ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 81

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

61° anno
2 marzo 2018


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

529a sessione plenaria del CESE del 18 e 19 ottobre 2017

2018/C 81/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Il potenziale delle piccole imprese familiari e tradizionali per stimolare lo sviluppo e la crescita economica nelle regioni (parere d’iniziativa)

1

2018/C 81/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Il finanziamento delle organizzazioni della società civile da parte dell’UE (Parere d’iniziativa)

9

2018/C 81/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo su I piccoli centri rurali e urbani come catalizzatori dello sviluppo rurale: sfide e opportunità (parere d’iniziativa)

16

2018/C 81/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Giustizia climatica (parere d’iniziativa)

22

2018/C 81/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo su I partenariati di sviluppo dell’UE e la sfida posta dagli accordi fiscali internazionali (Parere d’iniziativa)

29

2018/C 81/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo su «I diritti economici, sociali e culturali nella regione euromediterranea (Parere d’iniziativa)

37

2018/C 81/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050 (parere d’iniziativa)

44

2018/C 81/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Nuovi modelli economici sostenibili (parere esplorativo)

57

2018/C 81/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Tassazione dell’economia collaborativa — analisi di possibili politiche fiscali di fronte alla crescita dell’economia collaborativa (parere esplorativo richiesto dalla presidenza estone)

65

2018/C 81/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sull’Utilizzo del suolo per una produzione alimentare e servizi ecosistemici sostenibili (parere esplorativo richiesto dalla presidenza estone)

72

2018/C 81/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul Controllo dell’applicazione della legislazione dell’UE (esame da parte della Corte dei conti europea) (parere d’iniziativa)

81


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

529a sessione plenaria del CESE del 18 e 19 ottobre 2017

2018/C 81/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul Pacchetto conformità: a) Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Piano d’azione sul potenziamento di SOLVIT — Portare i benefici del mercato unico ai cittadini e alle imprese[COM(2017) 255 final — SWD(2017) 210 final]b) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno sportello digitale unico di accesso a informazioni, procedure e servizi di assistenza e di risoluzione dei problemi e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012[COM(2017) 256 final — 2017/0086 (COD)]c) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa le condizioni e la procedura con le quali la Commissione può richiedere alle imprese e associazioni di imprese di fornire informazioni in relazione al mercato interno e ai settori correlati[COM(2017) 257 final — 2017/0087 (COD)]

88

2018/C 81/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il monitoraggio e la comunicazione dei dati relativi al consumo di carburante e alle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti nuovi[COM(2017) 279 final — 2017/0111 (COD)]

95

2018/C 81/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla revisione intermedia dell’attuazione della strategia per il mercato unico digitale — Un mercato unico digitale connesso per tutti[COM(2017) 228 final]

102

2018/C 81/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2016[COM(2017) 285 final]

111

2018/C 81/16

Parere Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla revisione intermedia del piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali[COM(2017) 292 final]

117

2018/C 81/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul Documento di riflessione sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria[COM(2017) 291 final]

124

2018/C 81/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul Documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE[COM(2017) 358 final]

131

2018/C 81/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP)[COM(2017) 343 final — 2017/0143 (COD)]

139

2018/C 81/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul Documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa[COM(2017) 206], sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Istituzione di un pilastro europeo dei diritti sociali[COM(2017) 250 final] e sulla Proposta di proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali[COM(2017) 251 final]

145

2018/C 81/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa il quadro giuridico del corpo europeo di solidarietà e che modifica i regolamenti (UE) n. 1288/2013, (UE) n. 1293/2013, (UE) n. 1303/2013, (UE) n. 1305/2013, (UE) n. 1306/2013 e la decisione n. 1313/2013/UE[COM(2017) 262 final — 2017/0102(COD)]

160

2018/C 81/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa ad una nuova agenda per l’istruzione superiore[COM(2017) 247 final] e sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Sviluppo scolastico ed eccellenza nell’insegnamento per iniziare la vita nel modo giusto[COM(2017) 248 final]

167

2018/C 81/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) 1380/2013 relativo alla politica comune della pesca[COM(2017) 0424 final — 2017/0190(COD)]

174

2018/C 81/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Quadro europeo di interoperabilità — Strategia di attuazione[COM(2017) 134 final]

176

2018/C 81/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’interoperabilità dei sistemi di telepedaggio stradale e l’agevolazione dello scambio transfrontaliero di informazioni riguardanti il mancato pagamento dei pedaggi stradali nell’Unione [COM(2017) 280 final– 2017/0128 (COD)]

181

2018/C 81/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/62/CE, relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l’uso di alcune infrastrutture[COM(2017) 275 final — 2017/0114 (COD)] e sulla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 1999/62/CE, relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l’uso di alcune infrastrutture, per quanto riguarda determinate disposizioni concernenti le tasse sugli autoveicoli[COM(2017) 276 final — 2017/0115 (CNS)]

188

2018/C 81/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — L’Europa in movimento: un’agenda per una transizione socialmente equa verso una mobilità pulita, competitiva e interconnessa per tutti[COM(2017) 283 final]

195

2018/C 81/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Accordo di libero scambio UE-Corea — Capitolo su commercio e sviluppo sostenibile

201

2018/C 81/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo sullo Scambio e protezione dei dati personali in un mondo globalizzato[COM(2017) 7 final]

209

2018/C 81/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1295/2013 che istituisce il programma Europa creativa (2014-2020)[COM(2017) 385 final — 2017/0163 (COD)]

215

2018/C 81/31

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Politica economica della zona euro 2017 (supplemento di parere)

216


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

529a sessione plenaria del CESE del 18 e 19 ottobre 2017

2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il potenziale delle piccole imprese familiari e tradizionali per stimolare lo sviluppo e la crescita economica nelle regioni»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 081/01)

Relatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Decisione dell’Assemblea plenaria

26 gennaio 2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

07 settembre 2017

Adozione in sessione plenaria

18 ottobre 2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

199/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

In una serie di suoi precedenti pareri il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha ripetutamente riservato un’accoglienza favorevole alle politiche dell’UE volte a sostenere le piccole e medie imprese (PMI) (1). Le PMI sono però una categoria estremamente eterogenea, e questo significa che è necessario uno sforzo particolare per modulare correttamente le politiche in funzione dei vari sottogruppi di tali aziende, soprattutto nel caso delle piccole imprese familiari e tradizionali (PIFT).

1.2.

L’importanza di questo sottogruppo risiede nel fatto che la maggior parte dei posti di lavoro nelle regioni dell’UE è riconducibile a questo tipo di impresa. Pur ribadendo le conclusioni già espresse in passato e ricordando le raccomandazioni formulate nei suoi pareri precedenti (2), il CESE intende approfondire ed esaminare le sfide cui sono confrontate le PIFT. Lo scopo è quello di offrire un’opportunità per influenzare in modo costruttivo il processo di definizione delle politiche, sia a livello dell’UE che sul piano nazionale e regionale.

1.3.

Il CESE esorta la Commissione europea a prendere in esame le modalità per sostenere e promuovere le PIFT, in quanto queste imprese rappresentano l’elemento cruciale per creare nuove attività e generare reddito in aree che dispongono di risorse limitate. Esse apportano un valore aggiunto al processo di sviluppo regionale, soprattutto nelle regioni meno sviluppate, dato che sono profondamente radicate nell’economia locale, nel cui ambito effettuano investimenti e preservano posti di lavoro.

1.4.

Il Comitato ritiene che esista un notevole potenziale di sviluppo in molte regioni che registrano ancora dei ritardi, e che questo potenziale sottoutilizzato possa essere sfruttato attraverso le PIFT locali. Questa sfida dovrebbe riguardare non solo la Commissione europea, ma anche altri soggetti che dovrebbero essere attivamente coinvolti, tra cui gli enti pubblici territoriali e gli intermediari locali, come le organizzazioni imprenditoriali e le istituzioni finanziarie.

1.5.

Il CESE invita la Commissione a prestare attenzione al fatto che i recenti sviluppi e andamenti sul piano economico e industriale hanno inciso negativamente sulle PIFT, che stanno perdendo competitività e devono affrontare crescenti difficoltà nello svolgimento delle loro operazioni.

1.6.

Il CESE esprime preoccupazione dato che gli strumenti strategici di sostegno non sono pensati per le PIFT e tali imprese hanno scarse probabilità di beneficiarne in misura significativa. In generale, il sostegno alle PMI è rivolto a potenziare le attività di ricerca e innovazione all’interno di questo tipo di imprese, oltre che nelle aziende in fase di avviamento (le cosiddette «start-up»). Pur non mettendo in discussione l’importanza di tali politiche, il CESE desidera sottolineare che solo una piccolissima percentuale di tutte le PMI ne trarrà beneficio e, in genere, le PIFT non sono tra queste. Il CESE accoglie con favore l’intenzione della Commissione europea di rivedere la definizione di PMI; i lavori in proposito, già avviati dalla DG GROW, sono stati provvisoriamente messi in calendario per l’inizio del 2019 (3).

1.6.1.

L’attuale definizione di PMI è ormai obsoleta, e per questo motivo il Comitato ritiene che la sua revisione, già prevista, possa essere utile per fornire una comprensione più adeguata della natura delle PMI e per elaborare politiche più rispondenti alle loro necessità. Il CESE invita la Commissione europea a condurre, nel quadro del processo di consultazione, una valutazione sulle modalità di applicazione dell’attuale definizione al momento di attuare le misure strategiche per le PMI a livello europeo, nazionale e regionale, prestando una particolare attenzione alle PIFT.

1.6.2.

Il CESE ritiene che, con la revisione della definizione, occorra almeno:

eliminare il «criterio degli effettivi» (4) quale criterio principale e permettere alle PMI di soddisfare due criteri, scelti dalle stesse PMI tra i tre criteri stabiliti, sulla base dell’approccio più recente definito nella direttiva 2013/34/UE (5);

condurre un’analisi approfondita delle soglie fissate all’articolo 2 della raccomandazione 2003/361/CE e, ove necessario, aggiornarle, anche facendole coincidere con quelle fissate dalla direttiva 2013/34/UE;

riesaminare e rivedere le restrizioni di cui all’articolo 3 dell’allegato della raccomandazione.

1.7.

Secondo il CESE, è importante che le PIFT siano riconosciute come un sottogruppo specifico, dato che generalmente sono le imprese più colpite nei casi di fallimento del mercato. Il Comitato raccomanda pertanto di elaborare politiche di sostegno concepite su misura per le loro necessità. Per affrontare i problemi più urgenti, queste politiche devono essere almeno volte a:

fornire assistenza per richiamare e formare la forza lavoro;

formare e riqualificare i gestori e/o i titolari delle PIFT;

fornire accesso a servizi di orientamento e consulenza;

migliorare l’accesso ai finanziamenti;

garantire maggiori informazioni e una migliore formazione del personale nelle organizzazioni locali dei datori di lavoro e nelle agenzie bancarie locali;

prestare servizi attraverso uno sportello unico;

rivedere gli adempimenti amministrativi a livello locale ed europeo;

garantire l’accesso a migliori e maggiori informazioni sui requisiti normativi, sui contesti imprenditoriali locali e sulle opportunità di mercato.

2.   Piccole imprese familiari e tradizionali — Contesto e importanza

2.1.

Una serie di sviluppi e tendenze industriali di attualità — la digitalizzazione, l’industria 4.0, i modelli imprenditoriali in rapida evoluzione, la globalizzazione, l’economia collaborativa e fonti più innovative di vantaggi competitivi — è in questo momento al centro del processo di elaborazione delle politiche dell’UE. Al tempo stesso, occorre riconoscere che le persone dovrebbero essere in grado di vivere ovunque nell’UE, anche in molte regioni che l’industria 4.0 non riuscirà probabilmente a raggiungere con facilità.

2.2.

Senza voler sminuire l’importanza di queste nuove tendenze e pur sostenendo gli sforzi politici volti a promuoverle, è necessario ricordare che la stragrande maggioranza dei posti di lavoro nelle regioni dell’UE è attualmente riconducibile a PMI (6) molto tradizionali e a piccole imprese familiari (7), la maggior parte delle quali vanta una lunga storia e tradizioni consolidate, oltre a una vasta esperienza e a numerosi successi riscossi nel corso del tempo. Questo gruppo di imprese solitamente comprende i seguenti sottogruppi:

piccole imprese, microimprese e imprese unipersonali;

PMI molto tradizionali, operanti in settori storicamente e tradizionalmente definiti;

PMI situate nelle zone isolate, come cittadine, piccoli centri abitati, regioni di montagna, isole ecc.;

piccole aziende a conduzione familiare;

imprese artigiane;

lavoratori autonomi.

2.3.

Come già precedentemente affermato dal CESE, le PIFT costituiscono l’ossatura di molte economie in tutto il mondo e il loro tasso di crescita è impressionante. Esse svolgono una funzione fondamentale nell’ambito dello sviluppo regionale e locale e hanno anche un ruolo distintivo e costruttivo all’interno delle comunità locali. Le imprese familiari riescono a resistere meglio ai periodi difficili di recessione e stagnazione. Queste imprese hanno caratteristiche uniche sul piano gestionale, dal momento che i loro titolari hanno profondamente a cuore le prospettive a lungo termine dell’impresa, soprattutto perché la posta in gioco sono le sorti, la reputazione e il futuro delle loro famiglie. La loro gestione è solitamente caratterizzata da un eccezionale attaccamento alla continuità dell’azienda e comporta un’attenzione più assidua nei confronti dei propri dipendenti, come pure la ricerca di legami più stretti con la clientela a sostegno dell’attività. In passato il CESE ha invitato la Commissione europea a mettere in campo una strategia attiva per promuovere tra gli Stati membri le buone pratiche in materia di imprese familiari (8).

2.4.

Negli ultimi anni numerose PIFT hanno incontrato crescenti difficoltà nello svolgimento delle loro attività, in quanto:

non sono ben attrezzate per prevedere le rapide trasformazioni dei contesti imprenditoriali e adattarvisi;

i loro modelli tradizionali di conduzione dell’attività d’impresa non sono più competitivi come lo erano in passato, a causa dell’evoluzione dei modelli imprenditoriali, ossia la digitalizzazione, modalità più efficaci di gestione delle imprese e lo sviluppo di nuove tecnologie;

hanno un accesso limitato alle risorse — ad esempio, sul piano dei finanziamenti, delle informazioni, del capitale umano, delle potenzialità di espansione sul mercato ecc.;

si trovano a far fronte a vincoli di carattere organizzativo — quali la mancanza di tempo, di qualità, di proprietà e gestione lungimiranti — e mostrano una tendenza all’inazione in rapporto al cambiamento comportamentale;

hanno scarse capacità di plasmare l’ambiente esterno e dispongono di un potere contrattuale minore, ma sono caratterizzate da una maggiore dipendenza da tale ambiente (9).

2.5.

L’Unione europea conta poco meno di 23 milioni di piccole e medie imprese, con una percentuale più elevata di PMI in proporzione al numero totale di imprese negli Stati meridionali dell’Unione (10). Le PMI non solo rappresentano il 99,8 % del totale delle imprese del settore non finanziario dell’UE (11), ma impiegano anche quasi il 67 % di tutti i lavoratori dipendenti e generano quasi il 58 % del valore aggiunto complessivo del settore non finanziario (12). Le microimprese, incluse le aziende unipersonali, sono di gran lunga le più ampiamente rappresentate in termini numerici.

3.   Linee politiche e priorità a livello dell’Unione

3.1.

È norma comune procedere alla generale razionalizzazione del sostegno alle PMI, in modo da aumentare la ricerca e l’innovazione all’interno delle PMI e da potenziare il loro sviluppo (13). Se si considera che la capacità di innovare e quella di agire a livello globale sono riconosciute come i due principali motori di crescita, va detto che le PMI presentano in genere delle carenze su entrambi i fronti (14). La metà delle tipologie di strumenti individuate nel corso dell’ultimo periodo di finanziamento persegue obiettivi quasi esclusivamente in termini di innovazione. Si tratta di strumenti che sostengono l’innovazione tecnologica e non tecnologica, l’eco-innovazione, la creazione di imprese innovative, i progetti di ricerca e sviluppo, nonché il trasferimento di conoscenze e tecnologie.

3.2.

Nel periodo 2007-2013 (15) il sostegno del FESR alle PMI è stato di circa 47,5 miliardi di EUR (ossia, il 76,5 % per il sostegno alle imprese e il 16 % della dotazione totale del FESR per quel periodo). Inoltre, su un totale di 18,5 milioni di imprese, sono state individuate circa 246 000 PMI beneficiarie. Il confronto tra il numero dei beneficiari e il numero totale delle imprese indica chiaramente che tale importo è assolutamente insufficiente e dimostra che l’UE non è riuscita a sostenere questa importantissima categoria di imprese. La Commissione europea non si sofferma su questa importante questione a causa della mancanza di risorse e della grande eterogeneità delle caratteristiche di tali aziende.

3.3.

Nello stesso periodo è stato applicato un numero relativamente elevato di strumenti strategici con un forte grado di variabilità, dato che il numero di beneficiari a cui tali strumenti si applicavano andava da 1 a 8 000-9 000. La scelta di creare strumenti applicabili a un numero estremamente ridotto di beneficiari è palesemente inefficiente e solleva la questione se valga la pena elaborare un numero così elevato di strumenti. Inoltre, occorre interrogarsi sulla loro efficacia ed efficienza, valutando le risorse umane e finanziarie coinvolte nella loro progettazione rispetto agli effetti prodotti (ammesso che ve ne siano). Al contempo, la casistica ha evidenziato un processo di auto-selezione o di soft targeting («bersaglio facile da centrare»), in cui un insieme specifico di beneficiari (di solito caratterizzati da una maggiore capacità di assorbimento) è divenuto il destinatario di un dato strumento strategico per effetto del modo stesso in cui quest’ultimo è stato progettato.

3.4.

Una rassegna generale (16) di un totale di 670 strumenti strategici nell’ambito dei 50 programmi operativi (PO) attuati durante il periodo di programmazione rivela che la distribuzione tra le diverse politiche è piuttosto disomogenea. La rassegna mostra che meno del 30 % di tutti gli strumenti strategici era rivolto alle esigenze delle imprese tradizionali. Il CESE ha già manifestato il proprio sostegno a favore delle imprese innovative e in forte espansione (17). Al tempo stesso, tuttavia, il Comitato si rammarica che gli strumenti strategici siano orientati, in misura prevalente e sproporzionata, agli obiettivi di innovazione delle PMI, dato che la maggior parte delle piccole e medie imprese dell’Unione non dispone di alcun potenziale innovativo (e non ne disporrà in un prossimo futuro), né tale potenziale è richiesto dall’attività primaria che queste imprese svolgono. È vero che i prodotti innovativi potrebbero essere sviluppati a costi estremamente contenuti e potrebbero avere un elevato potenziale di crescita, ma questo tipo di crescita è chiaramente l’eccezione e non la regola per le imprese tradizionali e familiari, che operano secondo una filosofia totalmente diversa. L’innovazione è in certa misura possibile e opportuna, e le nuove generazioni, essendo di più ampie vedute, stanno iniziando a innovare, ma nella maggior parte dei casi l’innovazione è soltanto frammentata e non rientra nell’attività principale di queste imprese (18).

3.5.

Le PIFT non sono il principale obiettivo degli strumenti strategici di sostegno, come dimostra il fatto che una minoranza di tali strumenti (solo il 7 % del contributo pubblico totale) è orientato alle PMI operanti in settori particolari, il più comune dei quali è il turismo. Lo dimostra anche il fatto che circa il 54 % delle PMI beneficiarie si concentra nel settore manifatturiero e nelle TIC (10 %), mentre soltanto il 16 % delle PMI opera nei settori del commercio all’ingrosso e al dettaglio, e il 6 % nei servizi ricettivi e di ristorazione, che sono considerati settori tradizionali. Ad aggravare la situazione c’è anche il fatto che nell’ultimo periodo di programmazione il sostegno alle PMI è stato strutturato in funzione della grave crisi economica, tenendo conto della necessità di spostare le risorse dall’innovazione per destinarle a una più generica crescita.

3.6.

Al contempo i dati dimostrano che, nei primi cinque anni dall’inizio della crisi del 2008, il numero delle PMI è aumentato, mentre il valore aggiunto e il numero dei dipendenti sono diminuiti (19). Tali dati statistici lasciano intendere che in questo periodo «l’imprenditoria per necessità» ha prevalso sull’«imprenditoria per opportunità». Ovviamente le persone si sono industriate per trovare un modo di resistere alla crisi e le aziende si sono sforzate di sopravvivere, ma il sostegno è stato insufficiente o inadeguato (20).

3.7.

Numerosi studi recenti hanno chiaramente dimostrato che esistono differenze significative tra le esigenze delle PMI dell’Europa settentrionale e di quelle dell’Europa meridionale, e tali differenze si osservano anche a livello nazionale. Questo giudizio è inoltre pienamente confermato dalla relazione annuale 2014-2015 della Commissione europea sulle PMI europee, secondo cui il gruppo di paesi con il punteggio minimo si colloca per lo più nell’Europa meridionale. Questi Stati riportano percentuali estremamente basse in rapporto alla riuscita dei progetti, anche nella componente PMI di Orizzonte 2020.

3.8.

Un’ulteriore importante sfida in termini di fornitura di un sostegno efficace alle PIFT è rappresentata dal fatto che le politiche di promozione sono per lo più formulate in base alle dimensioni delle aziende da sostenere, e non di caratteristiche più pertinenti che hanno un impatto maggiore sulle loro attività. Si tratta di un approccio che potrebbe risultare obsoleto e non sufficientemente mirato, e che non riesce a tener conto delle diverse esigenze di gruppi differenti come le PIFT. Nei suoi pareri il CESE ha pertanto costantemente sottolineato l’esigenza, in Europa, di politiche di promozione delle PMI maggiormente mirate e meglio definite, come pure la necessità di aggiornare la definizione di PMI per tener meglio conto dell’eterogeneità di tali imprese (21).

3.9.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che soltanto una piccola percentuale del sostegno a titolo del FESR abbia sinora prodotto effetti documentati (22), dimostrando così di avere un effetto reale sull’economia. Ciò rimette in discussione l’impatto effettivo dei fondi investiti per sostenere le PMI, e il CESE insiste affinché sia realizzata una valutazione dell’impatto reale che comprenda un’analisi del sostegno concesso alle PIFT.

3.10.

Il FESR non è l’unica fonte di sostegno per le PIFT. Le PMI ricevono un sostegno anche da altre fonti — come il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) (23), il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (24) o il Fondo sociale europeo (FSE) (25) — che possono essere utilizzate separatamente o attraverso gli strumenti territoriali (lo sviluppo locale di tipo partecipativo (Community-Led Local Development — CLLD) e gli investimenti territoriali integrati (ITI)]. Tuttavia tali fondi non sono pensati in funzione delle PIFT e solo una minima parte dei finanziamenti va a tali imprese. Secondo i rappresentanti delle PIFT, le loro esigenze specifiche non sono ben comprese oppure non sono adeguatamente soddisfatte.

3.10.1.

Questa situazione potrebbe spiegarsi col fatto che, al momento di elaborare gli strumenti strategici di sostegno, i responsabili politici e le amministrazioni a livello europeo, nazionale e locale mostrano per certi versi un’eccessiva rigidità e non riescono a tener conto dei punti di vista delle imprese e delle parti sociali, al fine di comprendere le reali esigenze delle piccole e piccolissime aziende.

3.10.2.

Naturalmente la colpa non può essere attribuita soltanto alle amministrazioni, ma anche alle organizzazioni intermediarie, che non sono riuscite a comunicare in modo efficace le reali esigenze delle PMI. Un valido esempio in tal senso è che le PMI sembrano mostrare una spiccata preferenza per le sovvenzioni alle imprese, in contrasto con la crescente importanza attribuita nel dibattito politico al finanziamento con capitale di rischio, al sostegno rimborsabile e al sostegno indiretto.

3.10.3.

Anche i partenariati tra imprese e centri di ricerca e il ricorso a soggetti intermediari affinché forniscano assistenza alle PMI sembrano essere meno diffusi di quanto previsto, nonostante tali tematiche attirino una grande attenzione. È stato sostenuto che tale disallineamento potrebbe in parte essere giustificato dalla crisi, ma in fase di recessione economica i responsabili politici avrebbero potuto optare per strumenti strategici più «tradizionali» per sostenere le economie locali in un momento critico.

3.10.4.

Nella realtà, la possibilità di ricorrere a vari strumenti finanziari specifici non è alla portata delle PIFT a causa delle difficoltà connesse all’attuazione di tali strumenti e alla mancanza di esperienza e conoscenze.

4.   Necessità di tener conto dell’eterogeneità delle PMI

4.1.

Se considerate in percentuale del fatturato, le esportazioni delle piccole imprese sono in genere minori rispetto a quelle delle medie e grandi imprese, il che lascia supporre l’esistenza di una correlazione tra le dimensioni di un’azienda e le sue capacità di esportazione.

4.2.

L’accesso ai finanziamenti rappresenta un problema serio per le PMI e le imprese in fase di avviamento («start-up»). In una relazione informativa il CESE ha richiamato l’attenzione sul fatto che dal 2008 l’attività delle PMI è limitata dall’insufficiente erogazione di credito (26). Sebbene la situazione sia recentemente migliorata, i progressi si sono rivelati tanto più lenti quanto minori sono le dimensioni dell’azienda, una situazione che indica ancora una volta l’importanza della dimensione delle imprese nel modellarne esigenze e prestazioni. Inoltre, le PMI fanno perlopiù assegnamento sui prestiti bancari per ottenere dei finanziamenti, ma il sistema bancario non si adatta bene alle necessità di questo tipo di imprese, e in particolare delle PIFT.

4.3.

Di recente il sostegno finanziario è stato principalmente rivolto alle imprese in fase di avviamento («start-up»), che rappresentano una quota molto modesta delle PMI dell’Unione, ma non sono ancora state adeguatamente affrontate né l’urgente necessità di fornire capitali per il finanziamento delle imprese in espansione («scale-up»), né l’esigenza della stragrande maggioranza delle imprese tradizionali di finanziare le loro attività ordinarie, che hanno risentito della recente crisi. Sono stati segnalati casi di dissesti di alcune banche che hanno portato al fallimento di talune piccole imprese semplicemente per problemi di liquidità.

4.4.

Un’altra grave difficoltà che le PMI incontrano, a differenza delle grandi imprese, riguarda l’accesso alle informazioni e ai nuovi mercati. Queste aziende hanno inoltre maggiori difficoltà ad assumere e a conservare una forza lavoro altamente qualificata, nonché a conformarsi a requisiti normativi e burocratici che diventano sempre più numerosi. Questa situazione di svantaggio si aggrava ulteriormente nel caso delle PMI situate nelle regioni meno sviluppate dell’Unione europea, che devono far fronte alla mancanza di opportunità di cooperazione con le grandi imprese nel quadro della loro catena del valore, a minori opportunità di partecipazione a cluster competitivi, a un’insufficiente fornitura di beni pubblici, all’accesso a un numero minore di strutture e istituzioni di sostegno e spesso anche a una clientela in calo. Tutti questi fattori possono anche causare un aumento dei costi per collocare i prodotti sul mercato.

4.5.

Pertanto, per le PMI tradizionali e per quelle situate nelle regioni meno sviluppate dell’UE, gli strumenti strategici di vitale importanza non sono quelli incentrati sulla promozione dell’innovazione, l’accesso ai nuovi mercati, l’internalizzazione, l’accesso ai mercati dei capitali e così via, quanto piuttosto quelli che aiutano le PMI a migliorare se stesse e le proprie prestazioni nell’ambito delle loro attività primarie, come ad esempio strumenti che agevolino l’accesso al credito bancario ordinario, alle informazioni, a una forza lavoro qualificata e ad opportunità imprenditoriali immediate (miglioramento dell’operatività quotidiana). Per queste imprese anche dare inizio a un cambiamento comportamentale non ha senso nel breve periodo, perché per prima cosa è necessario cambiare il contesto generale in cui operano.

4.6.

Mentre in alcuni paesi gli incubatori di imprese funzionano correttamente, in altri i loro effetti positivi sono piuttosto limitati. Il principale fattore di successo è una cultura di condivisione delle risorse organizzative e delle reti di sostegno, che in linea di principio non sono abbastanza consolidate nelle regioni meno sviluppate dell’UE.

4.7.

La crescente importanza di una produzione ad alto contenuto di conoscenze quale vantaggio competitivo aumenta ulteriormente l’eterogeneità delle PMI, operando una distinzione tra le PMI a forte crescita e altre PMI il cui sviluppo è frenato da ostacoli tradizionalmente legati alle loro dimensioni ridotte, alla loro ubicazione e al loro portafoglio clienti.

4.8.

Il CESE invita la Commissione europea a sostenere l’approccio Act Small First («agire anzitutto in piccolo») e a prestare particolare attenzione alle PIFT nella fase di elaborazione degli strumenti strategici.

4.9.

Trenta o quarant’anni fa l’Europa contava numerose regioni in ritardo di sviluppo, territori che sul piano geografico o funzionale erano distanti dai motori della crescita economica. Alcune di esse oggi sono prospere grazie all’azione di amministrazioni locali aperte, responsabili e oneste, all’efficiente operato delle organizzazioni imprenditoriali e alla creazione di reti locali funzionanti tra le imprese.

5.   Le sfide e i modi per affrontarle, al fine di promuovere più efficacemente lo sviluppo delle piccole imprese familiari e tradizionali

5.1.

L’accesso ai finanziamenti è un problema ben noto. Rispetto alle imprese di maggiori dimensioni, le PIFT presentano una varianza maggiore in termini di redditività, sopravvivenza e crescita, il che spiega i particolari problemi che tali imprese devono affrontare per finanziarsi. Solitamente le PMI, a causa delle scarse garanzie depositabili, tendono a essere esposte a tassi di interesse più elevati e a un razionamento del credito. Le difficoltà di finanziamento differiscono notevolmente fra le aziende che crescono lentamente e quelle in rapida crescita.

5.2.

L’espansione dei fondi di capitale di rischio, dei mercati del private equity (compresi i mercati informali e i business angels) e del microfinanziamento diffuso (o crowdfunding), nonché lo sviluppo dell’Unione dei mercati dei capitali hanno generalmente migliorato l’accesso al capitale di rischio per particolari categorie di PMI, ma le PIFT molto probabilmente non sono in grado di trarre grande profitto da questi sviluppi e continuano a dipendere in larghissima misura dai prestiti bancari tradizionali. Questi strumenti non sono sempre di facile uso persino per le aziende innovative, le imprese in fase di avviamento («start-up») e le società di medie dimensioni, e le differenze tra i paesi rimangono considerevoli a causa del livello di sviluppo dei mercati di capitali locali e della mancanza di una normativa adeguata.

5.3.

La strategia della Commissione europea intesa ad agevolare l’accesso ai finanziamenti fornendo garanzie è senz’altro da accogliere favorevolmente. Tuttavia, il sistema prescelto sembra generare distorsioni sul mercato delle garanzie e, in ultima analisi, conseguenze indesiderate per l’attività degli istituti di garanzia. Esistono dati empirici (la Spagna è un esempio al riguardo) secondo cui le banche commerciali suggeriscono esplicitamente ai loro mutuatari di rivolgersi all’UE affinché emetta nei loro confronti una garanzia diretta, in modo che la banca possa coprire i rischi correnti tramite la garanzia emessa senza necessità di aumentare la loro classe di rischio. A essere tagliate fuori sono le cosiddette «PMI svantaggiate» (cioè quelle che fanno fatica a ottenere il credito). Una maggiore iniezione di fondi pubblici, erogati tramite controgaranzie, aumenterà l’efficienza nell’utilizzo di tali fondi e avrà un effetto moltiplicatore più forte sul mercato e sull’economia nel suo complesso.

5.4.

Gli oneri normativi europei e locali sono tuttora un ostacolo rilevante per le PIFT, che tendono a essere scarsamente preparate quando si tratta di affrontare i problemi derivanti da un’eccessiva regolamentazione. Per affrontarli esse hanno bisogno di un agevole accesso alle informazioni sulle normative e devono essere meglio informate sulle norme tecniche e ambientali. I responsabili politici devono provvedere affinché le procedure intese ad assicurare l’adempimento degli obblighi non siano inutilmente dispendiose, complesse o lunghe. Inoltre, sarebbe opportuno un controllo attento e sistematico delle nuove normative e della loro attuazione da parte delle pertinenti associazioni locali di categoria.

5.5.

È necessario un accesso a informazioni migliori, non soltanto in relazione ai requisiti normativi; anche le informazioni sull’ambiente imprenditoriale locale e sulle opportunità di mercato a livello regionale sono di vitale importanza per le imprese tradizionali e familiari. Le tecnologie moderne hanno un notevole potenziale in termini di riduzione del divario informativo se concepite in modo da risultare facilmente fruibili per gli utenti. Sarebbe di grande utilità l’istituzione di uno «sportello unico», ossia di un’unica «centrale» che metta a disposizione tutte le necessarie informazioni aventi un’incidenza su strategie e decisioni aziendali, come già accade in alcuni paesi. Le misure intese a promuovere le reti informative devono cercare di personalizzare le banche dati e di evitare il sovraccarico di informazioni.

5.6.

Le recenti misure volte ad agevolare l’accesso ai mercati si sono principalmente concentrate sui mercati internazionali. In tale ambito le strategie cercano di affrontare gli svantaggi di cui risentono le PMI a causa del mancato accesso alle risorse umane, ai mercati esterni e alla tecnologia. Tuttavia, come già detto, per le piccole imprese tradizionali e familiari si tratta spesso di un fattore di scarsa rilevanza. Pertanto, gli sforzi dovrebbero puntare a migliorare il coordinamento tra gli organizzatori di missioni commerciali a livello regionale e a fornire un’assistenza migliore nella ricerca di partner commerciali affidabili. Un’altra possibilità nello stesso settore consiste nel potenziare gli sforzi per aumentare la «quota» dei contratti della pubblica amministrazione che le piccole imprese ottengono nell’ambito degli appalti pubblici.

5.7.

Un problema molto specifico che le piccole imprese tradizionali e familiari hanno affrontato di recente è l’accesso alla manodopera qualificata. Nelle zone remote e in molte regioni in ritardo di sviluppo il quadro demografico si sta deteriorando e, di conseguenza, in molte aree si osserva una significativa scarsità di manodopera specializzata. Le PIFT necessitano pertanto di assistenza sia per individuare e attrarre risorse umane che per formarle. I programmi di formazione dovrebbero essere destagionalizzati e concepiti in funzione delle necessità. Andrebbe inoltre creato un sistema che offra periodicamente questo tipo di programmi, in quanto è possibile che le piccole imprese debbano fare fronte a un alto tasso di avvicendamento del personale.

5.8.

In un’impresa familiare è comune che i discendenti della famiglia del fondatore, ma anche altri soggetti che non lo sono, lavorino per quell’impresa. Fa parte della tradizione e giova all’andamento degli affari, perché agevola un ordinato passaggio di proprietà dell’azienda da una generazione all’altra o consente di acquisire familiarità con il futuro lavoro. In questi casi i titolari e/o i gestori dovrebbero sempre tenere presente che le condizioni di lavoro devono rispettare quanto disposto dalle convenzioni dell’OIL n. 138 e n. 182 sul lavoro minorile.

5.9.

La formazione è necessaria, benché questo non valga solo per i dipendenti delle PIFT. Nelle zone rurali e remote i dipendenti delle banche e le organizzazioni dei datori di lavoro spesso non sono a conoscenza dei vari programmi e delle differenti possibilità che la Commissione europea mette a disposizione, e tanto meno sanno quali sono le procedure e la documentazione correlate. Questa rete di intermediari è estremamente importante ai fini di un sostegno efficiente alle PIFT. Andrebbero promossi i programmi di informazione e lo scambio di buone pratiche tra tali intermediari. Bisognerebbe inoltre istituire un unico punto di contatto per tutte le forme di finanziamento e tutti i tipi di programma.

5.10.

Un’importante misura strategica dovrebbe essere quella di rafforzare la «qualità» dei titolari e/o gestori delle PIFT, dal momento che all’interno di tali aziende tutto è direttamente correlato a tale fattore. Si potrebbe procedere in tal senso promuovendo la formazione e/o assicurando un facile accesso a servizi di orientamento e di consulenza. Andrebbe promosso l’apprendimento permanente: gli strumenti didattici online relativi a materie quali la pianificazione aziendale, le norme di produzione, la legislazione sulla protezione dei consumatori o altre regolamentazioni potrebbero costituire un passo nella giusta direzione.

5.11.

Un’altra possibile misura consiste nell’incentivare le PIFT affinché reinvestano gli utili. Se incentivate ad agire in questo modo, tali imprese diventeranno più stabili e meno dipendenti dai prestiti delle banche, e saranno anche meno esposte alle crisi.

5.12.

Sarebbe molto utile preparare un compendio delle buone pratiche attuate in vari paesi nei settori con un’elevata presenza di PIFT — come il turismo, l’agricoltura, la pesca ecc. — per poi presentarlo agli Stati membri.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. i pareri del CESE sui temi Misure politiche per le PMI (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 7), Gli appalti pubblici internazionali (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 32), Uno Small Business Act per l’Europa (GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30), Strumenti derivati OTC, controparti centrali e repertori di dati sulle negoziazioni (GU C 54 del 19.2.2011, pag. 44) e Accesso ai finanziamenti per le PMI (EESC-2014-06006-00-00-RI-TRA).

(2)  Cfr. i pareri del CESE sui temi Impresa familiare (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 8), Riesame dello «Small Business Act» (GU C 376 del 22.12.2011, pag. 51) e Diversità delle forme d’impresa (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 22).

(3)  Valutazione d’impatto iniziale (2017)2868537 dell’8 giugno 2017.

(4)  Articolo 4 dell’allegato alla raccomandazione della Commissione 2003/361/CE.

(5)  Direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013.

(6)  Le piccole imprese tradizionali sono quelle che da molto tempo mantengono lo stesso modello imprenditoriale e sono al servizio di una clientela proveniente da comunità relativamente piccole, come, ad esempio, piccoli ristoranti e caffetterie, distributori di benzina indipendenti, panifici, alberghi a conduzione familiare, piccole aziende attive nel settore dei trasporti e del commercio ecc.

(7)  Non esiste una definizione univoca di impresa familiare, ma esistono invece varie definizioni operative che sono andate modificandosi nel corso degli anni. Tali definizioni mettono in evidenza che le imprese familiari sono quelle in cui una famiglia controlla in larga misura l’attività imprenditoriale partecipando all’assetto proprietario e detenendo posizioni direttive. (Sciascia e Mazzola, Family Business Review, vol. 21, n. 4, 2008). Nei paesi dell’OCSE le imprese a conduzione familiare rappresentano complessivamente più dell’85 % di tutte le aziende; alcune di esse sono grandi società, ma il presente parere concentra l’attenzione sulle piccole imprese familiari.

(8)  Cfr. il parere del CESE sul tema L’impresa familiare in Europa (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 8).

(9)  Studi vari (ad esempio, Parlamento europeo, 2011; Centro per i servizi di strategia e valutazione (Centre for Strategy and Evaluation Services — CSES, 2012; Commissione europea 2008; OCSE, 1998).

(10)  La raccomandazione della Commissione 2003/361/CE fornisce una definizione delle piccole e medie imprese, che vengono poi ulteriormente classificate in tre categorie: micro, piccole e medie imprese, a seconda del numero di persone occupate e del fatturato. Le principali fonti statistiche non forniscono dati sulle imprese definite come piccole e medie imprese, a causa di una rigida applicazione della suddetta definizione di PMI. I dati a disposizione si basano sul criterio del numero di dipendenti. Pertanto, i dati statistici citati nel presente parere si basano su questa definizione. Va sottolineato che l’utilizzo dei criteri relativi al fatturato e/o agli attivi totali non dovrebbe comportare modifiche significative dei dati statistici, ma l’applicazione delle norme sull’autonomia delle imprese potrebbe avere un impatto sostanziale sui risultati; in uno studio condotto in Germania, l’applicazione di questa norma ha ridotto il numero totale delle «PMI» del 9 % (CSES, 2012).

(11)  Il settore non finanziario è costituito da tutti i settori economici dell’UE a 28 o degli Stati membri, esclusi i servizi finanziari, i servizi pubblici, l’istruzione, la sanità, l’arte e la cultura, l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca.

(12)  Relazione annuale 2014-2015 sulle PMI europee, Commissione europea.

(13)  Final Report, Work Package 2, ex post evaluation of Cohesion Policy programmes 2007-2013, focusing on the European Regional Development Fund (ERDF) and the Cohesion Fund (CF) [«Relazione finale, pacchetto di lavoro 2, valutazione ex post dei programmi della politica di coesione per il periodo 2007-2013, con particolare riferimento al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e al Fondo di coesione»], contratto: 2014CE16BAT002, http://ec.europa.eu/regional_policy/en/policy/evaluations/ec/2007-2013/

(14)  Support to SMEs — Increasing Research and Innovation in SMEs and SME Development, Work Package 2, First Intermediate Report, Volume I: Synthesis Report, Ex post evaluation of Cohesion Policy programmes, 2007-2013, focusing on the European Regional, Development Fund (ERDF) and the Cohesion Fund (CF), [«Sostegno alle PMI — Rafforzare la ricerca e l’innovazione all’interno delle PMI e potenziare il loro sviluppo, pacchetto di lavoro 2, prima relazione intermedia, volume I: relazione di sintesi, valutazione ex post dei programmi della politica di coesione per il periodo 2007-2013, con particolare riferimento al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e al Fondo di coesione» (FC)], contratto: 2014CE16BAT002, luglio 2015.

(15)  Stessa fonte della nota 13.

(16)  Stessa fonte della nota 14.

(17)  Cfr. il parere d’iniziativa del CESE sul tema Promuovere le imprese innovative e in forte espansione (GU C 75 del 10.03.2017, pag. 6).

(18)  Un buon esempio è il turismo rurale, che attualmente per la commercializzazione si affida in larga misura alle piattaforme digitali.

(19)  Dati tratti dallo SME Performance Review («Rassegna delle prestazioni delle PMI») della Commissione europea (edizione 2014).

(20)  Un «imprenditore per necessità» è una persona che si è vista costretta a diventare un imprenditore perché non disponeva di un’alternativa migliore. Un «imprenditore per opportunità» è invece una persona che ha scelto attivamente di avviare una nuova impresa basandosi sulla percezione dell’esistenza di un’opportunità commerciale inesplorata o sottoutilizzata. Gli elementi raccolti lasciano intendere che l’imprenditoria per necessità e l’imprenditoria per opportunità esercitano un influsso molto diverso sulla crescita economica e lo sviluppo. Di solito l’imprenditoria per necessità non ha alcun impatto sullo sviluppo economico, mentre l’imprenditoria per opportunità influisce su di esso in modo positivo e significativo.

(21)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 64.

(22)  Sulla base delle informazioni rese disponibili dal sistema di monitoraggio e da altre fonti (ad esempio, la valutazione ad hoc), risulta che soltanto il 12 % di tutti gli strumenti politici danno prova evidente dei loro risultati positivi. Gli strumenti politici che si possono considerare inefficaci rappresentano fino al 5 % del totale.

(23)  https://ec.europa.eu/fisheries/cfp/emff_it

(24)  https://ec.europa.eu/agriculture/cap-funding_en

(25)  http://ec.europa.eu/esf/home.jsp?langId=it

(26)  Cfr. la relazione informativa del CESE sul tema Accesso ai finanziamenti per le PMI e le società a media capitalizzazione nel periodo 2014-2020: opportunità e sfide.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il finanziamento delle organizzazioni della società civile da parte dell’UE»

(Parere d’iniziativa)

(2018/C 081/02)

Relatore:

Jean-Marc ROIRANT

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno

 

 

Decisione dell’Assemblea plenaria

30.3.2017

 

 

Commissione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

27.9.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

188/15/10

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le organizzazioni della società civile (OSC) svolgono un ruolo di primo piano nella promozione di una cittadinanza attiva in Europa. Una democrazia partecipativa necessita degli organi intermediari per coinvolgere i cittadini e consentire loro di esprimersi in tutti gli spazi civici. L’esistenza di una società civile organizzata forte, indipendente e diversificata si basa su finanziamenti pubblici adeguati.

1.2.

Al di là dell’acuta difficoltà rappresentata dall’accesso ai fondi pubblici, la riduzione dello spazio civico — osservata in alcuni Stati membri dell’UE, è l’elemento più pericoloso per il funzionamento delle organizzazioni della società civile e per la democrazia europea.

1.3.

Secondo il CESE, andrebbe creato, a livello europeo e nazionale, un quadro politico e legislativo che favorisca lo sviluppo di una società civile europea diversificata, la cui attività deve essere svolta nell’ambito dei valori che emergono dai diritti fondamentali.

1.4.

Analogamente a quanto già fatto a livello nazionale da alcuni Stati membri attraverso le cosiddette «carte di impegni reciproci» o i cosiddetti «patti», le istituzioni europee potrebbero impegnarsi per un autentico dialogo civile europeo. È necessario riprendere il dibattito su uno statuto dell’associazione europea e su uno statuto europeo delle fondazioni, nonché garantire l’attuazione dell’articolo 11 del TUE sul dialogo strutturato con la società civile.

1.5.

L’UE dovrebbe incoraggiare gli Stati membri a mantenere o a sviluppare gli incentivi fiscali per le donazioni da parte di privati e a destinare una parte del loro gettito fiscale alle organizzazioni della società civile. L’UE dovrebbe inoltre eliminare gli ostacoli alle donazioni transfrontaliere attraverso il coordinamento delle normative e delle procedure fiscali, e investire in attività filantropiche in tutta l’UE.

1.6.

Le istituzioni europee dovrebbero assicurare la promozione di un’immagine positiva delle organizzazioni della società civile e adoperarsi per salvaguardarne l’indipendenza, in particolare attraverso il rafforzamento della loro capacità di azione e di impegno nell’innovazione sociale e nella partecipazione civica.

1.7.

Il CESE chiede una strategia che agevoli lo sviluppo di una società civile forte e indipendente in Europa e che porti alla creazione della carica di Mediatore dell’UE per le libertà dello spazio civico a cui le ONG riferiscano i casi relativi a qualsiasi azione molesta o limitativa del loro lavoro.

1.8.

Per quanto concerne il futuro quadro finanziario pluriennale, il CESE invita le autorità di bilancio ad aumentare il sostegno alle organizzazioni della società civile, soprattutto mediante sovvenzioni di funzionamento e finanziamenti pluriennali.

1.9.

Il CESE invita la Commissione a proporre un fondo europeo per la democrazia, i diritti umani e i valori all’interno dell’UE (1) dotato di un bilancio ambizioso, direttamente accessibile alle organizzazioni della società civile in tutta Europa e gestito in modo indipendente, analogamente a Fondo europeo per la democrazia con la partecipazione di rappresentanti del CESE (2).

1.10.

Al fine di promuovere la democrazia partecipativa, il CESE ritiene che il programma «Europa per i cittadini» debba essere dotato di un bilancio di 500 milioni di EUR nell’ambito del prossimo Quadro finanziario pluriennale (QFP), come proposto dal Parlamento europeo (3). Analogamente, bisogna potenziare le azioni del programma Erasmus+ mirate alla società civile.

1.11.

Il CESE invita la Commissione a monitorare l’attuazione del codice di condotta sul partenariato con la società civile nell’ambito dei fondi strutturali. La Commissione dovrebbe inoltre esortare le autorità nazionali e regionali a utilizzare le disposizioni relative all’assistenza tecnica, intese a dare impulso allo sviluppo di capacità, per le organizzazioni della società civile.

1.12.

Il CESE chiede una discussione più approfondita su come garantire un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nei programmi di ricerca attraverso la promozione di collegamenti tra i ricercatori e la società civile e l’introduzione di un nuovo asse tematico sulla partecipazione civica e la democrazia nel quadro del pilastro «Sfide per la società» del futuro programma quadro di ricerca.

1.13.

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile e le priorità in materia di parità di genere dovrebbe confluire nel futuro QFP.

1.14.

L’UE dovrebbe mantenere e rafforzare ulteriormente il suo primato di donatore nell’ambito dell’assistenza umanitaria e della cooperazione internazionale, e assumere l’iniziativa nella promozione di una società civile a tutto tondo.

1.15.

Il CESE accoglie con favore la proposta, avanzata dalla Commissione nel quadro del progetto di revisione del regolamento finanziario, di annoverare fra le spese ammissibili il tempo dei volontari (una risposta diretta al parere del Comitato sul tema Strumenti statistici per misurare il volontariato) (4), nonché di agevolare la contabilizzazione dei contributi in natura come cofinanziamenti. Il Comitato accoglie altresì favorevolmente la relazione del Parlamento che chiede di semplificare la vigilanza sui fondi, attraverso ad esempio un riconoscimento reciproco della valutazione e delle revisioni contabili, e di accelerare le risposte ai richiedenti e la firma dei contratti e dei pagamenti. Il CESE invita le istituzioni dell’UE a trovare un accordo sul testo proposto che consentirà di valutare equamente il tempo dei volontari.

1.16.

Il rafforzamento della società civile dipende da un migliore accesso ai finanziamenti anche per le organizzazioni più piccole così come per i gruppi più svantaggiati. A tal fine, la Commissione dovrebbe prevedere diverse modalità di finanziamento e semplificare ulteriormente le formalità amministrative, fornire formazione e orientamenti per l’esecuzione dei contratti e il rispetto degli obblighi finanziari, garantendo al tempo stesso un’interpretazione coerente del regolamento finanziario da parte dei suoi servizi.

1.17.

Il CESE invita la Commissione europea ad adottare tempestivamente opportune misure, incluse eventuali procedure di infrazione, nei confronti degli Stati membri le cui disposizioni giuridiche o amministrative nazionali limitano l’accesso delle organizzazioni nazionali della società civile ai fondi dell’UE, anche nel caso in cui vengano imposte condizioni di finanziamento tali da ostacolare la loro attività di sensibilizzazione.

2.   Introduzione

2.1.

In numerosi pareri il CESE affronta il tema del dialogo civile e della democrazia partecipativa, la definizione di tali concetti, la rappresentatività dei diversi attori e le misure da attuare a livello europeo. Il CESE ha in particolare sottolineato che l’attuazione dell’articolo 11 del trattato sull’Unione europea (5) assume un’importanza vitale per l’UE nella sua ricerca di legittimità democratica presso i cittadini europei.

2.2.

Tuttavia, la questione relativa al modo in cui i finanziamenti possono contribuire ad agevolare la cittadinanza attiva e la democrazia partecipativa non è stata finora esaminata in un parere specifico.

2.3.

In quest’ottica, è necessario esaminare con urgenza la ripartizione dei finanziamenti dell’UE e la loro efficacia, nel momento in cui le istituzioni dell’Unione europea si accingono a discutere la proposta relativa al Quadro finanziario pluriennale per il periodo successivo al 2020 e sono in procinto di adottare una decisione sulla revisione del regolamento finanziario.

2.4.

Le questioni riguardanti il finanziamento sono inoltre legate al riconoscimento di un ruolo e di uno status specifici ai diversi attori del dialogo civile europeo. Il CESE si è già più volte pronunciato sulla necessità di uno statuto dell’associazione europea (6).

2.5.

Nel quadro del presente parere, con l’espressione «organizzazioni della società civile» si intendono le organizzazioni non governative senza fini di lucro, indipendenti da istituzioni pubbliche e libere da interessi commerciali, che contribuiscono con le loro azioni alla realizzazione degli obiettivi della Carta dei diritti fondamentali, come l’inclusione sociale, la partecipazione attiva dei cittadini, lo sviluppo sostenibile in tutte le sue forme, l’istruzione, la salute, l’occupazione, i diritti dei consumatori, l’assistenza ai migranti e ai profughi, e i diritti fondamentali (7).

3.   Il ruolo delle organizzazioni della società civile

3.1.

Una società civile impegnata, pluralistica e indipendente svolge un ruolo essenziale sia nel promuovere la partecipazione attiva dei cittadini al processo democratico che nel garantire la governance e la trasparenza a livello europeo e nazionale. Essa può inoltre contribuire alla definizione di politiche più efficaci ed eque, oltre a favorire uno sviluppo sostenibile e una crescita inclusiva (8). Nella misura in cui sono in grado di «raggiungere i gruppi di popolazione più indigenti e più sfavoriti della popolazione, e di dar voce a coloro che non sono in grado di farsi ascoltare», le OSC consentono una maggiore partecipazione e contribuiscono alla definizione delle politiche europee (9).

3.2.

Al di là delle loro funzioni civiche e sociali, le organizzazioni della società civile, o almeno alcune di esse, operano anche nel cosiddetto settore dell’economia sociale e solidale e contribuiscono, peraltro in modo non trascurabile, alla creazione di posti di lavoro.

3.3.

Le organizzazioni della società civile hanno la peculiarità di riunire, nella realizzazione di progetti di varia natura, prevalentemente volontari molto impegnati e dipendenti molto coinvolti. Il volontariato, inteso come espressione attiva di partecipazione civica che consente di rafforzare i valori europei comuni come la solidarietà e la coesione sociale, deve poter beneficiare di un ambiente favorevole (10).

3.4.

Un’autentica democrazia partecipativa necessita di organismi intermediari (sindacati, organizzazioni dei datori di lavoro e delle PMI, ONG, altri soggetti senza fini di lucro ecc.) per coinvolgere i cittadini e aiutarli ad appropriarsi, in modo generalizzato e civico, delle sfide europee e della costruzione di un’Europa più giusta, più solidale e più inclusiva. L’esistenza di una società civile organizzata forte e diversificata poggia sulla disponibilità di finanziamenti pubblici adeguati e sulla presenza di un quadro che agevola l’accesso a differenti forme di finanziamento privato.

4.   Le differenti forme di finanziamento

4.1.

A livello dell’Unione europea, esistono numerosi programmi in vari settori (istruzione, cultura, affari sociali, cittadinanza, ambiente, diritti fondamentali, ricerca, cooperazione internazionale, aiuti umanitari, salute ecc.), che prevedono obiettivi specifici connessi alla partecipazione della società civile, in particolare sotto forma di progetti. Le istituzioni hanno inoltre messo a punto sovvenzioni di funzionamento volte in particolare a favorire il collegamento, tramite reti, tra le organizzazioni nazionali che operano in differenti settori e trattano determinate tematiche sociali. Tali sostegni finanziari contribuiscono pertanto alla formazione di una «opinione pubblica europea».

4.2.

Per quanto riguarda l’allargamento e le politiche esterne, in particolare la cooperazione internazionale e gli aiuti umanitari, l’UE ha messo a punto una politica proattiva per favorire lo sviluppo della società civile, specialmente attraverso l’adozione di misure specifiche. L’UE è inoltre fra gli attori mondiali che più contribuiscono agli aiuti allo sviluppo e all’assistenza umanitaria, un approccio ampiamente sostenuto dai cittadini europei (11).

4.3.

Tuttavia, per quanto riguarda le politiche interne, non vi è stato alcun ulteriore riesame delle relazioni tra l’UE e le organizzazioni della società civile (in particolare ai sensi dell’articolo 11 del TUE) dal 2000, anno in cui la Commissione presentò un primo documento di discussione nel quadro del processo di riforma amministrativa, sottolineando la necessità di mantenere un livello elevato di assistenza pubblica per sostenere il ruolo delle ONG, definire un approccio coerente all’interno dei servizi della Commissione e migliorare la gestione delle sovvenzioni.

4.4.

Il finanziamento delle organizzazioni della società civile si concentra principalmente nel settore degli aiuti umanitari e della cooperazione internazionale. Secondo dati del 2015 (12), sarebbero stati stanziati 1,2 miliardi di euro (più o meno il 15 % della rubrica «Ruolo mondiale dell’Europa») per finanziare le ONG di questo settore, mentre in altri campi i finanziamenti destinati alle organizzazione della società civile restano alquanto limitati (0,08 % della rubrica «Crescita sostenibile: risorse naturali», 2,5 % della rubrica «Sicurezza e cittadinanza», e meno dello 0,009 % della rubrica «Crescita intelligente ed inclusiva»). Bisogna quindi procedere con urgenza a valutare non solo gli importi stanziati, ma anche l’efficacia delle misure previste.

5.   La disponibilità di finanziamenti pubblici e la contrazione dello spazio civico

5.1.

Stando a taluni studi e indagini condotti di recente, e sulla base delle misure messe a punto in alcuni Stati membri dell’UE, risulta che in alcuni di essi c’è stato un deterioramento a livello nazionale delle condizioni relative allo spazio civico (13). La revisione del quadro finanziario successivo al 2020 e la revisione in corso riguardante i programmi di finanziamento dovranno tenere conto di questa nuova situazione.

5.2.

La recente legge ungherese sulla trasparenza delle organizzazioni che ricevono fondi dall’estero, adottata nel giugno 2017, è stata condannata dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e dal Consiglio d’Europa. Questo evidenzia la necessità per la Commissione di fare in modo che le misure volte a combattere il finanziamento del terrorismo e il riciclaggio di denaro non possano avere conseguenze indesiderate sull’accesso ai finanziamenti e ai prestiti finanziari da parte delle organizzazioni della società civile.

5.3.

In molti paesi europei si assiste all’elaborazione di misure volte a condizionare la concessione di sovvenzioni alle organizzazioni della società civile, misure che hanno l’effetto di limitare il ruolo di sensibilizzazione svolto da tali organizzazioni o la loro capacità di stare in giudizio (14).

5.4.

La crisi finanziaria ed economica in molti paesi ha avuto l’effetto di limitare l’intervento pubblico a favore delle organizzazioni della società civile e/o di orientarlo verso la concessione di sovvenzioni a breve termine. Le forme di finanziamento incentrate principalmente su progetti possono indurre le organizzazioni della società civile ad adattare le loro priorità, spingendole ad allontanarsi dalla loro missione originaria e a trascurare le esigenze della società. In taluni paesi, i governi promuovono, a scapito di altre organizzazioni, lo sviluppo di associazioni favorevoli alla loro linea strategica e accomodanti sul piano politico, mentre si osserva una crescente mancanza di trasparenza nell’assegnazione delle sovvenzioni.

5.5.

Il CESE invita la Commissione a monitorare attentamente l’applicazione delle condizionalità ex ante in fase di valutazione dei programmi, anche per quanto riguarda gli accordi di partenariato — in particolare in materia di occupazione, inclusione sociale e non discriminazione, ambiente, parità di genere e diritti delle persone con disabilità, coinvolgimento delle organizzazioni della società civile e rafforzamento delle loro capacità istituzionali (15), nonché trasparenza delle procedure per l’aggiudicazione degli appalti — e a sospendere i pagamenti qualora tali condizionalità non siano rispettate. Il CESE ricorda inoltre alla Commissione di monitorare l’attuazione dell’articolo 125 relativo all’obbligo, per le autorità di gestione, di applicare procedure e criteri di selezione che siano trasparenti e non discriminatori. Il CESE invita la Corte dei conti europea a valutare, nella sua prossima relazione, la conformità a tali disposizioni per quanto riguarda le procedure di selezione per le ONG.

5.6.

L’ascesa dell’estremismo e del populismo e tutti gli atti antidemocratici costituiscono una sfida all’intero acquis democratico e creano un clima ostile agli organismi intermediari. Vi è quindi la necessità di ribadire l’importanza del ruolo delle organizzazioni della società civile e di aumentare il sostegno finanziario a loro assegnato dall’UE.

5.7.

Il CESE chiede l’istituzione di un Mediatore dell’UE per le libertà dello spazio civico a cui le ONG possano anche inoltre riferire casi relativi ad azioni moleste o limitative del loro lavoro.

6.   Le risposte possibili a livello europeo

6.1.

Secondo il CESE, andrebbe creato, a livello europeo e nazionale, un quadro politico e legislativo che favorisca lo sviluppo di una società civile europea diversificata, la cui attività deve essere svolta nell’ambito dei valori che emergono dai diritti fondamentali.

6.2.

Le istituzioni europee dovrebbero assicurare la promozione di un’immagine positiva delle organizzazioni della società civile e adoperarsi per salvaguardarne l’indipendenza, in particolare attraverso il rafforzamento della loro capacità di azione e di impegno nell’innovazione sociale e nella partecipazione civica, spesso legata al finanziamento.

6.3.

Analogamente ad alcuni Stati membri che a livello nazionale hanno introdotto le cosiddette «carte di impegni reciproci» o i cosiddetti «patti», le istituzioni europee potrebbero impegnarsi in un processo di riconoscimento e di partenariato con gli organi rappresentativi delle associazioni europee, creando in tal modo i presupposti per un vero e proprio dialogo civile europeo e dando così attuazione all’articolo 11 del trattato sull’Unione europea e ad altri impegni pertinenti assunti a livello internazionale (16).

6.4.

Bisogna inoltre riprendere con urgenza le discussioni su uno statuto dell’associazione europea, proposto dalla Commissione nel 1992 (17), e su uno statuto europeo delle fondazioni. Questo consentirebbe di favorire il riconoscimento delle organizzazioni della società civile e la loro cooperazione a livello europeo, e sarebbe complementare allo statuto della società europea adottato nel 2004 (18).

6.5.

Il CESE ritiene che l’UE debba incoraggiare gli Stati membri sia a mantenere gli incentivi fiscali esistenti per le donazioni private che a metterne a punto degli altri, e a ridistribuire una parte delle entrate fiscali alle organizzazioni della società civile, eliminando al tempo stesso gli ostacoli alle donazioni transfrontaliere attraverso un coordinamento delle legislazioni e delle procedure fiscali, e investendo nello sviluppo della filantropia in tutta l’UE.

6.6.

Per quanto concerne il futuro quadro finanziario pluriennale, il CESE invita le autorità di bilancio ad aumentare il sostegno alle organizzazioni della società civile, in particolare attraverso sovvenzioni di funzionamento e finanziamenti pluriennali al fine di favorire la realizzazione di azioni a lungo termine.

6.7.

Da quando è stata adottata la Carta dei diritti fondamentali, non è stato varato alcun vero programma a sostegno della società civile per quanto concerne la difesa dei diritti umani negli Stati membri dell’Unione europea. Il consistente sostegno alla società civile dei paesi dell’Europa centrale e orientale, apportato nel quadro della loro adesione all’Unione, non è stato mantenuto attraverso altri meccanismi di finanziamento. I recenti sviluppi osservati con la diffusione del terrorismo e dei movimenti estremisti e/o populisti evidenziano la necessità di realizzare maggiori investimenti in questo settore e di garantire la coesione fra i paesi per quanto concerne lo sviluppo della società civile.

6.8.

Il CESE invita la Commissione a proporre un fondo europeo per la democrazia, i diritti umani e i valori all’interno dell’UE (19) dotato di un bilancio ambizioso e direttamente accessibile alle organizzazioni della società civile in tutta Europa, comprese quelle per la difesa dei diritti umani che si prefiggono di promuovere e proteggere i valori fondamentali dell’UE. Il fondo dovrebbe coprire i costi operativi nonché le spese legali e le attività di sorveglianza, ed essere gestito in modo indipendente prendendo a modello il Fondo europeo per la democrazia (20) con la partecipazione di rappresentanti del CESE.

6.9.

Il programma L’Europa per i cittadini è l’unico programma dell’UE che contribuisca specificamente a ridurre il deficit democratico, consentendo a tutti gli europei di partecipare direttamente alla costruzione dell’Europa, ma gode di sovvenzioni troppo limitate. Nell’attuale contesto di rimessa in discussione dei valori europei e della democrazia, il CESE reputa che tale programma debba essere dotato di una dotazione finanziaria pari a 500 milioni di EUR nel prossimo quadro finanziario, in linea con la proposta del Parlamento europeo (21). Analogamente, bisogna potenziare le azioni del programma Erasmus+ mirate alla società civile.

6.10.

La maggior parte delle OSC incontra difficoltà ad accedere ai fondi strutturali, in particolare a causa del requisito del cofinanziamento. Le disposizioni in materia di assistenza tecnica volte a sostenere lo sviluppo delle capacità sono anch’esse poco utilizzate e spesso riservate alle amministrazioni pubbliche. Il codice di condotta europeo sul partenariato con la società civile, che è lo strumento chiave, non è stato attuato correttamente nella maggior parte dei paesi (22). Anche quando sono invitate a prendere parte ai comitati di vigilanza, le organizzazione della società civile hanno un ruolo limitato.

6.11.

Il CESE invita la Commissione europea ad adottare tempestivamente opportune misure, incluse eventuali procedure di infrazione, nei confronti degli Stati membri le cui disposizioni giuridiche o amministrative nazionali limitano l’accesso delle organizzazioni nazionali della società civile ai fondi dell’UE, anche nel caso in cui vengano imposte condizioni di finanziamento tali da ostacolare la loro attività di sensibilizzazione.

6.12.

Per effetto del legame e del contatto permanente con i cittadini e delle attività condotte sul campo, le organizzazioni della società civile sono consapevoli delle sfide e delle esigenze della società; tuttavia, esse sono molto poco coinvolte nella ricerca. Le organizzazioni della società civile devono superare barriere anche quando si tratta di accedere al programma dell’UE per l’occupazione e l’innovazione sociale (EaSI). Il CESE esorta a condurre una discussione più approfondita sui modi per favorire il collegamento tra ricercatori e società civile, e propone un nuovo asse tematico sulla partecipazione civica e la democrazia nel quadro del pilastro «Sfide per la società» del futuro programma quadro di ricerca.

6.13.

La disoccupazione giovanile raggiunge tuttora livelli considerevoli e rappresenta uno dei problemi più pressanti cui l’UE deve fare fronte, visto il numero crescente di giovani a rischio di esclusione sociale. In tale contesto, i finanziamenti europei dovrebbero sostenere in misura maggiore le organizzazioni della società civile impegnate nello sviluppo delle qualifiche e delle competenze dei giovani attraverso l’istruzione non formale.

6.14.

Nel settore della cultura, la maggior parte delle sovvenzioni non sono adeguate alle organizzazioni della società civile operanti in questo settore, e queste ultime sono altresì prive di accesso a vari strumenti finanziari, come i prestiti. Manca un vero lavoro sulla dimensione europea della cultura in un contesto in cui anche le espressioni identitarie e populiste diventano sempre più diffuse. L’UE dovrebbe inoltre sostenere maggiormente, in particolare nell’ambito del programma Europa creativa, le produzioni culturali indipendenti, nonché investire nello sviluppo e nella sostenibilità dei media senza fini di lucro delle comunità locali.

6.15.

Per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo, l’Unione europea dovrebbe investire di più in attività di cooperazione incentrate sulle popolazioni locali, anche in rapporto agli aspetti della parità di genere, della governance, dei diritti umani, della difesa dell’ambiente, della resilienza ai cambiamenti climatici e della protezione sociale, in particolare attraverso un approccio tematico per paese che assicuri lo stretto coinvolgimento della società civile.

6.16.

La definizione del futuro quadro pluriennale dovrebbe anche tener conto degli obiettivi di sviluppo sostenibile, nonché delle priorità sul piano delle pari opportunità.

6.17.

Il rafforzamento della società civile dipende da un migliore accesso ai finanziamenti anche per le organizzazioni più piccole così come per i gruppi più svantaggiati. La Commissione europea dovrebbe esaminare, in tale contesto, diverse modalità di finanziamento e impegnarsi maggiormente nella semplificazione amministrativa. Meccanismi di finanziamento a cascata (o ri-sovvenzionamento), come quelli attuati nell’ambito dello strumento europeo per la democrazia e i diritti umani o nel quadro delle sovvenzioni del SEE, dovrebbero essere previsti in modo più sistematico. Le sovvenzioni dovrebbero essere assegnate da un operatore nazionale indipendente mediante procedura d’appalto (23).

6.18.

In proporzione, le organizzazioni della società civile dei paesi dell’Europa centrale e orientale hanno ancora un accesso limitato ai fondi. La Commissione europea dovrebbe potenziare le sue attività di informazione sui diversi fondi destinati alle ONG e favorire in misura maggiore i partenariati tra organizzazioni.

6.19.

Sarebbe inoltre utile istituire un monitoraggio e un sostegno più sistematici non solo per le organizzazioni beneficiarie, attraverso l’organizzazione di formazioni sugli obblighi contrattuali e le revisioni contabili, ma anche per le diverse direzioni generali incaricate dell’attuazione del regolamento finanziario.

6.20.

Per favorire l’innovazione e i partenariati, i candidati potenziali dovrebbero avere accesso a banche dati contenenti una descrizione dei progetti già realizzati e delle buone pratiche sperimentate. La Commissione dovrebbe portare avanti i suoi sforzi per alleggerire l’onere amministrativo nel processo di candidatura e nella gestione dei finanziamenti, in particolare attraverso un sistema di candidatura online unico per i differenti programmi.

6.21.

La valutazione dei programmi gestiti direttamente dalla Commissione dovrebbe essere più trasparente e anche più accurata, tenuto conto del grande numero di domande di sovvenzione rivolte all’UE e del basso tasso di successo. Inoltre, dei feedback permetterebbero alle organizzazioni della società civile che hanno registrato un insuccesso di migliorarsi e di nutrire maggiore fiducia nel processo di selezione.

6.22.

I termini per la notifica dei contratti, per la firma dei contratti stessi e per i pagamenti dovrebbero essere notevolmente ridotti, allo scopo di limitare la necessità di prestiti bancari dovuti alla mancanza di disponibilità liquide.

6.23.

Il CESE chiede inoltre alla Commissione di rivedere gli importi dei cofinanziamenti, in particolare per le organizzazioni più piccole, che hanno molte difficoltà a reperire altri fondi, o per quelle che sono impegnate in attività di sensibilizzazione, quali in particolare le organizzazioni per la protezione dei consumatori, le associazioni ambientaliste, le organizzazioni per la difesa dei diritti umani e quelle che si adoperano per promuovere la cittadinanza, tanto più che le norme in materia di cofinanziamento accrescono l’onere amministrativo che grava sulle OSC e i rischi derivanti dalla diversità delle norme contrattuali e finanziarie tra donatori.

6.24.

Il CESE accoglie inoltre con favore la proposta, avanzata dalla Commissione nel quadro del progetto di revisione del regolamento finanziario (24), di considerare come spese ammissibili il tempo dei volontari, nonché di agevolare la contabilizzazione dei contributi in natura come cofinanziamenti. La proposta è una risposta diretta alla richiesta espressa dal CESE espressa nel parere sul tema Strumenti statistici per misurare il volontariato (25). Il Comitato accoglie altresì favorevolmente la relazione del Parlamento che rafforza tali disposizioni, nonché la proposta del Consiglio di introdurre un’eccezione alla regola relativa all’assenza di profitto per le associazioni senza fini di lucro. Il CESE invita le istituzioni dell’UE a trovare un accordo sul testo proposto che consentirà di valutare equamente il tempo dei volontari.

6.25.

La trasparenza nell’accesso e nel controllo dei finanziamenti dovrebbe essere migliorata mediante la definizione di orientamenti chiari per le verifiche effettuate dalla Commissione e, nel caso dei finanziamenti che coinvolgono più donatori, tenendo conto delle valutazioni ex ante e delle selezioni preliminari dei partner, così come delle verifiche e delle revisioni contabili condotte a posteriori dagli altri donatori

6.26.

Inoltre, andrebbe facilitato l’accesso del pubblico alle informazioni relative agli importi e alle finalità dei finanziamenti, attraverso una riforma del sistema di trasparenza finanziaria della Commissione che dovrebbe stabilire pagamenti annuali al posto degli impegni pluriennali, nonché un’armonizzazione delle differenti banche dati dei programmi, allo scopo di aumentare l’affidabilità del sistema. Contemporaneamente, le ONG dovrebbero continuare ad applicare i più elevati standard di trasparenza in materia di autorendicontazione.

6.27.

Infine, la Commissione dovrebbe sviluppare un dialogo costruttivo e continuo tra le varie direzioni generali e le organizzazioni della società civile, allo scopo sia di valutare tanto le buone pratiche quanto quelle cattive sia di definire un approccio più coerente.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Fondo destinato a perseguire gli stessi obiettivi dello Strumento per la democrazia e i diritti umani: http://www.eidhr.eu/whatis-eidhr#.

(2)  Il Fondo europeo per la democrazia (FED) è una fondazione autonoma, istituita nel 2013 dall’Unione europea e dai suoi Stati membri, che concede sovvenzioni per promuovere la democrazia nel vicinato europeo e non solo. Tutti gli Stati membri dell’UE fanno parte del Consiglio dei governatori del FED, insieme a membri del Parlamento europeo ed esperti della società civile.

(3)  Risoluzione del Parlamento europeo sull'attuazione del programma «Europa per i cittadini».

(4)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 11.

(5)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 8.

(6)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 163.

(7)  GU C 88 dell'11.4.2006, p. 41.

(8)  Libro bianco sulla governance europea (25.7.2001).

(9)  COM(2000) 11 final.

(10)  Anno europeo del volontariato 2011.

(11)  Si veda in particolare l’indagine condotta da Eurobarometro nel 2017: http://ec.europa.eu/echo/eurobarometer_fr.

(12)  EuropeAid — Direzione generale dello sviluppo e della cooperazione.

(13)  «Civic Space in Europe 2016», Civicus Monitor.

(14)  Cfr. la Lobbying Act nel Regno Unito che ha impedito alle ONG di esprimere le loro opinioni durante le campagne elettorali o il recente referendum sull’adesione all’UE e l’attuale revisione della legge sull’emendamento elettorale (Amendment Act) del 2011 in Irlanda, che ha lo scopo di impedire a terzi di influenzare le campagne elettorali, ma la cui ‘interpretazione degli «obiettivi politici» e delle soglie per le donazioni individuali alle ONG ha alimentato la polemica, anche in relazione al finanziamento di una campagna a favore dell’aborto.

(15)  GU L 347 del 20.12.2013, pag. 320.

(16)  Si veda, ad esempio, gli obblighi imposti nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile e della CRPD delle Nazioni Unite per quanto concerne un dialogo strutturato sostenuto da finanziamenti adeguati.

(17)  GU C 99 del 21.4.1992, pag. 1.

(18)  Statuto della società europea.

(19)  Fondo destinato a perseguire gli stessi obiettivi dello Strumento per la democrazia e i diritti umani: http://www.eidhr.eu/whatis-eidhr#

(20)  Il Fondo europeo per la democrazia (FED) è una fondazione autonoma, istituita nel 2013 dall’Unione europea e dai suoi Stati membri, che concede sovvenzioni per promuovere la democrazia nel vicinato europeo e non solo. Tutti gli Stati membri dell’UE fanno parte del Consiglio dei governatori del FED, insieme a membri del Parlamento europeo ed esperti della società civile.

(21)  Risoluzione del Parlamento europeo sull'attuazione del programma «Europa per i cittadini».

(22)  Partenariato AEIDL — Reti tematiche.

(23)  Mid-term NGO evaluation released — EEA Grants.

(24)  COM(2016) 605 final.

(25)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 11.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/16


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «I piccoli centri rurali e urbani come catalizzatori dello sviluppo rurale: sfide e opportunità»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 081/03)

Relatore:

Tom JONES

Decisione dell’Assemblea plenaria

22 settembre 2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

03 ottobre 2017

Adozione in sessione plenaria

18 ottobre 2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

129/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Conclusioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che, malgrado il crescente disequilibrio nella distribuzione della popolazione e il calo delle attività economiche tradizionali, in numerosi piccoli centri rurali e urbani si riscontrino indizi sufficienti di buone pratiche che consentono un certo ottimismo circa un futuro sostenibile in molti, se non in tutti gli insediamenti rurali. Tali insediamenti possono servire da catalizzatori per un più ampio rinnovamento e sviluppo sostenibile delle zone rurali.

1.2.

Tuttavia, questo ottimismo dipende da un impegno costante e globale, che coinvolga i cittadini e le risorse finanziarie a tutti i livelli di governo e in tutti e tre i settori — privato, pubblico e civile.

Raccomandazioni

1.3.

Il CESE sostiene pienamente l’iniziativa della Commissione europea a favore dei «piccoli comuni intelligenti», in particolare a motivo delle promesse di collaborazione tra le diverse direzioni generali. I programmi di sviluppo rurale (PSR) a livello nazionale e regionale, che la direzione generale Agricoltura gestisce insieme agli Stati membri, sono essenziali, ma non potranno mai investire risorse sufficienti nell’iniziativa senza l’apporto di altri investimenti pubblici da parte degli enti nazionali, regionali o locali. Il CESE prende atto del parere del Comitato delle regioni sul tema Piccoli comuni intelligenti e lo appoggia (1).

1.4.

La banda larga veloce — mobile o fissa che sia — è fondamentale perché i piccoli centri rurali e urbani sviluppatisi secondo modalità intelligenti possano avere qualche speranza di sviluppo economico e sociale, e dev’essere completamente accessibile, come garantisce il meccanismo di verifica per le aree rurali citato nella dichiarazione formulata in occasione della conferenza europea sullo sviluppo rurale (Cork 2.0) nel 2016.

1.5.

I servizi pubblici nei settori dell’istruzione, della formazione, della sanità e dell’assistenza sociale, nonché i servizi pubblici di custodia dell’infanzia, dovrebbero essere accessibili e integrati, e mostrarsi innovativi nell’utilizzo dei progressi tecnologici.

1.6.

Gli enti addetti alla pianificazione territoriale nelle zone rurali dovrebbero farsi sostenitori di un processo che consenta di rinnovare gli edifici superflui dei piccoli centri rurali e urbani, garantendo basse aliquote d’imposta alle imprese in fase di avviamento e contributi compensativi prelevati dai progetti di superfici commerciali da realizzare ai margini delle città. Nel rendere disponibili tali edifici ristrutturati si dovrebbe tenere conto dei bisogni delle organizzazioni non governative locali, nonché di quelli dei settori pubblico e privato.

1.7.

Un altro problema è costituito dai collegamenti di trasporto carenti; il CESE raccomanda di ricorrere al trasporto condiviso e ad autobus e auto di proprietà collettiva qualora non esistano più servizi analoghi offerti dal settore privato.

1.8.

Ove possibile, i datori di lavoro dovrebbero essere incoraggiati a sostenere il telelavoro e a trarre i potenziali benefici dai partenariati rurali/urbani. Molto importante in questo contesto è il contributo fornito dall’agriturismo e turismo rurale, dalle attività legate alla cura della salute e dall’immagine di marca dei prodotti agricoli e artigianali locali, nonché dall’aumento dell’offerta di manifestazioni culturali e storiche. Grazie al sostegno abilitante dei programmi di sviluppo rurale, gli imprenditori dispongono di un certo margine di manovra per attrarre investimenti esteri e per sviluppare e commercializzare prodotti a valore aggiunto.

1.9.

La governance al livello locale più vicino al cittadino costituisce una questione di competenza nazionale o regionale. Tuttavia, i piccoli centri rurali e urbani devono essere dotati di maggiori poteri ed avere accesso a risorse finanziarie per poter anticipare e appoggiare le aspirazioni dei loro cittadini.

1.10.

Iniziative come Leader e i gruppi di azione locale (GAL) dovrebbero essere sostenute appieno nei loro sforzi volti a promuovere lo sviluppo locale incoraggiando l’avviamento e la successiva crescita delle imprese, private e non a scopo di lucro, nonché a garantire uno spirito di comunità impegnato e positivo. Grazie ad una migliore cooperazione, tali sforzi potrebbero essere intensificati attraverso lo sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD).

1.11.

Prima di tutto, gli abitanti dei piccoli centri rurali e urbani dovrebbero impegnarsi a sviluppare un senso di comunità che incoraggi la leadership dall’interno. Le scuole e gli educatori locali dovrebbero promuovere la leadership. I leader emergenti hanno bisogno del pieno sostegno di agenzie di consulenza e di organizzazioni non governative, che hanno accesso alle migliori pratiche e ad iniziative analoghe pertinenti.

1.12.

I piccoli centri rurali sviluppatisi secondo modalità intelligenti che si vanno via via affermando dovrebbero essere messi in luce a livello regionale, nazionale ed europeo. Le istituzioni dell’UE e i loro portatori di interesse dovrebbero organizzare, ogni anno, una giornata di celebrazioni per promuovere la riuscita e la coesione delle comunità nei piccoli centri rurali e urbani.

1.13.

Per rafforzare e sviluppare un autentico senso di partenariato tra le città metropolitane o di grandi dimensioni e gli insediamenti vicini, il CESE sostiene le raccomandazioni formulate nel 2016 dall’associazione R.E.D. (2) nel documento Making Europe Grow with its Rural Territories (Far crescere l’Europa con i suoi territori rurali) e il progetto pilota di gemellaggio tra città portato avanti dal Carnegie Trust nel Regno Unito. Ai partenariati urbani/rurali dovrebbero applicarsi i principi dello sviluppo sostenibile e dell’economia circolare.

1.14.

Il CESE appoggia l’invito formulato nel manifesto adottato dal Parlamento rurale europeo nella sua seconda riunione del novembre 2015, in cui si chiede una maggiore cooperazione tra comunità, organizzazioni e autorità delle zone rurali e urbane per trarre pieno beneficio dai legami sociali, culturali ed economici che tale cooperazione può offrire; si invocano inoltre intensi scambi di idee e di buone pratiche tra i soggetti attivi nelle zone rurali e urbane.

1.15.

Il CESE raccomanda che la Banca europea per gli investimenti (BEI) metta a punto regimi di sostegno su misura per le piccole imprese rurali, sia private che sociali, comprese le cooperative, come promesso nel suo programma per il periodo 2017-2019.

1.16.

Il Consiglio europeo dei giovani agricoltori (CEJA) ed altri organismi di rappresentanza dei giovani dovrebbero essere sostenuti, per aprire la strada alla creazione di forum della gioventù, nelle comunità locali, che stimolino l’azione in funzione delle loro esigenze e aspirazioni. I giovani devono avere maggior voce in capitolo nell’analisi delle questioni economiche e sociali; inoltre, la formazione, il tutoraggio e il sostegno finanziario devono essere concepiti in funzione delle loro aspirazioni.

1.17.

Tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, l’obiettivo n. 11 si riferisce alle città e alle comunità. I piccoli centri rurali e urbani sostenibili dovrebbero essere inseriti tra le «comunità».

1.18.

Ai valori culturali dei piccoli centri rurali e urbani dovrebbe essere riservato un posto di spicco nelle campagne pubblicitarie e nelle iniziative previste in occasione dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018. Un ruolo importante nella promozione della tradizione e della cultura possono svolgerlo gli abitanti più anziani delle zone rurali, ragion per cui si dovrebbero creare le condizioni necessarie affinché essi possano dare un contributo attivo in questo campo.

1.19.

Il CESE raccomanda una condivisione delle «buone pratiche» a tutti i livelli, che è quanto già avviene con la RESR, l’ELARD, l’Ecovast e il Parlamento rurale europeo, e trova riscontro nella pubblicazione The Best Village in the World  (3).

2.   Introduzione

2.1.

Una parte essenziale dell’Europa è costituita dalle zone rurali, dove si praticano le importanti attività economiche dell’agricoltura e della silvicoltura. Le comunità dei piccoli centri urbani e rurali si trovano in queste zone rurali, di cui sono parte integrante, e sono sempre stati luoghi dove la gente vive e lavora.

2.2.

I piccoli centri urbani situati nelle zone rurali costituiscono un punto di aggregazione per l’hinterland circostante, costituito da paesi più o meno piccoli. I piccoli centri urbani sono a loro volta situati nell’hinterland di grandi agglomerati urbani, e sono interdipendenti tra loro. Essi costituiscono elementi essenziali dei partenariati rurali/urbani — un concetto che è stato promosso dalla DG Politica regionale e urbana (4) e dall’OCSE — in cui entrambi gli elementi sono su un piede di parità nel gestire e pianificare il loro futuro. I piccoli centri rurali e urbani di tutta Europa hanno affrontato numerosi cambiamenti — sia economici che sociali — e continuano a doversi adattare alle condizioni della vita moderna.

2.3.

Insieme all’agricoltura e alla silvicoltura, i piccoli centri rurali e urbani costituiscono la «spina dorsale» delle zone rurali e forniscono lavoro, servizi ed istruzione a se stessi e al loro hinterland di paesi più o meno piccoli. A loro volta, i piccoli centri urbani fanno parte dell’hinterland di città e comuni di dimensioni maggiori. Si crea così un rapporto tra zone rurali e urbane che è caratteristico di qualunque regione. Le zone urbane forniscono servizi a quelle rurali e viceversa — le prime dipendono dalle seconde per l’approvvigionamento alimentare e costituiscono un mercato pronto ad accogliere i prodotti della campagna, mentre le zone rurali offrono occasioni di svago e tranquillità alla popolazione urbana.

2.4.

Secondo una tradizione fortemente radicata, in molte zone rurali si avverte un senso di «appartenenza» alla comunità. Questa tradizione è in declino, tanto che in molte zone rurali più remote si osserva invece uno stato di abbandono e di desolazione.

3.   Problemi specifici

3.1.

Negli ultimi decenni le comunità rurali hanno dovuto far fronte a difficoltà imputabili al desiderio di centralizzare numerosi servizi per creare economie di scala e a cambiamenti nelle modalità di trasporto e di viaggio, oltre che al diverso modo di vivere dei tempi moderni. Le imprese di servizi locali abbandonano gradualmente le comunità rurali; numerosi negozi, istituti di credito e uffici postali scompaiono via via e le piccole scuole di campagna chiudono i battenti.

3.2.

Nelle zone rurali la disoccupazione resta un fenomeno nascosto, in quanto le cifre dei senza lavoro sono inferiori rispetto a quelle dei centri urbani: eppure le campagne hanno il problema aggiuntivo dell’accesso all’assistenza fornita dagli uffici di collocamento — che sono operativi nelle realtà urbane — e spesso subiscono le conseguenze del declino del trasporto pubblico extraurbano. Il tasso di disoccupazione può risultare basso perché tanti giovani se ne sono andati in cerca di formazione, istruzione o occupazione, mentre molti di coloro che restano ricevono un magro salario.

3.3.

Le casse dello Stato, così importanti per sostenere le comunità rurali, sono sempre più sollecitate — a causa dell’aumento generalizzato del costo della vita e delle maggiorazioni di costo nella prestazione di servizi.

3.4.

Gli investimenti nelle infrastrutture stradali e autostradali incoraggiano il ricorso alle auto private, quale mezzo di trasporto più semplice per recarsi al lavoro. La gente, ora, è molto più disposta a percorrere distanze maggiori, ma è divenuta, nel contempo, meno dipendente dall’offerta di lavoro o di servizi all’interno della propria comunità locale.

3.5.

Le abitudini di acquisto sono mutate. Spesso la gente fa la spesa dove lavora, quindi solitamente in una città più o meno grande, invece che nel piccolo centro rurale o urbano dove abita, e fa acquisti su Internet, con la consegna delle merci direttamente a domicilio. Tutto ciò ha contribuito alla scomparsa degli esercizi commerciali locali.

3.6.

I giovani lasciano le zone rurali per cercare formazione, istruzione e lavoro in città. Se non si mantengono i posti di lavoro nelle zone rurali, è difficile indurre i giovani a tornare a vivere in una comunità rurale. Vi è l’urgente necessità di porre l’opinione ponderata dei giovani al centro della democrazia locale. Andrebbero sostenute le organizzazioni di rappresentanza dei giovani allo scopo di incoraggiarne la partecipazione alla governance. Allo stesso modo, le agenzie economiche e sociali dovrebbero assicurarsi che la consulenza e il sostegno finanziario da loro forniti tengano conto delle necessità dei giovani.

3.7.

La coesione tra generazioni è messa in pericolo dallo squilibrio numerico tra le fasce di età. La disponibilità di misure ad hoc per l’occupazione, di scuole e di strutture per la custodia dell’infanzia, oltre ad alloggi a prezzi accessibili nelle zone rurali, è essenziale per consentire ai giovani e alle famiglie con bambini di restare o ritornare nelle proprie comunità rurali. Le persone all’interno di una comunità hanno talvolta punti di vista differenti riguardo all’attività economica locale. Sono necessari dialogo e comprensione per trovare un equilibrio tra la tranquillità e le iniziative volte a creare posti di lavoro adeguati.

4.   Opportunità

4.1.

L’iniziativa della Commissione europea a favore dei «piccoli comuni intelligenti» è di un’importanza fondamentale, soprattutto a causa delle promesse di collaborazione tra le direzioni congiunte. Il programma di sviluppo rurale della DG Agricoltura non potrà mai investire risorse sufficienti nell’iniziativa senza l’apporto finanziario di altre DG e degli enti pubblici nazionali, regionali o locali. Questa iniziativa pilota, una volta sottoposta a valutazione, deve essere inclusa in qualsiasi nuova politica agricola comune e nei programmi regionali e attuata in modo da coinvolgere i piccoli centri urbani nella «rinascita rurale».

4.2.

La banda larga è essenziale per tutte le zone rurali. Il miglioramento della copertura della banda larga — mobile o fissa che sia — potrebbe favorire un’ampia gamma di attività, contribuendo non soltanto a sviluppare le attività commerciali e la capacità di «lavorare da casa», ma anche a migliorare la qualità della vita quotidiana dei cittadini. Potrebbe consentire l’apprendimento online, l’accesso a un’assistenza sanitaria migliore e la commercializzazione di servizi disponibili online. Il miglioramento dell’accesso a Internet nelle zone rurali ha prodotto benefici per le comunità, offrendo buoni esempi da imitare. Bisognerebbe consentire, soprattutto agli anziani, di apprendere le conoscenze di base per l’utilizzo di Internet.

4.3.

Ove possibile, i datori di lavoro dovrebbero essere incoraggiati a sostenere il telelavoro e a sfruttare i potenziali benefici dei partenariati rurali/urbani. Grazie al sostegno abilitante dei programmi di sviluppo rurale, gli imprenditori dispongono di un certo margine di manovra per attrarre investimenti esteri e per sviluppare e commercializzare prodotti con un valore aggiunto, quali la gastronomia, le bevande tipiche, il patrimonio naturale e storico, e le attività culturali, per la cura della salute e il tempo libero, assicurando nel contempo una continuità alle competenze in materia di ambiente e artigianato rurale.

4.4.

I servizi pubblici nei settori dell’istruzione, della formazione, della sanità e dell’assistenza sociale dovrebbero essere integrati e raggruppati, e mostrarsi innovativi nell’utilizzo dei progressi tecnologici, per evitare di discriminare ed escludere soprattutto gli anziani e i più giovani che vivono nelle zone rurali. La dispersione degli uffici governativi potrebbe servire da esempio per ridurre la saturazione e l’inquinamento nelle città e nelle agglomerazioni urbane, favorendo nel contempo un senso di equità nei confronti delle zone rurali. Gli enti locali hanno un ruolo fondamentale da svolgere nella pianificazione delle zone rurali e nel garantire che venga incoraggiata e sostenuta un’azione positiva all’interno delle comunità rurali per contribuire ad assicurare loro un futuro. I servizi possono essere raggruppati in un unico edificio, oppure degli immobili inutilizzati possono essere adattati a nuove destinazioni d’uso commerciali, creando così nuovi posti di lavoro che possono a loro volta fornire opportunità per intensificare l’attività economica. Nel rendere disponibili tali edifici ristrutturati si dovrebbe tenere conto dei bisogni delle organizzazioni non governative locali, nonché di quelli dei settori pubblico e privato.

4.5.

Occorre impegnarsi per sviluppare un autentico senso di partenariato tra le città metropolitane o di grandi dimensioni e gli insediamenti vicini al fine di condividere — sulla base di termini concordati da entrambe le parti — un senso di appartenenza, un’immagine di marca e investimenti congiunti. Insieme ad altre organizzazioni, la R.E.D ha raccomandato nel 2016 una strategia politica europea per i territori rurali entro il 2030 (5). Sulla stessa scia si colloca il progetto pilota di gemellaggio tra città portato avanti dal Carnegie Trust nel Regno Unito. Ai partenariati urbani/rurali dovrebbero applicarsi i principi dello sviluppo sostenibile e dell’economia circolare.

4.6.

In occasione della sua seconda riunione nel novembre 2015, il Parlamento rurale europeo ha adottato il proprio manifesto. La rete di parlamenti rurali, a cui aderiscono 40 paesi europei, persegue i temi definiti nel manifesto. Il Parlamento rurale europeo opera, infatti, a favore di una maggiore cooperazione tra comunità, organizzazioni e autorità delle zone rurali e urbane al fine di trarre pieno beneficio dai legami sociali, culturali ed economici che tale cooperazione può offrire; promuove inoltre intensi scambi di idee e di buone pratiche tra i soggetti attivi nelle zone rurali e urbane. Tutti gli aderenti a questa iniziativa si occupano attualmente di temi quali «Piccoli centri urbani», «Servizi e infrastrutture sostenibili» e «Sviluppo rurale integrato e Leader/CLLD», e le loro riflessioni andranno a confluire in una relazione che sarà presentata e discussa in occasione della terza riunione del Parlamento rurale europeo, che si terrà a Venhorst, nei Paesi Bassi, nell’ottobre 2017.

4.7.

La BEI dovrebbe mettere a punto dei regimi di sostegno su misura per le piccole imprese rurali, sia private che sociali, comprese le cooperative, come promesso nel suo programma per il periodo 2017-2019; un esempio in tal senso è costituito dai prestiti accordati dalla BEI a una fabbrica di dolciumi, la Nikìs Sweets, situata ad Agros (Cipro) tra i monti Troodos.

4.8.

Il settore del volontariato è molto attivo nelle zone rurali e contribuisce al coordinamento delle azioni e alla collaborazione tra cittadini. Le imprese sociali e di comunità, come le 300 imprese socioeconomiche danesi autorizzate ad utilizzare il marchio registrato RSV (Registreret Socialøkonomisk Virksomhed) o il Cletwr cafe nel Galles centrale, contribuiscono in misura crescente a rimpiazzare i servizi pubblici e privati che non esistono più. La loro attività è in linea con l’idea di responsabilità sociale delle imprese (RSI). Importanti sono il sostegno e la consulenza forniti da organizzazioni, come la fondazione Plunkett, che aiutano a costituire imprese sociali e di comunità e a mantenerle sostenibili.

4.9.

Nei piccoli centri rurali e urbani vivono persone dalle estrazioni sociali più diverse, e tutte devono avere voce in capitolo all’interno della loro comunità locale. Il livello più basso della pubblica amministrazione — come i consigli di circoscrizione o i comuni più piccoli — dovrebbe essere coinvolto nel processo decisionale a livello locale, e dovrebbe essere rafforzato e dotato degli strumenti per soddisfare tale esigenza. I cittadini sono orgogliosi delle loro comunità locali, e ciò può essere riconosciuto come una risorsa e utilizzato per incoraggiare la partecipazione anche di altri soggetti. I pensionati un tempo attivi nell’imprenditoria o impiegati nella funzione pubblica o nel settore civile dispongono di numerose competenze da offrire. I programmi europei e quelli locali permettono di realizzare progetti che hanno incoraggiato lo sviluppo di partenariati locali nei piccoli centri rurali o urbani, e attraverso questo processo si sono affermati numerosi imprenditori di comunità. Questi provengono dai settori più diversi e sono ora diventati ambasciatori delle loro comunità.

4.10.

I piccoli centri rurali e urbani sono un elemento importante della cultura europea. Essi spesso conservano i costumi e le tradizioni locali. Questi insediamenti rurali hanno solitamente una connotazione «storica» e nella loro architettura si ritrovano materiali da costruzione di provenienza locale e stili appartenenti a diversi secoli. I piccoli centri urbani mantengono solitamente un maggior numero di esercizi commerciali locali e, a differenza dei centri più grandi, non sono stati invasi dalle insegne tutte uguali imposte dalle catene commerciali. I piccoli insediamenti rurali, inoltre, sono strettamente legati ai paesaggi in cui sono inseriti e, in gran parte, è la loro posizione a conferire quell’atmosfera tipica dei piccoli centri rurali e urbani, che ne rispecchia le origini più diverse — posizioni difensive in cima a una collina, punti di guado di un fiume, vicinanza a sorgenti d’acqua, sponde di un lago, collocazione su un’isola o lungo la costa ecc. Ai valori culturali dei piccoli centri rurali e urbani dovrebbe essere riservato un posto di spicco nelle campagne pubblicitarie e nelle iniziative previste in occasione dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018. Un ruolo importante nella promozione della tradizione e della cultura possono svolgerlo gli abitanti più anziani delle zone rurali, ragion per cui si dovrebbero creare le condizioni necessarie affinché essi possano dare un contributo attivo in questo campo.

4.11.

Questi piccoli centri rurali e urbani dispongono di risorse preziose a cui possono attingere per mantenere o migliorare le loro economie locali. Esse sono collegate alla produzione agricola, silvicola ed energetica locale, come pure all’agriturismo e al turismo rurale, alla cura della salute, alle manifestazioni culturali e alla protezione e all’educazione ambientale. Centinaia sono gli esempi in tutta Europa, come Kozard in Ungheria e Alstom Manor in Inghilterra, che potrebbero servire da spunto per altre iniziative. La relazione Ecovast dal titolo The Importance of Small Towns (L’importanza dei piccoli centri urbani) è anch’essa un prezioso contributo per illustrare e comprendere l’importanza delle funzioni svolte dai piccoli centri rurali e urbani.

4.12.

Le politiche rurali future concordate con grande slancio alla conferenza europea sullo Sviluppo rurale (Cork 2.0) nel settembre 2016 dovrebbero aiutare gli Stati membri e le regioni ad elaborare politiche rurali di sostegno e a favorire la realizzazione di progetti nell’ambito dei programmi dell’UE. L’applicazione del meccanismo di verifica per le aree rurali illustrato in occasione di Cork 2.0 è essenziale per l’UE, gli Stati membri e le regioni.

4.13.

Il metodo Leader e lo sviluppo locale di tipo partecipativo (Community-led Local Development, CLLD) finanziati dall’UE offrono strumenti da utilizzare per contribuire a rafforzare e responsabilizzare le comunità rurali. L’iniziativa Leader e i gruppi di azione locale (GAL) possono appoggiare gli sforzi condotti localmente per l’avviamento e la successiva crescita delle imprese, private e non a scopo di lucro, nonché per garantire uno spirito di comunità impegnato e positivo. Fino al 2014 l’iniziativa Leader era finanziata dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), mentre, a partire dal 2015, anche altri fondi strutturali e di investimento europei possono contribuire ad attuare la metodologia tramite finanziamenti multipli associati al CLLD. A tal fine si rende necessaria una migliore cooperazione, di cui IRD Duhallow e SECAD nella contea di Cork e Planed nel Galles, che hanno attuato un CLLD dal basso per diversi anni, costituiscono validi esempi.

4.14.

Numerosi sono i progetti rurali, realizzati nell’ambito dei programmi europei, in grado di dimostrare l’amplissimo ventaglio di «buone pratiche» esistenti nei piccoli centri urbani e rurali. Le buone pratiche evidenziano altresì la necessità e il valore degli intermediari a sostegno degli imprenditori e dei piccoli gruppi.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il rilancio delle zone rurali attraverso i piccoli comuni intelligenti (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(2)  R.E.D.: Rurality — Environment — Development (Ruralità — Ambiente — Sviluppo).

(3)  A cura di Ulla Herlitz e di alcuni suoi colleghi quale esempio concreto di buone pratiche — RESR: Rete europea per lo sviluppo rurale; ELARD: Associazione europea Leader per lo sviluppo rurale; Ecovast: Consiglio europeo dei paesi e delle cittadine.

(4)  Ecovast faceva parte della precedente rete Rurban della DG REGIO (Politica regionale).

(5)  Making Europe Grow with its Rural Territories (Far crescere l'Europa con i suoi territori rurali).


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Giustizia climatica»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 081/04)

Relatore:

Cillian LOHAN

Decisione dell’Assemblea plenaria

23.2.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

3.10.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

194/12/8

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il concetto di giustizia climatica conferisce ai cambiamenti climatici mondiali una dimensione etica e politica, e non solo strettamente ambientale. Tale concetto è generalmente considerato in un contesto globale di interdipendenza spaziale e temporale, e riconosce che le categorie più vulnerabili e più povere della nostra società sono spesso quelle che subiscono l’impatto maggiore a livello di cambiamenti climatici, anche se sono le meno responsabili delle emissioni che hanno determinato la crisi climatica. Più in generale, nel presente parere il concetto di giustizia climatica riconosce l’esigenza di considerare l’equità dell’impatto, spesso sproporzionato, dei cambiamenti climatici sui cittadini e sulle comunità nelle economie in via di sviluppo e in quelle sviluppate.

1.2.

Il CESE ritiene che tutti i cittadini abbiano diritto ad un ambiente pulito e sano e di aspettarsi che i loro governi si assumano la responsabilità dei loro impegni nazionali e dei contributi stabiliti a livello nazionale (Nationally Determined Contributions — NDC) conformemente all’Accordo di Parigi per quanto concerne di intervenire sui fattori che sono alla base dei cambiamenti climatici e sulle minacce che questi ultimi comportano, riconoscendo non solo i più evidenti aspetti economici e ambientali ma anche l’impatto sociale del fenomeno.

1.3.

Il CESE chiede propone di avviare un dibattito a proposito di una Carta europea dei diritti climatici che sancisca i diritti dei cittadini dell’UE e della natura nel contesto delle sfide poste dalla crisi dei cambiamenti climatici mondiali. Pur riconoscendo il ruolo guida dell’UE nella promozione di un regime climatico internazionale equo e solido, il CESE esorta le istituzioni dell’UE e i governi nazionali a esaminare l’applicazione dei principi di giustizia climatica a tutti i livelli (globale, europeo, nazionale e locale). Il processo del semestre europeo potrebbe essere utilizzato come strumento per realizzare questo obiettivo. Giustizia climatica significa rendere giustizia sia alle persone sia all’ambiente da cui dipendiamo: entrambi gli elementi sono infatti interconnessi. In tale contesto, il CESE ricorda due recenti iniziative: il Patto globale per l’ambiente e il progetto di Dichiarazione universale dei diritti dell’umanità.

1.4.

I sistemi di produzione e consumo devono subire una trasformazione che consenta loro di adattarsi ai cambiamenti climatici e di attenuarli. Questa transizione dovrà aver luogo a livello globale e in un quadro settoriale, e l’UE potrà avere un ruolo guida in questo ambito. Occorre individuare i settori e i lavoratori più vulnerabili e offrire loro un adeguato sostegno. In particolare, in questa transizione occorre sostenere i sistemi alimentari e i relativi soggetti interessati. Un consumo alimentare sostenibile deve avere inizio già a monte, nelle fasi di preparazione del terreno e di gestione dei sistemi naturali al fine di fornire l’elemento costitutivo primario dei prodotti alimentari. L’UE dovrebbe essere leader nel promuovere la gestione sostenibile e la tutela del suolo.

1.5.

Nel realizzare la transizione, i consumatori potranno esercitare pienamente il loro potere solo nella misura in cui disporranno di alternative etiche sostenibili che non comportino una riduzione significativa della convenienza o della qualità in termini di servizio, utilizzo o accessibilità. I nuovi modelli economici, come l’economia digitale, collaborativa e circolare, nonché la cooperazione internazionale relativa al passaggio a tali modelli a livello globale e settoriale, possono contribuire a creare alternative valide per i consumatori.

1.6.

Dovrebbero essere utilizzati dei meccanismi di sostegno, compresi investimenti di denaro pubblico, strumenti economici e incentivi, per garantire l’esistenza di un’infrastruttura e di un adeguato supporto a favore dei consumatori che desiderino scegliere uno stile di vita a basse emissioni di carbonio, compresa un’assistenza per sostenere i costi più elevati di beni e servizi etici, di lunga durata e sostenibili, pur garantendo che la concorrenza non venga pregiudicata.

1.7.

È necessario elaborare una mappatura del trasferimento di posti di lavoro indotto da un’economia a basse emissioni di carbonio e individuare le relative opportunità il più presto possibile. Ciò consentirà di definire e attuare le politiche più efficaci per garantire che i lavoratori siano protetti e che la loro qualità della vita sia mantenuta nel quadro di una transizione equa.

1.8.

Il CESE rinnova la sua richiesta di un Osservatorio europeo della povertà energetica (1) che riunisca tutte le parti interessate al fine di contribuire a definire degli indicatori europei di povertà energetica. Giustizia per tutti i cittadini significa garantire a tutti un’energia accessibile, pulita e a prezzi abbordabili.

1.9.

Il CESE chiede di mettere fine alle sovvenzioni per i combustibili fossili e di sostenere invece il passaggio alle energie rinnovabili.

1.10.

L’efficacia delle politiche a favore della sostenibilità dipende dalla capacità di garantire che gli aiuti alla transizione siano chiaramente identificati, considerati prioritari e adeguatamente finanziati. Al tempo stesso, l’UE deve avviare negoziati internazionali di ampia portata per un accordo globale in grado di mitigare i fattori alla base dei cambiamenti climatici e sostenere un modello economico globale più sostenibile.

2.   Contesto/motivazione del presente parere

2.1.

Il presente parere d’iniziativa si inserisce nel contesto del programma di lavoro dell’Osservatorio dello sviluppo sostenibile per il 2017. La giustizia climatica è un tema che riguarda tutti noi, eppure a livello UE non sono state adottate misure sufficienti in questo campo. Per il CESE può essere l’occasione per assumere un ruolo di guida e presentare le prime proposte, in particolare dal punto di vista dell’Europa. Molti aspetti della giustizia climatica devono essere discussi in maniera più approfondita, ad esempio per quanto riguarda la distribuzione a livello globale e individuale delle quote di emissione.

2.2.

Il Comitato intende adottare una posizione istituzionale al fine di esprimere il punto di vista della società civile organizzata dell’UE nel dibattito sull’impatto dei cambiamenti climatici e sul modo migliore per affrontare il problema in modo equo e imparziale.

2.3.

Nel contesto degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite adottati a livello internazionale, dell’accordo di Parigi e del fatto che gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno già sentire, occorre conferire una maggiore urgenza agli interventi a favore della giustizia climatica tramite azioni concrete.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il concetto di giustizia climatica conferisce ai cambiamenti climatici mondiali una dimensione etica e politica, e non solo strettamente ambientale. La giustizia climatica riconosce che le categorie più vulnerabili e più povere della nostra società sono spesso quelle che subiscono l’impatto maggiore a livello di cambiamenti climatici. Tale concetto viene generalmente visto in un contesto globale di interdipendenza spaziale e temporale, concentrandosi sulle responsabilità di quei paesi il cui sviluppo si è basato sullo sfruttamento delle risorse naturali.

3.2.

Gli OSS vanno al di là dei precedenti obiettivo di sviluppo del millennio (OSM), poiché riconoscono la responsabilità reciproca, la titolarità, l’azione collettiva e la necessità di processi di partecipazione inclusivi. Pur riconoscendo il ruolo guida dell’UE nella promozione di un regime climatico internazionale equo e solido, il CESE esorta le istituzioni dell’UE e i governi nazionali ad intervenire sul piano della giustizia climatica a tutti i livelli (globale, europeo, nazionale e locale). Il processo del semestre europeo potrebbe essere utilizzato come strumento per realizzare questo obiettivo. Pertanto, nel presente parere il concetto di giustizia climatica riconosce l’esigenza di considerare l’equità dell’impatto, spesso sproporzionato, dei cambiamenti climatici sui cittadini e sulle comunità nelle economie in via di sviluppo e in quelle sviluppate.

3.3.

C’è un problema di resistenza alle politiche in materia di cambiamenti climatici, le quali, nonostante i benefici che apportano, vengono percepite come penalizzanti per il cittadino medio, per taluni settori specifici (ad esempio il settore agroalimentare o i trasporti), per le comunità e per singoli individui che dipendono dai combustibili fossili.

3.4.

Diverse iniziative politiche sono incentrate su settori fortemente influenzati dalle sfide climatiche, ad esempio la sanità, i trasporti, l’agricoltura e l’energia. La giustizia climatica può fornire un approccio integrato globale per garantire una transizione giusta ed equa verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

3.5.

È importante osservare che la giustizia climatica non concerne solo chi è vittima diretta degli effetti dei cambiamenti climatici ma anche coloro che sono colpiti dai fattori che determinano tali cambiamenti, a causa della loro dipendenza da beni, servizi e stili di vita associati a emissioni elevate e ad un basso livello di efficienza delle risorse.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   Giustizia sociale

4.1.1.

Il CESE ritiene che tutti i cittadini abbiano diritto ad un ambiente pulito e sano e di aspettarsi che i loro governi si assumano la responsabilità dei loro impegni nazionali e dei contributi stabiliti a livello nazionale (Nationally Determined Contributions — NDC) conformemente all’Accordo di Parigi per quanto concerne di intervenire sui fattori che sono alla base dei cambiamenti climatici e sulle minacce che questi ultimi comportano, riconoscendo non solo i più evidenti aspetti economici e ambientali ma anche l’impatto sociale del fenomeno.

4.1.2.

Il pilastro dei diritti sociali dell’UE deve servire da quadro di riferimento per un rinnovato processo di convergenza verso il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro fra gli Stati membri. Detto pilastro si basa su 20 principi, molti dei quali saranno influenzati direttamente dai cambiamenti climatici oppure indirettamente dalla necessità di passare a nuovi modelli economici.

4.1.3.

Il CESE propone di avviare un dibattito, nell’ambito dei diritti umani e dei diritti sociali, a proposito di una Carta dei diritti climatici. che sancisca i diritti dei cittadini e della natura nel contesto delle sfide poste dalla crisi dei cambiamenti climatici. In tale contesto, il CESE ricorda il progetto di Dichiarazione universale dei diritti dell’umanità elaborato da Corinne Lepage, in vista della COP 21 nel 2015.

4.1.4.

I diritti della natura sono ormai riconosciuti in vari paesi del mondo, nell’ambito del processo legislativo. Ad esempio, nei Paesi Bassi una ONG (la Fondazione Urgenda) ha vinto nel 2015 una causa contro il governo in materia di clima. La Corte suprema neerlandese ha coerentemente confermato il principio secondo cui lo Stato può essere ritenuto legalmente responsabile per non aver preso misure sufficienti ad impedire i danni prevedibili derivanti dai cambiamenti climatici. Casi analoghi si profilano in Belgio e in Norvegia. Inoltre, iniziative come il Patto globale per l’ambiente, lanciato il 24 giugno 2017, sono destinate a far fronte alla necessità di un equa governance mondiale in materia di ambiente, completando i «diritti di terza generazione» con uno strumento di riferimento generale, universale e trasversale.

4.1.5.

È necessario garantire che le categorie più vulnerabili della società non debbano sostenere un onere eccessivo e che i costi della transizione verso un modello economico in grado di rispondere ai cambiamenti climatici vengano ripartiti equamente tra le diverse componenti della collettività. Per esempio, il principio «chi inquina paga» dovrebbe essere applicato a coloro che inquinano e che ne traggono profitto, e non agli utilizzatori finali, nei casi in cui non vi siano alternative valide. L’applicazione attenta e adeguata di questo importante principio è stata già esaminata dal CESE (2).

4.1.6.

Si prevede un aumento delle diverse forme di migrazione (compresi i profughi climatici) in seguito a sfollamenti (3). Già si è visto il grado d’impreparazione dell’UE nel fare fronte a situazioni di questo tipo, e la ripartizione sproporzionata degli oneri fra i vari Stati membri è sotto gli occhi di tutti. Il CESE ha già sottolineato come i processi economici squilibrati possano accentuare la destabilizzazione in tale contesto (4).

4.1.7.

A livello UE non esiste uno strumento specifico che sia applicabile alle «persone sfollate per motivi ambientali», come rilevato da un recente studio elaborato dal Parlamento europeo sul tema dei profughi climatici. La direttiva sulla protezione temporanea è uno strumento politicamente complesso per gestire eventuali spostamenti di massa, e il CESE sostiene la posizione secondo la quale il trattato di Lisbona conferisce all’UE un mandato sufficientemente ampio per rivedere la politica in materia di immigrazione al fine di disciplinare lo status delle «persone sfollate per motivi ambientali».

4.2.   Settore agroalimentare

4.2.1.

I sistemi di produzione alimentare e le abitudini alimentari subiranno una trasformazione per adattarsi ai cambiamenti climatici ed attenuarli. Tutti i cittadini dipendono dal settore agroalimentare (ad esempio gli agricoltori, le famiglie, gli operatori della catena di approvvigionamento e i consumatori), e pertanto la transizione verso una società a basse emissioni di carbonio dovrà essere tale da garantire ai soggetti interessati agevolazioni e sostegno nel far fronte ai necessari mutamenti. Inoltre, tale transizione dovrà aver luogo a livello globale e in un quadro settoriale, e l’UE potrà avere un ruolo guida in questo ambito.

4.2.2.

I cambiamenti climatici comportano enormi sfide per l’agricoltura europea, vista sia come una delle cause di tale cambiamento sia come uno dei settori che ne subiscono in prima linea le conseguenze.

4.2.3.

Il settore ha bisogno di essere ridefinito in relazione al suo contributo ai sistemi naturali di assorbimento, come ad esempio i servizi ecosistemici capaci di attenuare alcune delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Tali servizi meritano di essere riconosciuti, e i finanziamenti pubblici, attraverso la PAC, dovrebbero essere orientati a sostenere questi servizi che il settore agricolo fornisce nel quadro dei suoi obiettivi di produzione alimentare. Il Comitato ha sostenuto questa idea generale in un parere di recente adozione (5).

4.2.4.

Un consumo alimentare sostenibile deve avere inizio già a monte, nelle fasi di preparazione del terreno e di gestione dei sistemi naturali al fine di fornire l’elemento costitutivo primario dei prodotti alimentari. Il CESE sottolinea la necessità di avviare un dibattito sulla necessità di una direttiva quadro per la protezione del suolo, e di fornire una leadership chiara sull’importanza di promuovere la gestione sostenibile e la tutela del suolo (6). La protezione del suolo e la sua funzione nell’ambito dei servizi ecosistemici rappresentano una delle priorità dell’attuale presidenza estone del Consiglio dell’UE (7).

4.2.5.

Il CESE promuove il concetto di una produzione e di un consumo sostenibili. Il raggiungimento di un consenso sull’esigenza di cambiare le abitudini nei confronti del consumo di carne dipenderà dall’individuazione delle opportunità e dei sostegni necessari al fine di garantire una transizione equa per coloro che dipendono da questo settore dell’industria agroalimentare.

4.2.6.

Anche questo settore è condizionato dalle cause dei cambiamenti climatici, in particolare per la sua dipendenza dai combustibili fossili, per quanto riguarda la produzione alimentare, la trasformazione, l’imballaggio e il trasporto. È necessario elaborare politiche che riconoscano la natura intrinseca del modello agroalimentare esistente, tracciando una possibile rotta verso un futuro sostenibile e rispettoso del clima per gli agricoltori.

4.2.7.

Le politiche ambientali non sono necessariamente in conflitto con le esigenze immediate del settore agricolo, a condizione che vengano considerate come l’applicazione di meccanismi di sostegno al fine di agevolare la transizione verso una società a basse emissioni di carbonio.

4.3.   Consumatori

4.3.1.

Nel realizzare la transizione, i consumatori potranno esercitare pienamente il loro potere solo nella misura in cui disporranno di un’alternativa etica sostenibile che non comporti una riduzione significativa della convenienza o della qualità in termini di servizio, utilizzo o accessibilità. I nuovi modelli economici, come l’economia digitale, collaborativa e circolare, nonché la cooperazione internazionale relativa al passaggio a tali modelli a livello globale e settoriale, possono contribuire a creare alternative valide per i consumatori.

4.3.2.

Troppo spesso il principio «chi inquina paga» è applicato in modo scorretto, e ai consumatori vengono imposti prelievi senza offrire loro alcuna valida alternativa. Affinché la tariffazione possa funzionare come strumento efficace per indurre un cambiamento delle abitudini nella giusta direzione, è necessario dare ai consumatori un’opzione alternativa.

4.3.3.

La tassa sui sacchetti di plastica è un buon esempio di un importo minimo versato dai consumatori, i quali però hanno altre opzioni a loro disposizione, vale a dire la possibilità di fare la spesa con la propria borsa o di utilizzare una cassetta fornita dal rivenditore. Se applicate in questo modo, tali misure garantiscono un cambiamento delle abitudini su larga scala.

4.3.4.

La tassazione dei carburanti di origine fossile (ad esempio la benzina) a livello dei consumatori può invece provocare malcontento e far deviare il reddito disponibile verso l’acquisto di carburante. Può inoltre alimentare un mercato secondario illegale, senza intaccare gli utili di chi è in prima linea nel produrre le sostanze inquinanti. Tutto questo è aggravato, nella maggior parte dei casi, dall’incapacità di queste tasse di produrre una delimitazione. I cittadini hanno l’impressione che le politiche in materia di cambiamenti climatici penalizzino ingiustamente coloro che non hanno altra alternativa se non quella di operare in un’economia dei combustibili fossili.

4.3.5.

Dovrebbero essere utilizzati dei meccanismi di sostegno, compresi investimenti di denaro pubblico e strumenti economici per garantire l’esistenza di un’infrastruttura e di un adeguato supporto a favore dei consumatori che desiderino scegliere uno stile di vita a basse emissioni di carbonio, compresa un’assistenza per sostenere i costi più elevati di beni e servizi etici, di lunga durata e sostenibili. Ciò potrebbe avvenire sotto forma di partenariati pubblico-privati. Nell’industria automobilistica, ad esempio, vi sono costruttori che sostengono modalità di finanziamento intese a migliorare l’accesso dei consumatori a nuove autovetture. Regimi di sostegno analoghi potrebbero essere previsti in altri settori, per esempio quello degli elettrodomestici, oppure per l’ammodernamento di una casa o di un’impresa.

4.3.6.

Dal punto di vista climatico, vi è una contraddizione nell’utilizzare fondi pubblici per sostenere ed investire in sistemi e infrastrutture che aumentano la dipendenza degli utilizzatori finali dalle cause principali dei cambiamenti climatici mentre, nel contempo, si cerca di limitare e gestire l’impatto di tali cambiamenti. I consumatori sono in prima linea nel subire le conseguenze di questa situazione. La scelta tra pagare di più le opzioni inquinanti e farne a meno non è una scelta «giusta» da offrire ai cittadini.

4.3.7.

È diffusa l’opinione che uno stile di vita e scelte di consumo sostenibili siano alla portata solo di chi dispone di un elevato reddito. Le scelte etiche, rispettose del clima e sostenibili da parte dei consumatori non sono accessibili a tutti allo stesso modo. Una tariffazione che tenga conto dei costi climatici (come l’intensità delle risorse) di beni e servizi dovrebbe essere sostenuta da un quadro politico in grado di confutare tale percezione e accrescere l’accessibilità per tutti i consumatori.

4.3.8.

Le norme dell’UE sulla tutela dei consumatori sono precedenti al riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite, del consumo sostenibile come diritto fondamentale dei consumatori (a partire dal 1999), e quindi non vi fanno alcun riferimento (8). Il CESE rinnova la sua richiesta di una politica in materia di consumo sostenibile. Ciò assume particolare rilevanza nel contesto degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’iniziativa per un’economia circolare.

4.3.9.

Senza una valida alternativa, il consumatore non ha altra possibilità se non quella di vivere in condizioni di povertà, avere scarso potere decisionale e fare scelte poco sane o non sostenibili, e finirà quindi per sviluppare un’avversione alle politiche «ambientali» che considera penalizzanti nei suoi confronti. Nel frattempo, coloro che traggono profitto da questo sistema non pagano e anzi guadagnano ancora di più, facendo aumentare le disuguaglianze mascherate da misure di politica ambientale in contraddizione con i principi della sostenibilità.

4.4.   Le transizioni nel mercato del lavoro

4.4.1.

È importante tutelare tutti i lavoratori nella fase di transizione, sia quelli scarsamente qualificati o dotati di competenze non trasferibili sia quelli che ricoprono posizioni altamente qualificate. Occorre individuare i settori e i lavoratori più vulnerabili e offrire loro un sostegno adeguato. L’automazione delle mansioni nell’ambito dell’economia a basse emissioni di carbonio potrebbe condurre all’eliminazione di determinati posti di lavoro (9).

4.4.2.

La riqualificazione e l’istruzione figurano tra le modalità atte a consentire una protezione adeguata. I lavoratori i cui posti di lavoro vengono soppressi per via dei cambiamenti climatici o della necessità di porre fine alla dipendenza dalle principali cause dei cambiamenti climatici non dovrebbero essere quelli che pagano il prezzo di tali cambiamenti.

4.4.3.

Individuare in tempo utile le competenze necessarie per consentire la piena partecipazione a questi nuovi modelli economici è una parte della soluzione, tuttavia tali competenze dovrebbero essere identificate anche nel contesto degli attuali posti di lavoro e delle dipendenze dal modello insostenibile attualmente esistente.

4.4.4.

È importante proteggere e preservare le comunità, ove possibile, e facilitare la transizione limitando il suo impatto sul benessere, sia sociale che economico, di quanti sono coinvolti.

4.4.5.

I nuovi modelli economici proposti, tra cui figurano l’economia funzionale, quella collaborativa e quella circolare, presentano in modo evidente nuove opportunità in tal senso. Al riguardo, l’UE dovrebbe avviare i negoziati internazionali necessari per perseguire la realizzazione di un modello economico globale.

4.5.   Sanità

4.5.1.

I cambiamenti climatici e le relative cause hanno un costo sul piano sanitario. Questo può essere misurato in termini di decessi e malattie dovuti, per esempio, all’inquinamento atmosferico e rappresenta a sua volta un costo per la società e per i sistemi sanitari pubblici. Questi ultimi dovrebbero prendere in considerazione il ruolo che i cambiamenti climatici e le relative cause svolgono nel loro settore.

4.5.2.

Esiste una correlazione tra salute e benessere da un lato e accesso alla natura dall’altro (IEEP). Molti Stati membri si trovano ad affrontare sfide sociali e sanitarie quali obesità, problemi di salute mentale, esclusione sociale, inquinamento acustico e atmosferico, che colpiscono in maniera sproporzionata le categorie svantaggiate e vulnerabili dal punto di vista socioeconomico.

4.5.3.

Investire nella natura permette di affrontare il cambiamento climatico in termini non solo di disinvestimento in relazione agli agenti inquinanti, ma anche di investimento nello stoccaggio del carbonio negli ecosistemi naturali. I benefici che ne derivano a livello sanitario sono duplici: prevenire un aumento dei problemi di salute e promuovere uno stile di vita attivo che migliori le condizioni sanitarie dei cittadini e delle comunità. Il riconoscimento di questo aspetto contribuisce a garantire decisioni politiche equilibrate, informate e basate su elementi concreti.

4.6.   Energia

4.6.1.

Nell’UE la produzione di energia da fonti rinnovabili in termini di percentuale del consumo di elettricità è più che raddoppiata tra il 2004 e il 2015 (passando dal 14 % al 29 %). Tuttavia nei settori del riscaldamento, dell’edilizia, dell’industria e dei trasporti il fabbisogno di energia è ancora enorme: vengono realizzati sì passi avanti ma in misura estremamente limitata, ad esempio la quota delle energie rinnovabili rispetto al consumo di carburante nel settore dei trasporti è passata dall’1 % al 6 % nello stesso periodo.

4.6.2.

La povertà energetica è un problema in tutta Europa e, nonostante il suo significato e il contesto possano variare da uno paese all’altro, è un altro esempio della necessità di garantire che le politiche in materia di cambiamenti climatici siano imperniate sulla protezione dei soggetti più vulnerabili.

4.6.3.

Il CESE rinnova la sua richiesta di un Osservatorio europeo della povertà energetica (10) che riunisca tutte le parti interessate al fine di contribuire a definire degli indicatori europei di povertà energetica. Giustizia per tutti i cittadini significa garantire a tutti un’energia accessibile, pulita e a prezzi abbordabili.

4.6.4.

Le politiche che consentono di affrontare il problema della povertà energetica nell’UE possono rappresentare anch’esse una soluzione per creare un’infrastruttura energetica pulita e garantire il relativo approvvigionamento, riorientando le sovvenzioni e coordinando la volontà politica.

4.6.5.

Le politiche che sostengono direttamente o indirettamente le sovvenzioni ai combustibili fossili contribuiscono ad rovesciare il principio «chi inquina paga» (in tali casi è l’inquinatore ad essere pagato). Molte di queste sovvenzioni sono invisibili all’utente finale, ma sono finanziate, in definitiva, con il denaro pubblico. In un recente parere (11) è già stata invocata l’eliminazione delle sovvenzioni dannose per l’ambiente nell’UE; in un altro parere relativo alla mappatura delle politiche di sviluppo sostenibile dell’UE (12), il CESE sottolinea la necessità di attuare gli impegni assunti per eliminare tali sovvenzioni e di promuovere più risolutamente una riforma della tassazione ambientale.

4.6.6.

Occorre rendere il sostegno accessibile a tutti, concentrare le sovvenzioni sulle fonti di energia rinnovabili, mentre si dovrebbe avviare quanto prima un processo di graduale soppressione delle sovvenzioni che incentivano le cause dei cambiamenti climatici e, infine, le esenzioni andrebbero applicate in maniera più equa, esplicitamente non a coloro che più degli altri possono permettersi di pagare né a coloro che traggono un guadagno dalle sostanze inquinanti. Secondo il Fondo monetario internazionale, le sovvenzioni ai combustibili fossili sono attualmente dell’ordine di 10 milioni di USD al minuto, a livello mondiale. L’eliminazione di tali sovvenzioni potrebbe far aumentare le entrate pubbliche del 3,6 % del PIL mondiale, far calare le emissioni di oltre il 20 %, ridurre le morti premature per inquinamento atmosferico di oltre la metà e accrescere il benessere economico globale di 1 800 miliardi di USD (2,2 % del PIL mondiale). Queste cifre mettono in evidenza il carattere iniquo del sistema attuale.

4.6.7.

L’efficacia delle politiche a favore della sostenibilità dipende dalla capacità di garantire che gli aiuti alla transizione siano chiaramente identificati, considerati prioritari e adeguatamente finanziati.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE sul tema Per un’azione europea coordinata per la prevenzione e la lotta alla povertà energetica ( GU C 341, del 21.11.2013, pag. 21).

(2)  Parere sul tema L’impatto delle conclusioni della COP 21 sulla politica europea dei trasporti ( GU C 303 del 19.8.2016, pag. 10).

(3)  Parere sul tema Integrazione dei rifugiati nell’UE (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 19).

(4)  Parere sul tema Consenso europeo in materia di sviluppo (GU C 246 del 28.7.2017, pag.71).

(5)  Parere sul tema Integrazione dei rifugiati nell’UE (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 10).

(6)  Parere sul tema Economia circolare- Fertilizzanti ( GU C 389 del 21.10.2016, pag. 80).

(7)  Parere sul tema Uso del suolo per la sostenibilità della produzione alimentare e dei servizi ecosistemici (cfr. pagina 72 della Preesnte Gazzetta ufficiale).

(8)  Parere sul tema Il consumo collaborativo o partecipativo: un modello di sviluppo sostenibile per il XXI secolo (GU C 177 dell’11.6.2014, pag. 1).

(9)  Parere sul tema La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050 (cfr. pagina 44 della Preesnte Gazzetta ufficiale).

(10)  Cfr. nota a piè di pagina 1.

(11)  Parere sul tema Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1).

(12)  Parere sul tema Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41).


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «I partenariati di sviluppo dell’UE e la sfida posta dagli accordi fiscali internazionali»

(Parere d’iniziativa)

(2018/C 081/05)

Relatore:

Alfred GAJDOSIK

Correlatore:

Thomas WAGNSONNER

Decisione dell’Assemblea plenaria

26.1.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

28.9.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

182/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene una politica per lo sviluppo che concepisce quest’ultimo come un processo condotto tra Stati in condizioni di parità, fondato sul rispetto reciproco e su decisioni sovrane. Il finanziamento e l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) concordati in sede ONU richiedono uno sforzo coordinato a livello mondiale. Al riguardo, peraltro, va sottolineato che il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite potrebbe svolgere un ruolo ancora più incisivo in qualità di forum competente in materia di questioni fiscali. In tal modo, infatti, si garantirebbe sia l’orientamento agli OSS dell’Agenda 2030 sia la partecipazione di tutti i paesi su un piano di parità.

1.2.

Alla luce degli accordi internazionali per la riforma del diritto tributario internazionale, ad esempio attraverso il piano d’azione BEPS dell’OCSE, bisognerebbe misurare l’impatto di questi sforzi portati avanti a livello globale nel campo degli OSS e prenderli meglio in considerazione nell’ulteriore sviluppo delle politiche fiscali internazionali. Il CESE sottolinea infatti che, per attuare gli OSS, sono necessarie delle risorse finanziarie, ma che, per molti paesi, riscuotere le imposte comporta sfide considerevoli. Una situazione, questa, in parte riconducibile alle difficoltà che i paesi in via di sviluppo incontrano nel riscuotere le imposte sui redditi e sui consumi, alla concorrenza fiscale globale nel campo della tassazione delle società e alla configurazione degli accordi contro la doppia imposizione, come pure ai vincoli di capacità e a un’insufficiente condivisione delle informazioni.

1.3.

Il CESE manifesta vivo compiacimento per il grande impegno profuso dall’Unione europea e dagli Stati membri per affrontare, nell’ambito di riforme internazionali, le carenze del sistema fiscale internazionale. Tali sforzi vanno accolti con favore e devono essere sostenuti, attuati in modo efficace e in ultima analisi essere oggetto di un regolare monitoraggio. Le riforme sono oggi portate avanti soprattutto in sede OCSE, ossia dai principali paesi industrializzati. Occorre perciò verificare se l’ONU, essendo composta da quasi tutti i paesi del mondo, compresi in particolare quelli in via di sviluppo, non sia una sede più appropriata per un ulteriore sviluppo della politica fiscale internazionale che sia veramente globale. In proposito, tuttavia, il CESE fa notare che il comitato delle Nazioni Unite competente in materia fiscale soffre di una grave carenza di risorse e di personale. È dunque necessario dotare l’ONU dei mezzi sufficienti.

1.4.

Le norme UE in materia di trasparenza fiscale internazionale e il piano d’azione BEPS avranno anche un impatto sui paesi in via di sviluppo. Il CESE si compiace del fatto che il Parlamento europeo (PE) e la Commissione europea si siano già espressi sulla questione dei punti di contatto esistenti tra politiche fiscali e politiche di sviluppo. Accoglie inoltre con favore la piattaforma della buona governance in materia fiscale istituita dalla Commissione europea. Il pacchetto, presentato nel quadro di detta piattaforma come documento di lavoro dei servizi della Commissione, riguardante i cosiddetti «effetti di ricaduta» degli accordi in materia di doppia imposizione costituisce, per gli Stati membri, una valida base di riflessione in merito alla revisione di tali accordi con i paesi in via di sviluppo.

1.5.

Il CESE osserva che, in una relazione del 2015, il PE ha chiesto una serie di miglioramenti che non sono ancora stati attuati. In proposito, il Comitato rinvia alle conclusioni, formulate in alcuni suoi precedenti pareri, riguardanti in particolare le relazioni specifiche per paese e la lotta contro il riciclaggio del denaro grazie all’iscrizione dei diritti di proprietà sulle imprese in pubblici registri. Il CESE osserva che è in corso di elaborazione un elenco di giurisdizioni fiscali non collaborative, invita ad adoperarsi maggiormente per attuare le richieste formulate in merito dal Parlamento europeo e raccomanda di esaminare con attenzione le critiche attualmente rivolte dalle ONG. È opportuno promuovere l’introduzione di tali misure su scala mondiale attraverso accordi internazionali in materia fiscale affinché le autorità fiscali nei paesi in via di sviluppo possano disporre di una migliore base di informazioni. L’obiettivo dovrebbe essere quello di adottare norme omogenee a livello globale, alla cui elaborazione possano partecipare anche i paesi in via di sviluppo in condizioni di parità.

1.6.

Il CESE chiede che sia garantita la coerenza tra le politiche fiscali internazionali degli Stati membri e gli obiettivi delle politiche per lo sviluppo, poiché in caso contrario le politiche fiscali nazionali sarebbero in contrasto con le priorità comuni in materia di sviluppo.

1.7.

Il CESE ravvisa nella valutazione d’impatto delle politiche fiscali internazionali degli Stati membri uno strumento per verificare gli effetti che gli accordi contro la doppia imposizione e le agevolazioni fiscali hanno sui paesi in via di sviluppo. Valutazioni di questo tipo dovrebbero essere incoraggiate e diventare pratica corrente. Oltretutto, in caso di potenziali conflitti con le politiche europee in materia di sviluppo, tali valutazioni risulterebbero utili anche per l’Unione europea. Gli accordi contro la doppia imposizione vigenti dovrebbero essere riesaminati in quest’ottica, mentre quelli ancora da negoziare dovrebbero tenere conto di queste considerazioni.

1.8.

Il modello di convenzione fiscale dell’OCSE, che è attualmente il più diffuso, è stato sviluppato tenendo conto principalmente degli interessi dei paesi industrializzati. Pertanto, il CESE raccomanda che, nel negoziare accordi sulla doppia imposizione con i paesi in via di sviluppo, gli Stati membri prendano in maggiore considerazione le esigenze di questi ultimi. Il CESE rileva il modello di convenzione fiscale dell’OCSE è servito all’ONU per elaborare a sua volta un modello di convenzione inteso a disciplinare le questioni fiscali tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo che conferisce maggiori diritti impositivi allo Stato di origine.

1.9.

Il CESE ribadisce il suo sostegno agli investimenti privati intesi a favorire lo sviluppo, quando tale sviluppo è in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile e quando sono rispettati i diritti economici, ambientali e sociali fondamentali, le convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e l’agenda per il lavoro dignitoso. La certezza del diritto è un importante fattore di sostegno di un clima commerciale favorevole agli investimenti in generale e quindi anche agli investimenti esteri diretti. Poiché le questioni fiscali sono strettamente connesse agli obiettivi di sviluppo sostenibile, di regola le imprese dovrebbero versare le imposte là dove esse realizzano profitti creando valore aggiunto (ad esempio mediante la produzione o l’estrazione di materie prime).

1.10.

Il CESE sottolinea che l’UE e i suoi Stati membri si sono impegnati, nell’ambito del nuovo consenso europeo in materia di sviluppo, a cooperare con i paesi partner per diffondere una tassazione progressiva, misure anticorruzione e politiche redistributive, nonché per lottare contro i flussi finanziari illeciti. Tuttavia, la politica fiscale dovrebbe essere un elemento ancor più importante della politica europea di sviluppo. Il CESE accoglie con favore l’impegno della Commissione europea a favore delle piattaforme regionali e delle organizzazioni della società civile che operano nel settore della fiscalità nei paesi in via di sviluppo. Le organizzazioni della società civile nei paesi in via di sviluppo svolgono un ruolo di controllo e di sostegno, anche in campo fiscale e dovrebbero perciò essere maggiormente coinvolte e sostenute. Il sostegno a misure adeguate di creazione di capacità in campo fiscale, tra cui l’apprendimento tra pari e la cooperazione Sud-Sud, avrebbero effetti durevoli sui progetti di sviluppo.

1.11.

Per quanto riguarda gli obblighi di rendicontazione delle imprese, un comportamento fiscale responsabile dovrebbe essere considerato come parte integrante della responsabilità sociale delle imprese.

1.12.

Il CESE raccomanda di introdurre clausole di buona governance fiscale in tutti gli accordi pertinenti tra l’UE e i paesi terzi o le regioni al fine di promuovere uno sviluppo sostenibile.

1.13.

Il CESE raccomanda di verificare la possibilità che gli accordi di libero scambio, nuovi o riveduti, tra l’UE e i paesi in via di sviluppo rappresentino un’occasione per analizzare anche i trattati bilaterali in materia fiscale. Tale verifica dovrebbe essere effettuata valutando l’impatto degli effetti delle politiche fiscali internazionali degli Stati membri sugli obiettivi della politica di sviluppo.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Diversi studi (1) sollevano la questione se le politiche fiscali internazionali degli Stati membri, e in particolare molte disposizioni contenute negli accordi bilaterali sulla doppia imposizione, non siano in contrasto con gli obiettivi della politica di sviluppo dell’UE. Tali studi, inoltre, indicano che i paesi in via di sviluppo sono esportatori netti di capitali verso i paesi industrializzati, il che è in gran parte dovuto ai flussi di capitali volti ad evitare l’imposizione fiscale; e che ciò avrebbe il massimo impatto proprio sui paesi in via di sviluppo più poveri, dats ls scarsità di fonti di finanziamento interne di cui essi dispongono.

2.2.

L’Unione europea e i suoi Stati membri, considerati nel loro insieme, sono i maggiori donatori di aiuti pubblici allo sviluppo (Official development assistance — ODA) e tra i principali artefici degli accordi fiscali internazionali. Essi si sono impegnati a realizzare gli OSS, anche se solo pochi Stati membri hanno raggiunto l’obiettivo di destinare agli aiuti lo 0,7 % del PIL. Gli effetti che la Brexit produrrà sul futuro finanziamento della politica europea in materia di cooperazione allo sviluppo non sono ancora chiari. In relazione agli obiettivi della politica in materia di sviluppo, si prevede di fare di più per promuovere gli investimenti privati. Gli ODA dipendono dalle politiche dei donatori.

2.3.

Per i paesi in via di sviluppo, gli OSS comportano, tra l’altro, la mobilitazione di risorse interne, il sostegno internazionale allo sviluppo di capacità nella riscossione delle imposte, la riduzione dei flussi finanziari illeciti e la partecipazione alle istituzioni di governance globale. Ne consegue che una base stabile di entrate pubbliche, la lotta contro il deflusso illecito di risorse e il pari concorso di tutti i paesi all’elaborazione delle norme fiscali globali sono elementi essenziali per uno sviluppo sostenibile. I minori, le donne e le altre categorie vulnerabili della società dei paesi in via di sviluppo traggono un particolare beneficio da quest’ultimo (2).

2.4.

I fondi provenienti dagli aiuti pubblici allo sviluppo non sono sufficienti per finanziare gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Per raggiungere tali obiettivi, sono necessarie, come già per gli obiettivi di sviluppo del Millennio, anche delle risorse nazionali (3); e, per mobilitare tali risorse, si deve migliorare la riscossione delle imposte e aumentare il gettito fiscale attraverso una crescita economica sostenibile e un ampliamento della base imponibile.

3.   Sfide per i paesi in via di sviluppo

3.1.

Tra le varie fonti di finanziamento, il gettito fiscale costituisce la più stabile, sennonché numerosi paesi in via di sviluppo hanno difficoltà maggiori di quante non ne abbiano i paesi sviluppati a generare entrate fiscali sufficienti.

3.2.

Negli ultimi decenni si è molto intensificata la liberalizzazione degli scambi mondiali attraverso la riduzione delle tariffe all’importazione e all’esportazione, al fine di promuovere lo sviluppo economico, gli investimenti e la prosperità della popolazione in generale. Questi effetti, in linea di principio positivi, consentono anche di ampliare la base imponibile, purché però le amministrazioni fiscali possano farne buon uso. Tuttavia, questa evoluzione ha anche avuto la conseguenza di ridurre le entrate che i paesi in via di sviluppo traggono da fonti importanti e facilmente accessibili. La crescita e gli investimenti devono comunque trovare riscontro anche nella struttura delle entrate dei paesi in via di sviluppo.

3.3.

Per compensare le mancate entrate, spesso i paesi in via di sviluppo introducono un’imposta sui consumi, la quale tuttavia può di fatto essere regressiva. Un sistema fiscale basato su diverse forme di contribuzione riduce la dipendenza da un unico tipo di imposta e garantisce entrate nazionali stabili.

3.4.

Nei paesi in via di sviluppo, la tassazione degli immobili e dei capitali risulta spesso di difficile applicazione, mentre quella dei salari e degli altri redditi genera entrate fiscali relativamente limitate, dato che i redditi sono bassi. L’imposta sui redditi da lavoro è versata principalmente da dipendenti del settore pubblico e di società internazionali. senza contare che in molti casi vi è una vasta economia sommersa.

3.5.

La relazione Mbeki annovera le entrate da evasione fiscale fra i «flussi finanziari illeciti» (4), i quali sembrano essere persino superiori alle risorse provenienti dalla cooperazione allo sviluppo (5). Per porre un freno a tali flussi illeciti, è importante accrescere la cooperazione internazionale tra le autorità pubbliche, promuovere una maggiore trasparenza e rafforzare le misure legislative e regolamentari. e il rafforzamento dei diritti di proprietà nei paesi in via di sviluppo costituisce anch’esso un disincentivo importante a questi flussi di capitali in uscita.

3.6.

Le imposte sulle società svolgono, nella struttura delle entrate fiscali dei paesi in via di sviluppo, un ruolo più importante che nei paesi industrializzati. Di conseguenza, esse formano maggiormente oggetto delle strategie di elusione fiscale. Al tempo stesso, però, dagli anni ottanta del secolo scorso si registra un abbassamento, a livello mondiale, delle aliquote, sia nominali che effettive, di tali imposte, al fine di attrarre gli investimenti. Le imposte sulle società sono infatti, per un’impresa, un indicatore importante del clima degli investimenti. Tale evoluzione ha determinato una concorrenza fiscale internazionale che, data la struttura delle entrate fiscali dei paesi in via di sviluppo, crea a questi ultimi problemi maggiori che ai paesi industrializzati La questione dei cosiddetti effetti di ricaduta della concorrenza fiscale è già stata sollevata dal Fondo monetario internazionale (FMI) (6). Inoltre, in molti paesi in via di sviluppo operano poche grandi imprese investitrici che rappresentano una quota significativa del gettito fiscale societario totale.

3.7.

È difficile, per le autorità fiscali, calcolare in base al principio di piena concorrenza i prezzi di trasferimento per le operazioni transfrontaliere tra imprese appartenenti ad un medesimo gruppo. Le amministrazioni dei paesi in via di sviluppo dispongono di capacità limitate in tal senso, e la manipolazione dei prezzi di trasferimento per motivi fiscali costituisce un problema importante.

3.8.

Gli accordi sulla doppia imposizione fissano i diritti di tassazione tra i paesi contraenti, disciplinano lo scambio di informazioni tra le rispettive autorità fiscali e garantiscono in tal modo la certezza del diritto. Essi possono quindi essere visti dalle imprese come un incentivo agli investimenti esteri diretti e, in ultima analisi, come un modo per promuovere la crescita. Quegli stessi accordi, tuttavia, possono anche avere un impatto sui diritti di imposizione dei paesi di origine. Le aliquote delle ritenute alla fonte su dividendi, interessi e diritti di licenza (royalties) sono per lo più fissate a un livello inferiore a quello delle aliquote interne dei paesi di origine; e alcune altre disposizioni, come ad esempio una definizione restrittiva di «stabile organizzazione», possono ridurre i diritti impositivi. Tali accordi possono quindi essere interessanti per i paesi in via di sviluppo, ovviamente interessati ad attrarre nuovi investimenti, ma possono anche far perdere loro diritti impositivi. Gli accordi per lo scambio di informazioni in materia fiscale possono pertanto costituire una soluzione più efficace, qualora un paese cerchi prevalentemente di acquisire informazioni di carattere fiscale da altre giurisdizioni.

3.9.

La base di partenza utilizzata più comunemente per i negoziati è il modello di convenzione fiscale dell’OCSE, orientato prevalentemente agli interessi dei paesi industrializzati (7). Esiste però anche il modello di convenzione elaborato dall’ONU, concepito come una soluzione alternativa per i paesi in via di sviluppo che rispecchia meglio i loro interessi (8). In generale, quest’ultimo modello tende a conferire maggiori diritti impositivi al paese di origine anziché al paese dell’impresa produttrice.

3.10.

Spesso i paesi in via di sviluppo perdono gettito fiscale quando le imprese stabiliscono società veicolo in paesi differenti per mettere in concorrenza tra loro diverse convenzioni in materia di doppia imposizione e ottenere così il trattamento fiscale più favorevole. Anche la prestazione di servizi e le cessioni indirette di attivi (indirect transfers of assets) possono difficilmente essere tassate dai paesi di origine in base a disposizioni degli accordi in materia di doppia imposizione. Se si vuol promuovere una crescita sostenibile nei paesi in via di sviluppo, occorre tener conto del desiderio di poter fruire di condizioni favorevoli per il trasferimento di tecnologie.

3.11.

La perdita di gettito fiscale dei paesi in via di sviluppo ha formato oggetto di una serie di studi. Secondo le stime dell’organizzazione non governativa neerlandese Somo, le perdite annue dalla ritenuta alla fonte sugli interessi ed i dividendi derivanti dagli accordi contro la doppia imposizione tra i Paesi Bassi e 28 paesi in via di sviluppo ammonterebbero per questi ultimi a 554 milioni di EUR (9). E uno studio austriaco conclude che gli accordi di questo tipo dovrebbero essere oggetto di un’analisi d’impatto, poiché, malgrado eventuali aumenti degli investimenti, possono condurre a perdite di entrate (10). Secondo le stime presentate dall’Unctad nella sua «Relazione sugli investimenti nel mondo 2015», le imprese multinazionali hanno portato nelle casse dei paesi in via di sviluppo circa 730 miliardi di dollari USA. Tuttavia, la stessa Unctad calcola che, per tali paesi, le perdite di gettito derivanti dagli investimenti esteri effettuati attraverso centri finanziari offshore ammontino ogni anno a 100 miliardi di dollari USA (11). Tali perdite di entrate sono in contrasto con gli obiettivi di sviluppo sostenibile illustrati più in alto.

4.   L’azione a livello nazionale, regionale e internazionale — Il contributo dell’Unione europea e dei suoi Stati membri

4.1.

Oggi si assiste a un intensificarsi degli sforzi volti a sostenere i paesi in via di sviluppo in materia fiscale, ad esempio nel quadro dell’iniziativa Addis Tax. La politica fiscale internazionale rientra nelle competenze degli Stati membri. Gli accordi contro la doppia imposizione sono conclusi su base bilaterale, e le iniziative legislative dell’UE in questo campo si limitano essenzialmente all’adozione di strumenti volti a completare la realizzazione del mercato interno. Esiste tuttavia una cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri per garantire la coerenza delle politiche per lo sviluppo (Policy Coherence for Development — PCD) (12); e le implicazioni del sistema fiscale internazionale sullo sviluppo vengono riconosciute ed esaminate anche dalla Commissione europea (13). Per garantire tale coerenza, occorre valutare se le politiche fiscali degli Stati membri dell’UE abbiano, per i paesi in via di sviluppo, effetti incompatibili con gli obiettivi della politica in materia di sviluppo, e, se così è, agire di conseguenza adottando le misure appropriate.

4.2.

In sede ONU si lavora su questioni fiscali nel quadro del processo Finanziamento per lo sviluppo, del Consiglio economico e sociale (Ecosoc), del Comitato fiscale e anche di associazioni settoriali come la Conferenza sul commercio e lo sviluppo (Unctad). In sede OCSE sono state decise, su richiesta del G20, riforme di ampia portata con il progetto contro il trasferimento degli utili (Erosione della base imponibile e trasferimento degli utili — BEPS). Al riguardo ci si è preoccupati di eliminare, tra l’altro, fattori cruciali come il già citato treaty shopping (scelta della convenzione contro le doppie imposizioni più vantaggiosa), le pratiche fiscali dannose attuate dai governi (ad esempio patent box e accordi fiscali opachi), i disallineamenti da ibridi nel quadro del trattamento fiscale del debito e le inefficienze nella fissazione dei prezzi di trasferimento e in materia di rendicontazione in materia fiscale. Data l’importanza del gettito da imposta societaria per i paesi in via di sviluppo, ci si aspetta che il piano d’azione BEPS abbia un impatto positivo su questi paesi.

4.3.

Numerosi paesi non appartenenti all’OCSE, compresi alcuni paesi africani, hanno aderito al «quadro inclusivo» del piano d’azione BEPS dell’OCSE, e nel giugno 2017 103 paesi hanno concluso una nuova convenzione BEPS multilaterale che allinea l’interpretazione delle convenzioni fiscali bilaterali al piano d’azione BEPS. L’ONU, l’OCSE, l’FMI e la Banca mondiale hanno lanciato una «Piattaforma per la collaborazione fiscale» con l’obiettivo di intensificare la cooperazione internazionale in materia di questioni fiscali. L’iniziativa può contribuire a creare una maggiore coerenza tra i lavori dell’OCSE e quelli dei forum delle Nazioni Unite, ma sarà essenziale monitorarne l’attività per verificare se ottenga l’effetto auspicato.

4.4.

Il CESE dà atto all’OCSE degli sforzi profusi per migliorare il regime fiscale internazionale. Tuttavia, le organizzazioni della società civile (14) lamentano che nell’OCSE i paesi in via di sviluppo non abbiano diritto di voto. Tali paesi sono stati invitati a partecipare soltanto dopo che il piano d’azione BEPS era già stato elaborato. Sulla stessa linea si è espresso il Parlamento europeo, il quale ha invitato a rafforzare gli organi dell’ONU pertinenti per garantire una definizione e una riforma della politica fiscale internazionale improntate a principi di uguaglianza (15). In un documento di lavoro dell’FMI, esperti formulano riserve circa le implicazioni del piano d’azione BEPS per i paesi in via di sviluppo (16).

4.5.

Al fine di valutare l’impatto delle riforme e, se del caso, apportarvi le modifiche appropriate, gli organi dell’ONU pertinenti, e in particolare il comitato fiscale, devono essere rafforzati e dotati di risorse adeguate. In ogni caso, la Commissione europea dovrebbe monitorare l’effettiva applicazione della convenzione BEPS multilaterale firmata nel giugno 2017 e adoperarsi per intensificare la cooperazione internazionale in materia fiscale tra l’ONU, l’OCSE e le istituzioni finanziarie internazionali.

4.6.   Le attuali misure dell’UE hanno un impatto sui paesi in via di sviluppo

4.6.1.

Il pacchetto anti-elusione fiscale affronta questioni che riguardano le politiche fiscali internazionali e vanno dunque al di là dell’Unione europea (17). Le informazioni contenute nel quadro delle relazioni per paese (18) adottate dall’UE, dal G20 e dall’OCSE costituiscono uno strumento importante a disposizione delle amministrazioni fiscali. La pubblicazione in tutto il mondo di dati per paese potrebbe consentire ad un maggior numero di cittadini, compresi i lavoratori e gli investitori responsabili, di valutare meglio fino a che punto le imprese paghino le tasse nei paesi in cui esse realizzano profitti. Il CESE osserva che, in una relazione del 2015, il Parlamento europeo ha chiesto una serie di miglioramenti che non sono ancora stati attuati. In proposito, il Comitato rinvia alle conclusioni, formulate in alcuni suoi precedenti pareri, riguardanti in particolare le relazioni specifiche per paese e la lotta contro il riciclaggio del denaro grazie all’iscrizione dei diritti di proprietà sulle imprese in pubblici registri. Il CESE osserva che è in corso di elaborazione un elenco di giurisdizioni fiscali non collaborative, invita ad adoperarsi maggiormente per attuare le richieste formulate in merito dal Parlamento europeo e raccomanda di esaminare con attenzione le critiche attualmente rivolte dalle ONG. È opportuno promuovere l’introduzione di tali misure su scala mondiale attraverso accordi internazionali in materia fiscale affinché le autorità fiscali nei paesi in via di sviluppo possano disporre di una migliore base di informazioni. L’obiettivo dovrebbe essere quello di adottare norme omogenee a livello globale, alla cui elaborazione possano partecipare anche i paesi in via di sviluppo in condizioni di parità.

4.6.2.

Uno scambio automatico di informazioni in materia fiscale è stato introdotto nell’UE grazie alle modifiche apportate dalla direttiva sulla reciproca assistenza (19). I paesi in via di sviluppo, però, continuano a dover concludere accordi bilaterali di assistenza con gli Stati europei. Al riguardo occorre che lo scambio di informazioni abbia luogo in condizioni di reciprocità e di sicurezza dei dati, il che, per i paesi in via di sviluppo, comporta spesso un problema di capacità.

4.6.3.

La comunicazione della Commissione su una strategia esterna per un’imposizione effettiva (20) affronta le questioni sollevate nel presente parere. L’UE sta elaborando un elenco comune delle giurisdizioni fiscali non cooperative (21), e il CESE ha già espresso parere favorevole in proposito. Le organizzazioni non governative, da parte loro, si dichiarano scettiche in merito a tale elenco (22). Anche il PE chiede che venga adottata, a livello mondiale, una definizione di «paradiso fiscale» che comprenda anche gli Stati membri dell’UE e i relativi territori d’oltremare (23).

4.6.4.

La raccomandazione sulle convenzioni in materia fiscale (24) affronta questioni cruciali relative agli accordi contro la doppia imposizione e incoraggia gli Stati membri a rendere i loro accordi fiscali più agguerriti contro gli abusi e il fenomeno del treaty shopping. D’altro canto, però, non viene richiesta alcuna analisi dell’impatto degli accordi contro la doppia imposizione, in particolare per quanto riguarda la coerenza delle politiche per lo sviluppo e gli effetti di ricaduta. La Piattaforma della buona governance fiscale, che va accolta con favore e che affronta, con il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile, questioni di fiscalità internazionale, ha presentato un documento di lavoro in merito a tali effetti (25). Gli Stati membri dovrebbero tenerne conto.

4.6.5.

Le strategie di elusione fiscale sono spesso legate ad assetti proprietari non trasparenti. In seguito alla riforma della quarta direttiva antiriciclaggio (26), non sono stati introdotti i registri pubblici dei proprietari per le società fiduciarie o le altre società di investimento, registri che aiuterebbero i paesi in via di sviluppo a indagare sui casi di sospetto riciclaggio di denaro e di sospetta frode fiscale.

4.6.6.

Le proposte relative a una base imponibile (consolidata) comune per l’imposta sulle società formano oggetto di un altro parere del CESE (27). Nel quadro della partecipazione a convenzioni fiscali internazionali e considerata la sua importanza per le amministrazioni fiscali dei paesi in via di sviluppo, un accordo di questo tipo — e le informazioni che ne deriverebbero — potrebbe fungere da esempio e avere un impatto sulle convenzioni contro la doppia imposizione concluse con paesi terzi. I dati intra-UE potrebbero inoltre costituire punti di riferimento per effettuare calcoli comparativi nei paesi in via di sviluppo. L’obiettivo dovrebbe consistere nell’adottare norme omogenee a livello mondiale, elaborate con la partecipazione dei paesi in via di sviluppo in condizioni di parità.

4.6.7.

Il CESE raccomanda di introdurre clausole di buona governance fiscale in tutti gli accordi pertinenti tra l’UE e i paesi terzi o le regioni al fine di promuovere uno sviluppo sostenibile.

4.6.8.

Il CESE raccomanda di verificare la possibilità che gli accordi di libero scambio, nuovi o riveduti, tra l’UE e i paesi in via di sviluppo rappresentino un’occasione per analizzare anche i trattati bilaterali in materia fiscale. Tale verifica dovrebbe essere effettuata valutando l’impatto degli effetti delle politiche fiscali internazionali degli Stati membri sugli obiettivi della politica di sviluppo. In tal modo, inoltre, si potrebbe contribuire ad attuare le richieste formulate nella relazione del Parlamento europeo;

5.   Cos’altro occorre fare, a giudizio del CESE?

5.1.

Nello spirito del pacchetto anti-elusione fiscale e a garanzia della coerenza delle politiche per lo sviluppo attuate dagli Stati membri e dall’UE, occorrerebbe sottoporre regolarmente a valutazioni d’impatto le politiche fiscali internazionali le convenzioni in materia di doppia imposizione concluse dagli Stati membri (28). Al fine di migliorare il coordinamento della politica di sviluppo dell’UE e delle politiche fiscali degli Stati membri, la Commissione europea dovrebbe far sì che, nel negoziare una convenzione contro la doppia imposizione con un paese in via di sviluppo, gli Stati membri tengano conto delle politiche di sviluppo concordate a livello UE. Il Comitato accoglie pertanto con favore la raccomandazione della Commissione europea relativa all’attuazione di misure contro l’abuso dei trattati fiscali (29). Nell’ottica della realizzazione degli obiettivi di sviluppo, le esigenze dei paesi in via di sviluppo dovrebbero essere tenute in maggiore considerazione. In quest’ottica, è opportuno ampliare l’impegno dell’UE in seno alle Nazioni Unite, in particolare nel comitato fiscale dell’ONU, e promuovere il rafforzamento delle capacità nell’ambito di un forum mondiale cui tutti gli Stati partecipino a pari titolo.

5.2.

Occorrono tuttavia periodi di transizione che consentano ai paesi in via di sviluppo di partecipare allo scambio automatico di informazioni, mentre il processo di sviluppo delle loro capacità è ancora in corso.

5.3.

Per quanto riguarda gli obblighi di rendicontazione delle imprese, un comportamento fiscale responsabile dovrebbe essere considerato come parte integrante della responsabilità sociale delle imprese.

5.4.

I piani che prevedono un maggiore coinvolgimento degli investitori privati nella politica europea per lo sviluppo rendono ancor più pertinenti gli interrogativi circa le agevolazioni fiscali cui vengono condizionati gli impegni a favore dello sviluppo (30). Poiché le questioni fiscali sono strettamente connesse agli obiettivi di sviluppo sostenibile, di regola le imprese dovrebbero versare le imposte là dove esse realizzano profitti creando valore aggiunto (31). Nel sostenere la mobilitazione del settore privato, occorrerebbe assicurarsi che valga questa regola.

5.5.

Occorre inoltre fare in modo che, in linea generale, l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile non venga compromessa dalla concessione di agevolazioni fiscali.

5.6.

Il CESE ribadisce le sue osservazioni in merito ai registri pubblici dei titolari/beneficiari effettivi di conti bancari, società, fiduciarie e singole operazioni (32), e giudica importante promuovere l’introduzione di tali misure a livello mondiale mediante convenzioni fiscali internazionali. Inoltre, le suddette misure dovrebbero in particolare essere affiancate da azioni volte a sviluppare le capacità al fine di sostenere la lotta contro i flussi finanziari illeciti in uscita dai paesi in via di sviluppo. Essendovi il rischio che molte imprese europee operanti nei paesi in via di sviluppo non rientrino nell’ambito di applicazione della comunicazione paese per paese, il Comitato rimanda alle osservazioni da esso già formulate su questo tema (33). Il CESE raccomanda inoltre di valutare l’impatto sui paesi in via di sviluppo anche di altre norme pertinenti, e in particolare di quelle il cui ambito di applicazione è definito in termini di fatturato annuale.

5.7.

L’UE e i suoi Stati membri si sono impegnati, nell’ambito del nuovo consenso europeo in materia di sviluppo, a cooperare con i paesi partner per diffondere una tassazione progressiva, misure anticorruzione e politiche redistributive, nonché per lottare contro i flussi finanziari illeciti (34). Mentre i paesi in via di sviluppo stanno sviluppando le capacità tecniche e umane che permetteranno loro di partecipare pienamente agli accordi internazionali, occorre che vi sia già fin d’ora uno scambio reciproco di informazioni che consenta di raggiungere gli obiettivi concordati. L’impegno della Commissione europea (35) a favore della promozione di forum regionali (36) attraverso il comitato fiscale dell’ONU va riconosciuto e deve essere intensificato. Occorre prestare attenzione affinché tali forum prevedano un forte coinvolgimento delle parti interessate e dispongano di solide procedure di consultazione. Le organizzazioni della società civile nei paesi in via di sviluppo svolgono un ruolo di controllo e di sostegno anche in campo fiscale e dovrebbero pertanto essere sostenute.

5.8.

Ai fini della cooperazione allo sviluppo occorrerebbe tener maggiormente conto del sistema fiscale dei paesi beneficiari. Grazie allo sviluppo delle loro capacità, i paesi beneficiari saranno maggiormente in grado di aiutarsi da soli, i regimi fiscali saranno più efficienti e la legittimità dello Stato ne risulterà rafforzata. Lo scambio diretto di informazioni tra amministrazioni fiscali confrontate a sfide analoghe (il cosiddetto «apprendimento tra pari») e la cooperazione tra paesi con condizioni di sviluppo simili (ad esempio la cooperazione Sud-Sud) hanno permesso di acquisire esperienze particolarmente positive. In tal modo si crea la possibilità di un coordinamento reciproco dinanzi a sfide analoghe e si consente lo scambio di buone pratiche che risultano adeguate anche alle rispettive capacità.

5.9.

Il CESE sottolinea la necessità di garantire la coerenza delle politiche per lo sviluppo in materia fiscale: le misure adottate all’interno dell’UE, infatti, hanno ripercussioni internazionali, in particolare sui paesi in via di sviluppo, ragion per cui si deve tenere conto di tali ripercussioni e coinvolgere i paesi in via di sviluppo interessati.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Eurodad, The State of Finance for Developing countries, 2014; Braun e Fuentes, Double Taxation Treaties between Austria and developing countries, Vienna 2014; Farny e altri, Tax Avoidance, Tax Evasion and Tax Havens, Vienna 2015.

(2)  Risoluzione del Parlamento europeo, dell’8 luglio 2015, sull’elusione e l’evasione fiscale quali sfide per la governance, la protezione sociale e lo sviluppo nei paesi in via di sviluppo, P8_TA(2015)0265, paragrafo 14.

(3)  Development Finance International e Oxfam, Financing the sustainable development goals, 2015.

(4)  AU/ECA, Illicit Financial Flows — Report of the High Level Panel on Illicit Financial Flows from Africa, pag. 23 e ss.

(5)  EPRS, The inclusion of financial services in EU free trade and association agreements: Effects on money laundering, tax evasion and avoidance («L’inclusione dei servizi finanziari negli accordi di libero scambio e di associazione dell’UE: effetti sul riciclaggio di denaro e l’evasione e l’elusione fiscali»), PE 579.326, pag. 15.

(6)  FMI, Spillovers in international corporate taxation, 2014.

(7)  Owens e Lang, The Role of Tax Treaties in Facilitating Development and Protecting the Tax Base, in Bloomberg Daily Tax Report, 1o maggio 2013.

(8)  Lennard, The UN Model Tax Convention as Compared with the OECD Model Tax Convention — Current Points of Difference and Recent Developments, Asia-Pacific Tax Bulletin, vol. 49, n. 8, 2009; Daurer e Krever, Choosing between the UN and OECD Tax Policy Models: an African Case Study, documento di lavoro dell’IUE, Centro di studi avanzati Robert Schuman, 2012/60.

(9)  Mc Gauran, Should the Netherlands Sign Tax Treaties with Developing Countries, 2013.

(10)  Cfr. Braun e Fuentes, cit. alla nota 1.

(11)  Unctad, World Investment Report 2015, pag. 200.

(12)  Proposta della Commissione europea relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo — Il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro (COM(2016) 740 final); cfr. anche il parere del CESE in merito a tale proposta, GU C 246, 28.7.2017, pag. 71.

(13)  Raccomandazione della Commissione C(2016) 271 final, comunicazione della Commissione COM(2016) 24 final, documento di lavoro dei servizi della Commissione Collect more — spend better: achieving development in an inclusive and sustainable way, 2015.

(14)  Christian Aid, comunicato stampa del 19 luglio 2013, OECD Action Plan on tax dodging is step forward but fails developing countries; Oxfam, comunicato stampa del 13 novembre 2014, Oxfam reaction to OECD’s roadmap to include developing countries in international tax reform.

(15)  Cfr. il citato parere del CESE in merito alla proposta della Commissione europea relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo, GU C 246, 28.7.2017, pag. 71, punto 13.

(16)  Crivelli, De Mooij e Keen, Base Erosion, Profit Shifting and Developing Countries, documento di lavoro FMI WP/15/118.

(17)  COM(2016) 25 final — 2016/010 (CNS) e COM(2016) 26 final — 2016/011 (CNS); cfr. anche il parere del CESE in merito a tale pacchetto, GU C 264 del 20.7.2016, pag. 93.

(18)  Cfr. il parere del CESE sulla trasparenza fiscale, GU C 487 del 28.12.2016, pag. 62.

(19)  Cfr. il parere del CESE in merito al Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali, GU C 133 del 14.4.2016, pag. 17.

(20)  Cfr. il parere del CESE in merito al pacchetto antielusione, GU C 264 del 20.7.2016, pag. 93.

(21)  Disponibile online all’indirizzo https://ec.europa.eu/taxation_customs/tax-common-eu-list_en

(22)  Ad esempio, Tax Justice Network del 23.2.2017, Verdict on Finance Ministers’ blacklist: «whitewashing tax havens».

(23)  Cfr. il punto 10 della risoluzione citata alla nota 2.

(24)  Cfr. il parere del CESE in merito al pacchetto antielusione, GU C 264 del 20.7.2016, pag. 93.

(25)  Documento di discussione della Commissione europea sulla Piattaforma della buona governance fiscale, Toolbox spill-over effects of EU tax policies on developing countries, giugno 2017, Platform/26/2017/EN.

(26)  COM(2016) 450 final — 2016/0208 (COD); cfr. il parere del CESE in merito, pubblicato nella GU C 34 del 2.2.2017, pag. 121.

(27)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 58.

(28)  Cfr. il punto 15 della risoluzione citata alla nota 2.

(29)  Cfr. il parere del CESE in merito al pacchetto antielusione, GU C 264 del 20.7.2016, pag. 93.

(30)  Cfr. il parere del CESE sull’istituzione della garanzia del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD) e del fondo di garanzia EFSD, GU C 173 del 31.5.2017, pag. 62.

(31)  Cfr. il considerando A ed il punto 6 della risoluzione citata alla nota 2.

(32)  Cfr. in particolare il punto 1.5 del citato parere del CESE in merito alla proposta di direttiva antiriciclaggio, pubblicato nella GU C 34 del 2.2.2017, pag. 121.

(33)  Cfr. in particolare il punto 1.11 del parere del CESE sulla trasparenza fiscale, GU C 487 del 28.12.2016, pag. 62.

(34)  Cfr. la citata proposta della Commissione relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo, nonché il citato parere del CESE in merito, GU C 246, 28.7.2017, pag. 71.

(35)  Cfr. il citato documento di lavoro dei servizi della Commissione Collect More, Spend Better, 2015.

(36)  Come il Forum africano di amministrazione fiscale (ATAF), il Centro interamericano di amministrazione fiscale (CIAT) e il Forum mondiale sulla trasparenza e lo scambio di informazioni a fini fiscali (Credaf).


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «I diritti economici, sociali e culturali nella regione euromediterranea

(Parere d’iniziativa)

(2018/C 081/06)

Relatrice:

Helena DE FELIPE LEHTONEN

Decisione dell’Assemblea plenaria

30.3.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

28.9.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

123/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Già la dichiarazione di Barcellona (1) del 1995 sottolineava l’importanza delle organizzazioni economiche e sociali e della società civile in generale quale fattore necessario per promuovere la graduale creazione, nella zona del Mediterraneo, di uno spazio di pace, stabilità, prosperità condivisa e dialogo tra le culture e civiltà delle differenti nazioni, società e civilizzazioni della regione. Attualmente le organizzazioni della società civile del Mediterraneo rappresentano degli spazi d’inclusione, di partecipazione e di dialogo con le autorità pubbliche, comprese quelle locali, e perseguono l’obiettivo di promuovere i diritti economici, sociali e culturali nella regione mediterranea. Il CESE ritiene necessario sia rafforzare il ruolo dei consigli economici e sociali (CES), laddove esistano, che promuoverne la creazione nei paesi in cui hanno cessato l’attività oppure non sono stati costituiti, intensificando le sinergie tra i vari soggetti interessati. Per quanto concerne la promozione dei diritti, i CES e le organizzazioni economiche e sociali devono stabilire partenariati per aumentare le possibilità di esercizio dei diritti e per rendere tali diritti effettivi.

1.2.

Le donne sono vittime degli stereotipi di genere che riproducono le barriere politiche, economiche e nel campo dell’istruzione, con gravi conseguenze per lo sviluppo della società. Il CESE raccomanda che venga ridotto l’enorme divario esistente tra le disposizioni legislative e la realtà. A questo scopo, ritiene urgente predisporre i mezzi per formare e sensibilizzare i gruppi incaricati di vigilare sull’effettiva applicazione della normativa pertinente. Al fine di rafforzare i diritti, il CESE raccomanda che le amministrazioni locali lavorino fianco a fianco con le organizzazioni pertinenti, gli attori economici e sociali, la società civile e le relative reti del settore dell’uguaglianza di genere che operano in vari campi delle società di appartenenza. Inoltre, questi lavori devono essere sostenuti con contributi provenienti da università e da centri studi specializzati.

1.3.

La minaccia dell’estremismo violento va combattuta affrontandone le molteplici cause, al di là delle tematiche legate alla sicurezza. In questo compito le organizzazioni economiche e sociali devono svolgere un ruolo di primo piano, in collaborazione con le istituzioni e le reti che si occupano di dialogo interculturale e interconfessionale, per conseguire un impatto maggiore e ricomprendere nelle loro attività delle iniziative legate al patrimonio culturale, alle espressioni artistiche e alle industrie creative. Il CESE invita la Commissione europea e gli Stati aderenti all’Unione per il Mediterraneo a promuovere tali attività di dialogo interculturale anche tra le parti sociali, sostenendo le organizzazioni specializzate che, come la Fondazione Anna Lindh, lavorano da molti anni nel bacino del Mediterraneo (2). Per quanto riguarda il patrimonio, il CESE incoraggia una maggiore cooperazione nel campo della protezione del patrimonio culturale, che è attualmente minacciato da conflitti armati e da organizzazioni che praticano la violenza.

1.4.

I diritti economici, occupazionali e sociali sono essenziali per lo sviluppo economico e per una società democratica. Nel quadro di tali diritti, rivestono un’importanza centrale la libertà d’impresa, la libertà di associazione e di azione sindacale, il diritto alla contrattazione collettiva, nonché la protezione sociale in settori come la salute, l’istruzione o la vecchiaia. Come è già stato indicato dall’OIL sia al momento della sua costituzione che nella Dichiarazione di Filadelfia, occorre subordinare l’organizzazione economica alla giustizia sociale, e quest’ultima deve essere l’obiettivo centrale di ogni politica a livello nazionale e internazionale. Nella Dichiarazione di Filadelfia è stato inoltre sottolineato che l’economia e la finanza sono strumenti al servizio dei cittadini.

1.5.

I mezzi d’informazione svolgono un ruolo essenziale nel plasmare una visione e percezioni comuni, oltre a essere un veicolo essenziale per migliorare il dialogo interculturale e incoraggiare il rispetto, la tolleranza e la conoscenza reciproca. Il CESE si rallegra pertanto che siano stati avviati dei progetti che vigilano sul rispetto della diversità e promuovono un’informazione esente da pregiudizi, stereotipi e percezioni distorte. Invita inoltre a potenziare l’attività di questi strumenti per il monitoraggio, la formazione e la sensibilizzazione contro il razzismo e l’islamofobia nei mezzi d’informazione, ed esorta a promuovere meccanismi di cooperazione e piattaforme congiunte di sviluppo professionale, sia sul piano deontologico che per la difesa della libertà di espressione.

1.6.

L’istruzione costituisce la via maestra per la mobilità socioeconomica e quindi migliora potenzialmente la qualità della vita. Invece, le disparità di opportunità nell’istruzione compromettono la stabilità e la sicurezza nella regione Il CESE invita pertanto a cooperare per migliorare sul piano qualitativo sia l’istruzione primaria e secondaria che l’istruzione superiore e la formazione professionale, attraverso lo scambio di esperienze nello sviluppo dei piani di studio e nell’innovazione metodologica. D’altro canto, il CESE ritiene essenziale colmare il divario di conoscenze tra le due sponde del Mediterraneo e, a tal fine, propone di promuovere delle reti per lo sviluppo di conoscenze e ricerche congiunte che favoriscano la trasmissione e la circolazione del sapere — oltre che la mobilità di professori, studenti, accademici e ricercatori — e forniscano un sostegno alla traduzione dei lavori pertinenti, specialmente da e verso l’arabo.

1.7.

L’istruzione non formale rappresenta un complemento necessario per il suo valore di elemento costitutivo di società più inclusive e pluralistiche. Secondo il CESE, vanno potenziate le sinergie tra l’istruzione formale e quella non formale, e bisogna incoraggiare questo tipo di istruzione come strumento volto a rafforzare una cultura di pace e l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Il CESE raccomanda pertanto di destinare all’istruzione non formale un bilancio più consistente e di promuovere il trasferimento di esperienze e conoscenze tra l’Europa e la sponda meridionale del Mediterraneo.

1.8.

Per rafforzare un’economia inclusiva e competitiva, è necessario sostenere l’inclusione digitale e tecnologica delle persone. A questo scopo, il CESE sottolinea la necessità non solo di stimolare progetti a livello regionale e locale che rendano i cittadini autonomi nell’utilizzo delle nuove tecnologie, nell’imprenditorialità e nella digitalizzazione, ma anche di potenziare le iniziative per la partecipazione civica, la promozione dell’alfabetizzazione digitale e la creazione di posti di lavoro dignitosi, come — ad esempio — le iniziative urbane d’innovazione sociale e digitale (Labs).

2.   Contesto

2.1.

Nel 2011 la speranza di cambiamento nutrita dalla gioventù araba ha scosso dei sistemi politici che, inaspettatamente, venivano radicalmente messi in discussione. In Tunisia, Egitto, Libia e Yemen i leader politici sono stati rovesciati, ma le circostanze politiche concrete hanno finito per condurre questi paesi lungo strade molto diverse: la transizione tuttora in corso in Tunisia, favorita dal dinamismo della società civile locale, il cambio di regime in Egitto, e lo scoppio di conflitti in Libia e in Yemen. La Siria è sprofondata in una guerra cruenta, che ora ha assunto le dimensioni di un conflitto regionale e internazionale. Si è quindi assistito a tragici esodi di popolazione e a flussi migratori senza precedenti che hanno destabilizzato l’intera area euromediterranea.

2.2.

Oltre a un cambiamento di regime, l’obiettivo che ci si prefiggeva era la creazione di un sistema più equo e inclusivo, accompagnato da libertà politiche, giustizia sociale, opportunità e dignità. Le aspettative sono state progressivamente frustrate per effetto della loro mancata concretizzazione in campo sociale. Circostanze politiche concrete, sia all’interno che all’esterno dei paesi interessati, hanno contribuito a renderle vane. Sono trascorsi sei anni e le legittime richieste di diritti economici, sociali e culturali rimangono attuali, non avendo ricevuto risposta, e continuano a rappresentare un potenziale germe di instabilità per la regione.

2.3.

Per il CESE, pertanto, il conseguimento della pace e della democrazia nell’intera regione e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali di tutti i suoi cittadini costituiscono priorità assolute.

2.4.

I diritti fondamentali: irrinunciabili e inalienabili

2.4.1.

Il CESE invita tutti i paesi della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo ad aderire al Patto internazionale sui diritti civili e politici (3) e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (4). Al tempo stesso, sottolinea l’importanza sia dei principi e valori legati alla laicità, che della protezione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche (5).

2.4.2.

Il CESE sottolinea la centralità della protezione di una qualità di vita che sia dignitosa per tutte le persone. Il CESE evidenzia che bisogna assicurare sia l’accesso all’acqua potabile e a risorse alimentari in quantità sufficiente e a condizioni accettabili, che l’accesso all’energia in misura bastevole a evitare l’esclusione energetica tanto del singolo quanto della comunità; occorre inoltre sviluppare i servizi sanitari e promuovere un ambiente dignitoso.

2.4.3.

Allo stesso modo, tenuto conto delle circostanze particolari che interessano attualmente la regione, bisogna poter garantire a livello sia nazionale che internazionale il diritto a un alloggio adeguato oppure, in sua mancanza, a un rifugio/riparo dignitoso per il singolo e la sua famiglia. Il CESE ritiene inoltre opportuno assicurare il diritto a una ricostruzione inclusiva e dignitosa delle zone devastate per effetto di calamità naturali o di conflitti armati.

2.5.

Il diritto a un lavoro dignitoso, un fattore di stabilità sociale e di progresso

2.5.1.

Il CESE ritiene che le società dei paesi vicini debbano portare avanti uno sforzo comune a favore di una maggiore inclusività e coesione. Inoltre, l’economia di questi paesi deve essere riformata e innovata per creare posti di lavoro dignitosi, una condizione che rappresenta un elemento cruciale per lo sviluppo sostenibile.

2.5.2.

Il CESE sottolinea altresì la necessità di garantire i diritti su cui vanno fondati i suddetti principi. In quest’ottica, in tali paesi occorre garantire il diritto a un lavoro dignitoso, indipendentemente dalla condizione, confessione religiosa o nazionalità delle persone.

2.5.3.

Il CESE ritiene indispensabile che vengano adottate delle misure volte a promuovere il lavoro dignitoso quale fattore di stabilità sociale, conformemente a quanto raccomandato nella dichiarazione dell’OIL sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro e suoi seguiti (6) e nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (7), che devono servire da punto di partenza per l’eliminazione della povertà e a cui il Comitato invita ad aderire. È quindi essenziale salvaguardare i diritti fondamentali dei lavoratori, come il diritto di associazione, il diritto a formare un sindacato o ad aderire a quello di propria scelta, il diritto di sciopero, il riconoscimento effettivo del diritto alla contrattazione collettiva, nonché il diritto a certe condizioni di sicurezza e di igiene nell’esercizio dell’attività lavorativa e a una retribuzione.

2.5.4.

Inoltre, come proposto dall’OIL, è necessario sviluppare il diritto all’alloggio, allo scopo di proteggere la popolazione nel suo insieme e, in particolare, i segmenti considerati più vulnerabili. È altresì indispensabile combattere le violazioni dei diritti fondamentali, come lo sfruttamento dei minori o il lavoro forzato, e promuovere l’accesso al lavoro da parte delle donne e delle persone con disabilità.

2.6.

L’imprenditoria, un motore essenziale per lo sviluppo economico

2.6.1.

Secondo l’Unione europea (8), i cinque fattori essenziali per la pace, la stabilità, la sicurezza e la prosperità nell’area euromediterranea sono: lo sviluppo economico attraverso la modernizzazione e diversificazione dell’economia; il rafforzamento dell’ecosistema imprenditoriale e l’imprenditoria innovativa; la creazione di posti di lavoro attraverso la formazione qualificata, specialmente per i giovani; lo sviluppo del settore privato, in particolare delle PMI, e la sostenibilità sul piano energetico e ambientale. Va sottolineato che la creazione di posti di lavoro di qualità rappresenta la base per la prosperità economica e il rafforzamento non solo dell’imprenditoria femminile ma anche delle sinergie imprenditoriali sulle due sponde del Mediterraneo.

Dal canto suo, il CESE ritiene che tali fattori siano indissociabili dallo sviluppo sociale, dato che la stabilità, la sicurezza e la prosperità hanno sempre come fondamento l’integrazione e la coesione sociale.

2.6.2.

Secondo la comunicazione congiunta, è necessario permettere e garantire l’equilibrato esercizio dell’imprenditoria privata, un fattore che viene considerato determinante per lo sviluppo dell’economia in questi paesi. Bisogna pertanto assicurare un quadro giuridico che offra garanzie per quanto concerne il diritto alla proprietà privata e l’inviolabilità di tale diritto all’interno del quadro giuridico di riferimento.

2.6.3.

Il CESE, inoltre, annette grande importanza alla protezione della concorrenza libera e leale da parte delle autorità pubbliche, in modo che vengano assicurate condizioni di parità tra gli imprenditori. Ritiene quindi essenziale garantire un trattamento equo nell’accesso ai finanziamenti, la disponibilità di servizi di microcredito e una pubblica amministrazione in cui non abbia posto la corruzione e imperniata sul servizio ai cittadini.

2.7.

Il diritto alla creazione e all’innovazione, quale garanzia di un’economia diversificata e con un valore aggiunto

2.7.1.

La dichiarazione ministeriale dell’Unione per il Mediterraneo sull’economia digitale (9) si ripropone di promuovere un impatto inclusivo e trasversale delle nuove tecnologie in campo culturale, sociale, economico e governativo, oltre che sul piano della sicurezza.

2.7.2.

Il CESE appoggia inoltre l’impostazione della comunicazione congiunta in rapporto alla necessità di diversificare e sviluppare le economie della regione mediterranea in modo sostenibile e inclusivo.

2.7.3.

Il CESE sottolinea che, al momento di ideare nuovi programmi, è necessario che l’UE sviluppi programmi pensati per la zona euromediterranea che siano incentrati sullo sviluppo di un’innovazione che permetta di compiere passi avanti sul cammino del progresso economico nella regione, salvaguardando al tempo stesso il diritto del singolo e della collettività a creare e innovare. Tale diritto implica il riconoscimento del diritto alla proprietà intellettuale, il diritto a condividere e diffondere l’innovazione, nonché il diritto di accesso alle nuove tecnologie.

2.7.4.

Secondo il CESE, l’inclusione digitale e il libero accesso a Internet, a livello sia individuale che collettivo, rappresentano un diritto inerente al fatto stesso di innovare.

2.8.

Il diritto a un’istruzione di qualità, un pilastro dello sviluppo umano

2.8.1.

L’istruzione costituisce la via maestra per la mobilità socioeconomica e quindi migliora potenzialmente la qualità della vita. Il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUS) (10) evidenzia che, sebbene in molti paesi della regione l’istruzione primaria abbia raggiunto standard universali e siano stati compiuti progressi significativi anche nell’istruzione secondaria, la qualità è carente. La Banca mondiale, assieme ad altre organizzazioni, ha messo a punto dei programmi per la regione euromediterranea e sarebbe utile che la Commissione europea si impegnasse in quest’ottica. Va inoltre osservato che le notevoli disparità in termini di opportunità nel settore dell’istruzione stanno compromettendo il contratto sociale nei paesi arabi.

2.8.2.

La tabella di marcia dell’Unione per il Mediterraneo (11) insiste sulla necessità di rafforzare non solo l’istruzione, come fattore cruciale nella creazione di posti di lavoro sostenibili e qualificati, specialmente per i giovani che non hanno lavoro e rischiano di adattarsi a cattive prassi occupazionali, ma anche la ricerca e l’innovazione, quali basi per la modernizzazione dell’economia, oltre che la sostenibilità, quale elemento trasversale volto a garantire uno sviluppo sociale ed economico inclusivo.

2.8.3.

Il rafforzamento del capitale sociale è cruciale per la stabilità e la sicurezza della regione. È quindi necessario agevolare l’istruzione primaria e secondaria, l’istruzione superiore, l’accesso alla scienza e alle conoscenze scientifiche, l’occupabilità, la salute, l’emancipazione e la mobilità dei giovani, la parità di genere, i forum di discussione e la promozione dell’inclusione sociale.

2.8.4.

Malgrado alcuni problemi per quanto riguarda l’accesso a un’istruzione universale e la necessità di migliorare la qualità dell’istruzione primaria e secondaria, la sfida principale consiste nel colmare il divario tra formazione e occupazione. In quest’ottica, è indispensabile promuovere strutture che creino un collegamento tra mercato del lavoro e sistema d’istruzione, allo scopo di garantire un pieno inserimento dei giovani nella società. A tal fine, il CESE ritiene cruciale non solo promuovere lo scambio di esperienze nello sviluppo dei piani di studio e nell’innovazione metodologica, favorendo il trasferimento di esperienze e buone pratiche, allo scopo di conseguire competenze e capacità adeguate all’ambiente di lavoro, ma anche promuovere e valorizzare l’istruzione e la formazione professionale di fronte alla sfida implicita nella creazione di 60 milioni di posti di lavoro nei paesi arabi nel corso del prossimo decennio.

2.8.5.

Le parti sociali e altre organizzazioni specializzate hanno sottolineato il ruolo centrale dell’istruzione non formale (INF), non solo quale strumento essenziale e soluzione di lungo periodo nella lotta contro la radicalizzazione e ogni forma di estremismo, ma anche per il contributo che essa dà all’integrazione di gruppi a rischio, in particolare tra i giovani e le donne.

2.8.6.

Il CESE si rallegra che venga riconosciuta l’importanza dell’istruzione non formale quale complemento dell’istruzione formale, e ritiene che vadano rafforzate le sinergie tra i due tipi di istruzione. Reputa quindi che occorra rafforzare l’impegno politico a favore dell’istruzione non formale e che ad essa vada assegnata una dotazione finanziaria più consistente, visto che facilita il processo di maturazione e inserimento sociale dei giovani, educandoli alla partecipazione attiva e allo sviluppo di valori democratici, e rappresenta uno strumento adeguato per diffondere una cultura di pace.

2.9.

La mobilità in ambito accademico e scolastico: verso la scomparsa del divario di conoscenze

2.9.1.

La mobilità dei giovani rappresenta una componente essenziale della risposta alle sfide cui il Mediterraneo deve fare fronte. Infatti, nei paesi arabi la migrazione è un sintomo dell’esclusione sociale patita da giovani altamente qualificati. È quindi necessario promuovere una migrazione che sia vantaggiosa sia per i paesi di origine che per quelli di destinazione. Questo comporta un maggiore riconoscimento delle qualifiche e dei titoli di studio, oltre a rendere necessario che venga facilitata la mobilità accademica e siano migliorati i quadri giuridici relativi alle condizioni di ingresso e soggiorno nell’UE applicabili ai cittadini di paesi vicini a fini di ricerca, studio, scambio di studenti, formazione e volontariato.

2.9.2.

D’altro canto, uno degli squilibri più acuti tra le due sponde del Mediterraneo riguarda il divario di conoscenze; il CESE ritiene pertanto necessario che vengano adottate misure atte a promuovere la produzione e circolazione di conoscenze scientifiche e accademiche, e propone la creazione e la promozione di reti di conoscenza e di ricerca congiunta nella regione euromediterranea. Ritiene inoltre essenziale promuovere la traduzione dei pertinenti lavori accademici e scientifici, in particolare da e verso l’arabo.

2.9.3.

Il CESE desidera infine insistere sulla necessità di promuovere la mobilità di studenti, professori, ricercatori, accademici e scienziati attraverso soggiorni, scambi e tirocini, quale elemento cruciale per favorire la qualità accademica, le capacità di inserimento lavorativo dei giovani (rafforzando l’effettivo perseguimento e conseguimento di risultati con il programma Erasmus Plus nei paesi della regione euromediterranea), nonché la circolazione delle conoscenze e la promozione del dialogo interculturale.

2.10.

I mezzi d’informazione e il dialogo interculturale, fattori chiave per la tolleranza

2.10.1.

Il pluralismo, l’indipendenza e la professionalità dei mezzi d’informazione locali rappresentano una garanzia di progresso sociale e aiutano tali mezzi d’informazione a fungere da catalizzatori del cambiamento nei paesi del vicinato.

2.10.2.

Il CESE sottolinea la necessità di promuovere il dialogo e la collaborazione tra i mezzi d’informazione nell’area euromediterranea, allo scopo di migliorare e rafforzare gli standard professionali e i relativi quadri normativi. È inoltre cruciale contribuire a garantire e a proteggere sia la libertà di stampa che la libertà di espressione.

2.10.3.

È indispensabile riconoscere il ruolo dei mezzi d’informazione nel migliorare il dialogo interculturale e nel favorire il rispetto, la tolleranza e la conoscenza reciproca. Nell’attuale contesto in cui si stanno diffondendo discorsi antioccidentali sulla sponda meridionale e discorsi populisti di natura xenofoba in Europa, è più che mai necessario compiere uno sforzo per combattere questo tipo di narrazioni e contrastare le visioni che contrappongono popoli, culture e religioni, secondo un dualismo manicheo ed escludente.

2.10.4.

In quest’ottica, il CESE si rallegra dell’avvio di progetti che sono incentrati sul rispetto della diversità esistente in Europa e che promuovono la tolleranza e un’informazione libera da pregiudizi, stereotipi e percezioni distorte, come l’Osservatorio dell’islamofobia nei mezzi d’informazione in Spagna (12), che promuove un’informazione non intaccata dal razzismo. Dal canto suo, il Comitato esorta ad avviare progetti trasversali che abbiano questa finalità.

2.10.5.

Al di là della questione della sicurezza, la mancanza di opportunità, specie per i giovani, può costituire uno dei motivi di fondo dell’instabilità e va ad aggiungersi alle cause dei processi di radicalizzazione. È evidente la necessità di prevenire e combattere l’estremismo e il razzismo attraverso la promozione del dialogo interculturale. Pertanto, le istituzioni e le reti dedicate al dialogo interculturale e interconfessionale devono rafforzare le sinergie e le complementarità al fine di conseguire un impatto più rilevante.

2.10.6.

La prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento deve coinvolgere i CES del Mediterraneo, gli attori economici e sociali e la società civile nel suo insieme. A tal fine sono necessari meccanismi di scambio e collaborazione dotati di un proprio bilancio, e occorre anche affrontare questioni legate all’equità, alla disuguaglianza di genere, all’incitamento all’odio, alla disoccupazione giovanile e all’analfabetismo, nel quadro di uno sforzo più generale di deradicalizzazione che comprenda anche la promozione del dialogo interculturale. A tale proposito vanno sottolineati i lavori condotti dalla Rete di sensibilizzazione al problema della radicalizzazione (RAN) (13) e dal suo Centro di eccellenza.

2.10.7.

Secondo il CESE, è cruciale stimolare gli scambi tra intellettuali, artisti e operatori culturali della regione euromediterranea — in quanto veicoli privilegiati di trasformazione sociale — incoraggiando i progetti condivisi che influiscono sulla promozione del dialogo e della conoscenza reciproca. Il CESE esorta inoltre a rafforzare il coordinamento e la cooperazione per la protezione del patrimonio culturale e a far conoscere e valorizzare le differenti discipline e sensibilità culturali e artistiche che convivono nell’area euromediterranea, presentandole come un elemento prezioso per la coesione e la conoscenza reciproca.

2.11.

La società civile e le sinergie tra attori sociali: spazi d’inclusione e di dibattito

2.11.1.

Elementi quali la crisi economica e la xenofobia sulla sponda settentrionale, ma anche la richiesta di libertà di espressione e la lotta per i diritti umani nei paesi della sponda meridionale, incidono pesantemente sulla realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali nelle società dei paesi euromediterranei.

2.11.2.

In quest’ottica, la relazione annuale sui diritti umani pubblicata dal Parlamento europeo nel novembre 2015 (14) mette in evidenza che occorre dare maggiore sostegno alla società civile. Ciononostante, la visibilità delle organizzazioni della società civile nei paesi del Sud è ancora insufficiente, tenuto conto non solo degli sforzi compiuti e, talvolta, dei rischi assunti, ma anche del ruolo che svolgono nello stimolare i cambiamenti sociali. A questo proposito, i CES del Mediterraneo possono svolgere una funzione di piattaforma a fini di divulgazione, incontro e dibattito.

2.11.3.

Il CESE mette in evidenza che il tessuto associativo rappresenta uno spazio che contribuisce all’inclusione. Il Comitato ritiene inoltre necessario che la Commissione europea potenzi il sostegno a favore dei progetti che sono realizzati dalla società civile organizzata attraverso le sue strutture socioeconomiche, le sue associazioni e le reti di cui queste fanno parte, e rafforzi i partenariati e le sinergie tra i vari soggetti coinvolti.

2.11.4.

Il CESE ritiene che i ministri della regione euromediterranea debbano cooperare, in rapporto a progetti concreti, con il vertice Euromed dei consigli economici e sociali e istituzioni analoghe, senza che questo pregiudichi il sostegno fornito alle associazioni civiche e culturali.

2.12.

La donna, il centro dei diritti economici, sociali e culturali

2.12.1.

Nelle tre conferenze ministeriali euromediterranee sul rafforzamento del ruolo della donna nella società, tenutesi a Istanbul (15) (2006), Marrakech (16) (2009) e Parigi (17) (2013), i governi si sono impegnati a mantenere le promesse, vale a dire: parità di diritti tra donne e uomini nella partecipazione alla vita politica, economica, civile e sociale; lotta contro ogni tipo di violenza e discriminazione nei confronti delle donne e delle ragazze; azioni volte a cambiare gli atteggiamenti e i comportamenti per il raggiungimento della parità di genere, allo scopo di promuovere l’emancipazione delle donne non solo sul piano dei diritti ma anche concretamente nella realtà.

2.12.2.

Malgrado le modifiche legislative introdotte nei paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, il PNUS ritiene che si sia ancora lontani dal raggiungere la parità per quel che concerne i diritti economici, sociali e culturali delle donne.

2.12.3.

Il CESE rileva la grande distanza tra, da un lato, le dichiarazioni ufficiali, le proposte dalle istituzioni e anche la normativa vigente e, dall’altro, la realtà vissuta quotidianamente dalle donne nelle loro comunità, e richiama l’attenzione sulla necessità non solo di allineare le leggi nazionali alla costituzione ma anche di colmare le lacune giuridiche che rendono ancora possibili pratiche discriminatorie nei confronti delle donne.

2.12.4.

In tale contesto, il Comitato sottolinea la necessità di fornire le risorse necessarie per formare e sensibilizzare i gruppi incaricati di vigilare sull’effettiva applicazione della normativa pertinente (magistratura, forze di polizia, imprese, educatori, mezzi d’informazione, istituzioni come i consigli economici e sociali ecc.).

2.12.5.

Per rafforzare i diritti e conseguire risultati migliori, il CESE raccomanda che le amministrazioni locali lavorino fianco a fianco con le organizzazioni della società civile che operano nel settore della parità di genere, in quanto dispongono di informazioni migliori sui problemi e sulle richieste della popolazione. Questo lavoro congiunto di vari soggetti può essere sostenuto mediante contributi apportati dal mondo accademico (università e centri studi specializzati). Un esempio è la Fondazione euromediterranea delle donne (FED) (18) che, insieme alla Federazione della lega democratica per i diritti delle donne, all’autorità regionale di Marrakech, all’università Cadi Ayyad, alla commissione regionale per i diritti umani e ad altri istituzioni locali, ha condotto una campagna di sensibilizzazione contro i matrimoni precoci.

2.12.6.

Il CESE chiede pertanto ai ministri degli Stati aderenti all’Unione per il Mediterraneo che la prossima conferenza ministeriale tenga conto di questi settori d’intervento e doti le attività e campagne previste delle necessarie risorse economiche.

2.12.7.

Secondo il CESE, una mancata considerazione dei punti summenzionati avrebbe gravi conseguenze. I matrimoni precoci, l’interruzione prematura del processo di istruzione e, quindi, la svalorizzazione della donna nel mercato del lavoro e nel quadro della rappresentanza politica rappresentano alcuni dei fattori che influiscono negativamente sulla realizzazione dei diritti, in particolare di quelli delle donne e delle ragazze.

Bruxelles, mercoledì 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  http://ufmsecretariat.org/barcelona-declaration-adopted-at-the-euro-mediterranean-conference-2728-november-1995/

(2)  http://www.annalindhfoundation.org/

(3)  http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CCPR.aspx

(4)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:12012P/TXT&from=IT

(5)  http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/Minorities.aspx

(6)  http://www.ilo.org/declaration/thedeclaration/textdeclaration/lang--it/index.htm.

(7)  http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CESCR.aspx

(8)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1499785124388&uri=CELEX:52015JC0050

(9)  http://ufmsecretariat.org/wp-content/uploads/2014/09/UfMMinistersDeclarationEN.pdf

(10)  http://www.arabstates.undp.org/content/rbas/en/home/library/huma_development/arab-human-development-report-2016--youth-and-the-prospects-for-/

(11)  http://ufmsecretariat.org/wp-content/uploads/2017/01/UfM-Roadmap-23-JAN-2017.pdf

(12)  http://www.observatorioislamofobia.org/

(13)  https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/networks/radicalisation_awareness_network

(14)  http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A8-2015-0344+0+DOC+XML+V0//IT

(15)  https://www.euromedwomen.foundation/pg/en/documents/view/4224/ministerial-conclusions-on-strengthening-role-of-women-in-society

(16)  https://www.euromedwomen.foundation/pg/en/documents/view/4756/second-ministerial-conclusions-on-strengthening-role-of-women-in-society

(17)  https://www.euromedwomen.foundation/pg/en/documents/view/4226/third-ministerial-conclusions-on-strengthening-role-of-women-in-society

(18)  https://www.euromedwomen.foundation/


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: «La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 081/07)

Relatrice:

Brenda KING

Correlatore:

Lutz RIBBE

Decisione dell’Assemblea plenaria

14.7.2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sottocomitato competente

La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050

Adozione in sottocomitato

21.9.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

185/8/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Come tutte le altre regioni del mondo, l’UE si trova dinanzi a tre grandi problematiche: 1) l’esaurimento delle risorse naturali del pianeta, i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità; 2) le disuguaglianze sociali, la disoccupazione giovanile e le persone lasciate indietro nelle regioni industriali in declino; e 3) la perdita di fiducia nelle autorità pubbliche, nella classe dirigente politica, nell’UE e nelle sue strutture di governance, come anche in altre istituzioni.

1.2.

Queste tre grandi problematiche vanno inquadrate nel contesto della digitalizzazione (una megatendenza di grande rilievo) e della globalizzazione, due fattori che stanno influendo profondamente sui mercati del lavoro europei e continueranno ad avere un impatto ancora più forte in futuro. La digitalizzazione, in particolare, può aiutare ad affrontare queste tre problematiche, o contribuire ad aggravarle. Il fatto che l’impatto della digitalizzazione sia positivo o negativo dipende dal modo in cui tale fenomeno verrà gestito a livello politico.

1.3.

Sulla base di un’approfondita analisi dell’interazione tra queste tre grandi problematiche e la digitalizzazione, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) invita la Commissione a elaborare una strategia a lungo termine per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, in modo da promuovere misure che ne rafforzino l’economia al fine di ottenere benefici sociali e ambientali. Il presente parere è volto a formulare questioni e contributi che dovrebbero essere presi in considerazione nell’elaborazione della strategia a lungo termine.

Alcune persone mostrano riluttanza al cambiamento. In un contesto di continui progressi tecnologici, alcuni hanno un interesse legittimo a mantenere lo status quo. Altri possono provare insicurezza nel cercare di adattarsi a una società in costante evoluzione. Altri ancora (ad esempio, i sostenitori dell’energia verde) ritengono, invece, che i cambiamenti non avvengono con sufficiente rapidità. I responsabili politici dovrebbero prendere in considerazione questi timori e affrontare direttamente il problema, piuttosto che limitarsi a mantenere lo status quo. Il primo passo sarebbe quello di avviare un dibattito aperto sulle questioni e rafforzare la democrazia partecipativa, in particolare l’iniziativa dei cittadini europei.

1.4.

Astenersi dall’azione non è un’opzione. È necessaria la volontà politica di orientare il cambiamento nella giusta direzione. Occorre consolidare le interazioni tra lo sviluppo economico, la protezione ambientale e le politiche sociali. Il CESE è convinto che il perseguimento e la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, insieme con l’applicazione dell’accordo di Parigi e il passaggio ben gestito a un’economia a basse emissioni di carbonio e all’economia digitale, risolveranno le grandi problematiche che l’Europa si trova ad affrontare e le consentiranno di uscire vincente da questa nuova rivoluzione industriale. Il CESE invita la Commissione a sviluppare con urgenza le politiche delineate nel suo documento di lavoro intitolato Next steps for a sustainable European future  (1) [Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe] e a concentrarsi maggiormente sulla piena integrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’accordo di Parigi nel quadro strategico europeo e nelle attuali priorità della Commissione, allo scopo di definire una visione per un’Europa equa e competitiva all’orizzonte del 2050.

1.5.

L’esigenza di un forte contributo politico non va fraintesa. Se, per dare forma alla transizione, è necessario un adeguato quadro normativo, l’Europa ha anche bisogno di un’agenda che influisca sull’intera società puntando a: realizzare una globalizzazione equa, aumentare la competitività e fare dell’Europa un leader in materia di nuove tecnologie; non lasciare indietro nessuno; eradicare la povertà e creare un ambiente capace di ripristinare la fiducia nei sistemi politici e in forme di governance multilaterali (2). Oltre ad aprire la strada in diversi settori di intervento, gli approcci strategici devono anche cercare di attivare l’enorme potenziale della società civile. L’imprenditorialità sociale, le iniziative dei cittadini e il lavoro a beneficio della comunità sono solo alcuni esempi di come si può attuare lo sviluppo sostenibile mediante un approccio dal basso, in particolare per quanto riguarda la necessaria trasformazione per arrivare a un’economia a basse emissioni di carbonio o a un’economia circolare. Il miglior parametro di riferimento in questo contesto è la produzione decentrata di energia da fonti rinnovabili.

1.6.

Nel prossimo futuro, la Commissione e il CESE dovrebbero portare avanti insieme i lavori sui settori strategici fondamentali analizzati nel presente parere, ad esempio:

la competitività dell’UE in un mondo in evoluzione,

l’impatto della digitalizzazione sul mercato del lavoro (compreso il lavoro dignitoso) e sull’ambiente,

la finanza sostenibile e la tassazione,

le sfide legate allo sviluppo di nuovi modelli economici,

gli ostacoli al decentramento della produzione di energia,

l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita in una nuova era digitale e nel quadro del passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio,

la promozione di coalizioni multilaterali,

il deficit democratico nel processo legislativo dell’UE e la rinnovata sfida in termini di partecipazione della società civile,

l’integrazione di competenze specialistiche indipendenti nel processo decisionale con la necessità di potenziare la partecipazione della società civile,

un nuovo meccanismo europeo al servizio di una strategia di sviluppo sostenibile.

1.7.

Per realizzare questa combinazione di politiche serve una strategia ampia e coerente. Il CESE raccomanda che tale strategia sia orientata al lungo periodo, e che sia esplicita, integrata in senso orizzontale e verticale, gestibile e partecipativa. Il Comitato ritiene pertanto che sia di fondamentale importanza garantire che le trasformazioni all’orizzonte del 2050 siano concepite e condotte con il pieno coinvolgimento dei rappresentanti della società civile. Al fine di rafforzare la democrazia partecipativa, la Commissione dovrebbe riflettere sul suo diritto di monopolio legislativo.

2.   Introduzione

Nel 2016 la Commissione ha adottato la comunicazione dal titolo Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe. Nel presente parere, il CESE formula le sue raccomandazioni per una strategia che consenta all’Europa di affrontare le sfide alle quali si trova dinanzi. Il parere invita ad adottare un approccio incentrato sulle persone, che tenga conto delle dimensioni economica, sociale e ambientale dello sviluppo, in un’ottica di lungo periodo, al fine di superare gli approcci orientati al breve termine e la mentalità a compartimenti stagni che caratterizzano le attuali strategie dell’UE.

3.   Una megatendenza e tre problematiche di portata mondiale

Nel contesto della digitalizzazione (megatendenza), una strategia di sostenibilità dovrà dare risposte alle tre grandi problematiche descritte nella sezione 1, che sono di portata mondiale e che interessano tanto l’Europa quanto tutti gli altri continenti:

1)

come affrontare i limiti del pianeta e la sfida ambientale globale, compresi i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità?

2)

come rispondere alle crescenti disuguaglianze sociali in un mondo globalizzato?

3)

come rimediare all’erosione del sostegno dell’opinione pubblica nei confronti dei governi e delle istituzioni?

La risposta a questi interrogativi richiederà uno sforzo congiunto da parte dei responsabili delle politiche, dei politici e della società civile. Bisognerà inoltre riservare particolare attenzione ai rischi e alle opportunità della digitalizzazione. In questa sezione presentiamo alcuni aspetti di cui occorre tener conto nel ricercare le soluzioni alle tre grandi problematiche descritte (3).

3.1.   Una megatendenza: la trasformazione globale dell’economia e della società per effetto della digitalizzazione

3.1.1.

L’economia delle piattaforme, l’intelligenza artificiale, la robotica e l’Internet degli oggetti: gli sviluppi mondiali in questi settori sono di ampia portata e si susseguono a ritmo sempre più serrato, e presto o tardi incideranno su tutti i settori dell’economia e della società. La tecnologia digitale sta diventando disponibile per ampi settori della società, ma alcuni gruppi potrebbero non avere accesso a questi strumenti digitali dalle potenzialità enormi.

3.1.2.

La convergenza delle tecnologie digitali con le nanotecnologie, la biotecnologia, la scienza dei materiali, la produzione e lo stoccaggio di energia rinnovabile e l’informatica quantistica ha il potenziale di scatenare una nuova rivoluzione industriale (4). Per consentire all’Europa di guidare la nuova competizione economica e tecnologica a livello mondiale occorre mettere in campo investimenti massicci e nuove iniziative.

3.1.3.

La digitalizzazione offre numerosi vantaggi, dà origine a nuovi prodotti e servizi utili per i consumatori, e può contribuire a realizzare alcuni degli obiettivi di sviluppo sostenibile attraverso l’incremento dei livelli di reddito mondiali, il miglioramento della qualità di vita dei cittadini, la creazione di opportunità per modelli democratici più inclusivi e l’aumento del numero di posti di lavoro di qualità e della competitività complessiva dell’UE, proprio come hanno fatto le precedenti rivoluzioni industriali. Esistono però anche delle minacce: alcuni studi paventano la possibilità che la digitalizzazione distrugga molti più posti di lavoro di quanti ne possa creare.

3.1.4.

La tecnologia digitale porterà a un marcato ravvicinamento tra produzione e consumo, limitando al minimo la sovrapproduzione e consentendo quindi di ridurre l’impronta ambientale dell’UE. Lo scambio diretto di beni economici, sia attraverso le operazioni tra pari che mediante l’economia della condivisione, può ridurre il consumo di risorse. La tecnologia digitale, ad esempio, favorisce la diffusione di servizi di trasporto condiviso e di veicoli senza conducente, contribuendo in tal modo al rafforzamento della sostenibilità ambientale dei sistemi di mobilità.

3.1.5.

La digitalizzazione, tuttavia, non è intrinsecamente sostenibile: esistono ostacoli all’ingresso nel mercato e alle economie di scala che possono impedire ai cittadini di sfruttarne le potenzialità. La digitalizzazione può aumentare le disuguaglianze, in particolare per il suo potenziale di perturbare i mercati del lavoro e la sua tendenza a creare una polarizzazione, con molti posti di lavoro a bassa e media qualificazione sottoposti al rischio di automatizzazione. La robotizzazione e l’economia delle piattaforme possono rappresentare una seria minaccia per molti posti di lavoro europei, e creano nuovi rischi, perché la maggior parte delle tecnologie pertinenti opera sulla base di dati, in particolare dati personali.

3.1.6.

Le nuove opportunità di generazione di ricchezza spesso vanno a vantaggio solo di una determinata categoria di persone: individui istruiti, con buone competenze sociali e un’elevata tolleranza al rischio. I principali beneficiari delle innovazioni digitali tendono a essere i fornitori di capitale intellettuale, finanziario e fisico, come gli innovatori, gli azionisti, gli investitori e i lavoratori altamente qualificati. Si teme che la tecnologia digitale possa diventare una delle principali cause di stagnazione, o addirittura diminuzione, dei redditi.

3.1.7.

Serve una politica attiva e a vasto raggio per cogliere le opportunità offerte dalla digitalizzazione, con riferimento alle tre grandi problematiche descritte sopra. I rischi derivanti dalla digitalizzazione vanno inoltre controllati e gestiti. Il CESE dovrebbe continuare a lavorare attivamente su tali questioni.

3.2.   Le limitazioni del pianeta e la sfida ecologica globale

3.2.1.

Impegnata nella lotta mondiale contro i cambiamenti climatici (ad esempio, con l’accordo di Parigi) e favorevole alla tutela delle risorse naturali, l’Europa deve ridurre drasticamente e con urgenza l’impronta ambientale della sua economia. La crisi ecologica sta già facendo sentire i suoi effetti. A livello mondiale, la crescita della popolazione, la crescita economica a lungo termine basata sui combustibili fossili e l’uso non sostenibile delle risorse e del suolo stanno mettendo sempre più sotto pressione l’ambiente. Una sfida fondamentale, che trova eco anche negli obiettivi di sviluppo sostenibile, è quella di provvedere affinché lo sviluppo e la crescita dell’economia rispettino i limiti del pianeta, sia che si tratti della protezione del clima, dell’utilizzo e della gestione delle risorse e della qualità dell’aria e dell’acqua, o della tutela della biodiversità terrestre e marina.

3.2.2.

Per una profonda decarbonizzazione dell’economia occorre trasformare con urgenza molti settori economici. Il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili richiede flessibilità e competenze maggiori in materia energetica. Lo sviluppo generalizzato dell’energia dei «prosumatori» (5) dovrebbe anch’esso rappresentare un tassello importante e sostenibile della politica energetica dell’UE (6). I sistemi di trasporto richiedono cambiamenti strutturali attraverso l’elettrificazione e il car-sharing. Gli edifici e le infrastrutture devono essere rinnovati. Una bioeconomia avanzata può essere un fattore importante nel trainare l’ecologizzazione dell’economia.

3.2.3.

L’Europa deve abbandonare l’attuale modello economico lineare consistente nell’«estrarre, produrre, consumare e gettare» e passare a un modello circolare, pensato per ripristinare, che sia basato quando possibile su risorse naturali rinnovabili e mantenga più a lungo possibile il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse all’interno dell’economia. La digitalizzazione può essere un elemento importante in questo contesto (cfr. il punto 3.1.4).

3.2.4.

Il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio, circolare e rispettosa dell’ambiente offre all’UE l’opportunità di rafforzare la sua competitività e resilienza, oltre a migliorare la qualità di vita e il benessere dei cittadini europei. Tale passaggio riduce inoltre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e di materie prime essenziali, e crea una base stabile per la prosperità economica.

3.2.5.

Tuttavia la decarbonizzazione e la transizione ecologica comporteranno sfide sociali (7), giacché diminuiranno i posti di lavoro nei settori con un’elevata impronta ecologica. Bisogna assumere il compito politico strategico di sfruttare appieno il potenziale della decarbonizzazione e della transizione ecologica in termini di creazione di nuovi posti di lavoro e di miglioramento della sicurezza sociale, affinché il saldo netto sia quanto più possibile positivo.

3.2.6.

La transizione verso un’economia circolare e a basso tenore di carbonio è stata trainata da iniziative dal basso, riguardanti sia l’energia che i prodotti alimentari, e guidate dai cittadini, dagli enti locali, dai consumatori e dalle imprese innovative. Tuttavia spesso si assiste non già alla promozione di iniziative pertinenti e alla creazione di una massa critica in tutta Europa, con risultati positivi per il mercato del lavoro e la sicurezza sociale, bensì al rallentamento dell’ulteriore progresso a causa di ostacoli amministrativi e regolamentari. Manca una diffusa consapevolezza del fatto che le iniziative dal basso possono rappresentare un potente strumento per superare i problemi sociali legati alla decarbonizzazione e alla transizione ecologica. Per far emergere questo potenziale occorre rimuovere le barriere strutturali che impediscono ai soggetti dotati di scarse risorse di accedere alle risorse di cui hanno bisogno (anzitutto capitale e informazioni pertinenti).

3.3.   Disuguaglianze sociali crescenti

3.3.1.

Mentre da un lato la globalizzazione e il progresso tecnologico hanno drasticamente accresciuto il commercio e la ricchezza mondiali, dall’altro la loro combinazione ha anche contribuito ad inasprire le disuguaglianze sociali (e ambientali). Secondo l’organizzazione Oxfam, otto persone, tutte di sesso maschile, posseggono da sole un patrimonio uguale a quello della metà più povera della popolazione mondiale.

3.3.2.

In Europa le disuguaglianze sono in aumento; secondo un recente studio dell’OCSE, nel continente le disparità di reddito si attestano su un livello record. Negli anni ‘80, il reddito medio del 10 % più ricco delle società era 7 volte più elevato di quello del 10 % più povero, oggi tale fattore è di 9,5 volte più elevato. La diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza è ancora maggiore: il 10 % delle famiglie più ricche detiene il 50 % della ricchezza complessiva, mentre il 40 % di quelle meno ricche ne possiede poco più che il 3 % (8).

3.3.3.

Una causa dell’aumento delle disuguaglianze in Europa è lo sganciamento della crescita dal reddito netto. Mentre da un lato, tra il 2008 e il 2015, il PIL della zona euro è cresciuto di oltre il 16 % (e di oltre il 17 % nell’UE-28), dall’altro il reddito netto disponibile delle famiglie ha registrato una stagnazione, crescendo di appena il 2 % nell’UE-28.

3.3.4.

Nei 24 paesi dell’OCSE la produttività, dal 1995, è aumentata del 27 %, mentre le retribuzioni sono rimaste indietro, registrando una crescita media di appena il 22 %. Peggio ancora, l’aumento del reddito da lavoro è stato nettamente inferiore per la fascia sociale con i salari netti più bassi. Negli ultimi 20 anni questa disparità salariale è peggiorata in tutti i paesi europei, tranne in Spagna. Questa tendenza è più marcata in Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Regno Unito (9).

3.3.5.

Con i cambiamenti nella natura del lavoro vi è il rischio che questo divario si aggravi. Ad esempio, l’automazione di processi industriali complessi attraverso la robotica rischia di comprimere la domanda di manodopera impiegatizia a media qualificazione, e persino dei livelli inferiori di quella ad alta qualificazione, cui sono attualmente assegnati questi compiti complessi. È probabile che ciò contribuisca ad accrescere ancor più la polarizzazione del mercato del lavoro, perché i nuovi posti di lavoro che vengono creati corrisponderanno o a una categoria di lavoratori (ancora) più qualificati (sviluppo e manutenzione di questi prodotti/servizi), o alla fascia a bassa qualificazione, attiva per lo più nei servizi. Secondo l’OCSE, il 9 % dei posti di lavoro è a rischio di automazione, mentre per un altro 25 % le mansioni cambieranno in modo significativo.

3.3.6.

Le risposte dei governi all’impatto della digitalizzazione tendono a essere reattive anziché proattive, e sono in gran parte rivolte ad attenuarne gli effetti collaterali anziché a sfruttarne i potenziali benefici. Le risposte dei governi devono tenere maggiormente conto della sfida in termini di rappresentanza e partecipazione dei lavoratori quale fattore importante di investimento nel capitale umano in un mercato del lavoro in evoluzione. Il CESE potrebbe continuare ad analizzare attentamente l’impatto della digitalizzazione sulla natura del lavoro.

3.4.   I governi e le istituzioni perdono il sostegno dell’opinione pubblica

3.4.1.

L’aumento delle disuguaglianze, derivante solo in parte dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico, ha contribuito a causare una perdita di fiducia nei governi, nelle istituzioni politiche, nelle organizzazioni internazionali, nelle istituzioni e nella governance mondiale. Esso ha anche alimentato la crescita dei movimenti populisti e favorito il declino dei partiti politici tradizionali. Un fenomeno particolarmente preoccupante è l’astensionismo giovanile (per non parlare del voto antisistema): nel 2015 solo il 63 % degli europei di età compresa tra i 15 e i 30 anni ha votato in un’elezione (10).

3.4.2.

Molti cittadini europei percepiscono un distacco nei confronti del processo decisionale politico a livello nazionale ed europeo e ritengono che i processi democratici tradizionali non consentano loro di influire sulle decisioni fondamentali. L’approccio multilaterale (ad esempio, nel quadro dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile) costituisce un modello democratico inclusivo e un modo di superare questa diffidenza.

3.4.3.

La trasformazione verso modelli sostenibili non può e non deve essere imposta dall’alto, ma avrà successo solo se si basa su un ampio sostegno e sulla partecipazione attiva della maggior parte delle imprese, degli enti locali e regionali, dei lavoratori e dei cittadini. Dev’essere una cooperazione dal basso verso l’alto e viceversa. Le alleanze multilaterali sono state utilizzate nell’elaborazione dell’Agenda 2030 e stanno emergendo nel campo dell’azione per il clima (11). Esse possono fungere da schema per un modello inclusivo di governance democratica, applicabile in vari settori di intervento e in grado di facilitare il cambiamento trasformativo e l’innovazione.

3.4.4.

La generazione più giovane, in particolare, chiede forme non tradizionali di impegno politico, diverse dai partiti e dagli organismi politici convenzionali. Le comunità energetiche, i partenariati tra cittadini e comuni per promuovere l’efficienza energetica (ad esempio, tramite modelli contrattuali) o la gestione dei rifiuti, le iniziative di transizione, l’agricoltura sostenuta dalla comunità, i blog politici e altri formati online o persino le iniziative riguardanti valute locali rappresentano altrettante forme alternative di impegno politico. Esse non sostituiranno di sicuro l’attività politica tradizionale, ma possono apportare un contributo importante alla socializzazione politica e all’integrazione sociale.

3.4.5.

Un altro approccio promettente per superare le impasse politiche consiste nell’usare il potenziale di Internet. Le informazioni non sono mai state disponibili più liberamente di quanto lo siano in una rete decentrata senza un controllo tradizionale. Ciò comporta nuove sfide per la società, come si è visto con il fenomeno delle post-verità e delle notizie false. Si osserva tuttavia anche una proliferazione di forme alternative e non gerarchiche di attivismo, come pure un forte ricorso alle reti sociali online da parte dei cittadini, in particolare giovani.

3.4.6.

L’amministrazione pubblica online può portare a modelli di governance caratterizzati da un livello senza precedenti di partecipazione pubblica al processo di definizione delle politiche. L’UE dovrebbe guardare all’esempio di Stati membri come l’Estonia, dove sono stati compiuti notevoli progressi. La digitalizzazione consente ai cittadini di partecipare ai processi decisionali a costi relativamente bassi. Tuttavia l’esperienza dimostra che anche in materia di partecipazione digitale c’è uno squilibrio in favore del ceto medio (che risulta maggiormente rappresentato nei forum). In merito a tale questione, il CESE si trova nella posizione ideale per sviluppare un dialogo a livello di società civile.

4.   L’Europa che vogliamo

Di fronte alle tre problematiche di portata mondiale e alla megatendenza della digitalizzazione, descritte più sopra, l’UE deve riuscire a:

sfruttare quanto di meglio la rivoluzione digitale ha da offrire per creare un’economia nuova, competitiva e sostenibile,

realizzare il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio, circolare e rispettosa dell’ambiente e, allo stesso tempo, garantire che tale trasformazione sia equa per tutti,

costruire un modello sociale europeo solido,

garantire un sistema democratico più orientato ai cittadini e più decentrato, sfruttando allo stesso tempo i vantaggi di una cooperazione economica equa a livello mondiale.

4.1.

Il CESE ritiene che gli obiettivi di sviluppo sostenibile, insieme all’accordo di Parigi (COP 21), rilanceranno la visione dell’Europa che vogliamo (12)  (13). La Commissione deve dare impulso all’attuazione di tali accordi, sviluppando le politiche delineate nella comunicazione Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe e integrandole pienamente nel quadro strategico europeo e nelle sue priorità attuali. L’Europa che vogliamo, come l’Agenda 2030 (ossia gli obiettivi di sviluppo sostenibile), colloca le persone al centro della società e dell’economia, e aspira a dare a tutti la possibilità di decidere come vogliono soddisfare le proprie esigenze in armonia con l’ambiente sociale ed ecologico. Non si tratta di un progetto utopistico. In effetti l’Europa dispone attualmente dei mezzi tecnologici ed economici per attuare tale visione: l’Internet degli oggetti e i megadati, il controllo di processi complessi attraverso applicazioni mobili, la «prosumazione» attraverso la riduzione della scala di produzione e il calo dei costi di produzione (ad esempio, grazie alle energie rinnovabili o alla stampa tridimensionale), le nuove modalità di operazione commerciale e di pagamento (codifica a blocchi concatenati, bitcoin e contratti intelligenti), il cooperativismo e l’economia della condivisione come nuovi concetti imprenditoriali, e altre innovazioni.

4.2.

Tutte queste innovazioni hanno il potenziale di realizzare la visione, ma ciò presuppone una strategia che preveda soluzioni alle tre sfide connesse all’innovazione. La strategia comprende un nuovo concetto di benessere «al di là del PIL», nel cui ambito vengono perseguite in maniera integrata la prosperità economica, l’inclusività sociale, la responsabilità ambientale e la responsabilizzazione civica.

4.3.

Astenersi dall’azione non è un’opzione: se l’UE non vuole o non può sviluppare e attuare una strategia a vasto raggio, l’Europa mancherà il traguardo per quanto riguarda l’Agenda 2030 e la visione dell’Europa che vogliamo, e non solo. In assenza di azione, vi è un elevato rischio di fallimento in relazione a ognuna delle principali sfide: l’ordine europeo in materia di lavoro sarà smantellato, la decarbonizzazione e la protezione delle risorse cesseranno perché i costi sociali della transizione ecologica saranno considerati eccessivi, e le disuguaglianze sociali e l’alienazione aumenteranno, creando un rischio per la democrazia.

4.4.

È estremamente importante che la strategia contempli precise raccomandazioni strategiche al fine di contribuire ad affrontare le tre grandi sfide che l’Europa ha di fronte e, quindi, l’Europa che vogliamo diventi una realtà.

5.   Sei approcci politici per realizzare l’Europa che vogliamo

Proponiamo qui alcuni approcci politici fondamentali che offrono risposte alle tre problematiche di portata mondiale (limiti del pianeta, disparità sociali, perdita del sostegno dell’opinione pubblica) e alla megatendenza della digitalizzazione. Ognuno di questi approcci include una combinazione di politiche comprendente fino a sei elementi:

innovazione,

regolamentazione/governance,

politica sociale,

libero accesso,

istruzione e formazione,

ricerca.

Questa combinazione di politiche dovrebbe essere applicata in almeno quattro settori di intervento: un’economia equa, digitale e verde (5.1), nuove forme di governance (5.2), la sostenibilità e il settore finanziario (5.3), e promuovere la sostenibilità attraverso il commercio internazionale (5.4). Solleviamo questioni e forniamo contribuiti che dovrebbero essere ulteriormente analizzati nel lungo periodo da parte delle istituzioni dell’UE e dei soggetti interessati.

5.1.   Un’economia equa, digitale e verde che generi prosperità e benessere

5.1.1.

Innovazione: la nuova rivoluzione industriale offre all’Europa l’opportunità di diventare un leader tecnologico e di aumentare la sua competitività su mercati globalizzati. La generazione di valore economico senza costi esterni elevati deve diventare il modello d’impresa di riferimento. Abbiamo bisogno di società e imprese innovative e redditizie che investano nella produzione sostenibile, creino posti di lavoro di qualità e generino un fondamento economico per il benessere. Affinché le innovazioni contribuiscano a un’Europa più sostenibile, è necessario sviluppare un quadro di riferimento che ricompensi le attività economiche con un’impronta esterna nulla o nettamente ridotta, o con un consumo limitato di risorse. In questo modo si consentirà agli innovatori sostenibili (siano essi cittadini, imprese, città o regioni) di competere efficacemente con modelli d’impresa ad alto sfruttamento delle risorse e/o con un’impronta ambientale considerevole. Il sostegno proattivo — ad esempio, rendere il microcredito accessibile alle PMI, ai cittadini, alle famiglie, alle iniziative di comunità, alle imprese sociali e alle microimprese — dev’essere fornito anche agli innovatori che offrono nuove soluzioni per far fronte alle sfide ambientali e sociali e che adottano per primi tali soluzioni (14). In questo contesto potrebbe risultare utile un brevetto unico europeo, a condizione che i costi per il suo ottenimento non siano proibitivi (15). Riguardo alle PMI, occorrerebbe riesaminare il principio della seconda opportunità, per ridurre il livello, attualmente elevato, di avversione al rischio nell’UE (16). Le politiche devono inoltre aprire uno spazio per la sperimentazione in tutta Europa, specie nei settori della mobilità, dello smaltimento dei rifiuti, dell’energia, dell’agricoltura, dell’istruzione e della sanità. Si possono trovare nuovi mercati riorientando gli appalti pubblici verso servizi digitali, a basse emissioni di carbonio, circolari e rispettosi dell’ambiente, forniti con modalità socialmente inclusive.

5.1.2.

Regolamentazione: un quadro normativo deve rispettare tre obiettivi. In primo luogo, bisogna quantificare quanto più accuratamente possibile gli effetti esterni, in modo da poter sviluppare modelli imprenditoriali che contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi di sostenibilità (17). In secondo luogo, le normative devono garantire che in tutta Europa siano realizzate infrastrutture digitali ben sviluppate, anche nelle zone rurali, e che chiunque abbia accesso a tali infrastrutture (in particolare il riscaldamento intelligente, le reti elettriche intelligenti e le reti di elettromobilità), Esse andrebbero considerate, in senso giuridico, come servizi pubblici. Infine, dato che la digitalizzazione tende a favorire le piattaforme, c’è il rischio di monopoli nei grandi mercati digitali: sono quindi necessarie politiche attive in materia di antitrust (18). Il CESE ha proposto, inoltre, che la Commissione consideri le modalità attraverso cui lo sviluppo di piattaforme europee possa essere incoraggiato in modo che il valore creato rimanga nelle economie locali (19). Un’agenzia indipendente europea di rating delle piattaforme digitali potrebbe svolgere un ruolo importante nell’equilibrare il loro potere di mercato, operando con le stesse competenze in tutti gli Stati membri per valutare la governance delle piattaforme per quanto riguarda la concorrenza, l’occupazione e la fiscalità (20).

5.1.3.

Politica sociale: il cambiamento determinato dalla decarbonizzazione e dalla digitalizzazione (cfr. la sezione 3) rappresenta una sfida per i sistemi di sicurezza sociale per quanto riguarda la gestione del problema della perdita di posti di lavoro e la riduzione del gettito fiscale. Bisognerebbe pertanto esaminare ed elaborare nuovi approcci e nuovi modelli al fine di garantire la sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale negli Stati membri, di rispondere alle diverse situazioni del lavoro in futuro e di sostenere i lavoratori e le comunità nei settori e nelle regioni interessate dalle trasformazioni. Nel suo parere sul pilastro europeo dei diritti sociali, il CESE ha esaminato le sfide che si porranno al lavoro in futuro, e ha sollecitato una strategia europea coerente per l’occupazione che affronti i seguenti aspetti: investimenti e innovazione, occupazione e creazione di posti di lavoro di qualità; condizioni di lavoro eque per tutti; transizioni eque e senza scosse sostenute da politiche attive del mercato del lavoro; e coinvolgimento di tutte le parti interessate, in particolare delle parti sociali. Inoltre gli investimenti pubblici dovrebbero sostenere le comunità, le regioni e i lavoratori in settori che sono già interessati dalla trasformazione, oltre a prevedere e agevolare la futura ristrutturazione e transizione verso un’economia più verde e sostenibile (21).

5.1.4.

Libero accesso: sfruttare il potenziale della digitalizzazione per un’economia verde ed equa richiede anzitutto una generale apertura dell’economia, che consenta ai cittadini di partecipare attivamente e beneficiare delle opportunità del progresso tecnologico (ad esempio, combinando dati digitali sull’energia con la generazione decentrata di energia). È quindi essenziale rimuovere le barriere alla partecipazione all’economia, attraverso mercati aperti, dati aperti, modelli open source e norme aperte. Ciascuno di questi elementi dev’essere considerato un principio guida per i programmi delle politiche relative ai settori strategici dell’energia, dei trasporti, della logistica e dei processi produttivi. Bisogna sviluppare e applicare attraverso la legislazione europea il concetto di sovranità dei dati: i cittadini europei devono avere il diritto di utilizzare i propri dati per i propri scopi, di stabilire quali dati personali siano utilizzati da terzi, di decidere come vengano utilizzati i dati, di essere informati riguardo al loro impiego, di avere il pieno controllo del loro utilizzo e la possibilità di cancellarli.

5.1.5.

Istruzione e formazione: sia l’economia verde che l’economia digitale hanno bisogno di competenze specifiche, in particolare dal momento che in futuro la tecnologia digitale sarà uno strumento importante per realizzare la decarbonizzazione dell’economia europea (cfr. i punti 3.1.4 e 3.2.3). Occorre integrare nelle politiche in materia di istruzione generale e di apprendimento permanente la formazione rivolta a sviluppare le necessarie competenze formali e informali, anche in settori quali il lavoro e l’imprenditorialità collaborativi e di comunità (22). Al riguardo occorre approfondire il dialogo e l’analisi. Si raccomanda di ricorrere in modo mirato ai fondi strutturali, per garantire un sostegno efficace al fine di rimediare all’attuale mancanza di qualificazioni verdi e digitali, specie in regioni che sono già in fase di transizione, o che saranno interessate dalla transizione in futuro. Le risorse dei sistemi europei di istruzione dovranno essere dirette verso l’istruzione e lo sviluppo delle competenze nei settori nei quali le competenze umane non possono essere sostituite da sistemi di intelligenza artificiale, o nei quali gli esseri umani sono necessari per integrare tali sistemi (per esempio, le mansioni che richiedono prima di tutto l’interazione umana, quelle in cui l’uomo e la macchina lavorano insieme e quelle che si intende affidare, anche per il futuro, a esseri umani) (23).

5.1.6.

Ricerca: un’economia digitale, verde ed equa sarà il parametro di riferimento per modelli economici adeguati alle esigenze future. Il percorso verso questa economia sarà definito da una politica di ricerca mirata, basata su un’analisi dell’impatto ambientale e sociale delle innovazioni, specie quelle digitali. In questo contesto la spesa destinata alle attività di ricerca e sviluppo dev’essere disponibile agli innovatori che sviluppano tecnologie e servizi digitali nuovi, che affrontano le sfide ambientali e/o sociali. Bisogna creare una rete di incubatori di impresa per sostenere tali innovatori.

5.2.   Nuove forme di governance

5.2.1.

Innovazione: la partecipazione è un elemento essenziale della democrazia. Le elezioni e la rappresentanza sono un metodo per organizzare la partecipazione, ma servono approcci nuovi e innovativi per organizzare la partecipazione, compresa quella digitale. È importante aprire il tradizionale processo di elaborazione delle politiche a forme di attività politica di carattere non gerarchico, socialmente fluide e meno formali, e promuovere iniziative guidate dalla società civile e caratterizzate da un approccio dal basso.

5.2.2.

Governance: le modifiche richiedono, per tutti i processi legislativi dell’UE, dialoghi multilaterali trasparenti e liberamente accessibili a livello di UE e locale. Il concetto di «società civile» non dovrebbe includere solo la società civile organizzata, bensì tutti i cittadini. Ai fini dell’azione per il clima e della protezione delle risorse sono particolarmente importanti nuove alleanze (24). Per rafforzare la democrazia partecipativa bisogna abolire il quasi monopolio della Commissione europea sull’iniziativa legislativa, e lasciare più spazio alle iniziative del Parlamento europeo e a iniziative legislative dal basso, ad esempio, grazie all’eliminazione dei problemi tecnici, giuridici e burocratici connessi all’iniziativa dei cittadini europei (25).

5.2.3.

Libero accesso: ricorrere ai metodi del crowd-sourcing per tutta la legislazione dell’UE costituisce un approccio adeguato per superare gli ostacoli strutturali che rendono difficile la partecipazione dei cittadini al processo decisionale dell’UE. Nel mettere a punto questa impostazione si dovrebbe dedicare particolare attenzione all’accessibilità, all’inclusività e alla responsabilità. Il libero accesso alle politiche e alla politica può essere ulteriormente rafforzato pubblicando sul web, in un formato che ne renda facile la consultazione, tutte le attività e i dati dell’UE.

5.2.4.

Formazione/istruzione: per superare lo «squilibrio in favore del ceto medio» (cfr. il punto 3.4.6) sono necessari programmi di responsabilizzazione dei cittadini. Tali programmi dovrebbero essere concepiti in modo da coinvolgere le fasce della popolazione che tendono a non partecipare attivamente alla vita politica, economica e sociale. L’istruzione generale deve dare particolare rilievo alla consapevolezza della partecipazione e alle opportunità di partecipazione, come principio fondamentale della democrazia. Va rilevato che la partecipazione attiva ai processi di creazione della volontà politica sono reciprocamente vantaggiosi per la società e per il singolo cittadino, i cui interessi e punti di vista vengono presi in considerazione. Servono finanziamenti maggiori per le organizzazioni della società civile che si rivolgono a queste fasce meno coinvolte della popolazione e perseguono obiettivi di sostenibilità.

5.2.5.

Ricerca: le scienze sociali devono concentrarsi maggiormente sulle pratiche democratiche alternative. Un esempio è la possibile applicazione della metodologia di prototipazione alla politica. Con questo approccio, le soluzioni strategiche sarebbero concepite in un arco di tempo ridotto, e quindi realizzate in un «mercato di prova», e i loro effetti sarebbero valutati subito dopo, sulla base dei riscontri provenienti da cittadini e altre parti interessate. La valutazione d’impatto servirebbe da base per apportare le modifiche necessarie alle soluzioni strategiche prima di attuarle.

5.2.6.

Più in generale, servono ulteriori ricerche su come riesaminare il nesso tra competenza (scientifica) ed elaborazione delle politiche e su come conciliare l’integrazione di competenze indipendenti, pienamente trasparenti, nel processo di elaborazione delle politiche con la necessità di rafforzare la partecipazione della società civile.

5.3.   La sostenibilità e il settore finanziario

5.3.1.

Innovazione: un’economia digitale, verde ed equa comporta enormi investimenti sia in strutture private (ad esempio, in impianti a energie rinnovabili o in stazioni di ricarica dei veicoli elettrici) che in infrastrutture pubbliche (ad esempio, la digitalizzazione dei sistemi elettrici e di mobilità). Il settore finanziario dovrà quindi svolgere un ruolo basilare per rendere possibile questa innovazione. Occorre stanziare risorse finanziarie, anche pubbliche, per investimenti che promuovano una trasformazione sostenibile. Per realizzare gli obiettivi in materia di clima ed energia vi è bisogno di un contesto stabile e prevedibile propizio agli investimenti e di strumenti finanziari innovativi, capaci di mobilitare il finanziamento privato di investimenti che altrimenti non verrebbero realizzati (26)  (27).

5.3.2.

Regolamentazione: le politiche devono mirare a realizzare un sistema finanziario privato più sostenibile, includendo fattori di sostenibilità nella valutazione del rischio finanziario, ampliando le responsabilità delle istituzioni finanziarie riguardo alle ripercussioni non finanziarie delle decisioni d’investimento e rafforzando la trasparenza in merito alle ricadute ambientali e sociali delle decisioni d’investimento (28). Le politiche dovrebbero altresì incoraggiare gli investitori ad assumere volontariamente l’impegno a investire in attività rispondenti ai principi della sostenibilità. L’ecologizzazione degli standard bancari è essenziale per spostare il finanziamento privato dagli investimenti convenzionali a quelli in progetti a basse emissioni di carbonio e ad alta resistenza ai cambiamenti climatici. Le banche centrali dovrebbero guidare la distribuzione del capitale attraverso politiche monetarie, nonché micro- e macroprudenziali, comprese le norme di sostenibilità.

5.3.3.

Politica sociale: la digitalizzazione e la decarbonizzazione porranno i nuclei familiari sotto pressione. Serve quindi una radicale riforma fiscale, per aumentare il reddito disponibile delle famiglie e combinare questo obiettivo con i requisiti della decarbonizzazione. Il CESE chiede un sistema fiscale basato sull’internalizzazione dei costi ambientali e sull’impiego delle entrate aggiuntive per ridurre la pressione fiscale sul lavoro. Spostare l’imposizione sul lavoro verso la tassazione dell’utilizzo delle risorse contribuisce a correggere le disfunzioni del mercato, a creare nuovi posti di lavoro sostenibili e a livello locale, ad aumentare il reddito disponibile delle famiglie e a incentivare gli investimenti ecoinnovativi (29).

5.3.4.

Ricerca: l’impatto della digitalizzazione e della riduzione del consumo di combustibili fossili sulle finanze pubbliche (erosione fiscale) è tuttora in gran parte ignoto. La ricerca dovrebbe concentrarsi su questo aspetto, come anche sul contributo generale che politiche finanziarie strategiche possono offrire allo sviluppo sostenibile.

5.4.   Promuovere la sostenibilità attraverso il commercio internazionale

5.4.1.

Innovazione e opportunità di impresa: data la dimensione mondiale delle tre grandi problematiche descritte, non sarà sufficiente rendere l’Europa più sostenibile mediante una chiara politica di innovazione. In collaborazione con i partner commerciali, l’Europa deve sviluppare approcci di innovazione che siano trasferibili ad altre regioni del mondo. Il commercio può fornire un aiuto in questo campo, a condizione che gli aspetti della sostenibilità siano criteri chiave nella politica commerciale internazionale, e in particolare negli accordi commerciali bilaterali e multilaterali. Bisognerebbe assegnare un ruolo speciale all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), che dovrebbe tenere maggiormente conto delle politiche ambientali internazionali, quali l’accordo di Parigi o gli obiettivi di Aichi in materia di biodiversità. Una volta che le relative norme siano in vigore, le imprese, i cittadini, le iniziative di comunità, i comuni e le regioni d’Europa possono sviluppare innovazioni importanti (prodotti e servizi), che possono essere esportate in risposta alla necessità della decarbonizzazione e utilizzando le opportunità offerte dalla megatendenza della digitalizzazione. Esse hanno il potenziale per diventare esportazioni di successo. Soprattutto, la Commissione europea dovrebbe collaborare con l’OMC e i suoi partner principali affinché gli accordi commerciali siano utilizzati per migliorare la tariffazione del CO2, tenendo conto anche di ogni altra esternalità che danneggia l’innovazione sostenibile.

5.4.2.

Regolamentazione: una delle cause dell’aumentata impronta ambientale delle nostre economie è la crescente distanza tra luoghi di produzione, trasformazione, consumo e, talvolta, smaltimento/recupero dei prodotti. Per rendere il commercio internazionale compatibile con lo sviluppo sostenibile occorre adottare, in materia di regolamentazione, un approccio intelligente alla liberalizzazione, che tenga in considerazione e rafforzi i sistemi di produzione locali e su piccola scala. La promozione e il sostegno delle politiche in materia di economia circolare dovrebbero garantire che i sistemi siano durevoli, di piccole dimensioni, locali e puliti. Per determinate attività industriali, i cicli possono essere lunghi (30). La regolamentazione deve fornire una soluzione a tale problema attraverso accordi commerciali bilaterali e multilaterali.

5.4.3.

L’UE dovrebbe esortare la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale a svolgere un ruolo importante nella promozione di riforme del sistema fiscale e finanziario, in modo che sia creato un contesto che aiuti i paesi in via di sviluppo a mobilitare una maggiore quantità delle proprie risorse. Ciò dovrebbe comprendere una riforma fiscale nazionale, ma significa anche mobilitare la comunità internazionale per lottare insieme contro l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro e i flussi illeciti di capitali, che si traducono in deflussi di risorse finanziarie dai paesi in via di sviluppo superiori all’afflusso generato dagli aiuti ufficiali allo sviluppo. In particolare, la Commissione europea dovrebbe utilizzare l’Agenda 2030, basata sui 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, come quadro di riferimento per tutte le politiche esterne e i programmi finanziati dall’UE (31).

5.4.4.

Politica sociale: una delle vie per attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile e promuovere una politica commerciale progressiva che vada a vantaggio di tutti consiste nell’applicare degli approcci multilaterali in materia di condotta responsabile delle imprese. Nel quadro di tali approcci, le imprese, le ONG, i sindacati e i governi definiscono insieme il modo in cui si può ottemperare, nella pratica, alla responsabilità di rispettare i diritti umani. Vi è una crescente preoccupazione per le violazioni dei diritti umani nelle filiere di approvvigionamento, in particolare per quanto riguarda i minerali provenienti da regioni in conflitto, quali il cobalto, utilizzato per la produzione delle batterie ricaricabili di telefoni cellulari, computer portatili, veicoli elettrici, aeromobili e utensili elettrici. Tenuto conto dell’impegno a favore del passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio, del progressivo cammino verso la digitalizzazione e della complessità della condotta responsabile delle imprese nelle filiere di approvvigionamento internazionali, è essenziale che vi sia una collaborazione multilaterale. Il CESE accoglie pertanto con favore l’iniziativa avviata dal governo dei Paesi Bassi — della quale è lieto di essere partner — volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sul modo in cui le azioni multipartecipative possono contribuire alla comprensione attorno a una condotta responsabile significativa delle imprese, in particolare nel contesto delle filiere di approvvigionamento complesse di materie prime, la cui estrazione avviene con il ricorso al lavoro minorile o al lavoro forzato e in condizioni di pericolo.

5.4.5.

Libero accesso: i nuovi accordi commerciali devono basarsi sull’approvazione ottenuta attraverso nuovi processi democratici, che vedano la crescente partecipazione dei cittadini al processo decisionale congiunto. I capitoli relativi al commercio e allo sviluppo sostenibile negli accordi commerciali esistenti dell’UE non funzionano come dovrebbero. In primo luogo, vi andrebbero integrati gli accordi multilaterali conclusi a livello mondiale (Agenda 2030 e accordo di Parigi). In secondo luogo, bisognerebbe rafforzare i meccanismi di monitoraggio da parte della società civile e includere un’analisi dal punto di vista di quest’ultima. In terzo luogo, i meccanismi di effettiva applicazione devono valere anche per questi stessi capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile (32).

5.4.6.

Ricerca: sono necessarie prove empiriche più ampie per valutare l’impatto della rapida comparsa nel commercio internazionale di nuovi modi di produzione e consumo, che si stanno progressivamente estendendo ai servizi transnazionali, in particolare per quanto riguarda le loro ricadute sull’imposizione fiscale transnazionale. Questa dovrebbe essere la base per una decisione sull’opportunità o meno di includere tali modi nelle regole generali dell’OMC o in accordi bilaterali e regionali, come è avvenuto con l’agenda per il lavoro dignitoso.

5.4.7.

Il CESE rinnova la sua raccomandazione alla Commissione di effettuare una valutazione completa del probabile impatto che l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’accordo di Parigi avrà sulla politica commerciale dell’UE.

6.   Definizione di una strategia per un futuro europeo sostenibile — quattro criteri

6.1.

Nella sezione 5 sono stati delineati alcuni ambiti in cui occorre adottare misure politiche per costruire un’Europa più sostenibile in un contesto socioeconomico in radicale trasformazione. Per la strategia di sostenibilità dell’Europa possono essere individuati quattro criteri. Essa dev’essere:

orientata al lungo periodo,

chiara,

integrata in senso orizzontale e verticale,

gestibile.

Queste quattro caratteristiche sono illustrate più in dettaglio qui di seguito.

6.2.   Orientamento al lungo periodo

6.2.1.

Pensare in modo strategico significa sviluppare una prospettiva di lungo periodo basata sulla visione dell’Europa che vogliamo descritta nella sezione 4, e indicare il percorso che l’Europa deve compiere per mettere in pratica tale visione. Ci vorranno fino a tre decenni perché i cambiamenti sociali determinati dai problemi di portata mondiale e la megatendenza della digitalizzazione descritti nella sezione 3 diventino evidenti. Molte decisioni pertinenti, comprese le decisioni di investimento, hanno bisogno di tempo per produrre effetti. Tre decenni sembrano quindi una cornice temporale appropriata per la strategia europea di sostenibilità. Gli obiettivi di riferimento e le misure politiche corrispondenti devono essere proiettati sulla base di tale periodo di tempo (33). Con questo approccio di proiezione a ritroso si prenderebbe come punto di riferimento il migliore scenario possibile all’orizzonte del 2050, e sulla base di tale scenario ottimale si dovrebbero individuare tutte le fasi intermedie necessarie per la sua realizzazione. L’attenzione allo scenario migliore consente di sviluppare un discorso positivo, nel quale l’abbandono di un’economia a elevato tenore di carbonio e di risorse, e della società centralizzata del XX secolo non deve essere considerato punitivo, o come la fine del progresso, bensì come una nuova era positiva, capace di offrire opportunità interessanti ai cittadini.

6.3.   Chiarezza

6.3.1.

L’orientamento al lungo periodo della strategia per la sostenibilità non va inteso nel senso che non ci siano misure strategiche che vanno adottate a breve termine. Un elemento centrale della strategia di sostenibilità dovrebbe essere, piuttosto, lo sviluppo della catena di misure strategiche necessarie a raggiungere gli obiettivi previsti per il 2050, cominciando da programmi politici che diverranno effettivi nel lungo periodo, da piani strategici con effetti a medio termine e da misure specifiche orientate al breve termine. Per raggiungere il massimo grado possibile di efficacia, è necessario identificare con chiarezza la gerarchia tra programmi strategici, piani strategici e misure di intervento. Gli approcci adottati in passato in materia di sostenibilità, in particolare quelli sviluppati nel quadro della strategia di Lisbona e della strategia Europa 2020, si caratterizzavano per un’evidente mancanza di chiarezza in relazione alle misure strategiche specifiche. A tale riguardo, la strategia europea sulla sostenibilità dovrebbe prendere a riferimento la strategia di Göteborg per lo sviluppo sostenibile (34), con la sua chiara concentrazione sulle misure strategiche, che è stata confermata nella comunicazione della Commissione intitolata Una piattaforma d’azione  (35).

6.4.   Integrazione orizzontale e verticale

6.4.1.

Quando si tratta di realizzare gli approcci strategici descritti nella sezione 5 e di attuare le diverse misure strategiche indicate in tale sezione, un elemento deve essere tenuto nella massima considerazione: la stretta interconnessione tra i tra le tre problematiche di portata mondiale e la megatendenza della digitalizzazione. Pertanto, per il buon esito della strategia è necessaria un’integrazione in senso orizzontale, includendo tutti e sei gli ambiti politici ed evitando di pensare a compartimenti stagni. Una tale strategia globale e a lungo termine potrebbe prendere il posto dell’attuale strategia Europa 2020, combinando l’attuazione dei 17 obiettivi universali di sviluppo sostenibile, che riflette un fermo impegno a favore dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, con le priorità di lavoro della Commissione europea (36).

6.4.2.

Una politica di successo in materia di sostenibilità deve anche essere integrata in senso verticale. Lo sviluppo sostenibile richiederà un sostegno a tutti i livelli di intervento pertinenti (locale, regionale, nazionale, europeo e mondiale). È pertanto necessario definire chiaramente a quali livelli di intervento debbano essere adottate le diverse misure definite nel quadro strategico. Il CESE raccomanda di introdurre, parallelamente alla strategia, un quadro per la governance e il coordinamento, al fine di garantire la coerenza tra le misure centralizzate e quelle decentrate e di coinvolgere la società civile organizzata a livello nazionale e regionale. Il semestre europeo dovrebbe essere ulteriormente sviluppato, incorporandovi un meccanismo di coordinamento verticale dell’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

6.5.   Gestibilità

6.5.1.

Lo sviluppo sostenibile necessita di una gestione politica. Sulla base degli obiettivi misurabili fissati per il 2050 (cfr. il punto 6.2), dovrebbero essere fissati obiettivi intermedi che fungano da tappe fondamentali. Occorre, inoltre, effettuare una valutazione costante, per controllare se la catena di misure politiche chiare (cfr. il punto 6.3) stia ottenendo gli effetti previsti. Qualora i risultati siano inferiori rispetto agli obiettivi e alle finalità, occorre garantire l’allineamento immediato delle misure strategiche.

6.5.2.

Per valutare i progressi nell’ottica del quadro strategico a lungo termine e dello scenario ottimale per il 2050, è necessaria una vasta tabella di valutazione che rispecchi l’approccio complesso e multisettoriale descritto nel presente parere. Tale tabella dovrebbe includere indicatori di tutti e sei gli ambiti di intervento, in modo da rispecchiare l’interconnessione tra le tre problematiche di portata mondiale e la megatendenza della digitalizzazione descritte nella sezione 2. Un autentico approccio di sostenibilità strategica sarà possibile solo se verrà svolto il compito altamente analitico di definire indicatori idonei e di includerli in una tabella di valutazione globale. È inoltre necessario gestire il coordinamento verticale e orizzontale della politica di sostenibilità (cfr. il punto 6.4). Questi tre compiti (monitoraggio e valutazione, allineamento delle misure strategiche e coordinamento dell’integrazione orizzontale e verticale) richiedono organi amministrativi che possono essere chiamati a rispondere del loro operato. Una soluzione potrebbe consistere in una direzione generale a livello dell’UE e in organismi analoghi a livello nazionale.

6.5.3.

Il CESE riconosce che, in un mondo che cambia rapidamente, occorre valutare le comunità sulla base di indicatori diversi dalla crescita economica, e ha pertanto suggerito di utilizzare un nuovo parametro di riferimento: il progresso delle società. Questa misura tiene conto di fattori diversi dalla crescita economica per valutare i progressi di una comunità. I progressi delle società dovrebbero essere considerati parametri di riferimento complementari rispetto a quello della crescita economica, fornendo un quadro più vasto della situazione esistente all’interno di una comunità (37).

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  SWD(2016) 390 final.

(2)  Osservazioni del segretario generale delle Nazioni Unite in occasione del forum politico ad alto livello sullo sviluppo sostenibile del luglio 2017.

(3)  Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione europea, alla sessione plenaria del CESE del 15 dicembre 2016.

(4)  Parere del CESE sul tema Mercato unico digitale inclusivo (GU C 161 del 6.6.2013, pag. 8).

(5)  Consumatori attivi di energia, che allo stesso tempo consumano e producono elettricità.

(6)  Parere del CESE sul tema L’energia e le cooperative energetiche dei prosumatori (GU C 34 del 2.2.2017, pag. 44).

(7)  Parere del CESE sul tema Giustizia climatica, NAT 712 (cfr. pagina 22 della presente Gazzetta ufficiale).

(8)  OECD: Understanding the Socio-economic Divide in Europe [OCSE: Capire il divario socioeconomico in Europa]. Relazione informativa, 2017.

(9)  Schwellnus, C., Kappeler, A. e Pionnier, P.: Documenti di lavoro dell’OCSE. Decoupling of Wages from Productivity: Macro-Level Facts [Sganciamento dei salari dalla produttività: i dati macroeconomici].

(10)  Eurobarometro.

(11)  Parere del CESE sul tema Una coalizione per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi (GU C 389 del 21.10.2016, pag. 20).

(12)  Building the Europe We Want [Costruire l’Europa che vogliamo], relazione su uno studio realizzato dall’organizzazione Stakeholder Forum per il Comitato economico e sociale europeo nel 2015.

(13)  Common appeal to European leaders by European Civil Society Organisations and Trade Unions [Appello congiunto ai leader europei da parte delle organizzazioni della società civile e dei sindacati europei], 21 marzo 2017.

(14)  Parere del CESE in corso di elaborazione sul tema Nuovi modelli economici sostenibili, SC/048 (cfr. pagina 57 della presente Gazzetta ufficiale).

(15)  Parere del CESE sul tema Piano d’azione dell’UE sui diritti di proprietà intellettuale (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 72).

(16)  Parere del CESE sul tema Le nuove imprese leader dell’Europa: l’iniziativa Start-up e scale-up (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 20).

(17)  Parere del CESE sul tema Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41).

(18)  Parere del CESE sul tema Strategia per il mercato unico digitale in Europa (GU C 71 del 24.2.2016, pag. 65).

(19)  Parere del CESE sul tema L’evoluzione della natura dei rapporti di lavoro e il suo impatto sul mantenimento di una retribuzione dignitosa (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 54).

(20)  Parere del CESE sul tema Economia collaborativa (GU C 75 del 10.3.2017, pag. 33).

(21)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.

(22)  Parere del CESE sul tema Promuovere la creatività, lo spirito imprenditoriale e la mobilità nei settori dell’istruzione e della formazione (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 20).

(23)  Parere del CESE sul tema Intelligenza artificiale (OJ C 288, 31.8.2017, pag. 1).

(24)  Parere del CESE sul tema Una coalizione per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi (GU C 389 del 21.10.2016, pag. 20).

(25)  Parere del CESE sul tema L’iniziativa dei cittadini europei (revisione) (GU C 389 del 21.10.2016, pag. 35).

(26)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 57.

(27)  Parere del CESE sul tema Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1, punto 3.9.4).

(28)  Relazione dell’UNEP Building a Sustainable Financial System in the European Union [Costruire un sistema finanziario sostenibile nell’UE], inchiesta svolta dall’UNEP e da 2o Investing Initiative, marzo 2016; altre relazioni sulla finanza sostenibile possono essere consultate all’indirizzo http://web.unep.org/inquiry.

(29)  Parere del CESE sul tema Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1, punto 1.3).

(30)  Parere del CESE sul tema Pacchetto sull’economia circolare (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98, punto 1.3).

(31)  Parere del CESE sul tema Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale (GU C 34 del 2.2.2017, pag. 58).

(32)  Parere del CESE sul tema Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 123, punto 1.9).

(33)  La decisione, assunta nell’ambito della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che accompagna l’accordo di Parigi, menziona l’elaborazione di strategie per raggiungere entro la metà del secolo uno sviluppo a lungo termine e a basse emissioni di gas a effetto serra (punto 35).

(34)  Comunicazione della Commissione — Sviluppo sostenibile in Europa per un mondo migliore: strategia dell’Unione europea per lo sviluppo sostenibile, COM(2001) 264 final.

(35)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile — Una piattaforma d’azione, COM(2005) 658 final.

(36)  Parere del CESE sul tema Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 91).

(37)  Parere del CESE sul tema Non solo PIL — Il coinvolgimento della società civile nella selezione di indicatori complementari (GU C 181 del 21.6.2012, pag. 14).


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Nuovi modelli economici sostenibili»

(parere esplorativo)

(2018/C 081/08)

Relatrice:

Anne CHASSAGNETTE

Correlatore:

Carlos TRIAS PINTÓ

Consultazione

Commissione europea, 7.2.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Organo competente

Sottocomitato Nuovi modelli economici sostenibili

Adozione in sottocomitato

25.9.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

187/3/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il modello economico basato sul processo «estrarre, produrre, possedere, gettare» viene rimesso in discussione dal moltiplicarsi delle sfide economiche, sociali ed ambientali che interessano l’Europa.

1.2.

Assistiamo attualmente all’emergere di un’economia ibrida in cui l’architettura tradizionale del mercato è sfidata dalla comparsa di una moltitudine di nuovi modelli che stanno trasformando i rapporti tra produttori, distributori e consumatori.

1.3.

Oltre alla redditività economica, alcuni di questi nuovi modelli economici, come l’economia della funzionalità, della condivisione o della finanza responsabile mirano a rispondere (o sostengono di farlo) ad altre sfide fondamentali per le persone e il pianeta, ed essenziali per lo sviluppo sostenibile, quali:

la giustizia sociale

la governance partecipativa

la conservazione delle risorse e del capitale naturale.

1.4.

Sostenere tali innovatori offre all’Unione europea (UE) l’opportunità di divenire leader in materia di modelli economici innovativi che uniscono in modo indissociabile le nozioni di prosperità economica, protezione sociale di qualità e sostenibilità ambientale e che definiscono un «marchio europeo». L’UE deve quindi mostrarsi ambiziosa riguardo a questo aspetto.

1.5.

A tal fine, il presente parere formula le seguenti 10 raccomandazioni:

1.5.1.

Garantire in seno all’UE un migliore coordinamento dei lavori sull’economia sostenibile, attraverso la creazione di una struttura permanente della nuova economia sostenibile. Tale struttura sarebbe dotata di strumenti di valutazione e di comunicazione, al fine di monitorare lo sviluppo dei nuovi modelli economici dotati di un potenziale di sviluppo sostenibile e l’attuazione delle raccomandazioni formulate nel presente documento. Una struttura di questo genere favorirebbe inoltre il dialogo tra i diversi soggetti interessati a livello europeo. Il CESE potrebbe contribuire a questo sforzo, attraverso la creazione, al suo interno, di un osservatorio della nuova economia, come già raccomandato in diversi pareri.

1.5.2.

I poteri pubblici dell’UE devono sostenere la ricerca, in particolare la ricerca e l’innovazione responsabili  (1) , al fine di:

comprendere meglio gli effetti reali sotto il profilo della sostenibilità dei nuovi modelli economici, durante l’intero ciclo di vita, e proseguire la ricerca sugli ostacoli allo sviluppo dei nuovi modelli;

elaborare indicatori per monitorare questi nuovi modelli economici e rafforzare la loro visibilità.

1.5.3.

Occorre garantire che i nuovi modelli rispettino pienamente i criteri di sostenibilità. Alcuni operatori, sfruttando i concetti della nuova economia sostenibile, stanno in realtà sviluppando modelli che non sono necessariamente sostenibili sotto tutti i profili. La Commissione dovrebbe tener conto non solo delle opportunità ma anche dei rischi e delle derive possibili di alcuni nuovi modelli economici, in particolare nei confronti delle questioni sociali, della regolamentazione del lavoro e della concorrenza fiscale sleale.

1.5.4.

L’UE deve promuovere e sostenere l’educazione, la formazione e l’informazione per migliorare la conoscenza dei nuovi modelli economici sostenibili e del ruolo della finanza sostenibile da parte di tutti gli attori. L’idea è quella di mettere in evidenza la compatibilità ed eventualmente le tensioni e i compromessi esistenti tra le sfide della sostenibilità, da un lato, e la redditività economica dall’altro.

1.5.5.

La Commissione dovrebbe analizzare e completare le iniziative private (ma non sostituirsi ad esse) intese a promuovere lo scambio di buone pratiche e di esperienze tra gli innovatori, attraverso reti, piattaforme web, convegni ecc. Il CESE sostiene già tali iniziative, attraverso la gestione di una nuova piattaforma sull’economia circolare, in collaborazione con la Commissione europea.

1.5.6.

I poteri pubblici dell’UE devono vegliare affinché i promotori di nuovi modelli economici realmente sostenibili abbiano un accesso al finanziamento nelle prime fasi del loro sviluppo e nel suo prosieguo. Servono strumenti e definizioni che diano loro un accesso privilegiato a strumenti di finanziamento pubblici e/o che ne agevolino il finanziamento da parte di investitori socialmente responsabili.

1.5.7.

La Commissione europea potrebbe favorire la sperimentazione di nuovi modelli attraverso un fondo di finanziamento dell’innovazione dedicato ai modelli sostenibili e aperto ai partenariati pubblico-privato. In questa prospettiva, il CESE raccomanda la realizzazione di progetti pilota in grado di creare un valore condiviso e integrare le reti della nuova economia.

1.5.8.

I poteri pubblici dell’UE devono integrare gli attori promotori di questi nuovi modelli economici nelle politiche settoriali dell’UE già esistenti, al fine di dar loro maggiore visibilità e creare un «effetto leva» propizio al loro intervento. Così, nel pacchetto per la mobilità, in corso di elaborazione, potrebbe essere interessante sostenere i nuovi modelli di car pooling/car sharing per integrare l’offerta di trasporti pubblici.

1.5.9.

Più in generale, l’UE, oltre a creare un quadro politico, fiscale e normativo per promuovere la diffusione di questi nuovi modelli sostenibili su larga scala, dovrebbe anche:

imporre questo tema a livello politico e sviluppare una visione chiara che consideri la sostenibilità un criterio essenziale per la modernizzazione del suo modello sociale ed economico,

incentivare l’integrazione delle esternalità socio-ambientali nella logica economica e indirizzare gli Stati membri verso la fiscalità ecologica. Finché tali esternalità non saranno integrate nei prezzi, i prodotti e i servizi dell’economia lineare continueranno a dominare la nostra economia,

sviluppare un quadro normativo che favorisca il consumo e la produzione sostenibili, rafforzando la trasparenza e la responsabilità dei settori sia esistenti che emergenti, affinché gli impatti sociali e ambientali siano presi in considerazione in tutte le fasi della catena del valore.

1.5.10.

È opportuno rivedere le modalità di funzionamento del settore finanziario per renderlo sostenibile e ridefinire il concetto di rischio per integrarvi le sfide di lungo termine (ambientali, sociali e di governance) a livello micro e macro. Tutti gli attori della catena di valore finanziario (consumatori, banche, investitori, regolatori, governi) devono partecipare a questa riorganizzazione. Ciò consentirà di allineare più precisamente i risultati in materia di investimenti e di prestiti alle aspettative dei consumatori responsabili. Il CESE propone la creazione di una piattaforma (hub) che consenta di fornire un’informazione obiettiva ai consumatori per orientarli su questi temi.

2.

Osservazioni generali: necessità di favorire gli innovatori che propongono nuovi modelli economici sostenibili in Europa

2.1.

La sostenibilità del nostro modello economico, ossia la sua capacità di rispondere alle esigenze delle generazioni attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro bisogni, è sempre più spesso oggetto di discussione (2).

2.2.

A livello economico, la disoccupazione di massa che perdura in alcuni paesi riflette le difficoltà di accesso a un mercato del lavoro in rapida evoluzione, incontrate da talune categorie della popolazione. Il calo del potere d’acquisto e la debole crescita in alcuni paesi sviluppati aprono interrogativi sulle finalità che dovrebbe perseguire il nostro modello economico.

2.3.

A livello sociale, l’aumento delle disuguaglianze pone la questione della ridistribuzione e della condivisione equa delle risorse (economiche e naturali). L’esclusione di una parte della società dai benefici della crescita spinge a rivedere i nostri modelli di governance, al fine di creare un modello economico più inclusivo e partecipativo.

2.4.

A livello ambientale, i rischi legati al cambiamento climatico rimettono in discussione la nostra dipendenza dalle energie con i più alti livelli di emissione di CO2. La linearità dei nostri sistemi di produzione e di consumo comporta uno sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e un’erosione della biodiversità, mentre l’inquinamento generato dalle nostre attività economiche ha un impatto sull’ambiente e sul benessere dei cittadini.

2.5.

In questo contesto, il modello economico attuale è sfidato dalla comparsa di una moltitudine di innovatori che propongono «nuovi modelli economici».

2.5.1.

Questi nuovi modelli, che possono basarsi sulle nuove tecnologie e in particolare sul digitale, stanno cambiando i rapporti tra produttori, distributori e consumatori, che diventano in certi casi prosumatori. Essi rimettono in discussione alcune nozioni tradizionali, come il lavoro subordinato, offrendo forme di lavoro più flessibili e condivise. Anche se descritti come «nuovi», tali modelli possono in realtà rinnovare pratiche già note.

2.5.2.

Questo parere prende in esame tutti i nuovi modelli economici che puntano (o sostengono di farlo), oltre che alla redditività economica, a raccogliere altre sfide centrali dello sviluppo sostenibile, ossia:

la giustizia sociale (rispetto della dignità umana, ampliamento dell’accesso a beni e servizi, equa ripartizione delle risorse, prezzi equi, solidarietà),

un modello di governance partecipativo (maggiore coinvolgimento di lavoratori e consumatori al funzionamento e all’orientamento strategico dell’impresa, modello di produzione e di consumo più in sintonia con le esigenze reali delle popolazioni e con le realtà dei territori),

la conservazione delle risorse e del capitale umano (disaccoppiamento tra prosperità economica e utilizzazione delle risorse e integrazione delle esternalità negative ambientali).

2.5.3.

Gli imprenditori innovativi che propongono nuovi modelli economici che dovrebbero essere più sostenibili si raccolgono sotto l’insegna di una serie di concetti come l’economia circolare, l’economia funzionale, l’economia della condivisione, l’economia del bene comune, la finanza responsabile. Inoltre essi arricchiscono un ecosistema di imprenditori già strutturato, quello cioè dell’economia sociale (ES), che pone al centro della sua azione le questioni di governance e di utilità sociale e ambientale. L’economia sociale non può essere considerata un «nuovo» modello economico «sostenibile», tuttavia essa si rinnova sotto l’impulso di questi innovatori. Sebbene questi nuovi modelli non perseguano sempre gli stessi obiettivi (alcuni sono incentrati sugli aspetti ambientali ed altri su quelli sociali), essi mirano a produzioni di valore multiplo (economico, sociale, ambientale) e quindi non li si dovrebbe affrontare separatamente, come se fossero dei compartimenti stagni.

2.6.

Per l’UE diventare leader di un modello economico sostenibile è un’opportunità da cogliere. Il modello economico europeo deve continuare a reinventarsi per integrare le sfide di lungo periodo e rendere indissociabili le nozioni di prosperità economica e di sostenibilità.

2.6.1.

In Europa, i consumatori sono sempre più consapevoli delle conseguenze sociali e ambientali del loro consumo. La nascita della figura del «prosumatore», in particolare nel settore delle energie rinnovabili, contribuisce a modulare nuove relazioni sulla catena del valore e tra produttori, distributori e consumatori. Ciò avviene anche per quanto riguarda gli operatori economici. Nel settore finanziario, ad esempio, la nozione di rischio si estende per far posto ai criteri «extra-finanziari», in particolare per quanto riguarda la valutazione degli attivi. Alcuni gestori di patrimoni stanno così tentando di promuovere una dinamica volta a indurre le imprese a comunicare (oltre a quanto già previsto dagli obblighi regolamentari) alcune informazioni relative alla responsabilità sociale e ambientale. Questa dinamica, attualmente ancora allo stadio embrionale, deve essere ulteriormente sviluppata e rafforzata sulla base di una vera responsabilità (3). Sviluppare la finanza sostenibile è il modo migliore per riorientare il sistema finanziario europeo da una logica di stabilizzazione a breve termine verso una logica di impatto a lungo termine.

2.6.2.

Assumere il ruolo di leader di questa nuova economia può apportare numerosi vantaggi all’Europa.

2.6.3.

Attraverso questi nuovi modelli, essa può trovare delle soluzioni per affrontare problemi concreti. Il car sharing, rinnovando i nostri modi di trasporto, può favorire una mobilità più inclusiva e più ecologica. I modelli d’impresa che puntano al reinserimento di persone in difficoltà contribuiscono a migliorare l’accesso al mercato del lavoro per una parte della popolazione.

2.6.4.

Per l’UE, la sostenibilità del modello economico può anche divenire un elemento di differenziazione in grado di imporre un «marchio europeo».

2.6.5.

L’UE possiede gli strumenti per sviluppare dei «campioni europei» in questi settori. Per alcune imprese, la combinazione di redditività economica e criteri di sostenibilità in seno al loro modello diventa — o è già diventato — un effettivo vantaggio comparato per conquistare nuovi mercati.

2.6.6.

Mettendo la sostenibilità al centro del progetto di modernizzazione della sua economia e delle sue preoccupazioni politiche, l’UE può rimobilitare gli Stati membri attorno a un progetto unificante, dopo lo shock della Brexit e mettere di nuovo le persone al centro del progetto europeo.

3.

Sebbene la nascita di nuovi modelli accompagnati da promesse di sostenibilità rappresenti una grande opportunità per l’UE, tale «abbondanza» deve essere ben compresa e percepita per identificare e incoraggiare gli attori che trainano questo cambiamento.

3.1.

L’economia della funzionalità, ad esempio, consiste nel sostituire la nozione di «vendita del bene» con quella di «vendita dell’uso del bene». Il consumatore individuale non acquista più un veicolo ma un servizio di mobilità attraverso un fornitore. Dal punto di vista della sostenibilità il passaggio dalla proprietà all’uso consente a priori: di incoraggiare i fornitori a ottimizzare la manutenzione dei prodotti, ad allungarne la durata di vita, e addirittura a progettarli in maniera ecocompatibile e a riciclarli; di condividere tra più consumatori l’uso dello stesso bene e intensificare in tal modo l’impiego dei beni già prodotti e talvolta sottoutilizzati; di proporre prezzi per l’accesso a tali beni inferiori al prezzo da pagare per il loro possesso.

3.2.

L’economia della condivisione è un concetto la cui definizione non si è ancora stabilizzata (4). In generale, questo concetto si applica a imprenditori che sviluppano piattaforme digitali che consentono a privati di scambiare beni o servizi: car pooling, noleggio di beni, acquisto di usato, prestiti, doni ecc. Ma la definizione del concetto è molto dibattuta: secondo alcuni dovrebbe includere anche sistemi di scambio tra privati, non basati su piattaforme digitali, mentre altri vi aggiungono imprese che noleggiano beni di cui esse restano proprietarie, e altri ancora escludono qualsiasi iniziativa da parte di imprese che puntano a realizzare profitti.

3.3.

L’economia circolare, invece, si è sviluppata in opposizione al modello lineare (5). Essa si basa sulla creazione di «anelli di valore positivi» che reintroducono nel ciclo di produzione prodotti o materiali a «fine vita». In un modello circolare ideale, i beni vengono progettati in maniera ecocompatibile, prodotti utilizzando risorse rinnovabili o riciclate o rifiuti di altri settori, riutilizzati, riparati, «aggiornati» e infine riciclati. L’economia circolare presenta i seguenti vantaggi: diminuzione dei rischi, riduzione dei costi, valore aggiunto, lealtà dei consumatori e motivazione del personale.

3.4.

I nuovi modelli economici cosiddetti sostenibili non si raccolgono solo sotto l’insegna dei tre concetti sopramenzionati. Tuttavia questi ultimi permettono di sottolineare il carattere vago di alcuni concetti utilizzati per descrivere i nuovi modelli economici, analogamente alle discussioni sui lineamenti dell’economia della condivisione o al concetto vicino di economia collaborativa. Alcuni concetti possono anche sovrapporsi, l’economia della funzionalità e l’economia della condivisione potendo essere considerate come un elemento costituente dell’economia circolare.

3.5.

Occorre inoltre sottolineare la diversità degli imprenditori che sviluppano questi nuovi modelli economici: grandi imprese che si rinnovano operano accanto a start up alla ricerca di una crescita esponenziale, imprese sociali che possono far parte dell’economia sociale, associazioni di volontariato e iniziative dei cittadini.

3.6.

Inoltre, mentre alcuni imprenditori mirano ad essere economicamente redditizi e a rispondere, al tempo stesso, alle sfide ambientali, sociali o di governance, ponendo la sostenibilità al centro del loro progetto e valutando l’impatto al fine di migliorarlo, altri non condividono tale «intento» di sostenibilità. Questi ultimi puntano innanzitutto alla redditività e ritengono che il loro modello economico presenti esternalità positive per il resto della società, senza necessariamente misurarle e cercare di migliorarle.

3.7.

Questi nuovi modelli non mirano necessariamente a essere sostenibili a tutti i livelli. Le imprese che sviluppano modelli economici che si ispirano all’economia circolare tendono, ad esempio, a porre le questioni ambientali maggiormente al centro del loro progetto e a massimizzare il risparmio di risorse. Ma in realtà, per garantire che il sistema sia anche sostenibile a livello sociale, è necessario che l’opzione circolare rimanga accessibile per il consumatore, anche in termini di costi. Inoltre, se gli anelli di produzione creati possono essere locali, e privilegiare in tal modo le risorse e i posti di lavoro locali, non è escluso che le risorse utilizzate, come i materiali riciclati, siano trasportate su lunghe distanze. Viceversa, l’economia della condivisione può avere come scopo principale l’ampliamento dell’accesso degli utenti a un bene senza che sussista tuttavia alcuna esigenza ambientale.

3.8.

È inoltre fondamentale ricordare che gli impatti reali dei nuovi modelli economici cosiddetti sostenibili vanno valutati con cautela. Per esempio, la discussione sui benefici ambientali delle piattaforme dell’economia della condivisione resta ancora aperta. Il bilancio ecologico delle piattaforme che consentono ad alcune persone di accedere ai beni di altri privati piuttosto che acquistarne di nuovi, è spesso più complesso di quanto non possa sembrare (6). Ad esempio, il car pooling sulle lunghe distanze entra spesso in concorrenza diretta con il trasporto ferroviario piuttosto che con l’utilizzo individuale di un’automobile. D’altra parte, coloro che acquistano i beni di altri non lo fanno per ridurre i propri acquisti di beni nuovi ma per aumentare il loro consumo. Più in generale, il passaggio dalla proprietà all’uso non è sufficiente a garantire una riduzione dell’impronta ecologica del consumo e una riduzione dei costi per i consumatori. Infatti, le imprese che propongono il noleggio piuttosto che la vendita di smartphone tendono a proporre ai loro utenti una sostituzione più frequente dei prodotti con nuovi modelli e non prevedono necessariamente un sistema di riciclaggio o di riutilizzo.

3.9.

Si osserva infine che l’economia della condivisione solleva importanti questioni in materia di creazione di monopoli, di protezione dei dati, di diritto del lavoro, d’imposizione fiscale degli scambi o di concorrenza con i modelli economici tradizionali, analogamente alle discussioni sulle piattaforme per l’affitto di alloggi tra privati.

3.10.

I poteri pubblici, per sostenere gli imprenditori che innovano ispirandosi a questi concetti, devono quindi mantenere uno spirito critico sulle loro intenzioni e sui loro impatti reali, ed essere consapevoli della diversità di impostazioni che si riscontra tra tali imprenditori e della natura imprecisa dei concetti che promuovono.

4.

Quest’ultima sezione del parere contiene un elenco delle principali «leve» che renderebbero l’UE capace di promuovere lo sviluppo di questi nuovi modelli e la loro sostenibilità.

4.1.

Occorre innanzitutto fare il punto sulle iniziative già adottate a livello europeo per sostenere questi modelli economici. La questione dei nuovi modelli economici in effetti ha già attirato l’attenzione dei decisori pubblici negli Stati membri e a livello dell’Unione. Questi ultimi iniziano a seguire lo sviluppo di tali modelli, a riflettere sul loro contributo reale allo sviluppo sostenibile e sugli strumenti di azione pubblica che permetterebbero di sostenere i modelli aventi l’impatto maggiore.

4.1.1.

A livello di Commissione europea, sono in corso diverse iniziative nel quadro della sua comunicazione sull’industria intelligente, innovativa e sostenibile, che prevede di adottare una strategia globale per la competitività industriale, contando sul ruolo attivo di tutte le parti interessate, e di responsabilizzare i cittadini:

la serie di misure del pacchetto sull’economia circolare (7) comprendente proposte di revisione della legislazione sui rifiuti, nonché un piano d’azione dettagliato per l’economia circolare, che prevede misure fino al 2018,

una piattaforma delle parti interessate europee per l’economia circolare per favorire lo scambio e la visibilità delle buone pratiche tra le parti interessate, nonché la loro messa in rete,

un’agenda europea sulla regolamentazione dell’economia collaborativa (8) e delle piattaforme online (9),

alcuni studi sulla sostenibilità dell’economia della condivisione o sull’ecologia industriale,

l’elaborazione di linee guida volontarie sui bandi di gara nel settore degli appalti pubblici,

l’elaborazione, nel 2017, da parte di un gruppo di esperti di alto livello sulla finanza sostenibile, di raccomandazioni affinché la finanza sostenibile sia integrata in modo leggibile nella strategia dell’UE nonché nell’Unione dei mercati dei capitali.

4.1.2.

Il CESE ha già adottato diversi pareri sull’economia della funzionalità (10), sull’economia della condivisione o sul concetto apparentato di economia collaborativa (11), sull’economia circolare (12), sull’innovazione come motore di nuovi modelli economici (13) e sull’economia del bene comune (14). In questi pareri si sottolinea:

il potenziale di sostenibilità di questi nuovi modelli e l’importanza di analizzare in maniera migliore i loro effetti reali,

la necessità di privilegiare le imprese che adottano realmente modelli territoriali, cooperativi, ecologici e sociali.

4.2.

Tali pareri contengono proposte di azioni da intraprendere da parte dei poteri pubblici, per sostenere lo sviluppo delle imprese che adottano modelli economici sia nuovi che sostenibili. Si riepilogano nell’elenco qui di seguito tali linee d’azione, arricchendole con altre idee che sono emerse nel corso delle audizioni condotte nell’ambito dell’elaborazione del presente parere.

4.2.1.

Occorre in primo luogo istituire una struttura permanente dedicata ai nuovi modelli economici dotati di un potenziale di sviluppo sostenibile, e incaricata di monitorare il loro sviluppo e l’attuazione delle raccomandazioni formulate nel presente parere. Tale struttura deve coinvolgere le istituzioni europee, in primis la Commissione e il CESE, nonché federazioni di imprese innovative, organizzazioni sindacali, associazioni e ricercatori.

4.2.2.

In secondo luogo, occorre che i poteri pubblici europei favoriscano una migliore comprensione e un miglior monitoraggio di tali sviluppi.

4.2.2.1.

A questo proposito, la Commissione potrebbe contribuire maggiormente alla ricerca, in particolare alla ricerca responsabile, per comprendere più a fondo gli impatti reali, sociali e ambientali dei nuovi modelli economici che stanno emergendo, nonché gli ostacoli al loro sviluppo. Ciò permetterebbe altresì di chiarire l’indeterminatezza che circonda diversi concetti utilizzati. Tali lavori dovrebbero essere svolti in collaborazione con tutte le parti interessate al processo di ricerca e innovazione, in modo da avvalersi della loro esperienza.

4.2.2.2.

A livello europeo con Eurostat e negli Stati membri con i loro rispettivi organismi statistici, è importante sviluppare indicatori e statistiche che permettano di monitorare lo sviluppo di tali modelli e di aumentare la loro visibilità.

4.2.2.3.

Uno strumento chiave per garantire lo sviluppo dei nuovi modelli economici è promuovere l’educazione e la formazione delle diverse parti interessate, allo scopo di migliorare la loro conoscenza di tali modelli e renderli più visibili. Ancor oggi i nuovi modelli economici sostenibili rappresentano solo una piccola parte dell’economia europea. Essi si scontrano spesso con una logica e con meccanismi consolidati, nonché con una scarsa conoscenza delle loro dinamiche. Sarebbe quindi utile sviluppare delle attività di formazione:

per i decisori pubblici e le rispettive amministrazioni, per elaborare bandi di gara atti a incoraggiare le imprese che promuovono nuovi modelli economici sostenibili,

per le imprese innovative, incentivando gli incubatori a offrire formazioni sul tema della sostenibilità, ad esempio sul riutilizzo dei beni,

per tutte le imprese e in particolare le PMI, allo scopo di sensibilizzarle ai modelli economici innovativi e sostenibili,

per i lavoratori e i dipendenti dei settori in evoluzione/riconversione, al fine di aiutarli ad acquisire le competenze necessarie per i nuovi modelli economici e le sfide in materia di sostenibilità,

per i cittadini e i consumatori, attraverso un programma di sensibilizzazione in merito ai nuovi modelli economici e ai relativi prodotti.

4.2.3.

Oltre ad assicurare un monitoraggio e una migliore comprensione di tali modelli, è necessario attivare anche altre leve.

4.2.3.1.

Favorire lo scambio di buone pratiche e di esperienze tra gli innovatori, ma anche di questi con il mondo della ricerca, attraverso reti e piattaforme web è un obiettivo indispensabile. Su alcuni nuovi modelli economici sono già state lanciate iniziative private. La Commissione dovrebbe valutare come sostenerle e completarle, senza sostituirsi ad esse, e dovrebbe parteciparvi per comprendere meglio tali innovazioni e favorire scambi con gli innovatori. Per altri modelli economici, invece, queste iniziative stentano ad emergere, in particolare per mancanza di risorse umane e finanziarie. Pertanto la Commissione dovrebbe fornire loro un sostegno maggiore, oltre a garantire la propria partecipazione.

4.2.3.2.

Una delle funzioni di tali reti dovrebbe essere quella di facilitare l’accesso degli innovatori ai meccanismi di sostegno europei ai quali hanno diritto. Le imprese promotrici di nuovi modelli economici sostenibili sono spesso delle PMI che si lamentano per le difficoltà che incontrano nel comprendere la complessità delle procedure dell’UE.

4.2.3.3.

La Commissione può favorire l’accesso al finanziamento per i modelli economici sostenibili mediante bandi di gara dedicati all’innovazione. Essa dovrebbe inoltre garantire che le norme in materia di appalti pubblici non costituiscano un ostacolo sproporzionato per i promotori di nuovi modelli economici sostenibili e prevedere un meccanismo di deroga per proteggerli da una concorrenza per loro impossibile da sostenere. Inoltre, i finanziatori tradizionali dell’innovazione, sia pubblici che privati, non conoscono bene questi nuovi modelli, esitano quindi a sostenerli e non ne valorizzano i benefici sociali e ambientali. La Commissione europea deve analizzare più accuratamente le difficoltà di accesso ai finanziamenti incontrate dai nuovi modelli economici sostenibili e formulare raccomandazioni per superarle. Inoltre potrebbe anche prendere in considerazione la diffusione di valute alternative (virtuali, sociali) e il ruolo che queste potrebbero svolgere a sostegno di tali modelli.

4.2.3.4.

Per potersi sviluppare, i nuovi modelli economici sostenibili necessitano di sperimentazione. In alcuni casi, come nel settore della mobilità o dell’ecologia industriale, tali sperimentazioni devono essere svolte in partenariato con i poteri pubblici. La Commissione europea potrebbe promuovere la sperimentazione di nuovi modelli attraverso un fondo di finanziamento dell’innovazione dedicato ai modelli sostenibili e aperto ai partenariati pubblico-privati. In particolare, la Commissione dovrebbe verificare che tali sperimentazioni riguardino territori rurali e periurbani e non esclusivamente grandi centri urbani.

4.2.3.5.

L’esperienza acquisita deve permettere di individuare le nuove esigenze di normazione, nonché le norme e normative che ostacolano la diffusione di taluni modelli innovativi e sostenibili. Tali norme e normative devono essere rese compatibili con l’innovazione, come è avvenuto per i processi di approvazione dei nuovi prodotti e servizi nel settore edile. La maggior parte delle imprese dalle quali emergono i nuovi modelli economici sono PMI, che non sempre sono in grado di far fronte alla mole di lavoro derivante dalle norme.

4.2.3.6.

Integrare i nuovi modelli nelle politiche settoriali dell’UE è un altro strumento importante per sostenere il loro sviluppo. Per esempio, le nuove piattaforme di scambio di beni tra privati e imprese dell’economia della funzionalità devono essere considerate come attori della prevenzione della produzione di rifiuti e sostenute nel quadro delle politiche europee a favore di un’economia circolare. Non si tratta in questo caso di varare nuove iniziative o normative settoriali, ma di inserire i nuovi modelli economici nel quadro della nuova strategia industriale (15) e delle politiche settoriali esistenti.

4.2.3.7.

Infine, la Commissione dovrebbe vigilare sulle eventuali derive di alcuni nuovi modelli economici, in particolare nei confronti delle questioni sociali, della regolamentazione del lavoro e della concorrenza fiscale sleale. Per quanto riguarda l’economia collaborativa, l’Unione europea deve proseguire gli sforzi di monitoraggio e di armonizzazione europea.

4.2.4.

Più in generale, i nuovi modelli economici sostenibili si svilupperanno soltanto se le imprese e gli imprenditori avranno la convinzione che saranno questi i modelli che avrà senso adottare da un punto di vista economico nell’UE del 2030 o del 2050. Per questo motivo, la sostenibilità deve essere considerata un obiettivo trasversale dell’UE. Il quadro politico, fiscale e normativo dell’UE deve apportare visibilità per orientare le azioni degli attori economici, delle autorità pubbliche e della società civile. In questa prospettiva, il presente parere raccomanda di:

imporre questo tema a livello politico, considerando la sostenibilità un criterio trasversale che permetterà di modernizzare l’economia europea. Si tratta di allineare le politiche europee ai criteri di sostenibilità e di integrare questi ultimi nella legislazione. Qualsiasi nuova regolamentazione potrebbe essere quindi sottoposta a un test di sostenibilità più rigoroso. A livello politico, l’UE deve inviare un segnale forte per esprimere il suo sostegno allo sviluppo sostenibile e dimostrare la sua leadership. A tal fine occorre tradurre gli obiettivi di sviluppo sostenibile in una nuova strategia Europa all’orizzonte 2030, mediante l’adozione di un quadro ristretto di indicatori di rendimento dell’UE e di indicatori che vadano oltre il PIL e mediante la loro integrazione nell’ambito del semestre europeo;

integrare le esternalità socio-ambientali nella logica economica, incoraggiando gli Stati membri a integrare meglio la fiscalità ecologica e a interrompere le sovvenzioni antiecologiche  (16). Il segnale di prezzo del carbonio deve essere rafforzato a livello europeo, anche mediante la riforma dell’ETS o misure complementari a livello nazionale per il settore dell’energia, che rappresenta il 60 % delle emissioni totali di CO2. Tale integrazione consentirebbe ai prodotti tecnologici e sostenibili, che mirano a limitare tali esternalità e che pertanto risultano talvolta più costosi da produrre, di diventare più competitivi;

sviluppare un quadro regolamentare favorevole al consumo e alla produzione sostenibili (norme per la progettazione ecocompatibile, allungamento della durata dei beni, etichette energetiche, obiettivi di prevenzione dei rifiuti, lotta contro l’inquinamento, norme di efficienza energetica nell’edilizia ecc.). La legislazione vigente in materia di progettazione ecocompatibile, ad esempio, non è abbastanza ambiziosa (17). Le norme dovrebbero essere adattate alla situazione specifica delle PMI («test PMI»).

4.2.4.1.

Occorre infine ripensare le modalità di funzionamento del settore finanziario per rendere sostenibile e integrare chiaramente la dimensione ambientale e sociale nella scelta degli investimenti e nella nozione di rischio nel quadro delle norme prudenziali e di solvibilità. Questo processo è già in atto tra gli investitori socialmente responsabili e in alcune grandi imprese, con il concetto di «pensiero integrato» per l’assunzione di decisioni strategiche e operative (18). In pratica, questa riflessione potrebbe altresì condurre a:

limitare l’approccio di breve termine, coinvolgendo ad esempio maggiormente i risparmiatori nell’acquisizione delle attività di lungo termine,

sostenere l’introduzione di soluzioni e software open source nel settore finanziario per promuovere una concorrenza sana,

promuovere l’allineamento dei criteri FinTech e dei criteri di sostenibilità,

rafforzare l’elaborazione di rapporti sulle sfide di sostenibilità (sostegno alle valutazioni/certificazioni ambientali) per le imprese e gli istituti finanziari (cfr. raccomandazioni della Taskforce on Climate Disclosure — task force sulle informative finanziarie legate al clima),

includere criteri di sostenibilità nell’obbligo fiduciario,

effettuare test di sostenibilità per le future norme europee in materia finanziaria.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Ad esempio nell’ambito del nono programma quadro (PQ9) per il periodo 2021-2027.

(2)  SC/047: «La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050» (in corso di elaborazione) (cfr. pag. 44 della presente Gazzetta ufficiale).

(3)  A questo proposito, cfr. GU C 21 del 21.1.2011, pag. 33, che affronta in dettaglio il tema dello sviluppo di «prodotti finanziari socialmente responsabili».

(4)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 36.

(5)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98.

(6)  Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali (IDDRI). Économie du partage: enjeux et opportunités pour la transition écologique («L’economia della condivisione: sfide e opportunità per la transizione ecologica»).

(7)  http://ec.europa.eu/environment/circular-economy/index_en.htm

(8)  COM(2016) 356 final.

(9)  COM(2016) 288 final.

(10)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 1.

(11)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 33; GU C 303 del 19.8.2016, pag. 36; GU C 177 dell'11.6.2014, pag. 1.

(12)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98 e GU C 230 del 14.7.2015, pag. 91.

(13)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 28.

(14)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 26.

(15)  COM(2017) 479 final.

(16)  GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1.

(17)  Piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile 2016-2019.

(18)  Lavori del gruppo di esperti di alto livello sulla finanza sostenibile.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Tassazione dell’economia collaborativa — analisi di possibili politiche fiscali di fronte alla crescita dell’economia collaborativa»

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza estone)

(2018/C 081/09)

Relatore:

Giuseppe GUERINI

Correlatore:

Krister ANDERSSON

Consultazione

Parere esplorativo (richiesto dalla presidenza estone), 17.3.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

5.10.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

168/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE considera che l’economia collaborativa, in quanto generatrice di valore sociale nel contesto dell’economia digitale, possa costituire una nuova occasione di crescita e sviluppo per i paesi dell’Unione europea, poiché consente di mobilitare risorse inespresse e attivare l’iniziativa dei singoli cittadini. Il CESE distingue chiaramente tra l’economia collaborativa, l’economia digitale o la platform economy, per l’intensità e la portata diverse della sua dimensione inclusiva e collaborativa.

1.2.

Per quanto la diffusione dell’economia collaborativa sia favorita e potenziata dalla diffusione delle nuove tecnologie informatiche e delle comunicazioni, trovando soprattutto nelle piattaforme digitali e nell’ampia diffusione degli smartphone un veicolo formidabile, il CESE stima importante valutare il fenomeno dell’economia collaborativa nel suo complesso e non assimilarlo totalmente all’economia digitale.

1.3.

Il CESE è del parere che l’UE non possa perdere l’opportunità offerta dall’economia collaborativa per innovare il sistema delle relazioni tra istituzioni, imprese, cittadini e mercati. Tuttavia, data la particolare fluidità e velocità di evoluzione di questo settore, è indispensabile che i sistemi di regolazione fiscale e i regimi di tassazione siano adattati con intelligenza e flessibilità al nuovo contesto dell’economia collaborativa e, più in generale, dell’economia digitale.

1.4.

Il CESE non ritiene sia necessario un nuovo e specifico regime di tassazione per le imprese dell’economia collaborativa. Ritiene invece indispensabile aumentare le forme di collaborazione e coordinamento tra gli Stati membri e tra le diverse amministrazioni coinvolte all’interno dei diversi Stati membri, cosicché le autorità pubbliche possano restare al passo con la velocità e il dinamismo dell’economia digitale e dell’economia collaborativa.

1.5.

Il CESE raccomanda che il sistema di tassazione per l’economia collaborativa rispetti il principio di neutralità (cioè non deve interferire con lo sviluppo del mercato), individuando meccanismi di tassazione adeguati ed equi per le diverse forme di impresa che operano nell’ambito dell’economia collaborativa o nelle forme tradizionali.

1.6.

Il CESE auspica che si strutturi rapidamente un sistema europeo omogeneo e integrato che garantisca regole comuni tra i vari Stati membri rispetto al fenomeno dell’economia digitale, in considerazione della naturale tendenza delle reti digitali ad operare in un contesto trans-frontaliero. Sarebbe quindi deleterio si sviluppassero forme di regolazione diverse in ciascuno degli Stati membri ed è necessario un autentico approccio europeo.

1.7.

Il CESE invita le autorità europee a mettere in campo tutti gli sforzi possibili per istituire forme di cooperazione internazionale extra-europea finalizzate a stabilire alcune regole di base per l’economia digitale, giacché il potenziale delle reti digitali consente ormai di gestire attività di servizio e scambio di beni in ogni parte del mondo, attraverso una piattaforma digitale situata in un solo luogo del pianeta.

1.8.

Il CESE ritiene inoltre necessario adattare adeguatamente le regole e i principi vigenti a contesti che sono nuovi e differenziati rispetto al passato anche grazie alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie, così da garantire un trattamento uniforme e proporzionato a tutti gli operatori economici che svolgano determinate attività secondo forme tradizionali o nel campo dell’economia digitale.

1.9.

Il CESE incoraggia la Commissione e gli Stati membri a collaborare per l’adozione di un quadro giuridico generale relativo all’economia digitale che sappia coordinare e rendere omogenee le regole fiscali applicabili a queste nuove forme di economia.

1.10.

Anche al fine di una più semplice gestione del regime fiscale e soprattutto per facilitare l’applicazione dell’IVA, il CESE ritiene che la sperimentazione di una «stabile organizzazione virtuale» potrebbe rivelarsi fruttuosa nel contesto sempre più transfrontaliero e sempre meno territoriale in cui si sviluppano l’economia digitale e l’economia collaborativa.

1.11.

Il CESE stima inoltre importante ricordare che, oltre ad un regime fiscale appropriato, è importante vengano garantite la protezione e il rispetto: i) dei diritti dei consumatori, ii) della privacy e delle regole sul trattamento dei dati personali; iii) dei lavoratori e dei prestatori di servizi coinvolti nei nuovi modelli d’impresa e nell’attività delle piattaforme di collaborazione.

2.   Introduzione

2.1.

Il settore dell’economia collaborativa è sempre più rilevante e risulta in rapida crescita, come dimostrano chiaramente alcuni dati. Nel 2015, i ricavi legati all’economia collaborativa nell’Unione europea erano stimati attorno ai 28 miliardi di euro (solo l’anno precedente tali ricavi ammontavano alla metà).

2.1.1.

A partire dal 2015, notevoli investimenti da parte di grandi piattaforme hanno aumentato ulteriormente lo sviluppo del settore tanto che, per il futuro, si stima che l’economia collaborativa potrebbe coinvolgere un giro d’affari ricompreso fra 160 e 572 miliardi di euro a livello UE.

2.2.

Come dimostrano i dati, l’economia collaborativa sta interessando sempre più settori e gode del potenziale per creare ulteriore valore, generare occupazione a più livelli e garantire buoni servizi a prezzo competitivo per i consumatori europei.

2.3.

Allo stesso tempo, tuttavia, il settore dell’economia collaborativa pone una serie di sfide per il legislatore europeo, che è chiamato a garantire principi e regole volti all’istituzione di un quadro giuridico chiaro e prevedibile (1), senza però pregiudicare con il proprio intervento regolatorio l’alto potenziale innovativo mostrato sino ad ora dal settore.

2.4.

La definizione «economia collaborativa» (collaborative economy») viene spesso utilizzata in modo intercambiabile con la definizione «sharing economy» (economia della condivisione), tanto che nel 2015 l’Oxford Dictionary ha accolto la locuzione «sharing economy» fra i neologismi, definendola «un sistema economico nel quale beni o servizi sono condivisi tra privati, gratuitamente o in cambio di una somma di denaro, tipicamente attraverso la rete Internet».

2.5.

Ai fini del presente parere verrà utilizzata la definizione «economia collaborativa», come adottata dalla Commissione europea nella sua comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni dal titolo «Un’agenda europea per l’economia collaborativa» del 2 giugno 2016.

2.6.

Più precisamente, l’espressione «economia collaborativa» si riferisce ai modelli imprenditoriali le cui attività sono agevolate da piattaforme di collaborazione che permettono l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati.

2.6.1.

L’economia collaborativa coinvolge tre tipologie di soggetti: i) i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze e possono essere sia privati che professionisti; ii) gli utenti di tali servizi; iii) gli intermediari che, attraverso una apposita piattaforma («piattaforma di collaborazione»), collegano i prestatori di servizi e gli utenti finali. Le transazioni dell’economia collaborativa generalmente non implicano un trasferimento di proprietà e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro.

2.7.

In particolare, l’economia collaborativa dà la possibilità di accedere in modo più facile ed efficiente, rispetto a quanto succedeva in passato, a beni e servizi attraverso apposite piattaforme di collegamento e collaborazione, facilitando l’incontro fra la domanda del consumatore e l’offerta di beni e servizi, che possono essere forniti sia da soggetti professionisti che non professionisti.

2.8.

L’utilizzo della tecnologia e di piattaforme di collegamento efficienti ha rivoluzionato diversi settori, come per esempio quello dei trasporti a breve e ampio raggio, oltre a quello alberghiero o di gestione degli affitti di case o camere, che consentono di organizzare servizi di incontro tra la domanda e l’offerta, con grande efficienza e rapidità.

2.8.1.

In questo contesto si sono affermati alcuni grandi gestori, che per lo più hanno sede al di fuori dell’Unione europea e costituiscono chiari esempi della crescente affermazione dell’economia collaborativa. Tali esempi hanno dimostrato il grande potenziale di crescita di questo settore, ma anche le problematiche che esso pone al legislatore sotto il profilo legale, sul piano del regime di tassazione e con riferimento alle forme di regolazione del lavoro e della previdenza e assicurazione dei lavoratori.

2.9.

Ai settori sopra menzionati se ne stanno aggiungendo anche altri progressivamente interessati dal fenomeno dell’economia collaborativa, come alcuni servizi finanziari, la cura della persona e i servizi sanitari. Ulteriori settori e servizi si aggiungeranno nei prossimi anni, contribuendo a rendere ancora più rilevante il fenomeno dell’economia collaborativa: è quindi evidente che una adeguata riflessione sui profili regolatori e fiscali della materia risulta oggi non solo utile, ma anche necessaria.

3.   L’economia collaborativa e i nuovi modelli d’impresa

3.1.

La diffusione degli strumenti delle Tecnologie dell’informazione e comunicazione e del cosiddetto Internet delle cose ha portato all’affermarsi di molte nuove società tecnologiche. Oggi si profilano molteplici modelli di impresa riconducibili al settore dell’economica digitale e collaborativa. Tali modelli si distinguono in funzione della loro struttura e delle dimensioni di impresa, oltre che con riferimento all’ampiezza dei mercati di riferimento, alle modalità di utilizzo delle tecnologie e al modello organizzativo. Rispetto al trattamento fiscale, possiamo tuttavia individuare tre raggruppamenti di sintesi:

il modello delle grandissime imprese che svolgono diverse funzioni su base digitale attraverso il web, in cui la maggior parte degli introiti è generata dalla vendita e gestione dei dati raccolti e dalla pubblicità (esempio Google);

il modello delle piattaforme di gestione e incontro di domanda e offerta, basato sulla messa in contatto tra consumatori e fornitori che utilizzano le piattaforme digitali come strutture di collegamento e dove le transazioni generano reddito sia per la piattaforma di collegamento che per i prestatori di servizi finali (esempio Airbnb, Uber);

il modello delle piattaforme di scambio pear-to-pear dove teoricamente non esistono transazioni economiche in forma monetaria, ma che possono generare scambio di beni e servizi alla pari tra utenti e prestatori.

3.2.

Per quanto riguarda il modello delle grandi piattaforme di ricerca generalista sul web, la piattaforma consente il trattamento dei dati e la creazione di valore aggiunto, che può essere quindi adeguato alla domanda specifica dei consumatori e venduto.

3.3.

In questo contesto il CESE desidera sottolineare il valore specifico dei dati, che sono stati addirittura definiti come «la nuova moneta» (2). Il valore aggiunto è soggetto all’IVA e gli si applica il principio del paese di destinazione. Tuttavia, può risultare difficile valutare l’entità della creazione di valore nelle diverse fasi e quindi ripartire gli obblighi fiscali.

3.4.

La rapida crescita di nuovi modelli imprenditoriali richiede una valutazione globale della creazione di valore e degli obblighi fiscali.

3.5.

Per quanto riguarda le piattaforme che intermediano l’incontro di domanda e offerta, (il modello Uber), una rilevante questione preliminare concerne la possibilità di fissare regole e requisiti di accesso al mercato a carico delle piattaforme digitali attive nel settore dell’economia collaborativa e, soprattutto, a carico dei prestatori di servizi che fanno riferimento a tali piattaforme.

3.5.1.

I requisiti di accesso al mercato possono comprendere la necessità di ottenere autorizzazioni amministrative per l’esercizio d’impresa, obblighi di licenza o requisiti minimi di qualità (ad esempio le dimensioni dei locali o il tipo di autovettura, gli obblighi di assicurazione o di deposito ecc.). Il reddito generato è spesso valutato e attribuito a una persona o a un’organizzazione aziendale, assoggettata all’imposta sugli utili delle società.

3.6.

La direttiva sui servizi dispone che i requisiti di accesso al mercato previsti nei diversi Stati membri siano giustificati e proporzionati, considerando la specificità del modello imprenditoriale e dei servizi innovativi interessati e senza privilegiare un modello d’impresa o di gestione del servizio a scapito di altri (principio di neutralità).

3.7.

Il CESE condivide l’osservazione formulata dalla Commissione nella sua analisi annuale della crescita 2016, per cui una regolamentazione più flessibile dei mercati dei servizi, ivi compresi quelli appartenenti all’economia collaborativa, porterebbe a una maggiore produttività, agevolando l’ingresso sul mercato di nuovi operatori, riducendo il prezzo dei servizi e garantendo una scelta più ampia per i consumatori.

3.8.

Si auspica pertanto che i requisiti di accesso al mercato indirizzati al settore dell’economia collaborativa, se e quando previsti nei diversi ordinamenti giuridici nazionali, siano in linea con la direttiva sui servizi e garantiscano: i) condizioni di parità fra i diversi operatori economici attivi in settori dove coesistono operatori tradizionali e soggetti riconducibili all’economia collaborativa; ii) requisiti regolatori chiari, semplici e tali da favorire il potenziale di innovazione e le opportunità che l’economia collaborativa può offrire ad un numero sempre più ampio di persone.

4.   Cornice istituzionale

4.1.

Il settore dell’economia collaborativa, per la sua caratterizzazione come servizio online fornito tramite piattaforme digitali, supera almeno in parte il concetto di territorialità che caratterizza le attività economiche tradizionali. È di conseguenza importante che, anche rispetto al settore dell’economia collaborativa, si sviluppi una cornice regolatoria adeguata e chiara rispetto all’obiettivo generale perseguito dalla Commissione di tassare «i profitti laddove sono generati».

4.2.

Il CESE osserva che la certezza giuridica sarebbe supportata da regole per cui le società che offrono e promuovono servizi relativi all’economia collaborativa siano considerate come aventi un collegamento fiscale in Europa. A questo proposito, proprio in relazione alle specifiche caratteristiche delle imprese digitali, si sta discutendo la possibilità di individuare una nuova formula di insediamento virtuale delle imprese, che è stata definita «stabile organizzazione virtuale». Si tratta di una formulazione interessante per ovviare ai problemi di determinazione del luogo di stabilimento di questo tipo di attività, che necessità però di un’ampia riflessione e di uno studio adeguato da condursi nei prossimi anni. Questo consentirebbe di individuare una sede nell’UE per attività sviluppate attraverso il mercato digitale, assicurando che il valore economico della transazione sia tassato in Europa e, più in generale, ove avviene la creazione di valore.

4.3.

L’economia collaborativa potrebbe agevolare talune attività delle autorità fiscali nazionali, grazie alla digitalizzazione dei pagamenti eseguiti tramite piattaforme di collaborazione e grazie alla perfetta tracciabilità di tali pagamenti. L’assetto del sistema di pagamento potrebbe agevolare l’esecuzione degli obblighi fiscali da parte degli operatori del settore, come è per esempio avvenuto in Estonia, ove la procedura di dichiarazione dei redditi dei guidatori e di taluni prestatori di servizi viene semplificata grazie alla collaborazione con le piattaforme digitali.

4.4.

In termini generali, il CESE auspica che lo scambio di informazioni certe e tracciabili tra autorità fiscali, operatori e piattaforme di collaborazione aiuti a ridurre gli oneri amministrativi relativi all’attività di pagamento delle imposte nel settore dell’economia collaborativa e gli oneri di enforcement a carico delle autorità finanziarie, nell’ambito di una collaborazione resa più semplice e certa dal contesto tecnologico in cui le transazioni avvengono.

5.   Tassazione dell’economia collaborativa

5.1.

Per quanto concerne la tassazione dell’economia collaborativa è utile osservare che, nella sua relazione del 28 maggio 2014, il gruppo di esperti sulla tassazione dell’economia digitale, istituito dalla Commissione europea, ha osservato come non dovrebbero essere istituiti regimi speciali di tassazione dell’economia e delle imprese digitali, mentre si ritiene più opportuno adeguare le normative e i modelli fiscali vigenti ai contesti nuovi, avvalendosi della ampia tracciabilità delle transazioni che si realizzano sulle piattaforme dell’economia collaborativa per la gestione degli adempimenti fiscali.

5.2.

Nella pratica, i nuovi modelli d’impresa necessitano di un’attenzione particolare da parte della Commissione europea e delle autorità fiscali nazionali, in particolare quando le piattaforme hanno sede al di fuori dell’UE, per cercare di rendere equa e proporzionale la distribuzione del carico fiscale sul valore economico prodotto dai diversi attori: i fornitori, i fruitori beneficiari e le piattaforme di intermediazione.

5.3.

Il CESE ritiene che, nell’adattare le regole e i principi generali vigenti in materia fiscale al settore dell’economia collaborativa, sia necessario adottare un approccio ragionevole e proporzionato. Tale approccio dovrebbe garantire regole chiare e prevedibili per gli operatori di settore, in modo da non generare eccessivi costi di compliance che potrebbero pregiudicare la crescita di un settore di recente sviluppo e di prospettive future ampie, ma non ancora del tutto prevedibili e misurabili.

5.4.

Una eventuale e futura iniziativa europea nel campo della tassazione dei modelli di business dell’economia digitale dovrebbe tenere conto delle diverse iniziative antielusione promosse negli ultimi anni dalla Commissione europea in ambito fiscale in modo tale da far risultare i diversi interventi regolatori reciprocamente coordinati in un quadro di interventi organico e coerente.

5.5.

Un’iniziativa fiscale in materia di economia digitale allineata dovrebbe essere condotta al fine di rafforzare il mercato interno europeo e il suo sviluppo con riferimento a un settore che costituisce già una parte importante dell’economia europea e che è destinato a giocare un ruolo ancora più rilevante nei prossimi anni.

5.5.1.

A questo proposito, gli articoli 113 e 115 del trattato offrono una solida base giuridica per l’emanazione di regole in materia di imposte sia dirette che indirette nel campo dell’economia collaborativa finalizzate a consolidare il mercato interno e migliorarne il funzionamento.

5.6.

Alcuni Stati membri hanno deciso di intervenire nel settore della tassazione dell’economia digitale tramite una nuova e vincolante legislazione in materia, mentre altri hanno approvato linee guida destinate agli operatori di settore. Come detto in precedenza, sarebbe tuttavia necessaria un’iniziativa sulla tassazione dell’economia digitale a livello europeo.

5.7.

Il CESE auspica quindi che si possa realizzare un intervento legislativo a livello europeo sulla tassazione dell’economia digitale, prevedendo un adeguato coordinamento e coinvolgimento degli Stati membri con l’obiettivo di rafforzare il mercato interno e sfruttare appieno le opportunità che derivano dall’economia digitale.

5.8.

I fornitori di servizi dell’economia collaborativa sono certamente soggetti agli obblighi fiscali, tuttavia vi sono alcune difficoltà nell’individuazione dei contribuenti, anche in ragione del fatto che questi possono esercitare le proprie attività sia in modo professionale (ad esempio offrire continuativamente una prestazione di servizio), sia in modo occasionale (come forma di integrazione del reddito senza che questo divenga una professione). Alla difficile individuazione dei contribuenti si accompagna spesso la difficoltà di misurare con esattezza il reddito imponibile.

5.9.

Al riguardo, il CESE considera positiva l’individuazione di soglie di reddito minimo per distinguere se l’esercizio di una determinata attività sia da ritenersi professionale o meno, auspicando però che l’individuazione di tali soglie sia supportata da evidenze o motivazioni che ne giustifichino la scelta.

5.10.

Per quanto riguarda i nuovi modelli d’impresa, è necessario un coordinamento a livello UE al fine di evitare la doppia tassazione e gli abusi fiscali. Le buone pratiche di modelli di tassazione, in particolare per le imprese che gestiscono e realizzano l’attività di incontro tra la domanda e l’offerta mediante piattaforme digitali, dovrebbero essere introdotte e applicate dagli Stati membri. La Commissione europea deve assicurare il coordinamento tra le norme individuando, attraverso una direttiva, alcune regole comuni e condivise.

5.11.

Allo stesso tempo, il CESE incoraggia la pubblicazione, da parte delle amministrazioni finanziarie nazionali, di appositi orientamenti e linee guida finalizzati a fornire indicazioni chiare a favore dei prestatori di servizi che operano nell’ambito dell’economia collaborativa. Dato che i prestatori di servizi sono spesso dei privati, è effettivamente necessario fornire informazioni circa gli obblighi fiscali, in quanto tali soggetti spesso non sanno di essere assoggettati ad imposizione fiscale.

5.12.

Il CESE auspica che le normative europee e nazionali prevedano meccanismi per favorire la cooperazione fra gli operatori dell’economia collaborativa e le autorità fiscali. Grazie all’ampio utilizzo di dati certi e tracciabili questa collaborazione potrebbe favorire la semplificazione e la trasparenza fiscale, fino ad arrivare alla possibilità che, per talune attività, le piattaforme digitali diventino «sostituti per il versamento diretto dell’imposta» in collaborazione con le autorità fiscali.

5.12.1.

A tale riguardo il CESE sottolinea che, per garantire la certezza fiscale, occorre prestare una particolare attenzione alla rapida evoluzione e crescita di nuovi modelli d’impresa, che intensificano le preoccupazioni per l’incertezza in materia fiscale e per l’impatto di tali modelli sul commercio e gli investimenti transfrontalieri, in particolare nell’ambito della fiscalità internazionale (3).

5.13.

Il CESE sottolinea che potenzialmente l’economia collaborativa potrebbe ampliare la base imponibile nazionale creando nuovi posti di lavoro e apportando nuove risorse all’economia. Per sfruttare tale nuova base, le autorità nazionali competenti dovrebbero mettere a punto sistemi più efficienti per lo scambio e la condivisione delle informazioni. Questi dati combinati con nuove opportunità tecnologiche potrebbero creare maggiore certezza fiscale con costi inferiori sia per i prestatori di servizi che per le autorità fiscali. Poiché la piattaforma digitale, il fornitore di servizi e il cliente possono trovarsi in diversi Stati membri, la questione dovrebbe essere ulteriormente esplorata a livello comunitario per dare un’attenzione adeguata alla protezione dei dati transfrontaliera.

6.   L’IVA

6.1.

Con riferimento alle attività dell’economia collaborativa e alla loro assoggettabilità a IVA, è innanzitutto necessario distinguere fra le attività condotte dai diversi nuovi modelli d’impresa, per esempio le attività condotte direttamente dalle piattaforme di collaborazione e le attività dei singoli prestatori di servizio che si registrano presso le piattaforme stesse, e i modelli che avvalendosi delle piattaforme sviluppano attività diverse, ad esempio la vendita di spazi o dati degli utenti per inserzioni e annunci pubblicitari.

6.2.

Per quanto riguarda questi ultimi casi, le imprese sono già assoggettate all’imposta sugli utili delle società. Esse raccolgono informazioni dagli utilizzatori — ogni volta che uno di essi lancia una ricerca, le imprese raccolgono delle informazioni che possono poi vendere agli inserzionisti e ad altre parti interessate e, se viene creato del valore, si dovrebbe riscuotere l’IVA sullo scambio dei dati (raccolta e vendita di informazioni).

6.3.

Per quanto riguarda i modelli che lavorano sull’incontro domanda offerta, si può ritenere che essi creino «valore aggiunto» fornendo un servizio e consentendo una transazione/scambio tra clienti e conducenti; tale valore aggiunto dovrebbe quindi essere soggetto ad IVA.

6.4.

In generale, ai fini IVA è necessario distinguere tre diversi casi per quanto riguarda le modalità di pagamento delle prestazioni rese nel contesto dell’economia collaborativa: i) casi in cui le prestazioni sono rese a fronte del pagamento di una somma di denaro; ii) casi in cui la remunerazione rispetto al servizio avviene non in denaro, ma tramite un’altra prestazione o con una remunerazione non monetaria; iii) casi in cui la prestazione è resa in modo gratuito e senza alcuna «consideration».

6.5.

La disciplina IVA applicabile al caso: i) sopra menzionato può essere ricavata dalle regole e dai principi della legislazione vigente come elaborata dalla Corte di giustizia dell’UE, mentre il caso iii) potrebbe non rientrare nell’ambito dell’applicabilità della normativa IVA oggi esistente.

6.5.1.

Con riferimento ai casi concreti potenzialmente rientranti nell’ambito del punto ii), il CESE richiede venga approfondita la questione legata all’assoggettabilità o meno delle attività delle piattaforme di collaborazione agli adempimenti IVA. Il quadro giuridico in materia, infatti, non risulta oggi chiaro, soprattutto con riferimento ai servizi che, come menzionato più sopra, non richiedono un pagamento in denaro, ma utilizzano a fini commerciali i dati relativi al consumatore e alle sue preferenze.

6.6.

Il CESE ritiene importante che la Commissione affronti e regolamenti il tema dell’IVA nell’ambito dell’economia collaborativa all’interno del proprio piano d’azione, eventualmente facendo ricorso a regole e principi semplificati al di sotto di determinate soglie di giro d’affari — come è stato fatto in alcuni paesi —, così da contenere i costi di compliance soprattutto per le PMI e per i prestatori di servizi occasionali.

6.7.

Sarebbe inoltre opportuno che la Commissione europea e le amministrazioni fiscali nazionali promuovessero apposite attività di collaborazione e coordinamento con riferimento all’applicazione delle regole IVA al settore dell’economia collaborativa.

7.   Considerazioni finali

7.1.

Il CESE supporta il parere del Parlamento sull’agenda europea per l’economia collaborativa, laddove il PE «osserva che gli imprenditori europei mostrano una forte propensione alla creazione di piattaforme di collaborazione per fini sociali e riconosce un aumento dell’interesse nei confronti dell’economia collaborativa fondata su modelli imprenditoriali cooperativi» (4).

7.2.

Le caratteristiche peculiari dell’economia collaborativa, il suo potenziale innovativo e la necessità di adeguare le regole fiscali allo sviluppo esponenziale di tale settore suggeriscono un coinvolgimento della società civile organizzata nelle attività di consultazione e analisi promosse dalla Commissione europea, che si prefigga di riunire gli stakeholder del settore, i rappresentanti delle istituzioni dell’UE e delle amministrazioni finanziarie nazionali come pure gli esponenti del mondo accademico al fine di lanciare una riflessione congiunta sui temi della fiscalità dell’economia collaborativa.

7.3.

Il CESE invita la Commissione europea a proporre ulteriori raccomandazioni per migliorare lo scambio di informazioni tra le autorità fiscali nazionali e garantire la parità di trattamento fiscale dei prestatori di servizi. Il Comitato ritiene che sarebbe necessario elaborare un supplemento di parere per valutare ulteriormente le esigenze della politica fiscale, nonché l’impatto e i risultati della tassazione dell’economia digitale.

7.4.

Per quanto riguarda i diritti dei lavoratori e dei consumatori che partecipano all’economia collaborativa, il CESE rimanda al parere dal titolo L’economia della condivisione e l’autoregolamentazione  (5), Tuttavia in questo contesto è importante ricordare che l’impatto dell’economia collaborativa sul mercato del lavoro ha effetti molto rilevanti, tali da richiedere un’attenzione specifica per la tutela dei lavoratori, in particolar modo per quanto riguarda i versamenti contributivi per protezione sociale e sanitaria e per il sistema previdenziale.

7.4.1.

In questo senso, il CESE sottolinea ancora una volta la necessità di valutare l’impatto dell’economia collaborativa sul mercato del lavoro e fa rilevare che la piena tutela dei lavoratori e dei prestatori di servizi è un obiettivo che i legislatori UE e nazionali dovrebbero tenere sempre presente.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 36, punto 8.2.4.

(2)  Per maggiori informazioni si veda l’articolo del Forum economico mondiale (World Economic Forum — WEF): https://www.weforum.org/agenda/2015/08/is-data-the-new-currency/

(3)  Per maggiori informazioni consultare la relazione dell'FMI e dell'OCSE per la riunione dei ministri delle finanze del G20 sulla certezza in materia fiscale

(4)  Relazione, su un'agenda europea per l'economia collaborativa [2017/2003(INI)], 11 maggio 2017.

(5)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 36, punto 8.2.4.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo sull’«Utilizzo del suolo per una produzione alimentare e servizi ecosistemici sostenibili»

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza estone)

(2018/C 081/10)

Relatore:

Roomet SÕRMUS

Consultazione

Lettera del 17.3.2017 del Primo ministro della Repubblica di Estonia

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Ufficio di presidenza

28.3.2017

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

3.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529a

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

126/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Ai fini dell’uso sostenibile e della protezione dei terreni agricoli, sarebbe fondamentale un quadro di riferimento comune dell’UE, che consenta di operare passi avanti nella raccolta e nell’utilizzo dei dati; esso potrebbe inoltre contribuire a definire il buono stato del suolo, a stabilire una terminologia unitaria, a determinare criteri comuni per il controllo, a fissare le priorità e a definire le varie misure strategiche per conseguire un buono stato dei suoli.

1.2.

La perdita delle superfici agricole a causa del degrado del suolo, dell’abbandono dei terreni, dei cambiamenti climatici e dell’urbanizzazione rappresenta un grosso problema in tutti gli Stati membri. Il CESE propone pertanto di aggiornare il quadro europeo esistente al fine di proteggere, negli Stati membri, i terreni agricoli di grande valore per la produzione alimentare e gli altri servizi ecosistemici e garantirne la produttività; al tempo stesso giudica necessario migliorare i controlli e predisporre informazioni affidabili.

1.3.

Gli agricoltori svolgono, in quanto proprietari e utilizzatori di superfici agricole, una funzione particolare nel fornire servizi ecosistemici, un ruolo che deve essere riconosciuto e sostenuto. Il suolo offre i più importanti servizi ecosistemici. I terreni sono la base per la maggior parte dei generi alimentari prodotti a livello mondiale e risultano necessari per la produzione di biomassa. Possono stoccare il carbonio e contribuire così ad attenuare i cambiamenti climatici.

1.4.

Al fine di modernizzare la PAC, l’obiettivo dovrebbe essere anche quello di continuare a proteggere la salute e la fertilità delle superfici agricole e dei suoli, il che è essenziale per mantenere ed accrescere ulteriormente la produttività e la sostenibilità dell’agricoltura.

1.5.

In linea con gli accordi sul clima, è opportuno promuovere le iniziative nuove e rilanciare quelle esistenti per riportare in equilibrio il ciclo del carbonio nel suolo, in modo da non costituire una minaccia per la produzione alimentare. Al fine di aumentare il tenore di carbonio del suolo, il CESE propone che i principi di una gestione sostenibile del suolo siano integrati nelle misure politiche dell’UE. È opportuno promuovere, tra le altre cose, la produzione di biomassa migliorando l’accesso all’acqua e altri fattori relativi al suolo (ad esempio la struttura dei terreni, e la loro aerazione, la disponibilità di sostanze nutritive, il valore del pH, l’attività biologica del suolo), i metodi di coltivazione particolarmente poco aggressivi, la pastorizia e una gestione sostenibile degli spazi verdi, una produzione agricola integrata, comprese le buone pratiche dell’agricoltura biologica e di quella tradizionale, ossia la rotazione delle colture, la coltivazione di leguminose, il recupero dei rifiuti organici e del compost e una copertura vegetale dei campi durante la stagione invernale. I suoli e i pascoli ricchi di carbonio devono essere gestiti in modo sostenibile al fine di promuovere il sequestro del carbonio nel suolo e nelle piante.

1.6.

Gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati e motivati, anche nel quadro del secondo pilastro della PAC, ad adottare opportune misure di protezione del suolo.

1.7.

Al fine di garantire un uso sostenibile dei terreni e del suolo, è necessario incentivare ulteriori investimenti nelle tecnologie rispettose dell’ambiente e del clima e nei sistemi di miglioramento dei terreni.

1.8.

Occorre favorire un’agricoltura basata sulla conoscenza (vale a dire un’agricoltura di precisione e pratiche agricole ecologiche). Il potenziale dell’agricoltura di precisione, poco aggressiva nei confronti delle risorse, del suolo e dell’ambiente, trova attuazione mediante l’integrazione di dati relativi al suolo, ai fertilizzanti, ai prodotti fitosanitari, alle condizioni atmosferiche e alle rese, cosa che implica, tra l’altro, un migliore accesso alle informazioni utili contenute nelle banche dati nazionali, una maggiore mobilità e un più facile uso, basandosi sul principio che l’agricoltore è il proprietario dei dati prodotti. Presupposti in tale contesto sono l’accesso ad Internet e l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte degli agricoltori.

1.9.

Bisognerebbe utilizzare maggiormente i dati sul suolo nella formazione delle politiche e nel processo decisionale riguardanti l’uso dei terreni. Al tempo stesso bisogna migliorare la qualità e la disponibilità di dati sul suolo, soprattutto nei settori in cui non sono state ancora condotte sufficienti ricerche. A livello dell’UE bisognerebbe stabilire un’osservazione uniforme del suolo.

1.10.

Nell’intero sistema di istruzione, bisogna rafforzare la consapevolezza circa il ruolo dei terreni. A tal fine dovrebbero essere impiegati mezzi pedagogici moderni e introdurre il tema del suolo nei programmi di studio dei singoli livelli d’istruzione.

1.11.

Anche le misure volte a informare gli agricoltori sui suoli e sulle buone pratiche agricole hanno un ruolo importante da svolgere. A tal fine è particolarmente importante la partecipazione dei servizi di consulenza.

2.   Introduzione

2.1.

Il presente parere, elaborato su richiesta della presidenza estone, mira a sottolineare la fondamentale importanza di un uso sostenibile dei terreni (1) e del suolo (2) per la produzione di alimenti e la prestazione di servizi ecosistemici.

2.2.

Su richiesta della presidenza estone, il Comitato esamina come la problematica delle superfici agricole viene gestita nei vari settori di intervento dell’UE. Si tratta tra l’altro di verificare come si possa provvedere, attraverso le politiche e a livello delle aziende nell’UE, a un uso sostenibile ed efficace del suolo, risorsa necessaria per la produzione alimentare e la fornitura degli altri servizi ecosistemici.

2.3.

Attualmente l’UE dispone di un gran numero di norme sulla tutela del suolo Sebbene i vari settori di intervento dell’UE contribuiscano alla tutela e allo sfruttamento sostenibile delle superfici agricole, la protezione del suolo non è, nella maggior parte dei casi, il loro obiettivo principale. Il CESE ritiene che sia il momento adatto per avviare un dibattito su come le diverse misure possano essere meglio coordinate a livello dell’UE.

2.4.

Nell’elaborare le loro politiche, l’UE e gli Stati membri devono basarsi sugli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030 (3). Tali obiettivi prevedono tra l’altro la promozione degli ecosistemi, la lotta alla desertificazione, il blocco e l’inversione del degrado del suolo, lo sfruttamento sostenibile e l’utilizzazione efficiente delle risorse naturali, e infine l’integrazione delle misure in materia di cambiamenti climatici nelle politiche, nelle strategie e nei piani nazionali. Condizioni indispensabili per l’agricoltura sostenibile e la produzione alimentare sono la protezione dei terreni agricoli e l’uso sostenibile del suolo, risorsa limitata e in linea di principio non rinnovabile.

2.5.

Inoltre, è stata avviata una serie di iniziative (4) volte a promuovere lo sfruttamento sostenibile delle terre e a stimolare la consapevolezza del ruolo importante dei terreni agricoli per la sicurezza alimentare e la mitigazione dei cambiamenti climatici.

2.6.

Il CESE richiama inoltre l’attenzione sul concetto di limiti del pianeta, che può essere chiamato in causa ai fini della definizione dei limiti ecologici entro i quali l’umanità può operare senza danneggiare l’ambiente. Il Comitato osserva che tre limiti su nove (cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, ciclo dell’azoto) sono già stati superati (5). Al tempo stesso, il Comitato riconosce che la sicurezza alimentare mondiale è anche una sfida che l’Europa deve prendere urgentemente in considerazione nel quadro della sua responsabilità globale.

3.   I principali problemi che caratterizzano l’uso dei terreni e del suolo per la produzione agricola

3.1.

La domanda globale di alimenti aumenterà nei prossimi decenni. Le superfici agricole di talune regioni del pianeta devono quindi essere sfruttate in maniera ancor più intensiva, con possibili conseguenze negative per il suolo e l’ambiente in generale, qualora l’uso del suolo non si basi su principi ecologici. Per alimentare adeguatamente la popolazione mondiale bisognerà mantenere la produttività delle superfici agricole disponibili e salvaguardare la fertilità dal punto di vista biologico, chimico e fisico.

3.2.

Nel parere sul tema Sistemi alimentari più sostenibili  (6) il CESE descrive le conseguenze di un’attività agricola inadeguata nella produzione di alimenti: perdita di biodiversità, degrado del suolo, inquinamento dell’aria e delle acque ed emissioni di gas a effetto serra. È necessario quindi garantire che tali risorse siano utilizzate in modo efficiente e sostenibile al fine di salvaguardare l’approvvigionamento alimentare. Questo deve formar parte anche di una politica alimentare globale, come quella descritta dal CESE nel suo parere, ancora in fase di elaborazione, sul tema Il contributo della società civile allo sviluppo di una politica alimentare globale nell’UE.

3.3.

Anche il cambiamento climatico si ripercuote sulla disponibilità delle risorse naturali di base: acqua e suolo. Sebbene siano state adottate misure rivolte a contrastare il cambiamento climatico, il tenore di carbonio nel suolo si riduce anno dopo anno, secondo quanto si evince dai dati relativi agli strati superiori del suolo. Dati supplementari relativi agli strati più profondi rispecchierebbero tuttavia in modo più realistico le attuali tendenze.

3.4.

Nel rapporto L’ambiente in Europa: stato e prospettive nel 2015  (7) l’Agenzia europea dell’ambiente segnala che i servizi ecosistemici del suolo, tra cui la produzione di alimenti, la protezione della biodiversità e lo stoccaggio del carbonio, dell’acqua e dei nutrienti nel suolo, sono sempre più a rischio. A seconda delle regioni, i principali problemi individuati nel rapporto sono l’erosione, la perdita di materia organica nel suolo, la contaminazione e l’impermeabilizzazione del suolo, oltre che l’urbanizzazione, l’abbandono dei terreni e le conseguenze dell’intensivizzazione della produzione agricola sugli habitat naturali e seminaturali. Fra le altre minacce al suolo ampiamente riconosciute figura anche la perdita di fertilità.

4.   La problematica delle superfici agricole nei vari settori di intervento dell’UE

4.1.

Le misure di tutela dei suoli dei 28 Stati membri sono state esaminate in un rapporto redatto per conto della Commissione europea (8) che menziona 35 politiche europee e 671 politiche nazionali per la tutela del suolo. Le azioni dell’UE comprendono documenti strategici, direttive, regolamenti e varie misure di accompagnamento. Tre quarti delle misure nazionali sono sostanzialmente vincolanti.

4.2.

La varietà di misure applicate negli Stati membri rappresenta un’opportunità per affrontare meglio la complessità della tematica del suolo e anche per garantire un più adeguato coordinamento. Il diritto dell’UE contiene disposizioni in parte valide e rigorose per la protezione del suolo, ma questo sistema presenta alcune debolezze. Le politiche nazionali non bastano a colmare le lacune della legislazione dell’UE sulla protezione del suolo, e le disposizioni differiscono molto tra uno Stato membro e l’altro.

4.3.

Il Settimo programma d’azione per l’ambiente, in vigore dall’inizio del 2014, individua nel degrado del suolo un grave problema e definisce l’obiettivo di pervenire nell’UE, entro il 2020, a uno sfruttamento sostenibile e a una protezione adeguata del suolo, e di progredire verso la bonifica dei terreni contaminati. L’UE e gli Stati membri si sono anche impegnati ad intensificare le misure contro l’erosione e a migliorare la materia organica del suolo.

4.4.

Le seguenti misure dell’UE sono da considerare pertinenti per la protezione del suolo e relativamente efficaci: la direttiva sulle emissioni industriali, la direttiva sulla responsabilità ambientale, le disposizioni sulla tutela delle acque (Direttiva quadro in materia di acque), la direttiva sui nitrati, il sistema di condizionalità della PAC e le norme sulle buone condizioni agronomiche e ambientali. Tuttavia l’attuazione di tali misure potrebbe essere ancora più efficace in termini di miglioramento della situazione dei suoli se si tenesse conto in maniera flessibile della specifiche condizioni locali e se le misure venissero meglio coordinate tra di loro.

4.5.

Le esigenze di protezione del suolo potrebbero essere affrontate anche coinvolgendo i vari tipi di sostegno finanziario disponibili attraverso il Fondo di coesione, il Fondo europeo di sviluppo regionale, LIFE + e il programma Orizzonte 2020.

4.6.

I pagamenti diretti nell’ambito del primo pilastro della PAC, che interessano circa il 90 % dei terreni agricoli utilizzati nell’UE, rappresentano un notevole incentivo economico nel quadro delle decisioni sull’uso dei terreni e il loro sfruttamento da parte degli agricoltori. Conformemente ai principi della PAC, i pagamenti diretti sono strettamente legati al mantenimento dei terreni in buone condizioni agronomiche e ambientali e al rispetto della condizionalità e dei vincoli dell’ecologizzazione. In tale contesto, gli Stati membri dispongono di un certo margine di manovra. Il 30 % dei pagamenti diretti è subordinato al soddisfacimento di requisiti ambientali finalizzati a migliorare la qualità del suolo, tutelare la biodiversità e promuovere l’assorbimento di anidride carbonica (9). È indispensabile evitare che i benefici dell’ecologizzazione siano vanificati da eccessive formalità burocratiche legate all’attuazione di questa misura.

4.7.

I programmi per lo sviluppo rurale offrono inoltre agli Stati membri, nel quadro del secondo pilastro della PAC, la possibilità di attuare le misure dell’UE per la protezione del suolo che si adattano alle condizioni specifiche di ciascuno Stato membro.

4.8.

Si aprono inoltre prospettive per la protezione del suolo, per la mitigazione dei cambiamenti climatici e per l’adattamento alle loro conseguenze in una serie di iniziative legislative previste (quali il pacchetto sul clima e l’energia, il regolamento relativo all’inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto serra derivanti dall’uso del suolo, dai cambiamenti di uso del suolo e dalla silvicoltura (LULUCF), il regolamento sulla condivisione degli sforzi ecc.).

4.9.

Anche la revisione del regolamento sui concimi che semplifica il ricorso a fertilizzanti organici o ricavati dai rifiuti, discussa nel contesto del pacchetto sull’economia circolare, rimane rilevante per la tematica della protezione del suolo. I materiali riciclati da utilizzare come ammendanti o fertilizzante non dovrebbero, tuttavia, contenere sostanze pericolose (xenobiotici). Nonostante la proposta della Commissione preveda valori limite alla concentrazione di sostanze pericolose nei fertilizzanti minerali e organici, sussiste ancor oggi la necessità di nuove soluzioni tecniche ecologiche per produrre concimi e ammendanti che non presentino rischi per l’uso del suolo e che non compromettano la produttività primaria. Nel suo parere in materia, il CESE accoglie con favore l’iniziativa della Commissione, e sottolinea che la fertilità e la protezione dei suoli sono obiettivi chiave per la revisione del regolamento (10).

5.   Proposte intese a promuovere un uso sostenibile del suolo come risorsa essenziale per la produzione alimentare e la fornitura di servizi ecosistemici nell’Unione europea

5.1.

Ai fini di un uso sostenibile e della protezione dei terreni agricoli, sarebbe fondamentale un quadro di riferimento comune dell’UE, che consenta di operare passi avanti nella raccolta e nell’utilizzo dei dati; esso potrebbe inoltre contribuire a creare una terminologia unitaria, a definire il buono stato del suolo, a fissare le priorità, a determinare i criteri per il controllo tenendo conto delle diverse condizioni del suolo e del clima e a definire varie misure strategiche per conseguire un buono stato dei suoli. Si tratta di un requisito necessario per poter valutare correttamente le condizioni del suolo e adottare i provvedimenti necessari.

5.2.

La perdita delle superfici agricole a causa del degrado del suolo, dell’abbandono dei terreni, dei cambiamenti climatici e dell’urbanizzazione rappresenta un grosso problema in tutti gli Stati membri. Lo sviluppo di superfici artificiali sta portando sempre più alla scomparsa delle zone agricole. Tra il 2006 e il 2012, la sottrazione di territorio nei paesi europei è stata pari a circa 107 000 ha/anno. I tipi di terreno più frequentemente utilizzati per lo sviluppo artificiale sono stati i seminativi e i pascoli permanenti, seguiti dagli altri tipi di pascoli e dalle zone agricole miste (11). Il CESE propone pertanto di aggiornare il quadro europeo esistente al fine di proteggere i terreni agricoli di grande valore per la produzione alimentare e gli altri servizi ecosistemici e garantirne la produttività. A tal fine, bisognerebbe prevedere maggiori possibilità tecniche per consentire un migliore controllo e mettere a disposizione informazioni affidabili.

La politica agricola comune dell’Unione europea

5.3.

Ai fini della modernizzazione della PAC, nel prossimo periodo di programmazione finanziaria occorrerà provvedere a una gestione efficiente e sostenibile dei terreni agricoli. L’obiettivo dovrebbe essere, tra le altre cose, quello di continuare a proteggere la salute e la fertilità delle superfici agricole e dei suoli, il che è essenziale per mantenere ed accrescere la produttività e la sostenibilità dell’agricoltura.

5.4.

Nel quadro delle misure di ecologizzazione del primo pilastro della PAC si dovrebbero trovare soluzioni più adeguate per migliorare lo stato del suolo. Andrebbe innanzi tutto promossa la rotazione delle colture utilizzando leguminose o specie erbacee. Nelle discussioni sull’efficacia delle misure di ecologizzazione vengono menzionati anzitutto aspetti connessi alla biodiversità, ma occorrerebbe anche dare maggior peso agli effetti benefici della coltivazione di leguminose per la fertilità dei suoli (12).

5.5.

L’agricoltura non produce soltanto alimenti di elevato valore ma è anche responsabile per il mantenimento della biodiversità e dei paesaggi aperti. Essa inoltre svolge un ruolo essenziale nell’adattamento al cambiamento climatico e nel contenimento delle sue conseguenze. La creazione di beni pubblici consiste principalmente in misure di gestione sostenibile delle risorse naturali, che garantiscono un’utilità aggiuntiva e contribuiscono a contrastare gli impatti dell’agricoltura sul suolo, sull’acqua e sulla biodiversità.

5.6.

Gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati e motivati ad adottare, nel quadro del secondo pilastro della PAC, misure per la protezione del suolo, cosa che garantirebbe loro un massimo di flessibilità, grazie a cui tenere conto delle circostanze locali, delle diverse condizioni (tra cui tipi di suolo), e di problemi specifici.

5.7.

Il CESE invita la Commissione europea a tenere conto più che in passato delle proposte specifiche degli Stati membri in termini di miglioramento della qualità dei suoli e di un loro uso sostenibile (ad esempio promuovendo la calcinazione per contrastare l’acidificazione, oppure irrigando e drenando per combattere la penuria o l’eccesso di risorse idriche). Nella gestione dei suoli organici, non bisogna escludere alcuna opzione di gestione, anzi occorre prevedere una serie di misure per la protezione e la cura del suolo.

5.8.

Al fine di garantire un uso sostenibile dei terreni e del suolo, è necessario promuovere ulteriori investimenti nelle tecnologie rispettose dell’ambiente e del clima. Ai fini di una produzione alimentare sostenibile, occorre promuovere l’agricoltura basata sulla conoscenza (compresi l’agricoltura di precisione e gli approcci agroambientali) il che garantisce che le risorse agricole vengono utilizzate nella giusta quantità, nel posto giusto e al momento opportuno. Di capitale importanza risultano il miglioramento dell’attività biologica attraverso l’introduzione di materiale organico e il raggiungimento di un equilibrio delle sostanze nutritive nel suolo: infatti, un eccesso di fertilizzazione presenta un rischio per l’ambiente attraverso il deflusso di sostanze nutritive, mentre la mancanza di nutrienti porta ad una minore fertilità del suolo. Inoltre bisogna fare in modo di rispettare la «Legge di Liebig» (o legge del minimo) (13), dato che l’assenza di una determinata sostanza nutritiva (ad esempio il fosforo) fa aumentare il rischio di erosione di altri nutrienti.

5.9.

Nell’ambito dell’uso del suolo, l’allevamento svolge un ruolo importante e spesso indispensabile per il ciclo dei nutrienti, per il mantenimento della fertilità del suolo e per il sequestro di CO2  (14). L’UE conta un gran numero di terreni agricoli, tra cui distese erbose adatte solo per il pascolo o la produzione di graminacee, pertanto l’allevamento del bestiame deve continuare ad essere incoraggiato in talune regioni, affinché gli agricoltori locali non rinuncino ai loro terreni. In alcune zone dell’Unione, la pratica diffusa di mantenere prati permanenti solo attraverso la mietitura non offre alcuna alternativa al pascolo, né dal punto di vista della produzione alimentare, né in termini di uso efficiente delle risorse né a livello dei terreni. È pertanto necessario adottare misure nell’ambito della PAC al fine di garantire la redditività dell’allevamento nelle diverse regioni dell’UE e trovare soluzioni che permettano un utilizzo attivo e sostenibile dei terreni a scopo di produzione alimentare.

5.10.

In alcune regioni dell’UE, i sistemi obsoleti di drenaggio agricolo rappresentano un grave problema, ed è per questo motivo che occorre, tenendo conto del cambiamento climatico e più che in passato, puntare su investimenti a lungo termine nell’infrastruttura agricola, ad esempio modernizzando tali sistemi, al fine di preservare i terreni agricoli destinati alla produzione di alimenti e di mantenere la fertilità del suolo.

L’uso del suolo e i servizi ecosistemici

5.11.

La Valutazione degli ecosistemi del millennio  (15), pubblicata nel 2005 include, tra i servizi ecosistemici, i beni ambientali, sociali ed economici che gli ecosistemi forniscono alle persone. La formazione del suolo è uno dei servizi ecosistemici e costituisce una condizione preliminare per la fornitura di tutti gli altri servizi ecosistemici, quali la produzione di generi alimentari. La produzione alimentare sostenibile è pertanto inconcepibile senza la protezione del suolo.

5.12.

Gli agricoltori svolgono un ruolo essenziale nella fornitura dei servizi ecosistemici, che deve essere riconosciuto e sostenuto. Il suolo rappresenta il più importante dei servizi ecosistemici (16). È fonte di vita per microbi, piante e animali ed è un importante serbatoio di biodiversità; il suolo filtra l’acqua e immagazzina le risorse idriche necessarie per la crescita delle piante, ha un effetto regolatore contro le inondazioni, immagazzina sostanze nutritive che mette a disposizione delle piante ed è in grado di trasformare le sostanze inquinanti. I terreni sono la base per la maggior parte della produzione alimentare mondiale e risultano necessari per la produzione di biomassa. Possono stoccare il carbonio e contribuire così ad attenuare i cambiamenti climatici.

5.13.

È necessario prestare maggiore attenzione all’uso del suolo, che influenza il funzionamento degli ecosistemi e, di conseguenza, l’erogazione dei servizi ecosistemici. L’impoverimento del suolo, un utilizzo non sostenibile dei terreni e la frammentazione degli spazi vitali dovuta all’urbanizzazione e alla costruzione di case e strade compromettono la fornitura di diversi servizi ecosistemici importanti, minacciano la biodiversità e riducono la resilienza dell’Europa al cambiamento climatico e alle calamità naturali. Favoriscono altresì il degrado del suolo e la desertificazione (17). Per risolvere i problemi descritti, bisogna tener conto dei principi definiti dalla Commissione europea negli orientamenti sulle migliori pratiche per limitare, mitigare o compensare l’impermeabilizzazione del suolo, pubblicati nel 2012 (18).

5.14.

Le funzioni e i servizi ecosistemici del suolo sono temi raramente trattati nelle disposizioni legislative, in quanto non dispongono di un mercato e non vengono sufficientemente riconosciuti dalla società. Nel regolamento di base sui pagamenti diretti della PAC vi sono riferimenti alla qualità del suolo ma mancano, ad esempio, riferimenti alla sua biodiversità e alle sinergie con la produttività primaria Oltre che dalle sue proprietà chimiche e fisiche, le funzioni principali del suolo dipendono dallo stato dei microrganismi e della fauna presenti al suo interno nonché dai loro relativi processi biologici, tra cui figurano la fissazione di azoto, il sequestro del carbonio, il filtraggio dell’acqua e la capacità di far fronte alla perdita di sostanze nutritive. Accanto alle proprietà del suolo, è importante anche la salute delle coltivazioni, affinché il potenziale del suolo venga sfruttato appieno per la produzione di generi alimentari e il sequestro del carbonio.

5.15.

Nel parere del CESE sulla eventuale riforma della PAC (19), si afferma che le misure adottate per la protezione dell’ambiente e del clima nonché della biodiversità nell’ambito del secondo pilastro della PAC dovrebbero essere orientate, più che in passato, ai servizi ecosistemici degli agricoltori. In considerazione dei terreni e dell’utilizzo del suolo, le misure di sostegno dovrebbero essere principalmente incentrate su una gestione di terreni erbosi ed organici tale da promuovere il sequestro del carbonio. Per preservare i terreni, il dissodamento dovrebbe essere ridotto al minimo. A causa dell’accumulo di nutrienti sulle superfici non dissodate, è tuttavia necessario portare avanti un certo grado di lavorazione del terreno per mescolare sostanze nutritive nella zona delle radici e ridurre il rischio di erosione delle sostanze nutritive. Anche la compattazione del suolo riduce la capacità di quest’ultimo di impedire la perdita di sostanze nutritive.

5.16.

In alcune regioni dell’UE è opportuno promuovere la riconversione dei terreni arabili in erbosi, la riduzione del coefficiente di densità sui terreni erbosi, rispettando nel contempo il mantenimento di un livello minimo di densità, il mantenimento delle torbiere, nonché i provvedimenti intesi a limitare l’erosione del suolo e a ridurre la desertificazione nelle zone aride.

5.17.

In alcune zone, la sfida principale per l’agricoltura consiste nel preservare la biodiversità dei terreni agricoli, nel continuare a promuovere pratiche agricole sostenibili e nell’aumentare la redditività della produzione senza intensificare ulteriormente l’attività agricola. Altre regioni devono invece affrontare il compito principale di ridurre la pressione che grava sull’uso del suolo, sui terreni e sugli ecosistemi naturali. Nelle regioni meridionali, un’altra grande sfida è rappresentata dalla scarsità di risorse idriche.

5.18.

Tali aspetti della produzione agricola, estremamente importanti per l’ecosistema, devono essere presi in considerazione nell’elaborare e riformare la politica agricola comune e altre politiche.

Suolo e cambiamento climatico

5.19.

In quanto principale serbatoio di carbonio sulla terraferma (20), il suolo ha un ruolo fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici e nel sequestro del carbonio. Nel quadro internazionale per la protezione del clima, la gestione sostenibile dei terreni svolge una funzione chiave nel mantenere e nell’aumentare la quantità di materie organiche che contribuiscono a preservare le funzioni del suolo e ad evitarne il degrado. In linea con l’accordo di Parigi sul clima, è opportuno promuovere le iniziative nuove e rilanciare quelle esistenti per riportare in equilibrio il ciclo del carbonio nel suolo, in modo che non costituisca una minaccia per la produzione alimentare (articolo 2 dell’Accordo).

5.20.

Conformemente al principio 9 della Carta mondiale dei suoli (21) elaborata dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite (FAO), tutti i terreni forniscono servizi ecosistemici importantissimi per la regolazione del clima a livello mondiale. Per aumentare il tenore di carbonio nel suolo, il Comitato propone di fare riferimento, nelle misure politiche dell’UE, ai principi contenuti negli orientamenti volontari adottati nel 2016 dalla FAO ai fini di una gestione sostenibile dei terreni (22). È opportuno promuovere, tra le altre cose, la produzione di biomassa migliorando l’accesso all’acqua (ad esempio attraverso la costruzione di sistemi di irrigazione nel rispetto delle condizioni ambientali locali), la riduzione al minimo del dissodamento, la pastorizia, la produzione integrata, l’agricoltura biologica, la rotazione delle colture, la coltivazione di leguminose, il recupero dei rifiuti organici e del compost e una copertura vegetale dei campi durante la stagione invernale. È necessario gestire in modo sostenibile i suoli ricchi di carbonio e quelli erbosi.

5.21.

Le importanti iniziative legate ai cambiamenti climatici andrebbero sostenute a livello europeo. Non va dimenticato, tuttavia, che la situazione dei terreni varia notevolmente tra gli Stati membri, di modo che occorre tener conto delle differenze regionali nell’ambito delle misure nuove o di quelle esistenti.

Disponibilità di dati sul suolo e loro uso

5.22.

Al fine di attuare una politica basata su elementi concreti e pianificare l’uso del suolo a livello nazionale, regionale e locale, la configurazione delle politiche e il processo decisionale in materia di utilizzazione dei terreni dovrebbero basarsi maggiormente su dati pertinenti. Lo scambio di dati dovrebbe essere coordinato tenendo presente il loro possesso all’interno di un quadro regolamentare concordato.

5.23.

Al tempo stesso bisogna migliorare la qualità e la disponibilità di dati, soprattutto nei settori in cui non sono state ancora condotte sufficienti ricerche (ad esempio i dati sul tenore di carbonio nel suolo). Per migliorare la disponibilità dei dati, c’è bisogno di obiettivi chiari a breve e a lungo termine.

5.24.

Per migliorare l’accesso ai dati sul suolo e aumentarne l’utilizzo, occorre aggiornare le mappe del suolo e innalzare i requisiti minimi imposti agli Stati membri per quanto concerne la loro copertura territoriale. Tuttavia, occorre tenere conto dei problemi di mappatura del suolo in alcune regioni dell’Unione europea.

5.25.

A livello dell’UE bisognerebbe stabilire un’osservazione uniforme del suolo, con un limitato numero di indicatori relativi alle variazioni dello stato dei terreni e all’efficacia delle misure per la protezione del suolo.

5.26.

Gli agricoltori devono prendere quotidianamente decisioni molto complesse riguardanti la pianificazione della loro produzione. Senza l’uso di tecnologie dell’informazione e della comunicazione un’agricoltura di precisione rispettosa delle risorse, del suolo e dell’ambiente sarebbe impensabile. Una condizione essenziale a tale proposito consiste nel promuovere tra gli agricoltori l’introduzione di soluzioni digitali, con una serie di opzioni e un certo grado di flessibilità che varia in funzione delle condizioni pedoclimatiche.

5.27.

Il potenziale dell’agricoltura di precisione trova attuazione mediante l’integrazione di dati relativi al suolo, ai fertilizzanti, ai prodotti fitosanitari, alle condizioni atmosferiche e alle rese, cosa che implica un migliore accesso alle informazioni contenute nelle banche dati nazionali, una maggiore mobilità e un più facile uso. Bisogna promuovere sistemi che consentano agli agricoltori di accedere, nel loro lavoro quotidiano, alle quantità di informazioni contenute nelle banche dati nazionali, usando a tal fine soluzioni informatiche messe a disposizione da fornitori privati o pubblici, anche in collaborazione con gli appositi servizi di consulenza. Per esempio, il fornitore di un software dovrebbe, con il consenso delle persone interessate, facilitare l’accesso a dati il più accurati possibile sui terreni utilizzati per scopo agricolo e sui test effettuati sul suolo. Gli agricoltori dovrebbero essere proprietari dei dati da essi stessi prodotti.

Sviluppare la base di conoscenze e mobilitare la ricerca e l’innovazione

5.28.

La scienza ha un ruolo importante da svolgere nell’ampliare le conoscenze, nel diffondere le innovazioni, nello sviluppare le tecnologie e nel creare le condizioni per un uso sostenibile dei terreni e del suolo. Il CESE concorda con la raccomandazione contenuta nella dichiarazione di Vienna sull’uso del suolo (23), secondo cui le interazioni tra le attività umane e il suolo in quanto risorsa nonché il loro impatto sui vari fattori ambientali dovrebbero costituire uno dei punti chiave della cosiddetta «scienza del suolo». È altresì importante la cooperazione tra quest’ultima e altri settori scientifici.

5.29.

Il programma Orizzonte 2020 dell’UE ha creato opportunità di finanziamento abbastanza adeguate a favore della ricerca sul suolo e la produzione alimentare, opportunità che dovrebbero essere mantenute anche nell’elaborazione del nono programma quadro di ricerca e innovazione dell’UE.

5.30.

Un particolare accento va posto sulla diffusione alle imprese dei risultati delle attività di R & S, cosa che nell’ambito dell’uso del suolo e dei terreni è in grado di assicurare una produzione alimentare sostenibile. Il CESE chiede a scienziati, agricoltori, consulenti e altri soggetti interessati di migliorare la cooperazione in questo settore, sfruttando fra le altre cose le possibilità offerte dal Partenariato europeo per l’innovazione (PEI-AGRI).

5.31.

In agricoltura vengono utilizzati sempre più spesso diversi biostimolanti al fine di migliorare la struttura del suolo, l’efficacia delle piante dal punto di vista nutritivo e la disponibilità di risorse idriche, contribuendo in tal modo ad aumentare il rendimento dei raccolti e la loro qualità. Ogni suolo è unico nel suo genere e la sua composizione è in costante evoluzione, tuttavia l’influenza dell’uso dei biostimolanti sull’equilibrio biologico del suolo non viene studiata in modo adeguato, e occorrerebbe quindi condurre un maggior numero di ricerche indipendenti in questo campo.

Sensibilizzazione

5.32.

Per sensibilizzare tanto gli agricoltori quanto i responsabili decisionali a livello politico e le altre parti in causa in merito all’importanza dell’uso di terreni agricoli per la produzione alimentare sostenibile e per l’offerta di servizi ecosistemici, è necessario avviare, con la partecipazione di numerosi attori, un ampio dibattito sullo stato dei terreni e sulle possibilità di protezione del suolo. Una maggiore sensibilizzazione fa sì che vengano condotti maggiori investimenti nell’uso sostenibile del suolo come pure nella ricerca.

5.33.

A tutti i livelli del sistema dell’istruzione bisogna rafforzare la consapevolezza circa il ruolo dei terreni, un aspetto che dovrebbe essere promosso dando la possibilità di acquisire esperienze pratiche. I moderni sistemi d’insegnamento andrebbero utilizzati per il trattamento di questioni connesse all’uso e alla protezione del suolo.

5.34.

Le misure destinate a sensibilizzare maggiormente gli agricoltori circa la diversa natura del suolo, la corretta gestione dell’attività agricola, l’importanza della rotazione delle colture, i fertilizzanti ecc. assumono un grande significato. In tale contesto, risultano essenziali la partecipazione e l’intervento dei servizi di consulenza.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il terreno può essere definito come la parte della superficie terrestre non coperta dalle acque.

(2)  Pe suolo s’intende lo strato superiore della crosta terrestre, costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi viventi. Rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera [http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52006DC0231].

(3)  http://www.un.org/sustainabledevelopment/sustainable-development-goals/

(4)  Tra esse figurano ad esempio il Decennio internazionale del suolo, il Partenariato globale per il suolo, promosso dalla FAO, l’iniziativa francese Quattro per 1000: il suolo per la sicurezza alimentare e la protezione del clima; l’iniziativa dei cittadini europei People4Soil ecc.

(5)  J. Rockström, e al., 2009, Planetary Boundaries: Exploring the Safe Operating Space for Humanity, Ecology and Society [I limiti planetari: un margine di manovra sicuro per l’umanità, l’ambiente e la società], vol. 14, https://www.consecol.org/vol14/iss2/art32/main.html

(6)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 64.

(7)  https://www.eea.europa.eu/soer

(8)  Inventario e valutazione aggiornati degli strumenti delle politiche di tutela del suolo negli Stati membri dell’UE http://ecologic.eu/14567

(9)  https://ec.europa.eu/agriculture/direct-support/greening_en

(10)  Parere del CESE in merito ai fertilizzanti, GU C 389 del 21.10.2016, pag. 80.

(11)  https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/indicators/land-take-2/assessment-1

(12)  I rizobatteri attivi sulle radici di molti tipi di colture di leguminose (trifoglio, meliloto, lupini, piselli, fagioli e altri) sono gli organismi più efficaci nel fissare l’azoto, importantissimo per mantenere la fertilità del suolo.

(13)  https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Liebig

(14)  Parere del CESE sul tema Sistemi alimentari sostenibili, GU C 303 del 19.8.2016, pag. 64.

(15)  http://www.millenniumassessment.org/en/index.html

(16)  http://www.iuss.org/index.php?article_id=588

(17)  https://www.eea.europa.eu/soer-2015/synthesis/report/3-naturalcapital

(18)  http://ec.europa.eu/environment/soil/pdf/guidelines/IT%20-%20Sealing%20Guidelines.pdf

(19)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 10.

(20)  Il suolo contiene circa il doppio della quantità di carbonio esistente nell’atmosfera e il triplo della quantità di carbonio presente nella flora durante il periodo di vegetazione.

(21)  http://www.fao.org/soils-2015/news/news-detail/en/c/293552/

(22)  http://www.fao.org/documents/card/en/c/5544358d-f11f-4e9f-90ef-a37c3bf52db7/

(23)  http://www.iuss.org/index.php?article_id=588


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul «Controllo dell’applicazione della legislazione dell’UE»

(esame da parte della Corte dei conti europea)

(parere d’iniziativa)

(2018/C 081/11)

Relatori:

Bernd DITTMANN, Denis MEYNENT, Ronny LANNOO

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

30.5.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

176/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ricorda l’importanza — ai fini dell’adozione di una normativa adeguata per conseguire gli obiettivi di cui all’articolo 3 del trattato sull’Unione europea — dei principi di correttezza e tempestività nell’attuazione, sussidiarietà, proporzionalità, precauzione e prevedibilità, nonché di «pensare anzitutto in piccolo», della dimensione esterna della competitività e del test del mercato interno.

1.2.

L’obiettivo della legislazione europea deve sempre consistere nella creazione di un quadro giuridico che consenta alle imprese e ai cittadini di beneficiare dei vantaggi del mercato interno, evitando loro oneri amministrativi superflui. Di conseguenza, il CESE ritiene essenziale il controllo dell’applicazione sul campo. Il CESE, inoltre, è favorevole a una legislazione che sia in grado di adattarsi; e precisa che, per soddisfare i bisogni delle imprese e dei cittadini, deve potere adattarsi non solo il contenuto della legislazione, ma anche lo stesso processo legislativo.

1.3.

Per i motivi anzidetti, secondo il CESE l’applicabilità del diritto dell’UE deve essere presa in considerazione sin dall’inizio dell’attuale ciclo legislativo, al momento delle valutazioni d’impatto, e l’ecosistema europeo in materia deve essere sviluppato ulteriormente.

1.4.

Il CESE sottolinea tuttavia che il miglioramento della legislazione non può sostituirsi alle decisioni politiche e non può in alcun caso tradursi in una deregolamentazione o risolversi in un abbassamento del livello di protezione sociale, una riduzione della tutela dell’ambiente e una restrizione dei diritti fondamentali.

1.5.

La maggior parte delle difficoltà di applicazione e di attuazione del diritto dell’Unione europea è dovuta al mancato recepimento delle direttive, ragion per cui nei propri pareri il CESE raccomanda in genere di utilizzare piuttosto dei regolamenti.

1.6.

Il CESE reputa che migliorare il modo in cui la Commissione procede alla consultazione delle parti interessate sia essenziale per elaborare una legislazione europea di facile attuazione per gli Stati membri e le parti stesse.

1.7.

In tale contesto, il CESE ritiene di poter svolgere un’utile funzione di intermediario tra i legislatori e gli utenti della legislazione europea. Da parte sua, il CESE adegua continuamente i suoi metodi di lavoro: di recente, infatti, ha deciso di partecipare attivamente alla valutazione del ciclo legislativo effettuando proprie valutazioni ex post dell’acquis dell’Unione europea.

2.   Introduzione

2.1.

Il 21 dicembre 2016 il membro della Corte dei conti europea (in prosieguo «la Corte») Pietro Russo ha informato per lettera il vicepresidente del CESE Michael Smyth dell’imminente instaurazione di contatti a livello amministrativo in relazione a un’analisi panoramica avviata dalla Corte sul controllo dell’applicazione del diritto dell’UE effettuato dalla Commissione europea conformemente ai suoi obblighi. L’esame richiesto dalla Corte si fonda sull’articolo 17, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea (TUE), ai sensi del quale «la Commissione promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Vigila sull’applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei trattati. Vigila sull’applicazione del diritto dell’Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea. […]».

2.2.

Il 3 maggio 2017 il membro della Corte Leo Brincat ha presentato al segretario generale del CESE un documento in cui vengono formulate tre serie di domande.

2.3.

Data l’importanza politica della questione, il segretario generale ne ha informato l’Ufficio di presidenza, che ha deciso di istituire un gruppo ad hoc di tre membri incaricato di elaborare una risposta sotto forma di parere d’iniziativa sulla base dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno del CESE. La Corte deve ricevere il contributo del CESE al fine di integrarlo nella propria relazione, prevista per il maggio 2018.

2.4.

In sostanza, la Corte desidera conoscere il parere del CESE in merito alla questione se le azioni intraprese dalla Commissione per assicurare il rispetto del diritto dell’UE rispondano alle preoccupazioni dei cittadini europei. La Corte desidera conoscere gli aspetti specifici del controllo dell’applicazione della legislazione che richiamano più in particolare l’attenzione del CESE.

3.   Le domande della Corte

3.1.

La Corte formula tre serie di domande intese a conoscere la posizione del CESE in merito:

a.

alle iniziative chiave lanciate dalla Commissione per migliorare l’applicazione del diritto dell’UE («Legiferare meglio» e «Diritto dell’Unione europea: risultati migliori attraverso una migliore applicazione»), segnatamente per quanto riguarda la pertinenza di tali iniziative, le reazioni della società civile e gli eventuali primi effetti positivi delle iniziative stesse;

b.

alle tematiche fondamentali ai fini di una migliore applicazione del diritto dell’UE, tra le quali l’applicabilità, la trasparenza e la sensibilizzazione del pubblico in materia di diritto europeo;

c.

alle responsabilità principali della Commissione in materia di migliore applicazione del diritto dell’UE, e segnatamente all’uso che il CESE fa delle informazioni e delle relazioni presentate dalla Commissione (1) e agli elementi e alle proposte del CESE sui modi di migliorare la stesura di tali relazioni.

3.2.

Le risposte fornite dal presente parere, che non ha la pretesa di essere esaustivo, si basano sulle posizioni espresse dal CESE in numerosi suoi pareri (2).

4.   Osservazioni generali

4.1.

Gli obiettivi dell’Unione europea sono indicati all’articolo 3 del TUE. In particolare, essa «si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata […], su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. […] Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri».

4.2.

In tale contesto, il CESE ricorda l’importanza dei principi già definiti per stabilire una legislazione idonea a conseguire gli obiettivi sopraindicati, ovverosia, tra gli altri, dei principi di correttezza e tempestività nell’attuazione, sussidiarietà, proporzionalità, precauzione e prevedibilità, nonché di «pensare anzitutto in piccolo», della dimensione esterna della competitività e del test del mercato interno (3).

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Sulle iniziative chiave lanciate dalla Commissione per migliorare l’applicazione del diritto dell’UE («Legiferare meglio»  (4) e «Diritto dell’Unione europea: risultati migliori attraverso una migliore applicazione»  (5))

5.1.1.

La questione del miglioramento della regolamentazione («legiferare meglio») è da tempo al centro dell’attenzione del CESE, che ha dedicato ad essa un gran numero di pareri e relazioni informative (6) nonché una fitta serie di dibattiti, seminari, studi ed audizioni (7).

5.1.2.

Per quanto riguarda l’applicazione dei principi del programma «Legiferare meglio», il CESE reputa che la regolamentazione non costituisca di per sé un ostacolo, ma rappresenti, al contrario, uno strumento essenziale per conseguire gli obiettivi fissati dal trattato. Il Comitato si compiace pertanto del fatto che il vicepresidente Timmermans abbia ricordato a più riprese che il programma REFIT non può condurre a una deregolamentazione né avere l’effetto di ridurre il livello di protezione sociale e di tutela dell’ambiente né tantomeno intaccare i diritti fondamentali (8).

5.1.3.

Il CESE reputa che legiferare meglio e in maniera più intelligente sia un compito comune di tutte le istituzioni europee e di tutti gli Stati membri, da adempiere nell’interesse dei cittadini, delle imprese, dei consumatori e dei lavoratori. Nel contempo, però, sottolinea che il miglioramento della regolamentazione non può sostituirsi alle decisioni politiche.

5.1.4.

Di conseguenza, nel suo parere in merito alla comunicazione intitolata «Legiferare meglio» (9), il CESE:

ha accolto con favore il fatto che le misure per legiferare meglio coprissero l’intero ciclo di vita di un atto legislativo e che ci si concentrasse così in pari misura sia sulle misure ex ante che su quelle ex post,

ha chiesto che gli organi consultivi dell’UE fossero presi in considerazione nell’accordo interistituzionale «Legiferare meglio»,

si è espresso a favore di un ampio coinvolgimento dei soggetti interessati attraverso consultazioni da effettuare lungo l’intero ciclo di vita delle misure delle politiche europee,

ha sottolineato la necessità di scegliere i soggetti interessati appropriati, e ha invocato indipendenza, imparzialità e trasparenza nella scelta degli esperti chiamati a far parte dei diversi organi,

ha chiesto maggiore trasparenza in relazione ai triloghi informali, e sostenuto la necessità di limitare il ricorso a questo strumento,

ha esortato la Commissione a rivolgere una maggiore attenzione alle carenze nel recepimento e nell’attuazione del diritto dell’UE da parte degli Stati membri, e ha raccomandato pertanto di far ricorso ai regolamenti piuttosto che alle direttive.

5.1.5.

D’altra parte, accogliendo l’invito della Commissione a partecipare ai lavori della piattaforma REFIT e formulando proposte intese a migliorare il funzionamento di tale piattaforma (10), il CESE ha dato prova del suo impegno a favore di un quadro giuridico europeo che consenta alle imprese e ai cittadini di beneficiare dei vantaggi del mercato interno ed eviti di imporre loro oneri amministrativi superflui.

5.1.6.

Nel quadro della sua partecipazione al gruppo di riflessione delle parti interessate della piattaforma REFIT, il CESE ha contribuito attivamente all’elaborazione di diversi pareri della piattaforma, i quali hanno alimentato il programma di lavoro annuale della Commissione e continueranno a farlo. Le priorità del CESE sono state definite sulla base degli elementi forniti dalle sue sezioni specializzate e comprendevano, tra l’altro, una proposta di semplificazione volta ad ovviare ai problemi di sovrapposizione e ad evitare la ripetizione degli stessi requisiti in atti giuridici unionali diversi, nonché a disporre di norme UE chiare e complete in materia di prodotti da costruzione (regolamento sui prodotti da costruzione). Il Comitato ha inoltre concorso all’elaborazione di un elenco completo di suggerimenti sui modi di migliorare i meccanismi di consultazione dei soggetti interessati da parte della Commissione europea, con l’obiettivo di contribuire alla revisione — attualmente in corso — degli orientamenti e degli strumenti per legiferare meglio.

5.2.

Sulle tematiche fondamentali ai fini di una migliore applicazione del diritto dell’UE (applicabilità della legislazione, trasparenza e sensibilizzazione del pubblico)

5.2.1.   Applicabilità

5.2.1.1.

Il CESE adegua costantemente i propri metodi di lavoro per contribuire a valutare la qualità dell’applicazione del diritto dell’UE. Meno di un paio di anni fa, infatti, ha deciso di partecipare attivamente alla valutazione del ciclo legislativo effettuando proprie valutazioni ex post dell’acquis dell’Unione europea.

5.2.1.2.

Il CESE (11) è del parere che l’applicabilità del diritto dell’UE debba essere presa in considerazione sin dall’inizio dell’attuale ciclo legislativo, al momento delle valutazioni d’impatto (VI), e che, nonostante i progressi già realizzati, l’ecosistema europeo in materia debba essere sviluppato ulteriormente. Per migliorare la qualità delle valutazioni d’impatto, il CESE propone di esplorare una serie di soluzioni, tra cui un capitolato d’oneri per studi in materia di VI che sia trasparente, accessibile e pluralistico, l’ampliamento del registro europeo delle VI e l’adozione, da parte delle diverse istituzioni europee, di un approccio qualitativo e di un approccio metodologico convergente riguardo alla matrice di ricerca di tali valutazioni. In futuro, il CESE dovrebbe altresì analizzare determinati studi d’impatto (ossia quelli riguardanti tematiche sulle quali abbia preso una posizione forte), passare in rassegna gli aspetti metodologici e fornire un parere sull’eventuale considerazione delle dimensioni economiche, sociali, ambientali o territoriali in una fase più avanzata del ciclo legislativo. Questo lavoro consentirebbe anche di agevolare l’elaborazione dei pareri eventualmente richiesti al CESE in merito ai progetti legislativi preparati da queste stesse valutazioni d’impatto.

5.2.1.3.

Secondo il CESE (12), l’obiettivo della legislazione europea deve sempre consistere nella creazione di un quadro giuridico che consenta alle imprese e ai cittadini di beneficiare dei vantaggi del mercato interno evitando loro oneri amministrativi superflui. Il CESE ritiene quindi essenziale il controllo dell’applicazione concreta del diritto dell’UE, ed è inoltre a favore di una legislazione europea in grado di adattarsi.

5.2.1.4.

La legislazione europea deve essere rigorosa quanto alle sue finalità, sempre coerente con gli obiettivi enunciati nel trattato e flessibile in relazione al suo recepimento nel diritto nazionale (13). In quest’ottica, il CESE è favorevole a una chiarificazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.

5.2.1.5.

Il CESE osserva inoltre che, per soddisfare i bisogni delle imprese e dei cittadini, deve essere «a prova di futuro» non solo il contenuto della legislazione, ma anche lo stesso processo legislativo (14). In questa prospettiva, il CESE raccomanda (15):

a)

di applicare in maniera più rigorosa i principi del programma «Legiferare meglio»;

b)

di garantire la trasparenza in tutte le fasi di elaborazione delle norme;

c)

di sviluppare un sistema di monitoraggio più regolare, in relazione al recepimento delle direttive sul piano nazionale;

d)

di tenere in debito conto il ruolo e i maggiori poteri conferiti dai Trattati ai parlamenti nazionali;

e)

che la Commissione ricorra con maggiore frequenza alle comunicazioni interpretative;

f)

di compiere maggiori sforzi in termini di semplificazione legislativa e di codificazione.

5.2.1.6.

La maggior parte delle difficoltà di applicazione e di attuazione del diritto dell’UE è dovuta al mancato recepimento delle direttive, ragion per cui nei propri pareri il CESE raccomanda in genere di utilizzare piuttosto dei regolamenti (16).

5.2.1.7.

Analogamente, nell’ambito del programma REFIT la Commissione aveva annunciato che sarebbero state effettuate consultazioni anche per le valutazioni, i controlli di adeguatezza (i cosiddetti «check-up») e l’elaborazione degli atti delegati e di quelli di esecuzione. Al riguardo, inoltre, la Commissione dovrebbe tenere in maggiore considerazione i pareri del proprio comitato per il controllo normativo, che è ormai competente anche per le valutazioni a posteriori.

5.2.1.8.

Il CESE reputa che migliorare il modo in cui la Commissione procede alla consultazione delle parti interessate sia essenziale per elaborare una legislazione europea di facile attuazione per gli Stati membri e le parti stesse; e a tale proposito ha già formulato proposte atte a migliorare in maniera strutturale il processo di consultazione e a garantirne il monitoraggio (17).

5.2.1.9.

Il CESE ha già avuto modo di deplorare il fatto che, nelle misure del programma «Legiferare meglio», non si tenga sufficientemente conto del ruolo, della funzione e della rappresentatività del CESE quali definiti dai Trattati, e che, di conseguenza, rimanga inutilizzata la possibilità di avvalersi delle conoscenze e competenze specifiche dei propri membri e di ottenere dal CESE un contributo all’altezza dei suoi compiti. Purtroppo, la semplice circostanza che il CESE partecipi alla piattaforma REFIT (fase ex post) non rispecchia in maniera adeguata i compiti e le responsabilità che gli incombono per il rafforzamento della legittimità democratica e dell’efficacia delle istituzioni dell’UE (18).

5.2.1.10.

Il CESE reputa che l’applicazione dell’acquis dell’Unione europea patisca spesso della mancanza di volontà politica delle autorità nazionali di osservare e far osservare norme considerate «estranee» al corpus giuridico e alle tradizioni nazionali, nonché della persistente tendenza degli Stati membri ad aggiungere alle norme dell’UE nuove disposizioni del tutto inutili oppure a scegliere di attuare solo alcune parti della normativa europea e di ignorarne altre (19).

5.2.1.11.

Infine, il CESE ritiene che il sistema EU Pilot (un dialogo informale tra la Commissione e gli Stati membri sull’inosservanza del diritto dell’UE prima dell’avvio di una procedura formale d’infrazione) rappresenti un altro passo nella direzione giusta, ma che il suo funzionamento attenda ancora di essere valutato; e avverte che, in ogni caso, tale sistema non deve essere utilizzato per sostituire le procedure d’infrazione.

5.2.2.   Trasparenza

5.2.2.1.

Il CESE (20) è convinto che qualsiasi atto legislativo debba essere il frutto di deliberazioni politiche pubbliche; e che, affinché le politiche europee forniscano risultati migliori, il processo legislativo europeo vada riveduto nel quadro del trattato di Lisbona e — se necessario — nel quadro di un nuovo trattato. Il CESE desidera porre l’accento sulla qualità, la legittimità, la trasparenza e l’inclusività della legislazione.

5.2.2.2.

Le riunioni delle formazioni del Consiglio in cui si delibera a maggioranza qualificata dovrebbero essere pubbliche, nell’interesse della trasparenza e della democrazia. Il CESE è dell’avviso che la procedura legislativa accelerata nel quadro del trilogo debba essere applicata soltanto per i casi di emergenza, come peraltro stabilito dal trattato (21).

5.2.2.3.

A differenza delle riunioni delle commissioni del Parlamento europeo, quelle del trilogo non sono né trasparenti né accessibili. Limitare la procedura legislativa a una sola lettura equivale a restringere la partecipazione della società civile (22).

5.2.2.4.

È necessario integrare meglio non solo il Parlamento europeo, ma anche gli organi come il Comitato europeo delle regioni (CdR) e il CESE, nel ciclo del semestre europeo (23).

5.2.2.5.

Nel caso degli atti delegati, la Commissione dovrebbe aumentare la trasparenza del suo processo decisionale (cfr. l’articolo 290 del TFUE), come sottolineato dal CESE in più occasioni (24).

5.2.2.6.

Inoltre, il proliferare di denominazioni diverse per le agende e i programmi in materia (Legiferare meglio, Legiferare con intelligenza, Pensare anzitutto in piccolo ecc.) ha provocato una certa confusione. La gerarchia di questi programmi e progetti e la loro interazione andrebbero rese più chiare, affinché il pubblico comprenda quali sono i loro destinatari (25).

5.2.2.7.

Nell’interesse della trasparenza e della legittimità, il CESE ha chiesto (26) che le consultazioni effettuate dalla Commissione non pregiudichino il dialogo civile strutturato (articolo 11, paragrafo 2, del TUE) o le consultazioni svolte in ambiti specifici, come quella delle parti sociali condotta nel quadro del dialogo sociale (articolo 154 del TFUE) o quella di organi consultivi come il CESE stesso (articolo 304 del TFUE).

5.2.3.   Sensibilizzazione del pubblico

5.2.3.1.

È necessario intensificare e migliorare la comunicazione verso il pubblico. La comunicazione suscita interesse, e questo a sua volta genera comprensione. La cosiddetta «nuova narrazione per l’Europa» dovrebbe prendere le mosse da una strategia di comunicazione e semplificazione condivisa dalla Commissione e dagli Stati membri. A questo proposito, non sembra inutile ribadire quanto a suo tempo affermato con forza dal CESE nel suo parere in merito all’Atto per il mercato unico, e cioè che ai partiti politici, ai mezzi di informazione, alla scuola e all’università e a tutti gli altri attori pertinenti incombe una responsabilità storica per quanto attiene alla capacità dell’UE di affrontare con successo le sfide di un mondo globalizzato basandosi sui valori che hanno finora contraddistinto le nostre economie sociali di mercato (27).

5.2.3.2.

Le reti di sostegno messe a disposizione dalla Commissione sono ancora troppo poco conosciute; e ciò vale in particolare per la rete SOLVIT, che mira ad aiutare i cittadini o le imprese dell’UE nei casi in cui i loro diritti non vengano rispettati dalla pubblica amministrazione di un altro Stato membro. Il CESE accoglie pertanto con favore l’iniziativa della Commissione volta a far conoscere meglio questa rete.

5.2.3.3.

Una possibile soluzione (28) consisterebbe in una maggiore informazione del pubblico, da parte della Commissione, in merito alle infrazioni commesse dagli Stati membri, dato che, in ultima analisi, sono i loro governi a non recepire correttamente, non recepire affatto o recepire in ritardo il diritto dell’UE, sono loro ad avere approvato le normative in questione in sede di Consiglio e sono loro i responsabili della generale carenza di attuazione del diritto europeo, puntualmente constatata ogni anno nelle relazioni sulla sua applicazione. La Commissione, inoltre, dovrebbe verificare sistematicamente quali misure siano indispensabili per cambiare radicalmente la situazione attuale, e dovrebbe prendere in considerazione le proposte da tempo avanzate dal CESE in materia (29).

5.3.

Sulle responsabilità della Commissione in materia di migliore applicazione del diritto dell’UE (controllo dell’applicazione del diritto europeo (30) e del rispetto di tale diritto da parte degli Stati membri)

5.3.1.

Il tema del controllo dell’applicazione del diritto dell’UE è evidentemente al centro delle preoccupazioni del CESE, il quale ha dedicato ad esso alcuni pareri specifici (31). Il CESE si è inoltre occupato della questione in tutta una serie di pareri incentrati su altre tematiche («Legiferare con intelligenza», «Legiferare meglio», «REFIT» ecc.) nonché nel corso di audizioni e seminari specificamente dedicati a questo tema (in particolare nell’ambito del proprio Osservatorio del mercato unico).

5.3.2.

In tale contesto, il CESE ha sovente invitato la Commissione a consultarlo in merito alla sua relazione annuale in modo da tener conto del punto di vista della società civile organizzata riguardo all’attuazione della legislazione europea e rafforzare così l’applicazione di tale diritto nell’UE (32).

5.3.3.

Il CESE ritiene infatti di poter svolgere un’utile funzione di intermediario tra i legislatori e gli utenti della legislazione europea. Esso può, ad esempio, recare un contributo specifico alla relazione d’iniziativa del Parlamento europeo sulla relazione annuale concernente l’attuazione della legislazione dell’UE da parte degli Stati membri, valutando in particolare le aggiunte apportate da questi ultimi in sede di recepimento (33).

5.3.4.

Inoltre, il CESE ha proposto (34) delle misure volte a migliorare il recepimento delle direttive, misure che consistono in particolare:

nell’anticipare la scelta dello strumento normativo di recepimento,

nell’accelerare il processo di recepimento fin dalla pubblicazione della direttiva nella Gazzetta ufficiale, affidandone il coordinamento interno a un punto di contatto nazionale che disponesse di una banca dati creata a questo scopo,

nel privilegiare il metodo di recepimento mediante «mera trascrizione» nel caso di disposizioni precise e incondizionate o di definizioni,

nell’ammettere il recepimento mediante rinvio specifico alle disposizioni prescrittive/incondizionate della direttiva, quali gli elenchi o le tabelle riguardanti sostanze, oggetti o prodotti contemplati dalla direttiva stessa, oppure i modelli di moduli o certificati che figurano nei suoi allegati,

nell’adattare le procedure di recepimento nei singoli Stati membri in funzione della portata della direttiva in questione ricorrendo a procedure accelerate, senza tuttavia trascurare le consultazioni interne obbligatorie per l’adozione di testi normativi.

5.3.5.

Analogamente, il CESE reputa che la messa a punto di un monitoraggio adeguato del trattamento degli affari europei negli Stati membri sarebbe particolarmente utile per le attività della Commissione e contribuirebbe a migliorare la qualità del suo operato (35).

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. la relazione annuale 2015 della Commissione europea sul controllo dell’applicazione del diritto dell’Unione europea [COM(2016) 463 final].

(2)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 47, GU C 18 del 19.1.2011, p. 100, GU C 277 del 17.11.2009, pag. 6, GU C 248 del 25.8.2011, pag. 87, GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52, GU C 325 del 30.12.2006, pag. 3, GU C 43 del 15.2.2012, pag. 14, GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66, GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57, GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192, GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45, GU C 487 del 28.12.2016, pag. 51.

(3)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 51, punto 2.14.

(4)  COM(2016) 615 final.

(5)  GU C 18 del 19.1.2017, pag. 10.

(6)  Si vedano in particolare i pareri Legiferare meglio (relatore: Dittmann, GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192), Valutazione delle consultazioni dei soggetti interessati da parte della Commissione europea (relatore: Lannoo, GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57) e Programma REFIT (relatore: Meynent, GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45), nonché la relazione informativa Legiferare meglio: atti di esecuzione e atti delegati (relatore: Pegado Liz, non pubblicata nella GU).

(7)  A titolo di esempio, si possono citare qui la Giornata europea del consumatore 2016, dedicata al tema «Migliorare la regolamentazione per i consumatori?», il dibattito con il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans nel corso della sessione plenaria del 18 marzo 2017, lo studio intitolato «Attuazione dell’iniziativa Legiferare meglio — impatto della relazione Stoiber» oppure ancora la Giornata della società civile 2015, dedicata al tema «Il dialogo civile: uno strumento per legiferare meglio nell’interesse generale».

(8)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45, punto 2.2.

(9)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192.

(10)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45, punto 2.12.1.

(11)  GU C 434 del 15.12.2017, p. 11, punto 4.6.1.

(12)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 51, punto 1.7.

(13)  Idem, punto 1.11.

(14)  Idem, punto 2.7.

(15)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 87, punto 3.6.

(16)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 9, punto 2.1.

(17)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57.

(18)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192, punto 2.6.

(19)  GU C 18 del 19.1.2011, pag. 100, punto 3.5.

(20)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 51, punti 1.9 e 2.6.

(21)  Idem, punto 3.11.

(22)  Idem, punto 3.15.

(23)  Idem, punto 3.16.

(24)  Idem, punto 3.17.

(25)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66, punto 5.2.

(26)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57, punto 2.1.2.

(27)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 47, punto 1.7.

(28)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192, punto 4.4.9.

(29)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66.

(30)  COM(2016) 463 final.

(31)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 9, e GU C 347 del 18.12.2010, pag. 62.

(32)  GU C 347 del 18.12.2010, pag. 62, punto 1.10.

(33)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45, punto 3.2.4.

(34)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 9, punto 5.

(35)  GU C 325 del 30.12.2006, pag. 3, punto 6.1.13.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

529a sessione plenaria del CESE del 18 e 19 ottobre 2017

2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul «Pacchetto conformità»:

«a) Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni “Piano d’azione sul potenziamento di SOLVIT — Portare i benefici del mercato unico ai cittadini e alle imprese”»

[COM(2017) 255 final — SWD(2017) 210 final]

«b) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno sportello digitale unico di accesso a informazioni, procedure e servizi di assistenza e di risoluzione dei problemi e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012»

[COM(2017) 256 final — 2017/0086 (COD)]

«c) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa le condizioni e la procedura con le quali la Commissione può richiedere alle imprese e associazioni di imprese di fornire informazioni in relazione al mercato interno e ai settori correlati»

[COM(2017) 257 final — 2017/0087 (COD)]

(2018/C 081/12)

Relatore:

Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER

Consultazione

a)

Commissione europea, 5.7.2017

b)

Parlamento europeo, 12.6.2017

Consiglio, 14.6.2017

c)

Parlamento europeo, 31.5.2017

Consiglio, 10.10.2017

Base giuridica

a)

Articolo 304 del TFUE

b)

Articoli 21, paragrafo 2, 48 e 114, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

c)

Articoli 43, paragrafo 2, 91, 100, 114, 192, 194, paragrafo 2, e 337 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

184/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore il progetto della Commissione europea di creare una cultura della conformità e dell’applicazione intelligente del mercato unico, perché essa offre molte opportunità ai cittadini che desiderano vivere e lavorare in un altro Stato membro e alle imprese che intendono ampliare i loro mercati.

1.2.

Il CESE sostiene il piano d’azione della Commissione volto ad accrescere la qualità e l’efficacia delle reti SOLVIT. Raccomanda inoltre alla Commissione di estendere la loro diffusione, in stretta cooperazione con tutte le organizzazioni della società civile, affinché sia possibile beneficiare in misura maggiore dell’offerta di servizi di SOLVIT. Tali servizi dovrebbero essere utilizzati più estesamente dalle imprese nel contesto delle libertà economiche del mercato unico, ragion per cui è importante che lo strumento in questione sia rafforzato.

1.3.

Il CESE sostiene l’iniziativa relativa allo sportello digitale unico, prevista dalla relativa proposta di regolamento e intesa a consentire ai cittadini e alle imprese di accedere facilmente a informazioni esaurienti. Ritiene positivo che il suddetto sportello consenta un accesso efficace alle informazioni, alle procedure e ai servizi di assistenza e di risoluzione dei problemi, in base ai principi «una tantum» e «approccio globale a tutti i livelli dell’amministrazione».

1.4.

In merito alla proposta di regolamento che fissa le condizioni e la procedura per la richiesta di informazioni sussistono divergenze tra le diverse organizzazioni della società civile, alcune delle quali esprimono un giudizio favorevole, mentre altre, come quelle che rappresentano le imprese, manifestano gravi preoccupazioni. In caso di adozione della proposta di regolamento nei termini previsti, il CESE chiede che questo strumento sia utilizzato dalla Commissione con la massima proporzionalità, quando risulti necessario per i casi con una forte dimensione transfrontaliera, e nel rispetto dei diritti fondamentali degli interessati, in particolare per quanto riguarda la protezione delle informazioni riservate. Per quanto riguarda le informazioni a disposizione della Commissione per affrontare gli ostacoli al mercato unico, esistono già grandi canali d’informazione, che potrebbero essere sfruttati meglio e in modo più sistematico per individuare gli ostacoli nel mercato unico, compreso il mancato rispetto della normativa UE. In ogni caso, il CESE auspica che entro cinque anni vi sia l’obbligo di presentare una valutazione del funzionamento del regolamento.

1.5.

Il CESE invita gli Stati membri dell’UE a compiere ulteriori progressi in materia di e-governance, specie per quanto riguarda il riconoscimento dell’identità elettronica e i documenti d’identità stranieri, dato che la valutazione dei servizi forniti non è la più adeguata.

1.6.

Al fine di valutare la situazione del mercato interno dell’UE, chiede inoltre alla Commissione di coinvolgere la società civile nel processo, avvalendosi delle attività e dei risultati del lavoro portato avanti da quest’ultima. In ogni caso, le organizzazioni che compongono il CESE dispongono dell’esperienza, dei mezzi e della capacità per collaborare in merito a SOLVIT, allo scopo di intensificare le attività rivolte a farlo conoscere e di procedere a un monitoraggio della sua qualità nella proposta relativa a uno sportello digitale unico. Parallelamente a tutto ciò verrebbe fornito un contributo all’esecuzione delle valutazioni che si considerano appropriate.

2.   Le proposte della Commissione

2.1.

Nella dichiarazione comune sulle priorità legislative dell’UE per il 2017, presentata il 13 dicembre 2016, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea hanno ribadito il loro impegno a promuovere la corretta applicazione della legislazione in vigore. Nella stessa data, la Commissione ha presentato la comunicazione Diritto dell’Unione europea: risultati migliori attraverso una migliore applicazione, in cui afferma che intensificherà gli sforzi rivolti a garantire un’applicazione della legislazione dell’UE a vantaggio di tutti. In particolare, nella sua Strategia per il mercato unico, la Commissione indica le sue 10 priorità relative all’obiettivo di creare una cultura del rispetto delle regole del mercato unico, dando particolare rilievo al rafforzamento di SOLVIT.

2.2.

Attualmente (1) SOLVIT esiste come rete di centri istituiti dagli Stati membri (e dai paesi dello spazio economico europeo) nel quadro delle rispettive amministrazioni nazionali, allo scopo di offrire un mezzo rapido e informale per risolvere i problemi cui i cittadini e le imprese fanno fronte nell’esercizio dei loro diritti nel mercato interno.

2.2.1.

Rappresenta un caso SOLVIT qualsiasi problema transfrontaliero causato dall’eventuale violazione, da parte di un’autorità pubblica, del diritto dell’Unione applicabile al mercato interno, sempreché tale problema non sia oggetto di procedimenti giudiziari a livello nazionale o dell’UE.

2.2.2.

SOLVIT fa parte dell’amministrazione nazionale e opera soltanto a titolo informale. Essa non può intervenire nei seguenti casi:

problemi tra imprese,

diritti del consumatore,

risarcimenti di danni,

procedimenti giudiziari.

2.3.

Il pacchetto «Conformità» della Commissione è composto dai seguenti elementi:

2.4.

Piano d’azione per il rafforzamento di SOLVIT (2).

2.4.1.

La Commissione si è impegnata ad attuare, insieme con gli Stati membri, nuove misure per rafforzare il ruolo strategico di SOLVIT al fine di migliorare il funzionamento pratico del mercato interno per i cittadini e le imprese.

2.4.2.

In linea con la priorità della Commissione di promuovere la giustizia sociale e la parità di opportunità nell’UE, integra gli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali e altre iniziative analoghe.

2.4.3.

L’obiettivo della comunicazione è promuovere SOLVIT in tre modi:

i.

migliorandone la qualità;

ii.

intensificando le attività volte a farla conoscere;

iii.

promuovendo il suo ruolo nell’attuazione del diritto dell’Unione.

2.4.4.

In generale, grazie ad attività più strategiche di promozione di SOLVIT e allo sviluppo di una cooperazione più strutturata con le organizzazioni intermediarie e le reti pertinenti, sarà possibile valorizzare il ruolo di SOLVIT nella fornitura di osservazioni e di prove utili in merito al funzionamento pratico del mercato unico: sarà quindi disponibile una massa critica di fascicoli più ampia, in merito a un numero maggiore di imprese.

2.4.5.

In linea con il piano d’azione dell’UE per l’eGovernment, la Commissione esaminerà l’applicabilità del principio «una tantum». In base a tale principio, ai cittadini e alle imprese che intendano presentare per la prima volta un reclamo alla Commissione in seguito a un caso SOLVIT rimasto irrisolto, verrebbe risparmiato l’onere di ripresentare informazioni che sono già a disposizione della rete SOLVIT.

2.5.

Proposta di regolamento concernente la creazione di uno sportello digitale unico (3).

2.5.1.

La proposta di regolamento stabilisce le regole per la realizzazione e la gestione di uno sportello digitale unico, che consenta ai cittadini e alle imprese di accedere facilmente a informazioni complete e di elevata qualità, a servizi efficaci di assistenza e di risoluzione dei problemi, e a procedimenti efficienti in relazione alla legislazione nazionale e dell’Unione applicabile ai cittadini e alle imprese che esercitano o intendono esercitare i loro diritti derivanti dal diritto dell’Unione nel mercato interno.

2.5.2.

Essa raccomanda inoltre di facilitare l’accesso alle procedure da parte degli utenti di altri Stati membri, sostiene l’applicazione del principio «una tantum», e stabilisce norme per la notifica degli ostacoli al mercato interno sulla base delle segnalazioni degli utenti, delle relazioni sul funzionamento del mercato interno e delle statistiche provenienti dai servizi inclusi nello sportello.

2.5.3.

Negli allegati alla proposta figura un elenco di tredici procedure di base per i cittadini e le imprese che si trasferiscono in un altro Stato membro, e un elenco di servizi di assistenza e di risoluzione dei problemi, istituiti mediante atti vincolanti dell’Unione, e accessibili tramite lo «sportello».

2.5.4.

Settori di informazione pertinenti per i cittadini: viaggiare all’interno dell’Unione; lavoro e pensionamento all’interno dell’Unione, veicoli nell’Unione; residenza in un altro Stato membro; studi o tirocini in un altro Stato membro; sanità; diritti, obblighi e norme transfrontalieri relativi alla famiglia; consumatori in situazioni transfrontaliere.

2.5.5.

Settori di informazione pertinenti per le imprese: avvio, gestione e chiusura di un’impresa; personale; imposte; merci; servizi; finanziamento di un’attività commerciale; appalti pubblici; salute e sicurezza sul luogo di lavoro.

2.6.

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa le condizioni e la procedura con le quali la Commissione può richiedere alle imprese e associazioni di imprese di fornire informazioni in relazione al mercato interno e ai settori correlati (4).

2.6.1.

La proposta di regolamento mira ad aiutare la Commissione a monitorare e a far rispettare le norme del mercato interno, consentendole di ottenere in maniera adeguata informazioni quantitative e qualitative complete e affidabili, fornite da operatori di mercato selezionati in risposta a richieste ben delimitate.

2.6.2.

La proposta, che esclude dal suo ambito di applicazione le microimprese, non introduce ulteriori oneri amministrativi, dato che prevede una procedura eccezionale e complementare per l’ottenimento delle necessarie informazioni nei casi in cui vi siano fattori che ostacolano il funzionamento del mercato interno. Lo strumento di informazione stabilito dall’iniziativa è una misura di ultima istanza, da utilizzare quando tutti gli altri mezzi per ottenere informazioni si sono dimostrati inefficaci.

2.6.3.

La proposta definisce la procedura da seguire per le richieste di informazioni, la decisione che sancisce tali richieste, le modalità di protezione dei dati riservati e del segreto professionale nonché la possibilità di infliggere sanzioni qualora, in maniera intenzionale o per negligenza grave, non venga fornita alcuna risposta o vengano date informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti. Vengono in ogni caso regolati i poteri di controllo giurisdizionale della Corte di giustizia.

2.6.4.

Secondo la proposta, la possibilità di disporre di solide informazioni sulle disfunzioni del mercato unico consentirebbe alla Commissione e alle autorità nazionali di garantire una maggiore conformità alla legislazione in materia di mercato unico e una migliore elaborazione delle politiche dell’UE. Secondo la Commissione, ciò rafforzerebbe la fiducia dei consumatori nel mercato unico e contribuirebbe alla piena realizzazione del suo potenziale.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il Comitato sottolinea la necessità di introdurre alcuni elementi nel pacchetto «Conformità», proposto dalla Commissione per rafforzare la legittimità delle sue proposte legislative, soddisfare le aspettative di tutte le istituzioni e di tutti gli organi coinvolti nella sua futura attuazione e conseguire un’attuazione efficiente di tali proposte in tutti gli Stati destinatari.

3.2.

L’obiettivo principale di tale pacchetto, rafforzare SOLVIT, è stato sostenuto sia dagli Stati membri, mediante esplicite richieste alla Commissione attuate dal Consiglio Competitività, sia dal Parlamento europeo, fatto questo che fornisce una solida base di legittimità democratica alla proposta legislativa in questione.

3.2.1.

Sarebbe opportuno definire più estesamente e precisare le regole di funzionamento e le competenze degli organi e delle istituzioni incaricati di vigilare sulla futura applicazione del quadro normativo in oggetto, e, in particolare, del regolamento che fissa le condizioni e la procedura con le quali la Commissione può richiedere alle imprese e associazioni di imprese di fornire informazioni in relazione al mercato interno e ai settori correlati.

3.2.2.

A questo riguardo, il CESE sottolinea l’esigenza di riorientare la proposta della Commissione poiché, da un lato, essa non contiene alcun riferimento al ruolo del CESE nella fase di attuazione del regolamento, e, dall’altro, sembra che il suo obiettivo principale sia rafforzare il ruolo della Commissione nell’ambito della fase amministrativa precedente la presentazione del ricorso per inadempimento.

3.2.2.1.

In primo luogo, la proposta citata indebolisce la legittimità della sussidiarietà funzionale dell’Unione, escludendo il CESE dallo svolgimento di attività per le quali ha ricevuto competenze specifiche nei Trattati, e alle quali ha dedicato con successo una parte significativa della sua attività.

3.2.2.2.

Il CESE dispone dell’esperienza, dei mezzi e delle capacità per contribuire ad accrescere la consapevolezza circa il funzionamento di SOLVIT. Il CESE viene parimenti escluso da qualsiasi tipo di cooperazione nel monitoraggio e nella valutazione dell’attuazione dei regolamenti proposti.

3.2.2.3.

L’approccio della proposta sullo sportello digitale unico andrebbe modificato perché, nella sua versione attuale, non è in linea con la dimensione istituzionale del secondo paragrafo dell’articolo 11 TUE, limita il ruolo del Comitato in quanto esponente degli interessi della società civile organizzata e mina il principio stesso di democrazia partecipativa nella sua dimensione funzionale, rendendo meno efficace la futura applicazione del regolamento.

3.2.2.4.

Lo sportello digitale unico dovrebbe contribuire ad accelerare un’attuazione dell’e-government efficiente, interoperabile e accessibile a tutti. Il CESE sostiene l’applicazione del principio «una tantum» e ribadisce (5) la pertinenza di quello dell’«approccio globale a tutti i livelli di amministrazione», che prevede una collaborazione tra i diversi enti pubblici che superi i limiti delle rispettive sfere di competenza, allo scopo di fornire al richiedente una risposta integrata da parte di un unico ente.

3.2.3.

In secondo luogo il punto III del piano d’azione sul rafforzamento di SOLVIT prevede misure importanti per potenziarne il ruolo in quanto strumento di attuazione del diritto UE, rispondendo in tal modo alle richieste più volte formulate dal Consiglio Competitività e dal Parlamento europeo.

3.3.

Appare inoltre necessario formulare alcune osservazioni al fine di pervenire a un’attuazione quanto più possibile efficiente della proposta di comunicazione.

3.3.1.

In primo luogo, per quanto riguarda l’intenzione di promuovere la rete SOLVIT, occorrerebbe affrontare due questioni che non figurano nel piano d’azione della Commissione.

3.3.2.

Da un lato, nel contesto dell’uscita del Regno Unito dall’UE, prevista per metà 2019, la nozione di «mercato», di cui alla sezione II del piano d’azione in oggetto, sarà notevolmente ridotta. Se in quel momento non sarà stata varata una convenzione che disciplini le relazioni bilaterali tra l’UE e il Regno Unito, e quest’ultimo non farà parte dello Spazio economico europeo, la sua amministrazione sarà automaticamente esonerata da qualsiasi obbligo riguardo all’esecuzione del piano, con conseguenti danni per i cittadini del Regno Unito e quelli degli Stati membri in cui la rete dei centri SOLVIT sarà operante.

3.3.3.

D’altronde, poiché il diritto dell’Unione e, più in particolare, le libertà economiche fondamentali, hanno un ambito di applicazione extraterritoriale, e i relativi benefici e obblighi si estendono ai cittadini e alle stesse amministrazioni di Stati terzi, occorrerebbe ove possibile considerare la futura creazione di centri e l’applicazione di SOLVIT nel territorio di Stati con i quali l’Unione europea ha instaurato accordi internazionali con particolari vincoli, come quelli previsti dall’articolo 218, paragrafo 6, lettera a) primi tre trattini, del TFUE. Ne deriverebbero evidenti vantaggi per i cittadini e le imprese, e per i cittadini di tali Stati terzi, e una migliore attuazione delle norme sul mercato interno.

3.4.

In secondo luogo, è necessario creare incentivi per le amministrazioni pubbliche degli Stati membri che, in conseguenza del divario digitale, o per altre ragioni, hanno bisogno di più risorse rispetto ad altri per attuare il regolamento relativo alla creazione di uno sportello digitale unico.

3.4.1.

La Commissione potrebbe considerare di proporre azioni volte a rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale. Ciò appare giustificato anche per incoraggiare le imprese interessate, alla luce dei dati forniti al punto III del piano della Commissione, da cui risultano differenze sproporzionate nel numero di fascicoli per ciascun centro SOLVIT, che non si giustificano solo con le differenze di peso economico e demografico tra gli Stati membri partecipanti.

3.5.

Occorre infine un impegno in tutti i paesi in cui opera la rete SOLVIT, affinché la selezione di personale adeguato e stabile, incaricato del disbrigo delle domande presentate nei centri della rete, avvenga nel modo più rapido possibile, mediante concorsi pubblici trasparenti.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   In merito a SOLVIT

4.1.1.

Il CESE è favorevole a soluzioni concrete per perfezionare il lavoro di SOLVIT. SOLVIT può essere uno strumento utile, dato che fornisce ai cittadini e alle imprese una piattaforma per affrontare un’ampia gamma di questioni relative al mercato interno. La Commissione dovrebbe garantire una più ampia visibilità globale di SOLVIT.

4.1.2.

Una migliore applicazione della legge sarebbe utile sia ai cittadini che alle imprese. I dati indicano che negli anni è aumentata la percentuale di casi presentati a SOLVIT da cittadini piuttosto che da imprese, specialmente nel contesto della sicurezza sociale. D’altronde, la quota di risoluzione dei casi sollevati da imprese, pari all’80 %, è stata inferiore alla media della rete (89 %). La Commissione deve adottare misure appropriate affinché tutti gli utenti possano avvalersi delle possibilità della rete. È importante che tale strumento sia rafforzato, e il CESE spera che siano soddisfatte le aspettative espresse nella tabella di marcia per rafforzare la rete SOLVIT, in particolare per quanto riguarda l’introduzione di una procedura di ricorso per le imprese nel settore del riconoscimento reciproco dei prodotti e la fornitura di un’assistenza legale più diretta ed efficace alla rete, mediante un migliore meccanismo di consulenza giuridica informale, strumenti di formazione interattivi e una gestione delle divergenze d’opinione.

4.2.   In merito alla proposta di regolamento sullo sportello digitale unico

4.2.1.

Il Comitato accoglie favorevolmente l’iniziativa, di cui alla proposta di regolamento, di istituire uno sportello digitale unico. Questo dovrebbe fornire ai cittadini e alle imprese tutte le informazioni e l’assistenza di cui hanno bisogno per poter operare in tutto il mercato interno. Grazie a un’adeguata concezione, tale strumento può aiutare tanto i cittadini che vivono e lavorano in un altro Stato membro, quanto le imprese, specie le PMI e le imprese di recente avviamento, che intendano avvalersi delle varie libertà economiche in un altro Stato membro.

4.2.2.

Spesso i cittadini e le imprese non sono pienamente consapevoli dei loro diritti e delle loro opportunità nel mercato unico. Lo sportello digitale unico dovrebbe migliorare e collegare gli strumenti esistenti, e aiutare le imprese a provvedere online alle formalità e alle procedure amministrative più comuni. Esso dovrebbe inoltre rendere il mercato unico più trasparente, sicuro e affidabile.

4.2.3.

È essenziale che lo sportello digitale unico fornisca alle imprese tutte le informazioni e l’assistenza di cui hanno bisogno per operare più facilmente attraverso le frontiere. Ciò comprende informazioni aggiornate e di elevata qualità sul mercato, la risoluzione di problemi e i meccanismi di ricomposizione delle controversie, nonché procedure elettroniche per le imprese che intendono sviluppare attività transfrontaliere.

4.3.   In merito alla proposta di regolamento sullo strumento di informazione per il mercato unico (SMIT)

4.3.1.

Tra le varie organizzazioni della società civile che compongono il CESE, e in particolare quelle imprenditoriali, sussiste una divergenza di posizioni circa la proposta di regolamento che fissa le condizioni e la procedura con le quali la Commissione può richiedere alle imprese e associazioni di imprese di fornire informazioni in relazione al mercato interno.

4.3.2.

Le organizzazioni che rappresentano le imprese mettono in discussione la proposta, ritenendo che essa si rivolga in gran parte alle imprese, mentre i responsabili dei persistenti ostacoli al mercato unico sono gli Stati membri:

a)

affinché il mercato unico funzioni più efficacemente è essenziale una migliore applicazione delle regole concordate, che inizia con l’orientamento e il sostegno forniti agli Stati membri nel recepimento e nell’applicazione delle norme. La Commissione dovrebbe svolgere un ruolo più ampio nella procedura esecutiva, garantendo che tutti gli operatori economici si conformino alle regole, e avviando senza esitazioni progetti pilota o procedure di infrazione in caso di inosservanza;

b)

per quanto riguarda le informazioni a disposizione della Commissione per affrontare gli ostacoli al mercato unico, esistono già grandi canali d’informazione come la rete Enterprise Europe, la piattaforma di risoluzione delle controversie online (ODR), TRIS (Technical Regulation Information System), il sistema di informazione sul mercato interno (IMI) e la piattaforma REFIT. Questi canali potrebbero essere esaminati meglio e in modo più sistematico al fine di individuare gli ostacoli e le segmentazioni nel mercato unico, compreso il mancato rispetto della normativa UE.

c)

Le imprese nutrono preoccupazioni e timori circa un aumento degli oneri amministrativi derivanti dal nuovo obbligo di fornire, se non vogliono incorrere in ammende e sanzioni, informazioni commerciali riservate e informazioni sensibili della società (politica dei prezzi, la strategia commerciale).

4.3.3.

Dal canto loro, le associazioni che rappresentano le entità della società civile accolgono con favore il regolamento proposto, poiché ritengono importante:

a)

l’accesso tempestivo a dati affidabili, che, oltre ad aumentare la trasparenza, migliorerà il funzionamento del mercato interno, rendendo disponibili informazioni pertinenti, utili, coerenti e particolarmente significative ai fini dell’adozione di determinate misure da parte della Commissione,

b)

la disponibilità, in tempo utile, di informazioni quantitative e qualitative, complete e affidabili, provenienti da una selezione di operatori di mercato, in risposta a richieste di informazioni ben circoscritte, nonché

c)

il sostegno fornito alla Commissione nel garantire il rispetto dei diritti dei cittadini e delle imprese nel mercato unico e nel rafforzamento della cooperazione con gli Stati membri.

4.3.4.

Di conseguenza, nell’ipotesi di un’adozione della proposta di regolamento nei termini previsti, il CESE chiede che questo strumento sia utilizzato dalla Commissione con la massima proporzionalità, per i casi con una forte dimensione transfrontaliera, quando necessario e nel rispetto dei diritti fondamentali degli interessati, in particolare per quanto riguarda la protezione delle informazioni riservate.

4.3.4.1.

Inoltre, la proposta di effettuare una valutazione, contenuta nella relazione introduttiva della proposta, dovrebbe essere inclusa nel testo legislativo, in modo da diventare vincolante. Tale valutazione della normativa dovrà essere eseguita entro cinque anni dall’adozione del regolamento, al fine di analizzare il funzionamento di queste attività di supervisione.

5.   Il ruolo del CESE nel processo

5.1.

Il completamento del mercato unico dell’UE e la corretta applicazione delle sue norme sono una delle principali priorità del CESE.

5.2.

Spesso i cittadini e le imprese non sono pienamente consapevoli dei diritti e delle opportunità derivanti dal mercato unico. Lo sportello digitale unico deve migliorare e collegare gli strumenti esistenti, e aiutare le imprese a provvedere online alle formalità e alle procedure amministrative più comunemente espletate. Esso dovrebbe inoltre rendere il mercato interno più trasparente, nonché più sicuro e affidabile.

5.3.

Il CESE è disposto a collaborare a questa iniziativa, in quanto rappresentante delle organizzazioni della società civile. In quest’ottica si offre di contribuire a monitorare e valutare l’attuazione del regolamento sullo sportello digitale unico.

5.4.

Il CESE invita la Commissione ad avviare un’intensa cooperazione, avvalendosi delle conoscenze e dell’esperienza dei suoi consiglieri, provenienti da tutti i 28 Stati membri.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Raccomandazione della Commissione del 17.9.2013 (GU L 249 del 19.9.2013, pag. 10).

(2)  COM(2017) 255 final.

(3)  COM(2017) 256 final.

(4)  COM(2017) 257 final.

(5)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 99.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il monitoraggio e la comunicazione dei dati relativi al consumo di carburante e alle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti nuovi»

[COM(2017) 279 final — 2017/0111 (COD)]

(2018/C 081/13)

Relatore:

Dirk BERGRATH

Correlatore:

Mihai MANOLIU

Consultazione

Parlamento europeo, 15.6.2017

Consiglio, 22.6.2017

Base giuridica

Articolo 192, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

188/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che tra gli obiettivi politici principali perseguiti dall’UE debbano figurare la creazione di posti di lavoro, la realizzazione di investimenti per la reindustrializzazione dell’Europa, la crescita economica, la transizione verso l’energia pulita, i nuovi modelli imprenditoriali, le tecnologie di punta, la protezione dell’ambiente e la sanità pubblica.

1.2.

Il CESE è del parere che gli operatori dei trasporti abbiano perso una serie di occasioni per ridurre la spesa per il carburante, che rappresenta un quarto dei loro costi di esercizio. Il risparmio di carburante è uno dei criteri primari che orientano la decisione di acquisto di un veicolo, e ridurre il consumo di carburante contribuirebbe a ridurre la spesa per l’importazione del carburante stesso. L’UE ha bisogno di misure in materia di certificazione e valutazione del consumo di carburante nonché di norme sulle emissioni e sul consumo — altrettanti provvedimenti che dovrebbero incentivare l’innovazione. Le politiche e i programmi nel settore dei veicoli elettrici hanno portato ad un’agguerrita concorrenza tra i costruttori di veicoli. Al pari dell’edilizia, dell’agricoltura e del settore dello smaltimento dei rifiuti, anche il settore dei trasporti deve dare il suo contributo alla riduzione delle emissioni.

1.3.

L’azione dell’UE è giustificata in considerazione degli effetti transfrontalieri dei cambiamenti climatici e della necessità di tutelare il mercato unico nei settori dei carburanti, dei veicoli e dei servizi di trasporto. La frammentazione del mercato dei trasporti e la perdita di trasparenza del mercato, le divergenze tra le normative e quelle nell’applicazione pratica della politica in materia di monitoraggio, nonché l’assenza di una banca dati comune contenente i dati dei controlli hanno tutte ripercussioni significative sul piano sociale e su quello economico.

1.4.

Il CESE accoglie positivamente il fatto che la proposta di regolamento in esame faciliti il monitoraggio e la diffusione della lettura dei dati sulle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti immatricolati di recente nell’UE, fornendo così ai clienti — in maggioranza PMI — informazioni chiare sul consumo di carburante.

1.5.

Il CESE approva la scelta della terza opzione indicata nella proposta di regolamento, ossia la condivisione degli obblighi di comunicazione, poiché questa soluzione garantisce il flusso digitale delle informazioni e la raccolta dei dati a livello sia nazionale che dell’UE, oltre a comportare costi amministrativi modesti.

1.6.

Il CESE sottolinea come negli ultimi anni mercati importanti come gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e la Cina abbiano introdotto misure in materia di certificazione e risparmio di carburante sotto forma di norme sul consumo di carburante e/o sulle emissioni, al fine di stimolare l’innovazione e un rapido miglioramento dell’efficienza dei veicoli. La competitività dei costruttori europei di veicoli pesanti dipende quindi dalla loro conformità a queste norme.

1.7.

Se è vero che, in sostanza, il mercato esercita una pressione sui costruttori perché continuino a ridurre il consumo di carburante degli autocarri nell’UE, spesso le società di trasporti — settore in cui predominano le PMI — incontrano delle difficoltà nel finanziare l’acquisto, che risulta più costoso, di veicoli pesanti più efficienti sotto il profilo del consumo di carburante.

1.8.

Il CESE raccomanda che, nel fissare i potenziali limiti alle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti, la Commissione punti a trovare un equilibrio tra obiettivi raggiungibili nel breve-medio periodo e l’obiettivo più a lungo termine di un settore del trasporto su strada a zero emissioni. Questo significa che occorre incentivare l’innovazione delle tecnologie esistenti, senza frenare gli investimenti nella realizzazione di veicoli a emissioni zero.

1.9.

In questo contesto, il CESE ritiene che possano valere anche per i veicoli pesanti le raccomandazioni formulate nel suo parere sulla relazione finale del gruppo ad alto livello CARS 21, soprattutto per quel che riguarda il calendario di attuazione.

1.10.

Il CESE sottolinea il ruolo che rivestono gli investimenti pubblici e la regolamentazione nel ridurre le emissioni del trasporto su strada, in particolare quelle prodotte dai veicoli commerciali pesanti.

1.11.

Il CESE sottolinea che eventuali interventi normativi devono sempre essere accompagnati da ulteriori misure strategiche volte a ridurre la domanda di trasporto su strada — compreso il trasporto con veicoli commerciali pesanti — tramite una transizione verso altri modi di trasporto (ferroviario, per vie navigabili interne ecc.) che generino meno emissioni di gas a effetto serra.

2.   Introduzione

2.1.

La proposta di regolamento in esame intende stabilire le prescrizioni per il monitoraggio e la comunicazione dei dati relativi alle emissioni di CO2 e al consumo di carburante dei veicoli pesanti nuovi immatricolati nell’Unione europea. Le disposizioni del regolamento si applicano esclusivamente ai veicoli pesanti progettati e costruiti per il trasporto di merci o di passeggeri e ai rimorchi (1).

2.2.

Il settore dei trasporti e della mobilità è di fondamentale importanza per l’economia e la competitività dell’Europa, un’importanza che si riflette nell’ampio ventaglio di quadri strategici relativi ad altri ambiti che esercitano una notevole influenza su tale settore. La realizzazione delle priorità stabilite per l’Unione dell’energia, per il mercato unico digitale e per l’agenda per l’occupazione, la crescita e gli investimenti apporterà dei vantaggi, per ciascuna di queste strategie, anche in materia di mobilità e di trasporti.

2.3.

Nell’ottobre 2014 i capi di Stato e di governo dell’UE (2) hanno assunto un impegno vincolante a ridurre le emissioni prodotte dall’insieme delle attività economiche dell’Unione europea di almeno il 40 % entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Questo traguardo da raggiungere obbligatoriamente si basa su una serie di proiezioni su scala mondiale in conformità con le scadenze intermedie fissate nell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (COP 21) (3). La Commissione ha annunciato di voler introdurre norme in materia di risparmio di carburante per i veicoli pesanti nuovi.

2.4.

Nel 2015, stando a fonti dell’industria, le esportazioni di autocarri hanno generato un avanzo della bilancia commerciale di 5,1 miliardi di EUR. Questo settore fa parte di un’industria automobilistica che, in Europa, genera 12,1 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti, pari al 5,6 % dell’occupazione totale nell’UE.

2.5.

La strategia quadro per un’Unione dell’energia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici (febbraio 2015) (4), ha individuato tra i suoi ambiti principali d’intervento quello della transizione verso un settore dei trasporti efficiente sotto il profilo energetico e a basse emissioni di CO2. Grazie all’impulso dato dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, oggi si stanno applicando le misure definite nella strategia europea per una mobilità a basse emissioni (luglio 2016) (5). Gli investimenti infrastrutturali previsti dal piano di investimenti per l’Europa dovrebbero incentivare la realizzazione in futuro di una mobilità pulita, competitiva e interconnessa in Europa.

2.6.

Nel periodo 1990-2014 le emissioni di CO2 prodotte da veicoli commerciali nell’UE hanno registrato un aumento nettamente più rapido rispetto a quelle delle autovetture: le emissioni di CO2 dei veicoli commerciali sono aumentate più o meno del 25 %, mentre quelle prodotte dalle autovetture sono aumentate soltanto di circa il 12 %. Attualmente nell’UE le emissioni di CO2 prodotte da autocarri e autobus rappresentano circa un quarto di quelle del trasporto su strada. La percentuale di emissioni imputabile ad autocarri e autobus continua a crescere, via via che i limiti sempre più severi imposti ad autovetture e furgoni riducono invece le loro emissioni di CO2.

2.7.

Attualmente, una tipica motrice europea 4 × 2 di 40 tonnellate in un «ciclo di collaudo di trasporto a lunga distanza» su strade e autostrade consuma circa 33,1 litri di carburante per 100 km. Un tipico camion europeo per la distribuzione 4 × 2 di 12 tonnellate in un «ciclo di collaudo di consegna in città» consuma circa 21,4 litri di carburante per 100 km (6).

2.8.

Di norma la fabbricazione dei veicoli pesanti si svolge in più fasi distinte, e in genere questi prodotti vengono unicamente fabbricati su misura. Il telaio è realizzato da un costruttore e poi, nella fase successiva, la carrozzeria viene realizzata da un costruttore diverso. Ciò significa che l’intervento di una serie di costruttori diversi incide sul consumo di carburante del veicolo, una volta finito, e, quindi, sulle sue emissioni di CO2.

2.9.

Gli acquirenti di veicoli pesanti sono per lo più autotrasportatori, per i quali i costi del carburante possono rappresentare oltre un quarto dei costi di esercizio e che considerano perciò il risparmio di carburante un criterio della massima importanza al momento dell’acquisto di un veicolo. Sebbene il consumo di carburante dei veicoli pesanti si sia ridotto negli ultimi decenni, gran parte del mezzo milione e oltre di imprese nel settore dei trasporti (in maggioranza PMI) non ha ancora accesso a informazioni standardizzate per valutare le tecnologie mirate al risparmio di carburante né per confrontare diversi autocarri in modo da operare scelte informate in modo ottimale al momento di procedere a un acquisto, riducendo così le spese di carburante. La situazione è ulteriormente aggravata dalla mancanza di un metodo approvato da tutte le parti in causa per misurare il consumo di carburante.

2.10.

La scarsa trasparenza del mercato si traduce in una minore pressione sui costruttori di veicoli pesanti dell’UE affinché intensifichino gli sforzi per migliorare l’efficienza dei loro veicoli e investano nell’innovazione in un mercato così competitivo a livello mondiale, con il rischio, quindi, che questo particolare settore manifatturiero europeo perda la sua attuale posizione dominante per quanto riguarda il consumo efficiente di carburante dei veicoli.

2.11.

La trasparenza in merito alle prestazioni dei veicoli sotto il profilo del consumo di carburante e delle emissioni di CO2 servirebbe anche a stimolare la concorrenza all’interno del mercato dell’UE, dove nel 2016 la Commissione europea ha scoperto l’esistenza di un cartello tra costruttori di autocarri nel periodo tra il 1997 e il 2011.

3.   La proposta di regolamento

3.1.

La proposta di regolamento in esame fa parte del pacchetto L’Europa in movimento, i cui obiettivi sono: migliorare la sicurezza stradale; promuovere sistemi di pedaggio più equi; ridurre le emissioni di CO2, l’inquinamento atmosferico, la congestione del traffico e gli oneri burocratici per le imprese; contrastare il lavoro in nero; e infine, garantire condizioni dignitose e periodi di riposo ai lavoratori.

3.2.

A lungo termine, le misure proposte avranno ricadute positive ben oltre il solo settore dei trasporti, dato che incentiveranno l’occupazione, la crescita e gli investimenti, rafforzeranno la giustizia sociale, offriranno una scelta più ampia ai consumatori e tracceranno un percorso chiaro per l’Europa verso la riduzione delle emissioni.

3.3.

Nel corso dei prossimi dodici mesi il pacchetto sarà completato da altre proposte, comprese alcune sulle norme in materia di emissioni per il periodo successivo al 2020 per le autovetture e i furgoni e — per la prima volta — anche per i veicoli pesanti. Le nuove proposte daranno ulteriore impulso all’innovazione, aumenteranno la competitività, ridurranno le emissioni di CO2 e miglioreranno la qualità dell’aria, la sanità pubblica e la sicurezza stradale.

3.4.

Alla scarsità di informazioni verrà posto rimedio ricorrendo ad un software di simulazione — uno strumento efficace per il calcolo del consumo e dei costi del carburante. Il nuovo regolamento sulla certificazione (omologazione) relativo alla determinazione delle emissioni di CO2 si baserà sui dati delle prestazioni individuali e su una procedura certificata per la raccolta e la gestione dei dati in entrata («dati di input»).

3.5.

La proposta di regolamento in esame attua la comunicazione del 2014 su una strategia per ridurre il consumo di carburante e le emissioni di CO2 dei veicoli pesanti. Tale strategia relativa ai veicoli pesanti annunciava una misura di esecuzione che avrebbe stabilito la procedura per la certificazione delle emissioni di CO2, calcolate con lo strumento di simulazione VECTO, dei veicoli pesanti nuovi immessi sul mercato dell’UE, nonché una proposta legislativa sul monitoraggio e sulla comunicazione dei dati relativi a tali emissioni.

3.6.

Dal momento che il software VECTO (Vehicle Energy Consumption Calculation Tool = strumento per il calcolo del consumo di energia dei veicoli) è soltanto uno strumento di simulazione, il secondo pacchetto di misure dovrebbe prevedere delle prove su strada relative al consumo di carburante, come quelle che la Commissione intende fare per le autovetture e i veicoli commerciali leggeri. Occorre mettere a punto una metodica che differenzi le tariffe per l’utilizzo delle infrastrutture applicabili ai veicoli pesanti nuovi, in linea con le emissioni di CO2 (revisione della direttiva «Eurobollo» e della direttiva sull’efficienza energetica).

3.7.

Il CESE invita la Commissione europea e gli Stati membri ad accordarsi per garantire a terze parti (istituti di ricerca, società di trasporti, organizzazioni non governative) l’accesso ai dati ufficiali del software VECTO sul consumo di carburante, in modo che tali dati possano essere oggetto di controlli incrociati tramite prove indipendenti. I dati trasmessi devono essere sottoposti a controlli della qualità e a verifiche per accertare eventuali lacune o irregolarità e porvi rimedio. Tali controlli devono essere realizzati nel rispetto dei diritti fondamentali.

3.8.

La proposta in esame attua inoltre la strategia europea per una mobilità a basse emissioni del 2016, tra i cui obiettivi figurano la riduzione di almeno il 60 %, rispetto ai livelli del 1990, delle emissioni di gas a effetto serra nel trasporto su strada entro il 2050 e una drastica riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici. La strategia prevede inoltre che la Commissione europea acceleri il lavoro analitico sulle possibili opzioni relative alle norme in materia di emissioni di CO2 per elaborare una proposta legislativa nel corso del mandato dell’attuale Commissione.

3.9.

Ai fini del monitoraggio, a partire dal 2020 le autorità competenti degli Stati membri dovranno trasmettere i dati relativi ai veicoli nuovi immatricolati per la prima volta nell’UE nel corso dell’anno precedente, e i costruttori di veicoli pesanti dovranno trasmettere i dati relativi ai veicoli la cui data di produzione rientra nell’anno civile precedente. La comunicazione annuale di questi dati deve avvenire entro il 28 febbraio di ogni anno. I dati da comunicare sono quelli specificati nell’Allegato I, parti A e B, della proposta di regolamento.

3.10.

L’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) è l’organismo responsabile, per conto della Commissione, della gestione di una banca dati centrale («registro centralizzato») contenente tutti i dati trasmessi, i quali saranno resi pubblici (fatta eccezione per determinati dati sensibili).

3.11.

Le autorità competenti e i costruttori saranno responsabili dell’esattezza e della qualità dei dati comunicati. Tuttavia, la Commissione può effettuare verifiche della qualità dei dati trasmessi e, se del caso, adottare le misure necessarie per rettificare i dati pubblicati nel registro centralizzato. Non esistono obblighi di comunicazione diretta per le PMI e le microimprese.

3.12.

La Commissione pubblicherà una relazione annuale in cui analizzerà i dati trasmessi dagli Stati membri e dai costruttori per l’anno civile precedente. Tale analisi dovrà indicare, come minimo, i dati relativi al consumo medio di carburante e alle emissioni medie di CO2del parco veicoli pesanti dell’Unione nel suo complesso, nonché i medesimi dati per i singoli costruttori. Essa dovrà altresì tener conto dei dati sulla diffusione di tecnologie nuove e avanzate per la riduzione delle emissioni di CO2, se disponibili.

3.13.

Alla Commissione è conferito il potere, mediante l’adozione di atti delegati, di modificare le prescrizioni in materia di dati specificate negli allegati della proposta di regolamento, come pure quello di modificare le procedure di monitoraggio e comunicazione.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE, come già in precedenti pareri sulle proposte legislative relative alla riduzione delle emissioni di CO2 presentate dalla Commissione, conferma il suo sostegno a tutte le iniziative dell’UE che abbiano come scopo il raggiungimento di traguardi concreti nella riduzione dei gas a effetto serra, quale componente fondamentale della lotta ai cambiamenti climatici. Per conseguire questo obiettivo, non va trascurato nessun intervento ragionevole volto a ridurre anche le emissioni prodotte dai veicoli commerciali, categoria che rappresenta oltre il 10 % del parco veicoli complessivo.

4.2.

La scelta dello strumento (un regolamento dell’UE) appare inoltre la più adatta per garantire l’immediato rispetto delle disposizioni che saranno adottate, evitando così distorsioni della concorrenza con possibili ricadute sul mercato interno.

4.3.

I dati sulle emissioni di CO2 e sul consumo di carburante sono ricavati utilizzando il software di simulazione VECTO (Vehicle Energy Consumption Calculation Tool = strumento per il calcolo del consumo di energia dei veicoli).

4.3.1.

Si è deciso di sviluppare questo particolare strumento dopo aver preso in considerazione altre opzioni per le procedure di prova o collaudo, tra cui i banchi di prova del motore, le prove al banco dinamometrico o banco a rulli, e le prove a bordo in condizioni di traffico reale effettuate con sistemi portatili di misura delle emissioni (Portable Emission Measurement Systems — PEMS). I motivi principali che hanno indotto a privilegiare uno strumento di simulazione rispetto alle altre procedure di prova indicate sono:

1)

la comparabilità: i risultati delle prove svolte sui diversi tipi di veicoli pesanti sono direttamente comparabili;

2)

l’efficienza rispetto ai costi: i costi elevati delle infrastrutture necessarie per lo svolgimento delle prove rispetto a quelli di una simulazione;

3)

la capacità di tener conto di un’elevata variabilità: i veicoli pesanti vengono fabbricati in serie di produzione molto ridotte, dato che il prodotto è in larga misura costruito su misura seguendo le indicazioni dei clienti finali;

4)

la riproducibilità: la simulazione è il metodo che consente la massima riproducibilità delle prove;

5)

l’accuratezza: si possono individuare opportunità di risparmio anche modeste risultanti dall’ottimizzazione di singoli componenti;

6)

l’approccio globale: la simulazione può essere utilizzata per ottimizzare la configurazione complessiva del veicolo per ottenere un minor consumo di carburante, dal momento che il metodo si applica a tutti i componenti (cabina, pneumatici, motore, trasmissione ecc.). Questo approccio è stato confermato dalla strategia del 2014 per i veicoli pesanti.

4.3.2.

L’obbligo di trattare e mettere a disposizione i dati forniti dal software VECTO per tutti i nuovi veicoli pesanti consente agli acquirenti di confrontare i diversi modelli di veicolo, le diverse tecnologie di consumo del carburante e le varie parti della carrozzeria del veicolo stesso — ad esempio gru, cella refrigerata -, come pure di mettere a confronto le diverse combinazioni di singoli componenti. A differenza delle autovetture, i vari modelli di veicoli pesanti sono utilizzati in modi molto diversi a seconda della carrozzeria, con conseguenti ampie differenze riguardo al consumo di carburante e alle emissioni di CO2. Inoltre, la possibilità di stabilire confronti aumenta la concorrenza sia tra i costruttori dei veicoli che tra quelli di carrozzeria per veicoli.

4.3.3.

Il CESE accoglie positivamente il fatto che la proposta di regolamento in esame faciliti il monitoraggio e la diffusione della lettura dei dati sulle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti immatricolati di recente nell’UE, fornendo così ai clienti — in maggioranza PMI — informazioni chiare sul consumo di carburante.

4.3.4.

Il CESE non ignora che la misurazione delle emissioni prodotte in condizioni reali di guida (Real Driving Emissions — RDE) con un sistema portatile di misura delle emissioni (PEMS) è preferibile alla misurazione di emissioni realizzata con un banco dinamometrico oppure — come proposto dalla Commissione nel testo in esame — con un software di simulazione. A conclusione di un periodo iniziale, e dopo aver tracciato un bilancio dell’esperienza maturata con l’uso del sistema VECTO, la Commissione dovrebbe valutare la fattibilità di prove di misurazione delle emissioni prodotte in condizioni reali di guida per i veicoli pesanti e, in caso affermativo, esaminare in che modo tali prove possano venire realizzate.

4.4.

Nella fase della valutazione d’impatto la Commissione ha preso in considerazione tre opzioni quanto ai soggetti incaricati della raccolta e della comunicazione dei dati all’AEA: 1) obblighi di comunicazione incombenti alle autorità nazionali; 2) obblighi di comunicazione incombenti ai costruttori di veicoli pesanti; e 3) obblighi di comunicazione condivisi dalle autorità nazionali e dai costruttori.

4.4.1.

Il CESE approva la scelta della terza opzione indicata nella proposta di regolamento, ossia la condivisione degli obblighi di comunicazione, poiché questa soluzione garantisce il flusso digitale delle informazioni e la raccolta dei dati a livello sia nazionale che dell’UE, oltre a comportare costi amministrativi modesti.

4.4.2.

Il CESE si compiace nel constatare che i dati comunicati alla Commissione dalle autorità nazionali competenti e dai costruttori di veicoli pesanti devono essere resi pubblici. Approva tuttavia anche la proposta secondo cui, per motivi di protezione dei dati e di tutela della concorrenza, non debbano essere divulgati i numeri di identificazione dei veicoli (Vehicle Identification Number — VIN)] e neppure i dati di fabbricazione relativi a determinati componenti forniti dai fabbricanti (trasmissione, assi e pneumatici).

4.5.

A giudizio del CESE, sarebbe opportuno avviare una riflessione in merito all’introduzione di pedaggi stradali per i veicoli pesanti basati sulle emissioni di CO2. A tal fine, i dati del registro centralizzato (numero di identificazione del veicolo e letture dei dati delle emissioni di CO2) dovrebbero essere collegati ai dati di immatricolazione (targa) e quindi comunicati ai soggetti responsabili della gestione delle tariffe stradali.

4.5.1.

In diverse occasioni (7) il CESE si è dichiarato d’accordo con l’intenzione della Commissione di introdurre un sistema armonizzato a livello europeo per l’applicazione dei pedaggi stradali basato sul principio «chi inquina paga». Un tale sistema di tariffazione stradale armonizzato e gestito dalle autorità pubbliche sarebbe utile anche dal punto di vista della protezione dei dati.

4.6.

La Commissione considera la proposta di regolamento in esame come un passo necessario per l’attuazione e l’applicazione di future norme in materia di emissioni di CO2 per i veicoli pesanti. Un sistema di monitoraggio e comunicazione è particolarmente necessario per valutare la conformità rispetto a norme di questo tipo previste in futuro, come già avviene per le autovetture e i furgoni.

4.6.1.

Nell’UE sono in vigore limiti vincolanti alle emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture fin dal 2009, e nel caso dei furgoni fin dal 2011, mentre invece analoghi limiti alle emissioni non sono finora mai stati applicati ai veicoli pesanti. Tuttavia, nel 2018 dovrebbe essere presentata una proposta legislativa della Commissione che introdurrà limiti obbligatori alle emissioni di CO2 anche per questi veicoli.

4.6.2.

Negli ultimi anni mercati importanti come gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e la Cina hanno introdotto misure in materia di certificazione e risparmio di carburante sotto forma di norme sul consumo di carburante e/o sulle emissioni, al fine di stimolare l’innovazione e un rapido miglioramento dell’efficienza dei veicoli. La competitività dei costruttori europei di veicoli pesanti dipende quindi dalla loro conformità a queste norme.

4.7.

È vero che, in sostanza, il mercato esercita una pressione sui costruttori perché continuino a ridurre il consumo di carburante degli autocarri nell’UE: difatti, il costo del carburante rappresenta di gran lunga la singola voce di spesa più importante (circa il 30 %) nella struttura dei costi del settore del trasporto di merci su strada a lunga distanza. In quanto acquirenti di veicoli pesanti, le società di trasporti sono interessate ad avere sul mercato autocarri che consumino meno carburante possibile.

4.7.1.

D’altra parte, l’esperienza dimostra che fissare obiettivi non vincolanti e affidarsi alle sole forze del mercato non basta a conseguire una riduzione significativa del consumo di carburante dei nuovi veicoli e, quindi, delle emissioni di CO2.

4.7.2.

La maggior parte delle imprese del settore dei trasporti sono PMI, categoria per cui uno dei principali ostacoli da affrontare è la difficoltà di accesso ai finanziamenti. Per questo motivo spesso le società di trasporti incontrano delle difficoltà nel finanziare l’acquisto, che risulta più costoso, di veicoli pesanti più efficienti sotto il profilo del consumo di carburante.

4.7.3.

Il CESE raccomanda che, nel fissare i potenziali limiti alle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti, la Commissione punti a trovare un equilibrio tra obiettivi raggiungibili nel breve-medio periodo e l’obiettivo più a lungo termine di un settore del trasporto su strada a zero emissioni. Questo significa che occorre incentivare l’innovazione delle tecnologie esistenti, senza frenare gli investimenti nella realizzazione di veicoli a emissioni zero.

4.7.4.

In questo contesto, il CESE ritiene che possano valere anche per i veicoli pesanti le raccomandazioni formulate nel suo parere sulla relazione finale del gruppo ad alto livello CARS 21 (8), tra cui quella di concedere ai soggetti dell’industria il tempo di sviluppare e perfezionare le tecnologie necessarie a conformarsi a requisiti più rigorosi, senza che ciò finisca per determinare un forte rincaro dei prodotti e, in definitiva, per rallentare la velocità di rinnovo del parco veicoli.

4.7.5.

In questo contesto, la regolamentazione in vigore negli Stati Uniti per i nuovi veicoli pesanti, camion motrici, rimorchi e motori può essere considerata un esempio positivo di attuazione lungimirante delle norme. Negli USA una seconda fase di applicazione della regolamentazione riguarderà i modelli di veicoli degli anni dal 2018 al 2027, prendendo come punto di partenza le norme applicate nella fase iniziale (Fase 1) relativa ai modelli degli anni dal 2014 al 2018.

4.8.

Il CESE sottolinea il ruolo che rivestono gli investimenti pubblici e la regolamentazione nel ridurre le emissioni del trasporto su strada, in particolare quelle prodotte dai veicoli commerciali pesanti.

4.8.1.

Una opzione percorribile in futuro potrebbe essere quella offerta dal sistema della e-highway («autostrada elettrica»), nel quale file di camion ibridi transiterebbero sulle principali arterie della rete di corridoi per il trasporto merci grazie all’energia fornita da linee elettriche aeree (pantografi), analogamente a quanto già avviene oggi con tram, treni e filobus. Collegati alla linea elettrica aerea, i camion sarebbero in grado di procedere con un’alimentazione totalmente elettrica. Una volta abbandonato il percorso con le linee elettriche, i veicoli proseguirebbero alimentati dal motore diesel o elettrico grazie alla capacità di una batteria installata a bordo.

4.8.2.

I convogli di autocarri a guida autonoma (truck platooning) potrebbero ridurre le emissioni di CO2 di circa il 10 %. I camion procedono incolonnati, a distanza predeterminata l’uno dall’altro, e si avvalgono delle più recenti tecnologie di connettività e di sistemi di assistenza alla guida all’avanguardia. Il veicolo in testa al convoglio ha il ruolo di capofila, perciò se il primo camion frena, anche tutti gli altri camion frenano. Il tempo di reazione è pressoché identico per tutti i camion. Il metodo del convoglio di autocarri a guida autonoma consente un minor consumo di carburante e una maggiore sicurezza, ma per adottarlo potrebbero essere necessarie delle modifiche alla normativa.

4.8.3.

La direttiva (UE) 2015/719, infine, ha introdotto ulteriori modifiche alle normative sui veicoli pesanti che dovrebbero portare alla circolazione sulle strade europee di veicoli progettati in modo più aerodinamico, dotati di una migliore efficienza energetica e con prestazioni più efficienti sotto il profilo delle emissioni. Tra queste modifiche introdotte dalla direttiva figurano deroghe per la lunghezza massima totale dei veicoli pesanti che consentono di installare alettoni aerodinamici posteriori nei camion già in circolazione e di dotare i camion di nuova immatricolazione di tali componenti aerodinamici aggiuntivi nonché di cabine profilate in modo da risultare più sferiche e più lunghe. Tuttavia, i costruttori di rimorchi segnalano problemi con le autorità competenti per l’immatricolazione dei veicoli nell’applicazione di queste nuove norme.

4.9.

Il CESE sottolinea che eventuali interventi normativi devono sempre essere accompagnati da ulteriori misure strategiche volte a ridurre la domanda di trasporto su strada — compreso il trasporto con veicoli commerciali pesanti — tramite una transizione verso altri modi di trasporto (ferroviario, per vie navigabili interne ecc.) che generino meno emissioni di gas a effetto serra.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Categorie di veicoli secondo le definizioni di cui alla direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, modificata da ultimo dal regolamento (CE) n. 385/2009: M1, M2, N1 e N2 con massa di riferimento superiore a 2 610 kg che non rientrano nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, a tutti i veicoli appartenenti alle categorie M3 e N3, nonché ai veicoli appartenenti alle categorie O3 e O4.

(2)  Conclusioni del Consiglio europeo del 24 ottobre 2014, EUCO 169/14, punto 2.

(3)  FCCC/CP/2015/L.9/Rev.1.

(4)  COM(2015) 80 final.

(5)  COM(2016) 501 final.

(6)  Delgado, O., Rodríguez, F., Muncrief, R., Fuel efficiency technology in European heavy-duty vehicles: Baseline and potential for the 2020-2030 timeframe («Tecnologie per il risparmio di carburante nei veicoli pesanti europei: scenario di riferimento e potenziale per il periodo 2020-2030»), Libro bianco dell’ICCT (International Council on Clean Transportation = Consiglio internazionale per il trasporto pulito), Berlino, luglio 2017.

(7)  Cfr. i documenti EESC-2017-02887 (cfr. pagina 181 della presente Gazzetta ufficiale), EESC-2017-02888 (cfr. pagina 188 della presente Gazzetta ufficiale), EESC-2017-03231 (cfr. pagina 195 della presente Gazzetta ufficiale).

(8)  GU C 10 del 15.1.2008, pag. 15.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/102


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla revisione intermedia dell’attuazione della strategia per il mercato unico digitale — Un mercato unico digitale connesso per tutti»

[COM(2017) 228 final]

(2018/C 081/14)

Relatore:

Antonio LONGO

Consultazione

Commissione europea, 5.7.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

111/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene la proposta di revisione della Strategia per il mercato unico digitale (SMUD), riconoscendo al contempo l’impegno profuso dalla Commissione in termini di iniziativa legislativa al fine di conseguire gli obiettivi UE nel campo della crescita tecnologica, economica e sociale.

1.2.

Il CESE, tuttavia, esprime preoccupazione per i ritardi nell’adozione e implementazione delle 35 azioni e iniziative legislative presentate, che rischiano di aggravare il gap tecnologico e di competitività dell’UE nei confronti dei competitor globali.

1.3.

Il CESE sostiene la proposta della Commissione di integrare la SMUD con tre nuove iniziative legislative sulle piattaforme online, sull’economia dei dati europea e sulla cybersicurezza. Il Comitato raccomanda in proposito un approccio organico che tenga conto delle esigenze di rafforzamento della competitività e di tutela dei diritti digitali sia nel mercato interno sia verso paesi terzi.

1.4.

Il Comitato ribadisce la necessità di rafforzare la dimensione sociale  (1) della SMUD. Solo attraverso una governance a livello europeo che coinvolga i governi nazionali, le parti sociali e la società civile nel suo insieme si potranno affrontare sfide e rischi insiti nella rivoluzione digitale, tutelando i soggetti vulnerabili e offrendo maggiori opportunità a cittadini e imprese.

1.5.

Il CESE auspica che l’UE, nel rispetto delle competenze nazionali in materia, si faccia promotrice di un grande piano per l’educazione e la formazione digitale per offrire a tutti i cittadini gli strumenti conoscitivi per affrontare al meglio la transizione. Il piano dovrebbe riguardare l’educazione di ogni ordine e grado, partendo dalla formazione del corpo docente e dalla revisione dei programmi e della didattica, e dovrebbe essere strettamente collegato ad un sistema di formazione permanente volto ad aggiornare o riconvertire le competenze dei lavoratori. Un’attenzione particolare dovrà essere altresì destinata ai manager attraverso l’avvio di corsi di alta formazione in collaborazione con le università.

1.6.

La rivoluzione digitale trasformerà il lavoro in tutti i suoi aspetti: organizzazione, luoghi, mansioni, tempi, condizioni e contratti. Il CESE ritiene che il dialogo sociale possa svolgere un ruolo chiave in tale contesto ed invita la Commissione ad avviare un percorso insieme ai partner sociali per interrogarsi sulle prospettive di medio e lungo periodo ed individuare azioni resilienti per garantire stipendi dignitosi, lavori di qualità, un rapporto equilibrato tra tempi di vita e di lavoro e accesso generalizzato alla sicurezza sociale.

1.7.

Il CESE accoglie con favore i recenti successi ottenuti nel settore del digitale, ma invita le istituzioni europee e nazionali a vigilare sulla corretta e completa implementazione delle normative (esempio: abolizione tariffe roaming al dettaglio) ed a continuare il lavoro per ridurre la frammentarietà e le distorsioni. A tal proposito il CESE raccomanda alla Commissione di pubblicare quanto prima un regolamento che consenta la portabilità dei contenuti online.

1.8.

Il Comitato sottolinea l’importanza di colmare quanto prima il digital divide infrastrutturale, territoriale e culturale che rappresenta ad oggi un freno allo sviluppo economico e sociale dell’UE nonché una fonte di disuguaglianza di condizioni di vita e opportunità per cittadini e imprese. I finanziamenti finora erogati sono ingenti ma non sufficienti a coprire tutte le esigenze di sviluppo dell’UE.

1.9.

Il CESE ribadisce che l’accesso a Internet rappresenta un diritto fondamentale di ogni cittadino, nonché uno strumento ineludibile di inclusione sociale e crescita economica, e pertanto è ormai improcrastinabile il suo inserimento tra i servizi universali.

1.10.

Il CESE invita la Commissione ad accelerare i tempi di realizzazione delle Strategie di e-government e e-health, sia perché rappresentano un prerequisito indispensabile per lo sviluppo digitale europeo, sia per l’impatto positivo che queste potranno avere sulla qualità dei servizi e della vita dei cittadini.

1.11.

Il Comitato ritiene che le PMI debbano essere maggiormente sostenute poiché l’uso del digitale è già oggi una precondizione indispensabile per restare sul mercato. Inoltre l’azione di sostegno alle aziende non può prescindere da una strategia ad hoc per le start-up, fondata su tre obiettivi chiave: semplificazione normativa, costruzione di reti e accesso agevolato ai finanziamenti.

1.12.

Il Comitato invita la Commissione a rafforzare la tutela dei diritti dei consumatori digitali in tutta l’Unione, evitando che l’armonizzazione tra le diverse legislazioni significhi un abbassamento delle tutele laddove sono già consolidate e soddisfacenti.

1.13.

Il CESE considera la cybersicurezza prioritaria per la sovranità e competitività europea, in quanto trasversale a tutti gli ambiti di applicazione del digitale. Il Comitato raccomanda che la proposta della Commissione preveda un sensibile miglioramento degli standard di prevenzione, dissuasione, risposta, gestione delle crisi e resilienza nel rispetto dei diritti fondamentali dell’UE, ponendo le basi per il rafforzamento della cooperazione tra Stati membri e con i paesi terzi.

2.   Lo stato dell’arte del mercato unico digitale

2.1.

Dal maggio 2015, la Commissione europea ha formulato 35 proposte legislative, previste nella strategia per il mercato unico digitale (SMUD) (2), molte delle quali non sono state ancora implementate in quanto oggetto di negoziato tra Commissione, Parlamento e Consiglio oppure in attesa di effettiva applicazione nei singoli Stati membri. La comunicazione per la revisione intermedia della SMUD traccia un primo bilancio delle iniziative intraprese e dei risultati conseguiti.

2.2.

Tra le iniziative più sensibili implementate o da implementare si segnalano:

l’abolizione delle tariffe roaming al dettaglio  (3) a partire dal 15 giugno 2017;

la portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online  (4) dai primi mesi del 2018;

la rimozione dei blocchi geografici ingiustificati  (5) che danneggiano i consumatori.

2.3.

La Commissione reputa fondamentale attuare il pacchetto connettività  (6) che promuoverà la realizzazione di infrastrutture digitali di alta qualità in tutta l’UE per estendere a tutte le aziende e i cittadini i benefici della rivoluzione digitale.

2.4.

Per incentivare il commercio elettronico transfrontaliero sarà importante adottare le proposte della Commissione per armonizzare le norme sui contratti digitali  (7), rafforzare la cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori (8), rendere accessibili i costi dei servizi di consegna transfrontaliera (9), semplificare le procedure di dichiarazione dell’IVA (10), contrastare le pratiche commerciali sleali e tutelare il diritto di proprietà intellettuale, incluso il diritto d’autore (11).

2.5.

Per raggiungere standard più elevati di protezione dei dati  (12) e riservatezza delle conversazioni elettroniche  (13) la Commissione ha adottato due regolamenti ad hoc che dovranno essere applicati nel 2018.

2.6.

Il quadro giuridico del settore audiovisivo (14) sarà adeguato alle esigenze dell’era digitale con una revisione delle norme sul diritto d’autore  (15), per facilitare l’accesso transfrontaliero dei materiali e ampliare le possibilità di fruizione di materiali protetti dal diritto d’autore nel campo dell’istruzione, della ricerca e della cultura.

3.   Sintesi delle nuove proposte della Commissione

3.1.

A fronte di una naturale evoluzione del mondo digitale, che implicherà costanti adeguamenti infrastrutturali e normativi, è basilare garantire a tutti gli utenti un ambiente digitale sicuro, aperto e equo. Tali condizioni sono indispensabili per rafforzare la fiducia che ancora oggi limita l’espansione del mercato unico digitale (MUD) (16).

3.2.

La Commissione ha identificato tre settori in cui è necessaria un’azione più incisiva da parte dell’UE e per i quali prevede a breve di presentare delle iniziative legislative: 1) piattaforme online, 2) economia dei dati europea, 3) sicurezza informatica.

3.3.

Le piattaforme online  (17) stanno ridefinendo il MUD al punto da acquisire il ruolo di «guardiani di Internet», poiché controllano l’accesso alle informazioni, ai contenuti e alle transazioni. Per questo, nel 2017, la Commissione elaborerà un’iniziativa per coinvolgerle e responsabilizzarle nella gestione della rete. In particolare si affronterà il problema delle clausole contrattuali abusive e delle pratiche commerciali scorrette nei rapporti tra piattaforme e imprese. Inoltre la rimozione dei contenuti illegali sarà resa più veloce ed efficace con l’introduzione di un sistema formale di «segnalazione e rimozione».

3.4.

L’economia dei dati è destinata ad avere un ruolo crescente per le imprese, i cittadini e i servizi pubblici. La Commissione pubblicherà nel 2017 due iniziative legislative sul libero flusso transfrontaliero dei dati non personali e sull’accessibilità e riutilizzo di dati pubblici e di quelli raccolti avvalendosi di fondi pubblici. Infine, per preparare il mercato digitale allo sviluppo dell’Internet degli oggetti, saranno definiti dei principi per determinare le responsabilità in caso di danni provocati da prodotti ad alta intensità di dati.

3.5.

Nel 2017 la Commissione riesaminerà la strategia dell’UE per la cybersicurezza  (18) nonché il mandato dell’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione (ENISA), per adeguarli alle nuove sfide e rischi. Inoltre saranno proposte ulteriori misure su norme, certificazioni ed etichettature in materia di sicurezza informatica, per meglio proteggere gli oggetti connessi dagli attacchi informatici. Tale processo comporterà il rafforzamento del partenariato pubblico-privato.

3.6.

Per migliorare le competenze digitali e l’occupabilità, la Commissione chiede la pronta implementazione dell’Agenda delle competenze per l’Europa  (19) e della coalizione per le competenze e le occupazioni digitali  (20). Inoltre, nel 2018 la Commissione lancerà il progetto Digital Opportunity per fornire ai laureati la possibilità di effettuare tirocini transfrontalieri nel settore digitale.

3.7.

La strategia sulla digitalizzazione dell’industria europea  (21) incoraggerà la cooperazione e lo scambio di buone pratiche. Questa iniziativa si affianca alle risorse destinate dal programma Horizon 2020 (5,5 miliardi di euro) e agli investimenti privati e nazionali, facendo leva sul partenariato pubblico-privato. Alcuni settori chiave come energia, trasporti e finanza saranno sensibilmente trasformati secondo criteri di sostenibilità e efficienza.

3.8.

Il piano per l’e-Government 2016-2020  (22) faciliterà la transizione digitale dei servizi pubblici a livello nazionale ed europeo. La Commissione prevede che il settore della salute subirà i maggiori cambiamenti, per effetto del diritto a farsi curare in ogni paese UE (cartelle sanitarie e prescrizioni digitali) e del crescente uso della tecnologia a supporto dei medici (per analisi, operazioni, terapie…).

3.9.

Per rafforzare la propria posizione su scala globale, l’UE ha incrementato i fondi per la ricerca e innovazione (R&I) ed ha lanciato due importanti iniziative tecnologiche: il cloud computing, per condividere e riutilizzare le conoscenze acquisite, e l’informatica quantistica, per risolvere i problemi di calcolo più complessi di quelli affrontati oggi con i supercomputer.

3.10.

La Commissione ritiene che la SMUD avrà sempre maggior peso nelle relazioni tra UE e i paesi terzi. Questa comporterà la difesa di nuovi diritti digitali, il contrasto al protezionismo digitale e la promozione di iniziative per contrastare il digital divide su scala globale.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE riconosce l’impegno profuso dalla Commissione in termini di iniziativa legislativa al fine di conseguire gli obiettivi di crescita tecnologica, economica e sociale tracciati dalla SMUD. Il Comitato, in particolare, considera fondamentale questa revisione di medio termine per favorire l’implementazione della suddetta strategia riducendone frammentarietà e distorsioni.

4.2.

Il CESE accoglie positivamente i recenti risultati conseguiti, come: l’abolizione delle tariffe roaming al dettaglio (23), la portabilità transfrontaliera dei prodotti online (24) e la rimozione dei blocchi geografici ingiustificati (25). Tali iniziative contribuiranno a dare un’immagine più positiva dell’UE, sebbene siano ancora molti i problemi da risolvere per garantire i diritti dei consumatori e un’equa concorrenza tra le imprese.

4.2.1.

Il Comitato, tuttavia, segnala che in molti Stati membri l’abolizione delle tariffe di roaming procede in modo frammentato e disomogeneo generando un evidente danno per i consumatori e all’immagine dell’UE. In vari Paesi le associazioni dei consumatori denunciano tentativi di aggiramento dell’abolizione del roaming, principalmente attraverso la limitazione dei GIGA disponibili per la navigazione online. Il CESE, quindi, invita la Commissione a monitorare rigorosamente tale processo, rafforzandone e velocizzandone tempi e modi di implementazione.

4.2.2.

Per quanto riguarda la portabilità transfrontaliera dei contenuti online, il CESE si augura che venga presto data concreta attuazione all’accordo provvisorio tra Consiglio e Commissione adottato dal Parlamento europeo il 18 maggio scorso. L’accordo prevede un regolamento per introdurre nell’Unione un approccio comune sulla portabilità dei contenuti online, in modo da permettere agli abbonati ai servizi la possibilità di accedere e utilizzarli quando si trovano temporaneamente in altro Stato dell’Unione diverso da quello di residenza.

4.3.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che solo alcune proposte legislative presentate dalla Commissione nell’ambito della SMUD siano state effettivamente implementate. Ciò rappresenta un serio limite sia per la valutazione della strategia nel complesso, sia per le realistiche prospettive di crescita e competitività dell’UE. Il Comitato invita tutte le istituzioni coinvolte nel processo di co-decisione ad abbreviare i tempi di negoziato e auspica che gli Stati membri applichino le normative in maniera tempestiva e coerente.

4.4.

Il CESE ritiene che la rivoluzione digitale cambierà in modo radicale la vita dei cittadini, così come il modo di fare impresa, produrre e commercializzare, con effetti di lungo periodo ad oggi difficilmente prevedibili, in particolare sul mercato del lavoro e sull’occupazione. Il digitale trasformerà l’organizzazione, le mansioni, i luoghi, i tempi, le condizioni e i contratti di lavoro. Il Comitato, quindi, ribadisce la necessità di rafforzare la dimensione sociale  (26) della SMUD. Solo così si potranno contemplare tutte le sfide e rischi insiti nella rivoluzione digitale, in modo da offrire a tutti la possibilità di coglierne i vantaggi e le opportunità.

4.5.

Il CESE ritiene cruciale avviare quanto prima un vasto programma europeo destinato alla educazione e formazione digitale per garantire a tutti i cittadini gli strumenti per affrontare al meglio la transizione. In particolare il CESE, pur consapevole delle specifiche competenze nazionali in materia, auspica che tale programma parta dalle scuole, rafforzando le conoscenze dei docenti, adeguando i programmi di studio e la didattica alle tecnologie digitali (incluso e-learning), e fornendo a tutti gli studenti una formazione di alta qualità. Tale programma avrà la sua naturale prosecuzione nell’apprendimento permanente al fine di rimodulare o aggiornare le competenze di tutti i lavoratori (27).

4.6.

Il Comitato ritiene che il mondo dell’impresa dovrà adeguare rapidamente le proprie competenze digitali con un’attenzione specifica ai temi della cybersicurezza. Il Comitato, infatti, ritiene che l’UE dovrebbe sostenere le aziende nei processi di alta formazione rivolti ai manager con il sostegno del mondo accademico, per rafforzare conoscenze e consapevolezza dei rischi connessi al furto di dati e alla criminalità informatica. Il CESE ritiene altresì importante sostenere la formazione dei tecnici informatici proposti alla sicurezza con appositi poligoni per simulare attacchi informatici e testare la loro capacità di risposta.

4.7.

Il CESE nota, nonostante quanto già raccomandato nel 2015 (28), che alcune sfide chiave per la realizzazione del MUD non sono state ancora adeguatamente affrontate. La diffusione delle competenze digitali, l’alfabetizzazione informatica, la digitalizzazione delle aziende e l’e-Government continuano a rappresentare precondizioni fondamentali per uno sviluppo ampio, condiviso ed equilibrato.

4.8.

L’UE ha investito e continua ad investire molti miliardi in ricerca e innovazione così come nel settore del digitale. Tuttavia, rispetto alle necessità stimate dalla Commissione (circa 155 miliardi di euro), siamo lontani da livelli di investimento sufficienti a garantire uno sviluppo forte ed equilibrato nel settore del digitale al passo con i principali competitor globali. Spesso, quindi, la Commissione ha dichiarato di volersi affidare ai partenariati pubblico-privato (PPP) per colmare il gap di investimenti.

4.8.1.

Il CESE ritiene che i PPP rappresentino sicuramente una leva importante per lo sviluppo e l’innovazione, ma non possano essere considerati la panacea di tutti i mali. Il Comitato, quindi, invita le istituzioni europee ad essere più presenti sotto il profilo delle azioni e dei finanziamenti nelle aree a bassa vocazione di mercato, così come per tutte quelle iniziative atte a creare infrastrutture dall’alto valore aggiunto ma i cui frutti potrebbero essere raccolti solo nel lungo periodo (programma CEF).

4.9.

L’imposizione fiscale sulle multinazionali del digitale è da tempo oggetto di un serrato dibattito nonché di forti iniziative istituzionali. In particolare i sistemi fiscali nazionali non sembrano imporre sempre le giuste tassazioni sui profitti generati da tali aziende all’interno dell’UE. Il Comitato invita la Commissione a individuare soluzioni in grado di assicurare, nei limiti del principio di sussidiarietà, un equilibro tra la necessità di una giusta tassazione sui profitti senza bloccare l’innovazione e lo sviluppo.

4.10.

Il CESE rinnova l’importanza di ridurre il digital divide, che rischia di divenire in uno dei principali fattori di esclusione economica, lavorativa e sociale. In questo contesto è necessario attuare quanto prima le strategie previste dall’UE in termini di educazione e formazione nel campo del digitale (Agenda delle competenze per l’Europa e la Coalizione per le competenze e le occupazioni digitali). Per questo il CESE raccomanda alla Commissione di vigilare sulla rapida e corretta implementazione del suddetto processo da parte degli Stati membri.

4.11.

Il Comitato ribadisce il principio secondo cui l’accesso a Internet rappresenta un diritto fondamentale di ogni cittadino, nonché uno strumento ineludibile di inclusione sociale e crescita economica. Per questo è ormai improcrastinabile l’inserimento dell’accesso Internet ad alta velocità tra i servizi universali (29). Il CESE ritiene altresì che il fenomeno della rivoluzione digitale potrà essere governato solo se ci sarà un coinvolgimento attivo dei cittadini, che devono essere consapevoli delle opportunità e dei pericoli offerti da Internet.

4.12.

È importante quindi che l’UE sostenga e partecipi attivamente all’annuale Internet Governance Forum, che nel prossimo consesso di Ginevra, a dicembre 2017, si intitolerà Shape Your Digital Future! e nel quale si discuterà su come le opportunità offerte da Internet possono essere massimizzate, affrontando rischi e sfide emergenti.

4.13.

Il CESE sostiene il pacchetto connettività  (30) e accoglie, con particolare favore, le iniziative volte a ridurre il digital divide territoriale (Wifi4EU), e a garantire la qualità delle comunicazioni digitali (5G). In particolare, il Comitato ritiene Wifi4EU fondamentale per rendere il mercato unico digitale «realmente» connesso per tutti. Per questo auspica che il suddetto progetto pilota, che ad oggi prevede lo stanziamento di 125 milioni di EUR, possa divenire strutturale nelle politiche UE adeguandone il budget, in modo da garantire a tutti i cittadini, compresi coloro che risiedono nelle aree a scarsa vocazione di mercato (isole, zone montane e ultraperiferiche…), una connessione a Internet di qualità.

4.14.

Il CESE condivide la proposta di coinvolgere le piattaforme online in un progetto di ampio respiro, per renderle attori responsabili di un ecosistema Internet equo e trasparente. Tale processo, tuttavia, non può prescindere dalla necessità di ridurre la frammentazione legislativa, tenendo conto delle ricadute su imprese (concorrenza sleale), lavoratori (contratti) e consumatori (31) (contenziosi transfrontalieri) garantendo il mantenimento degli standard acquisiti.

4.15.

Il CESE ritiene che l’economia dei dati europea sia uno dei settori in cui è più evidente il distacco tra l’UE e i leader dell’innovazione digitale globale. Il Comitato condivide la proposta di creare un quadro normativo, a patto che questo trovi la sua corretta declinazione nel contesto del cloud computing  (32) , intelligenza artificiale e Internet degli oggetti, tenga in considerazione la libertà contrattuale rimuovendo gli ostacoli all’innovazione e trovi adeguato riscontro nei finanziamenti stanziati dall’UE.

4.16.

Il CESE considera la sicurezza informatica prioritaria, in quanto trasversale a tutti gli ambiti di applicazione del digitale ed indispensabile per garantire la sovranità europea che non può prescindere dalla digital autonomy nella raccolta e gestione dei dati così come sulle stesse macchine preposte a controllare e monitorare tale processo. Data la vastità delle aree interessate, il CESE ritiene che i fondi destinati alla cybersicurezza debbano essere considerevolmente aumentati, superando il confine della ricerca, coinvolgendo i settori sensibili del mondo produttivo (trasporti, produzioni industriali dall’alto valore aggiunto…) e supportando gli Stati membri nei processi di rafforzamento delle difese digitali.

4.17.

Il cyberterrorismo e la cybercriminalità rappresentano ormai delle incombenti minacce per tutte le economie e i governi. Il Comitato raccomanda che la proposta di revisione della strategia per la cybersicurezza preveda un sensibile miglioramento degli standard di prevenzione, dissuasione, risposta, gestione delle crisi e resilienza nel rispetto dei diritti fondamentali dell’UE, ponendo le basi per il rafforzamento della cooperazione tra Stati membri e con i paesi terzi.

4.17.1.

Il CESE condivide l’orientamento della Commissione, ritenendo che tutti i prodotti digitali e i sistemi connessi devono essere sicuri sin dalla loro immissione sul mercato ed auspica una rapida adozione dei provvedimenti annunciati.

4.17.2.

Il Comitato sostiene la proposta della Commissione di ampliare il mandato dell’ENISA (33) adeguandolo alle nuove minacce globali. Il CESE, in particolare, ritiene che la revisione delle strategie europee in materia di cybersicurezza passi altresì per una maggiore apertura, dialogo e trasparenza dell’ENISA verso i cittadini e la società civile organizzata, in modo da poterne valorizzare le iniziative e le attività.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Sebbene il 90 % delle imprese europee richiedano competenze digitali, nel 2016 solo il 44 % dei cittadini europei e il 37 % dei lavoratori ne aveva un grado almeno sufficiente. Inoltre, quasi la metà delle imprese europee non riqualifica i dipendenti, danneggiando sia il lavoratore sia la competitività dell’impresa stessa (34). Il CESE, quindi, rinnova l’urgenza di finanziare con risorse ad hoc una grande strategia nel campo dell’educazione e della formazione digitale (35), con particolare attenzione al gap tra «nativi digitali» e anziani (36) e più in generale per sostenere ed accompagnare tutti i soggetti «non digitalizzati» di ogni età e condizione.

5.2.

Per quanto concerne le ricadute occupazionali, esiste, inoltre, la concreta possibilità che la robotizzazione comporti una riduzione complessiva dei posti di lavoro, assorbendo progressivamente tutti i lavori ripetitivi e «meno» creativi (37). Per questo il CESE invita la Commissione ad avviare, attraverso lo strumento del dialogo sociale europeo, un percorso per garantire stipendi dignitosi, un rapporto equilibrato tra tempi di vita e di lavoro, lavori di qualità, nonché l’accesso generalizzato alla sicurezza sociale (38).

5.2.1.

Per vincere la sfida della digitalizzazione sarà fondamentale intervenire sui settori dell’educazione e della formazione, immaginando percorsi ad hoc su scala europea per ricollocare i lavoratori le cui mansioni saranno affidate a macchine o rese obsolete dalla robotizzazione, stanziando adeguati ammortizzatori sociali per garantire loro una vita dignitosa nelle fasi di riconversione professionale. Fondamentale, altresì, sarà includere tali misure in una strategia di ampio respiro, flessibile e resiliente, capace di rispondere con rapidità ed efficacia ai mutamenti provocati dalla rivoluzione digitale, in modo da governarla e non subirne gli effetti.

5.3.

Il CESE ribadisce il sostegno al piano d’azione sull’e-Government per offrire servizi digitali di facile uso, personalizzati e transfrontalieri. Tuttavia, il Comitato ritiene che ad oggi tali obiettivi non potranno essere raggiunti considerando i ritardi nell’attuazione della strategia a livello nazionale e la mancanza di un’infrastruttura digitale capillarmente diffusa su scala europea e interconnessa. Il Comitato constata la permanenza di problemi con il principio «una tantum» e i ritardi nella creazione di uno sportello unico digitale. Il CESE, inoltre, ribadisce l’esigenza di garantire l’aggiornamento in linea con le più recenti tecnologie e la necessità di maggiore apertura verso gli utenti sulla possibilità di modificare o cancellare i propri dati (diritto all’oblio) (39).

5.4.

Il Comitato riscontra nel settore della salute digitale (e-health) problemi simili a quelli dell’e-Government. Il CESE, quindi, propone di incentivare la creazione di infrastrutture digitali avanzate, rafforzare la collaborazione con i settori della R&I e coinvolgere in modo più attivo gli utenti e gli operatori sanitari (40).

5.5.

Il CESE sostiene la comunicazione per la Digitalizzazione dell’industria europea, ribadendo che nessun paese membro è in grado da solo di cogliere tutte le opportunità offerte dal digitale. L’UE, al contrario, può confrontarsi con i principali competitor globali a patto che si elabori una strategia comune volta a rafforzare la base industriale europea (industria 4.0) quale fattore autonomo di competitività, capace di attrarre investimenti, accrescere i posti di lavoro e mantenere l’attenzione sull’obiettivo di una produzione industriale al 20 % del PIL europeo entro il 2020 (41).

5.6.

Il Comitato invita la Commissione a sostenere l’innovazione digitale in tutte le aziende, con particolare attenzione verso le PMI, che dalla digitalizzazione potrebbero ricevere grandi vantaggi (semplificazione e deburocratizzazione), ma che senza adeguato supporto e sostegno rischiano di essere espulse dal mercato. La digitalizzazione di ogni azienda, infatti, è già oggi una condizione necessaria ma non sufficiente per restare sul mercato e le PMI, avendo meno strumenti e risorse, potrebbero avere maggiori difficoltà ad adeguarsi al cambiamento.

5.7.

Il CESE ritiene necessario sostenere le start-up, in quanto soggetti privilegiati per l’innovazione digitale, la crescita economica e l’occupazione, favorendone lo sviluppo e il consolidamento (scale-up). In particolare, si raccomanda un approccio trasversale ai diversi tipi di impresa basato su tre obiettivi chiave: semplificazione normativa, costruzione di reti e accesso agevolato ai finanziamenti (42).

5.8.

Il CESE considera il commercio elettronico transfrontaliero uno dei settori chiave per lo sviluppo del MUD. Il Comitato rinnova la richiesta di intervenire con maggiore decisione per rendere i costi della consegna pacchi accessibili a tutti (43). Si raccomanda, inoltre, di meglio armonizzare le norme sui contratti digitali a causa dello strumento legislativo scelto (due direttive), che rischia di generare confusione senza semplificare il quadro normativo (44).

5.9.

Il CESE accoglie positivamente le informazioni fornite dalla Commissione sui risultati ottenuti nella tutela dei consumatori con la piattaforma per la risoluzione online delle controversie  (45), ma ritiene che ci sia ancora molto da fare per una più diffusa conoscenza della piattaforma e per rafforzare la fiducia dei consumatori nel commercio online. In modo particolare il Comitato auspica il rafforzamento degli strumenti di risoluzione extragiudiziale, in particolare transfrontaliera. Si sollecitano, inoltre, interventi sulla protezione dei dati (46), servizi media audiovisivi (47), contrasto alle frodi e tutela del diritto d’autore (48), prestando attenzione alla tutela degli utenti, soprattutto quelli più vulnerabili, dal cyberbullismo, dalle fake-news e da tutte le forme di istigazione alla violenza.

5.10.

Il CESE è altresì favorevole al processo, lanciato dalla Commissione, volto ad armonizzare le tutele dei consumatori su scala europea, a patto che questo mantenga inalterati gli standard di protezione dei consumatori ove questi sono più elevati, puntando ad un miglioramento complessivo della tutela dei consumatori digitali in UE.

5.11.

Il CESE invita la Commissione a rendere sempre più trasversale la SMUD, integrandola con altri settori/strategie cruciali per lo sviluppo dell’Europa, come l’energia, l’economia circolare (49) e i trasporti (50) nel quadro più vasto degli obiettivi di sviluppo sostenibile declinati dalle Nazioni Unite. Questa, infatti, potrebbe offrire un contributo decisivo per conseguire gli obiettivi di sostenibilità, semplificazione e efficientamento.

5.12.

Il CESE ritiene necessario che l’UE aumenti gli investimenti in R&I per poter competere con i leader dell’innovazione digitale. Le iniziative volte a rafforzare la base infrastrutturale sono importanti ma non risolutive. L’Europa, in particolare, dovrà realizzare quanto prima il cloud computing  (51), in linea con la strategia Open Innovation, Open Science, Open to the World. Il Comitato trova altresì corretto continuare gli approfondimenti nei campi dell’informatica quantistica e dell’intelligenza artificiale (52).

5.13.

Il CESE condivide l’impostazione della Commissione sul rafforzamento della proiezione esterna della SMUD, tuttavia ritiene che fino ad oggi sia stato fatto molto poco in questo settore. In modo particolare il Comitato auspica due livelli di intervento:

definizione di nuovi rapporti con i competitor digitali. L’UE dovrà tutelare i diritti digitali, contrastare il protezionismo digitale e essere promotrice di un’alleanza globale per cybersicurezza. Questo processo avrà un ruolo chiave nella definizione di nuova governance globale;

promozione dello sviluppo digitale. Il digitale può rappresentare un importante vettore di crescita in grado di contrastare le cause di guerra, povertà e migrazioni. Il Comitato, inoltre, ritiene che per raggiungere gran parte degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite è indispensabile un ricorso ampio e diffuso al digitale, che coinvolga in modo attivo Paesi e cittadini, e non solo quelli più ricchi e avanzati. La riduzione del gap tecnologico, quindi, deve rappresentare una priorità dell’UE su scala globale e non solo in un’ottica di cooperazione transfrontaliera.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 125, 21.4.2017, pag. 10, punti 3.8 e 3.9.

(2)  COM(2015) 192 final.

(3)  COM(2016) 399 final.

(4)  COM(2015) 627 final.

(5)  COM(2016) 289 final.

(6)  COM(2016) 587, 588, 589, 590, 591 final.

(7)  COM(2015) 634 e 635 final.

(8)  COM(2016) 283 final.

(9)  COM(2016) 285 final

(10)  COM(2016) 757 final.

(11)  COM(2016) 593 final.

(12)  Regolamento (UE) 2016/679.

(13)  COM(2017) 10 final.

(14)  COM(2016) 287 final.

(15)  COM(2016) 593 e 594 final.

(16)  Speciale Eurobarometro 460.

(17)  COM(2016) 288 final.

(18)  JOIN (2013) 1.

(19)  COM(2016) 381 final.

(20)  2016/C484/01.

(21)  COM(2016) 180 final.

(22)  COM(2016) 179 final.

(23)  GU C 24, 28.1.2012, pag. 131; GU C 34, 2.2.2017, pag. 162.

(24)  GU C 264, 20.7.2016, pag. 86.

(25)  GU C 34, 2.2.2017, pag. 93.

(26)  GU C 125, 21.4.2017, pag. 10, punti 3.8 e 3.9.

(27)  GU C 434, 15.12.2017, pag. 30.

(28)  GU C 71, 24.2.2016, pag. 65, Strategia mercato unico digitale, punti 1.1, 1.2, 1.3 e 1.8.

(29)  GU C 161, 6.6.2013, pag. 8.

(30)  Il CESE ha elaborato un parere su ciascuna proposta, ma con una regia unica, al fine di garantire la coerenza nella visione e nei contenuti: GU C 125, 21.4.2017, pag. 51; GU C 125, 21.4.2017, pag. 56; GU C 125, 21.4.2017, pag. 65; GU C 125, 21.4.2017, pag. 69; GU C 125, 21.4.2017, pag. 74.

(31)  GU C 75, 10.3.2017, pag. 119.

(32)  GU C 487, 28.12.2016, pag. 86.

(33)  GU C 75, 10.3.2017, pag. 124.

(34)  Commissione europea, Digital Transformation Scoreboard, 2017.

(35)  GU C 173, 31.5.2017, pag. 1, GU C 173, 31.5.2017, pag. 45.

(36)  GU C 389, 21.10.2016, pag. 28.

(37)  «The Risk of Automation for Jobs in OECD Countries: A Comparative Analysis», OECD, 2016. È in atto un acceso dibattito sull’impatto della rivoluzione digitale sui livelli occupazionali. L’OCSE stima una riduzione del 9 % dei posti di lavoro (quelli considerati più ripetitivi), ma altri studi come quelli della Banca Mondiale o altri istituti immaginano un aumento dei posti di lavoro o una compensazione tra posti cancellati e nuovi posti creati. Di certo, tutti gli studi convergono sul principio che il mondo del lavoro sarà sottoposto a grandi mutamenti e sulla necessità di adottare contromisure tempestive e resilienti.

(38)  GU C 13, 15.1.2016, pag. 161.

(39)  GU C 487, 28.12.2016, pag. 99.

(40)  GU C 13, 15.1.2016, pag. 14.

(41)  GU C 389, 21.10.2016, pag. 50.

(42)  GU C 288, 31.8.2017, pag. 20.

(43)  GU C 34, 2.2.2017, pag. 106.

(44)  GU C 264, 20.7.2016, pag. 57.

(45)  Sono oltre 24 000 i casi risolti nel primo anno secondo quanto comunicato dalla commissaria Jourova. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-727_it.htm

(46)  GU C 288, 31.8.2017, pag. 107.

(47)  GU C 34, 2.2.2017, pag. 157.

(48)  GU C 125, 21.4.2017, pag.27.

(49)  GU C 264, 20.7.2016, pag. 98.

(50)  GU C 288, 31.8.2017, pag. 85; GU C 345, 13.10.2017, p. 52.

(51)  GU C 487, 28.12.2016, pag. 86.

(52)  GU C 288, 31.8..2017, pag. 1.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/111


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2016»

[COM(2017) 285 final]

(2018/C 081/15)

Relatore:

Paulo BARROS VALE

Consultazione

Commissione europea, 5.7.2017

Base giuridica

Articolo 304 del TFUE

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

177/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE giudica positivamente il contenuto della relazione sulla politica di concorrenza del 2016 (1), che appoggia in termini generali. Esprime tuttavia alcune preoccupazioni nel contesto attuale e nell’ambito di ciò che ritiene possa essere la politica europea della concorrenza.

1.2.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi compiuti dalla Commissione in difesa del rispetto delle norme, che contribuiscono a creare un contesto di concorrenza libera e leale, nonché nel quadro della cooperazione internazionale.

1.3.

Il CESE ritiene che la politica della concorrenza meriti una migliore definizione e che sia spesso non coordinata con le altre politiche dell’Unione che influiscono su di essa. Vi sono vari problemi, incontrati dalle imprese e dai consumatori, che vanno al di là dei temi affrontati dalla Commissione nel quadro della politica della concorrenza e che condizionano il mercato interno, quali, ad esempio, quelli derivanti dalle politiche fiscali.

1.4.

I poteri della Commissione sono limitati, ma essa detiene il potere di iniziativa e può essere più ambiziosa nelle sue azioni, sia nel rapporto tra il tema della concorrenza e le varie politiche europee, sia nel collegamento con l’attività delle autorità nazionali garanti della concorrenza (ANC). Le politiche europee e nazionali in materia di concorrenza dovrebbero essere perfettamente allineate, in modo che la Commissione e le ANC possono lavorare in modo più proficuo.

1.5.

Ogni giorno si assiste all’impatto negativo della situazione in materia di concorrenza su determinati gruppi, in particolare le PMI e i consumatori: le pratiche commerciali di grandi gruppi di distribuzione, che distruggono le imprese più piccole attraverso negoziati aggressivi e limitano la scelta dei consumatori; le formule di calcolo dei prezzi poco chiare, ad esempio per quanto riguarda l’energia e i combustibili, che danneggiano le imprese e i consumatori; le pratiche di dumping cui continuiamo ad assistere, in particolare nei settori della distribuzione e dei trasporti, sono questioni che devono essere oggetto di un costante controllo e contrasto da parte delle ANC competenti e della Commissione.

1.6.

Pur essendo evidente che il potere dei grandi gruppi può provocare distorsioni della concorrenza, la Commissione ha sostenuto fusioni e concentrazioni che hanno creano dei veri e propri giganti settoriali. Il CESE invita la Commissione a definire misure correttive realmente efficaci in questi processi e a esercitare un’attenta vigilanza sulle attività dei grandi gruppi, garantendo il rispetto delle regole e tutelando gli interessi dei consumatori e delle PMI.

1.7.

Nel trattato, non vi sono i fondamenti per un’armonizzazione delle politiche fiscali. Le differenze nell’imposizione, diretta e indiretta, danneggiano talvolta le imprese e i consumatori e aggravano le asimmetrie. Il CESE ribadisce che la politica della concorrenza deve garantire l’attenuazione delle distorsioni derivanti dall’imposizione fiscale, finché l’Europa continuerà a mantenere la fiscalità nella sfera di competenza degli Stati membri.

1.8.

La cooperazione internazionale si è sviluppata attraverso la negoziazione di diversi accordi. Il CESE è favorevole alla ricerca di alleanze reali e ritiene che gli accordi conclusi debbano rispecchiare le profonde riflessioni che già esistono sul contenuto degli accordi commerciali.

2.   Contenuto della relazione sulla politica di concorrenza 2016

2.1.

La relazione presenta, in termini generali, le misure adottate dalla Commissione in materia di politica della concorrenza, facendo una sintesi di un più ampio documento di lavoro sulle azioni intraprese nel 2016 (2).

2.2.

Nel suo discorso sullo stato dell’Unione 2016 il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha sottolineato l’importanza della politica di concorrenza: «Parità di trattamento significa anche che in Europa i consumatori sono protetti dai cartelli e dagli abusi delle imprese potenti. […] La Commissione vigila su questo tipo di equità. Si tratta dell’aspetto sociale della normativa sulla concorrenza».

2.3.

La relazione è suddivisa in 6 sezioni: Introduzione; Garantire una reale parità di condizioni per tutti: in che modo il controllo degli aiuti di Stato consente di meglio affrontare la sfida; Promuovere la concorrenza e l’innovazione nel mercato unico digitale; Realizzare un mercato unico che dà forza ai cittadini e alle imprese dell’UE; Liberare il potenziale dell’Unione europea dell’energia e dell’economia circolare; Far crescere una cultura della concorrenza a livello europeo e mondiale.

2.4.

Il CESE sostiene in linea generale il contenuto della relazione, ma formula una critica rispetto a quanto affermato a proposito del tema «Mantenere un proficuo dialogo interistituzionale»: «Le norme sugli aiuti di Stato mantengono condizioni di parità anche tra le banche che ricevono aiuti di Stato e le banche che non ne beneficiano». È stata imposta una serie di condizioni alle banche che hanno ricevuto aiuti di Stato, ma non si può sostenere di aver mantenuto condizioni di parità tra i beneficiari di aiuti di Stato e gli altri soggetti. La distorsione della concorrenza esiste ed è appena scalfita dalle misure correttive imposte.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la relazione sulla politica di concorrenza 2016, che riguarda questioni di grande importanza nella vita delle imprese e dei cittadini.

3.2.

Il tessuto imprenditoriale europeo è costituito principalmente da PMI, che rappresentano la spina dorsale dell’economia europea e che, a causa delle loro dimensioni, sono più vulnerabili alla concorrenza sleale.

3.3.

Nel settore della grande distribuzione, le PMI sono particolarmente danneggiate dall’abuso di posizione dominante esercitato dai grandi gruppi di vendita al dettaglio, che, sfruttando il loro elevato potere negoziale e violando le regole di concorrenza, fanno ricorso a pratiche sleali nelle trattative, che continuano a eliminare i piccoli produttori e i piccoli commercianti, nonché a condizionare le scelte e gli interessi dei consumatori. Il CESE raccomanda alla Commissione di includere nelle future relazioni sulla politica in materia di concorrenza l’analisi del funzionamento della catena di approvvigionamento alimentare.

3.4.

Nel trattare i casi di abuso di posizione dominante e altre pratiche che limitano la concorrenza, assume grande importanza l’azione delle ANC. La Commissione ha analizzato le capacità di dette autorità in termini di risorse, competenze e indipendenza delle attività, constatando la possibilità di rafforzarne l’efficacia, e si attende l’adozione di misure dirette a questo fine. Il CESE ribadisce che le ANC possono e devono seguire un approccio basato più sulla prevenzione che sulla reazione in seguito a denuncia degli operatori o dei consumatori, in particolare rispetto alle pratiche di abuso di posizione dominante sul mercato che si verifica sistematicamente nelle riunioni di negoziazione. Il monitoraggio delle negoziazioni può contribuire a prevenire taluni abusi di posizione dominante, proteggendo i piccoli commercianti e i consumatori.

3.5.

È importante soprattutto in quest’ambito dare realizzazione concreta ai diritti al risarcimento del danno per le persone colpite da pratiche anticoncorrenziali, sebbene la direttiva 2014/104/UE del 26 novembre 2014 e la raccomandazione relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo nel quadro delle violazioni delle norme sulla concorrenza non si siano rivelate tali da dare la necessaria attuazione alla tutela collettiva dei diritti delle vittime di tali violazioni.

3.6.

In diversi settori si sono verificate varie fusioni e concentrazioni, che hanno portato alla creazione di «giganti» e possono compromettere il funzionamento del mercato e violare le norme in materia di concorrenza. La Commissione è stata chiamata a pronunciarsi su alcune di queste procedure. In pratica, poche di esse sono state ostacolate e l’imposizione di misure correttive come contropartita dell’autorizzazione non ha dato risultati all’altezza delle aspettative. La Commissione da un lato persegue i cartelli ma dall’altro autorizza le fusioni e acquisizioni senza misure compensative. Il CESE esprime preoccupazione per il potenziale pericolo insito nella creazione di gruppi di grandi dimensioni in alcuni settori, che rischia di portare a gravi distorsioni della concorrenza e alla distruzione di molte PMI, nonché di influire sulle scelte dei consumatori, ed esorta la Commissione ad essere vigile.

3.7.

Le distorsioni della concorrenza connesse con le relazioni esterne dell’Unione si fanno sentire sia nelle importazioni che nelle esportazioni. Di fatto, vengono immessi nel mercato europeo prodotti originari di paesi in cui persistono pratiche di dumping sociale, pratiche dannose per l’ambiente e persino aiuti di Stato che secondo le norme europee sarebbero considerati illegali. Le imprese europee che rispettano tali norme, invece, hanno difficoltà ad accedere ad altri mercati, in quanto risulta manifestamente impossibile applicare i prezzi praticati dai concorrenti provenienti da paesi nei quali la legislazione è più favorevole o i controlli sono inefficaci.

3.8.

Tuttavia, le distorsioni della concorrenza possono derivare anche dalle stesse norme dell’Unione. Un esempio è il sistema REACH (registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) che, a decorrere dal 31 maggio 2018, si applicherà alle imprese che fabbricano o immettono sul mercato sostanze chimiche in quanto tali, in quanto componenti di miscele oppure incorporate in articoli, in quantità superiori a 1 tonnellata all’anno. Detto regolamento impone alle imprese di registrare le suddette sostanze presso l’Agenzia europea delle sostanze chimiche (European Chemical Agency — ECHA) e di provvedere al versamento della relativa tassa. Il dichiarante è considerato il legittimo proprietario del rapporto, il che ha consentito la trasformazione delle informazioni in esso contenute in una merce che i dichiaranti principali, generalmente imprese di grandi dimensioni ed elevato potere economico, commercializzano sul mercato. In pratica, una società che tenti di procedere a una registrazione presso l’ECHA è informata dell’obbligo di contattare il dichiarante principale, il quale successivamente stabilisce il prezzo dell’autorizzazione all’accesso alle informazioni da esso registrate, che può arrivare fino a diverse decine o centinaia di migliaia di euro per sostanza. È previsto che le registrazioni presentate a norma del regolamento da non meno di 12 anni possano essere utilizzate da altri fabbricanti o importatori ai fini di una nuova registrazione. Tuttavia, nella pratica, con l’avvicinarsi della data in cui il regolamento REACH si applicherà pienamente a tutte le sostanze prodotte o immesse sul mercato in quantità superiori a 1 tonnellata l’anno, i dichiaranti principali impongono alle microimprese e alle piccole e medie imprese il pagamento di importi elevati o addirittura di percentuali sulle vendite, come contropartita della cosiddetta «lettera di accesso» alle informazioni fornite all’ECHA, che invece dovrebbero essere pubbliche e disponibili gratuitamente a tutti i cittadini e a tutte le imprese dell’UE, rispettando in tal modo la finalità della loro creazione, ossia la protezione della salute umana e dell’ambiente. In questo caso, una regolamentazione concepita al fine di migliorare la protezione della salute umana e dell’ambiente contro i rischi che possono derivare dall’impiego di sostanze chimiche, può creare un ostacolo all’ingresso sul mercato di nuove imprese e alla libera circolazione delle sostanze chimiche, dando luogo quindi a una situazione caratterizzata da una restrizione della concorrenza e da abusi di posizione dominante da parte delle imprese più grandi. Il CESE richiama l’attenzione sulla necessità di procedere a una valutazione e a una revisione del regolamento REACH al fine di abbattere eventuali ostacoli alla concorrenza derivanti dall’applicazione di questa normativa.

3.9.

La questione delle concentrazioni bancarie e degli aiuti di Stato al settore bancario continua ad essere all’ordine del giorno. La recente crisi finanziaria e il suo impatto sull’economia reale e sulla fiducia dei mercati hanno reso necessaria una vigilanza costante sulle pratiche del settore, visti i legittimi timori di un ripresentarsi di situazioni gravi. Gli aiuti di Stato temporanei hanno salvato dal collasso il settore finanziario. Le banche hanno subito perdite considerevoli durante la crisi finanziaria e vedono i loro margini ridotti, dato il livello degli spread attualmente praticati. Nel contesto della ristrutturazione del settore, si è assistito alla scomparsa di alcuni istituti, ma anche a concentrazioni che possono risultare preoccupanti, non solo per la stabilità del settore finanziario qualora dovessero ripetersi situazioni di crisi, ma in particolare quanto alla possibilità di distorsioni della concorrenza derivanti dalle dimensioni di questi nuovi gruppi. Il CESE invita la Commissione a prestare attenzione e a vigilare sui possibili abusi di posizione dominante che rischiano di nuocere agli interessi dei consumatori e delle imprese, in particolare le PMI.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   Aiuti di Stato

4.1.1.

Gli aiuti di Stato sono uno strumento importante per lo sviluppo, poiché consentono la convergenza delle regioni svantaggiate e la promozione dell’occupazione e dell’economia. Le scarse risorse devono essere utilizzate senza entrare in conflitto con le buone pratiche in materia di concorrenza.

4.1.2.

Il CESE riafferma la sua convinzione che la modernizzazione degli aiuti di Stato attualmente in corso deve essere in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020, della politica di coesione e della politica della concorrenza, salvaguardando nel contempo l’importanza degli aiuti di Stato per i settori che favoriscono lo sviluppo dell’Europa e per i servizi pubblici che soddisfano esigenze sociali.

4.1.3.

Già in passato il CESE si è espresso a favore della modernizzazione degli aiuti di Stato e ora accoglie con favore l’obbligo per le autorità preposte all’erogazione degli aiuti di fornire informazioni sugli aiuti concessi per importi superiori ai 500 000 EUR (3).

4.1.4.

Tali informazioni consentono di dare una risposta a un disagio manifestato dai cittadini europei che non si sentono sufficientemente informati in merito agli aiuti di Stato concessi (4). Ora occorre far conoscere questa possibilità di consultazione e rendere disponibili altre informazioni sulle modalità di concessione e recupero degli aiuti, promuovendo la trasparenza nell’uso dei fondi pubblici.

4.1.5.

Il CESE sostiene l’azione della Commissione per quanto riguarda la lotta agli aiuti di Stato erogati mediante decisioni anticipate in materia fiscale e che concedono benefici fiscali illegali, e l’adozione del pacchetto anti-elusione, con l’obiettivo di garantire che le imprese paghino le tasse nel luogo in cui sono realizzati gli utili e di impedire la pianificazione fiscale aggressiva (5).

4.2.   Mercato unico digitale

4.2.1.

Con l’aumento della rete a banda larga, il mercato dei servizi digitali assume una maggiore importanza nella vita dei cittadini e delle imprese dell’UE. Il commercio elettronico è sempre più utilizzato e la politica della concorrenza è intesa ad assicurare il funzionamento del mercato, proteggendo i consumatori e garantendo che le imprese più potenti non violino le norme.

4.2.2.

Il CESE invita la Commissione a proseguire il lavoro sui blocchi geografici al commercio elettronico, che rischiano di costituire un ostacolo alla creazione di un vero mercato unico digitale. In un mercato globale non può esistere alcuna forma di trattamento discriminatorio dei clienti sulla base della loro ubicazione.

4.2.3.

Il mercato digitale è dominato da alcuni giganti della tecnologia. Garantire ai consumatori l’accesso ai prodotti migliori, ai prezzi migliori, e l’ingresso sul mercato di nuovi prodotti e nuovi concorrenti costituisce una sfida.

4.2.4.

Talune piattaforme di prenotazione online sono attualmente fonte di grande preoccupazione per il settore alberghiero a causa dell’abuso di posizione dominante che esercitano in materia di prenotazioni. Tali piattaforme riscuotono commissioni notevolmente superiori a quelle applicate dalle agenzie di viaggio e si spingono persino a obbligare gli albergatori ad applicare gli stessi prezzi per lo stesso tipo di alloggio in tutti i canali di vendita. Il CESE invita la Commissione a verificare le clausole di parità e le commissioni applicate, che rappresentano una minaccia per la libera concorrenza nel settore.

4.2.5.

La Commissione ha continuato il suo lavoro d’indagine sulle pratiche di Google (funzionamento del motore di ricerca, restrizioni che la società ha posto sulla capacità di alcuni siti Internet di terzi di visualizzare annunci associati alla ricerca di concorrenti di Google, imposizione di condizioni restrittive ai fabbricanti di dispositivi Android e agli operatori di reti mobili) e di Amazon (accordi con gli editori) che potrebbero costituire violazioni delle norme antitrust. A Google è stata recentemente inflitta un’ammenda record di 2,4 miliardi di euro per avere abusato della sua posizione dominante sul mercato dei motori di ricerca, conferendo così un vantaggio illegale a un altro prodotto Google, ossia il suo servizio di acquisti comparativi.

4.2.6.

Google detiene una posizione dominante in quanto motore di ricerca e la Commissione deve provvedere affinché i risultati delle ricerche non presentino dati parziali che possano limitare la scelta degli utilizzatori delle informazioni. La Commissione dovrebbe dedicare la stessa attenzione alle pratiche di Booking, che abusando di una posizione dominante condiziona i risultati delle ricerche riguardanti l’offerta turistica europea, con un particolare impatto negativo sui mercati e sulle imprese più piccole.

4.2.7.

Il settore delle telecomunicazioni è di particolare importanza nella vita dei consumatori e delle imprese. Il CESE richiama l’attenzione della Commissione sul fatto che in questo settore non esiste ancora un mercato aperto e concorrenziale. In effetti, gli operatori di telecomunicazioni continuano ad adottare pratiche anticoncorrenziali, aumentando i prezzi durante il periodo di validità dei contratti senza fornire previamente al consumatore informazioni che gli consentano di rescindere il contratto, come previsto dalla legge. Tale aumento è stato particolarmente forte con la fine dei servizi di roaming, che, nella pratica, ha portato ad un aumento generalizzato delle tariffe, con effetti negativi per tutti coloro che non viaggiano.

4.3.   Mercato dell’energia e dell’economia circolare

4.3.1.

Nonostante il lavoro svolto negli ultimi anni, il mercato unico dell’energia rimane incompiuto. Il costo elevato dell’energia, soprattutto in alcuni paesi, ha un peso importante nel bilancio delle famiglie e delle imprese, dato che la liberalizzazione dei mercati non ha dato luogo ad un’effettiva riduzione delle tariffe. Questi prezzi mantengono l’Europa in una posizione di svantaggio in termini di costo dell’energia rispetto ai suoi concorrenti a livello mondiale.

4.3.2.

L’incremento dell’efficienza energetica e il ricorso alle energie rinnovabili devono continuare a essere idee fondamentali per un’Europa più competitiva e più sostenibile, nonostante le preoccupazioni di tipo ambientale sollevate dal trattamento di rifiuti derivanti dall’impiego di tale tecnologia (ad esempio, batterie e celle fotovoltaiche). Le energie rinnovabili, malgrado i progressi tecnologici, non sono ancora sufficientemente sviluppate per poter competere con i combustibili fossili e l’energia nucleare, e meritano quindi di essere sostenute anche in futuro per competere in un mercato più equo.

4.3.3.

Le energie rinnovabili non sono solo una fonte di energia pulita, ma vanno anche considerate un’opportunità per lo sviluppo delle comunità locali, che possono diventare nel contempo produttrici e consumatrici di energia, in un modello decentrato di produzione energetica vantaggioso per le comunità stesse.

4.3.4.

Grazie ai progressi tecnologici, la produzione di energia solare fotovoltaica è oggi più accessibile alle imprese e alle famiglie che intendono installare impianti per consumo proprio, ma l’assegnazione delle relative licenze è limitata a una certa potenza, il che rischia di limitare l’attrattiva dell’investimento per gli operatori di determinate dimensioni, che invece potrebbero vedere la propria bolletta energetica molto ridotta o quasi eliminata nei mesi di maggiore esposizione solare.

4.3.5.

D’altro canto, l’Europa deve continuare a garantire la propria indipendenza energetica attraverso il rafforzamento delle connessioni esistenti al fine di ridurre la propria esposizione e incrementare la concorrenza.

4.3.6.

Il CESE sottolinea una volta di più la necessità di attribuire un’importanza particolare alle grandi sfide cui deve far fronte l’UE:

ridurre i costi energetici per le famiglie e le imprese, con chiari benefici sul piano sociale ed economico e per la competitività esterna delle imprese europee,

promuovere la creazione di una vera e propria politica europea dell’energia,

migliorare l’integrazione dei mercati dell’energia mediante la promozione delle connessioni europee,

assumere un ruolo guida nell’attuazione dell’accordo di Parigi per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nel contesto dello sviluppo sostenibile.

4.4.   Cooperazione internazionale

4.4.1.

In un mercato globale, l’Europa continua a subire la concorrenza sleale da parte di paesi in cui vigono pratiche dannose in materia sociale e ambientale. Oltre all’importante aspetto sociale, le distorsioni della concorrenza derivanti dalle relazioni esterne dell’Unione giustificano un forte impegno nel quadro della diplomazia internazionale al fine di proteggere le imprese e i consumatori dalle distorsioni esistenti nelle importazioni e nelle esportazioni.

4.4.2.

Il CESE si rallegra dell’impegno assunto dalla Commissione di partecipare attivamente agli organismi internazionali in materia di concorrenza, come il comitato per la concorrenza dell’OCSE, la Banca mondiale, la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo e la Rete internazionale della concorrenza.

4.4.3.

Il CESE, inoltre, accoglie con favore l’impegno della Commissione nei negoziati per gli accordi di libero scambio con l’Armenia, il Messico, l’Indonesia, le Filippine e il Giappone, nonché nella cooperazione tecnica con le economie emergenti. Richiama tuttavia l’attenzione sulla necessità che tali accordi, oltre a consentire l’equilibrio della concorrenza, proteggendo le imprese e i consumatori, contribuiscano anche alla coesione economica e sociale europea.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2017) 285 final.

(2)  SWD(2017) 175 final.

(3)  https://webgate.ec.europa.eu/competition/transparency/public/search/home?lang=it

(4)  Perception and awareness about transparency of State aid («Percezione e consapevolezza in merito alla trasparenza degli aiuti di Stato»). Eurobarometro, luglio 2016.

(5)  http://ec.europa.eu/taxation_customs/business/company-tax/anti-tax-avoidance-package_en


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/117


Parere Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla revisione intermedia del piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali»

[COM(2017) 292 final]

(2018/C 081/16)

Relatore:

Daniel MAREELS

Consultazione

Commissione europea, 5.7.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

5.10.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

136/0/3

Preambolo

Il presente parere fa parte di un più ampio pacchetto di quattro pareri del CESE sul futuro dell’economia europea (dedicati rispettivamente all’approfondimento dell’Unione economica e monetaria, alla politica economica della zona euro, all’Unione dei mercati dei capitali e al futuro delle finanze dell’UE)  (1) . Il pacchetto si iscrive nel contesto del processo avviato di recente dalla Commissione europea con il suo Libro bianco sul futuro dell’Europa e tiene conto del discorso sullo stato dell’Unione 2017 pronunciato dal presidente Juncker. In linea con la sua risoluzione sul futuro dell’Europa  (2) e con i suoi pareri precedenti in merito al completamento dell’UEM  (3) , in questo pacchetto di pareri il CESE sottolinea la necessità di costruire, in relazione alla governance dell’UE, una visione comune che vada ben al di là delle impostazioni e delle misure tecniche e sia in primo luogo una questione di volontà politica e di prospettiva comune.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è un convinto fautore dell’Unione dei mercati dei capitali e nutre grandi aspettative in merito alla sua realizzazione, considerando tale unione, nel suo complesso, essenziale per portare avanti e approfondire l’integrazione europea e il progresso in ogni Stato membro, e considerata anche la necessità di tenere conto dell’evoluzione del contesto internazionale. Per il Comitato è importante che si compia ogni sforzo per garantire il buon esito di tale iniziativa. Bisogna fare progressi rapidi e raggiungere presto risultati per rilanciare l’economia dell’UE nel breve termine e per imprimerle nuovo dinamismo.

1.2.

Il Comitato, infatti, ha sempre sostenuto con forza e in modo esplicito l’ulteriore approfondimento e il completamento dell’Unione economica e monetaria (UEM). In questa sede rinnova con fermezza tale sostegno, pronunciandosi senza riserve a favore dell’Unione dei mercati dei capitali. Insieme all’unione bancaria, l’Unione dei mercati dei capitali deve portare all’unione finanziaria, la cui realizzazione concorrerà a garantire l’attuazione dell’UEM, in quanto ne costituisce uno dei fondamenti. Le prime realizzazioni nella costruzione dell’Unione dei mercati dei capitali sono ormai un dato di fatto, e anche sulla strada dell’unione bancaria sono stati compiuti numerosi passi avanti con l’attuazione del primo e del secondo pilastro e con le proposte relative al terzo pilastro. Ora è importante proseguire il lavoro su entrambi i fronti e realizzare effettivamente e quanto più rapidamente possibile quelli che sono gli obiettivi finali di queste iniziative.

1.3.

L’Unione dei mercati dei capitali potrà inoltre fornire un contributo sostanziale al consolidamento della ripresa economica, concorrendo così a favorire la crescita, gli investimenti e l’occupazione, con benefici sia per i singoli Stati membri che per l’UE nel suo insieme. Sul piano strutturale, l’ampliamento e la diversificazione delle fonti di finanziamento che accompagnano l’Unione dei mercati dei capitali garantiranno una maggiore integrazione, il che, a sua volta, contribuirà ad assicurare l’auspicato rafforzamento della stabilità, della sicurezza e della resilienza del sistema sia economico che finanziario. È ormai impensabile continuare a operare in maniera frammentata, perché questo ci farebbe perdere molte opportunità.

1.4.

Allo stesso modo, tenendo presenti gli spostamenti di forze e di equilibri di potere in atto a livello internazionale e mondiale e il processo che ci riguarda da vicino della Brexit, è essenziale che l’UE dia prova di determinazione e rafforzi la sua posizione economica. L’Europa potrebbe prendere esempio dalla resilienza e dal dinamismo mostrati dall’economia statunitense all’indomani della crisi.

1.5.

Per il CESE è evidente che l’Unione dei mercati dei capitali non deve essere un’opzione facoltativa a vantaggio di alcuni, ma deve diventare una realtà in tutti gli Stati membri dell’UE. Si tratta di un requisito indispensabile. A livello europeo e di singoli Stati membri deve esistere la volontà politica di compiere tutti gli sforzi possibili in questa direzione e di creare tutte le condizioni adeguate necessarie. Il risultato di questo processo deve essere un’Unione dei mercati dei capitali che favorisca l’integrazione in tutta l’Unione ma che, al tempo stesso, tenga conto delle esigenze, delle necessità e delle aspirazioni esistenti, in particolare di determinate regioni e di determinati territori. Occorre attuare una politica coerente e omogenea a tutti i livelli e respingere le iniziative che non sono in linea con gli obiettivi perseguiti.

1.6.

Secondo il CESE è estremamente importante massimizzare le possibilità di successo dell’Unione dei mercati dei capitali. Il Comitato propone pertanto espressamente di prevedere gli strumenti necessari a rilevare e misurare il perseguimento effettivo degli obiettivi fissati in relazione all’Unione dei mercati dei capitali e i progressi reali compiuti su questo piano in tutti gli Stati membri. Più concretamente, il Comitato è decisamente favorevole a introdurre un sistema di valutazione periodica dei progressi compiuti e dello stato di attuazione dell’Unione dei mercati dei capitali negli Stati membri, basato su criteri sia qualitativi che quantitativi e i cui risultati siano pubblici, accompagnato da misure e azioni adeguate da attuare in caso di inadempienza.

1.7.

Il successo finale dell’Unione dei mercati dei capitali dipenderà dalla misura in cui si riuscirà a dare attuazione concreta agli elementi costitutivi proposti, a far nascere un effettivo mercato unico e a far sì che questo sia utilizzato in modo efficace da tutte le parti interessate, in particolare i fornitori di servizi finanziari, le imprese, gli investitori e i risparmiatori. Il Comitato accoglie pertanto con favore l’attuale valutazione intermedia e la tempestività con cui è stata realizzata, e raccomanda che in futuro tali valutazioni siano effettuate a intervalli regolari, coinvolgendo attivamente e da vicino anche le suddette parti interessate.

1.8.

Le ulteriori tappe per portare a compimento l’Unione dei mercati dei capitali impongono di operare delle scelte. Secondo il Comitato occorre dare la precedenza a misure e azioni capaci di produrre il massimo grado di convergenza e che lascino agli Stati membri un margine di manovra quanto più limitato possibile per andare al di là di ciò che è strettamente necessario. In questo quadro va tenuto presente l’approccio REFIT, al fine di semplificare il tutto riducendo i costi ed evitando inutili oneri amministrativi.

1.9.

Nel documento della Commissione vengono definiti 38 elementi costitutivi che dovranno essere approntati entro il 2019 per realizzare l’Unione dei mercati dei capitali. Sebbene questo elevato numero di misure da attuare nel breve termine possa suscitare alcuni interrogativi in merito all’approccio da adottare, per il Comitato è importante gettare le basi per l’Unione dei mercati dei capitali al più presto e in maniera irrevocabile e irreversibile.

1.10.

In tale contesto il CESE chiede, in particolare, di rivolgere tutta la necessaria attenzione al finanziamento delle PMI, per le quali il finanziamento bancario rimane di fondamentale importanza. Oltre alle misure già realizzate, previste nel piano d’azione originale a loro favore (ad esempio, le cartolarizzazioni STS e la direttiva sui prospetti informativi), occorre adoperarsi per dare attuazione a tutte le iniziative enunciate nella comunicazione in esame volte a migliorare ulteriormente la situazione per questa categoria di imprese. Bisogna inoltre sviluppare e incoraggiare anche altri canali quali il finanziamento alternativo e la promozione di altri strumenti d’intervento a favore delle PMI.

1.11.

Inoltre, il CESE accoglie con favore il fatto che s’incentri l’attenzione sul rafforzamento degli investimenti sostenibili e sul ruolo guida che l’UE dovrebbe svolgere in tale ambito. Il CESE sostiene l’idea che si dovrebbe tener conto degli aspetti di sostenibilità quando si dovrà procedere prossimamente a riesaminare la legislazione finanziaria (azione prioritaria 6).

1.12.

Infine, il Comitato si compiace del fatto che la vigilanza sia al centro degli sforzi volti a sviluppare l’Unione dei mercati dei capitali. La vigilanza a livello europeo svolge un ruolo fondamentale, sia nel garantire la sicurezza e la stabilità, sia nel consentire di realizzare l’auspicata integrazione dei mercati e di eliminare le barriere, gli ostacoli e le disuguaglianze all’interno dell’Unione dei mercati dei capitali.

2.   Contesto

2.1.

All’inizio del suo mandato, la Commissione Juncker ha posto tra le sue priorità assolute l’impulso alla crescita, agli investimenti e all’occupazione. Al fine di realizzare questo obiettivo si è adoperata sin da subito per elaborare un piano di investimenti per l’Europa, articolato in diversi pilastri.

2.2.

Il piano prevede tra l’altro che si compiano progressi nel completamento dell’Unione dei mercati dei capitali. Questo percorso è stato avviato alla fine del settembre 2015, con la pubblicazione da parte della Commissione del suo Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali (4), nel quale vengono poste le basi per realizzare, entro il 2019, un’Unione dei mercati dei capitali ben funzionante e integrata, estesa a tutti gli Stati membri.

2.3.

In relazione a questo piano, meno di un anno più tardi, il Consiglio europeo ha chiesto «progressi rapidi e decisi […] per garantire alle imprese un accesso più facile ai finanziamenti e sostenere gli investimenti nell’economia reale proseguendo con l’agenda dell’unione dei mercati dei capitali» (5). Poco tempo dopo, la Commissione ha adottato una comunicazione in cui auspicava anch’essa un’accelerazione delle riforme (6).

2.4.

A ciò si è aggiunta ultimamente una serie di nuove sfide sul fronte dell’integrazione finanziaria, quale la futura uscita dall’UE del suo attuale maggiore centro finanziario (in seguito alla Brexit).

2.5.

Tutto questo ha indotto la Commissione a pubblicare, di recente (7), la Comunicazione sulla revisione intermedia del piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali  (8). In tale riesame intermedio, la Commissione non si limita a fare a) il punto della situazione sullo stato di avanzamento nell’attuazione del piano d’azione originario, ma annuncia anche b) una serie di nuove iniziative legislative riguardanti le misure ancora in sospeso e presenta c) diverse nuove azioni prioritarie.

2.5.1.

Con questo riesame intermedio la Commissione si propone in particolare di rispondere alle sfide sempre mutevoli che sono emerse, e intende altresì tenere conto dei risultati della consultazione pubblica svoltasi nella primavera del 2017.

2.5.2.

Delle 33 (9) misure previste nel piano, la Commissione ne ha realizzate 20, ossia oltre la metà, secondo il calendario originario. Le proposte sono volte, in particolare, a sviluppare i mercati del venture capital, semplificare e rendere meno costoso per le imprese l’accesso ai mercati aperti al pubblico tramite la revisione delle norme sui prospetti informativi, eliminare il trattamento fiscale preferenziale del debito rispetto al capitale, promuovere un mercato sicuro e liquido per le cartolarizzazioni, e offrire agli imprenditori onesti la possibilità di una ristrutturazione o una seconda opportunità in caso di fallimento.

2.5.3.

Per quanto riguarda le misure non ancora realizzate del programma (10), la Commissione intende presentare, in particolare, tre proposte legislative, considerate fondamentali per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali. Concretamente, si tratta di una proposta per la creazione di un prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP, testo pubblicato il 29 giugno 2017), una proposta volta a chiarire i conflitti di legge in materia di opponibilità ai terzi delle operazioni in titoli e crediti (4o trimestre 2017) e di una proposta per l’introduzione di un quadro UE per le obbligazioni garantite (1o trimestre 2018).

2.5.4.

Per rispondere alle sfide in evoluzione, la Commissione adotta nove nuove azioni prioritarie (11) volte a rafforzare l’Unione dei mercati dei capitali:

ampliare i poteri dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) al fine di promuovere l’efficacia di una vigilanza uniforme in tutta l’UE e oltre;

introdurre un contesto normativo più proporzionato per la quotazione delle PMI sui mercati aperti al pubblico;

rivedere il trattamento prudenziale delle imprese di investimento;

valutare l’opportunità di introdurre un regime UE di rilascio della licenza e del passaporto per le attività di fintech;

adottare misure atte a sostenere i mercati secondari dei crediti deteriorati e valutare eventuali iniziative legislative finalizzate a rafforzare la capacità dei creditori privilegiati di recuperare valore dai prestiti garantiti erogati a imprese e imprenditori;

dare seguito alle raccomandazioni del gruppo di esperti ad alto livello sulla finanza sostenibile;

facilitare la distribuzione transfrontaliera degli OICVM e dei fondi d’investimento alternativi (FIA) e la collegata attività di vigilanza;

fornire orientamenti sulla normativa vigente dell’UE in materia di trattamento degli investimenti transfrontalieri dell’UE e definire un adeguato quadro per la risoluzione amichevole dei contenziosi sugli investimenti;

elaborare una strategia organica dell’UE sulle possibili misure da adottare per sostenere lo sviluppo dei mercati dei capitali a livello locale e regionale.

2.6.

Lo scopo resta quello di contribuire in maniera determinante e durevole a posare, entro il 2019, gli elementi costitutivi per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali. Tutte queste iniziative saranno integrate nel programma di lavoro della Commissione per il 2018.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Innanzitutto, il Comitato rinnova il suo sostegno di massima, formulato in un precedente parere (12), a favore dell’Unione dei mercati dei capitali, la cui realizzazione è assolutamente necessaria per un’ulteriore integrazione finanziaria ed economica all’interno dell’Unione. Lo slancio attuale non deve rimanere sprecato, specie con i diversi spostamenti di forze e di equilibri di potere ora in atto a livello mondiale tra oriente e occidente. L’UE deve mostrare determinazione.

3.2.

L’Unione dei mercati dei capitali è un elemento essenziale di un più ampio programma che dovrebbe contribuire a generare crescita, investimenti e occupazione, e il rilancio, su basi sane e durevoli, dell’economia deve rimanere una priorità da perseguire senza tentennamenti. È infatti fondamentale consolidare la ripresa economica e far sì che un maggior numero di persone possano entrare e rimanere nel mondo del lavoro.

3.3.

L’Unione dei mercati dei capitali deve inoltre mettere in moto una mobilitazione su vasta scala dei capitali in Europa in un contesto più omogeneo e convogliare questi ultimi verso l’intero universo delle imprese, delle infrastrutture e dei progetti sostenibili a lungo termine. L’ampliamento e la diversificazione delle fonti di finanziamento, che sono gli obiettivi di tale Unione e in cui il finanziamento bancario e quello proveniente dal mercato svolgono appieno il loro ruolo, devono rendere l’economia più dinamica e vigorosa. A questo riguardo, oltre ad altre innovazioni tra cui quella di assegnare un ruolo più importante ai finanziatori non bancari, può servire da fonte di ispirazione il modello americano che nel dopo crisi ha dimostrato una maggiore resilienza.

3.4.

Al tempo stesso, bisogna proseguire sulla strada della convergenza economica e sociale e rafforzare quindi la stabilità economica e finanziaria all’interno dell’UE. Deve essere inoltre prioritario adottare un approccio qualitativo, caratterizzato da crescita e prosperità sane e sostenibili. L’Unione dei mercati dei capitali deve recare vantaggi anche alle imprese, agli investitori e ai risparmiatori, senza però che essi debbano sostenere un rischio eccessivo.

3.5.

La realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali è indispensabile anche per l’ulteriore approfondimento e il completamento dell’Unione economica e monetaria (UEM) (13). Il Comitato ribadisce in questa sede la sua tradizionale posizione in materia (14). Associata a un’unione bancaria a pieno titolo, l’Unione dei mercati dei capitali deve portare a una vera e propria unione finanziaria, la quale costituisce uno dei quattro pilastri (15) dell’UEM (16). In questi settori sono già stati compiuti diversi passi avanti ed è importante proseguire gli sforzi senza sosta.

3.6.

La realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali è nell’interesse di tutti gli Stati membri. Come sottolineato di recente «un altro importante vantaggio […] è rappresentato dal suo contributo alla crescita convergente tra gli Stati membri, derivante da una migliore circolazione e ripartizione del risparmio in tutta l’Unione». Di conseguenza, le economie più deboli saranno in grado di mettersi più rapidamente al passo con quelle più forti (17). A ciò va aggiunta la considerazione che «da questo punto di vista, la Brexit rende ancora più essenziale che l’Unione dei mercati dei capitali sia attuata in modo efficace e che la crescita europea possa avvalersi dei servizi di un sistema finanziario integrato» (18).

3.7.

Per queste ragioni il Comitato ritiene che sia assolutamente auspicabile compiere dei progressi rapidi, e condivide le dichiarazioni del Consiglio europeo del giugno 2016 (19) e le altre affermazioni in tal senso (20).

3.8.

La valutazione intermedia, realizzata con prontezza (21), del piano d’azione consente di monitorare i progressi compiuti e di reagire in maniera tempestiva. Il Comitato se ne compiace in quanto essa permette di dare una risposta più incisiva e mirata alle molteplici sfide future dettate da circostanze in continua evoluzione sul piano politico ed economico. È auspicabile, tra l’altro, che in futuro tali valutazioni intermedie vengano realizzate a intervalli regolari. Per il Comitato è opportuno che le diverse parti interessate siano coinvolte da vicino e in maniera attiva in questa analisi. Ciò è particolarmente importante in quanto il successo finale dell’Unione dei mercati dei capitali dipenderà dalla misura in cui si riuscirà a tradurre in realtà «concreta» gli elementi costitutivi proposti, a far nascere un effettivo mercato unico e a far sì che questo sia utilizzato in modo efficace dal maggior numero possibile di fornitori di servizi finanziari, di imprese, di investitori e di risparmiatori.

3.9.

Per realizzare l’Unione dei mercati dei capitali occorre dare la precedenza a misure che contribuiscano maggiormente a rafforzare la convergenza (22) e che lascino agli Stati membri il minore margine di manovra possibile per andare al di là di quanto strettamente necessario. Bisogna evitare che il recepimento della normativa europea negli ordinamenti nazionali e la sua applicazione concreta possano dar luogo a differenze. Occorre, inoltre, basarsi il più possibile sull’approccio REFIT.

3.10.

A giudizio del Comitato, l’Unione dei mercati dei capitali non deve essere un’opzione facoltativa unicamente a beneficio di alcuni paesi, ma deve invece diventare una realtà in tutti gli Stati membri dell’UE. Si tratta di un requisito indispensabile. Pertanto è di estrema importanza che a livello europeo e in ogni Stato membro vi sia la volontà (politica) di creare le condizioni adeguate e di prevedere gli incentivi necessari affinché questo risultato positivo sia possibile e si trasformi in realtà.

3.11.

Nessuna concessione può essere fatta in merito all’assoluta necessità di attuare l’Unione dei mercati dei capitali in tutti gli Stati membri (cfr. il punto 3.10 supra). A tal fine bisogna prevedere strumenti che consentano di valutare il perseguimento effettivo degli obiettivi fissati e i progressi reali compiuti su questo piano in tutti gli Stati membri. In quest’ottica, il Comitato è decisamente favorevole a introdurre un sistema di valutazione periodica dei progressi compiuti e dello stato di attuazione dell’Unione dei mercati dei capitali negli Stati membri, basato su criteri sia quantitativi che qualitativi, i cui risultati devono essere resi pubblici. Devono inoltre essere previste azioni e misure adeguate da attuare in caso di inadempienza.

3.12.

Il risultato di questo processo deve essere un’Unione dei mercati dei capitali che favorisca l’integrazione in tutta l’Unione ma che, al tempo stesso, tenga conto delle esigenze, delle necessità e delle aspirazioni dei singoli Stati membri, senza che ciò possa dar luogo a nuove divisioni o frammentazioni. In questo contesto è chiaro che lo sviluppo di mercati dei capitali a livello regionale è molto importante per talune regioni e per gli operatori economici che vi sono stabiliti (azione prioritaria 9). Tale sviluppo può contribuire anche a stimolare il commercio e la prestazione di servizi a livello transfrontaliero, che attualmente risultano spesso più onerosi e difficili di quanto non lo siano a livello locale.

3.13.

L’efficace realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali impone inoltre l’attuazione di una politica coerente e omogenea a tutti i livelli. A tal fine è importante respingere le iniziative che non sono in linea con questo progetto e/o che potrebbero creare frammentazione, barriere o altri ostacoli.

3.14.

Attualmente la panoramica degli elementi basilari dell’Unione dei mercati dei capitali da approntare entro il 2019, delineata nel documento della Commissione (23), comprende non meno di 38 misure e azioni. Se si vogliono tenere aperte tutte le possibilità di riuscita descritte sopra, è opportuno chiedersi se non si stia mettendo troppa carne al fuoco in un lasso di tempo molto ridotto e se non sia invece meglio concentrarsi su un numero limitato di priorità (24). Quale che sia la risposta a questo interrogativo, la cosa importante è procedere secondo la tabella di marcia che ci si è dati, guardando il più possibile ai risultati, e gettare in maniera irreversibile le basi per l’Unione dei capitali.

3.15.

Il finanziamento delle PMI, che costituiscono il motore trainante dell’economia europea e sono di vitale importanza per l’occupazione, è un tema di grandissimo interesse per il Comitato, come già sottolineato nel suo precedente parere sul piano d’azione. Anche dopo questa valutazione intermedia, il Comitato s’interroga però (25) quanto alla pertinenza e all’efficacia dell’Unione dei mercati dei capitali nel caso delle PMI.

3.16.

In particolare per quanto riguarda le PMI — soprattutto quelle di piccole dimensioni — occorre compiere ogni sforzo per far sì che il finanziamento bancario sia e rimanga facilmente accessibile e interessante, sia a livello locale che a livello transfrontaliero (26). Bisogna inoltre incoraggiare e migliorare le possibilità di finanziamento alternativo per le PMI. Le proposte in materia di cartolarizzazione (cartolarizzazioni STS), in merito alle quali il CESE si è espresso positivamente in un precedente parere (27), costituiscono senza dubbio un passo nella giusta direzione, ma bisogna fare di più. Lo sviluppo di un mercato secondario dei crediti deteriorati (azione prioritaria 4) e la definizione di un quadro per le obbligazioni garantite possono svolgere anch’essi un ruolo di primo piano, così come la promozione degli strumenti di natura politica esistenti a sostegno delle PMI.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Senza pretese di esaustività, il Comitato formula qui di seguito una serie di osservazioni e commenti in merito ad alcune azioni prioritarie (28) annunciate nel documento in esame che hanno attirato la sua attenzione.

4.2.

Il Comitato accoglie con particolare soddisfazione il fatto che la vigilanza sia al centro degli sforzi volti a sviluppare l’Unione dei mercati dei capitali (azione prioritaria 1), e si augura che tale aspetto continui a essere oggetto di un’attenzione prioritaria. La vigilanza a livello europeo svolge un ruolo fondamentale, sia nel garantire la sicurezza e la stabilità del sistema finanziario ed economico, sia nel consentire di realizzare l’auspicata integrazione dei mercati e di eliminare le disuguaglianze e altri ostacoli, di qualsiasi natura essi siano, dal mercato unico.

4.3.

La ricerca di una migliore proporzionalità delle norme a sostegno delle offerte pubbliche iniziali e delle imprese di investimento (azione prioritaria 2) è assolutamente encomiabile e merita senz’altro attenzione ma, al tempo stesso, non bisogna perdere di vista gli interessi e la protezione dei piccoli risparmiatori e investitori.

4.4.

Del tutto giustificato è anche l’interesse a rafforzare il ruolo guida dell’UE negli investimenti sostenibili (azione prioritaria 6). È infatti importante che l’Europa svolga un ruolo di primo piano in materia di crescita «buona» e sostenibile. Al riguardo occorre privilegiare un approccio qualitativo. È altresì importante che i risparmiatori e gli investitori possano disporre di informazioni pertinenti, riguardanti un periodo di tempo sufficientemente lungo. Ad esempio, nessun dato viene conservato per più di 3 anni per quanto riguarda l’impatto di un investimento. Bisognerebbe perciò valutare la possibilità di estendere tale termine.

4.5.

Il CESE è d’accordo con la Commissione europea (29) nel considerare che sarebbe opportuno combinare in maniera efficace capitali privati, finanziamenti del FEIS e altri fondi UE per reindirizzare gli investimenti verso le PMI che presentano esternalità sociali e ambientali positive, contribuendo in tal modo anche al conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (OSS) e in particolare agli obiettivi del recente pilastro europeo dei diritti sociali.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il pacchetto comprende i seguenti pareri del CESE: Politica economica della zona euro 2017 (supplemento di parere) (Cfr. pag. 216 della presente Gazzetta ufficiale), Unione dei mercati dei capitali: riesame intermedio, Approfondimento dell'UEM entro il 2025 (Cfr. pag. 124 della presente Gazzetta ufficiale) e Le finanze dell'UE entro il 2025 e Le finanze dell'UE entro il 2025. (Cfr. pag. 131 della presente Gazzetta ufficiale).

(2)  Risoluzione del CESE, del 6 luglio 2017, in merito al Libro bianco della Commissione sul futuro dell'Europa e oltre..*GU C 345 del 13.10.2017, pag. 11***.

(3)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10 e GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 8.

(4)  COM(2015) 468 final.

(5)  http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/06/28-euco-conclusions/.

(6)  COM(2016) 601 final.

(7)  In data 8 giugno 2017.

(8)  COM(2017) 292 final.

(9)  COM(2017) 292 final, punto 2.

(10)  Ibidem, nota 9.

(11)  COM(2017) 292 final, punto 4.

(12)  GU C 133 del 14.4.2016, pag. 17.

(13)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10, punto 1.8.

(14)  Cfr. anche il parere del CESE sul tema Approfondire l'UEM entro il 2025. (Cfr. pag. 124 della presente Gazzetta ufficiale).

(15)  Oltre alla creazione un’unione monetaria, è necessario realizzare una vera unione economica, come anche un’unione di bilancio e un’unione politica. Relazione dei cinque presidenti Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa, giugno 2015.

(16)  Cfr. anche la relazione dei cinque presidenti Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa, giugno 2015.

(17)  In questo modo potranno essere anche assorbiti meglio gli effetti asimmetrici delle crisi economiche.

(18)  Cfr., in particolare, Vítor Constâncio, vicepresidente della Banca centrale europea, Effectiveness of Monetary Union and the Capital Markets Union (Efficacia dell’Unione monetaria e dell’Unione dei mercati dei capitali), Malta, 6 aprile 2017. http://malta2017.eurofi.net/highlights-eurofi-high-level-seminar-2017/vitor-constancio-vice-president-european-central-bank/.

(19)  Cfr. il punto 2.3 del presente parere.

(20)  Cfr. nota 13.

(21)  Entro meno di due anni dalla pubblicazione del piano d’azione.

(22)  Sarebbe, ad esempio, preferibile adottare, ove possibile, dei regolamenti piuttosto che direttive.

(23)  Cfr. l’allegato alla comunicazione della Commissione, COM(2017) 292 final.

(24)  Durante il seminario ad alto livello EUROFI 2017 svoltosi a Malta (il 5, 6 e 7 aprile 2017) sono stati realizzati diversi sondaggi tra i partecipanti. Uno dei quesiti posti era il seguente: «Come si può fare per imprimere un’accelerazione significativa all’Unione dei mercati dei capitali?» Per il 37 % dei partecipanti la risposta è stata «concentrarsi su un numero limitato di priorità fondamentali», il 29 % ha scelto la risposta «imprimere slancio a livello politico per abbattere le barriere nazionali»; il 12 % ha risposto «creare uno centro finanziario nell’UE-27» e un altro 12 % ha stimato che «non è possibile imprimere un’accelerazione significativa all’Unione dei mercati dei capitali». Le risposte al quarto e quinto posto in ordine di preferenza sono state rispettivamente «rafforzare la convergenza in materia di vigilanza» (8 %) e «adeguare ulteriormente la regolamentazione bancaria alle specificità del mercato finanziario dell’UE» (3 %).

Un altro quesito era il seguente: «Quali sono le due priorità fondamentali nell’UE-27 per realizzare gli obiettivi in materia di Unione dei mercati dei capitali?». Le prime tre risposte sono state: «migliorare la coerenza della normativa sull’insolvenza e sui valori mobiliari» (21 %), «sviluppare il finanziamento tramite capitale» (16 %) e «realizzare con successo le priorità a breve termine (cartolarizzazioni, prospetti informativi ecc.)» (15 %).

In merito al seminario ad alto livello EUROFI (e in particolare i risultati dei sondaggi), cfr. https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2017/html/sp170406_2.en.html.

(25)  GU C 133 del 14.4.2016, pag. 17, punto 1.6.

(26)  La situazione varia da uno Stato membro all’altro.

(27)  GU C 82 del 3.3.2016, pag. 1.

(28)  Si tratta di quelle alle quali non è stato fatto riferimento in altre parti del presente parere.

(29)  COM(2017) 292 final, punto 4.5.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/124


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul «Documento di riflessione sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria»

[COM(2017) 291 final]

(2018/C 081/17)

Relatore:

David CROUGHAN

Consultazione

Commissione europea, 5/7/2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

5.10.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

138/3/8

Preambolo

Il presente parere fa parte di un più ampio pacchetto di quattro pareri del CESE sul futuro dell’economia europea (dedicati rispettivamente all’approfondimento dell’Unione economica e monetaria, alla politica economica della zona euro, all’Unione dei mercati dei capitali e al futuro delle finanze dell’UE)  (1) . Il pacchetto si iscrive nel contesto del processo avviato di recente dalla Commissione europea con il suo Libro bianco sul futuro dell’Europa e tiene conto del discorso sullo stato dell’Unione 2017 pronunciato dal presidente Juncker. In linea con la sua risoluzione sul futuro dell’Europa  (2) e con i suoi pareri precedenti in merito al completamento dell’UEM  (3) , in questo pacchetto di pareri il CESE sottolinea la necessità di costruire, in relazione alla governance dell’UE, una visione comune che vada ben al di là delle impostazioni e delle misure tecniche e sia in primo luogo una questione di volontà politica e di prospettiva comune.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La moneta comune e le sue istituzioni hanno costituito un fattore di stabilizzazione nella crisi finanziaria mondiale e, prima ancora, avevano recato a imprese e cittadini dei benefici non solo sotto forma di bassa inflazione e tassi d’interesse ridotti, ma anche in termini di facilità nell’effettuare viaggi e scambi commerciali transfrontalieri.

1.2.

Tuttavia, il documento di riflessione mostra chiaramente che l’UEM è ancora incompleta e che, nell’integrazione a livello UE, la componente «economica» è rimasta indietro rispetto al pilastro «monetario» — una situazione, questa, che ostacola la capacità dell’UEM di sostenere la politica monetaria europea e le politiche economiche nazionali. Le decisioni volte a correggere le carenze sul piano istituzionale e della governance, che sono in parte la causa della costante fragilità dell’area dell’euro, non possono essere rinviate all’infinito. Vi è la necessità di rafforzare la volontà politica per cementare la parte dell’UEM relativa all’«Unione».

1.3.

Le spinte verso il protezionismo e l’abbandono, in un prossimo futuro, della politica dei tassi d’interesse eccezionalmente bassi e dell’allentamento quantitativo indirizzano il mondo verso un futuro molto più incerto, lasciando poco tempo per compiere passi in avanti. Il CESE ricorda ai dirigenti politici che è ancor più importante che gli europei si impegnino a favore di una progettualità comune rafforzando la loro influenza e il loro potere attraverso una maggiore integrazione. Il CESE esorta la Commissione e il Consiglio europeo a prendere decisioni coraggiose già prima della fine del mandato in corso, in modo da far progredire gli elementi necessari per una governance a livello UE.

1.4.

Tra gli elementi più importanti per la stabilità figura la convergenza verso l’alto delle eterogenee economie europee. A questo fine i responsabili politici e le parti sociali degli Stati membri dovranno fare spazio alla dimensione europea nelle loro discussioni a livello nazionale sulle politiche economiche e di bilancio. Il CESE invoca una maggiore «parlamentarizzazione» della zona euro, con una «grande commissione» del PE che riunisca tutti i parlamentari degli Stati che fanno parte dell’area dell’euro o che intendono entrarvi, unitamente a un maggiore coordinamento dei parlamentari della zona euro in merito alle questioni dell’UEM.

1.5.

Per garantire efficacia, equilibrio ed equità, le politiche nazionali mirate alla crescita economica e al benessere sociale dovrebbero essere concepite e coordinate anche tenendo presente l’interesse generale dell’area dell’euro; e, per motivi di responsabilità democratica e di titolarità, il processo del semestre europeo dovrebbe coinvolgere il Parlamento europeo, i parlamenti nazionali, le parti sociali e la società civile. La dimensione sociale deve essere presa in considerazione su un piano di parità con la dimensione economica.

1.6.

Il CESE riconosce i punti dolenti nella governance del settore finanziario e appoggia pienamente le iniziative volte a completare l’Unione finanziaria, comprese l’Unione bancaria e l’Unione dei mercati dei capitali.

1.7.

Sono necessarie soluzioni immediate per affrontare la questione dei prestiti in sofferenza che, pesando sulle risorse finanziarie e umane delle banche, frenano l’erogazione di credito a fini di investimento e rappresentano un deterrente per gli investitori, giacché temono che i rendimenti generati dai nuovi investimenti siano dirottati per rimborsare i prestiti in sofferenza.

1.8.

Il CESE appoggia la creazione, entro il 2018, di un quadro che renda possibile l’emissione di titoli che abbiano come sottostante obbligazioni di Stato (sovereign-bond backed securities — SBBS), secondo quanto proposto dal documento di riflessione. Nel medio-lungo termine si renderebbe necessaria la creazione di un attivo europeo sicuro, per ridurre la volatilità sui mercati finanziari e assicurare la stabilità delle economie degli Stati membri in caso di shock asimmetrici.

1.9.

È opportuno un bilancio delle risorse proprie con una dotazione superiore al livello fissato nel QFP — pari all’1 % del PIL — allo scopo di finanziare il rafforzamento del meccanismo europeo di stabilità (MES) che dovrebbe trasformarsi in un fondo monetario europeo, in grado di fornire risorse agli Stati membri in crisi e di servire anche da sostegno per il settore bancario. Un bilancio più consistente dovrebbe inoltre rappresentare una risorsa per mantenere, all’interno dell’area dell’euro, i livelli d’investimento essenziali nelle infrastrutture produttive che apportano benefici su scala europea. L’accesso a tali fondi dovrebbe essere collegato al conseguimento di progressi concordati in rapporto a parametri economici e sociali.

1.10.

Vi è la necessità di una politica di bilancio in grado di stimolare l’economia dell’area dell’euro nelle fasi di contrazione. Nella loro forma attuale, le regole di bilancio e le raccomandazioni specifiche per paese (RSP) agiscono in modo prociclico, deprimendo ulteriormente le economie deboli. La procedura per gli squilibri macroeconomici (PSM), che costituisce un elemento importante del processo relativo al semestre europeo, dovrebbe essere in prima linea nella prevenzione degli squilibri macroeconomici all’interno della zona euro. Andrebbe posto un accento più marcato sull’influenza negativa esercitata sull’area dell’euro dagli Stati membri che fanno registrare in modo persistente un avanzo della bilancia dei pagamenti.

1.11.

Il Comitato raccomanda di studiare degli strumenti che migliorino la governance economica nell’UEM, ad esempio mediante l’istituzione della carica permanente di ministro delle Finanze dell’area dell’euro, garantendo al tempo stesso la piena responsabilità democratica. Il raggruppamento delle competenze accrescerebbe la coerenza delle politiche dell’UEM, che sono attualmente frammentate a causa della quantità di istituzioni diverse esistenti.

2.   Contesto di riferimento

2.1.

Il 1o marzo 2017 la Commissione europea ha presentato un Libro bianco sul futuro dell’Europa, che è stato seguito da diversi documenti di riflessione nei vari settori delle politiche europee. Il presente parere si sofferma sul terzo documento di riflessione, dedicato all’ approfondimento dell’Unione economia e monetaria .

2.2.

La moneta comune e le sue istituzioni hanno costituito un fattore di stabilizzazione nella crisi finanziaria mondiale e, prima ancora, avevano recato a imprese e cittadini dei benefici non solo sotto forma di bassa inflazione e tassi d’interesse ridotti, ma anche in termini di facilità nell’effettuare viaggi e scambi commerciali transfrontalieri.

2.3.

Tuttavia, il documento di riflessione mostra chiaramente che l’UEM è ancora incompleta e che, nell’integrazione a livello UE, la componente «economica» è rimasta indietro rispetto al pilastro «monetario» — una situazione, questa, che ostacola la capacità dell’UEM di sostenere la politica monetaria europea e le politiche economiche nazionali. Nel documento non viene mossa alcuna critica nei confronti delle politiche perseguite o delle decisioni adottate oppure congelate. Vi è la necessità di rafforzare la volontà politica per cementare la parte dell’UEM relativa all’«Unione».

2.4.

La questione sistemica veramente importante che l’Unione europea deve affrontare è in che modo si possa creare una moneta unica, perseguire una politica monetaria unica e nel contempo mantenere la scelta politica di lasciare la politica economica e di bilancio al livello nazionale.

2.5.

La crisi ha dimostrato chiaramente in che misura tale scenario sia inverosimile. L’incapacità di riunire gli elementi necessari della sovranità e creare una fiducia reciproca tra gli Stati membri ha portato a una mancanza di solidarietà. Le eterogenee economie dell’area dell’euro hanno preso strade differenti, nel quadro di un coordinamento debole e irrimediabilmente incompleto delle politiche economiche e di bilancio, rendendo necessaria l’adozione di misure di crisi attraverso la procedura intergovernativa. Non sorprende, quindi, che l’area dell’euro si sia spaccata e gli Stati creditori abbiano dettato le condizioni agli Stati debitori, vista anche l’assenza di un ministro delle Finanze per l’area dell’euro.

3.   Argomentazioni a favore dell’approfondimento dell’UEM

3.1.

Nel corso degli ultimi anni il CESE ha invocato l’approfondimento dell’UEM in numerosi suoi pareri (4). Il Comitato, pertanto, accoglie con favore e condivide la tesi esposta dalla Commissione riguardo al completamento dell’Unione economica e monetaria, e rileva che le realtà economiche sono differenti da uno Stato all’altro — una situazione, questa, che dà luogo a percezioni assai diverse delle sfide che l’area dell’euro deve affrontare. Un’UEM più forte richiede una convergenza maggiore.

3.2.

Il CESE è consapevole che gli Stati membri hanno punti di vista differenti sul futuro dell’Europa, una diversità dovuta alle loro vicende storiche e alla loro eterogeneità. Ciononostante, le decisioni volte a correggere le carenze sul piano istituzionale e della governance — che sono in parte la causa della costante fragilità dell’area dell’euro, del persistere degli squilibri e delle grandi differenze osservabili nei risultati economici e sociali degli Stati membri — non possono essere rinviate all’infinito (5).

3.3.

L’UE non è riuscita a realizzare la convergenza verso l’alto degli Stati membri, che secondo alcuni avrebbe potuto essere il risultato di una politica monetaria unica. L’incapacità di affrontare tutti i fattori della competitività nell’economia reale ha generato divergenze che hanno reso la politica monetaria unica inadatta per numerosi Stati membri, e questa situazione ha portato a coniare l’espressione «one size fits none» («una soluzione unica non va bene per nessuno»). Il CESE ha già espresso le proprie riserve segnalando che la scelta di assicurare un seguito alla relazione dei cinque Presidenti mediante un Libro bianco si sarebbe tradotta in una perdita di slancio e d’urgenza.

3.4.

Ora si avverte la necessità di compiere progressi su tutti i fronti — a livello economico e sociale, finanziario e di bilancio, oltre che politico — per creare le condizioni necessarie a riunire gli elementi essenziali della sovranità, senza timori di azzardo morale, allo scopo di garantire che l’UE operi per il bene di tutti. In questo modo verranno sostituite le strutture dell’attuale governance, che non sono ottimali, e l’UE — e in particolare l’area dell’euro — potrà riconquistare la fiducia sia dei cittadini che degli investitori, oltre a svolgere appieno il suo ruolo nelle questioni di rilevanza mondiale.

3.5.

Il Comitato è preoccupato per il fatto che — dopo la crisi, e pur essendo state pubblicate la relazione dei quattro presidenti, nel 2012, e la relazione dei cinque presidenti, nel 2015 — i progressi tangibili compiuti sono stati insufficienti ad approfondire veramente l’UEM. La mancanza di urgenza nella realizzazione di riforme istituzionali fondamentali volte non solo a conferire legittimità democratica all’adozione di decisioni esecutive, ma anche a garantire l’attuazione e il rispetto delle norme, costituisce una delle preoccupazioni principali. Questo vuoto di governance sta rafforzando la deriva verso il populismo e le soluzioni unilaterali di taglio protezionistico in alcuni Stati membri.

3.6.

Il mondo globalizzato in cui interagiamo diviene sempre più incerto, con paesi che abbandonano il libero scambio a favore del protezionismo; in un prossimo futuro bisognerà abbandonare la politica dei tassi d’interesse eccezionalmente bassi e dell’allentamento quantitativo che ha sostenuto la ripresa in gran parte del mondo sviluppato, e le conseguenze saranno imprevedibili e, probabilmente, sfavorevoli. Adesso rimangono poche opportunità per compiere progressi.

3.7.

Una piena unione politica e di bilancio può rappresentare un progetto per il medio-lungo termine, ma nel breve termine è necessario varare misure essenziali in questa direzione, allo scopo di rafforzare l’UEM e assicurare una maggiore stabilità. Il CESE ricorda ai dirigenti politici che è ancor più importante che gli europei si impegnino a favore di una progettualità comune rafforzando la loro influenza e il loro potere attraverso una maggiore integrazione.

3.8.

Il Comitato esorta la Commissione e il Consiglio europeo a prendere decisioni coraggiose, con il necessario e pieno coinvolgimento del Parlamento europeo e prima della fine dell’attuale mandato, allo scopo di far progredire gli elementi necessari per una governance a livello dell’UE. Se si ritarda nell’affrontare di petto le riforme essenziali rinviandole a una prossima legislatura europea, si cede all’abulia, un atteggiamento che né i mercati né i cittadini potrebbero tollerare.

4.   Unione finanziaria: riduzione e ripartizione dei rischi

4.1.

Il CESE riconosce i punti dolenti nella governance del settore finanziario e appoggia pienamente le iniziative volte a completare l’Unione finanziaria, compresa l’Unione bancaria e l’Unione dei mercati dei capitali.

4.2.

Il completamento dell’Unione bancaria è fondamentale per l’approfondimento dell’UEM. La frammentazione del mercato e delle regolamentazioni ha rappresentato un fattore di particolare rilievo tra gli ostacoli che si sono frapposti al reperimento di una soluzione per la crisi finanziaria. Il CESE riconosce che sono stati compiuti molti passi avanti per coordinare il settore, ma chiede a tutti i soggetti di procedere il più rapidamente possibile verso il completamento dell’Unione bancaria.

4.3.

In particolare, è importante completare il lavoro svolto in relazione all’Unione bancaria per rafforzare l’integrazione finanziaria e la ripartizione dei rischi attraverso i mercati finanziari. Vi è l’urgente necessità di istituire, entro il 2019, un sostegno comune al Fondo di risoluzione unico attraverso il MES, per garantire un’operatività adeguata, rapida ed efficiente. In questo modo verrebbero anche eliminate eventuali parzialità a livello politico. Il CESE è favorevole all’idea che il MES assuma anche la funzione di Fondo monetario europeo e abbia accesso a un meccanismo di bilancio finanziato con risorse proprie, dopo essere stato inquadrato nel diritto dell’UE.

4.4.

Bisognerebbe attuare senza indugio un sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS) (6) che tenga conto dei sistemi nazionali già esistenti, per far sì che i risparmi giacenti nei conti di deposito abbiano una protezione migliore e identica in tutta l’Unione europea.

4.5.

Per avere la certezza di compiere progressi su questi fronti, è necessario affrontare in modo globale la questione dei prestiti in sofferenza (7), che sono notevolmente aumentati durante la crisi. Questi crediti deteriorati, pesando sulle risorse finanziarie e umane delle banche, frenano l’erogazione di credito per nuovi investimenti, che sono cruciali per la crescita. La Banca centrale europea (BCE), la Commissione e i governi dovrebbero unire le forze per affrontare questa annosa questione, sulla base del principio guida che il debito sostenibile continua ad essere rimborsato, mentre per il debito non sostenibile si procede rapidamente alla sua risoluzione. L’assenza di una celere procedura di risoluzione scoraggia i potenziali investitori dall’effettuare nuovi investimenti, per timore che i ratei attivi vengano assorbiti per ripianare i vecchi debiti.

4.6.

Un quadro di riferimento migliore per la ristrutturazione del debito e l’insolvenza all’interno dell’area dell’euro costituisce un elemento fondamentale per la ripresa dalla crisi, e tal fine è necessario ricorrere ai mercati secondari che sono dotati di competenze speciali. Il CESE raccomanda di trarre insegnamento dagli esempi relativi alla creazione di società veicolo per la gestione delle attività (le cosiddette «bad bank»). L’UEM necessita di soluzioni intelligenti e sostenibili per i prestiti in sofferenza, che attualmente rimangono un motivo di preoccupazione.

4.7.

Il CESE esorta la Commissione a continuare a lavorare alacremente per la creazione di un’Unione dei mercati dei capitali, che rappresenterebbe una fonte importante di finanziamenti supplementari per le imprese di dimensioni maggiori e avrebbe una funzione importante da svolgere nella ripartizione dei rischi. Il Comitato riconosce che questa iniziativa non fornirà una fonte supplementare di finanziamenti alle PMI, in particolare alle piccole imprese e alle microimprese. Di conseguenza, il settore bancario continuerà a rivestire un ruolo cruciale e, in quest’ottica, le banche dovranno tornare a concentrare la loro attenzione sul soddisfacimento delle necessità dell’economia reale; a questo fine, saranno necessari un accesso equo ai finanziamenti e una finanza bancaria sostenibile in tutti gli Stati membri (8).

4.8.

Il CESE appoggia la creazione, nel breve termine (entro il 2018), di un quadro che renda possibile l’emissione di titoli che abbiano come sottostante obbligazioni di Stato (sovereign-bond backed securities — SBBS), secondo quanto proposto dal documento di riflessione e dal progetto di programma di lavoro della Commissione per il 2018. Questi titoli hanno la capacità di spezzare il legame tra banche e emittenti sovrani attraverso l’eliminazione del trattamento «privilegiato» riservato per legge alle obbligazioni di Stato e la diversificazione dei bilanci delle banche, evitando al tempo stesso la mutualizzazione del debito. È necessaria una consultazione con i prestatori di servizi finanziari, per garantire un adeguato trattamento normativo e promuovere la ripartizione dei rischi sul mercato privato.

4.9.

Nel medio-lungo termine (entro il 2025) si renderebbe necessaria la creazione di un attivo europeo sicuro, affine ai titoli a lunga scadenza degli Stati Uniti, al fine di ridurre la volatilità sui mercati finanziari e di assicurare la stabilità delle economie degli Stati membri in caso di shock asimmetrici. Il CESE raccomanda da tempo l’emissione di obbligazioni dell’UE («Union bond») e di obbligazioni in euro («Eurobond») (9). Sono state discusse anche altre proposte analoghe, come un fondo di rimborso del debito e un fondo di eurotitoli. La Commissione, sulla base delle conclusioni del gruppo di esperti creato per analizzare i vantaggi e i rischi delle diverse opzioni relative all’emissione congiunta di titoli di debito, dovrebbe ora presentare una proposta concreta in merito a quale strumento utilizzare e alla relativa tempistica (10). Per evitare l’azzardo morale, gli Stati membri dovrebbero poter avvalersi di questo strumento, purché siano rispettate le raccomandazioni specifiche per paese che li riguardano.

5.   Rilanciare la convergenza in un’Unione economica e di bilancio più integrata

5.1.

Il Comitato si compiace che il documento in esame riconosca esplicitamente che la convergenza verso l’alto in direzione di strutture economiche e sociali più resilienti costituisce un elemento essenziale per un’UEM più forte. Anche se, a causa dell’eterogeneità degli Stati membri, non sono applicabili politiche «universali» che impongano un’armonizzazione generale, si rende tuttavia necessario un approccio comune che porti a determinati risultati.

5.2.

Il punto debole della politica economica e di bilancio dell’UEM consiste fondamentalmente nell’assenza di una volontà politica a livello europeo che permetta all’UE di essere coinvolta nelle politiche economiche e di bilancio a livello nazionale. Il CESE ha già sottolineato la necessità di un dialogo macroeconomico potenziato e rafforzato, in particolare con gli Stati membri che fanno parte dell’area dell’euro, dialogo che potrebbe contribuire a far sì che alla dimensione dell’eurozona sia attribuita maggiore considerazione a livello nazionale. Inoltre, per l’assunzione di decisioni a livello esecutivo, è necessario un sistema più democratico rispetto al Consiglio dei ministri, i cui singoli membri sono responsabili unicamente dinanzi ai rispettivi parlamenti nazionali e non verso l’area dell’euro nel suo insieme.

5.3.

Il CESE accoglie favorevolmente le proposte della Commissione volte a rafforzare ulteriormente il semestre europeo. Per garantire efficacia, equilibrio ed equità, le politiche nazionali mirate alla crescita economica e al benessere sociale dovrebbero essere concepite e coordinate anche tenendo presente l’interesse generale dell’area dell’euro; e, per motivi di responsabilità democratica e di titolarità, i processi legati al semestre europeo — trasversale alle politiche nazionali e a quelle europee — dovrebbero coinvolgere la Commissione, il Consiglio europeo, il Parlamento europeo, i parlamenti nazionali, le parti sociali e la società civile. Questo coinvolgimento è già iniziato, anche se in misura molto limitata, ma sono necessari una maggiore partecipazione a livello nazionale e l’accordo di tutte le parti interessate. Ciò rafforzerebbe l’euro; ed il semestre, se venisse semplificato e reso più trasparente, stimolerebbe il tanto necessario miglioramento nell’attuazione delle riforme.

5.4.

La riduzione degli squilibri macroeconomici è essenziale per la stabilizzazione europea. In passato tali squilibri venivano temporaneamente compensati mediante le svalutazioni monetarie. Adesso, in mancanza di questo strumento, si verificano «svalutazioni interne» che sono estremamente dolorose e generano grandi ristrettezze per effetto dell’alta disoccupazione e della crescita negativa. Nell’interesse della stabilità dell’area dell’euro e per evitare aggiustamenti così gravosi, bisogna prevenire l’accumulo di squilibri macroeconomici.

5.5.

Il dialogo macroeconomico a livello nazionale deve pertanto tener conto di questa dimensione europea. Il rilevamento precoce e la prevenzione degli squilibri macroeconomici, che — in senso lato — rispecchiano livelli di competitività differenti (cfr. punto 5.6), rappresentano un aspetto cruciale del processo connesso al semestre europeo. I responsabili politici a livello nazionale dovrebbero essere adeguatamente informati circa l’impatto che le politiche proposte avrebbero sulla competitività del loro paese nell’area dell’euro, e dovrebbero anche tenere conto degli sviluppi in tale area che potrebbero richiedere un intervento sul piano della competitività. Il contributo non solo dei funzionari della Commissione che si occupano del semestre europeo a livello territoriale, ma anche dei comitati nazionali indipendenti per la produttività che sono legati a una rete della zona euro, potrebbe essere di aiuto nel rappresentare fedelmente la politica economica e sociale (11).

5.6.

In queste discussioni un fattore importante è rappresentato dalla dimensione sociale, che non è stata finora tenuta nella debita considerazione nel quadro del processo del semestre europeo, con la conseguenza di aumentare il deficit sociale dell’UE per le ripercussioni negative generate sulla vita di milioni di cittadini europei. Tutto ciò, inoltre, alimenta le tendenze populistiche contrarie all’UE e la generale insoddisfazione nei confronti dell’Unione europea. Una definizione riveduta di competitività («competitività 2.0») (12), che comprenda «la capacità di un paese di conseguire obiettivi che vadano al di là del PIL» e che sia misurata in funzione di tre criteri (reddito, fattori sociali, sostenibilità), potrebbe rendere il processo legato al semestre europeo più onnicomprensivo.

5.7.

Il CESE conviene che l’attuazione delle politiche nazionali, laddove le competenze rimangano a livello nazionale, potrebbe essere coordinata attraverso il processo del semestre europeo (13).

5.8.

Il Comitato è favorevole a collegare l’accesso ai fondi UE e un eventuale strumento di stabilizzazione al conseguimento di progressi concordati riguardo a parametri economici e sociali, oltre che per le necessarie transizioni richieste dalla digitalizzazione, tutte finalizzate al benessere dei cittadini. Il relativo monitoraggio verrebbe realizzato nel quadro del semestre europeo (14). Le economie in forte ritardo che si sforzano di soddisfare le RSP dovrebbero essere ammissibili all’assistenza fornita dal Fondo di coesione per gli investimenti produttivi, che aiuterebbero tali economie a mettersi alla pari oppure fornirebbero infrastrutture essenziali a vantaggio di tutta l’Europa.

5.9.

Il CESE conviene che l’attuale bilancio dell’UE, con una dotazione pari soltanto all’1 % del PIL, è di dimensioni troppo modeste, non è concepito per esercitare una funzione di stabilizzazione e sarà ancora più inadeguato dopo l’uscita del Regno Unito dall’UE. Il Comitato condivide l’opinione secondo cui l’area dell’euro trarrebbe notevoli benefici da una forte capacità di stabilizzazione in caso di gravi shock asimmetrici (15). Il Comitato riconosce che tale funzione non dovrebbe comportare trasferimenti permanenti né comportare un azzardo morale.

5.10.

Il CESE appoggia la proposta di esaminare le varie possibilità connesse alla creazione di una capacità di bilancio per l’area dell’euro, il cui obiettivo consisterebbe nel mantenere, all’interno della zona euro, i livelli di investimento essenziali nelle infrastrutture produttive, come i trasporti, il rinnovamento urbano, l’istruzione, la ricerca e la trasformazione «verde» (16). Questa capacità di bilancio potrebbe inoltre rappresentare una fonte di finanziamento per il MES, che col tempo dovrebbe trasformarsi in un Fondo monetario europeo destinato a erogare fondi per la gestione delle crisi.

5.11.

Per l’integrazione economica e la prosperità dell’Europa, oltre che per prevenire le crescenti disuguaglianze sociali, è necessario un efficace piano di investimenti che generi reddito attraverso la crescita, la coesione sociale e la solidarietà. Il CESE ha appoggiato e appoggia l’introduzione di una vera e propria «regola d’oro» per gli investimenti pubblici produttivi che dovrebbe entrare a far parte delle modifiche relative alle regole di bilancio.

5.12.

L’approccio basato sulle regole di bilancio deve essere migliorato e sviluppato prima della prossima legislatura europea, allo scopo di evitare politiche procicliche. Andrebbero prese in considerazione le condizioni locali prevalenti. Il saldo strutturale si è rivelato una variabile inaffidabile e non osservabile su cui basare modifiche vincolanti della linea politica attraverso il processo delle RSP.

5.13.

È stato posto un accento troppo marcato sulla riduzione del debito, attraverso un risanamento di bilancio talvolta controproducente, piuttosto che sull’applicazione di una misura più utile come il rafforzamento della crescita del PIL. Nel processo del semestre europeo viene dato molto più peso alla riduzione dei disavanzi annuali degli Stati, come correttivo a un elevato rapporto debito/PIL, rispetto a misure più costruttive per rafforzare la crescita del PIL (17).

5.14.

Secondo il CESE, entro il 2019 andrebbero apportati dei cambiamenti tesi a rimediare all’attuale situazione, che «nasconde una ripartizione tra Stati membri non certo ottimale per quanto riguarda gli aggiustamenti di bilancio» (18).

5.15.

La procedura per gli squilibri macroeconomici (PSM), che costituisce un elemento importante del processo relativo al semestre europeo, dovrebbe essere in prima linea nella prevenzione degli squilibri macroeconomici all’interno della zona euro. Vi è la necessità di eliminare l’insita asimmetria in base alla quale il persistere di squilibri positivi non è soggetto a critiche mentre gli squilibri negativi sono passibili di sanzioni (19). Non solo una sanzione pecuniaria può aggravare una situazione già negativa, ma il persistente avanzo di bilancio di alcuni Stati membri potrebbe peggiorare ulteriormente il disavanzo di uno Stato limitrofo.

6.   Rafforzare l’architettura dell’UEM e ancorare la responsabilità democratica

6.1.

L’UEM non è un fine in sé, bensì un mezzo per ottimizzare le possibilità di conseguire i seguenti obiettivi: crescita sostenibile, occupazione di qualità, convergenza economica e sociale verso l’alto; stabilità e prosperità per tutti gli Stati membri attraverso un’azione congiunta; responsabilità economica, che va di pari passo con la solidarietà, nonché riduzione e condivisione dei rischi. L’area dell’euro, pur dovendo necessariamente compiere questi progressi, dovrebbe rimanere aperta ad altri Stati membri. Il CESE conviene sulla necessità di una maggiore trasparenza, di una buona comunicazione e di un maggiore coinvolgimento delle parti sociali e della società civile, fattori che — se associati a un rafforzamento del ruolo dei parlamenti nazionali nel processo decisionale — contribuirebbero alla responsabilità democratica.

6.2.

Il CESE invoca una maggiore «parlamentarizzazione» della zona euro, con una «grande commissione» del PE che riunisca tutti i parlamentari degli Stati che fanno parte dell’area dell’euro o che intendono entrarvi, unitamente a un maggiore coordinamento dei parlamentari della zona euro in merito alle questioni dell’UEM (COSAC +) (20). Come indicato ai punti 5.2 e 5.3, il Parlamento europeo in particolare, nonché i parlamenti nazionali, le parti sociali e la società civile in generale, dovrebbero svolgere un ruolo importante nella democratizzazione del processo relativo al semestre europeo.

6.3.

Il Comitato raccomanda di studiare degli strumenti che migliorino la governance economica nell’UEM, ad esempio mediante l’istituzione della carica permanente di ministro delle Finanze dell’area dell’euro, garantendo al tempo stesso la piena responsabilità democratica. Il raggruppamento delle competenze accrescerebbe la coerenza delle politiche dell’UEM, che sono attualmente frammentate a causa della quantità di istituzioni diverse esistenti. Andrebbe stabilito sin dall’inizio un orientamento di bilancio della zona euro, e il suddetto ministro delle Finanze dovrebbe definire i modi per raggiungere questo obiettivo. L’attuale orientamento di bilancio è il risultato dell’insieme dei saldi di bilancio degli Stati membri e la direzione dell’orientamento di bilancio per la zona euro è casuale.

6.4.

Il CESE accoglie con favore la proposta di rafforzare il MES volta a farne uno strumento di gestione delle crisi pienamente operativo. Trasformando il MES in un Fondo monetario europeo stabilito dai Trattati e attribuendo al PE un ruolo più incisivo, si avrebbero una migliore legittimità democratica e un processo decisionale più rapido.

6.5.

Il ricorso all’approccio intergovernativo come metodo di governance dell’Unione europea dovrebbe essere abbandonato, e le regole di bilancio andrebbero rivedute prima di essere incorporate nel diritto dell’UE.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il pacchetto comprende i seguenti pareri del CESE: Politica economica della zona euro — 2017 (supplemento di parere) (EESC-2017-02837-00-00-AC-TRA-EN) (Cfr. pag. 216 della presente Gazzetta ufficiale), Unione dei mercati dei capitali: revisione intermedia (EESC-2017-03251-00-00-AC-TRA) (Cfr. pag. 117 della presente Gazzetta ufficiale), Approfondimento dell’UEM entro il 2025 (EESC-2017-02879-00-00-ASAC-TRA) e Le finanze dell’UE entro il 2025 (EESC-2017-03447-00-00-AC-TRA-EN) (Cfr. pag. 131 della presente Gazzetta ufficiale).

(2)  Risoluzione del CESE in merito al Libro bianco della Commissione sul futuro dell’Europa e oltre, 6 luglio 2017.

(3)  Cfr. ad esempio i pareri del CESE sui seguenti temi: Completare l’Unione economica e monetaria — La prossima legislatura europea, GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10, e Completare l’UEM: il pilastro politico, GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 8.

(4)  Cfr. i pareri del CESE sui temi Completare l’UEM — Le proposte del CESE per la prossima legislatura europea, GU C 451, del 16.12.2014, pag. 10, Un’UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario, GU C 13, del 15.1.2016, pag. 33, Completare l’UEM: il pilastro politico, GU C 332, dell’8.10.2015, pag. 8 e Tappe verso il completamento dell’UEM, GU C 177, del 18.5.2016, pag. 28.

(5)  Cfr. il parere del CESE sul tema Completare l’UEM: il pilastro politico, GU C 332, dell’8.10.2015, pag. 8.

(6)  Parere del CESE sul tema Sistema europeo di assicurazione dei depositi, GU C 177 del 18.5.2016, pag. 21, in particolare i punti da 1.1 a 1.3.

(7)  Parere del CESE sul tema Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali, GU C 133 del 14.4.2016, pag. 17, in particolare il punto 3.3.1.

(8)  Cfr. i pareri del CESE Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali, GU C 133 del 14.4.2016, pag. 17, e Unione dei mercati dei capitali: revisione intermedia, (EESC-2017-03251-00-00-AC-TRA) (Cfr. pag. 117 della presente Gazzetta ufficiale).

(9)  Cfr. i pareri del CESE sui temi Dopo 10 anni, dove va l’euro?, GU C 271, del 19.9.2013, pag. 8 e Crescita e debito pubblico nell’UE: due proposte innovative, GU C 143, del 22.5.2012, pag. 10.

(10)  Parere del CESE sul tema Completare l’Unione economica e monetaria — Le proposte del Comitato economico e sociale europeo per la prossima legislatura europea, GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10.

(11)  Parere del CESE sul tema Istituzione di comitati nazionali per la competitività nella zona euro, GU C 177 del 18.5.2016, pag. 35.

(12)  Parere del CESE sul tema Istituzione di comitati nazionali per la competitività nella zona euro, GU C 177 del 18.5.2016, pag. 35.

(13)  Cfr. i pareri del CESE sui temi Completare l’UEM — Le proposte del CESE per la prossima legislatura europea, GU C 451, del 16.12.2014, pag. 10, Un’UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario, GU C 13, del 15.1.2016, pag. 33, Tappe verso il completamento dell’UEM, GU C 177, dell’8.10.2015, pag. 28 e Pilastro europeo dei diritti sociali, GU C 125, del 21.4.2017, pag. 10.

(14)  Parere del CESE sui temi Riesame della governance economica, GU C 268 del 14.8.2015, pag. 33 e Completare l’Unione economica e monetaria — Il ruolo della politica fiscale, GU C 230 del 14.7.2015, pag. 24.

(15)  Parere del CESE Le finanze dell’UE entro il 2025 (EESC-2017-03447-00-00-PA-TRA) (Cfr. pag. 131 della presente Gazzetta ufficiale).

(16)  Pareri del CESE sui temi Riesame della governance economica, GU C 268 del 14.8.2015, pag. 33, Politica economica della zona euro, GU C 177 del 18.5.2016, pag. 41, Programma di sostegno alle riforme strutturali, GU C 177 del 18.5.2016, pag. 47, e Revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, GU C 75 del 10.3.2017, pag. 63.

(17)  Parere del CESE sul tema Riesame della governance economica, GU C 268 del 14.8.2015, pag. 33.

(18)  COM(2016) 727 final

(19)  Parere del CESE sul tema Riesame della governance economica, GU C 268 del 14.8.2015, pag. 33.

(20)  Parere del CESE sul tema Un’UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario, GU C 13 del 15.1.2016, pag. 33.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/131


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul «Documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE»

[COM(2017) 358 final]

(2018/C 081/18)

Relatore:

Stefano PALMIERI

Correlatore:

Petr ZAHRADNÍK

Consultazione

Commissione europea, 4.8.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

5.10.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

138/8/14

Preambolo

Il presente parere fa parte di un più ampio pacchetto di quattro pareri del CESE sul futuro dell’economia europea (dedicati rispettivamente all’approfondimento dell’Unione economica e monetaria, alla politica economica della zona euro, all’Unione dei mercati dei capitali e al futuro delle finanze dell’UE)  (1) . Il pacchetto si iscrive nel contesto del processo avviato di recente dalla Commissione europea con il suo Libro bianco sul futuro dell’Europa e tiene conto del discorso sullo stato dell’Unione 2017 pronunciato dal presidente Juncker. In linea con la sua risoluzione sul futuro dell’Europa  (2) e con i suoi pareri precedenti in merito al completamento dell’UEM  (3) , in questo pacchetto di pareri il CESE sottolinea la necessità di costruire, in relazione alla governance dell’UE, una visione comune che vada ben al di là delle impostazioni e delle misure tecniche e sia in primo luogo una questione di volontà politica e di prospettiva comune.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che l’impianto del Documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE (in prosieguo: Documento di riflessione) se da un lato consente di delineare alcune delle sfide che l’Unione si troverà a fronteggiare nei prossimi anni, dall’altro insiste nel collegare le possibili soluzioni in termini di bilancio rispetto ai cinque diversi scenari individuati dalla Commissione europea nel Libro bianco sul futuro dell’Europa.

1.2.

Il CESE ribadisce che ai cittadini europei serve più Europa (e migliore) e non meno Europa, per superare la crisi politica dell’UE derivante dalla mancanza di una visione strategica del futuro e della capacità di rispondere in maniera adeguata alla crisi economica e finanziaria. Cresce il divario tra preoccupazioni e aspettative dei cittadini europei, che chiedono benefici concreti per la loro vita quotidiana, e gli scarsi poteri e risorse finanziarie attribuiti attualmente all’UE. Il progetto europeo e la stessa Unione diventano poco credibili e vengono messi in discussione, innescando così le attuali istanze nazionaliste e populiste.

1.3.

Il CESE concorda con l’approccio — presente nel Documento di riflessione — secondo il quale il principio fondamentale del bilancio dell’UE dovrà essere il perseguimento del valore aggiunto europeo, conseguendo risultati migliori rispetto ai singoli bilanci nazionali non coordinati. Ciò richiede di uscire dalla logica del «giusto ritorno», della divisione tra Stati membri (SM) contributori o beneficiari netti e delle correzioni ad hoc per i singoli SM.

1.4.

L’UE dovrebbe prima individuare le priorità politiche con elevato valore aggiunto europeo e solo dopo definire le risorse necessarie per perseguirle e impostare la riforma del bilancio comunitario. In questo scenario il CESE ritiene poco credibile che il bilancio dell’UE continui a essere meno dell’1 % del reddito e solo il 2 % della spesa pubblica dei 28 paesi, un livello inadeguato rispetto alle sfide, agli shock e alle crisi da affrontare.

1.5.

La riforma del bilancio dell’UE dovrà necessariamente riguardare un miglioramento qualitativo, rideterminando la sua struttura sia nei capitoli di spesa che nelle risorse proprie, tenendo conto degli opportuni criteri di razionalizzazione, efficienza ed efficacia, e comunicando con i cittadini in modo diretto e trasparente.

1.6.

L’adeguamento quantitativo e qualitativo del bilancio richiede una seria e approfondita consultazione della società civile, così come rappresentata nell’ambito del CESE, in modo da riflettere i reali bisogni dei territori e garantire un impatto positivo per tutti i cittadini, nell’interesse pubblico.

1.7.

Dal lato delle spese, il CESE individua come programmi ad alto valore aggiunto europeo gli investimenti di medio-lungo periodo per lo sviluppo economico, sociale e ambientale, l’occupazione, l’innovazione e la competitività; la protezione delle regioni più svantaggiate e dei gruppi sociali più vulnerabili; la risposta flessibile e tempestiva agli shock asimmetrici e alle crisi improvvise, anche mediante un bilancio autonomo della zona euro.

1.8.

In particolare, il CESE considera rilevante la funzione di stabilizzazione macroeconomica nella zona euro, poiché l’impatto negativo sui ceti sociali e i settori produttivi «perdenti» nella globalizzazione e nella rivoluzione tecnologica è tra le cause della crisi strategica dell’UE e dell’emergere dei populismi.

1.9.

Dal lato delle entrate, il CESE concorda con l’analisi fatta nella relazione Futuro finanziamento dell’UE del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie, per arrivare a un nuovo bilancio con prevalenza di risorse proprie autonome, trasparenti ed eque, a parità di oneri per i cittadini più svantaggiati e per le piccole e medie imprese.

1.9.1.

Il CESE ribadisce il giudizio favorevole verso una base consolidata comune per l’imposizione sulle società (CCCTB), nonché sulle transazioni finanziarie, i carburanti e le emissioni di anidride carbonica, che, se riscosse al livello europeo, sarebbero in grado sia di intercettare una base imponibile transnazionale, sia di contrastare gli effetti globali sull’ambiente.

1.10.

Il CESE ritiene che le conseguenze della Brexit sul Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) post-2020 se da un lato possono rappresentare una minaccia per «il progetto» UE — a seguito di una negoziazione condotta dagli SM sulla base del principio del «giusto ritorno» — dall’altro possono comunque rappresentare un’importante opportunità, poiché, attraverso l’affermazione del principio del «valore aggiunto europeo», possono condurre ad un miglioramento qualitativo e quantitativo del bilancio dell’UE.

1.10.1.

Per tale ragione il CESE ritiene che sia opportuno che quanto prima:

la Commissione europea quantifichi l’impatto della Brexit — secondo i diversi scenari di «hard» o «soft» Brexit — sul sistema delle entrate e delle spese dell’UE, e le conseguenze sul QFP post-2020;

sia avviata una discussione trasparente e pubblica sul QFP post-2020 con gli attori istituzionali, economici, sociali, i rappresentanti della società civile e i cittadini dell’UE;

non vengano comunque ridotte le risorse destinate alle politiche di coesione e agli obiettivi sociali.

In tal modo sarà possibile ricomporre il sistema degli interessi divergenti e conflittuali tra le parti individuando una soluzione condivisa per il QFP post-2020.

2.   Osservazioni generali

2.1.

L’approccio seguito nel Documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE collega le possibili soluzioni in termini di bilancio alle sfide dell’Unione rispetto ai cinque diversi scenari individuati dalla Commissione europea nel Libro bianco sul futuro dell’Europa. Il CESE ha criticato tale approccio nella recente Risoluzione in merito al Libro bianco (4), definendo «artificiosi» i cinque scenari, poiché rivolti esclusivamente agli SM senza avere alcuna rilevanza diretta per i cittadini europei, che si aspettano una strategia condivisa e chiara.

2.1.1.

Ciò significa perdere un’occasione importante, dato che buona parte del documento — riguardante il valore aggiunto delle finanze europee, l’individuazione delle tendenze e delle sfide, le differenti opzioni per il futuro delle finanze dell’UE — è ampiamente condivisibile nella sua analisi, sebbene difetti di una proposta politica condivisa, efficiente ed efficace.

2.2.

Nel corso degli ultimi anni il CESE ha evidenziato (5) i problemi aperti per l’economia e la società europea, i principi di fondo da rispettare, le strade da seguire per rilanciare e rendere più efficace l’azione delle istituzioni comunitarie. Il CESE ha ribadito in diverse occasioni che ai cittadini europei serve più Europa (e migliore) e non meno Europa (6), proprio perché la crisi politica dell’UE deriva dalla mancanza di una visione strategica del futuro e della capacità di rispondere in maniera adeguata alla crisi economica e finanziaria.

2.3.

Nel 2016, in merito alla revisione intermedia del QFP 2014-2020 (7), il CESE ha affermato che vanno riconosciuti gli sforzi fatti dalla Commissione, e soprattutto le forme di flessibilità introdotte per far fronte alle crisi impreviste, nonché l’approccio orientato ai risultati e alla performance. Tuttavia le proposte concrete e le risorse stanziate apparivano — già allora — insufficienti ad affrontare le sfide e le priorità dell’UE, in quanto il QFP è il risultato di un compromesso poco ambizioso tra SM interessati al loro «saldo netto» e ai benefici per specifici gruppi di interesse, piuttosto che lo strumento per il perseguimento degli interessi dell’UE nel suo complesso.

2.4.

In tale quadro è condivisibile l’approccio — presente nel Documento di riflessione — secondo il quale «l’essenza di un bilancio modernizzato dell’UE» consiste nel «valore aggiunto derivante dalla messa in comune delle risorse e dal conseguimento di risultati che le spese nazionali non coordinate non possono conseguire» (8).

2.5.

Per avere più Europa e migliore, dobbiamo prima individuare le priorità politiche con elevato valore aggiunto europeo, e poi definire le risorse necessarie per perseguirle, su cui impostare la riforma del bilancio dell’UE. In questo scenario non sarebbe più credibile che l’Unione dedicasse al proprio bilancio meno dell’1 % del reddito e solo il 2 % della spesa pubblica dei 28 paesi, con una dinamica peraltro in continua regressione (9). Questo livello appare completamente inadeguato rispetto alle nuove sfide a cui l’UE deve far fronte, e rispetto agli shock e alle crisi a cui deve rispondere.

2.5.1.

L’aumento quantitativo del bilancio dell’Unione dovrà accompagnarsi a un suo significativo miglioramento qualitativo con la rideterminazione della sua struttura, sia nei capitoli di spesa che nelle risorse proprie. A tale scopo è necessario tenere conto degli opportuni criteri di razionalizzazione, efficienza ed efficacia del bilancio, e attuare forme di comunicazione con i cittadini dirette e trasparenti.

2.5.2.

Il miglioramento quantitativo e qualitativo del bilancio dell’UE deve passare anche per una seria e approfondita consultazione della società civile, così come rappresentata nell’ambito del CESE, per garantire che i capitoli di spesa riflettano effettivamente i reali bisogni dei territori e abbiano un impatto positivo sul benessere dei cittadini, nell’interesse pubblico.

2.6.

Con l’emergere di nuove sfide, legate ai mutati scenari geo-politici e al necessario adattamento alle conseguenze della crisi economica e finanziaria, non è un caso che l’UE mostri l’assoluta inadeguatezza del proprio bilancio, ed entri in una crisi che inizialmente è economica e finanziaria, per poi diventare sociale e infine politica.

2.6.1.

È una crisi politica derivante dal divario tra le crescenti preoccupazioni e le conseguenti aspettative nei confronti dell’Unione, da parte dei cittadini europei che chiedono benefici concreti per la loro vita quotidiana, e gli attuali limitati poteri e risorse finanziarie attribuiti all’Unione stessa. È in questo divario che si innescano le crescenti insofferenze e istanze nazionaliste e populiste, che mettono in discussione il progetto europeo e la stessa Unione.

2.7.

La discussione sul futuro dell’UE avviene infatti in una fase storica in cui sono molte le inquietudini e le incertezze tra i cittadini europei, di carattere economico, sociale, politico e istituzionale (10). Primo, le conseguenze della crisi finanziaria ed economica ancora forti, soprattutto negli SM che ne sono stati maggiormente colpiti, in alcune aree geografiche e, in particolare, in relazione ai redditi medi e bassi. Secondo, di conseguenza, il diffuso scetticismo sulla capacità della politica, degli SM e dell’UE di mantenere il benessere economico e la coesione sociale nell’era della globalizzazione e della competizione internazionale (11). Terzo, il crescente afflusso dei migranti e dei rifugiati in fuga da guerre e povertà in Africa e Medio Oriente. Quarto, più recentemente, l’uscita del Regno Unito dall’UE, che rende evidente come l’Unione non sia una scelta scontata e irreversibile, e che potrebbe propagarsi ad altri SM.

3.   Osservazioni particolari

3.1.

Dal lato delle spese, l’elemento chiave è rappresentato dal principio del valore aggiunto europeo, che può sembrare paradossale in una fase storica in cui — da un lato — aumentano le voci che chiedono di dare più spazio ai governi nazionali, fino all’ipotesi estrema dell’uscita dall’UE, mentre — dall’altro lato — è ormai poco difendibile la logica del «giusto ritorno», della divisione tra SM contributori o beneficiari netti e delle correzioni ad hoc per i singoli SM.

3.1.1.

Tuttavia ha fatto bene la Commissione a ribadire tale principio, perché un ampio consenso politico a supporto dell’azione dell’UE può permettere di focalizzare il suo bilancio sul conseguimento a livello comunitario di benefici reali per i cittadini europei che i singoli SM non sono in grado di raggiungere da soli.

3.1.2.

Per tale ragione il CESE concorda con la Commissione che il principio del valore aggiunto europeo deve essere al centro del dibattito sul futuro delle finanze europee, e deve consistere (12):

nel conseguimento degli obiettivi fissati dai principi di base dell’ordinamento comunitario, in particolare l’articolo 3 del trattato sull’UE, che pone l’obiettivo di assicurare ai cittadini condizioni di vita dignitose nel rispetto del loro benessere (13);

nella definizione di un bilancio che preveda la formazione di beni pubblici europei, in grado di contribuire alla difesa delle libertà fondamentali europee, il mercato unico, l’unione economica e monetaria (14).

3.1.3.

È in questo contesto che diviene fondamentale il pieno adempimento dell’articolo 311 del TFUE, in base al quale «l’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche».

3.2.

Nel Documento di riflessione si trova ampia dimostrazione che la soluzione a sfide e crisi di carattere globale deve necessariamente trovare una risposta di carattere europeo, concentrando adeguatamente le risorse del bilancio dell’UE, sfruttando le sinergie con i bilanci nazionali e indirizzandole verso quei programmi ad alto valore aggiunto europeo, in grado di:

rilanciare con investimenti di medio-lungo periodo lo sviluppo economico, sociale e ambientale, l’occupazione, l’innovazione e la competitività, a fronte di produttività e investimenti stagnanti, invecchiamento demografico e cambiamenti climatici;

proteggere le regioni più svantaggiate e i gruppi sociali più vulnerabili, danneggiati sia dal perdurare della crisi economica che dalle conseguenze negative della globalizzazione (15);

rispondere con tempestività e flessibilità — sia per le entrate che per le uscite –agli shock asimmetrici che colpiscono alcuni SM, alla crisi migratoria e dei rifugiati, alle preoccupazioni di sicurezza interna, alle emergenze esterne e alla difesa comune.

3.3.

Tra gli elementi a maggiore valore aggiunto europeo, le misure già individuate dal CESE in merito al QFP si integrano con quanto previsto nella Risoluzione del CESE stesso sul Libro bianco (16):

una politica industriale europea coordinata per aumentare l’occupazione e stimolare la competitività in un’economia sociale di mercato, agevolando il dialogo tra tutte le parti interessate, gli investimenti e il sostegno alle piccole e medie imprese (PMI);

la convergenza sociale verso l’alto in parallelo con la convergenza economica, in termini di risultati occupazionali e sociali, attraverso l’attuazione del pilastro europeo dei diritti e l’estensione del Fondo sociale europeo (FSE);

una politica migratoria che garantisca ai rifugiati la protezione prevista dal diritto internazionale e la loro integrazione nell’UE, un sistema comune di asilo, il contrasto alla migrazione illegale e alla tratta di esseri umani, la promozione di vie di accesso legali;

la lotta ai cambiamenti climatici sulla base dell’accordo di Parigi e la transizione ecologica, integrando la promozione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile in tutte le politiche dell’UE;

la riforma della politica agricola comune (PAC), in modo da raggiungere gli obiettivi della qualità dell’ambiente, dello sviluppo rurale, della sicurezza alimentare, del sostegno al reddito degli agricoltori;

la riforma della politica di coesione, con una chiara individuazione di risultati, la loro sistematica verifica nel corso dell’attuazione e la valutazione degli impatti ex post, favorendo la trasparenza e promuovendo la mobilitazione del partenariato;

il finanziamento dei grandi investimenti in infrastrutture, reti trans-europee, ricerca e innovazione, a cominciare dal Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) e da Orizzonte 2020;

un bilancio autonomo della zona euro capace di trasferire risorse in via temporanea ma significativa in caso di shock regionali, contrastare recessioni gravi nell’intera zona e garantire la necessaria stabilità finanziaria (17), con una funzione di stabilizzazione macroeconomica a protezione degli investimenti e contro disoccupazione e precariato.

3.3.1.

La funzione di stabilizzazione macroeconomica appare particolarmente rilevante, poiché tra le cause della crisi strategica dell’UE e dell’emergere dei populismi vi è l’impatto negativo sui ceti sociali e i settori produttivi «perdenti» nella globalizzazione e nelle trasformazioni della tecnologia e dell’informatica. Se da un lato gli SM hanno una minore capacità di muoversi in autonomia e di incidere su mercato del lavoro e sistema del welfare, dall’altro lato non sono state ancora create a livello europeo reti di protezione sociale che permettano a tutti i cittadini di beneficiare della crescita e della competizione globale (18).

3.4.

Il bilancio dell’UE deve quindi essere funzionale a fornire i mezzi necessari per conseguire le priorità strategiche, impiegando opportuni criteri di razionalizzazione, efficienza ed efficacia nella sua struttura e nel modo in cui viene valutato e aggiornato (19):

l’adozione di un più marcato orientamento alle prestazioni e ai risultati;

la valutazione qualitativa del quadro normativo relativo all’assegnazione delle spese del bilancio dell’UE;

l’analisi dell’evoluzione delle spese come un processo continuo a medio termine nel cui ambito ogni esercizio disegna una traiettoria dello sviluppo necessario alla realizzazione dei relativi risultati;

la necessità di tenere conto dello strettissimo legame esistente tra il bilancio dell’UE, la governance della politica economica e le attuali dinamiche dell’economia europea;

la necessità di assicurare la continuità della politica di bilancio dell’UE e di realizzarne e valutarne gli obiettivi.

3.4.1.

In particolare, la regola del pareggio di bilancio andrebbe affiancata da altri indicatori che misurino la performance della spesa e i risultati sul benessere dei cittadini, da definire nell’ambito del Semestre europeo, in modi e forme opportune in accordo con il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali.

3.5.

Inoltre la galassia delle risorse disponibili a livello comunitario è ormai molto complessa e poco trasparente. Otre alle tradizionali sovvenzioni e sussidi, comprende anche strumenti finanziari per attivare risorse private tramite l’effetto leva — mediante il FEIS e i fondi strutturali — e i vari strumenti come il meccanismo europeo di stabilità (MES) costituiti dai paesi dell’eurozona, ma fuori dal perimetro dell’UE, a scopo di stabilizzazione finanziaria (20).

3.6.

Dal lato delle entrate, il CESE concorda con l’analisi fatta nella relazione Futuro finanziamento dell’UE del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie (HLGOR) presieduto da Mario Monti (21). È particolarmente importante concordare un nuovo bilancio con prevalenza di risorse proprie autonome, trasparenti ed eque. Queste arriverebbero direttamente al bilancio dell’UE senza passare per gli SM, ma senza aumentare la pressione fiscale e gravare più di ora sui cittadini più svantaggiati e sulle piccole e medie imprese.

3.6.1.

In particolare, alcune delle nuove risorse proposte in tale rapporto avrebbero un valore aggiunto europeo dal lato delle entrate, essendo riscosse al livello più adeguato sia per intercettare basi imponibili transnazionali, sia per contrastare gli effetti globali sull’ambiente: l’imposizione fiscale sulle società (CCCTB) (22), e in particolare sulle multinazionali, le transazioni finanziarie, i carburanti e le emissioni di anidride carbonica.

3.6.2.

In questo ambito il CESE ribadisce, inoltre, l’importanza della lotta all’evasione fiscale anche grazie a una maggiore trasparenza (23), e a tutte le forme di concorrenza fiscale sleale tra gli SM.

3.7.

La Brexit comporterà delle inevitabili conseguenze per la formazione del bilancio dell’UE post 2020. Al di là della sua quantificazione, ancora non ufficialmente stabilita da nessuna istituzione dell’UE (24), le possibili conseguenze alternative per compensare il deficit di bilancio prodotto dalla Brexit possono essere rappresentate dalle seguenti tre opzioni: i) un incremento dei contributi nazionali da parte degli SM dell’UE; ii) un taglio delle spese dell’UE; iii) una combinazione tra le due precedenti alternative. È in questo contesto che la Brexit rappresenta, nel contempo, una minaccia ed un’opportunità per il bilancio dell’UE.

3.7.1.

Rappresenta una minaccia perché le prossime negoziazioni del QFP post 2020, se dominate dal principio del «giusto ritorno», acuiranno le attuali divisioni tra SM contribuenti e beneficiari netti, allontanando dal principio del valore aggiunto europeo e aggravando così la situazione di incertezza che sta investendo il progetto dell’UE.

3.7.2.

Nel contempo, la Brexit rappresenta un’importante opportunità per riformare il bilancio dell’UE, migliorandolo dal punto di vista quantitativo e qualitativo, procedendo ad una sostanziale revisione dei suoi meccanismi di spesa e — accogliendo la proposta del Rapporto Monti — attivare un importante sistema di risorse proprie per l’Unione. In questo modo sarà possibile delineare un bilancio dell’UE esemplare, efficiente, efficace e trasparente, in grado di acquisire credibilità nei confronti dei cittadini europei e rendere facilmente individuabili ai loro occhi i vantaggi dell’Europa e i costi della non Europa.

3.7.3.

Per tale ragione si rende opportuno:

a)

che venga quantificato quanto prima — da parte della Commissione europea e sulla base dei diversi scenari di «hard» o «soft» Brexit — l’impatto su entrate e uscite del bilancio comunitario, che anzi avrebbe dovuto essere già indicato nel Documento di riflessione, anche in previsione della proposta del QFP post 2020;

b)

che sia avviata una discussione seria, trasparente e pubblica sul bilancio dell’UE con tutti gli attori istituzionali, politici, sociali, la società civile e i cittadini europei;

c)

che non vengano comunque ridotte le risorse destinate alle politiche di coesione e agli obiettivi sociali, in quanto strumenti essenziali per lo sviluppo dell’UE.

In questo modo, nella formazione del bilancio dell’UE, di fronte a interessi divergenti e conflittuali sarà possibile individuare in modo trasparente e democratico quelle scelte in grado di ricomporre quegli stessi interessi, portando a soluzioni ampiamente condivise tra le parti.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il pacchetto comprende i seguenti pareri del CESE: Politica economica della zona euro 2017 (supplemento di parere) (cfr. pag. 216 della presente Gazzetta ufficiale), Unione dei mercati dei capitali: revisione intermedia (cfr. pag. 117 della presente Gazzetta ufficiale), Approfondimento dell'UEM entro il 2025 (cfr. pag. 124 della presente Gazzetta ufficiale) e Le finanze dell'UE entro il 2025.

(2)  Risoluzione del CESE del 6 luglio 2017 in merito al Libro bianco della Commissione sul futuro dell'Europa e oltre (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 11).

(3)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10 e GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 8.

(4)  Risoluzione del CESE del 6 luglio 2017Libro bianco della Commissione sul futuro dell'Europa e oltre: «Il CESE non ritiene che compiere una scelta tra i diversi scenari sia un metodo efficace per promuovere una visione comune o per tracciare il nostro percorso futuro» (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 11).

(5)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 75; GU C 229 del 31.7.2012, pag. 32; GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10; GU C 487 del 28.12.2016, pag. 62.

(6)  »… Spostando l’indicatore della sussidiarietà verso i livelli «più Europa» e «un’Europa migliore» (GU C 351 del 15.11.2012, pag. 36).

(7)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 63, punto 1.1.

(8)  COM(2017) 358 final, pag. 6.

(9)  Il tetto massimo del bilancio è fissato all’1,2 % del reddito nazionale lordo (RNL) dalla decisione del Consiglio sulle risorse proprie dell’UE (2014/335/UE, Euratom), ma la logica indicata nel presente parere (cioè individuare prima le priorità politiche e definire poi le risorse necessarie per perseguirle) implica che il bilancio dell’UE non debba essere limitato a un tetto massimo definito a priori.

(10)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 63, punto 2.3.

(11)  Solo un terzo dei cittadini europei ha fiducia nell’UE e nelle sue istituzioni. Commissione europea. Public Opinion in the European Union — Standard Eurobarometer 85 («Opinione pubblica nell’Unione europea — Sondaggio Eurobarometro standard»), maggio 2016.

(12)  COM(2017) 358 final, pag. 8.

(13)  «L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.….» (articolo 3, paragrafo 1 del TUE).

(14)  «L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale …» (articolo 3, paragrafo 3, del TUE).

(15)  COM(2017) 240 final; Growing unequal? Income Distribution and Poverty in OECD Countries, OCSE, 2008; Divided We Stand: Why Inequality Keeps Rising, OCSE, 2011; In It Together: Why Less Inequality Benefits All, OCSE, 2015.

(16)  Risoluzione del CESE del 6 luglio 2017 in merito al Libro bianco della Commissione sul futuro dell'Europa e oltre, punto 13. GU C 345 del 13.10.2017, pag. 11.

(17)  GU C 177 del 18.5.2016, pag. 41, punto 3.5.

(18)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 63, punto 4. Cfr. anche De Grauwe, P. What Future for the EU After Brexit?, («Quale futuro per l’UE dopo la Brexit?»), CEPS, ottobre 2016.

(19)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 63.

(20)  Futuro finanziamento dell'UE. Relazione finale e raccomandazioni del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie, dicembre 2016, pagg. 82-84.

(21)  Futuro finanziamento dell'UE. Relazione finale e raccomandazioni del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie, dicembre 2016.

(22)  Giudicata positivamente dal CESE già nel 2011 con il parere Base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società, in GU C 24, del 28.1.2012, pag. 63 e nel 2017 con il parere Base imponibile (consolidata) comune per l'imposta sulle società. Non ancora pubblicato.

(23)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 62.

(24)  La stima del contributo netto medio annuale del Regno Unito al bilancio dell’UE — effettuata da alcuni istituti di ricerca — ha un campo di variazione che varia dagli 8 miliardi di euro (Institute for Fiscal Studies; Centre for European Policy Studies) ai 10 miliardi di euro (J. Delors Institute Berlin — Bertelsman Stiftung) ai 20-27 miliardi di Euro (European Policy Centre). Cfr. Institute for Fiscal Studies, 2016, The Budget of the EU: a guide. IFS Briefing Note BN 181. J. Browne, P. Johnson, D. Phillips; CEPS, 2016, The impact of Brexit on the EU Budget: A non-catastrophic event. J. Nunez Ferrer; D. Rinaldi, Policy Brief 347; J. Delors Institute Berlin — Bertelmans Stiftung, 2017, Brexit and the EU Budget: Threat or Opportunity? J. Haas — E. Rubio; EPC, 2017, EU Budget post-Brexit — Confronting reality, exploring viable solutions. E. Chonicz. Documento di discussione.


Appendice

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso della discussione, ma hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi:

Punto 1.9.1.

Sopprimere:

 

Il CESE ribadisce il giudizio favorevole verso una base consolidata comune per l’imposizione sulle società (CCCTB), nonché sulle transazioni finanziarie, i carburanti e le emissioni di anidride carbonica, che, se riscosse al livello europeo, sarebbero in grado sia di intercettare una base imponibile transnazionale, sia di contrastare gli effetti globali sull’ambiente.

Motivazione

La presente sezione affronta la questione delle possibili risorse proprie dell’UE. Il riferimento all’imposizione sulle società risulta quindi fuori luogo in questo contesto, poiché rientra nella sfera di competenze degli Stati membri e non dell’UE. Per quanto riguarda invece l’imposizione sui carburanti e sulle emissioni di anidride carbonica, è prematuro sollevare la questione in questa fase. Non vi è ancora stata infatti alcuna discussione in seno al CESE in merito a una eventuale base comune europea per l’imposizione sui carburanti e sulle emissioni di anidride carbonica, né in merito alla loro tassazione.

L’emendamento è respinto con 62 voti favorevoli, 76 voti contrari e 16 astensioni.

Punto 3.6.1.

Modificare come segue:

 

In particolare, alcune delle nuove risorse proposte in tale rapporto avrebbero un valore aggiunto europeo dal lato delle entrate, essendo riscosse al livello più adeguato sia per intercettare basi imponibili transnazionali, sia per contrastare gli effetti globali sull’ambiente: l’imposizione fiscale sulle società (CCCTB), e in particolare sulle multinazionali, le transazioni finanziarie, i carburanti e le emissioni di anidride carbonica.

Motivazione

Al fine di evitare qualsiasi malinteso, conviene limitarsi a un’affermazione di ordine generale. Finora, infatti, non vi è stata alcuna discussione in seno al CESE in merito all’imposizione fiscale sulle multinazionali come fonte di risorse proprie dell’UE né in merito a una base comune europea per l’imposizione sui carburanti e sulle emissioni di anidride carbonica, o in merito alla loro tassazione.

L’emendamento è respinto con 62 voti favorevoli, 76 voti contrari e 16 astensioni.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/139


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP)»

[COM(2017) 343 final — 2017/0143 (COD)]

(2018/C 081/19)

Relatore:

Philip VON BROCKDORFF

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 4.9.2017

Parlamento europeo, 11.9.2017

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

5.10.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

132/4/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è a favore del regolamento proposto e del suo obiettivo di promuovere gli investimenti in tutta l’UE, nonostante nutra dei dubbi sul fatto che gli investimenti prodotti da tale iniziativa rimangano nell’UE.

1.2.

Il CESE sostiene qualsiasi tentativo volto a incoraggiare i cittadini dell’UE ad accantonare fondi adeguati per quando saranno in pensione. Il CESE, tuttavia, nutre dei dubbi anche in merito all’impatto che l’offerta di prodotti pensionistici individuali paneuropei (PEPP) potrebbe avere sulla mobilità dei lavoratori in tutta l’UE.

1.3.

Il CESE riconosce che vi sono forti probabilità che i PEPP suscitino l’interesse di pochi gruppi, in particolare dei professionisti mobili che nel corso della loro vita lavorativa esercitano la loro attività in diversi Stati membri, e dei lavoratori autonomi. Si dovrebbe compiere ogni sforzo per incoraggiare gli Stati membri ad accordare una tassazione equa su questo tipo di prodotto. Il Comitato sottolinea inoltre che l’iniziativa di introdurre i PEPP non andrebbe assolutamente interpretata come un modo per sminuire l’importanza dei regimi pensionistici pubblici o di quelli aziendali/professionali.

1.4.

Il CESE insiste sulla necessità di tutelare i consumatori e di attenuare il rischio per i risparmiatori sia durante la loro vita lavorativa che durante gli anni della pensione. Il Comitato, inoltre, raccomanda vivamente maggiore chiarezza su cosa viene garantito con l’opzione standard. È preferibile che quest’ultimo punto venga preso in esame quanto prima dalla Commissione.

1.5.

Il CESE insiste anche sull’importanza del ruolo dell’EIOPA (1) nel monitorare il mercato e i regimi di vigilanza nazionali ai fini della convergenza e della coerenza in tutta l’UE, specialmente per quanto riguarda la struttura di governance per i PEPP all’interno di ogni fornitore.

1.6.

Poiché le interazioni tra le pensioni obbligatorie, aziendali/professionali e individuali hanno peculiarità uniche in ogni Stato membro, il CESE raccomanda che i fornitori siano in grado di adattare i propri PEPP ai mercati nazionali, rispettando allo stesso tempo la necessità di convergenza e coerenza di cui sopra. Si dovrà inoltre tenere debitamente conto delle strutture dei regimi pensionistici nazionali, al fine di evitare perturbazioni e distorsioni della concorrenza.

1.7.

Il CESE nutre dei dubbi in merito alla capacità dei PEPP di fare una qualche differenza negli Stati membri che fanno largo assegnamento sui regimi pensionistici obbligatori e dove il risparmio destinato alle pensioni private è tradizionalmente scarso. Si ritiene, pertanto, che il ruolo degli Stati membri nella promozione dei PEPP sia fondamentale per sostenere tale iniziativa.

1.8.

Il CESE è dell’avviso che i PEPP non debbano rappresentare una mera estensione delle opzioni attualmente a disposizione di coloro che scelgono volontariamente piani pensionistici a capitalizzazione privata.

1.9.

Per rafforzare l’attrattiva dei prodotti pensionistici individuali, il CESE sottolinea l’importanza della protezione dei consumatori. A questo proposito, il CESE chiede che venga chiarito se l’1,5 % proposto sarà applicato come tasso forfettario oppure se verrà previsto un massimale sui valori assoluti. La Commissione dovrebbe inoltre prendere in considerazione di non imporre il pagamento di una commissione per il cambiamento di fornitore dopo un determinato lasso di tempo, nell’interesse dei risparmiatori e delle prospettive future per i PEPP. Nel regolamento devono inoltre essere stabilite le regole di base per l’accesso degli aventi diritto alle giacenze del conto PEPP in caso di decesso del risparmiatore.

2.   Proposta della Commissione

2.1.

Si stima che solo il 27 % circa dei 243 milioni di cittadini dell’UE d’età compresa tra i 25 e i 59 anni stia attualmente risparmiando per la pensione. Secondo la Commissione europea, l’offerta di un prodotto pensionistico individuale paneuropeo incoraggerebbe ulteriori risparmi. Per raggiungere tale obiettivo, il 29 giugno 2017 la Commissione europea ha pubblicato una proposta di regolamento che definisce un quadro di riferimento per un nuovo prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP). Tale proposta è pienamente conforme al Piano di azione dell’Unione europea per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali del 2015 e mira a una crescita del mercato delle pensioni individuali fino a 2 100 miliardi di euro entro il 2030.

2.2.

Una volta adottato, il regolamento permetterà ai prodotti pensionistici individuali paneuropei di essere offerti in tutti gli Stati membri. Il regolamento proposto fornisce un quadro di riferimento per un sistema volontario, su scala europea, parallelo a piani pensionistici individuali esistenti. I PEPP non sostituiranno i regimi pensionistici nazionali vigenti, bensì integreranno i piani pensionistici personali attualmente disponibili. Ad ogni modo, i PEPP saranno offerti da diversi tipi di fornitori — ossia, imprese di assicurazione, gestori di patrimoni e banche — e potranno essere distribuiti e acquistati online in tutti gli Stati membri.

2.3.

In virtù della loro centralità ai fini del Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali, i PEPP offrirebbero opportunità di investimento e crescita a lungo termine in un mercato dei capitali su scala europea in cui il capitale fluirebbe in tutta l’UE. Questo stimolerebbe gli investimenti delle imprese e fornirebbe capitali per progetti infrastrutturali. L’incremento degli investimenti sia pubblici che privati potrebbe contribuire a creare un numero maggiore di posti di lavoro in tutta l’UE.

2.4.

La proposta della Commissione faciliterebbe l’aggregazione degli attivi pensionistici a opera dei fornitori, determinando un aumento delle economie di scala e una riduzione dei costi per i fornitori stessi, nonché una maggiore concorrenza a seguito dell’ingresso di nuovi fornitori nel mercato pensionistico. L’aumento dei fornitori rispetto alla situazione attuale consentirebbe ai risparmiatori di beneficiare di prezzi più bassi, per effetto della maggiore concorrenza tra i fornitori, ed eventualmente di rendimenti migliori. È tuttavia di vitale importanza che i risparmiatori siano pienamente consapevoli dei rischi che incorrono e delle condizioni associate ai loro PEPP.

2.5.

La combinazione di maggiore scelta, semplificazione, riduzione dei prezzi e possibile aumento dei rendimenti per i risparmiatori potrebbe incoraggiare più persone ad acquistare tali prodotti per integrare i propri diritti pensionistici, in caso ritengano che i loro redditi da pensione siano inadeguati, oppure per maturare una pensione nel caso in cui tali persone non siano affiliate a un sistema pensionistico obbligatorio o professionale.

2.6.

La Commissione ritiene che vi siano forti probabilità che i PEPP suscitino soprattutto l’interesse dei professionisti mobili che nel corso della loro vita lavorativa esercitano la loro attività in diversi paesi, nonché dei lavoratori autonomi. I PEPP potrebbero anche ampliare le opzioni di pensione complementare in quegli Stati membri in cui la diffusione dei prodotti pensionistici individuali è attualmente limitata.

2.7.

Se sa un lato il regolamento proposto definisce caratteristiche standardizzate per i prodotti al fine di tutelare i consumatori, dall’latro il quadro di riferimento proposto permetterebbe una maggiore flessibilità nella strutturazione dei prodotti pensionistici.

2.8.

I punti principali del regolamento proposto stabiliscono che:

i fornitori devono ricevere l’autorizzazione dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e saranno iscritti in un registro centrale, mentre le autorità nazionali continueranno a vigilare sui fornitori. L’EIOPA monitorerà il mercato e i regimi di vigilanza nazionali al fine di raggiungere la convergenza. Le autorità nazionali saranno pertanto obbligate a vigilare sui fornitori che operano nell’ambito di quadri di riferimento differenti (ad esempio, i comparti nazionali). Non è tuttavia chiaro come questo possa concretamente funzionare, tenuto conto in particolare che i prodotti pensionistici individuali sono in gran parte definiti a livello nazionale e che, per assicurare una vigilanza adeguata, potrebbe essere necessaria una conoscenza specifica di ciascun mercato nazionale,

i fornitori devono garantire la trasparenza dei costi e delle commissioni, soddisfare altri obblighi di informativa tramite un documento contenente le informazioni chiave (prima della conclusione di un contratto) e fornire periodicamente prospetti standardizzati delle prestazioni,

i PEPP offriranno fino a cinque opzioni di risparmio, tra cui un’opzione standard di investimento a basso rischio con una garanzia limitata che assicuri il recupero degli investimenti di capitale. I consumatori possono rinunciare al diritto di consulenza in merito a quanto sopra a condizione che i fornitori abbiano appurato le conoscenze e l’esperienza del risparmiatore,

i risparmiatori avranno il diritto di cambiare fornitore a livello nazionale o transfrontaliero ogni cinque anni, a un costo che non potrà superare un certo massimale,

i fornitori possono investire in una gamma di opzioni nel rispetto del principio della «persona prudente» e nel migliore interesse a lungo termine del risparmiatore,

i PEPP consentiranno di continuare a versare i contributi anche nel caso in cui l’aderente si trasferisca in un altro Stato membro e permetteranno il trasferimento degli attivi accumulati senza alcuna liquidazione,

sarà disponibile una gamma di opzioni di erogazione. I PEPP dovranno privilegiare le rendite quando le erogazioni all’assicurato sono fisse e garantite,

per la risoluzione dei reclami e delle controversie dovranno essere introdotte procedure semplici e intuitive.

2.9.

Infine, la Commissione ritiene che un contesto fiscale favorevole sia fondamentale per la competitività e l’attrattiva di questo nuovo prodotto e raccomanda che, ai fini dei PEPP, gli Stati membri offrano lo stesso trattamento fiscale riservato a prodotti nazionali comparabili. In alternativa, nel caso in cui piani pensionistici individuali differenti siano tassati in modo diverso, gli Stati membri dovrebbero offrire il trattamento più agevolato (2).

3.   Osservazioni generali

3.1.

I prodotti pensionistici individuali non hanno ancora raggiunto un pieno sviluppo in tutta l’UE. Tuttavia, il loro ruolo potrebbe essere di fondamentale importanza per assicurare un reddito da pensione adeguato ai lavoratori le cui pensioni obbligatorie o professionali sono ridotte o poco sviluppate. Inoltre, è ampiamente riconosciuto che i sistemi pensionistici multi-pilastro rappresentano il metodo più efficace per garantire la sostenibilità e l’adeguatezza del reddito da pensione.

3.2.

Il CESE appoggia pertanto qualsiasi iniziativa che incoraggi i cittadini dell’UE ad accantonare fondi adeguati per gli anni della pensione. L’invecchiamento della popolazione, unito al calo dei tassi di natalità, potrebbe far ricadere l’onere della situazione attuale sulle future generazioni, salvo aumenti dell’età pensionabile dei lavoratori. Incoraggiare i cittadini a ricorrere a forme di risparmio individuali per la pensione è una soluzione assolutamente sensata in tutti gli Stati membri, ma soprattutto in quelli dove il sistema pensionistico multi-pilastro non ha ancora raggiunto un pieno sviluppo e dove il regime pensionistico obbligatorio è il principale fornitore.

3.3.

Il CESE appoggia anche l’obiettivo di introdurre i PEPP come possibile soluzione per aumentare sia la copertura pensionistica privata che i fondi destinati agli investimenti a lungo termine. L’incremento dei risparmi a lungo termine potrebbe anche avere un impatto positivo sulle economie nazionali.

3.4.

Il CESE è consapevole dell’attuale frammentazione del panorama pensionistico europeo. In alcuni paesi i cittadini possono scegliere tra numerosi prodotti pensionistici individuali; in altri, invece, la scelta è molto limitata. Una commistione di norme europee e nazionali e trattamenti fiscali divergenti ha fatto sì che i trasferimenti di attivi finanziari all’interno dell’UE fossero limitati, anche a causa della non portabilità dei prodotti pensionistici tra Stati membri dell’UE nel corso della vita lavorativa dei cittadini. Nell’ipotesi che le proiezioni della Commissione siano corrette, i PEPP, uniti ad altre misure che comporranno un pacchetto più ampio di riforme, concorrerebbero ad un aumento dei risparmi da 700 a oltre 2 000 miliardi di euro entro il 2030. Ciò contribuirebbe a stimolare fortemente gli investimenti in tutta l’UE.

3.5.

Il CESE osserva inoltre che la proposta della Commissione mira ad accrescere il numero di fornitori. Un aumento della concorrenza a livello dell’UE dovrebbe contribuire alla riduzione dei prezzi e, allo stesso tempo, garantire un livello minimo di qualità dei prodotti pensionistici offerti da compagnie di assicurazione, società di investimento, fondi pensione, gestori di patrimoni e banche in tutta l’UE. La maggiore concorrenza transfrontaliera è estremamente importante e dovrebbe portare ovvi vantaggi ai cittadini in termini di riduzione dei costi, scelta dei prodotti e portabilità delle pensioni.

3.6.

Il CESE accoglie inoltre con favore l’importanza annessa alle salvaguardie e alla sorveglianza a opera di un’autorità di vigilanza a livello dell’UE. Il CESE si aspetta che l’EIOPA svolga un ruolo di primaria importanza nella vigilanza sui fornitori e nel monitoraggio del mercato.

3.7.

Il CESE sottolinea anche l’importanza della tutela dei consumatori tramite la comunicazione di informazioni chiare ai risparmiatori, della protezione del capitale tramite l’opzione standard a basso rischio, delle informazioni sui risparmi maturati, di formalità amministrative semplificate e di procedure semplici e intuitive per i reclami e i ricorsi extragiudiziali in caso di controversie tra risparmiatori e fornitori, di costi ragionevoli per il passaggio da un fornitore a un altro e, infine, della tutela dei risparmiatori in caso di riscatti dovuti, ad esempio, a disabilità o a condizioni di salute precarie.

3.8.

Vista la portabilità dei PEPP, il CESE ritiene che la facilità nel cambiare fornitore a livello transfrontaliero possa contribuire a promuovere la mobilità dei lavoratori, sebbene non sia possibile determinare in che misura.

3.9.

Il CESE è d’accordo nel ritenere che questa proposta possa svolgere un ruolo importante nella creazione di nuovi aggregati di capitale. Finora le iniziative dell’Unione dei mercati dei capitali, tra cui la liberalizzazione delle norme sui fondi di capitale di rischio e l’agevolazione della quotazione in borsa delle piccole imprese, hanno riscosso un successo limitato. Il CESE ritiene che i PEPP potrebbero contribuire in grande misura alla creazione di una nuova fonte di fondi che potrebbero essere incanalati verso nuovi investimenti.

3.10.

Il CESE osserva inoltre che tale iniziativa rimane pertinente in uno scenario post Brexit. L’Unione dei mercati dei capitali era stata concepita, almeno in parte, per unire più strettamente i mercati dell’Europa continentale a quello del Regno Unito. Con l’avvicinarsi dell’uscita del Regno Unito dall’UE, la necessità di sviluppare un mercato dei capitali paneuropeo ha assunto un’importanza senza precedenti. L’introduzione dei PEPP avverrà in un momento estremamente opportuno, in particolare tenuto conto che i principali istituti finanziari sposteranno la sede centrale della loro attività dal Regno Unito ad altri Stati membri. Tutto ciò potrebbe contribuire a facilitare il flusso di capitali nell’intera UE riducendo al contempo la dipendenza dai finanziamenti bancari.

3.11.

Il CESE riconosce che vi sono forti probabilità che i PEPP suscitino l’interesse di pochi gruppi, in particolare dei professionisti mobili che nel corso della loro vita lavorativa esercitano la loro attività in diversi Stati membri, oltre che dei lavoratori autonomi e di coloro che vivono in paesi i cui mercati dei prodotti pensionistici individuali non sono sviluppati. Ciò nonostante, il CESE comprende la valutazione della Commissione secondo cui le pensioni aziendali e professionali soano altrettanto importanti, come evidenziato nella revisione della direttiva sugli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP), che definisce i requisiti di governance fondamentali per i fondi pensione aziendali o professionali. Come era accaduto per la revisione di tale direttiva, anche in questo caso lo scopo del regolamento proposto è di migliorare la governance e la trasparenza, promuovere l’attività transfrontaliera e sviluppare ulteriormente il ruolo dei fornitori di PEPP quali investitori a lungo termine.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE ritiene che i PEPP non debbano rappresentare una mera estensione delle opzioni a disposizione di coloro che scelgono volontariamente piani pensionistici a capitalizzazione privata. Di conseguenza, il ruolo degli Stati membri nel promuovere i PEPP e — allo stesso tempo — i benefici del risparmio è fondamentale. Sulla base del principio del trattamento nazionale, la Commissione può esigere che ai PEPP sia concesso lo stesso trattamento fiscale che gli Stati membri riservano ai loro prodotti nazionali comparabili. Qualora le caratteristiche dei PEPP non soddisfino tutti i criteri previsti per la concessione di uno sgravio fiscale ai prodotti pensionistici esistenti a livello nazionale, la Commissione dovrebbe invitare gli Stati membri a disporre le stesse agevolazioni fiscali concesse ai prodotti pensionistici nazionali.

4.2.

Il CESE nutre dei dubbi in merito alla capacità dei PEPP di fare una qualche differenza negli Stati membri che fanno largo assegnamento sui regimi pensionistici obbligatori e dove il risparmio destinato alle pensioni private è tradizionalmente scarso. Come già indicato in precedenza, vi sono più probabilità che i PEPP suscitino l’interesse dei professionisti mobili che esercitano un’attività autonoma, mentre è improbabile che i lavoratori a basso reddito, i lavoratori stagionali e quelli con contratti precari e intermittenti possano permettersi un prodotto pensionistico individuale.

4.3.

Pertanto, il CESE sottolinea l’importanza di incoraggiare i cittadini a cominciare a risparmiare fin dall’inizio della loro vita lavorativa usufruendo dei crediti d’imposta forniti dagli Stati membri. Il CESE raccomanda inoltre di offrire ai cittadini una consulenza professionale per quanto concerne la definizione dei periodi minimi di investimento che permettano loro di usufruire dei benefici derivanti dagli investimenti a lungo termine.

4.4.

Il CESE concorda con la proposta della Commissione di offrire ai risparmiatori fino a cinque opzioni di investimento, ciascuna delle quali preveda un’attenuazione del rischio. In tale ambito, la sfida principale è rappresentata dalla divergenza tra gli Stati membri. Le autorità nazionali continueranno a vigilare sui fornitori che operano nelle rispettive giurisdizioni e, pertanto, il ruolo dell’EIOPA nel monitorare il mercato e i regimi di vigilanza nazionali, al fine di raggiungere la convergenza, è ritenuto fondamentale per garantire un certo grado di coerenza in tutti gli Stati membri.

4.5.

Il CESE concorda anche con la tesi della Commissione secondo cui bisogna sottoporre i fornitori di PEPP a una regolamentazione adeguata che tenga conto della natura a lungo termine dei prodotti e delle relative caratteristiche specifiche. Il CESE ricorda che la direttiva Solvibilità II (2009/138/CE), riguardante il regime normativo delle assicurazioni a livello dell’UE, mira a unificare il mercato assicurativo dell’UE e a rafforzare la protezione dei consumatori attraverso l’istituzione di un «passaporto UE» (autorizzazione unica) per gli assicuratori che intendono operare in tutti gli Stati membri, se soddisfano le condizioni dell’UE. La direttiva Solvibilità II mirava in particolare a tutelare i consumatori in rapporto agli assicuratori, ossia i principali fornitori di pensioni individuali. Il CESE ritiene che altri istituti finanziari debbano essere sottoposti agli stessi rigorosi requisiti, in modo da garantire lo stesso livello di tutela.

4.6.

Il CESE è dell’avviso che occorra prestare maggiore attenzione al decumulo. I risparmiatori che acquistano PEPP avranno bisogno di un sostegno considerevole per trovare risposta ai quesiti in merito a quanto sia necessario per andare in pensione senza preoccupazioni e a quale sia la soluzione migliore per attingere ai propri attivi pensionistici. Bisogna trarre insegnamento dall’esperienza maturata con gli approcci seguiti per i decumuli pensionistici da pensioni aziendali o professionali, in modo da poter fornire consulenza sulle migliori strategie di decumulo. Il CESE ritiene che tali strategie siano intrinseche ai prodotti pensionistici e che i lavoratori in procinto di andare in pensione debbano essere informati delle prassi e norme in materia di decumulo e dei meccanismi di tutela.

4.7.

Vale la pena ribadire nuovamente l’importanza dell’alfabetizzazione finanziaria (3). Il CESE ritiene che la riuscita introduzione dei PEPP dipenderà in larga misura dalla chiarezza delle informazioni fornite ai risparmiatori, che dovranno permettere loro di confrontare e paragonare i prodotti e, in ultima analisi, di scegliere quello più adatto alle loro esigenze. Inoltre, vista l’importanza della portabilità, questo processo deve essere standardizzato a livello di Unione europea.

4.8.

Le informazioni precontrattuali sulla fase di decumulo e sul trattamento fiscale pertinente sono considerate di grande rilevanza. Nonostante il CESE concordi sul fatto che la responsabilità diretta di fornire informazioni di alta qualità ricada sui fornitori, il ruolo delle autorità nazionali resta cruciale. I prodotti pensionistici sono inscindibilmente legati alle politiche sociali e al regime fiscale degli Stati membri. Ciò rende necessario un approccio informativo specifico per ciascuno Stato membro che, di conseguenza, evidenzia il ruolo delle autorità nazionali nel garantire che le informazioni comunicate ai potenziali clienti siano fattuali, fruibili e specifiche.

4.9.

Il CESE reputa che le norme relative al trasferimento presso un altro fornitore debbano essere più attraenti per i consumatori e, nel contempo, garantire loro una maggiore protezione. Il risparmiatore in PEPP dovrebbe avere in ogni momento il diritto di traferire il saldo presso un altro fornitore. Una questione attinente è la commissione applicata in tali circostanze. Il CESE, pertanto, chiede che venga chiarito come sarà applicato il massimale proposto dell’1,5 % sul saldo positivo. Anche se un massimale dell’1,5 % può sembrare ragionevole sulla carta, con un tasso forfettario — e in assenza anche di un massimale in termini assoluti — i risparmiatori dovrebbero pagare oneri e commissioni proporzionali al valore assoluto dei loro risparmi. Il CESE ritiene che questo sia ingiusto e abbia praticamente l’effetto di limitare le opzioni a disposizione dei risparmiatori per cambiare fornitore. La Commissione dovrebbe inoltre prendere in considerazione di non imporre il pagamento di una commissione per il cambiamento di fornitore dopo un determinato lasso di tempo, nell’interesse dei risparmiatori e delle prospettive future per i PEPP.

4.10.

Il CESE sottolinea la necessità di regole chiare che disciplinino l’accesso al saldo attivo giacente sul conto PEPP in caso di decesso del risparmiatore. Gli aventi diritto a tali fondi dovrebbero avervi accesso non più tardi di 2 mesi dopo la presentazione dei documenti necessari, senza che il fornitore del PEPP possa pretendere per questo alcun compenso.

4.11.

Come indicato in precedenza, le agevolazioni fiscali svolgono un ruolo importante nella decisione del singolo cittadino di differire il consumo e risparmiare per la pensione. Il CESE conviene con la Commissione in merito al ruolo che le agevolazioni fiscali potrebbero ricoprire nel determinare il successo o il fallimento dei PEPP. Tuttavia, il CESE osserva che spetta agli Stati membri garantire ai propri cittadini l’accesso a tutti i possibili incentivi fiscali.

4.12.

Dal momento che i PEPP sono mirati prevalentemente ad una platea di professionisti mobili e lavoratori autonomi che possono permettersi di versare i contributi per questi prodotti, il CESE ritiene che la concessione di incentivi/agevolazioni fiscali da parte degli Stati membri sarebbe discriminatoria nei confronti dei lavoratori a basso reddito che non hanno la possibilità di sottoscrivere un PEPP. Tenuto conto di questa considerazione, gli Stati membri dovrebbero quindi valutare attentamente se accordare o meno tali incentivi/agevolazioni fiscali.

4.13.

Il CESE riconosce che i prodotti pensionistici comportano qualche rischio per via della loro natura a lungo termine. Tuttavia, un certo livello di sofisticatezza dei prodotti contribuirebbe in misura notevole ad attenuare i rischi e le incertezze, tenendo conto, allo stesso tempo, delle esigenze e delle preferenze dei risparmiatori. È particolarmente importante attenuare i rischi per chiunque non abbia esperienze previe nel campo dei prodotti pensionistici; il CESE concorda pertanto sull’opportunità di mettere a disposizione dei risparmiatori una gamma di opzioni, compresa l’offerta obbligatoria di un’opzione standard di investimento che consentirebbe al risparmiatore di recuperare quantomeno il capitale nominale investito.

4.14.

Andrebbe inoltre evitata la situazione in cui il livello di protezione del consumatore varia a seconda del fornitore del PEPP. Secondo il CESE, gli istituti finanziari che offrono prodotti a lungo termine a fini pensionistici dovrebbero essere soggetti al principio «stessi rischi, stesse regole».

4.15.

Il CESE sottolinea inoltre che, come indicato nel comunicato stampa di Better Finance (Federazione europea degli investitori e degli utenti di servizi finanziari) (4) del 9 ottobre 2017, i prodotti pensionistici individuali a lungo termine non sono in grado di fornire un reddito sostitutivo adeguato, in quanto i loro rendimenti reali a lungo termine possono essere insufficienti, se non — talvolta — addirittura negativi (se calcolati al netto dell’inflazione. Per una riuscita introduzione dei PEPP, è essenziale che i fornitori si assumano la responsabilità per quanto concerne la garanzia di fornire ai risparmiatori tutta la protezione necessaria e rendimenti migliori. Tuttavia, dato che attualmente i portafogli d’investimento dei fondi pensione europei sono perlopiù composti da titoli obbligazionari, le prospettive di miglioramento dei rendimenti, almeno nel breve e medio termine, non sembrano molto buone.

4.16.

Infine, il CESE osserva che le funzioni delle pensioni obbligatorie, aziendali/professionali e individuali e le loro interazioni hanno peculiarità uniche in ogni Stato membro. Per decenni queste hanno modellato i mercati pensionistici nazionali e non sorprende quindi che in tutta l’UE si trovino prodotti pensionistici così diversi. In tale contesto, è necessario che i fornitori siano in grado di adattare i propri PEPP ai mercati nazionali.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali.

(2)  C(2017) 4393 final.

(3)  GU C 318 del 29.10.2011, pag. 24.

(4)  Pension Savings: The Real Return («Risparmi pensionistici: i rendimenti reali»), rapporto di ricerca di BETTER FINANCE, 2017


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/145


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul

«Documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa»

[COM(2017) 206],

sulla

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Istituzione di un pilastro europeo dei diritti sociali»

[COM(2017) 250 final]

e sulla

«Proposta di proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali»

[COM(2017) 251 final]

(2018/C 081/20)

Relatrice:

Gabriele BISCHOFF

Correlatore:

Jukka AHTELA

Consultazione

Commissione europea, 5.7.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

27.9.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

229/4/2

1.   Conclusioni

1.1.

Confrontati a sfide quali il futuro del lavoro, le crescenti diseguaglianze e l’aumento della povertà, la globalizzazione e le migrazioni, i cittadini europei tendono sempre più a mettere in discussione un’Unione europea e Stati membri che non sono in grado di garantire sicurezza, progresso sociale ed economico e un’occupazione di qualità, o che indeboliscono la protezione nazionale negli stessi paesi dell’UE. Il dibattito sulla dimensione sociale dell’Europa e sul pilastro europeo dei diritti sociali potrebbe essere di grande aiuto per ottenere un nuovo consenso su queste questioni urgenti, e potrebbe inoltre contribuire a far uscire l’UE dall’attuale situazione di stallo.

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea con forza che le decisioni adottate in merito agli scenari o percorsi da seguire riguardo alla dimensione sociale non sono di stampo puramente accademico, ma avranno ripercussioni sostanziali sulla vita delle persone. A giudizio del CESE, un futuro realistico per l’Unione europea potrà trovare fondamento unicamente nel binomio tra una solida base economica e una forte dimensione sociale. In particolare, servizi sociali moderni e pari opportunità di vita favoriscono la responsabilizzazione dei cittadini, la pace sociale e lo sviluppo economico. Il CESE ribadisce che tener fede agli obiettivi del trattato in merito al conseguimento di una crescita economica equilibrata e di un progresso sociale che portino a migliori condizioni di vita e di lavoro deve costituire il principio guida per decidere l’orientamento futuro della dimensione sociale dell’Europa.

1.3.

Il Comitato constata che il pilastro europeo dei diritti sociali (di seguito anche: «il pilastro») è concepito come una dichiarazione politica di intenti e che, di per sé, non crea nuovi diritti giuridici applicabili. Il Comitato ritiene quindi che il Consiglio lancerebbe un segnale importante dimostrandosi in grado di sostenere la proclamazione del pilastro in occasione del vertice sociale di Göteborg del novembre 2017. Il CESE è dell’avviso che una chiara tabella di marcia per l’attuazione del pilastro contribuirebbe a favorire la convergenza e a realizzare gli obiettivi previsti.

1.4.

Riconosce anche, però, che nell’attuale contesto politico i pareri divergono circa la strada che l’UE deve seguire per poter avanzare. Il CESE è fermamente convinto che l’approfondimento della dimensione sociale possa essere realizzato meglio con l’insieme dei 27 Stati membri, concentrandosi su progetti di primaria importanza che siano fonte di progresso economico e sociale. Tuttavia, se ciò non sarà possibile, si dovrebbero considerare dei percorsi alternativi, ad esempio con alcuni paesi che decidono di andare avanti e invitano tutti gli altri a seguirli. Il Comitato insiste poi sulla necessità di fare maggiore chiarezza in merito a quali siano le misure da applicare all’intera UE-27 e quali debbano invece interessare la sola zona euro.

1.5.

La lotta contro l’aumento delle diseguaglianze, della povertà e dell’esclusione sociale dovrebbe essere portata avanti a tutti i livelli e da tutte le parti interessate. Tenendo presente questo obiettivo, il CESE ritiene necessario compiere ulteriori sforzi volti a definire principi, norme, politiche e strategie comuni, ai livelli adeguati, per una migliore convergenza dei salari e la fissazione o l’aumento dei salari minimi per adeguare i livelli nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali. Il CESE ha già sottolineato, nel suo primo parere sul pilastro (1), che lo studio dell’OIL (2) rappresenta un utile riferimento. Esso pone l’accento sulla possibilità di utilizzare una serie di indicatori per confrontare i livelli salariali minimi tenendo conto delle circostanze nazionali, anche se il più diffuso è il rapporto tra salari minimi e mediani (o medi). Inoltre, è importante assicurare un reddito minimo a tutti i cittadini. Il CESE sottolinea che occorre aumentare i fondi destinati alla coesione sociale e agli investimenti sociali per far fronte alle sfide future.

1.6.

Nel quadro giuridico dell’UE la politica sociale è un ambito di competenza concorrente. Sarà importante pervenire ad un accordo su quali soggetti debbano compiere quali azioni nel settore della politica sociale, e soprattutto su quali siano gli ambiti in cui l’UE deve intervenire e in che modo debba farlo; a un tale consenso dovranno accompagnarsi maggiori trasparenza e assunzione di responsabilità in merito alle azioni intraprese, ma anche in merito all’inazione. In questo contesto devono essere portate avanti delle riforme e iniziative politiche per affrontare le molteplici sfide che ci attendono e per rendere le nostre società ed economie idonee a proiettarsi nel futuro. Qualora, dopo un periodo di tempo ragionevole, l’impegno politico ad attuare i principi comuni si dovesse rivelare insufficiente, sarebbe opportuno prendere in considerazione l’adozione di nuove misure adeguate, tra cui iniziative legislative e non legislative.

1.7.

Tutte le organizzazioni rappresentative della società civile organizzata interessate devono essere debitamente coinvolte nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche pertinenti, pur riconoscendo il ruolo specifico che spetta alle parti sociali e nel rispetto della loro autonomia. Anche promuovere la contrattazione collettiva e il dialogo sociale a tutti i livelli sarà importante per realizzare mercati del lavoro ben funzionanti, condizioni di lavoro eque per tutti, un’accresciuta produttività e sistemi di sicurezza sociale sostenibili.

1.8.

Il nucleo di questo progetto politico è costituito dai valori comuni dell’UE, basati sui diritti fondamentali. Il CESE continua a manifestare seria preoccupazione per la mancata applicazione dei diritti sociali esistenti e per i «different worlds of compliance» ossia per i «mondi diversi in materia di conformità» alla legislazione dell’UE. Spetta alla Commissione europea, nel suo ruolo di «custode dei Trattati», la responsabilità dell’effettiva applicazione, ma gli Stati membri hanno il compito di garantire una corretta attuazione e conformità alle norme dell’UE. Il CESE è persuaso di poter svolgere un ruolo più attivo nella promozione, la sensibilizzazione e il monitoraggio della situazione in materia grazie all’istituzione di un forum permanente sui diritti fondamentali e lo Stato di diritto.

1.9.

La discussione sulla dimensione sociale dell’Europa non può essere condotta separatamente, ma deve invece essere collegata ai dibattiti sull’approfondimento dell’UEM, su come gestire la globalizzazione affrontandone al contempo le sfide e su come destinare risorse adeguate ed efficaci al conseguimento di questi obiettivi.

1.10.

Per migliorare la dimensione sociale è necessario intervenire soprattutto in due ambiti principali: l’UEM (Unione economica e monetaria) e il mercato unico. È necessario integrare la politica sociale in una politica economica dell’UE di taglio differente, contraddistinta cioè da una buona combinazione di politiche macroeconomiche e dalla realizzazione di progressi verso un approfondimento dell’UEM. Per quanto riguarda l’UEM, il semestre europeo avrà un ruolo fondamentale nel conseguire un riequilibrio tra politica economica e politica sociale, oltre che nel favorire la realizzazione di riforme ben concepite negli Stati membri interessati. Il Comitato mette l’accento sulla necessità di un semestre europeo che sia economico e sociale. Il pilastro europeo dei diritti sociali intende inoltre avere un impatto sulla governance economica europea. Il quadro di valutazione sociale del pilastro va migliorato dotandolo di indicatori più appropriati e idonei.

1.11.

Il CESE ribadisce la propria convinzione che un avvenire positivo rimanga possibile per l’UE e che, rafforzandosi, essa potrà contribuire a plasmare meglio i processi di globalizzazione e digitalizzazione, in modo tale da creare buone prospettive per tutti i cittadini. Ognuno di noi deve però essere consapevole della posta in gioco, vale a dire di quel che potremmo perdere arretrando o potremmo invece ottenere scegliendo di andare avanti.

2.   Introduzione (Contesto, sfide e quadro generale)

2.1.

A dieci anni dall’insorgere della crisi finanziaria, sono tuttora evidenti le sue ripercussioni sul piano economico, sociale e politico, che hanno inciso in profondità sia sull’UE che sui cittadini europei. L’UE ha bisogno di una visione per il futuro e di imboccare il cammino verso una nuova direzione, il che le consentirà di affrontare sfide fondamentali quali quelle poste dal futuro del lavoro, dalla globalizzazione, dalle migrazioni, dalle crescenti diseguaglianze e dalla povertà.

2.2.

A giudizio del Comitato, un futuro realistico per l’Unione europea potrà trovare fondamento unicamente nel binomio tra una solida base economica e una forte dimensione sociale. Il CESE è convinto che all’UE serva un rinnovato consenso su una strategia economica e sociale sostenibile per onorare la sua promessa di adoperarsi per il conseguimento di una crescita economica equilibrata e di un progresso sociale che portino ad accrescere il benessere dei suoi cittadini. Accoglie quindi con favore il dibattito sulla dimensione sociale dell’Europa, che rimanda al più vasto dibattito sul futuro dell’Europa, come pure la proposta della Commissione di una proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali.

2.3.

Il documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa, pubblicato il 26 aprile 2017, fa parte di una serie di cinque documenti analoghi elaborati per alimentare il vasto dibattito che si è aperto tra i dirigenti dei 27 Stati membri, le istituzioni dell’UE, le parti sociali e i cittadini in generale, dibattito cui ha dato il via la pubblicazione da parte della Commissione europea del Libro bianco sul futuro dell’Europa  (3). Il documento sulla dimensione sociale rappresenta il contributo della Commissione al dibattito su come si possano adattare i modelli sociali europei alle sfide attuali e future, oltre che sul ruolo che l’Unione europea dovrebbe svolgere, e in quale misura, in tale processo.

2.4.

Il documento di riflessione affronta il seguente interrogativo: se, e in caso affermativo in che modo, sia possibile sostenere la dimensione sociale alla luce dei diversi scenari descritti nel Libro bianco. Mentre nel Libro bianco vengono presentati cinque scenari non esaustivi né prescrittivi, il documento di riflessione delinea solamente tre percorsi possibili per realizzare la dimensione sociale dell’Europa. Traccia inoltre un bilancio relativo ai quattro strumenti più importanti di cui l’UE dispone attualmente per assisterla nel conseguire l’obiettivo di una crescita inclusiva, vale a dire la legislazione, gli orientamenti, i finanziamenti e la cooperazione.

2.5.

Il CESE esprime pieno sostegno all’iniziativa del Libro bianco della Commissione: è giunto il momento che l’Unione europea avvii una seria riflessione circa la strada da seguire per il futuro del progetto europeo, i cui Stati membri potrebbero ben presto ritrovarsi in 27. La dimensione sociale è parte integrante di questo dibattito.

2.6.

Contemporaneamente alla pubblicazione del documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa, la Commissione ha presentato anche una raccomandazione e una proposta di proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali (di seguito anche: «il pilastro») (4), a conclusione di un vasto esercizio di consultazione condotto nell’arco del 2016 su un primo documento di massima relativo al pilastro. In un parere (5) adottato nel gennaio 2017, il CESE ha presentato le sue osservazioni iniziali sul pilastro, elaborate sulla base dei principali risultati emersi dai dibattiti sull’argomento organizzati nei 28 Stati membri.

2.7.

Il presente testo costituisce la risposta del CESE alla richiesta della Commissione europea di predisporre un parere sul documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa. Nel rispondere alla sollecitazione della Commissione, il Comitato stabilisce inoltre un collegamento tra l’iniziativa del pilastro europeo dei diritti sociali e la raccomandazione e la proposta di proclamazione relative al pilastro stesso.

2.8.

Quello di «Europa sociale» è un concetto assai ampio il cui significato, come si sottolinea nel documento di riflessione, viene inteso in modi notevolmente diversi. Alcuni potrebbero perfino mettere in discussione l’esigenza stessa che l’UE si doti di una dimensione sociale, dal momento che considerano la politica sociale dell’Unione una minaccia per la competitività globale del nostro continente. Altri ritengono invece che l’«Europa sociale» sia un elemento centrale del contributo dell’UE alla realizzazione di società democratiche, coese, ricche di diversità culturale al loro interno e prospere.

2.9.

Una dimensione sociale è sempre stata un elemento centrale nella costruzione europea; tuttavia, malgrado l’esistenza di un acquis sociale dell’UE alquanto consistente — consolidatosi nel corso del tempo di pari passo con la creazione del mercato unico e dell’Unione economica e monetaria (UEM), oltre che con lo sviluppo dei diritti fondamentali dei lavoratori e dei cittadini — esso è talvolta considerato invisibile e inesistente rispetto alle politiche nazionali degli Stati membri in campo sociale. Tuttavia, all’interno dell’UE si osservano realtà sociali sensibilmente diverse tra loro. Il rischio è quello di approfondire ulteriormente le divergenze esistenti, soprattutto qualora l’UE decidesse risolutamente di compiere un passo indietro sul cammino dell’integrazione. Il documento di riflessione individua inoltre una serie di fattori di cambiamento che hanno un’incidenza sui modelli sociali degli Stati membri, in particolare un cambiamento demografico consistente in un invecchiamento tendenziale della popolazione, società sempre più diversificate e complesse e mutamenti degli stili di vita, nonché un processo di trasformazione del lavoro che si traduce in modelli di lavoro e condizioni lavorative sempre più vari e irregolari.

2.10.

A giudizio del CESE, un futuro realistico per l’Unione europea potrà trovare fondamento unicamente nel binomio tra una solida base economica e una forte dimensione sociale. La politica sociale è materia di competenza concorrente dell’UE e degli Stati membri, anche se la responsabilità in questo campo ricade principalmente sul livello nazionale, ossia sui governi, le parti sociali e i soggetti della società civile. Nel proseguire il cammino, e nel contesto globale del consenso raggiunto sul futuro dell’Europa, sarà importante anche pervenire ad un accordo su quali soggetti debbano compiere quali azioni nel settore della politica sociale, e soprattutto su quali siano gli ambiti in cui l’UE deve intervenire e in che modo debba farlo.

2.11.

Il CESE ha posto anche l’accento sul problema del mancato rispetto dei diritti sociali esistenti. Spetta alla Commissione europea, nel suo ruolo di «custode dei Trattati», il compito fondamentale dell’effettiva applicazione di quei diritti, ma è anche vero che gli Stati membri sono competenti per la corretta attuazione della normativa dell’UE, alla quale sono tenuti a conformarsi. Vi sono different worlds of compliance  (6) («mondi diversi in materia di conformità») alla legislazione UE nei diversi Stati membri, e si constata una certa riluttanza della Commissione ad affrontare adeguatamente questo problema. Oltretutto, questo costituisce un ostacolo ad una maggiore convergenza che va superato. Il Comitato ha già avuto modo di insistere sulla necessità di promuovere e di far applicare i diritti sociali e fondamentali in vigore e di monitorarne le violazioni (7). Il CESE deve svolgere un ruolo più attivo in questo ambito e può istituire un forum permanente sui diritti fondamentali e lo Stato di diritto, allo scopo di monitorare la situazione in materia. È essenziale fare trasparenza e chiarezza su chi fa che cosa, in modo che i cittadini possano capire dove si collocano le responsabilità e chi debba essere chiamato a rendere conto del proprio operato.

2.12.

Il CESE ha sottolineato in numerosi pareri (8) che occorre mettere in campo una combinazione di politiche macroeconomiche che favoriscano gli obiettivi di politica sociale invece di ostacolarne la realizzazione. Si compiace quindi che al considerando 11 della raccomandazione sul pilastro europeo dei diritti sociali la Commissione affermi che «[i]l progresso economico e quello sociale sono interconnessi e lo sviluppo di un pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbe essere parte di un più ampio sforzo teso a costruire un modello di crescita più inclusivo e sostenibile, migliorando la competitività dell’Europa e rendendola più propizia agli investimenti, alla creazione di posti di lavoro e al rafforzamento della coesione sociale». Il dibattito sulla dimensione sociale dell’Europa deve perciò avere un collegamento evidente con quello sulla futura architettura dell’UEM, tema che viene anch’esso affrontato in uno specifico documento di riflessione della serie dedicata al futuro dell’Europa.

2.13.

Un interrogativo fondamentale è: quale sarà l’impatto del pilastro europeo dei diritti sociali? Il pilastro suscita forti aspettative ma anche numerosi interrogativi: ad esempio, riuscirà ad affrontare i deficit sociali del mercato comune, o potrà aiutare a risolvere gli squilibri esistenti tra libertà economiche e diritti sociali? (9) La verità è che suscitare grandi aspettative può ritorcersi contro il pilastro stesso. Il CESE raccomanda perciò di adottare un approccio realistico ma ambizioso.

2.14.

Già in precedenza, nel quadro del dibattito sul pilastro, il CESE ha posto l’accento sulla necessità che l’UE realizzi un progetto positivo per tutti al fine di arginare l’ascesa del populismo, del nazionalismo e dello scetticismo tra i cittadini europei e di dimostrare che è ancora in grado di tener fede alla promessa di creare sviluppo economico e occupazione, oltre che di migliorare il tenore di vita e le condizioni di lavoro di quegli stessi cittadini. Il Comitato ribadisce che questi dovrebbero essere i principi da seguire per decidere l’orientamento futuro della dimensione sociale dell’Europa.

3.   Il documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa

3.1.

Nella risoluzione sul Libro bianco sul futuro dell’Europa il CESE ha già precisato che i dibattiti previsti con i governi e la società civile nei singoli Stati membri non debbono essere incentrati sull’opzione da privilegiare tra i cinque diversi scenari descritti nel Libro bianco, bensì servire ad illustrare le possibili conseguenze delle diverse opzioni e percorsi selezionati. I percorsi all’interno degli scenari delineati nel Libro bianco non sono quindi considerati le uniche opzioni disponibili e neppure «modelli» che descrivono percorsi separati e distinti. Lo stesso approccio dovrebbe valere anche per il documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa.

3.2.

Il documento di riflessione fa riferimento alle varie e diverse realtà sociali all’interno dell’Unione europea, individua fattori potenziali di cambiamento e delinea tre possibili percorsi:

limitare la dimensione sociale alla libera circolazione («libera circolazione e nient’altro»),

chi vuol fare di più in campo sociale fa di più («cooperazione rafforzata»),

i paesi dell’UE-27 approfondiscono insieme la dimensione sociale dell’Europa («approfondimento della dimensione sociale a 27»).

3.3.

Per comprenderne meglio le possibili implicazioni, il CESE ha esaminato questi tre percorsi alla luce delle sfide e dei fattori di cambiamento descritti nel documento di riflessione, nonché delle sfide considerate dal Comitato nel suo parere iniziale sul pilastro europeo dei diritti sociali. Tali sfide e fattori di cambiamento sono sintetizzati tramite una serie di esempi a titolo indicativo nell’allegato 1 del presente parere, a scopo puramente illustrativo.

3.4.

Il primo percorso — «libera circolazione e nient’altro» — è quello che comporterebbe i cambiamenti più rilevanti rispetto alla situazione attuale, e potrebbe essere considerato come una notevole involuzione. Un simile scenario sarebbe all’origine di divergenze persino maggiori nell’UE, con significative ripercussioni sulla vita dei cittadini europei, e rischia di liberare forze centrifughe che potrebbero portare, come risultato finale, alla dissoluzione dell’UE. D’altra parte, questo scenario potrebbe assicurare che la libera circolazione e la regolamentazione della mobilità all’interno dell’UE siano di migliore qualità e abbiano ambiti di applicazione più estesi, oltre a rendere più agevoli l’applicazione e il controllo da parte della Commissione (in altre parole: meno ma meglio).

3.5.

Il secondo percorso — quello della «cooperazione rafforzata» — avrebbe quantomeno il potenziale per innescare un processo di maggiore convergenza tra alcuni Stati membri, ma al tempo stesso allargherebbe il divario con altri paesi (semi-convergenza). La cooperazione rafforzata costituirebbe un passo avanti rispetto alla situazione attuale e permetterebbe di superare lo scoglio che consiste oggi nel dover trovare sempre un minimo comune denominatore o prevedere un numero eccessivo di clausole di non partecipazione (opt-out) che complicano di parecchio l’applicazione di queste norme. Questa soluzione, tuttavia, darebbe luogo ad una situazione in cui i cittadini europei godono di diritti diversi a seconda dello Stato membro in cui vivono. Sarebbe anche all’origine di nuove sfide e incertezze per le imprese attive su tutto il territorio dell’Unione e che hanno bisogno di operare in condizioni di parità, le quali sarebbero quindi confrontate ai già citati «mondi diversi in materia di conformità». Non solo, ma il sostegno al mercato comune potrebbe venirne intaccato, se i cittadini dei paesi che non aderiscono alla suddetta cooperazione si sentissero sempre più emarginati.

3.6.

Il terzo percorso — «l’approfondimento della dimensione sociale a 27» — comporterebbe cambiamenti di rilievo rispetto all’attuale status quo e imprimerebbe un forte slancio per una convergenza nell’intera UE. Questo scenario potrebbe comprendere l’adozione di misure e parametri di riferimento vincolanti per i paesi dell’UE-27 e l’erogazione di finanziamenti europei legata ai risultati conseguiti rispetto ai suddetti parametri di riferimento e ad obiettivi comuni. Tuttavia, malgrado il CESE ritenga che l’approfondimento della dimensione sociale sarebbe realizzato meglio con l’insieme dei 27 Stati membri, se si tiene conto del fatto che i negoziati relativi al concetto non ben definito del pilastro sono già abbastanza complessi, non sembra realistico prevedere che questo terzo percorso venga accolto favorevolmente, in particolare da quegli Stati membri che intendono mantenere il loro principale vantaggio comparato in termini di applicazione di norme sociali meno stringenti e di salari più bassi, o da quei paesi che temono che un tale scenario potrebbe incidere negativamente sui loro modelli nazionali e sulle loro norme elevate.

3.7.

Il CESE ritiene che un approccio articolato in un «approfondimento della dimensione sociale laddove possibile e più attenzione ai risultati» contribuirebbe anch’esso a imprimere un forte slancio per realizzare una maggiore convergenza. È quindi favorevole all’introduzione di un maggior numero di misure vincolanti basate sul semestre europeo (10), corredate di parametri di riferimento — come minimo per la zona euro ma preferibilmente per l’intera UE-27 — in materia di occupazione, istruzione e protezione sociale (per esempio con un quadro di riferimento comune per un sostegno al reddito di chi ne ha bisogno). Un tale approccio dovrebbe essere accompagnato da una tabella di marcia che definisca delle iniziative comuni in settori chiave in cui l’intervento a livello dell’UE apporta un evidente valore aggiunto e che sia incentrata, laddove possibile, sui risultati e non su altri criteri. Si dovrebbero aumentare i fondi destinati alla coesione sociale e agli investimenti sociali per far fronte alle sfide relative alle abilità e alle competenze, alla digitalizzazione e al cambiamento demografico nell’Unione europea.

4.   Proclamazione del pilastro europeo dei diritti sociali

4.1.

Il CESE ha già sottolineato che il pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbe contribuire al raggiungimento di un giusto equilibrio tra la dimensione economica e quella sociale dell’Unione europea. La questione di un bilanciamento tra obiettivi economici e obiettivi sociali va al di là della costruzione di un unico pilastro, e riguarda le stesse fondamenta orizzontali dell’Unione europea.

4.2.

Gli obiettivi dichiarati del pilastro, ossia contribuire ad «un mercato del lavoro equo e veramente paneuropeo» e «fungere da bussola per una rinnovata convergenza nella zona euro», vanno oltre le competenze nel campo della politica sociale di cui al Titolo X del TFUE, e si ricollegano invece agli obiettivi centrali della politica economica e di quella monetaria, come pure della strategia per l’occupazione, di cui ai Titoli VIII e IX del TFUE.

4.3.

Il pilastro sancisce 20 «principi e diritti» che la Commissione considera fondamentali per assicurare l’equità e il buon funzionamento dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale nel XXI secolo, e li suddivide in tre categorie: 1) pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, 2) condizioni di lavoro eque, e 3) protezione e inclusione sociali.

4.4.

L’istituzione del pilastro europeo dei diritti sociali è un’iniziativa che guarda a quanto è stato realizzato in passato ma che intende al contempo proiettarsi nel futuro. Il pilastro si propone di inglobare l’acquis dell’UE esistente in materia di diritti sociali, precisando se, e in che modo, esso debba essere integrato, laddove necessario, per tener conto dei cambiamenti di maggior rilievo intervenuti nel mondo del lavoro e nella società in generale, così da contribuire a realizzare mercati del lavoro e sistemi di protezione sociale ben funzionanti nell’Europa del XXI secolo.

4.5.

È necessario fare un po’ di chiarezza per quanto riguarda la natura giuridica del pilastro, il quale si presenta nella forma di due strumenti legislativi distinti, benché pressoché identici: una raccomandazione della Commissione (11) e una proposta di proclamazione interistituzionale (12). In base alla comunicazione che accompagna il pilastro, la scelta degli strumenti tiene conto di considerazioni politiche più generali e di limiti giuridici, in particolare delle limitate competenze dell’Unione europea nel campo della politica sociale.

4.6.

La raccomandazione, nell’esercizio della competenza della Commissione di cui all’articolo 292 del TFUE, si applica con effetto immediato. Nel testo non è indicato espressamente quali siano i soggetti destinatari della raccomandazione stessa, ma ai considerando da 17 a 20 viene precisato che «la realizzazione degli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali dipende dall’impegno e dalla responsabilità condivisi tra l’Unione, gli Stati membri e le parti sociali […] e dovrebbe essere attuata a livello dell’Unione e degli Stati membri nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto del principio di sussidiarietà». In questo contesto, il CESE sottolinea anche che occorre rispettare l’autonomia delle parti sociali.

4.7.

Al tempo stesso, la Commissione europea propone anche che il pilastro europeo dei diritti sociali «sia proclamato solennemente e congiuntamente dalle istituzioni dell’UE». La proclamazione non ha alcuna base giuridica nei Trattati dell’UE, anche se lo strumento è già stato utilizzato in passato in un’occasione, nel caso cioè della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata il 7 dicembre 2000 al Consiglio europeo di Nizza. Occorre distinguere la proclamazione dalla conclusione di un accordo interistituzionale ai sensi dell’articolo 295 del TFUE e, in base alla valutazione giuridica del Consiglio, la proclamazione «costituisce un atto atipico che non è giuridicamente vincolante e non crea diritti direttamente applicabili».

4.8.

Il processo di proclamazione del pilastro europeo dei diritti sociali deve essere distinto anche da quello della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata il 9 dicembre 1989. Benché sia stata firmata da tutti gli Stati membri con la sola eccezione del Regno Unito, la Carta comunitaria è una semplice dichiarazione, e non una dichiarazione congiunta adottata unitamente alle altre istituzioni dell’UE, malgrado la Commissione europea abbia effettivamente presentato un programma di azione sociale relativo all’attuazione della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori [COM(89) 568 final]. Essa contiene inoltre disposizioni relative alla sua applicazione.

4.9.

Nella misura in cui l’obiettivo di «ottenere risultati riguardo al pilastro europeo dei diritti sociali» rappresenta un impegno e una responsabilità condivisi tra l’Unione, gli Stati membri e le parti sociali, sembra coerente che il Parlamento europeo e il Consiglio si uniscano alla Commissione nella proclamazione solenne del pilastro. Il pilastro intende inoltre avere un impatto sulla governance economica dell’UE (semestre europeo, quadro di valutazione sociale); di conseguenza, il Consiglio lancerebbe un segnale importante se pervenisse ad un consenso per sostenerne la proclamazione. Malgrado l’avvenuto riconoscimento della competenza delle parti sociali in numerosi ambiti, il Comitato rileva che esse non sono formalmente incluse nel processo di proclamazione del pilastro (13).

4.10.

Il Comitato constata che il pilastro è concepito come una dichiarazione politica di intenti e che, di per sé, non crea nuovi diritti giuridici applicabili. La Commissione distingue tra diritti e principi: i primi dovrebbero riaffermare alcuni diritti già sanciti dall’acquis dell’UE, mentre i secondi dovrebbero essere nuovi e intesi ad affrontare le sfide derivanti dagli sviluppi socioculturali, tecnologici ed economici. In effetti, secondo la comunicazione, né i principi né i diritti sono direttamente applicabili.

4.11.

Nonostante non abbia carattere giuridicamente vincolante, tale proclamazione comporterebbe un impegno politico alla realizzazione del pilastro da parte delle istituzioni dell’UE, del Consiglio e degli Stati membri, nel rispetto della ripartizione delle competenze e del principio di sussidiarietà.

4.12.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), a differenza del pilastro, ha lo stesso valore giuridico dei Trattati e fa quindi parte del diritto primario, sebbene non crei nuove competenze a livello dell’UE e, pur essendo giuridicamente vincolante per le istituzioni dell’Unione europea, non possa essere fatta valere direttamente dai cittadini dell’UE. Essa adotta un approccio più ampio in materia di diritti sia economici che sociali. Se, dopo un adeguato periodo di tempo, l’impegno politico di cui sopra non avrà portato all’adozione, in tutti gli Stati membri, di iniziative concrete per attuare il pilastro, si dovrebbero prendere in considerazione misure adeguate, tra cui iniziative legislative e non legislative. Il CESE ha già chiesto che venga adottata una direttiva quadro sul reddito minimo (14). Nuovi pareri giuridici, come quello commissionato dal ministero tedesco del Lavoro, esplorano le modalità per realizzare tale richiesta (15).

4.13.

In un parere del 2011 (16) il CESE aveva già sottolineato che i diritti sociali fondamentali sono «indivisibili» dai diritti civili e politici, e richiedono quindi un’attenzione strategica particolare. Nel parere il Comitato proponeva nuove misure e attività di promozione per aumentare l’efficacia di una strategia di attuazione dei diritti fondamentali. La Commissione non affronta in modo adeguato il problema della mancata applicazione dei diritti sociali esistenti, e il CESE ravvisa il rischio che il pilastro possa, in una certa misura, rendere più sfocato e confuso il ruolo specifico che spetta alla Commissione in qualità di «’custode dei Trattati».

5.   Il rapporto tra il documento di riflessione sulla dimensione sociale e il pilastro europeo dei diritti sociali

5.1.

È necessario considerare anche le relazioni che il pilastro intrattiene con il documento di riflessione sulla dimensione sociale, nonché con gli altri documenti di riflessione nel più ampio dibattito sul futuro dell’Europa. Un’analisi del pilastro dimostra che, nella sua attuazione, si possono effettivamente combinare diversi scenari proposti dal Libro bianco/documento di riflessione sulla dimensione sociale.

5.2.

Il pilastro è destinato in primo luogo agli Stati membri della zona euro. A tale riguardo, la filosofia del pilastro si avvicina allo scenario secondo cui «chi vuole di più, fa di più». Monitorare l’attuazione del pilastro attraverso il quadro di valutazione sociale — quadro che andrebbe dotato di indicatori più appropriati e idonei, oltre che integrato nel semestre europeo — potrebbe eventualmente permettere di compiere dei progressi in questa direzione. La società civile e le parti sociali dovrebbero essere consultate in merito a questi indicatori, dal momento che la proposta così come è formulata attualmente non è sufficiente.

5.3.

Alcune delle misure di follow-up proposte nella comunicazione sul pilastro sono conformi allo scenario dell’UE-27, mentre altre potrebbero sembrare destinate in primo luogo a quello secondo cui «chi vuole di più, fa di più». Pertanto, le misure come l’iniziativa per sostenere l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare di genitori e prestatori di assistenza che lavorano, presentata nel quadro del pacchetto sul pilastro sociale, sono concepite per essere applicabili all’UE-27, come pure, nella stessa ottica, le misure connesse all’applicazione della legislazione esistente e del dialogo sociale. La necessità di operare a un livello geografico più ristretto potrebbe anche porre nuove sfide alle parti sociali, le quali sono rappresentate a livello dell’UE.

5.4.

Altre misure proposte nella raccomandazione, come quelle relative al semestre europeo e al completamento dell’Unione economica e monetaria dell’Europa, sono destinate e applicabili soltanto alla zona euro. Esse rientrerebbero meglio nello scenario secondo cui «chi vuole di più, fa di più». In effetti, il documento di riflessione menziona, come esempio di tale scenario, una maggiore convergenza verso mercati del lavoro più integrati, come pure verso sistemi di protezione sociale più efficaci e sistemi sanitari e di istruzione più solidi.

5.5.

Il sostegno finanziario dell’UE tramite il Fondo sociale europeo si concilia meglio con un approccio UE-27. L’idea di rendere disponibili maggiori finanziamenti viene infatti menzionata nel documento di riflessione come esempio dell’approfondimento della dimensione sociale dell’UE-27.

6.   Il rapporto con gli altri documenti di riflessione sul futuro dell’Europa

6.1.

La discussione sulla dimensione sociale dell’Europa non può essere condotta separatamente, ed è pertanto importante considerare anche il rapporto con gli altri documenti di riflessione sul futuro dell’Europa e con i loro messaggi chiave sulla dimensione sociale e sulle prospettive per il futuro, anche se il CESE elaborerà dei pareri distinti su alcuni di questi documenti (17).

6.2.

Il documento di riflessione sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria menziona l’occupazione, la crescita, l’equità sociale, la convergenza economica e la stabilità finanziaria tra i principi guida per l’approfondimento dell’UEM. Tale concezione della dimensione sociale dell’UEM appare alquanto limitata. In primo luogo, infatti, essa non è coerente sul piano della convergenza economica e sociale o, in particolare, della convergenza verso l’alto e, in secondo luogo, si riferisce principalmente all’«equità sociale». Non vi è alcuna spiegazione del concetto o della percezione di «equità sociale», né del perché non si faccia invece riferimento alla «giustizia sociale», ai sensi dell’articolo 3 del TFUE.

6.3.

Il documento di riflessione menziona, quale strumento chiave, il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche nel quadro del semestre europeo. Nell’ambito del semestre, il pilastro costituirebbe «un nuovo riferimento per il conseguimento di condizioni di lavoro e di vita migliori» in molti ambiti d’intervento. Ciò renderebbe necessario «promuovere ulteriormente la cooperazione e il dialogo con gli Stati membri, coinvolgendo anche i parlamenti nazionali, le parti sociali, i comitati nazionali per la produttività e gli altri portatori di interesse, al fine di garantire una maggiore titolarità nazionale e incoraggiare l’attuazione delle riforme». Nel documento di riflessione la Commissione sottolinea, inoltre, il legame tra le riforme nazionali e gli strumenti esistenti di finanziamento dell’UE. Nella sostanza, il dibattito sulla necessità di maggiore titolarità, coinvolgimento delle parti sociali e condizionalità per i finanziamenti dell’UE non è nuovo e non fa che evidenziare la necessità di migliorare la governance e i risultati del semestre europeo.

6.4.

Le proposte contenute nel documento di riflessione sull’UEM e relative a un rinnovato processo di convergenza sono incentrate sull’utilizzo del quadro europeo per convergere, rafforzare il coordinamento delle politiche economiche e consolidare i legami tra le riforme nazionali e i finanziamenti dell’UE disponibili. Vi sono pareri discordanti circa l’opportunità di subordinare l’erogazione di finanziamenti da parte dell’UE alla realizzazione di talune riforme, e il CESE raccomanda che ciò sia possibile soltanto con il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo nell’intero processo, a parità di condizioni e con un ruolo ben definito anche per i parlamenti nazionali. Si prevede che una maggiore convergenza e stabilità possano essere conseguite realizzando riforme strutturali adeguate. Se, da un lato, il CESE concorda con l’opinione secondo cui riforme ben congegnate negli Stati membri interessati possono essere di fondamentale importanza per realizzare una maggiore convergenza verso l’alto e rendere i sistemi sociali più idonei e resilienti, sottolinea però anche l’esigenza di migliorare il mix di politiche macroeconomiche e di garantire un più efficace coinvolgimento delle parti sociali nell’ambito del dialogo macroeconomico, dell’elaborazione del processo del semestre europeo e delle riforme ad esso collegate.

6.5.

All’interno del pacchetto sull’UEM, il quadro di valutazione sociale nell’ambito del pilastro è considerato, assieme ai comitati nazionali, come un elemento dell’Unione economica inteso a monitorare l’andamento della produttività. Ciò indica il collegamento tra l’approfondimento dell’UEM e il pilastro europeo dei diritti sociali. Il pilastro si propone di fungere da bussola per realizzare alcune riforme strutturali nei settori descritti nei 20 principi.

6.6.

L’allegato 2 del documento sull’UEM menziona l’importanza di un nuovo inizio per il dialogo sociale e definisce il tentativo della Commissione europea di istituire un pilastro europeo dei diritti sociali come «un’importante misura» (pagg. 32-33). A questo proposito, è essenziale avere una concezione ampia del dialogo sociale, che non può essere limitato al quadro definito nel Titolo Politica sociale. Sebbene l’obbligo dell’Unione europea di promuovere il ruolo delle parti sociali sia menzionato nel Titolo Politica sociale, tale obbligo deve avere implicazioni, laddove possibile, al di fuori di tale ambito politico specifico.

6.7.

Nel documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione, la Commissione europea si propone di affrontare i crescenti timori e critiche circa le attuali politiche in materia di globalizzazione e i risultati ottenuti in questo settore. La Commissione sottolinea quindi che la globalizzazione può essere utile se gestita in modo adeguato, in modo da evitare che troppe persone si sentano emarginate.

6.8.

Secondo la Commissione, l’adozione di solide politiche sociali svolge un ruolo importante nel tutelare e responsabilizzare i cittadini in questo processo. Essa ritiene quindi che si tratti di un prerequisito per rafforzare la fiducia dei cittadini per quanto riguarda le sfide e i vantaggi della globalizzazione.

6.9.

Il documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione fa specifico riferimento a quello sulla dimensione sociale. Il CESE condivide il punto di vista secondo cui «una distribuzione più equa dei benefici della globalizzazione, associata a una protezione sociale efficace, aiuterà le persone a trovare un impiego dignitoso e ad adattarsi ai cambiamenti. Su un piano più generale, una ridistribuzione giusta ed equa della ricchezza, associata a investimenti mirati atti a promuovere l’inclusione sociale delle categorie di persone più vulnerabili, compresi i migranti, contribuirà a rafforzare la coesione sociale.» Tale approccio è pienamente in linea con l’accento posto dal CESE sulla necessità di transizioni eque nel contesto della digitalizzazione e della globalizzazione. La Commissione sottolinea altresì che «l’economia dell’UE dovrebbe inoltre essere innovativa e competitiva, con imprese leader a livello mondiale e cittadini in grado di adattarsi ai cambiamenti e di generare la ricchezza necessaria per sostenere il nostro modello sociale».

6.10.

Inoltre, il CESE condivide l’opinione secondo cui è essenziale migliorare le norme e le prassi sociali e del lavoro a livello globale, in stretta collaborazione con l’OIL, le parti sociali e le organizzazioni della società civile particolarmente coinvolte su queste questioni, come le organizzazioni dell’economia sociale.

6.11.

Il CESE concorda quanto all’idea che l’Europa possa influenzare le regole a livello mondiale, non soltanto perché essa è il mercato unico più grande del mondo e il primo operatore economico e investitore, ma anche perché crede in soluzioni globali alle sfide globali. Pertanto il modello sociale europeo, i nostri valori chiave e i diritti fondamentali devono essere per noi la bussola e il modello di riferimento per una globalizzazione equa.

6.12.

Sebbene il documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE sia stato l’ultimo ad essere pubblicato, il bilancio dell’UE svolgerà un ruolo fondamentale anche se, naturalmente, su di esso incideranno in modo decisivo le scelte compiute per quanto riguarda il futuro dell’Europa. Il documento di riflessione sulle finanze dell’UE valuta gli effetti sulla spesa dell’UE risultanti dai cinque diversi scenari delineati nel Libro bianco, i quali avranno pesanti ripercussioni sui cittadini, le regioni e le categorie di persone che hanno più bisogno di sostegno. Solo il quinto scenario, in base al quale gli Stati membri decidono di fare molto di più insieme, comporterà un aumento della spesa per la coesione economica, sociale e territoriale.

6.13.

L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea avrà conseguenze importanti per il bilancio dell’UE. Il CESE è consapevole del rischio che la Brexit determini una riduzione dei fondi sociali. Sottolinea che il Fondo sociale europeo è un fattore di spinta importante per una maggiore convergenza e osserva che, se si vogliono vincere le sfide future, esso non dovrebbe subire alcun taglio.

7.   I settori prioritari del CESE e l’azione a livelli diversi da parte dei soggetti interessati

7.1.

Nel suo primo parere sul pilastro europeo dei diritti sociali, il CESE ha già individuato i seguenti settori principali nei quali ritiene necessario — a seconda delle rispettive competenze — un intervento a livello UE e/o nazionale:

investimenti e innovazione,

occupazione e creazione di posti di lavoro di qualità,

misure di lotta alla povertà, incluso un reddito minimo,

transizioni eque e senza scosse sostenute da politiche attive del mercato del lavoro,

condizioni quadro nei mercati del lavoro atte a sostenere percorsi professionali nuovi e più diversificati e condizioni di lavoro eque per tutti,

protezione sociale per tutti (nuove forme di lavoro, ad esempio piattaforme ecc.),

investimenti sociali (competenze, transizioni ecc.),

servizi sociali di interesse generale.

7.2.

Per raggiungere un consenso sulla via da seguire, si dovrebbero individuare i progetti chiave all’interno di questi settori. L’UE dovrebbe iniziare dai progetti con un impatto positivo diretto e sostenuti da tutti.

8.   Le prossime tappe a partire dal vertice sociale di Göteborg (2017) e oltre: un percorso dai principi ai diritti (18)?

8.1.

Sono passati tre anni da quando il presidente Juncker ha affermato per la prima volta che intendeva ottenere una «tripla A sociale» per l’Unione europea (19). La Commissione Juncker ha lanciato con un certo ritardo le proprie iniziative e ha avuto bisogno di parecchio tempo per svolgere le consultazioni sul pilastro (un anno). Altro tempo è trascorso con l’avvio del dibattito sul futuro dell’Europa, senza però che la Commissione avanzasse la minima raccomandazione concreta su come procedere. Nel 2019 si terranno le elezioni al Parlamento europeo e verrà insediata anche una nuova Commissione europea. Secondo l’opinione di molti, questo paradosso temporale — per cui, da un lato, si lascia esaurire il tempo a disposizione per stabilizzare l’UEM e il modello sociale europeo/i modelli sociali europei prima della scadenza del 2019 e, dall’altro, si cerca di guadagnare tempo prima delle importanti consultazioni elettorali che si svolgeranno nell’autunno del 2017 — impedisce purtroppo all’UE di rimettersi in carreggiata e proseguire il cammino.

8.2.

La proposta, presentata dalla Commissione nell’aprile 2017, di una proclamazione interistituzionale congiunta sul pilastro europeo dei diritti sociali ha suscitato reazioni contrastanti. Secondo alcuni, si tratta di un importante passo avanti, mentre altri la considerano — sostanzialmente — come un atto simbolico che manca della concretezza necessaria per affrontare la crisi sociale, e alcuni temono persino che tale iniziativa possa spingersi troppo oltre. Una volta concluso il vertice sociale di Göteborg (novembre 2017), sulla scorta della proclamazione del pilastro e delle discussioni sul documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa, il CESE esorta le tre istituzioni dell’UE a mettere a punto un programma positivo per i cittadini europei inteso a rafforzare un modello economico e sociale europeo idoneo per il futuro, promuovendo la crescita economica, l’occupazione, il benessere dei cittadini e la convergenza verso l’alto in materia di posti di lavoro e di risultati in campo sociale.

8.3.

Vi sono ancora grandi incertezze in merito al pilastro, e ci si chiede anche se esso sarà effettivamente proclamato da tutti gli Stati membri. In caso affermativo, una questione essenziale per il CESE sarà stabilire quali provvedimenti si debbano prendere per assicurare che esso possa essere uno strumento efficace. Il CESE ritiene che dovranno essere adottate ulteriori misure al livello più appropriato, tra cui iniziative comuni in settori chiave in cui l’azione dell’UE apporta un evidente valore aggiunto; tali misure, laddove possibile, dovrebbero essere incentrate sui risultati. Il CESE è dell’avviso che una chiara tabella di marcia per l’attuazione del pilastro contribuirebbe a favorire la convergenza e a realizzare gli obiettivi previsti.

8.4.

Il CESE propone inoltre che le valutazioni d’impatto comprendano anche una valutazione della compatibilità con il pilastro. All’interno del programma «Legiferare meglio» maggiore attenzione andrebbe dedicata alla questione se le iniziative previste comportino maggiore progresso sociale per i cittadini oppure no, come ottengano questo risultato, e se siano di agevole adempimento e applicazione.

8.5.

Il CESE ritiene che il proprio ruolo consista nel monitorare tale processo, sostenendolo con l’organizzazione di dibattiti a livello nazionale, e nell’insistere sulla necessità di una maggiore trasparenza e partecipazione della società civile. Inoltre, il Comitato mette in guardia rispetto a nuovi processi complessi e ad approcci al futuro dell’UE basati essenzialmente su una prospettiva istituzionale.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.

(2)  Building a Social Pillar for European Convergence (Costruire un pilastro sociale per una convergenza europea), OIL, 18 luglio 2016.

(3)  https://ec.europa.eu/commission/white-paper-future-europe-reflections-and-scenarios-eu27_it

(4)  https://ec.europa.eu/commission/priorities/deeper-and-fairer-economic-and-monetary-union/european-pillar-social-rights_it

(5)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.

(6)  Complying with Europe: EU Harmonisation and Soft Law in the Member States («Conformarsi alle regole dell’Europa: l’armonizzazione a livello dell’UE e il diritto non vincolante negli Stati membri»), Gerda Falkner, Oliver Treib, Miriam Hartlapp, 2007.

(7)  Ad es. GU C 376 del 22.12.2011, pag. 74.

(8)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 1.

GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10.

GU C 13 del 15.1.2016, pag. 33.

(9)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 23.

GU C 271 del 19.9.2013, pag. 1.

(10)  Questa è la proposta avanzata dalla Commissione per quel che riguarda «l’approfondimento dell’UEM».

(11)  GU L 113 del 29.4.2017, pag. 56.

(12)  Inoltre, la raccomandazione e la proclamazione sono accompagnate da una comunicazione principale e da una serie di altre iniziative non legislative, inclusi un quadro di valutazione della situazione sociale per monitorare i progressi compiuti, due consultazioni delle parti sociali e una proposta legislativa di direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare (quest’ultima è oggetto dell’elaborazione di un parere distinto da parte del CESE).

(13)  Cfr. la comunicazione della Commissione europea Istituzione di un pilastro europeo dei diritti sociali, pag. 6, COM(2017) 250 final.

(14)  GU C 170, del 5.6.2014, pag. 23 (questo parere non ha ottenuto il sostegno del gruppo Datori di lavoro; cfr. www.eesc.europa.eu/resources/docs/statement-minimum-income.pdf).

(15)  Ein verbindlicher EU-Rechtsrahmen für soziale Sicherungssysteme in den Mitgliedstaaten («Un quadro giuridico vincolante dell’UE per i sistemi di sicurezza sociale negli Stati membri»), parere giuridico del Prof. Dr. Thorsten Kingreen, settembre 2017.

(16)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 74.

(17)  Approfondire l’UEM entro il 2025 (ECO/438) (cfr pagina 124 della presente Gazzetta ufficiale), Le finanze dell’UE entro il 2025 (ECO/439) (cfr pagina 131 della presente Gazzetta ufficiale).

(18)  Nota: si tratta di un importante capitolo riguardante temi di governance e attuazione, quali il semestre europeo e il ruolo delle parti sociali, nonché la funzione che il CESE può svolgere. Il capitolo va interamente sviluppato. Il testo di questo punto fornisce un quadro generale delle misure (politiche) adottate per quanto riguarda il pilastro europeo dei diritti sociali.

(19)  22 ottobre 2014, Parlamento europeo.


Appendice

Tabella riassuntiva della dimensione sociale

Sfide

Scenario 1

«Libera circolazione e nient’altro»

Scenario 2

«Cooperazione rafforzata»

Scenario 3

«Approfondimento della dimensione sociale a 27»

Scenario CESE

«Approfondimento della dimensione sociale laddove possibile e più attenzione ai risultati»

Andamento demografico e nuovi modelli familiari

Potrebbe creare nuovi fattori di spinta e di attrazione, soprattutto per i cittadini qualificati, a lasciare il proprio paese alla ricerca di una retribuzione migliore.

27 soluzioni/meno convergenza verso nuovi modelli familiari/ruoli di genere nella società

Potrebbe anch’esso creare nuovi fattori di spinta e di attrazione, soprattutto per i cittadini qualificati, a spostarsi negli Stati membri «pionieri».

Soluzioni innovative per un nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata, parità di genere/maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro ecc. nei paesi pionieri.

Migliore uso e concezione del mercato del lavoro dell’UE attraverso norme comuni, maggiore convergenza.

Stessa età pensionabile nell’UE, legata alla speranza di vita (ma forte opposizione in molti paesi).

Solidi parametri di riferimento per i risultati sul mercato del lavoro (partecipazione delle donne/dei gruppi vulnerabili/degli anziani, lavoro dignitoso)

Parametri di riferimento per la protezione sociale (prestazioni e servizi)

Misure legislative e non legislative per interventi volti a creare un equilibrio tra vita professionale e vita privata al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro

Digitalizzazione/

Trasformazione del lavoro

Invece di un’unica normativa dell’UE, vi saranno 27 soluzioni per il lavoro tramite le piattaforme, l’orario di lavoro, l’intelligenza artificiale ecc., ma le risposte nazionali saranno limitate

Si potrebbero trovare nuove soluzioni per proteggere meglio e responsabilizzare di più i cittadini e innescare dei cambiamenti, limitando i rischi. Altri Stati membri (SM) potrebbero aderire successivamente. Più facile trovare lavoratori qualificati attraverso norme comuni e un numero unico di sicurezza sociale.

Una normativa unica riguardo allo status occupazionale dei lavoratori delle piattaforme, nuove soluzioni e progetti innovativi.

Sistemi informatici dell’UE

Fare in modo che il futuro del lavoro diventi un progetto positivo

Politiche attive del mercato del lavoro (PAML) efficaci e mirate, sulla base di determinati parametri, per raggiungere buoni risultati in termini di occupazione

Transizione al Lavoro 4.0 accompagnata da una transizione parallela allo Stato sociale 4.0

Le condizioni quadro dei mercati del lavoro devono sostenere percorsi professionali nuovi e più diversificati.

Necessità di un quadro per garantire condizioni di lavoro eque per tutti

Consentire ai cittadini di compiere le necessarie transizioni (competenze, nuovi posti di lavoro)

Globalizzazione

Il modello sociale dell’UE non sarebbe un modello di riferimento per una globalizzazione equa, più difficile stabilire norme a livello mondiale

I paesi pionieri rappresentano un modello di riferimento limitato per la globalizzazione. I paesi pionieri tramite strumenti e fondi comuni gestiscono meglio le transizioni/forniscono competenze

Il modello sociale dell’UE può essere un modello di riferimento più forte per una globalizzazione equa, contribuisce a stabilire le regole a livello mondiale definendo delle norme per il mercato comune più grande del mondo.

Un modello economico e sociale dell’UE basato sull’aumento dell’occupazione, del progresso sociale e della produttività

Attuare gli OSS, in particolare il n. 1 (eliminare la povertà), il n. 3 (salute e benessere), il n. 5 (parità di genere) e il n. 8 (lavoro dignitoso e crescita economica).

Diseguaglianze tra Stati membri e all’interno degli Stati membri

Aumento delle diseguaglianze, più nessun finanziamento dell’UE per creare una maggiore convergenza. Gli SM devono creare i propri fondi, vi sarà un ulteriore aumento delle diseguaglianze

Aumento delle diseguaglianze tra i paesi pionieri e gli altri SM. Potrebbe portare a diversi «modelli d’impresa» e a nuovi fattori di spinta e attrazione per le imprese

Si ridurrebbero sensibilmente attraverso una convergenza verso l’alto.

Azione/monitoraggio speciali tramite parametri di riferimento e incentivi finanziari

Parametri di riferimento in materia di protezione sociale (condizioni di ammissibilità, durata e livelli delle prestazioni)

Fondo europeo per gli investimenti strategici e fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE) per creare occupazione e promuovere la coesione territoriale e sociale.

Aumento delle diseguaglianze/povertà

Continuerà ancora più rapidamente in alcuni SM, altri saranno in grado di proteggere meglio i cittadini limitando l’intervento delle sentenze della Corte di giustizia ecc. Le disuguaglianze cresceranno per via di un aumento del dumping sociale/retributivo

Riduzione delle diseguaglianze grazie a una migliore compensazione tramite le politiche sociali nei paesi pionieri, probabilmente aumento delle disuguaglianze in altri paesi

Potrebbero essere ridotte mediante norme e politiche comuni.

Ai lavoratori vanno applicate norme fondamentali in materia di lavoro e una protezione sociale adeguata

Ulteriori sforzi verso una convergenza dei salari e la fissazione di salari minimi negli Stati membri

Prendere in considerazione l’idea di un reddito minimo europeo

Iniziative nazionali e UE per rafforzare la protezione sociale (sicurezza sociale, assistenza sociale, servizi sociali, assistenza sanitaria, alloggio)

Competitività delle imprese

Una minore regolamentazione UE ma maggiori costi per rispettare 27 normative diverse in materia di salute e sicurezza, orario di lavoro ecc.

In generale, una maggiore complessità delle norme di monitoraggio/attuazione. La competitività potrebbe anche migliorare grazie ad una maggiore convergenza e a nuove soluzioni innovative nei paesi pionieri, ma anche per alcuni modelli d’impresa tramite una minore regolamentazione nei paesi «esclusi»

Condizioni di concorrenza eque, meno burocrazia grazie ad un’unica normativa e uso ottimale delle politiche UE in materia di mercato del lavoro e di competenze (ad esempio un programma Erasmus+ migliorato ecc.)

Riduzione dei costi attraverso soluzioni informatiche comuni e anche attraverso il semplice riconoscimento dei diplomi ecc.

Politiche macroeconomiche sane che promuovano un contesto imprenditoriale favorevole alla crescita dell’occupazione

Fondare l’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro sul concetto di una flessicurezza equilibrata

Dialogo sociale orientato alle soluzioni che contribuisca alla competitività

Accettazione dell’integrazione dell’UE da parte dei cittadini

La regolamentazione sociale può avvenire più vicino ai cittadini, ma l’accettazione dell’integrazione potrebbe diminuire se aumenta il livellamento verso il basso

L’accettazione nei paesi esclusi rischia di diminuire se le realtà sociali peggiorano, poiché gli SM potrebbero abbassare i loro standard sociali per attirare le imprese. Nei paesi pionieri potrebbe aumentare.

 

Il pilastro potrebbe rappresentare un progetto positivo perché tutti possano riacquistare fiducia nella capacità dell’UE di migliorare le prospettive di vita e di creare sufficienti opportunità di lavoro e condizioni di lavoro eque per tutti

Una governance economica più efficace e democratica, in particolare nella zona euro, per affrontare gli squilibri

Conclusioni

Fattore di aumento delle divergenze

Profondo cambiamento/passo indietro

Notevoli conseguenze per la vita dei cittadini

Una sorta di scenario «Soft Brexit» per tutti

Rischio di un «livellamento verso il basso»

La regolamentazione della mobilità e della libera circolazione potrebbe essere di qualità superiore (meno ma meglio) e anche attuata/controllata meglio dalla Commissione

Maggiore convergenza tra alcuni Stati membri, ma un divario più marcato con altri (aumento della semidivergenza)

Non una politica basata sul minimo comune denominatore

I diritti dei cittadini sarebbero diversi nei vari Stati membri

Rischi di erosione del mercato unico

Fattore di convergenza, profondo cambiamento

Rafforzamento dei valori/diritti comuni

Misura vincolante, parametri di riferimento 27 SM (occupazione, istruzione, regimi di previdenza sociale)

Finanziamenti dell’UE collegati ai parametri di riferimento dei risultati (condizionalità)

Fattore di convergenza, profondo cambiamento

Promozione e applicazione dei valori/diritti comuni

Quadri di riferimento comuni per il sostegno al reddito per le persone in stato di bisogno

Misure vincolanti previste nel semestre europeo, parametri di riferimento 27 SM (occupazione, istruzione, regimi di previdenza sociale)

Aumento dei finanziamenti UE per la coesione sociale e gli investimenti sociali (nel rispetto del patto di stabilità e crescita, nessuna condizionalità)

Strumenti per realizzare gli obiettivi negli scenari 1-4

Semestre europeo

Quadro di valutazione sociale nell’ambito del semestre europeo

Incentivi finanziari attraverso il QFP

Pilastro europeo dei diritti sociali, diritti e principi guida

Tabella di marcia per l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali (comprese misure legislative e non legislative).

Dialogo sociale


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/160


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa il quadro giuridico del corpo europeo di solidarietà e che modifica i regolamenti (UE) n. 1288/2013, (UE) n. 1293/2013, (UE) n. 1303/2013, (UE) n. 1305/2013, (UE) n. 1306/2013 e la decisione n. 1313/2013/UE»

[COM(2017) 262 final — 2017/0102(COD)]

(2018/C 081/21)

Relatore:

Pavel TRANTINA (CZ/III)

Correlatore:

Antonello PEZZINI (IT/I)

Consultazione

Parlamento europeo, 20.6.2017

Consiglio dell’Unione europea, 20.6.2017

Base giuridica

Articoli 165, paragrafo 4, e 166, paragrafo 4, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

27.9.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

124/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, in cui ravvisa un buon punto di partenza per una discussione più ampia, ma anche numerosi aspetti da chiarire e migliorare. Esso si compiace di rilevare l’inclusione, nella base giuridica, di alcune delle priorità evidenziate dalle organizzazioni della società civile nelle varie consultazioni delle parti interessate organizzate dalla Commissione (maggiori finanziamenti, volontariato locale, speciale attenzione a un migliore accesso dei giovani provenienti da contesti svantaggiati o con esigenze particolari, speciale attenzione alla garanzia della qualità dei posti offerti, semplificazione delle procedure amministrative).

1.2.

Il CESE ritiene che il valore aggiunto dei progetti finanziati dal Corpo europeo di solidarietà risieda nel messaggio di solidarietà europea che essi trasmettono. Rispetto alle precedenti iniziative, tali progetti mirano a creare la piena consapevolezza della cittadinanza europea e un senso di appartenenza all’Unione tra i partecipanti e le comunità ospitanti. Al Comitato pare di fondamentale importanza il carattere innovativo di tale corpo, ossia il fatto che esso si basi su valori collegati all’identità europea, profondamente integrati nella concezione dei progetti e tradotti in risultati concreti. Tali valori sono chiaramente enunciati nel trattato sull’Unione europea: si tratta dei valori della pace, del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dei diritti umani, compresi quelli delle minoranze, della tolleranza, della non discriminazione, della parità tra donne e uomini, dello Stato di diritto, nonché quelli del rispetto e dell’applicazione dei principi di un’economia sociale di mercato.

1.3.

Il CESE accoglie con favore l’annuncio di questo nuovo investimento nei giovani, ma esprime preoccupazione per il fatto che esso si realizzi attraverso la riassegnazione del bilancio destinato al servizio volontario europeo nel quadro di Erasmus+ a partire dal 2018. Il CESE ritiene che gli investimenti iscritti nel bilancio del corpo europeo di solidarietà non debbano andare a discapito di programmi di successo che già offrono preziose opportunità ai giovani, in particolare Erasmus+, che è già sottofinanziato. Il CESE chiede, pertanto, più «denaro fresco» da investire nel programma.

1.4.

Tuttavia, il CESE guarda con grande preoccupazione alla fusione degli obiettivi del corpo europeo di solidarietà con le politiche per l’occupazione giovanile e propone, per questa ragione, di riesaminare l’inclusione nel programma di collocamenti lavorativi e tirocini. Il CESE suggerisce che l’elemento «collocamenti lavorativi e tirocini» dovrebbe essere offerto attraverso altri programmi dell’UE già esistenti e incentrati sull’occupazione e i tirocini e di cui andrebbe potenziato l’aspetto relativo alla solidarietà. Indirizzare l’azione del corpo europeo di solidarietà esclusivamente verso l’aspetto del volontariato permetterebbe una maggiore chiarezza e concentrazione e aiuterebbe a evitare una confusione con gli altri programmi dell’UE a favore dei giovani.

1.5.

A seguito di un’ampia consultazione con le principali parti interessate il CESE formula, per migliorare il progetto di base giuridica, le seguenti proposte, che saranno illustrate più in dettaglio nella quarta parte:

la definizione delle attività di volontariato e delle azioni di solidarietà dovrebbe essere modificata,

l’offerta dei collocamenti dovrebbe essere limitata alle organizzazioni senza scopo di lucro, alle fondazioni e alle imprese sociali;

il portale di registrazione online deve diventare un reale ed efficace strumento interattivo e di gestione;

dovrebbero essere forniti un maggiore sostegno e una migliore preparazione ai giovani, compresi quelli svantaggiati, prima del loro inserimento, e le organizzazioni giovanili dovrebbero essere sostenute nel fornire tale preparazione,

le organizzazioni giovanili e le parti sociali devono essere coinvolte nella gestione congiunta del corpo europeo di solidarietà,

a differenza dell’attuale approccio di Erasmus+, l’accessibilità deve essere potenziata, gli oneri amministrativi ridotti e l’approccio delle agenzie nazionali modificato in modo da facilitare gli utilizzatori.

I dettagli delle proposte del CESE, così come altre proposte, sono specificati più oltre.

2.   Sintesi dell’iniziativa della Commissione

2.1.

Il lancio dell’iniziativa ora denominata «corpo europeo di solidarietà» (CES) è stato annunciato dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker nel suo discorso sullo stato dell’Unione del settembre 2016, in cui ha individuato la solidarietà come uno degli elementi costitutivi dell’Unione europea e ha espresso la sua volontà di impegnare più giovani in azioni di solidarietà e nel volontariato.

2.2.

Il Corpo europeo di solidarietà è stato lanciato ufficialmente il 7 dicembre 2016 con l’obiettivo di accogliere i primi 100 000 partecipanti entro il 2020. L’obiettivo principale del corpo europeo di solidarietà è quello di rafforzare la coesione e promuovere la solidarietà nella società europea dando modo ai giovani di partecipare a un’ampia gamma di attività basate sulla solidarietà, ad esempio aiutando ad affrontare situazioni di emergenza, come la crisi dei rifugiati, ma anche mobilitandosi quando è necessaria un’azione ad hoc (ad esempio, in caso di calamità naturali).

2.3.

Se approvato, il corpo europeo di solidarietà sarà (ri) lanciato il 1o gennaio 2018 con una dotazione di 341 milioni di EUR da ripartire tra tre attività principali:

i collocamenti di solidarietà, che aiuteranno i giovani che svolgono attività di volontariato per un periodo massimo di 12 mesi, tirocini di 2-6 mesi in media o svolgono un lavoro, nel rispetto della pertinente normativa nazionale, per un periodo compreso tra 2 e 12 mesi. Beneficeranno di un sostegno anche collocamenti di gruppi di volontariato costituiti da 10-40 giovani volontari provenienti da diversi paesi per un periodo compreso tra due settimane e due mesi,

i progetti di solidarietà, che consentiranno a piccoli gruppi di almeno cinque partecipanti registrati di istituire e svolgere progetti di solidarietà a livello locale di propria iniziativa, per un periodo di 2-12 mesi,

le attività di rete, che consentiranno lo scambio di buone pratiche tra i partecipanti registrati e le organizzazioni partecipanti, forniranno un sostegno post-collocamento avvenuto e creeranno reti di ex partecipanti.

Questi collocamenti saranno disponibili per giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Attualmente, il programma è limitato all’UE a 28.

2.4.

Il programma avrà una durata di tre anni, dal 2018 al 2020. L’80 % del bilancio del corpo europeo di solidarietà sarà destinato ai collocamenti di volontariato e il 20 % ai collocamenti di lavoro (cioè posti di lavoro e tirocini). Dei 341 milioni di EUR assegnati al programma, quasi il 58 % (circa 197,7 milioni di EUR) proverrà dal programma Erasmus+. La maggior parte di queste risorse sarà fornita dal servizio volontario europeo (191 milioni di EUR).

2.5.

I partecipanti registrati sono invitati a creare un profilo sul portale Internet con l’indicazione delle loro preferenze per settori di attività o tipi di collocamento e riceveranno offerte di collocamento da organismi pubblici o privati o da organizzazioni internazionali che hanno ottenuto il marchio di qualità del corpo europeo di solidarietà. Per ricevere il suddetto marchio e avere accesso alla banca dati, l’organizzazione dovrà passare attraverso un processo di accreditamento (simile a quello del servizio volontario europeo) che ne attesti la conformità ai requisiti della carta del corpo europeo di solidarietà (1) (cioè garantire, tra l’altro, lo sviluppo di competenze, condizioni di lavoro sicure e dignitose e una formazione adeguata).

2.6.

La Commissione europea e l’Agenzia esecutiva per l’istruzione, gli audiovisivi e la cultura (EACEA), controlleranno l’attuazione del corpo europeo di solidarietà a livello dell’UE, e le agenzie nazionali Erasmus+ controlleranno l’attuazione a livello nazionale.

2.7.

Per i collocamenti di volontariato, a tutti i partecipanti verranno pagate le spese di sussistenza (vitto, alloggio), di viaggio, le assicurazioni e verranno versati circa 155 EUR al mese. Per i collocamenti di lavoro e tirocinio, il contratto di lavoro, i salari e i contratti scritti di tirocinio e le remunerazioni sono stabiliti in conformità della legislazione nazionale. Per questi collocamenti i partecipanti beneficiano di un anticipo per le spese di viaggio.

2.8.

È prevista un’integrazione finanziaria per i giovani svantaggiati e possono essere coperti anche alcuni costi amministrativi per le organizzazioni ospitanti (vale a dire costi amministrativi, di gestione e di sostegno). Il sostegno precedente al collocamento (cioè l’apprendimento delle lingue) sarà fornito principalmente online, ma le organizzazioni sono libere di integrarlo con i propri sistemi di sostegno. Nelle agenzie nazionali Erasmus+ saranno istituiti centri risorse del corpo europeo di solidarietà per fornire sostegno alle organizzazioni partecipanti.

3.   Osservazioni generali sul corpo europeo di solidarietà

3.1.

Il CESE apprezza la creazione di un nuovo programma diretto ai giovani e, specificamente, al volontariato giovanile, che colma un vuoto nell’attuale struttura dell’UE. Analogamente, il CESE accoglie con favore la varietà dei tipi di collocamento che il corpo europeo di solidarietà offre, come i «progetti di solidarietà» a livello locale, recuperando una componente delle precedenti Iniziative per i giovani, che hanno riscosso un grande successo.

3.2.

Il CESE si augura che questo programma consentirà di elaborare una più ampia strategia di volontariato a livello UE, non solo per i 100 000 giovani previsti, ma anche per i circa 100 milioni di cittadini dell’UE, giovani e adulti, attualmente impegnati nel volontariato in tutta Europa. Come il CESE ha sottolineato nel parere sulle politiche dell’UE e il volontariato (2), le istituzioni dell’UE dovrebbero adottare un approccio più coordinato nei confronti della politica di volontariato. Quest’ultima va riconosciuta per la sua dimensione trasversale e coordinata da un’unità speciale in seno alla Commissione, con il sostegno delle necessarie strutture politiche nelle altre istituzioni dell’UE. A tal fine, l’agenda politica del volontariato in Europa (PAVE — Policy Agenda on Volunteering in Europe) offre una serie di interessanti proposte per l’ulteriore sviluppo del volontariato a livello dell’UE e degli Stati membri, nonché per le parti sociali e le ONG. Il CES potrebbe anche rafforzare e promuovere la creazione di strutture nazionali di volontariato, ed eliminare i numerosi ostacoli che ancora sussistono per il volontariato transfrontaliero.

3.3.

Il corpo europeo di solidarietà dovrebbe contribuire ai valori sociali europei. Tuttavia, il CESE guarda con grande preoccupazione alla fusione degli obiettivi del corpo europeo di solidarietà con le politiche per l’occupazione giovanile. Un tale approccio rischia di sostituire, per i giovani europei, il lavoro retribuito con quello non retribuito. In proposito, il CESE osserva con inquietudine che la definizione di «attività di volontariato» proposta dal documento che costituisce la base giuridica del corpo europeo di solidarietà (servizio volontario a tempo pieno, non retribuito, svolto in modo continuativo, cinque giorni alla settimana per sette ore al giorno) si avvicina molto alla descrizione di un collocamento di lavoro. Tuttavia, di regola, l’attività di volontariato non è un lavoro a tempo pieno, bensì si svolge nel tempo libero del volontario.

3.4.

Il CESE suggerisce che l’elemento «lavoro e tirocini» dovrebbe essere offerto attraverso altri programmi dell’UE già esistenti e incentrati sull’occupazione e i tirocini, di cui andrebbe potenziato l’aspetto relativo alla solidarietà. Indirizzare l’azione del corpo europeo di solidarietà esclusivamente verso l’aspetto del volontariato permetterebbe una maggiore chiarezza e concentrazione e aiuterebbe a evitare una confusione con gli altri programmi dell’UE a favore dei giovani.

3.5.

Nel caso vengano comunque mantenuti nel corpo europeo di solidarietà i collocamenti di lavoro e di tirocinio, il CESE auspica in questo ambito il rispetto delle norme di qualità (European Quality Charter on Internships and Apprenticeships (Carta europea della qualità per i tirocini e gli apprendistati) e il futuro Framework of Actions for Apprenticeships (Quadro d’azione per gli apprendistati), negoziato congiuntamente dalle parti sociali europee) e il pieno allineamento della retribuzione con la legislazione nazionale sui salari e/o sui contratti collettivi applicabili. Allo stesso modo, i collocamenti dovrebbero essere limitati alle organizzazioni senza scopo di lucro, alle fondazioni e alle imprese sociali. Sarebbe inoltre necessario garantire un inquadramento per gli apprendisti e i tirocinanti, dei contratti che comprendano l’assicurazione sanitaria e la previdenza sociale nonché degli obiettivi ben precisi in materia di istruzione e di formazione.

3.6.

L’attuazione del corpo europeo di solidarietà deve essere controllata con la partecipazione delle organizzazioni giovanili e delle parti sociali, che dovrebbero svolgere un ruolo particolare nel garantire che si distingua chiaramente tra attività di volontariato ed eventuali collocamenti di lavoro.

3.7.

Il CESE è convinto che il corpo europeo di solidarietà dovrebbe essere attuato interamente nell’ambito del programma Erasmus+, piuttosto che istituendo un programma del tutto nuovo, amministrato dalle strutture di Erasmus+. Così facendo, si potrebbe anche contribuire a uniformare i requisiti del resto del servizio volontario europeo con quelli del corpo europeo di solidarietà. Per di più, il programma non sarebbe a rischio dopo il 2020. Tuttavia, in ogni caso, sono necessari dei fondi e un sostegno supplementare.

3.8.

Alla luce dell’esperienza maturata, il CESE ritiene importante:

garantire che tutte le iniziative di sostegno ad attività di solidarietà senza fini di lucro rispondano a esigenze reali e chiaramente individuate della comunità destinataria dell’intervento,

evitare doppioni, oneri amministrativi e intralci a sistemi ben funzionanti, come è il servizio volontario europeo,

dare la priorità a iniziative della base, che rispondono alle esigenze delle comunità locali, piuttosto che a quelle transnazionali, che richiedono una preparazione e un’attività di formazione maggiori e tempi di avviamento più lunghi,

prevedere, per tali iniziative ma anche per altre attività, di abbassare l’età minima dei partecipanti a 16 anni,

approvare solo le attività di volontariato conformi ai criteri di qualità previsti dall’agenda politica del volontariato in Europa (PAVE) e dalla carta europea dei diritti e delle responsabilità dei volontari,

emettere attestazioni al termine delle attività svolte, per migliorare l’occupabilità, come previsto nella raccomandazione del 20 dicembre 2012 sulla convalida dell’apprendimento non formale e informale,

offrire a organizzazioni e singole persone misure di sostegno per aiutarle a migliorare le proprie capacità di organizzare attività di volontariato,

tutelare la flessibilità del corpo europeo di solidarietà, grazie all’offerta di attività a tempo parziale per consentire ai volontari con disabilità, o con minori opportunità di viaggiare, di partecipare a progetti locali,

individuare possibili sinergie tra i progetti del corpo europeo di solidarietà e i programmi locali o nazionali,

coinvolgere le principali parti interessate nella preparazione, nella gestione e nella valutazione del programma,

agevolare l’accesso al programma alle persone disabili e socialmente svantaggiate (compresi i giovani provenienti da istituti di accoglienza per i minori, oppure che vivono in aree remote ecc.),

prestare particolare attenzione al rispetto delle norme di sicurezza nel quadro dei programmi che prevedono di lavorare direttamente con i minori,

promuovere il programma in modo ampio ed efficace, cosicché possa rivolgersi anche alle persone che, altrimenti, non vi avrebbero fatto ricorso.

4.   Osservazioni specifiche sul corpo europeo di solidarietà

4.1.   Definizione del volontariato e delle attività di solidarietà

Il documento in esame contiene una definizione del volontariato restrittiva, che non riflette la diversità delle attività di volontariato in Europa. Tale definizione recita attualmente «volontariato: un servizio di volontariato non retribuito a tempo pieno [in generale un’attività svolta in modo continuativo, 5 giorni alla settimana per 7 ore al giorno] per un periodo massimo di 12 mesi». Si potrebbe rimediare usando il termine «volontariato» per descrivere tutte le attività alle quali i giovani partecipano in qualità di volontari (ad esempio i collocamenti di volontariato, il volontariato di gruppo e le iniziative di volontariato nel tempo libero).

La definizione di attività di solidarietà è altrettanto vaga e molto ampia, cosa che induce a porsi interrogativi circa i tipi di progetto che troveranno spazio nel corpo europeo di solidarietà.

4.2.   Offerta di collocamenti

L’attuale proposta non fa una distinzione formale tra volontariato e collocamenti di lavoro e di tirocinio, creando un’inutile confusione tra due realtà distinte, ossia il volontariato e il lavoro. L’applicazione degli stessi criteri di qualità a tutte le attività e le organizzazioni partecipanti solleva anche questioni riguardanti la garanzia della qualità delle offerte, dal momento che gli stessi criteri sarebbero utilizzati per accreditare società a scopo di lucro, organizzazioni della società civile e altre organizzazioni pubbliche e private. Il CESE è quindi convinto che l’offerta dei collocamenti dovrebbe essere limitata alle organizzazioni senza scopo di lucro, alle fondazioni e alle imprese sociali.

4.3.   Impatto del corpo europeo di solidarietà su Erasmus+

Il CESE accoglie con favore l’annuncio di questo nuovo investimento nei giovani, ma esprime preoccupazione per il fatto che esso si realizzi attraverso la riassegnazione del bilancio destinato al servizio volontario europeo nel quadro di Erasmus+ a partire dal 2018. Ciò induce a chiedersi quali siano le priorità della Commissione, in un momento in cui i tassi di riuscita dei candidati in altre iniziative dell’attuale capitolo sulla gioventù di Erasmus+ sono in rapida diminuzione e molti progetti di qualità rimangono senza finanziamento (come constata tra l’altro la relazione informativa del CESE sul programma Erasmus+ (3)). Il CESE ritiene che gli investimenti iscritti nel bilancio del corpo europeo di solidarietà non debbano andare a discapito di programmi che già offrono preziose opportunità ai giovani, in particolare Erasmus+, che è già sottofinanziato. Inoltre, si rischia di mettere a repentaglio il futuro del programma Erasmus+, con la sua ampia dimensione di apprendimento lungo tutto l’arco della vita che unisce l’istruzione formale e non formale.

4.4.   Un portale di registrazione online come un reale ed efficace strumento interattivo e di gestione

Il CESE è convinto che un portale di registrazione online possa effettivamente semplificare le procedure e facilitare l’accesso di un maggior numero di giovani al corpo europeo di solidarietà. Tuttavia, l’eccessivo affidamento al portale per la registrazione, la selezione dei partecipanti e il sostegno previo al collocamento non è sufficiente a garantire la qualità e l’equità delle procedure di selezione e di monitoraggio. La natura passiva del processo di selezione (gli aspiranti partecipanti devono aspettare di essere contattati dalle organizzazioni accreditate) non dà autonomia ai partecipanti, crea una relazione squilibrata tra essi e le organizzazioni ospitanti e rischia di generare frustrazione nei confronti del programma.

Il CESE suggerisce quindi di modificare sensibilmente il portale, rendendolo interattivo per entrambe le parti, e facendone uno strumento di semplificazione amministrativa durante l’intero ciclo di vita del progetto, dalla registrazione iniziale di una manifestazione d’interesse, passando per la ricerca attiva di organizzazioni ospitanti, la domanda, la selezione, la preparazione, l’esecuzione e la valutazione, fino all’opportunità di creare reti per gli ex partecipanti. Non dovrebbe essere necessario inserire due volte gli stessi dati.

Occorre garantire pari opportunità per tutti, compresi i soggetti che non dispongono di un facile accesso ad Internet. Per questi ultimi è necessario che vi sia un aiuto offline.

4.5.   Preparazione prima del collocamento, compreso il sostegno ai giovani provenienti da ambienti svantaggiati

Fornire soltanto una formazione online prima del collocamento non basta a garantire che l’esperienza risulti positiva. Il CESE ritiene che occorra fornire ai giovani — e in particolare a quelli in un modo o nell’altro svantaggiati — un sostegno e una preparazione più consistenti prima del collocamento e che le organizzazioni giovanili, con le loro competenze specifiche, siano in grado di agire come organizzazioni di sostegno in tutte le fasi del programma e dovrebbero ricevere incentivi adeguati per svolgere tale compito.

4.6.   Coinvolgimento delle organizzazioni giovanili e delle parti sociali nella gestione congiunta del corpo europeo di solidarietà

Affinché il programma abbia successo, occorre coinvolgere nella sua definizione, sin dall’inizio, i principali soggetti interessati. Attualmente la proposta non prevede il coinvolgimento delle organizzazioni giovanili, di altre organizzazioni di volontariato, o delle parti sociali, nell’attuazione, nella cogestione e nel controllo del corpo europeo di solidarietà. La proposta dà la priorità alle agenzie nazionali Erasmus+ nella gestione del programma, con una struttura molto simile a quella del programma del servizio volontario europeo. La ripartizione del bilancio in funzione delle attività principali sarà inoltre definita nel quadro dei programmi di lavoro annuali della Commissione, in base ai loro criteri. Il CESE continua a ritenere che nelle fasi di programmazione, attuazione e controllo dell’iniziativa occorrerebbe consultare regolarmente, tramite gruppi consultivi e altri mezzi formali ed informali, le organizzazioni giovanili e altre organizzazioni della società civile, comprese le parti sociali. Anche i giovani dovrebbero essere coinvolti nel processo di controllo e valutazione a tutti i livelli (UE, nazionale e locale), ad esempio mediante uno strumento attraverso il quale possano dare una valutazione della propria esperienza.

4.7.   Accessibilità, onere amministrativo e agenzie nazionali

Come sottolineato dal CESE nella relazione informativa sulla valutazione intermedia di Erasmus+ (4), candidarsi e partecipare a Erasmus+ continua a essere problematico per le organizzazioni non interamente professionali. La mole di lavoro necessaria può anche, in assoluto, non essere sempre eccessiva, ma a causa della limitatezza delle loro risorse umane e finanziarie, tali organizzazioni non provano nemmeno a fare domanda oppure cercano approcci alternativi meno onerosi. È quindi essenziale che le agenzie nazionali cambino il loro approccio, andando in direzione della semplificazione, al fine di attirare e di sostenere nei loro sforzi i potenziali candidati al corpo europeo di solidarietà e le loro eventuali organizzazioni ospitanti. Ai fini del successo del programma sarebbe molto utile che vi fossero meno controlli formali e più attività di orientamento informali. È opportuno, in tal senso, apportare un sostegno adeguato alle agenzie nazionali e dotarle di mezzi finanziari supplementari destinati al sostegno personale degli utenti.

4.8.   Altre questioni da considerare

a)

In che modo si garantirà che le informazioni sull’iniziativa arrivino a tutti i giovani, a tutte le regioni e a tutte le organizzazioni, in modo da raggiungere anche coloro che non hanno alcuna esperienza precedente, in particolare i soggetti più vulnerabili? O si tratterà di una specie di «club» per pochi fortunati?

b)

Come possiamo far sì che i giovani con minori opportunità siano effettivamente in grado di accedere al programma? È essenziale fornire un sostegno finanziario per attività di sensibilizzazione dirette alle organizzazioni che partecipano al programma. Il ruolo delle organizzazioni di sostegno sarebbe essenziale per mantenere le attività di sensibilizzazione e sostenere il successivo coinvolgimento. Il programma dovrebbe rafforzare l’impegno dei giovani al servizio della società al di là del quadro previsto per l’attività del corpo europeo di solidarietà.

c)

Se da un lato bisogna garantire la qualità del programma per i partecipanti, come si valuterà la qualità della solidarietà (risultati dei singoli progetti)?

d)

Dovremmo integrare il corpo europeo di solidarietà in altri programmi europei? Nei programmi di mobilità degli studenti Erasmus+ potrebbe essere inclusa, e collegata al corpo europeo di solidarietà, una dimensione di volontariato locale.

e)

Quali criteri obiettivi utilizzerà la Commissione per adeguare annualmente il bilancio disponibile per ciascuna azione specifica? Adeguamenti basati sul livello della domanda per ciascuna attività aiuterebbero, da un lato, a ridurre la pressione su alcune attività e, dall’altro, a prevenire il disimpegno dei giovani e delle organizzazioni partecipanti.

f)

Come garantire che le richieste di finanziamento saranno sufficientemente flessibili per le organizzazioni di volontariato e i gruppi giovanili? Una procedura semplificata sarebbe utile a garantire che le richieste di sovvenzioni di minima entità (al di sotto di 5 000 EUR) possano essere presentate in qualsiasi momento, senza scadenze fisse e con un modulo semplificato.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  https://europa.eu/youth/solidarity/charter_it.

(2)  Parere del CESE Comunicazione sulle politiche dell’UE e il volontariato: riconoscere e promuovere le attività di volontariato transfrontaliero nell’UE, GU C 181 del 21.6.2012, pag. 150.

(3)  SOC/552: Valutazione intermedia di Erasmus+, relazione adottata il 31 maggio 2017.

(4)  SOC/552: Valutazione intermedia di Erasmus+: ultimo punto della sezione «Has the administrative burden of managing Erasmus+ projects in your field of work been reduced?» [Nel Suo settore di attività, gli oneri amministrativi della gestione dei progetti Erasmus+ si sono ridotti?] dell’allegato tecnico.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/167


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa ad una nuova agenda per l’istruzione superiore»

[COM(2017) 247 final]

e sulla

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Sviluppo scolastico ed eccellenza nell’insegnamento per iniziare la vita nel modo giusto»

[COM(2017) 248 final]

(2018/C 081/22)

Relatore:

Pavel TRANTINA (CZ/III)

Correlatore:

Antonello PEZZINI (IT/I)

Consultazione

Commissione europea, 5.7.2017

Base giuridica

Articoli 165, paragrafo 4, e 166, paragrafo 4, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

27.9.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

148/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente le iniziative proposte dalla Commissione e concorda con i loro principi, ma desidera cogliere questa occasione per esprimere il proprio punto di vista circa l’importanza di fornire i mezzi necessari per sostenere il miglioramento dei sistemi di istruzione in Europa al fine di pervenire a un’istruzione di qualità per tutti; coglie inoltre l’occasione per insistere ugualmente sull’importanza di migliorare la capacità dell’istruzione di rispondere alle sfide sociali in senso lato e di preparare in modo efficace gli studenti a condizioni di vita e a posti di lavoro di qualità. Facendo leva sui valori che le sono propri, l’Europa può e deve svolgere un ruolo innovativo di leadership nella costruzione di un’economia sostenibile e inclusiva. Un’economia di questo tipo dovrebbe essere in grado di rafforzare la competitività e di salvaguardare il futuro del proprio modello sociale specifico. La cooperazione in materia di istruzione attribuisce un significato concreto all’idea stessa di Unione europea, e contribuisce a far considerare la «comunità», vale a dire l’UE, come qualcosa di costruttivo.

1.2.

Di fronte all’attuale clima politico in Europa, il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a inserire la necessità di valorizzare la diversità culturale e la tolleranza nelle politiche in materia di istruzione quale nuova area di promozione della cittadinanza attiva nell’ambito degli obiettivi dell’UE volti a promuoverne i valori fondamentali. Tutti noi abbiamo la responsabilità di educare i nostri concittadini e di renderli pienamente coscienti della nostra storia comune in Europa e dei comuni valori europei, come pure dell’importanza della tolleranza e dei diritti umani.

1.3.

Il CESE ritiene che, per essere in grado di rispondere alle sfide odierne in continuo aumento, sia necessaria un’iniziativa più ambiziosa, che sfoci nell’adozione di un approccio più globale all’istruzione, capace di modificarne il paradigma attuale, per dare sostegno ai nostri figli e ai nostri giovani e trovare rapidamente delle soluzioni alle sfide che abbiamo oggi di fronte.

1.4.

Garantire a insegnanti e dirigenti scolastici uno status migliore e un sostegno è essenziale per il miglioramento dell’istruzione. Occorre offrire più formazione non solo a insegnanti e dirigenti scolastici, ma anche agli educatori dei bambini e dei giovani nella vita reale e al di fuori del contesto educativo, ad esempio i loro genitori, la comunità di appartenenza e gli erogatori di istruzione non formale. È importante stringere alleanze con questi soggetti.

1.5.

Agli Stati membri dovrebbero essere rivolte raccomandazioni più specifiche sull’istruzione e sul sostegno degli insegnanti, anche per quanto riguarda il miglioramento dell’ambiente scolastico quale parte integrante delle condizioni di lavoro dei docenti e delle condizioni di apprendimento degli studenti. Alcuni di questi suggerimenti potrebbero essere formulati nel contesto del semestre europeo, integrandoli nelle raccomandazioni specifiche per paese.

1.6.

In vista del prossimo vertice ad alto livello sull’istruzione che sarà ospitato dalla Commissione a inizio 2018, il CESE sollecita gli Stati membri a compiere un importante passo avanti — anche grazie a dialoghi sociali e civili efficaci — verso la creazione di sistemi di istruzione, formazione e apprendimento permanente che offrano agli studenti un promettente futuro in Europa.

1.7.

Per migliorare e modernizzare i sistemi d’istruzione il CESE ritiene essenziali i seguenti due elementi: la disponibilità di finanziamenti sufficienti ed equamente distribuiti, e una governance coordinata nell’ambito di un dialogo sociale efficace e di qualità. Questi due aspetti dovrebbero trovare maggiore spazio nei futuri dibattiti sull’argomento. Le risorse educative non dovrebbero concentrarsi solo sulle prestazioni, ma anche sull’inclusività per i discenti provenienti da contesti svantaggiati e per i rifugiati.

1.8.

L’UE deve investire di più nell’istruzione e nella formazione, oltre che in ricerca e innovazione, aumentando i fondi assegnati ai programmi Erasmus+ e Orizzonte 2020 e ai programmi successivi ai quali i due citati dovrebbero passare il testimone. Questo aumento delle risorse potrà incrementare i posti di lavoro in futuro e offrire nuove opportunità.

1.9.

Il CESE intende inoltre mettere l’accento sull’importanza di un coinvolgimento reale ed efficace delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile in tale processo.

1.10.

Sebbene la comunicazione in esame sia dedicata principalmente alle scuole e all’istruzione superiore, occorre affrontare anche la questione della cooperazione e dei legami tra apprendimento formale, non formale e informale, nonché quella della convalida dei risultati di questi settori.

1.11.

Il CESE sottolinea l’importanza di adottare un approccio globale all’imprenditorialità. Occorrono obiettivi di educazione all’imprenditorialità ben definiti per tutti gli educatori, in modo da introdurre nelle classi metodiche efficaci di apprendimento in questo campo. Lo sviluppo di progetti sociali all’interno o all’esterno delle scuole costituisce un’opportunità ideale per acquisire tali competenze e la mentalità necessaria, e contribuisce anche a migliorare i collegamenti con altri contesti di apprendimento.

1.12.

Il CESE ritiene che gli obiettivi più ampi dell’istruzione siano riconducibili nell’alveo di un equilibrio e di una stretta cooperazione tra le discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (Science, Technology, Engineering and Mathematics — STEM), da un lato, e le scienze sociali e le discipline umanistiche, dall’altro. Pertanto il CESE caldeggia l’adozione di un approccio più interdisciplinare all’istruzione e all’apprendimento permanente, incentrato su partenariati e percorsi flessibili che non si limitino a un unico livello di istruzione e a un settore di studio specifico.

2.   Sintesi delle iniziative della Commissione

2.1.

Facendo seguito alla propria comunicazione Migliorare e modernizzare l’istruzione (COM(2016) 941 final, 7 dicembre 2016), il 30 maggio 2017 la Commissione europea ha lanciato una nuova iniziativa per i giovani dedicata all’istruzione scolastica e superiore: la strategia per un’istruzione di elevata qualità, inclusiva e orientata al futuro. Il pacchetto comprende due nuove agende dell’UE per modernizzare l’istruzione, una destinata alle scuole e l’altra all’istruzione superiore.

2.2.

Per quanto riguarda le scuole, i dati trasmessi dagli Stati membri hanno evidenziato tre ambiti in cui è necessario intervenire e in cui il sostegno dell’UE può contribuire ad affrontare sfide importanti:

migliorare la qualità e l’inclusività delle scuole,

sostenere l’eccellenza degli insegnanti e dei dirigenti scolastici,

migliorare la governance dei sistemi di istruzione scolastica.

2.3.

La Commissione propone di integrare le misure adottate dagli Stati membri in questi tre settori sostenendo l’apprendimento reciproco, rafforzando gli elementi di prova di ciò che funziona nell’ambito dell’istruzione e coadiuvando le riforme nazionali negli Stati membri che lo desiderino. Per fornire alcuni esempi, il sostegno della Commissione è inteso a: promuovere lo sviluppo di competenze e l’apprendimento interculturale tramite partenariati tra scuole, la mobilità e progetti di gemellaggio elettronico nell’ambito di Erasmus+; rafforzare l’apprendimento tra pari per promuovere la carriera e lo sviluppo professionale degli insegnanti e dei dirigenti scolastici; e creare un nuovo meccanismo di sostegno per aiutare gli Stati membri che manifestino tale esigenza a progettare e attuare le riforme nel settore dell’istruzione.

2.4.

La nuova agenda per l’istruzione superiore si basa sull’agenda per la modernizzazione del 2011. Nella comunicazione sull’argomento, la Commissione delinea il suo programma per quattro ambiti chiave:

garantire che i laureati e diplomati dell’istruzione superiore abbiano acquisito, alla fine degli studi, le competenze di cui loro stessi e l’economia moderna hanno bisogno,

costruire sistemi di istruzione superiore inclusivi,

assicurarsi che gli istituti di istruzione superiore contribuiscano all’innovazione nel resto dell’economia,

aiutare gli istituti di istruzione superiore e i governi a usare al meglio le risorse umane e finanziarie disponibili.

2.5.

Infine, per garantire che l’istruzione superiore contribuisca a stimolare la crescita e a creare posti di lavoro, le università devono adattare i programmi di studio alle esigenze attuali e future dell’economia e della società, e i futuri studenti hanno bisogno di una solida base di informazioni aggiornate che li aiuti a scegliere il corso di studi. Per questo motivo la Commissione ha presentato in contemporanea una proposta di raccomandazione del Consiglio sul monitoraggio dei percorsi di carriera dei laureati e diplomati, nell’ambito della nuova agenda per le competenze per l’Europa, che, oltre ai laureati dell’istruzione superiore, riguarderà anche i diplomati di programmi di istruzione e formazione professionale. Questo incoraggerà e aiuterà le autorità degli Stati membri a migliorare la qualità e la disponibilità delle informazioni sulla carriera o sul proseguimento dell’istruzione al termine degli studi.

3.   Osservazioni generali sulla nuova strategia dell’UE in materia di istruzione

3.1.

Il CESE accoglie favorevolmente le iniziative proposte dalla Commissione ed esprime il proprio punto di vista circa l’importanza di fornire i mezzi necessari per sostenere il miglioramento dei sistemi di istruzione in Europa al fine di pervenire a un’istruzione di qualità per tutti, e insiste ugualmente sull’importanza di migliorare la capacità dell’istruzione di rispondere alle sfide sociali in senso lato e di preparare in modo efficace gli studenti a condizioni di vita e a posti di lavoro di qualità. Il CESE apprezza il rilievo dato all’istruzione per la prima infanzia, agli investimenti nella formazione dei docenti, alla promozione della cooperazione tra le diverse parti interessate, al miglioramento della gestione della scuola e alle sinergie con la ricerca, come pure l’attenzione dedicata in generale all’inclusione sociale.

3.2.

Sebbene sia stato ampiamente sottolineato che l’istruzione è un vettore di fondamentale importanza per ridurre le diseguaglianze socioeconomiche e promuovere l’inclusione sociale (1), sia nella recente raccomandazione della Commissione sul pilastro europeo dei diritti sociali che nella dichiarazione di Parigi del 2015 (2) si osserva che le diseguaglianze sono in continuo aumento nella maggior parte dei paesi dell’UE. Il lavoro, la domanda di competenze e le società risentono di cambiamenti di una rapidità senza precedenti a livello globale, e l’UE dovrebbe quindi incoraggiare gli Stati membri ad adattare i loro sistemi di istruzione a questa nuova realtà. Al riguardo dovrebbe essere utile tenere costantemente sotto osservazione gli squilibri tra domanda e offerta di competenze e i risultati riscontrabili sul mercato del lavoro. Per costruire una società davvero all’insegna delle pari opportunità, è necessario inoltre rendere più flessibili, innovativi e globali i programmi di studio e i metodi didattici, ispirandosi ai numerosi esempi di buone pratiche emersi negli ultimi anni.

3.3.

Ciò detto, il CESE tiene ad osservare che l’istruzione è un bene comune e dovrebbe rimanere uno strumento basilare di promozione dell’interesse pubblico, orientando gli investimenti verso la riduzione dei costi pubblici e privati derivanti dalla mancanza di istruzione in molti campi, come la prevenzione della violenza, il miglioramento della salute attraverso lo sport e la promozione del benessere, la sensibilizzazione alla questione del cambiamento climatico e la garanzia della pace sociale in società sempre più diversificate. In questa prospettiva, le riforme dell’istruzione non dovrebbero mirare solo a trasmettere il bagaglio di qualifiche, competenze e conoscenze del futuro di cui i giovani hanno bisogno per entrare nel mercato del lavoro, ma anche a migliorare la capacità degli studenti di far fronte alle urgenti questioni sociali in senso lato che interessano la vita quotidiana dei cittadini europei.

3.4.

Il passaggio da un livello di istruzione a un altro e la cooperazione tra i diversi istituti di istruzione in contesti sia formali che non formali richiedono particolare attenzione nella strategia prevista dalla Commissione. Pur apprezzando il rilievo dato alla creazione di sistemi di istruzione superiore inclusivi e connessi, e il proposito di incoraggiare le scuole a sviluppare maggiormente i legami e la cooperazione con l’istruzione superiore nel campo delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (STEM), il Comitato ritiene che gli obiettivi più ampi dell’istruzione siano riconducibili nell’alveo di un equilibrio e di una stretta cooperazione tra tali discipline STEM, da un lato, e le scienze sociali e le discipline umanistiche, dall’altro. Pertanto il CESE caldeggia l’adozione di un approccio più interdisciplinare all’istruzione e all’apprendimento permanente, incentrato su partenariati e percorsi flessibili che non si limitino a un unico livello di istruzione e a un settore di studio specifico. Un tale approccio contribuirebbe anche a lottare contro diseguaglianze di vario tipo, ad esempio la diseguaglianza di genere nelle discipline STEM e nella scienza in generale, poiché servirebbe ad eliminare gli stereotipi su ciò che è più opportuno e/o comune basati su sesso, razza e altre caratteristiche personali.

3.5.

Il Comitato rinnova il proprio invito (3) alla Commissione a prendere l’iniziativa nell’introdurre soluzioni più innovative nel campo dell’istruzione e dello sviluppo delle competenze, come pure nel monitorare e promuovere le pratiche e gli approcci innovativi già adottati nei paesi dell’Unione. Il CESE è fermamente convinto che sia arrivato il momento di un autentico cambiamento di paradigma per quanto riguarda sia gli obiettivi che il funzionamento del settore dell’istruzione e della formazione, nonché relativamente alla comprensione della funzione e del ruolo di questo settore nella società, e che sia anche il momento di riconoscere l’istruzione come fattore di produttività in sé. Un approccio proattivo da parte dell’UE è un elemento essenziale in questo ambito per dar vita a un’istruzione migliore per il futuro.

3.6.

Come già sottolineato dal CESE in un suo precedente parere, «la mobilitazione di tutti i soggetti interessati e il sostegno alla creazione di “partenariati di apprendimento” nella società — con la partecipazione di scuole, imprese, comuni, parti sociali e organizzazioni della società civile, oltre che di ONG legate ai giovani, ai genitori e agli studenti, di operatori che si occupano dei giovani e di altri operatori sociali locali, nella progettazione e realizzazione dei corsi di studio — sono cruciali […] [per un] cambiamento del paradigma dell’istruzione» (4).

3.7.

Fin dall’inizio del loro percorso scolastico, i giovani devono essere aiutati a sviluppare dei portafogli di competenze che non facciano riferimento unicamente alle loro conoscenze, ma anche alle loro abilità, capacità d’innovazione, creatività, spirito critico e consapevolezza della comune storia europea. In questi profili di competenze andrebbe riservato un ampio spazio alle varie competenze digitali dei giovani, alle loro esperienze interpersonali e di lavoro di squadra nonché alla loro capacità di riconoscere e accogliere culture diverse — anche grazie all’aiuto fornito dai loro educatori e animatori socioeducativi per la gioventù.

3.8.

Il nome originario delle iniziative («iniziativa per i giovani») trasmetteva un messaggio sbagliato, in quanto sembrava indicare che i destinatari delle stesse fossero soltanto i giovani, mentre sempre più spesso i sistemi di istruzione formale accolgono anche discenti adulti. È deplorevole che gli «adulti» siano a malapena menzionati nella comunicazione sull’istruzione superiore, quando quest’ultima può svolgere un ruolo fondamentale nell’apprendimento permanente a tutte le età, e può inoltre servire ad aggiornare le abilità, le competenze e le conoscenze degli occupati come dei disoccupati.

3.9.

Per migliorare e modernizzare i sistemi di istruzione è indispensabile garantire finanziamenti sufficienti ed equamente distribuiti e una governance coordinata nell’ambito di un dialogo sociale efficace e di qualità. Nei suoi documenti di lavoro la Commissione non riconosce questi due aspetti in misura sufficiente, e non dà il necessario rilievo al fatto che le risorse nel settore dell’istruzione non dovrebbero soltanto concentrarsi sulle prestazioni, ma anche sull’inclusione di singoli discenti provenienti da contesti svantaggiati e sull’integrazione dei rifugiati. Inoltre la Commissione riconosce a malapena l’importanza di consultare e coinvolgere in tale processo i diversi soggetti interessati, in particolare le organizzazioni della società civile.

4.   Osservazioni specifiche sulla nuova strategia dell’UE in materia di istruzione

In risposta alle due iniziative della Commissione europea e, più in generale, alle politiche dell’UE e degli Stati membri, nel presente parere il CESE si concentra sulle tre priorità trasversali per le scuole e gli istituti d’istruzione superiore illustrate di seguito.

4.1.

Le competenze tecnico-specialistiche di base (hard skills) sono necessarie, ma lo sono anche le abilità, le competenze e le conoscenze cosiddette generiche (soft skills) e trasversali.

4.1.1.

Il CESE sottolinea che è importante che la Commissione faccia in modo che gli Stati membri adottino una definizione ad ampio raggio delle necessità degli studenti, comprendente capacità sia tecnico-specialistiche che generiche, nonché competenze e conoscenze interdisciplinari. Questi tre aspetti dovrebbero includere non solo le capacità necessarie per il lavoro, ma anche la più ampia finalità dello sviluppo personale di ciascuno lungo l’intero arco della vita. Pertanto i miglioramenti apportati al settore educativo, in particolare ai sistemi di istruzione superiore, devono concentrarsi anche sul modo migliore per favorire la cittadinanza attiva, l’emancipazione dei giovani, l’apprendimento permanente e la conoscenza del funzionamento dell’UE e dei vantaggi che essa offre. È opportuno ricordare che l’istruzione, da sola, non può risolvere le disparità socioeconomiche, e che la premessa di una soluzione più sostenibile è data dalle sinergie con politiche sociali e occupazionali complementari.

4.1.2.

Si dovrebbe dedicare particolare attenzione allo sviluppo delle competenze generiche, sempre più apprezzate dai datori di lavoro e utili anche al di fuori dell’ambito lavorativo. Il CESE incoraggia pertanto azioni quali quelle descritte nella comunicazione della Commissione: progetti volti a valutare la creatività, la risoluzione di problemi, la collaborazione (5), il lavoro di squadra e il ragionamento critico. I responsabili dell’elaborazione delle politiche hanno bisogno di un sostegno e di una formazione adeguati per comprendere le dimensioni complessive di queste competenze.

4.1.3.

Il CESE accoglie con favore il sostegno alla cooperazione tra università e mondo del lavoro, ma osserva che quest’ultimo non dovrebbe essere limitato al solo settore delle imprese. Anche la creazione di partenariati tra imprese e istituti di istruzione non dovrebbe essere giustificata soltanto dal criterio secondo cui i giovani sono o non sono «direttamente idonei al lavoro». Le imprese devono saper sfruttare appieno il potenziale umano, attivando le giuste competenze e mettendo a disposizione di tutti i gruppi generazionali le nuove opportunità offerte dalla rivoluzione digitale. Le imprese dovrebbero anche sostenere i giovani che proseguano la loro formazione, una volta entrati nel mondo del lavoro: l’istruzione è un processo continuo, che non può soddisfare tutte le esigenze nel solo periodo, di durata limitata, dell’istruzione formale.

4.1.4.

Tuttavia, come il CESE ha già avuto modo di sottolineare, vi è la necessità di «favorire l’introduzione nelle scuole di sistemi duali di istruzione/formazione che uniscano l’insegnamento a scuola con l’esperienza sul luogo di lavoro, promuovendo la sensibilizzazione delle autorità nel campo dell’istruzione e delle imprese all’importanza di queste iniziative» (6). L’alternanza scuola-lavoro per gli studenti e collegamenti più stretti tra scuola, industria, università e ricerca sono fondamentali per un’occupazione giovanile qualificata e sostenibile.

4.1.5.

Malgrado l’esigenza di competenze tecnico-specialistiche, l’economia non può imporre la direzione dell’istruzione (superiore). In altre parole, iniziative come il monitoraggio a livello di sistema dei percorsi di carriera dei laureati e diplomati dovrebbero garantire che i programmi e piani di studio di istruzione superiore non siano basati su una strumentalizzazione dei risultati dell’istruzione, in funzione per esempio dei salari o dei livelli di occupazione dei laureati e diplomati. Alcuni Stati membri dispongono già di un proprio sistema di monitoraggio, per cui un eventuale nuovo sistema a livello di UE dovrebbe riunire quelli esistenti a livello nazionale e, in ogni caso, non deve servire da pretesto per giustificare tagli alle spese nei programmi di studio delle discipline umanistiche e delle scienze sociali.

4.2.

Il sostegno ai docenti per un insegnamento e un apprendimento permanente di qualità

4.2.1.

Nell’«era digitale dell’istruzione», l’uso della tecnologia nell’istruzione deve rivelarsi vantaggioso per il processo di apprendimento: ad esempio, se è vero che imparare a programmare non costituisce un fine in sé, gli studenti devono comprendere la logica della programmazione e acquisire una serie di competenze necessarie per avvalersi di strumenti tecnologici evolutivi in contesti di apprendimento ma anche di vita quotidiana.

4.2.2.

Benché offrano delle opportunità in molti campi, le TIC aprono la via anche a pericoli reali, come la criminalità informatica, la diffusione di contenuti nocivi e pericolosi, la crescente commercializzazione dei servizi, la sorveglianza tramite la tecnologia e l’uso improprio dei dati personali. Bisogna quindi rafforzare l’alfabetizzazione digitale, fornendo a tutti gli strumenti adatti per integrarsi nel futuro mondo del lavoro. Le TIC sono ormai utilizzate a tutti i livelli dell’industria e dei servizi, e devono quindi costituire parte integrante dell’apprendimento permanente.

4.2.3.

I miglioramenti nell’istruzione digitale dovrebbero inoltre aiutare i giovani a distinguere più chiaramente tra informazione e conoscenza, a sviluppare il pensiero critico e un’alfabetizzazione mediatica adeguata, e ad essere in grado, ad esempio, di riconoscere le notizie false o di tutelare la propria vita privata online.

4.2.4.

Benché la comunicazione sia incentrata principalmente sulle scuole e sull’istruzione superiore, la cooperazione e i legami tra apprendimento formale, non formale e informale, nonché la questione della convalida dei risultati di questi settori, non sono trattati in misura adeguata, come sottolineato nelle conclusioni del Consiglio del 2012 (7) riguardanti il partenariato e percorsi flessibili per lo sviluppo di capacità lungo tutto l’arco della vita. A tutt’oggi, solo la metà degli Stati membri dell’UE ha adottato una strategia globale per l’apprendimento permanente (8). In tale contesto le tecnologie possono essere utili anche per quanto riguarda la diversificazione degli approcci all’istruzione.

4.2.5.

La Commissione si è concentrata per anni sullo sviluppo di reti dell’UE e sulla promozione della cooperazione per lo scambio delle migliori pratiche e l’apprendimento tra pari; sarebbe però interessante anche valutare fino a che punto gli educatori approvino realmente tali strumenti e meccanismi. È alquanto probabile che molti insegnanti ed educatori rimangano all’oscuro di tutto il sostegno e delle risorse finanziarie e di formazione a loro disposizione a livello dell’UE. Una delle priorità per gli Stati membri dovrebbe consistere nel migliorare lo sviluppo di capacità e le condizioni di lavoro degli insegnanti, compresa la loro retribuzione.

4.2.6.

In base alle raccomandazioni della Commissione, gli Stati membri devono agevolare l’apprendimento permanente degli insegnanti e degli educatori, e devono anche migliorarne la mobilità, ad esempio attraverso i programmi Erasmus+. Occorre dedicare particolare attenzione al miglioramento degli aspetti partecipativi dell’insegnamento, che si è rivelato un’ottima pratica pedagogica grazie alla quale gli studenti acquisiscono conoscenze e sviluppano determinate competenze trasversali, come le capacità di comunicazione. L’attenzione specifica a tali aspetti rappresenterebbe un’importante transizione, dall’istruzione incentrata sull’insegnante all’insegnamento incentrato sul discente: nel quadro di questo secondo approccio, l’insegnante assume più il ruolo di un facilitatore dell’apprendimento.

4.3.

Educazione all’imprenditorialità attraverso progetti sociali

4.3.1.

L’istruzione deve migliorare le principali competenze, capacità e attitudini richieste per avere buoni risultati nella vita una volta completata l’istruzione formale, ad esempio il lavoro di squadra e la gestione di progetti. Questa nuova gamma di competenze contribuirebbe non solo ad accrescere l’occupabilità, ma anche a rendere i futuri adulti maggiormente capaci di creare, individualmente e collettivamente, il loro lavoro. L’apprendimento attraverso la pratica e l’apprendimento attraverso l’esperienza sono approcci alternativi in grado di accrescere la capacità di preservare le conoscenze e, ai fini dello sviluppo di abilità pratiche, più utili della competenza in una determinata disciplina.

4.3.2.

Il CESE sottolinea l’importanza di adottare un approccio ad ampio raggio all’imprenditorialità, che utilizzi in modo vantaggioso il nuovo quadro EntreComp (9). Lo sviluppo di progetti sociali all’interno o all’esterno delle scuole costituisce un’opportunità ideale per acquisire tali competenze e la mentalità necessaria, e contribuisce anche a migliorare i collegamenti con altri contesti di apprendimento. A tale riguardo, il sostegno all’iniziativa del Corpo europeo di solidarietà, destinata ai giovani di scuole e istituti di istruzione superiore, dev’essere un’azione fondamentale per gli Stati membri. C’è inoltre un crescente interesse per l’imprenditorialità sociale, che è uno dei modi per soddisfare l’aspirazione dei giovani a posti di lavoro più interessanti e portatori di significato.

4.3.3.

L’imprenditorialità è un formidabile volano di crescita economica e creazione di posti di lavoro: un’attenzione particolare dovrebbe quindi essere dedicata allo sviluppo di competenze imprenditoriali. Come il CESE ha già evidenziato, l’educazione all’imprenditorialità su tutto il territorio europeo, in tutti i programmi scolastici e quale parte integrante dell’apprendimento permanente richiede ancora un impegno concreto da parte dei responsabili decisionali. Ambizione, creatività e imprenditorialità devono essere apprezzate nella loro sostanza e promosse, senza essere confuse con attività commerciali o generatrici di profitto. La creatività si sviluppa attraverso l’apprendimento nel quadro di sistemi formali e informali. Gli educatori devono essere pienamente coinvolti per garantire che questi concetti siano trasmessi correttamente. Gli insegnanti possono essere contrari a una definizione ristretta di imprenditorialità, qualora cioè questa venga intesa semplicemente come avvio di un’attività commerciale, ma possono risultare maggiormente ricettivi a un concetto più ampio di imprenditorialità quale competenza fondamentale per la vita. Per sviluppare le attività e l’insegnamento può essere utilizzata una «scala dell’imprenditorialità» (entrepreneurial staircase) al fine di diffondere lo «spirito» imprenditoriale nelle classi (10).

4.3.4.

Indipendentemente dal fatto che decidano in seguito di fondare una propria azienda o un’impresa sociale, i giovani che beneficiano di un’educazione all’imprenditorialità sviluppano la conoscenza del mondo degli affari e competenze e attitudini essenziali tra cui creatività, spirito di iniziativa, tenacia, lavoro di squadra, comprensione dei rischi e senso di responsabilità. Questa è la forma mentis imprenditoriale che aiuta gli imprenditori a trasformare le idee in fatti e accresce inoltre notevolmente l’occupabilità. Occorrono obiettivi di educazione all’imprenditorialità ben definiti per tutti gli educatori, in modo da introdurre nelle classi metodiche efficaci di apprendimento in questo campo. Pertanto, gli Stati membri dovrebbero promuovere le competenze imprenditoriali attraverso metodi di insegnamento e di apprendimento nuovi e creativi fin dalla scuola elementare, mentre dall’istruzione secondaria fino a quella superiore l’attenzione dovrebbe concentrarsi sulla possibilità di fondare un’impresa come eventuale sbocco professionale. Attraverso un apprendimento imperniato sui problemi e collegamenti con le imprese, l’esperienza del mondo reale dovrebbe costituire parte integrante di tutte le discipline, in forme adattate a ciascun livello di istruzione.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  L’istruzione figura come elemento essenziale in alcune recenti dichiarazioni dell’UE: Pilastro sociale dell’UE (aprile 2017); Una nuova agenda per le competenze per l’Europa (giugno 2016); Documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa (aprile 2017); Dichiarazione di Roma (marzo 2017).

(2)  In una riunione informale dei ministri dell’Istruzione, tenutasi a Parigi nel marzo 2015, è stata adottata la dichiarazione sulla promozione della cittadinanza e dei valori comuni di libertà, tolleranza e non discriminazione attraverso l'istruzione.

(3)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 45.

(4)  GU C 214 dell’8.7.2014, pag. 31.

(5)  Improving the quality of teaching and learning in Europe's higher education institutions [Migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento negli istituti di istruzione superiore europei], relazione del gruppo ad alto livello per la modernizzazione dell’istruzione superiore, giugno 2013.

(6)  GU C 327 del 12.11.2013, pag. 58.

(7)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione Partnership and flexible pathways for lifelong skills development [Partenariato e percorsi flessibili per lo sviluppo di capacità lungo tutto l’arco della vita], che accompagna la comunicazione della Commissione Ripensare l’istruzione: investire nelle abilità in vista di migliori risultati socioeconomici, novembre 2012.

(8)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione, che accompagna il […] Progetto di relazione congiunta 2015 del Consiglio e della Commissione sull'attuazione del quadro strategico per la cooperazione europea in materia di istruzione e formazione (ET 2020) — Nuove priorità per la cooperazione europea in materia di istruzione e di formazione, agosto 2015.

(9)  Quadro europeo di competenze imprenditoriali

https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/eur-scientific-and-technical-research-reports/entrecomp-entrepreneurship-competence-framework.

(10)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 45.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/174


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) 1380/2013 relativo alla politica comune della pesca»

[COM(2017) 0424 final — 2017/0190(COD)]

(2018/C 081/23)

Relatore:

Gabriel SARRÓ IPARRAGUIRRE

Consultazione

Consiglio, 14.9.2017

Parlamento europeo, 11.9.2017

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

 

 

Decisione dell’Ufficio di presidenza

19.9.2017

 

 

Sezione competente:

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

3.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

179/2/2

1.   Posizione del CESE

1.1.

In linea con il proprio precedente parere sull’obbligo di sbarco (1), nel quale invocava l’adozione delle misure di flessibilità necessarie ad agevolare la graduale introduzione dell’obbligo di sbarco, il CESE appoggia la proposta di prorogare il potere conferito alla Commissione europea di adottare piani di rigetto, mediante atti delegati, per un ulteriore periodo di tre anni.

1.2.

È da temere, tuttavia, che i tre anni proposti non siano sufficienti per adottare tutti i piani regionali pluriennali e che, alla fine del 2020, ci si trovi in una situazione simile a quella attuale. Il CESE avrebbe auspicato una proroga più lunga.

2.   Osservazioni

2.1.

L’introduzione graduale dell’obbligo di sbarco (i primi regolamenti delegati della Commissione che istituiscono piani di rigetto sono entrati in vigore il 1o gennaio 2015) ha messo in evidenza una serie di problemi.

2.1.1.

Il problema più grave è riconducibile, e lo sarà sempre più, alle specie a contingente limitante (choke species), ovvero le specie per le quali non è stato ripartito alcun contingente tra gli operatori, oppure il contingente ripartito è basso, ma che non per questo cessano di entrare nelle reti o in altri attrezzi di pesca. I meccanismi di flessibilità previsti dal regolamento sono assolutamente insufficienti a far fronte a questa realtà. Quando nel 2019 entrerà pienamente in vigore l’obbligo di sbarco, vi saranno molti pescherecci che, pur disponendo di un contingente non utilizzato per le loro specie bersaglio, dovranno rimanere ormeggiati in porto senza poter effettuare bordate di pesca, in quanto avranno esaurito il loro bassissimo contingente di specie accessorie.

2.1.2.

Un’altra questione irrisolta è l’adeguamento dei porti di pesca e dei centri d’asta alla vendita di specie che prima venivano tradizionalmente rigettate in mare e adesso sono soggette all’obbligo di sbarco. Parimenti, limitando la vendita dei pesci di piccola taglia non destinati al consumo umano vengono creati ulteriori problemi, dal momento che in molti porti dell’Unione europea non esistono né infrastrutture né imprese che si occupano di trovare uno sbocco a questo tipo di materia prima.

2.1.3.

Infine, c’è bisogno di più spazio per lo stoccaggio a bordo e, soprattutto, cresce il carico di lavoro dell’equipaggio, tenuto a classificare un maggior numero di specie e di taglie, con il conseguente aumento dello stress e dei rischi.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 311 del 12.9.2014, pag. 68.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/176


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Quadro europeo di interoperabilità — Strategia di attuazione»

[COM(2017) 134 final]

(2018/C 081/24)

Relatore:

Brian CURTIS

Consultazione

Commissione europea, 31.5.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

2.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

180/2/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Conclusioni

1.1.

L’economia digitale, e in particolare il relativo quadro, che fa da supporto al servizio pubblico, è essenziale affinché la società civile dell’UE svolga le sue funzioni in modo corretto ed efficiente. Il Comitato accoglie con favore i costanti progressi in questo campo e il sostegno fornito dalla Commissione europea a questo ulteriore sviluppo del quadro europeo di interoperabilità (QEI).

1.2.

La comunicazione sottolinea i nuovi passi avanti compiuti per quanto concerne il ruolo consultivo e di coesione svolto dalla DG DIGIT nell’incoraggiare gli Stati membri e le loro amministrazioni pubbliche a tutti i livelli a connettersi tra loro senza problemi.

1.3.

Rileva, tuttavia, che in materia di interoperabilità le capacità variano considerevolmente sia tra gli Stati membri sia al loro interno. Attualmente tutti concordano sul fatto che non è possibile adottare norme o procedure di governance vincolanti, ma questo significa attribuire agli Stati membri una maggiore responsabilità nell’impegnarsi, su base volontaria, ad aderire in ogni modo possibile, nello spirito e nella sostanza, al QEI e ai relativi programmi di attuazione. La sicurezza e la privacy continuano ad essere uno dei 12 principi del QEI, e il CESE esprime soddisfazione osservando che tali principi sono stati elaborati in maniera alquanto particolareggiata e sono oggetto di due raccomandazioni specifiche nell’ambito del piano di attuazione dell’interoperabilità. Per sua stessa natura, il QEI offre un ampio quadro all’interno del quale gli Stati membri possono esercitare i loro diritti di sussidiarietà, ma è indubbio che il disagio dell’opinione pubblica per quanto concerne la proprietà, l’uso e la sicurezza dei dati personali sia molto diffuso e sia oggetto di preoccupazioni comuni condivise in tutta Europa. Si tratta di questioni legate alla protezione dei diritti fondamentali sanciti dai Trattati dell’UE.

Raccomandazioni

1.4.

Il CESE auspica che gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione europea si impegnino pienamente nell’attuare il QEI.

1.5.

Sebbene la sicurezza informatica non rientri nell’ambito di applicazione della comunicazione all’esame, è chiaro che occorre fornire garanzie in altri strumenti legislativi dell’UE per far sì che una migliore interoperabilità e un accesso più agevole da parte dei cittadini non implichino una maggiore vulnerabilità di fronte alla crescente minaccia di attacchi informatici.

1.6.

Un’altra preoccupazione comune concerne il sostegno da offrire a chi, per vari motivi, non sa destreggiarsi in un mondo dei servizi digitali pervasivo e in rapida espansione. Il CESE esorta gli Stati membri ad accogliere le raccomandazioni del QEI relative alla centralità dell’utente, in particolare quella che chiede di offrire servizi pubblici attraverso canali diversi (fisici e digitali).

1.7.

Il CESE esprime preoccupazione in quanto le azioni che figurano nel piano d’azione non definiscono degli obiettivi e appaiono come una responsabilità condivisa tra gli Stati membri e la Commissione. Una designazione più chiara delle responsabilità e un’indicazione delle priorità potrebbero essere utili per la ripartizione delle risorse.

1.8.

È necessaria una maggiore chiarezza su come attuare l’esigenza di concentrarsi sulle necessità delle imprese e dei cittadini (servizi incentrati sugli utenti).

1.9.

Quando si tratterà di misurare il livello di attuazione del QEI, il Comitato raccomanda di dare priorità agli eventi che vedono partecipi i cittadini e le imprese e alle relative procedure, che figurano nell’allegato II della proposta della Commissione COM(2017) 256.

1.10.

Il Comitato osserva che l’opera attiva del NIFO (Osservatorio dei quadri nazionali di interoperabilità) fornisce una solida base per future raccomandazioni. Ciò potrebbe consentire di creare un eventuale strumento di legge entro due o tre anni in grado di risolvere le questioni in sospeso.

2.   Introduzione

2.1.

Il completamento del mercato unico digitale è una delle 10 priorità politiche della Commissione europea e potrebbe apportare 415 miliardi di euro all’anno all’economia dell’Europa, creare posti di lavoro e trasformare i servizi pubblici. La necessità che le amministrazioni pubbliche collaborino per via elettronica è un elemento essenziale del mercato unico digitale. Il settore pubblico rappresenta oltre il 25 % dell’occupazione totale e genera un quinto del PIL dell’UE attraverso gli appalti pubblici. La crescita degli scambi tra studenti, il turismo, i flussi migratori, lo sviluppo delle imprese transfrontaliere e gli acquisti online sono tutti elementi che rafforzano l’esigenza di interoperabilità in molti settori.

2.2.

Il quadro europeo di interoperabilità (QEI) è stato adottato per la prima volta nel 2010. Esso fornisce alle amministrazioni pubbliche orientamenti specifici su come creare servizi pubblici interoperabili attraverso raccomandazioni basate su principi e modelli concettuali in materia di interoperabilità.

2.3.

Il programma sulle soluzioni di interoperabilità per le pubbliche amministrazioni europee (ISA) (2010-2015), e il nuovo programma ISA2 (2016-2020) sono i principali strumenti attraverso i quali è stato attuato il QEI del 2010.

2.4.

Da allora, le politiche e le iniziative europee che hanno un impatto sul settore pubblico hanno subito delle trasformazioni (è il caso della direttiva riveduta relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, del regolamento eIDAS (1) e del piano d’azione europeo per l’eGovernment 2016-2020) oppure sono in corso di elaborazione, come ad esempio lo sportello digitale unico e il libero flusso di dati (non personali) a livello transfrontaliero.

2.5.

Quello delle tecnologie dell’informazione è un ambito in rapida evoluzione, come ad esempio in settori quali quelli dei dati aperti e del cloud computing.

2.6.

Gli aspetti politici e tecnologici sopraccitati e la necessità di riesaminare l’efficacia del QEI hanno dato luogo, nel 2016, ad una consultazione dei soggetti interessati che ha permesso di analizzare le esigenze e le difficoltà da essi incontrate per quanto riguarda l’interoperabilità e l’attuazione del QEI, individuare l’impatto che potrebbero avere le revisioni previste e raccogliere un feedback sul valore aggiunto.

2.7.

Di conseguenza, il nuovo quadro pone maggiormente l’accento su come applicare nella pratica i principi e i modelli di interoperabilità e chiarisce la centralità del QEI nel collegare i quadri nazionali e settoriali. Il numero delle raccomandazioni in materia di interoperabilità è salito da 25 a 47 e questo ha fatto sì che tali raccomandazioni, siano esse aggiornate o totalmente nuove, risultino più specifiche e quindi di più facile attuazione, con un maggiore accento sull’apertura e la gestione delle informazioni, la portabilità dei dati, la governance dell’interoperabilità e la fornitura di servizi integrati.

3.   Sintesi della comunicazione della Commissione

3.1.

La comunicazione illustra per sommi capi, riesamina e analizza i progressi compiuti fino ad oggi nonché le priorità per il futuro. L’allegato I della comunicazione definisce 22 azioni in cinque settori prioritari. Per sostenere questo approccio è stato elaborato un allegato II che stabilisce i principi del nuovo QEI e presenta, in dettaglio, le 47 raccomandazioni. L’obiettivo è consentire alle pubbliche amministrazioni europee di erogare servizi e trasmettere dati senza ostacoli attraverso l’adesione al quadro generale del QEI, che si basa su un apposito modello concettuale.

3.2.

L’attuazione di servizi pubblici digitali efficienti è essenziale per garantire ai cittadini la libertà di lavorare e di trasferirsi e per consentire alle imprese di godere dei benefici di un commercio e di flussi di capitali senza ostacoli in tutti gli Stati membri. Questi ultimi stanno modernizzando le loro pubbliche amministrazioni attraverso la diffusione della digitalizzazione ma, per evitare il rischio di creare ambienti digitali isolati e, di conseguenza, barriere elettroniche alle quattro libertà fondamentali, l’interoperabilità costituisce un elemento essenziale.

3.3.

Per realizzare con successo l’interoperabilità, il quadro propone di affrontare gli ostacoli reali e potenziali nelle questioni giuridiche, negli aspetti organizzativi, nei problemi semantici/relativi ai dati e nelle difficoltà tecniche. L’attuazione e la revisione dei programmi ISA e ISA2 hanno fatto notevoli passi avanti nell’individuare e nell’affrontare questi aspetti, ma la strada da percorrere è ancora molto lunga.

3.4.

I più recenti dati disponibili collocano al 76 % il grado di allineamento dei quadri nazionali di interoperabilità rispetto al QEI, ma nel 2016 l’attuazione di tali quadri nei specifici progetti nazionali era pari solo al 56 % (2), il che dimostra che vi sono ancora difficoltà nell’attuazione pratica delle raccomandazioni attuali. È chiara pertanto l’esigenza di ulteriori orientamenti specifici, e questi vengono definiti all’allegato II.

3.5.

I 12 principi restano praticamente immutati rispetto al precedente QEI ma tengono conto dei recenti sviluppi tecnici e politici. Essi sono raggruppati nelle seguenti quattro categorie:

 

Principio che individua il contesto dell’azione UE nel campo dell’interoperabilità

1:

sussidiarietà e proporzionalità

Principi fondamentali dell’interoperabilità

2:

apertura

3:

trasparenza

4:

riusabilità

5:

neutralità tecnologica e portabilità dei dati

Principi che riflettono le esigenze e le aspettative degli utenti generici

6:

centralità dell’utente

7:

inclusione e accessibilità

8:

sicurezza e vita privata

9:

multilinguismo

Principi di base per la cooperazione tra pubbliche amministrazioni

10:

semplificazione amministrativa

11:

conservazione delle informazioni

12:

valutazione dell’efficacia e dell’efficienza

3.6.

La comunicazione invita le amministrazioni pubbliche a migliorare la loro governance nazionale delle attività connesse all’interoperabilità, ad applicare modelli operativi comuni per sviluppare servizi pubblici digitali migliori e a tener conto delle esigenze dei cittadini e delle imprese di altri Stati membri dell’UE, a gestire i dati di cui esse sono in possesso in formati semantici e sintattici comuni per facilitarne la pubblicazione sui portali, l’aggregazione, la condivisione e il riutilizzo.

3.7.

La comunicazione illustra un modello concettuale di QEI consolidato basato su una sintesi tra un modello di interoperabilità e un modello di servizi pubblici integrati. Questa sintesi di modelli è applicabile a tutti i servizi pubblici digitali, con una particolare attenzione rivolta agli aspetti di governance. L’esegesi dei principi e dei modelli è illustrata attraverso 47 raccomandazioni specifiche. Il piano d’azione sull’interoperabilità che accompagna la comunicazione offre ulteriori proposte specifiche in materia di attuazione. Queste ultime, oltre a rendere più chiaro il modello concettuale, affrontano questioni operative specifiche emerse nella consultazione del 2016.

3.8.

Per esempio, il problema comune dei sistemi preesistenti intesi a risolvere questioni settoriali e locali ha creato isole TIC frammentate. Una delle raccomandazioni che trattano questo aspetto è la numero 33 «Utilizzare specifiche aperte, quando possibile, per garantire l’interoperabilità tecnica quando si istituiscono servizi pubblici europei». Il piano d’azione sostiene questo approccio mediante l’elaborazione di sette aree d’intervento (12-18) in cui vengono proposte misure specifiche.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il Comitato accoglie favorevolmente l’ulteriore sviluppo del QEI e osserva che nell’ottobre 2017, ossia durante la presidenza estone, sarà probabilmente adottata una dichiarazione ministeriale sull’eGovernment che impegnerà i firmatari, tra l’altro, all’attuazione di detto quadro. Il CESE riconosce l’importanza dell’economia digitale per la società civile dell’UE e ricorda che negli ultimi anni ha offerto, con i suoi pareri, un punto di vista costruttivo sull’agenda digitale e sul programma successivo, la strategia per il mercato unico digitale (3).

4.2.

Nel corso dell’ultimo decennio, i piani d’azione per l’eGovernment (4) si sono rivelati strumenti politici efficaci per promuovere la modernizzazione della pubblica amministrazione in tutta l’UE. Essi hanno sostenuto il coordinamento e la collaborazione tra gli Stati membri e la Commissione e hanno portato ad azioni congiunte in materia di eGovernment, delle quali il QEI è una componente essenziale.

4.3.

La strategia di attuazione per il nuovo quadro europeo di interoperabilità tiene conto di molte delle raccomandazioni formulate nei precedenti pareri del Comitato e pone in evidenza la crescente necessità di un’azione urgente e coerente da parte delle amministrazioni pubbliche in tutta l’Unione. Alcune riserve espresse in precedenza dagli Stati membri a proposito del QEI sono ormai in gran parte venute a cadere e, sebbene vi sia ancora da fare, le principali difficoltà di attuazione riguardano le risorse e alcuni problemi preesistenti e non questioni di principio.

4.4.

Nel precedente parere sul tema L’interoperabilità come mezzo per modernizzare il settore pubblico  (5), il CESE ha osservato che i cittadini sono sempre più coscienti e preoccupati della raccolta di dati personali o di dati in generale da parte della pubblica amministrazione e dell’uso che se ne fa. I cittadini si rendono altresì conto che una maggiore interoperabilità presenta delle implicazioni sul modo di scambiarsi e di utilizzare questi dati. Tale consapevolezza ha ormai raggiunto livelli ancora maggiori ed è pertanto incoraggiante constatare come le questioni relative alla sicurezza e alla vita privata siano state prese in considerazione e come siano state formulate raccomandazioni (più precisamente le raccomandazioni n. 46 e 47) per agire in via prioritaria.

4.5.

In un settore in rapida evoluzione come le TIC, capita spesso che le riflessioni politiche, il mandato giuridico e normativo e la capacità di monitoraggio non tengano il passo con gli sviluppi tecnici e del mercato. Il Comitato, pertanto, condivide pienamente l’idea di una verifica e un adeguamento periodici da parte della Commissione, di cui la proposta all’esame è un esempio. A questo proposito, il NIFO fornisce un servizio essenziale per i soggetti interessati coinvolti. Tale osservatorio apporta numerosi dati particolareggiati sul piano pratico e tecnico a completamento dei quadri concettuali e giuridici. Un esempio a tale proposito è dato dalle 32 schede online aggiornate recentemente, le quali consolidano gli ultimi dati sullo status dei paesi partecipanti in termini di interoperabilità nazionale (6).

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il modello concettuale del QEI per i servizi pubblici copre la progettazione, la pianificazione, lo sviluppo, il funzionamento e la manutenzione di servizi pubblici integrati a tutti i livelli di governo, da quello locale a quello UE. I principi ivi stabiliti intendono orientare il processo decisionale per quanto concerne la creazione di servizi pubblici europei interoperabili con l’ausilio di strumenti pratici, che assumono la forma di una serie di azioni operative contenute nel piano d’azione sull’interoperabilità. Tuttavia, le 22 azioni che figurano nel piano d’azione non definiscono degli obiettivi e appaiono come una responsabilità condivisa tra gli Stati membri e la Commissione. Non sembra una ricetta valida per garantire un’azione concreta ed è un punto che richiede maggiore chiarezza. È altresì vero che una qualche indicazione a proposito delle priorità consentirebbe di determinare il modo di utilizzare le risorse, tanto più che queste ultime potrebbero rivelarsi limitate.

5.2.

La comunicazione e i documenti che l’accompagnano sottolineano l’esigenza di servizi incentrati sull’utente, ma sarebbe necessaria una maggiore chiarezza sulle modalità con cui tale obiettivo può essere perseguito. Si propone che il programma ISA2 preveda un’azione che tratti questo tema, ad esempio elaborando un quadro e orientamenti su come attuare nella pratica la centralità dell’utente.

5.3.

Nel suo ambito di applicazione, il QEI contiene una definizione di servizi pubblici. Si tratta di quasi tutti i tipi di servizi pubblici transfrontalieri, il che può rendere difficile il compito del NIFO di valutare e monitorare accuratamente l’attuazione del QEI. Quando si tratterà di misurare il livello di attuazione del QEI, il Comitato raccomanda di dare priorità agli eventi che vedono partecipi i cittadini e le imprese e alle relative procedure, che figurano nell’allegato II della proposta della Commissione COM(2017) 256.

5.4.

Finora il principio di sussidiarietà è stato applicato in maniera relativamente efficace in questo settore. La comunicazione all’esame rappresenta un ulteriore passo avanti verso la promozione dell’interoperabilità, ma molto resta ancora da fare. Il Comitato sottolinea che l’opera attiva del NIFO fornisce una solida base per future raccomandazioni e per la creazione, fra due o tre anni, di un eventuale strumento di legge in grado di risolvere le questioni in sospeso.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 257 del 28.8.2014, pag. 73) in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno, crea un quadro giuridico prevedibile tale da consentire interazioni elettroniche sicure e continue fra imprese, cittadini e autorità pubbliche.

(2)  https://ec.europa.eu/isa2/sites/isa/files/docs/publications/report_2016_rev9_single_pages.pdf

(3)  GU C 12 del 15.1.2015, pag. 99; GU C 487 del 28.12.2016, pag. 92; GU C 487 del 28.12.2016, pag. 99; GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 36.

(4)  Iniziativa i2010, Piano d'azione per l' eGovernment 2006-2010 e Piano d'azione per l'eGovernment 2011-2015.

(5)  GU C 12 del 15.1.2015, pag. 99.

(6)  https://joinup.ec.europa.eu/community/nifo/og_page/nifo-factsheets.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/181


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’interoperabilità dei sistemi di telepedaggio stradale e l’agevolazione dello scambio transfrontaliero di informazioni riguardanti il mancato pagamento dei pedaggi stradali nell’Unione (rifusione)»

[COM(2017) 280 final– 2017/0128 (COD)]

(2018/C 081/25)

Relatore:

Vitas MAČIULIS

Consultazione

Parlamento europeo, 15.6.2017

Consiglio dell’Unione europea, 20.6.2017

Base giuridica

Articolo 91 del TFUE

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

2.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

183/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE sostiene fortemente la proposta della Commissione europea del 31 maggio 2017 sull’interoperabilità dei sistemi di telepedaggio stradale, che mira a migliorare le disposizioni stabilite nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004. L’applicazione pratica di tali disposizioni negli ultimi anni ha mostrato che molte di esse non soddisfano le esigenze attuali.

1.2.

Sistemi di telepedaggio stradale sono stati già introdotti a livello nazionale, regionale o locale in 20 Stati membri. Tuttavia, la scarsa interoperabilità dei sistemi a livello internazionale comporta notevoli perdite di gettito per gli Stati membri, nonché costi supplementari per gli utenti della strada. Il CESE invita gli Stati membri a portare avanti una cooperazione transfrontaliera attiva nel contesto dello sviluppo di meccanismi avanzati di pedaggi stradali. L’insufficiente cooperazione ha come conseguenza l’impossibilità per gli Stati membri di individuare i trasgressori i cui veicoli sono immatricolati all’estero.

1.3.

Il CESE è fermamente convinto che occorra compiere ogni sforzo per introdurre un sistema di telepedaggio stradale uniforme in tutta l’UE, basato su tecnologie avanzate. Il CESE è a favore di un sistema semplice, flessibile e a basso prezzo che possa essere esteso rapidamente ad un ventaglio più ampio di utenti e di reti stradali. Un sistema del genere creerebbe una base favorevole per l’attuazione, in materia di pedaggi, delle pratiche esenti da discriminazioni stabilite dalla normativa sull’Eurobollo.

1.4.

L’unità di bordo, che è la componente essenziale in un sistema di telepedaggio, non deve necessariamente essere costituita da un’unica apparecchiatura fisica. A svolgere insieme le funzioni di un’unità di bordo potrebbe infatti essere una serie di apparecchiature interconnesse, fisicamente o a distanza, compresi smartphone e tablet. Il CESE raccomanda di incoraggiare a tal fine lo sviluppo di apposite applicazioni informatiche, che consentirebbero di ridurre notevolmente i costi per gli utenti della strada.

1.5.

In alcuni Stati membri sono già in uso tecnologie di riscossione dei pedaggi stradali diverse tra loro, e per tali paesi il passaggio ad un sistema uniforme risulterebbe molto costoso. Il CESE raccomanda pertanto alla Commissione europea di studiare degli strumenti finanziari, tecnici e giuridici flessibili atti ad incoraggiare gli Stati membri a compiere ogni sforzo per integrare le diverse soluzioni esistenti in un unico sistema interoperabile. Inoltre, l’inclusione nell’allegato della direttiva di un elenco delle tecnologie utilizzate nei sistemi con un’unità di bordo faciliterebbe una risposta più rapida al progresso tecnologico e contribuirebbe al raggiungimento dell’uniformità.

1.6.

Il CESE appoggia l’iniziativa della Commissione europea di introdurre un contratto unico con il fornitore del servizio europeo di telepedaggio (SET) per tutti gli utenti dell’UE. Ciò contribuirà ad applicare pratiche più trasparenti e più semplici per gli utenti.

1.7.

In questo modo si renderebbe più agevole ed efficace recuperare i diritti d’uso della rete stradale non pagati da utenti stradali che agiscono in modo disonesto e fraudolento, indipendentemente dal paese di immatricolazione del loro veicolo. Il CESE raccomanda alla Commissione di prendere in considerazione la possibilità di prorogare i trattati che disciplinano l’uso del sistema europeo d’informazione sui veicoli e le patenti di guida (EUCARIS). L’infrastruttura e il software forniti da tale sistema, infatti, consentono ai paesi partecipanti di condividere le informazioni sugli autoveicoli in essi immatricolati e sulle patenti da loro rilasciate, contribuendo così a combattere i furti d’auto e le frodi in materia di immatricolazione.

1.8.

Anche gli aspetti sociali della proposta della Commissione europea rivestono un’importanza cruciale. In tutta l’UE, nel settore del trasporto di merci su strada predominano le PMI e le microimprese. Il sistema di pedaggio elettronico per gli autoveicoli privati è una questione molto delicata, ed è pertanto opportuno che le soluzioni siano improntate al massimo equilibrio.

2.   Contesto e quadro d’insieme dei sistemi di pedaggio in vigore

2.1.

Nel 2012 in 20 paesi dell’UE erano soggetti al pagamento di diritti d’uso della rete stradale i veicoli commerciali pesanti, mentre in 12 Stati membri tali diritti d’uso erano applicati alle autovetture private. La rete stradale a pedaggio si estendeva per circa 72 000 chilometri, di cui il 60 % era attrezzato con sistemi di riscossione elettronica dei pedaggi, introdotti a livello nazionale o locale a partire dai primi Anni 90 in poi e sottoscritti da oltre 20 milioni di utenti della strada. I sistemi di comunicazione dedicati a corto raggio (Dedicated Short Range Communications — DSRC) sono la soluzione più comunemente adottata per la riscossione elettronica dei pedaggi. Nel corso degli ultimi 10 anni sono state adottate nuove tecnologie, incluse quelle satellitari. Di conseguenza, all’interno dell’Unione europea coesiste una serie di tecnologie diverse e, nella maggior parte dei casi, non interoperabili.

2.2.

La direttiva 2004/52/CE era stata adottata per porre rimedio a tale frammentazione del mercato attraverso la creazione di un servizio europeo di telepedaggio (SET). A norma di tale direttiva, il servizio europeo di telepedaggio avrebbe dovuto essere disponibile per i veicoli pesanti a partire dall’ottobre 2012 ed essere offerto a tutti gli altri tipi di veicoli entro l’ottobre 2014.

2.3.

Per far sì che i diversi sistemi di pedaggio fossero tecnologicamente compatibili e potessero essere collegati a questo sistema unico di pedaggio, la direttiva indicava tre tecnologie specifiche utilizzabili per la riscossione elettronica dei pedaggi: la tecnologia a microonde DSRC, quella di posizionamento satellitare (GNSS) e le comunicazioni mobili (GSM).

2.4.

Attualmente, le disposizioni della direttiva 2004/52/CE non sono ancora state pienamente attuate nel mercato europeo dei pedaggi. I regimi di pedaggio non sono ancora omogenei perché ogni Stato membro e ogni esattore di pedaggi dispone di — o è soggetto a — un proprio quadro normativo, persegue propri obiettivi nell’instaurazione di un regime ed opera in un preciso contesto locale e in condizioni di traffico specifiche.

2.5.

In numerosi pareri precedenti (1), il CESE ha formulato raccomandazioni in cui sottolineava l’importanza di disporre di standard comuni e dell’interoperabilità transfrontaliera al fine di garantire trasporti transfrontalieri efficienti e lo sviluppo di un SET efficace.

2.6.

Nell’UE i principali regimi di tariffazione sono:

2.6.1.

Regimi di tariffazione basati sulla distanza: la tariffa è calcolata in base alla distanza percorsa dal veicolo, e poi modulata usando altri parametri inerenti al veicolo stesso (peso totale, numero di assi, classe di emissioni ecc.). Nell’UE questo è il tipo di regime più comune, che si avvale di vari mezzi tecnici per determinare una tariffa proporzionale per ciascun veicolo, in base all’utilizzo effettivo dell’infrastruttura stradale.

2.6.2.

Regimi di tariffazione basati sul tempo o su un contrassegno: la tariffa è calcolata sulla base di un determinato periodo di tempo e, anche in questo caso, modulata in funzione delle summenzionate caratteristiche del veicolo. Tali regimi comportano l’acquisto di un contrassegno che autorizza l’uso di una specifica rete stradale per un periodo di tempo determinato (un giorno, un mese o un anno intero). Il pedaggio da pagare è indipendente dall’utilizzo effettivo dell’infrastruttura stradale.

2.6.3.

Regimi di tariffazione basati sull’accesso: la tariffa è applicata principalmente nelle aree urbane e in infrastrutture specifiche; l’utente paga per circolare nella zona di riferimento. Tali regimi consentono di ridurre il traffico e l’inquinamento in zone particolarmente sensibili delle città o in altre aree urbane fortemente edificate.

2.7.

Nell’UE le tecnologie principali usate per le operazioni di pagamento elettronico dei pedaggi nei regimi basati sulla distanza sono due: il posizionamento satellitare (Global Navigation Satellite System — GNSS) e i sistemi di comunicazione dedicati a corto raggio (DSRC), una tecnologia microonde a 5,8 GHz adottata dal comitato europeo di normazione (CEN).

2.7.1.

La tecnologia GNSS utilizza i dati relativi alla posizione del veicolo ricevuti da una rete di satelliti e misura la distanza percorsa sulla strada per determinare il pedaggio. L’unità di bordo individua la propria posizione e raccoglie ed elabora le informazioni necessarie, senza l’aiuto di unità collocate lungo la strada. È il sistema più appropriato, ma anche quello più costoso.

2.7.2.

La tecnologia dei sistemi di comunicazione dedicati a corto raggio (Dedicated Short Range Communications — DSRC) si basa su una comunicazione radio bidirezionale tra apparecchiature fisse poste sul ciglio della strada e un’apparecchiatura mobile installata a bordo del veicolo. Per mezzo di tale comunicazione, l’identificazione dell’utente della strada (e del suo veicolo) da parte dell’infrastruttura posta sul ciglio della strada fa scattare il pagamento.

2.8.

Nei regimi di tariffazione basati sull’accesso si adopera il sistema di riconoscimento automatico delle targhe (ANPR). Questa tecnologia si avvale di videocamere per leggere le targhe di immatricolazione dei veicoli, non richiede apparecchiature di bordo e usa apparecchiature poste sul ciglio della strada meno costose.

2.9.

Le tabelle sottostanti offrono una panoramica dei vari sistemi di pedaggio in uso nei diversi paesi dell’UE.

2.9.1.

Sistemi di pedaggio basati sulla distanza per veicoli pesanti:

Regimi di pedaggio

Tecnologia utilizzata

Paese

Free-flow (sistema «a flusso libero», cioè senza caselli o barriere)

GNSS con ANPR e/o DSRC.

Ungheria, Slovacchia, Belgio

Free-flow

GNSS con raggi infrarossi e/o DSRC.

Germania

Free-flow

DSRC

Austria, Repubblica ceca, Polonia, Portogallo, Regno Unito (Dartford Crossing)

Free-flow

ANPR

UK (Dartford Crossing)

Free-flow

ANPR e unità di bordo DSRC

Portogallo (A22, A25 ecc.)

Rete di stazioni di pedaggio (caselli)

DSRC

Croazia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito

2.9.2.

Sistemi di pedaggio basati sulla distanza per veicoli leggeri:

Regimi di pedaggio

Tecnologia utilizzata

Paese

Free-flow

DSCR/ANPR

Portogallo

Singoli tratti con caselli

DSCR/ANPR

Austria (A9, A10 Tauri, A11 Caravanche, A13, Brennero e S16 Arlberg)

Rete di stazioni di pedaggio (caselli)

DSCR

Croazia, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Polonia, Portogallo, Spagna,

2.9.3.

Sistemi di pedaggio basati sul tempo per veicoli pesanti:

Regimi di pedaggio

Tecnologia utilizzata

Paese

Contrassegno

Eurobollo elettronico

Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia.

Contrassegno

Contrassegno elettronico

Regno Unito, Lettonia

Contrassegno

Autoadesivo

Bulgaria, Lituania, Romania.

2.9.4.

Sistemi di pedaggio basati sul tempo per veicoli leggeri:

Regimi di pedaggio

Tecnologia utilizzata

Paese

Contrassegno

Autoadesivo

Austria, Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria (contrassegno elettronico), Romania (contrassegno cartaceo), Slovenia, Slovacchia

Pedaggi con barriera fisica o free-flow

DSRC, ANPR — a seconda del regime

Regno Unito

2.9.5.

Sistemi di pedaggio basati sull’accesso per tutti i veicoli (2):

Regimi di pedaggio

Tecnologia utilizzata

Paese

Pedaggio per l’accesso (controllo lungo i varchi di accesso)

ANPR

Svezia (Stoccolma)

Pedaggio per l’accesso (contrassegno)

ANPR

Regno Unito (congestion charge a Londra), Italia («Area C» di Milano)

3.   Descrizione dei principali problemi

3.1.

Nella sua comunicazione dell’agosto 2012 Attuazione del servizio europeo di telepedaggio (COM(2012) 474 final), la Commissione europea affermava chiaramente che la «carenza nella attuazione del SET e senza rispettare il calendario previsto non è dovuta a ragioni tecniche», ma che invece l’attuazione «è ancora ostacolata da una mancanza di cooperazione tra i diversi gruppi di parti interessate» e dall’insufficienza degli sforzi compiuti dagli Stati membri. Nella sua relazione dell’aprile 2013 su una strategia per un servizio di telepedaggio e un sistema di bollo per i veicoli leggeri privati in Europa (A7-0142/2013), il Parlamento europeo ha adottato la stessa posizione concordando «con la Commissione sul fatto che la tecnologia per rendere interoperabili i sistemi esiste già».

3.2.

La maggior parte dei sistemi di pedaggio stradale esige l’installazione di unità di bordo sui veicoli. Solo alcuni di questi sistemi offrono un’interoperabilità transfrontaliera, mentre la maggioranza di essi non è interoperabile. Ciò comporta costi e oneri per gli utenti della strada, che devono attrezzare i loro veicoli con più unità di bordo per poter circolare senza ostacoli in paesi diversi. Attualmente tali costi sono stimati in 334 milioni di EUR all’anno, e si prevede che scenderanno appena sotto i 300 milioni di EUR all’anno entro il 2025.

3.3.

Un certo grado di interoperabilità transfrontaliera è stato conseguito; ma in Croazia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, nonché nella Repubblica ceca e nel Regno Unito, ancor oggi per il pagamento dei pedaggi possono essere utilizzate solo le unità di bordo nazionali. Uno degli scopi del SET era quello di consentire alle unità di bordo di essere integrate con altri dispositivi all’interno dei veicoli, in particolare con i tachigrafi digitali. L’integrazione con i tachigrafi, tuttavia, non si è dimostrata promettente.

3.4.

La mancanza di interoperabilità transfrontaliera comporta anche dei costi per le autorità competenti, le quali devono acquistare unità di bordo superflue che funzionano a livello nazionale ma non sono utilizzabili all’estero e provvedere anche alla loro manutenzione. Nell’ambito di un solo sistema nazionale a sé stante, in cui la posizione dei veicoli è determinata ricorrendo al posizionamento satellitare, il costo una tantum per l’acquisto di tali unità di bordo è pari a 120 milioni di EUR, mentre i costi di manutenzione ammontano a 14,5 milioni di EUR all’anno (3).

3.5.

Non esiste ancora un sistema SET completo e sono stati compiuti scarsi progressi verso l’interoperabilità. I fornitori devono affrontare notevoli barriere all’ingresso: ad esempio, un trattamento discriminatorio da parte delle autorità, procedure di accettazione lunghe e soggette a cambiamenti, specificità tecniche dei sistemi locali che non ottemperano alle norme stabilite. Sono stati firmati solo pochi accordi limitati che interessino più di un paese dell’UE. E i motivi principali sono quelli esposti qui di seguito.

3.5.1.

In primo luogo, l’attuale gestore del sistema di pedaggio gode di una posizione privilegiata su alcuni mercati nazionali. Ciò si traduce in ostacoli all’attuazione, in materia di pedaggi, di pratiche armonizzate ed esenti da discriminazioni nell’Unione europea.

3.5.2.

In secondo luogo, la stessa legislazione sul SET pone degli ostacoli: in particolare, essa stabilisce che i fornitori del SET debbano essere in grado di offrire entro 24 mesi servizi estesi a tutto il territorio dell’UE.

3.5.3.

Infine, i sistemi di pedaggio nazionali applicano le tre tecnologie consentite a norma della legislazione sul SET in modi molto diversi, il che rende difficile e costoso conseguire l’interoperabilità transfrontaliera.

3.6.

Nella legislazione sul SET non figurano disposizioni efficaci per obbligare veicoli immatricolati in un altro paese dell’UE a pagare il pedaggio. In alcune località, il traffico internazionale rappresenta una quota significativa del totale delle entrate provenienti dal sistema di pedaggio, ragion per cui limitare i casi di mancato pagamento dei pedaggi da parte di utenti stranieri è una questione importante. Uno Stato membro che rileva il mancato pagamento di un pedaggio per mezzo di dispositivi automatici di controllo non è in grado di identificare il trasgressore in base al numero di targa se il veicolo è immatricolato all’estero. A livello UE non vi è alcuna base giuridica per lo scambio dei dati di immatricolazione dei veicoli tra Stati membri ai fini della riscossione coercitiva dei pedaggi. La perdita di introiti per i sistemi di pedaggio nazionali, regionali e locali ammonta a circa 300 milioni di EUR all’anno (4).

3.7.

Vi è una forte necessità di promuovere lo scambio di informazioni in materia di evasione dei pedaggi a livello UE e di attribuire maggiori poteri alle varie autorità responsabili del sistema di pedaggio per individuare i trasgressori e avviare le procedure di riscossione coercitiva dei pedaggi. In materia di azioni per imporre il pagamento, gli Stati membri hanno la responsabilità di dimostrare che gli utenti della strada sono trattati nello stesso modo e anche quella di garantire che le sanzioni siano debitamente applicate.

3.8.

L’obbligo imposto a tutti i fornitori del SET di coprire tutti i tipi di veicoli e ogni tipo di pedaggio in Europa è considerato eccessivo. L’efficienza sarebbe maggiore se i fornitori del SET fossero liberi di rispondere alle esigenze dei loro acquirenti, anziché essere costretti ad imporre loro un servizio completo ma costoso.

3.9.

Le modifiche alla direttiva sull’interoperabilità e la decisione sul SET proposte dalla Commissione consentiranno di realizzare risparmi per gli utenti della strada per un importo pari a 370 milioni di EUR (valore attuale netto [VAN], 2016-2025). La maggior parte di questi risparmi andrà a vantaggio del settore del trasporto merci su strada, composto prevalentemente da PMI. I gestori della rete stradale beneficeranno di risparmi dovuti al fatto di non dover acquistare unità di bordo superflue (48 milioni di EUR in VAN) e di entrate addizionali derivanti da migliori norme sulla riscossione coercitiva dei pedaggi a livello transfrontaliero (150 milioni di EUR all’anno). I fornitori del SET constateranno una riduzione degli oneri normativi connessi all’ingresso nei mercati nazionali (10 milioni di EUR in VAN, per un gruppo previsto di 12 fornitori del SET). Inoltre, essi vedranno espandersi il loro mercato, con introiti aggiuntivi pari a 700 milioni di EUR all’anno (5).

4.   Gli elementi chiave della proposta di rifusione della direttiva 2004/52/CE

4.1.

Per l’applicazione transfrontaliera del pagamento dei pedaggi si procederebbe nel modo seguente.

4.1.1.

Deve essere introdotto un semplice meccanismo per lo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri, e saranno messi in atto nuovi meccanismi e accordi giuridici per affrontare il problema dell’esecuzione transfrontaliera delle sanzioni per il mancato pagamento dei pedaggi. Le suddette informazioni dovrebbero consentire agli Stati membri di dar seguito ai casi di mancato pagamento dei pedaggi da parte di conducenti non residenti.

4.1.2.

Il sistema dovrebbe includere tutti i tipi di veicoli e tutti i tipi di sistemi di pedaggio elettronici, compreso il pedaggio su base di immagini (video-tolling).

4.2.

Le proposte principali in termini di tecnologie utilizzate e trattamento dei veicoli leggeri sono le seguenti:

4.2.1.

l’elenco delle tecnologie è stato spostato nell’allegato della direttiva. In tal modo, sarà possibile rispondere al progresso tecnologico in maniera più rapida ed efficace;

4.2.2.

è previsto che l’elenco delle tecnologie resti immutato e possa essere modificato in futuro solo dopo prove approfondite, un accurato lavoro di standardizzazione ecc.;

4.2.3.

la Commissione propone di separare il SET per i veicoli commerciali pesanti e quello per i veicoli leggeri, in modo che l’uno possa essere fornito indipendentemente dall’altro;

4.2.4.

sarà prevista una deroga per consentire ai fornitori del SET per veicoli leggeri di fornire ai clienti unità di bordo compatibili solo con la tecnologia DSRC.

4.3.

Le definizioni del SET saranno unificate, e vengono proposte talune precisazioni:

4.3.1.

si precisa che il SET deve essere offerto dai fornitori del SET e non dagli esattori di pedaggi. Ai fornitori del SET sarà garantito un accesso equo al mercato, alla pari con i fornitori di servizi di pedaggio nazionali. Ciò aumenterà le possibilità di scelta dei consumatori riguardo ai fornitori di servizi di pedaggio cui rivolgersi. Non vi sarà per gli Stati membri l’obbligo di garantire la messa in atto del SET entro un determinato periodo di tempo;

4.3.2.

le unità di bordo non devono essere necessariamente costituite da un’apparecchiatura fisica unica, potendo comprendere diversi dispositivi collegati fisicamente o a distanza, incluse le apparecchiature già presenti nel veicolo, come ad esempio i sistemi di navigazione, che forniscano tutte le funzioni dell’unità di bordo. La stessa unità di bordo dovrebbe essere compatibile con tutti i sistemi di pedaggio stradale, e si possono utilizzare dispositivi mobili (come gli smartphone) accanto alle unità di bordo fisse.

5.   Possibili ostacoli all’attuazione della proposta della Commissione

5.1.

Realizzare l’interoperabilità transfrontaliera potrebbe richiedere sforzi amministrativi considerevoli e comportare costi significativi a causa delle differenze di ordine giuridico, tecnico e operativo tra i singoli sistemi di pedaggio nazionali, dovuti all’uso di tecnologie diverse.

5.2.

Per superare tali difficoltà, la Commissione dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di creare un meccanismo di finanziamento. L’assegnazione delle risorse necessarie, infatti, incoraggerebbe gli Stati membri a rendere i loro sistemi nazionali interoperabili a livello dell’UE.

5.3.

Ai fini dell’interoperabilità, è importante che i servizi del SET siano sviluppati parallelamente a quelli nazionali, ma è possibile che i fornitori del SET si trovino di fronte a una qualche forma di trattamento discriminatorio da parte delle autorità degli Stati membri.

5.4.

Anche gli aspetti sociali della proposta in esame rivestono un’importanza cruciale. In tutta l’UE, nel settore del trasporto di merci su strada predominano le PMI e le microimprese, e si ritiene che per loro l’impatto sarebbe positivo. Un’estensione dell’applicazione tale da assoggettare le automobili private al pedaggio elettronico in una parte più ampia della rete stradale potrebbe non essere accolta positivamente dal pubblico, ragion per cui in tal caso occorrerebbe trovare soluzioni attentamente equilibrate.

5.5.

Si potrebbero ridurre i costi per gli utenti intensificando la ricerca e lo sviluppo di soluzioni tecniche e informatiche nei sistemi di telepedaggio. La promozione dell’innovazione in questo campo costituisce un punto chiave sul quale la Commissione europea farebbe bene a concentrarsi.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 32 del 5.2.2004, pag. 36.

GU C 277 del 17.11.2009, pag. 85.

GU C 291 del 4.9.2015, pag. 14.

GU C 173 del 31.5.2017, pag. 55.

GU C 288 del 31.8.2017, pag. 85.

(2)  Studio «State of the art of electronic tolling», MOVE/D3/2014-259.

(3)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’interoperabilità dei sistemi di telepedaggio stradale e l’agevolazione dello scambio transfrontaliero di informazioni riguardanti il mancato pagamento dei pedaggi stradali nell’Unione (rifusione) COM(2017) 280 final.

(4)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’interoperabilità dei sistemi di telepedaggio stradale e l’agevolazione dello scambio transfrontaliero di informazioni riguardanti il mancato pagamento dei pedaggi stradali nell’Unione (rifusione) COM(2017) 280 final.

(5)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione Executive summary of the Impact Assessment («Sintesi della valutazione d’impatto») (SWD(2017) 191 final).


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/188


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/62/CE, relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l’uso di alcune infrastrutture»

[COM(2017) 275 final — 2017/0114 (COD)]

e sulla

«Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 1999/62/CE, relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l’uso di alcune infrastrutture, per quanto riguarda determinate disposizioni concernenti le tasse sugli autoveicoli»

[COM(2017) 276 final — 2017/0115 (CNS)]

(2018/C 081/26)

Relatore:

Alberto MAZZOLA

Consultazione

Consiglio europeo, 12.6.2017 e 23.6.2017

Parlamento europeo, 15.6.2017

Base giuridica

Articoli 91 e 113 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

2.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

121/2/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che l’attuazione nell’UE di un sistema di tariffazione stradale equo, trasparente, non discriminatorio e non burocratico, proporzionato all’utilizzo della strada e ai costi esterni generati dai camion, dagli autobus e dalle auto, senza frammentazione dei sistemi di tariffazione e conforme ai principi di «chi usa paga» e «chi inquina paga», avrebbe un effetto positivo nel contrastare il deterioramento delle infrastrutture stradali, la congestione del traffico e l’inquinamento. Alle condizioni di seguito elencate, tale sistema sarebbe in grado di essere progressivamente applicato a HDV e LDV su tutta la Rete di trasporto transeuropea, a partire da quella prioritaria.

1.2.

Il CESE sottolinea l’importanza di aggiornare il quadro giuridico comune per garantire un campo di applicazione uniforme per tutti gli utenti stradali, in particolare per quanto riguarda il sistema di tariffazione a livello comunitario collegato all’uso delle infrastrutture stradali di importanza comunitaria basandosi sulla distanza percorsa, quali strade TEN-T, autostrade e strade nazionali con traffico internazionale significativo.

1.3.

Il settore dei trasporti svolge un ruolo essenziale per garantire la mobilità e lo sviluppo socioeconomico dell’UE, e il CESE sostiene che per dare risposta alle sfide della crescita e sostenibilità sia necessario ottimizzare la rete di infrastrutture di trasporto: investire nelle infrastrutture è vitale per la crescita e l’occupazione dato che un aumento dell’1 % della spesa in infrastrutture provoca un aumento del livello dei risultati dello 0,4 % nello stesso anno e dell’1,5 % quattro anni dopo (1).

1.4.

Il CESE vede con preoccupazione che «sebbene il fabbisogno dell’infrastruttura di trasporto si stima sia pari a circa EUR 130 miliardi l’anno a livello europeo, i livelli di investimento medi nell’UE sono nettamente al di sotto dei 100 miliardi fin dall’inizio della crisi» (2). Nell’UE si è registrato un calo delle spese per il mantenimento delle infrastrutture stradali, malgrado il nuovo quadro UE per lo sviluppo della Rete transeuropea di trasporto varato a fine 2013 (3) e gli interventi sostenuti dai fondi comunitari strutturali (4). Il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 difficilmente prevedrà l’aumento delle risorse necessarie.

1.5.

Per il CESE è cruciale che i ricavi per l’uso delle infrastrutture stradali abbiano destinazioni così definite: quelli relativi all’uso delle infrastrutture per coprire i costi di costruzione, sviluppo, funzionamento e manutenzione delle infrastrutture stradali, mentre quelli afferenti ai costi esterni dovrebbero essere destinati ad interventi di mitigazione degli effetti negativi del trasporto stradale e miglioramento delle prestazioni attraverso infrastrutture alternative, sistemi innovativi di gestione del traffico, guida automatica, elettrificazione, in particolare punti di ricarica rapida, e sistemi energetici alternativi.

1.6.

Secondo il CESE, i ricavi aggiuntivi così ottenuti, che a regime potrebbero ammontare nell’opzione scelta dalla CE a 10 miliardi di euro l’anno (5), 20 miliardi in caso di applicazione obbligatoria a tutti gli HDV, ancor più se esteso agli LDV, potrebbero dare un impulso significativo al completamento e al funzionamento della Rete transeuropea di trasporto, incluse le componenti tecnologiche. Resta comunque fondamentale e prevalente il contributo pubblico al finanziamento delle infrastrutture.

1.7.

Il CESE considera la revisione della legislazione sull’eurobollo un’opportunità per definire norme comuni e armonizzate, per monitorare e incrementare la corretta applicazione di tale normativa, creando un apposito registro UE e raccogliendo informazioni puntuali degli Stati membri.

1.8.

Il CESE ritiene essenziale che il mercato interno del trasporto sia esente da pratiche discriminatorie e invita la CE ad intervenire per assicurare tempestivamente il pieno rispetto del quadro normativo comunitario: in particolare, le tariffe applicate e gli sconti per utenti abituali e/o nazionali non devono costituire elementi discriminatori degli utenti occasionali e/o non nazionali.

1.9.

Un’altra forte preoccupazione per il CESE riguarda gli effetti dei cambiamenti climatici ed i livelli di tutela e protezione dell’ambiente e di tutti gli aspetti riguardanti la salute e il benessere sociale, in connessione con un utilizzo razionale dei trasporti: come già sottolineato, «per quanto riguarda il settore dei trasporti, pervenire ad una riduzione del 60 % delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990 resta un obiettivo estremamente ambizioso, che richiederà notevoli sforzi» (6).

1.10.

Il Comitato ribadisce che è opportuno applicare i principi «chi usa paga» e «chi inquina paga» in modo flessibile, in particolare per quanto riguarda le regioni periferiche e le zone rurali, montane e insulari remote, per evitare che producano effetti inversamente proporzionali ai costi e far sì che rimangano uno strumento atto ad influenzare le scelte riguardanti l’organizzazione delle operazioni di trasporto, premurandosi nel contempo di eliminare ogni concorrenza sleale tra i diversi modi di trasporto (TEN/582 — L’impatto delle conclusioni della COP21 sulla politica europea dei trasporti).

1.11.

Il CESE ritiene altresì indispensabile riesaminare gli effetti della direttiva due anni dopo la sua entrata in vigore, con particolare riguardo al suo impatto in termini di vantaggi derivanti dai nuovi investimenti e di costi per il trasporto merci, al fine di evitare il deterioramento della competitività globale delle industrie europee.

1.12.

Il CESE ritiene che particolare attenzione debba essere data alla accettabilità delle misure da parte di utenti, consumatori e cittadini in generale in termini di trasparenza e chiarezza del nuovo quadro impositivo, assicurando — anche con pannelli plurilingue autostradali — percezioni positive immediate e chiare, da parte dell’utente, della finalizzazione degli importi percepiti e della loro equa ripartizione e destinazione nonché dell’assenza di sovraccarichi impositivi e doppie imposizioni, inclusi due sintetici indicatori di qualità delle strade, livello di congestione e risparmi delle emissioni per km di infrastruttura.

1.13.

Secondo il CESE, la destinazione ad investimenti nel settore dei trasporti dei cespiti derivanti dall’applicazione della nuova normativa, secondo la ripartizione sopra indicata, sarebbe in grado di generare un’occupazione addizionale di oltre mezzo milione di addetti.

1.14.

Il CESE ritiene che la Commissione debba monitorare ed incrementare gli strumenti di corretta e uniforme applicazione della nuova normativa — inclusa la verifica periodica, su basi scientifiche, dei valori relativi ai costi esterni e la corrispondenza effettiva tra i sistemi tariffari adottati e le emissioni effettive dei veicoli, oggi non favorevoli ai veicoli più performanti — e redigere una relazione annuale dettagliata sui progressi registrati nell’applicazione della direttiva modificata da inviare al PE e al Consiglio nonché al CdR e al CESE stesso.

2.   Introduzione

2.1.

I trasporti rappresentano un pilastro essenziale dello spazio unico europeo e permettono la realizzazione concreta della libertà di movimento di cittadini, lavoratori, beni e servizi attraverso l’Unione: l’efficienza e la qualità delle reti trasporto hanno un impatto diretto sullo sviluppo sostenibile, la qualità di vita e di lavoro e la competitività dell’Europa.

2.2.

L’economia del trasporto su strada nell’UE assicura 5 milioni di posti di lavoro diretti e contribuisce per quasi il 2 % al PIL dell’UE, con 344 000 imprese di trasporto di persone su strada e oltre 560 000 imprese di trasporto di merci su strada (7), fornendo un importante contributo alla crescita e all’occupazione nell’UE, e necessita quindi di politiche proattive.

2.3.

I trasporti sono la causa principale dell’inquinamento atmosferico e costituiscono oggi un quarto delle emissioni di gas a effetto serra dell’Europa; è imputabile ad autocarri e autobus circa un quarto delle emissioni causate dal trasporto su strada, percentuale che, tra il 2010 e il 2030, dovrebbe aumentare di circa il 10 % (Scenario di riferimento UE 2016: energia, trasporti e emissioni di gas serra — tendenze al 2050). Come primo passo la CE si è concentrata su 2 proposte: una sulla certificazione delle emissioni di biossido di carbonio e del consumo di carburante per tali veicoli e l’altra sul monitoraggio e la segnalazione dei dati così certificati.

2.4.

La strategia adottata — sulla quale il CESE ha avuto modo di pronunciarsi (8) — ha indicato una tabella di marcia verso una mobilità a basse emissioni che darà impulso a questa transizione anche alla luce degli obiettivi stabiliti dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.

2.5.

La strategia persegue tre obiettivi: assicurare un sistema di trasporti più efficace, promuovere energie alternative a basso tenore di carbonio nel settore dei trasporti, promuovere i veicoli a basse/zero emissioni.

2.6.

L’ambito di applicazione riguarda soprattutto il trasporto stradale, responsabile di oltre il 70 % delle emissioni di gas ad effetto serra provenienti dai trasporti e di gran parte dell’inquinamento atmosferico, ma anche gli altri settori dei trasporti sono tenuti a contribuire.

2.7.

Per assicurare trasporti più efficienti a livello di costi energetici e di emissioni è importante prevedere i giusti segnali di prezzo e tener conto delle esternalità: a tal proposito, la CE ha intenzione di approdare a sistemi di pedaggio stradale basati sulla distanza in chilometri effettivi percorsi, per riflettere meglio i principi «chi inquina paga» e «chi usa paga».

2.8.

Quattro problemi sono affrontati attraverso un’applicazione più ampia dei principi «chi usa paga» e «chi inquina paga», e la cui soluzione è da ricercare in «fair, efficient road pricing»:

il trasporto stradale è responsabile del 17 % delle emissioni UE di CO2, e il ricorso a veicoli a basse e zero emissioni è insufficiente a soddisfare gli obiettivi climatici e energetici del 2030,

la qualità delle strade comunitarie è in degrado, a causa di investimenti in infrastrutture in calo e tempi di manutenzione differiti senza tener conto dell’impatto economico a lungo termine,

alcuni Stati membri hanno introdotto tariffe temporanee (vignette), che discriminano gli operatori stranieri occasionali,

l’inquinamento atmosferico e la congestione generati dai veicoli su strada rappresentano costi significativi per la società.

2.9.

Le analisi d’impatto economico mostrano differenze importanti tra gli aumenti dei costi per gli utenti del trasporto, autorità ed enti esercenti, bilanciati da maggiori ricavi e riduzioni dei costi di congestione e di altre esternalità, mentre si evidenziano impatti potenzialmente negativi in termini di distribuzione e impatto sulle PMI, a seguito dei maggiori costi (9).

2.10.

Le tecnologie digitali sono in grado di aumentare la sicurezza, l’efficienza e l’inclusività dei trasporti, permettendo una mobilità fluida da porta a porta, una logistica integrata e servizi a valore aggiunto con la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti in tutti i modi di trasporto come parte integrante dello sviluppo della rete transeuropea di trasporto multimodale.

2.11.

Le azioni sviluppate a livello europeo in tema di trasporti a basse emissioni non possono che avere un forte impatto sui territori regionali, attraversati dalle infrastrutture di trasporto, con conseguenze dirette in materia di pianificazione energetica, territoriale, ambientale e dei trasporti e con importanti effetti in materia economica e in termini di occupazione.

2.12.

Riguardo alla accettazione di tali misure da parte di utenti, consumatori e cittadini in generale, occorre fare di più in termini di trasparenza e chiarezza per creare un mercato dei veicoli a basse emissioni e a emissioni zero: occorre lavorare al miglioramento dell’informazione dei consumatori tramite l’etichettatura delle autovetture e al sostegno attraverso le norme in materia di appalti pubblici. Parallelamente bisogna agire in termini di trasparenza del nuovo quadro impositivo, assicurando una percezione positiva immediata e chiara, da parte dell’utente, della finalizzazione degli introiti realizzati e della loro equa ripartizione e dell’assenza di sovraccarichi impositivi e doppie imposizioni.

3.   Sintesi delle proposte CE

3.1.

Nelle proposte della CE, la tariffazione ha per oggetto le infrastrutture stradali, è commisurata alla distanza percorsa — escludendo a regime fattispecie di tariffazione a forfait, quali quelle attualmente previste anche in alcuni Paesi UE — e riguarda tutti i tipi di veicoli — non solo veicoli pesanti adibiti al trasporto di merci ma anche pullman, autobus, furgoni e autovetture — e, conseguentemente, sia il trasporto di merci che quello di passeggeri, e prefigura una modulazione della imposizione in ragione del «potenziale inquinante» e usurante dell’infrastruttura. Modifiche normative riguardano in particolare:

disposizioni in materia di pedaggi e diritti di utenza, con riferimento a tutti i veicoli e non più unicamente a quelli di peso superiore a 3,5 tonn.: aggiornamento della normativa della direttiva ed estensione del suo campo di applicazione a tutti i veicoli pesanti HVD dal 1/1/2020 e leggeri con la rimozione di esenzioni, valori massimi per oneri di costi esterni e semplificazione dei requisiti per la loro imposizione,

eliminazione graduale delle tariffe a tempo per i HDV entro il 31/12/2023, e per i veicoli leggeri entro il 31/12/2027, e realizzazione di un nuovo sistema di tariffazione a percorrenza con una metodologia di calcolo e valutazione dei costi sottesi alla determinazione delle tariffe,

modulazione degli oneri per infrastrutture in base alle emissioni di CO2 per le HDV ed eliminazione graduale delle attuali modulazioni impositive basate sulle classi di emissioni Euro a partire dal 1/1/2022,

misure supplementari per veicoli leggeri, riguardanti congestione interurbana e emissioni inquinanti e di CO2 da tutti i tipi di veicolo,

richiesta d’imposizione obbligatoria di oneri per costi esterni almeno su una parte della rete per gli HDV a partire dal 1/1/2021.

3.2.

Conformemente ai principi «chi inquina paga» e «chi utilizza paga», l’estensione dell’ambito di applicazione della direttiva 1999/62/CE dovrebbe contribuire a ridurre le distorsioni della concorrenza determinate dalla attuale esenzione di autobus e pullman dal pagamento per l’uso della infrastruttura.

3.3.

Una proposta aggiuntiva prevede modifiche per una graduale riduzione, fino ad azzeramento, dei livelli minimi di tasse sugli autoveicoli pesanti adibiti al trasporto merci su strada, da compiersi in 5 fasi (ciascuna delle quali rappresenta il 20 % delle attuali aliquote minime) durante un periodo di 5 anni consecutivi.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE ritiene che l’attuazione nell’UE di un sistema di tariffazione stradale equo, trasparente, non discriminatorio e non burocratico, proporzionato all’utilizzo della strada e ai costi esterni, misurabili scientificamente, generati dai camion, dagli autobus e dalle auto, senza frammentazione dei sistemi di tariffazione ma con un tetto di imputazione di costi esterni e conforme ai principi di «chi usa paga» e «chi inquina paga», avrebbe un effetto positivo nel contrastare il deterioramento delle infrastrutture stradali, la congestione del traffico e l’inquinamento.

4.2.

Il CESE sottolinea l’importanza di rivalutare, modificare e rafforzare l’applicazione uniforme delle norme UE e creare così un quadro giuridico comune che garantisca un unico livello di condizioni per tutti gli utenti della strada nel settore dei trasporti su strada: lo strumento della direttiva lascia ampio spazio per modalità applicative divergenti, e il CESE ritiene necessario riflettere sulla eventuale necessità — dopo una verifica applicativa triennale — di ricorso a strumenti legislativi più vincolanti che assicurino applicazioni uniformi.

4.3.

Il CESE raccomanda con forza che il quadro comune di tariffazione sia chiaro, trasparente, semplice, verificabile e esplicitato in termini di facile comprensione che ne evidenzino le destinazioni sia nelle ricevute elettroniche e cartacee sia nei pannelli autostradali, ai fini di una migliore accettabilità sociale del contributo che ciascuno degli utenti apporta al benessere comune.

4.4.

Un’armonizzazione ulteriore delle norme e l’istituzione di un quadro giuridico comune a livello comunitario per il sistema di tariffazione stradale connesso all’uso delle infrastrutture stradali di importanza comunitaria, come le strade della rete TEN-T, le autostrade e le strade nazionali con traffico significativo internazionale, sono essenziali per realizzare un reale mercato unico UE del trasporto su strada senza discriminazioni e distorsioni di concorrenza.

4.5.

I sistemi di tariffazione incidono in modo differente sulle regioni centrali e quelle periferiche: le regioni centrali ad alto traffico di scorrimento patiscono impatti negativi maggiori di quelli afferenti alle regioni periferiche, mentre queste ultime incassano compensazioni impositive per impatto ambientale e finanziamenti delle infrastrutture molto inferiori rispetto alle regioni centrali. Il CESE ritiene che i fondi strutturali e ambientali e la BEI dovrebbero intervenire per assicurare uno sviluppo equilibrato.

4.6.

La mancanza di armonizzazione dei sistemi di prelievo, siano essi bolli o pedaggi, si collega anche a diverse tecnologie di raccolta con differenti modelli di sistemi di tariffazione stradale spesso non interoperabili, che comportano ulteriori oneri amministrativi e costi aggiuntivi per le aziende di trasporto e logistica di fronte ad una domanda crescente di trasporto innovativo su strada con lo sviluppo di nuove e intelligenti infrastrutture, compresa la guida automatica e la distribuzione di nuovi carburanti, e corretta manutenzione di reti esistenti in grado di sostenerne i flussi.

4.7.

Vi è la necessità, secondo il CESE, di adeguati investimenti nelle infrastrutture esistenti e in quelle future per realizzare una migliore interoperabilità funzionale — anche con tecnologie satellitari — delle reti di trasporto nazionali e facilitarne l’accesso nell’intero mercato unico, facilitando una migliore applicazione della logistica intelligente (10) e di soluzioni TIC per migliorare la sicurezza stradale e aumentare l’efficienza complessiva di sistema con un più ampio ricorso a sistemi di trasporto intelligenti e assicurare reti di trasporto su strada più efficienti e meglio collegate, moderne e sostenibili in tutta Europa. Si dovrebbe mirare a installare sui veicoli dal 2019, cfr. Strategia per la digitalizzazione dei trasporti, solo On Board Unit interoperabili a livello UE.

4.8.

Il CESE ritiene che, di fronte alle carenze di investimenti nelle infrastrutture di trasporto e ai livelli insufficienti di manutenzione delle stesse, sia indispensabile applicare il principio «chi usa e chi inquina paga» per finanziare le infrastrutture stradali a condizione che:

le compensazioni derivanti dall’imposizione per l’uso dell’infrastruttura siano vincolate nella destinazione all’infrastruttura stradale stessa, mentre

quelle derivanti dall’imposizione per costi esterni devono essere destinate alla mitigazione degli effetti negativi del trasporto stradale, tra cui la costruzione di infrastrutture alternative, la distribuzione di carburanti alternativi, sistemi di guida alternativi, modalità di trasporto e di alimentazione energetica alternative e il sostegno alla rete transeuropea di trasporto,

l’articolo 9 della direttiva sia emendato in tal senso.

4.9.

Il CESE ritiene siano altrettanto importanti gli investimenti per ridurre il livello di emissioni CO2 del trasporto su strada (cfr. punto 2.12) che incidono pesantemente su qualità dell’ambiente e costi esterni in termini dell’1,8-2,4 % del PIL, e chiede un approccio integrato alla riduzione delle emissioni di CO2: impostare limiti per le emissioni di nuovi HDV immessi sul mercato dei veicoli UE è uno strumento più efficace per ridurre le emissioni rispetto alla tariffazione, ma non è sufficiente raggiungere gli obiettivi fissati.

4.10.

Data la persistenza del problema della congestione del traffico, all’interno e all’esterno delle aree urbane, si dovrebbe ricorrere a sostegni finanziari comunitari di sistemi avanzati di gestione del traffico e a processi efficienti di logistica satellitare al fine di eliminare costi aggiuntivi già a carico degli utenti: i cespiti derivanti dall’adozione volontaria di tali misure dovrebbero in ogni caso andare direttamente a finanziare soluzioni alternative a impatto neutrale.

4.11.

Occorre promuovere il trasporto pubblico, e i pedaggi stradali vanno definiti in modo da rispettare e realizzare tale obiettivo, sulla base dei principi «chi usa paga» e «chi inquina paga».

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE sostiene l’obiettivo del servizio europeo di telepedaggio (SET) che prevede «un dispositivo di bordo interoperabile associato a un contratto e a una fatturazione» in tutta l’UE, il che creerebbe un mercato unico e garantirebbe che gli operatori del trasporto commerciale su strada abbiano un unico fornitore, un unico contratto e un’unica fatturazione.

5.2.

L’esperienza del Brennero nell’applicazione della maggiorazione del pedaggio, secondo principi e limiti indicati dalla direttiva, ai fini della realizzazione di infrastrutture alternative si sta dimostrando utile e accettata dalla popolazione locale: il CESE giudica pertanto positivamente che tale possibilità sia estesa ad altre zone sensibili.

5.3.

Il regime di sconti ex articolo7 definito dopo lunghe discussioni ed analisi per gli HDV, a giudizio del CESE appare equo e non discriminatorio e potrebbe essere esteso in pari misura agli LDV riducendo le attuali disparità tra utenti occasionali/stranieri e utenti abituali/nazionali registrate in alcuni paesi. L’articolo7.a. dovrebbe quindi essere emendato come indicato.

5.4.

Il confronto delle tariffe relative ai costi esterni per alcune categorie di veicoli, ad esempio tra autocarri Euro V e Euro VI, evidenzia a regime una penalizzazione sostanziale dei veicoli meno inquinanti che, a giudizio del CESE, non trova giustificazione. Il CESE invita a rivedere le tariffe relative ai costi esterni definite negli allegati della direttiva favorendo i veicoli a più basse emissioni. Nel caso dei veicoli a zero emissioni si condivide l’opportunità di ridurre temporaneamente i relativi pedaggi d’uso dell’infrastruttura.

5.5.

Il CESE invita la CE ad aggiornare periodicamente la valutazione scientifica dei pedaggi, incluse le condizioni locali, tenendo conto delle specificità locali ma evitando discriminazioni non giustificate da valide basi scientifiche.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  FMI, World Economic Outlook, 10.2014.

(2)  ITF (2015), ITF Transport Outlook 2015, OECD Publishing, Parigi.

(3)  Regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE (GU L 348 del 20.12.2013, pag. 1).

(4)  Nel corso del 2014-15 gli investimenti totali effettuati dalle istituzioni UE nelle infrastrutture della rete centrale e globale TEN-T, a partire da fonti finanziarie proprie (ossia TEN-T/CEF, FESR/FC e prestiti della BEI), ammontavano a EUR 30,67 miliardi nell’UE28.

(5)  Valutazione d'impatto della direttiva Eurobollo.

(6)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 10.

(7)  EU Transport in Figures 2016, base dati Eurostat.

(8)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 84.

(9)  Support Study for the Impact Assessment Accompanying the Revision of the Eurovignette Directive (1999/62/EC) — Study contract No. MOVE/A3/119-2013 — 05.2017.

(10)  COM(2016) 766 final.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/195


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — L’Europa in movimento: un’agenda per una transizione socialmente equa verso una mobilità pulita, competitiva e interconnessa per tutti»

[COM(2017) 283 final]

(2018/C 081/27)

Relatore:

Ulrich SAMM

Correlatore:

Brian CURTIS

Consultazione

Commissione europea, 5.7.2017

Base giuridica

Articolo 304 del TFUE

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

2.10.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

111/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’agenda sulla mobilità, delineata nella comunicazione della Commissione L’Europa in movimento [COM(2017) 283 final] (nel seguito «la comunicazione»), rispecchia l’ambizione dell’Europa di compiere rapidi progressi verso l’introduzione, entro il 2025, di un sistema di mobilità pulita, competitiva e interconnessa che integri tutti i mezzi di trasporto e copra l’intera Unione europea. In Europa il trasporto su strada — sul quale verte essenzialmente la comunicazione in esame — può fare affidamento su un comparto che è leader mondiale nella fabbricazione di prodotti e nella fornitura di servizi. Un comparto che occupa l’11 % di tutti i lavoratori del settore manifatturiero dell’UE e genera il 7 % del PIL dell’Unione europea.

1.2.

La comunicazione in esame evidenzia il collegamento con le priorità generali dell’Unione dell’energia, il mercato unico digitale e il piano di investimenti per l’Europa. In particolare, essa mira a risolvere alcune questioni ancora aperte in materia di mercato unico dei trasporti, mantenendo al tempo stesso una prospettiva equilibrata riguardo ai diritti dell’uomo e del lavoro ed agli aspetti ambientali.

1.3.

Il buon funzionamento dello spazio unico europeo dei trasporti dipende da un quadro normativo adeguato. Il CESE è del parere che le modifiche proposte nella normativa in materia di accesso alla professione, accesso ai mercati (compreso il cabotaggio) e condizioni di lavoro — ad esempio per quanto concerne i tempi di guida e di riposo e le norme specifiche relative al distacco dei lavoratori nel trasporto su strada — per lo più non risolvano in modo efficace i problemi che sono intese ad affrontare. Le singole soluzioni proposte per ciascuno di questi problemi sono trattate dal CESE in maniera più dettagliata in pareri specifici. Il CESE sottolinea l’urgenza di trovare soluzioni adeguate e di agevole applicazione, considerata la vitale importanza di un quadro normativo adatto ai fini del buon funzionamento del mercato interno. In tale contesto, il CESE sottolinea di attendersi che la futura proposta sul trasporto combinato affronterà anche il tema dell’accesso al mercato.

1.4.

Le tecnologie dei trasporti terrestri saranno con ogni probabilità rivoluzionate dalla digitalizzazione e dall’automazione. Queste due innovazioni tecnologiche offrono una ricca gamma di soluzioni ai consumatori e alle imprese che, per qualsiasi tipo di servizio o apparecchiatura da loro utilizzato, desiderano migliore qualità, convenienza, flessibilità, prezzi ragionevoli e sicurezza. Il CESE osserva che tali innovazioni sono in grado non solo di rendere più efficiente il mercato dei trasporti, ma anche di fornire dati analitici per migliorare il controllo e l’applicazione della normativa esistente e la tutela dei diritti umani e sociali.

1.5.

La guida automatica ha ormai il potenziale necessario per diventare un fattore di svolta che, oltre a fornire nuovi servizi e opportunità commerciali, potrebbe migliorare notevolmente la sicurezza attiva dei veicoli e ridurre in misura significativa il numero degli incidenti mortali. Il CESE incoraggia perciò la Commissione a proseguire ulteriormente il progetto Visione zero entro il 2050, dato che gli obiettivi che esso persegue sono della massima importanza per la nostra società e per tutti i cittadini.

1.6.

Il CESE sostiene con forza la proposta della Commissione di superare la scarsa interoperabilità tra i diversi sistemi di telepedaggio stradale esistenti negli Stati membri e di attuare un quadro comune di interoperabilità. Il CESE considera inoltre che un sistema di tariffazione stradale flessibile, equo, trasparente e non discriminatorio, conforme ai principi «chi usa paga» e «chi inquina paga», avrebbe un effetto positivo, a condizione che i relativi introiti siano assegnati a specifiche destinazioni. Un’assegnazione completa di tali introiti potrebbe comportare, per l’Europa, oltre 500 000 opportunità di occupazione in più.

1.7.

Il CESE osserva la discrepanza tra la riduzione delle emissioni dei trasporti su strada prevista nell’ambito del pacchetto in esame (13 %) e quella del 18-19 % che dovrebbe costituire il necessario contributo del settore dei trasporti al conseguimento degli obiettivi climatici ed energetici fissati per il 2030. Tale divario può essere colmato soltanto se gli Stati membri compiono sforzi sostanziali per stimolare l’adozione di iniziative a favore di trasporti su strada «puliti».

1.8.

Il CESE desidera sottolineare che la produzione di energia elettrica «pulita» è una condizione indispensabile affinché i veicoli elettrici siano immessi con successo sul mercato di massa. A prescindere dalla fonte dell’energia elettrica utilizzata, tuttavia, i veicoli elettrici possono contribuire a ridurre l’inquinamento atmosferico a livello locale, mentre gli obiettivi globali dell’UE in materia di emissioni di gas a effetto serra possono essere conseguiti soltanto mediante una politica di generazione di energia elettrica pulita.

1.9.

Di recente la fiducia dei consumatori nell’industria automobilistica e nella regolamentazione ad essa applicabile è stata gravemente compromessa. Ripristinare la fiducia introducendo limiti di emissione realistici e procedure di verifica adeguate è di vitale importanza, e il Comitato si rammarica che la proposta di affidare la supervisione dei test in tutta l’UE ad un’autorità indipendente sia stata abbandonata all’inizio del 2017 in seguito all’opposizione di alcuni Stati membri.

1.10.

In Europa occorre fissare obiettivi chiari e ambiziosi per i veicoli ad energia pulita, in modo da stimolare il settore manifatturiero negli ambiti della ricerca, della commercializzazione e della produzione. Le limitazioni tecniche che ancora ostacolano una più rapida introduzione dei sistemi di trazione alternativa possono essere superate soltanto grazie ad un robusto programma di ricerca (nell’ambito del prossimo programma quadro) che copra l’intero spettro compreso tra ricerca di base, innovazione e commercializzazione.

1.11.

Il Comitato auspica che sia riconosciuta maggiormente l’importanza di sostenere il passaggio a modi di trasporto più sostenibili, aumentando gli incentivi a favore dei trasporti pubblici, e di trasferire il trasporto delle merci dalla rete stradale a quella ferroviaria. La strategia globale può contribuire a decarbonizzare i trasporti su strada ma non necessariamente a far fronte alla congestione e all’inquinamento, soprattutto se si considera che la domanda di trasporti su strada continuerà probabilmente ad aumentare.

2.   Introduzione

2.1.

La comunicazione è la prima fase fondamentale del pacchetto sulla mobilità, con ulteriori proposte che seguiranno più avanti nel corso dell’anno. Essa colloca le proposte specifiche di tale pacchetto — già esaminate dal CESE in pareri distinti — in un preciso contesto politico, contempla misure di sostegno — come i pedaggi stradali (nonché le infrastrutture necessarie), l’uso di combustibili alternativi e la connettività, una migliore informazione dei consumatori, un mercato interno più forte e condizioni di lavoro migliori nel settore del trasporto di merci su strada — e propone azioni volte a «gettare le basi» di una mobilità cooperativa, interconnessa e automatizzata. In pratica, la proposta della Commissione riguarda principalmente il settore del trasporto su strada.

2.2.

La comunicazione, inoltre, evidenzia il rapporto di tali iniziative con le priorità generali dell’Unione dell’energia (efficienza energetica e decarbonizzazione del settore dei trasporti, grazie anche all’impiego di combustibili a basso tenore di carbonio e alla promozione della mobilità elettrica), il mercato unico digitale, l’agenda per l’occupazione, la crescita e gli investimenti e il piano di investimenti per l’Europa che ne sostiene l’attuazione, nonché con gli obiettivi di migliorare l’equità e rafforzare la dimensione sociale indicati nel pilastro europeo dei diritti sociali. Essa mira a risolvere alcune questioni ancora aperte in materia di mercato unico dei trasporti, sforzandosi al tempo stesso di mantenere una visione equilibrata — con la giusta considerazione dei diritti dell’uomo e del lavoro nonché degli aspetti ambientali — malgrado il permanere di una certa tensione.

2.3.

L’agenda sulla mobilità rispecchia l’ambizione dell’Europa di compiere rapidi progressi verso l’introduzione, entro il 2025, di un sistema di mobilità pulita, competitiva e interconnessa che integri tutti i mezzi di trasporto, coprendo l’intera Unione europea e collegandola con i paesi vicini e il resto del mondo. Il conseguimento di un obiettivo così ambizioso presuppone sia un settore che abbia la leadership mondiale nella produzione e nella fornitura di servizi, sia una volontà politica forte ed efficace da parte degli Stati membri.

2.4.

Occorre tener presente che i paesi dell’UE ricavano dal settore dei trasporti oltre 500 miliardi di euro di entrate fiscali. La componente industriale di tale settore occupa l’11 % di tutti i lavoratori del settore manifatturiero dell’UE e genera il 7 % del PIL dell’Unione europea, nonché un avanzo commerciale pari a 90 miliardi di euro. In effetti è un settore di tale peso e di tale rilievo che, in molti ambiti soggetti alla normativa e alla politica dell’UE, i progressi sono ancora lenti proprio per il fatto che diversi Stati membri lo considerano un settore d’importanza strategica nazionale. Le modifiche che si ritiene abbiano ripercussioni sui sistemi e le priorità nazionali, come l’apertura del mercato e la tariffazione stradale, richiedono spesso molto tempo per essere adottate e attuate.

2.5.

L’Unione europea non parte da zero. La realizzazione del mercato interno e gli obiettivi di sostenibilità hanno prodotto risultati significativi. II CESE ha già espresso le proprie vedute in una serie di pareri, come quelli sullo spazio unico europeo dei trasporti (1) quale asse portante del libero mercato interno, sui viaggi multimodali (2) e sul mercato interno del trasporto internazionale di merci su strada (3). Lo sviluppo sostenibile della politica europea dei trasporti (4) svolge un ruolo importante, in particolare per quanto riguarda la decarbonizzazione dei trasporti (5) e l’impatto delle conclusioni della COP21 su tale politica (6). Le implicazioni della digitalizzazione e dell’automazione dei trasporti per il processo di definizione delle politiche dell’UE (7), nonché le prospettive dei sistemi di trasporto intelligenti cooperativi (8), sono considerazioni destinate a svolgere un ruolo crescente nella politica europea dei trasporti e hanno anch’esse formato oggetto di pareri specifici del CESE.

2.6.

Tuttavia, nonostante quanto si è detto, molto resta ancora da fare. Bisogna che l’agenda sulla mobilità prepari il terreno per un sistema europeo di trasporto che sia in grado di far fronte alle sfide principali poste dalla digitalizzazione e dall’impatto ambientale.

3.   La digitalizzazione

3.1.

La digitalizzazione e l’automazione basate su connessioni Internet affidabili e veloci offrono una ricca gamma di soluzioni ai consumatori e alle imprese che, per qualsiasi tipo di servizio o apparecchiatura da loro utilizzato, desiderano migliore qualità, convenienza, flessibilità, prezzi ragionevoli e sicurezza. Inoltre, esse consentono di introdurre nuove tecniche efficaci di analisi, controllo e applicazione della legislazione esistente nonché nel campo della tutela dei diritti umani e sociali. In particolare la tecnologia dei trasporti terrestri sarà, con ogni probabilità, realmente rivoluzionata dalla digitalizzazione. Uno degli obiettivi generali cui puntare deve essere quello di armonizzare i vari sistemi, o quantomeno trovare soluzioni tecniche che consentano loro di operare attraverso le frontiere: questo, infatti, è un presupposto di vitale importanza per il buon funzionamento del mercato interno. Un esempio al riguardo è offerto dall’imminente introduzione dei tachigrafi intelligenti, anche se è previsto un periodo transitorio di 15 anni per l’adeguamento dei veicoli esistenti — un lasso di tempo decisamente troppo lungo, che andrebbe considerevolmente abbreviato.

3.2.

La strategia dell’UE per una mobilità cooperativa, interconnessa e automatizzata (sistemi di trasporto intelligenti cooperativi) e la sua attuazione segnano già i primi passi verso la guida automatizzata (cfr. anche il parere TEN/621). La connettività dei veicoli tra loro, e tra i veicoli e l’infrastruttura fissa, rappresenta un elemento cruciale, che sarà necessario per fare pieno uso delle tecnologie digitali. Il CESE accoglie quindi con favore gli obiettivi strategici per il 2025 presentati nella recente comunicazione su «una società dei Gigabit europea» (9), che fissa un calendario per lo sviluppo di infrastrutture europee per la banda larga ad alta capacità, in grado di fornire una copertura 5G ininterrotta con connettività Internet ad altissima capacità lungo tutti i principali assi di trasporto terrestri.

3.3.

Ma la digitalizzazione sarà fondamentale anche per lo sviluppo di nuovi modelli di mercato, compresi diversi tipi di piattaforme e modelli di economia collaborativa che possono sì rendere più efficiente l’uso delle risorse, ma anche porre una serie di questioni giuridiche, sociali e di tutela dei consumatori, quali ad esempio il ruolo e lo status delle piattaforme Internet e i cambiamenti nel mercato del lavoro.

3.4.

Le potenzialità della guida automatizzata, anche in automobili senza conducente, sono considerate principalmente in termini di opportunità di sviluppo di nuovi modelli commerciali. Tuttavia, non va dimenticato che si pongono anche importanti questioni di responsabilità, che occorre chiarire a livello UE in maniera armonizzata. Il diffondersi della guida automatica o semiautomatica avrebbe altresì implicazioni di altro tipo: essa potrebbe infatti migliorare in misura significativa la sicurezza attiva dei veicoli terrestri. Rispetto agli anni settanta del secolo scorso, il numero delle vittime della strada è diminuito di quattro volte, principalmente grazie all’introduzione di dispositivi di sicurezza passiva nelle automobili; eppure, malgrado ciò ancora nel 2016 25 500 persone hanno perso la vita sulle strade dell’Unione europea. Adesso, grazie allo sviluppo e all’introduzione di dispositivi di sicurezza attiva avanzati (guida semiautomatica, automobili connesse), dovrebbe essere possibile ridurre il numero di tali vittime in misura significativa, o addirittura portarlo a zero come indicato nel progetto di sicurezza Visione Zero, avviato in Svezia nel 1997 e in seguito ripreso dall’UE ma senza mai aver conseguito i risultati previsti. Adesso, la guida automatizzata ha il potenziale per cambiare questa situazione in modo decisivo. Il CESE incoraggia perciò la Commissione a proseguire ulteriormente il progetto Visione zero entro il 2050, dato che tale obiettivo («zero vittime della strada») è della massima importanza per la nostra società e per tutti i cittadini.

4.   Uno spazio unico europeo dei trasporti

4.1.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Commissione europea abbia assunto l’iniziativa di chiarire il quadro normativo riguardante il mercato del trasporto su strada e di garantirne una migliore applicazione, migliorando al tempo stesso le condizioni di lavoro e combattendo il dumping sociale, al fine di assicurare il buon funzionamento del mercato interno in questo settore. Le modifiche legislative proposte riguardano l’accesso alla professione, l’accesso ai mercati (compreso il cabotaggio) e le condizioni di lavoro — ad esempio per quanto concerne i tempi di guida e di riposo e le norme specifiche relative al distacco dei lavoratori nel trasporto su strada.

Tuttavia, il CESE ritiene che tali modifiche, pur avendo l’ambizione di rendere la normativa facilmente applicabile e garantire una concorrenza leale, per lo più non offrano una soluzione efficace ai problemi che esse affrontano, compresi quelli emersi nel corso dell’attuazione del quadro normativo attuale. Il CESE osserva che l’iniziativa in esame ha suscitato reazioni contrastanti tra gli Stati membri, le parti sociali e gli operatori del settore; e reputa che l’unico modo di procedere in maniera sostenibile consista nell’adottare una legislazione chiara e di facile applicazione, che garantisca la certezza del diritto per quanto riguarda l’accesso al mercato e una tutela adeguata dei diritti sociali. Il CESE sottolinea inoltre la necessità di utilizzare le tecnologie informatiche moderne (come ad esempio i tachigrafi) e infrastrutture efficienti (aree di parcheggio sicure) per favorire l’attuazione e il rispetto delle nuove misure. Un aspetto sorprendente della comunicazione è che il trasporto combinato viene trattato come una questione riguardante non già l’accesso al mercato, bensì soltanto l’ottimizzazione della sostenibilità (per maggiori dettagli sulle posizioni del CESE in merito a queste proposte, si rinvia ai pareri specifici già adottati).

4.2.

Il CESE accoglie con favore l’intenzione di modificare la direttiva relativa all’uso dei veicoli noleggiati senza conducente per il trasporto di merci su strada, ma desidera esprimere alcune riserve riguardo a taluni effetti che potrebbero derivare da tale modifica. Effetti, questi, riconducibili a due tipologie: il possibile aumento delle società di comodo e la possibilità per gli operatori di effettuare cabotaggio illegale senza rischiare di essere scoperti.

4.3.

Il CESE reputa che l’attuazione di un sistema di tariffazione stradale flessibile, equo, trasparente, non discriminatorio e non burocratico, conforme ai principi «chi usa paga» e «chi inquina paga», avrebbe un effetto positivo, a patto che gli introiti esatti per l’uso delle infrastrutture stradali abbiano una destinazione precisa e che il mercato interno dei trasporti sia tenuto al riparo da pratiche discriminatorie. Un’assegnazione totale degli introiti potrebbe comportare, per l’Europa, oltre 500 000 opportunità di occupazione in più. Il CESE sostiene con forza la proposta della Commissione di superare la scarsa interoperabilità tra i diversi sistemi di telepedaggio stradale esistenti negli Stati membri e di introdurre un sistema di telepedaggio stradale uniforme in tutta l’UE basato su tecnologie avanzate. (per maggiori dettagli sulle posizioni del CESE in merito, si rimanda ai pareri specifici già adottati su questi temi).

5.   Verso un sistema di trasporto sostenibile

5.1.

In Europa il settore dei trasporti è responsabile di circa il 20 % delle emissioni di gas a effetto serra. Se, da un lato, l’attività di trasporto è in aumento, dall’altro le emissioni di gas a effetto serra devono diminuire se si vogliono conseguire gli obiettivi energetici e climatici dell’UE per il 2030. Di conseguenza, il pacchetto di misure del novembre 2016 intitolato «Energia pulita per tutti gli europei» ha previsto azioni volte ad accelerare la diffusione dei carburanti a basso tenore di carbonio e a sostenere la mobilità elettrica, che infatti sono state accolte con favore dal CESE (10).

5.2.

In generale, basandosi sulle tendenze attuali e sulle politiche adottate, si prevede che le emissioni dei trasporti continueranno a diminuire, giungendo a un 13 % in meno rispetto al 2005 entro il 2030 (e a un 15 % entro il 2050). Ciò, tuttavia, non è in linea con quella riduzione delle emissioni pari al 18-19 % (oltre che realizzata in maniera efficace sotto il profilo dei costi) che dovrebbe costituire il contributo del settore dei trasporti al conseguimento degli obiettivi climatici ed energetici per il 2030. Il CESE concorda sul fatto che l’introduzione di limiti per le emissioni dei nuovi veicoli sia uno strumento efficace per ridurre le emissioni, ma osserva anche che tale misura non è sufficiente per raggiungere gli obiettivi stabiliti: le disposizioni sui limiti di emissione dovrebbero infatti essere integrate da misure volte ad accrescere ulteriormente l’efficienza energetica e a promuovere carburanti e sistemi di propulsione alternativi, compresi il GNL e l’elettricità, mediante sistemi di bordo o strade elettrificate, nonché da misure in materia di pedaggi stradali.

5.3.

Grandi aspettative sono riposte nei veicoli elettrici, come si evince ad esempio dal fatto che alcuni Stati membri hanno annunciato la futura messa al bando di tutti i nuovi autoveicoli a combustione interna (sia a benzina che diesel), seguendo così gli esempi di Norvegia (entro il 2025), Francia e Regno Unito (entro il 2040). In tutto il mondo il mercato dei veicoli elettrici è in rapida crescita. Nel 2016 il numero dei veicoli elettrici in circolazione a livello mondiale ha raggiunto i due milioni di unità, anche se in termini relativi essi rappresentano ancora solo lo 0,2 % di tutte le autovetture (fonte: AIE 2017). La crescita più forte in termini assoluti si registra in Cina, e si deve principalmente ai problemi di inquinamento atmosferico esistenti in quel paese e agli obiettivi di riduzione delle emissioni ivi vigenti. In Europa, occorre fissare obiettivi chiari e ambiziosi per i veicoli ad energia pulita, in modo da stimolare il settore manifatturiero negli ambiti della ricerca e della produzione.

5.4.

Una più rapida diffusione dei veicoli elettrici, tuttavia, continua ad essere ostacolata dalle limitazioni tecniche relative alle prestazioni delle batterie. Infatti, se è vero che il costo di queste ultime diminuisce più rapidamente del previsto, è anche vero che le prestazioni dei veicoli elettrici risultano ancora limitate da alcuni problemi, relativi a una serie di parametri talvolta in conflitto tra loro: il peso, la capacità di ricarica (autonomia), la velocità di ricarica, la durata di vita e/o l’usura. Ciò nonostante, i veicoli elettrici sono ormai prossimi ad essere riconosciuti come il segmento più promettente in termini di crescita futura per quanto riguarda le autovetture e i veicoli commerciali leggeri.

5.5.

Le suddette limitazioni tecniche possono essere superate soltanto con un robusto programma di ricerca che copra l’intero spettro compreso tra ricerca di base e innovazione. I programmi europei di ricerca, in particolare Orizzonte 2020, sono adeguatamente mirati, e la ricerca è attiva in diversi campi alternativi, come i nuovi tipi di batterie o le celle a combustibile e l’idrogeno. Si tratta di traguardi che fanno ben sperare; e, se è bene tener sempre presente che gran parte di queste ricerche si trova ancora in una fase iniziale, d’altra parte però si registrano già dei primi risultati, come dimostra ad esempio l’impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno» (www.fch.europa.eu).

5.6.

Se vuole dissipare le incertezze circa il futuro dei sistemi di trazione per veicoli, l’Unione europea deve proseguire con una specifica priorità di ricerca in materia di trasporti nell’ambito del prossimo programma quadro, per la quale le strategie europee di ricerca e innovazione nel campo dei trasporti delineate dalla Commissione e le piattaforme tecnologiche europee, come il Consiglio consultivo per la ricerca aeronautica e l’innovazione in Europa, costituiscono già una solida base. Inoltre, una cooperazione che abbracci l’intera scala dei livelli di maturità tecnologica, dalla ricerca di base fino alle applicazioni tecnologiche, è lo strumento più efficace per progredire sul cammino che conduce alla commercializzazione.

5.7.

Il CESE desidera sottolineare nuovamente (11) la mancanza di armonizzazione tra i fondi per la ricerca nazionali ed europei. Ad esempio, il concetto di Power-to-X (che consiste nel convertire elettrochimicamente il vapore e il biossido di carbonio — utilizzando energia elettrica generata da fonti rinnovabili — per produrre combustibile sintetico) è fortemente sostenuto da un programma di finanziamento tedesco (12) che non trova riscontro in alcun approccio complementare a livello UE.

5.8.

Allo stato delle attuali tecnologie, oggi in Europa la domanda di batterie è in forte crescita. La grande maggioranza della capacità mondiale di produzione delle celle per batterie rimane però in Asia e negli Stati Uniti. Il CESE condivide le preoccupazioni della Commissione che l’industria automobilistica europea dipenderà in larga misura da celle per batterie importate da paesi terzi, esponendo così il suo approvvigionamento a rischi di vario genere. Un’industria europea delle batterie in grado di soddisfare la domanda è nell’interesse dei costruttori di automobili europei.

5.9.

Il sostegno alla mobilità elettrica, peraltro, non si limita allo sviluppo delle batterie. Tra le soluzioni alternative, pensate in particolare per i veicoli pesanti, figura la possibilità di utilizzare strade elettrificate che forniscano a tali veicoli una propulsione elettrica attraverso cavi sospesi o rotaie poste sulla superficie stradale (e-Highway ecc.). Tuttavia, un problema comune per i sistemi di propulsione alternativi è costituito dall’esigenza di basarsi su norme comuni che consentano la circolazione transfrontaliera e la creazione di un mercato quantomeno europeo e preferibilmente mondiale. La rete TEN-T, e specialmente i corridoi della rete centrale, potrebbe risultare uno strumento utile a questo scopo.

5.10.

Il motore a combustione interna, che oggi rappresenta ancora la spina dorsale della nostra mobilità su strada, incontra ormai una crescente opposizione. Si registra una grave perdita di fiducia nei confronti delle case costruttrici e del quadro normativo in materia di emissioni dei veicoli, in particolare in seguito alla scoperta di software di manipolazione illegali che, in condizioni di guida reali, interferiscono con i dispositivi di controllo delle emissioni o addirittura li disattivano. Inoltre, è ben noto come, anche senza il ricorso a sistemi illegali, i veicoli che superano i test ufficiali relativi alle emissioni producano poi, in condizioni di guida reali, livelli di inquinamento assai più elevati; e il fatto che negli ultimi decenni tale divario sia divenuto molto più ampio è la ragione principale dei problemi con cui oggi dobbiamo confrontarci. Vi è urgente necessità di ripristinare la fiducia dei consumatori nell’industria automobilistica e nel pertinente quadro normativo, adottando limiti di emissione realistici e procedure di verifica adeguate; e al riguardo il Comitato si rammarica che la proposta di affidare la supervisione dei test in tutta l’UE ad un’autorità indipendente sia stata di recente abbandonata in seguito all’opposizione di alcuni Stati membri.

5.11.

Tutto ciò premesso, tuttavia, il dibattito che contrappone i motori a combustione alla trazione elettrica deve spingersi al di là della questione dei livelli di emissione. In particolare, occorre distinguere tra gli effetti sul riscaldamento globale e quelli sull’inquinamento atmosferico locale. Per ridurre al minimo quest’ultimo, il ricorso ai veicoli elettrici costituisce senz’altro l’opzione migliore, considerato che, a livello locale, tali veicoli non producono emissioni. Se si considera il livello globale, invece, non si può più sostenere che, nella gran parte dei casi, tali veicoli siano «a zero emissioni»: il livello di queste, infatti, dipende dal metodo di produzione dell’elettricità impiegata per ricaricare le batterie e dai processi di fabbricazione delle batterie stesse; e, dato che, riguardo alla quota di elettricità prodotta senza emissioni di carbonio, si riscontrano forti disparità tra gli Stati membri, è evidente che l’efficacia del contributo della mobilità elettrica ai fini del conseguimento degli obiettivi climatici dell’UE dipende dal paese in cui tali veicoli circolano. Il sostegno dell’UE alla mobilità elettrica deve dunque tener conto del fatto che la questione è strettamente connessa a quella della produzione di energia elettrica, esaminata nel contesto dell’Unione europea dell’energia.

5.12.

Nel trasporto su strada i motori a combustione sono attualmente più performanti quando si tratta di percorrere lunghe distanze e trasportare carichi pesanti. Riguardo al tempo entro cui la trazione elettrica potrà eguagliarne le prestazioni, dovremmo prepararci ad un lungo periodo di transizione nel quale i due sistemi di trazione coesisteranno. Le automobili ibride, ad esempio, in grado di passare dalla combustione per le lunghe distanze alla trazione elettrica in città, potrebbero fornire una soluzione per la quale l’industria automobilistica europea è ben preparata. Esistono poi alcuni usi (ad esempio il trasporto di merci a lunga distanza) per i quali i veicoli elettrici a batteria non sono adatti. Per questi usi si può far ricorso ad un’ampia gamma di tecnologie alternative, come le celle a combustibile a idrogeno e le autostrade elettrificate. L’Europa deve investire nel loro sviluppo, in modo da conseguire la leadership industriale nel campo dei trasporti «verdi».

5.13.

Il CESE appoggia lo sviluppo, in ciascuno Stato membro, di una formazione professionale in materia di logistica che fornisca le nuove competenze necessarie per sostenere le iniziative previste nel pacchetto in esame.

5.14.

È opportuno notare che, in tutta l’UE, diverse grandi città hanno già avviato in modo indipendente un’ampia gamma di iniziative per affrontare il problema della congestione e dell’inquinamento. Il CESE esorta la Commissione ad ampliare la sua cooperazione con le autorità comunali e metropolitane riguardo alla condivisione di buone pratiche e alla diffusione delle informazioni.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 291 del 4.9.2015, pag. 14.

(2)  GU C 12 del 15.1.2015, pag. 81.

(3)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 176.

(4)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 31.

(5)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 55.

(6)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 10.

(7)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 52.

(8)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 85.

(9)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 51.

(10)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 64.

(11)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 66.

(12)  https://www.kopernikus-projekte.de/projekte/power-to-x.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/201


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: «Accordo di libero scambio UE-Corea — Capitolo su commercio e sviluppo sostenibile»

(2018/C 081/28)

Relatore:

Dumitru FORNEA

Consultazione

Commissione europea, 22.6.2016

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

28.9.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

127/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia gli sforzi internazionali volti a mantenere la pace, promuovendo tra l’altro le iniziative che puntano a smilitarizzare e denuclearizzare la penisola coreana. Nell’attuale contesto, il CESE desidera innanzitutto esprimere la sua piena e incondizionata solidarietà alla Repubblica di Corea di fronte alle minacce provenienti dalla Corea del Nord.

1.2.

Il CESE riconosce che, nel complesso, l’accordo di libero scambio (ALS) tra l’Unione europea (UE) e la Repubblica di Corea (1) ha prodotto risultati incoraggianti sul piano economico e sociale.

1.3.

Tuttavia, l’attuazione degli aspetti dell’ALS relativi allo sviluppo sostenibile, in particolare per le questioni attinenti al lavoro, rimane insoddisfacente. Il CESE ribadisce le posizioni adottate dal gruppo consultivo interno dell’UE (2), sottolineando, in particolare, che la Commissione europea dovrebbe avviare consultazioni con il governo sudcoreano circa l’attuazione dei suoi impegni in materia di libertà di associazione e di contrattazione collettiva.

1.4.

I meccanismi della società civile di cui al capitolo su commercio e sviluppo sostenibile dell’ALS UE-Corea sono stati costantemente rafforzati negli ultimi cinque anni; la rappresentatività e l’equilibrio nella partecipazione delle parti interessate sono notevolmente migliorati; i due gruppi consultivi si sono riuniti regolarmente, tanto nell’UE quanto in Corea; infine, il Forum annuale della società civile UE-Corea, che riunisce entrambi i gruppi consultivi, si è tenuto per la quinta volta nel febbraio 2017.

1.5.

Finora, il dibattito e le attività in seno ai gruppi consultivi sono stati dominati da quattro argomenti chiave: i diritti fondamentali sul lavoro, la responsabilità sociale delle imprese (RSI), l’economia verde e il commercio nel contesto dello sviluppo sostenibile, e la politica in materia di cambiamenti climatici, compresi i sistemi di scambio delle quote di emissioni nell’UE e in Corea. Per potenziare ulteriormente il ruolo di tali meccanismi di consultazione e per rispondere ad un maggior numero di preoccupazioni espresse dalle varie organizzazioni della società civile, il CESE raccomanda che i gruppi consultivi siano in grado di discutere questioni pertinenti per la società civile o attinenti allo sviluppo sostenibile e di esprimersi su tutti gli aspetti coperti dall’ALS nel suo complesso.

1.6.

Di fronte all’aumento degli accordi commerciali dell’UE che entrano in vigore e al conseguente incremento del numero di meccanismi di monitoraggio della società civile attualmente in opera, il CESE sollecita la Commissione a garantire ora, in tempi brevi, la disponibilità dei fondi necessari per consentire l’efficace funzionamento di tali meccanismi. Per quanto riguarda l’ALS UE-Corea in particolare, dovrebbero essere previsti fondi per attività giudicate necessarie, tra cui il lavoro di analisi o i seminari che accompagnano le riunioni annuali congiunte con il gruppo consultivo nazionale sudcoreano.

1.7.

Le esperienze passate dimostrano che, nell’ambito dell’ALS UE-Corea, il dialogo tra le due parti ha guadagnato molto in termini di coerenza e di qualità grazie a un migliore coordinamento delle attività condotte dal gruppo consultivo interno dell’UE e dalle istituzioni dell’Unione, e al coordinamento tra questi ultimi e altre organizzazioni internazionali (ad esempio l’OIL e l’OCSE). Il CESE raccomanda di ricorrere, anche nel prossimo periodo, agli stessi metodi di lavoro sviluppati grazie a questa cooperazione interistituzionale, ad esempio creando nuovi partenariati per le attività e i progetti di particolare interesse.

1.8.

Al fine di garantire un’attuazione efficace del capitolo su commercio e sviluppo sostenibile, il CESE ritiene fondamentale che le parti tengano conto delle raccomandazioni della società civile fornite dai gruppi consultivi e dal Forum della società civile, dando loro un seguito. Il comitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile dovrebbe, entro un termine ragionevole, fornire risposte alle questioni e alle raccomandazioni in materia di commercio e sviluppo sostenibile formulate dai gruppi consultivi.

1.9.

Il CESE invita la Commissione e il Parlamento europeo a incentivare, nell’ambito delle discussioni bilaterali con i partner coreani, iniziative e misure politiche volte a mettere in atto la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e la lotta alla contraffazione, ed anche a trarre vantaggio dalla diversità culturale promuovendo uno scambio equilibrato di prodotti e servizi provenienti dalle industrie culturali e creative dell’UE e della Corea.

1.10.

Il CESE sottolinea l’importanza di continuare a sensibilizzare le imprese europee, in particolare le PMI, riguardo alle opportunità offerte dall’accordo in vigore. Il tasso di utilizzo delle preferenze tariffarie da parte dell’UE (pari al 71 % nel 2016, in crescita rispetto al 68 % del 2015) può essere migliorato adottando misure di agevolazione degli scambi commerciali e riducendo gli ostacoli non solo tariffari, ma anche creando maggiori opportunità di comunicazione e cooperazione tra i relativi partner europei e coreani.

1.11.

L’ALS UE-Corea ha svolto un ruolo molto importante per il settore agroalimentare. Il commercio agroalimentare tra l’UE e la Corea è rapidamente aumentato negli ultimi anni. A causa dei problemi per il settore agricolo dell’UE dovuti all’embargo russo e alle restrizioni imposte dalla Cina alle esportazioni sudcoreane, l’UE e la Corea hanno entrambe bisogno di accedere a nuovi mercati. La Commissione europea dovrebbe fare di più per semplificare l’accesso dei prodotti agroalimentari europei sul mercato sudcoreano.

1.12.

Il CESE sottolinea l’importanza dei meccanismi consultivi introdotti dall’ALS UE-Corea (i due gruppi consultivi e il Forum della società civile) in quanto si tratta di strumenti efficaci e rappresentativi in grado di sostenere le istituzioni dell’UE nelle loro azioni connesse all’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’accordo di Parigi, e volte a rafforzare la cooperazione internazionale in materia di sviluppo sostenibile, protezione ambientale e cambiamenti climatici.

2.   Contesto

2.1.

L’accordo di libero scambio UE-Corea è entrato in vigore il 1o luglio 2011 ed è stato il primo accordo bilaterale di «nuova generazione» dell’UE ad essere attuato. La sua valutazione rappresenta quindi un’occasione per esaminare i progressi compiuti nel caso non solo di questo accordo, ma anche di altri accordi successivi. Tuttavia, dal momento che il mandato a negoziare l’ALS è precedente al trattato di Lisbona, esso non ha potuto coprire il settore degli investimenti.

2.2.

Come afferma la Commissione europea, l’ALS ha in generale prodotto risultati commerciali positivi per l’UE. I dati a disposizione della Commissione mostrano infatti che, in termini statistici, cinque anni dopo l’attuazione dell’ALS, le esportazioni di merci dell’UE verso la Corea sono aumentate del 59 %, passando da 28 miliardi nel 2010 (ultimo anno prima dell’applicazione provvisoria dell’accordo) a 44,5 miliardi di euro nel 2016. Di conseguenza, il deficit commerciale dell’UE nei confronti della Corea, pari a 11,6 miliardi di euro nel 2010, si è trasformato in un avanzo commerciale di 3,1 miliardi di euro nel 2016. Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2015, le esportazioni di servizi dell’UE verso la Corea sono aumentate del 49 %, rispetto al 32 % delle importazioni dell’UE dalla Corea. Nel 2015 l’UE aveva registrato un avanzo commerciale di 4,8 miliardi di euro nel settore dei servizi. Nello stesso periodo il volume degli investimenti diretti esteri (IDE) in entrata nell’UE è aumentato del 59 % e gli IED in uscita dall’UE (investimenti dell’UE in Corea) sono aumentati del 33 % (3).

2.3.

La Commissione europea sta attualmente conducendo una valutazione dell’ALS (4) e ha chiesto al CESE di contribuire, fornendo una sua valutazione dell’attuazione dell’ALS e in particolare del capitolo su commercio e sviluppo sostenibile. Le conclusioni del presente parere sono state formulate tenendo conto, tra l’altro, dei documenti e delle posizioni del gruppo consultivo interno dell’UE e di seminari sull’argomento, a Seul e Bruxelles (5).

3.   Osservazioni generali

3.1.

L’evoluzione economica e sociale della Corea nel corso degli ultimi cinquant’anni è considerata un successo. Il PIL del paese è cresciuto, passando da 2,36 miliardi di dollari nel 1961 ad un picco di 1 411,3 miliardi di dollari nel 2014 (6). Durante tale periodo la Corea è riuscita a creare una base industriale e tecnologica straordinaria, in grado di competere con qualsiasi altra potenza industriale esistente al mondo.

3.2.

Tuttavia, nonostante i progressi realizzati, negli ultimi cinque anni si va diffondendo, nella società coreana, un’ondata di rivendicazioni sociali da parte dei cittadini e della società civile organizzata per una distribuzione più equa dei benefici economici tra tutte le classi sociali. Oltre che per i diritti dei lavoratori, le parti interessate dell’UE e della Corea hanno espresso preoccupazioni circa la mancanza di un vero dialogo sociale e civile nel paese. Le proteste di massa a Seul, alla fine del 2016 e agli inizi del 2017, ne sono state la conferma.

3.3.

L’elezione del presidente Moon Jae-in (7) è vista come l’inizio di una nuova era per i lavoratori, gli agricoltori, i consumatori e i datori di lavoro sudcoreani, e numerose organizzazioni della società civile hanno accolto con favore gli impegni assunti dal presidente neoeletto di consolidare la giustizia sociale, per quanto riguarda in particolare i diritti dei lavoratori, i salari dignitosi e la sicurezza del posto di lavoro, nonché la sua intenzione di prendere in esame il caso dei leader sindacali incarcerati (8).

4.   Il meccanismo di monitoraggio della società civile nel capitolo su commercio e sviluppo sostenibile dell’accordo di libero scambio UE-Corea

4.1.

Le disposizioni degli accordi di libero scambio di nuova generazione prevedono un meccanismo di consultazione della società civile. Nel caso dell’ALS UE-Corea, esso consiste in due gruppi consultivi, uno (interno) per l’UE e l’altro (nazionale) per la Corea, che sorvegliano l’applicazione dell’accordo e rivolgono raccomandazioni alle parti contraenti (9).

4.2.

Oltre ai gruppi consultivi istituiti da ciascuna parte, l’ALS UE-Corea prevede anche l’organizzazione di un Forum della società civile (10) una volta l’anno, nel cui ambito i membri dei gruppi consultivi si riuniscono per lavorare insieme, con la possibilità di formulare pareri e raccomandazioni.

4.3.

Il CESE si compiace del fatto che ciò crei un valore aggiunto rispetto ad altri ALS. Queste riunioni congiunte sono previste specificamente nell’ALS, ma, purtroppo, non sono ancora diventate prassi corrente.

4.4.

L’ALS UE-Corea, adottato nel 2010, è stato il primo accordo di libero scambio dell’UE a prevedere uno capitolo specifico sul commercio e lo sviluppo sostenibile, nonché un meccanismo di monitoraggio della società civile. Si tratta di una conseguenza diretta della comunicazione della Commissione Un’Europa globale — competere nel mondo  (11), pubblicata nell’ottobre 2006, in cui si afferma che, «siccome perseguiamo la giustizia sociale e la coesione all’interno dell’UE, dovremmo adoperarci anche per promuovere i nostri valori, compresi gli standard in materia sociale e ambientale e la diversità culturale, in tutto il mondo» (12).

4.5.

Nel suo parere in merito alla suddetta comunicazione, il CESE aveva chiesto espressamente di inserire un capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile in ogni ALS successivo, nonché di attribuire un ruolo attivo di monitoraggio alla società civile (13).

4.6.

Dall’accordo UE-Corea in poi, l’UE ha concluso altri sette accordi commerciali nei quali figura un importante capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile, e molti altri sono in cantiere, in attesa di ratifica, compresi quelli con Canada, Giappone, Singapore e Vietnam. Da allora il CESE ha chiesto di inserire un capitolo specifico sul commercio e lo sviluppo sostenibile anche negli accordi di investimento autonomi (14). A suo parere l’introduzione di tali meccanismi è un buon esempio di applicazione dei valori dell’UE, benché sia giunto il momento di una valutazione globale (15) basata sull’esperienza maturata finora.

4.7.

In molti casi questi meccanismi di monitoraggio hanno offerto alla società civile locale il suo primo contatto diretto con l’UE, spesso dandole poteri in precedenza inimmaginabili. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, Corea compresa, vi sono importanti differenze sociali e culturali, che richiedono tempo e fatica per conseguire un certo adattamento e una certa convergenza, e per instaurare e sviluppare un clima di fiducia reciproca. Può trascorrere quindi molto tempo prima che questi meccanismi siano pienamente realizzati ed efficaci, e in diversi casi essi richiederanno misure specifiche di potenziamento delle capacità.

4.8.

Il CESE si compiace di aver avuto un ruolo importante da svolgere e di essere stato coinvolto strettamente nella realizzazione di tali meccanismi, sia a livello di membri che attraverso la sua segreteria. Il Comitato ha un ruolo centrale da svolgere riguardo a questo aspetto delle relazioni internazionali dell’UE.

4.9.

Dalle discussioni in seno al gruppo consultivo interno dell’UE al termine del suo primo mandato nel 2015 è emerso che il meccanismo ha offerto un ulteriore canale di dialogo e di cooperazione con i partner della società civile su questioni legate alle relazioni commerciali e allo sviluppo sostenibile. Esso ha inoltre contribuito al dialogo con la Commissione europea e i rappresentanti del governo del paese partner, pur senza escludere o limitare gli scambi attraverso altri canali esistenti. Tuttavia, resta ancora da verificare la capacità da parte del meccanismo di raggiungere risultati tangibili sul campo.

4.10.

Il CESE ripete ancora una volta che il meccanismo ha richiesto tempo e fatica per diventare pienamente operativo. Il lavoro iniziale è consistito principalmente nella creazione dei gruppi consultivi e del Forum della società civile ed ha riguardato il loro assetto istituzionale e lo sviluppo delle loro capacità. Solo dopo i membri dei due gruppi consultivi hanno potuto arrivare a una visione condivisa dei seguenti aspetti: mandato del meccanismo, rappresentatività delle organizzazioni della società civile, composizione dei gruppi consultivi, relazioni con l’organismo intergovernativo (ossia partecipazione da parte dei presidenti dei gruppi consultivi alle riunioni del comitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile) e questioni da discutere ecc.

4.11.

Il dialogo si è sviluppato gradualmente fino a coprire un’ampia gamma di questioni e di nuovi elementi, quali la partecipazione di un rappresentante dell’OIL alle discussioni sulle norme del lavoro. Sono stati presentati progetti congiunti su questioni di interesse comune (come un progetto condotto dalla Commissione europea sui cambiamenti climatici e il sistema di scambio delle quote di emissione della Corea (KETS), e un altro progetto incentrato sulla Convenzione n. 111 dell’OIL) e sono stati organizzati eventi a margine, ad esempio seminari, per lo scambio di informazioni e di pratiche condivise, con la possibilità di coinvolgere i rappresentanti di altre organizzazioni e istituzioni pertinenti, al di là dei gruppi consultivi e della società civile. Su richiesta della Corea, nel febbraio 2017 è stato organizzato un seminario dedicato ai piani d’azione nazionali sulla RSI, le imprese e i diritti umani, e i punti di contatto nazionali istituiti secondo le linee guida dell’OCSE per le multinazionali.

4.12.

Il gruppo consultivo interno dell’UE intrattiene un rapporto di cooperazione e un dialogo con il Parlamento europeo e altre istituzioni dell’UE, in particolare la Commissione e il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), che aggiornano periodicamente il gruppo consultivo sull’attuazione del capitolo su commercio e sviluppo sostenibile dell’ALS UE-Corea.

4.13.

Le relazioni con la delegazione UE a Seul si sono mantenute ed è stato importante che questa disponesse della capacità e delle competenze necessarie per seguire le questioni legate al commercio e allo sviluppo sostenibile. Il CESE, pertanto, raccomanda vivamente la creazione di un posto specifico in seno alla delegazione per affrontare gli aspetti inerenti al commercio e allo sviluppo sostenibile.

4.14.

Quanto all’esecuzione, il CESE ritiene che sussista la necessità di garantire che le raccomandazioni formulate dal meccanismo della società civile siano prese in seria considerazione da ciascuna parte, che dovrà dare loro un seguito. Allo stesso modo, è urgente discutere e raggiungere un’intesa comune sulle circostanze che potrebbero far scattare il ricorso alla procedura di consultazione del governo prevista all’articolo 13.14, paragrafo 1, dell’ALS UE-Corea (16).

4.15.

Secondo quanto stipulato dall’ALS, i gruppi consultivi dovrebbero essere composti di organizzazioni indipendenti rappresentative, con una partecipazione equilibrata delle parti interessate in rappresentanza di tutte e tre le dimensioni dello sviluppo sostenibile.

4.16.

Nel gruppo consultivo UE dovrebbero esser presenti organizzazioni di coordinamento di livello europeo, come pure organizzazioni con particolare interesse o esperienza nel commercio, negli investimenti o nella cooperazione tra l’UE e la terza parte, o che dispongano di organizzazioni partner, succursali o uffici locali nel paese in questione. Inoltre si dovrebbero sfruttare meglio le competenze e le informazioni disponibili attraverso le organizzazioni dell’UE partecipanti o i loro membri aderenti.

4.17.

Il CESE raccomanda vivamente che ciascun gruppo consultivo sia in grado di discutere questioni riguardanti la società civile o lo sviluppo sostenibile (ossia lo sviluppo economico, lo sviluppo sociale o la protezione ambientale, oppure i requisiti sanitari e fitosanitari, od anche le questioni relative alle PMI), compresi i principali impatti derivanti dalle misure di attuazione.

4.18.

Di fronte all’aumento degli accordi commerciali dell’UE che entrano in vigore e al conseguente incremento del numero di meccanismi di monitoraggio della società civile attualmente in opera, il CESE sollecita la Commissione a garantire ora, in tempi brevi, la disponibilità dei fondi necessari per consentire l’efficace funzionamento di tali meccanismi. Per quanto riguarda l’ALS UE-Corea in particolare, dovrebbero essere previsti fondi per attività giudicate necessarie, tra cui il lavoro di analisi o i seminari che accompagnano le riunioni annuali congiunte con il gruppo consultivo nazionale sudcoreano.

4.19.

Il CESE sollecita inoltre che la prassi consolidata di tenere il Forum della società civile in concomitanza con la riunione annuale del comitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile diventi una caratteristica permanente accolta da tutte le parti, al pari della partecipazione dei presidenti di entrambi i gruppi consultivi alle riunioni del comitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile UE-Corea.

4.20.

Il CESE accoglie con favore il notevole sostegno dato dalla DG TRADE alla richiesta, avanzata a più riprese dal gruppo consultivo interno dell’UE, di una composizione equilibrata del gruppo consultivo nazionale sudcoreano, nel rispetto delle disposizioni dell’accordo. A seguito di tale richiesta, il gruppo consultivo sudcoreano ha modificato la sua composizione nel 2014, che ora presenta un miglior equilibrio tra i tre sottogruppi, anche se permangono difficoltà quanto alla scarsità di competenze e di rappresentanti delle imprese in seno al gruppo consultivo.

4.21.

Il CESE ritiene inoltre necessario riflettere maggiormente su un’efficace comunicazione delle attività dei gruppi consultivi, rivolta non solo ad altre organizzazioni della società civile, ma anche ad altre istituzioni dell’UE (in particolare il Parlamento europeo), non da ultimo per risvegliare un maggiore interesse per i lavori del gruppo consultivo interno dell’UE e un più ampio coinvolgimento futuro di altre organizzazioni.

5.   Opportunità e sfide per le imprese nel quadro dell’accordo di libero scambio UE-Corea

5.1.

Un’indagine condotta nel 2016 dalla Camera di commercio europea sul clima di fiducia delle imprese in Corea dimostra che, per le imprese europee, la Corea è e continuerà ad essere un mercato importante. L’industria si attende che la revisione delle norme e dei regolamenti determini una maggiore libertà operativa nonché una minore complessità delle attività commerciali in Corea. L’applicazione discrezionale dei regolamenti e il contesto legislativo imprevedibile sono considerati alcuni tra i principali problemi che ostacolano il corretto svolgimento delle attività economiche nel paese (17).

5.2.

Le organizzazioni imprenditoriali europee (18) ritengono che il tasso di utilizzo delle preferenze tariffarie possa essere migliorato grazie ad un’azione di sensibilizzazione rivolta alle imprese (in particolare le PMI) riguardo alle opportunità offerte dall’ALS in vigore, e tramite le seguenti azioni:

riduzione degli ostacoli non solo tariffari alle esportazioni di prodotti agroalimentari dell’UE,

agevolazione degli scambi commerciali, comprese le pratiche di sdoganamento, la concorrenza e gli appalti pubblici,

copertura totale, piena reciprocità e accesso effettivo al mercato per i prodotti industriali,

maggiori opportunità di comunicazione e cooperazione tra specifici partner europei e sudcoreani.

5.3.

Le PMI dell’UE (in particolare quelle non comprese nelle catene globali del valore) invocano un ripensamento delle statistiche commerciali, poiché i dati attuali non forniscono un’immagine chiara delle esportazioni indirette e non sono in grado di aiutare a individuare nuove opportunità commerciali e a valutare l’andamento del commercio in diversi settori. La loro proposta è di passare da statistiche sul commercio lordo a statistiche sul commercio calcolato in termini di valore aggiunto.

5.4.

La tutela dei diritti di proprietà intellettuale e la lotta alla contraffazione rivestono anch’esse un’importanza fondamentale per l’UE e la Corea, soprattutto nel settore delle industrie culturali e creative quali il cinema, la moda, i videogiochi, i tessuti intelligenti, la musica ecc. È quindi importante riservare maggiore attenzione agli aspetti legati all’applicazione dell’ALS in questo settore. Alcune organizzazioni europee e mondiali hanno segnalato difficoltà, in Corea, per quanto riguarda la protezione effettiva e lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale. In particolare hanno segnalato l’incapacità di garantire i diritti di proprietà intellettuale delle imprese della moda e del lusso, o i pieni diritti di esecuzione pubblica di produttori, interpreti e autori di opere musicali (19).

5.5.

Il protocollo dell’Unesco del 2005 è integrato nell’ALS UE-Corea e dovrebbe fornire garanzie sufficienti per valorizzare la diversità culturale attraverso la protezione efficace del diritto d’autore e la promozione di scambi equilibrati di prodotti e servizi delle industrie culturali e creative dell’UE e della Corea. Alcune imprese europee ritengono necessario migliorare la cooperazione e il dialogo in questo ambito al fine di evitare eventuali misure protezionistiche imposte unilateralmente, nel contesto di una concorrenza globale sempre più forte per la promozione di contenuti propri (in particolare nel campo dei media e del cinema).

5.6.

I prodotti agricoli e alimentari trasformati dell’UE godono di una buona reputazione tra i consumatori sudcoreani e quindi l’Unione esporta volumi significativi di questi prodotti verso il mercato sudcoreano. La Commissione europea si è in una certa misura impegnata nella promozione dei prodotti dell’UE in Corea, ma si potrebbe fare molto di più per massimizzare il potenziale di queste relazioni commerciali privilegiate.

5.7.

Le esportazioni di prodotti agroalimentari dell’UE verso la Corea sono aumentate molto rapidamente negli ultimi anni, raggiungendo i 2,6 miliardi di euro nel 2016. La Corea si colloca al 13o posto tra i principali partner commerciali dell’UE nel settore agroalimentare (20). L’ALS UE-Corea ha eliminato i dazi su quasi tutti i prodotti agricoli dell’UE. Per alcuni prodotti sono stati introdotti dei contingenti tariffari. Il riconoscimento reciproco di determinate indicazioni geografiche (IG) è importante anche per promuovere le esportazioni di prodotti agroalimentari tra l’UE e la Corea.

5.8.

A causa dei problemi venutisi a creare per il settore agricolo dell’UE a seguito dell’embargo russo e delle restrizioni imposte dalla Cina alle esportazioni sudcoreane quali sanzioni contro l’impiego dei sistemi di difesa THAAD, sia l’UE che la Corea hanno bisogno di accedere a nuovi mercati e, in questo contesto, l’ALS UE-Corea si è già rivelato vantaggioso per entrambe.

6.   L’impatto dell’accordo di libero scambio UE-Corea sulle norme del lavoro, sulle relazioni industriali e, in generale, sulla qualità del dialogo sociale e civile

6.1.

Il capitolo su commercio e sviluppo sostenibile ribadisce gli impegni assunti dalle parti in relazione alle convenzioni dell’OIL ed istituisce un meccanismo di consultazione e di monitoraggio della società civile il cui obiettivo è vigilare sull’attuazione dell’accordo e formulare raccomandazioni. Gli Stati membri dell’UE hanno ratificato tutte e otto le convenzioni fondamentali dell’OIL mentre la Repubblica di Corea ne ha ratificate quattro. A livello mondiale, i paesi che non hanno ratificato queste convenzioni dell’OIL sono una minoranza (21).

6.2.

In Corea esistono diverse zone economiche franche (22) e zone di libero scambio (23), che offrono, tra gli altri incentivi, alcune deroghe alle leggi nazionali in materia di lavoro e di ambiente. Per esempio, le imprese che occupano più di 300 dipendenti sono esentate dall’obbligo di assumere persone con disabilità che rappresentino almeno il 2 % della loro forza lavoro, o di prevedere un congedo retribuito, solitamente chiamato «riposo settimanale».

6.3.

Secondo il CESE tali deroghe sono, per la loro natura e per gli obiettivi che perseguono, contrarie al disposto dell’articolo 13.7 dell’ALS UE-Corea il quale stabilisce che «le parti non indeboliscono o riducono la protezione in materia di ambiente o di lavoro garantita dalla loro legislazione per favorire gli scambi o gli investimenti non applicando le loro leggi, i loro regolamenti o le loro norme, o altrimenti derogandovi o proponendo di non applicarli o di derogarvi, in modo tale da influire sugli scambi o gli investimenti tra le parti».

6.4.

Il gruppo consultivo interno dell’UE e il Forum della società civile UE-Corea hanno ripetutamente sollevato tali questioni nel periodo 2012-2017, chiedendo a più riprese di accelerare la ratifica delle convenzioni fondamentali dell’OIL. Su iniziativa del gruppo consultivo interno dell’UE, il Forum della società civile ha cercato di monitorare l’attuazione della disposizione di cui all’articolo 13.4.3, secondo la quale «le parti si adoperano assiduamente per ratificare le convenzioni fondamentali dell’OIL e le altre convenzioni classificate dall’OIL come convenzioni “aggiornate”». La Commissione ha sollevato la questione con il governo della Corea.

6.5.

Nel giugno 2015 il governo sudcoreano ha risposto che «alcune delle disposizioni contenute nelle convenzioni fondamentali non ratificate non sono conformi alle leggi nazionali e alla situazione attuale, il che rende difficile che si creino le condizioni per la ratifica da parte della Corea». Nella sua risposta, il governo prosegue affermando che: «dal momento che le leggi e i sistemi di un paese, soprattutto in materia di lavoro, dovrebbero rispecchiare le sue caratteristiche economiche e sociali specifiche e basarsi su accordi tripartiti, non è facile migliorare le leggi e i sistemi nazionali in così poco tempo». Questo non è in linea con quanto stipulato all’articolo 13.4.3. e in generale con il capitolo relativo al commercio e allo sviluppo sostenibile.

6.6.

Il 15 settembre 2015 il Forum della società civile ha rilasciato una dichiarazione in cui esprimeva la propria delusione per la mancanza di risultati e di iniziative concrete, in particolare per quanto riguarda la ratifica e l’attuazione effettiva delle convenzioni fondamentali dell’OIL, ed esortava le parti a rinnovare i loro sforzi in questa direzione.

6.7.

Il CESE sollecita la Commissione ad avviare consultazioni formali con il governo sudcoreano, come richiesto dal gruppo consultivo interno dell’UE nel suo scambio di lettere con il commissario responsabile per il Commercio (De Gucht nel gennaio 2014 e Malmström nel dicembre 2016) e dal Parlamento europeo nella sua risoluzione del 18 maggio 2017 (24). Le consultazioni potrebbero, all’inizio, concentrarsi sulla mancata ratifica da parte della Corea delle convenzioni dell’OIL e sulle questioni relative alla violazione, sempre da parte della Corea, delle disposizioni in materia di lavoro stabilite dal capitolo su commercio e sviluppo sostenibile dell’ALS.

6.8.

In una prospettiva futura, è importante rafforzare la cooperazione tra il governo della Repubblica di Corea e le parti sociali, ad esempio mediante progetti maggiormente tematici, finanziati congiuntamente e attuati dalla Commissione europea, dal CESE e dall’OIL. I rappresentanti delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile della Corea e dell’UE, che partecipano ad entrambi i gruppi consultivi, devono essere coinvolti direttamente nell’attuazione di tali progetti.

7.   Protezione dell’ambiente e promozione dello sviluppo sostenibile

7.1.

L’ALS UE-Corea ribadisce gli impegni degli Stati membri dell’UE a favore degli accordi multilaterali da essi siglati in materia di ambiente, come la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico e l’accordo di Parigi, la Convenzione sulla diversità biologica (CBD) e la Convenzione CITES sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate.

7.2.

Dal 2015 la Corea ha il proprio sistema nazionale di scambio delle quote di emissione (KETS), il primo programma di questo tipo operativo nell’Asia orientale. Il KETS copre circa 525 dei maggiori produttori di emissioni del paese, i quali rappresentano approssimativamente il 68 % delle emissioni nazionali di gas a effetto serra. Il KETS riguarda le emissioni dirette di sei gas previsti dal protocollo di Kyoto, nonché emissioni indirette prodotte dal consumo di energia elettrica. La Repubblica di Corea ha intenzione di ridurre le sue emissioni di gas a effetto serra del 37 % rispetto allo status quo entro il 2030 (quando i contributi previsti a livello nazionale saranno presentati all’UNFCCC). Ciò corrisponde a una riduzione del 22 % rispetto ai livelli di emissioni del 2012 (25). L’8 luglio 2016 l’UE ha varato un progetto di cooperazione con la Repubblica di Corea del valore di 3,5 milioni di EUR al fine di sostenere l’applicazione del KETS. Il progetto durerà fino al gennaio 2019, è finanziato nel quadro dello strumento di partenariato dell’UE con i paesi terzi tramite contributi in natura da parte del governo sudcoreano, e sarà condotto congiuntamente dall’UE e dal ministero sudcoreano della Strategia e delle finanze (26).

7.3.

L’ex presidente sudcoreano Lee Myung Baek ha avviato un’iniziativa governativa denominata «Crescita verde». Il 27 e 28 ottobre 2015 si è tenuto a Seul il 19o Forum sull’ecoinnovazione nell’ambito della cooperazione tra UE e Corea sulle questioni ambientali. Dal 2006 i Forum europei sull’ecoinnovazione riuniscono scienziati, ingegneri, politici e rappresentanti della finanza, delle ONG, delle università e delle imprese. Il Forum ha esaminato nuove opportunità commerciali nel campo dell’ecoinnovazione e ha preso atto delle ultime tendenze nel campo dell’economia circolare, con una particolare attenzione rivolta ai materiali e ai prodotti innovativi (27).

7.4.

Nell’ambito dei meccanismi consultivi istituiti dall’ALS UE-Corea, i rappresentanti delle società civili di UE e Corea si sono dichiarati interessati a rivolgere la loro attenzione alle questioni connesse all’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’accordo di Parigi. Il CESE è convinto che sia i due gruppi consultivi che il Forum della società civile siano strumenti efficaci e rappresentativi in grado di coadiuvare le istituzioni europee nelle loro azioni volte a rafforzare la cooperazione internazionale in materia di sviluppo sostenibile, protezione ambientale e cambiamenti climatici.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Accordo di libero scambio tra l’Unione europea e i suoi Stati membri da un lato e la Repubblica di Corea dall’altro, GU L 127, 14.5.2011, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:L:2011:127:FULL&from=IT

(2)  I gruppi consultivi interno (UE) e nazionale (Corea) sullo sviluppo sostenibile (ambiente e lavoro) sono costituiti ai sensi dell’articolo 13.12 con l’incarico di fornire consulenza in merito all’attuazione del capitolo relativo al commercio e allo sviluppo sostenibile.

(3)  Fonte: Commissione europea.

(4)  Evaluation of the Implementation of the Free Trade Agreement between the EU and its Member States and the Republic of Korea Interim Technical Report (Valutazione dell’attuazione dell’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e i suoi Stati membri da un lato e la Repubblica di Corea dall’altro, Relazione tecnica intermedia, in EN), http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2017/june/tradoc_155673.pdf

(5)  Seminari con le parti interessate a Seul (30 novembre 2016) e a Bruxelles (23 marzo 2017) nel quadro del progetto 111 dell’UE e dell’OIL in Corea, e seminario dell’OIL a Bruxelles (6 dicembre 2016) sul tema «Valutazione delle disposizioni relative al lavoro negli accordi commerciali: elaborazione, attuazione e partecipazione delle parti interessate».

(6)  http://www.tradingeconomics.com/south-korea/gdp

(7)  Il nuovo presidente della Repubblica di Corea è stato eletto nel maggio 2017 in sostituzione di Park-Geun-hye, posta sotto accusa nel dicembre 2016 per corruzione e abuso di potere.

(8)  https://www.ituc-csi.org/korea-president-moon-and-a-new-era?lang=en

(9)  Accordo di libero scambio UE-Corea, articolo 13.12.

(10)  Ibidem, articolo 13.13.

(11)  COM(2006) 567 final.

(12)  Ibidem, punto 3.1, iii).

(13)  GU C 211 del 19.8.2008, pag. 82.

(14)  GU C 268 del 14.8.2015, pag. 19.

(15)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 123.

(16)  «Una parte può chiedere consultazioni con l’altra parte su ogni questione di comune interesse attinente al presente capo, comprese le comunicazioni dei gruppi consultivi nazionali di cui all’articolo 13.12, inviando una domanda scritta al punto di contatto dell’altra parte.»

(17)  European Business in Korea: Business Confidence Survey 2016 (Le imprese europee in Corea: indagine 2016 sulla fiducia delle imprese), Camera di commercio europea; https://ecck.eu/wp-content/uploads/2017/01/Business-Confidence-Survey-2016.pdf.

(18)  Posizione di Business Europe in merito all’ALS UE-Corea: https://www.businesseurope.eu/sites/buseur/files/media/imported/2007-01113-EN.pdf.

(19)  Osservazioni della Federazione internazionale dell’industria fonografica (IFPI) sull’emendamento parziale della normativa sul diritto d’autore nella Corea del Sud: https://opennet.or.kr/wp-content/uploads/2013/04/IFPI-Comments-on-Partial-Amendment-of-Copyright-Act-in-South-Korea-March-20131.pdf

(20)  https://ec.europa.eu/agriculture/sites/agriculture/files/trade-analysis/statistics/outside-eu/countries/agrifood-south-korea_en.pdf

(21)  Le convenzioni fondamentali dell’OIL non ancora ratificate dalla Repubblica di Corea sono le seguenti: la n. 29 del 1930 sul lavoro forzato, la n. 87 del 1948 sulla libertà di associazione e sulla protezione del diritto di organizzazione, la n. 98 del 1949 sul diritto di organizzazione e la contrattazione collettiva, la n. 105 del 1957 sull’abolizione del lavoro forzato.

(22)  http://www.fez.go.kr/global/en/index.do

(23)  http://english.motie.go.kr/en/tp/alltopiccs/bbs/bbsView.do?bbs_cd_n=3&bbs_seq_n=12

(24)  Risoluzione del Parlamento europeo del 18 maggio 2017 sull’attuazione dell’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e la Repubblica di Corea (2015/2059(INI)] (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0225+0+DOC+XML+V0//IT)

(25)  Partenariato internazionale d’azione per il carbonio, 9 gennaio 2017, sistema sudcoreano di scambio delle quote di emissione (KETS).

(26)  http://ec.europa.eu/clima/news/articles/news_2016070801_en

(27)  http://ec.europa.eu/environment/archives/ecoinnovation2015/2nd_forum/index_en.html


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/209


Parere del Comitato economico e sociale europeo sullo «Scambio e protezione dei dati personali in un mondo globalizzato»

[COM(2017) 7 final]

(2018/C 081/29)

Relatore:

Cristian PÎRVULESCU

Consultazione

Commissione europea, 31.5.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Assemblea plenaria

08/05/2017

 

 

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

28.9.2017

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

175/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Tenuto conto dei suoi valori di base e testi fondativi, sull’UE incombe la responsabilità di diventare protagonista su scala mondiale nel promuovere il rispetto dei diritti fondamentali e un livello adeguato di protezione della vita privata e dei dati personali. Al riguardo, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esorta la Commissione europea a prendere l’iniziativa, a livello sia bilaterale che multilaterale, per la diffusione delle norme più stringenti in materia di protezione dei dati personali.

1.2.

Il CESE giudica ben equilibrati e ragionevoli i quattro criteri fondamentali che la Commissione propone di prendere in considerazione nel valutare con quali paesi sia opportuno instaurare un dialogo in materia di adeguatezza. È tuttavia importante che questi criteri vengano interpretati alla luce di un impegno concreto, da parte dei governi, dei parlamenti e degli organi giurisdizionali di tali paesi, a conseguire un livello equivalente (a quello dell’UE) e funzionale di protezione dei dati personali.

1.3.

Il CESE chiede maggiore trasparenza e partecipazione al processo che si conclude con la concessione delle «decisioni di adeguatezza», mediante il coinvolgimento e la consultazione obbligatori di rappresentanti del mondo imprenditoriale, in particolare delle PMI, nonché di associazioni di tutela dei consumatori, di gruppi civici e di altre organizzazioni della società civile. Il CESE è disponibile ad agevolare questo processo di consultazione.

1.4.

Il CESE accoglie con favore il dialogo avviato dalla Commissione europea con i principali partner commerciali dell’UE nell’Asia orientale e sudorientale, in particolare il Giappone e la Corea (ed eventualmente l’India), oltre che con alcuni paesi dell’America latina e con i paesi della politica europea di vicinato — tutti soggetti che si sono dichiarati interessati a sottoporsi ad un «accertamento di adeguatezza».

1.5.

Il CESE auspica che la Commissione, il Consiglio, i governi e i parlamenti degli Stati membri nonché il governo e il Congresso degli Stati Uniti accoglieranno con favore le proposte avanzate nella «Risoluzione del Parlamento europeo del 6 aprile 2017 sull’adeguatezza della protezione offerta dallo scudo UE-USA per la privacy». Nella risoluzione il Parlamento europeo elenca una serie di motivi di grave preoccupazione, molti dei quali sottolineano che l’accordo e il quadro normativo attualmente in vigore negli Stati Uniti non tutelano, di fatto, i diritti dei cittadini dell’UE.

1.6.

Tenuto conto della velocità dei progressi tecnologici e del costante sviluppo delle infrastrutture delle TIC, i poteri pubblici devono esercitare una vigilanza e un monitoraggio accurati. Sebbene le decisioni di adeguatezza debbano essere riesaminate ogni quattro anni (cfr. l’articolo 45, paragrafo 3, del regolamento generale sulla protezione dei dati), il CESE raccomanda che la Commissione, le autorità di protezione dei dati degli Stati membri e le autorità governative del paese terzo interessato si tengano costantemente in contatto per poter individuare le nuove sfide che si profilano in un contesto tecnologico ed economico in continua evoluzione.

1.7.

Il CESE ritiene che la Commissione europea debba considerare una priorità la promozione delle norme in materia di protezione dei dati tramite strumenti multilaterali, e che servano risorse per sostenere questo impegno, affinché sia possibile conseguire, a priori, un’effettiva protezione dei diritti umani e garantire, a posteriori, un ricorso giuridico efficace per i danni subiti.

1.8.

Il Comitato sottolinea che nella comunicazione in esame la Commissione non distingue tra le diverse categorie e i vari utilizzi dei dati personali, tranne per quanto riguarda la materia penale.

1.9.

La convenzione del Consiglio d’Europa n. 108 del 1981, con il protocollo addizionale del 1999, rappresenta l’unico strumento multilaterale vincolante in materia di protezione dei dati — uno strumento che andrebbe ulteriormente sviluppato promuovendo l’adesione di nuovi paesi terzi.

1.10.

Si dovrebbero intensificare gli sforzi multilaterali nell’ambito dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici), del G20 e dell’APEC (Cooperazione economica Asia-Pacifico) tesi a realizzare un sistema globale di protezione dei dati autenticamente multilaterale. I rapporti di cooperazione con il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla vita privata dovrebbero essere solidi e funzionali.

1.11.

Per quanto riguarda gli scambi di dati personali nel quadro della prevenzione, dell’indagine e del perseguimento dei reati penali, il CESE è uno strenuo sostenitore dell’introduzione di solide garanzie in materia di protezione dei dati, ma è anche disposto ad accettare l’applicazione di «accertamenti di adeguatezza» nel settore dell’attività di contrasto in campo penale. La protezione dei dati e la prevenzione, l’indagine e il perseguimento dei reati penali, tra cui la criminalità informatica e il terrorismo, devono procedere in parallelo.

1.12.

Il CESE rammenta l’importanza della protezione dei dati personali e di quelli relativi alla salute e alla riabilitazione delle persone con disabilità, come sancito dall’articolo 22 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

2.   Contesto/Introduzione

2.1.

La protezione dei dati di carattere personale è parte integrante del tessuto costituzionale comune dell’Europa ed è sancita dall’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Da più di 20 anni tale protezione riveste un ruolo fondamentale per il diritto dell’UE, dalla direttiva sulla protezione dei dati del 1995 («la direttiva del 1995») all’adozione del regolamento generale sulla protezione dei dati e della direttiva sulla protezione dei dati nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia nel 2016.

2.2.

La riforma della normativa dell’UE sulla protezione dei dati adottata nell’aprile 2016 istituisce un sistema che garantisce un livello elevato di protezione sia all’interno dell’UE che nel quadro dello scambio a livello internazionale di dati personali a fini commerciali e di attività di contrasto dei reati. Le nuove norme entreranno in vigore nel maggio 2018.

2.3.

Dopo aver completato il quadro normativo sulla protezione dei dati nell’UE, la Commissione ora provvede a definire una strategia tesa a promuovere norme internazionali in materia. La comunicazione in esame presenta i diversi strumenti utilizzati per lo scambio di dati personali a livello internazionale, alla luce della riforma della normativa sulla protezione dei dati, nonché la strategia della Commissione per collaborare con un gruppo selezionato di paesi terzi in futuro al fine di pervenire a decisioni di adeguatezza e per promuovere norme in materia di protezione dei dati tramite strumenti multilaterali.

2.4.

Il regolamento generale sulla protezione dei dati del 2016 offre un armamentario di dispositivi per il trasferimento dei dati personali dall’UE a paesi terzi: decisioni di adeguatezza, clausole contrattuali tipo, norme vincolanti di impresa, meccanismi di certificazione e codici di condotta. L’obiettivo principale di tali dispositivi è garantire che, quando i dati personali dei cittadini europei vengono trasferiti all’estero, siano accompagnati dalla relativa protezione. Se l’architettura relativa ai trasferimenti internazionali di dati personali resta simile a quella prevista dalla direttiva sulla protezione dei dati del 1995, la riforma semplifica ed estende il loro uso e introduce nuovi strumenti per i trasferimenti internazionali (ad esempio, codici di condotta e meccanismi di certificazione).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE plaude agli sforzi dell’UE rivolti alla protezione dei dati personali dei cittadini europei, pur mantenendo al tempo stesso la propria apertura e integrazione in un mondo sempre più interconnesso.

3.2.

Tenuto conto dei suoi valori di base e testi fondativi, sull’UE incombe la responsabilità di diventare protagonista su scala mondiale nel promuovere il rispetto dei diritti fondamentali e un elevato livello di protezione della vita privata e dei dati personali. Al riguardo, il CESE esorta la Commissione europea a prendere l’iniziativa, a livello sia bilaterale che multilaterale, per la diffusione delle norme più stringenti in materia di protezione dei dati personali sia per i cittadini europei che per quelli dei paesi terzi.

3.3.

L’UE dovrebbe offrire il proprio sostegno all’agenda globale sulla protezione dei dati personali e ai suoi principi essenziali: il riconoscimento della protezione dei dati quale diritto fondamentale, protezione realizzata con l’adozione di una normativa generale in materia che introduce una serie di diritti alla tutela della vita privata individuali e azionabili e istituisce autorità di vigilanza indipendenti.

3.4.

Assicurare la massima protezione dei dati personali possibile non costituisce soltanto una responsabilità giuridica, ma anche una grande opportunità. L’economia digitale, i flussi internazionali di beni e servizi e la pubblica amministrazione online (e-government) sono tutti settori che traggono vantaggio dalla fiducia che i cittadini ripongono nella protezione esistente sul piano istituzionale e normativo. Tanto la protezione dei dati quanto un equo commercio internazionale sono essenziali per i cittadini e non dovrebbero essere considerati come valori contrastanti.

3.5.

Come ha già avuto modo di sottolineare in precedenti pareri, il CESE continua a sostenere l’orientamento generale della politica europea in materia di protezione dei dati, pur insistendo sulla necessità di livelli di protezione più elevati. Nel parere sul regolamento generale sulla protezione dei dati (SOC/455), il CESE fornisce esempi precisi riguardanti numerosi articoli, che vanno verso una migliore definizione dei diritti, del rafforzamento della tutela dei cittadini in generale e dei lavoratori in particolare, della natura del consenso, della liceità del trattamento dei dati e, in particolare, delle funzioni dei responsabili della protezione dei dati e del trattamento dati nell’ambito dei rapporti di lavoro (1).

3.6.

Inoltre, il CESE ha sottolineato il diritto delle persone, sia fisiche che giuridiche, di dare il loro consenso in merito ai propri dati. Nel parere sulla protezione dei dati personali (TEN/631), il CESE afferma che «gli utenti, oltre a dover essere informati e formati, devono restare prudenti, poiché, una volta dato il loro consenso, il fornitore potrà trattare ulteriormente i contenuti e i metadati per creare le condizioni per quante più attività e quanti più guadagni possibile. […] L’educazione degli utenti ad avvalersi dei loro diritti, come l’anonimato o la cifratura, dovrebbe essere una delle priorità legate a questo regolamento [regolamento relativo al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche]» (2).

3.7.

Il CESE è favorevole all’adozione, a partire da maggio 2018, di un unico corpus paneuropeo di norme a fronte delle 28 normative nazionali oggi in vigore. Il meccanismo di «sportello unico» di nuova istituzione garantirà che un’unica autorità per la protezione dei dati sia responsabile della supervisione delle operazioni di trattamento dei dati a carattere transfrontaliero effettuate da un’impresa nell’UE, assicurando quindi un’interpretazione coerente delle nuove norme. In particolare, nei casi a carattere transfrontaliero in cui sono coinvolte diverse autorità nazionali per la protezione dei dati, sarà adottata una decisione unica per far sì che a problemi comuni corrispondano soluzioni comuni. L’auspicio del CESE è che le nuove procedure assicurino non solo un’interpretazione coerente delle norme, ma anche il livello più elevato possibile di protezione dei dati.

3.8.

Il CESE osserva che la comunicazione e le principali proposte che vi vengono avanzate sono accolte con favore da Digital Europe, l’organizzazione che rappresenta il settore europeo delle tecnologie digitali (3).

La sempre maggiore diffusione della tecnologia del cloud computing pone sfide nuove e complesse, che sono destinate ad evolvere per via del rapido ritmo dei cambiamenti tecnologici. La legislazione deve essere flessibile per poter tenere il passo degli sviluppi tecnologici e del mercato.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Le decisioni di adeguatezza adottate dalla Commissione sono attualmente lo strumento appropriato per garantire la protezione dei dati dei cittadini dell’UE in relazione ad altri paesi e organismi, sia pubblici che privati. Esse costituiscono inoltre un utile strumento per incentivare i paesi terzi a prefiggersi di raggiungere un livello di protezione analogo per i loro cittadini, e dovrebbero rappresentare lo strumento preferenziale a cui ricorrere per tutelare lo scambio di dati personali.

4.2.

Il CESE giudica ben equilibrati e ragionevoli i quattro criteri fondamentali (4) che la Commissione propone di prendere in considerazione nel valutare con quali paesi sia opportuno instaurare un dialogo in materia di adeguatezza. È tuttavia importante che questi criteri vengano interpretati alla luce dell’impegno concreto, da parte dei governi, dei parlamenti e degli organi giurisdizionali di tali paesi, a conseguire un livello equivalente (a quello dell’UE) e funzionale di protezione dei dati personali.

4.3.

Il CESE chiede maggiore trasparenza e partecipazione al processo che si conclude con la concessione delle «decisioni di adeguatezza», mediante il coinvolgimento e la consultazione obbligatori di rappresentanti del mondo imprenditoriale, in particolare delle PMI, nonché di associazioni di tutela dei consumatori e di organizzazioni della società civile. Il CESE è disponibile ad agevolare questo processo di consultazione.

4.4.

Il CESE accoglie con favore il dialogo avviato dalla Commissione europea con i principali partner commerciali dell’UE nell’Asia orientale e sudorientale, in particolare il Giappone e la Corea (ed eventualmente l’India), oltre che con alcuni paesi dell’America latina e con i paesi della politica europea di vicinato — tutti soggetti che si sono dichiarati interessati a sottoporsi ad un «accertamento di adeguatezza».

4.5.

Il CESE ritiene che lo status di adeguatezza «parziale» per taluni paesi, riferito ad alcuni settori o territori all’interno di un dato paese, sia problematico in quanto non assicura garanzie sufficienti e omogenee di ordine costituzionale, procedurale e istituzionale circa l’effettiva protezione dei dati personali. L’adeguatezza parziale potrebbe costituire una fase intermedia utile per consentire all’UE e ai paesi in questione di trovare un terreno d’intesa e di coordinare gli sforzi. L’obiettivo più a lungo termine consiste nel pervenire ad un accordo più robusto e globale sulla base dei quadri esistenti in tutti i paesi interessati (5).

4.6.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi per creare un quadro bilaterale solido e funzionale con gli Stati Uniti d’America. Un passo avanti in questo senso è la decisione, adottata di recente, sullo scudo UE-USA per la privacy che sostituisce il quadro UE-USA sull’approdo sicuro. La portata dello scudo per la privacy è tuttavia limitata, dato che il sistema si basa su un’adesione volontaria ed esclude quindi un gran numero di organizzazioni statunitensi.

4.7.

Il CESE auspica che la Commissione, il Consiglio, i governi e i parlamenti degli Stati membri nonché il governo e il Congresso degli Stati Uniti accoglieranno con favore le proposte avanzate nella «Risoluzione del Parlamento europeo del 6 aprile 2017 sull’adeguatezza della protezione offerta dallo scudo UE-USA per la privacy». Nella risoluzione il Parlamento europeo elenca una serie di motivi di grave preoccupazione, molti dei quali sottolineano che l’accordo e il quadro normativo attualmente in vigore negli Stati Uniti non tutelano, di fatto, i diritti dei cittadini dell’UE (6).

4.8.

Analoghe preoccupazioni sono state espresse da diverse associazioni della società civile dell’Unione europea e degli Stati Uniti (7). Il CESE invita tutte le istituzioni dell’UE a prendere atto di queste preoccupazioni.

4.9.

Il Comitato, pur riconoscendo che la Commissione intende creare una nuova dinamica, osserva che le proposte avanzate nella comunicazione non eliminano le incertezze giuridiche per le persone i cui diritti sono stati violati. Vi sono diversi elementi che contribuiscono a mantenere tali incertezze:

il fatto che non viene specificata la natura dei dati interessati: se si tratti, ad esempio, di dati personali, di metadati, di proprietà intellettuale.

I tipi di uso: quale tipo di trattamento dei dati personali è consentito a fini commerciali e di attività di contrasto dei reati?

La natura dei soggetti interessati: quale ruolo hanno le imprese private, le autorità statali e gli organi giurisdizionali?

Non è chiaro quale sia lo status giuridico e quali siano le responsabilità delle imprese che lavorano con i dati personali. Sanzioni e risarcimenti per i danni subiti: quale ruolo hanno i tribunali nazionali degli Stati membri dell’UE, o altri organi giurisdizionali, compresi quelli di paesi terzi?

4.10.

Monitorare l’applicazione di una decisione di adeguatezza dopo averla adottata è essenziale per garantire il funzionamento effettivo degli accordi. Tenuto conto della velocità dei progressi tecnologici e del costante sviluppo delle infrastrutture delle TIC, i poteri pubblici devono esercitare una vigilanza e un monitoraggio accurati. Sebbene le decisioni di adeguatezza debbano essere riesaminate ogni quattro anni (cfr. l’articolo 45, paragrafo 3, del regolamento generale sulla protezione dei dati), il CESE raccomanda che la Commissione, le autorità di protezione dei dati degli Stati membri e le autorità governative del paese terzo interessato si tengano costantemente in contatto per poter individuare le nuove sfide che si profilano in un contesto tecnologico ed economico in continua evoluzione.

4.11.

Il CESE invita la Commissione a collaborare con le parti interessate per sviluppare meccanismi alternativi di trasferimento dei dati personali adeguati alle particolari esigenze o condizioni di specifici settori, modelli aziendali e/o operatori commerciali.

4.12.

Il CESE ritiene che la Commissione debba considerare una priorità la promozione delle norme in materia di protezione dei dati tramite strumenti multilaterali, e che servano risorse per sostenere questo impegno.

4.13.

La convenzione del Consiglio d’Europa n. 108, con il relativo protocollo addizionale, rappresenta l’unico strumento multilaterale vincolante in materia di protezione dei dati — uno strumento che andrebbe ulteriormente sviluppato promuovendo l’adesione di nuovi paesi terzi.

4.14.

Si dovrebbero intensificare gli sforzi multilaterali nell’ambito dell’OCSE, del G20 e dell’APEC tesi a realizzare un sistema globale di protezione dei dati autenticamente multilaterale. I rapporti di cooperazione con il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla vita privata dovrebbero essere solidi e funzionali.

4.15.

Rafforzare la cooperazione con le autorità nazionali dei paesi terzi preposte al controllo e all’applicazione della legge in materia di tutela della vita privata dovrebbe costituire un obiettivo prioritario. Anche se non è fonte di obblighi giuridicamente vincolanti, la rete globale dell’OCSE per l’applicazione della legge in materia di privacy (Global Privacy Enforcement Network — GPEN) può promuovere la cooperazione nelle attività di contrasto tramite la condivisione di buone pratiche nell’affrontare le sfide transfrontaliere e il sostegno a iniziative congiunte per far applicare la legge, come pure a campagne di sensibilizzazione (8).

4.16.

Per quanto riguarda gli scambi di dati personali nel quadro della prevenzione, dell’indagine e del perseguimento dei reati penali, il CESE è uno strenuo sostenitore dell’introduzione di solide garanzie in materia di protezione dei dati, ma è anche disposto ad accettare l’applicazione di «accertamenti di adeguatezza» nel settore dell’attività di contrasto in campo penale. La protezione dei dati e la prevenzione, l’indagine e il perseguimento dei reati penali, tra cui la criminalità informatica e il terrorismo, devono procedere in parallelo.

4.17.

L’accordo quadro UE-USA sulla protezione dei dati concluso nel dicembre 2016 è un buon esempio di come diritti e doveri in materia di protezione dei dati in linea con l’acquis dell’UE possano essere integrati in accordi bilaterali. Lo stesso metodo può funzionare anche in tutta una serie di settori strategici, come le politiche in materia di concorrenza o di tutela dei consumatori. Il CESE invita la Commissione a valutare la possibilità di concludere analoghi accordi quadro con i suoi principali partner incaricati dell’applicazione della legge.

4.18.

Il Comitato attende con interesse i risultati del primo riesame annuale dello scudo UE-USA per la privacy, e si augura che tale esercizio di valutazione sarà esauriente e di tipo partecipativo. Il CESE auspica che tanto l’Unione europea quanto gli Stati Uniti rimangano impegnati a cooperare in vista del conseguimento di un livello più elevato di protezione dei dati personali.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE sul regolamento generale sulla protezione dei dati, 23 maggio 2012. GU C 229 del 31.7.2012, pag. 90.

(2)  Parere del CESE sulla protezione dei dati personali, 23 luglio 2017. GU C 345 del 13.10.2017, pag. 138.

(3)  Lettera alla Commissione europea in merito alla recente comunicazione sui trasferimenti internazionali di dati, DIGITALEUROPE, 12 maggio 2017 (pagina web consultata il 1o agosto 2017): http://www.digitaleurope.org/Press-Room/Latest-News/News-Story/newsID/623

(4)  I criteri fondamentali sono i seguenti: 1. la portata delle relazioni commerciali (esistenti o potenziali) dell’UE con un determinato paese terzo, in particolare l’esistenza di un accordo di libero scambio o di negoziati in corso; 2. la portata dei flussi di dati personali provenienti dall’UE, indice di legami culturali e/o geografici; 3. il ruolo di pioniere nel settore della protezione della vita privata e dei dati del paese terzo, che potrebbe fungere da modello per altri paesi della regione; 4. le relazioni politiche generali con il paese terzo in questione, in particolare per quanto riguarda la promozione di valori comuni e obiettivi condivisi a livello internazionale.

(5)  La Commissione ha esortato gli Stati Uniti a proseguire gli sforzi verso un sistema globale di protezione dei dati e della vita privata che consenta, a più lungo termine, una convergenza tra i due sistemi. Cfr. la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio Trasferimenti transatlantici di dati — Ripristinare la fiducia attraverso solide garanzie, COM(2016) 117 final del 29.2.2016.

(6)  Risoluzione del Parlamento europeo del 6 aprile 2017 sull’adeguatezza della protezione offerta dallo scudo UE-USA per la privacy, punto 26: il Parlamento europeo «[d]eplora che né i principi dello scudo per la privacy né le lettere dell’amministrazione USA contenenti chiarimenti e garanzie dimostrino l’esistenza di effettivi diritti di ricorso giurisdizionale per i soggetti UE i cui dati personali siano oggetto di trasferimento verso un’organizzazione statunitense a titolo dei principi dello scudo per la privacy e quindi oggetto di accesso e trattamento da parte delle autorità pubbliche statunitensi a fini di applicazione della legge e di interesse pubblico, messi in evidenza dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 6 ottobre 2015 quale essenza del diritto fondamentale di cui all’articolo 47 della Carta [dei diritti fondamentali dell’Unione europea]».

(7)  Una coalizione di organizzazioni di difesa delle libertà civili invita i legislatori dell’UE ad insistere con il governo degli Stati Uniti affinché riformi il proprio settore della sorveglianza garantendo un quadro rispettoso dei diritti dei cittadini non statunitensi, 28 febbraio 2017 (documento consultato il 1o agosto 2017): https://www.accessnow.org/cms/assets/uploads/2017/02/Section702CoalitionLetter1.pdf

(8)  Cfr. anche il quadro dell’OCSE sulla protezione della vita privata, OCSE, 2013.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/215


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1295/2013 che istituisce il programma Europa creativa (2014-2020)»

[COM(2017) 385 final — 2017/0163 (COD)]

(2018/C 081/30)

Consultazione

Parlamento europeo, 11.9.2017

Consiglio, 22.9.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in sessione plenaria

18.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

196/0/3

Il Comitato ha adottato un precedente parere sul programma Europa creativa 2014-2020 [regolamento (UE) n. 1295/2013] — CCMI/098 — CES828-2012_AC — il 28 marzo 2012 (1).

In tale parere, il CESE approva pienamente sia il contenuto della proposta della Commissione che istituisce il programma Europa creativa (2014-2020) sia l’aumento della dotazione di bilancio per finanziare tale programma. Tuttavia, pur sottolineando l’importanza della dimensione economica nel programma Europa creativa, osserva che esso sembra essere troppo incentrato sull’obiettivo generale relativo alla competitività, mentre l’obiettivo concernente la promozione della diversità linguistica e culturale europea non ha un’adeguata visibilità. Inoltre, ritiene che la dotazione di bilancio non sia sufficiente per conseguire gli obiettivi del programma, se messa in rapporto con il bilancio dell’UE o con i fondi stanziati da alcuni Stati membri per sostenere le attività culturali.

Nella sua nuova proposta, la Commissione propone di creare una soluzione giuridicamente corretta e trasparente per garantire un sostegno sostenibile all’Orchestra dei giovani dell’Unione europea (EUYO), tenendo conto delle sue caratteristiche specifiche, mediante riconoscimento come «organismo indicato in un atto di base» ai sensi dell’articolo 190, paragrafo 1, lettera d), del regolamento delegato (UE) n. 1268/2012 della Commissione.

L’iniziativa è pienamente in linea con il punto di vista espresso dal CESE nel suo precedente parere. Il finanziamento per l’EUYO non richiederà ulteriori risorse provenienti dal bilancio dell’UE.

La nuova proposta aggiunge solo un punto all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1295/2013 che istituisce il programma Europa creativa (2014-2020): «(f) l’Orchestra dei giovani dell’Unione europea».

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente ed essendosi già pronunciato al riguardo nel proprio parere CCMI/098 — CES828-2012_AC, adottato il 28 marzo 2012 (2), il Comitato, nel corso della 529a sessione plenaria dei giorni 18 e 19 ottobre 2017 (seduta del 18 ottobre), ha deciso, con 196 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 18 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma «Europa creativa», GU C 181 del 21.6.2012, pag. 35.

(2)  Cfr. nota a piè di pagina 1.


2.3.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 81/216


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Politica economica della zona euro 2017»

(supplemento di parere)

(2018/C 081/31)

Relatore:

Petr ZAHRADNÍK

Correlatore:

Javier DOZ ORRIT

Decisione dell’Assemblea plenaria

27.4.2017

Base giuridica

Articolo 29, lettera a), delle Modalità d’applicazione del Regolamento interno

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

5.10.2017

Adozione in sessione plenaria

19.10.2017

Sessione plenaria n.

529

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

158/4/6

Preambolo

Il presente parere fa parte di un più ampio pacchetto di quattro pareri del CESE sul futuro dell’economia europea (dedicati rispettivamente all’approfondimento dell’Unione economica e monetaria, alla politica economica della zona euro, all’Unione dei mercati dei capitali e al futuro delle finanze dell’UE)  (1) . Il pacchetto si iscrive nel contesto del processo avviato di recente dalla Commissione europea con il suo Libro bianco sul futuro dell’Europa e tiene conto del discorso sullo stato dell’Unione 2017 pronunciato dal presidente Juncker. In linea con la sua risoluzione sul futuro dell’Europa  (2) e con i suoi pareri precedenti in merito al completamento dell’UEM  (3) , in questo pacchetto di pareri il CESE sottolinea la necessità di costruire, in relazione alla governance dell’UE, una visione comune che vada ben al di là delle impostazioni e delle misure tecniche e sia in primo luogo una questione di volontà politica e di prospettiva comune.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le conclusioni e le raccomandazioni che seguono sono state elaborate per integrare il parere ECO/423, con il quale il presente parere è pienamente in linea e dal quale prende le mosse. Esse sono inoltre coerenti con gli altri tre pareri del CESE sul tema del futuro economico dell’Europa menzionati nel preambolo del presente parere.

1.2.

Il CESE accoglie con favore i progressi compiuti nell’elaborazione della politica economica della zona euro e sta monitorando con attenzione le circostanze che determinano tale sviluppo. Tuttavia, esso considera particolarmente importanti le circostanze che legano il contesto della zona euro agli aspetti di bilancio e al rafforzamento del quadro istituzionale dell’eurozona.

1.3.

Il CESE ritiene essenziale che si disponga di una combinazione equilibrata di politiche economiche della zona euro, con un’interrelazione adeguata tra le loro componenti monetarie, di bilancio e strutturali. Dato il previsto riassetto di tali politiche in linea con lo sviluppo economico, questo fattore sta acquisendo sempre maggiore importanza.

1.4.

Il CESE disapprova la conclusione del Consiglio europeo con cui quest’ultimo respinge un orientamento positivo della politica di bilancio, e invita tale istituzione a riconsiderare tale conclusione. In particolare, il previsto abbandono della politica di allentamento quantitativo da parte della Banca centrale europea rafforza gli argomenti a favore dell’adozione di un orientamento positivo della politica di bilancio. Al tempo stesso, il CESE riconosce che l’ambito di applicazione di tale orientamento deve essere correttamente definito, in modo da non aumentare il livello, ancora elevato, del debito pubblico e da indirizzarlo con precisione verso settori che generino benefici evidenti a lungo termine.

1.5.

Il CESE prende atto del miglioramento della situazione economica nella zona euro e raccomanda che, per mantenere e rafforzare tale tendenza, siano adottate misure cruciali volte a stimolare gli investimenti e ad attuare riforme strutturali che promuovano sia una produttività più elevata sia posti di lavoro di qualità. Le riforme strutturali dovrebbero essere attuate in maniera più decisa in linea con i processi del semestre europeo. Inoltre, il CESE raccomanda che la necessità di tali riforme venga considerata al livello della zona euro o dell’UE nel suo insieme, e non solo in termini di misure strutturali isolate da attuare nei singoli Stati membri.

1.6.

Il CESE appoggia fortemente il rafforzamento della coesione nella zona euro, nella forma sia di un maggiore coordinamento delle politiche economiche e di bilancio che di un miglioramento dell’intermediazione finanziaria, grazie al completamento dell’unione finanziaria e al consolidamento dell’influenza dell’eurozona nell’economia mondiale. Per far fronte a queste sfide, il CESE raccomanda di rafforzare in misura corrispondente il quadro istituzionale della zona euro.

1.7.

Il CESE considera l’euro la moneta dell’intera Unione europea; ed è convinto che il miglioramento della situazione economica dell’UE debba rilanciare la possibilità di un ampliamento della zona euro, che si prevede abbia un impatto positivo sia sull’eurozona stessa che sui suoi nuovi membri.

1.8.

Il CESE osserva che, a causa della Brexit e della scarsa prevedibilità dell’attuale amministrazione degli Stati Uniti, è necessario prestare particolare attenzione anche agli sviluppi politici ed economici a livello mondiale.

1.9.

Il CESE è consapevole dell’esistenza di limiti alle possibilità di migliorare il funzionamento della zona euro nel quadro delle norme vigenti (soprattutto riguardo alle misure di carattere strutturale); per alcuni aspetti più essenziali (tra cui, ad esempio, il miglioramento del quadro istituzionale o l’applicazione di nuovi strumenti di bilancio) devono essere adottate nuove normative.

1.10.

Nell’imminenza delle raccomandazioni economiche e politiche per il 2018, il CESE sottolinea la necessità di avviare un dibattito sui seguenti temi:

creazione di un’unione di bilancio,

rafforzamento della responsabilità e della titolarità degli Stati membri per quanto riguarda gli obblighi nei confronti della zona euro,

necessità di riforme strutturali nel quadro della piattaforma rappresentata dal semestre europeo,

ulteriore rafforzamento del coordinamento e della governance in materia economica,

miglioramento del sistema di intermediazione finanziaria e conseguente rafforzamento degli investimenti reali a lungo termine, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (OSS), facendo leva sul ruolo della BEI, del FEI e del FEIS 2.0,

consolidamento dell’influenza esercitata dalla zona euro a livello mondiale.

1.11.

Il CESE è consapevole della forte necessità che una maggiore attività di investimento si traduca in un aumento dei livelli salariali e in un calo della disoccupazione. Essa deve anche essere volta ad affrontare gli squilibri descritti nel parere, che potrebbero costituire un ostacolo fondamentale alla crescita a lungo termine qualora essi persistano e non vengano affrontati.

1.12.

Al fine di assicurarsi il sostegno cruciale dei cittadini alla ricostruzione della zona euro e far sì che vengano realizzate riforme strutturali in tal senso, la dimensione sociale di tali riforme deve essere rafforzata e devono essere adottate forme di governance della zona euro democratiche e trasparenti, intese a garantire la prosperità economica e un elevato tenore di vita.

2.   Contesto

2.1.

Nel quadro del processo ricorrente del semestre europeo, nel novembre 2016 la Commissione ha pubblicato una serie di documenti per la raccomandazione del Consiglio sulla politica economica della zona euro, nonché la comunicazione Verso un orientamento positivo della politica di bilancio della zona euro. In merito a questi documenti il CESE ha elaborato il parere ECO/423, adottato nella sessione plenaria del febbraio 2017. Da allora, lo sviluppo della politica economica dell’UE nonché le attività di alcuni Stati membri hanno fatto evolvere la situazione in misura considerevole. Il presente supplemento di parere tiene conto degli sviluppi più importanti rappresentati dai seguenti elementi:

la raccomandazione del Consiglio sulla politica economica della zona euro (marzo 2017),

le previsioni economiche di primavera (maggio 2017),

la comunicazione sulle raccomandazioni specifiche per paese 2017 (maggio 2017).

Parallelamente, nel corso del periodo in questione sono stati pubblicati un Libro bianco sul futuro dell’Europa e un documento di riflessione sull’approfondimento dell’UEM e il futuro dei finanziamenti dell’UE, i cui concetti sono stati ulteriormente sviluppati dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, nel suo discorso sullo stato dell’Unione del settembre 2017. Inoltre, si può constatare uno sviluppo visibile in termini di modalità di funzionamento della zona euro per quanto riguarda la sua dimensione di bilancio. Pertanto, il presente parere tiene conto dell’andamento dell’economia nel 2018 e rispecchia le proposte del CESE per le raccomandazioni sulla politica economica della zona euro per il 2018.

2.2.

La ripresa economica attualmente in corso è lievemente più rapida del previsto; tuttavia, la zona euro necessita ancora di un aumento degli investimenti, che potrebbe essere sostenuto anche da un prudente incentivo di bilancio, che eviti l’aumento del livello del debito pubblico a lungo termine. Gli effetti della crisi e delle politiche attuate continuano a ripercuotersi sulla disoccupazione, sulla povertà e sulle disuguaglianze, e sono anche una causa di disparità economiche e sociali tra gli Stati membri. È pertanto essenziale rafforzare le prospettive di crescita con un maggiore sostegno agli investimenti nella zona euro, accompagnato da una politica sociale volta a ridurre la povertà e le disuguaglianze. Secondo le previsioni economiche di primavera della Commissione europea, gli investimenti — che, accompagnati da una dinamica salariale corrispondente e un calo costante del tasso di disoccupazione, contribuiscono a rafforzare la domanda interna — sono un fattore fondamentale di sostegno alla ripresa economica.

2.3.

Inoltre, la zona euro deve diventare più coesa. Questo sviluppo potrebbe essere agevolato dal completamento dell’unione finanziaria, con gli effetti positivi previsti a livello di investimenti: ciò potrebbe essere portato a termine già nel vigore delle norme attuali. Invece, sono oggi necessarie nuove norme per rafforzare ulteriormente il coordinamento economico e di bilancio orientandolo verso una capacità di bilancio della zona euro e la creazione di un bilancio autonomo per l’eurozona, come pure per definire un’architettura istituzionale più solida per la zona euro che consenta una migliore rappresentanza interna ed esterna della zona nel suo insieme nonché una maggiore responsabilità dei singoli membri.

2.4.

In uno degli scenari prospettati nel Libro bianco sul futuro dell’Europa si contempla la possibilità di un’Europa a più velocità, con la zona euro come eventuale, importante linea di demarcazione. Anche in tal caso, tuttavia, il CESE resta dell’avviso che l’euro sia la moneta dell’intera Unione europea. Sarebbe quindi auspicabile la creazione di incentivi che inducano i paesi non appartenenti all’eurozona a considerare l’adesione ad essa come una delle priorità delle loro politiche interne.

2.5.

Le previsioni d’inverno e di primavera della Commissione europea segnalano una situazione di «notevole incertezza» per quanto riguarda i rischi per la crescita, sia interni che esterni, derivanti da fattori commerciali, finanziari e geopolitici. Nelle previsioni di primavera, la Commissione ha espresso preoccupazione per i possibili effetti negativi che gli sviluppi negli Stati Uniti e nel Regno Unito (Brexit) potrebbero determinare sulla ripresa, sia pur modesta, oggi in atto in Europa. L’amministrazione Trump è ancora meno prevedibile di quanto non sembrasse all’inizio, e per essa il persistente elevato avanzo delle partite correnti della Germania e dell’eurozona costituisce un problema. Ciò potrebbe indurre gli Stati Uniti ad adottare misure di politica commerciale sfavorevoli, con conseguenze negative per l’UE e la zona euro. Anche la Brexit è un fenomeno di difficile lettura: il lungo preludio ai negoziati non ispira alcuna fiducia rispetto al risultato finale, mentre l’esito delle elezioni di giugno induce a ritenere che vi saranno complicazioni e ritardi nel progresso dei negoziati stessi.

2.6.

Dalle ultime previsioni economiche di primavera della Commissione si può dedurre che la sua raccomandazione e il parere del CESE (ECO/423) che sosteneva un orientamento di bilancio positivo nella zona euro in generale per il 2017 — ora respinti dalla raccomandazione del Consiglio del 10 marzo 2017 — fossero nel giusto. Il CESE non è d’accordo con la decisione del Consiglio europeo, e ritiene che i rischi che si sono manifestati da allora, insieme con le previsioni di primavera della Commissione, confermino l’opportunità di mantenere un orientamento di bilancio positivo in materia di politica di bilancio.

3.   Osservazioni generali

3.1.

L’importanza dell’UEM come priorità chiave per l’integrazione europea è stata sottolineata in occasione della commemorazione del 60o anniversario della firma dei Trattati di Roma e dei successivi dibattiti sul futuro dell’UE. È stato inoltre dichiarato che, nonostante i problemi rimasti e tuttora irrisolti, sarebbe errato assumere un atteggiamento eccessivamente difensivo per quanto riguarda la zona euro. Al contrario, sarebbe più opportuno adottare una visione più ambiziosa del suo futuro e adoperarsi per attuare misure specifiche per sfruttare meglio le sue potenzialità. Il CESE condivide questo punto di vista.

3.2.

Per quanto riguarda la prosperità dell’economia dell’UE e l’equa ridistribuzione del reddito e della ricchezza che essa crea, il parere ECO/423 sottolinea l’importanza che una combinazione equilibrata di politiche economiche contempli strumenti monetari, di bilancio e strutturali nonché misure volte a migliorare il funzionamento e l’efficienza dei mercati finanziari, compresa una regolamentazione adeguata intesa a prevenire i comportamenti irresponsabilmente rischiosi adottati da alcuni istituti finanziari. Il CESE è convinto che gli sviluppi degli ultimi mesi abbiano, sotto molti profili, reso tutti questi aspetti ancora più importanti.

3.3.

Il CESE sostiene pienamente il completamento e l’approfondimento dell’UEM entro il 2025. In tal senso, il presente parere è coerente con il pacchetto di altri pareri del CESE sul futuro economico dell’Europa menzionato nel preambolo. Il CESE reputa che una particolare attenzione debba essere prestata alle seguenti linee d’intervento:

3.3.1.

il rafforzamento e l’ulteriore coordinamento delle politiche fiscali, economiche e strutturali, con l’obiettivo di creare una combinazione efficace di tali politiche che consenta fra l’altro anche di attuare la robusta linea (dedicata) di bilancio per la zona euro nell’ambito del bilancio generale dell’UE. Per la prima volta a un livello politico così elevato, il documento di riflessione sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria utilizza il termine «unione di bilancio»; e, in un contesto economico e monetario omogeneo e all’interno di un mercato interno funzionante, un’«unione di bilancio» implicherebbe anche una politica di bilancio comune o strettamente coordinata (in termini sia di fiscalità che di spesa), che sostenga una tassazione equa e assuma una posizione sistematica ed efficace nei confronti dell’evasione e della frode fiscale;

3.3.2.

la responsabilità dei singoli attori, in quanto prerequisito di cruciale importanza per migliorare il contesto della zona euro nel quadro di una concezione complessiva della governance economica dell’UE e in particolare del processo del semestre europeo: si dovrebbero mantenere o addirittura rafforzare la responsabilità e gli obblighi individuali degli Stati membri in tutti i meccanismi di governance economica esistenti, in particolare assicurando un monitoraggio obiettivo e applicando tutte le misure preventive, correttive e, se del caso, sanzionatorie necessarie;

3.3.3.

i comitati per la produttività, basati sulla partecipazione attiva di tutte le parti sociali interessate, in quanto strumento adatto per agevolare l’attuazione di riforme strutturali che, oltre a migliorare la capacità economica dei singoli Stati membri, contribuiscano in modo sostanziale ad aumentare la funzionalità e l’omogeneità del mercato unico nel suo insieme eliminando taluni ostacoli normativi e determinate barriere, fatti salvi le conquiste sociali e i diritti dei lavoratori;

3.3.4.

il miglioramento sostanziale dell’efficienza dell’intermediazione finanziaria, avvalendosi di tutti i partecipanti ai mercati finanziari in linea con l’idea di un’Unione bancaria e di un’Unione dei mercati dei capitali; nel rendere tale intermediazione più efficace, si dovrebbe accordare la priorità agli investimenti reali e non all’aumento del volume del settore finanziario virtuale;

3.3.5.

la rappresentanza esterna dell’Unione economica e monetaria, anch’essa molto importante affinché l’UEM sia forte e rispettata, nel contesto delle trasformazioni in atto nell’economia globale; e al riguardo è essenziale non solo disporre di un accordo tra i singoli Stati membri nei confronti dei loro partner mondiali nel cui ambito l’UE parli con una sola voce, ma anche adottare misure in direzione di una struttura istituzionale adeguata che corrisponda a questo interesse comune nel contesto globale (4);

3.3.6.

Inoltre, si sarebbe dovuta considerare la possibilità di ampliare l’attuale zona euro nei casi in cui una tale scelta sia ragionevole; alcuni paesi — specialmente quelli dell’Europa centrale e orientale — presentano indicatori economici estremamente positivi e ottengono valutazioni molto favorevoli nel quadro del semestre europeo, ragion per cui sembrano in grado di sostenere il funzionamento della zona euro e di accrescerne l’importanza al di fuori dell’UE;

3.3.7.

infine, per assicurare il sostegno dei cittadini al nuovo progetto di UEM è necessario creare strumenti atti a garantire che le decisioni in materia di governance economica siano democratiche e che il mercato unico sia integrato da un solido pilastro sociale.

3.4.

Il CESE ritiene che, per il funzionamento della zona euro, un ruolo piuttosto importante spetti alla promozione di maggiori investimenti e alla realizzazione e attuazione di riforme strutturali, che avrebbero potuto essere sostenute con maggiore impegno nell’ambito del processo del semestre europeo, in particolare tenuto conto del quadro del mercato unico. Gli investimenti finanziati dalla BEI, dal FEI o dal FEIS hanno dato risultati positivi, tra cui l’attuazione di progetti regionali necessari. Tuttavia, il loro volume è ancora insufficiente a colmare i deficit di investimenti che si verificano soprattutto in tempi di crisi. Tali strumenti dovrebbero contribuire a creare un sistema sufficientemente solido, che consenta una condivisione delle fonti di finanziamento pubbliche e private. Si dovrebbe sfruttare la flessibilità controllata nel patto di stabilità e crescita per consentire il ricorso ad una «regola d’oro» in base alla quale gli investimenti e le spese correnti associate debbano essere effettuati in modo tale da ottenere risultati e benefici futuri. Nel quadro delle riforme strutturali l’attenzione dovrebbe essere chiaramente spostata dal livello dei singoli Stati membri al funzionamento globale del mercato unico.

3.4.1.

L’obiettivo delle riforme strutturali dovrebbe consistere innanzitutto nell’eliminare gli squilibri esistenti e nel creare condizioni favorevoli allo sviluppo a lungo termine, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) concordati in sede ONU. Tra i suddetti squilibri figurano le crescenti diseguaglianze all’interno dell’UE e degli Stati membri. Le riforme strutturali dovrebbero portare all’adozione di misure che tengano conto del contesto dell’intera UE e non soltanto delle esigenze parziali di singoli Stati membri.

3.4.2.

Nel contesto dell’UE le riforme dovrebbero essere non soltanto rivolte alle priorità politiche nazionali, ma anche considerate dal punto di vista dell’UE nel suo insieme, ossia nella prospettiva di avviare progetti strategici in grado di creare un forte valore aggiunto dell’UE.

3.4.3.

Le riforme strutturali dovrebbero inoltre essere accompagnate dalla promozione di posti di lavoro di qualità, con un’attenzione specifica a garantire livelli retributivi adeguati e il pieno rispetto della giustizia sociale.

3.4.4.

Sono ancora necessarie molte riforme per migliorare le normative affinché queste siano in grado di sostenere lo sviluppo delle imprese e di garantire un livello adeguato di protezione dei cittadini. Tra gli ambiti in cui portare avanti delle riforme strutturali figurano ad esempio l’avviamento dell’attività d’impresa, le licenze edilizie, l’accesso al credito, il pagamento delle imposte, il commercio transfrontaliero, i registri immobiliari e l’armonizzazione della politica fiscale: tutti aspetti, questi, in cui una normativa appropriata regolamentazione contribuirà al buon funzionamento del mercato interno e, al tempo stesso, limiterà la concorrenza dannosa al suo interno. Un ruolo importante spetta anche al clima pubblico/politico (ossia l’efficienza e l’integrità del settore pubblico, la certezza e la stabilità nel corso del ciclo di vita del progetto). In particolare ai fini dell’accettazione di queste riforme da parte dei cittadini, va rilevato come il processo alla base dell’attuazione delle riforme sia complicato e quanto il risultato macroeconomico delle stesse dipenda da numerose e complesse dinamiche che si svolgono a livello micro: spiegare tali implicazioni è un presupposto importante per ottenere il sostegno dei cittadini alle riforme. Per garantire tale sostegno, gli strumenti creati per favorire il funzionamento futuro della zona euro devono essere scelti in un modo legittimo e democratico che garantisca il giusto equilibrio tra il pilastro economico e quello sociale.

3.4.5.

Vi è spazio per un collegamento più stretto tra la necessità di riforme strutturali, il semestre europeo, il quadro pluriennale di attuazione dei fondi SIE (o, più in generale, del bilancio UE) e una zona euro più sviluppata ed efficace; e il rafforzamento di questo legame tra riforme strutturali e bilancio dell’UE, che mira a promuovere la convergenza a medio e a lungo termine, è strettamente connesso con la prevista restrizione della politica di allentamento quantitativo della BCE, allorché una politica monetaria più restrittiva creerà maggior spazio per l’impiego dei flussi di bilancio.

3.5.

Allo stesso tempo, è necessario compiere nuovi sforzi per una convergenza verso l’alto in termini di tenore di vita, standard sociali e livelli retributivi all’interno e tra gli Stati membri, come condizione minima per aumentare la fiducia nei confronti dell’UE e garantire il futuro dell’Europa. Il pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbe promuovere la convergenza.

3.5.1.

Da tale contesto si evince la necessità di politiche volte a rafforzare la domanda interna nell’UE e nella zona euro in generale, nonché nei paesi con avanzi elevati delle partite correnti/commerciali, in particolare per riequilibrare la situazione all’interno della zona euro e con il resto del mondo.

3.5.2.

Gli Stati membri dell’UE non dovrebbero basare le proprie strategie di competitività sul presupposto che i livelli salariali rimangano bassi. Una combinazione efficace di politiche economiche dovrebbe condurre a una ripresa dell’attività di investimento in infrastrutture, e l’aumento della spesa per l’istruzione, la ricerca, la formazione e le competenze professionali dovrebbe tradursi in una crescita della produttività e un più forte aumento dei salari e dei redditi, rispecchiando al tempo stesso l’andamento del ciclo di vita, lo sviluppo di carriera e l’evoluzione del costo della vita. Tuttavia, il CESE rispetta la specificità delle condizioni dei singoli Stati membri e la responsabilità primaria di questi ultimi nell’affrontare questa situazione attraverso metodi moderni di contrattazione collettiva.

3.5.3.

La situazione del mercato del lavoro in alcuni paesi dell’area dell’euro indica che le riforme strutturali attese in questo campo dovrebbero concentrarsi sulla riduzione dell’(elevata) incidenza del lavoro temporaneo e a tempo parziale involontario e sull’aumento dei (bassi) salari, nonché sulla promozione di posti di lavoro di qualità e di livelli più elevati di formazione e competenze professionali. Un robusto dialogo sociale e una sana contrattazione collettiva, basati sull’autonomia delle parti sociali, devono costituire la base per un nuovo tipo di riforma del lavoro. Così facendo, si otterrà non soltanto una migliore giustizia sociale, ma anche una maggiore produttività economica.

3.6.

In particolare le misure connesse con la realizzazione di riforme strutturali e con il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche e di bilancio possono essere attuate nel quadro delle norme vigenti; esse possono essere ulteriormente rafforzate con il nuovo quadro finanziario pluriennale dopo il 2020. D’altro canto, consolidare ulteriormente la zona euro con una politica di bilancio comune o una maggiore presenza di tale zona sulla scena mondiale richiede l’adozione di norme completamente nuove.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Per i motivi indicati nel presente parere, il CESE esorta la Commissione e il Consiglio a includere un orientamento di bilancio positivo appropriato nelle raccomandazioni sulla politica economica della zona euro per il 2018. Tale proposta è particolarmente importante in relazione alla necessità di una crescita economica adeguata e sostenibile e al fine di garantire una combinazione efficace di politiche economiche e monetarie, il cui carattere espansivo non può essere protratto indefinitamente.

4.2.

Il CESE approva il piano di investimenti per l’Europa e ritiene che, nella sua attuazione, si debba dare la priorità ai progetti che rispettano gli obiettivi di sviluppo sostenibile e tengono conto della responsabilità sociale e ambientale.

4.3.

Il CESE è convinto che i recenti sviluppi, avvenuti negli ultimi mesi, del paradigma della politica economica dell’UE mostrino chiaramente un aumento del sostegno politico all’approccio che prevede un’unione di bilancio basata sulla piattaforma della zona euro; in tale contesto, il CESE raccomanda un monitoraggio molto attento ed è assolutamente preparato ad aderire al processo volto a rafforzare l’accento posto sul bilancio come presupposto per una maggiore omogeneità della zona euro; è anche essenziale osservare come questo sviluppo si traduca in possibili trasformazioni delle strutture e dei sistemi istituzionali.

4.4.

Il CESE continua a ritenere che, in un momento in cui l’approfondimento dell’UEM figura ancora una volta tra le principali priorità, sia molto importante non sottovalutare i processi legati a un funzionamento più efficace e migliore del mercato unico. Un mercato unico efficace e funzionante è un presupposto fondamentale, che va realizzato prima ancora di poter anche solo pensare a un approfondimento dell’UEM. L’UEM può soddisfare le aspettative apportando i benefici previsti soltanto se la futura apertura e liberalizzazione del mercato unico sono destinate a continuare, se la sua omogeneità viene rafforzata e se vengono rimosse le barriere protezionistiche nazionali, sia visibili che occulte.

4.5.

Il CESE appoggia l’idea che il contesto di un’UEM approfondita debba essere in linea anche con il processo di intermediazione finanziaria. I fondamenti dell’unione finanziaria sono rappresentati dall’Unione bancaria e dall’Unione dei mercati dei capitali. L’Unione bancaria riguarda principalmente il comportamento stabile e prevedibile del settore bancario. Essa deve essere sostenuta anche con risorse finanziarie adeguate per far fronte a eventuali fallimenti bancari. L’Unione dei mercati dei capitali è invece concepita per ampliare le possibilità di assegnare risorse finanziarie ed è ancora in una fase iniziale di sviluppo. Un migliore funzionamento dell’intermediazione finanziaria dovrebbe essere più evidente nella sfera degli investimenti reali.

4.6.

Il futuro dell’Unione europea dipende anche dalla sua capacità di rafforzare la sua integrazione e consolidare il suo ruolo sulla scena mondiale. Questa è, soprattutto oggi, una delle poche priorità fondamentali, nonché una questione di interesse comune per tutti gli Stati membri dell’UE. Per conseguire tale obiettivo, potrebbe essere utile rafforzare la rappresentanza congiunta dell’UE sulla scena mondiale e, a livello internazionale, promuovere e rispettare valori, principi e politiche comuni quali la libertà e l’eguaglianza politiche ed economiche e la giustizia sociale, il valore della libera impresa nel commercio e negli investimenti, la creazione delle condizioni per un ambiente concorrenziale leale e aperto e l’eliminazione delle pratiche illegali e criminali negli affari, come l’abuso dei sistemi fiscali o delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Sono assolutamente essenziali, inoltre, il rispetto dei diritti civili e sociali e l’osservanza dei requisiti di base in materia di norme ambientali.

Bruxelles, 19 ottobre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il pacchetto comprende i seguenti pareri del CESE: Politica economica della zona euro 2017 (supplemento di parere), Unione dei mercati dei capitali: revisione intermedia, (Cfr. pag. 117 della presente Gazzetta ufficiale) Approfondimento dell'UEM entro il 2025 (Cfr. pag. 124 della presente Gazzetta ufficiale) e Le finanze dell'UE entro il 2025, (Cfr. pag. 131 della presente Gazzetta ufficiale).

(2)  Risoluzione del CESE pubblicata nella GU C 345 del 13.10.2017, pag. 11.

(3)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10 e GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 8.

(4)  Per ulteriori dettagli, cfr. ad esempio GU C 177 del 18.5.2016, pag. 16.