un’infrastruttura per i combustibili alternativi nell’UE. In alcuni pareri precedenti, il CESE si è già espresso in merito al più ampio pacchetto sulla mobilità nonché ad altri aspetti riguardanti i trasporti. Di conseguenza, il presente parere non si soffermerà sul più vasto tema dei trasporti in relazione ai cambiamenti climatici. Non si può sottovalutare l’importanza di realizzare un’infrastruttura che faciliti il passaggio dai combustibili convenzionali a quelli sostenibili, in linea con la strategia della Commissione europea per l’attuazione dell’accordo di Parigi.

2.2.

Nel novembre 2017 la Commissione ha compiuto passi avanti decisivi verso l’attuazione degli impegni assunti dall’UE nel quadro dell’accordo di Parigi, il quale prevede l’obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni nazionali di CO2 di almeno il 40 % entro il 2030. Il pacchetto di proposte per una mobilità pulita comprende un piano d’azione e soluzioni di investimento per la realizzazione di un’infrastruttura transeuropea per i combustibili alternativi. L’obiettivo è quello di sostenere i quadri strategici nazionali agevolando gli investimenti nella rete di trasporto (la rete transeuropea dei trasporti — TEN-T) nelle zone urbane. Questa misura consentirà agli utenti della strada di disporre di un’infrastruttura per i combustibili alternativi.

2.3.

Il piano d’azione impone inoltre agli Stati membri di includere obiettivi di riduzione delle emissioni causate dal trasporto marittimo e aereo.

2.4.

In almeno 15 pareri recenti riguardanti i trasporti in relazione alla decarbonizzazione, alla COP 21 e a molte altre questioni di sostenibilità ambientale, il CESE ha sempre appoggiato le azioni volte a migliorare l’accesso degli utenti alle infrastrutture per i combustibili alternativi.

2.5.

In linea con l’ambizione dichiarata dell’UE di diventare un leader mondiale in materia di decarbonizzazione, la Commissione europea ha presentato proposte volte a consentire di passare rapidamente, entro il 2025, dai combustibili ad alte emissioni nel settore dei trasporti a combustibili a basse emissioni o a emissioni zero.

2.6.

Il piano d’azione sulle infrastrutture per i combustibili alternativi forma un pacchetto di proposte intese a ridurre le emissioni nel settore dei trasporti completamente e senza soluzioni di continuità, secondo un calendario che indica come tappe intermedie il 2020, 2025 e 2030.

2.7.

In base alle attuali stime dell’UE, ben il 95 % dei veicoli stradali e delle navi utilizza combustibili convenzionali, nonostante il fatto che l’UE renda disponibile una serie di strumenti di finanziamento (per i combustibili fossili o i biocarburanti), i quali peraltro non sono considerati nel piano d’azione.

2.8.

Tuttavia, grazie all’esistenza dei finanziamenti dell’UE, sono stati compiuti alcuni progressi nella creazione di infrastrutture per i combustibili alternativi. L’Osservatorio europeo per i carburanti alternativi ha registrato 118 000 punti di ricarica accessibili al pubblico per i veicoli elettrici. Esistono 3 458 punti di rifornimento per il gas naturale compresso e, secondo una rilevazione di fine settembre 2017, 82 punti per i veicoli a idrogeno. Tuttavia, soltanto due Stati membri dispongono di oltre 100 punti di ricarica per veicoli elettrici ogni 100 000 abitanti in città.

2.9.

Tutti gli Stati membri dovevano riferire in merito ai progressi compiuti entro la fine del 2017. Due di essi (Malta and Romania) hanno omesso di farlo, mentre una maggioranza significativa degli altri ha dimostrato di essere in ritardo rispetto ai propri obiettivi e, in base alle attuali previsioni, non riuscirà assolutamente a rispettarli.

3.   Quadri strategici nazionali

3.1.

Ai sensi della direttiva 2014/94/UE, gli Stati membri hanno istituito quadri strategici nazionali intesi a fornire una copertura infrastrutturale minima entro il 2020, il 2025 e il 2030, a seconda del tipo di carburante in questione. Ciascun quadro strategico nazionale stabilisce traguardi e obiettivi, in merito ai quali gli Stati membri dovevano riferire alla Commissione entro il 2017.

3.2.

La direttiva si concentra in modo specifico sui combustibili il cui mercato soffre di gravi carenze di coordinamento, come l’elettricità, l’idrogeno e il gas naturale (GNL e GNC). Anche i biocarburanti sono considerati un’alternativa importante e, con ogni probabilità, costituiranno la maggior parte dei combustibili alternativi presenti sul mercato a breve e medio termine. I componenti principali necessari per costruire un’infrastruttura che protegga l’utilizzo dei biocarburanti sono già esistenti.

3.3.

I quadri strategici nazionali sono concepiti per fornire una copertura infrastrutturale minima per i combustibili alternativi entro il 2020, il 2025 e il 2030 in ciascuno degli Stati membri. I principali elementi di tale infrastruttura riguardano l’energia elettrica, il gas naturale compresso (GNC), il gas naturale liquefatto (GNL) e l’idrogeno.

Le stime del fabbisogno di investimenti infrastrutturali da parte degli Stati membri in base alla direttiva 2014/94/UE indicano le seguenti cifre:

energia elettrica: fino a 904 milioni di EUR entro il 2020 (i quadri strategici nazionali prevedono obiettivi solo fino al 2020);

GNC: fino a 357 milioni di EUR entro il 2020 e fino a 600 milioni di EUR entro il 2025 per GNC per veicoli stradali (importi calcolati sulla base del costo complessivo dei 937 e 1 575 nuovi punti di rifornimento di GNC previsti, rispettivamente entro il 2020 e il 2025, dai quadri strategici nazionali);

GNL: fino a 257 milioni di EUR entro il 2025 per i veicoli stradali a GNL. Per quanto riguarda il GNL per il trasporto su vie navigabili, fino a 945 milioni di EUR nei porti marittimi del corridoio della rete centrale TEN-T entro il 2025 e fino a 1 miliardo di EUR nei porti di navigazione interna del corridoio della rete centrale TEN-T entro il 2030;

idrogeno: fino a 707 milioni di EUR entro il 2025 (cfr. COM(2017) 652 final).

3.4.

Soltanto 8 su 25 Stati membri sono risultati pienamente adempienti in termini di rispetto dei propri obiettivi, mentre 2 Stati membri non risultavano aver presentato la relazioni entro il novembre 2017. La valutazione della Commissione è estremamente critica in merito ai progressi compiuti, in particolare riguardo al livello di ambizione, come dimostrato da una serie di politiche conflittuali portate avanti in diversi paesi, cosa questa che pregiudica l’impegno degli Stati membri a raggiungere i loro obiettivi di realizzare le infrastrutture per i combustibili alternativi.

3.4.1.

Il CESE prende atto del fatto che alcuni di questi paesi hanno migliorato i loro sforzi da quando sono stati pubblicati i dati.

3.5.

La conclusione generale cui giunge la Commissione è che i quadri strategici nazionali hanno dimostrato una grave incapacità di compiere reali progressi in termini di realizzazione significativa di infrastrutture per i combustibili alternativi.

3.6.

Il giudizio estremamente negativo della valutazione e l’attenzione richiamata nel documento di lavoro dei servizi della Commissione sui risultati limitati prodotti dai quadri strategici nazionali inducono a pensare che gli obiettivi verranno ampiamente mancati e che vi sia quantomeno la necessità di un riesame urgente.

4.   Contesto e sintesi della comunicazione della Commissione

4.1.

Il piano d’azione è volto a sostenere i quadri strategici nazionali per contribuire a realizzare «un’infrastruttura portante interoperabile per l’UE entro il 2025». L’obiettivo è quello di creare corridoi della rete di trasporto centrale utilizzabili per le lunghe distanze e a livello transfrontaliero, purché tutte le parti interessate giungano a un accordo.

4.2.

L’UE intende accelerare le operazioni in due ambiti. In primo luogo, in quello della rete TEN-T centrale e globale. In secondo luogo, la priorità è quella di soddisfare meglio le esigenze infrastrutturali nelle aree urbane e suburbane.

4.3.

Le misure sono finalizzate a produrre vantaggi per i consumatori, le imprese e le autorità pubbliche, sulla base del fatto che le responsabilità sono condivise tra queste due ultime categorie di soggetti. Per garantire la continuità dell’offerta e della domanda, dovrebbe esservi un livello sostenibile di veicoli e navi disponibili.

4.4.

L’energia elettrica come infrastruttura per i combustibili alternativi è diventata la maggiore priorità in tutta l’UE. Tuttavia, i progressi nella realizzazione, entro il 2020, delle infrastrutture necessarie per i veicoli elettrici sono scarsi: secondo le stime, per quella data la quota di questi ultimi rispetto all’intero parco veicoli andrà, a seconda degli Stati membri, dallo 0,1 % al 9,2 % (SWD(2017) 365 final).

4.5.

La comunicazione evidenzia chiaramente la necessità di un approccio integrato in termini di un quadro strategico comune operativo in tutta l’UE per i veicoli, le reti elettriche, gli incentivi economici e i servizi digitali. In caso contrario, il passaggio alla mobilità a basse emissioni o a emissioni zero non sarà omogeneo e creerà tra gli Stati membri un approccio a più velocità.

4.6.

Il piano sottolinea la necessità di mobilitare investimenti pubblici e privati considerevoli, e, come modo per soddisfare questo elevato fabbisogno di finanziamenti, propugna la «combinazione di sovvenzioni a fondo perduto e di finanziamenti del debito rimborsabili».

4.7.

La Commissione ha istituito due distinti forum — il Forum per i trasporti sostenibili e il Forum europeo per il trasporto marittimo sostenibile — con ruoli analoghi, volti a coinvolgere gli Stati membri, la società civile e altri soggetti interessati pertinenti.

5.   Sfide legate alla realizzazione di infrastrutture alternative

5.1.

Il CESE fa notare che la realizzazione di infrastrutture per i combustibili alternativi deve far fronte a sfide di vario tipo, e deplora la mancanza di urgenza dimostrata da tutti i soggetti interessati nell’affrontarle.

5.2.

Esiste una forte carenza di infrastrutture per la ricarica e il rifornimento dei veicoli e delle navi in tutta l’UE. Il CESE ritiene che uno dei fattori principali che contribuiscono a creare questa situazione sia costituito dallo sviluppo insufficiente di reti intelligenti, che impedisce ai consumatori di partecipare alla transizione.

5.3.

Considerata la lentezza dei progressi da parte di tutti i soggetti coinvolti nell’attuazione delle misure, il CESE rileva che l’impegno a favore di un’infrastruttura per i combustibili alternativi varia da uno Stato membro all’altro, come confermano le valutazioni della Commissione. Il CESE reputa che tale mancanza di convergenza costituisca un grave ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità dell’UE. Tuttavia, nell’UE, e soprattutto in alcuni Stati membri, sono stati compiuti progressi considerevoli sul fronte dello sviluppo dei biocarburanti (i quali non rientrano nella direttiva del 2014).

5.4.

Riguardo alle tecnologie da utilizzare nelle infrastrutture per i combustibili alternativi sussistono ancora alcune incertezze. È il caso, ad esempio, della fabbricazione di batterie per veicoli elettrici, dati i crescenti costi di estrazione delle materie prime vergini necessarie, ragion per cui bisognerebbe incoraggiare il ricorso a materie prime secondarie di recupero, secondo i principi dell’economia circolare. Analogamente, i consumatori non dispongono di informazioni sufficienti circa la sicurezza del gas compresso, nonché circa l’impiego dell’idrogeno e la sua disponibilità, e anche questo problema dovrebbe essere affrontato.

5.5.

Le riserve che si percepiscono tra i consumatori in merito a queste tecnologie, nonché la mancanza di informazioni immediate per confrontarne i prezzi, ostacolano notevolmente la loro adozione da parte dei consumatori stessi (Studio dell’UE, del gennaio 2017, sull’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva sulla realizzazione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi). Altri limiti che i consumatori ravvisano in queste tecnologie riguardano i viaggi su lunga distanza, in particolare nelle zone rurali. Questo limite rappresenta un importante ostacolo al successo.

5.6.

Gli elevati costi della transizione nelle zone rurali contribuiscono grandemente a rendere proibitiva la realizzazione delle infrastrutture per i combustibili alternativi. Allo stesso modo, va riconosciuto con urgenza il fatto che i soggetti interessati non incoraggiano in maniera proattiva la realizzazione di infrastrutture per i combustibili alternativi che siano adatte alle svariate necessità delle attività agricole e della guida su lunghe distanze in aree con insediamenti rurali lontani gli uni dagli altri.

5.7.

L’attuazione dell’intento di combinare meccanismi di finanziamento pubblici e privati dipenderà dal soddisfacimento delle diverse esigenze degli investitori pubblici e privati. La necessità di conciliare queste esigenze, in particolare quando le aspettative delle fonti pubbliche e di quelle private sono divergenti, potrebbe ritardare i progressi.

5.8.

Il piano d’azione si concentra principalmente sulla realizzazione della transizione nei grandi centri urbani. Uno dei motivi di questa scelta consiste nel fatto che la tecnologia per la ricarica è ancora limitata e, poiché nelle zone rurali i tragitti tendono a essere più lunghi, in queste aree i punti di ricarica devono essere disponibili in maggior numero. Allo stesso modo, il CESE osserva che l’installazione delle infrastrutture necessarie nelle zone rurali richiede molta più attenzione.

5.9.

Il piano d’azione dipende da un elevato livello di impegno da parte dei diversi Stati membri nel garantire che i rispettivi quadri strategici nazionali siano attuati in maniera tempestiva ed efficiente.

5.10.

Per incoraggiare tale impegno, la Commissione ha istituito un Forum per i trasporti sostenibili, che riunisce i rappresentanti degli Stati membri, del settore dei trasporti e della società civile, con l’obiettivo di conseguire un’attuazione efficace delle politiche a favore delle infrastrutture per i combustibili alternativi.

6.   Osservazioni del CESE

6.1.

Il CESE è preoccupato per la chiara incapacità dei quadri strategici nazionali di dar prova di vera ambizione nel compiere progressi significativi verso la realizzazione di infrastrutture per i combustibili alternativi. Il fondato timore che molto probabilmente nessuno degli obiettivi verrà raggiunto rende necessario e urgente riesaminare questa strategia e formulare raccomandazioni riguardo a un modello che consenta di ottenere dei risultati positivi. Si deve tuttavia tener presente l’attuale divergenza di vedute in merito ai diversi combustibili nei diversi Stati membri e nei relativi mercati. Ad esempio, nei paesi nordici il GNC e il GNL non sono considerati un’opzione ragionevole per la creazione di nuove infrastrutture, mentre invece i biocarburanti riscuotono notevole consenso e ottengono un deciso incoraggiamento. In altre parti dell’UE la preferenza per i diversi combustibili è completamente diversa.

6.2.

In questo contesto va tenuto in considerazione anche l’aspetto rappresentato dalla maturità tecnica. Ad esempio, nella maggior parte dei mercati l’idrogeno è ancora nelle prime fasi di sperimentazione. Lo stesso vale per la propulsione a batteria nei veicoli pesanti sulle lunghe distanze come i corridoi TEN-T. Per questi veicoli, la ricarica della batteria è probabilmente un’opzione poco praticabile nel medio termine. Tuttavia, in diversi Stati membri è in corso la sperimentazione per la propulsione elettrica degli autocarri attraverso cavi sospesi o rotaie poste sulla superficie stradale (e-highway ecc.). Tale infrastruttura non viene affatto menzionata nel piano d’azione, ma oggi deve essere considerata ormai tecnologicamente più matura rispetto ai combustibili di idrogeno.

6.3.

Le stime di fabbisogno di investimenti necessari per mettere a disposizione di tutti gli utenti infrastrutture per i combustibili alternativi entro il 2020 vanno da 5,2 miliardi di EUR a 6 miliardi di EUR. Guardando al 2025, questa cifra dovrebbe raggiungere un minimo di 22 miliardi di EUR. Nonostante tali stime, vi sono scarse indicazioni del fatto che ciò possa essere sufficiente a garantire l’effettiva realizzazione degli obiettivi necessari.

6.4.

È addirittura possibile che tali stime siano troppo prudenti e che debbano essere rivedute per tener conto dell’evoluzione delle tecnologie. Il CESE accoglie pertanto con favore l’intenzione della Commissione di cooperare più strettamente con l’industria automobilistica per la messa a punto di diversi strumenti finanziari volti a incoraggiare gli investimenti privati.

6.5.

Il CESE osserva, tuttavia, che tali strumenti devono garantire che la realizzazione delle infrastrutture apporti effettivamente ampi benefici agli utenti in termini di disponibilità e di accessibilità economica. L’accesso nelle zone rurali e isolate è motivo di particolare preoccupazione.

6.6.

Il CESE osserva che la tassazione dei carburanti rappresenta attualmente una fonte importante di reddito nazionale in tutti gli Stati membri dell’UE. È indubbio che una riduzione di tale gettito per effetto della realizzazione degli obiettivi ambientali creerebbe difficoltà alle politiche di bilancio degli Stati membri. Va tuttavia osservato che la proposta della Commissione in materia di tariffazione stradale (eurobollo, cfr. TEN/640), compresa nel pacchetto sulla mobilità, indica alcune nuove opzioni per internalizzare i costi esterni attraverso l’utilizzo delle infrastrutture.

6.7.

Il CESE prende atto del fatto che il settore del trasporto marittimo è considerato difficile da regolamentare, soprattutto a causa del contesto internazionale in cui le norme e le leggi sono emanate. Se, da un lato, il trasporto marittimo deve assumere un ruolo proattivo nella cooperazione con le infrastrutture per i combustibili alternativi, dall’altro è evidente che esiste un certo potenziale, a livello locale, nel fornire carburanti alternativi (ad esempio, metanolo e GNL), in particolare per il trasporto marittimo a corto raggio e i traghetti. In questo contesto si potrebbero menzionare anche le infrastrutture elettriche per le operazioni in banchina ecc.

6.8.

Analogamente, anche il trasporto aereo — che però è collegato in maniera meno diretta al piano d’azione — è destinato ad aumentare in misura esponenziale da qui al 2050. Il rispetto degli obiettivi di decarbonizzazione richiederà una diffusione significativa dei combustibili alternativi con elevato potenziale di riduzione dei gas a effetto serra. L’impiego dei biocarburanti in questo settore dovrebbe essere preso in seria considerazione, e gli investimenti necessari dovrebbero aver luogo in seguito a un dialogo costruttivo con tutte le parti interessate e la Commissione europea.

6.9.

Gli investimenti pubblici e privati nelle infrastrutture per i combustibili alternativi devono essere razionalizzati. Il CESE accoglie pertanto con favore la proposta della Commissione di rafforzare il coordinamento degli strumenti di finanziamento dell’Unione e di sforzarsi di realizzare sinergie in modo che gli interventi realizzati a livello nazionale e locale possano accrescere l’impatto dei finanziamenti dell’UE.

6.10.

La sensibilizzazione dei consumatori è di importanza fondamentale per la buona riuscita dell’introduzione delle infrastrutture in questione. A tal fine occorre mettere a disposizione informazioni che consentano di confrontare i prezzi e conoscere i benefici per la salute e l’ambiente, nonché prevedere interventi specifici a sostegno delle famiglie appartenenti alle fasce di reddito più basse.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Mobilità a basse emissioni: manteniamo gli impegni. Un’Unione europea che protegge il pianeta, dà forza ai suoi consumatori e difende la sua industria e i suoi lavoratori»

[COM(2017) 675 final]

(2018/C 262/13)

Relatore:

Ulrich SAMM

Consultazione

Commissione europea, 18.1.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

5.4.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

201/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La comunicazione sul trasporto su strada si concentra su un’industria che è un leader mondiale nella fabbricazione e nella fornitura di servizi. Questa posizione di forza dev’essere mantenuta e utilizzata per accelerare, trasformare e consolidare la transizione dell’economia dell’UE verso l’energia pulita, con l’importante obiettivo di raggiungere la leadership nelle nuove tecnologie sul mercato mondiale.

1.2.

Il CESE apprezza l’approccio generale tecnologicamente neutro, aperto a nuovi sviluppi, ma osserva che le iniziative non seguono pienamente tale approccio. È tutt’altro che certo che la nostra mobilità futura sarà completamente elettrica, e anche altre tecnologie di propulsione, ad esempio l’idrogeno o i carburanti liquidi interamente non fossili come l’HVO100, offrono un grande potenziale per la mobilità pulita. Il CESE si rammarica del fatto che questo non sia riconosciuto abbastanza.

1.3.

Il CESE apprezza le iniziative volte a ripristinare la fiducia dei consumatori nell’industria automobilistica e nel quadro normativo, adottando norme realistiche e nuove procedure di verifica delle emissioni. In tale contesto è indispensabile che il settore dia prova di scrupolosità e di responsabilità.

1.4.

Il CESE osserva che ogni anno nell’UE si immatricolano circa quattordici milioni di autovetture nuove, in sostituzione di circa il 5 % dei 253 milioni di automobili circolanti. Questo tasso di sostituzione si tradurrà in una riduzione delle emissioni, ma ciò non basta, e il CESE accoglierebbe con favore qualsiasi iniziativa che acceleri la sostituzione del parco automobilistico europeo e contribuisca così a una più rapida riduzione delle emissioni. Si fa tuttavia presente alla Commissione che il ritiro delle autovetture da alcuni mercati europei non deve avvenire a spese di altri mercati, sui quali verrebbero riversate tali autovetture (vedere il punto 4.7).

1.5.

Va ricordato che affinché si accumuli una quota significativa di veicoli a basse emissioni occorre un periodo di transizione, la cui durata dipende dagli sviluppi messi a punto dall’industria automobilistica, dai tempi di accettazione delle nuove tecnologie da parte dei clienti, dai relativi costi, e da altri fattori, quali le infrastrutture di ricarica. Il CESE sottolinea che il periodo di transizione non giustifica che venga permesso alle auto diesel di superare i limiti di emissione, e fa osservare che occorre risolvere rapidamente la questione delle possibilità di adeguamento di tali auto e della responsabilità dei relativi costi.

1.6.

Il CESE chiede alla Commissione europea di effettuare una chiara, più netta distinzione tra tutela del clima e miglioramento della qualità dell’aria a livello locale. Tale distinzione è importante ai fini del consenso per gli investimenti pubblici e privati. Alcuni tipi di alimentazione possono contribuire a migliorare la qualità dell’aria nelle città, ma non presentano vantaggi per il clima, se ad esempio l’energia elettrica o l’idrogeno per i veicoli elettrici provengono da centrali elettriche a carbone. D’altro canto, i veicoli a basse emissioni alimentati a gas naturale (ossia per lo più metano proveniente da qualsiasi tipo di fonte, sottosuolo, materiali organici, processi chimici di sintesi o da una combinazione di essi) derivato dal biometano, pur essendo rispettosi del clima, possono contribuire all’inquinamento atmosferico locale.

1.7.

Il CESE invita la Commissione ad essere più rigorosa nel facilitare l’accesso dei consumatori a forme di mobilità pulita a prezzi accessibili, e a far sì che tutti possano beneficiarne in egual misura e in qualsiasi parte del territorio dell’Unione. Alcuni strumenti di finanziamento proposti possono essere utile per affrontare il problema, ma il Comitato non ritiene che siano sufficienti.

1.8.

Il CESE si compiace dell’importante ruolo che la Commissione svolge nella formazione di un’alleanza paneuropea di industrie intesa a costituire una catena del valore completa per lo sviluppo e la fabbricazione di batterie avanzate nell’UE. Per i nostri posti di lavoro è vitale che una quota maggiore della produzione lungo la catena del valore avvenga nell’UE, e le norme e le regole ambientali dell’UE sono la migliore garanzia del fatto che le batterie prodotte sono «pulite», come avviene per esempio nel quadro dell’approccio dell’economia circolare.

2.   Introduzione

2.1.

L’Unione europea si è impegnata a creare un sistema energetico decarbonizzato, come descritto nel pacchetto Energia pulita, che punta ad accelerare, trasformare e consolidare la transizione dell’economia dell’UE verso l’energia pulita conformemente agli impegni presi dall’UE in occasione della 21a conferenza delle parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), mantenendo nel contempo gli importanti obiettivi della crescita economica e della creazione di posti di lavoro.

2.2.

L’UE ha già fatto molto. Le emissioni di gas a effetto serra nell’UE sono state ridotte del 23 % tra il 1990 e il 2016 mentre, nello stesso periodo, l’economia è cresciuta del 53 %. Questo successo è stato raggiunto in molti settori; fanno però eccezione i trasporti, che contribuiscono al 24 % circa delle emissioni di gas a effetto serra (dati riferiti al 2015) e hanno perfino registrato un aumento delle emissioni, in parallelo con la ripresa economica dell’Europa. La strategia europea per una mobilità a basse emissioni (1) affronterà questo problema.

2.3.

Il CESE osserva che l’UE ha già fatto importanti passi in avanti in direzione della mobilità pulita: nel 2009 i valori medi di emissioni di CO2 per gli autoveicoli e i veicoli commerciali leggeri nuovi sono stati fissati a 130 g CO2/km per il 2015 e a 95 g CO2/km per il 2020, il che è determinante per il raggiungimento degli obiettivi dell’UE in materia di clima. Dal 1992, quando sono state introdotte le norme Euro, i legislatori, nel passaggio dalla norma Euro 1 a Euro 6, hanno abbassato i limiti di emissione dei veicoli passeggeri del 97 % per gli ossidi di azoto e del 98 % per il particolato, migliorando di molto la situazione dell’inquinamento atmosferico nelle città.

2.4.

Tuttavia tali misure, relative al trasporto su strada, non sono sufficienti rispetto agli impegni assunti nel quadro della COP21 e alle necessità più urgenti in termini di aria pulita nelle città. Mentre le emissioni per autoveicolo e chilometro sono in calo, le emissioni complessive generate dal trasporto su strada non lo sono, perché il traffico totale è aumentato e il ritmo di sostituzione del parco veicoli nell’UE è limitato.

2.5.

La Commissione europea ha quindi reagito con l’iniziativa L’Europa in movimento, comprendente una serie di atti giuridici articolati in tre pacchetti. Il primo pacchetto, presentato nel 2017, rispecchiava l’ambizione dell’Europa di compiere rapidi progressi verso l’introduzione, entro il 2025, di un sistema di mobilità pulita, competitiva e interconnessa destinato a integrare tutti i mezzi di trasporto e a coprire l’intera Unione europea. Il CESE lo ha accolto favorevolmente (2) (3), giudicandolo essenziale per uno spazio unico europeo dei trasporti efficiente e dotato di un quadro normativo adeguato.

2.6.

La comunicazione (4) sul secondo pacchetto della strategia L’Europa in movimento, oggetto del presente parere, si concentra maggiormente sugli strumenti per ridurre le emissioni generate dai trasporti stradali, come la direttiva sui veicoli puliti (5), le nuove norme in materia di emissioni di CO2 dei veicoli (6), un piano d’azione per la realizzazione in tutta Europa di infrastrutture per i combustibili alternativi (7), la revisione della direttiva sul trasporto combinato (8), il regolamento sui servizi di trasporto passeggeri effettuati con autobus (9) e un’iniziativa sulle batterie. Le singole proposte sono trattate più dettagliatamente in specifici pareri del CESE. Il terzo pacchetto, che si concentrerà maggiormente su questioni di sicurezza, sarà presentato nella prima metà del 2018.

3.   Sintesi della comunicazione

3.1.

Il secondo pacchetto contiene varie iniziative giuridiche volte a stabilire regole chiare, realistiche e applicabili per contribuire a garantire condizioni di parità tra i soggetti del settore che operano in Europa. I consumatori saranno incoraggiati a passare a veicoli puliti e ad altre opzioni di mobilità pulita, grazie al rafforzamento delle infrastrutture per i combustibili alternativi e alla fornitura di servizi interoperabili attraverso le frontiere.

3.2.

Viene proposto, per il periodo successivo al 2020 un nuovo regolamento in materia di CO2 , in base al quale i costruttori di autovetture e veicoli commerciali leggeri dovranno ridurre del 15 % entro il 2025 e del 30 % entro il 2030 le emissioni di CO2 del loro parco di veicoli nuovi nell’UE. Questi obiettivi relativi di riduzione saranno sostituiti da valori assoluti di emissione di CO2 quando saranno disponibili i dati della nuova procedura di prova per i veicoli leggeri armonizzata a livello mondiale (WLTP), attesi non prima del 2020.

3.3.

L’introduzione della procedura WLTP, come quadro di prova più solido e realistico per l’omologazione delle autovetture, sarà essenziale per superare la fase di acuta diffidenza dei consumatori e ripristinare la fiducia. A breve saranno inoltre introdotte delle prove di emissioni in condizioni reali di guida (RDE), eseguite su strada piuttosto che su un banco di prova.

3.4.

Viene proposto un piano d’azione per rilanciare gli investimenti in infrastrutture per i combustibili alternativi e sviluppare una rete di stazioni rapide e interoperabili per la ricarica e il rifornimento in tutta l’UE. Saranno coinvolti differenti strumenti di finanziamento, quali il meccanismo per i trasporti puliti, il meccanismo per collegare l’Europa, il Fondo europeo per gli investimenti strategici e il Fondo europeo di sviluppo regionale.

3.5.

La direttiva sui trasporti combinati viene riveduta per promuovere l’uso combinato di diversi modi di trasporto merci (ad esempio autocarri e treni).

3.6.

La direttiva sui servizi di trasporto passeggeri effettuati con autobus promuoverà lo sviluppo di collegamenti mediante autobus su scala nazionale e su lunghe distanze attraverso l’Europa, amplierà la scelta di trasporti a disposizione di tutti i cittadini e offrirà opzioni alternative all’uso dell’auto privata.

3.7.

La direttiva sui veicoli puliti promuoverà i metodi di mobilità pulita nelle gare di appalto pubbliche, rappresentando per l’industria automobilista uno stimolo basato sulla domanda.

3.8.

L’iniziativa sulle batterie aiuta un’alleanza di industrie europee a diventare più indipendenti e ad accrescere la loro quota nella catena del valore della produzione di veicoli elettrici. La Commissione europea intende inoltre assegnare 200 milioni di EUR direttamente alla ricerca e innovazione sulle batterie nell’ambito di Orizzonte 2020 (programma di lavoro 2018-2020), in aggiunta ai 150 milioni di EUR già assegnati.

4.   Osservazioni generali

4.1.

La comunicazione sul trasporto su strada si concentra su un settore che è un leader mondiale nella produzione e nella fornitura di servizi. La componente produzione di tale settore occupa l’11 % dei lavoratori manifatturieri e genera il 7 % del PIL dell’UE. Questa posizione di forza dev’essere mantenuta e utilizzata per accelerare, trasformare e consolidare la transizione dell’economia dell’UE verso l’energia pulita, con l’importante obiettivo di raggiungere la leadership nelle nuove tecnologie sul mercato mondiale.

4.2.

Il CESE accoglie con favore l’approccio generale tecnologicamente neutro, aperto a nuovi sviluppi, che ci si può attendere in considerazione dei grandi sforzi di ricerca e sviluppo sostenuti dall’UE. Osserva tuttavia che le iniziative non seguono pienamente tale approccio. In funzione del progresso tecnologico, è tutt’altro che certo che il futuro della nostra mobilità sarà interamente elettrico. Anche altre tecnologie di propulsione offrono grandi potenzialità per la mobilità pulita. Pertanto, in considerazione della rapida evoluzione delle moderne tecnologie dei trasporti per gli anni a venire, il CESE raccomanda un approccio più flessibile rispetto, per esempio, alla determinazione di valori limite di emissione o di obiettivi quantificati per gli appalti. Una revisione intermedia dei limiti di emissione e degli obiettivi minimi, per esempio, sembra essere il minimo da fare per consentire un adeguamento in una fase successiva.

4.3.

Il CESE si compiace delle iniziative intese a ripristinare la fiducia dei consumatori nell’industria automobilistica e nel sistema normativo. È essenziale ripristinare la fiducia grazie a norme di emissione realistiche e a nuove procedure di prova. Il CESE osserva che valori di emissione più realistici dipenderanno non soltanto dalla tecnologia dell’auto, ma anche, e in larga misura, dal comportamento dei conducenti e dalle condizioni atmosferiche e stradali. I consumatori avranno quindi di fronte una variazione piuttosto ampia di dati anche per un solo tipo di autovettura.

4.4.

Ogni anno nell’UE si immatricolano circa quattordici milioni di autovetture nuove, sostituendo circa il 5 % dei 253 milioni di automobili circolanti. Questo tasso di sostituzione, insieme alle vigenti norme di emissione, basterà da solo a ridurre le emissioni di CO2, entro il 2030, di oltre il 30 % rispetto al 2005 (Rapporto dell’Associazione tedesca dell’industria automobilistica). Il CESE accoglierebbe con favore iniziative in grado di accrescere il tasso di sostituzione, e quindi ridurre ulteriormente le emissioni. In particolare, in paesi in cui il settore automobilistico ha una tradizione meno consolidata, l’esigenza di nuove soluzioni produttive offre opportunità all’innovatività e consente un rafforzamento della competitività nel contesto dello sviluppo di una mobilità a basse emissioni.

4.5.

Il CESE fa osservare che la Commissione dovrebbe considerare, oltre alle nuove tecnologie come ad esempio le auto elettriche, anche il grande potenziale di miglioramento del parco esistente. Ad esempio, una riduzione di 1 grammo delle emissioni di CO2, realizzata grazie all’aggiunta di carburanti non fossili per l’intero parco circolante, ha esattamente la stessa efficacia di un miglioramento di 20 g nel parco dei veicoli nuovi (Rapporto dell’Associazione tedesca dell’industria automobilistica).

4.6.

Va ricordato che affinché si accumuli una quota significativa di veicoli a basse emissioni occorre un periodo di transizione, di durata imprevedibile, che dipende dagli sviluppi messi a punto dall’industria automobilistica, dai tempi di accettazione delle nuove tecnologie da parte dei clienti, dai relativi costi, e da altri fattori, quali le infrastrutture di ricarica, il prezzo del carburante o gli appalti pubblici.

Non bisogna tuttavia considerare tale periodo di transizione come un’autorizzazione a continuare a superare i limiti imposti per i veicoli diesel e a evitare il loro adeguamento con un sistema di riduzione catalitica selettiva per rispettare la norma Euro 6. La Commissione dovrebbe garantire che le autorità legislative degli Stati membri recepiscano quanto prima le disposizioni in materia di adeguamento alla norma Euro 6, e che vengano chiarite le competenze e le responsabilità relative ai costi.

4.7.

Il CESE invita l’industria automobilistica a utilizzare il periodo di transizione per accrescere la coesione nell’UE grazie a scelte appropriate in materia di ubicazione dei siti industriali, e garantire uguali opportunità ai veicoli puliti in tutti gli Stati membri. Sarebbe inaccettabile se, ad esempio, le autovetture diesel più vecchie fossero vietate in alcuni Stati membri e successivamente vendute a Stati membri con un’economia più debole. Sono importanti anche gli sviluppi al di fuori dell’UE, perché l’industria automobilistica europea lavora in larga misura per il mercato mondiale. È essenziale che le politiche dell’UE sostengano accordi internazionali che siano equi per l’industria automobilistica europea rispetto ai suoi concorrenti negli Stati Uniti o in Asia.

4.8.

Le future svolte tecnologiche, ad esempio nelle prestazioni delle batterie, dipenderanno dalla ricerca e sviluppo, e potrebbero realizzarsi non solo nel settore dei veicoli elettrici a batteria, ma anche in quello dei carburanti per motori a combustione interna o celle a combustibile. Mentre da un lato in alcuni paesi, come la Svezia, sono già ampiamente in uso carburanti interamente non fossili, rispettosi del clima, come l’HVO100, dall’altro potrebbero essere messi in circolazione nuovi tipi di carburante, ad esempio carburanti sintetici o idrogeno, che si potrebbero produrre a costi accettabili utilizzando l’elettricità eccedente disponibile in quantità sempre maggiori a causa della continua espansione delle fonti fluttuanti di energia rinnovabile.

4.9.

Il CESE invita la Commissione a effettuare una chiara, più netta distinzione tra i vari obiettivi perseguiti con l’introduzione dei veicoli puliti. Ci sono due obiettivi: protezione dell’ambiente e miglioramento della qualità dell’aria a livello locale. È importante notare che alcuni tipi di alimentazione possono contribuire a migliorare la qualità dell’aria nelle città, ma non presentano vantaggi per il clima, se ad esempio l’energia elettrica o l’idrogeno per i veicoli elettrici provengono da centrali elettriche a carbone. D’altro canto, i veicoli a basse emissioni alimentati a gas naturale derivato dal biometano, pur essendo rispettosi del clima, possono contribuire all’inquinamento atmosferico locale. La riduzione, a livello locale, dell’inquinamento atmosferico nelle città è molto urgente e richiede un’azione da parte di regioni e città, mentre la protezione del clima è un problema mondiale e i cambiamenti si possono conseguire (e percepire) solo nell’arco di decenni. È importante operare una chiara distinzione fra tali obiettivi, in modo da suscitare sostegno nell’opinione pubblica per investimenti pubblici e privati.

4.10.

Il CESE invita la Commissione ad essere più rigorosa nel facilitare l’accesso dei consumatori a forme di mobilità pulita a prezzi abbordabili, e a far sì che tutti possano beneficiarne in egual misura e in qualsiasi parte del territorio dell’Unione. I possibili problemi, in particolare i costi aggiuntivi per i consumatori, sono una fonte di preoccupazione. Alcuni degli strumenti di finanziamento proposti possono essere utili per affrontare il problema, ma il Comitato non ritiene che siano sufficienti. A questo proposito, il CESE accoglie con favore l’iniziativa della Commissione volta a migliorare la capacità dei consumatori di compiere scelte consapevoli nell’acquisto o nell’uso di un veicolo, grazie alla maggiore trasparenza e a un metodo di comparazione dei costi.

4.11.

Il CESE si compiace dell’importante ruolo che la Commissione svolge nella formazione di un’alleanza paneuropea di industrie, intesa a costituire una catena del valore completa per lo sviluppo e la fabbricazione di batterie avanzate nell’UE. Questo obiettivo ha varie ragioni: una maggiore indipendenza dai produttori di batterie esterni all’UE riveste importanza strategica; una quota maggiore di attività manifatturiera lungo la catena del valore interna all’UE è essenziale per la nostra occupazione; e la garanzia che le batterie prodotte siano «pulite» può essere ottenuta meglio nel quadro delle norme e delle regole ambientali dell’UE, ad esempio grazie all’approccio dell’economia circolare. Sono essenziali grandi investimenti da parte dell’industria per realizzare questo obiettivo, mentre il ruolo della Commissione è quello di stabilire le condizioni limite adeguate, come per esempio le norme tecniche.

4.12.

Il CESE apprezza, per la sua semplicità, l’approccio che consiste nel basarsi sui gas di scarico ai fini della definizione di un «veicolo pulito». Sottolinea tuttavia che questo approccio non rispecchia l’impronta di carbonio di un veicolo durante tutto il suo ciclo di vita. Al fine di evitare trattamenti ingiustificati di determinati tipi di veicoli, sono necessari ulteriori sforzi sul piano legislativo, per andare al di là dell’approccio basato sui gas di scarico, e tener conto anche di questioni attinenti alla fabbricazione o all’approvvigionamento di energia pulita.

4.13.

Il CESE osserva in conclusione che l’ostacolo principale alla modernizzazione dei trasporti pubblici risiede nella mancanza di sostegno finanziario, e invita la Commissione a riconsiderare la revisione della direttiva in materia di appalti pubblici, dedicando particolare attenzione ai finanziamenti. Il CESE rileva che, oltre alla necessità di avere più veicoli puliti nel trasporto pubblico, è essenziale convincere più cittadini a utilizzare tale trasporto, rendendolo molto più attraente (connessioni, comodità), anziché concentrarsi sui bassi i prezzi dei biglietti.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2016) 501 final.

(2)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 64.

(3)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 195.

(4)  COM(2017) 675 final

(5)  TEN/652 — Veicoli puliti e efficienti sul piano energetico, relatore: SAMM (Cfr. pag. 58 della GU).

(6)  INT/835 — Revisione dei regolamenti sulle emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri, relatore: Bergrath (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(7)  TEN/654 — Piano d’azione per un’infrastruttura per i combustibili alternativi (comunicazione), relatore: Boland (Cfr. pag. 69 della GU).

(8)  TEN/651 — Trasporti combinati di merci, relatore: Beck (Cfr. pag. 52 della GU).

(9)  TEN/650 — Accesso al mercato internazionale dei servizi di trasporto effettuati con autobus, relatore: Hencks (Cfr. pag. 47 della GU).


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Comunicazione sul rafforzamento delle reti energetiche europee

[COM(2017) 718 final]

(2018/C 262/14)

Relatore:

Andrés BARCELÓ DELGADO

Consultazione

Commissione europea, 12.2.2018

 

 

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente:

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

5.4.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

157/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO:

1.1.

condivide il giudizio secondo cui una rete energetica europea adeguatamente interconnessa è imprescindibile per realizzare l’obiettivo dell’Unione dell’energia: garantire energia sicura e sostenibile a prezzi accessibili, che renda possibile una transizione energetica, effettuata in maniera competitiva, verso un’economia a basso tenore di carbonio;

1.2.

ribadisce che tutti gli obiettivi climatici e di sicurezza energetica dell’Unione sono indissolubilmente connessi tra loro, e nessuno di essi andrebbe quindi considerato secondario rispetto agli altri, anche se non sono vincolanti per gli Stati membri;

1.3.

ritiene che gli investimenti nell’infrastruttura di rete debbano svilupparsi con intensità pari al resto degli investimenti energetici, e soprattutto in coordinamento con l’espansione delle energie rinnovabili, ed esorta pertanto la Commissione e gli Stati membri a garantire il corretto sviluppo sia delle reti transnazionali che delle reti energetiche nazionali, per aprire la strada a uno sviluppo congiunto che permetta di attuare gli obiettivi dell’Unione;

1.4.

invita la Commissione e gli Stati membri a elaborare relazioni biennali di monitoraggio sul conseguimento degli obiettivi di sviluppo delle energie rinnovabili e delle reti nazionali e transnazionali, allo scopo di garantire un’attivazione coordinata delle energie rinnovabili e delle reti, con particolare attenzione per l’individuazione delle strozzature che impediscono la trasmissione di energia rinnovabile;

1.5.

osserva che l’obiettivo del 10 % di interconnessione, stabilito per il 2020, non potrà essere raggiunto in vari Stati membri, e le difficoltà inerenti allo sviluppo di questi progetti (procedure amministrative complesse, implicazioni politiche, finanziamento, atteggiamento di rifiuto nella società) mettono a rischio il conseguimento degli obiettivi per il 2030, ostacolando l’attuazione delle politiche dell’UE in materia di clima;

1.6.

fa osservare che la partecipazione attiva della società civile organizzata all’elaborazione dei progetti di interconnessione può contribuire ad attenuare l’avversione della società nei confronti di determinati progetti;

1.7.

chiede che vengano fatti dei progressi nel regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia, consentendo l’introduzione delle misure necessarie per agevolare lo sviluppo delle interconnessioni nei settori che attualmente accumulano un disavanzo più elevato rispetto all’obiettivo del 10 %;

1.8.

raccomanda di aggiungere all’indicatore della percentuale di interconnessione per paese il monitoraggio delle quote per regione geografica (ad esempio la penisola iberica), e di includere indicatori di monitoraggio delle differenze di prezzo tra mercati all’ingrosso, allo scopo di dare la priorità all’applicazione dei progetti di interesse comune nelle zone caratterizzate da differenze maggiori;

1.9.

riconosce che il sostegno finanziario ottenuto mediante il meccanismo per collegare l’Europa (CEF), dotato di 5 350 milioni di EUR per le infrastrutture energetiche fino al 2020, insieme con altre linee di aiuti e con il lavoro dei gruppi regionali, ha consentito lo sviluppo di un numero crescente di progetti che avvicinano l’UE al completamento del mercato interno dell’energia;

1.10.

chiede che venga riveduto il bilancio di sostegno disponibile per i progetti di interconnessione, dal momento che l’attuale dotazione potrebbe essere insufficiente per il raggiungimento degli obiettivi.

1.11.

chiede che gli Stati membri e la Commissione rafforzino i meccanismi di solidarietà e di sicurezza condivisa, consentendo la realizzazione della transizione energetica e degli obiettivi di sicurezza di approvvigionamento, con un buon rapporto tra costi e benefici, che si riflette sulla competitività dell’industria e sui cittadini europei.

1.12.

raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di promuovere strumenti di gestione (software) che rendano più efficiente il funzionamento delle interconnessioni.

2.   La politica in materia di reti transeuropee dell’energia

2.1.

Per realizzare i propri traguardi in materia di cambiamento climatico, di competitività e di sicurezza energetica, l’UE si è prefissa degli obiettivi di sviluppo delle reti di trasporto dell’energia in grado di consentire la transizione energetica verso un’economia a basso tenore di carbonio.

In particolare, ha stabilito l’obiettivo di un 10 % di interconnessione tra gli Stati membri e i rispettivi paesi vicini entro il 2020. Inoltre, al fine di garantire che lo sviluppo dell’energia rinnovabile si accompagni a un adeguato sviluppo delle interconnessioni, il Consiglio europeo ha convenuto di innalzare al 15 % l’obiettivo di interconnessione elettrica per il 2030.

2.2.

Per garantire il rispetto dell’obiettivo di un 10 % di interconnessione, l’UE ha adottato nel 2013 il Regolamento sulle reti transeuropee dell’energia (regolamento TEN-E) e avviato al tempo stesso il meccanismo per collegare l’Europa, creando una base per individuare, sostenere e collocare in posizione prioritaria l’esecuzione dei progetti di interesse comune necessari per realizzare una rete energetica transeuropea resiliente.

2.3.

Gli investimenti nelle reti europee dell’energia ammonteranno, da qui al 2030, a 180 miliardi di euro, e si spera che, una volta completati, genereranno risparmi annui compresi tra 40 e 70 miliardi di euro, grazie ai costi di generazione che saranno evitati e a prezzi all’ingrosso più competitivi per il gas, che ridurranno i costi della transizione energetica.

Il terzo elenco di progetti di interesse comune, ancora in attesa di approvazione da parte del Parlamento europeo, individua 173 progetti per contribuire al conseguimento degli obiettivi di interconnessione per il 2020 e il 2030.

Malgrado l’ambizione di questo elenco, e le misure di sostegno in atto, le difficoltà tecniche inerenti ai progetti, le implicazioni politiche e amministrative e l’atteggiamento di rifiuto nella società fanno sì che meno del 30 % dei 173 progetti previsti dalla terza revisione dei progetti di interesse comune sarà ultimato di qui al 2020.

A questo ritardo ha contribuito il fatto che le norme TEN-E non sono state applicate per intero a livello nazionale.

2.4.

Per progredire verso la realizzazione degli obiettivi, la Commissione ha istituito quattro gruppi ad alto livello per accelerare lo sviluppo delle infrastrutture in quattro regioni specifiche.

2.4.1.   Piano di interconnessione del mercato energetico del Baltico

La priorità politica è sincronizzare la rete elettrica degli Stati baltici con la rete europea continentale, e porre fine all’isolamento delle reti del gas degli Stati baltici e della Finlandia, come pure alla loro dipendenza da un’unica fonte di gas.

Il CESE è pienamente favorevole a un accordo politico che promuova il completamento, nel 2021, dei progetti di interesse comune nel settore del gas, sia l’interconnessione Estonia — Finlandia, che quella Polonia — Lituania.

2.4.2.   Penisola iberica (dichiarazione di Madrid)

Purtroppo, malgrado l’approvazione della linea del golfo di Biscaglia, l’interconnessione della Penisola iberica con il resto d’Europa è lontana dal raggiungere gli obiettivi fissati per il 2020, e ancora più lontana da quelli per il 2030.

Il livello di interconnessione tra la Spagna e il Portogallo non risolve il problema di base della limitata interconnessione tra la penisola iberica e la Francia, che attualmente si colloca attorno al 2,8 %, pur essendo l’unico percorso attraverso il quale la penisola iberica possa collegarsi all’Europa e integrarsi nel mercato interno.

Questo modesto tasso di interconnessione contribuisce a far sì che nella penisola iberica i prezzi dell’elettricità siano tra i più elevati d’Europa e che i costi derivanti dall’integrazione delle energie rinnovabili nel sistema siano anch’essi molto alti, data la necessità di disporre di grandi capacità di riserva e di applicare procedimenti che consentano la gestione di un mix di produzione energetica molto volatile. Le recenti dichiarazioni del presidente Macron rappresentano un indispensabile sostegno politico per i due collegamenti nei Pirenei, che nondimeno sono ancora allo stato embrionale.

2.4.3.   La connettività energetica nell’Europa centrale e sudorientale

Questa regione è vulnerabile alle interruzioni dell’approvvigionamento, e paga il gas a un prezzo più elevato rispetto al resto dell’UE, malgrado la sua vicinanza geografica al fornitore.

Gli obiettivi principali sono l’avvio dell’interconnettore Bulgaria-Serbia, l’inizio, nel primo semestre del 2018, degli investimenti nei terminali per il gas naturale liquefatto di Veglia (Krk, Croazia) e l’avvio dei lavori di costruzione della parte rumena del corridoio Bulgaria — Austria.

2.4.4.   Cooperazione energetica nel mare del Nord

Gli obiettivi principali sono la combinazione di produzione e trasmissione di energia da fonti rinnovabili e la creazione di un quadro giuridico e regolamentare favorevole a questo tipo di progetti in un’area dotata di un potenziale di produzione di energia elettrica compreso tra il 4 % e il 12 % del consumo dell’UE nel 2030.

3.   Riorientare a più lungo termine la politica in materia di infrastrutture

3.1.

Sebbene la Commissione e gli Stati membri abbiano fatto uno sforzo rilevante nella promozione dei progetti di interesse comune, le difficoltà tecniche, i vincoli burocratici e le restrizioni finanziarie fanno sì che solo un numero ridotto di tali progetti sarà attuato pienamente da qui al 2020, ed è quindi urgente procedere a una revisione del calendario di attuazione previsto per tali progetti, dando la priorità alle aree in cui gli obiettivi di interconnessione sono più lontani dall’essere raggiunti.

3.2.

Il CESE ritiene che occorra includere nei progetti di interesse comune criteri di sicurezza informatica, per limitare i rischi per i cittadini europei.

La digitalizzazione renderà la proporzione dei sistemi sempre più importante nei nuovi progetti di investimento.

3.3.

Per quanto riguarda le interconnessioni nel settore del gas, la priorità deve andare ai progetti di interesse comune che contribuiscono in modo sostanziale alla sicurezza dell’approvvigionamento degli Stati membri nei confronti sia dei rischi derivanti da azioni di paesi terzi che di limitazioni tecniche.

3.4.

Gli obiettivi di interconnessione elettrica hanno lo svantaggio di considerare ciascuno Stato membro separatamente. Si considera necessario che l’analisi venga ripetuta per aree geografiche, con i raggruppamenti di Stati membri necessari per prevenire strozzature nell’interconnessione delle reti. Ciò è necessario in particolare nei casi in cui uno Stato possa interconnettersi con il resto d’Europa solo attraverso un altro Stato membro, come nei casi di penisola iberica, Cipro, Malta e Irlanda.

3.5.

Le interconnessioni degli Stati membri con una carenza maggiore di collegamenti, quali tra l’altro i paesi della penisola iberica, l’Europa sudorientale, la Polonia e l’Irlanda dovrebbero avere la priorità, e il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a definire le misure necessarie per la sua attuazione senza indebiti ritardi.

3.6.

L’obiettivo del 10 % di interconnessione elettrica non sarà centrato entro il 2020 a Cipro, in Spagna, Italia, Polonia e Regno Unito, e l’inclusione di Irlanda e Portogallo nell’elenco dei paesi che lo hanno «raggiunto» è molto discutibile.

Alla luce dei dati della Commissione l’obiettivo del 15 % di interconnessione elettrica entro il 2030 appare difficilmente realizzabile, specie se si esegue un’analisi corretta, che tenga conto delle strozzature geografiche e non solo di quelle riguardanti singoli Stati membri.

3.7.

I nuovi limiti definiti per valutare le esigenze di interconnessione e di integrazione del mercato unico, al fine di conseguire gli obiettivi fissati per il 2030, sono i seguenti:

un differenziale di 2 EUR/MWh tra i mercati all’ingrosso di ciascuno Stato membro, regione o zone di offerta, con l’obiettivo di portare avanti l’armonizzazione dei mercati;

garanzia dell’approvvigionamento di energia elettrica tramite una combinazione di capacità nazionale e importazioni; qualora la capacità di trasmissione nominale degli interconnettori sia inferiore al 30 % del loro picco di carico si dovranno valutare nuove interconnessioni;

la terza soglia è riferita all’uso ottimale dell’energia rinnovabile: quando la capacità di interconnessione (esportazione) è inferiore al 30 % della capacità installata di generazione di energie rinnovabili occorre provvedere a nuove interconnessioni.

Queste tre soglie creano un rapporto diretto tra, da un lato, gli obiettivi di sviluppo delle energie rinnovabili e di loro integrazione nel mercato interno e, dall’altro, gli obiettivi di interconnessione, e costituiscono quindi un utile passo in avanti nel conseguimento congiunto di detti obiettivi.

3.8.

Considerando le nuove soglie stabilite e i limiti derivanti dal fatto che l’analisi è eseguita per Stato membro, vi sono sei paesi che non soddisfano nessuna delle tre soglie: Cipro, Spagna, Grecia, Irlanda, Italia e Regno Unito. Andrebbero aggiunti il Portogallo e Malta, che soddisfano due delle soglie, ma attraverso connessioni esclusive, rispettivamente, con Spagna e Italia.

Sia gli Stati baltici che la Germania, la Bulgaria, la Polonia e la Romania soddisfano due delle tre soglie, mentre i rimanenti Stati membri, rispettandole tutte e tre, possono essere considerati pienamente integrati.

3.9.

Sia l’analisi della percentuale di interconnessione di ciascuno Stato, che quella delle tre nuove soglie, evidenziano che in vari Stati sarà molto difficile raggiungere gli obiettivi definiti per il 2030. Uno dei principali problemi consiste nel fatto che l’obiettivo di interconnessione non è vincolante per gli Stati membri, cosa che, in aggiunta ai ritardi inerenti a questo tipo di progetti (consenso politico, esigenze di finanziamento, redditività economica, atteggiamento di rifiuto nella società), ne rende difficile l’attuazione. Tutti gli obiettivi climatici e di sicurezza energetica dell’Unione sono indissolubilmente connessi tra loro, e nessuno di essi andrebbe quindi considerato secondario rispetto agli altri.

3.10.

L’UE deve continuare a promuovere l’iter legislativo e l’adozione del regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia, seguendo un approccio ambizioso, che metta sullo stesso piano gli obiettivi in materia di interconnessione e quelli in materia di energie rinnovabili, onde garantire che gli Stati membri e la Commissione compiano tempestivamente gli sforzi necessari per realizzare quanto prima l’obiettivo del 10 % di interconnessione che consente l’accesso al mercato interno dell’energia.

Inoltre, per i progetti diretti ad aumentare significativamente l’attuale capacità di interconnessione in punti dove essa è inferiore all’obiettivo del 10 %, occorre applicare tutti gli strumenti finanziari disponibili, quali il meccanismo per collegare l’Europa, i fondi strutturali e di investimento europei e il Fondo europeo per gli investimenti strategici. Tali progetti devono formare oggetto di un trattamento normativo specifico, con un rafforzamento delle misure di governance europea per i progetti, per accelerarne l’attuazione.

3.11.

I gruppi regionali, insieme alla Commissione, devono eseguire una valutazione continua, caso per caso, privilegiando l’esecuzione dei progetti di interesse comune in questione, compresa l’adozione delle misure necessarie per facilitare la loro attuazione, tra cui la semplificazione delle procedure amministrative e la promozione di accordi tra gli Stati membri grazie a riunioni al massimo livello.

Serve un’azione concertata di tutte le parti interessate, compresi gli Stati membri, i gestori delle reti di trasmissione, i promotori e le autorità di regolamentazione. Iniziative quali il Forum delle infrastrutture energetiche organizzato ogni anno a Copenaghen, che consente la partecipazione attiva di tutti questi soggetti, sono molto positive per cercare di trovare soluzioni ai problemi dello sviluppo di progetti di interconnessione.

4.   Sicurezza dell’approvvigionamento

4.1.

Dato che tutti gli Stati membri hanno una forte dipendenza energetica dall’esterno, rafforzare la sicurezza di approvvigionamento è uno dei principali obiettivi dell’UE. Negli ultimi anni sono stati compiuti importanti progressi in questo campo, specie per quanto riguarda le reti e le interconnessioni per il gas naturale; nondimeno bisogna continuare a dare la priorità all’esecuzione dei progetti di interesse comune necessari a far sì che il sistema del gas di ciascun paese si conformi al criterio N — 1 definito nel regolamento (UE) 994/2010, e in seguito giunga quanto prima a disporre di tre fonti alternative di approvvigionamento di gas.

4.2.

Occorre dedicare particolare attenzione ai contributi necessari per porre fine alle carenze di cui risentono tuttora alcuni territori dell’Unione, come le isole e le zone periferiche. È importante ricordare le conclusioni del Consiglio europeo del 4 febbraio 2011, in cui si afferma che nessuno Stato membro dovrà rimanere isolato dalle reti europee del gas e dell’elettricità dopo il 2015, o subire un condizionamento della propria sicurezza energetica per la mancanza di interconnessioni adeguate. A tal fine, e nonostante il ritardo, i progressi introdotti dalla copertura del meccanismo per collegare l’Europa nel 2017, con la promozione di progetti che consentiranno di porre fine all’isolamento di isole come Cipro e Malta, e i progetti di interesse comune attualmente allo studio, come il gasdotto EastMed, consentono di essere ottimisti nel medio periodo.

4.3.

È necessario mettere in atto meccanismi di solidarietà tra gli Stati, che consentano azioni comuni per risolvere possibili rischi di approvvigionamento di un determinato Stato in situazioni di emergenza.

5.   Requisiti per la transizione energetica

5.1.

I progressi verso un’economia a basse emissioni di carbonio, e il conseguimento degli obiettivi stabiliti per il 2030 (27 % di rinnovabili) e il 2050 (riduzione dell’80 % della CO2) daranno impulso all’elettrificazione dei trasporti e del settore domestico, facendo crescere il fabbisogno di energie rinnovabili e introducendo nuove utilizzazioni di tali energie attraverso i progetti «gas da elettricità».

5.2.

Se si vogliono raggiungere gli obiettivi fissati per il 2050, gli investimenti nelle reti di trasporto e di distribuzione devono collocarsi annualmente tra 40 e 62 miliardi di euro (1), rispetto ai 35 miliardi attuali.

5.3.

Sussiste l’evidente rischio che gli obiettivi di interconnessione 2030-2050 vengano mancati per le difficoltà di sviluppo dei relativi progetti, cosa che metterebbe a repentaglio gli obiettivi europei di lotta contro il cambiamento climatico, causando forti aumenti dei costi di sostegno degli investimenti nelle energie rinnovabili.

5.4.

Lo sviluppo delle energie rinnovabili deve essere accompagnato da un adeguato sviluppo delle reti energetiche transnazionali e nazionali.

6.   Il progresso verso un vero e proprio mercato interno dell’energia

6.1.

Il CESE ha sempre sostenuto che l’Unione dell’energia è un fattore essenziale della costruzione dell’UE, dal momento che le interconnessioni sono un elemento indispensabile per realizzare un vero mercato interno dell’energia, giacché in loro assenza si possono produrre situazioni anomale e numerose inefficienze.

In mancanza di interconnessioni, la politica di promozione delle energie rinnovabili sarà accompagnata da una considerevole volatilità dei prezzi, dall’esigenza di maggiori investimenti in «tecnologie di sostegno» e da uno spreco dell’energia rinnovabile generata nei momenti in cui si verifichino un aumento della produzione e una riduzione dei consumi.

6.2.

L’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER) stima che solo il 31 % dell’attuale capacità di interconnessione nei paesi dell’Europa continentale sia offerta sul mercato. Pertanto, al fine di procedere nel completamento del mercato interno, si raccomanda l’adozione di misure che massimizzino la capacità offerta sul mercato, in modo da favorire la concorrenza, una maggiore efficienza e un migliore uso delle risorse disponibili.

6.3.

Per ridurre i costi di funzionamento occorre procedere nell’accoppiamento dei mercati infragiornalieri e nello sviluppo dei mercati di bilanciamento transfrontalieri, dando impulso alle misure del regolamento (UE) 2017/2195 sul bilanciamento del sistema elettrico, che richiede agli Stati membri di cooperare a livello regionale per sviluppare zone di bilanciamento nelle interconnessioni, che contribuiscano alla risoluzione delle congestioni, all’ottimizzazione delle energie di riserva tra gli Stati membri e all’aumento di competitività dei mercati (2).

7.   Ottimizzazione economica

7.1.

A giudizio del CESE, occorre incoraggiare iniziative volte a garantire che i fondi europei disponibili siano destinati in via prioritaria ai progetti maggiormente necessari dal punto di vista della sicurezza di approvvigionamento, e che garantiscano un maggiore ritorno economico o consentano di compiere i maggiori progressi verso gli obiettivi climatici dell’UE.

7.2.

La soglia 1 (differenziale di prezzo) dev’essere determinante, dal punto di vista economico, nell’assegnazione dei progetti.

7.3.

I progetti di stoccaggio (mediante pompaggio, tra l’altro) che contribuiscono a ridurre al minimo le esigenze del parco di generazione devono avere la priorità rispetto ad altri progetti che non hanno, al momento, un supporto tecnologico sufficiente e dovrebbero essere finanziati dai programmi di ricerca e innovazione, come ad esempio nel caso di alcuni progetti connessi al trasporto di CO2. Tuttavia la regolamentazione non deve anticipare la tecnologia.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Studio del Parlamento europeo (commissione ITRE) European Energy Industry Investments 2017, IP/A/ITRE/2013-46 — PE 595.356.

(2)  GU L 312 del 28.11.2017, pag. 6.


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Terza relazione sullo Stato dell’Unione dell’energia»

[COM(2017) 688 final]

(2018/C 262/15)

Relatore:

Toni VIDAN

Correlatore:

Christophe QUAREZ

Consultazione

Commissione europea, 18.1.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

5.4.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

159/5/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la Terza relazione sullo Stato dell’Unione dell’energia (in prosieguo «la Terza relazione»), sostiene gli obiettivi del progetto di Unione dell’energia e si compiace dell’enfasi posta sull’impegno e la mobilitazione della società dell’UE verso la piena titolarità dell’Unione dell’energia. Il Comitato ribadisce le sue proposte per un efficace dialogo sull’energia con la società civile organizzata a livello UE, nazionale, regionale e locale.

1.2.

Il CESE ha sempre considerato l’idea dell’Unione dell’energia estremamente importante per il successo dell’Unione europea. Inoltre, concorda con l’osservazione della Commissione secondo la quale l’Unione dell’energia non si limita soltanto all’energia e al clima, e ritiene che la transizione energetica rappresenti un’opportunità per rendere l’Europa più democratica, più coesa, più competitiva e più giusta. Il comune impegno a realizzare un’Unione dell’energia deve rafforzare la sostenibilità ambientale, politica, economica e sociale dell’Unione europea, in conformità con i valori fondamentali dell’UE.

1.3.

Il CESE accoglie con favore il pacchetto Energia pulita, che considera un passo avanti nella giusta direzione, ma si rammarica del fatto che la Terza relazione non riconosca che gli attuali obiettivi previsti da tale pacchetto non sono sufficienti. Sostiene le iniziative del Parlamento europeo intese a rafforzare il quadro giuridico ed è preoccupato per i tentativi del Consiglio di indebolire le future disposizioni. Invita l’UE a intensificare le sue azioni per avvicinare l’Europa e il mondo all’obiettivo «emissioni zero» sancito nell’accordo di Parigi e ratificato da tutti gli Stati membri.

1.4.

Il CESE si rammarica del fatto che la Terza relazione non si pronunci sulla prospettiva a lungo termine per l’Unione dell’energia, e invita la Commissione europea a inserire integralmente la prospettiva 2050 nell’Unione dell’energia e a presentare una proposta di aggiornamento della tabella di marcia 2050, conformemente all’accordo di Parigi. Ciò sarebbe in linea con la risoluzione del Parlamento europeo di elaborare entro il 2018 una strategia a «zero emissioni» per l’UE per la metà del secolo [2017/2620(RSP)].

1.5.

In tale contesto, il CESE ricorda l’importanza fondamentale della governance dell’Unione dell’energia. Come già indicato nel parere sulla governance dell’Unione dell’energia (1), è essenziale garantire che la governance incoraggi i responsabili politici a tutti i livelli a elaborare piani a lungo termine al di là del 2030, a tenere conto degli interessi e delle opinioni di tutti i soggetti interessati della società, in particolare dei gruppi vulnerabili, ad adattarsi ai cambiamenti normativi e tecnologici e a rispondere del proprio operato ai cittadini.

1.6.

Il CESE rileva che la transizione energetica è già iniziata in Europa: le tecnologie efficienti e le preferenze del pubblico per l’energia pulita stanno facendo diminuire il consumo di energia, mentre la produzione di energia da fonti rinnovabili è in aumento. Tuttavia, per alcuni aspetti la Terza relazione risulta eccessivamente ottimistica nella sua valutazione dei progressi compiuti. Il CESE accoglie con favore le conclusioni della Terza relazione sull’importanza del dialogo Talanoa del 2018 sul clima e sottolinea la necessità di fare di più in termini di innovazione, investimenti, cooperazione globale e scambi, al fine di conseguire quella posizione di leadership mondiale alla quale aspiriamo.

1.7.

Il CESE si rammarica del fatto che la Terza relazione si concentri principalmente sugli ostacoli relativi alle infrastrutture tecniche. In futuro, molta più attenzione dovrebbe essere dedicata ad altre barriere commerciali e istituzionali, che impediscono a cittadini, consumatori, comunità e PMI di partecipare, traendone vantaggio, alla transizione verso l’energia pulita ed ai relativi meccanismi di sostegno dell’UE. Tra gli esempi di ostacoli non considerati si segnalano le differenze nel costo del capitale per gli investimenti nelle energie rinnovabili nell’UE, la carente attuazione dello Stato di diritto e la corruzione, l’insufficiente capacità amministrativa, le difficoltà di accesso alla rete e la mancanza di digitalizzazione e democratizzazione nel sistema dell’energia.

1.8.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Terza relazione prenda atto del calo del costo delle energie rinnovabili e delle altre tecnologie energetiche pulite. Inoltre, invita la Commissione a inserire tali anticipazioni nei suoi futuri strumenti di politica e di investimento e a garantire che il punto di vista della società sia posto al centro della tabella di marcia 2050 aggiornata.

2.   Contesto e riflessione sulle precedenti raccomandazioni del CESE

2.1.

Vi è un forte e crescente sostegno fra i cittadini dell’UE a favore degli obiettivi dell’Unione dell’energia e di politiche più ambiziose in materia di clima e di energia. Nell’ultimo sondaggio Eurobarometro sui cambiamenti climatici (2), effettuato nel marzo 2017, il 74 % degli intervistati considera il cambiamento climatico un problema molto serio, il 79 % ritiene che la lotta al cambiamento climatico e una maggiore efficienza energetica possano dare impulso all’economia e all’occupazione dell’UE, il 77 % crede che la promozione delle competenze dell’UE nelle nuove tecnologie pulite nei paesi terzi possa apportare vantaggi economici all’Unione, mentre il 65 % è convinto che anche la riduzione delle importazioni di combustibili fossili dai paesi terzi possa apportare benefici economici all’UE. Analogamente, la grande maggioranza degli intervistati concorda sul fatto che un maggior sostegno finanziario pubblico debba essere concesso alla transizione verso le energie pulite, anche se questo significa ridurre le sovvenzioni ai combustibili fossili (79 %), e che la riduzione delle importazioni di combustibili fossili possa aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici dell’UE (64 %).

2.2.

Vi è inoltre un crescente sostegno per gli obiettivi dell’Unione dell’energia nella comunità imprenditoriale europea, sia all’interno che all’esterno del settore dell’energia. Un valido esempio di questo sostegno è la nuova visione dell’Associazione europea delle industrie elettriche, Eurelectric (3), che afferma quanto segue: «alla luce dell’accordo di Parigi e della necessità di affrontare con urgenza i cambiamenti climatici, l’inquinamento atmosferico e l’esaurimento delle risorse naturali», Eurelectric si impegna a «investire nella produzione di energia pulita e in soluzioni che facilitino la transizione, per ridurre le emissioni e proseguire attivamente gli sforzi per raggiungere una società a emissioni zero, ben prima della metà del secolo», a promuovere «il tanto necessario passaggio da un’economia basata sulle risorse a una basata sulla tecnologia europea», a rendere possibile «la sostenibilità sociale e ambientale», e a «integrare la sostenibilità in tutte le parti della nostra catena del valore e ad adottare misure volte a sostenere la trasformazione di beni esistenti per arrivare ad una società a zero emissioni di carbonio».

2.3.

Un numero crescente di esperti e di risultati scientifici conferma che il settore dell’energia dell’UE può beneficiare in misura significativa del rapido calo dei prezzi dell’energia solare fotovoltaica ed eolica e delle tecnologie di bilanciamento del sistema. Una recente relazione (4) dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA) rileva che l’UE «è in grado di portare la quota di energie rinnovabili nel suo mix energetico al 34 % entro il 2030, raddoppiandola rispetto al 2016, con un impatto economico positivo netto». Tale aumento potrebbe «tradursi in un risparmio compreso tra 44 miliardi di EUR e 113 miliardi di EUR l’anno entro il 2030, se si tiene conto del risparmio relativo ai costi dell’energia e dei costi ambientali e sanitari evitati». Secondo un’altra recente ricerca (5) pubblicata da Energy Union Choices, lo scenario «più efficace sotto il profilo dei costi per il mix di energia elettrica dell’UE contiene una quota nettamente più elevata per le energie rinnovabili nel settore dell’elettricità rispetto a quello previsto dalla Commissione europea, ossia il 61 % contro il 49 % entro il 2030. Seguendo questo scenario, l’UE eviterebbe ulteriori emissioni di CO2 pari a 265 Mt, risparmierebbe 600 milioni di EUR l’anno di costi del sistema energetico, e potrebbe creare altri 90 000 posti di lavoro (netti)».

2.4.

Sono state lanciate importanti iniziative, tra cui la dichiarazione di Malta del maggio 2017, per accelerare la transizione verso l’energia pulita nelle isole, comprese le regioni ultraperiferiche d’Europa, il forum per la competitività industriale in materia di energia pulita, la comunicazione su una strategia industriale per l’Europa, e gli sforzi volti a costruire una «Alleanza europea per le batterie». Tutti questi elementi sono essenziali per promuovere una politica industriale integrata in grado di sostenere la transizione energetica, incrementando nel contempo la creazione di posti di lavoro di qualità, e da considerare come un’occasione per il settore di dimostrare la capacità dell’Europa di sviluppare soluzioni adeguate alle sfide attuali.

2.5.

Il CESE ha ripetutamente affermato che l’Unione dell’energia deve fornire un contesto stabile e favorevole per le imprese europee, al fine di consentire loro e di incoraggiarle a investire e assumere, prestando un’attenzione particolare al potenziale delle PMI. Ciò richiede la creazione congiunta di un solido sistema di governance dell’Unione dell’energia, che può avvenire solo apportando profonde modifiche al regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia, proposto dalla Commissione europea.

2.6.

Il CESE ha sempre sostenuto che avere energia a disposizione a prezzi accessibili e potervi accedere materialmente sono due elementi chiave per evitare la povertà energetica, un altro problema che impedisce ai cittadini di passare a soluzioni a basse emissioni di carbonio. Di conseguenza, accoglie con favore il lancio dell’Osservatorio sulla povertà energetica, che costituisce un primo passo nella direzione di un’azione europea più estesa volta a eliminare la povertà energetica in Europa.

2.7.

Il CESE ha chiesto l’inserimento della dimensione sociale tra i criteri di valutazione nella prossima relazione sullo stato dell’Unione dell’energia. Accoglie pertanto favorevolmente le iniziative sociali adottate dalla Commissione europea, come ad esempio quelle relative alle regioni ad alta intensità di carbonio e alla povertà energetica, nonché la creazione di una specifica sottosezione sulla relazione sullo stato dell’Unione dell’energia dedicata alla dimensione sociale dell’Unione dell’energia. Si tratta di un ottimo primo passo che dovrebbe essere ulteriormente confermato in futuro, ad esempio elaborando congiuntamente un «Patto sociale per una transizione energetica promossa dai cittadini».

2.8.

Il CESE prende atto che la transizione energetica non richiede investimenti di importo significativamente diverso rispetto a quelli necessari per mantenere l’attuale sistema energetico basato su combustibili fossili, provenienti essenzialmente dall’importazione. Esso richiede tuttavia tipi notevolmente diversi di investimenti, inclusi quelli diretti a favorire la decarbonizzazione, la digitalizzazione, la democratizzazione e il decentramento. La sfida fondamentale consiste nel riassegnare i capitali dagli attivi e dalle infrastrutture ad alta intensità di carbonio agli attivi e alle infrastrutture a bassa intensità di carbonio. Tale riassegnazione dovrebbe prevedere un impiego efficiente dei fondi pubblici nazionali e dell’UE, ad esempio eliminando gradualmente i sussidi ai combustibili fossili, compresi gli aiuti pubblici dell’UE a favore dei gasdotti, senza avere un impatto negativo sulla competitività industriale e sull’occupazione e senza provocare distorsioni del mercato unico.

2.9.

Per aiutare gli investitori privati ad effettuare questa riassegnazione di capitale, le autorità pubbliche dovrebbero garantire prezzi del carbonio efficaci e prevedibili per tutte le attività economiche. Tra i possibili elementi, si segnala un prezzo minimo del carbonio per il sistema di scambio di quote di emissione (ETS), unitamente all’armonizzazione delle imposte sull’energia. A tal fine sarebbe necessario razionalizzare gli strumenti d’intervento dell’UE ed evitare la sovrapposizione di strumenti che distorcono i segnali di investimento. Il CESE ha inoltre invitato la Commissione a impegnarsi attivamente per conseguire un sistema globale di fissazione dei prezzi del carbonio, capace di creare condizioni di parità per le imprese europee sui mercati di esportazione e in relazione ai prodotti importati.

3.   Osservazioni sulla Terza relazione sullo stato dell’Unione dell’energia e sulle iniziative di follow-up

3.1.   Creazione di una governance forte e democratica per la transizione energetica dell’Europa

3.1.1.

Il CESE ritiene che l’UE e la maggior parte dei suoi Stati membri abbiano bisogno di democratizzare ulteriormente l’elaborazione delle politiche energetiche, ad esempio promuovendo l’impiego efficace di strumenti quali i sondaggi deliberativi e le iniziative dei cittadini europei, e garantendo un impegno sistematico e le risorse necessarie per consentire alla società civile organizzata di partecipare all’elaborazione e all’esecuzione dei piani nazionali in materia di energia e clima.

3.1.2.

Il CESE riconosce che una solida e democratica governance dell’Unione dell’energia richiede la creazione di un «Servizio europeo di informazione in materia di energia» in seno all’Agenzia europea dell’ambiente, che sarebbe in grado di garantire la qualità dei dati forniti dagli Stati membri, sviluppare un punto di accesso unico per tutti gli insiemi di dati necessari per valutare i progressi dell’Unione dell’energia, definire con le parti interessate le ipotesi per i diversi scenari, fornire modelli open source per sperimentare le diverse ipotesi e verificare la coerenza tra le diverse proiezioni. I suoi lavori dovrebbero essere liberamente accessibili all’insieme dei responsabili politici, delle imprese e dei cittadini.

3.1.3.

Per fornire un contesto imprenditoriale stabile e favorevole per le imprese europee, in particolare le PMI, l’UE e i suoi Stati membri dovrebbero elaborare piani energetici a lungo termine per conseguire l’obiettivo «emissioni zero» che hanno approvato con l’accordo di Parigi. Tali piani dovrebbero essere sviluppati nel modo più inclusivo possibile e dovrebbero servire per alimentare i piani per il 2030 ed i piani a lungo termine previsti nel regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia. Dovrebbero inoltre essere definite strategie di decarbonizzazione settoriali e regionali, per individuare opportunità a livello commerciale e locale e anticipare future creazioni e perdite di posti di lavoro, al fine di garantire una transizione agevole.

3.1.4.

Il CESE accoglie con favore le iniziative intese ad aiutare le isole e le regioni ad alta intensità di carbonio nella loro transizione energetica, e chiede alla Commissione europea di continuare a sostenere le strategie regionali in materia di transizione energetica. A tale riguardo, la Commissione europea dovrebbe coinvolgere tutti gli Stati membri e le regioni interessati in una mappatura congiunta dei punti di forza e di debolezza di ciascuna regione europea riguardo alla transizione energetica. Tale mappatura dovrebbe essere integrata nelle loro strategie industriali e dovrebbe aiutarli ad anticipare i probabili risultati in termini di creazione, predita e ridefinizione di posti di lavoro, a seguito della transizione.

3.1.5.

Il CESE invita inoltre la Commissione a proseguire nello sviluppo di indicatori per monitorare le ripercussioni della transizione energetica sui settori connessi all’energia e sul loro sviluppo, nel miglioramento degli indicatori sociali, ivi compresi una raccolta dei dati più affinata e nuovi indicatori riguardanti i cittadini in generale e la società civile, come già indicato nei precedenti pareri del Comitato in merito a tali questioni (6).

3.2.   Elaborazione congiunta di un Patto sociale per la transizione energetica promossa dai cittadini

3.2.1.

Il CESE ritiene che l’Europa abbia bisogno di un «Patto sociale per la transizione energetica promossa dai cittadini», da concordare tra l’UE, gli Stati membri, le regioni, le città, le parti sociali e la società civile organizzata, per assicurare che la transizione non lasci indietro nessuno. Tale patto dovrebbe diventare la sesta dimensione dell’Unione dell’energia e includere tutti gli aspetti sociali, comprese la creazione di posti di lavoro, la formazione professionale, l’istruzione e la formazione dei consumatori, la protezione sociale, i piani specifici per le regioni in transizione dove si perdono posti di lavoro, la salute e la povertà energetica.

3.2.2.

Il CESE ritiene che l’Unione dell’energia necessiti di un Fondo europeo di adeguamento alla transizione energetica per accompagnare i lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro a seguito di tale transizione. In questo modo verrebbe dimostrata la volontà dell’Europa di garantire che la transizione energetica non lasci indietro nessuno.

3.2.3.

Il CESE considera la transizione energetica come un’opportunità per eliminare la povertà energetica in Europa e migliorare la qualità della vita, la creazione di posti di lavoro e l’inclusione sociale. Basandosi sulle conclusioni dell’Osservatorio europeo sulla povertà energetica, dovrebbe essere elaborato — in collaborazione con tutte le parti interessate, ivi comprese le organizzazioni di consumatori — un piano d’azione europeo per garantire che l’azione pubblica si concentri sempre più spesso sulle cause profonde della povertà energetica. Ricordando quanto rilevato nel suo parere sul pacchetto Energia pulita per tutti (7), ossia che la povertà energetica dipende dagli investimenti e che le famiglie vulnerabili in particolare incontrano ostacoli nell’accesso ai finanziamenti, il CESE sottolinea la necessità di passare progressivamente da misure palliative a misure preventive, quali le ristrutturazioni volte a trasformare vecchi edifici in edifici a zero emissioni nette. A tale riguardo, le tariffe sociali possono costituire soltanto un sollievo temporaneo, che dovrebbe essere gradualmente sostituito da meccanismi quali gli assegni energetici o le agevolazioni per importanti interventi di adeguamento degli edifici e l’acquisto di auto elettriche.

3.2.4.

Al fine di garantire una transizione energetica promossa dai cittadini, e di offrire il massimo beneficio sociale ed economico alla società nel suo insieme, è essenziale riconoscere e sostenere un senso di titolarità delle fonti energetiche rinnovabili tra i cittadini e le comunità locali. Tutti i meccanismi di sostegno e le riforme del mercato dell’energia dovrebbero consentire alle comunità locali una partecipazione attiva alla produzione di energia e un accesso equo al mercato dell’energia. Occorre assistere attivamente gli Stati membri che non dispongono della capacità istituzionale per garantire tale partecipazione attiva dei cittadini alla transizione energetica, e in particolare della capacità istituzionale di fornire sostegno e progetti gestiti dalle comunità per accedere ai meccanismi di finanziamento dell’UE.

3.2.5.

Il CESE ritiene che la Commissione europea dovrebbe sviluppare un «Programma Erasmus Pro verde», basandosi sul proprio progetto pilota Erasmus Pro, nonché altri progetti in grado di attrarre un maggior numero di giovani verso i settori in espansione della transizione energetica, migliorando l’immagine e le condizioni di lavoro di tali posti di lavoro.

3.2.6.

Il CESE accoglie con favore l’obiettivo della Commissione europea di dimezzare il numero di morti premature dovute all’inquinamento atmosferico entro il 2030 (vi sono state 400 000 morti premature in Europa nel 2015) e ritiene che l’UE e tutti i suoi Stati membri dovrebbero considerare la lotta all’inquinamento atmosferico una priorità politica ad alto livello. Inoltre, dovrebbero essere rafforzate le misure normative volte a ridurre gli inquinanti atmosferici emessi dai veicoli e dalle centrali elettriche e dovrebbero essere adottati provvedimenti per eliminare progressivamente l’uso dei combustibili fossili nei trasporti e nella generazione di energia.

3.2.7.

Il CESE accoglie con favore i miglioramenti previsti nella Terza relazione riguardo alle informazioni sull’utilizzo degli strumenti di investimento dell’UE e sul loro impatto su cittadini, comunità e PMI, ma rileva la necessità di migliorare i mezzi attraverso i quali i cittadini e i progetti basati sulla comunità possono accedere a tali risorse (ad esempio, sostenendo le piattaforme finanziarie, soprattutto negli Stati membri che non dispongono di tali strutture).

3.2.8.

Il CESE desidera mettere in rilievo le conclusioni e i risultati dello studio sui prosumatori delle utenze domestiche nell’Unione europea dell’energia, uno dei documenti che accompagnano la Terza relazione sullo stato dell’Unione dell’energia, e in particolare una delle conclusioni, vale a dire che «non esiste un quadro normativo armonizzato per i prosumatori delle utenze domestiche nell’UE, e gli Stati membri adottano approcci diversi», e la raccomandazione secondo la quale «una definizione comune e globale di prosumatori delle utenze domestiche potrebbe fungere da catalizzatore per lo sviluppo di una politica e di un quadro normativo dell’UE chiari e forti a sostegno dell’autoproduzione dei consumatori […]» (8).

3.3.   Trasporti

3.3.1.

L’aspetto elettrificazione della transizione energetica richiede una maggiore coerenza politica e giuridica tra segmenti del settore dell’energia tradizionalmente separati. Una maggiore interazione tra il settore dell’energia e quello dei trasporti è già un dato di fatto, e il CESE accoglie con favore gli sforzi volti a garantire coerenza tra i pacchetti legislativi in materia di «Energia pulita per tutti gli europei» e «Mobilità pulita».

3.3.2.

Il CESE osserva che la Terza relazione non prende in considerazione la graduale eliminazione dei combustibili fossili per le vendite e/o l’utilizzo di autovetture annunciata di recente da diversi Stati membri e città, come i Paesi Bassi e Parigi. Gli incidenti riguardanti lo scandalo delle emissioni dei veicoli e le conseguenze sul piano dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento atmosferico, della salute e dell’ambiente evidenziano l’urgente necessità di agire. Inoltre ritiene che l’UE dovrebbe fornire un quadro coordinato per la graduale eliminazione di diesel e benzina per le autovetture, al fine di evitare che decisioni non coordinate e imprevedibili adottate a livello nazionale e subnazionale possano avere un impatto negativo sulla competitività industriale e l’occupazione e creare distorsioni del mercato unico.

3.3.3.

Per evitare che i proprietari a basso reddito rimangano indietro con veicoli inquinanti, che hanno un accesso sempre più ristretto a molte aree urbane, dovrebbero essere introdotti incentivi legislativi e finanziari a livello UE, per consentire interventi a basso costo in materia di adattamento o conversione delle unità motrici nei veicoli già in circolazione dai combustibili fossili alle tecnologie a zero emissioni. Tale misura ridurrebbe inoltre l’uso delle risorse e i costi sociali di una transizione dalle autovetture a combustibili fossili ai veicoli elettrici, e potrebbe contribuire ad assicurare una maggiore coesione, durante la transizione, tra le regioni e gli Stati membri con livelli di reddito inferiori e superiori.

3.3.4.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Terza relazione riconosca che le «batterie rappresentano una parte strategica delle priorità di innovazione» e che «le batterie costituiranno una tecnologia abilitante fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione dell’energia». Sostiene le iniziative volte a «mobilitare un notevole sostegno alle batterie e alle celle di batterie» e a garantire che l’UE svolga un ruolo ambizioso nel mercato globale.

3.4.   Infrastrutture e sviluppo industriale per la transizione energetica

3.4.1.

La transizione energetica comporta implicazioni significative per numerosi settori: in primo luogo, per i produttori di energia o il settore stesso dell’energia; in secondo luogo, per le industrie che utilizzano l’energia come fattore di produzione, in particolare le industrie ad alta intensità energetica; in terzo luogo per le industrie che forniscono tecnologie e soluzioni in materia di energia e di clima. Le imprese incontrano sia rischi che benefici, ed è di fondamentale importanza che l’UE aiuti le industrie a cogliere le opportunità e ad affrontare le sfide.

3.4.2.

Il CESE osserva che la Terza relazione non considera l’annunciato recesso degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi come un’opportunità storica per le imprese, gli innovatori, i lavoratori e gli investitori europei di affermare la loro leadership mondiale sui mercati in forte espansione dell’energia pulita. L’UE dovrebbe intensificare la propria ambizione in tutti i settori dell’energia pulita, dall’efficienza energetica alla mobilità elettrica, per fornire alle imprese europee un mercato interno solido in cui l’innovazione possa essere utilizzata in condizioni di sicurezza, nonché una strategia industriale integrata volta a esportare soluzioni energetiche pulite nel resto del mondo.

3.4.3.

Il CESE chiede nuovamente alla Commissione di effettuare una valutazione globale degli attuali strumenti della politica volta a ridurre le emissioni di carbonio, al fine di garantire che si utilizzino gli strumenti adatti per realizzare gli obiettivi nel modo più efficiente possibile e in mercati ben regolati. Occorre evitare di imporre agli utenti dell’energia oneri ingiustificati e altri ostacoli, come la complessità delle bollette, dovuti alla mancanza di concorrenza e di trasparenza sul mercato.

3.4.4.

Il nuovo elenco di «Progetti di interesse comune» (PIC) ammissibili per le sovvenzioni pubbliche dell’UE che accompagna la Terza relazione mostra una diminuzione dei progetti relativi ai combustibili fossili (53 nel settore del gas, rispetto a 77 nel precedente elenco). Tuttavia, alcuni analisti sostengono che questa sia solo la conseguenza del raggruppamento e della suddivisione in cluster di progetti multipli, e che il nuovo elenco comprenda in realtà circa 90 progetti nel settore del gas, il che evidenzierebbe quindi un aumento in termini reali dei progetti in detto settore. Dati i significativi rischi economici e ambientali degli attivi non recuperabili in caso di investimenti nelle infrastrutture che utilizzano combustibili fossili, occorre rivalutare quanto prima questi progetti e l’assegnazione dell’etichetta PIC.

3.5.   La sicurezza energetica e la dimensione geopolitica dell’Unione dell’energia

3.5.1.

Come ha già affermato nel parere dell’anno scorso, il Comitato auspica che la sicurezza energetica rimanga un obiettivo essenziale dell’Unione dell’energia. Un’infrastruttura localizzata per la generazione, il trasporto e lo stoccaggio dell’energia efficiente sotto il profilo economico, sostenibile e affidabile, mercati dell’energia ben funzionanti e relazioni commerciali pienamente conformi all’acquis dell’UE sono fattori positivi chiave che devono essere garantiti. Occorre definire meglio l’obiettivo della sicurezza energetica, guardando, al di là degli aspetti riguardanti le importazioni di energia e la produzione interna, al potenziale di aumento della resilienza in tutto il sistema energetico, all’innovazione sociale, al cambiamento comportamentale, e alla sicurezza informatica.

3.5.2.

Il CESE accoglie con favore la dimensione esterna dell’Unione dell’energia come presentata nella Terza relazione e condivide quanto affermato in tale sede, ovvero: «la politica esterna e la politica di sviluppo dell’UE sono essenziali per il sostegno all’energia pulita e alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio a livello mondiale nonché a consolidare la sicurezza energetica e la competitività dell’UE». Purtroppo, però, è sempre più dimostrato che taluni Stati e imprese, attivi nell’importazione di combustibili fossili nell’UE, sono coinvolti in pratiche ritenute inappropriate nella normale prassi commerciale, e cercano talvolta di influenzare in modo aggressivo le politiche sul clima e l’energia degli Stati membri e di altre parti interessate. Al fine di garantire un ambiente credibile e democratico per un dibattito politico sull’attuazione dell’Unione dell’energia, è necessario un controllo sistematico di tali attività, la loro divulgazione al pubblico e una risposta attiva.

3.5.3.

A causa della digitalizzazione dei sistemi energetici, è necessario creare un’infrastruttura digitale avanzata che faccia delle misure per migliorare la sicurezza informatica una parte importante degli sforzi per la sicurezza energetica. Data l’interazione tra le reti elettriche intelligenti e i veicoli elettrici, anche l’infrastruttura elettrica costituisce un elemento essenziale del sistema di trasporto. A tale proposito, assume ancora maggior importanza la sicurezza informatica dei settori connessi dell’energia e dei trasporti e delle loro infrastrutture digitali.

3.5.4.

Il successo dell’Unione europea dell’energia dipende dalla capacità di applicare la normativa europea e di garantire che i progetti energetici realizzati in Europa rispettino la legislazione europea applicabile al mercato. Ciò è particolarmente importante nel caso di progetti di investimento che potenzialmente, e secondo molti chiaramente, contraddicono gli obiettivi dell’Unione dell’energia. Tale situazione solleva preoccupazioni politiche ed economiche in diversi Stati membri e contribuisce alla perdita di fiducia delle società di tali paesi nei valori che li hanno guidati verso l’adesione all’UE. La mancata applicazione della normativa è inoltre utilizzata dai politici riluttanti nei confronti dell’integrazione europea come un esempio utile a evidenziare i punti deboli dell’integrazione dell’Unione, danneggiando ulteriormente l’unità e l’integrità dell’UE. Pertanto il Comitato raccomanda vivamente che progetti come il gasdotto Nord Stream 2 e altri progetti di importanza strategica siano realizzati secondo le regole dell’Unione dell’energia.

4.   Coinvolgimento della società civile e contributo del CESE

4.1.

Il CESE è convinto che garantire il successo del 2018 come «Anno di impegno» dell’Unione dell’energia sia essenziale non solo per ragioni democratiche, ma anche per l’efficienza della stessa transizione energetica. La trasformazione del sistema energetico europeo sarà più rapida, meno costosa e più democratica se alimentata da cittadini sempre più attivi nelle vesti di consumatori, prosumatori, lavoratori, attori dell’esternalizzazione aperta (crowdsourcing) e del finanziamento collettivo (crowdfunding) della transizione energetica. I mezzi di microfinanziamento, resi disponibili ad esempio tramite prestiti locali, e la facilitazione degli investimenti sono fondamentali per favorire la democratizzazione, un’ampia partecipazione sociale e la sostenibilità sociale della transizione energetica. L’Unione europea dovrebbe mirare a passare da una situazione in cui la politica energetica, anche a livello nazionale, è stata determinata dalle «decisioni di alcuni» ad una in cui essa dipende effettivamente dagli «interventi di tutti».

4.2.

Il CESE accoglie con favore l’invito lanciato dalla Terza relazione a mobilitare l’intera società. Non è chiaro in che modo la Commissione garantirà che ciò avvenga, in quanto non vi è una vera e propria proposta su come procedere, e la relazione individua anche alcuni esempi di «pionieri» altamente problematici della transizione verso l’energia pulita. Il CESE invita la Commissione europea a intensificare la collaborazione con i decisori politici e le parti interessate e, in particolare, con i consigli economici e sociali nazionali e regionali e con i rappresentanti della società civile organizzata, allo scopo di fornire congiuntamente energia pulita a tutti i cittadini europei.

4.3.

Il CESE è preoccupato per il livello di partecipazione pubblica dei cittadini e delle comunità alle proposte legislative dopo «l’ampio dibattito pubblico» annunciato e avviato lo scorso anno. Propone che, in futuro, le relazioni sullo stato dell’Unione dell’energia riflettano e presentino chiaramente i miglioramenti nelle politiche e nelle pratiche in seno all’Unione dell’energia adottate sulla base dei dibattiti pubblici e della partecipazione pubblica.

4.4.

In questo contesto, il CESE sostiene la recente relazione del Parlamento europeo che stabilisce che «gli Stati membri dovrebbero istituire una piattaforma multilivello di dialogo permanente sull’energia che riunisca enti locali, organizzazioni della società civile, imprese, investitori e altre parti interessate per discutere le varie opzioni possibili per le politiche in materia di energia e di clima»; il CESE riafferma inoltre l’importanza di coinvolgere i sindacati, le organizzazioni dei consumatori e le organizzazioni ambientaliste della società civile in tali piattaforme, e di garantire che vi siano le risorse necessarie per un’efficace partecipazione.

4.5.

Il CESE desidera contribuire attivamente all’ulteriore sviluppo delle sinergie e della cooperazione tra le istituzioni dell’UE, le organizzazioni della società civile e gli enti locali e regionali e le loro istituzioni, pertinenti agli obiettivi dell’Unione dell’energia. Gli enti locali e regionali, grazie alla loro vicinanza al livello dei cittadini e la loro conoscenza di ciascun contesto locale specifico, sono decisivi per l’adeguamento e l’attuazione efficaci delle politiche in materia di energia. Essi costituiscono un importante livello decisionale in settori quali i trasporti, la pianificazione urbana, l’edilizia e il welfare, il che li rende estremamente importanti per quanto riguarda le misure coordinate a favore dell’efficienza energetica e delle fonti di energia rinnovabili.

4.6.

Il CESE ritiene che le scienze sociali e umane svolgano un ruolo essenziale nel fornire ai responsabili delle decisioni economiche e politiche, nonché ai cittadini, gli strumenti giusti per comprendere le ragioni che determinano le scelte energetiche operate dagli utenti finali, tra cui le PMI e i cittadini. L’Unione dell’energia ha quindi bisogno di un programma di ricerca e innovazione dell’UE per il periodo successivo al 2020, basato su una strategia mirata, che integri pienamente le scienze sociali e umane, come suggerito dalla relazione della Commissione europea del gruppo indipendente ad alto livello sulla massimizzazione dell’impatto dei programmi di ricerca e innovazione dell’Unione (rapporto Lamy).

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 34.

(2)  https://ec.europa.eu/clima/news/eu-citizens-increasingly-concerned-about-climate-change-and-see-economic-benefits-taking-action_en

(3)  https://cdn.eurelectric.org/media/2189/vision-of-the-european-electricity-industry-02-08-2018-h-864A4394.pdf

(4)  http://irena.org/newsroom/pressreleases/2018/Feb/EU-Doubling-Renewables-by-2030-Positive-for-Economy

(5)  http://www.energyunionchoices.eu/cleanersmartercheaper/

(6)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 117; GU C 288 del 31.8.2017, pag. 100.

(7)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 64.

(8)  Studio JUST/2015/CONS/FW/COO6/0127


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/94


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione europea»

[COM(2017) 487 final — 2017/0224 (COD)]

(2018/C 262/16)

Relatore:

Christian BÄUMLER

Correlatore:

Gintaras MORKIS

Consultazione

Consiglio, 15.11.2017

Base giuridica

Articolo 207 del TFUE

 

 

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

28.3.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

203/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE sottolinea che gli investimenti esteri diretti sono un’importante fonte di crescita, posti di lavoro e innovazione, e hanno sempre rappresentato un fattore essenziale di uno sviluppo economico e sociale positivo nell’Unione europea. Il CESE è favorevole a un contesto aperto agli investimenti e accoglie con favore gli investimenti esteri diretti.

1.2.

Il CESE rileva che gli investimenti esteri non hanno solo lati positivi, bensì possono anche comportare rischi e costituire una minaccia per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico in uno o più Stati membri.

1.3.

Il CESE invita ad accompagnare l’atteggiamento di apertura dell’Unione nei confronti degli investimenti esteri diretti con misure strategiche solide ed efficaci.

1.4.

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione europea, presentata dalla Commissione, ma osserva che l’entità del problema non è ancora del tutto nota, dato che la Commissione, nell’avviare l’iter legislativo, non ha analizzato i flussi di investimenti e i relativi impatti.

1.5.

La verifica degli investimenti in imprese o beni che hanno un valore strategico per la sicurezza nazionale e per l’ordine pubblico dell’UE viene condotta in maniera lacunosa e scoordinata: alcuni paesi dispongono di una procedura di controllo, mentre altri ne sono privi e non sottopongono quindi ad alcuna verifica gli investimenti in entrata. Un sistema a livello dell’UE dovrà ovviare a questa lacuna, eliminare le disparità tra Stati membri e garantire la tutela degli interessi nazionali ed europei.

1.6.

Bisogna provvedere affinché tanto gli Stati membri in cui vigono procedure per la verifica degli investimenti esteri diretti, quanto quelli in cui tali procedure sono assenti, trasmettano e ricevano informazioni di affidabilità equivalente, anche sotto forma di relazioni annuali presentate alla Commissione europea nel caso in cui gli Stati membri o la Commissione stessa constatino che un investimento estero diretto, previsto o già effettuato in uno Stato membro, possa compromettere la sicurezza o l’ordine pubblico.

1.7.

Il CESE si compiace del fatto che il regolamento proposto stabilisca i requisiti procedurali essenziali applicabili ai meccanismi di controllo, quali la trasparenza, la non discriminazione tra paesi terzi e il riesame giudiziario, e accresca così la certezza degli investimenti e del diritto.

1.8.

Il CESE fa osservare che la competenza esclusiva in materia di investimenti esteri diretti ricade sull’UE. Laddove negli Stati membri siano presenti sistemi nazionali di controllo, è necessario dotarli di una base giuridica, per evitare una situazione di incertezza giuridica.

1.9.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che la Commissione si riservi la facoltà di controllare gli investimenti solo nel caso in cui possano incidere su progetti o programmi di interesse dell’Unione. Nei casi in cui gli investimenti esteri diretti hanno effetti transfrontalieri sull’intera UE o su parti di essa, l’UE deve assumere la competenza di controllarli.

1.10.

La proposta della Commissione non chiarisce adeguatamente le nozioni di «sicurezza» e di «ordine pubblico». Il CESE fa osservare che nei settori economici potenzialmente coinvolti nel controllo ci si chiede se anche i settori strategici e le tecnologie fondamentali siano coperti da tali nozioni, e invita la Commissione europea a compiere ulteriori sforzi per chiarire tale questione.

1.11.

Il CESE accoglie con favore l’obbligo di istituire punti di contatto negli Stati membri, ed è favorevole alla costituzione di un gruppo di coordinamento dei controlli sugli investimenti nell’UE. Tuttavia il ruolo di questi due organismi, il livello di rappresentanza e la relazione tra essi non sono del tutto chiari, e la Commissione dovrebbe fornire precisazioni in materia.

1.12.

Il CESE raccomanda di coinvolgere in maniera appropriata le parti sociali e la società civile.

1.13.

Il CESE suggerisce di estendere il controllo degli investimenti a settori sensibili delle infrastrutture e a impianti che garantiscono funzioni di rilevanza sociale, quali la fornitura di energia e di acqua, i trasporti, l’infrastruttura digitale, i servizi e i mercati finanziari e la sanità.

1.14.

Il CESE è dell’avviso che i controlli sugli investimenti dovrebbero essere estesi al settore delle tecnologie fondamentali, quando gli investitori siano controllati dal governo di un paese terzo o collegati a esso. Il CESE propone di prevedere nel regolamento una procedura specifica di controllo per gli investimenti esteri diretti operati da investitori statali o collegati a governi di paesi terzi.

1.15.

Il CESE è convinto che il processo di controllo sia più efficace quando si applica agli investimenti esteri diretti in previsione, piuttosto che a quelli già conclusi, e invita la Commissione a tenere conto di ciò nella proposta di regolamento. Il CESE raccomanda soprattutto un controllo successivo all’investimento.

1.16.

Ai fini della sicurezza degli investimenti, il CESE raccomanda di fissare dei termini temporali sia per la decisione relativa all’avvio del controllo di un investimento, che per la durata complessiva del controllo stesso.

1.17.

Il CESE fa presente che, per evitare un effetto dissuasivo sui potenziali investitori, occorre salvaguardare la riservatezza dei dati delle imprese durante la procedura di controllo.

1.18.

Il CESE raccomanda di stabilire con gli Stati Uniti e altri partner commerciali una collaborazione in materia di controllo degli investimenti, e di perseguire un’armonizzazione internazionale delle regole sulla verifica degli investimenti esteri diretti. In tale contesto, può servire da modello la Commissione per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (Committee on Foreign Investment in the United States).

1.19.

Benché il tema della reciprocità non venga affrontato nella proposta di regolamento, il CESE chiede alla Commissione di applicare il principio di reciprocità in tutti i negoziati tra UE e paesi terzi sugli investimenti esteri diretti, dato che un numero maggiore di investitori di paesi terzi acquista imprese ed entità dell’UE, mentre gli investitori dell’UE si trovano spesso ad affrontare ostacoli quando investono in altri paesi. Il Comitato chiede soprattutto che vengano accelerati i negoziati sull’accordo in materia di investimenti con la Cina.

2.   Considerazioni generali

2.1.

Il CESE condivide in linea di principio le posizioni di base espresse nella proposta di regolamento, presentata dalla Commissione, che istituisce una procedura per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’UE, ossia che l’UE è aperta agli investimenti esteri diretti e che questi ultimi contribuiscono alla crescita dell’Unione, rafforzando la sua competitività, creando posti di lavoro, apportando capitali, tecnologie, innovazione e competenze e aprendo nuovi mercati per le esportazioni dell’UE.

2.2.

Suscita tuttavia preoccupazione il fatto che investitori esteri, specialmente imprese statali, acquisiscano, in base a considerazioni strategiche, imprese europee dotate di tecnologie fondamentali, e si accingano a rilevare infrastrutture, tecnologie emergenti di primo piano e altri beni capitali che sono importanti per garantire la sicurezza degli Stati membri e dell’intera UE.

2.3.

Negli ultimi dieci anni gli investimenti esteri nell’UE sono cresciuti sensibilmente. La comunicazione della Commissione europea Accogliere con favore gli investimenti esteri diretti tutelando nel contempo gli interessi fondamentali riporta dati statistici attestanti che la maggior parte degli investimenti provengono da Stati Uniti, Canada e Svizzera, e in parte anche da Brasile, Cina e Russia. Durante la crisi finanziaria del 2008, gli investimenti cinesi negli Stati dell’UE sono aumentati di ben dieci volte, passando dai 2 miliardi di euro del 2009 ai quasi 20 miliardi del 2015. Nel solo 2016, gli investimenti diretti cinesi nell’UE sono ammontati a 35 miliardi di euro, con un aumento del 77 % rispetto al 2015 e addirittura del 1 500 % rispetto al 2010. Per contro, sempre nel 2016, gli investimenti di imprese dell’UE in Cina si sono ridotti del 25 %.

2.4.

Nel febbraio 2017, tre Stati membri, Francia, Germania e Italia, hanno esortato la Commissione europea a rivedere le regole sugli investimenti esteri diretti nell’Unione europea. La loro richiesta era motivata dalla preoccupazione per il deflusso di conoscenze tecnologiche verso paesi terzi, dovuto all’acquisto di tecnologie dell’UE da parte di un numero crescente di investitori di paesi terzi, per finalità strategiche di detti paesi, laddove gli investitori dell’UE incontrano spesso ostacoli ai loro investimenti in altri paesi. I tre Stati membri hanno anche fatto presente che, quando gli investitori dell’UE ottengono un accesso limitato ai mercati al di fuori dell’UE, occorrerebbe far valere il principio di reciprocità. I tre Stati membri hanno chiesto alla Commissione di elaborare uno strumento europeo per prevenire i danni derivanti dagli investimenti diretti unilaterali da parte di acquirenti esteri in settori sensibili dal punto di vista della politica industriale o di sicurezza, e per garantire la reciprocità, essendo gli strumenti statali attualmente disponibili a livello degli Stati membri dell’UE inadeguati a provvedere a tale protezione.

2.5.

Nella sua risoluzione del 5 luglio 2017, il Parlamento europeo invitava la Commissione e gli Stati membri a esaminare gli investimenti esteri diretti dei paesi terzi nelle industrie, nelle infrastrutture e nelle tecnologie d’avanguardia essenziali dell’UE che rivestono importanza strategica.

2.6.

La Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento che istituisce un quadro giuridico per la verifica degli investimenti provenienti da paesi terzi.

2.7.

La Commissione europea ha deciso di limitare detta proposta ai settori sicurezza e ordine pubblico, per raggiungere un accordo minimo tra gli Stati membri. In base alla proposta della Commissione, tali settori comprendono le comunicazioni elettroniche, la cibersicurezza, la tutela delle infrastrutture critiche e la competitività industriale nei prodotti e servizi per la cibersicurezza.

2.8.

Le nozioni di «sicurezza» e di «ordine pubblico» mancano già di per sé, nel contesto in questione, della chiarezza necessaria per evitare problemi e divergenze di interpretazione. Il CESE fa osservare che nei settori economici potenzialmente coinvolti nel controllo ci si chiede se anche i settori strategici e le tecnologie fondamentali siano coperti da tali nozioni, e invita la Commissione europea a compiere ulteriori sforzi per chiarire tale questione.

2.9.

Il CESE constata che la Commissione europea riconosce pienamente l’esigenza di assicurare agli Stati membri la necessaria flessibilità in relazione al controllo degli investimenti esteri diretti (cfr. COM(2017) 494). Ciò significherebbe che solo gli Stati membri potrebbero prendere decisioni in materia di investimenti esteri diretti provenienti da paesi terzi.

2.10.

Il CESE è sempre stato dell’avviso che la politica dell’UE in materia di commercio e investimenti dev’essere coerente e compatibile con la politica economica e le altre politiche dell’Unione, comprese quelle in materia di tutela dell’ambiente, lavoro dignitoso, salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Un’efficace strategia dell’UE in materia di investimenti è essenziale per mantenere la competitività dell’UE in un momento di rapide trasformazioni economiche e di importanti spostamenti degli equilibri di potere economico a livello mondiale.

2.11.

Il CESE fa osservare che l’economia dell’UE è una delle più aperte agli investimenti esteri diretti, che affluiscono nell’Unione a un ritmo crescente, concentrandosi sempre più su settori scelti strategicamente e su imprese più grandi della media. Essi traggono origine in misura crescente da imprese di Stato o da investitori che intrattengono strette relazioni con organi di governo.

2.12.

Per contro, a livello globale, a giudizio della Commissione, le restrizioni agli investimenti esteri diretti sono in aumento dal 2006. Spesso gli investitori dell’UE non godono nei paesi terzi degli stessi diritti di cui beneficiano gli investitori nell’UE. Già nel 2011 il CESE ha espresso rammarico per il fatto che la Commissione, nello sviluppare il percorso «Verso una politica globale europea degli investimenti internazionali», non si fosse pronunciata sull’acquisizione di imprese strategiche, e ha auspicato una riflessione sulla reciprocità.

2.13.

Il CESE sottolinea che i tre Stati membri all’origine dell’iniziativa volta a sviluppare uno strumento europeo per il controllo degli investimenti hanno segnalato che occorre far valere il principio di reciprocità se viene limitato l’accesso degli investitori dell’UE ai mercati esterni all’Unione. Il progetto di regolamento non affronta la questione della reciprocità. Tuttavia, per quanto riguarda gli investimenti esteri diretti, il principio di reciprocità dovrebbe essere applicato in tutti i casi di negoziati dell’UE con paesi terzi in materia di investimenti esteri diretti.

2.14.

La priorità strategica degli investimenti esteri nell’UE consiste inoltre nell’acquisire imprese europee che sviluppano tecnologie o mantengono infrastrutture essenziali per lo svolgimento di funzioni critiche nella società e nell’economia. La combinazione di tali sviluppi ha suscitato nei cittadini, nelle imprese e negli Stati membri dell’UE giustificate preoccupazioni, che richiedono misure appropriate, come quelle annunciate nel documento di riflessione della Commissione del 10 maggio 2017 sulla globalizzazione, nonché nel discorso sullo stato dell’Unione del 13 settembre 2017.

2.15.

Il CESE invita ad accompagnare l’atteggiamento di apertura dell’Unione nei confronti degli investimenti esteri diretti con misure strategiche solide ed efficaci.

2.16.

Il CESE sottolinea che, come una parte degli Stati membri ha già da tempo rilevato, gli investimenti esteri non hanno soltanto lati positivi, bensì possono anche comportare rischi e costituire una minaccia per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico. È il caso, in particolare, degli investimenti diretti verso imprese e beni di importanza strategica. Proprio per questo detti Stati membri hanno istituito regimi nazionali di controllo degli investimenti esteri.

2.17.

Il CESE fa osservare che la verifica degli investimenti in imprese o beni che hanno un valore strategico per la sicurezza nazionale o per quella dell’UE viene condotta in maniera lacunosa e scoordinata: alcuni paesi dispongono di una procedura di controllo, mentre altri ne sono privi e non sottopongono quindi ad alcuna verifica gli investimenti in entrata. In tali condizioni risulta chiaramente impossibile tutelare gli Stati membri o la stessa UE da investimenti volti ad acquisire imprese e beni importanti, quando un paese terzo, con intenti politici ed economici, pianifica in modo mirato le proprie possibilità di manovra. Il sistema che l’UE adotterà dovrà rimuovere le disparità tra Stati membri e garantire la tutela degli interessi nazionali ed europei.

2.18.

Il controllo degli investimenti proposto dalla Commissione europea costituisce, a giudizio del CESE, un primo passo nella giusta direzione, ma non risponderà, nel complesso, a dette esigenze. La proposta non obbliga gli Stati membri neppure a istituire un proprio controllo degli investimenti.

2.19.

Il CESE prende atto che la Commissione, con il regolamento in esame, si sforza di garantire la certezza giuridica agli Stati membri che hanno creato meccanismi nazionali di controllo degli investimenti.

2.20.

Il CESE si compiace del fatto che il regolamento proposto stabilisca i requisiti procedurali essenziali applicabili ai meccanismi di controllo, quali la trasparenza, la non discriminazione tra paesi terzi e il riesame giudiziario, accrescendo così la certezza degli investimenti.

2.21.

Sebbene il regolamento sia inteso a raccogliere nell’UE maggiori informazioni sugli investimenti esteri diretti e a sorvegliare l’uso dei meccanismi di selezione da parte degli Stati membri, nella pratica sarà molto difficile garantire un’attuazione armonizzata a livello dell’UE. Bisogna provvedere affinché tanto gli Stati membri in cui vigono procedure per la verifica degli investimenti esteri diretti, quanto quelli in cui tali procedure sono assenti, trasmettano e ricevano informazioni di affidabilità equivalente, anche sotto forma di relazioni annuali presentate alla Commissione europea nel caso in cui gli Stati membri o la Commissione stessa constatino che un investimento estero diretto, previsto o già effettuato in uno Stato membro, possa compromettere la sicurezza o l’ordine pubblico.

2.22.

Il CESE sostiene la proposta della Commissione relativa all’istituzione di punti di contatto da parte degli Stati membri e alla creazione di un gruppo di coordinamento composto da rappresentanti degli Stati membri. Tuttavia il ruolo di questi due organismi, il livello di rappresentanza e la relazione tra essi non sono del tutto chiari, Il CESE raccomanda di coinvolgere in maniera appropriata le parti sociali e la società civile.

2.23.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che la Commissione riservi il controllo ai soli investimenti che possono incidere su progetti o programmi di interesse dell’Unione. Se la responsabilità di controllare gli investimenti esteri diretti ricade principalmente sugli Stati membri, c’è il rischio che un investitore estero, intenzionato ad acquisire imprese e beni importanti, scelga come punto di ingresso il paese meno tutelato contro tali investimenti, e si assicuri così, attraverso il mercato interno, l’accesso a paesi con un controllo più rigoroso.

2.24.

Il CESE fa osservare che l’UE ha la competenza esclusiva sugli investimenti esteri diretti, che rientrano, come sancito dal trattato di Lisbona, nel settore, di competenza esclusiva, della politica commerciale comune. A norma dell’articolo 207 del TFUE, gli investimenti esteri diretti rientrano nella politica commerciale comune dell’UE. Conformemente all’articolo 206 del TFUE, l’Unione contribuisce «alla graduale soppressione delle restrizioni (agli scambi internazionali e) agli investimenti esteri diretti».

2.25.

Il CESE ritiene che l’UE debba esercitare la sua competenza sugli investimenti esteri diretti quando l’investimento ha un impatto transfrontaliero sull’intera UE o su parti di essa. Sia il controllo degli investimenti che la decisione sulla loro ammissibilità devono competere alla Commissione. Gli Stati membri devono beneficiare di diritti di consultazione vincolanti ed essere coinvolti, attraverso il previsto gruppo di coordinamento, nei processi decisionali sugli investimenti esteri diretti.

2.26.

Il CESE rileva che l’UE ha definito, nella direttiva sulle infrastrutture critiche europee e nella direttiva sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi, dei settori sensibili che incidono su essenziali interessi di sicurezza. Infrastrutture critiche, ai sensi della direttiva in materia, sono gli impianti, i sistemi o le parti di questi che sono essenziali per il mantenimento delle funzioni vitali della società, della salute, della sicurezza e del benessere economico e sociale. La direttiva sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi riguarda gli operatori che creano le condizioni per attività sociali ed economiche «fondamentali», tra cui l’energia, i trasporti, i servizi e i mercati finanziari, il settore sanitario e la fornitura di acqua.

2.27.

Già nel 2011 (1) il CESE sottolineava che partner commerciali come il Canada e gli Stati Uniti dispongono di meccanismi di controllo degli investimenti esteri diretti, e che gli investimenti devono far parte di una politica estera a vasto raggio dell’UE.

2.28.

Il CESE fa notare che gli Stati Uniti dispongono di uno strumentario ampio e flessibile per il controllo degli investimenti esteri, i quali vengono esaminati a livello federale dalla Commissione per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (Committee on Foreign Investment in the United States — CFIUS), che ha il potere di sospendere, vietare o assoggettare a specifiche condizioni un’operazione alla quale si oppone. Il suo compito principale consiste nel valutare il rischio derivante alla sicurezza nazionale da fusioni e acquisizioni che potrebbero portare un’impresa statunitense sotto il controllo di un soggetto estero. Il rischio per la sicurezza nazionale è definito come una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti derivante dall’acquisizione di una tecnologia fondamentale o di componenti dell’infrastruttura. Le modalità di controllo sono definite dalla CFIUS nelle proprie disposizioni interne, cosa che consente il loro adeguamento. Questa forma di controllo degli investimenti potrebbe rivestire interesse anche per l’UE.

2.29.

In Cina vigono restrizioni settoriali sugli investimenti esteri. La Commissione per lo sviluppo nazionale e la riforma (NDRC) e il ministero del Commercio (MOFCOM) di questo paese hanno adottato la versione 2017 del catalogo settoriale per orientare gli investimenti esteri, contenente un elenco nazionale dei settori in cui gli investimenti esteri sono soggetti a restrizioni o vietati, laddove «soggetto a restrizione» significa che è necessaria un’autorizzazione preliminare del ministero del Commercio. Tale elenco, attraverso il quale il governo applica restrizioni e condizioni, include settori politicamente sensibili, come la stampa, ma anche l’intera industria automobilistica, per la quale vigono tuttavia disposizioni speciali in caso di joint venture. Per i settori non soggetti a restrizioni, il governo richiede solo la registrazione dei progetti di investimenti esteri.

2.30.

Il CESE rileva che, nel documento strategico Made in China 2025, la Cina indica i seguenti settori chiave: tecnologie dell’informazione di nuova generazione, tecnica di controllo digitale e robotica di punta, attrezzature aerospaziali, attrezzature per la meccanica navale e la cantieristica ad alta tecnologia, attrezzature ferroviarie ad alta tecnologia, veicoli a basso consumo o con propulsori di nuovo tipo, attrezzature elettriche, macchine e attrezzature per l’agricoltura, nuovi materiali, biomedicina e apparecchiature mediche di punta. Sono questi i settori nei quali è più facile prevedere l’acquisizione di imprese europee.

2.31.

Il CESE rileva che le riserve concernenti gli investimenti esteri diretti non riguardano solo la Cina: gli investimenti della Russia, specie in campo energetico, suscitano, nei paesi interessati, preoccupazioni circa possibili dipendenze in tale settore di importanza strategica.

2.32.

Il CESE considera troppo limitato il campo di applicazione del proposto controllo degli investimenti, e propose di estendere tale controllo a settori strategici, e in particolare alle tecnologie fondamentali. Detti settori strategici andrebbero individuati facendo riferimento al documento Made in Cina 2025.

2.33.

Il CESE ritiene che un tale controllo degli investimenti, comprendente anche tecnologie fondamentali di rilevanza strategica, sia conciliabile con le norme dell’OMC. L’UE ha ratificato l’accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative (Agreement on Subsidies and Countervailing Measures — ASMC), e pertanto il rigetto di investimenti esteri diretti è possibile quando sono in questione i fondamentali interessi di sicurezza, ossia, a giudizio del CESE, quando bisogna tutelare i valori di una società. Un’ulteriore restrizione degli investimenti esteri diretti è possibile qualora l’investitore sia controllato da un governo, o vicino ad esso.

2.34.

Il CESE condivide il giudizio della Commissione secondo cui nel controllo degli investimenti occorre considerare se un investitore estero sia controllato dal governo di un paese terzo, anche attraverso ingenti risorse finanziarie. Il CESE propone di prevedere nel regolamento una procedura specifica di controllo per gli investimenti esteri diretti operati da investitori statali o collegati a governi di paesi terzi.

2.35.

Il CESE è convinto che il processo di controllo sia più efficace quando si applica agli investimenti esteri diretti in previsione, piuttosto che a quelli già conclusi, e invita la Commissione a tenere conto di ciò nella proposta di regolamento. Il CESE raccomanda soprattutto un controllo successivo all’investimento.

2.36.

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento presentata dalla Commissione, ma è evidente che l’entità del problema non è del tutto nota. La Commissione non ha analizzato i flussi di investimento e i loro effetti sin dall’avvio del processo legislativo, bensì solo in un secondo momento.

3.   Osservazioni specifiche

3.1.

Il CESE raccomanda di collaborare con gli Stati Uniti e gli altri partner commerciali. Il ravvicinamento internazionale delle norme in materia di controllo degli investimenti esteri diretti potrebbe limitare i conflitti e promuovere la certezza degli investimenti. Occorre quanto meno avviare, con paesi come la Cina, un dialogo in merito alla loro politica di investimenti in patria e all’estero, al fine di pervenire ad accordi commerciali e di tutela degli investimenti orientati alle norme europee e ai principi della reciprocità. Il Comitato chiede soprattutto che vengano accelerati i negoziati sull’accordo in materia di investimenti con la Cina.

3.2.

La durata di un controllo potrebbe diventare un importante ostacolo per i potenziali investitori e in generale per la competitività del paese. Per ridurre tali effetti negativi, la durata del controllo degli investimenti previsto dall’UE non dovrebbe superare quella stabilita dalle procedure nazionali.

3.3.

Bisogna inoltre valutare l’opportunità di stabilire un importo minimo al di sopra del quale sia necessario il controllo dell’investimento, onde evitare oneri amministrativi aggiuntivi. In tale contesto occorre tenere presente che anche l’avvio di nuove imprese può essere molto importante per una tecnologia fondamentale.

3.4.

Sebbene il regolamento sia inteso a raccogliere più informazioni sugli investimenti esteri diretti nell’UE e a sorvegliare l’uso dei meccanismi di controllo da parte degli Stati membri, nella pratica sarà molto difficile garantire un’attuazione armonizzata a livello dell’UE. Ciò è dovuto al fatto che tra gli Stati membri che dispongono di meccanismi di controllo degli investimenti esteri diretti e quelli che ne sono privi intercorrono delle differenze. Il sistema non deve creare disparità in termini di diritti e obblighi nel quadro della cooperazione per lo scambio di informazioni tra i paesi e la Commissione europea, nei casi in cui determinati investimenti esteri in programma o già effettuati possano incidere sulla sicurezza o l’ordine pubblico.

3.5.

Il regolamento non obbliga gli Stati membri che ricevono osservazioni da altri Stati membri a tenerle nella dovuta considerazione. Lo stesso vale per i pareri della Commissione destinati a uno Stato membro che non sia necessariamente in grado di dar loro seguito. Questi casi richiedono spiegazioni più esaurienti. Non è chiaro quali (eventuali) conseguenze siano da prevedere qualora lo Commissione non consideri adeguate le spiegazioni di uno Stato membro.

3.6.

Per lo sviluppo futuro dello strumento di controllo degli investimenti si dovrebbero quanto meno considerare altri fattori in grado di influenzare la sicurezza e l’ordine pubblico: pratiche che distorcono l’equo commercio, limitazione della concorrenza, mancanza di trasparenza degli investimenti. La politica degli investimenti e quella commerciale devono essere parte integrante della politica industriale dell’UE.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE Verso una politica globale europea degli investimenti internazionali, relatore: Peel (GU C 318 del 29.10.2011, pag. 150).


25.7.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 262/101


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul «Piano d’azione dell’UE per il 2017-2019 — Affrontare il problema del divario retributivo di genere»

[COM(2017) 678 final]

(2018/C 262/17)

Relatrice:

Anne DEMELENNE

Correlatrice:

Vladimíra DRBALOVÁ

Consultazione

Commissione europea, 13.12.2017

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

27.3.2018

Adozione in sessione plenaria

19.4.2018

Sessione plenaria n.

534

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

194/3/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva in linea di massima gli sforzi compiuti dalla Commissione europea per rimediare al persistente divario retributivo tra donne e uomini proponendo, nel piano d’azione all’esame, una serie di attività ampia e coerente. Tuttavia, ritiene che ciascuno degli otto assi d’azione esaminati meriterebbe uno sviluppo approfondito.

1.2.

Il CESE raccomanda di concentrarsi sulle radici culturali e di occuparsi degli stereotipi esistenti nei sistemi di istruzione e apprendimento, stereotipi che incidono sulle scelte di carriera. Raccomanda inoltre di approfondire le ragioni della segregazione sul mercato del lavoro e di imporre misure più incisive per combatterla.

1.3.

Il CESE condivide con la Commissione la proposta relativa alla trasparenza delle retribuzioni e agli audit salariali per i settori e le imprese al fine di facilitare la raccolta dei dati (statistici) individualizzati e l’elaborazione di adeguati piani d’azione. Il Semestre europeo è un modo efficace di incoraggiare gli Stati membri ad adottare urgentemente le misure appropriate, e in particolare a sviluppare una solida infrastruttura formata da strutture di accoglienza/custodia dell’infanzia e di assistenza a lungo termine accessibili e abbordabili.

1.4.

Il CESE raccomanda di proseguire gli sforzi della strategia 2020 per raggiungere l’obiettivo di un tasso di occupazione del 75 % per donne e uomini, preferibilmente a tempo pieno.

1.5.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione riconosca il ruolo fondamentale delle parti sociali in questo processo, in quanto soggetti chiave nel mercato del lavoro. Il Comitato mette in evidenza il contributo delle organizzazioni della società civile e i principi del partenariato sulla base di responsabilità chiaramente definite.

1.6.

Il CESE si congratula con la Commissione per i mezzi finanziari utilizzati per i vari progetti, ma sottolinea la necessità di trovarne altri, nell’ambito del quadro finanziario pluriennale, per la realizzazione del piano d’azione nel suo complesso, in particolare per il finanziamento di strutture di accoglienza e di assistenza, che non siano penalizzanti per gli Stati membri (nel rispetto, dunque, della «regola d’oro»).

2.   Introduzione

2.1.

Il principio della parità retributiva è sancito nei Trattati dell’UE già dal 1957. Stabilire la parità retributiva promuovendo i diritti delle donne è un vantaggio per tutti e significa fare passi avanti verso una società giusta ed equa, a beneficio dell’intera collettività (1). Le lotte per i diritti delle donne hanno portato alla ribalta le disuguaglianze di genere, inducendo i legislatori (a tutti i livelli di governo) ad adottare misure al riguardo. Tuttavia queste disuguaglianze continuano ad esistere nelle diverse interazioni sociali, in famiglia, a scuola, nella società, nella politica e nel mondo del lavoro.

2.2.

Colmare il divario retributivo di genere «non corretto» rimane una vera sfida da superare. L’UE, gli Stati membri e le parti sociali sono chiamati, con l’aiuto della società civile, a coordinare le loro azioni nel quadro di approcci mirati, combinando insieme l’applicazione di misure legislative e non legislative volte ad affrontare contemporaneamente le molteplici cause delle disuguaglianze retributive di genere, e questo a livello sia nazionale che europeo, nel quadro dell’attuazione della strategia Europa 2020.

2.3.

Il divario retributivo tra i sessi è inferiore nei paesi in cui la parità, in generale, è più elevata e nei paesi in cui la contrattazione collettiva ha un’ampia copertura. Si stima che un aumento della «copertura» del dialogo sociale pari all’1 % riduca il divario retributivo di genere dello 0,16 % e, quanto più il grado di coordinamento a livello della formazione dei salari è elevato, tanto più le retribuzioni sono ripartite in modo equo (2).

3.   Il contesto in cifre

3.1.

Il divario retributivo di genere fa sì che nell’UE le donne continuino a guadagnare in media il 16,3 % in meno degli uomini. Comprendere le cause e le conseguenze di questo fenomeno costituisce il primo passo per colmare il divario retributivo tra i sessi. I fattori descritti di seguito fanno tutti parte sia del problema sia della relativa soluzione.

3.2.

Il tasso di occupazione: la strategia Europa 2020 ha fissato come obiettivo un tasso di occupazione del 75 % per donne e uomini entro il 2020. Nel 2014, tuttavia, il tasso di occupazione globale dell’UE era del 64,9 %, con una percentuale particolarmente bassa di donne occupate (59,6 %, contro il 70,1 % per gli uomini di età compresa tra i 20 e i 64 anni). La partecipazione delle donne diventa fondamentale e occorre effettuare un adeguamento radicale del mercato del lavoro assicurandosi che sia accessibile alle donne. Nella sua relazione sul divario occupazionale di genere, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) afferma che questo problema costa all’UE circa 370 miliardi di euro all’anno, una cifra pari al 2,8 % del suo PIL.

3.3.

Il tempo parziale: nel 2015 circa 8 lavoratori su 10 nell’UE avevano un impiego a tempo pieno e 2 su 10 a tempo parziale. Di questi 44,7 milioni di lavoratori a tempo parziale, 10,0 milioni erano sottoccupati, nel senso che avrebbero voluto estendere il loro orario di lavoro. Essi rappresentavano più di un quinto (22,4 %) dei lavoratori part-time e il 4,6 % del totale degli occupati nell’UE. Due terzi di questi lavoratori a tempo parziale sottoccupati erano donne (66 %). Tale situazione ha un impatto negativo sulle prospettive di formazione, l’evoluzione delle carriere, i sussidi di disoccupazione e i diritti alla pensione.

3.4.

L’equilibrio tra uomini e donne nei posti dirigenziali: secondo l’indice sull’uguaglianza di genere per il 2017, pubblicato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), che opera con grande efficacia, negli otto settori analizzati dall’indice la rappresentanza di uomini e donne nel processo decisionale politico, sociale ed economico registrava il tasso di uguaglianza più basso. Tuttavia, se ci si concentra più particolarmente sull’ambito economico, le edizioni 2013 e 2017 dell’indice, considerate insieme, registrano un aumento progressivo del numero di donne presenti nei consigli d’amministrazione, passando dal 9 % al 21 % nel periodo tra il 2003 e il 2015. È il caso degli Stati membri che hanno adottato una normativa vincolante, ad esempio la Francia e i Paesi Bassi. Tale valutazione riguarda solo le grandi imprese quotate in borsa.

3.5.

Sebbene le microimprese e le piccole e medie imprese (PMI) rappresentino la stragrande maggioranza dei datori di lavoro nel continente europeo (nel 2014 esse costituivano il 99,8 % del totale delle imprese nell’UE-28 e impiegavano circa 90 milioni di persone, pari al 67 % dell’occupazione totale), gli indicatori e le misure politiche si concentrano sui consigli di amministrazione più grandi. Le misure legislative introdotte negli ultimi dieci anni hanno prodotto interessanti passi avanti, ma risultano ancora necessari ulteriori sforzi. A disposizione degli Stati membri vi sono strumenti diversi: approcci volontari, quote, sanzioni ecc.

3.6.

La crisi e, in alcuni Stati membri, le scelte di austerità legate alle riforme di bilancio hanno portato a una riduzione delle risorse e degli investimenti nelle infrastrutture sociali e pubbliche. Non è stata effettuata alcuna valutazione di impatto in funzione del genere, mentre l’accesso a tali infrastrutture è diventato più difficile. Tuttavia, esiste un legame diretto tra la povertà delle madri e il rischio di povertà e di esclusione sociale dei minori. Inoltre si osserva che nel 2015 il divario di genere in termini di pensioni era del 38 % nell’UE (3), il che equivale a dire che molte più donne sono a rischio povertà quando raggiungono un’età avanzata.

3.7.

La segregazione di genere nelle varie professioni e settori di attività: secondo la Commissione, questa è una delle cause principali del divario retributivo tra uomini e donne. Un certo numero di settori e di lavori continua ad essere dominato dagli uomini o, viceversa, dalle donne: un numero minore di donne sceglie di lavorare in ambiti meglio retribuiti come ad esempio l’edilizia, l’industria manifatturiera, i trasporti, le scienze e le TIC. «Attrarre un maggior numero di donne verso il settore scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico (STEM, dall’inglese Science, Technology, Engineering and Mathematics) contribuirebbe ad un aumento del PIL pro capite dell’UE dal 2,2 % al 3,0 % nel 2050» (4). La Commissione osserva inoltre che gli uomini, dal canto loro, sono raramente presenti in settori chiave per il futuro della società e dell’economia europee, come ad esempio l’istruzione, l’assistenza infermieristica e le professioni legate all’assistenza sanitaria.

3.8.

Dal piano d’azione si evince che le donne escono dal mercato del lavoro per prendersi cura dei figli e/o di altri familiari e, quando non rinunciano del tutto a lavorare, spesso accettano di occupare posti meno qualificati per conciliare i loro compiti familiari con la ripresa dell’attività (5). La mancanza di strutture di accoglienza/custodia dell’infanzia che siano di qualità, a prezzi accessibili e con lunghi orari di apertura ha delle ripercussioni negative sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro ed è un fenomeno affrontato negli obiettivi di Barcellona, ancora lungi dall’essere realizzati.

3.9.

L’impatto salariale per alcuni gruppi vulnerabili (donne a capo di famiglie monoparentali, donne poco qualificate e quelle che provengono inoltre da un contesto migratorio, sono portatrici di disabilità ecc.) deve essere oggetto di un’attenzione particolare.

4.   Il piano d’azione proposto

4.1.

Il piano d’azione recentemente proposto dalla Commissione comprende una serie coerente di attività finalizzate ad affrontare il divario retributivo di genere da tutte le angolazioni possibili, piuttosto che a concentrarsi su un unico fattore o causa. Tali attività si rafforzeranno reciprocamente. Il CESE approva il piano, ma raccomanda alla Commissione di garantire la valutazione delle misure già raccomandate e una loro attuazione, se del caso, attraverso il Semestre europeo.

4.2.

Il documento illustra otto assi d’azione principali:

1.

migliorare l’applicazione del principio della parità retributiva;

2.

lottare contro la segregazione occupazionale e settoriale (segregazione orizzontale);

3.

rompere il «soffitto di cristallo»: la segregazione verticale;

4.

ridurre l’effetto penalizzante delle cure familiari;

5.

valorizzare maggiormente le competenze, l’impegno e le responsabilità delle donne;

6.

dissolvere la nebbia: portare alla luce disuguaglianze e stereotipi;

7.

avvertire e fornire informazioni sul divario retributivo di genere;

8.

rafforzare i partenariati per lottare contro il divario retributivo di genere.

Perché tali azioni siano efficaci, saranno necessarie sinergie tra le misure adottate dai principali interlocutori a livello europeo, nazionale e aziendale.

4.3.

Il CESE giudica adeguata la maggior parte delle misure proposte a favore della parità di genere e ritiene che questo ambizioso piano d’azione si rivelerà efficace solo se tutti avranno una comprensione comune dei fattori che sono all’origine del divario retributivo tra i sessi. A questo proposito, un elemento importante è la raccolta di statistiche da parte di Eurostat, che deve basarsi su dati individualizzati e non più su dati relativi ai nuclei familiari, i quali contribuiscono a nascondere la povertà delle donne. Bisogna inoltre poter contare su una partecipazione attiva di tutti i soggetti pubblici e privati ad ogni livello: enti locali, istituzioni europee, Stati membri, interlocutori sociali, imprese pubbliche e private, insegnanti, organizzazioni della società civile ecc.

4.4.

Il CESE ricorda agli Stati membri la necessità di investire in sistemi di istruzione non discriminatori e inclusivi. Va incoraggiata una maggiore diversità di genere nell’accesso agli studi in settori orientati al futuro, come le discipline STEM (scienza, tecnologia, comprese le TIC, ingegneria, matematica), al fine di consentire alle ragazze di ottenere un lavoro in settori più promettenti e meglio retribuiti. Inoltre, sarebbe necessario che le donne potessero aver accesso a formazioni complementari lungo tutto l’arco della loro carriera (con l’ausilio di nuove tecnologie, quali la formazione a distanza), il che è un eccellente motivo di promozione e quindi di aumento salariale. Infine, per far fronte alle sfide demografiche senza penalizzare le donne, sarebbe opportuno incoraggiare la medesima diversità di genere nei settori sociali in cui esse sono più rappresentate.

4.5.

Il CESE invita la Commissione a sensibilizzare le imprese circa il problema della parità retributiva tra uomini e donne, e questo soprattutto nel loro interesse, migliorare cioè l’accesso alla manodopera femminile tenendo conto delle sfide determinate dall’evoluzione demografica e dalla crescente penuria di competenze.

4.6.

Il CESE ritiene in linea di massima che la società dovrebbe fare di più per affrontare le cause culturali e gli stereotipi che da tempo contribuiscono al persistere di questo divario retributivo. La Commissione deve assicurare la valutazione delle azioni intraprese ed un rafforzamento delle misure in vigore.

5.   Il ruolo fondamentale delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile

5.1.

Le parti sociali sono fortemente impegnate nella realizzazione della parità tra uomini e donne e nella risoluzione dei problemi concomitanti.

5.2.

Il quadro d’azione sulla parità di genere, firmato dalle parti sociali europee nel 2005, mostra già come affrontare il tema del divario retributivo tra i sessi: utilizzare strumenti concreti già esistenti ed elaborare statistiche chiare e aggiornate a livello settoriale/nazionale per consentire alle stesse parti sociali di analizzare e di capire le cause complesse del divario retributivo, facendo in modo che i sistemi retributivi, compresi i sistemi di valutazione dei posti di lavoro e delle retribuzioni (lorde e non orarie), siano trasparenti e neutri a livello di genere, e prestando nel contempo attenzione ai loro eventuali effetti discriminatori.

5.3.

Per rispondere al timore da parte dei datori di lavoro di un onere amministrativo supplementare, sarà opportuno prevedere adeguate misure di accompagnamento per le imprese. La parità retributiva è una responsabilità che incombe tanto ai datori di lavoro quanto ai sindacati. Naturalmente, è opportuno adottare iniziative per promuovere l’uguaglianza nel quadro dell’istruzione, del mercato del lavoro, delle strutture di accoglienza/custodia dell’infanzia ecc. Tuttavia, la trasparenza salariale è anch’essa una soluzione, in quanto sia la trasparenza sia gli audit salariali, hanno un ruolo più che legittimo in questo processo. Le imprese si stanno via via impegnando a lottare contro qualsiasi forma di discriminazione sul luogo di lavoro e affrontano già queste sfide al fine di garantire sistemi retributivi neutri sotto il profilo del genere, in linea con i diversi sistemi di relazioni industriali a livello nazionale. È importante che tutti i soggetti interessati facciano la loro parte per colmare il divario retributivo tra i sessi e ne illustrino le cause reali, e che assicurino inoltre un approccio più coerente e fattuale, chiarendo eventuali preconcetti.

5.4.

I sindacati, dal canto loro, riconoscono che l’esistenza di un quadro giuridico favorevole alla parità di genere può essere un elemento di stimolo rilevante per le trattative stesse, in particolare per convincere i datori di lavoro quanto all’importanza economica e sociale delle trattative a favore della parità. A tale proposito, da un’indagine condotta dalla Confederazione europea dei sindacati (CES) si evince che gli accordi salariali per la riduzione delle disuguaglianze retributive di genere più diffusi sono quelli che si concentrano sui salari minimi e sull’aumento delle retribuzioni dei lavoratori meno pagati. Secondo la stessa indagine, solo il 20 % dei sindacati ha negoziato accordi per contrastare la segregazione professionale concedendo aumenti salariali superiori ai lavoratori a bassa retribuzione nei settori in cui domina la presenza femminile.

5.5.

Nonostante il numero di lavoratrici affiliate ai sindacati, la partecipazione delle donne ai loro organi esecutivi progredisce molto lentamente. Le organizzazioni sindacali dovrebbero puntare a una composizione più mista per poter elaborare un piano d’azione sulle questioni di genere che sia realmente rappresentativo. Una situazione analoga si osserva negli organi decisionali delle organizzazioni dei datori di lavoro (pubbliche e private) e delle organizzazioni della società civile, che dovrebbero anch’essi puntare a una maggiore diversità in sede di elaborazione di strategie in materia di genere.

6.   Prospettive

6.1.

Uno degli obiettivi dell’Analisi annuale della crescita 2018 (6) è quello di sfruttare lo slancio positivo impresso dall’espansione economica attuale. L’analisi mette l’accento sulle riforme volte a stimolare gli investimenti in base alla «regola d’oro» nel capitale umano e nei settori sociali, e a migliorare il funzionamento dei mercati dei prodotti, dei servizi e del lavoro al fine di rafforzare la produttività e la crescita a lungo termine, nonché ad incrementare l’inclusione attraverso una spesa pubblica di migliore qualità, una più equa tassazione e una modernizzazione delle istituzioni pubbliche.

6.2.

L’analisi annuale della crescita può inoltre creare ulteriori tappe nell’intero ciclo del Semestre europeo, inserendo tutti i fattori che influenzano il divario retributivo di genere nelle relazioni nazionali e nelle raccomandazioni specifiche per paese.

6.3.

Il pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbe essere pienamente integrato in questo contesto, dal momento che la priorità va alle riforme volte a promuovere l’acquisizione di competenze da parte dei lavoratori, a favorire le pari opportunità sul mercato del lavoro e condizioni di lavoro eque, ad aumentare la produttività del lavoro per sostenere la crescita dei salari (in particolare quelli più bassi) e a rendere i sistemi di protezione sociale più adeguati e sostenibili.

6.4.

Il CESE si augura quindi che l’attuale contesto favorevole da attribuire a una certa crescita economica e al pilastro europeo dei diritti sociali possa dare un nuovo impulso alla riduzione del divario retributivo tra donne e uomini, e che il piano d’azione proposto si riveli realmente efficace. Qualora ciò non si realizzasse entro la fine del 2019, il CESE intende raccomandare alla Commissione di proporre misure legislative e non legislative al livello più adeguato, in particolare in materia di sanzioni e/o incentivi.

Bruxelles, 19 aprile 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Per una panoramica globale, cfr. la Relazione mondiale sul divario di genere 2017: https://www.weforum.org/reports/the-global-gender-gap-report-2017.

(2)  Risoluzione adottata dal comitato esecutivo della Confederazione europea dei sindacati (CES) nella riunione del 17 e 18 giugno 2015 sul tema della contrattazione collettiva quale valido strumento per ridurre il divario retributivo di genere.

(3)  Relazione congiunta sull’occupazione 2017 (Joint Employment Report 2017).

(4)  COM(2017) 678 final.

(5)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 44.

(6)  COM(2017) 690 final.


Allegato

Segue un elenco dei principali documenti elaborati allo scopo di ridurre le disuguaglianze di genere, in particolare il divario retributivo tra uomini e donne:

la direttiva riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (2006/54/CE), che ingloba il principio della parità retributiva sancito nei Trattati dell’UE dal 1957;

la Convenzione 100 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sull’uguaglianza di retribuzione (1951);

la raccomandazione della Commissione sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza [2014/124/UE] e la relazione della Commissione sull’attuazione della Raccomandazione C(2014) 1405 [COM(2017) 671 final];

l’impegno strategico della Commissione europea per la parità di genere 2016-2019;

la proposta di direttiva riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa e relative misure [COM(2012) 614 final];

la Dichiarazione di Roma del 2017;

la proclamazione interistituzionale del pilastro europeo dei diritti sociali, avvenuta il 17 novembre 2017 in occasione del vertice sociale per l’occupazione equa e la crescita di Göteborg (Svezia);

la proposta di direttiva relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza [COM(2017) 253 final]; e

il Piano d’azione dell’UE per il 2017-2019 — Affrontare il problema del divario retributivo di genere [COM(2017) 678 final].