ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 227

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

61° anno
28 giugno 2018


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

532a sessione plenaria del CESE, 14.2.2018 – 15.2.2018

2018/C 227/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo Trarre insegnamento dal passato per evitare il rigore delle politiche di austerità nell’UE (parere d’iniziativa)

1

2018/C 227/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Le trasformazioni industriali nel settore sanitario (parere d’iniziativa)

11

2018/C 227/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Il ruolo della Turchia nella crisi dei rifugiati (parere d’iniziativa)

20

2018/C 227/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sui Capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile (CSS) negli accordi di libero scambio (ALS) dell’UE (parere d'iniziativa)

27

2018/C 227/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Promozione di azioni a favore del clima da parte di attori non statali (parere esplorativo richiesto dalla Commissione europea)

35


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

532a sessione plenaria del CESE, 14.2.2018 – 15.2.2018

2018/C 227/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Appalti pubblici efficaci in Europa e per l’Europa [COM(2017) 572 final] — Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Sostegno agli investimenti mediante una valutazione ex ante volontaria degli aspetti relativi agli appalti per i grandi progetti infrastrutturali [COM(2017) 573 final] — Raccomandazione della Commissione del 3.10.2017 relativa alla professionalizzazione degli appalti pubblici — Costruire un’architettura per la professionalizzazione degli appalti pubblici [C(2017) 6654 final — SWD(2017) 327 final]

45

2018/C 227/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi nell’ambito dell’approccio integrato dell’Unione finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri e che modifica il regolamento (CE) n. 715/2007[COM(2017) 676 final — 2017/0293 (COD)]

52

2018/C 227/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2009/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio[COM(2017) 637 final]

58

2018/C 227/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), il regolamento (UE) n. 1094/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali), il regolamento (UE) n. 1095/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), il regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital, il regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale, il regolamento (UE) n. 600/2014 sui mercati degli strumenti finanziari, il regolamento (UE) 2015/760 relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine, il regolamento (UE) 2016/1011 sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e il regolamento (UE) 2017/1129 relativo al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato[COM(2017) 536 final — 2017/0230 (COD)] e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari e la direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (solvibilità II)[COM(2017) 537 final — 2017/0231 (COD)] e sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 1092/2010 relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico[COM(2017) 538 final — 2017/0232 (COD)]

63

2018/C 227/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea degli investimenti: Investire in un’industria intelligente, innovativa e sostenibile — Una rinnovata strategia di politica industriale dell’UE[COM(2017) 479 final]

70

2018/C 227/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2003/17/CE del Consiglio per quanto riguarda l’equivalenza delle ispezioni in campo effettuate in Brasile sulle colture di sementi di piante foraggere e di cereali e l’equivalenza delle sementi di piante foraggere e di cereali prodotte in Brasile, e per quanto riguarda l’equivalenza delle ispezioni in campo effettuate in Moldova sulle colture di sementi di piante di cereali, di ortaggi e di piante oleaginose e da fibra e all’equivalenza delle sementi di piante di cereali, di ortaggi e di piante oleaginose e da fibra prodotte in Moldova[COM(2017) 643 final — 2017/0297 (COD)]

76

2018/C 227/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un quadro applicabile alla libera circolazione dei dati non personali nell’Unione europea[COM(2017) 495 final — 2017/0228 (COD)]

78

2018/C 227/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo riguardo la Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’ENISA, l’Agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza, che abroga il regolamento (UE) n. 526/2013, e relativo alla certificazione della cibersicurezza per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (regolamento sulla cibersicurezza)[COM(2017) 477 final — 2017/0225 (COD)]

86

2018/C 227/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Analisi annuale della crescita 2018[COM(2017) 690 final]

95

2018/C 227/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 92/66/CEE del Consiglio che istituisce misure comunitarie di lotta contro la malattia di Newcastle[COM(2017) 742 final — 2017/0329 (COD)]

101

2018/C 227/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2016/1139 per quanto riguarda i tassi di mortalità per pesca e i livelli di salvaguardia per taluni stock di aringa nel Mar Baltico[COM(2017) 774 final — 2017/0348 COD]

102

2018/C 227/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga il regolamento (UE) n. 256/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla comunicazione alla Commissione di progetti d’investimento nelle infrastrutture per l’energia nell’Unione europea[COM(2017) 769 final — 2017/347 (COD)]

103


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

532a sessione plenaria del CESE, 14.2.2018 – 15.2.2018

28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo «Trarre insegnamento dal passato per evitare il rigore delle politiche di austerità nell’UE»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 227/01)

Relatore:

José LEIRIÃO

Decisione dell’Assemblea plenaria

21.1.2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

29.1.2018

Adozione in sessione plenaria

14.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

177/26/18

Preambolo

Nell’elaborazione del presente parere ci si è avvalsi del contributo dei rappresentanti delle istituzioni della società civile e delle parti sociali che siedono nei consigli economici e sociali dei tre Stati membri considerati (Grecia, Irlanda e Portogallo). Tale contributo è stato raccolto dalle delegazioni del CESE recatesi in missione in tali paesi allo scopo di conoscere e registrare il punto di vista e le testimonianze delle persone che subiscono gli effetti negativi sul piano sociale, nel settore imprenditoriale e nel quadro del dialogo sociale e civile delle politiche di austerità imposte dalla troika.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La prima lezione tratta dalla crisi è che l’area dell’euro non disponeva degli strumenti per far fronte alla crisi finanziaria. Il CESE esprime pertanto soddisfazione per l’ambizione mostrata dalla Commissione nel voler riformare l’area dell’euro in rapporto ad aspetti fondamentali, come l’abbandono delle politiche di austerità e l’approfondimento dell’Unione economica e monetaria. Il CESE ritiene che questi elementi rappresentino le basi per una grande alleanza a livello europeo che continui la ricostruzione di un «destino comune europeo» e riconquisti la fiducia di tutti i cittadini europei.

1.2.

Nella definizione dei programmi di aggiustamento si sono introdotti vari elementi d’incoerenza a diversi livelli, quali il coordinamento e l’articolazione tra i membri della troika (FMI, CE, BCE) in termini di pianificazione, valutazione della portata e previsione dei rischi potenziali derivanti dalla crisi; gli insegnamenti impartiti dalle crisi precedenti, di cui non sempre si è tenuto conto o che non erano applicabili nella nuova zona della moneta unica; un certo squilibrio tra i meccanismi dell’FMI e gli strumenti della politica macroeconomica dell’area dell’euro. Il CESE, pur prendendo atto della competenza specifica dell’FMI, raccomanda che, in future situazioni di crisi che colpiscano degli Stati membri dell’UE, le istituzioni dell’Unione europea siano le uniche responsabili per la definizione e l’attuazione dei programmi di aggiustamento. Se è necessario istituire dei partenariati con istituzioni esterne per affrontare la crisi, l’Unione europea e la zona dell’euro devono assumere la guida del processo e agire in conformità con i «valori europei», mediante un rafforzamento del dialogo sociale esistente e dei diritti civili e sociali vigenti nell’UE. La gestione delle crisi future deve perseguire un equilibrio migliore e maggiore tra gli obiettivi di bilancio, le finalità sociali e il potenziamento qualitativo del settore imprenditoriale.

1.3.

La crisi e i programmi di aggiustamento attuati nei tre Stati membri considerati (Grecia, Irlanda e Portogallo) hanno portato questi paesi a una situazione economica, finanziaria e sociale che, in alcuni casi, li ha fatti regredire di 20 anni, arrecando ai loro fattori produttivi e al funzionamento del mercato del lavoro dei danni permanenti o rimediabili solo nel lungo termine. Il CESE esorta la Commissione a elaborare «programmi complementari di ripresa economica e sociale», da applicare contestualmente al «programma di aggiustamento» o dopo il suo completamento, in modo da assicurare un rapido ritorno a un livello più competitivo che porti alla convergenza.

1.4.

La Commissione deve tornare a richiamarsi ai valori europei della solidarietà e adottare misure immediate a carattere straordinario che vengano in aiuto alle persone più svantaggiate che si trovano in uno stato di indigenza e di privazione per quanto riguarda il cibo, l’alloggio, l’assistenza medica e l’acquisto di medicinali. Il CESE raccomanda la creazione di un programma specifico per il rilancio della dimensione sociale che dovrà essere attuato nei paesi in cui sono stati o sono ancora applicati «programmi di aggiustamento». Tale programma di assistenza deve seguire i principi del pilastro europeo dei diritti sociali che è stato recentemente adottato dall’UE e applicato nei tre Stati membri considerati.

1.5.

L’attuazione delle politiche di austerità ha determinato un drastico aumento del numero di persone che vivono in condizioni di povertà (siano essi lavoratori occupati, disoccupati o inattivi, oppure senzatetto). Il CESE invita la Commissione a mettere urgentemente a punto una «strategia europea per l’eliminazione della povertà nell’UE e l’integrazione dei senzatetto» che possa debitamente contare su fondi destinati non solo alla costruzione di edifici di accoglienza adeguati, ma anche per programmi che forniscano una formazione specifica concepita per occupazioni corrispondenti alle competenze fornite da questi corsi di formazione, sia nel settore pubblico (a livello comunale) che in quello privato. È inoltre essenziale elaborare, assieme agli Stati membri, un piano di aiuto alle imprese e ai cittadini sovraindebitati, vista la loro incapacità di versare le quote di rimborso dei prestiti contratti, per evitare che diventino insolventi e che subiscano il sequestro conservativo delle loro abitazioni.

1.6.

Nell’area dell’euro le regole del Patto di stabilità e crescita, della procedura per i disavanzi eccessivi e del patto di bilancio, e le conseguenti politiche di austerità, sono molto penalizzanti per i paesi che ancora subiscono gli effetti della crisi, impedendo politiche di aumento degli investimenti pubblici e di sostegno alla creazione di posti di lavoro da parte del settore privato, dal momento che tali paesi sono soggetti a sanzioni e penalità severe in caso di mancato rispetto delle suddette regole. Questa situazione ha accentuato la disuguaglianza in Europa, poiché i paesi poveri diventano sempre più poveri per effetto del «circolo vizioso» in cui cadono a causa di questi vincoli. Il CESE raccomanda che il trattato di Lisbona venga modificato per affermare il primato delle politiche di cooperazione politica e di crescita economica, oltre che della solidarietà, come alternative reali alle politiche restrittive di austerità. Il CESE propone di esaminare se la «regola d’oro degli investimenti pubblici» potrebbe costituire uno strumento adeguato per stimolare gli investimenti pubblici nell’area dell’euro e assicurare non solo la crescita, la creazione di posti di lavoro, l’imprenditoria e le nuove competenze richieste dai lavori del futuro, ma anche per «l’equità intergenerazionale», garantendo la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche e anche una distribuzione equa dell’onere fiscale non solo tra le diverse generazioni ma anche tra le differenti classi sociali ed economiche, evitando di imporre un onere fiscale eccessivo su una a vantaggio di un’altra.

1.7.

Negli ultimi anni il tasso di disoccupazione è generalmente migliorato nell’UE, in particolare negli Stati membri soggetti ai «programmi di aggiustamento». È importante sottolineare che, in questo caso, tale risultato non è ascrivibile solo alla crescita economica, ma anche all’emigrazione di centinaia di migliaia di lavoratori e all’accelerazione dell’imposizione di modalità di lavoro a tempo parziale. Al tempo stesso, però, i tassi di povertà e privazione materiale continuano ad aumentare ai vari livelli, per effetto dei salari più bassi e della precarietà dei nuovi posti di lavoro: si è generata occupazione in attività collegate al turismo e in altre attività connesse che richiedono basse qualifiche e quindi, si creano sì più posti di lavoro, ma tale aumento non comporta un incremento della competitività né del valore aggiunto. Il CESE raccomanda che vengano messi a disposizione fondi specifici di sostegno finanziario destinati a creare posti di lavoro nei servizi sanitari e nei settori più colpiti dall’emigrazione (scienza, programmazione, nuove tecnologie, ingegneria e medicina), per favorire il ritorno dei migranti ai loro paesi di origine.

1.8.

La digitalizzazione, la robotica e l’intelligenza artificiale (AI) stanno introducendo profondi cambiamenti nell’economia, nel mercato del lavoro (con la comparsa, in particolare, di nuove forme di occupazione), nelle qualifiche e nella società, rimettendone in discussione le strutture, compresi gli stabilizzatori automatici, con la conseguenza di far aumentare in misura difficile da prevedere il numero degli esclusi. Il CESE raccomanda di esaminare ulteriormente l’idea attualmente ventilata di creare una «assicurazione di base e universale dell’UE contro la disoccupazione». Andrebbe inoltre esaminata anche la possibilità di fissare, a livello dell’UE, degli standard minimi per i regimi nazionali di disoccupazione, per rispondere efficacemente alle sfide e garantire una protezione sociale dignitosa per tutti e disponibile lungo tutto l’arco della vita lavorativa (15-65 anni). Per quanto riguarda la questione dell’eliminazione della povertà, la Commissione deve anche istituire un «reddito minimo di sussistenza» secondo un approccio e un’impostazione di respiro europeo che «non lascino indietro nessuno».

1.9.

I futuri «programmi di aggiustamento» devono tener conto di tutti gli aspetti e interessi connessi al dialogo sociale e civile, a cui devono partecipare i rappresentanti della società civile organizzata. Il CESE invita la Commissione a creare modelli econometrici «dal volto umano» che comprendano parametri di protezione della dimensione sociale e di valorizzazione delle imprese, in modo da conseguire il duplice obiettivo del benessere sociale e di un rinnovamento sostenibile della qualità del settore imprenditoriale. Le parti sociali e i rappresentanti della società civile devono formar parte del gruppo incaricato del monitoraggio e della valutazione del programma su un piano di parità con i rappresentanti dell’UE, della BCE e altri soggetti, in modo da valorizzare il ruolo costruttivo della società civile e assicurare che il modello economico e sociale non sia né svalutato né compromesso, come è avvenuto nei casi all’esame. Tutte le istituzioni che elaborano, monitorano e valutano i programmi di aggiustamento devono essere soggette al controllo democratico (ad esempio, i parlamenti nazionali). La valutazione e il controllo devono essere realizzati ogni sei mesi, oppure secondo un altro intervallo di tempo ritenuto adeguato, per evitare danni irreparabili e correggere gli errori a tempo debito. L’insieme degli indicatori relativi al monitoraggio macroeconomico deve essere completato con un «social scoreboard» (quadro di valutazione sociale) che deve andare al di là del PIL ed essere aggiornato in linea con il pilastro europeo dei diritti sociali.

1.10.

Il debito pubblico dei tre Stati membri aveva raggiunto cifre astronomiche e l’ammontare degli interessi dovuti rappresenta un vincolo che non solo ostacola gli investimenti pubblici nello sviluppo economico, ma riduce anche gli investimenti nel campo della protezione sociale, della salute, dell’istruzione, delle pensioni, delle indennità di disoccupazione e dell’assistenza ai gruppi più svantaggiati ed emarginati. Questi Stati membri, con l’eccezione dell’Irlanda, rimangono fortemente indebitati e la situazione è aggravata dall’esposizione alla speculazione sui mercati finanziari. Il CESE raccomanda alla Commissione di inserire tale questione in cima all’agenda dell’UE e di dare seguito alle conclusioni del gruppo di esperti, che essa stessa ha nominato nel luglio 2013, su un fondo di mutualizzazione del debito e titoli di debito in euro (Expert Group on a debt redemption fund and eurobills — gruppo di esperti sul rimborso del debito e le eurobbligazioni). Il CESE esprime inoltre compiacimento per il piano di allentamento monetario quantitativo («quantitative easing») della BCE volto ad acquistare titoli del debito pubblico degli Stati membri; tale piano ha aiutato in modo rilevante — se non determinante — la ripresa economica e la gestione del debito pubblico negli Stati membri soggetti a «programmi di aggiustamento».

1.11.

A 60 anni dalla sua nascita, il progetto europeo è posto di fronte a gravi sfide che fanno nascere dubbi sul suo futuro, anche in rapporto alle conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’UE (la cosiddetta «Brexit»). Uno dei motivi dell’allontanamento della società civile dalle strutture di governance della Commissione è che l’Unione europea è venuta meno alle aspettative dei cittadini per quanto riguarda la convergenza economica e la crescita inclusiva. Sebbene si siano recentemente registrati alcuni segnali di crescita, l’area dell’euro nel suo insieme ha perso un decennio, dato che solo nel 2015 il PIL ha raggiunto i livelli anteriori alla crisi del 2008. Il CESE ritiene necessaria un’iniziativa che sia al tempo stesso pragmatica e ambiziosa, volta a riformare l’Unione economica e monetaria per renderla più resiliente e perché essa sia dalla parte dei cittadini. Questa riforma deve portare a un migliore coordinamento delle politiche economiche, nonché a un rinnovamento che associ in modo intelligente l’Europa centrosettentrionale, più basata sulle regole della concorrenza nel mercato, all’Europa meridionale, basata su una maggiore solidarietà, sulla condivisione dei rischi e sull’integrazione; occorre inoltre evidenziare che l’Unione europea non può rinunciare a una politica di solidarietà, specialmente in situazioni estreme, come l’impoverimento, le disuguaglianze di reddito e la gestione dei flussi migratori, né persistere nell’idea che ogni Stato membro possa fare da sé.

1.12.

Le agenzie di rating hanno avuto un’influenza determinante nel violento scoppio della crisi del debito sovrano. La loro credibilità è discutibile, visto che fino al momento in cui, nel 2008, all’inizio della crisi finanziaria negli Stati Uniti, la banca d’affari Lehman Brothers dichiarò bancarotta, essa aveva costantemente ottenuto la valutazione massima dalle agenzie di rating. Il CESE invita la Commissione ad adoperarsi per proporre la creazione a livello internazionale di un organo indipendente che abbia il compito di valutare la credibilità e l’adeguatezza delle valutazioni realizzate. La Commissione deve inoltre proporre la creazione di un’agenzia europea di rating.

1.13.

Il CESE raccomanda che la gestione delle future crisi all’interno dell’Unione europea persegua un maggiore equilibrio tra gli obiettivi di bilancio e quelli sociali, nell’ottica di superare un’impostazione puramente macroeconomica nella gestione degli squilibri e di tener conto anche di altri questioni come: le disuguaglianze in termini di reddito e ricchezza, la riduzione della povertà, la solidità e competitività del settore imprenditoriale, la crescita e l’occupazione inclusive, i cambiamenti climatici, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la corruzione. Occorre pensare e agire tenendo presente che «esistono cittadini e vite umane al di là dei disavanzi».

2.   Introduzione generale

2.1.

La crisi finanziaria in Grecia, Irlanda e Portogallo è scoppiata a causa dell’effetto domino generato dalla crisi finanziaria che aveva avuto origine negli Stati Uniti. La crisi si è poi acutizzata a causa della partecipazione di questi tre Stati all’area dell’euro, che ha portato a un’espansione economica fuori controllo per effetto dell’allentamento dei criteri di controllo della spesa pubblica e di vigilanza bancaria. A tale situazione si è aggiunto il fatto che le imprese pubbliche hanno continuato a contrarre prestiti con garanzia dello Stato, con la conseguenza di un aumento molto rilevante della spesa pubblica. Il risultato è stato una crescita rapida e fuori controllo dei disavanzi di bilancio, con conseguenti effetti negativi sulla bilancia commerciale e sulla bilancia dei pagamenti.

2.2.

La liberalizzazione finanziaria e l’espansione smisurata del credito bancario, spinta dalle pratiche aggressive di vendita adottate dalle banche, ha generato un indebitamento eccessivo non solo delle famiglie e delle PMI, che non sono più riuscite a rimborsare i debiti, ma anche del settore bancario, con un conseguente aumento dei crediti deteriorati per effetto della speculazione, mettendo così a rischio il regolare funzionamento del settore bancario. La politica di bilancio dei governi ha continuato a essere prociclica, portando a un pericoloso peggioramento del disavanzo di bilancio e del debito sovrano, lasciando i tre Stati membri molto esposti alle speculazioni sui prestiti manovrate da investitori internazionali. A causa di queste cattive pratiche, il gettito delle imposte pagate dai cittadini è stato utilizzato per evitare che le grandi banche dichiarassero fallimento e, in tal modo, il debito sovrano è aumentato ulteriormente.

2.3.

La crisi mondiale iniziata negli anni 2007 e 2008 ha messo a nudo le debolezze di una moneta ancora giovane e ha colpito pesantemente l’area dell’euro (tra il 3o trimestre del 2011 e il 1o trimestre del 2013). Anche se i primi Stati membri a risentirne non facevano parte dell’area dell’euro, la verità è che, quando si sono percepite vulnerabilità in alcuni paesi dell’area dell’euro, le perturbazioni sono diventate significative. Gli Stati membri colpiti hanno dovuto adottare decisioni difficili e utilizzare il denaro dei contribuenti per sostenere finanziariamente le banche ed evitarne il tracollo. Le banche stavano infatti attraversando delle difficoltà dopo lo scoppio della bolla immobiliare e di quella finanziaria, che negli anni precedenti si erano sviluppate ed erano aumentate di volume. Tutti questi fattori, associati alle minori entrate e alle ingenti spese risultanti dalla «grande recessione», hanno portato a un aumento significativo dei livelli del debito pubblico nell’UE, che è passato in media dal 70 % al 92 % del PIL nel 2014 (1).

2.4.

Nel frattempo, le agenzie di rating avevano assegnato al debito di Grecia, Irlanda e Portogallo la valutazione di «titolo spazzatura», spingendo gli investitori internazionali ad alzare i tassi di interesse fino a livelli che rendevano impraticabile per questi Stati membri il finanziamento del disavanzo di bilancio con il ricorso ai mercati finanziari. Al fine di evitare una situazione di «fallimento», questi Stati membri si sono allora rivolti alla Commissione europea chiedendo prestiti a tassi d’interesse più accessibili allo scopo di finanziare la loro attività corrente e, quindi, almeno pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici ed erogare le prestazioni sociali. La Commissione ha chiesto l’aiuto dell’FMI, data la sua vasta esperienza in questo campo, al fine di costituire un consorzio (troika), formato dalla Commissione stessa, dalla BCE e dall’FMI. Il consorzio ha prestato a quegli Stati membri i fondi necessari per evitare l’inadempimento, ma l’erogazione delle risorse finanziarie ha implicato l’accettazione dei «programmi di aggiustamento economico, finanziario e di bilancio» che avevano i seguenti obiettivi generali:

riforme strutturali per stimolare la crescita potenziale, la creazione di posti di lavoro, il miglioramento della competitività e la riduzione del disavanzo strutturale (si noti che durante tale periodo — e per effetto delle politiche applicate in questo lasso di tempo — la disoccupazione è aumentata in modo esponenziale contestualmente al tracollo e all’insolvenza di migliaia di imprese, il dialogo sociale è stato sospeso e la normativa sul lavoro è stata modificata in modo pregiudizievole per i lavoratori), il risanamento di bilancio mediante misure strutturali e un controllo migliore e più efficace delle entrate e delle spese;

la riduzione dell’indebitamento del settore finanziario e la ricapitalizzazione delle banche;

la ricapitalizzazione delle banche è stata realizzata attraverso la costituzione di garanzie e l’assunzione di responsabilità da parte degli Stati membri, con la conseguenza di contribuire all’aumento esponenziale del debito sovrano.

2.5.

Tali misure, note come «misure di austerità», hanno avuto un impatto devastante non solo sulle persone che già stavano lottando contro l’aumento della disoccupazione e alti livelli di indebitamento, ma anche sulle imprese, in particolare sulle PMI, che erano alle prese con la scarsità di credito bancario e la riduzione molto significativa dell’attività economica. La troika ha dimostrato una totale indifferenza per le drammatiche conseguenze delle sue politiche sul piano sociale e sul sistema imprenditoriale, con ripercussioni più gravi per i piccoli e i medi imprenditori.

2.6.

Il CESE riconosce che la crisi, per le sue dimensioni, ha messo davvero a dura prova la tenuta economica, sociale ed anche politica dell’Unione europea, in generale, e dell’Unione economica e monetaria (UEM), in particolare. È apparso chiaro che, per prevenire le crisi, non è sufficiente considerare la dimensione quantitativa della crescita economica di uno Stato membro, perché è altrettanto indispensabile valutare la qualità della crescita stessa, individuando i fattori macroeconomici alla base della sostenibilità o meno di tale dinamica (2). Se questo tipo di controllo fosse stato realizzato in maniera efficace, la crisi non avrebbe certamente raggiunto proporzioni catastrofiche negli Stati membri considerati.

3.   Riassunto degli avvenimenti che hanno portato all’intervento della troika in Portogallo

3.1.

Pur in presenza di tariffe e dazi doganali di livello elevato e con una propria moneta in circolazione che rendeva possibili le svalutazioni, tra il 1974 e il 1995 il disavanzo registrato dalla bilancia commerciale era in media del 9,1 % del PIL, mentre nel periodo dal 1996 al 2010, quindi anche nel periodo successivo all’adozione dell’euro, il disavanzo medio della bilancia commerciale si attestava all’8,5 % del PIL. Di fronte a questi dati, non è possibile attribuire all’euro la responsabilità della perdita di competitività.

3.2.

Pertanto, il motivo principale della crisi del debito pubblico che ha colpito il Portogallo non risiede in una perdita di competitività del settore delle esportazioni, ma nell’eliminazione, per effetto dell’adozione dell’euro, degli stabilizzatori automatici, che contribuivano a mantenere il debito estero netto su livelli accettabili e a tenere sotto controllo il disavanzo di bilancio. La spiegazione delle cause della crisi portoghese ha portato a concepire una ricetta nuova — e molto diversa da quella adottata dalla troika — per rispondere nel modo migliore a questa crisi (3).

3.3.

Il pacchetto finanziario di 78 miliardi di euro (circa il 45 % del PIL) copriva il periodo dal 2011 al 2014 ed era accompagnato dalla promessa di salvaguardare la stabilità finanziaria del Portogallo, dell’area dell’euro e dell’Unione europea. Il programma si componeva di 222 misure che riguardavano vari settori e, durante la sua attuazione, è stato riveduto varie volte con l’introduzione di misure di austerità ancora più rigorose. Tali misure erano considerate nel loro insieme come un piano di vasta portata volto a riformare completamente il paese (4).

4.   Riassunto degli avvenimenti che hanno portato all’intervento della troika in Irlanda

4.1.

Al momento dell’adesione dell’Irlanda all’UE, il reddito medio era pari al 63 % della media europea per arrivare, dopo alcuni anni, al 125 %, superando quindi tale media e mantenendo tutt’oggi tale livello, malgrado la gravità della crisi. Il periodo «d’oro» della crescita economica ha coinciso con il periodo tra il 1994 e il 2000, quando il PIL è aumentato in media del 9,1 % l’anno. Tuttavia, nel periodo tra il 2008 e il 2010 il PIL è crollato, contraendosi di circa il 13 % l’anno. La domanda interna è entrata in caduta libera all’inizio del 2008. La politica di austerità attuata in seguito al programma di aggiustamento finanziario ha fatto perdere un decennio (5).

4.2.

Nei primi anni dall’introduzione dell’euro e fino al 2007/2008, l’Irlanda ha attraversato una fase di espansione del settore immobiliare con un aumento rilevante del prezzo degli immobili. L’espansione del credito si è concentrata soprattutto nell’erogazione di prestiti immobiliari a carattere speculativo. Quando è scoppiata la crisi finanziaria ed è terminata l’ascesa dei prezzi nel settore immobiliare, le entrate fiscali hanno subito un crollo drastico, dato che erano strettamente legate all’espansione del settore immobiliare; ne sono risultati un aumento considerevole del disavanzo, che si è contestualmente ripercosso molto negativamente sul sistema finanziario, e il successivo crollo delle quotazioni di Borsa delle principali banche irlandesi (6).

4.3.

Il 21 novembre 2010 l’Irlanda è diventato il secondo paese dell’area dell’euro a chiedere assistenza finanziaria. Il programma consisteva in un prestito di 85 miliardi di euro, 35 dei quali erano per il sistema finanziario (7). Il 14 novembre 2013 l’Eurogruppo è giunto alla conclusione che il programma di aggiustamento economico era stato coronato da successo e che, per tale motivo, l’Irlanda sarebbe potuta uscire dal programma entro la fine dell’anno.

5.   Riassunto degli avvenimenti che hanno portato all’intervento della troika in Grecia

5.1.

Tra il 2001 e il 2007 l’economia greca è stata, dopo quella irlandese, l’economia con il tasso di crescita più alto nell’area dell’euro, con una crescita media pari al 3,6 % del PIL tra il 1994 e il 2008. Tuttavia, durante questo periodo di crescita ininterrotta, la debolezza del sistema politico a livello nazionale ed europeo ha portato all’acuirsi degli squilibri macroeconomici endemici e delle fragilità strutturali.

5.2.

Nel periodo 1974-2009 il tasso di risparmio nazionale è calato di circa 32 punti percentuali, alimentando il disavanzo delle partite correnti e l’aggravarsi di un debito estero cronico. La spesa pubblica fuori controllo, associata all’incapacità di assicurare un’adeguata riscossione delle imposte, ha portato all’accumularsi del debito pubblico (8).

5.3.

Nell’agosto del 2015 è stato concordato un terzo programma di stabilità mediante un supplemento al memorandum di intesa in cui sono state dettagliatamente specificate le condizioni a livello politico, compresa una valutazione dell’impatto sociale. Lo scopo del supplemento era arricchire il processo negoziale con un contributo della Commissione, nonché servire da guida per il seguito e il monitoraggio del programma durante la sua attuazione. Questa intenzione è il risultato dell’insistenza e degli orientamenti del presidente Jean-Claude Juncker che nel 2014 ha detto: «Propongo che in futuro, qualsiasi programma di sostegno e di riforma implichi non soltanto una valutazione della sostenibilità di bilancio, ma anche una valutazione dell’impatto sociale. Bisogna discutere pubblicamente gli effetti sociali delle riforme strutturali […]». La Commissione è pienamente cosciente della situazione sociale in Grecia e ritiene che il miglioramento di tale situazione sia essenziale per conseguire una crescita sostenibile e inclusiva (9).

5.4.

Con decisione del Consiglio europeo del 15 giugno 2017, è stato concesso alla Grecia un prestito supplementare per aiutare la ripresa economica, finanziaria e sociale del paese.

6.   I risultati macroeconomici, sociali e finanziari raggiunti in seguito al programma di aggiustamento

6.1.

In generale, si può affermare che l’unico elemento positivo ascrivibile ai «programmi di aggiustamento economico» è stata la possibilità per due Stati membri (ossia, Irlanda e Portogallo) di uscire dalla «procedura per i disavanzi eccessivi» e riconquistare l’accesso ai mercati finanziari a condizioni di finanziamento accettabili. La riduzione del disavanzo di bilancio e l’aumento delle esportazioni hanno contribuito a migliorare il saldo delle partite correnti (beni, servizi e capitali) e anche la crescita economica e l’occupazione registrano miglioramenti dal 2014. Tutti gli altri indicatori continuano a segnalare effetti drammatici sul benessere della società e una svalutazione dei fattori macroeconomici, conseguenze che perdureranno molto a lungo. Alcuni dei danni causati, come l’emigrazione di persone altamente qualificate, con effetti negativi sulla crescita potenziale in termini di innovazione e sviluppo nei paesi di origine, nonché il drastico aumento della povertà e delle disuguaglianze di reddito, d’accesso all’assistenza sanitaria di base e di benessere della popolazione, saranno permanenti (10).

7.   Gli insegnamenti tratti che devono spingere a introdurre cambiamenti e novità nelle politiche europee

7.1.

L’Unione europea e la zona euro hanno mostrato di essere completamente impreparate ad affrontare una crisi finanziaria nei loro Stati membri e tale incapacità le hanno portate a seguire integralmente le proposte dell’FMI, invece di adattarle ai valori e ai modelli comuni europei della solidarietà. Nel caso della Grecia, l’Unione europea ha perso tempo prezioso prima di reagire di fronte al problema e le sue proposte iniziali non sono state né chiare né risolutive; ad esempio, l’ammontare totale del prestito necessario è stato modificato varie volte a causa delle esitazioni della Commissione, rendendo così possibili le speculazioni sui mercati e aggravando una situazione già di per sé sfavorevole.

7.2.

I programmi di aggiustamento economico, finanziario e di bilancio attuati in Grecia, Irlanda e Portogallo sono stati elaborati dall’FMI e in parte rispecchiavano la stessa logica seguita dall’FMI nelle crisi degli anni ‘80 in Africa e degli anni ‘90 in alcuni paesi asiatici. In questi paesi la svalutazione della moneta attraverso il meccanismo del tasso di cambio si era rivelata efficace per preservare la crescita e allentare le tensioni sulla bilancia dei pagamenti, allo scopo di conseguire la stabilità macroeconomica — in particolare il risanamento di bilancio e la stabilizzazione dell’inflazione — e favorire le esportazioni (1). La novità nel caso di Grecia, Irlanda e Portogallo era che i programmi venivano per la prima volta attuati in una zona con una moneta unica (senza la possibilità di ricorrere alla svalutazione valutaria) e in Stati facenti parte dell’Unione europea e della zona euro. In rapporto ai suddetti Stati membri, essendo gli obiettivi quelli della correzione degli squilibri esterni e di bilancio e del ristabilimento della fiducia, l’FMI ha ritenuto che fosse necessario operare un riorientamento significativo dell’economia in una situazione di bassa crescita attesa del PIL(2). Di conseguenza, i programmi di aggiustamento puntavano a conseguire il risanamento di bilancio attraverso politiche di austerità che prevedevano tagli netti alla spesa pubblica e misure strutturali a lungo termine — come la riforma fiscale e retributiva e le modifiche al diritto del lavoro — allo scopo di ridurre i disavanzi e aumentare le entrate dello Stato. Questa politica di austerità è stata attuata attraverso una «svalutazione interna delle componenti del modello economico e sociale».

7.3.

La valutazione generale dei programmi dell’FMI che è stata condotta nel luglio 2016 dal suo Ufficio di valutazione indipendente (IEO) evidenzia che, sebbene l’attività di vigilanza precedente la crisi avesse correttamente individuato i problemi nei tre Stati membri, sono stati commessi degli errori in termini di previsione e misurazione della dimensione dei rischi che successivamente hanno avuto un’importanza fondamentale per gli effetti negativi e hanno contribuito a uno squilibrio nell’esecuzione dei programmi di aggiustamento. Si menzionano altresì incoerenze sul piano del coordinamento tra i partner della troika, oltre che per quanto concerne l’attuazione e la conformità agli strumenti della zona euro (Unione economica e monetaria, Patto di stabilità e di crescita, procedura per i disavanzi eccessivi e semestre europeo), aggiungendo anche che la composizione delle delegazioni incaricate delle negoziazioni e la ripartizione delle responsabilità tra i loro membri non sono state chiaramente definite e non si sono sempre seguiti gli insegnamenti tratti dalle crisi del passato.

7.3.1.

Le misure di austerità hanno portato a un «circolo vizioso» in cui l’austerità ha generato la recessione, seguita a sua volta da una maggiore austerità che ha portato a una situazione catastrofica con la contrazione del PIL (che è sceso a livelli di 10 o 20 anni fa), la riduzione della spesa per investimenti nel settore pubblico e in quello privato, il collasso del sistema bancario, che ha portato al fallimento del sistema produttivo (PMI, imprese familiari e lavoratori autonomi), e un rigore disastroso a tutti i livelli della protezione sociale.

7.4.

In linea generale, gli errori e le incoerenze nell’elaborazione di programmi di assistenza sono stati i seguenti:

è stata trascurata la dimensione strutturale della crisi,

il livello di indebitamento delle imprese e delle famiglie è stato sottovalutato,

il peso della domanda interna per la crescita e la creazione di posti di lavoro è stato sottostimato,

la riforma dello Stato non ha affrontato aspetti strutturali d’importanza fondamentale,

la riforma strutturale dell’economia si è ridotta a una svalutazione dei fattori di competitività interna (salari, orario di lavoro più esteso, riforma punitiva del lavoro, drastico aumento della tasse ecc.),

l’orizzonte temporale per l’attuazione dei programmi era troppo ravvicinato,

è estremamente difficile raggiungere contemporaneamente l’equilibrio interno e quello esterno quando su entrambi i fronti esistono disavanzi molto elevati,

le misure per il risanamento del bilancio, applicate soprattutto sul fronte della spesa in una situazione di grave recessione, oltre che in un contesto in cui il paese interessato non dispone di meccanismi per la svalutazione della moneta e i paesi partner stanno attuando misure identiche, non hanno prodotto i risultati sperati in nessun paese del mondo e in nessuna epoca storica. I loro effetti sono ormai ampiamente considerati recessivi nel breve termine e le cicatrici lasciate nell’economia sono spesso permanenti,

l’inadeguatezza dei moltiplicatori fiscali ha portato a errori grossolani.

7.5.

Un «programma di aggiustamento» deve non solo tener conto di ogni aspetto e dialogo politico che sia importante per il successo del programma stesso, ma deve anche prevedere sempre degli «indicatori dell’impatto distributivo» delle misure di aggiustamento, con particolare attenzione all’individuazione degli effetti sul piano sociale e sulle imprese, ai più diversi livelli. Vanno inoltre individuate le misure di compensazione con cui questi effetti negativi (ad esempio, fallimento delle imprese, aumento del tasso di disoccupazione, riduzione dei salari, aumento della povertà e dell’emigrazione) possono essere affrontati con successo attraverso programmi di rilancio, per evitare situazioni sociali drammatiche, compresa l’emigrazione. Tutti i settori devono risultare vincenti: non ci devono essere vincitori e perdenti, come è successo con i programmi attuati in Grecia, Irlanda e Portogallo.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Easterly 2002; FMI (2010) Greece Request for Stand By Arrangement; Country report no 10/110, May; Documento di riflessione sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria, Commissione europea, 31 maggio 2017

(2)  Cfr. il parere del CESE sul tema Correzione degli squilibri macroeconomici, GU C 218 del 23.7.2011, pag. 53.

(3)  ZBW — Leibniz Information Centre of Economics (Intereconomics 2013).

(4)  ZBW — Leibniz Information Centre of Economics (Intereconomics 2013).

(5)  ZBW — Leibniz Information Centre of Economics (Intereconomics 2013).

(6)  Studio del CESE «The impact of anti-crisis measures and the social and employment situation: Ireland» (2013) (L’impatto delle misure anticrisi e la situazione sociale e occupazionale: l’Irlanda).

(7)  ZBW — Leibniz Information Centre of Economics (Intereconomics 2013).

(8)  Studio del CESE «The impact of anti-crisis measures and the social and employment situation: Greece» (2013) (L’impatto delle misure anticrisi e la situazione sociale e occupazionale: la Grecia).

(9)  Studio dell’unità Assistenza alla governance economica del Parlamento europeo sul tema The Troika and financial assistance in the euro area: successes and failures (febbraio 2014).

(10)  Cfr. l’allegato 1 con i principali indicatori statistici


ALLEGATO 1

Indicatori fondamentali di riferimento

Indicatori fondamentali

Grecia

Irlanda

Portogallo

 

2008

2013

2016

2008

2013

2016

2008

2013

2016

Tasso totale di disoccupazione

8 %

27,5  %

23,4  %

6,4  %

13,1  %

6,9  %

7,8  %

16,2  %

10,5  %

Tasso di disoccupazione giovanile (fascia di età: 15-24 anni)

22 %

58,3  %

48 %

12,8  %

27,5  %

16 %

16,5  %

38,1  %

28 %

Tasso di povertà

28,7  %

35,7  %

36,4  %

22,3  %

30,5  %

26 %

19,7  %

24 %

23,1  %

Crescita del PIL

-0,3  %

-3,2  %

2,1  %

-4,4  %

1,1  %

5,2  %

0,2  %

-1,1  %

1,4  %

Disavanzo di bilancio in % del PIL

-7,7  %

-6,1  %

-1,2  %

-7 %

-7,2  %

0,5  %

-2,6  %

-2,9  %

-2,1  %

Debito pubblico in % del PIL

100 %

177,9  %

178,8  %

42,4  %

119,5  %

75,4  %

71,7  %

129 %

130,4  %

Fonte: Eurostat

Gli effetti sociali e gli effetti sulla struttura delle imprese del programma di austerità in Portogallo

I redditi da lavoro sono diminuiti del 12 % tra il 2009 e il 2014.

La diminuzione dei redditi è stata estremamente diseguale e largamente regressiva, interessando soprattutto la «classe media», le fasce più povere della società e le imprese familiari.

Il calo del 5 % dei redditi in Portogallo è stato in controtendenza rispetto all’andamento registrato in Europa, dove il reddito delle famiglie è cresciuto del 6,5 % (tra il 2009 e il 2013).

Si è registrato un forte aumento delle diseguaglianze per effetto sia della contrazione dei salari più bassi che del significativo aumento del «lavoro precario», che ha comportato un incremento del numero degli occupati in condizioni di povertà lavorativa.

Con l’aggravarsi della povertà di reddito, il tasso di povertà è aumentato dell’1,8 %, passando dal 17,7 % al 19,5 %, e il numero di poveri ha superato i 2,02 milioni di persone nel 2014.

La riduzione delle risorse a disposizione delle fasce più povere della popolazione si è ripercossa sui gruppi più vulnerabili (anziani e bambini).

Durante l’applicazione del programma di aggiustamento oltre 400 000 portoghesi sono emigrati, soprattutto persone con qualifiche scientifiche e tecniche di alto livello (1), e migliaia di imprese (principalmente PMI e imprese a conduzione familiare) sono fallite.

Gli effetti sociali e gli effetti sulla struttura delle imprese del programma di austerità in Irlanda

Nel 2009 il reddito minimo garantito è stato ridotto del 15 %, ma è stato poi riportato al suo livello originale nel 2011.

L’aggiustamento dei mercati della costruzione e del commercio al dettaglio ha comportato pesanti perdite di posti di lavoro in questi settori (2) a seguito del fallimento di migliaia di imprese.

Il tasso di disoccupazione è salito dal 6,4 % nel 2008 fino al 15 % nel 2012, e tale aumento ha riguardato soprattutto la disoccupazione di lunga durata e quella giovanile, che era in linea con i tassi osservati nei paesi del sud dell’Europa (circa il 30 %).

Dal 2008 in avanti l’emigrazione è aumentata rapidamente (82 000 persone emigrate nel solo 2012).

Le prestazioni sociali sono state ridotte di circa il 15 %.

In aggiunta ai tagli nel settore pubblico e alle prestazioni sociali, è stata seguita la strategia di ridurre i dipendenti del settore pubblico (sanità, istruzione, sicurezza e funzione pubblica) attraverso dimissioni volontarie.

Il reddito netto nel decile inferiore è calato del 25 %.

La percentuale di persone a rischio di povertà è aumentata al 15,8 % (pari a circa 700 000 persone, di cui 220 000 minori) (3).

La completa sospensione dei progetti nel settore della costruzione ha creato una carenza della disponibilità di alloggi, che è durata dieci anni dopo il crollo. Le imprese collegate a tale settore, soprattutto PMI, sono state duramente colpite, determinando conseguenze estremamente negative per i datori di lavoro e i lavoratori.

Gli effetti sociali e gli effetti sulla struttura delle imprese del programma di austerità in Grecia

La crisi e le politiche anticrisi attuate in Grecia hanno avuto effetti diretti e secondari che hanno influito negativamente sulle imprese (fallimenti), sull’occupazione e sulla situazione sociale. Le ripercussioni sono state avvertite in modo non uniforme dai lavoratori, dai pensionati, dai contribuenti e dalle loro famiglie:

il tasso di disoccupazione era del 13,5 % nell’ottobre del 2010 ed è arrivato al 27,5 % nel 2013;

la disoccupazione giovanile continua ad aggirarsi intorno al 45,5 %;

agli elevati tassi di disoccupazione sono legate gravi perdite di reddito;

le nette decurtazioni dei salari e delle pensioni, associate ai lavori a tempo parziale, al sovraindebitamento e all’alto livello delle imposte, hanno ridotto drasticamente i redditi delle famiglie, hanno eroso il potere di acquisto e hanno spinto ai margini della società ampi segmenti della popolazione;

le organizzazioni della società civile hanno dovuto far fronte a gravi problemi finanziari, il che ha reso loro impossibile partecipare sistematicamente al dialogo sociale e civile o far fronte adeguatamente alle sfide emergenti. Ciò può ridurre la qualità della democrazia, dal momento che può comportare a una rappresentanza non adeguata dei vari interessi economici e sociali;

i meccanismi di sorveglianza del mercato offerti dalla società civile si stanno degradando a causa della mancanza di risorse umane e finanziarie, con conseguenti disparità in termini di protezione per un’ampia gamma di interessi, ivi compresi quelli dei consumatori;

i livelli di protezione sociale, d’istruzione e di salute si sono notevolmente abbassati a seguito dei tagli (4);

la situazione è ancora drammatica per quanto concerne l’accesso ai servizi sanitari, l’acquisto di medicinali e la protezione sociale;

tali situazioni hanno portato alla crescita dei livelli di povertà, un fenomeno che colpisce oltre il 20 % della popolazione, con un incremento delle disuguaglianze.


(1)  Desigualdade de rendimento e Pobreza em Portugal -Fundação Francisco Manuel dos Santos, settembre 2016 (Le disuguaglianze di reddito e la povertà in Portogallo).

(2)  Studio del CESE «The impact of anti-crisis measures and the social and employment situation: Ireland» (2013) (L’impatto delle misure anticrisi e la situazione sociale e occupazionale: l’Irlanda).

(3)  ZBW — Leibniz Information Centre of Economics (Intereconomics 2013).

(4)  Studio del CESE «The impact of anti-crisis measures and the social and employment situation: Greece» (2013) (L’impatto delle misure anticrisi e la situazione sociale e occupazionale: la Grecia).


ALLEGATO 2

Nel corso della discussione del parere, il seguente emendamento è stato respinto ma ha ottenuto oltre un quarto dei voti espressi:

Punto 1.7.

Modificare come segue:

 

La digitalizzazione, la robotica e l’intelligenza artificiale (AI) stanno introducendo profondi cambiamenti nell’economia, nel mercato del lavoro (con la comparsa, in particolare, di nuove forme di occupazione), nelle qualifiche e nella società, rimettendone in discussione le strutture, compresi gli stabilizzatori automatici, con la conseguenza di far aumentare in misura difficile da prevedere il numero degli esclusi. Il CESE raccomanda alla Commissione di creare una «assicurazione di base e universale dell’UE contro la disoccupazione» per rispondere efficacemente alle sfide e garantire una protezione sociale dignitosa per tutti e disponibile lungo tutto l’arco della vita lavorativa (1565 anni). Per quanto riguarda la questione dell’eliminazione della povertà, la Commissione deve anche istituire un «reddito minimo di sussistenza» secondo un approccio e un’impostazione di respiro europeo che «non lascino indietro nessuno».

Motivazione

La proposta in questa forma non è realistica e del resto non rientra neppure nelle competenze della Commissione.

L’emendamento è stato respinto con 129 voti contrari, 74 voti favorevoli e 13 astensioni.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Le trasformazioni industriali nel settore sanitario»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 227/02)

Relatore:

Joost VAN IERSEL

Correlatore:

Enrico GIBELLIERI

Decisione dell’Assemblea plenaria

1.6.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

23.1.2018

Adozione in sessione plenaria

14.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

Unanimità (163 voti favorevoli)

1.   Conclusioni

1.1.

L’industria della tecnologia medica, oggetto del presente parere, svolge un ruolo importante nel quadro delle trasformazioni in atto nel settore sanitario, a vantaggio dei pazienti e di un’assistenza sanitaria in Europa basata sul valore.

1.2.

Un aspetto importante è rappresentato dall’elevato grado di personalizzazione dell’assistenza sanitaria che assicura condizioni di parità e miglioramenti per quanto riguarda l’accesso e la qualità. La tecnologia e ampie fonti di dati anonimi faciliteranno notevolmente nuovi trattamenti e interventi, e saranno utili in tutte le fasi di prevenzione e convalescenza. Il recupero del malato avviene sempre più spesso al di fuori delle strutture ospedaliere per mezzo delle tecnologie di sanità elettronica.

1.3.

La sussidiarietà è un principio prudentemente difeso nei sistemi sanitari, in quanto servizi di interesse generale. Il settore medico e la sua organizzazione sono assai decentrati e frammentati. Occorre ridurre le barriere nazionali e regionali per ottimizzare i risultati delle nuove tecnologie e migliorare l’efficienza e l’efficacia, in linea con gli obiettivi (definiti pubblicamente) dei sistemi sanitari.

1.4.

L’interazione in atto tra la grande varietà dei soggetti coinvolti (ministeri nazionali, associazioni di pazienti, personale medico e altro personale del settore sanitario, ospedali, compagnie di assicurazione e autorità di vigilanza) è all’origine della notevole complessità del contesto in cui operano gli attori industriali, in particolare le PMI.

1.5.

Si ritiene inoltre che il processo di trasformazione industriale tenga nel dovuto conto i valori e i principi comuni fondanti dei sistemi sanitari europei, definiti dal Consiglio nel 2006 (1) e confermati in recenti impegni nel quadro del pilastro sociale dell’UE e degli obiettivi concordati di sviluppo sostenibile (2).

1.6.

L’industria ha bisogno della dimensione europea quale premessa per un mercato interno affidabile, oltre che per sviluppare una resilienza sufficiente a livello internazionale. L’UE è di fondamentale importanza per assicurare una maggiore parità di condizioni, nonché per guidare e monitorare i processi di trasformazione.

1.7.

I principali soggetti interessati e gli Stati membri dovrebbero definire approcci ottimali e impegni per quanto riguarda l’accesso e la qualità dei servizi sanitari e di assistenza, l’accessibilità economica e la prevenzione. Nello stesso contesto è necessario adottare approcci specifici, anche per quanto riguarda l’assistenza infermieristica, per rispondere alle esigenze delle persone vulnerabili, in particolare le persone anziane. Altrettanto importante è definire approcci ottimali nei confronti delle nuove tecnologie e dell’innovazione, dei modelli integrati di assistenza e delle alleanze, come anche delle reti (transfrontaliere) e dei partenariati pubblico-privati (su vasta scala). Occorrerebbe garantire la corretta applicazione delle norme e degli orientamenti dell’UE. Ognuno di questi aspetti impone alla Commissione di svolgere un ruolo attivo e di stimolo.

Raccomandazioni

1.8.

Le istituzioni europee dovrebbero promuovere il rendimento economico, l’innovazione, la digitalizzazione e appalti pubblici efficaci, facilitando al tempo stesso il commercio transfrontaliero di dispositivi e prodotti industriali medicali.

1.9.

La competenza concorrente degli Stati membri e dell’UE, di cui all’articolo 168 del TFUE, deve servire da base per una politica industriale dell’UE. Analogamente, le politiche dell’UE in materia di innovazione dovrebbero avere un ruolo di sostegno. I finanziamenti dell’UE (nel quadro di Orizzonte 2020 e di altri programmi) devono essere opportunamente coordinati e articolarsi con i programmi nazionali.

1.10.

L’industria trarrà enorme beneficio dalla strategia per il mercato unico digitale. In tutta l’Unione dovrebbe essere promossa, nel rispetto della vita privata e della sicurezza dei pazienti, la libera circolazione dei (mega)dati.

1.11.

In linea con la direttiva 2014/12/UE, la Commissione dovrebbe garantire l’efficacia degli appalti pubblici in tutta l’Unione, dato che essi svolgono un ruolo di primo piano nel lancio di progetti basati su tecnologie avanzate.

1.12.

Nel più ampio contesto delle impostazioni nazionali, vi sono molte iniziative basate sulle regioni. La Commissione dovrebbe promuovere lo scambio di esperienze coronate da successo. Devono essere incoraggiati i contatti bilaterali tra le autorità sanitarie pubbliche e private.

1.13.

Bisognerebbe inoltre esaminare, nel quadro del semestre europeo e delle raccomandazioni specifiche per paese (1), l’impatto dei mutamenti tecnologici sulla trasformazione dei sistemi sanitari.

1.14.

La Commissione deve adoperarsi per garantire un coordinamento interno efficiente. Essa dovrebbe promuovere dialoghi e piattaforme tra le università, gli enti locali, le parti sociali e il settore della tecnologia medica. Questi meccanismi possono servire da esempio per una stretta cooperazione tra soggetti pubblici (quali i ministeri nazionali della sanità, delle finanze e dell’industria) e il settore privato.

1.15.

Il fattore umano è di primaria importanza. Il passaggio a nuovi sistemi di sanità e di assistenza richiede uno spirito di apertura e nuove forme di professionalità nell’industria a tutti i livelli, così come una riconfigurazione del lavoro nella sanità e nell’assistenza. Per garantire programmi di istruzione e formazione adeguati e rendere migliori le condizioni e i luoghi di lavoro, occorre rafforzare il dialogo sociale europeo nei servizi sanitari e in quelli sociali in corso dal 2006.

2.   Il quadro attuale

2.1.

I recenti sviluppi nel settore sanitario sono stati oggetto di diversi pareri del CESE (3). Il presente parere è specificamente incentrato sulla profonda trasformazione che il settore della tecnologia medica sta attraversando.

2.2.

Il settore europeo della tecnologia medica occupa da solo oltre 575 000 addetti e conta circa 26 000 imprese. Il panorama industriale è formato in prevalenza da PMI che interagiscono con grandi società.

2.3.

Si stima che il valore economico del settore sia all’incirca pari a 100 miliardi di euro. Nel 2015, il saldo positivo della bilancia commerciale ammontava a 14,1 miliardi di euro, un importo che era il doppio rispetto al 2006 ed era anche considerevolmente superiore all’avanzo della bilancia commerciale degli Stati Uniti, pari a 5 miliardi di euro. Le prospettive per il futuro di questo settore sono eccellenti.

2.4.

Le attività di ricerca sono trainate sia da innovazioni incrementali e continue che da innovazioni radicali e rivoluzionarie a livello di imprese, ma spesso prendono anche la forma di sviluppi concomitanti imputabili a strutture esistenti quali gli ospedali universitari. Il numero di brevetti è un indicatore del valore aggiunto conseguito grazie all’innovazione. Le domande di brevetto presentate nel 2015 nel settore della tecnologia medica sono state 12 474. Questo numero è di circa il 17 % superiore a quello delle domande presentate nei settori della comunicazione digitale e della comunicazione informatica, e di quasi il 55 % superiore a quello riguardante il settore farmaceutico e delle biotecnologie (4).

2.5.

Nel 2015, alla sanità e all’assistenza a lungo termine erano riconducibili l’8,7 % del PIL dell’UE e il 15 % della spesa pubblica totale, ed entro il 2060 la percentuale in rapporto al PIL potrebbe salire al 12,6 % per effetto di trattamenti più costosi, dell’invecchiamento della popolazione e di un forte aumento delle malattie croniche e della presenza concomitante di più patologie (5). A causa dei vincoli finanziari, la prestazione di servizi in questo settore deve sempre più spesso far fronte alle pressioni sul bilancio. Questa situazione può portare a tagli di bilancio nel breve termine destinati a ripercuotersi negativamente sulla spesa per le attività di R&S.

2.6.

La creazione congiunta e la cooperazione tra le grandi società e le PMI sono ormai la norma. Le grandi società concentrano l’attenzione sullo sviluppo di piattaforme hardware e software ad alta intensità di capitale, mentre l’attività delle PMI è incentrata su piattaforme specifiche per scopi precisi.

2.7.

Le differenze tra i paesi sono significative. Inoltre, i sistemi sanitari e le strutture finanziarie, come anche lo sviluppo tecnologico (comprese la diffusione di soluzioni innovative e le prassi mediche prevalenti), variano considerevolmente da un paese all’altro.

2.8.

Il settore della tecnologia medica si trova di fronte non solo a opportunità, ma anche a grandi sfide. Si tratta di un settore industriale a sé stante, a causa della prevalenza di soggetti pubblici, della presenza di un’ampia gamma di parti interessate, dell’influenza dei valori europei (6) e della necessità di finanziamenti pubblici sostenibili, senza dimenticare l’impatto ascrivibile a un principio di sussidiarietà prudentemente difeso e ad ecosistemi spesso decentrati e in genere regionalizzati.

2.9.

Le regioni sono un terreno fertile per la cooperazione, ma la mancanza di iniziative di aggregazione e la frammentazione regionale sbarra spesso la strada alle PMI innovative, in quanto la loro capacità di attrarre investimenti azionari è direttamente legata alla loro capacità di sviluppare mercati più ampi per le soluzioni di sanità digitale.

2.10.

A differenza degli Stati Uniti, nei quali gran parte dell’assistenza sanitaria è organizzata attraverso sistemi di assicurazione privati, l’assistenza sanitaria in Europa è essenzialmente finanziata con fondi pubblici.

2.11.

I progressi nel campo della tecnologia medica sono spinti da una stretta interazione tra tutti i soggetti interessati. L’ecosistema sta cambiando in maniera significativa, con l’arrivo di nuovi soggetti che guidano la trasformazione digitale. Il settore deve trovare un delicato equilibrio tra le forze di mercato e l’interesse pubblico che richiede servizi sanitari a prezzi accessibili per tutti.

2.12.

L’ambiente in cui opera è formato da industrie, medici, ospedali, pazienti consapevoli dei loro diritti, associazioni di pazienti e compagnie di assicurazione (compresi i sistemi nazionali di sicurezza sociale obbligatori/prescritti dalla legge), ossia numerosi soggetti che interagiscono in un sistema complesso.

2.13.

La tecnologia e l’innovazione sono integrate in questo ecosistema specifico. L’offerta non è più il principale fattore di traino dell’innovazione. Le prassi correnti mostrano uno spostamento verso la domanda che, in linea generale, non è molto propensa a seguire nuovi approcci. Il risultato finale è, di solito, frutto di un intenso coordinamento tra tutte le parti interessate a livello nazionale e, spesso, anche regionale.

2.14.

L’industria si concentra su soluzioni specifiche e sul rinnovamento di ogni anello della catena del valore industriale. Ciascuna specializzazione medica possiede caratteristiche proprie. In parallelo, sono sempre più frequenti le soluzioni di assistenza integrate.

2.15.

Il funzionamento del sistema è continuamente messo alla prova. Per il settore è tutt’altro che facile rispettare tutti i requisiti, mentre gli obblighi regolamentari talvolta si sovrappongono.

3.   La politica industriale dell’UE

3.1.

Il CESE accoglie favorevolmente la recente attenzione dell’UE verso un aumento della produttività nel settore sanitario attraverso una maggiore innovazione, una maggiore efficienza (anche in termini di costi), un migliore accesso e maggiori competenze digitali (7). La strategia del mercato unico digitale apre nuove opportunità da cogliere prontamente, ma comporta anche sfide.

3.2.

La competenza concorrente degli Stati membri e dell’UE, di cui all’articolo 168 del TFUE, può servire da base per una politica industriale dell’UE (8). Va di pari passo l’intensificazione della cooperazione con l’OMS e l’OCSE. L’UE e le autorità nazionali dovrebbero contrastare attivamente la frammentazione controproducente. Sono da auspicare misurazioni quantificabili.

3.3.

Occorre promuovere il rendimento industriale, come anche l’interazione tra l’industria e i soggetti interessati nazionali e regionali. I meccanismi di finanziamento a livello dell’UE e i finanziamenti nazionali dovrebbero essere complementari. Gli obiettivi a livello europeo, nazionale e regionale dovrebbero rientrare sotto un comune denominatore.

3.4.

Diverse direttive e orientamenti adottati nel settore della salute (in materia di salute e sicurezza (9), di diritti dei pazienti (10), di riservatezza e di diritti di proprietà intellettuale) riguardano anche l’industria. In particolare il 7o PQ/Orizzonte 2020 e i fondi della politica di coesione concorrono a finanziare i progetti collegati con i dispositivi medici. In relazione alle tecnologie in ambito universitario e medico, Orizzonte 2020 ha recato particolare beneficio all’industria farmaceutica. L’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (IET) è molto attivo nel finanziamento di iniziative regionali fin dal 2015 (11).

3.5.

Una politica industriale dell’UE è di fondamentale importanza se si considerano il sostegno finanziario e i risultati tecnologici nei paesi concorrenti dell’Unione. In Cina il governo ha adottato la strategia Made in China 2025 volta a favorire i marchi nazionali, a fornire incentivi agli ospedali affinché privilegino l’industria cinese e a scoraggiare gli investimenti stranieri. Queste misure possono avere dure ripercussioni sulle imprese europee. Visto il protezionismo in atto e in espansione degli Stati Uniti, è difficile parlare di parità di condizioni su questo fronte. Negli Stati Uniti, inoltre, è in arrivo una rivoluzione digitale (12). L’ingresso nel mercato europeo è un’impresa facile per le società statunitensi. Google è un nuovo potente concorrente. I negoziati commerciali dell’UE devono garantire una produzione europea al passo con i tempi per quanto riguarda la fornitura di una copertura sanitaria universale.

3.6.

L’ottimizzazione dei dati accresce le opportunità per tutte le imprese con sede in Europa (13). I sistemi di cartella sanitaria elettronica sono assai costosi. La frammentazione dei dati sanitari e le barriere transfrontaliere alla loro circolazione ostacolano gli sforzi di interoperabilità e le PMI europee. Le future soluzioni mediche personalizzate (una migliore prevenzione, diagnosi più precise, cure migliori) trarranno grande vantaggio dalla messa in comune dei dati e delle risorse, che per il momento nell’UE è ancora relativamente modesta rispetto agli Stati Uniti e alla Cina.

3.7.

La costituzione, tra i soggetti interessati del settore pubblico e di quello privato, di partenariati pubblico-privati (PPP) deve essere valutata e controllata attentamente in relazione alla loro capacità di creare soluzioni innovative e sostenibili, e ai fini degli obiettivi industriali, e di un’interazione e di scambi proficui.

4.   L’innovazione e la necessità di soluzioni sostenibili a lungo termine

4.1.

Attualmente gli investimenti tecnologici nel sistema sanitario rappresentano appena il 2-3 % dei costi totali dell’assistenza sanitaria. La gamma delle innovazioni interessa nel dettaglio ogni specializzazione medica (14) e influenza in misura considerevole il futuro della professione medica, nonché l’organizzazione degli ospedali e il settore sanitario in generale. In tutta l’UE vengono introdotti nuovi modelli di attività.

4.2.

Le pressioni finanziarie possono spingere a preferire soluzioni più economiche nel breve termine e portare, quindi, a una minore innovazione. Inoltre, gli incentivi introdotti in diversi Stati membri non contribuiscono in modo adeguato all’innovazione e possono invece ridurre la capacità di rispondere alle necessità mediche o diminuire l’utilità dei trattamenti per i pazienti e portare, in ultima analisi, a cure più costose. Sono da auspicare gli scambi bilaterali e la condivisione di iniziative a livello europeo.

4.3.

In questo settore bisognerebbe incoraggiare la cooperazione regionale produttiva e i «laboratori viventi». L’Istituto europeo di innovazione e tecnologia sostiene la cooperazione favorendo i catalizzatori di sviluppo e le sinergie, tra l’altro attraverso i poli di innovazione, e promuovendo il dialogo, le piattaforme e le interconnessioni per i singoli progetti.

4.4.

L’innovazione digitale, in particolare per quanto riguarda le applicazioni sanitarie mobili, può aiutare a tener conto dei fattori di rischio associati alle malattie croniche. La sanità mobile e il monitoraggio a distanza sono utili nel campo della prevenzione e possono anche ridurre la necessità di trattamenti debilitanti in un secondo momento.

4.5.

L’attività di R&S e l’innovazione non sono forze che si autoalimentano. Sul fronte della domanda, che è rappresentata quasi esclusivamente dal settore pubblico, è diffusa l’avversione al rischio e la tendenza a optare per la soluzione più economica.

4.6.

Talvolta occorre vincere la sfiducia delle autorità pubbliche. Il personale medico può rallentare l’introduzione di innovazioni capaci di portare a un cambiamento dei metodi di lavoro, ad esempio in chirurgia, oppure a cure totalmente nuove, ad esempio quelle che implicano l’impiego di mezzi robotici. Anche le disposizioni finanziarie riguardanti i medici specialisti possono frenare la propensione a innovare. Anche le compagnie di assicurazione non sono sempre collaborative. In sintesi, per trarre il massimo dei benefici, la naturale disponibilità all’innovazione richiederà spesso un mutamento culturale.

4.7.

Sarebbe utile tracciare una panoramica delle diverse innovazioni vantaggiose che favoriscono la qualità della vita, la prevenzione delle malattie, il miglioramento e l’allungamento della speranza di vita, nonché un migliore rapporto costo/prezzo.

4.8.

Un approccio di questo tipo sarebbe inoltre in linea con il concetto del rapporto qualità — prezzo («money for value»). Nei bilanci nazionali, la sanità e le cure sanitarie hanno rappresentato (e forse rappresentano tuttora) le voci dalla crescita più rapida. I ministri delle Finanze, quelli della Sanità e le parti interessate dovrebbero avere la comune consapevolezza della necessità di innovare e di trovare soluzioni a lungo termine per i pazienti.

4.9.

In questa stessa ottica, i fondi europei, in combinazione (se del caso) con i fondi nazionali, sono un elemento indispensabile.

5.   Appalti pubblici

5.1.

Secondo le stime, il 70 % delle vendite globali di tecnologie mediche segue il canale degli appalti pubblici, e il prezzo ha un’influenza determinante sul 70 % delle decisioni in questo campo. Si noti che queste due percentuali sono in aumento. Di solito, una situazione di questo genere porta a una minore competitività e all’introduzione di un minor numero di innovazioni/nuove tecnologie, oltre ad avere come conseguenza un aumento dei costi e una diminuzione del valore aggiunto per i pazienti (15).

5.2.

L’aumento dei costi dovrebbe indurre gli ospedali e i sistemi sanitari ad abbandonare la prassi di acquistare materiale sanitario sulla base del costo di approvvigionamento iniziale (16). Gli aspetti da considerare sono i seguenti:

risparmi significativi, se ai benefici economici di breve termine nelle operazioni di approvvigionamento vengono preferiti vantaggi di lungo termine ben ponderati,

soluzioni innovative che promuovano la qualità associata ai costi dell’intero ciclo di vita,

un sufficiente grado di conoscenze specialistiche tra gli addetti agli acquisti, di cui questi sono spesso privi,

trattative trasparenti e non discriminatorie tra l’offerta e la domanda.

5.3.

Ai fini del risultato finale, bisognerebbe considerare essenziale potersi avvalere di addetti agli acquisti che hanno competenza in materia e concentrano l’attenzione sulle innovazioni più recenti e di provata efficacia. In una certa misura, l’addetto agli acquisti può essere visto come l’anello di collegamento tra gli interessi del paziente e quelli del fornitore, in quanto punta a ridurre i costi e a migliorare il risultato finale.

5.4.

Le offerte vanno inquadrate in una prospettiva globale che tenga in considerazione sia la qualità che i costi dei prodotti e dei servizi durante il loro intero ciclo di vita. In questo modo si verrà incontro anche alla necessità di forme integrate di assistenza, con il sostegno dell’associazione Integrated Care Alliance (17).

5.5.

Tutti i soggetti interessati hanno una responsabilità comune nell’individuare le necessità degli utenti e dei partner durante la procedura di gara. Tale compito è reso difficile dalle complesse sfide associate al calcolo dei costi e alla valutazione della qualità in tutti i vari campi del settore medico. Occorre che tutte le parti interessate abbiano la giusta mentalità. A tal fine, sarà di grande aiuto condividere le buone pratiche applicate in Europa e avviare discussioni e scambi transnazionali a livello dell’UE.

6.   Digitalizzazione

6.1.

I mutamenti tecnologici e gli effetti dirompenti e trasversali della digitalizzazione richiedono un profondo impegno e la partecipazione di tutti i soggetti interessati del settore della sanità.

6.2.

La sanità elettronica consentirà ai professionisti del settore di interagire a distanza sia con i pazienti che con altri colleghi. Essa contribuisce a diffondere conoscenze specialistiche e a facilitare la ricerca, oltre a rendere possibile un’ampia gamma di nuove soluzioni, e rappresenta quindi un fattore di crescita. La sanità elettronica concorrerà inoltre ad alleggerire il peso che grava sui bilanci della sanità. La sanità mobile migliora l’assistenza sanitaria a domicilio e svolge un ruolo essenziale nel favorire la mobilità dei pazienti, ma occorre garantire la protezione dei dati, il diritto alla riservatezza del paziente e la sicurezza.

6.3.

La Commissione ritiene che sussista «un forte divario tra le potenzialità della trasformazione digitale e la realtà odierna dei sistemi sanitari e assistenziali» (18). Gli ostacoli sono molteplici: le normative nazionali, i metodi di finanziamento e di pagamento, il tradizionalismo negli approcci seguiti nell’ambiente medico e nel settore pubblico, la frammentazione del mercato e la mancanza di accrescimenti di scala. È nell’interesse anche dell’industria che la trasformazione si attui nel modo corretto, al fine di evitare risultati insoddisfacenti ed, eventualmente, un maggiore carico di lavoro.

6.4.

Poiché la sanità costituisce un importante settore industriale (circa il 10 % del PIL dell’UE), le prospettive di digitalizzazione massiccia offrono grandi opportunità di ulteriore espansione (19). La consapevolezza dell’impatto della digitalizzazione, compresa l’intelligenza artificiale, si sta rapidamente diffondendo (20). La Commissione ha recentemente adottato una comunicazione che affronta tre priorità della strategia per il mercato unico digitale nel settore della sanità e dell’assistenza:

garantire ai cittadini l’accesso sicuro alla cartella sanitaria elettronica e la possibilità di condivisione transfrontaliera, nonché l’utilizzo della prescrizione elettronica,

sostenere le infrastrutture di dati per la ricerca avanzata, la prevenzione delle malattie e le soluzioni personalizzate di sanità e assistenza in settori chiave,

agevolare il feedback e l’interazione tra i pazienti e i prestatori di servizi sanitari, per favorire la prevenzione, promuovere la responsabilizzazione del cittadino, sostenere l’assistenza sanitaria di qualità e orientata al paziente, concentrare l’attenzione sulle patologie croniche e migliorare i risultati dei sistemi sanitari.

6.5.

Secondo il Piano per la trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza, finché l’UE non coniugherà le politiche in materia di assistenza sanitaria e sociale con politiche di innovazione e politiche economiche e industriali efficaci, tenendo conto delle necessità degli utenti e dei pazienti, «i nostri modelli sociali ed economici, nonché la qualità di vita dei cittadini europei, sono a rischio. Questo aspetto è di importanza cruciale e deve essere affrontato» (21). L’OCSE è giunta alla conclusione che i governi svolgono un ruolo guida fondamentale nel rendere possibile un uso efficace delle TIC nel quadro dell’adeguamento e del riorientamento dei sistemi sanitari (22). L’OCSE rileva tuttavia che la frammentazione e la rapidità con cui le soluzioni tecnologiche evolvono, associate all’assenza di standard applicabili all’intero settore industriale e al mancato rispetto delle norme esistenti in materia di sistemi TIC, possono generare un forte rischio di fallimento e di scarsi rendimenti (23).

6.6.

Per quanto concerne la sanità elettronica, sono già state avviate numerose brillanti iniziative. Tuttavia, esistono differenze sostanziali tra un paese e l’altro e tra una regione e l’altra. Recentemente è stata lanciata, nel quadro del progetto Digitalizzazione dell’industria europea, una strategia globale volta a favorire le interazioni e le sinergie, ed è stato avviato «un nuovo modello per collegare tra loro differenti iniziative dell’UE, con chiari impegni del settore e il sostegno attraverso strategie nazionali e regionali» (24).

6.7.

Sulla falsariga dell’iniziativa Industria 4.0, la Commissione ha ora lanciato Salute 4.0 e sta preparando diversi programmi a livello di UE. L’identità di vedute tra tutte le DG interessate è essenziale per realizzare sinergie. Bisognerà incoraggiare le piattaforme tecnologiche che operano in parallelo con le iniziative nazionali e regionali, oltre che la creazione (transfrontaliera) di reti. La task force recentemente istituita dovrebbe favorire sviluppi analoghi (25).

6.8.

Una serie di progetti pilota e di iniziative dell’UE non sono ancora stati portati a termine, mentre sono state avviate altre nuove iniziative. Un metodo più sostenibile consisterebbe nel mettere a punto meccanismi permanenti a sostegno dell’industria e dell’innovazione, e in particolare dell’attuazione.

6.9.

I megadati presentano grandi potenzialità per portare a ulteriori mutamenti radicali nelle cure mediche. È importante che le cartelle cliniche elettroniche siano gestite e protette in modo sicuro in linea con i protocolli di gestione dei dati sanitari conformi alle regolamentazioni nazionali (26). È importante disporre di strategie efficaci in materia di CPD (27), in particolare nel settore della gestione dei dati e degli standard sulla tutela della vita privata dei pazienti, oltre che nel campo degli ambienti cloud e degli investimenti nella sicurezza relativa all’archiviazione dei megadati.

6.10.

È statisticamente provato che il settore della sanità è particolarmente vulnerabile agli attacchi informatici. Ne consegue che la sicurezza informatica deve essere una priorità nelle nuove applicazioni industriali.

6.11.

I megadati aiutano a creare prodotti e servizi su misura, anche nel rapporto tra i produttori e i pazienti. I settori interessati sono i seguenti:

passaggio dall’assistenza sanitaria ambulatoriale a quella a domicilio,

passaggio da soluzioni generiche a cure personalizzate,

passaggio dalla cura alla prevenzione,

eliminazione delle restrizioni in caso di malattia o di disabilità.

6.12.

La digitalizzazione e i megadati non soltanto incoraggiano la proliferazione di sensori e dispositivi specifici, ma rivestono anche una funzione essenziale nei nuovi sistemi diagnostici, nella ricerca e nella prevenzione, oltre a sostenere la responsabilizzazione e l’autonomia dei pazienti, offrendo al contempo soluzioni ottimali di assistenza integrata. Lo scambio dei dati relativi ai pazienti sarà essenziale ai fini dell’interoperabilità.

6.13.

A tal riguardo saranno assai utili le buone pratiche europee e la pressione tra pari, così come le valutazioni obiettive e i progetti pilota, a condizione che questi ultimi siano portati a termine.

7.   Impatto sociale e competenze

7.1.

Le trasformazioni in atto nel comparto hanno un impatto sociale sia per la stessa industria medica che per il settore sanitario in senso lato. Come in altri settori industriali, il mutamento dei modelli commerciali dovuto alla digitalizzazione richiede un adeguamento delle condizioni di lavoro e dei meccanismi del mercato del lavoro, come pure il coinvolgimento delle parti sociali a vari livelli.

7.2.

La tecnologia e l’innovazione hanno in genere un effetto considerevole sulla situazione dei lavoratori nel settore sanitario. L’industria, insieme e in aggiunta ai soggetti più strettamente collegati come gli ospedali e le cliniche, può contribuire a preparare i lavoratori a un ambiente e a trattamenti in evoluzione.

7.3.

Sono necessari approcci e strumenti specifici per rispondere alle esigenze delle persone vulnerabili, in particolare le persone anziane (in casa di riposo), che dovrebbero fruire di forme specifiche e personalizzate di sostegno e assistenza. È altresì necessario che gli infermieri professionali siano formati in maniera mirata per l’applicazione delle nuove tecnologie in questa categoria di pazienti.

7.4.

Nell’UE il comparto della sanità e dell’assistenza è tra i maggiori bacini di occupazione. La prevista carenza di personale nel settore sanitario (fino a 2 milioni di operatori sanitari e 20 milioni di assistenti sanitari) nell’UE entro il 2025 rappresenta una sfida per il futuro sviluppo sostenibile del settore nel suo insieme (28).

7.5.

Il contributo e l’impegno di un sistema di assistenza altamente specializzato e motivato apporterà un vantaggio significativo a un sistema ottimizzato di sanità e di assistenza. Spesso gli impieghi nel settore sanitario e assistenziale sono di carattere precario, mal retribuiti e piuttosto gravosi. L’asimmetria tra le esigenze e il lavoro richiesto (qualità) impone una riconfigurazione dell’attività e dell’organizzazione collegate al settore sanitario e assistenziale.

7.6.

Le TIC e le organizzazioni intelligenti possono contribuire a creare condizioni di lavoro più interessanti e capaci di favorire la produttività, nonché luoghi di lavoro migliori. Per affrontare i rischi e i problemi percepiti, come pure le questioni di ogni genere sollevate dalle nuove tecnologie, andrebbero previste campagne d’informazione e consultazioni a vasto raggio, in linea con i diritti del personale della sanità ai vari livelli.

7.7.

Le nuove competenze, l’adeguamento dei metodi di lavoro e la responsabilizzazione dei pazienti hanno un forte impatto. Tali processi possono essere compiutamente realizzati soltanto con l’impegno di tutti i soggetti coinvolti, e dovrebbero scaturire da accordi e/o soluzioni a livello nazionale, di settore o d’impresa, che preparino adeguatamente il personale e le organizzazioni della sanità ai cambiamenti imminenti. Dal 2006 è in funzione un comitato di dialogo sociale settoriale dell’UE per il settore ospedaliero/sanitario.

7.8.

L’istruzione e la pratica, come pure la formazione continua, sono di importanza fondamentale ed è auspicabile che si giunga a moduli comuni europei in materia di istruzione e formazione. Su questi temi occorrerebbe promuovere gli scambi utili alla sensibilizzazione e la condivisione delle buone pratiche tra le parti interessate in Europa. L’istruzione e la formazione sono state al centro di una dichiarazione congiunta delle parti sociali nel 2016 (29).

7.9.

Le buone pratiche a livello UE nel campo della sanità e dell’assistenza riguardo allo sviluppo di sistemi e alla valutazione delle organizzazioni intelligenti possono essere utili anche per portare avanti soluzioni promettenti in materia di partecipazione dei lavoratori.

7.10.

La necessità di mantenere uno spirito di apertura rispetto alle nuove soluzioni basate sulle TIC impone a tutti i professionisti del settore della sanità e dell’assistenza di possedere competenze digitali e di essere al passo con le più recenti tecnologie. Oltre alla preparazione di tutte le diverse figure professionali, anche la responsabilizzazione del paziente richiede la giusta mentalità e competenze adeguate.

7.11.

In parallelo all’aggiornamento degli operatori sanitari, è necessario sviluppare le conoscenze mediche nel settore delle tecnologie dell’informazione al fine di ottimizzare l’utilizzo degli strumenti informatici nel campo della sanità e dell’assistenza.

7.12.

Anche l’impiego nell’assistenza informale e nell’assistenza sociale deve essere messo al passo con i tempi. L’assistenza informale si sta diffondendo in modo esponenziale e lo stesso vale per la responsabilizzazione del paziente. Entrambe possono migliorare notevolmente la mobilità della popolazione senescente, siano essi anziani disabili o in buona salute. Il termine «economia d’argento» non ha bisogno di spiegazioni.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Sull’impatto dei valori europei vedere le conclusioni del Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori del 2 giugno 2006 (2006/C 146/01) e il relativo allegato.

(2)  Cfr. in particolare gli obiettivi 3, 5, 9 e 10.

(1)  Raccomandazioni specifiche per paese.

(3)  GU C 181, del 21.6.2012, p. 160, GU C 242, del 23.7.2015, p. 48, SOC/560 — Sistemi di sicurezza sociale e di protezione sociale nell’era digitale (non ancora pubblicato in GU), GU C 133, del 9.5.2013, p. 52, GU C 434, del 15.12.2017, p. 1.

(4)  The European Medical Technological Industry in Figures, 2015 [Il settore europeo della tecnologia medica in cifre — dati relativi al 2015].

(5)  Commissione europea, 2017.

(6)  Cfr. la nota 1.

(7)  Sull’impatto dei valori europei vedere le conclusioni del Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori del 2 giugno 2006 (2006/C 146/01) e il relativo allegato.

(8)  Articolo 168 («Sanità pubblica»), Titolo XIV, del TFUE.

(9)  Il Consiglio dell’UE ha recentemente adottato due nuovi regolamenti (sui dispositivi medici e sui dispositivi medico-diagnostici in vitro) che hanno una forte incidenza sul settore.

(10)  Si vedano in questo contesto l’articolo 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, GU C 326/02, del 26.10.2012, e la Carta europea dei diritti del malato, 2002.

(11)  Il 9 dicembre 2014 è stata istituita la Comunità della conoscenza e dell’innovazione nell’ambito dell’Istituto europeo di innovazione e tecnologia.

(12)  Cfr. lo studio di Goldman Sachs A digital healthcare revolution is coming — and it could save America $300 billion [Una rivoluzione digitale è in arrivo nel settore dell’assistenza sanitaria, e potrebbe far risparmiare all’America 300 miliardi di USD], 2015.

(13)  Cfr. la comunicazione della Commissione Costruire un’economia dei dati europea, del gennaio 2017, e il corrispondente parere del CESE TEN/630.

(14)  Cfr., tra l’altro, Strategic Research Agenda under Horizon 2020 [Agenda strategica di ricerca nel quadro di Orizzonte 2020], COCIR, settembre 2016.

(15)  Procurement, The Unexpected Driver of Value Based Health Care [Gli appalti: il fattore trainante inatteso di un sistema sanitario basato sul valore], Boston Consulting Group — MedTech Europe, 2015.

(16)  Il settore sanitario non è certamente l’unico a risentire di tali prassi. La «sindrome del prezzo più basso» è diffusa nella maggior parte delle gare per l’aggiudicazione di appalti pubblici in tutta Europa. Questo è uno dei motivi principali della legislazione europea, cfr. in particolare la direttiva sugli appalti pubblici del 2014.

(17)  Cfr., tra gli altri, il Piano per la trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza, DG CNECT (capitolo 6, qui di seguito) e www.integratedcarealliance.org.

(18)  Cfr. l’iniziativa sulla digitalizzazione dell’industria europea — gruppo di lavoro 2: Strengthening Leadership in Digital Technologies and in Digital Industrial Platforms [Rafforzare la leadership nelle tecnologie digitali e nelle piattaforme industriali digitali], capitolo 5: Overview of the Strategy in «Digital Transformation of Health and Care» [Panoramica della strategia nella «Trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza»].

(19)  Cfr. gruppo di lavoro 2, pag. 31.

(20)  Cfr., tra l’altro, Blueprint on Digital Transformation of Health and Care for the Ageing Society, a Strategic Vision developed by Stakeholders [Piano per la trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza in una società che invecchia: una visione strategica elaborata dalle parti interessate], Bruxelles, 5-8 dicembre 2016.

(21)  Piano per la trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza, pag. 6.

(22)  Improving Health Sector Efficiency — The Role of Information and Communication Technologies [Migliorare l’efficienza del settore sanitario: il ruolo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione], OCSE, 2010.

(23)  Ibidem, pag. 16.

(24)  Cfr. gruppo di lavoro 2, pag. 35.

(25)  Task force sull’approfondimento del rapporto tra politica sanitaria e politica digitale, 27 febbraio 2017.

(26)  Cfr. anche il quadro di riferimento adottato nel 2012 per la protezione dei dati.

(27)  Current Professional Development = Formazione professionale continua.

(28)  Piano per la trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza, pag. 19.

(29)  Joint Declaration by HOSPEM and EPSU — social partners — on Continuing Professional Development and LIFE Long Learning for All Health Workers in the EU [Dichiarazione congiunta HOSPEEM-EPSU sullo sviluppo professionale continuo e la formazione permanente per tutti i lavoratori della sanità dell’UE], novembre 2016. Per ulteriori informazioni sull’esigenza di investimenti nella forza lavoro nel settore sanitario, vedere il rapporto congiunto ONU/OIL/OMS/OCSE Working for health and growth: investing in the health workforce [Lavorare per la salute e per la crescita: investire nel personale della sanità].


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il ruolo della Turchia nella crisi dei rifugiati»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 227/03)

Relatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Decisione dell’Assemblea plenaria

22.9.2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

7.11.2017

Adozione in sessione plenaria

14.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

227/6/12

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che la Turchia svolge un ruolo importante e decisivo nella gestione della cosiddetta «crisi dei rifugiati» in Medio Oriente e nel bacino del Mediterraneo, e che tale paese ha compiuto degli sforzi per far fronte a tale crisi con i mezzi a sua disposizione, ma anche con l’aiuto dell’Unione europea e della comunità internazionale.

1.2.

A giudizio del CESE, nonostante la situazione esplosiva della crisi dei rifugiati, a tutt’oggi l’UE non è riuscita ad adottare una politica comune europea convincente ed efficace in materia di immigrazione o un sistema europeo comune di asilo, a motivo del rifiuto ingiustificato da parte di taluni Stati membri dell’UE di ottemperare agli obblighi sanciti da convenzioni internazionali o dai Trattati dell’UE, al pari di quelli derivanti da decisioni adottate all’unanimità in occasione di vertici o di Consigli dei ministri. Il CESE invita pertanto il Consiglio e la Commissione ad intervenire in modo più risoluto in questo campo e ad obbligare gli Stati membri che non mantengono gli impegni assunti nei confronti dell’UE ad adottare immediatamente le misure necessarie.

1.3.

Il CESE condanna con forza l’atteggiamento xenofobo di alcuni Stati membri nei confronti della crisi dei rifugiati, e lo giudica contrario ai valori fondamentali dell’UE.

1.4.

Il CESE si dichiara disponibile a contribuire in ogni modo a fronteggiare la crisi dei rifugiati, in cooperazione con le istituzioni europee e con le organizzazioni della società civile (datori di lavoro, lavoratori e ONG), come dimostra l’importante lavoro già svolto elaborando una serie di pareri e organizzando delle missioni informative nei paesi colpiti da questa catastrofe umanitaria.

1.5.

Dalla firma della dichiarazione UE-Turchia ad oggi il numero di persone che attraversano le frontiere europee in condizioni di irregolarità o perdono la vita nel Mar Egeo è diminuito in modo significativo e costante. Al tempo stesso, però, si è registrato un rapido aumento dei flussi migratori verso altri paesi dell’Europa meridionale, un dato, questo, che suscita nel CESE particolare preoccupazione. Inoltre, i risultati ottenuti dagli Stati membri per quanto riguarda sia il reinsediamento che la ricollocazione continuano ad essere deludenti. Mentre sono state poste le basi necessarie per la realizzazione di tali programmi, il ritmo attuale è ancora più lento di quello che sarebbe necessario per conseguire gli obiettivi fissati al fine di garantire la ricollocazione e il reinsediamento di tutti i soggetti ammissibili.

1.6.

Il CESE ritiene necessario che la Turchia elabori e adotti un sistema unico di riconoscimento della protezione internazionale per i richiedenti asilo, in linea con i requisiti stabiliti a livello europeo e internazionale (1), che non discrimini coloro che fanno richiesta di protezione internazionale in base alla loro origine nazionale, accordando la medesima protezione a tutti. Il CESE propone, tra l’altro, di eliminare la limitazione geografica per i richiedenti asilo non europei, e la distinzione tra richiedenti asilo siriani e non siriani (2). Anche il principio di non respingimento dev’essere garantito.

1.7.

Il CESE ritiene necessario un miglioramento delle condizioni di accoglienza in Turchia, nonché delle politiche per l’integrazione sociale ed economica dei rifugiati riconosciuti, specialmente per quanto riguarda l’accesso al lavoro, l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’offerta di alloggio. Particolare attenzione va riservata alla protezione dei bambini e dei minori non accompagnati, specialmente per garantire il loro accesso all’istruzione e tutelarli di fronte al fenomeno del lavoro e dei matrimoni forzati (3).

1.8.

Il CESE chiede che sia posto in essere un meccanismo di controllo e monitoraggio rigoroso e indipendente della dichiarazione UE-Turchia sui rifugiati al fine di verificare, in cooperazione con le autorità turche, le ONG internazionali e le organizzazioni umanitarie specializzate, l’attuazione e il rispetto dei termini degli accordi da entrambe le parti, in conformità del diritto internazionale ed unionale (4).

1.9.

Il CESE ritiene necessario rafforzare il ruolo dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera al fine di smantellare le reti di trafficanti e contrastare la tratta di esseri umani, nel rispetto del diritto internazionale (5).

1.10.

Il CESE chiede che gli Stati membri i quali finora non hanno partecipato alle procedure di ricollocazione e reinsediamento rispettino appieno gli impegni assunti e raccomanda un’accelerazione dei programmi in questione. Uno sviluppo positivo in questo senso è costituito dalle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea e dagli sforzi compiuti dalla Commissione europea per migliorare il coordinamento tra le istituzioni europee e gli Stati membri. Nelle sue sentenze, la Corte di giustizia condanna direttamente il comportamento di taluni Stati membri riguardo alla mancata accoglienza dei rifugiati sul loro territorio, il che, come afferma la Corte, è contrario all’obbligo di solidarietà e di un’equa ripartizione delle responsabilità, la cui osservanza gli Stati membri devono garantire nell’ambito della politica in materia di asilo.

1.11.

Il CESE esprime forti preoccupazioni riguardo alla situazione generale dei diritti umani in Turchia, specialmente dopo il fallito colpo di Stato. Ritiene che i principi e i valori dell’UE sanciti nell’articolo 2 del trattato sull’Unione europea (TUE) possano essere sotto attacco da parte dell’attuale governo turco (6). Più in particolare, il CESE esprime preoccupazioni quanto alla possibilità, per le organizzazioni della società civile in Turchia, di funzionare senza impedimenti, in particolare a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza nel paese, e ritiene che esse svolgano un ruolo fondamentale nel far fronte alla situazione umanitaria a livello sia di pianificazione che di attuazione dei programmi per l’integrazione dei rifugiati nelle comunità locali.

1.12.

A giudizio del CESE, le parti sociali possono e devono svolgere un ruolo cruciale in Turchia nel far fronte alla crisi dei rifugiati.

1.13.

Il CESE esprime preoccupazione per la tensione che ultimamente caratterizza i rapporti tra l’UE e la Turchia, e per gli effetti che un ulteriore inasprimento di tale tensione potrebbe produrre sia sull’attuazione dell’accordo sia, più in generale, sulle relazioni tra l’Europa e la Turchia. Il CESE continua a ritenere che le relazioni tra l’UE e la Turchia debbano restare nel binario di una prospettiva di adesione di quest’ultima, nel pieno rispetto dell’acquis dell’UE.

2.   Osservazioni introduttive: dall’agenda europea sulla migrazione alla dichiarazione del 18 marzo 2016

2.1.

A seguito dello scoppio della guerra in Siria, che ha provocato una crisi umanitaria di proporzioni gigantesche, e della situazione esplosiva venutasi a creare in Iraq a causa della persistente instabilità politica, migliaia di profughi, in condizioni disumane, hanno iniziato ad attraversare i confini della Turchia, diretti, come destinazione finale, verso uno dei paesi dell’Unione europea e soprattutto verso i paesi dell’Europa centrale.

La Turchia si è trovata ad «ospitare» circa tre milioni di esseri umani che, a rischio della loro vita, hanno attraversato zone di conflitto e, sempre rischiando la vita, hanno cercato e cercano ancora di passare clandestinamente le frontiere europee della Grecia.

2.2.

La Turchia, come primo paese di accoglienza, ha svolto e continua a svolgere un ruolo particolarmente cruciale per la cosiddetta «crisi dei rifugiati», che è divenuta uno dei maggiori problemi «irrisolti» dell’UE.

2.3.

L’agenda europea sulla migrazione, che è stata presentata nel maggio 2015 dopo lunghi e difficili negoziati tra i paesi europei, è il primo tentativo dell’UE di affrontare il dramma di migliaia di profughi che, a rischio della loro vita, attraversano le zone di guerra o tentano di solcare il Mediterraneo. L’agenda introduce per la prima volta concetti come la ricollocazione o il reinsediamento. Essa prevede misure sia nell’immediato che più a lungo termine per far fronte agli importanti flussi migratori che interessano in generale l’UE, ma più in particolare i paesi del Mediterraneo, e ai problemi derivanti dalla gestione di questo tipo di crisi. Tra le altre cose si prevedono una triplicazione delle risorse finanziarie destinate a Frontex, la ricollocazione dei profughi e dei migranti nei paesi dell’UE in base a criteri specifici e contingenti, l’attivazione, per la prima volta, del meccanismo di risposta alle emergenze per venire in aiuto agli Stati membri che devono far fronte a un improvviso afflusso di profughi in forza dell’articolo 78, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e l’avvio, nel quadro della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), di un’operazione nel Mediterraneo volta a smantellare le reti di trafficanti e a contrastare la tratta di esseri umani, nel rispetto del diritto internazionale.

2.4.

In tale contesto si colloca anche la dichiarazione UE-Turchia, del 18 marzo 2016, volta a circoscrivere la crisi dei rifugiati, che per motivi procedurali è stata denominata accordo informale vertente sull’immigrazione irregolare dalla Turchia verso l’UE e la sostituzione di questo tipo di immigrazione con il reinsediamento dei rifugiati nell’Unione tramite canali legali (7). La dichiarazione prevede, tra l’altro, quanto segue:

i)

tutti i «migranti irregolari» che giungano dalla Turchia in Grecia a decorrere dal 20 marzo 2016 saranno rimpatriati in Turchia, sulla base dell’accordo bilaterale tra i due paesi.

ii)

Tutti coloro che non presentino una domanda di asilo o la cui domanda sia ritenuta infondata o non ammissibile saranno rimpatriati in Turchia.

iii)

La Grecia e la Turchia, assistite dalle istituzioni dell’UE, converranno tutti i necessari accordi bilaterali, compreso quello che prevede la presenza stabile di funzionari turchi sulle isole greche e di funzionari greci in Turchia, a partire dal 20 marzo, al fine di dare attuazione a tali accordi.

iv)

Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarà reinsediato nell’UE.

v)

Al fine di attuare questo principio, sarà istituito un meccanismo specifico, in cooperazione con la Commissione, le agenzie europee, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e gli Stati membri, che entrerà in vigore a decorrere dal primo giorno dei rimpatri.

vi)

La priorità di reinsediamento nell’UE spetta ai siriani provenienti dalla Turchia e non dalla Grecia. Tale priorità andrà ai migranti che, in passato, non siano entrati o non abbiano già tentato di entrare nell’UE.

2.5.

In una nota integrativa alla dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo (8), la Commissione sostiene la possibilità di classificare la Turchia come «paese terzo sicuro» (9). Alla medesima conclusione essa giunge anche nella sua comunicazione al Consiglio europeo e al Parlamento europeo sullo stato di attuazione delle azioni prioritarie nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione, sostenendo che, dal suo punto di vista, il concetto di paese terzo sicuro (definito nella direttiva sulle procedure di asilo) è condizionato alla possibilità, in linea di principio, di beneficiare di una protezione in forza della convenzione di Ginevra e non all’assenza di riserve e limitazioni geografiche nell’applicazione di tale convenzione (10).

2.6.

Da parte sua, il CESE ha espresso il parere per cui il concetto di paese di origine sicuro non può essere in alcun modo applicato in caso di mancato rispetto della libertà di stampa o di impedimento del pluralismo politico, oppure nei paesi dove i cittadini vengono perseguitati per motivi di genere e/o di orientamento sessuale o di appartenenza a minoranze nazionali, etniche, culturali o religiose. In ogni caso, per inserire un paese nell’elenco dei paesi di origine sicuri, occorre valutare, tra le altre cose, le informazioni aggiornate provenienti da fonti quali la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), il Consiglio d’Europa e altre organizzazioni di difesa dei diritti umani (11).

2.7.

Dalla firma della dichiarazione UE-Turchia ad oggi il numero di persone che attraversano le frontiere europee in condizioni di irregolarità o perdono la vita nel Mar Egeo è diminuito in modo significativo e costante (12). Al tempo stesso, però, si è registrato un rapido aumento dei flussi migratori verso altri paesi dell’Europa meridionale, un dato, questo, che suscita nel CESE particolare preoccupazione. Inoltre, i risultati ottenuti dagli Stati membri per quanto riguarda sia il reinsediamento che la ricollocazione continuano ad essere deludenti. Mentre sono state poste le basi necessarie per la realizzazione di tali programmi, il ritmo attuale è ancora più lento di quello che sarebbe necessario per conseguire gli obiettivi fissati al fine di garantire la ricollocazione e il reinsediamento di tutti i soggetti ammissibili (13).

3.   Il meccanismo dei paesi sicuri: paese terzo sicuro e paese di primo asilo

3.1.

I concetti di «paese di origine sicuro», «paese terzo sicuro» e «paese di primo asilo» sono definiti nella direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, che definisce norme procedurali comuni e le garanzie per i richiedenti protezione internazionale negli Stati membri dell’UE. Più in particolare, la direttiva prevede quattro categorie di paesi sicuri: il paese di primo asilo (articolo 35), i paesi terzi sicuri (articolo 38), i paesi di origine sicuri (articolo 37) e i paesi terzi europei sicuri (articolo 39) (14).

3.2.

Da un confronto tra l’articolo 39 della direttiva 2013/32/UE relativo al paese terzo europeo sicuro e l’articolo 35 della stessa direttiva sul paese di primo asilo emergono due regimi di protezione internazionale, uno maggiore e l’altro minore, mentre a metà strada si colloca il regime di cui all’articolo 38, quello del paese terzo sicuro. L’articolo 39 prevede il massimo livello di protezione, in quanto si riferisce a un paese che ha ratificato la convenzione di Ginevra senza limitazioni geografiche, offre il massimo grado di protezione previsto dalla convenzione, applica senza riserve al suo interno l’articolo 36 della convenzione ed è soggetto ai meccanismi di controllo stabiliti dalla convenzione. L’articolo 35 della direttiva si colloca all’estremo opposto, in quanto si limita a fornire protezione ai rifugiati o altra protezione sufficiente, ponendo l’accento sull’attuazione del principio di non respingimento.

3.3.

Conformemente all’articolo 38 della direttiva 2013/32/UE, un paese terzo viene considerato sicuro per il richiedente quando ottempera globalmente ai seguenti criteri: a) non sussistono minacce alla vita e alla libertà del richiedente per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche; b) è rispettato il principio di non respingimento conformemente alla convenzione di Ginevra; c) non sussiste il rischio di danno grave per il richiedente; d) è osservato il divieto di allontanamento del soggetto verso un paese in cui questi rischia di subire torture o trattamenti e punizioni crudeli, disumani o degradanti, nel rispetto del diritto internazionale; e) esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come tale, di ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra, e infine f) il richiedente ha un legame con il paese terzo in questione, grazie al quale gli risulterebbe facile raggiungere tale paese. Di conseguenza, qualora le autorità competenti giudichino che un paese, ad esempio la Turchia, si può considerare paese di primo asilo o paese terzo sicuro per il richiedente, queste respingeranno, con apposita decisione, la domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile, senza esaminarla nella sostanza (15).

3.4.

Il principio di non respingimento costituisce il pilastro su cui si regge il regime di protezione internazionale dei rifugiati ed è sancito dall’articolo 33, paragrafo 1, della convenzione di Ginevra del 1951 (16). L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha osservato che tale articolo introduce un principio centrale per la convenzione, che è poi stato assorbito dal diritto internazionale consuetudinario, diventando così vincolante per tutti i paesi della comunità internazionale, abbiano essi ratificato o meno la convenzione di Ginevra (17).

3.5.

Infine, qualunque soggetto considerato rifugiato ai sensi della convenzione del 1951 e chiunque soddisfi i criteri della definizione di rifugiato di cui all’articolo 1 A, paragrafo 2, della convenzione ha il diritto di avvalersi della protezione di cui all’articolo 33, paragrafo 1, della convenzione, anche nel caso in cui tale status non sia stato ufficialmente riconosciuto alla persona dell’interessato (18). Ciò riveste particolare importanza per i richiedenti asilo, in quanto è probabile che essi ottengano lo status di rifugiati e non vanno quindi allontanati o espulsi dal paese d’asilo fintanto che non sia stata presa una decisione definitiva sul loro status (19).

4.   La Turchia in quanto «paese terzo sicuro»

4.1.

Dal 2011 la Turchia ospita il maggior numero di profughi provenienti dalla Siria (oltre 3 milioni, più precisamente 3 222 000). Nello stesso tempo in Libano, che ha una popolazione di circa 4,8 milioni di abitanti, è presente più di 1 milione di profughi registrati. La Giordania occupa il terzo posto per numero di profughi provenienti dalla Siria (654 582), mentre in Iraq e Egitto vi sono rispettivamente 244 235 e 124 534 profughi registrati (20).

4.2.

La Turchia ha ratificato la convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e il protocollo del 1967, pur con una limitazione geografica per i richiedenti asilo extraeuropei. Più precisamente, riconosce solo i profughi provenienti dall’Europa, vale a dire da paesi che sono membri del Consiglio d’Europa (21). Nell’aprile 2014 la Turchia ha adottato una nuova normativa sugli stranieri e la protezione internazionale. Questa prevede quattro categorie di protezione in Turchia, più precisamente a) «status di rifugiato» per i rifugiati riconosciuti ai sensi della convenzione di Ginevra, vale a dire per i cittadini di uno dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, b) «status condizionale di rifugiato» per i rifugiati non europei riconosciuti, c) «status di protezione sussidiaria», accordato ai cittadini sia europei che non europei i quali, pur non ottemperando alle condizioni sancite dalla convenzione di Ginevra per poter essere riconosciuti come rifugiati, rischino, in caso di rientro nel paese d’origine, di essere sottoposti alla pena di morte, a torture o a trattamenti in generale disumani o degradanti, oppure di subire danni a causa di conflitti armati nel loro paese e, infine, d) «status di protezione temporanea» che viene accordato in situazioni di forte afflusso di migranti (22).

4.3.

Ai siriani che sono giunti in massa è stato accordato, inizialmente, lo status di visitatori (misâfir) e, successivamente, quello di protezione temporanea, senza però che avessero il diritto di richiedere lo status di rifugiati. L’obiettivo di questa disposizione è consentire loro di rimanere in Turchia per tutta la durata del conflitto armato in Siria, per poi fare ritorno in patria quando la situazione sarà migliorata.

4.3.1.

Quanto ai cittadini di altri paesi (non siriani), essi possono presentare, singolarmente, una domanda di asilo per essere poi registrati mediante una procedura parallela ai sensi della nuova legge sugli stranieri e la protezione internazionale, entrata in vigore nell’aprile 2014. Conformemente a tale procedura, i richiedenti asilo si rivolgono sia alla direzione generale per la gestione della migrazione (DGGM), che procede alla determinazione dello status, sia all’UNHCR. Quest’ultimo definisce in parallelo lo status del richiedente e formula proposte di ricollocazione; le sue decisioni, però, non hanno forza di legge, ma sono prese in considerazione nella valutazione condotta dalla DGGM. È evidente, quindi, che la normativa turca in materia prevede vari livelli di protezione e norme procedurali diverse per i siriani e per i cittadini di altri paesi terzi, introducendo così delle disparità quanto all’accesso alla protezione e al suo contenuto.

4.4.

Vi sono inoltre gravi ostacoli, carenze e problemi per quanto riguarda l’accesso al lavoro e ai servizi di base, come l’assistenza sanitaria e il sistema previdenziale, l’istruzione e, più in generale, i processi di integrazione nella società (23). Sebbene la Turchia abbia riconosciuto ai siriani, sin dal gennaio 2016, il diritto al lavoro, in pratica sono pochissimi ad aver ottenuto il permesso di lavoro, e di conseguenza la maggior parte lavora «in nero» (24). A ciò si aggiungono l’esplicita e categorica esclusione dei beneficiari di protezione internazionale dalla possibilità di integrazione a lungo termine in Turchia (cfr. articolo 25 della legge turca sugli stranieri e la protezione internazionale), nonché le restrizioni alla libera circolazione dei rifugiati in conformità all’articolo 26 della stessa legge. È pertanto evidente che la protezione concessa a chiunque richieda protezione internazionale in Turchia è inferiore rispetto alle garanzie giuridiche e al regime di diritti accordati ai rifugiati riconosciuti dalla convenzione di Ginevra, come il diritto di circolare nel territorio del paese contraente (articolo 26 della convenzione del 1951), il diritto di naturalizzazione (articolo 34) e il diritto di svolgere un’attività retribuita (articoli 17, 18, 19).

4.5.

La definizione della Turchia come «paese terzo sicuro» suscita dubbi anche per quanto riguarda il rispetto del principio di non respingimento, sancito dall’articolo 33, paragrafo 1, della convenzione di Ginevra, dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dall’articolo 3, paragrafo 2, della convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (25). Oltre ad avere, già in passato, respinto richiedenti asilo extraeuropei, la Turchia avrebbe rifiutato l’ingresso a singoli individui e respinto nel territorio della Siria gruppi di persone provenienti da tale paese, a quanto hanno riferito di recente alcune organizzazioni internazionali per i diritti umani (26). È significativo che, trascorso un giorno soltanto dalla firma dell’accordo, Amnesty International abbia riferito in merito a un ulteriore rimpatrio collettivo di profughi afghani verso Kabul (27). Analogamente, in una risoluzione adottata il 20 aprile 2016 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha dichiarato, tra l’altro, che il rimpatrio di cittadini della Siria e di altri paesi verso la Turchia è in contrasto con la legislazione dell’UE e il diritto internazionale (28). È quindi evidente che non esistono le garanzie necessarie per assicurare l’effettivo rispetto del principio di non respingimento (29).

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Commissione europea, Relazione 2016 sulla Turchia, Bruxelles, 9.11.2016, SWD(2016) 366 final, disponibile al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/enlargement/pdf/key_documents/2016/20161109_report_turkey.pdf, pag. 77.

(2)  Missioni informative del CESE sulla situazione dei rifugiati — il punto di vista delle organizzazioni della società civile, Relazione sulla missione in Turchia, 9-11 marzo 2016, disponibile al seguente indirizzo: http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/eesc-fact-finding-missions-refugees_turkey_en.pdf, pag. 2.

(3)  Cfr. nota 2.

(4)  Amnesty International, Europe’s gatekeeper: unlawful detention and deportation of refugees from Turkey (Il portiere dell’Europa: detenzione illegale e deportazione di rifugiati dalla Turchia), disponibile al seguente indirizzo: https://www.amnesty.org/en/documents/document/?indexNumber=eur44%2f3022%2f2015&language=en, pag. 14.

(5)  Cfr. nota 2.

(6)  L’articolo 2 del TUE stabilisce che: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».

(7)  Consiglio europeo, Affari esteri e relazioni internazionali, 18.3.2016, http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/03/18-eu-turkey-statement/.

(8)  Commissione europea, Factsheet on the EU-Turkey Agreement (Scheda informativa sulla dichiarazione UE-Turchia), 19.3.2016, http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-16-963_en.htm.

(9)  «Secondo quale base giuridica i richiedenti asilo saranno rimpatriati dalle isole greche in Turchia? Le domande di asilo presentate in Grecia saranno esaminate singolarmente, in conformità della normativa UE e internazionale, e del principio di non respingimento. I richiedenti asilo saranno sottoposti a colloqui e valutazioni individuali e avranno diritto di ricorso. Non saranno, invece, sottoposti ad espulsioni collettive o automatiche. Conformemente alle disposizioni UE in materia di asilo, in alcune circostanze precise gli Stati membri possono giudicare una richiesta “non ammissibile” e respingerla, quindi, senza esaminarne la sostanza. Due sono i concetti giuridici da considerare per dichiarare non ammissibile una domanda d’asilo riguardante la Turchia: 1) paese di primo asilo (articolo 35 della direttiva 2013/32/UE sulle procedure di asilo): qualora il richiedente sia già stato riconosciuto in detto paese come rifugiato ovvero goda altrimenti di protezione sufficiente in detto paese, 2) paese terzo sicuro (articolo 38 della suddetta direttiva): qualora la persona non abbia già ricevuto protezione nel paese terzo in questione, il quale però sia in grado di garantire alla persona, una volta riammessa, un effettivo accesso alla protezione.»

(10)  «In questo contesto, la Commissione sottolinea che il concetto di paese terzo sicuro definito nella direttiva procedure richiede che esista la possibilità di beneficiare di una protezione conformemente alla convenzione di Ginevra, ma non richiede che il paese terzo abbia ratificato tale convenzione senza riserva geografica. Inoltre, per quanto riguarda la questione dell’esistenza di un legame con il paese terzo in questione, e quindi della ragionevolezza per il richiedente asilo di recarsi in tale paese, si può altresì tener conto dell’eventuale transito del richiedente attraverso detto paese terzo, oppure della vicinanza geografica del paese terzo al paese di origine del richiedente». Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione, COM (2016) 85 final, 10.2.2016.

(11)  Parere del Comitato economico e sociale europeo Istituzione di un elenco comune dell’UE di paesi di origine sicuri, GU C 71 del 24.2.2016, pag. 82, punti 2.4 e 2.11.

(12)  Il numero di attraversamenti giornalieri dalla Turchia verso le isole greche è rimasto basso rispetto all’ultima relazione della Commissione, con una media di 75 arrivi al giorno. Commissione europea, Bruxelles, 6.9.2017, COM(2017) 470 final, Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio — Settima relazione sui progressi compiuti in merito all’attuazione della dichiarazione UE-Turchia. Disponibile al seguente indirizzo: https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20170906_seventh_report_on_the_progress_in_the_implementation_of_the_eu-turkey_statement_en.pdf.

(13)  In base ai dati più recenti, il numero totale di ricollocazioni è pari a 27 695 persone (19 244 dalla Grecia e 8 451 dall’Italia), mentre nell’ambito della dichiarazione UE-Turchia, un totale di 8 834 siriani sono stati reinsediati dalla Turchia nell’UE. Per quanto concerne il sostegno finanziario nel quadro dello strumento per i rifugiati in Turchia, dei 3 miliardi di EUR concessi come finanziamento per il periodo 2016-2017 sono già stati firmati dei contratti per un importo totale di 1,66 miliardi di EUR, mentre i pagamenti sono saliti a 838 milioni di EUR. Il numero di rifugiati vulnerabili assistiti dalla rete di sicurezza sociale di emergenza è salito da 600 000 a 860 000, e dovrebbe arrivare a 1,3 milioni entro la fine del 2017. Commissione europea, Bruxelles, 6.9.2017 — COM(2017) 465 final — Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio — Quindicesima relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento. Disponibile al seguente indirizzo: https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20170906_fifteenth_report_on_relocation_and_resettlement_en.pdf.

(14)  Si sottolinea che il meccanismo dei paesi sicuri è in contrasto con l’articolo 31, paragrafo 1, della convenzione di Ginevra, in quanto il diritto internazionale non prevede l’obbligo di presentare la domanda nel primo paese che potrebbe concedere lo status di protezione internazionale. Cfr. in particolare M. Symes & P. Jorro, Asylum Law and Practice, LexisNexis UK, 2003, pag. 448; G. Goodwin & J. McAdam, The Refugee in International Law, Oxford University Press, 2007, pag. 392. Per la posizione opposta, cfr., tra gli altri, K. Hailbronner, «The Concept of “Safe Country” and Expeditious Asylum Procedures: A Western European Perspective» (Il concetto di «paese sicuro» e le procedure d’asilo per direttissima dal punto di vista dell’Europa occidentale), International Journal of Refugee Law, 1993, 5(1): pagg. 31-65.

(15)  Secondo la Lega greca per i diritti umani, fin dai primi giorni di applicazione della dichiarazione UE-Turchia sui rifugiati, «l’esperto dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (UESA) ha ritenuto che la Turchia fosse un paese terzo sicuro nel caso delle prime domande di asilo esaminate […]. Questo parere (un testo standard riproposto di volta in volta per tutte le domande respinte) in sostanza nega ai richiedenti asilo la necessaria valutazione caso per caso e, peggio ancora, riversa su di loro l’onere di provare che la Turchia non è un paese terzo sicuro, in pieno contrasto con lo spirito della direttiva. In questi primi casi le decisioni sommarie di respingere le domande presentate non sono giustificate». Hellenic League for Human Rights (Lega ellenica per i diritti umani), Comments — critical remarks on the provisions and implementation of Law 4375/2016 (Commenti e osservazioni riguardo alle disposizioni e all’attuazione della legge 4375/2016), 21 aprile 2016, pag. 6, disponibile al seguente indirizzo: http://www.hlhr.gr/?MDL=pages&SiteID=1215. Il 10 maggio 2016 è stata però adottata per la prima volta una decisione da parte greca in cui la Turchia è definita paese terzo non sicuro. In particolare, dopo il ricorso di un siriano che si trovava a Lesbo e che, essendo stata respinta inizialmente la sua domanda d’asilo, sarebbe dovuto tornare in Turchia, la commissione d’appello per i rifugiati ha giudicato che la Turchia non si poteva considerare un paese terzo sicuro e che quindi la domanda doveva essere esaminata più nei dettagli e sulla base di dati più circostanziati. Il precedente creato dalla prima decisione che giudica la Turchia un paese terzo non sicuro per i siriani è ancora oggi ripreso da numerose commissioni d’appello per i rifugiati.

(16)  Per il principio di non respingimento, cfr., tra gli altri, E. Lauterpacht & D. Bethlehem, «The scope and content of the principle of non refoulement: Opinion», in: E. Feller, V. Tuerk & F. Nicholson (a cura di), Refugee Protection in International Law, UNHCR’s Global Consultations on International Protection, Cambridge University Press, Cambridge 2003, pagg. 87-177. Cfr. anche il parere dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati riguardo all’applicazione extraterritoriale del principio di non respingimento nel contesto della convenzione del 1951 e del protocollo del 1967 relativo allo status di rifugiato in: http://www.unhcr.org/refworld/docid/45f17a1a4.html.

(17)  Nota sulla protezione internazionale del 13 settembre 2001 (A/AC. 96/951, paragrafo 16). Cfr. anche UNHCR, The Principle of Non Refoulement as a Norm of Customary International Law, Response to the Questions Posed to UNHCR by the Federal Constitutional Court of the Federal Republic of Germany in cases 2 BvR 1938/93, 2 BvR 1953/93, 2 BvR 1954/93 (Il principio di non respingimento quale norma del diritto internazionale consuetudinario, Risposte alle interrogazioni rivolte all’UNHCR dalla Corte costituzionale federale tedesca nei casi 2 BvR 1938/93, 2 BvR 1953/93, 2 BvR 1954/93). Cfr. inoltre UNHCR, Note on the Principle of Non Refoulement (Nota sul principio di non respingimento), (Seminario UE sull’applicazione della risoluzione sulle garanzie minime per le procedure di asilo adottata dal Consiglio il 20 giugno 1995), 1o novembre 1997. In aggiunta a quanto sopra, si rimanda al quarto comma del preambolo alla dichiarazione degli Stati firmatari della convenzione del 1951 e/o del suo protocollo del 1967 relativo allo status di rifugiato adottata in occasione della conferenza ministeriale del 12 e 13 dicembre 2001, HCR/MMSP/2001/09; si veda inoltre la sentenza della Corte suprema della Nuova Zelanda nel caso Ahmed Zaoui v. Attorney General (n. 2) [2005] 1 NZLR 690, 20.9.2004, parr. 34 e 136.

(18)  Conclusione n. 6 (XXVIII) del 1977 sul principio di non respingimento, paragrafo c); conclusione n. 79 (XLVIII) del 1996 sulla protezione internazionale, paragrafo j); conclusione n. 81 (XLVIII) del 1997 sulla protezione internazionale, paragrafo i).

(19)  UNHCR, Global Consultations on International Protection/Third Track: Asylum Processes (Fair and Efficient Asylum Procedures), EC/GC/01/12, 13.5.2001, parr. 4, 8, 13 & 50 (c) e E. Lauterpacht & D. Bethlehem, cfr. sopra la nota 16, parr. 87-99.

(20)  Per maggiori informazioni cfr. http://data.unhcr.org/syrianrefugees/regional.php.

(21)  Cfr. nota 2.

(22)  La normativa in questione è disponibile in inglese al seguente indirizzo: http://www.goc.gov.tr/files/files/eng_minikanun_5_son.pdf.

(23)  Cfr. nota 2.

(24)  Meltem Ineli-Ciger, «Implications of the New Turkish Law on Foreigners and International Protection and Regulation no. 29153 on Temporary Protection for Syrians Seeking Protection in Turkey» (Implicazioni della nuova legge turca sugli stranieri e la protezione internazionale e del regolamento n. 29153 sulla protezione temporanea dei siriani in cerca di protezione in Turchia), Oxford Monitor of Forced Migration, 2014, 4(2): pagg. 28-36.

(25)  Cfr. nota 2.

(26)  Cfr. tra l’altro la comunicazione di Human Rights Watch del 23 novembre 2015, disponibile al seguente indirizzo: https://www.hrw.org/news/2015/11/23/turkey-syrians-pushed-back-border.

(27)  Amnesty International, Η ψευδαίσθηση της «ασφαλούς χώρας» για την Τουρκία καταρρέει (Crolla l’illusione che la Turchia sia un «paese sicuro»), 23 marzo 2016, disponibile al seguente indirizzo: https://www.amnesty.gr/news/press/article/20243/i-pseydaisthisi-tis-asfaloys-horas-gia-tin-toyrkia-katarreei. Per maggiori informazioni, cfr. Ο. Ulusoy, Turkey as a Safe Third Country? (La Turchia è un paese terzo sicuro?), 29 marzo 2016, disponibile al seguente indirizzo: https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2016/03/turkey-safe-third. E. Roman, Th. Baird e T. Radcliffe, Why Turkey is Not a «Safe Country» (Perché la Turchia non è un «paese sicuro»), febbraio 2016, Statewatch, http://www.statewatch.org/analyses/no-283-why-turkey-is-not-a-safe-country.pdf.

(28)  Risoluzione 2109 (2016), versione provvisoria, The situation of refugees and migrants under the EU-Turkey Agreement of 18 March 2016 (La situazione dei rifugiati e dei migranti nell’ambito dell’accordo UE-Turchia del 18 marzo 2016), autore: Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa — origine: dibattito in Assemblea il 20 aprile 2016 (15a seduta) (cfr. doc. 14028, relazione della commissione Migrazioni, rifugiati e sfollati, relatrice: Tineke Strik). Testo adottato dall’Assemblea il 20 aprile 2016 (15a seduta).

(29)  L. Reppeli (2015), «Turkey’s track record with the European Court of Human Rights» (La Turchia e la Corte europea dei diritti dell’uomo). Turkish Review, 1o gennaio 2015 (disponibile al seguente indirizzo: http://archive.is/XmdO5).


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo sui «Capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile (CSS) negli accordi di libero scambio (ALS) dell’UE»

(parere d'iniziativa)

(2018/C 227/04)

Relatrice:

Tanja BUZEK

Decisione dell’assemblea plenaria

19.10.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Organo competente

REX

Adozione in sezione

26.1.2018

Adozione in sessione plenaria

14.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

133/1/9

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente l’iniziativa della Commissione europea, volta a fare il punto sull’attuazione dei capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile (CSS) negli accordi commerciali dell’UE mediante il documento informale (1) e a consultare la società civile su questo tema.

1.2.

Il CESE ha svolto un ruolo importante nel sensibilizzare la società civile alla politica commerciale dell’UE, sia all’interno dell’Unione che nei paesi terzi. I membri del CESE sono stati e continueranno ad essere impegnati a rafforzare la cooperazione con la società civile dei paesi terzi nel monitoraggio dei negoziati e dell’attuazione degli accordi commerciali dell’UE.

1.3.

Il CESE esorta la Commissione a intensificare il dialogo con la società civile al fine di perfezionare il funzionamento del capitolo sugli scambi e lo sviluppo sostenibile negli accordi commerciali attuali e futuri e, in particolare, a rispecchiare tale dialogo nella revisione del capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile nell’ambito dell’accordo economico e commerciale globale UE-Canada (CETA).

1.4.

Il CESE, tuttavia, esorta la Commissione ad essere più ambiziosa nel suo approccio, in particolare per quanto riguarda il rafforzamento dell’effettiva applicabilità degli impegni contenuti nei capitoli CSS, che è di fondamentale importanza per il CESE. Ai capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile deve essere attribuita la stessa importanza di quelli che riguardano le questioni commerciali, tecniche o di tariffarie.

1.4.1.

Il CESE raccomanda di dare l’incarico ai GCI di monitorare l’impatto che avranno sui diritti umani, del lavoro e ambientali tutte le parti degli accordi commerciali e ritiene che l’ambito di applicazione debba includere gli interessi dei consumatori.

1.4.2.

Il CESE si rammarica dell’approccio restrittivo dei capitoli CSS per quanto riguarda gli interessi dei consumatori e sarebbe favorevole all’introduzione nel loro quadro di un capitolo specifico per i consumatori che riprendesse i pertinenti standard internazionali riguardanti i consumatori e rafforzasse la cooperazione in materia di applicazione dei loro diritti.

1.5.

Il CESE ritiene che i capitoli CSS svolgano un ruolo cruciale ai fini del conseguimento dell’obiettivo della Commissione di promuovere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) dell’ONU nel quadro della sua strategia «Commercio per tutti» (2) e «gestire la globalizzazione» (3), e ritiene che l’istituzione di GCI (GCI) sia uno dei principali risultati dei suddetti capitoli al fine di responsabilizzare la società civile nei paesi terzi, di incoraggiare questi ultimi a promuovere attivamente valori simili a quelli riconosciuti come «valori dell’UE» (ivi comprese le norme sociali e di protezione dei consumatori e dell’ambiente e la diversità culturale) e di conferire maggiore visibilità all’UE in tali paesi, e fornisca inoltre un’importante piattaforma per il monitoraggio degli impegni in materia di diritti umani, del lavoro e ambientali negli accordi commerciali.

1.6.

Il CESE apprezza il mandato conferitogli di fornire parte dei membri e della segreteria dei GCI, ma sottolinea che quella del finanziamento e delle risorse resta una questione cruciale per il funzionamento attuale e futuro dei GCI e invita la Commissione, e oltre che il Consiglio e il Parlamento, a cooperare con il CESE in materia al fine di attuare con urgenza soluzioni sistemiche in quest’ambito.

1.7.

Per il CESE è necessario che la Commissione intervenga per migliorare l’efficacia dei capitoli sugli scambi e lo sviluppo sostenibile e dei GCI in particolare, in quanto organi incaricati del monitoraggio di tali impegni. Molte raccomandazioni di natura pratica potrebbero essere attuate senza modificare il testo degli attuali capitoli CSS e pertanto si dovrebbe procedere in tal senso al più presto.

1.7.1.

Le carenze individuate comprendono uno squilibrio nella composizione e ritardi nell’istituzione dei GCI, la necessità di riunioni congiunte tra i GCI dell’UE e i GCI dei paesi partner, l’esigenza che i presidenti di questi gruppi partecipino alle riunioni dei comitati CSS, e la mancanza di adeguati finanziamenti per i GCI, da parte sia dell’UE che dei paesi partner.

1.7.2.

A tal fine il CESE propone di includere nel testo dell’accordo lo svolgimento di riunioni congiunte dei GCI dell’UE e dei paesi partner per consentire loro di scambiarsi esperienze su progetti comuni ed elaborare raccomandazioni congiunte.

1.7.3.

Si insiste con forza sulla necessità di sviluppare le capacità per la società civile nell’UE e in particolare nei paesi partner prima dell’entrata in vigore dell’accordo, e di favorire la rapida istituzione dei GCI, dotandoli del necessario sostegno politico, finanziario e logistico, garantendo nel contempo una composizione equilibrata.

1.7.4.

Si richiama inoltre l’attenzione della Commissione sui persistenti problemi di confusione, risultanti dall’incrociarsi degli accordi di associazione dell’UE e gli accordi di libero scambio globali e approfonditi (DCFTA) con la Georgia, la Moldova e l’Ucraina e dal più ampio ruolo attribuito, in particolare in America latina, ai forum della società civile, che ha indebolito i messaggi fondamentali dei GCI di ciascuna delle parti.

1.7.5.

Inoltre, il CESE deplora la mancanza di risposta da parte della Commissione alle critiche sollevate dai GCI. I meccanismi di controllo dovrebbero pertanto essere in grado di avviare in modo autonomo indagini concernenti le violazioni degli impegni chiari in materia di commercio e sviluppo sostenibile.

1.8.

Il CESE invita la Commissione a istituire un meccanismo di ricorso più trasparente e semplificato, e raccomanda inoltre che i presidenti dei GCI partecipino alle riunioni del comitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile, il quale dovrebbe fornire, entro un termine ragionevole, risposte ai problemi e alle raccomandazioni in materia di commercio e sviluppo sostenibile formulate dai gruppi consultivi. Raccomanda di instaurare un dialogo regolare tra i GCI dell’UE, la Commissione, il SEAE, il Parlamento europeo e gli Stati membri dell’UE;

1.9.

Per quanto riguarda gli OSS, il CESE raccomanda di includere una clausola specifica volta a promuovere detti obiettivi in tutti i futuri mandati riguardanti i capitoli sugli scambi e lo sviluppo sostenibile.

1.10.

Per quanto riguarda il fermo impegno assunto dalla Commissione europea in merito al rafforzamento delle disposizioni sul lavoro, i paesi partner dovrebbero dimostrare il pieno rispetto delle otto convenzioni fondamentali del lavoro dell’OIL prima della conclusione degli accordi commerciali. Se un paese partner non ha ratificato o attuato correttamente tali convenzioni, o dimostrato un livello di protezione equivalente, il CESE raccomanda di chiedere che una tabella di marcia basata su impegni concreti sia inclusa nel capitolo CSS per garantire che ciò avvenga in modo tempestivo.

1.11.

Il CESE rileva che il documento informale solleva la questione delle sanzioni e incoraggia la Commissione a valutare ulteriormente i meccanismi sanzionatori degli accordi commerciali e l’uso fattone finora, nonché a trarre insegnamenti dai loro limiti potenziali, al fine di valutare e migliorare l’efficacia di un meccanismo esecutivo di controllo del rispetto delle disposizioni dell’accordo che potrebbe essere elaborato nei capitoli sugli scambi e lo sviluppo sostenibile. Nel fare ciò, la Commissione dovrebbe tenere nella dovuta considerazione il fatto che taluni settori della società civile hanno espresso gravi preoccupazioni circa il loro impiego.

1.12.

Il CESE è pronto a contribuire allo sviluppo di nuove idee per aiutare la Commissione ad accrescere l’efficacia dei meccanismi di attuazione indipendenti nei capitoli CSS, non da ultimo attraverso il diritto a reagire quando non si tiene conto delle sue preoccupazioni. Qualsiasi riferimento al ricorso a sanzioni ove necessario deve essere sfumato se si vuole che i potenziali partner commerciali siano disponibili ad accettare un tale approccio: a differenza dell’SPG +, non vi può essere alcuna revoca unilaterale delle disposizioni in caso di controversia.

2.   Contesto

2.1.

A partire dalla prima inclusione di disposizioni in materia di sviluppo sostenibile nell’accordo di partenariato economico UE-Cariforum (APE) e nell’accordo di libero scambio (ALS) UE-Corea, entrato in vigore nel 2011, tutti gli accordi commerciali dell’UE comprendono un capitolo sul Commercio e lo sviluppo sostenibile (CSS). Attualmente, inoltre, l’UE ha concluso accordi che includono capitoli di questo tipo con l’America centrale, la Colombia e il Perù, la Georgia, la Moldova e l’Ucraina, e li includerà negli accordi da concludere in futuro.

2.2.

Negli ultimi anni l’interesse per disposizioni in materia di lavoro, ambiente e consumatori negli accordi commerciali si è andato intensificando. Sono in corso discussioni in seno al Parlamento europeo e al Consiglio, negli Stati membri e tra gli attori della società civile, compreso il CESE.

2.3.

Negli ultimi anni il Comitato ha elaborato diversi pareri riguardanti vari aspetti del commercio e dello sviluppo sostenibile nell’ambito della politica commerciale dell’UE formulando raccomandazioni in merito. Si fa riferimento, in particolare, ai pareri sulla strategia «Commercio per tutti» (4), sul ruolo degli scambi commerciali in relazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) (5) e, molto concretamente, sul capitolo riguardante il commercio e lo sviluppo sostenibile dell’accordo di libero scambio UE-Corea (6). Nel luglio 2017 il CESE ha organizzato un convegno al quale hanno partecipato in particolare i membri di diversi GCI, che hanno discusso del modo in cui i capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile possono avere un impatto concreto (7).

2.4.

È possibile fare una serie di valutazioni dell’impatto e dell’efficienza dei capitoli sugli scambi e lo sviluppo sostenibile. Nonostante il fatto che nell’UE vi sia un forte sostegno per l’inclusione di impegni ambiziosi in materia di diritti dei lavoratori e protezione dell’ambiente e dei consumatori, nonché di un ruolo attivo della società civile, negli accordi di libero scambio attuali e futuri, è altresì necessario dimostrare che detti capitoli possono contribuire alle ambizioni delineate nella comunicazione «Commercio per tutti» (8) e nel recente documento di riflessione della Commissione sulla gestione della globalizzazione (9).

2.5.

Nel quadro dell’approvazione del CETA da parte del Parlamento europeo, la commissaria dell’UE per il Commercio Cecilia Malmström si è impegnata (10) a lanciare un’ampia consultazione pubblica con i deputati al Parlamento europeo e la società civile, incluso il CESE, sui capitoli in materia di commercio e sviluppo sostenibile. Questa riflessione sull’attuazione di tali capitoli è necessaria anche nel quadro dei negoziati commerciali in corso con il Messico e il Mercosur e per definire la posizione dell’UE nel caso di un riesame del capitolo del CETA (11), come era stato concordato dalle due parti nello strumento interpretativo comune allegato all’accordo stesso (12).

2.6.

Il documento informale della Commissione, pubblicato l’11 luglio 2017 (13), era inteso ad aprire un dibattito con il Parlamento europeo, il Consiglio e le parti interessate della società civile nei mesi successivi. Include una descrizione e una valutazione della prassi attuale e presenta due opzioni volte a migliorare l’attuazione dei capitoli in materia di commercio e sviluppo sostenibile, ponendo alcuni quesiti alle parti interessate. Il presente parere è destinato a contribuire al processo di consultazione e a riflettere su tali questioni.

2.7.

Gli Stati membri hanno ricevuto il documento informale e stanno presentando osservazioni e proposte. Il Parlamento europeo ne ha discusso nella sessione plenaria del gennaio 2018.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie favorevolmente l’iniziativa della Commissione europea volta a fare il punto sull’attuazione dei capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile negli accordi commerciali dell’UE (14) e il documento informale della DG Trade che ha dato il via al dibattito e a alla consultazione della società civile riguardo alle possibilità di migliorarla.

3.2.

Il CESE ritiene che i capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile svolgano un ruolo cruciale ai fini del conseguimento dell’obiettivo della Commissione di promuovere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) dell’ONU nel quadro della sua strategia «Commercio per tutti» e del documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione. Si tratta di aspetti importanti quanto il rispetto degli impegni internazionali, come quelli assunti nell’ambito dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e quelli in materia di commercio di combustibili fossili.

3.3.

Nel contesto degli OSS, il CESE desidera richiamare l’attenzione sulle conclusioni e raccomandazioni da esso formulate nel proprio parere (15), in particolare sulla proposta di includere in tutti i futuri mandati negoziali relativi a tali capitoli «una specifica clausola che impone a entrambe le parti di ciascun meccanismo di monitoraggio ad opera della società civile di lavorare insieme per promuovere gli OSS» e la raccomandazione che a essi sia «riconosciuta un’importanza pari a quella dei capitoli relativi alle questioni commerciali, tecniche o tariffarie».

3.3.1.

Il Comitato ha già fatto rilevare (16) che l’obiettivo di sviluppo sostenibile n. 17 menziona specificamente il ruolo della società civile, stabilendo che «un’agenda efficace per lo sviluppo sostenibile necessita di partenariati tra i governi, il settore privato e la società civile». Per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite inoltre, gli OSS specificano che i governi sono tenuti a rispondere ai cittadini.

3.4.

Il CESE, tuttavia, lamenta l’approccio restrittivo adottato nell’attuale dibattito sui capitoli CSS e sulla loro portata generale per quanto riguarda gli interessi dei consumatori. Mentre la strategia «Commercio per tutti» pone un chiaro accento sulla fiducia dei consumatori nella sicurezza dei prodotti, gli orientamenti delle Nazioni Unite sulla protezione dei consumatori (17) danno un’interpretazione assai più ampia, che include la protezione della vita privata dei consumatori, i loro diritti nell’ambito del commercio elettronico e il diritto a un’efficace applicazione dei diritti dei consumatori. Considerato l’impatto della liberalizzazione commerciale sui consumatori, il CESE sarebbe favorevole all’introduzione di un capitolo specifico per i consumatori, incentrato sul tema «commercio e consumatori», nel quadro del CSS, che riprendesse i pertinenti standard internazionali riguardanti i consumatori e rafforzasse la cooperazione in materia di applicazione dei loro diritti.

3.5.

Il CESE accoglierebbe con favore anche un impegno a integrare la dimensione di genere nella politica commerciale e, più in particolare, nei capitoli CSS. In molti paesi partner commerciali dell’UE le donne costituiscono la maggioranza della forza lavoro in determinati settori, come l’industria tessile, e pertanto gli accordi commerciali dell’UE non dovrebbero contribuire ad aumentare le disuguaglianze di genere. La Commissione europea dovrebbe garantire il pieno rispetto delle norme internazionali del lavoro in materia di parità di genere e di diritti delle donne sul luogo di lavoro. In particolare, il CESE chiede il rispetto della convenzione dell’OIL n. 100 sulla parità di retribuzione, della convenzione n. 111 concernente la discriminazione in materia di impiego e di professione, che promuove la non discriminazione sul luogo di lavoro, e della convenzione n. 183 sulla protezione della maternità.

3.6.

Il CESE esorta la Commissione a intensificare il dialogo con la società civile al fine di perfezionare il funzionamento del capitolo sugli scambi e sullo sviluppo sostenibile negli accordi commerciali attuali e futuri. Ciò dovrebbe rispecchiarsi in particolare nella revisione del capitolo sul commercio e sullo sviluppo sostenibile nell’ambito del CETA (18). Il CESE accoglie con favore il riesame anticipato delle disposizioni dell’accordo in materia di commercio e lavoro e di commercio e ambiente promesso dalla commissaria Malmström, e chiede di essere coinvolto nel suddetto riesame.

3.7.

Il CESE ha svolto un ruolo importante nel sensibilizzare la società civile alla politica commerciale dell’UE, sia all’interno dell’Unione che nei paesi terzi. I membri del CESE sono stati e continueranno ad essere impegnati a rafforzare la cooperazione con la società civile dei paesi terzi nel monitoraggio dei negoziati e dell’attuazione degli accordi commerciali dell’UE. Questa azione proattiva del CESE è stata fondamentale per la responsabilizzazione delle organizzazioni della società civile nei paesi terzi e per una maggiore democratizzazione dei processi decisionali.

3.8.

Malgrado il periodo relativamente breve di applicazione delle disposizioni CSS (6 anni dopo l’entrata in vigore del primo accordo di libero scambio di nuova generazione, ossia l’accordo di libero scambio UE-Corea), il CESE ha individuato una serie di risultati positivi e di lacune che dovrebbero essere analizzate e dovrebbero servire a orientare la prossima revisione del capitolo CSS del CETA, nonché di altri accordi commerciali.

3.9.

Uno dei principali risultati dei capitoli CSS è l’istituzione dei GCI, al fine di mettere a disposizione della società civile un’importante piattaforma per il monitoraggio degli impegni in materia di diritti umani, del lavoro e ambientali negli accordi commerciali. Tuttavia, il CESE considera importante ampliarne l’ambito di applicazione al fine di includere anche gli interessi dei consumatori.

3.9.1.

Nella misura in cui le sue competenze glielo consentono, l’UE dovrebbe anche cercare di sviluppare maggiori sinergie tra la redazione dei capitoli CSS e le 27 convenzioni obbligatorie in materia ambientale e nell’ambito dell’OIL che hanno rilevanza per il suo programma SPG + (nonché i requisiti relativi al regime «Tutto tranne le armi» per i paesi meno sviluppati).

3.10.

Il CESE apprezza il mandato conferitogli di fornire una parte dei membri e il segretariato dei sei GCI creati fino ad oggi dai seguenti accordi: UE-Corea, UE-Colombia/Perù, accordo di associazione UE-America centrale, accordi di libero scambio globale e approfondito UE-Georgia, UE-Moldova e UE-Ucraina, nonché per il comitato consultivo dell’accordo di partenariato economico UE-Cariforum. Inoltre, il CESE auspica di proseguire il suo lavoro nei futuri gruppi consultivi, come quelli relativi al CETA e all’ALS UE-Giappone.

3.10.1.

Si richiama inoltre l’attenzione della Commissione sui persistenti problemi di confusione, il primo risultante dall’incrociarsi degli accordi di associazione dell’UE e gli accordi di libero scambio globali e approfonditi (DCFTA) con la Georgia, la Moldova e l’Ucraina, che sono difficili da distinguere per la società civile locale, il secondo derivante dal più ampio ruolo attribuito, in particolare in America latina, ai forum della società civile, che ha ridotto l’attenzione sulle questioni centrali e indebolito i messaggi fondamentali dei GCI di ciascuna delle parti.

3.11.

Quella del finanziamento e delle risorse resta tuttavia una questione di cruciale importanza. Con sette meccanismi di monitoraggio in vigore (sei accordi di libero scambio e l’APE Cariforum) e altri previsti, tra l’altro nel quadro degli importanti accordi con il Canada e il Giappone, sarà una sfida per il CESE gestire in modo efficace i GCI attuali e quelli che saranno istituiti in futuro senza risorse aggiuntive. La Commissione dovrebbe urgentemente mettere a punto soluzioni sistemiche insieme con il CESE e, di concerto con il Parlamento e il Consiglio, garantire che vi siano sufficienti risorse disponibili affinché tali meccanismi di monitoraggio possano funzionare e prevedano la piena partecipazione dei gruppi rappresentativi della società civile.

3.12.

Come il CESE ha indicato in vari suoi pareri, un efficace meccanismo di applicazione dei capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile è fondamentale (19). I GCI, in quanto organismi di monitoraggio, hanno un importante ruolo da svolgere nel garantire che le violazioni degli impegni in materia di commercio e sviluppo sostenibile siano individuate e affrontate in modo efficace. Il CESE, in quanto membro attivo dei GCI dell’UE, ha contribuito notevolmente al loro lavoro e invita pertanto la Commissione a essere più ambiziosa per quanto riguarda un meccanismo di applicazione efficace. Nel caso della Corea del Sud, il CESE rileva che il GCI dell’UE ha chiesto alla Commissione (20) di avviare la procedura di risoluzione delle controversie ma la Commissione, pur avendo tentato di affrontare la questione, non lo ha ancora fatto. In tale contesto, il Comitato ha ribadito che «l’attuazione degli aspetti dell’ALS relativi allo sviluppo sostenibile, in particolare per le questioni attinenti al lavoro, rimane insoddisfacente» (21).

3.13.

Il CESE ritiene che le imprese possano svolgere un ruolo importante nel garantire il rispetto dei diritti sociali e del lavoro sostenendo e attuando leggi a tutela dei diritti dei lavoratori e attraverso il dialogo sociale con i sindacati teso a concordare norme dignitose, sia nella loro attività propria che lungo tutta la loro catena di approvvigionamento. Il CESE invita la Commissione a garantire che gli accordi commerciali promuovano un corretto comportamento delle imprese e prevengano il dumping sociale e l’indebolimento delle norme sociali attraverso la definizione di clausole in materia di responsabilità sociale delle imprese, che integrino impegni concreti, siano in linea con gli orientamenti dell’OCSE sulle imprese e i diritti umani e introducano punti di contatto nazionali (PCN) (22) indipendenti e strutturati in modo da coinvolgere le parti sociali in quanto membri di PCN stessi o dei relativi comitati di sorveglianza. È opportuno che detti punti di contatto dispongano di personale adeguatamente formato e in numero adeguato, nonché di finanziamenti sufficienti.

3.14.

Il CESE è pronto a contribuire allo sviluppo di nuove idee per aiutare la Commissione ad accrescere l’efficacia dei meccanismi di attuazione indipendenti nei capitoli CSS, non da ultimo attraverso il diritto a reagire quando non si tiene conto delle sue preoccupazioni. Qualsiasi possibile ricorso a sanzioni ove necessario dovrebbe basarsi su un approccio sfumato.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Per il CESE è necessario che la Commissione intervenga per migliorare l’efficacia dei capitoli sugli scambi e lo sviluppo sostenibile, al fine di garantire che i diritti sociali, ambientali, dei consumatori e dei lavoratori siano rispettati. Un elemento fondamentale è collegato all’obiettivo di migliorare l’efficacia dei GCI in quanto organismi incaricati di monitorare tali impegni.

4.1.1.

Il CESE osserva che diverse parti interessate hanno avanzato proposte volte a migliorare l’indipendenza e l’efficacia dei capitoli CSS degli accordi commerciali e condivide l’opinione secondo cui è opportuno incoraggiare con decisione il rispetto di impegni in materia di commercio e sviluppo sostenibile. Per quanto riguarda le disposizioni in materia di lavoro, tra esse figurano la proposta di un segretariato indipendente del lavoro (23) e un sistema di reclami collettivi proposto nel modello di capitolo sul lavoro (24).

4.2.

Il CESE ha valutato la sua esperienza nei capitoli sugli scambi e lo sviluppo sostenibile. A tale proposito, ha individuato una serie di carenze che invita la Commissione ad affrontare, e più precisamente:

la composizione non equilibrata dei GCI dell’UE e dei paesi partner,

la mancanza di volontà politica di alcuni paesi partner a istituire i propri GCI in modo tempestivo,

la mancanza di finanziamenti adeguati per i GCI sia dell’UE che dei paesi partner,

la necessità di includere nel testo dell’accordo lo svolgimento di riunioni congiunte dei GCI dell’UE e dei paesi partner per consentire loro di scambiarsi esperienze su progetti comuni ed elaborare raccomandazioni congiunte,

la necessità che i presidenti dei GCI e i partecipino alle riunioni dei comitati sugli scambi e sullo sviluppo sostenibile, con il diritto di presentare il punto di vista dei loro gruppi, per far arrivare ai governi i messaggi della società civile,

l’assenza di risposta da parte della Commissione europea alle denunce presentate dai GCI per quanto concerne le violazioni degli impegni in materia di scambi e sviluppo sostenibile.

4.3.

I consiglieri del CESE membri dei GCI e di altre organizzazioni che rappresentano le imprese, i lavoratori e il settore del volontariato hanno formulato una serie di raccomandazioni affinché la Commissione intervenga per affrontare le carenze degli accordi commerciali e per migliorare l’efficacia dei GCI nel garantire che gli impegni in materia di diritti sociali e del lavoro e disposizioni ambientali siano rispettati. La Commissione dovrebbe procedere a un esame approfondito di tali raccomandazioni. Si tratta in particolare delle seguenti:

garantire, prima dell’entrata in vigore dell’accordo, un sostegno alla costruzione di capacità e una migliore promozione e presentazione del contenuto dei capitoli sugli scambi e lo sviluppo sostenibile alla società civile dell’UE e dei paesi partner;

istituire un segretariato indipendente del lavoro e un sistema di reclami collettivi;

assicurare finanziamenti e risorse adeguate per i GCI dell’UE e dei paesi partner, di modo che i rappresentanti della società civile possano partecipare pienamente e fornire fondi per le attività giudicate necessarie, tra cui il lavoro di analisi o i seminari che accompagnano le riunioni annuali congiunte;

incoraggiare i governi dei paesi partner a istituire senza indugio i propri GCI e a fornire loro il necessario sostegno politico e logistico, garantendo nel contempo che abbiano una composizione equilibrata;

istituire un meccanismo di ricorso più trasparente e semplificato;

instaurare un dialogo regolare tra i GCI dell’UE, la Commissione, il SEAE, il Parlamento europeo e gli Stati membri dell’UE;

imporre al Comitato sugli scambi e lo sviluppo sostenibile di dare una risposta ai problemi sollevati e alle raccomandazioni formulate dai GCI entro un lasso di tempo ragionevole;

incaricare i GCI di monitorare l’impatto che avranno sui diritti umani, del lavoro, ambientali e dei consumatori tutte le parti degli accordi commerciali e non soltanto il capitolo sugli scambi e sullo sviluppo sostenibile (il CESE osserva con soddisfazione che la proposta è stata presa in considerazione nella relazione della Commissione sull’attuazione della comunicazione «Commercio per tutti»);

i paesi partner dovrebbero dimostrare di rispettare pienamente le otto convenzioni fondamentali del lavoro dell’OIL prima della conclusione di un accordo commerciale. Qualora un paese partner non avesse ratificato o attuato correttamente tali convenzioni, o dimostrato un livello di protezione equivalente, si dovrebbe introdurre nel capitolo CSS una tabella di marcia basata su impegni concreti per garantire che ciò avvenga in modo tempestivo;

chiedere ai governi e alle imprese che operano nei rispettivi territori una prova del rispetto delle norme contenute nell’agenda dell’OIL per il lavoro dignitoso (25), andando al di là delle norme fondamentali del lavoro e imponendo impegni per quanto riguarda altri diritti, quali quelli relativi alla parità di genere, alla salute e alla sicurezza.

4.4.

Il CESE ritiene che le suddette raccomandazioni di natura pratica possano essere accolte senza modificare il testo degli attuali capitoli sugli scambi e sullo sviluppo sostenibile, e che pertanto esse vadano attuate senza indugio.

4.5.

Il CESE ritiene fondamentale che i meccanismi di controllo, per essere efficaci, debbano essere in grado di avviare in modo autonomo indagini concernenti le violazioni degli impegni in materia di commercio e sviluppo sostenibile. Se dovessero essere individuati degli abusi, sarebbe opportuno avviare senza indugio una procedura di risoluzione delle controversie, con un mandato sostanziale per far rispettare le disposizioni dell’accordo. Il CESE rileva che negli accordi commerciali conclusi con vari paesi, tra cui gli Stati Uniti e il Canada, esiste tutta una gamma di diversi modelli che prevedono la possibilità di infliggere sanzioni pecuniarie in caso di violazione degli impegni.

4.6.

Il CESED si rammarica che, apparentemente, il documento informale suggerisca che il valore di multe o sanzioni negli accordi commerciali può essere valutato unicamente sulla base della sola causa giudiziaria intentata dagli Stati Uniti contro il Guatemala nel quadro dell’accordo CAFTA (26). Il fatto che gli Stati Uniti non abbiano avuto soddisfazione non è però dovuto alla disponibilità o meno di sanzioni, ma alla definizione degli impegni nel capitolo concernente il lavoro nell’accordo CAFTA. Il capitolo impone un obbligo giuridico secondo il quale per giustificare l’imposizione delle sanzioni le violazioni dei diritti del lavoro devono avvenire «in modo tale da influire sugli scambi». In questo caso, il tribunale ha ritenuto che sebbene esistessero chiare violazioni dei diritti del lavoro sanciti dall’OIL, non c’erano prove sufficienti per indicare che dette violazioni fossero «tali da influire sugli scambi». La Commissione deve esaminare altri meccanismi di sanzioni esistenti negli accordi commerciali, valutandone l’impiego e i potenziali limiti e tenendo debito conto del fatto che alcuni settori in seno alla società civile hanno espresso gravi preoccupazioni circa il loro utilizzo.

4.7.

L’approccio degli Stati Uniti in materia di sanzioni presenta altre limitazioni per quanto riguarda l’ammissibilità, l’ambito di applicazione e la durata della procedura, e questo ha fatto sì che solo un numero molto ridotto di controversie sia stato risolto mediante un approccio di tipo sanzionatorio. La Commissione dovrebbe trarre insegnamento dalle limitazioni esistenti nei meccanismi sanzionatori applicati dagli USA o da altri paesi come il Canada nei loro accordi commerciali, al fine di valutare e migliorare l’efficacia di un meccanismo esecutivo di controllo del rispetto delle disposizioni dell’accordo che potrebbe eventualmente essere elaborato nei capitoli sugli scambi e sullo sviluppo sostenibile. Un potenziale limite è rappresentato dal rischio reale che l’UE finisca per scoraggiare i partner commerciali dall’avviare negoziati o per perdere peso nei negoziati stessi.

4.8.

Il CESE è pronto ad assistere la Commissione nell’elaborazione di un meccanismo efficace che migliori l’attuazione e il monitoraggio dei capitoli CSS negli accordi di libero scambio dell’UE, attingendo alle esperienze di altri paesi nonché alle proposte avanzate dalle imprese nonché dai rappresentanti della società civile attivi nel campo dell’ambiente, dell’occupazione o in altri settori.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2017/july/tradoc_155686.pdf.

(2)  http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2015/october/tradoc_153846.pdf.

(3)  https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/reflection-paper-globalisation_it.pdf.

(4)  Parere del CESE sul tema Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile, relatore: PEEL (UK-I) (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 123).

(5)  REX/486 — Parere del CESE Il ruolo fondamentale del commercio e degli investimenti nel conseguire e attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile, relatore: PEEL (UK-I), correlatore: QUAREZ (FR-II) (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(6)  Parere del CESE Accordo di libero scambio UE-Corea — Relazione di valutazione concernente il capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile, relatore: FORNEA (RO-II) (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 201).

(7)  Convegno sul tema I capitoli su commercio e sviluppo sostenibile negli accordi commerciali dell’UE — Come possono avere un impatto concreto? Sintesi con i principali messaggi: http://www.eesc.europa.eu/sites/default/files/files/summary_conference_on_tsd_chapters_in_eu_trade_agreements.pdf.

(8)  Op. cit.

(9)  Op. cit.

(10)  Lettera della commissaria Malmström al presidente della commissione INTA Lange, gennaio 2017, https://ec.europa.eu/carol/index-iframe.cfm?fuseaction=download&documentId=090166e5af9d7b2e&title=letter.pdf.

(11)  Lettera della commissaria Malmström al ministro canadese del commercio internazionale Champagne, ottobre 2017, https://ec.europa.eu/carol/index-iframe.cfm?fuseaction=download&documentId=090166e5b568bc60&title=SIGNED_LETTER.pdf.

(12)  Strumento interpretativo comune sull’accordo economico e commerciale globale (CETA) tra il Canada e l’Unione europea e i suoi Stati membri (GU L 11 del 14.11.2017, pag. 3).

(13)  http://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=1689.

(14)  Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’attuazione degli accordi di libero scambio, pubblicata il 9 novembre 2017.

(15)  REX/486 — Parere del CESE Il ruolo fondamentale del commercio e degli investimenti nel conseguire e attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile, relatore: PEEL (UK-I), correlatore: QUAREZ (FR-II) (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(16)  REX/486 — Parere del CESE Il ruolo fondamentale del commercio e degli investimenti nel conseguire e attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile, relatore: PEEL (UK-I), correlatore: QUAREZ (FR-II) (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(17)  http://unctad.org/en/PublicationsLibrary/ditccplpmisc2016d1_en.pdf.

(18)  Lettera della commissaria Malmström al ministro canadese del commercio internazionale Champagne, ottobre 2017, op. cit.

(19)  Parere del CESE Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile, relatore: PEEL (UK-I) (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 123); Parere del CESE La posizione del CESE su alcune questioni specifiche fondamentali sollevate nel quadro dei negoziati sul partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP), relatore: DE BUCK, correlatore: BUZEK (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 30). Parere del CESE Accordo di libero scambio UE-Corea — Relazione di valutazione concernente il capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile, relatore: FORNEA (RO-II) (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 201).

(20)  Lettera alla commissaria Malmström sulla Consultazione dei governi a norma dell’ALS UE-Corea, dicembre 2016, http://ec.europa.eu/carol/?fuseaction=download&documentId=090166e5af1bf802&title=EU_DAG%20letter%20to%20Commissioner%20Malmstrom_signed%20by%20the%20Chair%20and%20Vice-Chairs.pdf.

(21)  Parere del CESE Accordo di libero scambio UE-Corea — Relazione di valutazione concernente il capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile, relatore: FORNEA (RO-II) (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 201).

(22)  I governi che aderiscono agli orientamenti sono tenuti a istituire un punto di contatto nazionale (PCN) il cui ruolo principale consiste nel migliorare l’efficacia degli orientamenti attraverso attività promozionali e inchieste, nonché nel contribuire alla risoluzione delle questioni che possono sorgere dalla presunta non conformità agli orientamenti in casi specifici. I punti di contatto nazionali aiutano le imprese e le altre parti interessate ad adottare misure appropriate per promuovere l’osservanza degli orientamenti. Offrono una piattaforma di conciliazione e di mediazione per risolvere i problemi pratici che possono derivare dall’attuazione degli orientamenti.

(23)  Documento informale basato su una proposta congiunta della Confederazione europea dei sindacati (CES) e della Federazione americana del lavoro e associazione di organizzazioni industriali (AFL-CIO), settembre 2016, https://www.etuc.org/en/page/non-paper-introducing-independent-labour-secretariat-ceta.

(24)  Progetto di modello di capitolo sul lavoro per gli accordi commerciali dell’UE, messo a punto in cooperazione con il presidente della commissione INTA, Bernd Lange, giugno 2017, http://www.fes-asia.org/news/model-labour-chapter-for-eu-trade-agreements/.

(25)  http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---integration/documents/publication/wcms_229374.pdf.

(26)  Cfr. https://www.ictsd.org/bridges-news/bridges/news/trade-dispute-panel-issues-ruling-in-us-guatemala-labour-law-case.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Promozione di azioni a favore del clima da parte di attori non statali»

(parere esplorativo richiesto dalla Commissione europea)

(2018/C 227/05)

Relatore:

Mindaugas MACIULEVIČIUS

Correlatore:

Josep PUXEU ROCAMORA

Consultazione

Commissione europea, 28 novembre 2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza

4 luglio 2017

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

6 febbraio 2018

Adozione in sessione plenaria

15 febbraio 2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

192/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio e resiliente ai cambiamenti climatici è stato trainato in larga misura da iniziative dal basso guidate da cittadini, da imprese innovative e da diversi soggetti della società civile, collettivamente definiti attori non statali e subnazionali.

1.2.

Questi attori possono apportare contributi essenziali per accelerare sia lo sviluppo a basse emissioni di carbonio che lo sviluppo sostenibile. L’azione diretta degli attori non statali riduce i costi legati al passaggio ad un’economia a basse emissioni di carbonio e attenua gli effetti immediati dei cambiamenti climatici che sono già in atto.

1.3.

Negli ultimi anni le iniziative a favore del clima da parte di attori non statali hanno segnato un rapido incremento in termini numerici, ma anche per quanto riguarda il raggio d’azione e la portata (1). Tuttavia, gli attori non statali sono tuttora confrontati a ostacoli difficilmente sormontabili che rendono complicato avviare e realizzare con successo le loro azioni a favore del clima.

1.4.

Inoltre, vi è una crescente diversità tra gli attori non statali e le loro azioni per il clima, in quanto essi operano in ambienti vari e molteplici, caratterizzati da esigenze e risorse particolari. Analizzare e comprendere correttamente tale diversità è una condizione essenziale per imprimere un’accelerazione all’azione a favore del clima.

1.5.

Riconoscendo il grande potenziale degli attori non statali di guidare gli sforzi mondiali volti a contrastare i cambiamenti climatici e ad adattarsi alle loro conseguenze, il CESE chiede un «dialogo europeo per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali» inteso a rafforzare ed estendere l’ambito e la portata delle azioni a favore del clima intraprese da questi attori con sede in Europa.

1.6.

Il dialogo europeo proposto dal CESE dovrebbe fornire una panoramica delle azioni a favore del clima all’interno dell’UE e contribuire a monitorare i progressi compiuti nelle azioni attuate a favore del clima a livello mondiale.

1.7.

Il CESE sottolinea che riconoscere e mettere in risalto le azioni efficaci, innovative e creative a favore del clima può risultare un modo efficiente in termini di costi per incentivare la realizzazione di nuove azioni e incoraggiare quelle già in corso. Il riconoscimento delle azioni a favore del clima può essere conseguito tramite una piattaforma online, eventi ad alto livello e/o l’assegnazione di premi.

1.8.

Un dialogo europeo per l’azione a favore del clima dovrebbe raccogliere riscontri in modo continuativo e affrontare le sfide in materia di regolamentazione con le autorità pubbliche, al fine di creare gradualmente un contesto di governance favorevole per un’azione dal basso a favore del clima. Il dialogo dovrebbe basarsi su altre iniziative analoghe, come il Dialogo europeo per l’energia raccomandato dal CESE e istituito per coordinare l’attuazione della transizione energetica.

1.9.

L’obiettivo ultimo del dialogo proposto consiste nell’accelerare le azioni per il clima rendendo interessante per una molteplicità di attori non statali impegnarsi in azioni a favore del clima e nel far sì che tali azioni diventino la nuova normalità.

1.10.

Il CESE sottolinea che, nei nostri sforzi per ridurre le emissioni, proteggere il clima e promuovere la giustizia sociale ed economica, è fondamentale instaurare un dialogo sociale per una transizione equa e rapida verso l’eliminazione totale delle emissioni di carbonio e della povertà.

1.11.

Il CESE propone che lo scopo del dialogo non sia soltanto quello di mettere in evidenza e presentare azioni, ma anche quello di rispondere alle esigenze degli attori non statali stimolando la creazione di nuovi partenariati tra attori statali e non statali, agevolando l’apprendimento tra pari, la formazione e la condivisione di consulenza/assistenza tra attori non statali e agevolando l’accesso ai finanziamenti.

1.12.

Il dialogo europeo proposto funzionerebbe in un ecosistema più ampio creato dalla governance climatica post accordo di Parigi. Nell’organizzazione del dialogo si dovrebbe procedere con «mano leggera», dando priorità al collegamento strategico dei programmi, delle iniziative e delle istituzioni esistenti anziché creare nuove strutture. In questo contesto il CESE appoggia la proposta del Parlamento europeo di creare piattaforme nazionali di dialogo multilivello sul clima e sull’energia.

1.13.

Il CESE svolgerà un ruolo fondamentale nell’avviare il dialogo e invita le altre istituzioni dell’UE, in particolare la Commissione europea, a unirsi a questi sforzi per creare un ambiente propizio per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali, collaborando nel contribuire a rendere operativo tale dialogo.

1.14.

Il primo passo per il dialogo europeo per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali dovrebbe essere costituito da un evento da tenersi nel primo semestre del 2018, organizzato in uno spirito di dialogo Talanoa (2), che raccolga tutte le reti di soggetti interessati e i rappresentanti di altre istituzioni dell’UE e degli Stati membri e sia utile a definire un chiaro piano d’azione per il dialogo.

1.15.

Il CESE si attende che un dialogo di questo tipo coinvolga attivamente e in maniera significativa tutti gli attori non statali (le imprese, tra cui le PMI, le imprese dell’economia sociale e le cooperative, i gruppi della società civile, le comunità, come anche gli enti locali e regionali e altre parti interessate pertinenti) in modo che possano apportare un contributo effettivo e tangibile alla lotta contro i cambiamenti climatici.

2.   Contesto del parere

2.1.

Il presente parere esplorativo è stato richiesto dalla Commissione europea.

2.2.

Esso si basa sul parere dal titolo Costruire una coalizione della società civile e degli enti subnazionali per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi, adottato nel luglio 2016, e sugli atti della conferenza, svoltasi successivamente, sulla definizione di un quadro per l’azione dal basso a favore del clima, che ha consentito di scambiare le buone pratiche e individuare le sfide che rallentano gli sforzi intrapresi da attori non statali al fine di contrastare i cambiamenti climatici.

2.3.

Il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio e resiliente ai cambiamenti climatici è stato trainato da iniziative dal basso guidate da cittadini, da enti locali, da consumatori e da imprese innovative. Tuttavia, l’ulteriore progresso di tali iniziative è spesso ostacolato da barriere amministrative e normative, dalla mancanza di meccanismi di consultazione appropriati e da procedure finanziarie inadeguate.

3.   L’urgenza dell’azione a favore del clima da parte di attori non statali

3.1.

Con il termine «attori non statali» si intendono i soggetti che non sono tra le parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change — UNFCCC). Quest’ampia accezione del termine comprende vari tipi di attività, tra cui piccole e medie imprese e microimprese, investitori, cooperative, città e regioni, sindacati, comunità e gruppi di cittadini, organizzazioni confessionali, organizzazioni giovanili e altre organizzazioni non governative. Il presente parere richiama in particolare l’attenzione sui nuovi contributi dal basso da parte di soggetti impegnati a favore del clima e non ancora pienamente riconosciuti dalle istituzioni dell’UE e dagli Stati membri.

3.2.

L’azione a favore del clima da parte di attori non statali sta diventando sempre più urgente per almeno quattro motivi:

le concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera continuano ad aumentare; anche una volta attuati tutti gli impegni presi dai governi, rimarrà un divario nel processo di riduzione delle emissioni di 11-13 gigatonnellate di CO2 equivalente (GtCO2eq) (3). L’azione a favore del clima a breve termine da parte di soggetti statali e non statali può contribuire a colmare questo divario ed è essenziale per evitare misure più radicali e costose;

gli effetti dei cambiamenti climatici già in atto si fanno sentire in tutto il mondo. Essi comprendono un numero crescente di eventi meteorologici estremi, un aumento delle perdite e dei danni e un cambiamento dei modelli meteorologici, oltre ad agire da catalizzatori di fenomeni come lo sfollamento e la migrazione di comunità vulnerabili (4);

le attuali turbolenze politiche, per esempio negli Stati Uniti, e la scarsità di risorse pubbliche mettono in pericolo la piena attuazione degli impegni assunti dai governi. Persino una serie di paesi europei impegnati a fondo per l’attuazione dell’accordo di Parigi non dimostra tuttora il livello di ambizione necessario a limitare l’aumento del riscaldamento globale ben al di sotto di 2 oC;

i governi fissano il quadro politico, ma le azioni sono realizzate sul campo da attori non statali e subnazionali, molti dei quali, in particolare i soggetti emergenti, di piccole dimensioni e che si muovono dal basso, sono i veri leader di azioni innovative ed efficaci.

3.3.

Gli attori non statali impegnati a favore del clima possono apportare contributi essenziali per accelerare sia lo sviluppo a basse emissioni di carbonio sia lo sviluppo sostenibile. L’azione diretta degli attori non statali riduce i costi del passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio e attenua l’impatto immediato dei cambiamenti climatici già in atto. Tuttavia, manca un riconoscimento generale del fatto che le iniziative dal basso possono contribuire a superare i problemi sociali legati alla decarbonizzazione e alla transizione ecologica.

3.4.

Secondo il progetto TESS, finanziato dall’UE e volto a esaminare l’impatto delle iniziative di comunità per la creazione di villaggi ecologici in Europa, se il 5 % dei cittadini dell’UE dovesse impegnarsi in efficaci iniziative di mitigazione dei cambiamenti climatici di tipo partecipativo, la riduzione delle emissioni di carbonio sarebbe sufficiente a consentire ai paesi dell’UE-28 di realizzare l’85 % circa degli obiettivi di riduzione delle emissioni concordati per il 2020 (5).

3.5.

L’azione a favore del clima da parte di attori non statali può altresì rafforzare la governance climatica globale. Per esempio:

le azioni di attori non statali potrebbero ispirare politiche a favore del clima più ambiziose, dimostrando ai governi la plausibilità di obiettivi climatici più ambiziosi;

le azioni di attori non statali potrebbero aiutare i governi ad attuare politiche a livello nazionale e potrebbero contribuire a soddisfare i requisiti nazionali nel quadro del contributo determinato a livello nazionale dell’UE;

gli attori non statali potrebbero contribuire a individuare le opportunità per rafforzare l’ambiente normativo (6).

3.6.

L’azione da parte di soggetti non statali può altresì servire a dimostrare che il passaggio a un’economia circolare, a basse emissioni di carbonio e resiliente ai cambiamenti climatici rappresenta un’opportunità per l’UE di aumentare la sua competitività, recando vantaggi alle imprese dell’Unione. Inoltre, essa offre la possibilità di affrontare non soltanto le sfide climatiche, ma anche lo sviluppo sostenibile, in particolare l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

3.7.

Negli ultimi anni il numero, l’ambito e la portata delle azioni a favore del clima intraprese da attori non statali sono aumentati rapidamente (7). Tuttavia, i soggetti non statali sono tuttora confrontati a ostacoli difficilmente sormontabili che rendono complicato avviare e realizzare con successo le loro azioni per il clima (cfr. il parere del CESE sul tema «Costruire una coalizione della società civile e degli enti subnazionali per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi» (8)).

3.8.

Inoltre, vi è una crescente diversità tra gli attori non statali e le loro azioni per il clima, in quanto essi operano in ambienti vari e molteplici, caratterizzati da esigenze e risorse particolari. Analizzare e comprendere correttamente tale diversità è una condizione essenziale per imprimere un’accelerazione all’azione per il clima.

4.   L’UE ha bisogno di un approccio strategico volto ad agevolare l’azione a favore del clima da parte di attori non statali

4.1.

L’Unione europea sostiene l’azione da parte di attori non statali a livello internazionale:

l’UE è favorevole a iniziative multilaterali di cooperazione internazionale che affrontino la mitigazione nel contesto dell’UNFCCC;

l’UE ha contribuito a grandi iniziative multilaterali a favore del clima (9);

singoli Stati membri hanno sostenuto l’agenda dell’azione internazionale a favore del clima. Per esempio, la Francia ha condotto sforzi di mobilitazione su vasta scala in vista dell’accordo di Parigi. I paesi nordici e i Paesi Bassi hanno contribuito a sviluppare la piattaforma delle iniziative a favore del clima (attualmente ospitata dal programma delle Nazioni Unite per l’ambiente);

secondo le stime, gli attori con sede in Europa guidano il 54 % delle iniziative di cooperazione registrate nel quadro dell’UNFCCC per l’azione a favore del clima (10).

4.2.

In netto contrasto con il ruolo forte di leader che ricopre in questo campo nell’arena internazionale, l’UE attualmente non dispone di un quadro che crei un ambiente favorevole in grado di contribuire ad accelerare le azioni a favore del clima da parte di attori non statali in Europa. Senza tale quadro l’UE potrebbe perdere contributi concreti da parte dei soggetti più all’avanguardia tra i vari attori non statali e subnazionali. L’attuale sostegno dell’UE a un ristretto numero di azioni multilaterali su vasta scala non è sufficiente per il tipo di trasformazione a favore della quale l’Unione si è impegnata nel quadro dell’accordo di Parigi.

4.3.

Occorre riservare molta più attenzione ai soggetti emergenti, non ancora riconosciuti, che si muovono dal basso e che attualmente sono sottorappresentati nelle iniziative sostenute dall’UE. Il loro contributo potenziale non deve essere sottovalutato. La creazione di un ambiente propizio per questo tipo di azioni a favore del clima consente di sfruttare in modo efficace e non oneroso l’enorme potenziale sociale che esse offrono.

4.4.

Inoltre, la formazione di un contesto favorevole permette di affrontare gli attuali squilibri tra le azioni a favore del clima intraprese da attori non statali. Per esempio:

le microimprese, le piccole e medie imprese, le imprese dell’economia sociale (in particolare le cooperative) sono attualmente sottorappresentate nelle iniziative sostenute dall’UE, nonché nel contesto dell’UNFCCC (11);

le azioni a favore del clima poste in essere dalle comunità rurali e dalle città di dimensioni piccole e medie sono sottorappresentate rispetto a quelle intraprese dalle grandi città metropolitane (12).

4.5.

Dal momento che gli attuali sforzi di mobilitazione a favore del clima sono principalmente compiuti a livello di politiche internazionali, incentrate su esempi particolarmente grandi e/o eclatanti, vi è urgente necessità di un’azione a livello dell’UE intesa a integrare gli sforzi internazionali incoraggiando e sostenendo attori diversi e più numerosi.

4.6.

Riconoscendo il grande potenziale degli attori non statali di guidare gli sforzi mondiali volti a contrastare i cambiamenti climatici e ad adattarsi alle loro conseguenze, il presente parere propone un «dialogo europeo per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali» inteso a rafforzare ed estendere l’ambito e la portata delle azioni a favore del clima intraprese da attori non statali con sede in Europa.

5.   Settori prioritari per le azioni a favore del clima; esempi ed esigenze degli attori sul campo

5.1.

È opportuno determinare in consultazione con la società civile i settori prioritari tematici.

5.2.

Una stretta corrispondenza con i settori tematici nel contesto dell’UNFCCC, in particolare il partenariato di Marrakech per l’azione globale a favore del clima, potrebbe garantire un forte collegamento con gli obiettivi dell’accordo di Parigi.

5.3.

I settori prioritari potrebbero comprendere: agricoltura e alimentazione; silvicoltura, uso del suolo e bioeconomia sostenibile; protezione e sviluppo delle coste; risorse idriche; città e regioni; trasporti; energia; economia circolare e industria.

5.4.

I temi trasversali che potrebbero essere affrontati nel dialogo proposto comprendono: compromessi e sinergie in materia di clima e sviluppo sostenibile; ruolo della digitalizzazione; approcci partecipativi; giusta transizione.

5.5.

L’imprenditorialità sociale, le iniziative dei cittadini e il lavoro a beneficio della comunità sono solo alcuni esempi di come si può attuare l’azione a favore del clima mediante approcci dal basso. Esistono già numerose iniziative coronate da successo, mentre molte altre sono state avviate ma non hanno centrato l’obiettivo o sono state sospese per vari motivi. Per fornire conoscenze preziose sia agli attori non statali sia ai responsabili decisionali si possono utilizzare entrambe le categorie di progetti.

5.5.1.

Un esempio eccellente è rappresentato dalla produzione decentrata di energia da fonti rinnovabili, che dovrebbe essere realizzata mediante strutture locali o regionali, il che significa che la creazione di valore dall’uso di energia eolica, energia solare e biomassa avrebbe luogo a livello locale. Tuttavia, l’UE non utilizza in maniera sufficientemente esaustiva il potenziale della società civile in questo settore, e troppo spesso degli ostacoli normativi, finanziari e strutturali si frappongono all’impegno degli attori locali. Nel 2015 il CESE ha chiesto e ottenuto l’avvio di un Dialogo europeo per l’energia sotto la guida della società civile al fine di coordinare l’attuazione della transizione energetica (13) — dialogo che costituisce, da solo, la più importante iniziativa di stabilizzazione del clima adottata dall’UE.

5.5.2.

Oltre 1 000 governi locali e regionali di 86 paesi, che rappresentano 804 milioni di persone, hanno riportato i loro obiettivi di riduzione delle emissioni sul registro Carbonn delle città per il clima, obiettivi che, una volta conseguiti, potrebbero tradursi in una riduzione di 5,6 GtCO2eq entro il 2020 e di 26,8 GtCO2eq entro il 2050, rispetto ai livelli risalenti al 1990. L’impatto aggregato di 7 494 città e governi locali, che rappresentano oltre 680 milioni di persone, impegnati a favore del Patto mondiale dei sindaci per il clima e l’energia, potrebbe far registrare collettivamente una riduzione di 1,3 GtCO2eq l’anno entro il 2030 rispetto allo status quo, conseguendo un totale cumulativo di 15,64 GtCO2eq tra il 2010 e il 2030 (14).

5.5.3.

Nel corso degli ultimi anni si è registrata in Europa una crescita dell’agricoltura sostenuta dalle comunità. Nel 2016 oltre 6 000 iniziative della società civile in senso lato portate avanti in 22 paesi europei producevano alimenti per 1 milione di persone (15). Tali iniziative spaziano dai partenariati tra consumatori e agricoltori alla creazione di orti collettivi e aziende agricole comunitarie. Esse instaurano legami più stretti tra produttori e consumatori, creano opportunità per le imprese locali e nuovi posti di lavoro e riavvicinano le comunità ai loro alimenti, modificando pertanto i meccanismi di produzione e consumo di prodotti alimentari e consentendo ai cittadini di creare forme di governance più partecipative.

5.5.4.

L’idea di una giusta transizione unisce i lavoratori, le comunità, i datori di lavoro e i governi nel quadro del dialogo sociale, con l’obiettivo di mettere a punto programmi concreti, politiche e investimenti necessari a garantire che la trasformazione avvenga in maniera rapida ed equa. Tale idea è incentrata sull’occupazione e sui mezzi di sussistenza ed è volta a garantire che nessuno sia lasciato indietro nella corsa per ridurre le emissioni, proteggere il clima e promuovere la giustizia sociale ed economica. Per garantire e instaurare il dialogo sociale per una giusta transizione, la Confederazione sindacale internazionale e i suoi partner hanno istituito un Centro per una giusta transizione. Il Centro riunirà e sosterrà i sindacati, le imprese, le società, le comunità locali e gli investitori nel quadro del dialogo sociale al fine di sviluppare piani, accordi, investimenti e politiche per una transizione rapida ed equa verso l’eliminazione totale delle emissioni di carbonio e della povertà.

5.5.5.

Nei programmi volontari e nelle iniziative di riduzione dei consumi da parte dell’industria è prevista la messa in atto di pratiche per il risparmio energetico e idrico e per il contenimento delle emissioni. I risultati conseguiti dalle imprese su questo fronte sono oggetto di audit e vengono frequentemente resi pubblici. Questo tipo di buone pratiche consente anche di realizzare analisi comparative dei risultati raggiunti dalle diverse imprese e dai diversi paesi.

5.6.

Per comprendere l’ampiezza della diversità degli attori non statali, le loro diverse esigenze e risorse, il CESE ha condotto un’indagine (16) da cui è emerso che tra le esigenze più urgenti, gli attori non statali menzionano:

un contesto politico/legislativo favorevole;

le necessità di ordine finanziario: accesso ai fondi pubblici e incentivi fiscali;

il supporto tecnico: al fine di agevolare l’apprendimento reciproco, il rafforzamento delle capacità, lo scambio di conoscenze e di buone pratiche, e fare opera di sensibilizzazione;

un più ampio grado di credibilità, visibilità, comprensione e riconoscimento dei loro contributi;

una maggiore collaborazione tra i diversi attori del settore privato e di quello pubblico.

6.   Funzioni del dialogo europeo per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali proposto dal CESE

6.1.

Al fine di creare un ambiente propizio all’azione a favore del clima da parte di attori non statali e di rafforzare ed estendere l’ambito e la portata delle azioni intraprese in Europa, il dialogo europeo dovrebbe rispondere ai requisiti politici e operativi degli attori non statali e dovrebbe, ove possibile, affrontare le seguenti funzioni interconnesse: 1) valutare e 2) riconoscere le azioni, 3) rafforzare la governance, 4) accelerare e 5) sostenere le azioni («ARIAS», acronimo di: A ssessing actions, R ecognising actions, I mproving governance, A ccelerating actions, S upporting actions).

6.2.

Valutare e monitorare le azioni: l’UE e gli Stati membri beneficiano di una migliore comprensione dei contributi delle azioni a favore del clima intraprese da attori non statali. Il dialogo proposto può fornire una panoramica delle azioni a favore del clima all’interno dell’Europa e può altresì contribuire a monitorare i progressi compiuti nelle azioni realizzate a favore del clima a livello mondiale nel contesto dell’UNFCCC.

Una migliore comprensione dei contributi relativi alla mitigazione e di altro tipo è vantaggiosa sotto vari aspetti:

può costituire un primo passo verso l’inclusione delle azioni dei soggetti non statali nell’attuazione delle politiche a favore del clima a livello nazionale e dell’UE;

può, grazie a studi approfonditi di particolari azioni a favore del clima, contribuire a elaborare politiche pubbliche e a individuare ostacoli normativi, soluzioni modulabili e le circostanze in base alle quali determinate misure sono efficaci;

può generare conoscenze pratiche utili agli attori non statali per impegnarsi in maniera efficace nell’azione a favore del clima.

6.2.1.

Il quadro proposto dovrebbe consentire di monitorare i progressi compiuti nell’attuazione di almeno alcune delle azioni degli attori non statali e subnazionali, in particolare quando si impegnano a favore di riduzioni quantificabili delle emissioni. Ciò potrebbe assumere la forma di valutazioni aggregate delle azioni intraprese in Europa a favore del clima, nonché di meccanismi di comunicazione volontari. Dovrebbero essere prese in considerazione garanzie contro il «greenwashing» (ossia il fatto di presentare l’attuale «status quo» come pulito e compatibile con gli obiettivi dell’accordo di Parigi). Tuttavia, tale funzione dovrebbe come minimo dimostrare che le iniziative sono ben più che impegni scritti, senza vincolarle a obblighi onerosi in materia di comunicazione e monitoraggio. Nel quadro delle pratiche di monitoraggio e valutazione, un approccio più qualitativo e narrativo potrebbe eventualmente integrare l’approccio quantitativo, al fine di dimostrare ciò che è possibile realizzare.

6.3.

Attualmente, la maggior parte delle azioni a favore del clima portate avanti in Europa non è riconosciuta, o lo è con molta difficoltà, a livello europeo. L’opportunità di riconoscere ed evidenziare le azioni particolarmente efficaci, innovative e creative a favore del clima può, tuttavia, essere un modo efficiente in termini di costi per incentivare la realizzazione di nuove azioni e incoraggiare quelle in corso. Il riconoscimento delle azioni a favore del clima può assumere varie forme, tra cui:

dare ampio riconoscimento agli impegni nuovi ed esistenti mediante una piattaforma online;

offrire la possibilità agli attori emergenti impegnati a favore del clima di intervenire in eventi (ad alto livello), sia nel contesto europeo che in quello di negoziati internazionali;

premiare le azioni a favore del clima particolarmente riuscite, per esempio in aree tematiche specifiche.

6.4.

Migliorare e rafforzare la governance: è probabile che i soggetti più all’avanguardia all’interno dei vari gruppi di attori non statali riescano a individuare ostacoli e opportunità per migliorare la governance. I loro punti di vista possono contribuire a riconoscere gli ostacoli normativi a livello europeo, nazionale, regionale o locale e a dare impulso alla loro soppressione, nonché a creare un quadro normativo adattato favorevole all’azione per il clima. Un dialogo europeo per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali dovrebbe raccogliere riscontri in modo continuativo e affrontare le sfide con le autorità pubbliche, al fine di creare gradualmente un contesto di governance favorevole per un’azione dal basso a favore del clima. Ciò non avverrà senza affrontare il vuoto politico esistente tra gli attori non statali e i responsabili politici.

6.5.

Accelerare l’azione a favore del clima: l’obiettivo ultimo del dialogo proposto consiste nell’accelerare le azioni a favore del clima rendendole interessanti per una molteplicità di attori non statali e nel far sì che tali azioni diventino la nuova normalità. In pratica, ciò dovrebbe comportare quanto segue:

un crescente numero di nuovi impegni a favore del clima da parte di attori non statali. Per contribuire ad accelerare le iniziative, il dialogo dovrebbe, eventualmente in collaborazione con l’UNFCCC e altri partner, far conoscere i nuovi impegni;

una rapida diffusione di soluzioni e insegnamenti tratti dalle azioni a favore del clima realizzate da attori non statali a livello europeo. Per agevolare tale accelerazione, il dialogo potrebbe comprendere l’organizzazione di riunioni di esperti tecnici regionali, ispirate a riunioni simili che si svolgono nell’ambito delle sessioni dell’UNFCCC, e in grado di contribuire a queste ultime;

i partner incaricati dell’organizzazione possono occasionalmente anche negoziare nuovi partenariati e azioni a favore del clima in aree particolarmente promettenti o urgenti, sfruttando la loro capacità di mobilitazione e quella del processo di dialogo;

talvolta le iniziative settoriali o territoriali possono essere in competizione tra di loro se non viene trovato e favorito il giusto approccio atto a promuovere la collaborazione. È necessaria una visione «dall’alto» per individuare divari e potenziali collaborazioni e per negoziare nuovi partenariati.

6.6.

Sostenere le azioni a favore del clima: il dialogo proposto non dovrebbe soltanto mettere in evidenza e presentare azioni, ma anche rispondere alle esigenze degli attori non statali. Si possono prefigurare diversi tipi di sostegno, in particolare:

la creazione di un ambiente di rete favorevole alla negoziazione di nuovi partenariati tra attori statali e non statali;

l’agevolazione dell’apprendimento tra pari e della condivisione di consulenza/assistenza tra attori non statali aiutandoli a superare gli ostacoli normativi;

l’offerta di percorsi di istruzione e formazione nonché la promozione dell’innovazione, per esempio attraverso corsi online aperti e di massa (massive open online courses — MOOC), webinar e seminari su temi specifici (17);

la facilitazione dell’accesso ai finanziamenti, per esempio, attraverso la mappatura dei canali esistenti; la ricerca di strumenti di finanziamento innovativi (in particolare, finanziamento tra pari, finanziamento collettivo e microfinanziamento); la proposta di semplificare le norme fiscali e la creazione di nuove opportunità di finanziamento, per esempio per agevolare l’accesso ai fondi privati, internazionali e multilaterali.

7.   Rendere operativo il dialogo europeo per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali proposto dal CESE

7.1.

Il dialogo europeo proposto funzionerebbe in un ecosistema più ampio creato dalla governance climatica post accordo di Parigi. Stanno emergendo altre agende e quadri d’azione regionali e nazionali (per esempio in America latina e negli Stati Uniti). La collaborazione con queste piattaforme e gli insegnamenti tratti dalle stesse potrebbero essere utili al dialogo europeo.

7.2.

Nell’organizzazione del dialogo si dovrebbe procedere con «mano leggera», dando priorità al collegamento strategico dei programmi, delle iniziative e delle istituzioni esistenti anziché creare nuove strutture. Il CESE intende svolgere un ruolo chiaro nell’avvio del dialogo e nella ricerca di sostegno da parte della Commissione europea e di altre istituzioni dell’UE, come anche di un partenariato con esse. Questo assetto istituzionale conferirebbe al dialogo credibilità nell’affrontare l’azione per il clima a livello europeo. In questo contesto il CESE appoggia la proposta del Parlamento europeo di creare piattaforme nazionali di dialogo multilivello sul clima e sull’energia, per un’ampia discussione in ogni Stato membro sul futuro delle politiche nazionali in materia di clima ed energia.

7.3.

Una piattaforma online nel quadro del dialogo europeo può fungere da centro di scambio di informazioni, repertoriando le azioni a favore del clima intraprese in Europa e fornendo una panoramica delle stesse, e può costituire una banca dati completa in grado di sostenere un’analisi strategica e di alimentare le politiche locali, nazionali e dell’UE. Per ottimizzare la fruibilità del centro di scambio di informazioni, il sito web dovrebbe essere accessibile e consultabile e potrebbe essere collegato a piattaforme esistenti nel contesto dell’UNFCCC, in particolare la piattaforma NAZCA (18).

7.4.

Il dialogo europeo proposto dovrebbe dare impulso a eventi a sostegno delle funzioni di riconoscimento, raccolta di riscontri, apprendimento e messa in rete per gli attori non statali. Parte di questi eventi già esiste, ma acquisirebbe nuova importanza. Per esempio:

le riunioni di esperti che organizza l’Osservatorio dello sviluppo sostenibile del CESE potrebbero acquisire maggiore importanza mediante il collegamento al processo UNFCCC come «riunioni tecniche di esperti» o come dialoghi tematici e regionali per fare un bilancio delle azioni portate avanti a favore del clima;

la Giornata europea delle comunità sostenibili, organizzata da ECOLISE in collaborazione con il CESE, potrebbe richiamare l’attenzione sulle comunità locali e dare riconoscimento ai contributi per l’azione a favore del clima;

eventi annuali sostenuti dalle istituzioni dell’UE (per esempio la Settimana verde, la Settimana europea dell’energia sostenibile, la Settimana europea dello sviluppo sostenibile ecc.) potrebbero prevedere sessioni dedicate all’azione a favore del clima da parte di attori non statali.

7.5.

La nomina di «ambasciatori» settoriali o tematici per l’azione a favore del clima potrebbe servire a promuovere il dialogo proposto. Questi ambasciatori potrebbero essere incaricati di negoziare la cooperazione tra più parti interessate, fissare priorità strategiche/tematiche, indire eventi e incoraggiare nuove azioni a favore del clima. Essi possono altresì fungere da punto di riferimento per azioni a favore del clima da parte di attori non statali, per esempio nei confronti della Commissione europea, degli Stati membri e dell’UNFCCC.

7.6.

Il processo proposto dovrebbe sostenere l’accesso al finanziamento delle azioni portate avanti da attori non statali, per esempio:

offrendo una mappatura delle opportunità di finanziamento;

fornendo consulenza sui progetti finanziabili;

analizzando le attuali procedure di dialogo e di consultazione con gli attori non statali al fine di definire nuove tecniche e buone pratiche volte a rafforzare l’impiego dei fondi europei e internazionali disponibili;

chiedendo che il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE venga incontro alle ambizioni più elevate in materia di clima degli attori non statali e ne stimoli le azioni;

esplorando le possibilità di finanziamenti innovativi (finanziamento tra pari, finanziamento collettivo, microfinanziamento, obbligazioni verdi ecc.).

7.7.

Per garantire credibilità e un quadro istituzionale «leggero», dovrebbero essere invitati, in qualità di partner organizzativi, i contribuenti potenziali seguenti:

per sostenere la funzione di «valutazione», gli iniziatori del dialogo dovrebbero interagire con i gruppi di ricerca, le iniziative di monitoraggio delle azioni a favore del clima e le piattaforme di dati esistenti;

per sostenere la funzione di «riconoscimento» bisognerebbe cercare una cooperazione con le iniziative esistenti di assegnazione di premi, per esempio i premi dell’iniziativa dell’UNFCCC «Momentum for Change» (slancio per il cambiamento) nonché i premi SEED (19), il Premio CESE per la società civile ecc.;

per sostenere le funzioni di «miglioramento della governance» e di «accelerazione» dovrebbero essere stabiliti dei canali di comunicazione, per esempio con dialoghi facilitativi e procedure tecniche di esperti all’interno dell’UNFCCC nonché con strutture pertinenti a livello dell’UE e degli Stati membri quali i consigli consultivi europei per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile (EEAC);

per sostenere la funzione di «sostegno», bisognerebbe instaurare dei collegamenti con i programmi esistenti. Per esempio, l’accesso ai finanziamenti e alle buone pratiche può essere coordinato con il programma LIFE dell’UE, uno strumento di finanziamento per l’azione a favore dell’ambiente e del clima, con le sovvenzioni o i prestiti della BEI e/o con altri programmi europei, mentre si possono raccogliere i risultati della ricerca di Orizzonte 2020 pertinenti per gli operatori non statali e garantirne un’ampia diffusione tra i partecipanti al dialogo.

7.8.

Il primo passo per l’avvio del dialogo europeo per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali dovrebbe essere costituito da un evento da tenersi nel primo semestre del 2018, organizzato dal CESE in collaborazione con la Commissione europea, volto a riunire tutte le reti degli attori interessati, nonché i rappresentanti di altre istituzioni dell’UE e degli Stati membri.

7.8.1.

Questo evento dovrebbe contribuire al dialogo Talanoa in vista della COP24, nel cui ambito le parti della UNFCCC e i soggetti direttamente interessati che non sono tra queste sono chiamati a collaborare all’organizzazione di eventi di carattere locale, nazionale, regionale o mondiale per preparare e mettere a disposizione contributi pertinenti che facciano il punto della situazione, indichino gli obiettivi che vogliamo raggiungere e le modalità per realizzarli.

7.8.2.

L’evento dovrebbe inoltre servire a definire un piano d’azione volto a dare operatività al dialogo europeo per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali per il periodo 2018-2020, stabilendo in particolare un piano particolareggiato per realizzare le funzioni ARIAS del dialogo.

Bruxelles, 15 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Yearbook of Global Climate Action 2017 (Annuario dell'azione globale per il clima 2017), Partenariato di Marrakech, UNFCCC 2017.

(2)  «Talanoa» è la parola tradizionalmente usata nelle isole Fiji e del Pacifico per indicare un processo di dialogo inclusivo, partecipativo e trasparente, con lo scopo di condividere storie, costruire empatia e prendere decisioni sagge per il bene comune. Il dialogo Talanoa inteso a fare il punto degli sforzi collettivi delle parti in relazione ai progressi compiuti verso l’obiettivo a lungo termine di cui all’articolo 4 dell’accordo di Parigi avrà inizio nel 2018, e a tale scopo sarà messa a disposizione una piattaforma online per la raccolta di contributi.

(3)  The Emissions Gap Report 2017: A UN Environment Synthesis Report, UNEP 2017 (Relazione 2017 sul divario delle emissioni: una relazione di sintesi delle Nazioni Unite in materia ambientale, UNEP 2017).

(4)  Conclusioni del Consiglio «La diplomazia climatica europea dopo la COP21: elementi per la prosecuzione della diplomazia climatica nel 2016».

(5)  Towards European Societal Sustainability (Verso la sostenibilità sociale europea), http://www.tess-transition.eu/about/.

(6)  Per esempio, attraverso la rimozione di ostacoli normativi e/o l’elaborazione di politiche intelligenti a favore del clima.

(7)  Yearbook of Global Climate Action 2017 (Annuario dell'azione globale per il clima 2017), Partenariato di Marrakech, UNFCCC 2017.

(8)  GU C 389 del 21.10.2016, pag. 20.

(9)  Tra gli esempi più significativi figurano: il Patto globale dei sindaci per il clima e l’energia, il Patto regionale dei sindaci, l’iniziativa Mission Innovation, la Coalizione per il clima e l’aria pulita, l’iniziativa Energia rinnovabile per l’Africa, l’iniziativa InsuResilience, e il partenariato sugli NDC (Nationally Determined Contributions, ossia i contributi determinati a livello nazionale).

(10)  Yearbook of Global Climate Action 2017 (Annuario dell'azione globale per il clima 2017), Partenariato di Marrakech, UNFCCC 2017.

(11)  Anche se esse rappresentano oltre il 99 % di tutte le imprese nell’UE e circa il 58 % dell’attività economica misurata in termini di valore aggiunto lordo, https://ec.europa.eu/growth/smes_it

(12)  Nell’UE circa il 35 % della popolazione vive in zone intermedie rurali-urbane e oltre il 22 % vive in zone prevalentemente rurali. (Eurostat (2014), Eurostat regional yearbook (Annuario regionale Eurostat), edizione 2014. Disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/eurostat/en/web/products-statistical-books/-/KS-HA-14-001, ultima consultazione: 16 gennaio 2018).

(13)  Cfr. il parere del CESE sul tema Lo sviluppo del sistema di governance proposto nell’ambito del quadro 2030 per il clima e l’energia, GU C 291 del 4.9.2015, pag. 8.

(14)  https://www.cities-and-regions.org/lgma-at-the-apa-resumption/

(15)  https://urgenci.net/new-report-european-csa-overview-released-by-the-european-csa-research-group/

(16)  Indagine del CESE dal titolo Boosting non-state climate actors (Incoraggiare gli attori non statali impegnati a favore del clima).

(17)  Per esempio «Come creare un piano d’azione?», «Come raccogliere sostegno?», «Come motivare i cittadini a passare all’azione?» ecc.

(18)  http://climateaction.unfccc.int/.

(19)  Premi per l’imprenditorialità nello sviluppo sostenibile.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

532a sessione plenaria del CESE, 14.2.2018 – 15.2.2018

28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo su:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Appalti pubblici efficaci in Europa e per l’Europa

[COM(2017) 572 final]

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Sostegno agli investimenti mediante una valutazione ex ante volontaria degli aspetti relativi agli appalti per i grandi progetti infrastrutturali

[COM(2017) 573 final]

Raccomandazione della Commissione del 3.10.2017 relativa alla professionalizzazione degli appalti pubblici — Costruire un’architettura per la professionalizzazione degli appalti pubblici

[C(2017) 6654 final — SWD(2017) 327 final]

(2018/C 227/06)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Consultazione

Commissione europea, 17/11/2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

24/1/2018

Adozione in sessione plenaria

14/2/2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

107/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che solo un sistema trasparente, aperto e competitivo di appalti pubblici nel mercato unico potrebbe non solo assicurare una spesa pubblica efficiente, ma fornire beni e servizi di alta qualità per i cittadini, sviluppando una vera e propria cultura europea degli appalti innovativi intelligenti, sostenibili e socialmente responsabili.

1.1.1.

A riguardo, il CESE raccomanda di promuovere l’uso dell’«offerta economicamente più vantaggiosa», come criterio di selezione delle offerte, specie nel caso dei servizi intellettuali.

1.2.

Il Comitato accoglie con favore il nuovo pacchetto in materia di appalti pubblici e sottolinea la necessità di:

promuovere la qualità e l’innovazione negli appalti pubblici;

includere gli aspetti ambientali e sociali;

rendere gli appalti pubblici più intelligenti ed efficienti.

1.3.

Il Comitato sottolinea l’importanza di un uso intelligente degli appalti pubblici per affrontare le sfide globali quali i cambiamenti climatici, la scarsità di risorse, le diseguaglianze e l’invecchiamento della società, sostenendo le politiche sociali, accelerando la transizione verso catene di approvvigionamento e modelli aziendali più sostenibili e competitivi, consentendo un migliore accesso delle PMI e delle imprese dell’economia sociale.

1.3.1.

Il CESE ritiene importante lo sviluppo di una maggiore apertura degli Stati membri verso meccanismi volontari di valutazione preventiva per i grandi progetti di infrastrutture.

1.3.2.

Il Comitato sottolinea la necessità di rendere attraente il ricorso volontario al nuovo meccanismo di valutazione ex ante, attraverso il riconoscimento alla stazione appaltante di un Label d’attestazione di conformità. Il CESE sostiene una maggiore professionalizzazione di tutte le parti interessate e una maggiore partecipazione delle imprese sociali, tese a combattere frodi e corruzioni rafforzando la trasformazione digitale degli appalti.

1.4.

Il Comitato apprezza in particolare gli sforzi volti ad accrescere l’accesso delle PMI e delle imprese dell’economia sociale ai mercati degli appalti e sottolinea che vi sono ancora molti ostacoli alla loro piena partecipazione, raccomandando interventi di organismi camerali e/o professionali, come misure di difesa e sostegno.

1.4.1.

Gli aspetti sociali e ambientali hanno acquisito una rilevanza cruciale nella qualificazione degli appalti pubblici, e il CESE evidenzia il valore e l’utilità di tali aspetti e raccomanda l’inserimento di contenuti specifici in materia sociale e ambientale in tutti i programmi di formazione nazionali e comunitari.

1.4.2.

Sarebbe opportuno il lancio di una campagna per l’uso di standard tecnico-normativi in campo ambientale ISO 14000, sociale ISO 26000, SA 8000:2014, e Convenzioni ILO pertinenti (1), di qualità gestionale/produttiva UNI 11648:2016 sul project manager e ISO 9000, o analoghi requisiti tecnici di qualità richiesti da legislazioni nazionali nelle specifiche d’appalto, aiutando le imprese minori ad ottenere i suddetti standard, attraverso il Fondo sociale europeo.

1.5.

Per il Comitato è essenziale procedere con determinazione ad una forte professionalizzazione delle stazioni appaltanti con un chiaro riconoscimento delle nuove qualificazioni acquisite, attrezzandole con un quadro comune europeo di competenze tecniche ed informatiche che permetta un approccio comune in tutto il mercato interno europeo.

1.6.

Il CESE è dell’avviso che sarebbe stato preferibile che la Commissione adottasse non una raccomandazione, ma una direttiva, allo scopo di assicurare un’architettura efficiente e coerente per la professionalizzazione degli appalti pubblici.

1.7.

Occorre realizzare, secondo il Comitato, un registro pubblico digitale degli appalti, anche per consentire sia di ampliare il potenziale bacino di imprese interessate, sia di valutare meglio l’efficienza e l’integrità del processo di appalto.

1.8.

Per il Comitato è fondamentale una forte azione comunitaria volta a favorire l’accesso ai mercati degli appalti dei paesi terzi sulla base di reciprocità, compresi i paesi in fase di adesione e i paesi partner della politica europea di vicinato, in condizioni di parità con le imprese nazionali.

1.9.

Secondo il CESE, le raccomandazioni della Commissione europea (CE) rivolte ai singoli Stati membri dovrebbero essere accompagnate da un forte impulso in campo formativo, rivolto a possibilità d’accesso a programmi e fondi strutturali, a standard tecnico-normativi di digitalizzazione, con l’adozione, a livello europeo, di un codice etico degli appalti.

1.10.

Il CESE raccomanda di promuovere l’inclusione e l’uso di misure di carattere sociale, come strumenti strategici per promuovere politiche avanzate in questo settore.

1.11.

Il CESE raccomanda lo studio delle possibilità di adottare un regime regolamentare comune, come 28o regime, per gli appalti transnazionali, al quale possano aderire, volontariamente, le stazioni appaltanti, con la garanzia di eguali procedure in tutto lo spazio economico europeo.

2.   Contesto e situazione attuale

2.1.

Gli appalti pubblici offrono un enorme mercato potenziale per prodotti e servizi innovativi se utilizzati in modo strategico per stimolare l’economia e sbloccare gli investimenti, in particolare attraverso il piano d’investimento per l’Europa, migliorare la produttività e l’inclusione e rispondere ai cambiamenti strutturali e infrastrutturali necessari per promuovere l’innovazione e la crescita.

2.2.

Una parte sostanziale degli acquisti e degli investimenti pubblici nell’economia europea viene spesa attraverso gli appalti pubblici: ogni anno, le autorità pubbliche dell’UE spendono circa il 19 % del PIL comunitario nell’acquisto di servizi, lavori e forniture.

2.2.1.

Purtroppo il 55 % delle procedure d’appalto viene effettuato sulla base del prezzo più basso, quale criterio d’assegnazione, non prestando quindi particolare attenzione a qualità, sostenibilità, innovazione e inclusività sociale.

2.3.

Nove progetti di infrastrutture su dieci, su larga scala, non sono realizzati in conformità alla pianificazione indicata dalle fasi d’esecuzione contrattuale del progetto, né agli importi messi in bilancio, né al calendario di scadenze previste e spesso con sovraccarichi di costo fino al 50 % (2).

2.4.

L’assetto normativo della materia degli appalti pubblici presenta tradizionalmente una fisionomia piuttosto articolata e complessa, cui si aggiunge un’estrema frammentazione dell’assetto istituzionale, dato che è gestito da una pluralità di attori, a livello centrale, regionale e settoriale, con compiti e funzioni non sempre chiaramente individuati.

2.5.

La gestione delle procedure di acquisto e d’investimento infrastrutturale richiede alle amministrazioni pubbliche, ai vari livelli, competenze particolarmente sviluppate che invece presentano diverse criticità, quali: disomogenee capacità di programmare e individuare tempestivamente gli strumenti e mezzi adeguati; scarsa professionalizzazione delle stazioni appaltanti; molteplicità di amministrazioni pubbliche in relazione ai capitoli di spesa gestiti; carenza di raccolte organiche di informazioni a supporto, con banche dati disomogenee, gestite da soggetti diversi spesso con insufficienti livelli di qualità e affidabilità.

2.6.

Tale complessità non è stata risolta appieno dal pacchetto appalti nel 2014.

2.7.

Nell’UE l’utilizzo di strumenti digitali a sostegno della gestione degli appalti pubblici è lenta: solo quattro Paesi vi hanno aderito, nel 2016 (3). Tale situazione evidenzia la necessità di un maggior utilizzo delle nuove tecnologie per semplificare e accelerare le procedure di aggiudicazione.

3.   Le proposte della Commissione

3.1.

Il pacchetto presentato oggi prevede quattro ambiti principali:

3.1.1.

definizione di settori prioritari da migliorare, per sviluppare un approccio strategico per gli appalti pubblici, incentrato su sei priorità;

3.1.2.

valutazione volontaria ex ante dei grandi progetti infrastrutturali con l’istituzione di un helpdesk, accompagnato da meccanismi di notifica e di scambio di informazioni, in grado di assistere le fasi iniziali di progetti con un valore stimato superiore a 250 milioni di EUR e per quelli di grande utilità per uno Stato membro, superiori a 500 milioni di EUR;

3.1.3.

raccomandazioni sulla professionalizzazione delle amministrazioni e degli acquirenti pubblici, per garantire che possiedano competenze professionali e conoscenze tecniche e procedurali necessarie al fine del rispetto della normativa e assicurare elevate qualità innovative e sostenibili ed il migliore value for money dell’investimento anche sotto il profilo di responsabilità sociale;

3.1.4.

orientamenti per una maggiore innovazione attraverso appalti di beni e servizi.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il Comitato accoglie con grande favore il nuovo pacchetto in materia di appalti pubblici e sottolinea quanto già espresso a suo tempo sulla necessità di «promuovere la qualità e l’innovazione negli appalti pubblici, di ridurre gli oneri burocratici superflui, di includere gli aspetti ambientali e sociali a favore della tutela dell’occupazione e delle condizioni di lavoro a vantaggio dei disabili e di altri gruppi svantaggiati», e di promuovere, accanto all’offerta economicamente più vantaggiosa, la possibilità per i servizi intellettuali di un’unica offerta, ritenuta migliore, anche se non meno cara.

4.2.

L’uso dei criteri ambientali e sociali consentirebbe di rendere gli appalti pubblici più intelligenti ed efficienti, di garantire una maggiore professionalizzazione, di aumentare la partecipazione delle PMI e delle imprese dell’economia sociale, di combattere il favoritismo, la frode e la corruzione e di promuovere gli appalti pubblici europei di carattere transfrontaliero (4).

4.3.

Il Comitato sottolinea in particolare l’importanza di un uso intelligente degli appalti pubblici per affrontare compiutamente le sfide globali quali i cambiamenti climatici e la scarsità di risorse o l’invecchiamento della società, sostenendo le politiche sociali, accelerando la transizione verso catene di approvvigionamento e modelli aziendali più sostenibili e competitivi, consentendo alle PMI un migliore accesso a opportunità di appalto.

4.4.

Il CESE ritiene importante lo sviluppo su base volontaria di una sempre maggiore apertura degli Stati membri volta a:

garantire una più ampia diffusione degli appalti strategici con meccanismi volontari di valutazione ex ante per i grandi progetti infrastrutturali;

sviluppare lo scambio sistematico delle migliori prassi in materia di appalti strategici;

promuovere formule aggiornate per appalti verdi, sociali e innovativi.

4.5.

Per il Comitato è essenziale procedere con determinazione ad una forte professionalizzazione delle stazioni appaltanti, con una certificazione dei requisiti minimi obbligatori, attrezzandole con un quadro comune europeo di competenze tecniche ed informatiche che permetta un approccio comune in tutto il mercato interno europeo sulla base di un centro unico di competenze e di una banca dati interattiva.

4.5.1.

Data l’enorme importanza acquisita dagli aspetti sociali e ambientali negli appalti pubblici e il valore, nonché la garanzia, che la conformità a tali aspetti può comportare per il conseguimento degli obiettivi di inclusione sociale e di sostenibilità sociale e ambientale, il CESE propone e raccomanda che tutti i programmi di formazione rivolti a una maggiore professionalizzazione del personale coinvolto negli appalti pubblici comprendano contenuti specifici sulla legislazione in materia sociale e ambientale e, in particolare, sugli aspetti sociali e ambientali previsti dalla legislazione sugli appalti pubblici.

4.5.2.

L’inclusione di tali aspetti risponde alle nuove sfide tese ad utilizzare appieno le potenzialità per dare un contributo strategico agli obiettivi di politica orizzontale e a valori sociali quali l’innovazione, l’inclusione sociale e la sostenibilità economica e ambientale.

4.5.3.

Occorre quindi, secondo il CESE, garantire la rigorosa conformità a tali misure, qualora siano vincolanti, e promuovere una loro maggiore utilizzazione se si tratta di misure che le amministrazioni aggiudicatrici possono applicare su base volontaria. Il CESE chiede con forza una campagna per l’utilizzo degli standard tecnico-normativi in campo ambientale ISO 14000, sociali ISO 26000, SA 8000:2014, delle otto Convenzioni fondamentali ILO, della Convenzione ILO 155 (igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro), delle Convenzioni ILO 131, 1, 102 e, in campo gestionale/produttivo, delle UNI 11648:2016 sul project manager e delle ISO 9000 di qualità produttiva. Nell’applicazione di tali standard e delle specifiche tecniche delle nuove generazioni d’appalti, un grosso sostegno deve essere assicurato alle PMI e alle imprese dell’economia sociale, per evitarne l’esclusione e per alleviarne i costi.

4.5.4.

L’integrazione di criteri innovativi richiede, specie nei grandi progetti infrastrutturali, una visione strategica comune per scegliere gli acquisti sia sulla base di criteri qualitativi di costo/efficacia, sia per le gare d’appalto economicamente vantaggiose secondo un approccio che può includere criteri sociali, ambientali, e altri criteri quali quelli per l’economia circolare.

4.5.5.

Parimenti, data la sottoutilizzazione, da parte degli Stati membri, delle possibilità offerte dagli appalti pubblici di criteri e misure sociali come strumenti strategici per promuovere obiettivi sostenibili di politica sociale, si propone e si raccomanda di promuovere con decisione l’inclusione e l’utilizzazione di tali criteri e misure di carattere sociale sostenuti dalla normativa dell’UE sugli appalti pubblici.

4.5.6.

Il Comitato apprezza in particolare gli sforzi volti ad accrescere l’accesso delle PMI e delle imprese dell’economia sociale ai mercati degli appalti e sottolinea che vi sono ancora molti ostacoli alla loro partecipazione.

4.5.7.

Secondo il CESE, sarebbe opportuno porre maggiormente l’accento sull’abolizione di tali ostacoli anche rafforzando il sistema dei ricorsi. Al riguardo è utile e necessario incoraggiare e legittimare organismi camerali e/o professionali per risolvere contenziosi in forma collettiva, per le imprese minori.

4.5.8.

Sarebbe opportuno realizzare un registro pubblico digitale degli appalti, anche per consentire di ampliare il potenziale bacino di imprese interessate e di valutare meglio l’efficienza e l’integrità del processo di appalto.

4.5.9.

Sarebbe inoltre importante l’avvio di progetti pilota per stimolare la partecipazione delle PMI tramite intermediari commerciali e mediatori d’innovazione, così come l’avvio di iniziative europee di progetti pilota di formazione a favore della professionalizzazione delle PMI europee per facilitare le conoscenze linguistiche e procedurali delle imprese minori nelle centrali di committenza.

4.6.

Il CESE sostiene con convinzione la promozione di appalti pubblici transfrontalieri congiunti, specie per progetti innovativi e reti infrastrutturali transnazionali, dando impulso alla partecipazione dell’impresa minore tramite intermediari commerciali e intermediari di innovazione, esigendo anche elevati livelli di qualità nel subappalto, il cui ricorso dovrebbe, comunque, essere contenuto.

4.7.

Il Comitato sottolinea l’importanza di una forte azione comunitaria volta a favorire l’accesso ai mercati degli appalti dei paesi terzi sulla base di reciprocità, compresi i paesi in fase di adesione e i paesi partner della politica europea di vicinato, in condizioni di parità con le imprese nazionali, sviluppando apposite clausole anche in ambito di accordi di libero scambio bilaterali e multilaterali.

4.8.

Il CESE è favorevole all’istituzione di un registro comunitario dei contratti accessibili al pubblico in piena interoperabilità con quelli nazionali, per una maggiore trasparenza in merito agli appalti aggiudicati e alle loro modifiche, nella piena salvaguardia dei dati sensibili e della protezione dei dati personali, attraverso la trasformazione digitale, con l’introduzione entro il 2018 dell’obbligatorietà degli appalti elettronici.

4.9.

Il Comitato ribadisce l’importanza di un dialogo strutturato con la società civile sulla base della disponibilità di dati aperti e trasparenti, per creare migliori strumenti di analisi per un’elaborazione delle politiche orientata alle esigenze e di sistemi di allarme e di contrasto alla corruzione, anche attraverso il miglior utilizzo del project financing.

4.10.

Occorre potenziare un meccanismo user-friendly di scambio di informazioni quale strumento di gestione della conoscenza, da utilizzare dalle autorità nazionali e dalle amministrazioni aggiudicatrici per la condivisione delle migliori prassi, l’apprendimento reciproco delle esperienze e la creazione di una piattaforma comunitaria su diversi aspetti relativi ai progetti.

4.10.1.

Occorre incrementare sensibilmente la formazione dei membri delle stazioni appaltanti.

5.   Il partenariato tra la Commissione europea, autorità regionali e nazionali e imprese: il meccanismo ex ante

5.1.

Il nuovo meccanismo ex ante proposto dalla CE può costituire, secondo il Comitato, uno strumento valido se mantenuto flessibile e su base volontaria e se prevede la possibilità di utilizzazione disgiunta delle tre componenti in cui si articola:

un helpdesk,

un meccanismo di notifica per progetti infrastrutturali oltre 500 milioni di EUR,

un meccanismo di scambio delle informazioni

che devono poter essere utilizzati facilmente ed in modo indipendente per ogni progetto e nel pieno rispetto delle garanzie di confidenzialità.

5.2.

Per il CESE è importante che il modulo standard di notifica permanga semplice e snello e che la procedura elettronica garantisca la riservatezza delle informazioni sensibili.

5.3.

Secondo il CESE, il sistema helpdesk dovrebbe essere strutturato sotto forma di rete di sub-helpdesk a livello nazionale/regionale per garantire una assistenza di prossimità, appoggiandosi a reti come BC-NET e Solvit.

5.4.

Il meccanismo di scambio di informazioni dovrebbe garantire una banca dati interattiva, user-friendly e confezionata sulla base delle esigenze dell’utente, con un apposito comitato di indirizzo e verifica di rappresentanti delle stazioni appaltanti e delle imprese degli Stati membri.

5.5.

A proposito del meccanismo di valutazione ex ante, il Comitato sottolinea la necessità di renderlo attraente, attraverso il riconoscimento di un Label d’attestazione di conformità, come risultato della valutazione della CE.

6.   Un’architettura per la professionalizzazione degli appalti pubblici

6.1.

La raccomandazione rivolta dalla CE agli Stati membri è pienamente condivisibile. Tuttavia, allo scopo di assicurare un’architettura efficiente e coerente per la professionalizzazione degli appalti pubblici, il CESE avrebbe preferito che la Commissione adottasse una direttiva, invece di una semplice raccomandazione a carattere non vincolante.

6.2.

Secondo il Comitato, tali raccomandazioni potrebbero trovare un seguito adeguato a condizione che si realizzino:

6.2.1.

una iniziativa pilota di formazione congiunta delle professionalità dei vari attori pubblici e privati coinvolti nel processo d’appalto, partendo dai transfrontalieri, anche per definire la capacità e le competenze che ogni professionista degli appalti pubblici dovrebbe possedere;

6.2.2.

un mandato a CEN-Cenelec-ETSI per standard tecnico-normativi di digitalizzazione d’appalti per garantire trasparenza, accessibilità e piena interoperatività;

6.2.3.

per le PMI e per le imprese dell’economia sociale, un rapido avvio di progetti pilota per stimolarne la partecipazione tramite intermediari commerciali e mediatori dell’innovazione;

6.2.4.

l’accesso degli attori del processo d’appalto al programma Justice 2014-20 per la parte riguardante la formazione giudiziaria, compresa la formazione linguistica sulla terminologia legale, al fine di promuovere una cultura giuridica e giudiziaria comune in materia di appalti e d’apprendimento reciproco;

6.2.5.

l’inserimento tra gli assi di programmazione dei fondi strutturali, specie del Fondo sociale, di interventi di professionalizzazione congiunta degli attori degli appalti a livello nazionale, regionale e locale;

6.2.6.

il lancio di 300 borse di studio UE per la partecipazione a corsi pertinenti dell’European Institute of Public Administration di Maastricht e dell’Accademia di diritto europeo di Treviri;

6.2.7.

l’adozione di un codice etico degli appalti da parte degli attori dei processi d’appalto a livello europeo, nell’ambito di un dialogo con la società civile, allo scopo di assicurare anche il rispetto di alti standard sociali e ambientali.

6.3.

Il CESE auspica lo studio di un regime regolamentare, unico, aggiuntivo, per i grandi appalti transeuropei, da offrire quale ventottesimo regime alla libera adozione delle stazioni appaltanti, con pari condizioni e procedure, in tutto il mercato unico.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Convenzioni fondamentali ILO, Convenzione ILO 155 (igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro) e le Convenzioni ILO 131, 1, 102.

(2)  http://ec.europa.eu/smart-regulation/roadmaps/docs/2017_grow_046_ex_ante_voluntary_assesment_en.pdf.

(3)  COM(2017) 572 final, cap. 2.

(4)  GU C 191 del 29.6.2012, pag. 84.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi nell’ambito dell’approccio integrato dell’Unione finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri e che modifica il regolamento (CE) n. 715/2007»

[COM(2017) 676 final — 2017/0293 (COD)]

(2018/C 227/07)

Relatore:

Dirk BERGRATH

Consultazione

Parlamento europeo, 5.2.2018

Consiglio, 9.2.2018

Base giuridica

Articolo 192, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

24.1.2018

Adozione in sessione plenaria

14.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

124/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie, in linea di principio, con favore le proposte della Commissione europea, in quanto rappresentano un compromesso equilibrato tra gli obiettivi della mobilità a impatto climatico zero, della capacità di innovazione dell’industria automobilistica europea, nonché del mantenimento di un’occupazione di qualità.

1.2.

Il CESE, in particolare, giudica molto impegnativo l’obiettivo intermedio di ridurre entro il 2025 le emissioni del 15 % rispetto al 2021, dal momento che le modifiche tecniche da apportare ai motori a combustione sono ai limiti di quanto consentito dalle tecnologie attuali. Il CESE si attende dalla Commissione un monitoraggio costante delle omologazioni di nuovi veicoli al fine di evitare che si continuino ad installare componenti non autorizzati. Sarà particolarmente difficile conseguire gli obiettivi di riduzione fissati per il 2025 per i veicoli commerciali leggeri, che presentano cicli di produzione e di sviluppo più lunghi. A giudizio del CESE, però, l’evoluzione del mercato verso veicoli a basse o zero emissioni o verso veicoli ibridi costituisce comunque un’opportunità.

1.3.

Il CESE accoglie con favore il miglioramento della vigilanza del mercato grazie alla misurazione e al monitoraggio del consumo reale di carburante in base all’obbligo da parte dei costruttori di montare dispositivi standardizzati sui veicoli nuovi.

1.4.

La transizione strutturale verso sistemi di propulsione alternativi, associata alla digitalizzazione, alla guida autonoma e ad altri elementi ancora, sarà accompagnata da cambiamenti decisivi nelle catene del valore del settore automobilistico. Il CESE accoglie con favore la posizione della Commissione, che intende stabilire in Europa la catena del valore della mobilità elettrica (Alleanza europea delle batterie), ma sollecita da essa un’azione più energica.

1.5.

Dalla velocità di questa transizione strutturale dipendono i rischi per i posti di lavoro e l’occupazione. Il CESE invita la Commissione ad accompagnare tale passaggio con una strategia industriale, visto che manca una valutazione completa dell’impatto sociale ed economico. Il CESE è contrario ai licenziamenti collettivi.

1.6.

Nella revisione intermedia prevista nel 2024 si dovrebbe verificare, secondo il CESE, in che misura gli obiettivi delle politiche in materia di clima, innovazione e occupazione sono stati raggiunti. Ciò dipende essenzialmente dal livello di sviluppo raggiunto dal mercato dei sistemi di propulsione alternativi nel 2024, dalla diffusione delle colonnine di ricarica e dal grado di ammodernamento e potenziamento delle reti elettriche per far fronte alla domanda supplementare identificabile di energia elettrica.

1.7.

Nell’ambito della revisione intermedia, il CESE chiede che si faccia il punto della situazione in materia di qualificazione, riqualificazione e formazione dei lavoratori, e venga condotta un’analisi aggiornata dei settori in cui è necessario un intervento (supplementare) per sviluppare ulteriormente le competenze e le qualifiche dei lavoratori dell’industria automobilistica ai fini della transizione strutturale.

1.8.

Il CESE è del parere che qualsiasi sanzione pecuniaria in virtù del regolamento vigente e di quello nuovo dovrebbe essere utilizzata per sostenere il settore e i suoi lavoratori nel passaggio verso prodotti a basse emissioni di carbonio. Dovrebbero essere rese disponibili risorse finanziarie supplementari per garantire ai lavoratori l’accesso al mercato del lavoro.

2.   Introduzione

2.1.

Nell’ottobre 2014 i capi di Stato e di governo dell’Unione europea (1) hanno assunto l’impegno vincolante di ridurre le emissioni prodotte dall’insieme delle attività economiche dell’UE di almeno il 40 % entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Questo obiettivo si basa su una serie di proiezioni su scala mondiale in conformità con le scadenze intermedie fissate nell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (COP 21) (2). Molti paesi stanno attualmente adottando misure a favore di modalità di trasporto a basse emissioni, tra l’altro sotto forma di norme relative ai veicoli, spesso combinate con misure volte a migliorare la qualità dell’aria.

2.2.

In base all’obiettivo fissato nella strategia europea per una mobilità a basse emissioni, presentata nel giugno 2016, «entro la metà del secolo le emissioni di gas a effetto serra provenienti dai trasporti dovranno essere inferiori di almeno il 60 % rispetto al 1990 ed essere instradate saldamente su un percorso di avvicinamento allo zero» (3). Nella strategia si specifica inoltre che occorre ampliare il ricorso a veicoli a basse o a zero emissioni, al fine di conquistare una significativa quota di mercato entro il 2030 e conseguire quindi, a lungo termine, una mobilità a zero emissioni nell’UE.

2.3.

Come primo passo, la strategia è stata incorporata in un pacchetto legislativo presentato nel maggio 2017 (4) ed ha trovato attuazione, nel maggio 2017, nella comunicazione L’Europa in movimento — Un’agenda per una transizione socialmente equa verso una mobilità pulita, competitiva e interconnessa per tutti (5).

2.3.1.

Con tale comunicazione si perseguono gli obiettivi di migliorare la sicurezza stradale, promuovere sistemi di pedaggio più equi, ridurre le emissioni di CO2, l’inquinamento atmosferico, la congestione del traffico e gli oneri burocratici per le imprese, contrastare il lavoro in nero e, infine, garantire condizioni dignitose e periodi di riposo ai lavoratori.

2.3.2.

Nella comunicazione si precisa che l’UE vuole sviluppare, offrire e produrre soluzioni di mobilità, attrezzature e veicoli a basse emissioni, interconnessi e automatizzati della migliore qualità, e disporre delle infrastrutture di sostegno più moderne. Si sottolinea inoltre che, nell’ambito del processo di continua trasformazione del settore automobilistico, l’UE deve assumere un ruolo di leadership mondiale facendo tesoro dei grandi progressi già conseguiti.

2.4.

La proposta di regolamento in esame fa parte di un più ampio pacchetto mobilità (6) che comprende anche interventi sul lato della domanda a sostegno delle misure sul lato dell’offerta contenute nella stessa proposta. La direttiva 2009/33/CE relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada mira a stimolare il mercato dei suddetti veicoli. La modifica proposta della direttiva 2009/33/CE (7) assicura che la direttiva disciplini tutte le pratiche relative agli appalti pubblici e che fornisca segnali di mercato chiari e a lungo termine, con disposizioni semplificate ed efficaci. Essa dovrà inoltre migliorare il contributo del settore dei trasporti alla riduzione delle emissioni di CO2 e di inquinanti atmosferici, nonché la competitività e la crescita del settore stesso.

3.   La proposta di regolamento (8)

3.1.

Con la proposta di regolamento in esame, la Commissione europea intende conseguire gli obiettivi dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, ridurre il costo del carburante per i consumatori, rafforzare la competitività dell’industria automobilistica europea e creare nuovi posti di lavoro. Il cammino verso la decarbonizzazione, tramite in particolare sistemi di propulsione alternativi, viene considerato come irreversibile.

3.2.

Grazie alla proposta, la Commissione prevede di conseguire una riduzione delle emissioni di CO2 pari a circa 170 milioni di tonnellate nel periodo 2020-2030, con un conseguente miglioramento della qualità dell’aria. Il prodotto interno lordo (PIL) dovrebbe crescere, da qui al 2030, di un importo che può arrivare a 6,8 miliardi di EUR, e si dovrebbero creare altri 70 000 posti di lavoro.

3.3.

La Commissione prevede, per il consumatore, un risparmio medio, al momento dell’acquisto di un’auto nuova, pari a 600 EUR nel 2025 e a 1 500 EUR nel 2030 (calcolato sull’intero ciclo di vita del veicolo). In tutto il territorio dell’UE, i risparmi sui costi del carburante dovrebbero ammontare a 18 miliardi di EUR l’anno, per un totale di 380 milioni di tonnellate di petrolio nel periodo 2020-2040.

3.4.

Gli elementi principali della proposta della Commissione in materia di emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri sono i seguenti:

3.4.1.

Un ulteriore abbassamento del 30 % dei livelli obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030, in base ai livelli obiettivo, per il 2021, di 95 g/km per le autovetture e di 147 g/km per i veicoli commerciali leggeri entro il 2021 (base NEDC); un abbassamento del 15 % dei livelli obiettivo di emissioni di CO2, da fissare come obiettivo intermedio, per conseguire quanto prima possibile l’obiettivo generale (tra cui anche la certezza degli investimenti per l’industria).

3.4.2.

A decorrere dal 2021 i livelli di emissione saranno basati sulla procedura internazionale di prova per i veicoli leggeri (WLTP), applicabile dal 1o settembre 2017. Cambiando la procedura di prova, gli obiettivi per il 2025 e il 2030 sono espressi in quote percentuali.

3.4.3.

In linea di principio, il progetto è aperto a qualunque tipo di tecnologia. Si opera una distinzione tra i veicoli che non producono emissioni (a zero emissioni — ZEV) e veicoli con emissioni inferiori a 50 g CO2/km (a basse emissioni — LEV), in particolare i veicoli che al motore a combustione associano la propulsione elettrica (plug-in hybrid — PHEV). Per entrambi i tipi di veicolo è previsto un «livello di riferimento» (benchmark) del 15 % entro il 2025 e del 30 % entro il 2030. Il costruttore che superi questo livello di riferimento è ricompensato con un bonus di un massimo di 5 g/km sul suo valore obiettivo specifico. Per la determinazione di tale quota percentuale si tiene conto delle prestazioni dei veicoli in materia di emissioni, e i veicoli a emissioni zero contano di più rispetto ai veicoli a basse emissioni. Viceversa, un regime di penalizzazione (malus) non è previsto.

3.5.

Si prendono inoltre in considerazione le cosiddette innovazioni ecocompatibili, che non trovano riscontro nei test ufficiali di routine, con fino a un massimo di 7 g CO2/km. Una revisione di questo regime speciale è prevista per il 2025. A partire dal 2025, le apparecchiature di condizionamento d’aria più efficienti saranno per la prima volta considerate innovazioni ecocompatibili.

3.6.

In caso di superamento dei livelli obiettivo intermedi specifici, è prevista una sanzione di 95 EUR/g CO2/km per numero di veicoli. Il monitoraggio delle emissioni di CO2 dei veicoli di nuova immatricolazione si effettua tramite l’Agenzia europea dell’ambiente. I costruttori responsabili di meno di 1 000 nuove immatricolazioni l’anno sono esclusi dal campo di applicazione del regolamento in esame.

3.7.

Ad integrare la proposta di regolamento vi sono numerosi riferimenti ad attività di complemento, iniziative e priorità del programma. Merita a questo proposito citare la scheda informativa Driving Clean Mobility: Europe that defends its industry and workers, nella quale la Commissione osserva che, dal 2007 al 2015, nella ricerca in materia di batterie sono stati investiti 375 milioni di EUR, e che altri 200 milioni di EUR saranno erogati dal programma Orizzonte 2020 per il periodo 2018-2020. Si vuole così sostenere soprattutto la nuova generazione di batterie e presentare, all’inizio del 2018, una tabella di marcia per una «Alleanza europea delle batterie». L’obiettivo è quello di stabilire in Europa una catena del valore completa per la produzione di batterie (9).

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie, in linea di principio, con favore le proposte della Commissione, in quanto rappresentano un compromesso equilibrato tra diversi obiettivi. La proposta di regolamento costituisce un importante passo avanti verso una mobilità a impatto climatico zero, promuovendo nel contempo la capacità di innovazione dell’industria automobilistica europea, mantenendo un’occupazione di qualità elevata e consentendo una transizione graduale sul piano sociale verso nuovi modelli di produzione. L’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 30 % corrisponde all’obiettivo fissato per i settori non coperti dal sistema di scambio delle quote di emissioni (ETS) per il 2030.

4.2.

Con la sua proposta, l’UE introduce un nuovo capitolo sulla mobilità che i cittadini si mostrano sempre più inclini ad accettare. Essi hanno preso atto di questo cambiamento di mentalità anche alla luce della crisi del diesel. In tale contesto si collocano anche un cambiamento dei comportamenti in fatto di mobilità, il potenziamento dei trasporti pubblici e, da ultimo, l’obiettivo di sviluppare e attuare forme di trasporto onnicomprensive ed integrate.

4.3.

Il CESE giudica molto impegnativo l’obiettivo intermedio previsto per il 2025 di ridurre le emissioni del 15 % rispetto al 2021, dal momento che le modifiche tecniche da apportare ai motori a combustione sono ai limiti di quanto consentito dalle tecnologie attuali. Ciò vale in particolare per i veicoli commerciali leggeri, che presentano cicli di produzione e di sviluppo più lunghi. A tale riguardo, nel 2024 bisognerebbe fare il punto della situazione, per poi stabilire se gli obiettivi per il 2030 vadano mantenuti o possano essere ridefiniti. Di fronte all’attuale tendenza alla crescita del mercato di ZEV, LEV e PHEV, l’obiettivo intermedio rappresenta sì una sfida, ma realizzabile.

4.4.

Il CESE accoglie con favore il dispositivo integrativo che consente di rafforzare la vigilanza del mercato grazie alla misurazione e al monitoraggio del consumo reale di carburante in base all’obbligo a carico dei costruttori di montare dispositivi standardizzati sui veicoli nuovi. I dati rilevati saranno messi a disposizione non solo dei costruttori, ma anche di terzi indipendenti per le loro valutazioni. Ciò potrebbe essere considerato un equivalente funzionale della misurazione delle emissioni in condizioni reali di guida che, per motivi di comparabilità dei risultati delle prove, non è realizzabile.

4.5.

Il CESE rileva che l’approccio basato sulle emissioni allo scarico adottato nella proposta di regolamento, pur con tutti i suoi vantaggi, resta ancora limitatamente significativo. Ad esempio, la fabbricazione di veicoli e batterie e la generazione di elettricità causano emissioni di CO2, e queste ultime sono influenzate anche dalle prestazioni e dal comportamento di guida. Il CESE osserva inoltre che altri modi di trasporto, ad esempio l’aumento previsto del traffico aereo, potrebbero vanificare gli sforzi compiuti.

4.6.

Il CESE richiama l’attenzione sui propri lavori condotti riguardo ai temi dei cambiamenti strutturali dell’industria automobilistica verso sistemi di propulsione alternativi (verdi), della digitalizzazione e messa in rete, e della guida autonoma, con rischi potenziali per l’occupazione, dai quali si possono evincere tendenze verso nuove competenze. A tale proposito, il CESE raccomanda alla Commissione, a titolo di esempio, di predisporre un quadro giuridico e regolamentare che consenta il rapido utilizzo di regimi di sostegno nel corso del processo di ristrutturazione (10). L’attenzione va rivolta anzitutto ai fondi strutturali dell’UE, quali il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) e il Fondo sociale europeo (FSE). Si potrebbero anche prevedere progetti sul modello di Airbus.

4.7.

L’industria automobilistica europea occupa attualmente circa 2,3 milioni di lavoratori nella sola produzione di autoveicoli, e genera un valore aggiunto pari all’8 % del totale europeo. 10 milioni di persone trovano impiego in via indiretta in questo settore altamente innovativo, che finanzia il 20 % della ricerca industriale in Europa.

4.8.

L’UE è uno dei maggiori produttori mondiali di autoveicoli e rappresenta il principale investitore privato nella ricerca e lo sviluppo (R&S). Il settore è inoltre un leader mondiale in termini di innovazione dei prodotti, tecnologie di produzione, progettazione di alta qualità (premium), sistemi di propulsione alternativi ecc. Di conseguenza, nel 2016 un’autovettura su quattro a livello mondiale era prodotta in stabilimenti di assemblaggio europei; inoltre, l’industria automobilistica rappresenta il 4 % del PIL europeo (11).

4.9.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di improntare a criteri sociali la trasformazione del settore automobilistico. La transizione strutturale verso sistemi di propulsione alternativi, associata alla digitalizzazione, alla guida autonoma e ad altri elementi ancora, sarà accompagnata da cambiamenti decisivi nelle catene del valore del settore automobilistico. Da un lato, si tratta di vedere quali componenti siano prodotti dagli stessi costruttori e quali, invece, siano acquistati presso terzi. Ad oggi, il valore aggiunto dei componenti elettronici è prevalentemente nelle mani dei fornitori; il mercato delle celle per batterie è ancora dominato dai produttori asiatici. Il CESE accoglie pertanto con favore la posizione della Commissione, che intende stabilire in Europa la catena del valore della mobilità elettronica (cfr., al punto 3.7, l’Alleanza europea delle batterie). Resta da stabilire quali saranno le caratteristiche tecnologiche della prossima generazione di celle per batterie e l’evoluzione nel tempo del rapporto prezzo/prestazioni. Il CESE raccomanda alla Commissione di effettuare un monitoraggio costante della situazione.

4.9.1.

La transizione che si cerca di realizzare, dai sistemi di propulsione tradizionali a combustione a quelli alternativi, produce una discontinuità strutturale. I cicli di produzione tradizionali devono subire importanti cambiamenti o essere sostituiti da nuove produzioni. Nei veicoli esclusivamente elettrici, tali cambiamenti riguardano il motore a combustione, il complesso sistema della trasmissione, l’impianto di scarico ed altri elementi ancora. A questi vanno aggiunti il motore elettrico e la batteria, ivi compresa la fabbricazione delle celle per le batterie. I singoli componenti incidono però in misura assai diversa sul valore aggiunto in fase di fabbricazione del veicolo, esercitando, di conseguenza, un impatto sull’occupazione e sui requisiti in termini di competenze.

4.9.2.

Uno studio realizzato dalla FEV, un centro di ricerca per le tecnologie nel settore dell’energia e dei motori a combustione (12), giunge alla conclusione che le auto alimentate a batteria — concepite come veicoli di classe media — generano costi di produzione pari a circa 16 500 EUR. I componenti più costosi sono il motore elettrico (800 EUR), l’elettronica di potenza (1 400 EUR) e la batteria (6 600 EUR). Solo per la batteria, responsabile del 40 % dei costi, il 70 % di tali costi è rappresentato dalla produzione delle celle. I veicoli elettrici sono molto meno complessi e richiedono, per la produzione, competenze quasi del tutto diverse da parte dei lavoratori: elettrotecnica/elettronica, elettrochimica, tecniche di rivestimento, gestione termica, sistemi di strumentazione e comando nel settore ingegneristico, conoscenza delle tecnologie ad alto voltaggio e dei principi attivi dell’elettricità, nonché dei comportamenti dei materiali, e altre conoscenze ancora in materia di montaggio e riparazione.

4.9.3.

Anche se la Commissione si aspetta effetti positivi per l’occupazione, esistono comunque dei rischi. In un recente studio condotto dall’istituto di ricerca applicata Fraunhofer IAO (13) si esaminano gli effetti quantitativi per l’occupazione a fronte di uno scenario che per il 2030 prevede una quota di mercato dei veicoli elettrici del 25 % e una quota di PHEV del 15 %, e che quindi si avvicina sostanzialmente alla proposta della Commissione. I primi risultati indicano che, nel periodo fino al 2030, andrà perso, nella migliore delle ipotesi, il 10-12 % circa dei posti di lavoro collegati alla produzione del gruppo propulsore nel contesto del cambiamento di tecnologia. Nella sola Germania verrebbero quindi soppressi tra 25 000 e 30 000 posti di lavoro. Quanto più ridotta sarà la quota effettiva di mercato dei PHEV, tanto maggiore sarà l’impatto negativo (con un calo dell’occupazione del 15-18 % nel caso di una quota di PHEV del 5 %). Lo stesso varrebbe nel caso di un abbandono accelerato della tecnologia diesel che, a causa della maggiore complessità degli stessi componenti forniti, ha un peso superiore del 30-40 % sull’occupazione rispetto ai componenti dei motori a benzina. A ciò si aggiungono, in parallelo, rischi per l’occupazione derivanti dagli effetti della digitalizzazione e della sempre maggiore localizzazione della produzione nelle grandi regioni del mondo.

4.9.4.

In generale, è prevedibile che questi effetti negativi si manifestino in modo asimmetrico nel tempo e nello spazio. Rispetto ai fornitori di componenti altamente specializzati, i produttori finali e i grandi fornitori sono maggiormente in grado di attenuare tali effetti ricorrendo all’innovazione e a nuovi modelli commerciali. Inoltre, nel caso delle nuove tecnologie e dei nuovi servizi, i posti di lavoro si situano maggiormente nelle grandi concentrazioni urbane e in misura minore nelle regioni periferiche, un aspetto questo che deve trovare riscontro nella progettazione dei relativi programmi quadro.

4.9.5.

Dalla velocità di questa transizione strutturale dipendono i rischi per i posti di lavoro e l’occupazione. Il CESE accoglie pertanto con favore la proposta della Commissione, che già dà certezza agli investimenti per l’industria e consente a quest’ultima di cominciare da subito ad avviare e preparare questo processo di transizione strutturale. Il CESE invita la Commissione ad accompagnare tale processo con una strategia industriale onde evitare ricadute negative sui lavoratori. I dialoghi tripartiti e bipartiti rivestono un’importanza fondamentale.

4.9.6.

Il CESE constata che i primi passi — seppur modesti — in questa direzione sono già stati compiuti, a giudicare dalle singole case automobilistiche che annunciano il lancio, entro il 2025, di nuovi modelli di veicoli elettrici e il loro progetto di partecipare ai parchi auto di nuova immatricolazione.

4.10.

Al fine di sostenere una decarbonizzazione del settore dei trasporti che sia sostenibile ed equamente distribuita a livello regionale, la Commissione prevede di mettere a disposizione 800 milioni di EUR, nell’ambito del meccanismo per collegare l’Europa, ai fini dell’introduzione di stazioni di ricarica interoperabili. Questa iniziativa dovrebbe generare ingenti investimenti pubblici e privati supplementari (attualmente i punti di ricarica operativi nell’UE sono 200 000, mentre ne servono 800 000). Un’ulteriore dotazione di 200 milioni di EUR sarà destinata alla creazione di un partenariato pubblico-privato ai fini dello sviluppo di batterie di nuova generazione. Infine, la Commissione intende promuovere i sistemi di propulsione alternativi stabilendo degli obiettivi per le amministrazioni pubbliche, come quello di considerare più che in passato, nei loro appalti, i veicoli a zero o basse emissioni.

4.11.

Il CESE è del parere che qualsiasi sanzione pecuniaria in virtù del regolamento vigente e di quello nuovo dovrebbe essere utilizzata per sostenere il settore e i suoi lavoratori nel passaggio verso prodotti a basse emissioni di carbonio. Allo stato attuale, solo una minoranza di costruttori automobilistici è a buon punto nel cammino verso il conseguimento degli obiettivi di riduzione fissati per il 2021.

4.12.

Se da un lato non si può non accogliere favorevolmente la ridotta dipendenza dalle importazioni di petrolio, dall’altro potrebbero sorgerne di nuove, come l’accesso alle materie prime (litio, cobalto e nichel da zone remote). Analogamente, il CESE auspica che sia garantito un approvvigionamento sufficiente di energia elettrica da fonti rinnovabili.

4.13.   Valutazione intermedia del regolamento

4.13.1.

Nel 2024 la Commissione effettuerà una revisione intermedia del regolamento, per verificare se il cammino intrapreso si mostri efficace.

4.13.2.

Dal momento che la transizione strutturale del motore a combustione verso sistemi di propulsione alternativi, nella prospettiva odierna, non è quantificabile, si dovrebbe innanzitutto considerare in che modo il mercato dei sistemi di propulsione alternativi si sarà sviluppato da qui al 2024, fino a che punto si sarà diffusa l’installazione di colonnine di ricarica (quale condizione imprescindibile) e in quale misura saranno state ammodernate e potenziate le reti elettriche per far fronte alla domanda supplementare identificabile di energia elettrica.

4.13.3.

Da questa analisi intermedia il CESE si attende informazioni su quanto è stato fatto in termini di qualificazione, riqualificazione e formazione dei lavoratori. In quali settori è necessario un intervento (supplementare) per sviluppare ulteriormente le competenze e le qualifiche dei lavoratori dell’industria automobilistica ai fini della transizione strutturale? In che misura le azioni previste (cfr. Consiglio europeo per le competenze nel settore automobilistico) riescono a garantire l’introduzione delle modifiche in termini di competenze richieste? In questo contesto il CESE ritiene che soprattutto i sindacati del settore debbano impegnarsi a portare avanti un dialogo tripartito in materia di politica industriale. Vanno inoltre rese disponibili le risorse necessarie per consentire ai lavoratori di continuare a rimanere sul mercato del lavoro.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Conclusioni del Consiglio europeo del 24 ottobre 2014.

(2)  http://unfccc.int/paris_agreement/items/9485.php.

(3)  COM(2016) 501 final.

(4)  GU C 81 del 2.3.2018, pag.. 95;. GU C 81 del 2.3.2018, pag.. 181; GU C 81 del 2.3.2018, pag. 188; GU C 81 del 2.3.2018, pag. 195.

(5)  COM(2017) 283 final.

(6)  COM(2017) 675 final, COM(2017) 647 final, COM(2017) 648 final, COM(2017) 652 final, COM(2017) 653 final.

(7)  COM(2017) 653 final.

(8)  Il presente capitolo si basa sui documenti COM(2017) 676 final e Proposal for post2020 CO2 targets for cars and vans (https://ec.europa.eu/clima/policies/transport/vehicles/proposal_en).

(9)  Commissione europea, Driving Clean Mobility: Europe that defends its industry and workers [Verso una mobilità pulita: l’Europa a difesa delle sue industrie e dei suoi lavoratori].

(10)  Relazione informativa CCMI/148 (punto 1.5).

(11)  Relazione informativa CCMI/148 (punto 2.1).

(12)  Frankfurter Allgemeine Zeitung del 16.12.2016 (FEV = Forschungsgesellschaft für Energietechnik und Verbrennungsmotoren).

(13)  Fraunhofer IAO 2017: ELAB 2.0 — Wirkungen der Fahrzeugelektrifizierung auf die Beschäftigung [Effetti dell’elettrificazione dei veicoli sull’occupazione], Stoccarda (risultati preliminari).


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2009/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio»

[COM(2017) 637 final]

(2018/C 227/08)

Relatori:

Christophe LEFÈVRE

Jorge PEGADO LIZ

Lech PILAWSKI

Consultazione

Consiglio, 17.11.2017

Parlamento europeo, 13.11.2017

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sessione plenaria

15.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

160/5/13

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le differenze esistenti in materia diritto dei contratti tra i vari Stati membri non incoraggiano i consumatori ad acquistare in altri paesi dell’UE.

1.2.

D’altro canto, la fiducia degli imprenditori nelle vendite transfrontaliere non è ancora migliorata. Secondo l’ultima indagine a livello di UE, il 58 % di tutti i dettaglianti esprime fiducia nella vendita online, e tuttavia, solo il 28 % si sente sicuro quando vende online in altri paesi dell’UE (1).

1.3.

Le posizioni adottate sia dal Parlamento europeo che dal Consiglio sulle proposte presentate dalla Commissione nel 2015 (2) per quanto riguarda la vendita di beni online e di persona dimostrano che, come sottolineato dal CESE nel suo parere riguardante tali proposte (3), le norme applicabili alla vendita di beni dovrebbero essere le stesse indipendentemente dal canale di vendita.

1.4.

Il CESE si compiace quindi che la proposta di direttiva modificata in oggetto estenda il campo di applicazione della proposta di direttiva relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online al fine di farvi rientrare la vendita «faccia a faccia».

1.5.

Il CESE invita tuttavia la Commissione a tenere conto, nella sua proposta, di una serie di raccomandazioni, ossia:

a)

la proposta non dovrebbe portare a una riduzione del periodo di garanzia in alcuni Stati membri, né alla creazione di una gerarchia di diritti;

b)

la possibilità di derogare al carattere imperativo della direttiva mediante semplice accordo tra le parti contraenti dovrebbe essere possibile soltanto se tale accordo garantisce l’autonomia e la protezione effettiva dei consumatori;

c)

la proposta dovrebbe consentire ai consumatori di agire direttamente in sede giudiziale contro il produttore;

d)

il criterio della sostenibilità (stock di pezzi di ricambio) dovrebbe essere incluso tra le disposizioni della direttiva;

e)

la proposta dovrebbe includere norme in materia di proroga della garanzia connessa al tempo di indisponibilità di un prodotto in riparazione o durante l’indisponibilità di un servizio;

f)

la proposta dovrebbe includere precisazioni sulla sicurezza delle piattaforme di pagamento o sulla corresponsabilità delle piattaforme di acquisto (Marketplace) in caso di frode o di attuazione della garanzia;

g)

il produttore e il venditore dovrebbero essere corresponsabili nelle situazioni in cui il consumatore sceglie di riparare o sostituire il bene, fatti salvi il diritto di regresso già previsto all’articolo 16 e l’obbligo di rivolgersi in via prioritaria al venditore;

h)

occorre chiarire l’articolazione e le disposizioni riguardanti il termine di 14 giorni per la restituzione e il rimborso.

1.6.

Infine, il CESE invita la Commissione a tenere conto delle osservazioni contenute nel presente parere.

2.   Oggetto e antecedenti della proposta modificata di direttiva

2.1.   Oggetto della proposta modificata di direttiva

2.1.1.

La proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio (4) è intesa a estendere il campo di applicazione della proposta di direttiva relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni al fine di farvi rientrare la vendita «faccia a faccia».

2.1.2.

La proposta dovrebbe facilitare progressi rapidi in un settore che è al centro delle strategie del mercato unico, in linea con le conclusioni del Consiglio europeo di giugno 2016.

2.1.3.

La proposta modificata, che si applica a tutti i tipi di vendita, mira allo stesso obiettivo e vi contribuisce ancora di più di quelle precedenti (5) in quanto risponde alle incertezze e agli effetti negativi derivanti dalle differenze nazionali in materia di diritto dei contratti.

2.1.4.

La proposta riveduta integra ed è conforme a una serie di atti legislativi già in vigore nell’UE, a carattere orizzontale o settoriale (6), nonché di proposte legislative attualmente all’esame.

2.2.   Breve sintesi delle proposte di direttive precedenti (7)

2.2.1.

Nelle sue proposte precedenti, la Commissione aveva giustificato la propria decisione di adottare due strumenti legislativi, affermando che la specificità del contenuto digitale avrebbe richiesto norme diverse da quelle applicabili agli altri prodotti.

2.2.2.

Con le due proposte, la Commissione intendeva conseguire cinque obiettivi:

a)

riduzione dei costi derivanti dalle differenze in materia di contratti;

b)

certezza del diritto per le imprese;

c)

incentivazione degli acquisti transfrontalieri online nell’UE;

d)

limitazione del danno subito in caso di contenuti digitali difettosi;

e)

un equilibrio generale tra gli interessi dei consumatori e quelli delle imprese, e miglioramenti nella vita quotidiana.

2.2.3.

Secondo la Commissione, le sue proposte creerebbero un equilibrio adeguato tra un elevato livello di tutela dei consumatori nell’UE e delle opportunità di affari nettamente incrementate.

2.3.   Il parere del CESE sulle proposte iniziali (8)

2.3.1.

Nel suo parere del 27 aprile 2016 il CESE aveva criticato la scelta di due direttive invece di una. In tal modo, la Commissione prevedeva un trattamento differente per la vendita di beni online e offline, con una conseguente mancanza di leggibilità, per i consumatori e gli imprenditori, al momento del recepimento nazionale.

2.3.2.

Il CESE sottolineava inoltre la mancanza di risposta a una serie di questioni che considerava essenziale armonizzare: la capacità dei minori di concludere contratti in ambito digitale, la definizione di categorie di clausole abusive specifiche per i contratti online (non previste dalla direttiva 93/13/CEE), la recente prassi del pulsante «paga ora» (pay now) e l’inclusione di una clausola tipo sulla coregolamentazione.

2.3.3.

Infine, il CESE ha ricordato che i suoi pareri sui diritti dei consumatori in ambito digitale sono stati tutti improntati all’orientamento fondamentale secondo cui i diritti riconosciuti nell’ambito di una vendita fisica faccia a faccia devono essere coerenti con il quadro della vendita online o a distanza, indipendentemente dalla forma della transazione digitale, e questo sempre al fine di rafforzare tali diritti e non di indebolirli.

2.3.4.

Le posizioni del Parlamento europeo e del Consiglio nel corso dei dibattiti su queste proposte hanno confermato il punto di vista del CESE sulla necessità di evitare la frammentazione giuridica.

3.   Osservazioni generali

3.1.

La proposta modificata della Commissione presenta una serie di proposte e di opzioni in linea con i precedenti pareri del CESE, come la già citata opzione di un regime unico per la vendita di beni online e offline.

3.2.

Anche altre modifiche introdotte dalla nuova proposta meritano l’approvazione del CESE, in particolare:

a)

l’articolo 2 — introduzione del concetto di «produttore» e chiarimento relativo alla sostituzione di merci «senza spese»;

b)

l’articolo 8 — introduzione di un periodo di presunzione di difetto di conformità pari a quello della garanzia, in quanto la situazione contraria ridurrebbe in pratica il periodo di garanzia legale, dal momento che il consumatore, nella maggior parte dei casi, non ha la possibilità di dimostrare la non conformità del bene;

c)

vari miglioramenti e chiarimenti relativi alla terminologia giuridica utilizzata.

3.3.

Al contrario, il CESE ritiene che la possibilità, prevista all’articolo 18 della proposta, di derogare al carattere imperativo della direttiva mediante semplice accordo tra le parti contraenti, dovrebbe sussistere soltanto se l’accordo in questione consente di garantire una protezione effettiva e l’autonomia di decisione del consumatore.

3.4.

Inoltre, il CESE ritiene che la proposta modificata dovrebbe:

a)

includere regole che consentano al consumatore di agire direttamente in sede giudiziale contro il produttore in caso di difetto di conformità tra i beni e il contratto, come previsto da numerose legislazioni nazionali;

b)

integrare tra le sue disposizioni il criterio di durabilità, come il CESE ha chiesto a più riprese nei suoi pareri (9);

c)

prevedere un termine massimo per la riparazione (10) secondo le migliori pratiche della professione;

d)

obbligare i produttori a mantenere uno stock adeguato di pezzi di ricambio per la durata di vita media del bene, come previsto da varie legislazioni nazionali (11);

e)

inserire altre garanzie offerte dal venditore (marca/produttore/assicurazione di attrezzatura ecc.) per i beni e i servizi;

f)

includere nel contenuto obbligatorio della dichiarazione di garanzia informazioni dettagliate sul carattere oneroso o gratuito, sui costi e sulla forma di pagamento;

g)

stabilire che, in caso di trasferimento di proprietà del bene e del servizio, e in condizioni normali di uso, anche i diritti derivanti dalla garanzia sono interamente trasferiti;

h)

prevedere la responsabilità diretta e solidale del produttore e del venditore nei confronti del consumatore, nelle situazioni in cui il consumatore sceglie di riparare o sostituire il bene (fatti salvi il diritto di regresso già previsto all’articolo 16 e l’obbligo di rivolgersi in via prioritaria al venditore);

i)

prevedere la responsabilità solidale delle piattaforme online, escludendo i semplici intermediari, qualora il consumatore abbia acquistato i beni attraverso una piattaforma di acquisto (Marketplace) fatto salvo il diritto di regresso.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   Articolo 1

4.1.1.

Il CESE chiede di conoscere i motivi dell’esclusione di cui al paragrafo 4 concernente i contratti di vendita di beni di seconda mano acquistati all’asta quando il consumatore abbia la possibilità di assistere personalmente alla vendita.

4.2.   Articolo 9

4.2.1.

Il CESE richiama le osservazioni formulate nel precedente parere (12), tenendo presente che con questa proposta, e limitando i diritti dei consumatori inizialmente al solo diritto di riparazione o di sostituzione, in alcuni Stati membri tali diritti saranno meno tutelati rispetto i regimi attualmente in vigore.

4.2.2.

Le disposizioni di cui al paragrafo 3, lettere b) e d), subordinano inoltre l’applicazione di tale regime a concetti indeterminati. L’espressione «impossibile», infatti, è a discrezione del venditore, e sarebbe pertanto opportuno sostituire questo termine con «tecnologicamente impossibile».

4.3.   Articolo 10

4.3.1.

Il CESE raccomanda di sottoporre l’eccezione di cui al paragrafo 1 alle stesse condizioni già illustrate nel precedente punto 3.3.

4.4.   Articolo 11

4.4.1.

Il CESE ribadisce ancora una volta che il diritto alla riparazione o sostituzione è limitato dalla facoltà, che spetta al venditore, di valutare se in una determinata situazione individuale e concreta l’esercizio di uno di tali diritti gli imponga costi sproporzionati, tenuto conto di tutte le circostanze.

4.5.   Articolo 13

4.5.1.

Il CESE reputa opportuno chiarire l’articolazione e le disposizioni riguardanti il termine di 14 giorni per la restituzione e il rimborso.

4.5.2.

Il CESE si chiede se la disposizione di cui al paragrafo 3, lettera (d), di questo articolo si applichi solo, come sembra evidente, ai casi di perdita e distruzione del bene.

4.6.   Articolo 14

4.6.1.

Il CESE chiede di mantenere il periodo di garanzia più lungo esistente in alcuni Stati membri, in quanto, in caso contrario, ciò rappresenterebbe un passo indietro per i diritti dei consumatori in tali paesi.

Bruxelles, 15 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Secondo l’analisi effettuata nel quadro del controllo dell’adeguatezza del diritto dei consumatori e del marketing dell’UE, il 46 % dei dettaglianti che utilizzano i canali di vendita a distanza ritiene che i costi connessi al rispetto dei vari principi di protezione dei consumatori e del diritto dei contratti costituiscano uno dei principali ostacoli alle vendite transfrontaliere. Per il 72 % dei consumatori, le differenze in materia di diritto dei consumatori in caso di prodotti difettosi sono molto importanti al momento di prendere decisioni riguardanti gli acquisti «faccia a faccia» in un altro paese dell’UE.

(2)  COM(2015) 634 final e COM(2015) 635 final.

(3)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 57.

(4)  COM(2015) 635 final.

(5)  COM(2015) 634 final e COM(2015) 635 final. Parere del CESE GU C 264 del 20.7.2016, pag. 57.

(6)  Cfr. in particolare la direttiva 2011/83/UE e i regolamenti (UE) n. 1215/2012 e (CE) n. 593/2008.

(7)  COM(2015) 634 final e COM(2015) 635 final.

(8)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 57.

(9)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 57, punto 4.2.5.4.

(10)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 57, punto 4.2.5.7.

(11)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 57, punto 4.2.5.7.

(12)  GU C 264 del 20.7.2017, pag. 57.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), il regolamento (UE) n. 1094/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali), il regolamento (UE) n. 1095/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), il regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital, il regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale, il regolamento (UE) n. 600/2014 sui mercati degli strumenti finanziari, il regolamento (UE) 2015/760 relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine, il regolamento (UE) 2016/1011 sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e il regolamento (UE) 2017/1129 relativo al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato»

[COM(2017) 536 final — 2017/0230 (COD)]

e sulla

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari e la direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (solvibilità II)»

[COM(2017) 537 final — 2017/0231 (COD)]

e sulla

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 1092/2010 relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico»

[COM(2017) 538 final — 2017/0232 (COD)]

(2018/C 227/09)

Relatore:

Daniel MAREELS

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, per COM(2017) 538 final: 23.10.2017, COM(2017) 536 final: 22.11.2017, e COM(2017) 537 final: 29.11.2017

Parlamento europeo, per COM(2017) 538 final: 26.10.2017, COM(2017) 536 final: 16.11.2017 e COM(2017) 537 final: 16.11.2017

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

29.1.2018

Adozione in sessione plenaria

15.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

156/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore le proposte della Commissione volte a rafforzare la vigilanza nell’Unione dei mercati dei capitali, di cui sottoscrive pienamente gli obiettivi. Con queste proposte si fa non soltanto un nuovo, importante passo avanti verso una maggiore integrazione e convergenza, grazie all’intensificazione della vigilanza integrata nell’Unione dei mercati dei capitali, ma si compiono anche progressi nella realizzazione di obiettivi più ampi.

1.2.

Le proposte in esame apportano infatti, in primo luogo, nuovi elementi per costruire un’Unione dei mercati dei capitali nell’UE, la cui rapida realizzazione è assolutamente auspicabile. Assieme all’Unione bancaria, l’Unione dei mercati dei capitali dovrà a sua volta contribuire all’ulteriore approfondimento e completamento dell’Unione economica e monetaria (UEM). Questo favorirà, più in generale, un più forte posizionamento dell’UE e degli Stati membri in un contesto mondiale in mutamento.

1.3.

L’importanza di un’Unione dei mercati dei capitali ben funzionante non dovrebbe essere sottovalutata, in quanto può fornire un importante contributo alla ripartizione dei rischi a livello transfrontaliero sul mercato privato, la cui finalità deve essere quella di aumentare la resistenza degli Stati membri agli shock asimmetrici. Per realizzare tale obiettivo è necessario che questi mercati siano sicuri, stabili e resilienti. Una vigilanza maggiormente integrata, a livello sia micro che macroprudenziale, svolge in questo quadro un ruolo chiave.

1.4.

È quindi molto importante e prioritario spianare la strada a un maggior numero di operazioni di mercato transfrontaliere, che devono poter avvenire senza barriere, ostacoli e disparità a livello nazionale o di altro tipo e a costi inferiori. È indispensabile garantire condizioni di parità, nelle quali non vi sia spazio per l’arbitraggio regolamentare. Le imprese devono poter sfruttare le possibilità di finanziamento in modo migliore e più agevole, con minori oneri amministrativi e a costi inferiori.

1.5.

Per parte loro, i consumatori e gli investitori devono poter disporre di una scelta migliore e più ampia e fruire di una maggiore protezione. Secondo il Comitato, questo significa in ultima analisi che la maggiore «fiducia» nei mercati deve essere un obiettivo di tutte le parti interessate, tra cui le autorità di vigilanza. Tale fiducia può anche essere favorita cercando di giungere a finanziamenti più sostenibili in linea con le attività e gli accordi internazionali. Ciò dovrebbe rispecchiarsi anche nel sistema di vigilanza.

1.6.

Il nuovo contesto di vigilanza dovrebbe essere caratterizzato dalla ricerca costante del massimo livello possibile di chiarezza e di certezza giuridica per tutti. La sfida consiste nel trovare il giusto equilibrio tra le competenze delle autorità nazionali e quelle delle autorità europee nel rispetto, ove possibile, della sussidiarietà e della proporzionalità, soprattutto nella fase di costituzione dell’Unione dei mercati dei capitali e nell’interesse della diversità degli operatori del mercato e, in particolare, di quelli di piccole dimensioni. Questo vale anche per le operazioni a livello locale. Allo stesso tempo occorre eliminare le incoerenze, le sovrapposizioni e altri fattori a livello di vigilanza che impediscono od ostacolano seriamente la realizzazione di questa unione.

1.7.

È importante anche avere un occhio rivolto al futuro, affinché i nuovi sviluppi e le moderne tecnologie, quali la tecnologia finanziaria (fintech), possano trovare un’applicazione corretta e sicura nel contesto finanziario, in condizioni di parità per tutti gli operatori.

1.8.

Nel mettere a punto la vigilanza integrata è importante mirare alla convergenza e al coordinamento, dando la priorità, in linea con l’approccio REFIT, all’efficacia e all’efficienza. In questo quadro può essere utile rafforzare la capacità delle autorità europee di vigilanza di svolgere le proprie valutazioni di impatto. Bisogna inoltre tenere debitamente conto del fattore costi. Se una parte di questi vengono fatti gravare direttamente sul settore privato, occorre prestare attenzione al rispetto della disciplina di bilancio ed evitare duplicazioni nell’imputazione dei costi. Le eventuali modifiche devono avvenire in maniera trasparente e, in ogni caso, è opportuno garantire un controllo adeguato delle risorse complessive. Il settore finanziario dovrebbe essere coinvolto in maniera appropriata in tale controllo.

1.9.

Come avviene attualmente, anche nelle future tappe bisognerà basarsi sul dialogo e sulla concertazione con tutte le istanze e con gli altri soggetti interessati, nonché sulla consultazione pubblica di tutte le parti coinvolte. Il Comitato ritiene che tale approccio sia molto importante in quanto, trattandosi di situazioni concrete, consente di perseguire i migliori risultati realizzabili, capaci di incontrare il consenso più ampio possibile.

1.10.

Le proposte in esame rappresentano un importante passo avanti, ma c’è ancora del lavoro da fare. Per il CESE è essenziale continuare a perseguire l’obiettivo ultimo di un’autorità unica di vigilanza, a cui si fa riferimento anche nella «relazione dei cinque presidenti». Una volta che le proposte in esame saranno realizzate, sarà fondamentale continuare a lavorare in questa direzione con intelligenza e costanza, in linea con quanto descritto sopra.

1.11.

Il Comitato condivide pienamente la proposta di trasferire taluni poteri di vigilanza nel settore delle assicurazioni dal livello nazionale a quello europeo, dal momento che in tal modo si contribuisce a rafforzare la convergenza in materia di vigilanza e a creare condizioni di parità per tutti gli operatori del mercato.

2.   Contesto (1)

2.1.

La constatazione che si può fare in questo momento riguardo alla creazione di un’Unione dei mercati dei capitali è che l’Europa dispone già di un sistema di vigilanza coerente del settore bancario attraverso il meccanismo di vigilanza unico nell’ambito dell’Unione bancaria, al quale partecipano 19 Stati membri, mentre la vigilanza dei mercati dei capitali nell’UE avviene, tranne alcune eccezioni, a livello nazionale.

2.2.

È evidente che tale situazione non è in linea con i principi che sono alla base di questa Unione dei mercati dei capitali, come anche dell’Unione bancaria. Non si deve dimenticare che il conseguimento dell’obiettivo dell’integrazione finanziaria non avvantaggerà soltanto l’Unione economica e monetaria ma tutti gli Stati membri.

2.3.

Visto che il completamento dell’Unione dei mercati dei capitali è tra le priorità dell’attuale Commissione europea, l’impegno è rivolto in primo luogo ad allineare maggiormente la vigilanza ai principi di tale unione e all’integrazione finanziaria in un contesto in evoluzione. Del resto, tale misura era già stata annunciata nel recente riesame intermedio dell’Unione dei mercati dei capitali (2).

2.4.

Concretamente, la Commissione ha presentato, il 20 settembre 2017, una comunicazione (3) e tre proposte legislative intese a modificare due direttive e nove regolamenti (4). Le misure proposte si applicano a tutti gli Stati membri.

2.5.

Queste proposte sono volte a rafforzare e integrare ulteriormente l’attuale quadro di vigilanza dell’UE, in particolare grazie alle misure seguenti.

2.5.1.

Un migliore coordinamento della vigilanza:

2.5.1.1.

rafforzando in modo mirato, in tutta l’UE, la vigilanza macroprudenziale affidata al Comitato europeo per il rischio sistemico;

2.5.1.2.

aumentando la convergenza in materia di vigilanza attraverso il rafforzamento degli attuali poteri delle autorità europee di vigilanza;

2.5.1.3.

migliorando le procedure che le autorità europee di vigilanza applicano per l’emanazione di orientamenti e raccomandazioni al fine di tener conto dell’importanza di questi strumenti;

2.5.1.4.

autorizzando l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati a ricevere i dati delle operazioni direttamente dagli operatori di mercato; e

2.5.1.5.

potenziando il ruolo dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) nel coordinamento dell’autorizzazione dei modelli interni di misurazione dei rischi delle imprese di assicurazione e di riassicurazione.

2.5.2.

Un’estensione dell’ambito di vigilanza diretta dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA):

2.5.2.1.

i nuovi ambiti di vigilanza dei mercati dei capitali sono soprattutto quelli in cui una vigilanza diretta può eliminare le barriere transfrontaliere e favorire un’ulteriore integrazione del mercato. Tale estensione dei poteri può essere considerata come un passo avanti verso un’autorità unica di vigilanza.

2.5.3.

Un miglioramento della governance e del finanziamento delle autorità di vigilanza:

2.5.3.1.

per quanto riguarda la struttura di governance, si fa una distinzione, a livello di poteri, tra le autorità nazionali e le autorità europee di vigilanza. Le prime continueranno a tracciare la direzione generale da seguire e a decidere in merito alle questioni di regolamentazione, mentre le seconde garantiranno decisioni orientate all’UE in materia di coordinamento delle pratiche di vigilanza;

2.5.3.2.

per quanto riguarda il finanziamento, l’obiettivo è quello di giungere a una diversificazione, in modo che, oltre alle autorità, anche gli operatori del settore e del mercato siano chiamati a reperire una parte delle risorse.

2.5.4.

L’obbligo per le autorità europee di vigilanza di tenere conto dei fattori ambientali, sociali e di governance, nonché delle questioni relative alla fintech nell’adempimento dei compiti nell’ambito dei loro rispettivi mandati:

2.5.4.1.

come primo passo, viene chiarito e rafforzato il ruolo che le autorità europee di vigilanza svolgono nella valutazione dei rischi ambientali, sociali e di governance, al fine di garantire la stabilità a lungo termine del settore finanziario europeo e i benefici di un’economia sostenibile (5);

2.5.4.2.

in relazione al settore fintech, le autorità di regolamentazione e di vigilanza dovranno poter acquisire familiarità con queste tecnologie e dovranno avere la possibilità di mettere a punto una nuova regolamentazione e nuove modalità di vigilanza, in particolare attraverso la collaborazione con le imprese che operano in questo settore (6).

2.6.

Parallelamente è stata pubblicata una proposta (7) che prevede di trasferire alle autorità europee di vigilanza una serie di compiti di controllo, che attualmente sono ancora di pertinenza delle autorità nazionali competenti. Tali compiti riguardano, in particolare, il settore delle assicurazioni.

2.6.1.

In relazione all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, si tratta in sostanza di trasferire a tale organismo le funzioni di autorizzazione dei fornitori di servizi di comunicazione dati e di vigilanza sugli stessi, nonché le funzioni di raccolta dei dati in questo settore.

2.6.2.

Per quanto concerne l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), si tratta di conferire a tale organismo un ruolo più rilevante nel contribuire alla convergenza della vigilanza in relazione alle domande per l’utilizzo di modelli interni di misurazione dei rischi, e di introdurre modifiche relative alla condivisione delle informazioni con riguardo a tali domande, alla possibilità di pronunciarsi in relazione a tale questione, nonché di fornire assistenza nella risoluzione delle controversie tra autorità di vigilanza.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Nel complesso, le proposte in esame presentate dalla Commissione si inquadrano nel più ampio progetto di costruire un’Unione dei mercati dei capitali, la cui importanza e attualità sono assolutamente fuori discussione. A questo riguardo, il CESE è un «convinto fautore» di tale unione «e nutre grandi aspettative in merito alla sua realizzazione». La rapida realizzazione di quest’unione è di grande importanza (8). Del resto, anche il Consiglio europeo (9) e il Parlamento europeo (10) hanno ripetutamente esortato ad adoperarsi per completare l’Unione dei mercati dei capitali.

3.2.

Il Comitato ritiene che l’Unione dei mercati dei capitali, a sua volta, debba essere collocata nel più ampio quadro del posizionamento internazionale dell’Europa in un contesto mondiale in mutamento, dell’ulteriore approfondimento e completamento dell’Unione economica e monetaria e, cosa non meno importante, di una maggiore integrazione finanziaria tra gli Stati membri dell’Unione.

3.3.

Tale integrazione finanziaria è di particolare importanza, in quanto agevola e favorisce la ripartizione dei rischi a livello transfrontaliero sul mercato privato. Come ha messo in evidenza la recente crisi, ciò deve far aumentare la resistenza degli Stati membri agli shock asimmetrici.

3.4.

Il Comitato ha già avuto occasione di sottolineare che: «l’Unione dei mercati dei capitali potrà inoltre fornire un contributo sostanziale al consolidamento della ripresa economica, concorrendo così a favorire la crescita, gli investimenti e l’occupazione, con benefici sia per i singoli Stati membri che per l’UE nel suo insieme […] il che, a sua volta, contribuirà ad assicurare l’auspicato rafforzamento della stabilità, della sicurezza e della resilienza del sistema sia economico che finanziario» (11).

3.5.

Il Comitato esprime pertanto apprezzamento per le proposte in esame volte a rafforzare e integrare il meccanismo di vigilanza europeo, e per la rapidità con cui sono state presentate. Ora è importante metterle in pratica. A tale proposito si può far riferimento anche ad altre iniziative precedenti, che contribuiscono anch’esse a realizzare questi obiettivi, e in merito alle quali il CESE si è pronunciato altrettanto favorevolmente. Si ricordano, ad esempio, le proposte per un meccanismo di vigilanza più integrato delle controparti centrali (12) e quelle in merito al prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP) (13) che assegnano un ruolo importante all’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali.

3.6.

Come già precisato, «il Comitato si compiace che la vigilanza sia al centro degli sforzi volti a sviluppare l’Unione dei mercati dei capitali. La vigilanza a livello europeo svolge un ruolo fondamentale, sia nel garantire la sicurezza e la stabilità, sia nel consentire di realizzare l’auspicata integrazione dei mercati e di eliminare le barriere, gli ostacoli e le disuguaglianze all’interno dell’Unione dei mercati dei capitali»  (14). Questi obiettivi sono fondamentali nel quadro del contesto summenzionato e vanno tenuti pertanto sempre presenti e in primo piano.

3.7.

Per il Comitato è essenziale che le norme previste contribuiscano in maniera concreta e diretta al raggiungimento degli obiettivi e producano effetti positivi per tutte le parti interessate e in tutti gli Stati membri.

3.8.

In questo senso, il Comitato condivide ciò che si afferma a questo riguardo nella comunicazione, in particolare il fatto che sia «fondamentale rafforzare la capacità delle autorità europee di vigilanza di garantire una vigilanza coerente e un’applicazione uniforme del codice unico; questa capacità sosterrà il buon funzionamento dei mercati dei capitali riducendo gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri, semplificando il contesto imprenditoriale e abbattendo i costi di conformità, a carico delle imprese che operano su base transfrontaliera, derivanti da divergenze nell’applicazione delle norme. Dal punto di vista dell’investitore, una vigilanza coerente e un’applicazione uniforme delle norme contribuiscono a migliorare la tutela degli investitori e a rafforzare la fiducia nei mercati dei capitali» (15). Per realizzare questi obiettivi è necessario che in tutti gli Stati membri si applichino standard analoghi in materia di vigilanza.

3.9.

Nell’ampliamento dei poteri di vigilanza bisogna anche cercare di raggiungere il massimo livello possibile di chiarezza e di certezza giuridica per tutte le parti, ossia le autorità di vigilanza europee e nazionali e le imprese sottoposte a tale vigilanza. Le misure di controllo previste devono essere adeguate.

3.10.

Occorre altresì perseguire un giusto equilibrio tra i poteri delle autorità di vigilanza nazionali e quelli delle autorità di vigilanza europee. È essenziale che le attività e le operazioni transfrontaliere possano svolgersi nelle migliori condizioni possibili e vanno eliminati i fattori che possono essere di ostacolo. In taluni casi bisogna valutare se non sia possibile mantenere la vigilanza a livello locale, soprattutto nella fase di costituzione dell’Unione dei mercati dei capitali e in considerazione della diversità degli operatori del mercato e, in particolare, di quelli di piccole dimensioni. Ove possibile, occorre prestare attenzione al rispetto della proporzionalità e della sussidiarietà. Ciò vale anche per le operazioni locali, nel cui caso le autorità nazionali di vigilanza sono più vicine al mercato. Occorre evitare il più possibile l’arbitraggio regolamentare, le duplicazioni dei controlli, l’esistenza di norme specifiche a livello nazionale e la sovraregolamentazione («gold-plating»), soprattutto se tutto questo frena la realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali o la ostacola seriamente.

3.11.

Inoltre, bisognerebbe anche cercare di trovare un buon equilibrio tra la possibilità di offrire servizi finanziari o strumenti a livello transfrontaliero, cosa sicuramente molto importante (cfr. le considerazioni formulate sopra in merito alla ripartizione dei rischi a livello transfrontaliero sul mercato privato), e la tutela degli investitori e dei consumatori. Tale equilibrio diventa sempre più importante, dal momento che un numero sempre maggiore di operazioni viene eseguito non più in maniera tradizionale con contatto diretto «faccia a faccia», ma «a distanza» (16). I clienti (potenziali) dovrebbero poter fruire sostanzialmente dello stesso livello di informazione e di tutela, a prescindere dal luogo in cui il fornitore (del servizio o dello strumento) sia stabilito e dalle modalità con cui si svolge l’operazione.

3.12.

La vigilanza europea non può avvenire senza porre un forte accento sulla protezione dei consumatori e degli investitori. Essi devono poter disporre di una scelta migliore e più ampia e fruire di una maggiore tutela. È pertanto necessario che l’offerta comprenda anche prodotti di base privi di rischi. È opportuno prestare attenzione a garantire che vi sia coerenza con altre iniziative (17) e che l’attuazione delle nuove disposizioni non sia pregiudizievole per il consumatore. Secondo il Comitato, questo significa in ultima analisi che la maggiore «fiducia» nei mercati deve essere un obiettivo di tutte le parti interessate, tra cui le autorità di vigilanza. Tale fiducia può anche essere favorita perseguendo finanziamenti più sostenibili in linea con le attività e gli accordi internazionali.

3.13.

Allo stesso modo, è importante anche avere un occhio rivolto al futuro, affinché i nuovi sviluppi e le moderne tecnologie, quali la fintech, possano trovare applicazione nel contesto finanziario. Il potenziale che essi offrono deve essere sfruttato, ma non a scapito della sicurezza. È necessario garantire condizioni di parità per tutti gli operatori, indipendentemente dal loro modo di operare.

3.14.

L’intenso lavoro svolto dalle autorità europee di vigilanza per quanto concerne la definizione delle norme di legge merita considerazione e apprezzamento. Al riguardo è importante anche che in futuro ci si adoperi per aumentare ulteriormente la convergenza e il coordinamento affinché sia possibile impiegare nel miglior modo le risorse disponibili. Bisogna inoltre tenere presente l’importanza della corretta applicazione della legislazione europea.

3.15.

Nell’elaborazione delle misure descritte e di quelle che saranno adottate in futuro occorre ispirarsi all’approccio REFIT: bisogna dare priorità all’efficacia e all’efficienza, cercando di raggiungere i risultati con il minor costo possibile. L’approccio REFIT semplifica le procedure, elimina gli oneri superflui e adegua la normativa senza compromettere gli obiettivi delle politiche.

3.16.

In tale contesto si potrebbe considerare di rafforzare la capacità delle autorità europee di vigilanza in modo che possano svolgere le proprie valutazioni d’impatto, in quanto questo consentirebbe loro di analizzare i costi di attuazione e l’efficienza delle norme da esse elaborate, possibilmente tenendo conto anche del principio di proporzionalità. Per tali studi ci si potrebbe anche avvalere in maniera ancora più estesa e strutturale dei diversi gruppi esistenti di parti interessate al fine di raccogliere conoscenze ed esperienze provenienti dal mondo delle imprese.

3.17.

Per poter svolgere correttamente le loro funzioni, le autorità europee di vigilanza devono poter beneficiare delle risorse necessarie a tal fine. Attualmente, tali risorse provengono in parte dal bilancio europeo e in parte dalle autorità di vigilanza nazionali. Qualsiasi modifica, in particolare, quelle intese a porre direttamente a carico del settore privato una parte dei costi per la vigilanza indiretta, deve avvenire nel rispetto della disciplina di bilancio e facendo attenzione ad evitare duplicazioni nell’imputazione dei costi. Nella struttura attuale, gli organismi finanziari contribuiscono già al finanziamento delle autorità europee di vigilanza, attraverso il contributo delle rispettive autorità nazionali di vigilanza. Il contributo che gli organismi finanziari forniscono alle autorità di vigilanza nazionali ed europee deve quindi essere ridistribuito e deve essere evitato un ulteriore aumento generalizzato dei costi di vigilanza. Le eventuali modifiche apportate in un secondo tempo devono essere improntate al massimo grado possibile di trasparenza e occorre introdurre meccanismi di controllo rigorosi. Inoltre, bisogna prevedere un controllo adeguato delle risorse complessive, che deve essere esercitato in maniera appropriata e con il concorso del settore finanziario.

3.18.

Le proposte in esame rappresentano indubbiamente un importante passo avanti, ma c’è ancora del lavoro da fare. Il Comitato condivide quanto affermato nel recente documento di riflessione sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria (18) e in particolare il fatto che «il progressivo rafforzamento del quadro di vigilanza dovrebbe portare alla creazione di un’autorità unica europea di vigilanza dei mercati dei capitali». Lo stesso obiettivo finale viene enunciato anche nella relazione dei cinque presidenti (19) del giugno 2015.

3.19.

Le proposte in esame si basano su un approccio graduale, che il Comitato reputa particolarmente opportuno, soprattutto in questa fase di costruzione dell’Unione dei mercati dei capitali (20) e tenendo conto sia delle diverse situazioni e ambizioni esistenti negli Stati membri che delle numerose sfide ed evoluzioni economiche, tecnologiche e politiche che si profilano a livello mondiale.

3.20.

Il Comitato si compiace in particolare di notare che nella formulazione delle proposte si è tenuto conto dell’esperienza operativa maturata dalle autorità europee di vigilanza, del lavoro svolto dalla Commissione e delle raccomandazioni espresse dal Parlamento europeo, nonché del dialogo approfondito con tutte le parti interessate e di un’ampia consultazione pubblica di tutti i soggetti coinvolti. Il CESE apprezza questo approccio corretto e appropriato, il quale, rispetto alle circostanze concrete, consente di perseguire i migliori risultati realizzabili, capaci di incontrare il consenso più ampio possibile. Pertanto propone espressamente che si continui ad applicare tale approccio anche in futuro, sia nel riesame periodico della regolamentazione che quando verranno compiuti nuovi passi verso l’obiettivo finale (cfr. sopra).

3.21.

La creazione di condizioni di parità sui mercati finanziari dell’UE, sia della zona euro e degli altri Stati membri, deve essere sempre prioritaria. La parità di condizioni, del resto, deve figurare in primo piano anche per quanto riguarda gli operatori di paesi non appartenenti all’UE. Ciò è possibile soltanto se la regolamentazione e la vigilanza in vigore in questi paesi terzi perseguono gli stessi obiettivi dell’UE.

3.22.

La proposta di trasferire taluni poteri di vigilanza nel settore delle assicurazioni dal livello nazionale a quello europeo si inquadra nella volontà di estendere la vigilanza sui mercati finanziari dell’UE, favorendo così la realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali. Tali poteri contribuiranno a rafforzare la convergenza in materia di vigilanza e a creare condizioni di parità per tutti gli operatori del mercato.

Bruxelles, 15 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il testo fa riferimento a numerosi documenti ufficiali, alcuni dei quali pubblicati dal Consiglio e dalla Commissione. Cfr., tra gli altri, http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-13447-2017-INIT/it/pdf e http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-3308_fr.htm.

(2)  Comunicazione della Commissione sulla revisione intermedia del piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali, COM(2017) 292 final.

(3)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Intensificare la vigilanza integrata per rafforzare l’Unione dei mercati dei capitali e l’integrazione finanziaria in un contesto in evoluzione, COM(2017) 542 final.

(4)  Cfr. https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/banking-and-finance/financial-supervision-and-risk-management/european-system-financial-supervision_en#reviewoftheesfs.

(5)  Nel 2018 verrà presentato un piano d’azione con misure di regolamentazione.

(6)  La Commissione ha annunciato per il 2018 la pubblicazione di un piano d’azione anche su questo aspetto.

(7)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari e la direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (solvibilità II), COM(2017) 537 final.

(8)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 117, punto 1.1.

(9)  Conclusioni del Consiglio europeo, del 22 e 23 giugno 2017.

(10)  Risoluzione del Parlamento europeo del 9 luglio 2015 sul tema Costruire un’Unione dei mercati dei capitali. Cfr. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2015-0268+0+DOC+XML+V0//IT.

(11)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 117, punto 1.3.

(12)  GU C 434 del 16.12.2014, pag. 63.

(13)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 139.

(14)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 117, punto 1.12.

(15)  Comunicazione COM(2017) 542 final, pag. 5.

(16)  Ad esempio, via Internet.

(17)  A questo riguardo si può fare riferimento, ad esempio, al recente Piano d’azione riguardante i servizi finanziari destinati ai consumatori: prodotti migliori, maggiore scelta, adottato dalla Commissione. Cfr. al riguardo il parere del CESE sul tema Servizi finanziari per i consumatori, GU C 434 del 15.12.2017, pag. 51.

(18)  Documento del 31 maggio 2017, pag. 21. Cfr. https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/reflection-paper-emu_it.pdf.

(19)  Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa, del giugno 2015, punto 3.2, pag. 14. Cfr. https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/5-presidents-report_it.pdf.

(20)  Nella comunicazione della Commissione sul riesame intermedio del piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali (pubblicata l’8 giugno 2017) vengono definiti 38 elementi costitutivi che dovranno essere approntati entro il 2019 per realizzare tale unione, COM(2017) 292 final.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea degli investimenti: «Investire in un’industria intelligente, innovativa e sostenibile — Una rinnovata strategia di politica industriale dell’UE»

[COM(2017) 479 final]

(2018/C 227/10)

Relatore:

Bojidar DANEV

Correlatrice:

Monika SITAROVÁ HRUŠECKÁ

Consultazione della Commissione europea

9.10.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

23.1.2018

Adozione in sessione plenaria

15.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

166/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione sullo sviluppo intelligente, innovativo e sostenibile e l’approccio in essa adottato, volto a coinvolgere i cittadini e le imprese. Nondimeno:

ritiene che si debba garantire la continuità e la prevedibilità a più lungo termine della politica industriale, o meglio dell’insieme delle attuali politiche in materia, che la Commissione dovrebbe trasformare in una strategia coerente e a più lungo termine;

con il presente parere desidera rivolgersi anche al Consiglio: gli Stati membri, infatti, sono competenti per la maggior parte delle questioni di politica industriale e devono perciò impegnarsi ad agire in maniera coerente, poiché nessuno di essi può affrontare da solo le sfide globali che attendono l’industria;

reputa che il futuro dell’Europa possa consistere in obiettivi condivisi e in un quadro comune di politica industriale, ma che, in questa prospettiva, sia necessario migliorare la governance dell’UE, in modo tale che produca risultati;

ritiene che occorra agire con urgenza, poiché la tecnologia digitale, la decarbonizzazione e i mutamenti politici globali pongono sfide senza precedenti e imprevedibili.

In merito alla comunicazione in esame, il CESE formula le seguenti conclusioni:

1.1.

l’approccio adottato dalla Commissione consiste nell’integrare le misure necessarie nei settori d’intervento di diverse politiche al fine di creare condizioni propizie alla competitività e allo sviluppo industriali, in linea con quanto proposto da anni dal CESE;

1.2.

il cambiamento di paradigma indotto dall’era digitale sta avendo un effetto dirompente, che interessa trasversalmente tutte le imprese e la società in generale;

1.3.

le imprese si trovano ad affrontare la sfida senza precedenti di convertire rapidamente nuove tecnologie in processi e prodotti innovativi e vincenti su mercati sempre più competitivi. Per molte, assume grande importanza assicurarsi una posizione centrale nella catena globale del valore;

1.4.

le persone sono al centro del cambiamento. Le politiche in materia di mercato del lavoro devono adattarsi al mutare delle circostanze. Una «transizione equa» implica un sostegno alle persone e alle regioni chiamate a confrontarsi con cambiamenti strutturali;

1.5.

l’istruzione e la formazione sono fattori abilitanti e trainanti della transizione industriale. Tutti i lavoratori hanno bisogno di migliorare le proprie competenze, specialmente in campo digitale, e molti hanno bisogno di svolgere nuove professioni;

1.6.

il fatto di dover far fronte alle sfide riguardanti l’ambiente, i cambiamenti climatici e altri obiettivi di sviluppo sostenibile comporta cambiamenti significativi per l’intera economia. Si aprono nuove opportunità imprenditoriali, ma, al tempo stesso, il passaggio a un’industria senza emissioni di carbonio richiede enormi investimenti in tecnologie radicalmente nuove a emissioni zero e molta più energia elettrica pulita a prezzi competitivi;

1.7.

il livello degli investimenti nell’industria europea rimane basso, benché vi siano già alcuni segnali positivi. In ogni caso, per attrarre gli investitori è indispensabile creare condizioni quadro adatte allo sviluppo industriale;

1.8.

l’accesso ai mercati globali è di vitale importanza per l’industria, ragion per cui è necessario sviluppare ulteriormente la rete di accordi commerciali, basandosi sul principio del commercio equo.

Il CESE formula le seguenti raccomandazioni:

1.9.

la finalità complessiva dell’azione dell’UE dovrebbe essere l’ulteriore sviluppo di un arsenale ben congegnato di politiche orizzontali e di un quadro giuridico prevedibile che incentivino l’innovazione, sostengano gli investimenti e aiutino l’industria a offrire soluzioni alle sfide che interessano la collettività. Tutto ciò dovrebbe generare valore aggiunto con effetti misurabili sulla crescita e sull’occupazione, con i minori oneri amministrativi possibili e con benefici diffusi per la società nel suo insieme;

1.10.

occorrerebbe compiere ogni sforzo per completare il mercato unico, con una particolare attenzione alla sua attuazione da parte degli Stati membri. La vigile applicazione della politica di concorrenza, che è un motore irrinunciabile di innovazione ed equità, non dovrebbe peraltro frenare la crescita delle imprese europee;

1.11.

la strategia per il mercato digitale deve essere attuata con urgenza e accompagnata da una politica occupazionale mirata;

1.12.

occorrerebbe adottare un atteggiamento aperto e realistico nei confronti delle tecnologie e dei modelli imprenditoriali nuovi e dirompenti, prestando un’attenzione specifica ad offrire alle imprese e alla società nel suo insieme l’opportunità di trarre vantaggio da nuove possibilità;

1.13.

il dialogo sociale e il dialogo con la società civile dovrebbero essere rinnovati e rafforzati a tutti i livelli per facilitare il cambiamento, gestire i problemi sociali ed evitare i conflitti;

1.14.

è necessario creare percorsi flessibili tra il lavoro e l’istruzione, come ad esempio gli apprendistati e l’apprendimento basato sul lavoro. In molti Stati membri, la formazione professionale dovrebbe essere maggiormente valorizzata;

1.15.

la posizione di leader nell’economia a basse emissioni di carbonio e nell’economia circolare dovrebbe apportare benefici alle nostre economie. Le politiche dovrebbero sostenere lo sviluppo di nuove imprese innovative, nonché la conversione, assai costosa, delle produzioni ad alta intensità energetica, onde evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e degli investimenti;

1.16.

occorrerebbe analizzare gli ostacoli che impediscono alle attuali, notevoli eccedenze dei risparmi privati di tradursi in investimenti produttivi nell’industria e nelle infrastrutture;

1.17.

il sostegno dell’UE dovrebbe essere diretto principalmente a stimolare l’innovazione, a consentire alle PMI di espandersi, ad aiutare le regioni in difficoltà e a rafforzare la posizione dei cittadini. Al riguardo, l’effetto leva sulla finanza privata dovrebbe costituire un criterio importante;

1.18.

nel prossimo quadro finanziario è indispensabile garantire risorse aggiuntive per la R&S e l’innovazione. Le relative politiche dovrebbero puntare maggiormente a favorire la diffusione delle nuove tecnologie e l’espansione e il successo dell’industria europea sui mercati, senza escludere le imprese di alcuna dimensione;

1.19.

le statistiche ufficiali dovrebbero rispecchiare meglio i mutamenti intervenuti nell’economia, quali il progressivo sfumare dei confini tra i diversi settori e l’affermarsi di nuove forme di attività economica. Vi è bisogno di un metodo comune per calcolare il valore aggiunto generato dall’industria e dai servizi;

1.20.

in aggiunta all’obiettivo del 20 % del PIL occorre anche tornare a riflettere in maniera aperta sugli obiettivi e gli indicatori più pertinenti per la politica industriale, sia a livello macroeconomico che a livelli meno aggregati;

1.21.

è necessario migliorare la governance (rafforzando il Consiglio Competitività o con altri mezzi), in modo tale da garantire l’integrazione delle politiche e la coerenza lungo l’intero processo decisionale;

1.22.

la Giornata europea dell’industria e la Tavola rotonda industriale ad alto livello vanno salutate come innovazioni utili ad accrescere la titolarità della strategia industriale tra le parti interessate, fermo restando, peraltro, che il dialogo con l’industria non dovrebbe limitarsi a queste sedi.

2.   Introduzione

2.1.

La spina dorsale dell’economia europea è costituita dal settore dell’industria. Esso fornisce il 24 % di tutti i posti di lavoro nell’UE: 32 milioni direttamente e 21 milioni indirettamente, principalmente nei servizi. Si tratta di posti di lavoro che offrono una retribuzione relativamente elevata sia ai lavoratori altamente qualificati che a quelli meno qualificati. I prodotti industriali rappresentano il 75 % delle esportazioni. La crescita del settore industriale si diffonde in tutti gli altri settori economici. Inoltre, l’industria è la culla dell’innovazione in tutti i settori, anche per quanto riguarda le soluzioni a numerose sfide che interessano la collettività. Peraltro, le maggiori interconnessioni tra produzione di beni e prestazione di servizi, come pure l’integrazione nell’ambito delle catene del valore, costituiscono l’essenza del valore aggiunto nelle nostre economie.

2.2.

Dopo molti anni di declino, in Europa la produzione, le esportazioni e l’occupazione nel settore industriale sembrano adesso avviate sulla strada della ripresa. Tuttavia, tale ripresa è ancora incompleta, e la competitività dell’industria europea è insoddisfacente. Si registrano spesso livelli di imposizione fiscale e prezzi dell’energia relativamente elevati, investimenti sia materiali che immateriali insufficienti, lentezza della crescita della produttività, divari di innovazione rispetto ai concorrenti, penuria di competenze e flessione della domanda interna.

2.3.

Le megatendenze che incidono sull’industria sono in particolare:

le rivoluzioni tecnologiche: la digitalizzazione e tutte le relative applicazioni, ma anche le nanotecnologie, i nuovi materiali, le tecnologie basate sulle scienze della vita ecc.;

i requisiti sempre più elevati in tema di ambiente, compresi quelli volti a mitigare i cambiamenti climatici;

il diffondersi di un tenore di vita più elevato, l’invecchiamento demografico e l’urbanizzazione;

la globalizzazione, che implica l’apertura dei mercati e l’integrazione della produzione in catene di valore ma obbliga anche a confrontarsi con imprese di Stato particolarmente aggressive e con misure protezionistiche.

Queste tendenze ben note aprono vaste opportunità all’industria europea, ma, se ad esse non si reagisce in modo appropriato ed efficace, potrebbero anche comportare gravi rischi per la collettività e la stessa industria.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione e, in linea di massima, concorda con la sua analisi della situazione e delle sfide che l’industria europea si trova ad affrontare. La comunicazione rappresenta principalmente un aggiornamento delle proposte esistenti, e prospetta una serie di nuove misure che la Commissione intende presentare. Tuttavia, occorre garantire la continuità e la prevedibilità a più lungo termine della politica industriale. La Commissione dovrebbe elaborare con urgenza una strategia a più lungo termine, a favore della quale dovrebbero impegnarsi tutti gli Stati membri.

3.2.

Il CESE osserva con soddisfazione che l’approccio alla politica industriale adottato dalla Commissione è coerente con quello che il CESE stesso propone ormai da anni: adesso, infatti, il suo approccio non consiste più nell’elaborare normative nei numerosi ambiti di intervento delle politiche riguardanti l’industria senza troppo preoccuparsi delle loro ripercussioni su quest’ultima e delle istanze che da essa provengono, bensì nell’integrare tra loro tali interventi settoriali facendo dello sviluppo industriale una priorità.

3.3.

Negli ultimi anni il CESE ha presentato pareri (1) in merito a proposte della Commissione relative a diversi settori industriali e a diversi ambiti di intervento delle politiche che li riguardano. Tali pareri sono in massima parte ancora rilevanti ai fini della comunicazione in esame. Nel presente parere il CESE desidera sottolineare alcuni aspetti relativi alla politica industriale che sono ancora di grande attualità e formulare inoltre alcune nuove osservazioni.

3.4.

Le imprese sono oggi confrontate a una necessità senza precedenti di adeguarsi ai cambiamenti, in molti casi radicali. Esse devono recepire rapidamente le nuove tecnologie e convertirle in migliore produttività e in innovazioni per affermarsi su mercati sempre più competitivi. Posizionarsi bene, possibilmente al centro della catena internazionale del valore, per molte imprese è ormai diventato un imperativo. Le PMI possono e anzi dovrebbero ambire a svolgere un ruolo importante e innovativo in queste catene del valore, perlopiù costruite intorno a grandi imprese dotate delle risorse e delle reti necessarie.

3.5.

Emergeranno nuovi settori industriali. La digitalizzazione dà luogo a innumerevoli nuove reti e interazioni, promuovendo un nuovo spettro di prodotti e servizi, sempre più in sintonia con le esigenze dei clienti. Per creare le condizioni per l’espansione delle tecnologie relative alla produzione, ai prodotti e ai servizi, nonché per la crescita delle start-up, è necessario adottare politiche adatte a livello europeo, dato che le catene del valore non sono confinate ai singoli paesi. D’altro canto, però, le differenze esistenti tra gli Stati membri e tra le regioni impongono di adottare specifici interventi «su misura».

3.6.

Tutte le imprese devono costantemente migliorare le loro attività. Le imprese obsolete e non redditizie non possono essere mantenute a galla dalle sovvenzioni. Detto ciò, l’Europa ha bisogno di un’ampia gamma di industrie per far fronte ai bisogni della società, e occorre pertanto sviluppare strategie specifiche per i settori posti di fronte a sfide particolari.

3.7.

Le persone sono al centro del cambiamento. Senza lavoratori qualificati e professionali non può esservi industria. Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dalle innovazioni devono essere sfruttate, ma la digitalizzazione e altre tecnologie altamente innovative avranno un impatto sulla struttura del mercato del lavoro, facendo diminuire i posti di lavoro nel settore manifatturiero e aumentare quelli per gli esperti di informatica. Muteranno il concetto di organizzazione del lavoro e quello di gestione aziendale, con implicazioni per la qualità del lavoro, che diverrà meno pericoloso, ma anche più intenso e flessibile.

3.8.

L’impatto sull’occupazione delle «rotture tecnologiche» deve essere opportunamente valutato, e l’armamentario degli strumenti per anticipare il cambiamento deve essere reso più efficace. L’adattamento dei mercati del lavoro ai cambiamenti strutturali porrà enormi sfide: quelle di garantire la massima sicurezza lavorativa possibile e quante più nuove opportunità occupazionali possibili, nonché di assicurare una protezione sociale per coloro che ne hanno bisogno e di impedire il declino di intere regioni. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione necessita di maggiori risorse, e il suo campo di applicazione deve essere ampliato in modo da coprire gli effetti del cambiamento tecnologico. Le relazioni industriali a tutti i livelli, e in particolare il dialogo sociale a livello aziendale, con il coinvolgimento dei lavoratori, sono strumenti di vitale importanza per agevolare le trasformazioni industriali e contribuire nel contempo a fare accettare meglio il cambiamento e a prevenire i conflitti.

3.9.

L’istruzione e la formazione sono strumenti e motori necessari della transizione industriale. Tutti i lavoratori hanno bisogno di migliorare le proprie competenze, specialmente in campo digitale. Molti hanno bisogno di essere formati per poter svolgere professioni del tutto nuove. La rapidità dello sviluppo tecnologico pone la grande sfida di mantenere i programmi e i numeri dei corsi di studio in linea con l’evoluzione dei bisogni dell’industria. Le soluzioni di apprendimento basato sul lavoro, come il sistema duale applicato con ottimi risultati in Germania, dovrebbero essere applicate in misura molto più ampia. Almeno in alcuni Stati membri, dovrebbe essere rivalutata la formazione professionale. Analogamente, bisognerebbe rafforzare l’attrattiva delle materie STEM.

3.10.

La politica macroeconomica e quella industriale si stanno rafforzando a vicenda. L’attuale ripresa economica, infatti, crea una finestra di opportunità per modernizzare le infrastrutture di trasporto, energetiche e digitali, migliorare la R&S e farne scaturire innovazioni di successo ed equilibrare lo sviluppo regionale. La giusta combinazione di politica macroeconomica e industriale dovrebbe prolungare la ripresa e proteggere l’economia e l’industria nei confronti di qualsiasi futura crisi.

3.11.

Gli investimenti nell’industria europea si attestano ancora a un livello talmente basso da essere preoccupante, mentre nell’UE vi è una notevole eccedenza di risparmio che non si è trasformata in investimenti produttivi. Le ragioni di questa situazione dovrebbero essere studiate in maniera approfondita, soprattutto perché la trasformazione industriale richiede enormi investimenti. Una cosa, peraltro, appare chiara: per attrarre gli investitori, siano essi interni o internazionali, è indispensabile creare condizioni quadro che consentano una sufficiente competitività.

3.12.

Detto ciò, tuttavia, si registrano già alcuni segnali di possibili tendenze positive in materia di investimenti. In un mondo che deve fare i conti con una formidabile instabilità politica, l’UE è un luogo sicuro e stabile per gli investimenti. Grazie alla crescente domanda, in alcuni settori industriali si sta ormai raggiungendo il pieno sfruttamento della capacità produttiva, il che consentirà di stimolare gli investimenti in nuova capacità, auspicabilmente in Europa.

3.13.

I vincoli ambientali e climatici, in particolare quelli derivanti dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, interessano tutte le imprese. L’economia a basse emissioni di carbonio e l’economia circolare aprono molte nuove opportunità imprenditoriali, e le ambizioni dell’UE di essere e rimanere all’avanguardia possono aiutare le imprese europee sui mercati globali. Le industrie ad alta intensità di energia e risorse, in particolare, si trovano nella necessità di effettuare mutamenti tecnologici fondamentali, che richiedono una politica ambiziosa di sostegno al fine di evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e degli investimenti. Il passaggio, nella produzione e nei trasporti, all’uso di combustibili e carburanti non derivati da energie fossili porterà a un aumento significativo della domanda di energia elettrica a prezzi competitivi.

3.14.

La cooperazione tra tutti gli attori principali (l’UE, i governi degli Stati membri, le autorità, le regioni, le università e le scuole, le parti interessate e le imprese) potrebbe e dovrebbe essere migliore. Per esempio, occorre migliorare la collaborazione tra le imprese e le università. Le scuole dovrebbero rivolgersi alle imprese per essere aiutate ad aggiornare tempestivamente i programmi di studio e gli apprendistati. Soprattutto, gli Stati membri dovrebbero cooperare attuando in tempi brevi, e facendo rispettare, le misure politiche e legislative concordate.

3.15.

I metodi statistici attuali non offrono un quadro tempestivo ed utile della situazione dell’industria in Europa. La suddivisione delle attività economiche nei settori «produzione», «servizi» e «altre attività» è ormai superata. Una parte considerevole dell’attività economica non viene considerata ai fini del calcolo del PIL. Le statistiche sulle importazioni e le esportazioni non registrano fedelmente l’attività industriale in un’epoca in cui circa la metà della produzione industriale fa parte di catene globali del valore. Vi è urgente bisogno di un metodo comune per calcolare il valore aggiunto e l’interconnessione dell’industria e dei servizi.

3.16.

Il CESE è dell’avviso che, per quanto riguarda l’industria, la quota obiettivo del 20 % del PIL debba essere integrata da traguardi e indicatori più pertinenti, che rispecchino meglio tutti gli aspetti dello sviluppo industriale.

3.17.

La governance dell’integrazione delle politiche che incidono sulla competitività e lo sviluppo industriali, nonché tra gli Stati membri, deve essere rafforzata. È importante migliorare la regolamentazione, vale a dire renderla prevedibile, efficiente e basata su dati concreti, ed effettuare valutazioni d’impatto ex ante e trasparenti. La coerenza lungo tutto il processo decisionale dovrebbe essere garantita rafforzando il ruolo del Consiglio Competitività o attraverso altri meccanismi istituzionali. Se si vuole reagire efficacemente all’accresciuto dinamismo dell’economia globale, è indispensabile abbandonare il modo di pensare «a compartimenti stagni», sia in sede UE che a livello nazionale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Rafforzare l’industria europea: il CESE conviene sulla necessità di una visione olistica e lungimirante per l’industria europea. Per rendere l’industria europea più forte, l’azione dell’UE dovrebbe puntare, nel suo complesso, alla creazione di un quadro giuridico ben funzionante e prevedibile che incentivi l’innovazione e aiuti l’industria a offrire soluzioni alle sfide che interessano la collettività. Tutto ciò dovrebbe generare valore aggiunto con effetti misurabili sulla crescita e sull’occupazione, con i minori oneri amministrativi possibili e con benefici diffusi per la società nel suo insieme.

4.2.

Mercato unico: il CESE accoglie con favore l’approccio volto a coinvolgere i cittadini e le imprese, e appoggia le azioni proposte per rafforzare il mercato unico, compreso il mercato dei capitali. In tale contesto, il potenziamento della standardizzazione e il miglioramento dell’autoregolamentazione costituiscono aree di intervento importanti. Cosa ancor più importante, gli Stati membri devono rispettare e far rispettare gli loro obblighi di legge. La vigile applicazione della politica di concorrenza è essenziale per l’innovazione e la formazione dei prezzi. La vigilanza svolta dalla Commissione nei confronti dei grandi operatori globali è meritevole di grande apprezzamento. Tuttavia, la crescita delle imprese europee non dovrebbe risultarne intralciata, considerato che nell’UE (Regno Unito escluso) le dimensioni mediane di una società quotata sono soltanto circa la metà di quelle di una sua omologa statunitense. Si tratta di una questione di interpretazione della definizione di «mercato rilevante» ai fini dell’applicazione del diritto della concorrenza.

4.3.

Era digitale: la digitalizzazione comporta un vero e proprio cambiamento di paradigma con effetti sulla società nel suo complesso, e persino sul piano geopolitico. I punti di vista del CESE in merito sono stati già esposti in altri pareri, i quali hanno riguardato ad esempio i megadati, la 5G, le tecnologie produttive avanzate e la robotica. Le strategie dell’UE per un mercato unico digitale, la digitalizzazione dell’industria europea, la sicurezza informatica e l’intelligenza artificiale sono temi di capitale importanza. Un’importante questione di principio è quella di trovare il giusto equilibrio tra l’esigenza di impiegare, e cogliere i benefici di, tecnologie nuove e dirompenti e quella di garantire la sicurezza e l’equità. Occorrerebbe porre l’accento sulla necessità di offrire alla collettività, incluse le imprese, l’opportunità di trarre vantaggio da queste nuove possibilità, adottando un atteggiamento aperto e realistico.

4.4.

Una società circolare e a basse emissioni di carbonio: mantenere una posizione leader in questi campi rappresenta una grossa sfida in un contesto di crescente competizione. La leadership, tuttavia, non dovrebbe costituire un fine in sé, bensì apportare vantaggi alle nostre economie e alle nostre società. La transizione energetica va sostenuta, ma i prezzi dell’energia devono essere competitivi per l’industria.

4.5.

Investimenti: i numerosi strumenti dell’UE a sostegno di investimenti (sia materiali che immateriali) dovrebbero essere destinati principalmente a stimolare l’innovazione, aiutare le PMI ad espandersi, sostenere le regioni in difficoltà, migliorare le infrastrutture e mettere i cittadini in grado di essere più partecipi attraverso l’istruzione e la formazione. Le PMI hanno ancora bisogno di maggiore sostegno per orientarsi verso la più appropriata tra le numerose e diverse fonti disponibili, nonché di procedure molto più semplici per fare domanda e relazionare. Un importante criterio dovrebbe essere rappresentato dall’effetto leva sugli investimenti privati. Sono benvenute tutte le proposte (comprese quelle che dovrebbero essere formulate dal gruppo di alto livello sulla finanza sostenibile) che puntino a riorientare l’allocazione del capitale verso gli investimenti a lungo termine e i contributi alla crescita sostenibile (2).

4.6.

Innovazione: il CESE concorda nel ritenere che le politiche debbano puntare maggiormente alla diffusione delle nuove tecnologie, all’espansione e al successo dell’industria europea sui mercati e alla collaborazione nei (e tra i) distretti produttivi regionali, senza escludere le imprese di alcuna dimensione. Il programma che subentrerà a «Orizzonte 2020» dovrebbe essere dotato di risorse nettamente maggiori nel prossimo quadro finanziario. Ogni qual volta sia possibile, la prima applicazione industriale di una attività di R&S finanziata con fondi pubblici dovrebbe aver luogo all’interno dell’UE. Il potenziale degli appalti pubblici dovrebbe essere sfruttato appieno attraverso l’inserimento, nelle relative regole, di criteri di innovazione, rispetto dell’ambiente e protezione sociale, applicando sistematicamente il principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

4.7.

Aspetti internazionali: Il commercio deve essere aperto, ma anche equo e sostenibile. L’accesso ai mercati globali e alle materie prime è di vitale importanza per l’industria, ragion per cui è necessario sviluppare ulteriormente la rete di accordi commerciali. Il CESE esorta la Commissione a utilizzare con decisione gli strumenti disponibili per contrastare le pratiche commerciali sleali. Un’attenzione specifica dovrebbe essere rivolta alle nuove forme di protezionismo da parte di paesi terzi. L’UE dovrebbe promuovere le sue norme ambientali e sociali nell’ambito degli accordi commerciali. Per quanto riguarda gli investimenti esteri diretti, è importante che essi siano soggetti a monitoraggio per individuare possibili minacce alla sicurezza o all’ordine pubblico. Nel contempo, quando si rendono necessari maggiori investimenti nelle imprese dell’UE, gli investimenti esteri diretti dovrebbero essere accolti con favore: anch’essi, del resto, sono sintomi del potenziale dell’Europa.

4.8.

Partenariati: Il CESE accoglie con favore l’introduzione di una Giornata annuale dell’industria e l’istituzione di una Tavola rotonda industriale ad alto livello, e manifesta il suo vivo interesse a partecipare ad entrambe. Tale approccio dovrebbe coprire tutti gli ambiti della politica industriale, al fine di accrescere la titolarità della strategia tra le parti interessate. Il dialogo con l’industria, tuttavia, non dovrebbe limitarsi a queste sedi. Sono necessarie maggiore trasparenza e una più stretta cooperazione, specie quando si tratta di avviare valutazioni d’impatto.

Bruxelles, 15 febbraio 2018.

Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Ad esempio GU C 327 del 12.11.2013, pag. 82, GU C 12 del 15.1.2015, pag. 23, GU C 389 del 21.10.2016, pag. 50, GU C 311 del 12.9.2014, pag. 47, GU C 383 del 17.11.2015, pag. 24.

(2)  GU C 246 del 28.07.2017, pag. 8.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/76


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2003/17/CE del Consiglio per quanto riguarda l’equivalenza delle ispezioni in campo effettuate in Brasile sulle colture di sementi di piante foraggere e di cereali e l’equivalenza delle sementi di piante foraggere e di cereali prodotte in Brasile, e per quanto riguarda l’equivalenza delle ispezioni in campo effettuate in Moldova sulle colture di sementi di piante di cereali, di ortaggi e di piante oleaginose e da fibra e all’equivalenza delle sementi di piante di cereali, di ortaggi e di piante oleaginose e da fibra prodotte in Moldova»

[COM(2017) 643 final — 2017/0297 (COD)]

(2018/C 227/11)

Relatore:

Emilio FATOVIC

Consultazione

Parlamento europeo, 16 novembre 2017

Base giuridica

Artt. 43, paragrafo 2, 114, paragrafo 1, e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

5 dicembre 2018

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

6 febbraio 2018

Adozione in sessione plenaria

14 febbraio 2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

140/0/8

1.   Contesto e proposta della Commissione

1.1.

La decisione 2003/17/CE del Consiglio concede l’equivalenza a determinati paesi terzi per quanto riguarda le ispezioni in campo e la produzione di sementi di determinate specie (1).

1.2.

Tali disposizioni, applicabili alle sementi raccolte e controllate in tali paesi, offrono per quanto concerne le caratteristiche, il regime di esame, l’identificazione, l’etichettatura e il controllo, le stesse garanzie delle condizioni applicabili alle sementi raccolte e controllate nell’Unione europea.

1.3.

Brasile e Moldova non rientrano nel novero dei paesi terzi considerati dalla decisione 2003/17/CE, pertanto le sementi ivi raccolte non possono essere importate nell’UE. Entrambi i paesi, quindi, si sono attivati per richiedere alla Commissione di disciplinare talune loro produzioni di sementi (Brasile: piante foraggere e cereali; Moldova: cereali, piante oleaginose e da fibra e di ortaggi) ai sensi della suddetta decisione, al fine di ottenerne l’equivalenza e la possibilità di esportarle in Europa.

1.4.

In risposta a tali richieste la Commissione ha esaminato le normative del Brasile e della Moldova in materia. Ha successivamente esaminato i sistemi di ispezione in campo e di certificazione delle sementi in Brasile e in Moldova. La Commissione ha concluso che le prescrizioni e i sistemi in vigore in tali paesi sono equivalenti a quelli dell’UE e forniscono le stesse garanzie (2).

1.5.

In entrambi i casi, quindi, la Commissione ha ritenuto opportuno che talune sementi del Brasile e della Moldova siano considerate equivalenti alla medesima tipologia di sementi raccolte, prodotte e controllate nell’UE. Il riconoscimento può essere effettuato in virtù di una decisione adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

2.   Considerazioni e raccomandazioni

2.1.

Il CESE prende atto dell’esito positivo degli audit svolti dalla Commissione in Brasile e Moldova in conformità alle prescrizioni di cui all’allegato II della decisione 2003/17/CE, al fine di riconoscere l’equivalenza delle prescrizioni giuridiche e dei controlli ufficiali per la certificazione delle sementi.

2.2.

Il CESE, in continuità con i suoi precedenti pareri (3) in materia ed in linea con quanto già emerso dal confronto tra Commissione, gli stakeholder e gli Stati membri, condivide l’azione legislativa oggetto di esame. Inoltre, il Comitato concorda sul fatto che il riconoscimento dell’equivalenza possa generare vantaggi per le imprese UE del settore delle sementi che operano in Brasile e Moldova, per i potenziali importatori dell’UE di sementi provenienti da questi paesi e per gli agricoltori dell’UE, che potranno quindi avere accesso ad una gamma più ampia di sementi.

2.3.

Il Comitato esprime unicamente una riserva circa la proposta di riconoscimento alla Moldova dell’equivalenza per le sementi di ortaggi. Tali sementi, disciplinate dalla direttiva 2002/55/CE, sono commercializzate esclusivamente come categoria «standard», la quale non richiede la certificazione ufficiale per poter essere immessa in commercio, bensì l’autocertificazione da parte del produttore e, solo successivamente alla fase di commercializzazione, l’eventuale controllo a posteriori delle caratteristiche e della qualità del prodotto. Tale sistema si fonda sull’assunzione di responsabilità da parte del produttore, soggetto ben individuato e rintracciabile in quanto avente sede nel territorio dell’UE. La tracciabilità e il controllo non saranno di certo agevoli nel caso di produzioni di origine extra-UE. Su tale problematicità oggettiva si è fondata sino ad oggi la decisione dell’UE di non concedere riconoscimento di equivalenza per le sementi di ortaggi ad alcun paese terzo. Pertanto il Comitato evidenzia delle criticità, auspicando un riesame più accurato da parte della Commissione.

2.4.

Il CESE riconosce, come sostenuto dalla Commissione, che il riconoscimento delle tecniche di certificazione dei prodotti in esame sia un provvedimento di natura tecnica. Tuttavia, poiché l’apertura del mercato europeo ai prodotti di paesi terzi genererà comunque un impatto economico e sociale, il Comitato raccomanda l’elaborazione di una valutazione d’impatto per verificare che i produttori europei, e specificatamente le micro e piccole imprese, non siano pregiudicati dal provvedimento.

2.5.

Il CESE, infatti, ricorda alla Commissione che ad oggi oltre il 60 % del mercato delle sementi è in mano a poche grandi multinazionali. L’apertura a paesi terzi, nei quali le produzioni sono sotto controllo delle medesime aziende, potrebbe ulteriormente aggravare le condizioni dei piccoli produttori e consorzi, con un impatto sensibile anche sulla tenuta economica e sociale di tante comunità locali con specifica vocazione produttiva. Tutto ciò, nei casi più gravi, potrebbe favorire casi di spopolamento delle comunità rurali, con conseguenze anche sulla biodiversità delle coltivazioni e produzioni agroalimentari europee, in quanto spesso sono proprio le piccole aziende a preservare dall’estinzione alcune tipologie di sementi antiche e tradizionali (4).

2.6.

Il CESE, inoltre, rinnova l’invito alla Commissione a valutare in modo olistico i processi produttivi attuati nei paesi terzi, ricordando che dietro prodotti a prezzi più competitivi si nascondono casi di sfruttamento sul luogo di lavoro anche minorile. Tale approccio appare indispensabile ed irrinunciabile nel momento in cui l’UE è attivamente coinvolta nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2030 delle Nazioni Unite. L’UE è infatti il primo importatore ed esportatore di prodotti agroalimentari su scala globale ed è chiamato a far pesare il proprio ruolo nel quadro degli accordi commerciali bilaterali e multilaterali per favorire il miglioramento della qualità di vita e lavoro di cittadini e lavoratori nei paesi terzi anche al fine di debellare forme di concorrenza sleale (5).

2.7.

Il CESE, infine, auspica che detta decisione entri in vigore solo a fronte di una piena reciprocità di equivalenza e riconoscimento dei medesimi prodotti europei, in modo che le aziende del settore possano avere maggiori opportunità di crescita e sviluppo. Ciò sarebbe in linea con specifiche richieste già avanzate dagli stakeholder nella fase di consultazione.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Ai sensi delle direttive 66/401/CEE, 66/402/CEE, 2002/54/CE e 2002/57/CE.

(2)  Già in linea con normative ISTA (International Seed Testing Association).

(3)  GU C 74 del 23.03.2005, pag. 55, GU C 351 del 15.11.2012, pag. 92.

(4)  Questa riflessione è avvalorata dal fatto che la consultazione pubblica online promossa dalla Commissione ha ricevuto solo 3 risposte, due delle quali da privati cittadini, a conferma che i processi decisionali sono stati condivisi solo con i grandi stakeholder su scala europea.

(5)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 20, paragrafo 1.6.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un quadro applicabile alla libera circolazione dei dati non personali nell’Unione europea»

[COM(2017) 495 final — 2017/0228 (COD)]

(2018/C 227/12)

Relatore:

Jorge PEGADO LIZ

Consultazioni

Parlamento europeo, 23.10.2017

Consiglio dell’Unione europea, 24.10.2017

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

5.2.2018

Adozione in sessione plenaria

15.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

163/3/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.    Conclusioni

1.1.1.

Il CESE ha sostenuto in diversi pareri già adottati la necessità di un’iniziativa concernente la libera circolazione dei dati non personali come presupposto essenziale per realizzare gli obiettivi dell’Agenda digitale e per completare il mercato unico digitale.

1.1.2.

La proposta della Commissione rappresenta, per il momento, l’elemento giuridico più importante della futura politica europea per lo sviluppo dell’economia dei dati e del loro impatto sulla crescita economica, sulla ricerca scientifica, sul sostegno alle nuove tecnologie, principalmente nell’ambito dell’intelligenza artificiale, del cloud computing, dei metadati, dell’Internet degli oggetti (IoT), nonché sull’industria, sui servizi in generale e su quelli pubblici in particolare.

1.1.3.

Il CESE ritiene, tuttavia, che la proposta abbia il difetto di essere arrivata in ritardo e che la portata troppo limitata del suo ambito d’applicazione, la fluidità e la mancanza di assertività dei meccanismi annunciati e, in particolare, la scarsa ambizione, determinazione e volontà politica rischino di compromettere il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

1.1.4.

In effetti, per quanto concerne il primo e più importante di tali obiettivi («migliorare la mobilità di dati non personali a livello transfrontaliero nel mercato unico»), il CESE, contrariamente alla Commissione, non ritiene sufficiente, in una prima fase, limitarsi a obbligare gli Stati membri a notificarle «qualsiasi progetto di atto che introduca un nuovo obbligo di localizzazione di dati o apporti modifiche a un vigente obbligo di localizzazione dei dati» solo 12 mesi dopo l’entrata in vigore del regolamento, (che non dovrebbe aver luogo prima della fine del 2018 nella migliore delle ipotesi), e a imporre agli Stati membri di «eliminare qualsiasi obbligo di localizzazione dei dati» che non sia conforme alla norma che vieta e limita la libera circolazione di tali dati, a meno che ciò non sia giustificato da motivi di sicurezza pubblica.

1.1.5.

Per quanto attiene al secondo obiettivo («far sì che la facoltà delle autorità competenti di chiedere e ottenere l’accesso ai dati ai fini del controllo regolamentare, quali ispezioni e audit, rimanga invariata»), il CESE deplora che la proposta si limiti a prevedere una procedura di cooperazione fra le autorità competenti di ciascuno Stato membro e la creazione a tal fine di una rete di punti di contatto unici che servirà da anello di collegamento con i punti di contatto degli altri Stati membri e con la Commissione per quanto riguarda l’applicazione del regolamento.

1.1.6.

Infine, per quanto riguarda il terzo obiettivo («facilitare agli utenti professionali di servizi di archiviazione o di altri servizi di trattamento di dati il cambio di fornitore di servizi e la portabilità dei loro dati»), il Comitato non è d’accordo con il fatto che la Commissione si limiti ad assumere l’impegno di incoraggiare e facilitare «l’elaborazione di codici di condotta di autoregolamentazione a livello dell’Unione» in un settore che dovrebbe essere regolamentato solo da misure legislative. senza nemmeno aver proposto di definire «orientamenti» per l’elaborazione di tali codici di condotta.

1.1.7.

Per tutte queste ragioni, il CESE non può approvare il documento nella forma proposta. Il CESE dichiara la sua disponibilità a sostenere la proposta di regolamento solo qualora e nella misura in cui essa sia modificata secondo le linee proposte nel presente parere e sia chiaramente intesa come il più alto comun denominatore accettabile da parte sia degli Stati membri sia delle parti interessate, ma sempre nell’idea che si tratti di un primo passo di un’evoluzione futura verso forme più ambiziose di realizzazione concreta di un’effettiva libera circolazione dei dati non personali nel mercato unico digitale dell’Unione europea.

1.1.8.

E inoltre, a condizione che, nel corso di questa evoluzione, si tenga debitamente conto della dimensione internazionale di un’economia globale in cui tale iniziativa deve necessariamente inserirsi.

1.2.    Raccomandazioni

1.2.1.

In relazione a quanto precede, il CESE raccomanda alla Commissione di riesaminare la sua proposta al fine di allinearla in modo significativo al testo dell’opzione 3, opzione che il Comitato privilegia a scapito della variante 2a, scelta dalla Commissione.

Inoltre, il CESE raccomanda caldamente che la Commissione integri nella proposta i suggerimenti di cui ai punti 3.4.1 (termine per l’entrata in vigore) e 3.4.2 (mancanza di una procedura obbligatoria in caso di inosservanza), 3.6 (assenza di linee guida relative ai codici di condotta), 3.7 (non considerazione delle preoccupazioni circa la classificazione di metadati) e 3.8 (mancata considerazione del carattere transeuropeo e globale dell’economia digitale), specie per quanto concerne la necessità di prevedere procedure specifiche in caso di mancata osservanza da parte degli Stati membri.

1.2.2.

Il CESE invita altresì la Commissione ad accogliere con favore le varie proposte di miglioramento che esso avanza in relazione a diversi articoli della proposta di regolamento all’esame.

1.2.3.

Inoltre raccomanda vivamente alla Commissione di includere nel suo testo gli emendamenti proposti nella posizione della presidenza del Consiglio del mese di dicembre, con cui si dichiara d’accordo in quanto rappresentano miglioramenti intrinseci e rendono più sostenibile la proposta.

2.   Breve sintesi e contesto generale

2.1.    Sintesi della proposta e sua giustificazione

2.1.1.

La Commissione giustifica la necessità e la proporzionalità della proposta di regolamento all’esame (1) con i seguenti argomenti:

migliorare la mobilità dei dati non personali a livello transfrontaliero nel mercato unico, mobilità che è attualmente limitata in molti Stati membri dalle restrizioni dovute alla localizzazione o dalle incertezze giuridiche nel mercato;

far sì che la facoltà delle autorità competenti di chiedere e ottenere l’accesso ai dati ai fini del controllo regolamentare, quali ispezioni e audit, rimanga invariata;

facilitare agli utenti professionali di servizi di archiviazione o di altri servizi di trattamento di dati il cambiamento di fornitore di servizi e la portabilità dei loro dati.

2.1.2.

La Commissione ritiene che la proposta rispetti il principio di sussidiarietà in quanto, assicurando la libera circolazione dei dati nell’Unione, intende «garantire il buon funzionamento del mercato interno dei suddetti servizi, che non è limitato al territorio di uno Stato membro, nonché la libera circolazione dei dati non personali all’interno dell’Unione», un obiettivo che «non può essere conseguito dagli Stati membri a livello nazionale, in quanto il problema principale è la mobilità transfrontaliera dei dati».

2.1.3.

La Commissione giudica inoltre la proposta proporzionale in quanto «mira a conseguire un equilibrio tra la regolamentazione dell’UE e gli interessi degli Stati membri in materia di sicurezza pubblica, così come un equilibrio tra regolamentazione e autoregolamentazione del mercato».

2.2.    Contesto politico e giuridico

2.2.1.

Da un punto di vista giuridico, la Commissione ha valutato 3 opzioni, illustrate brevemente nella relazione che sintetizza gli studi di valutazione d’impatto ex ante e le consultazioni dei soggetti interessati realizzate nella fase di elaborazione del testo legislativo (2) e che possono essere riassunte come segue:

L’opzione 1 prevede che i diversi problemi individuati siano affrontati mediante l’autoregolamentazione e/o orientamenti e comporta un’applicazione più rigorosa delle disposizioni relative a varie categorie di restrizioni ingiustificate o sproporzionate dovute alla localizzazione dei dati imposta dagli Stati membri.

L’opzione 2 stabilisce i principi giuridici relativi ai diversi problemi individuati e prevede la designazione, da parte degli Stati membri, di punti di contatto unici e l’istituzione di un gruppo di esperti per discutere approcci e pratiche comuni e fornire orientamenti sui principi sanciti nell’ambito dell’opzione.

L’opzione 3 consiste in un’iniziativa legislativa dettagliata, intesa a stabilire, tra l’altro, valutazioni predefinite (armonizzate) sugli elementi che costituiscono una restrizione (in)giustificata e (s)proporzionata dovuta alla localizzazione dei dati e ad introdurre un nuovo diritto di portabilità dei dati.

2.2.2.

Alla luce delle divergenze con il comitato per il controllo normativo, il quale ha emesso due pareri negativi sulle proposte della Commissione, e nonostante la maggior parte dei soggetti interessati ritenga che l’opzione dell’iniziativa legislativa (opzione 3) rappresenti lo strumento più adeguato, è stata dunque presentata, per motivi di pura strategia politica, una

Variante 2a«per consentire di valutare una combinazione di misure legislative volte a istituire il quadro per la libera circolazione dei dati e i punti di contatto unici e un gruppo di esperti, e di misure di autoregolamentazione per disciplinare la portabilità dei dati».

La Commissione ritiene che questa opzione garantirà «la rimozione delle attuali restrizioni ingiustificate in materia di localizzazione» evitando «efficacemente future restrizioni» ingiustificate, e «contribuirà inoltre a promuovere l’uso transfrontaliero e intersettoriale dei servizi di archiviazione o altro trattamento di dati e lo sviluppo del mercato dei dati. Di conseguenza, la proposta contribuirà a trasformare la società e l’economia e offrirà nuove opportunità per i cittadini, le imprese e le amministrazioni pubbliche in Europa».

2.2.3.

La Commissione ha dunque presentato una proposta di regolamento«che può garantire l’applicazione di norme uniformi per la libera circolazione dei dati non personali contemporaneamente in tutta l’Unione.», il che «è particolarmente importante per eliminare le restrizioni esistenti e prevenirne di nuove da parte degli Stati membri».

2.2.4.

La proposta all’esame trae origine dai recenti sviluppi tecnologici digitali che consentono di archiviare e utilizzare grandi quantità di dati in modo sempre più efficiente, ottenendo economie di scala e arrecando benefici ai loro utenti con un aumento della velocità di accesso, della connettività e con una maggiore autonomia.

2.2.4.1.

Nella sua comunicazione intitolata Costruire un’economia dei dati europea (3), la Commissione ha messo in evidenza la relazione tra gli ostacoli alla libera circolazione dei dati e il ritardo nello sviluppo del mercato europeo. Di qui la necessità, espressa dalla Commissione stessa, di proporre un quadro giuridico che elimini la nozione di «controlli alle frontiere».

Va osservato che solo la metà circa degli Stati membri ha sottoscritto il documento informale sull’iniziativa concernente la libera circolazione dei dati (4), e fra questi paesi non figurano, in particolare, la Germania, la Francia e nessuno dei paesi meridionali dell’UE.

2.2.4.2.

Questo aspetto è stato nuovamente trattato nella comunicazione della Commissione sulla revisione intermedia della strategia per il mercato unico digitale, dal titolo Un mercato unico digitale connesso per tutti (5), in cui la Commissione annuncia la pubblicazione, nel 2017, di due iniziative legislative, la prima delle quali riguarda la libera circolazione transfrontaliera di dati non personali, oggetto del presente parere, mentre la seconda concerne l’accessibilità e il riutilizzo dei dati pubblici e dei dati raccolti con finanziamenti pubblici, ancora in corso di preparazione da parte della Commissione.

2.2.4.3.

Infine, nel parere sul tema Mercato unico digitale: revisione intermedia (6), il CESE ritiene che «l’economia dei dati europea sia uno dei settori in cui è più evidente il distacco tra l’UE e i leader dell’innovazione digitale globale» e in tal senso «condivide la proposta di creare un quadro normativo, a patto che questo trovi la sua corretta declinazione nel contesto del cloud computing, intelligenza artificiale e Internet degli oggetti, tenga in considerazione la libertà contrattuale rimuovendo gli ostacoli all’innovazione e trovi adeguato riscontro nei finanziamenti stanziati dall’UE, in altre parole, l’opzione 3».

2.2.4.4.

La proposta della Commissione rappresenta pertanto l’elemento giuridico più importante della futura politica europea per lo sviluppo dell’economia dei dati e del suo impatto sulla crescita economica, sulla ricerca scientifica, sul sostegno alle nuove tecnologie, principalmente nell’ambito dell’intelligenza artificiale, del cloud computing, dei metadati, dell’Internet degli oggetti (IoT), nonché sull’industria, sui servizi in generale e su quelli pubblici in particolare (7).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE prende atto dell’obiettivo dell’iniziativa all’esame che ha già sostenuto in diversi suoi precedenti pareri. Si tratta infatti di un presupposto essenziale per realizzare gli obiettivi dell’Agenda digitale e del mercato unico digitale.

3.2.

Il CESE si rammarica, tuttavia, che il suo ambito d’applicazione sia troppo limitato. Lamenta inoltre la scarsa incisività dei suoi obiettivi, lo scarso rigore e la mancanza di assertività dei meccanismi citati e, in particolare, la mancanza di ambizione, di determinazione e di volontà politica.

Si formulano le seguenti osservazioni:

3.3.

Con la nozione di «libera circolazione» di dati non personali la Commissione intende contrastare la maggior parte delle politiche e delle pratiche alle quali fanno ricorso gli Stati membri per creare, imporre o autorizzare ostacoli per quanto riguarda la localizzazione dei dati ai fini di una loro archiviazione o di qualsiasi altro trattamento. La Commissione ritiene giustamente che la circolazione di questo tipo di dati non debba essere vietata o sottoposta a restrizioni, tranne che per motivi di sicurezza pubblica (8), attraverso la definizione di norme relative ai seguenti aspetti:

a)

gli obblighi di localizzazione dei dati;

b)

la messa a disposizione di dati per le autorità competenti;

c)

la portabilità dei dati per gli utenti professionali.

3.4.

Tuttavia, al fine di dare attuazione al primo dei suddetti punti, quello concernente gli obblighi di localizzazione dei dati, la Commissione ha ritenuto sufficiente, in un primo tempo, obbligare gli Stati membri a comunicarle «qualsiasi progetto di atto che preveda un nuovo obbligo di localizzazione dei dati o ne modifichi uno esistente».

3.4.1.

Solo 12 mesi dopo l’entrata in vigore del regolamento (che non dovrebbe avvenire prima della fine del 2018), «gli Stati membri provvedono a eliminare qualsiasi obbligo di localizzazione dei dati che non sia conforme» alla regola che impone di non vietare né limitare il libero flusso di questi dati, tranne che per motivi di sicurezza pubblica. In tal caso, lo Stato membro interessato ne dà notifica alla Commissione, indicando i motivi per cui ritiene che la misura sia conforme alla succitata disposizione e debba pertanto restare in vigore.

3.4.2.

Nessuna procedura specifica è prevista in caso di mancata osservanza da parte di uno Stato membro.

3.5.

Per quanto concerne il secondo punto, quello relativo alla messa a disposizione di dati alle autorità competenti, la proposta non pregiudica la facoltà delle autorità competenti di chiedere e ottenere l’accesso a dati ai fini dell’esercizio delle loro funzioni ufficiali conformemente al diritto dell’Unione o a quello nazionale.

Aggiunge tuttavia una disposizione importante: «L’accesso ai dati da parte delle autorità competenti non può essere rifiutato per il fatto che i dati sono archiviati o altrimenti trattati in un altro Stato membro».

3.5.1.

Tuttavia, per garantire che tale diritto sia effettivo, la proposta si limita a proporre una procedura di cooperazione tra le autorità competenti di ciascuno Stato membro, analoga ad altre procedure già esistenti in altri settori, e per la quale verrà creata una rete di punti di contatto unici che servirà da anello di collegamento con i punti di contatto unici degli altri Stati membri e con la Commissione per quanto riguarda l’attuazione del regolamento, ma dei quali non sarà valutata né l’efficacia né la sostenibilità dei costi che comportano.

3.5.2.

In definitiva, tuttavia, l’applicazione di misure coercitive per ottenere, da parte dell’autorità, l’accesso a tutti i locali di una persona fisica o giuridica, compresi tutti gli strumenti e dispositivi di archiviazione o altro trattamento di dati, dovrà essere conforme alle norme procedurali di ciascuno Stato membro.

3.5.3.

In altre parole, nel caso più che probabile di mancata osservanza, il solo ricorso possibile è quello dinanzi agli organi giurisdizionali ordinari degli Stati membri, ricorso che sarà soggetto ai ben noti ritardi della giustizia, ai suoi costi esorbitanti e all’aleatorietà degli esiti.

3.6.

Per quanto concerne infine il terzo punto citato, la portabilità dei dati per gli utenti professionali, la Commissione si limita a incoraggiare e facilitare «l’elaborazione di codici di condotta di autoregolamentazione a livello dell’Unione, al fine di definire orientamenti sulle migliori pratiche atte a facilitare il cambio di fornitore di servizi e a garantire che i fornitori di servizi comunichino agli utenti professionali informazioni sufficientemente precise, chiare e trasparenti prima della conclusione di un contratto di archiviazione o altro trattamento di dati» in relazione ad alcuni aspetti realmente strutturali ed essenziali (9).

3.6.1.

L’idea di fare esclusivamente riferimento a semplici meccanismi di autoregolamentazione per disciplinare aspetti fondamentali che dovrebbero essere oggetto solo di misure legislative è ovviamente fortemente criticabile.

Il CESE, pur avendo sempre difeso la co-regolamentazione come strumento supplementare di particolare importanza nel contesto normativo dell’Unione, non è d’accordo sul fatto che norme e principi fondamentali per la coerenza e l’armonizzazione del diritto dell’UE vengano lasciati semplicemente all’autoregolamentazione senza fornire nessun tipo di parametro o di orientamento.

Per quanto riguarda in modo specifico la portabilità, è ancor più grave l’idea di limitare la responsabilità e di introdurre periodi di fidelizzazione per il titolare dei dati, con la possibilità di cancellare il contenuto in caso di mancata osservanza.

3.6.2.

Ancor più criticabile è il fatto che la Commissione non abbia proposto per lo meno un meccanismo di co-regolamentazione, seguendo il modello e i parametri che il CESE ha opportunamente definito (10).

In questo senso, il CESE ritiene che il regolamento all’esame dovrebbe almeno fornire un insieme di norme di base relative ai rapporti contrattuali tra i fornitori di servizi e gli utenti e prevedere una lista nera di clausole vietate a causa della limitazione del diritto di portabilità, secondo i parametri indicati in particolare nel suo parere sull’autoregolamentazione e sulla co-regolamentazione.

3.6.3.

Tuttavia, è inconcepibile che la Commissione non abbia neppure proposto di definire «orientamenti» per l’elaborazione dei codici di condotta precedentemente citati, come ha già fatto in altri settori, sostenuta in questo approccio dal CESE.

In effetti, per quanto riguarda la portabilità dei dati, talune imprese hanno adottato un comportamento che lede i diritti degli utenti, in particolare limitazioni alla titolarità dei dati o alla proprietà intellettuale dei contenuti dei servizi del cloud, consenso per la raccolta e il trattamento dei dati, con l’introduzione di regole che presumono tale consenso, nonché pagamenti occulti o facoltà di sospendere un servizio per decisione unilaterale da parte dell’impresa.

3.6.4.

La Commissione infine promette, senza dare altre alternative di natura giuridica, che «riesaminerà la preparazione e l’effettiva attuazione di tali codici di condotta» nonché «l’effettiva messa a disposizione delle informazioni da parte dei fornitori entro due anni dalla data di applicazione del regolamento». Ma poi?

3.7.

Inoltre, il fatto di limitare la proposta alle tre situazioni già citate, non tiene conto della crescente preoccupazione concernente i metadati, considerati dati non personali che, salvo le debite eccezioni, devono godere della stessa protezione dei dati personali, in particolare in termini di diritti ARCO (Accesso, Rettificazione, Cancellazione ed Opposizione) per i titolari.

3.7.1.

Di fatto, le imprese che si occupano di esaminare i metadati effettuano analisi prospettive e proattive basate su dati, individuando le tendenze o le condizioni che consentono alle imprese di adottare decisioni per il futuro.

3.7.2.

Inoltre, non è chiaro se il futuro regolamento si applicherà soltanto ai dati ottenuti in forma elettronica, dal momento che l’articolo 3, paragrafo 2 definisce l’archiviazione come «qualsiasi forma di archiviazione dei dati in formato elettronico» e che l’articolo 2 stabilisce che il regolamento si applica «alle attività di archiviazione o altro trattamento di dati elettronici». Di conseguenza, un questionario realizzato, ad esempio, in forma anonima, alla presenza del titolare dei dati e archiviato fisicamente potrebbe non rientrare nell’ambito del regolamento all’esame.

3.7.3.

D’altro canto, con l’Internet degli oggetti, la proliferazione di apparecchiature elettroniche, in particolare elettrodomestici che raccolgono ed effettuano un controllo incrociato di dati non personali, potrebbe sollevare in futuro questioni diverse in termini di sicurezza e tutela della vita privata, motivo per cui era essenziale che la Commissione europea rivolgesse un’attenzione maggiore ai dati non personali, proteggendo i diritti fondamentali dei cittadini.

3.7.4.

Infine, e considerando la zona grigia esistente tra i dati personali e non personali, alcuni dati potendo facilmente diventare personali, il mantenimento di due regimi completamente distinti può far sì che i soggetti cerchino di qualificare i dati ottenuti come non personali, evitando in tal modo l’applicazione del regolamento (UE) 2016/679 del 27 aprile 2016.

3.8.

Inoltre, la proposta della Commissione non tiene debito conto della natura globale e transeuropea dell’economia digitale e si preoccupa solo di regolamentare il mercato interno, dimenticando che quest’ultimo si sviluppa in un mercato globale, senza alcuna garanzia che gli altri paesi e continenti seguano le stesse regole che essa stessa intende attualmente applicare e senza il potere di imporle nei negoziati internazionali.

3.9.

Per tutte queste ragioni, il CESE è contrario alla variante 2a proposta dalla Commissione senza argomenti validi né sostanziali a scapito dell’opzione 3, che invece gode del suo pieno sostegno.

3.10.

Se e nella misura in cui si terrà conto delle sue proposte di modifica, nonché di quelle presentate nella posizione della presidenza del Consiglio del 19 dicembre scorso, che il Comitato approva, il CESE è disposto a sostenere la presente proposta di regolamento, così modificata, a condizione che essa venga considerata come il più alto comun denominatore accettabile da parte sia degli Stati membri sia dei soggetti interessati e che sia un primo passo verso forme più ambiziose di effettiva realizzazione di un’effettiva libera circolazione dei dati non personali nel mercato unico digitale dell’Unione europea.

4.   Osservazioni particolari

4.1.    Articolo 2 — Campo di applicazione

4.1.1.

Il CESE si interroga sulla natura della lettera a): ovvero su cosa si intenda con l’espressione «fornito come servizio ad utenti» e in particolare si chiede se siamo dinanzi ad un’operazione giuridica a titolo gratuito o a pagamento.

In effetti, è importante sottolineare che attualmente esistono vari servizi forniti gratuitamente, ad esempio Google Analytics. Tuttavia, il fatto che non vi sia l’obbligo del pagamento ha permesso alle imprese che forniscono il servizio di introdurre clausole abusive nei loro contratti di prestazione di servizi, declinando ogni responsabilità per la perdita, lo smarrimento o la distruzione di dati, o addirittura arrogandosi il diritto di cancellare i dati senza il consenso del titolare.

4.1.2.

D’altro canto, per il CESE è necessario che il regolamento all’esame, analogamente al regolamento (UE) 2016/679, si applichi anche ad un paese al di fuori dell’Unione europea in cui sia applicato il diritto di uno Stato membro in virtù del diritto internazionale privato.

4.2.    Articolo 3 — Definizioni

4.2.1.   Il concetto di dati non personali

4.2.1.1.

Il concetto di dati non personali non è definito con rigore logico. La sola cosa che si può dire, in prima battuta, è che si tratta di dati diversi da quelli personali, e questa è solo una definizione in negativo, come si può desumere dal considerando 7 del preambolo e dall’articolo 1 della proposta.

4.2.1.2.

Tuttavia, a un esame più attento, emerge che da tale concetto sono esclusi solamente i dati personali soggetti a una protezione giuridica specifica, vale a dire la protezione conferita attualmente dal regolamento (UE) 2016/679 del 27 aprile 2016, dalla direttiva (UE) 2016/680, della stessa data, dalla direttiva 2002/58/CE, del 12 luglio 2002 (11) e dalla legislazione nazionale che ha recepito tali atti.

4.2.1.3.

Pertanto la presente proposta sembra riguardare non solo i dati relativi alle persone giuridiche (che, a dispetto di quanto sostenuto a più riprese dal CESE, non beneficiano della stessa protezione accordata alle persone fisiche, come avviene invece in diversi ordinamenti giuridici nazionali), ma anche i dati personali in forma «anonima», ai quali è dedicato solo un riferimento nel considerando 26 del regolamento generale sulla protezione dei dati.

4.2.1.4.

Al fine di garantire la coerenza, la concordanza e la certezza giuridica degli atti dell’UE e considerando la genericità del testo, il CESE sottolinea la necessità che il regolamento definisca esplicitamente i dati non personali e che non vi sia soltanto una definizione generica o complementare a quella di cui al regolamento (UE) 2016/679, dal momento che molte giurisdizioni hanno interpretato in maniera diversa le nozioni di dati personali e non personali.

4.3.    Articolo 4 — Libera circolazione dei dati all’interno dell’Unione

4.3.1.

Per motivi di certezza e di sicurezza giuridica, il CESE ritiene necessario precisare i termini imposti agli Stati membri per notificare le misure che comportano il mantenimento o la creazione di regole che per motivi di pubblica sicurezza, sono contrarie alle disposizioni del regolamento all’esame.

4.3.2.

Ritiene inoltre importante che la Commissione europea notifichi gli altri Stati membri onde verificare se tali misure avranno o meno un impatto diretto o indiretto sulla circolazione dei dati non personali sul loro territorio.

4.4.    Articolo 9 — Riesame

4.4.1.

La Commissione si assume l’obbligo di procedere al riesame del regolamento trascorsi cinque anni dalla sua entrata in vigore e di trasmettere al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione sulle principali conclusioni di tale riesame.

4.4.2.

Dato che l’entrata in vigore non dovrebbe avvenire, nella migliore delle ipotesi, prima della fine del 2018, il CESE ritiene più opportuno che il riesame venga effettuato a distanza di tre anni, in considerazione della evidente debolezza del dispositivo e delle materie su cui verte, caratterizzate da una costante e rapida evoluzione.

4.5.    Posizione della presidenza del Consiglio

4.5.1.

Lo scorso 19 dicembre, mentre il presente progetto di parere era in preparazione, la presidenza del Consiglio dell’UE ha presentato un testo emendato della proposta della Commissione che modifica in modo sostanziale (12) tale proposta, andando esattamente nella direzione delle presenti raccomandazioni del CESE.

4.5.2.

In sintesi le modifiche riguardano in particolare i seguenti articoli:

a)

articolo 2 — campo di applicazione, e considerando 7 bis e 8 — chiarimenti sugli elementi che esulano dall’ambito di applicazione del regolamento;

b)

articolo 3 — definizioni — introduzione di un nuovo paragrafo (2 bis) che chiarisce il significato di «trattamento»;

c)

sempre all’articolo 3, paragrafo 5, inserimento esplicito delle pratiche amministrative nella definizione della localizzazione dei dati e conseguente modifica dell’articolo 4, paragrafo 1;

d)

all’articolo 5, paragrafo 2 bis, istituzione di un meccanismo vincolante per imporre di rendere accessibili i dati e, al paragrafo 3 bis, una disposizione che prevede la facoltà degli Stati membri di imporre sanzioni agli utenti che non forniscano i dati, come raccomandato nel presente parere;

e)

all’articolo 6, definizione di linee guida per l’elaborazione dei codici di condotta;

f)

all’articolo 7, definizione del ruolo dei «punti unici di contatto» e la velocizzazione del processo di comunicazione tra le autorità;

g)

soppressione dell’articolo 8 e, con esso, del comitato per la libera circolazione dei dati;

h)

migliore allineamento di diversi articoli alla direttiva sulla trasparenza (13);

i)

nei considerando 10 e 10 bis la questione dei dati misti e di quelli anonimi beneficia adesso del necessario chiarimento;

j)

nel considerando12 bis, la nozione di sicurezza pubblica di cui all’articolo 4 viene definita a livello di contenuto sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia.

4.5.3.

Il CESE è decisamente favorevole a tutte queste proposte della presidenza ed esorta vivamente la Commissione, il Parlamento e gli Stati membri a prenderle nella dovuta considerazione.

Bruxelles, 15 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2017) 495 final del 13.9.2017.

(2)  Cfr. il doc. SEC(2017) 304 final.

(3)  Cfr. COM(2017) 9 final, del 10.1.2017, e documento di lavoro allegato SWD (2017) 2 final dei servizi della Commissione, della stessa data, su cui il CESE ha elaborato il suo parere Costruire un’economia dei dati europea, GU C 345 del 13.10.2017, pag. 130.

(4)  http://www.brukselaue.msz.gov.pl/resource/76f021fe-0e02-4746-8767-5f6a01475099:JCR.

(5)  COM(2017) 228 final, del 10 maggio 2017, e il documento di lavoro che l’accompagna SWD (2017) 155 final.

(6)  Mercato unico digitale: revisione intermedia (non ancora pubblicato nella GU).

(7)  COM(2017) 495 final, relazione, pag. 4.

(8)  Nozione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, TUE, che rientra fra le competenze esclusive degli Stati membri, ma la cui definizione va cercata nella giurisprudenza della Corte di giustizia — cfr. soprattutto la sentenza della Corte di giustizia del 21.12.2016 nelle cause riunite C-203/15 e C-698/15 ELE2 SVERIDGE AB contro POST-OCH TELESTYRELSEN e SECRETATY OF STATE FOR THE HOME DEPARTMENT contro TOM WATSON, PETER BRICE e GEOFFREY LEWIS, in (http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1513080243312&uri=CELEX:62015CJ0203 (paragrafo 11 e paragrafi 88/89) — e della Corte europea dei diritti dell’uomo.

(9)  Cfr. articolo 6, paragrafo 1, lettere a) e b).

(10)  Cfr. la relazione informativa INT/204 del 25.1.2005 sul tema Lo stato attuale della co-regolamentazione e dell’autoregolamentazione nel mercato unico e il parere d’iniziativa del 22.4.2015 sul tema Autoregolamentazione e co-regolamentazione GU C 291 del 4.9.2015, pag. 29.

(11)  Direttiva n. 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37), già modificata dalla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche, COM(2016) 590 final del 12.10.2016, dalla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche, GU C 125 del 21.4.2017, pag. 56), e dalla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche e che abroga la direttiva 2002/58/CE (regolamento sulla vita privata e le comunicazioni elettroniche) [COM(2017) 10 final — 2017/0003 (COD)].

(12)  Fascicolo interistituzionale 2017/0228 (COD) 15724/1/17REV 1 del 19 dicembre 2017.

(13)  GU L 294 del 6.11.2013, pag. 13.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo riguardo la «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’ENISA, l’“Agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza”, che abroga il regolamento (UE) n. 526/2013, e relativo alla certificazione della cibersicurezza per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (“regolamento sulla cibersicurezza”)»

[COM(2017) 477 final — 2017/0225 (COD)]

(2018/C 227/13)

Relatore:

Alberto MAZZOLA

Correlatore:

Antonio LONGO

Consultazione

Parlamento europeo, 23 ottobre 2017

Consiglio dell’Unione europea, 25 ottobre 2017

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

05 febbraio 2018

Adozione in sessione plenaria

14 febbraio 2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

206/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che il nuovo mandato permanente dell’ENISA (l’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione) proposto dalla Commissione contribuirà in modo significativo a rafforzare la resilienza dei sistemi europei. Tuttavia, il relativo bilancio di previsione e le risorse assegnate all’ENISA non saranno sufficienti per consentire all’agenzia di svolgere il suo mandato.

1.2.

Il CESE raccomanda a tutti gli Stati membri di istituire un omologo chiaro ed equivalente dell’ENISA, in quanto la maggior parte di essi non ha ancora provveduto a farlo.

1.3.

Il CESE ritiene inoltre che, in termini di rafforzamento delle capacità, l’ENISA dovrebbe privilegiare le azioni volte a sostenere la pubblica amministrazione elettronica (e-government(1). L’identità digitale, a livello di UE e mondiale, per le persone, le organizzazioni e gli oggetti è fondamentale, e la prevenzione e il contrasto del furto di identità e della frode online dovrebbero essere delle priorità.

1.4.

Il CESE raccomanda che l’ENISA fornisca relazioni periodiche sul grado di preparazione (cyber-readiness) degli Stati membri, concentrandosi in primo luogo su settori identificati nell’allegato II della direttiva NIS. Occorrerebbe verificare, mediante un’esercitazione informatica europea annuale, la preparazione degli Stati membri e l’efficacia del meccanismo europeo di risposta alle crisi informatiche, e su tale base formulare delle raccomandazioni.

1.5.

Il CESE appoggia la proposta di creare una rete di competenze in materia di cibersicurezza che sarebbe sostenuta da un Centro di ricerca e competenza sulla cibersicurezza (Cybersecurity Research and Competence Centre — CRCC). Tale rete potrebbe sostenere la sovranità digitale dell’Europa sviluppando una base industriale europea competitiva per le capacità tecnologiche essenziali, fondata sul lavoro realizzato dal partenariato pubblico-privato contrattuale (cPPP), il quale dovrebbe trasformarsi in un’impresa comune tripartita.

1.6.

Il fattore umano costituisce una delle principali cause di incidente informatico. Il CESE ritiene che occorra creare una solida base di competenze in materia di cibersicurezza e migliorare l’igiene informatica anche attraverso campagne di sensibilizzazione dei cittadini e delle imprese. Il CESE sostiene la creazione di un programma di studi, certificato dall’UE, per la scuola secondaria e per i professionisti.

1.7.

Il CESE reputa che un mercato unico digitale europeo richieda anche un’interpretazione omogenea delle norme in materia di cibersicurezza, compreso un riconoscimento reciproco tra Stati membri, e che un quadro e sistemi di certificazione per i diversi settori potrebbero fornire una base comune. Vanno però messi a punto approcci differenti da seguire in ognuno di questi, per via del loro diverso modo di funzionare. Il CESE ritiene pertanto che in tale processo occorra coinvolgere le agenzie settoriali dell’UE (EASA, ERA, EMA ecc.) e, in alcuni casi, con l’accordo dell’ENISA per garantire la coerenza, delegare loro l’elaborazione di sistemi di cibersicurezza. In cooperazione con CEN, Cenelec ed ETSI dovrebbero essere adottati standard minimi europei per la cibersicurezza.

1.8.

Il previsto gruppo europeo per la certificazione della cibersicurezza, sostenuto dall’ENISA, dovrebbe essere costituito da autorità nazionali di controllo della certificazione, soggetti del settore privato, in particolare operatori di diverse applicazioni, e rappresentanti della comunità scientifica e della società civile.

1.9.

Il CESE ritiene che l’Agenzia dovrebbe vigilare, per conto della Commissione, sul funzionamento e sui processi decisionali delle autorità nazionali di controllo della certificazione attraverso audit e ispezioni, e che le responsabilità e le sanzioni in caso di mancato rispetto delle norme dovrebbero essere definite nel regolamento.

1.10.

Il CESE ritiene che le attività di certificazione non possano escludere un adeguato sistema di etichettatura, da applicare anche ai prodotti importati, finalizzato a rafforzare la fiducia dei consumatori.

1.11.

L’Europa dovrebbe accrescere gli investimenti e far convergere differenti fondi dell’UE, fondi nazionali e investimenti del settore privato verso gli obiettivi strategici, nel quadro di una forte cooperazione tra settore pubblico e settore privato, anche attraverso la creazione, nell’ambito del programma quadro attuale e futuro per la ricerca, di un Fondo UE per l’innovazione e la R&S in materia di cibersicurezza. Inoltre, l’Europa dovrebbe creare un fondo per la diffusione della cibersicurezza, aprendo una nuova finestra nell’attuale e nel futuro meccanismo per collegare l’Europa come pure nel prossimo FEIS 3.0.

1.12.

Il CESE ritiene che sia necessario garantire un livello minimo di sicurezza per i dispositivi «ordinari» dell’«Internet delle persone» (Internet of People). In questo caso, la certificazione è un metodo basilare per realizzare un livello di sicurezza più elevato. Per quanto riguarda l’Internet degli oggetti (Internet of Things), la sicurezza dovrebbe costituire una priorità.

2.   Quadro di riferimento attuale in materia di cibersicurezza

2.1.

La cibersicurezza è fondamentale sia per la prosperità e la sicurezza nazionale, che per il funzionamento stesso delle nostre democrazie, delle nostre libertà e dei nostri valori. «La cibersicurezza è un ecosistema in cui le leggi, le organizzazioni, le competenze, la cooperazione e l’attuazione tecnica devono essere in armonia per avere la massima efficacia», afferma il rapporto sul Global Cybersecurity Index delle Nazioni Unite, aggiungendo che la cibersicurezza acquista un peso sempre maggiore nelle riflessioni dei soggetti decisionali dei vari paesi.

2.2.

L’esigenza di un ecosistema sicuro è resa fondamentale dalla rivoluzione di Internet, una rivoluzione che, oltre a ridefinire i settori commerciali rivolti al consumatore (business-to-consumer o B2C), come quelli dei media, del commercio al dettaglio e dei servizi finanziari, sta anche trasformando il settore manifatturiero, energetico, agricolo, dei trasporti ed altri comparti economici, che generano complessivamente quasi due terzi del prodotto interno lordo, nonché le infrastrutture dei servizi di pubblica utilità e i rapporti tra cittadini e amministrazioni pubbliche.

2.3.

La strategia per il mercato unico digitale si fonda su un migliore accesso a beni, servizi e contenuti, sulla creazione di un quadro giuridico appropriato per le reti e i servizi digitali e sullo sfruttamento dei vantaggi di un’economia basata sui dati. È stato stimato che detta strategia potrebbe contribuire all’economia dell’UE nella misura di 415 miliardi di EUR all’anno. Si prevede che nel 2022 il deficit di competenze in materia di cibersicurezza tra i professionisti che operano nel settore privato in Europa raggiungerà le 350 000 unità (2).

2.4.

Uno studio del 2014 stimava che nel 2013 l’impatto economico della criminalità informatica nell’Unione era stato pari allo 0,41 % del PIL dell’UE (ossia circa 55 miliardi di EUR) (3).

2.5.

Dall’indagine di Special Eurobarometer 464a sul modo in cui i cittadini europei si pongono nei confronti della cibersicurezza risulta che il 73 % degli utenti di Internet teme che i siti Internet potrebbero non custodire in modo sicuro i loro dati personali online, e il 65 % teme che le autorità pubbliche potrebbero non custodirli in modo sicuro. La maggior parte dei rispondenti teme di essere vittima di varie forme di criminalità informatica, specialmente software malevoli (malware) introdotti nei loro dispositivi (69 %), furto di identità (69 %) e frodi attraverso carte bancarie e operazioni bancarie online (66 %) (4).

2.6.

Finora nessun quadro giuridico è stato in grado di tenere il passo con l’innovazione digitale, e diversi testi giuridici stanno contribuendo, uno alla volta, a formare un quadro di riferimento appropriato: la revisione del codice delle telecomunicazioni, il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), la direttiva sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi (direttiva NIS), il regolamento in materia d’identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno (regolamento e-IDAS), lo scudo UE-USA per la privacy, la direttiva sulle frodi con mezzi di pagamento diversi dai contanti ecc.

2.7.

Oltre all’ENISA, l’«Agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza», vi sono numerose altre organizzazioni che si occupano di cibersicurezza: Europol; la squadra di pronto intervento informatico delle istituzioni, degli organi e delle agenzie dell’Unione (CERT-UE); il centro dell’UE di analisi dell’intelligence (EU INTCEN); l’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi di tecnologia dell’informazione su larga scala del settore della libertà, della sicurezza e della giustizia (eu-LISA); i centri di condivisione e di analisi delle informazioni (ISAC); l’organizzazione europea per la cibersicurezza (ECSO); l’agenzia europea per la difesa (AED); il centro di eccellenza per la ciberdifesa cooperativa della NATO; e il gruppo di esperti governativi delle Nazioni Unite sugli sviluppi nel settore dell’informazione e delle telecomunicazioni nel contesto della sicurezza internazionale (UN GGE).

2.8.

La sicurezza sin dalla progettazione è essenziale per garantire beni e servizi di qualità: i dispositivi intelligenti non sono poi così intelligenti se non sono sicuri, e altrettanto vale per le auto, le città e gli ospedali intelligenti, che richiedono tutti una sicurezza integrata per i dispositivi, i sistemi, l’architettura e i servizi.

2.9.

Nella sua riunione del 19 e 20 ottobre 2017, il Consiglio europeo ha sollecitato l’adozione di un approccio comune alla cibersicurezza nell’UE in seguito al proposto pacchetto di riforma, chiedendo «un approccio comune in materia di cibersicurezza: il mondo digitale richiede fiducia, e questa può essere ottenuta solo se garantiamo una sicurezza maggiormente proattiva sin dalla progettazione in tutte le politiche digitali, forniamo certificazioni della sicurezza di prodotti e servizi e aumentiamo la nostra capacità di prevenire, dissuadere e individuare gli attacchi informatici e di rispondere ad essi» (5).

2.10.

Nella risoluzione del 17 maggio 2017, il Parlamento europeo «sottolinea la necessità della sicurezza da punto a punto in tutta la catena di valore dei servizi finanziari; sottolinea la vasta e diversificata gamma di rischi costituiti dagli attacchi informatici, che prendono di mira le nostre infrastrutture dei mercati finanziari, l’Internet degli oggetti, le nostre valute e i nostri dati; […] invita le autorità europee di vigilanza […] a riesaminare periodicamente le norme operative esistenti concernenti i rischi in materia di TIC degli istituti finanziari; chiede inoltre orientamenti dell’Autorità europea di vigilanza per quanto concerne la vigilanza» dei rischi di cibersicurezza per gli «Stati membri […]; sottolinea l’importanza del know-how tecnologico all’interno delle autorità europee di vigilanza» (6).

2.11.

Il CESE ha già avuto l’opportunità di affrontare la questione (7), in particolare al convegno sul tema Futuro sviluppo dell’e-government nell’UE (8), organizzato a margine del vertice di Tallinn, e ha istituito un gruppo di studio permanente sull’agenda digitale.

3.   Le proposte della Commissione

3.1.

Il pacchetto sulla cibersicurezza comprende una comunicazione congiunta sulla revisione della precedente strategia di cibersicurezza (2013), un regolamento sulla cibersicurezza, riguardante il nuovo mandato dell’ENISA (l’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione) e la proposta di un quadro di certificazione.

3.2.

La strategia è strutturata in tre principali sezioni: resilienza, deterrenza e cooperazione internazionale. La sezione sulla deterrenza si concentra principalmente su questioni relative alla criminalità informatica, compresa la Convenzione di Budapest, mentre la sezione sulla cooperazione internazionale analizza la ciberdifesa, la ciberdiplomazia e la cooperazione con la NATO.

3.3.

La proposta prevede nuove iniziative quali:

il rafforzamento dell’agenzia dell’UE per la cibersicurezza (ENISA);

l’introduzione di un sistema di certificazione della cibersicurezza a livello di UE;

la rapida attuazione della direttiva NIS.

3.4.

La sezione relativa alla resilienza propone azioni in materia di cibersicurezza, riguardanti in particolare le questioni di mercato, la direttiva NIS, la risposta rapida alle emergenze, lo sviluppo delle competenze dell’UE, l’istruzione, la formazione (nel settore della cibersicurezza e dell’igiene informatica), e la sensibilizzazione.

3.5.

Parallelamente, il regolamento sulla cibersicurezza propone la creazione di un quadro dell’UE in materia di certificazione della cibersicurezza per i prodotti e i servizi TIC.

3.6.

Il regolamento sulla cibersicurezza propone anche un rafforzamento del ruolo dell’ENISA in quanto agenzia dell’UE per la sicurezza informatica, garantendole un mandato permanente. È previsto che l’ENISA, in aggiunta alle sue attuali responsabilità, assuma nuovi compiti di supporto e di coordinamento connessi al sostegno per l’applicazione della direttiva NIS, alla strategia dell’UE per la cibersicurezza, al programma di cibersicurezza dell’UE, al rafforzamento delle capacità, alle conoscenze, alle informazioni e alla sensibilizzazione, ai compiti relativi al mercato quali il sostegno per la normazione e la certificazione, alla ricerca e all’innovazione, alle esercitazioni paneuropee nel settore della cibersicurezza, e al segretariato della rete di gruppi di intervento per la sicurezza informatica in caso di incidente (CSIRT).

4.   Osservazioni generali — Sintesi

4.1.    Contesto: resilienza

4.1.1.   Mercato unico della cibersicurezza

Dovere di diligenza: la definizione del proposto principio del dovere di diligenza, menzionato nella comunicazione congiunta in relazione all’uso di processi del ciclo di sviluppo sicuri, rappresenta un concetto interessante da sviluppare con gli operatori del settore nell’UE, che potrebbe portare ad un approccio a vasto raggio in materia di conformità alla normativa dell’UE. Nell’evoluzione futura, la sicurezza «per default» è un aspetto che deve essere tenuto in considerazione.

Responsabilità: la certificazione potrà contribuire a una migliore individuazione della responsabilità in caso di contenzioso.

4.1.2.

Direttiva NIS: energia, trasporti, servizi bancari e finanziari, sanità, risorse idriche, infrastrutture digitali, commercio elettronico.

Per il CESE, la piena ed efficace attuazione della direttiva NIS è essenziale per garantire la resilienza dei settori critici a livello nazionale.

Il CESE ritiene che la condivisione di informazioni tra soggetti pubblici e privati dovrebbe essere rafforzata attraverso centri settoriali di condivisione e di analisi delle informazioni (ISAC). Occorrerebbe sviluppare, sulla base di una valutazione o analisi del meccanismo attualmente in uso, un meccanismo adeguato per condividere in modo sicuro informazioni affidabili all’interno di un ISAC o tra un CSIRT (gruppo di intervento per la cibersicurezza in caso di incidente) e un ISAC.

4.1.3.   Risposta rapida alle emergenze

L’approccio del «programma» offrirebbe un processo efficace per una risposta operativa, a livello di UE e di Stati membri, a un incidente di vasta portata. Il Comitato sottolinea l’esigenza di coinvolgere il settore privato e occorrerebbe anche tenere in considerazione gli operatori dei servizi essenziali nel meccanismo operativo di risposta, dato che potrebbero fornire informazioni utili sulle minacce e/o offrire sostegno nell’individuazione di minacce e di crisi di vaste proporzioni e nella relativa risposta.

La comunicazione congiunta propone di integrare gli incidenti informatici nei meccanismi dell’UE per la gestione delle crisi. Il CESE, pur comprendendo l’esigenza di una risposta collettiva e di solidarietà in caso di attacco, osserva che occorre una migliore comprensione di come ciò potrebbe essere messo in atto, dato che le minacce informatiche si propagano di solito attraverso vari paesi. Gli strumenti utilizzati nelle emergenze nazionali potrebbero essere condivisi solo in parte in caso di necessità locali.

4.1.4.   Sviluppo delle competenze dell’UE

Affinché l’UE sia realmente competitiva sulla scena mondiale e al fine di costruire una solida base tecnologica, è essenziale creare un quadro coerente e a lungo termine che comprenda tutte le fasi della catena di valore della cibersicurezza. A tal riguardo, promuovere la collaborazione tra gli ecosistemi regionali europei è cruciale per lo sviluppo di una catena di valore europea della cibersicurezza. Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di creare una rete di competenze in materia di cibersicurezza.

Tale rete potrebbe sostenere la sovranità digitale europea sviluppando una base industriale europea competitiva e riducendo la dipendenza dalle competenze sviluppate al di fuori dell’UE per le capacità tecnologiche fondamentali, organizzare esercitazioni tecniche, seminari e anche formazioni di base in materia di igiene informatica, per professionisti e non professionisti, oltre a promuovere (sulla base del lavoro svolto dal partenariato pubblico-privato sulla cibersicurezza) la creazione di una rete di organizzazioni nazionali pubblico-private per sostenere lo sviluppo di un mercato europeo. «Far avanzare il partenariato pubblico-privato sulla cibersicurezza dovrebbe consentire di ottimizzare, adattare o espandere questo strumento» (Programma di lavoro del trio di presidenza EE-BG-AT in materia di cibersicurezza) attraverso la creazione di un’impresa comune tripartita (Commissione, Stati membri, imprese).

Per essere efficace e raggiungere i suoi obiettivi a livello europeo, detta rete dovrebbe basarsi su un sistema di governance ben definito.

Essa dovrebbe essere sostenuta da un Centro di ricerca e competenza sulla cibersicurezza (CRCC) a livello europeo, che colleghi i centri di competenza nazionali esistenti in tutta l’UE. Oltre a coordinare e a gestire la ricerca, come nel caso di altre imprese comuni, il CRCC consentirebbe l’effettivo sviluppo di un ecosistema europeo della cibersicurezza, che sosterrebbe l’attuazione e la diffusione dell’innovazione nell’UE.

4.2.    Contesto: deterrenza

4.2.1.

La lotta alla criminalità informatica è una priorità assoluta a livello nazionale ed europeo che richiede un forte impegno politico. Le attività di deterrenza dovrebbero essere svolte sulla base di un forte partenariato tra il settore pubblico e quello privato, istituendo un’efficace condivisione delle informazioni e creando competenze a livello sia nazionale che europeo. Si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di estendere le attività di Europol in materia di informatica forense e di cibermonitoraggio.

4.3.    Contesto: cooperazione internazionale

4.3.1.

Per rafforzare la capacità dell’Europa di prevenire e scoraggiare attacchi informatici su vasta scala e di rispondervi è fondamentale instaurare e mantenere relazioni di cooperazione, basate sulla fiducia, con i paesi terzi, tramite la diplomazia informatica e i partenariati tra imprese. L’Europa dovrebbe intensificare la sua cooperazione con gli Stati Uniti, la Cina, Israele, l’India e il Giappone. Nell’ammodernare il controllo delle esportazioni dell’UE bisogna evitare violazioni dei diritti umani o l’uso improprio di tecnologie contro la sicurezza della stessa UE, ma si dovrebbe anche garantire che l’industria dell’UE non sia penalizzata rispetto alle offerte dei paesi terzi. Sarebbe opportuno prevedere una strategia ad hoc per i paesi in via di adesione al fine di preparare lo scambio transfrontaliero di dati sensibili, in particolare con la possibilità di partecipare, in qualità di osservatori, ad alcune attività dei paesi membri dell’ENISA. Questi ultimi dovrebbero essere classificati in base alla loro volontà di combattere la criminalità informatica e si potrebbe prendere in considerazione la definizione di una lista nera.

4.3.2.

Il CESE accoglie con favore l’introduzione della ciberdifesa nella prevista seconda fase di un eventuale futuro centro di competenza dell’UE in materia di cibersicurezza. Per questo motivo, nel frattempo l’Europa potrebbe guardare allo sviluppo di competenze a duplice uso, tra l’altro facendo leva sul Fondo europeo per la difesa e sulla prevista creazione, entro il 2018, di una piattaforma di formazione e istruzione in materia di ciberdifesa. Considerati il potenziale e le minacce riconosciuti sia dall’UE che dalla NATO, il CESE ritiene necessario intensificare la cooperazione tra le due organizzazioni, e anche l’industria europea dovrebbe seguire da vicino gli sviluppi di tale cooperazione per una maggiore interoperabilità degli standard in materia di cibersicurezza, e di altre forme di cooperazione nel quadro dell’approccio dell’UE alla ciberdifesa.

4.4.    Quadro di certificazione dell’UE

4.4.1.

Il CESE ritiene che l’Europa debba raccogliere la sfida della frammentazione nel campo della cibersicurezza attraverso un’interpretazione omogenea delle regole e un riconoscimento reciproco tra Stati membri in un quadro unificato, per facilitare la protezione del mercato unico digitale. Un quadro di certificazione potrebbe fornire una base comune (con normative specifiche a livelli più elevati, se necessario), garantendo così le sinergie fra settori verticali e riducendo l’attuale frammentazione.

4.4.2.

Il CESE si compiace della creazione, sulla base di requisiti adeguati e in cooperazione con le principali parti interessate, di un quadro dell’UE in materia di certificazione della cibersicurezza e di sistemi di certificazione per i diversi settori. Tuttavia i tempi di commercializzazione e i costi di certificazione, nonché la qualità e la sicurezza sono elementi fondamentali che devono essere presi in considerazione. L’istituzione di sistemi di certificazione serve ad accrescere il livello di sicurezza in base alle esigenze del momento e alla conoscenza attuale delle minacce. Tali sistemi dovrebbero però essere flessibili ed espandibili in modo da consentire gli aggiornamenti necessari. Vanno messi a punto approcci differenti da seguire nei diversi settori, che tengano conto dello specifico modo di funzionamento di ciascun settore. Il CESE ritiene pertanto che in tale processo occorra coinvolgere le agenzie settoriali dell’UE (EASA, EBA, ERA, EMA ecc.) e, in alcuni casi, con l’accordo dell’ENISA, onde evitare sovrapposizioni e mancanze di coerenza, delegare loro l’elaborazione di sistemi di cibersicurezza.

4.4.3.

Per il CESE è importante che il quadro di certificazione si basi su standard europei in materia di cibersicurezza e di TIC, definiti congiuntamente e, nella misura del possibile, riconosciuti a livello internazionale. Tenuto conto della tempistica e delle prerogative nazionali, gli standard minimi europei per la cibersicurezza dovrebbero essere adottati in cooperazione con CEN, Cenelec ed ETSI. Gli standard professionali andrebbero valutati favorevolmente, ma non dovrebbero essere giuridicamente vincolanti o ostacolare la concorrenza.

4.4.4.

C’è una chiara esigenza di associare le responsabilità ai diversi livelli di affidabilità sulla base dell’impatto delle minacce. L’apertura di un dialogo con le compagnie di assicurazione potrebbe favorire l’adozione di requisiti efficaci di cibersicurezza in base al settore di applicazione. A giudizio del CESE, le imprese che ricercano un «livello di affidabilità elevato» dovrebbe essere sostenute e incentivate, in particolare per i dispositivi e i sistemi di importanza vitale.

4.4.5.

Visto il tempo trascorso dall’adozione della direttiva 85/374/CEE (9) e alla luce degli attuali sviluppi tecnologici, il CESE invita la Commissione a valutare l’opportunità di includere nel campo di applicazione di tale direttiva alcuni degli scenari di cui alla proposta di regolamento in esame, al fine di rendere i prodotti più sicuri, con un elevato livello di protezione.

4.4.6.

Il CESE ritiene che il previsto gruppo europeo per la certificazione della cibersicurezza, sostenuto dall’ENISA, dovrebbe essere costituito da autorità nazionali di controllo della certificazione, soggetti del settore privato e operatori attivi in diversi campi di applicazione, per garantire lo sviluppo di sistemi globali di certificazione. Bisognerebbe inoltre perseguire, attraverso la nomina di esperti, la cooperazione tra questo gruppo e le associazioni settoriali rappresentative dell’UE e dello Spazio economico europeo (ad esempio, partenariato pubblico-privato sulla cibersicurezza, settore bancario, trasporti, energia, federazioni ecc.). Il gruppo dovrebbe essere in grado di esaminare i risultati europei in materia di certificazione (basati per lo più sull’accordo di riconoscimento reciproco del SOGIS [gruppo di alti funzionari competente in materia di sicurezza dei sistemi d’informazione] e su sistemi nazionali e proprietari) e perseguire la salvaguardia dei vantaggi concorrenziali europei.

4.4.7.

Il CESE propone che a questo gruppo di parti interessate venga data la responsabilità di preparare congiuntamente i sistemi di certificazione insieme alla Commissione europea. I requisiti settoriali dovrebbero essere definiti mediante accordo consensuale tra parti interessate pubbliche e private (utenti e fornitori).

4.4.8.

Inoltre, il gruppo dovrebbe riesaminare periodicamente i sistemi di certificazione, tenendo conto dei requisiti di ciascun settore, e se necessario adeguandoli.

4.4.9.

Il CESE è favorevole all’eliminazione graduale dei sistemi di certificazione nazionali in seguito all’introduzione di un sistema europeo, come previsto dall’articolo 49 della proposta di regolamento. Un mercato unico non può operare con norme nazionali diverse e in contrasto tra loro. A tal fine, il CESE propone di eseguire un censimento di tutti i sistemi nazionali.

4.4.10.

Il CESE propone alla Commissione di avviare un’azione volta a promuovere la certificazione e certificati in materia di cibersicurezza nell’UE e di sostenerne il riconoscimento in tutti gli accordi commerciali internazionali.

4.5.    ENISA

4.5.1.

Il CESE ritiene che il nuovo mandato permanente dell’ENISA proposto dalla Commissione contribuirà in modo significativo a rafforzare la resilienza dei sistemi europei. Tuttavia, il relativo bilancio di previsione e le risorse assegnate all’ENISA riformata potrebbero non essere sufficienti per permettere all’agenzia di svolgere il suo mandato.

4.5.2.

Il CESE incoraggia tutti gli Stati membri a istituire un omologo chiaro ed equivalente dell’ENISA, in quanto la maggior parte di essi non ha ancora provveduto a farlo. Dovrebbe essere promosso un programma strutturato per il distacco di esperti nazionali presso l’ENISA al fine di sostenere lo scambio di buone pratiche e rafforzare la fiducia. Il Comitato raccomanda inoltre alla Commissione di garantire la raccolta e la condivisione delle buone pratiche correnti e delle misure efficaci in vigore negli Stati membri.

4.5.3.

Il CESE ritiene inoltre che, in termini di rafforzamento delle capacità, l’ENISA dovrebbe privilegiare le azioni volte a sostenere la pubblica amministrazione elettronica (e-government(10). L’identità digitale, a livello di UE e mondiale, per le persone, le organizzazioni, le imprese e gli oggetti è fondamentale, e la prevenzione e il contrasto del furto di identità e della frode online, come anche del furto di proprietà intellettuale e industriale, dovrebbero essere una priorità.

4.5.4.

L’ENISA dovrebbe inoltre fornire relazioni periodiche sul grado di preparazione (cyber-readiness) degli Stati membri, concentrandosi in primo luogo su settori identificati nell’allegato II della direttiva NIS. Occorrerebbe verificare, mediante un’esercitazione informatica europea annuale, la preparazione degli Stati membri e l’efficacia del meccanismo europeo di risposta alle crisi informatiche, e su tale base formulare delle raccomandazioni.

4.5.5.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che le risorse sono troppo limitate in termini di cooperazione operativa, compresa la rete di gruppi di intervento per la sicurezza informatica.

4.5.6.

In termini di compiti connessi al mercato, il CESE ritiene che il rafforzamento della cooperazione con gli Stati membri e la creazione di una rete formale di agenzie per la cibersicurezza contribuirebbe a sostenere la cooperazione tra le parti interessate (11). I tempi di commercializzazione sono molto brevi e per le imprese dell’UE è cruciale poter competere in questo settore: l’ENISA dev’essere in grado di reagire in sintonia con questa esigenza. Il CESE ritiene che, al pari di altre agenzie dell’UE, l’ENISA potrebbe, in futuro, applicare un sistema di contributi e tariffe. Il CESE teme che la concorrenza per le competenze tra l’UE e le agenzie nazionali possa ritardare, come è avvenuto in altri settori, la corretta definizione del quadro normativo dell’UE, e danneggiare il mercato unico.

4.5.7.

Il CESE osserva che i compiti relativi alle attività di ricerca e innovazione e alla cooperazione internazionale sono attualmente minimi.

4.5.8.

Il CESE ritiene che la cibersicurezza dovrebbe essere un tema costante di discussione nelle riunioni periodiche congiunte delle agenzie del settore Giustizia e affari interni e che l’ENISA ed Europol dovrebbero collaborare regolarmente.

4.5.9.

Poiché il mondo informatico è molto innovativo, gli standard devono essere considerati attentamente, per evitare ostacoli all’innovazione, il che richiede un quadro di riferimento dinamico. Occorre garantire per quanto possibile la compatibilità ascendente e discendente, al fine di proteggere i cittadini e gli investimenti delle imprese.

4.5.10.

Data l’importanza delle autorità nazionali di controllo della certificazione, il CESE propone che il regolamento in esame istituisca fin da ora una rete formale di autorità abilitate a risolvere le questioni transfrontaliere con il sostegno dell’ENISA. La rete potrebbe successivamente trasformarsi in un’agenzia unica.

4.5.11.

La fiducia è fondamentale, ma l’ENISA non può adottare decisioni o pubblicare relazioni di audit. Il CESE ritiene che l’Agenzia dovrebbe vigilare, per conto della Commissione, sul funzionamento e sui processi decisionali delle autorità nazionali di controllo della certificazione attraverso audit e ispezioni.

4.5.12.

L’industria e le organizzazioni dei consumatori dovrebbero poter partecipare, in veste di osservatori, al consiglio di amministrazione dell’ENISA.

4.6.    Il settore, le PMI, il finanziamento, gli investimenti e i modelli aziendali innovativi

4.6.1.   Il settore e gli investimenti

Per rafforzare la competitività globale delle imprese dell’UE che operano nel settore delle TIC, le azioni devono essere finalizzate a favorire maggiormente la crescita e la competitività del settore delle TIC, e in particolare delle PMI.

L’Europa dovrebbe accrescere gli investimenti e far convergere differenti fondi dell’UE, fondi nazionali e investimenti del settore privato verso gli obiettivi strategici, nel quadro di una forte cooperazione tra settore pubblico e settore privato. La creazione, nell’ambito del programma quadro attuale e futuro per la ricerca, di un Fondo UE per l’innovazione e la R&S in materia di cibersicurezza dovrebbe rafforzare e sostenere il livello degli investimenti in settori critici. Inoltre, l’Europa dovrebbe creare un fondo per la diffusione della cibersicurezza, aprendo una nuova finestra nell’attuale e nel futuro meccanismo per collegare l’Europa come pure nel prossimo FEIS 3.0.

Occorre creare incentivi che incoraggino gli Stati membri dell’UE ad acquistare quando possibile soluzioni europee e a scegliere fornitori europei se ve ne sono, soprattutto per le applicazioni sensibili. L’Europa dovrebbe sostenere la crescita di protagonisti europei dell’informatica, in grado di competere in un mercato globale.

4.6.2.   PMI

Per affrontare meglio il mercato, data la sua frammentazione, serve maggiore chiarezza sul fronte della domanda. Senza una domanda strutturata, le PMI e le imprese emergenti non possono crescere a ritmo sostenuto. In tale contesto, sarebbe auspicabile la creazione di un polo europeo di cibersicurezza delle PMI.

La tecnologia della cibersicurezza è in rapida evoluzione, e le PMI, grazie alla loro flessibilità, possono fornire le soluzioni avanzate necessarie per rimanere competitive. Rispetto ai paesi terzi, l’UE è ancora alla ricerca di un modello imprenditoriale adeguato per le PMI.

Potrebbero essere messi a punto dei regimi specifici per le start-up e le PMI volti a sostenere il costo della certificazione, in modo che tali imprese possano superare le notevoli difficoltà che incontrano nella raccolta di fondi per il loro sviluppo tecnologico e commerciale.

4.7.    Il fattore umano: istruzione e protezione

4.7.1.

Il CESE riscontra che la proposta della Commissione non tiene adeguatamente in considerazione la persona umana come soggetto motore dei processi digitali, sia come beneficiario sia come causa dei principali incidenti informatici.

4.7.2.

Occorre creare una solida base di competenze in materia di cibersicurezza e migliorare l’igiene informatica e la consapevolezza a livello di cittadini e di imprese. Per conseguire questo risultato bisogna prendere in considerazione investimenti specifici, il tempo necessario per formare istruttori di alto livello ed efficaci campagne di sensibilizzazione. Per attuare queste tre linee di azione è necessario il coinvolgimento delle autorità nazionali e regionali (competenti per l’elaborazione di efficaci programmi didattici e i relativi investimenti), delle imprese e delle PMI, in un approccio collettivo.

4.7.3.

Si dovrebbe prevedere, coinvolgendo attivamente l’ENISA e i suoi omologhi nazionali, la creazione di un eventuale programma di studi, certificato dall’UE, per la scuola secondaria e per i professionisti. Nell’elaborazione dei programmi di istruzione occorrerà inoltre tenere presente la parità di genere, nell’ottica di migliorare i livelli di occupazione nel settore della cibersicurezza.

4.7.4.

Il CESE ritiene che l’attività di certificazione debba includere un adeguato sistema di etichettatura dell’hardware e del software, così come avviene per molteplici altri prodotti (es. prodotti energetici). Tale strumento avrà il triplice vantaggio di ridurre i costi per le imprese, eliminare le frammentazioni esistenti sul mercato a causa di diversi sistemi di certificazione già adottati su scala nazionale e semplificare la comprensione da parte dei consumatori sulla qualità e le caratteristiche dell’oggetto acquistato. A tal proposito, è importante che i prodotti importati da paesi terzi siano soggetti ai medesimi meccanismi di certificazione e etichettatura. Il CESE ritiene, infine, che la creazione di un logo ad hoc potrebbe essere funzionale a comunicare immediatamente a consumatori e utenti l’affidabilità dei prodotti acquistati o dei siti sui quali si stanno effettuando azioni di compravendita o che prevedono la trasmissione di dati sensibili.

4.7.5.

L’ENISA dovrebbe farsi carico di una cruciale attività di informazione e sensibilizzazione multilivello in modo da rafforzare la consapevolezza circa i comportamenti digitali «sicuri» e la fiducia degli utenti verso Internet. A questo scopo vanno coinvolte le associazioni delle imprese, le associazioni dei consumatori e altri organismi che operano nei servizi digitali.

4.7.6.

A complemento del Cibersecurity Act, come già proposto nel parere INT/828, il CESE ritiene cruciale avviare quanto prima un vasto programma europeo destinato alla educazione e formazione digitale per garantire a tutti i cittadini gli strumenti per affrontare al meglio la transizione. In particolare il CESE, pur consapevole delle specifiche competenze nazionali in materia, auspica che tale programma parta dalle scuole, rafforzando le conoscenze dei docenti, adeguando i programmi di studio e la didattica alle tecnologie digitali (incluso l’e-learning), e fornendo a tutti gli studenti una formazione di alta qualità. Tale programma avrà la sua naturale prosecuzione nell’apprendimento permanente al fine di rimodulare o aggiornare le competenze di tutti i lavoratori (12).

5.   Osservazioni particolari

5.1.    Tecnologie e soluzioni emergenti: il caso dell’Internet degli oggetti

In seguito alla digitalizzazione di componenti, sistemi e soluzioni, e a una maggiore connettività, il numero di dispositivi connessi è in costante aumento e si prevede che si moltiplicherà rispetto al numero degli abitanti della Terra. Tale tendenza crea nuove opportunità per i criminali informatici, in particolare perché spesso i dispositivi per l’Internet degli oggetti non sono protetti come quelli tradizionali.

L’introduzione di standard europei di sicurezza nei diversi mercati verticali che si avvalgono di dispositivi per l’Internet degli oggetti può comportare un risparmio, in termini di impegno, tempo e bilancio dedicati alle attività di sviluppo, per tutti gli operatori del settore che partecipano alla catena del valore dei prodotti connessi.

È probabile che, per i dispositivi «ordinari» dell’«Internet delle persone» (Internet of People), risulti necessaria una qualche forma di livello minimo di sicurezza, attraverso la gestione integrata di accessi e identità (IDAM), interventi di aggiornamento mediante patch e la gestione dei dispositivi. Poiché la certificazione è un metodo basilare per realizzare un livello di sicurezza più elevato, nel nuovo approccio di certificazione UE bisognerebbe dare maggior rilievo alla sicurezza dell’Internet degli oggetti.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Revisione intermedia della strategia per il mercato unico digitale.

(2)  JOIN/2017/0450 final.

(3)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione — Valutazione d'impatto che accompagna la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, parte 1/6, pag. 21, Bruxelles, 13.9.17.

(4)  Special Eurobarometer 464a — Wave EB87.4 — Europeans' attitudes towards cyber security [L'atteggiamento degli europei nei confronti della cibersicurezza], settembre 2017.

(5)  Conclusioni del Consiglio europeo del 19 ottobre 2017.

(6)  Risoluzione del Parlamento europeo, 17.5.2017, A8-0176/2017.

(7)  Revisione intermedia della strategia per il mercato unico digitale; GU C 75 del 10.3.2017, pag. 124, GU C 246 del 28.7.2017, pag. 8, GU C 345 del 13.10.2017, pag. 52, GU C 288 del 31.8.2017, pag. 62, GU C 271 del 19.9.2013, pag. 133.

(8)  Comunicato stampa del CESE n. 31/2017 [non disponibile in italiano] dal titolo Civil Society debates E-government and cybersecurity with incoming Estonian Presidency [La società civile discute di pubblica amministrazione elettronica e cibersicurezza con la futura presidenza estone]: https://www.eesc.europa.eu/en/news-media/press-releases/civil-society-debates-e-government-and-cybersecurity-incoming-estonian-presidency

(9)  GU L 210 del 7.8.1985, pag. 29.

(10)  Revisione intermedia della strategia per il mercato unico digitale.

(11)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 124.

(12)  Revisione intermedia della strategia per il mercato unico digitale.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Analisi annuale della crescita 2018»

[COM(2017) 690 final]

(2018/C 227/14)

Relatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Consultazione

Commissione europea, 18.1.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sottocomitato competente

Sottocomitato Analisi annuale della crescita 2018

Adozione in sessione plenaria

14.2.2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

194/2/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che il quadro del semestre europeo rivesta un’importanza strategica e intende continuare ad apportare il proprio contributo nel modo più efficace possibile. Al tempo stesso, il CESE ribadisce la necessità di ampliare il ruolo della società civile organizzata nel ciclo del semestre europeo, in particolare nella preparazione dell’analisi annuale della crescita. Il CESE può apportare valore aggiunto a tale processo. Il semestre europeo, inoltre, dovrebbe in particolare coinvolgere in modo più strutturato le parti sociali e i consigli economici e sociali nazionali.

1.2.

Il CESE riconosce che la dimensione sociale del semestre europeo è stata ampliata con l’introduzione degli indicatori sociali (quadro di valutazione sociale) nella Relazione comune sull’occupazione (1), ma è convinto che la concentrazione dell’attenzione sull’aumento degli investimenti, sulle riforme strutturali e sul rafforzamento dell’equilibrio macroeconomico (2), dichiarata dalla Commissione, debba essere accompagnata dall’estensione del ciclo del semestre europeo ad altri indicatori di settori «al di là PIL» (obiettivi sociali, ambientali e di sostenibilità). Il CESE è favorevole all’idea che il semestre sostenga il pilastro europeo dei diritti sociali, in modo che esso divenga uno strumento di migliori condizioni di vita e di lavoro per i cittadini, e auspica che gli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali siano integrati nelle politiche e nelle decisioni adottate.

1.3.

Il CESE condivide l’idea che la chiave per rafforzare la crescita a lungo termine siano gli investimenti, l’innovazione e la conoscenza, l’istruzione e l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, in particolare nell’ambito delle tecnologie verdi e dell’economia circolare, oltre che in settori più tradizionali, e sottolinea che i livelli degli investimenti privati saranno elevati solo se si creerà una motivazione adeguata, se si opererà perché vi sia una robusta domanda interna e se si manterrà un ambiente favorevole agli investimenti.

1.4.

Il CESE osserva che gli investimenti pubblici sono relativamente bassi e accusano ritardi. Insiste sulla necessità di aumentare gli investimenti pubblici, al fine di salvaguardare la fragile crescita, il che comporta la promozione degli investimenti sociali in iniziative per lo sviluppo del capitale umano attraverso l’istruzione e la formazione e per il miglioramento dei servizi pubblici, delle infrastrutture di assistenza, dell’innovazione e della coesione sociale nei vari paesi e regioni. A tal fine, il CESE ribadisce ancora l’invito ad approvare l’adozione della «regola d’oro per gli investimenti pubblici» per stimolare gli investimenti pubblici.

1.5.

Il CESE prende atto dell’istituzione del programma di sostegno alle riforme strutturali (3). Se da un lato, si considera che questo sia uno strumento indispensabile che potrebbe aiutare gli Stati membri a realizzare le riforme istituzionali, amministrative e strutturali rendendo disponibili risorse per lo sviluppo delle capacità e l’assistenza tecnica, dall’altro, secondo il CESE, tali riforme non dovrebbero tradursi semplicemente in una deregolamentazione del mercato del lavoro e in una liberalizzazione dei mercati dei prodotti. Allo stesso tempo, il Comitato avverte che, a causa del bilancio relativamente modesto e della mancanza di esperienza di cooperazione con gli Stati membri nell’attuazione delle riforme strutturali, il programma potrebbe non dare i risultati attesi.

1.6.

Il CESE condivide il punto di vista della Commissione secondo cui riforme strutturali economicamente e socialmente ragionevoli e equilibrate per mercati del lavoro e mercati dei prodotti efficienti siano essenziali ai fini dell’adattamento dell’economia europea ai cambiamenti strutturali a lungo termine e a possibili shock economici e ambientali. Tuttavia, il CESE insiste sulla necessità di un approccio non sistemico, ritenendo che le riforme dovrebbero essere realizzate solo quando necessario e nel rispetto della legislazione nazionale, del dialogo sociale e dei contratti collettivi.

1.7.

Il CESE accoglie con favore l’accento più deciso posto dalla Commissione, nell’analisi annuale della crescita, sulla composizione e sull’efficienza della spesa pubblica, nonché su una politica di bilancio responsabile e su una spesa appropriata ed efficiente. Il Comitato ritiene che riforme della pubblica amministrazione orientate a iniziative di e-government, all’efficienza degli appalti pubblici (4) e a una maggiore trasparenza dei fondi pubblici possano conseguire notevoli risparmi in termini di costi e incrementare gli investimenti pubblici. Tali misure dovrebbero essere tra quelle privilegiate nei processi di risanamento di bilancio.

1.8.

Il CESE evidenzia che gli sforzi per limitare le conseguenze negative dei processi di invecchiamento demografico pongono sfide ai bilanci degli Stati membri e vuole ancora una volta sottolineare l’importanza della formazione e della riqualificazione, il ruolo di prevenzione del settore sanitario, l’importanza dell’efficienza della spesa sanitaria nonché la necessità di salvaguardare l’efficienza del sistema di protezione sociale.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE ribadisce la sua posizione secondo cui l’analisi annuale della crescita non copre altri settori politici pertinenti, come la politica ambientale, o altre questioni importanti, come la qualità dell’occupazione, e ritiene che sia possibile espandere il semestre europeo per garantire che le politiche macroeconomiche dell’UE siano sostenibili, non solo a livello economico e sociale, ma anche da un punto di vista ambientale. Il semestre europeo deve occuparsi alla stessa stregua delle sfide economiche, sociali e ambientali.

2.2.

A tale proposito, il semestre europeo dovrebbe comprendere un sistema globale di indicatori che tengano conto delle ramificazioni sociali e ambientali. L’introduzione del quadro di valutazione sociale nell’analisi annuale della crescita 2018 è un primo passo in questa direzione ed esso dovrebbe essere integrato con indicatori relativi all’andamento delle retribuzioni e al tasso di copertura della contrattazione collettiva, ove possibile. L’attuale analisi macroeconomica e sociale potrebbe essere completata con l’aggiunta di indicatori dell’efficienza energetica e delle risorse, dei progressi negli obiettivi nazionali in materia di clima ed energia e delle modifiche nelle aliquote nazionali delle imposte ambientali.

2.3.

L’analisi annuale della crescita dovrebbe porre maggiore enfasi sulle problematiche demografiche a lungo termine, in particolare nel contesto dell’invecchiamento della popolazione e della migrazione dei lavoratori. In questa congiuntura, quando le minacce immediate alla stabilità economica e fiscale sembrano essere state sventate, occorre concentrarsi urgentemente su tali problematiche a lungo termine.

2.4.

Il CESE ha discusso del fatto che il semestre europeo dovrebbe essere ulteriormente sviluppato, per garantire il coordinamento dell’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (5).

2.5.

Lo sviluppo del semestre europeo dovrebbe tenere in considerazione il periodo successivo alla Brexit e partire dal presupposto che sarà essenziale una revisione verso l’alto della capacità finanziaria.

2.6.

Il semestre europeo, inoltre, dovrà essere adattato a una futura strategia post-2020, la quale dovrebbe essere basata sulle priorità della Commissione Juncker e sugli obiettivi stabiliti per il 2030, che fanno riferimento alla strategia Europa 2020 e ai suoi obiettivi, ancora pertinenti per i prossimi anni, e all’accordo sul clima di Parigi.

3.   Osservazioni particolari

3.1.    Investimenti

3.1.1.

La crescita della produttività è una delle principali fonti di miglioramento del benessere economico. È essenziale che l’UE mantenga un tasso elevato e sostenibile di crescita della produttività, dato che attualmente accusa un ritardo rispetto ai principali concorrenti, in particolare in settori industriali fondamentali e nello sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio. Un continuo miglioramento dell’economia è una base essenziale per il finanziamento della protezione sociale e dell’assistenza sanitaria al livello auspicato dai cittadini europei. In realtà, promuovere il benessere, la coesione e la giustizia sociale è un obiettivo pienamente compatibile con la crescita economica e l’incremento della produttività (6).

3.1.2.

La chiave della crescita della produttività è costituita dagli investimenti, dalla qualità dell’occupazione, dall’innovazione e dalla conoscenza. Quando gli investimenti in conto capitale sono più bassi, a disposizione dei lavoratori vengono messe meno attrezzature nuove e, ceteris paribus, anche i futuri tassi e livelli di crescita della produttività saranno inferiori. Ciò vale in particolar modo quando la crescita della forza lavoro rallenta a causa dei cambiamenti demografici e del calo della natalità, come sta avvenendo in Europa. Per rendere il lavoro più produttivo occorre investire nell’istruzione, nell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e nella formazione, nel miglioramento delle condizioni di lavoro, in servizi di base come l’assistenza all’infanzia e l’assistenza al di fuori dell’orario scolastico, nella modernizzazione degli impianti, delle attrezzature e delle tecniche produttive, in nuove scoperte e in innovazioni, oltre che nei trasporti, nelle comunicazioni e in altre infrastrutture. Occorre tenere presente, inoltre, che gli investimenti pubblici su vasta scala, inclusi gli investimenti sociali, esplicano i loro effetti in un arco temporale ben più lungo. Una maggiore attenzione ai requisiti di programmazione, pertanto, dovrebbe contribuire a incrementare gli investimenti pubblici. Il CESE ribadisce quindi l’invito ad approvare l’adozione della cosiddetta «regola d’oro per gli investimenti pubblici» per stimolare gli investimenti pubblici.

3.1.3.

A tale proposito, per il CESE è essenziale che le opportunità di bilancio a livello nazionale ed europeo siano sfruttate pienamente e che la politica di coesione resti il principale strumento di investimento dell’Unione europea. Il Comitato sottolinea che la sua governance e le sue interazioni con il semestre europeo dovrebbero essere migliorate, al fine di accrescere ulteriormente il suo contributo a una crescita sostenibile e inclusiva. Si può aumentare, rispetto a quanto avviene adesso, il ricorso ai fondi strutturali per sostenere l’istruzione e la formazione nelle competenze necessarie, in stretta cooperazione con le parti sociali. In tal senso, il Comitato concorda con il parere della Commissione secondo cui «il potenziale del … [FEIS] in termini di promozione dello sviluppo del capitale umano è ancora ben lungi dall’essere sfruttato appieno».

3.1.4.

Per ammodernare gli impianti e le tecnologie di produzione occorre creare un clima imprenditoriale e un contesto sociale adatti, affinché le imprese siano motivate a investire. Il CESE ritiene che sia particolarmente importante che gli Stati membri sviluppino istituzioni più solide e più efficienti, in grado di contrastare la corruzione e di garantire l’applicazione dello Stato di diritto. In caso contrario, i tassi di investimento non possono essere elevati.

3.1.5.

Il CESE ribadisce che occorre investire in misure per una giusta transizione, in grado di accompagnare investimenti trasformativi in particolare nei settori energetico e manifatturiero. Inoltre, tali investimenti, per i quali dovrebbe essere disponibile un fondo di finanziamento adeguato, dovrebbero offrire un sostegno ai lavoratori delle regioni in fase di transizione da industrie caratterizzate da alte emissioni di carbonio a industrie a basse emissioni, transizione che deve essere correttamente gestita per contribuire agli obiettivi di un lavoro dignitoso per tutti, dell’inclusione sociale e dell’eliminazione della povertà.

3.1.6.

Oltre a un ambiente favorevole, per gli investimenti è importante anche che in Europa esistano mercati finanziari ben funzionanti. Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che l’integrazione dei mercati finanziari sia ancora in ritardo e ritiene che l’ulteriore sviluppo dell’unione bancaria e dell’unione dei mercati dei capitali dovrebbe procedere senza indugi.

3.1.7.

Il CESE conviene che è essenziale istituire un’unione dei mercati dei capitali e realizzare altre condizioni generali per migliorare le condizioni di finanziamento, ripartire il rischio e rendere il credito più accessibile per tutte le imprese, applicando in pratica il principio delle pari opportunità.

3.1.8.

Le condizioni di accesso ai finanziamenti sono ancora molto disomogenee e l’accesso ai finanziamenti è ancora molto difficile e costituisce tuttora una sfida importante per le PMI, le piccole imprese familiari e tradizionali, le imprese in fase di avviamento (start-up) e le imprese in fase di espansione (scale-up). Per questo motivo, il Comitato accoglie con favore misure quali in Fondo paneuropeo di fondi di capitale di rischio e invita la Commissione ad adottare, in cooperazione con gli enti locali e regionali e le autorità nazionali, ulteriori misure per mobilitare gli investimenti privati e pubblici e promuovere la differenziazione delle fonti di finanziamento.

3.1.9.

Lo sviluppo dell’unione dei mercati dei capitali (espansione dei fondi di capitale di rischio e dei mercati del private equity), compresi i mercati informali, i business angel e il microfinanziamento diffuso (crowdfunding), ha migliorato l’accesso al capitale di rischio per particolari categorie di PMI. Probabilmente, tuttavia, una grandissima parte di PMI non è in grado di trarne grande profitto. I nuovi strumenti non sono di facile uso persino per le aziende innovative, le imprese in fase di avviamento (start-up) e le società di medie dimensioni e tra i paesi persistono considerevoli differenze a causa del livello di sviluppo dei mercati di capitali locali e della mancanza di una normativa adeguata. Si dovrebbe pertanto prestare attenzione a creare le condizioni necessarie per i finanziamenti bancari a favore di queste imprese.

3.1.10.

Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a compiere ogni sforzo possibile per eliminare le strozzature che frenano gli investimenti e a creare un ambiente propizio agli stessi. Oltre ai problemi citati in precedenza, vanno menzionati, a titolo di esempio, il regolamento relativo ai fondi europei per il venture capital, l’ulteriore sviluppo del fondo per l’imprenditoria sociale, la «seconda opportunità» per gli imprenditori confrontati al fallimento, il miglioramento delle procedure di insolvenza e l’adozione di sistemi di ristrutturazione preventiva. Uno dei pilastri dello sviluppo dell’attività di investimento deve consistere nell’incoraggiare la partecipazione delle banche e nell’accrescere la loro efficacia operativa.

3.1.11.

Anche in precedenti pareri il CESE ha affermato che la realizzazione dell’Unione dell’energia, la strategia per il mercato unico digitale e il piano d’azione per l’economia circolare preparano un ottimo terreno per gli investimenti. È opportuno tenere conto, inoltre, delle nuove opportunità di investimenti «verdi» per contrastare il cambiamento climatico. La dinamizzazione di tali settori dipende anche dagli accordi commerciali internazionali, alcuni dei quali possono risentire negativamente dell’evoluzione degli atteggiamenti sulla scena politica globale, e dal conseguente grado di accessibilità dei mercati.

3.2.    Attuazione delle riforme strutturali

3.2.1.

Il CESE ritiene che le riforme strutturali dovrebbero essere equilibrate dal punto di vista economico e sociale. Le riforme strutturali da realizzare per prime dovrebbero essere quelle che promuovono la crescita della produttività, ma anche quelle che rafforzano la sicurezza dei posti di lavoro e del sistema di protezione sociale, rispettando nel contempo la contrattazione collettiva e l’autonomia delle parti sociali. Le riforme strutturali sono essenziali per sviluppare l’integrità e la trasparenza nella pubblica amministrazione e per fornire servizi di alta qualità a cittadini e imprese.

3.2.2.

Il CESE prende atto delle iniziative proposte dalla Commissione nella tabella di marcia per l’approfondimento dell’unione economica e monetaria dell’Europa e sta attualmente preparando un parere specifico riguardante tale pacchetto di iniziative (7). Il Comitato continuerà a dare il proprio contributo al dibattito dei leader dell’UE riguardo al futuro sviluppo dell’unione economica e monetaria nel quadro della discussione sul futuro dell’Europa, ma si rammarica che nell’analisi annuale della crescita la maggior parte dei problemi relativi al rafforzamento della convergenza e dell’inclusione degli Stati membri riguardi quasi esclusivamente i paesi della zona euro. La convergenza dei paesi non membri della zona euro dovrebbe avere la stessa importanza ed essere oggetto dei medesimi sforzi. È necessario promuovere una nuova strategia e un nuovo piano d’azione per garantire che gli Stati membri con una produttività inferiore possano colmare il divario, alimentando una propria crescita degli investimenti di qualità. Inoltre, è opportuno adottare misure capaci di stimolare la ripresa in zone specifiche, con progetti di rivitalizzazione che comprendano una crescita e investimenti di qualità.

3.2.3.

Le parti sociali svolgono un ruolo particolarmente importante nel definire, sviluppare e attuare riforme strutturali economicamente e socialmente ragionevoli ed equilibrate. Tale ruolo deve poggiare, in particolare, su un nuovo inizio per il dialogo sociale, che si basi sul dialogo attuale ma sia dotato di strumenti di partecipazione rafforzati. Un impegno sociale responsabile dipende in grande misura da una comunicazione chiara e diretta e il CESE si compiace che la Commissione abbia annunciato la sua intenzione di coinvolgere le parti sociali, in maniera approfondita e sistematica, nel ciclo del semestre europeo.

3.2.4.

Il CESE condivide il parere del Parlamento europeo, secondo cui un mercato del lavoro ben funzionante è molto importante per un’evoluzione positiva della situazione economica (8). Questa dovrebbe essere una delle priorità delle riforme. Tuttavia, il Comitato ritiene anche necessario rafforzare la dimensione sociale del mercato unico europeo, compresi i sistemi di protezione sociale, e per far questo ci si dovrebbe basare sul pilastro europeo dei diritti sociali.

3.2.5.

Nell’affrontare le sfide strutturali del mercato del lavoro che si presentano agli Stati membri, la Commissione dovrebbe tenere conto dei diversi stadi di sviluppo economico in cui si trovano tali Stati e le misure proposte dovrebbero essere produttive, inclusive, accettabili e realizzabili nelle rispettive società.

3.2.6.

L’accesso a un’istruzione e a una formazione di qualità deve essere un diritto fondamentale di tutti. Oggi è essenziale per lo sviluppo dell’economia europea poter contare su una forza lavoro ben istruita, aggiornata e qualificata. Dalle organizzazioni dei datori di lavoro giungono molti segnali indicanti che il fattore più importante che frena l’aumento della produzione e la creazione di posti di lavoro è la mancanza delle competenze adatte richieste dalle imprese. I sindacati, d’altro canto, chiedono con urgenza un quadro appropriato in modo che tutti possano continuare a rimanere al passo con i tempi e acquisiscano le competenze necessarie durante la loro carriera (per esempio diritto a un congedo di formazione retribuito), processo che coinvolge la responsabilità di tutti: individui, imprese (in funzione della loro dimensione) e collettività. Questi aspetti devono essere affrontati tempestivamente con le misure adatte suggerite nell’analisi annuale della crescita, in linea con la nuova agenda per le competenze per l’Europa (9).

3.2.7.

Secondo la relazione comune sull’occupazione, la crescita dei salari rimane modesta nella maggior parte dei paesi e nel periodo 2014-2016 la crescita dei salari reali è rimasta indietro rispetto alla crescita della produttività. Si tratta di una tendenza di lungo periodo: nell’UE, tra il 2000 e il 2016 la produttività reale per persona occupata è cresciuta del 14,3 %, mentre la retribuzione reale per lavoratore è aumentata del 10,2 % (10). Mentre nella maggior parte dei paesi i tassi di crescita dei salari sono al di sotto della crescita della produttività, in altri paesi essi risultano più elevati. Tale eterogeneità offre al CESE lo spunto per sottolineare che la crescita dei salari reali, compresi i salari minimi, là dove esistono, dovrebbe essere in linea con la crescita della produttività. Il CESE è dell’avviso che un’equa ridistribuzione del reddito e della ricchezza derivanti dagli incrementi di produttività dovrebbe aumentare l’uguaglianza e avere un impatto positivo sulla domanda interna e su quella aggregata della zona euro. È necessario stimolare tale domanda interna come condizione essenziale per sostenere la crescita, per superare la crisi e per rilanciare l’occupazione. Un aumento dei salari, in particolare dei salari più bassi, è uno degli strumenti più importanti per raggiungere questi obiettivi nell’ambito dell’economia e della società europee (11).

3.2.8.

Il CESE ha sottolineato in numerose occasioni la necessità di sostenere le PMI (12), le quali, insieme ai lavoratori e ai dipendenti interessati, sono quelle che soffrono di più delle disfunzioni dei mercati, pur avendo notevoli potenzialità per contribuire all’economia europea. Per questo motivo, il Comitato accoglie con favore l’intenzione manifestata dalla Commissione di sostenere la diffusione di nuove tecnologie tra le PMI. Allo stesso tempo, è importante che la Commissione tenga anche in considerazione i problemi di accesso ai finanziamenti delle PMI, la loro eterogeneità come gruppo e l’esigenza di sostenere le piccole imprese tradizionali e familiari (13).

3.2.9.

La costruzione di un sistema di incentivi inteso a garantire condizioni uniformi di concorrenza, a fornire un maggior sostegno alla crescita e a ridurre la possibilità di abusi dovrebbe essere parte integrante del processo di riforma. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata alla creazione di un migliore quadro normativo e amministrativo. Il CESE condivide l’opinione, espressa nell’analisi annuale della crescita che un mercato unico nel settore della difesa potrebbe arrecare molti benefici per i cittadini europei, ma ribadisce la sua posizione secondo cui i fondi di bilancio dell’UE non possono essere utilizzati per finanziare strumenti e operazioni militari.

3.2.10.

Il CESE sottolinea la necessità di continuare a stimolare la competitività europea in senso lato, in un senso molto più ampio rispetto alla pura e semplice competitività aziendale. Il peso economico globale dell’Europa deve essere rafforzato, con l’adozione di misure che la preparino maggiormente ad affrontare la concorrenza dei suoi concorrenti globali.

3.3.    Politiche di bilancio responsabili

3.3.1.

La ripresa osservabile nell’economia europea sta contribuendo a migliorare lo stato delle finanze pubbliche, che si sono trovate in difficoltà durante e dopo la crisi economica e finanziaria, mentre i bassi tassi di interesse e la crescita economica offrono buone opportunità per ridurre i livelli di debito eccessivi, ove presenti. Il rapporto debito pubblico/PIL è distribuito in modo estremamente disomogeneo nell’UE e ciò espone i paesi con alti livelli di indebitamento a un possibile rischio legato al tasso di interesse, che comporta elevati costi di finanziamento se i tassi di interesse iniziano a crescere quando la politica monetaria diventa meno accomodante.

3.3.2.

In questo contesto, il CESE apprezza il fatto che uno dei pilastri su cui la Commissione fonda la sua politica economica e sociale sia quello delle politiche di bilancio responsabili. Il Comitato, tuttavia, desidera sottolineare che una politica responsabile in materia di spesa pubblica non è sempre misurata soltanto sulla base di un risultato contabile come il disavanzo, ma anche tenendo conto degli effetti che produce sull’economia reale e sulla società nel suo insieme.

3.3.3.

Il CESE condivide pienamente l’opinione secondo la quale la politica di bilancio deve essere definita su misura, sulla base delle specifiche circostanze di ogni paese. L’eterno dilemma tra l’esigenza di garantire un controllo a lungo termine sul disavanzo e i livelli del debito e una spesa pubblica «favorevole alla crescita» è sempre difficile da risolvere e l’equilibrio può cambiare in base alla specifica situazione dei vari paesi. Il CESE è favorevole alla flessibilità, in particolare quando consente investimenti pubblici capaci di stimolare settori che apportano anche vantaggi a lungo termine (istruzione, formazione e sanità) o investimenti finalizzati alla creazione delle condizioni adatte per la transizione economica verso un’economia sostenibile in grado di affrontare il cambiamento climatico o a sostenere misure per le imprese che subiscono le ripercussioni negative dei fallimenti del mercato.

3.3.4.

Il CESE chiede con vigore di intraprendere una lotta costante e ben coordinata contro l’evasione e l’elusione fiscali, per garantire l’applicazione di un’imposizione fiscale equa alle imprese multinazionali e all’economia digitale. Il CESE ribadisce, inoltre, l’importanza di lottare contro l’evasione fiscale attraverso una maggiore trasparenza (14) e contro tutte le forme di concorrenza fiscale sleale tra gli Stati membri (15).

3.4.    Il pilastro europeo dei diritti sociali

3.4.1.

Il CESE accoglie con favore il consenso interistituzionale raggiunto con la proclamazione del pilastro europeo dei diritti sociali al vertice sociale di Göteborg nel novembre 2017.

3.4.2.

Il pilastro europeo dei diritti sociali è soprattutto una dichiarazione politica, che comprende proposte legislative e non legislative. Il sostegno unanime ricevuto da parte degli Stati membri è un segnale importante che incoraggia la sua applicazione. In quanto quadro di riferimento per iniziative sia legislative che non legislative, il pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbe contribuire a promuovere le riforme e consentire di concentrare maggiormente l’attenzione sui progressi sociali nell’ambito del semestre europeo.

3.4.3.

Il CESE ritiene che tale pilastro dovrebbe essere accompagnato da una tabella di marcia che definisca nel dettaglio la sua attuazione e sostenga il raggiungimento dei suoi obiettivi a livello nazionale (16).

3.4.4.

Il CESE chiede un semestre europeo che integri pienamente la dimensione sociale e auspica che gli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali siano integrati nelle politiche e nelle decisioni adottate.

3.4.5.

Come precedentemente sottolineato dal CESE (17), per garantire il proprio futuro l’UE deve unire una solida base economica a una forte dimensione sociale. L’UE deve avere come obiettivo quello di permettere una crescita economica equilibrata e inclusiva, il progresso sociale e l’integrità ambientale in grado di produrre un maggiore benessere per i cittadini.

3.4.6.

Il pacchetto presentato in autunno dalla Commissione include, come nuovo strumento nell’ambito del semestre europeo per monitorare l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, un quadro di valutazione sociale, che dovrebbe formare ormai parte dell’analisi effettuata nelle prossime relazioni per paese e nelle raccomandazioni specifiche per paese.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Joint Employment report (Relazione comune sull’occupazione).

(2)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 73.

(3)  Regolamento (UE) 2017/825.

(4)  COM(2017) 572 final.

(5)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 44.

(6)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 33.

(7)  ECO/446 (non ancora pubbligato in GU).

(8)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 73.

(9)  COM(2016) 381 final.

(10)  Joint Employment report, (Relazione comune sull’occupazione) pag. 4.

(11)  ECO/444 (non ancora pubblicato in GU).

(12)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 15.

(13)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 1.

(14)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 62.

(15)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 131.

(16)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145.

(17)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/101


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 92/66/CEE del Consiglio che istituisce misure comunitarie di lotta contro la malattia di Newcastle»

[COM(2017) 742 final — 2017/0329 (COD)]

(2018/C 227/15)

Consultazione

Parlamento europeo, 14 dicembre 2017

Consiglio dell’Unione europea, 22 dicembre 2017

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sessione plenaria

14 febbraio 2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

152/2/5

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente ed essendosi già pronunciato al riguardo nel proprio parere CES4014-2013 (NAT/611), adottato il 16 ottobre 2013 (*1), il Comitato, nel corso della 532a sessione plenaria dei giorni 14 e 15 febbraio 2018 (seduta del 14 febbraio), ha deciso, con 152 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(*1)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 166.


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/102


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2016/1139 per quanto riguarda i tassi di mortalità per pesca e i livelli di salvaguardia per taluni stock di aringa nel Mar Baltico»

[COM(2017) 774 final — 2017/0348 COD]

(2018/C 227/16)

Consultazione

Parlamento europeo, 15 gennaio 2018

Consiglio dell’Unione europea, 19 gennaio 2018

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sessione plenaria

14 febbraio 2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

193/1/3

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 532a sessione plenaria dei giorni 14 e 15 febbraio 2018 (seduta del 14 febbraio), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 193 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

Bruxelles, 14 febbraio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


28.6.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 227/103


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga il regolamento (UE) n. 256/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla comunicazione alla Commissione di progetti d’investimento nelle infrastrutture per l’energia nell’Unione europea»

[COM(2017) 769 final — 2017/347 (COD)]

(2018/C 227/17)

Consultazione

Parlamento europeo, 15 gennaio 2018

Consiglio dell’Unione europea, 11 gennaio 2018

Base giuridica

Articolo 194 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sessione plenaria

14 febbraio 2018

Sessione plenaria n.

532

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

192/0/2

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 532a sessione plenaria dei giorni 14 e 15 febbraio 2018 (seduta del 14 febbraio), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 192 voti favorevoli e 2 astensioni.

Bruxelles, 14 febbraio 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS