ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 487

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

59° anno
28 dicembre 2016


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

519a sessione plenaria del CESE del 21 e 22 settembre 2016

2016/C 487/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Nuove misure per una governance e un’attuazione orientate allo sviluppo: valutazione dei fondi strutturali e d’investimento europei e relative raccomandazioni (parere d’iniziativa)

1

2016/C 487/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su I diritti dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza (parere d’iniziativa)

7

2016/C 487/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo su La politica dell'UE in materia di biodiversità (parere d'iniziativa)

14

2016/C 487/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Dopo Parigi (parere di iniziativa)

24

2016/C 487/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo su La posizione del CESE su alcune questioni specifiche fondamentali sollevate nel quadro dei negoziati sul Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) (parere d’iniziativa)

30

2016/C 487/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE[parere esplorativo]

41

2016/C 487/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Una legislazione a prova di futuro (parere esplorativo)

51


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

519a sessione plenaria del CESE del 21 e 22 settembre 2016

2016/C 487/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul quadro giuridico dell’Unione relativo alle infrazioni e alle sanzioni doganali[COM(2013) 884 final — 2013/0432 (COD)]

57

2016/C 487/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione delle informazioni sull’imposta sul reddito da parte di talune imprese e succursali[COM(2016) 198 final — 2016/0107 (COD)]

62

2016/C 487/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 2016/399 per quanto riguarda l’uso del sistema di ingressi/uscite[COM(2016) 196 final — 2016/0105 (COD)] e sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema di ingressi/uscite per la registrazione dei dati di ingresso e di uscita e dei dati relativi al respingimento dei cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea e che determina le condizioni di accesso al sistema di ingressi/uscite a fini di contrasto e che modifica il regolamento (CE) n. 767/2008 e il regolamento (UE) n. 1077/2011[COM(2016) 194 final — 2016/0106 (COD)]

66

2016/C 487/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente misure volte a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas e che abroga il regolamento (UE) n. 994/2010 del Consiglio[COM(2016) 52 final — 2016/0030 (COD)]

70

2016/C 487/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa a una strategia dell’UE in materia di gas naturale liquefatto e stoccaggio del gas[COM(2016) 49 final]

75

2016/C 487/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi e strumenti non vincolanti fra Stati membri e paesi terzi nel settore dell’energia e che abroga la decisione n. 994/2012/UE[COM(2016) 53 final]

81

2016/C 487/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Iniziativa europea per il cloud computing — Costruire un'economia competitiva dei dati e della conoscenza in Europa[COM(2016) 178 final]

86

2016/C 487/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Priorità per la normazione delle TIC per il mercato unico digitale[COM(2016) 176 final]

92

2016/C 487/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Piano d’azione dell’UE per l’eGovernment 2016-2020 — Accelerare la trasformazione digitale della pubblica amministrazione[COM(2016) 179 final]

99

2016/C 487/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Comunicazione della Commissione — Programma indicativo per il settore nucleare presentato, per parere, al Comitato economico e sociale europeo ai sensi dell’articolo 40 del trattato Euratom[COM(2016) 177 final]

104

2016/C 487/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 1303/2013 per quanto attiene a talune disposizioni relative alla gestione finanziaria per alcuni Stati membri che si trovano, o rischiano di trovarsi, in gravi difficoltà relativamente alla loro stabilità finanziaria[COM(2016) 418 final — 2016/0193 (COD)]

111

2016/C 487/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce dazi doganali supplementari sulle importazioni di determinati prodotti originari degli Stati Uniti d’America (codificazione)[COM(2016) 408 final — 2014/0175 (COD)]

112

2016/C 487/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro[COM(2016) 248 final — 2016/0130 (COD)]

113


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

519a sessione plenaria del CESE del 21 e 22 settembre 2016

28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Nuove misure per una governance e un’attuazione orientate allo sviluppo: valutazione dei fondi strutturali e d’investimento europei e relative raccomandazioni»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 487/01)

Relatore:

Etele BARÁTH

Decisione dell’Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

08/09/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

171/1/4

1   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

A giudizio del CESE vi è necessità di una governance europea coordinata e orientata allo sviluppo, il cui obiettivo sia contribuire alla costruzione di un’Europa rinnovata, forte e pacifica. Occorre rafforzare il coordinamento, anche attraverso una nuova forma organizzativa della governance.

1.2.

Bisogna rilanciare, mediante fasi coordinate, lo sviluppo dinamico dell’economia, e rafforzare le fondamenta del benessere sociale e della democrazia, la coesistenza tra le diverse culture e un rispetto esemplare per l’ambiente.

1.3.

Il CESE sottolinea che l’obiettivo di un’applicazione coerente del principio di partenariato è quello di promuovere la partecipazione dei soggetti interessati alla pianificazione e alla realizzazione degli investimenti finanziati con fondi europei. Ciò rafforza l’impegno collettivo per gli investimenti, estende il coinvolgimento di competenze, rende più efficace l’esecuzione dei progetti, accresce la trasparenza e contribuisce a prevenire frodi e abusi.

1.4.

Servono un sistema di obiettivi e una strategia semplici e comprensibili e un piano unitario per l’Europa (Strategia UE 2030-2050). Va ribadito che uno dei principali obiettivi strategici dell’UE continua ad essere la realizzazione di un’Unione europea innovativa, sostenibile e inclusiva. A tal fine occorre integrare nel piano anche gli obiettivi della COP 21 (obiettivi di sviluppo sostenibile).

1.5.

Sono necessari programmi di sviluppo maggiormente coordinati. La definizione dei programmi e degli strumenti di sviluppo a breve, medio e lungo termine deve fondarsi su una serie di obiettivi sintetici. Tra gli strumenti vanno considerati anche quelli politici, giuridici, organizzativi e finanziari.

1.6.

Ai fini di un miglior coordinamento, il CESE raccomanda di mettere al servizio degli obiettivi comuni europei sia il ricorso ai tradizionali fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE), sia i progetti, orientati al mercato e in grado di mobilitare anche il capitale privato, del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). In quest’ottica bisogna allineare gli obiettivi e le regole per la loro attuazione.

1.7.

Il CESE raccomanda che il primo e fondamentale strumento della governance centrale rafforzata orientata allo sviluppo sia il semestre europeo, basato sull’analisi annuale della crescita, che dovrebbe dotarsi dei mezzi per esercitare un’influenza costante e rivolgere un’attenzione continua nei confronti dell’avanzamento del piano per l’Europa. Il semestre europeo può quindi svolgere al tempo stesso le funzioni dei sistemi volti a creare un ambiente sociale che garantisca il benessere.

1.8.

La valutazione dell’efficacia della governance orientata allo sviluppo potrebbe basarsi, oltre che sull’indicatore prevalentemente economico già in uso, vale a dire il PIL, anche su quello, complementare, del risultato interno lordo (Gross Domestic Result), che include la sostenibilità e comprende soprattutto fattori sociali e ambientali.

1.9.

Bisogna creare un forte coordinamento e un metodo aperto di cooperazione (Open Method of Cooperation) con gli Stati membri. Occorre adattare l’esperienza acquisita finora nei processi di sviluppo.

1.10.

È necessario rafforzare gli strumenti giuridici e finanziari. I risultati della governance orientata allo sviluppo dipendono da un’economia dinamica, da un aumento del capitale investito, da un regime di investimenti più efficiente, da una forza lavoro più qualificata e da imprese maggiormente innovative. Più a lungo termine, tuttavia, il suo principale obiettivo è una società rinnovata, la creazione di prosperità e la garanzia di un ambiente risanato e sostenibile.

1.11.

È necessaria un’attuazione multilivello condivisa. Parallelamente alla riforma in corso (programma REFIT), occorre elaborare anche gli strumenti giuridico-amministrativi di una governance orientata allo sviluppo. In tale contesto bisogna rafforzare in misura significativa gli strumenti di livello intermedio, ossia quelli destinati al coordinamento degli sviluppi macroregionali; inoltre, nell’orizzonte temporale del piano per l’Europa acquisisce una notevole importanza il ruolo delle regioni funzionali, delle città, delle aree urbane, degli agglomerati, delle aree metropolitane e delle reti.

1.12.

La continuità è un fattore essenziale per una governance orientata allo sviluppo a lungo termine. Occorre coordinare i quadri dei diversi cicli delle politiche, dei processi di programmazione e di sviluppo e degli orizzonti temporali di bilancio. L’attività di sviluppo presuppone l’analisi continua, la verifica e la correzione.

1.13.

È particolarmente importante informare dettagliatamente e coinvolgere i cittadini, sviluppare la comunicazione e il «marketing» delle politiche e presentare correttamente i risultati effettivi raggiunti e i punti deboli.

1.14.

Il CESE ha costantemente sostenuto che bisogna rafforzare la partecipazione democratica. Nel metodo aperto di cooperazione occorre garantire a tutti i livelli la partecipazione dei partner economici e sociali e delle organizzazioni non governative, cosa che, in ambito europeo, deve andare di pari passo con la valorizzazione del ruolo del CESE.

1.15.

Come già segnalato in un parere del 2012 (1), il CESE sostiene l’elaborazione, su iniziativa della Commissione europea, di un codice di condotta europeo sul partenariato (CCEP), inteso a fornire agli Stati membri un quadro relativo al partenariato nella pianificazione e nell’attuazione. La concezione dell’Europa adottata dai vari partner contribuirà alla definizione degli obiettivi e all’identificazione con essi, oltre a promuovere un’attuazione più efficace dei progetti.

1.16.

Il CESE sottolinea che bisogna superare la regolamentazione del partenariato basata sulle proposte e sulle buone pratiche, e precisare ampiamente i requisiti minimi che le autorità degli Stati membri dovranno soddisfare per non incorrere in sanzioni.

1.17.

Il CESE raccomanda che gli Stati membri siano tenuti a istituire efficaci sistemi di finanziamento intesi a sviluppare le capacità dei partner. Tali sistemi devono andare oltre le mere iniziative di formazione e di trasferimento di informazioni, ed estendersi anche allo sviluppo di reti di partenariato e alla creazione di strumenti di partecipazione effettiva.

1.18.

Il CESE invita con insistenza la Commissione a intensificare la cooperazione con le reti di partenariato a livello europeo. Occorre che la Commissione predisponga un sistema di finanziamento che contribuisca al lavoro delle reti europee di ONG attive nella politica regionale, in particolare per quanto riguarda il controllo dei processi nazionali e la garanzia di un riscontro.

2.   Per un’Europa rinnovata e forte

2.1.    Contesto attuale e motivazioni

2.1.1.

L’Unione europea è solida, ma deve tuttora far fronte a una crisi multiforme, che si ripresenta a più riprese, come dimostra chiaramente la Brexit. La crisi economica del 2008 ha segnato la fine dell’euforia che aveva accompagnato l’allargamento all’inizio degli anni 2000, e invertito il processo di convergenza in numerosi paesi.

2.1.2.

La crisi economica e la diminuzione degli investimenti che ne è derivata hanno incrinato l’unità degli Stati membri basata sulla crescita e causato crescenti tensioni politiche, economiche e sociali. Malgrado l’obiettivo fondamentale dell’UE, il divario di sviluppo tra Stati membri aumenta.

2.1.3.

L’imposizione di severe politiche di austerità ai paesi che hanno un disavanzo esterno, un debito pubblico e un deficit di bilancio eccessivi non fa altro che accrescere il divario tra i paesi più sviluppati e quelli assoggettati all’austerità. Sono necessarie politiche nuove per coniugare la crescita economica e il contenimento del deficit di bilancio, insieme a politiche efficienti di inclusione sociale.

2.1.4.

La povertà, la precarietà del lavoro e la disoccupazione hanno toccato livelli inaccettabili. La mancanza di prospettive per i giovani rappresenta un serio ostacolo per il rinnovamento futuro dell’Europa.

2.1.5.

L’UE ha perso la sua attrattiva per gli investimenti e sembra anzi contraddistinguersi per una certa farraginosità. In quanto destinazione di investimenti produttivi l’Unione come blocco sta perdendo terreno rispetto agli Stati Uniti ma anche ad alcuni suoi Stati membri, ad esempio Germania e Regno Unito. I paesi in ritardo frenano quelli più dinamici. L’esigenza di reciproca interdipendenza si riduce. In alcuni paesi, nonostante la significativa eccedenza di bilancio, il calo degli investimenti produttivi approfondisce il divario, accrescendo tra l’altro il distacco delle regioni più povere. La risposta a queste difficoltà è lenta e burocratica.

2.1.6.

In un contesto dominato dal terrorismo e dalla crisi migratoria, conquiste fondamentali come l’area dell’euro o lo spazio Schengen appaiono oggi come fattori di divisione, e non già come elementi di coesione. In vari paesi l’UE viene strumentalizzata per dispute politiche interne.

2.1.7.

I livelli di sviluppo delle regioni non convergono. Il rapporto tra la regione più sviluppata e quella meno sviluppata, misurato in termini di PIL, è pari a 14: 1. Alcuni paesi che beneficiano di un particolare sostegno utilizzano i fondi europei loro destinati al posto degli strumenti e dei meccanismi di investimento nazionali, dal momento che i contributi nazionali si sono ridotti al minimo, ben al di sotto degli obiettivi iniziali. I comitati per la competitività, istituiti di recente, possono dare un importante contributo, con i loro strumenti, a ravvicinare il livello di sviluppo delle diverse regioni.

2.1.8.

I cittadini e gli operatori economici, sociali e delle ONG d’Europa non hanno più prospettive e si sono estraniati dal processo politico, ripiegandosi sempre più in sé stessi. Essi vedono l’Unione europea come un’istituzione rigida e inflessibile, incapace di rinnovarsi.

2.1.9.

L’UE, soprattutto a causa dei suoi risultati insufficienti e della debolezza del suo sistema istituzionale per lo sviluppo, non è in grado di mobilitare mezzi adeguati per il raggiungimento dei suoi obiettivi, peraltro frammentari.

2.1.10.

Mancano una visione del futuro, una volontà politica e una capacità di governance unitarie. Il metodo di coordinamento è insufficiente e obsoleto, gli strumenti giuridici sono inefficaci o difficili da utilizzare, la partecipazione delle organizzazioni e il sostegno sociale — tra l’altro a causa di una comunicazione inadeguata — sono deboli.

2.1.11.

La strategia di sviluppo a lungo termine dell’UE per il periodo fino al 2020 non è più abbastanza lungimirante né realistica, e risulta per di più frammentata e inadeguata a orientare i processi nell’ambito dei quadri metodologici attuali. Nel frattempo sono stati adottati i 17 principali obiettivi di sviluppo sostenibile, alla luce dei quali la Commissione europea ha avviato, nel quadro di una strategia complessa e a più lungo termine, il riesame del sistema e degli strumenti di governance.

2.2.    Nuove vie

2.2.1.

In questo contesto, la nuova Commissione europea, sostenuta dal Parlamento europeo, ha annunciato un nuovo modello di sviluppo economico. Gli obiettivi stabiliti — stimolare l’occupazione e la crescita, attuare il mercato unico europeo, semplificare il sistema di regolamentazione economica, consolidare gli sviluppi comunitari più urgenti, il mercato dell’energia, sostenere gli investimenti destinati al mercato e ai servizi digitali, gestire in via prioritaria le reti immateriali e fisiche per collegare l’Europa, rafforzare la responsabilità legata ai fattori ambientali — possono apportare un’importante nuova dinamica per l’economia.

2.2.2.

Il semestre europeo e le sue componenti costituiscono un sistema che va al di là della governance economica. Gli obiettivi sociali e ambientali a lungo termine dovrebbero avere un ruolo più rilevante nel meccanismo del semestre europeo.

2.2.3.

Trattato come un obiettivo prioritario, il programma inteso a rafforzare pienamente il sistema finanziario dell’area dell’euro è da un lato inadeguato, dall’altro alimenta il reale timore di un approfondimento delle fratture tra i paesi europei. Degli obiettivi di sviluppo a livello europeo potrebbero ridurre l’irrigidimento dell’Europa a due velocità.

2.2.4.

Attualmente i processi di sviluppo sono determinati da due grandi serie di strumenti economici e finanziari, accompagnate dalle rispettive procedure. Occorre rafforzare la loro complementarità, già in fase di coordinamento degli obiettivi.

2.2.5.

La prima serie è quella dei tradizionali fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE), previsti anche dai trattati dell’UE e finalizzati alla coesione sociale, economica e territoriale. Essi vengono ammodernati di continuo, ma il loro carattere è immutato: si tratta infatti di aiuti all’investimento e allo sviluppo, che derivano dalla ridistribuzione del bilancio dell’UE preveniente a sua volta dai contributi degli Stati membri. In un certo numero di casi questi fondi non sono valutati adeguatamente dai loro destinatari, in base all’argomento che essi «spettano» loro. Al momento della revisione «intermedia» relativa al periodo fino al 2020, è indispensabile introdurre nuove norme al fine di garantire la summenzionata complementarità.

2.2.6.

La seconda serie di strumenti è quella del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). Destinato ad attuare il cosiddetto «piano Juncker», il FEIS rappresenta un nuovo strumento finanziario orientato al mercato, in grado di consentire la copertura di rischi e di mobilitare risorse pubbliche, bancarie e private, e il cui ammontare complessivo può essere aumentato. Il meccanismo di gestione istituito dovrebbe diventare un elemento costitutivo della governance orientata allo sviluppo. Anche a livello dei singoli Stati membri occorre coordinare questi due differenti sistemi di finanziamento.

2.2.7.

In confronto a questi sistemi di finanziamento, gli altri strumenti finanziari che operano con successo sono diversificati, adattati al compito loro assegnato, ma di dimensioni minori e destinati specificamente a determinati obiettivi. I quadri del piano per l’Europa possono essere occasione di un coordinamento forte e sistematico.

2.2.8.

Gli obiettivi, poco numerosi ma non collegati tra loro, della strategia Europa 2020, destinata a migliorare il coordinamento, non hanno beneficiato finora dei mezzi diretti che ne avrebbero potuto favorire la realizzazione. Senza tali risorse, tuttavia, non è certo che si possa garantire adeguatamente il coordinamento dello sviluppo dell’UE. Il nuovo piano per il periodo successivo al 2020 deve quindi avere tra i suoi compiti la pianificazione dell’interazione tra i vari strumenti.

2.2.9.

Gli 11 obiettivi tematici del quadro finanziario pluriennale, che regola l’applicazione dei fondi SIE, e i 10 obiettivi principali del piano Juncker, solo vagamente sovrapponibili ai precedenti, e le loro rispettive regolamentazioni finanziarie e giuridiche dovrebbero adesso essere al servizio dell’attuazione della strategia Europa 2020. A ciò si aggiungono i 17 criteri di riferimento per gli obiettivi di sostenibilità, destinati a indicare il percorso futuro in questo campo. Il processo di programmazione per il periodo successivo al 2020 dev’essere caratterizzato da una serie limitata di obiettivi comprensibili, ricavati da finalità sintetiche.

2.2.10.

A tutt’oggi i meccanismi divergenti connessi agli obiettivi, come pure le loro scadenze iniziali e finali e le loro tempistiche differenti fanno sì che nessuno di tali obiettivi sia del tutto trasparente, e che essi risultino poco comprensibili e difficili da seguire per gli ambienti socioeconomici e la società civile. La mancanza di sinergie o di interazioni tra i singoli obiettivi riduce significativamente l’efficacia degli strumenti e degli investimenti. Bisogna rafforzare le sinergie tra il FEIS e la strategia Europa 2020 rinnovata con l’elaborazione di una nuova strategia UE 2030-2050 (piano per l’Europa).

2.2.11.

Mentre i fondi strutturali dispongono di un meccanismo fortemente burocratico, centralizzato e al tempo stesso decentrato, di preparazione, esecuzione, verifica e analisi, e mentre a livello dell’UE un gran numero di agenzie contribuisce a sostenerne l’applicazione, il meccanismo di gestione creato di recente per il nuovo FEIS si distanzia finora dal quadro della Commissione europea, e la sua nuova struttura organizzativa viene plasmata in funzione delle esigenze dell’ambiente finanziario e di investimento. Il coordinamento delle due grandi strutture sopra descritte presuppone uno strumento strategico e un nuovo sistema di governance (2).

2.2.12.

La creazione di un nuovo sistema di governance orientata allo sviluppo può portare a un coordinamento rafforzato e una cooperazione aperta tra i partner interessati.

2.2.13.

Per accrescere l’efficacia e l’efficienza dei fondi SIE occorre rafforzare il sistema istituzionale del partenariato, che dev’essere esteso, attraverso i diritti di partecipazione pubblica, a ogni cittadino europeo. I cittadini europei dovrebbero poter avere accesso alle informazioni e partecipare alle decisioni di pianificazione e di attuazione. Essi dovrebbero anche essere in grado di esprimere il loro parere in merito ai progetti di programmi, di bandi di gara e di relazioni di valutazione.

3.   Il rafforzamento del partenariato

3.1.

Il Comitato ha già trattato il principio di partenariato e avanzato proposte dettagliate al riguardo in vari pareri.

3.1.1.

In un parere adottato nel 2010 (3) il CESE osservava che i regolamenti in vigore lasciavano ancora troppo spazio ad interpretazioni a livello nazionale del concetto di partenariato e che pertanto la Commissione, in qualità di garante del principio di partenariato, doveva svolgere un ruolo più incisivo e molto più proattivo. Il CESE considerava fondamentale che in tutti i programmi operativi le risorse destinate all’assistenza tecnica dovessero essere riservate ai partner, al fine di potenziare le loro capacità. Auspicava inoltre un ritorno a programmi d’iniziativa comunitaria aventi come obiettivo l’innovazione sociale e lo sviluppo locale.

3.1.2.

In un parere del 2012 (4), il CESE ha appoggiato l’iniziativa della Commissione di istituire un codice di condotta in materia di partenariato. Ha segnalato la preoccupazione della società civile organizzata per la mancata attuazione del principio di partenariato. Ha proposto di creare un sistema di controllo del partenariato, gestito dagli stessi partner. Ha chiesto che una corretta applicazione del codice di condotta costituisse una condizione preliminare per la conclusione di contratti di partenariato con gli Stati membri, e che le risorse assegnate ai programmi operativi fossero integrate con incentivi finanziari. Ha ribadito le sue raccomandazioni sullo sviluppo delle capacità dei partner.

3.2.

La normativa sulla politica di coesione prevede l’elaborazione di un codice di condotta europeo sul partenariato contenente principi guida e buone pratiche.

3.3.

Le esperienze maturate con l’attuazione di tale codice di condotta mostrano che alcuni paesi l’hanno applicato solo formalmente nei processi nazionali di programmazione e nella trasformazione della struttura istituzionale di attuazione dei fondi SIE.

3.4.

In vari paesi i partner non hanno avuto tempo sufficiente per esprimersi in merito ai documenti pertinenti. Essi non sono stati coinvolti nel merito delle principali decisioni strategiche, quali quelle sulla definizione delle priorità e sulle dotazioni finanziarie. Non sono stati introdotti speciali metodi e strumenti di comunicazione e partecipazione volti a incoraggiare la partecipazione attiva.

3.5.

Le analisi realizzate da alcune ONG (5) hanno mostrato che, in vari paesi, sebbene la scelta dei partner presenti nei comitati di sorveglianza sia stata formalmente regolare, la copertura tematica e la rappresentatività non sono sempre state garantite. Lo scambio di informazioni tra le autorità di gestione e i membri dei comitati di sorveglianza è inadeguato.

3.6.

Le autorità competenti per le questioni orizzontali, come ad esempio i ministeri dell’Ambiente, non sono state rappresentate in tutta una serie di importanti comitati di sorveglianza. Le autorità di gestione non si sforzano di coinvolgere i partner della società civile che rappresentano i principi orizzontali nella pianificazione delle gare d’appalto e nella valutazione delle proposte di progetti.

3.7.

In alcuni paesi gli interventi di sviluppo delle capacità dei partner sono insufficienti: si limitano per lo più alle formazioni e al rimborso delle spese di viaggio, mentre non vengono attuate varie proposte del codice di condotta europeo sul partenariato, tra cui il collegamento in rete e il coordinamento, nonché la copertura delle spese per gli esperti necessarie a garantire la partecipazione effettiva di importanti partner.

3.8.

La Commissione europea e gli Stati membri non hanno dedicato sufficiente attenzione all’utilizzazione dello strumento dello sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) nella prima metà del periodo di bilancio.

3.9.

Il CESE ritiene necessario un esame completo delle pratiche di partenariato. Tale esame deve comprendere una valutazione dell’attuazione delle procedure di pianificazione e della struttura istituzionale di attuazione, e valutare in che misura l’attuale sistema normativo sia in grado di condurre a un partenariato efficiente. Occorre coinvolgere attivamente i partner nel processo di valutazione.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE sul tema Il principio di partenariato nell’attuazione dei fondi del quadro strategico comune — elementi per un codice di condotta europeo sul partenariato (GU C 44 del 15.2.2013, pag. 23).

(2)  Parere della commissione Politica di coesione territoriale e bilancio dell’UE sul tema La semplificazione dei fondi SIE dal punto di vista degli enti locali e regionali, relatore: Petr Osvald (CZ/PSE)

(3)  Parere CESE sul tema Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013 (GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 1).

(4)  Cfr. nota 1.

(5)  Analisi delle organizzazioni CEE Bankwatch e SFteam for Sustainable Future.


28.12.2016   

IT

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C 487/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «I diritti dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 487/02)

Relatore:

Adam ROGALEWSKI

Decisione dell’assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

09/09/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

168/2/6

1.   Raccomandazioni

1.1.

Si avverte la necessità di avviare un dibattito sull’adozione di una definizione comune in Europa dell’attività di assistenza svolta da operatori che vivono con le persone che accudiscono, e di riconoscere tale attività come una delle forme di assistenza a domicilio. La definizione dell’attività professionale di assistenza svolta da operatori che vivono con i loro assistiti (in prosieguo: «lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza») dovrebbe contemplare le forme di lavoro di quei lavoratori (dipendenti o autonomi) che alloggiano in abitazioni private all’interno delle quali la loro attività consiste principalmente nell’accudire persone anziane e persone disabili. I lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza – siano essi lavoratori dipendenti o autonomi — dovrebbero essere trattati come parte del sistema di assistenza a lungo termine. Con l’adozione di una definizione comune dell’attività di assistenza svolta da questi operatori si intende riconoscere l’esistenza di tali «lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza» nel mercato del lavoro europeo e si vuol migliorare la qualità dei servizi di assistenza a lungo termine da essi prestati.

1.2.

Ai fini di una corretta informazione per l’elaborazione delle politiche in materia, Eurostat dovrebbe raccogliere dati adeguati sui lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza.

1.3.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) invita la Commissione europea a realizzare uno studio sulla situazione di questi lavoratori, in particolare sulla loro entità numerica, la loro nazionalità, il loro status migratorio, la loro mobilità transfrontaliera, il loro efficace inserimento nel sistema di tutela lavorativa e previdenziale, le loro condizioni lavorative e sociali e le loro qualifiche, come pure sul contributo effettivo e potenziale che essi apportano alle economie dei paesi UE.

1.4.

Il CESE sottolinea che i lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza dovrebbero ricevere un trattamento simile a quello degli altri lavoratori che prestano assistenza, ossia dovrebbero godere di un livello di protezione simile, per quanto riguarda ad esempio i limiti in materia di orario di lavoro (compresi i periodi di reperibilità) e la protezione contro il lavoro autonomo fittizio. I lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza con uno status di lavoratori dipendenti non devono essere esclusi dalle pertinenti normative dell’UE e degli Stati membri in materia di occupazione, concernenti in particolare: una retribuzione adeguata, la tutela della salute e della sicurezza, la copertura previdenziale e il diritto alla libertà di associazione e alla contrattazione collettiva.

1.5.

Le carenze di offerta di manodopera nel settore dell’assistenza a lungo termine in Europa andrebbero risolte garantendo una retribuzione e condizioni di lavoro dignitose, invertendo la tendenza a ridurre gli investimenti, assicurando il rispetto del principio della libera circolazione, rimuovendo gli ostacoli che impediscono ai lavoratori di esercitare i loro diritti del lavoro e creando dei percorsi per l’accesso dei migranti a un impiego in piena regola.

1.6.

Il CESE esorta l’Unione europea a cooperare strettamente con gli Stati membri al fine di coordinare l’offerta e la mobilità dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza, nel quadro di un approccio volto a migliorare la capacità complessiva del settore di erogare cure e assistenza di qualità. Le misure specifiche per conseguire questo risultato dovrebbero puntare a:

migliorare le garanzie previste dalla direttiva sulle sanzioni nei confronti dei datori di lavoro (2009/52/CE) per tutelare i diritti lavorativi dei lavoratori non dichiarati, allo scopo di contrastare l’occupazione irregolare. Si devono applicare rigorosamente le disposizioni della direttiva sui diritti delle vittime (2012/29/UE) per offrire un efficace sostegno ai lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza vittime di sfruttamento, a prescindere dal loro status migratorio;

allineare tutte le pertinenti direttive dell’UE alla convenzione n. 189 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) che riconosce i diritti dei lavoratori domestici;

includere i diritti dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza e dei loro assistiti nelle future revisioni della legislazione o nelle future proposte sulla legislazione dell’UE e degli Stati membri;

dare la priorità alla riforma dei regimi di lavoro svolto dai lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza in seno alla Piattaforma europea contro il lavoro sommerso, un’iniziativa, questa, che il CESE ha accolto con favore;

integrare la questione dei diritti dei prestatori di cure e assistenza nel semestre europeo inserendola anche tra i temi oggetto delle consultazioni sull’iniziativa Un nuovo inizio per affrontare le sfide poste dall’equilibrio tra vita professionale e vita privata;

avviare una campagna di informazione su scala europea in merito ai diritti dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza rivolta ai beneficiari e ai prestatori di assistenza;

promuovere e sostenere la creazione di organizzazioni e cooperative di lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza;

attuare delle procedure per il riconoscimento, l’armonizzazione e la trasferibilità delle qualifiche e delle competenze acquisite dai lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza, utilizzando strumenti di riconoscimento delle qualifiche, in particolare quelli recentemente introdotti dall’agenda per nuove competenze e per l’occupazione (1);

riorientare i fondi europei in modo da finanziare corsi di formazione specifici per i lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza già in attività o potenziali, al fine di migliorare la qualità dell’assistenza;

monitorare e migliorare il distacco dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza applicando il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro.

Va inoltre osservato che la proposta della Commissione relativa ad un pilastro europeo dei diritti sociali non contiene alcun riferimento alla situazione dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza. Nei prossimi lavori su tale pilastro — argomento sul quale attualmente il CESE sta elaborando un parere — si dovrebbe riflettere sull’eventuale inclusione dei diritti sociali di questa particolare categoria di lavoratori.

1.7.

Gli Stati membri devono garantire la tutela dei diritti dei beneficiari e dei prestatori di assistenza, compresi i lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza. Le misure specifiche da adottare dovrebbero puntare a:

ratificare e attuare la convenzione n. 189 (2) dell’OIL e regolarizzare lo status dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza privi di documenti;

introdurre delle misure di sostegno, anche operando in qualità di intermediari per aiutare i beneficiari di assistenza a reperire lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza;

creare un sistema globale di sostegno a favore dei beneficiari di assistenza e delle loro famiglie, che preveda in particolare incentivi fiscali o sovvenzioni;

fornire programmi di formazione per i lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza, che dovrebbero beneficiare di un congedo retribuito al fine di parteciparvi;

promuovere la libertà di associazione e di contrattazione collettiva nel settore, anche sostenendo i diritti dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza e dei loro datori di lavoro di associarsi o di fondare associazioni;

combattere il dumping sociale e lo sfruttamento;

disciplinare in modo proattivo il settore dell’assistenza a lungo termine, soprattutto per quanto concerne la conformità alla legislazione sul lavoro, per garantire che sia le persone che fruiscono di cure e assistenza sia i lavoratori conviventi che prestano tali cure e assistenza siano tutelati. Queste misure devono consentire agli ispettorati del lavoro e agli altri enti pubblici e alle organizzazioni non governative di accedere ai luoghi di lavoro nelle abitazioni private.

1.8.

Il CESE sottolinea che il sostegno finanziario ai beneficiari di cure e assistenza che si affidano a lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza va assicurato tramite adeguati investimenti a lungo termine e sostenibili.

1.9.

I sindacati, i datori di lavoro e le organizzazioni della società civile devono essere coinvolti nella programmazione delle politiche sia a livello di Stati membri che in ambito UE. Dovrebbe essere promosso il dialogo sociale e civile con tutte le parti interessate a tutti i livelli.

1.10.

Il CESE dovrebbe svolgere un ruolo attivo nel promuovere lo sviluppo di politiche europee a favore dei prestatori di cure e assistenza, dei loro assistiti e delle loro famiglie, tra l’altro organizzando un convegno sul futuro dell’attività professionale della prestazione di cure e assistenza in Europa.

2.   Contesto

2.1.

Le carenze di manodopera nel settore delle cure sanitarie sono una «bomba a orologeria» pronta a scoppiare. La crisi è in atto (3) e la mancanza di forza lavoro in questo ambito è destinata ad aumentare ancora se non verranno trovate risposte politiche adeguate. Fin dal 1994 la Commissione europea ha definito strategico il settore dell’attività di cura e assistenza e nel 2010 ha messo sull’avviso segnalando che l’offerta di manodopera nel campo delle cure sanitarie avrebbe registrato un deficit di 2 milioni di lavoratori entro il 2020 se non si fosse intervenuti quanto prima per porre rimedio alla mancanza di fino a 1 milione di lavoratori nel settore dell’assistenza a lungo termine (4).

2.2.

I lavoratori che prestano cure o assistenza e convivono con i loro assistiti sono una quota numericamente rilevante, ma trascurata, della manodopera occupata nell’assistenza a lungo termine. Sono lavoratori estremamente mobili e situati all’ultimo posto nella gerarchia della forza lavoro in questo settore. I lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza sono spesso esclusi dalle considerazioni, a livello europeo e di Stati membri, riguardanti la pianificazione del settore dell’assistenza a lungo termine.

2.3.

Non si conosce con certezza il numero esatto dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza, a causa della carenza di dati in proposito: la categoria è infatti spesso ignorata dai sistemi di raccolta dati. Nel contesto di una forza lavoro occupata nell’assistenza poco riconosciuta e mal retribuita, i lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza sono rimasti troppo a lungo invisibili ai radar dei responsabili politici.

2.4.

La categoria dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza è presente in tutti gli Stati membri. Molti di essi sono migranti provenienti da paesi terzi, altri invece sono cittadini europei che lavorano nei propri paesi di origine o all’estero. Alcuni di loro lavorano senza essere in regola o come migranti privi di documenti, e altri ancora compiono movimenti di migrazione temporanea o circolare. Molti lavorano in condizioni di lavoro precarie, tra cui il lavoro autonomo fittizio.

2.5.

Dal momento che attualmente non disponiamo di una precisa definizione dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza, la loro situazione è equiparata a quella dei lavoratori domestici (5). Secondo l’OIL, nei paesi industrializzati il lavoro domestico, compreso il settore delle attività di cura e assistenza, è pari a una percentuale compresa tra il 5 % e il 9 % dell’occupazione totale (6).

2.6.

Con la firma della convenzione n. 189 dell’ILO (Convenzione sul quadro promozionale per la salute e la sicurezza sul lavoro), alcuni Stati membri hanno compiuto passi avanti riconoscendo formalmente e integrando i migranti sprovvisti di documenti in quanto lavoratori occupati in attività di cura e assistenza.

2.7.

Il CESE ha già contribuito alla definizione di politiche sull’assistenza a lungo termine elaborando dei pareri sui temi dei diritti del lavoro dei lavoratori domestici (7), sulla necessità di investimenti sociali (8) e sull’assistenza sociale a lungo termine e la deistituzionalizzazione (9). Il presente parere prende le mosse dalle posizioni formulate in questi precedenti pareri, rivolgendo in particolare l’attenzione alla situazione specifica dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza.

3.   Carenze di manodopera, austerità, migrazione e lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza

3.1.

L’assistenza a domicilio è in rapida espansione, per effetto della preferenza sempre più marcata degli assistiti a ricevere cure a domicilio, dei costi, per molte persone proibitivi, dell’assistenza residenziale (ossia, del ricovero in strutture di accoglienza) e della mancanza di investimenti infrastrutturali adeguati nel settore delle attività di cura e assistenza.

3.2.

Le misure di austerità adottate in molti Stati membri hanno portato a una riduzione delle già limitate infrastrutture disponibili e della già scarsa offerta di manodopera nel settore dell’assistenza a lungo termine. A giudizio del CESE, gli investimenti nell’assistenza a lungo termine vanno accolti con favore, considerandoli quindi un’opportunità economica e un ambito prioritario per la creazione di occupazione, il sostegno sociale alle famiglie e la parità di genere. Investire in questo settore aumenta i tassi di partecipazione alla forza lavoro e offre anche una possibile via di uscita dalla crisi economica (10).

3.3.

La carenza di forza lavoro nel settore dell’assistenza è assai diffusa in molti Stati membri. L’assunzione di lavoratori conviventi, sia regolari che sprovvisti di documenti, per la prestazione di cure e assistenza attenua le carenze nel settore dell’assistenza a lungo termine. Soprattutto i sistemi di erogazione di cure e assistenza dei paesi dell’Europa meridionale dipendono in larga misura dal ricorso a lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza. In Italia i migranti che lavorano come prestatori conviventi di cure e assistenza sono circa i tre quarti della forza lavoro occupata nell’assistenza a domicilio (11).

3.4.

La carenza di forza lavoro nel settore dell’assistenza, come anche l’aumento della domanda di cure in Europa occidentale si avvertono anche nei paesi dell’Europa centrale e orientale. La Polonia, ad esempio, fornisce numerosi lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza, nonostante il fatto che il mercato del personale di assistenza domestica si sia impoverito. Tale carenza viene sopperita dall’arrivo in Polonia di lavoratori dall’Ucraina e da altri paesi non appartenenti all’UE.

3.5.

Malgrado una crescente consapevolezza dell’importanza del settore delle attività di cura e assistenza per la prosperità economica, il contributo che i lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza apportano all’economia europea non è quantificato e dovrebbe essere studiato in una ricerca su scala europea.

3.6.

In Europa sono numerose le donne appartenenti alla cosiddetta «generazione sandwich», chiamate cioè a occuparsi sia dei genitori che dei figli. Per svolgere questo lavoro esse si affidano sempre più spesso a personale remunerato. In un mondo in cui l’attività di cura e assistenza è ormai globalizzata, la conseguenza di questo fenomeno è l’aumento di catene globali dell’assistenza (12). I prestatori di cure e assistenza che emigrano per motivi di lavoro sono spesso costretti a cercare persone che accudiscano i loro stessi familiari, ricorrendo a loro volta all’assistenza prestata da personale remunerato proveniente da altri contesti caratterizzati, in molti casi, da una maggiore povertà.

4.   Condizioni di lavoro dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza

4.1.

Lo status di basso livello occupato dai lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza deriva dall’idea, legata al genere, che l’attività di cura e assistenza sia un «lavoro femminile» poco qualificato; inoltre, questo status inferiore è corroborato anche dall’emarginazione strutturale che subiscono le donne migranti. In diversi studi condotti sulla forza lavoro, i lavoratori domestici sono classificati come scarsamente o per nulla qualificati. Tuttavia, un numero considerevole di lavoratori conviventi che prestano cure e assistenza possiede competenze e qualifiche che sono frutto di anni di esperienza o di formazione formale e programmi di certificazione non riconosciuti. I lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza sono spesso tenuti a dimostrare di avere esperienza in questo campo e di possedere delle qualifiche prima di venire assunti, anche se ciò poi non trova riscontro nelle loro condizioni di lavoro.

4.2.

Numerosi lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza operano con rapporti di lavoro non regolamentati e molti di essi lavorano senza essere in regola. Sono spesso esclusi dall’esercizio dei loro diritti lavorativi e sono esposti allo sfruttamento. Queste condizioni sono assimilabili a una sorta di schiavismo moderno: può capitare che essi siano isolati, fatti oggetto di violenze o di abusi, costretti a lavorare 24 ore al giorno e 7 giorni su 7, senza poter riposare e senza neppure beneficiare di condizioni di vita essenziali, ad esempio la disponibilità di uno spazio personale privato. Altri lavorano come falsi lavoratori autonomi. In molti casi gli ispettorati del lavoro e altri dipartimenti dell’amministrazione statale incaricati dei controlli, come anche i sindacati, non hanno accesso ai prestatori di cure e assistenza sul luogo di lavoro (vale a dire in abitazioni private).

4.3.

Le misure di regolarizzazione e di legalizzazione dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza devono essere sostenute, al fine di garantire percorsi legali nel settore delle attività di cura e assistenza. Un simile approccio non è nuovo. A partire dal 2002 le autorità spagnole e quelle italiane hanno provveduto a regolarizzare circa 500 000 lavoratori domestici privi di documenti (13). Devono essere sviluppate politiche in materia di migrazione della forza lavoro che consentano a cittadini di paesi terzi di lavorare in regola nel settore dell’assistenza, con parità di trattamento e con il diritto di cambiare datore di lavoro.

4.4.

Tra la forza lavoro occupata nell’assistenza a lungo termine, i lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza sono una delle categorie con la più alta mobilità. Questi lavoratori provenienti da paesi dell’Europa centrale e orientale tendono a essere donne di mezza età che hanno loro stesse obblighi familiari (14). È frequente che i lavoratori dei paesi dell’Europa centrale e orientale svolgano attività di assistenza per periodi fino a tre mesi nei paesi dell’Europa occidentale, per poi ritornare nel loro paese d’origine.

4.5.

Per i loro paesi di origine, i movimenti migratori di lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza qualificati verso i paesi che li accolgono costituiscono una significativa «fuga di manodopera». Il mancato riconoscimento delle qualifiche di questi lavoratori nei paesi di accoglienza si traduce in un danno sociale ed economico in un contesto di generale carenza di manodopera nel settore dell’assistenza sanitaria a livello sia europeo che mondiale.

4.6.

Tutte queste condizioni rispecchiano il fatto che i diritti dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza non sono adeguatamente tutelati nell’ambito dei quadri giuridici esistenti a livello sia europeo che nazionale.

4.7.

Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare e dare sostegno ai lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza per evitare che lavorino in condizioni irregolari.

5.   Il ruolo dei beneficiari di cure e assistenza e delle loro famiglie

5.1.

Coloro che hanno bisogno di cure e assistenza e le loro famiglie incontrano delle difficoltà nel reperire lavoratori capaci di prestare tale assistenza. Nella maggior parte dei casi, questi lavoratori vengono assunti tramite reti informali di familiari o di amici, vale a dire in circostanze che sovente offrono scarse garanzie circa la qualità dell’assistenza prestata dalle persone reperite. In molti casi i familiari degli assistiti si trovano a non disporre di orientamenti precisi su come impiegare legalmente questi prestatori di cure e assistenza.

5.2.

Gli assistiti e le loro famiglie dovrebbero ricevere un sostegno in materia dalle autorità statali. Nell’immediato o quasi, questo dovrebbe consistere in una campagna di informazione e in un aiuto permanente per quanto riguarda i diritti del lavoro e previdenziali dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza. In una prospettiva di lungo periodo, gli Stati membri dovrebbero prendere provvedimenti per garantire la supervisione e la presenza di un intermediario che aiuti coloro che hanno bisogno di cure e assistenza a reperire lavoratori conviventi che prestino tali cure e assistenza.

5.3.

Gli assistiti e le loro famiglie dovrebbero poter fruire di una serie di servizi di sostegno, in funzione delle esigenze della persona bisognosa di assistenza e della sua famiglia, che possono comprendere servizi di assistenza a domicilio con contratto a tempo parziale o a tempo pieno. Tutti gli accordi per la prestazione di assistenza devono garantire condizioni dignitose per i lavoratori, siano questi autonomi o dipendenti.

5.4.

Gli assistiti e le loro famiglie dovrebbero altresì essere maggiormente sensibilizzati alle esigenze dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza e incoraggiati a trattarli come lavoratori che meritano rispetto e diritti. Prestare cure e assistenza è un’attività estremamente impegnativa, sia fisicamente che emotivamente. Ai lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza dovrebbero essere garantiti un vero e proprio alloggio e uno spazio privato adeguato, nonché, nel caso essi siano lavoratori dipendenti, il rispetto di limiti per quanto riguarda gli orari di lavoro, compresi i tempi di reperibilità.

5.5.

Allo stesso tempo, vanno tutelati anche i diritti degli assistiti a ricevere cure e assistenza adeguate. Questo vale in particolare per i gruppi vulnerabili e le persone con esigenze specifiche, ad esempio quelle affette da demenza.

6.   Il ruolo dei datori di lavoro

6.1.

Nel settore della prestazione di cure e assistenza da parte di lavoratori che convivono con i loro assistiti sono sempre più attive numerose imprese di piccole dimensioni, in particolare agenzie di collocamento della manodopera, che operano parallelamente a un settore informale per nulla regolamentato.

6.2.

Il settore delle attività di cura e assistenza può contribuire alla creazione di posti di lavoro dignitosi presso le abitazioni private e alla crescita nell’economia europea. Soltanto posti di lavoro di qualità possono garantire la qualità dei servizi di cura e assistenza prestati.

6.3.

L’assenza di regolamentazione per quanto riguarda l’attività di cura e assistenza esercitata dai lavoratori conviventi a livello transfrontaliero consente a talune imprese di offrire tariffe inferiori per lo stesso lavoro. Queste pratiche contribuiscono al dumping sociale. Il fenomeno è evidente soprattutto nel caso di agenzie polacche o slovacche che inviano prestatori conviventi di cure e assistenza in Europa occidentale (15). Il perdurare di una simile situazione di concorrenza sleale danneggia i lavoratori, i datori di lavoro e l’economia europea.

7.

Il ruolo della società civile

7.1.

Le organizzazioni comunitarie di base, le associazioni religiose (16) e i datori di lavoro pubblici e privati svolgono un ruolo centrale nell’erogare cure e assistenza a vari livelli. Numerose organizzazioni comunitarie di base hanno contribuito a regolarizzare i lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza migranti (17).

7.2.

Tuttavia, in numerosi Stati membri il livello di sostegno alla prestazione di cure e assistenza è inadeguato. La recente crisi economica ha determinato una carenza di investimenti nei servizi di cura e assistenza in tutta Europa, con conseguenti sviluppi negativi come il deterioramento della qualità dell’assistenza erogata e il peggioramento delle condizioni di lavoro.

7.3.

Le organizzazioni dei prestatori di cure e assistenza dovrebbero essere adeguatamente finanziate per soddisfare le esigenze della crescente domanda di cure e assistenza. Considerata l’esperienza che hanno maturato, occorre coinvolgere questi enti in un autentico dialogo sociale e civile per giungere a un insieme di norme del settore sulle modalità di organizzazione e di prestazione delle cure e dell’assistenza.

8.   Il ruolo degli Stati membri e dell’Unione europea

8.1.

La Svezia costituisce un buon esempio di paese con prestazioni assistenziali di qualità in cui sono coinvolti tutti i soggetti interessati. Il sistema svedese si basa su un elevato sostegno pubblico finanziato dal gettito fiscale (18). Sistemi di buoni lavoro come quelli applicati in Francia e in Belgio hanno contribuito a formalizzare il lavoro domestico e, in alcuni casi, hanno migliorato le condizioni di lavoro degli addetti ai servizi domestici. Nel caso del Belgio, peraltro, le prestazioni di cure e assistenza sono escluse da tale sistema (19).

8.2.

L’Austria ha messo a punto un sistema di lavoratori autonomi conviventi che prestano cure e assistenza per soddisfare le esigenze di assistenza a lungo termine e stabilire una serie di obblighi giuridici in materia di qualità e condizioni generali per la prestazione dei servizi. Nel 2015 sono stati introdotti ulteriori miglioramenti per quanto riguarda gli standard di qualità e la trasparenza. In Austria i cittadini fanno ampio ricorso a tale sistema, che è tuttavia criticato dai sindacati austriaci poiché, secondo loro, andrebbe a danno delle norme del lavoro.

8.3.

Dato che i modelli di buone pratiche in materia di prestazioni assistenziali di qualità non sono sempre interamente trasponibili in tutti gli Stati membri, si dovrebbe coordinare su scala europea un approccio olistico a tutti i livelli che comprenda l’insieme dei soggetti interessati.

8.4.

Il CESE è convinto che l’Unione europea debba monitorare l’offerta e la mobilità dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza sul territorio europeo, e debba promuovere metodi tesi a migliorare la capacità complessiva del settore di erogare cure e assistenza di qualità e di creare posti di lavoro dignitosi.

8.5.

La questione della carenza di offerta di manodopera nel settore delle attività di cura e assistenza deve figurare in cima all’agenda dell’UE. Occorre riservare una particolare attenzione ai lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza, una categoria largamente trascurata nei paradigmi strategici attuali.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2010) 682 final: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52010DC0682&from=IT

(2)  La Convenzione n. 189 dell'ILO, entrata in vigore il 5 settembre 2013, è stata ratificata sinora da Belgio, Germania, Finlandia, Irlanda, Italia, Portogallo e Svizzera, oltre che da 14 paesi extra-europei.

(3)  UNI Europa UNICARE (2016).

(4)  Commissione europea (2013).

(5)  Nella definizione di Eurostat, il lavoro domestico comprende le attività di famiglie che impiegano personale domestico, ossia collaboratrici domestiche, cuochi, camerieri, guardarobieri, lavandaie, giardinieri, custodi, governanti, baby-sitter, istitutori, segretari ecc.

(6)  International Labour Organisation (Organizzazione internazionale del lavoro) (2012).

(7)  GU C 21 del 21.1.2011, pag. 39, GU C 12 del 15.1.2015, pag. 16, GU C 242 del 23.7.2015, pag. 9.

(8)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 91 e GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21.

(9)  GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 1.

(10)  GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21.

(11)  Servizio Ricerca del Parlamento europeo (European Parliamentary Research Service — EPRS), 2016.

(12)  Hochschild, A. R. (2000) «Global Care Chains and Emotional Surplus Value» in Hutton, W. e Giddens, A. (cur.). On The Edge: Living with Global Capitalism, Londra.

(13)  Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants (Piattaforma per la cooperazione internazionale sui migranti privi di documenti — PICUM) (2013).

(14)  Testimonianza di Alina Badowska, lavoratrice convivente che svolge attività di cura e assistenza (2016), nel quadro dell’audizione pubblica per il presente dossier SOC/535.

(15)  Esperienze tratte dal progetto Mobilità equa della Confederazione dei sindacati tedeschi (Deutsche Gewerkschaftsbund — DGB): www.faire-mobilitaet.de.

(16)  In Germania, in particolare, le organizzazioni Caritas e Diakonie svolgono un ruolo importante nel fornire sostegno ai prestatori conviventi e ai beneficiari di cure e assistenza.

(17)  Ad esempio: www.gfambh.com.

(18)  Sweden.se (2016).

(19)  International Labour Organisation (Organizzazione internazionale del lavoro) (2013).


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «La politica dell'UE in materia di biodiversità»

(parere d'iniziativa)

(2016/C 487/03)

Relatore:

Lutz RIBBE

Decisione dell'Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d'iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

05/09/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

156/31/22

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni del Comitato

1.1.

La politica dell'UE in materia di biodiversità costituisce un classico esempio di politica di promesse non mantenute a livello europeo e nazionale, e questo nonostante in tale contesto vengano individuati e definiti del tutto correttamente sia i problemi sia gli strumenti necessari.

1.2.

Il CESE richiama l'attenzione sulle osservazioni della Commissione relative all'importanza di tutelare la biodiversità, la quale è comparabile a quella della protezione del clima. Non è in gioco solo la conservazione di specie animali e vegetali, bensì le basi stesse del sostentamento dell'umanità.

1.3.

Il CESE chiede che la direttiva sugli habitat e quella sugli uccelli vengano applicate in maniera coerente e senza indugio. Anche l'attuazione coerente e immediata della direttiva quadro sulle acque darebbe, secondo il CESE, un contributo considerevole a una migliore tutela della biodiversità.

1.4.

Gli Stati membri devono finalmente definire le concrete esigenze finanziarie derivanti dall'attuazione del diritto europeo, e la Commissione deve stanziare i fondi necessari. Poiché il finanziamento di Natura 2000 attraverso i fondi UE, soprattutto il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), è da considerare in gran parte fallito, il CESE chiede che venga istituita una voce di bilancio a sé stante per il finanziamento della rete Natura 2000.

1.5.

Il CESE chiede che sia garantita la coerenza tra tutti gli ambiti di intervento che si ripercuotono sulla tutela della biodiversità. In questo contesto il CESE si attende che già la revisione intermedia delle aree di interesse ecologico e un'eventuale revisione intermedia della PAC vengano utilizzate per fare in modo che in futuro la PAC contribuisca in maniera mirata al raggiungimento degli obiettivi in materia di biodiversità. A giudizio del CESE occorre adesso introdurre delle modifiche relative alle dimensioni e alla qualità delle aree di interesse ecologico.

1.6.

Il Comitato accoglie con grande favore il rafforzamento dell'infrastruttura verde e invita la Commissione e gli Stati membri a sviluppare e attuare una strategia coerente a tal riguardo. Inoltre, l'UE dovrebbe fare delle reti transeuropee verdi (TEN-G) una priorità di investimento. Anche per questo occorrono urgentemente stanziamenti appositi.

1.7.

Non ci sono cambiamenti sostanziali per quanto riguarda l'incoerenza delle politiche dell'UE, contestata e criticata in più occasioni negli ultimi anni dai servizi della Commissione, dal Consiglio Ambiente, dal Parlamento europeo, dal CdR e anche dal CESE. Quando tuttavia le proposte volte a risolvere i problemi legati alla biodiversità non vengono prese sul serio e non vengono applicate, non vi è da sorprendersi se: a) i risultati auspicati non si realizzano, b) insorge delusione tra le parti coinvolte e nella società.

1.8.

Le varie strategie e i programmi d'azione dell'UE sulla biodiversità adottati negli anni 1998, 2001, 2006 e 2010, che ogni volta hanno descritto in modo appropriato i problemi e presentato gli strumenti corretti, devono perciò essere considerati retrospettivamente in larga parte inutili, in quanto non sono stati in grado di tenere fede alle promesse politiche e di mettere un freno alla perdita di biodiversità causata dalla società.

1.9.

Pertanto il CESE osserva nuovamente, come già in molti precedenti pareri sulla politica dell'UE in materia di biodiversità, che ciò che manca è la volontà politica e non i fondamenti giuridici. Le basi giuridiche in vigore non hanno bisogno di essere modificate.

2.   Contesto: cronologia della politica dell'UE in materia di biodiversità e reazioni del CESE

2.1.

Dopo che nel quadro della strategia sulla biodiversità (1), adottata nel 1998 era stato constatato che «la ricca diversità biologica dell'Unione europea ha subito lenti cambiamenti nel corso dei secoli, dovuti all'impatto delle attività umane» e «negli ultimi decenni l'intensità di questo impatto è aumentata drasticamente», nel 2001, con la strategia per lo sviluppo sostenibile (Strategia di Göteborg) adottata dal Consiglio europeo, sono stati formulati degli obiettivi chiari nell'ambito della biodiversità, vale a dire arginare la perdita di biodiversità nell'UE entro il 2010 e provvedere al ristabilimento degli habitat e degli ecosistemi naturali.

2.2.

Al fine di mettere in atto tale obiettivo, nel 2001 è stato pubblicato un piano d'azione sulla biodiversità (2) a cui è seguito, nel maggio 2006, un ulteriore piano d'azione sulla biodiversità (3), il quale, tuttavia, si differenziava ben poco dal primo a livello di contenuti.

2.3.

A marzo 2010 i capi di Stato e di governo dell'UE hanno dovuto ammettere che non avrebbero mantenuto la promessa fatta nel 2001, nonostante i diversi piani d'azione, che il CESE aveva di volta in volta giudicato adeguati e pertinenti.

2.4.

In seguito, sulla base della comunicazione della Commissione intitolata Soluzioni per una visione e un obiettivo dell'UE in materia di biodiversità dopo il 2010  (4), è stata adottata una nuova Strategia sulla biodiversità fino al 2020  (5), che tuttavia in sostanza non faceva altro che riprendere le vecchie richieste e i vecchi strumenti dei precedenti piani d'azione e spostare al 2020 l'obiettivo inizialmente fissato per il 2010.

2.5.

In questo documento viene annunciato in modo ottimistico che «La strategia dell'UE a favore della biodiversità per il 2020 (…) ben indirizza l'UE verso il conseguimento di tutti gli obiettivi nel campo della biodiversità, sia quelli che si è data sia quelli che ha assunto a livello internazionale».

2.6.

Il CESE si era espresso anche riguardo a tale strategia (6) e aveva presentato delle note critiche, manifestando tra l'altro la propria preoccupazione per il fatto che «finora i decisori politici non hanno trovato la forza, o la volontà, di realizzare misure riconosciute da anni come indispensabili, nonostante la comunicazione sottolinei per l'ennesima volta che sia la società che l'economia possono trarre vantaggio da una politica convincente in materia di biodiversità. Nemmeno le direttive fondamentali in materia di protezione della natura approvate dall'UE sono state pienamente attuate dagli Stati membri, e questo ben 32 e 19 anni dopo la loro entrata in vigore».

2.7.

Secondo quanto affermava all'epoca il CESE «Purtroppo rimane poco chiaro come si potrà superare la mancanza di volontà politica fin qui registrata. In questo senso, la proposta di strategia sulla biodiversità non comporta alcun progresso reale. I dibattiti finora tenutisi in sede di Consiglio dei ministri in merito alla comunicazione in esame mostrano come siamo ancora molto lontani dal realizzare l'integrazione della politica per la biodiversità nelle altre politiche settoriali».

2.8.

Già all'epoca il Comitato riteneva molto importante che nel quadro delle previste riforme di alcune politiche (tra cui quelle in materia di pesca, agricoltura, trasporti, energia e coesione) venisse stabilita una stretta connessione con la strategia in materia di biodiversità. Il Comitato però vedeva ancora sostanziali mancanze e giungeva di conseguenza alla conclusione che «la Commissione deve prendere più sul serio la strategia sulla biodiversità che essa stessa ha varato».

2.9.

A distanza di soli quattro anni è rimasto ben poco della rivendicazione formulata nella nuova strategia dell'UE sulla biodiversità, secondo cui era stata individuata la strada giusta e si voleva finalmente arrestare la perdita di biodiversità. Ciò risulta molto chiaramente dalla revisione intermedia della strategia sulla biodiversità (7).

3.   Revisione intermedia dell'attuale strategia sulla biodiversità

3.1.

La strategia in sé comprende complessivamente sei obiettivi specifici ben definiti, con un totale di 20 misure. La revisione intermedia sostiene:

3.1.1.

in relazione all'obiettivo specifico n. 1 («Arrestare il deterioramento dello stato di tutte le specie e gli habitat contemplati nella legislazione dell'UE in materia ambientale e conseguire un miglioramento significativo e quantificabile del loro stato …»), che certamente sono stati fatti alcuni progressi, tuttavia questi sono troppo lenti ai fini del raggiungimento dell'obiettivo. Soprattutto mancano il completamento della rete Natura 2000 nell'ambito delle zone marine, la garanzia inerente la gestione effettiva dei siti Natura 2000 e la messa a disposizione dei finanziamenti necessari per sostenere la rete Natura 2000. Inoltre, anche se nel frattempo la rete Natura 2000 è «essenzialmente» completa, nel 2012 esistevano o erano in fase di sviluppo dei piani di gestione solamente per il 58 % dei siti Natura 2000;

3.1.2.

in relazione all'obiettivo specifico n. 2 («Entro il 2020 preservare e valorizzare gli ecosistemi e i relativi servizi mediante l'infrastruttura verde e il ripristino di almeno il 15 % degli ecosistemi degradati»), che attraverso le misure adottate sinora non è stato possibile fermare «la tendenza al degrado di ecosistemi e servizi»;

3.1.3.

in relazione all'obiettivo specifico n. 3 («Incrementare il contributo dell'agricoltura e della silvicoltura al mantenimento e al rafforzamento della biodiversità»), che non ci sono stati «progressi significativi» e che «il continuo peggioramento dello stato di specie e habitat di importanza per l'UE connessi all'agricoltura indica che sono necessarie ulteriori misure per conservare e migliorare la biodiversità in queste aree. La politica agricola comune (PAC) ha un ruolo essenziale da svolgere in questo processo, in combinazione con le politiche ambientali pertinenti». Esistono senz'altro vari strumenti in questo campo, ma essi tuttavia devono essere adoperati dagli Stati membri «in misura sufficiente». Solo laddove queste pratiche sostenibili fossero «maggiormente diffuse», l'UE potrebbe raggiungere l'obiettivo entro il 2020. Complessivamente sono necessari sforzi molto più intensi;

3.1.4.

in relazione all'obiettivo specifico n. 4 («Garantire l'uso sostenibile delle risorse alieutiche»), che «si sono realizzati progressi significativi nell'istituzione del quadro normativo, … tuttavia, l'attuazione delle normative non è stata uniforme nell'UE e restano da raccogliere alcune sfide di grande portata per garantire che gli obiettivi siano conseguiti entro i termini previsti. Solo poco più del 50 % degli stock valutati in base al rendimento massimo sostenibile è stato pescato in modo sostenibile nel 2013». In tutti i mari europei si continua a registrare un regresso;

3.1.5.

in relazione all'obiettivo specifico n. 5 («Combattere le specie esotiche invasive»), che questo è l'unico obiettivo per il quale l'UE è «sulla buona strada» e ci si aspetta di poter raggiungere l'obiettivo fissato per il 2020;

3.1.6.

in relazione all'obiettivo specifico n. 6 («Contribuire a evitare la perdita di biodiversità su scala mondiale»), che «tuttavia, i progressi registrati sono insufficienti per limitare l'impatto esercitato dai modelli di consumo dell'UE sulla biodiversità mondiale» e «gli sforzi sinora profusi potrebbero non essere sufficienti per realizzare entro i termini previsti gli obiettivi di Aichi relativi alla biodiversità».

3.2.

Questa revisione intermedia non entusiasmante è stata presentata proprio nel momento in cui la Commissione europea stava riflettendo su una sostanziale revisione delle principali direttive UE in materia di protezione della natura: la direttiva sugli uccelli selvatici del 1979 e la direttiva sulla flora, la fauna e l'habitat del 1992.

3.3.

Le relazioni degli esperti (8) sul controllo dell'adeguatezza di queste due direttive confermano quello che il CESE ripete insistentemente da anni: il quadro giuridico è sufficiente e non deve essere considerato responsabile del mancato raggiungimento degli obiettivi di tutela della biodiversità. I principali difetti si trovano nella mancata attuazione, nella mancanza di un bilancio per la protezione della natura e nell'incoerenza della politica dell'UE in materia.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE ribadisce le sue constatazioni secondo cui nell'UE «Quel che manca per la conservazione della biodiversità non sono leggi, direttive, programmi, progetti pilota, dichiarazioni politiche o istruzioni per l'uso: c'è invece bisogno di passare all'attuazione e di varare azioni concertate a tutti i livelli d'intervento politico». Il Comitato constata che tali affermazioni sono confermate non solo dallo studio di valutazione, ma anche dalle conclusioni del Consiglio Ambiente del 16 dicembre 2015 (9), le quali sostanzialmente non si differenziano da quelle del 2011. Finché le direttive non verranno attuate completamente, finché non verranno stanziati ed utilizzati finanziamenti sufficienti e finché gli altri ambiti politici dell'UE non terranno conto in modo coerente della questione della biodiversità, non sarà possibile raggiungere i traguardi sperati.

4.2.

La redazione di nuovi documenti strategici o di piani di azione e/o la revisione del quadro giuridico non cambiano nulla, bensì semmai simulano un'attività politica destinata a risultare inconcludente qualora non vengano rimossi i problemi reali legati alla mancata attuazione.

4.3.

Per poter essere efficaci nel mantenimento della biodiversità, occorrono diversi approcci:

4.4.    Creazione della rete Natura 2000

4.4.1.

La rete Natura 2000 è sicuramente un elemento chiave per la protezione «classica» della natura, quindi ad esempio per la salvaguardia di specie animali e vegetali rare e di ecosistemi unici (come brughiere, zone aride, resti di formazioni forestali seminaturali ecc.). Essa si basa sulla direttiva Habitat del 1992 e sulle zone di protezione speciale per gli uccelli previste già dalla direttiva Uccelli del 1979.

4.4.2.

Con l'attuazione della direttiva Habitat, gli Stati membri e la Commissione europea hanno preso due impegni:

da una parte la creazione della rete Natura 2000 entro 3 anni (10),

dall'altra lo stanziamento di fondi per non gravare sui proprietari e sugli utilizzatori dei terreni.

4.4.3.

La rete avrebbe dovuto essere ultimata nel 1995, ossia oltre 20 anni fa. Anche se è già stata completata la designazione della maggior parte dei siti Natura 2000, e questi rappresentano il 18 % delle superfici agricole degli Stati dell'UE, la mera designazione non è risolutiva. Per molti siti non vi è alcuna garanzia giuridica duratura e solo per poco più della metà dei siti esistono piani di sfruttamento o di gestione. Tuttavia finché per i cittadini e le amministrazioni, ma in particolare per i proprietari e gli utilizzatori dei terreni, non sarà chiaro cosa sia consentito e cosa non lo sia, non può esserci alcuna protezione efficace della natura, né potranno essere concesse compensazioni per eventuali vincoli d'impiego.

4.4.4.

È significativo che il Consiglio dei ministri dell'Ambiente, nella riunione del 19 dicembre 2011, abbia incoraggiato gli Stati membri, e quindi sé stesso «a completare in maniera tempestiva la creazione della rete Natura 2000 e a sviluppare e attuare piani di gestione o altri strumenti equivalenti (…) gettando in tal modo solide basi per la pianificazione strategica in vista della successiva attuazione del QFP 2014-2020». Quel che avrebbe dovuto essere pronto 20 anni fa, è stato ancora una volta richiesto in maniera tempestiva nel 2011 e, ad oggi, non è stato ancora realizzato.

4.4.5.

Perciò il Consiglio Ambiente del 16 dicembre 2015 ha chiesto ancora una volta agli Stati membri, e quindi a sé stesso, questa volta persino «sollecitandolo», di «completare l'istituzione della rete Natura 2000».

4.5.    Misure al di fuori dei siti protetti

4.5.1.

La Commissione, il Consiglio Ambiente e anche il Parlamento europeo (11) sottolineano, a ragione, che la politica in materia di biodiversità non è solo una questione di tutela delle specie animali e vegetali e degli habitat, ma anche una questione di risorse produttive e di mezzi di sussistenza per il genere umano. Uno dei tanti esempi a riguardo è l'impollinazione, da parte di insetti come api o farfalle, il cui valore economico è inestimabile, non solo per l'agricoltura. Ma la Commissione ha dovuto constatare che gli ecosistemi «non riescono più a fornire in quantità e qualità ottimali i servizi di base, come l'impollinazione delle colture, aria e acqua pulite» (12).

4.5.2.

Il mantenimento (delle prestazioni) degli impollinatori o degli agenti responsabili della decomposizione, ma anche, ad esempio, di molte altre specie, non può essere garantito grazie alla mera designazione dei siti protetti. Pertanto la politica dell'UE in materia di biodiversità deve formulare anche una richiesta generalizzata, al di fuori dei siti protetti; in questo contesto la coerenza con la politica di utilizzo del suolo ha un ruolo chiave.

4.5.3.

A tal proposito è assolutamente corretto che tanto la Commissione quanto il Consiglio insistano sull'importanza, ad esempio, del settore agricolo, da ultimo nella revisione intermedia: il Consiglio «rileva con preoccupazione che l'agricoltura esercita una delle principali pressioni sugli ecosistemi terrestri e che fino al 2012 non si è registrato alcun miglioramento misurabile nello stato degli habitat e delle specie connessi all'agricoltura e contemplati dalla direttiva Habitat e si rammarica del significativo declino delle popolazioni di uccelli in habitat agricolo e di farfalle comuni e delle attività di impollinazione, che evidenzia la costante pressione esercitata da alcune pratiche agricole, ad esempio alcune modalità di abbandono e di intensificazione dei terreni agricoli» (13).

4.6.    Incoerenza delle politiche dell'UE

4.6.1.

Nella strategia sulla biodiversità dell'UE per il 2020 si sottolinea come questa sia «parte integrante della strategia Europa 2020» (14); tuttavia i concetti di «biodiversità», «habitat», «protezione della natura» oppure «protezione delle specie» nonché «tutela della biodiversità delle risorse genetiche» o ancora «ecosistema» nella strategia Europa 2020 non figurano nemmeno una volta. Soltanto il concetto di «biodiversità» viene menzionato brevemente due volte, e solo a proposito di «impiego efficiente delle risorse». Perciò, al CESE risulta del tutto incomprensibile come la Commissione europea pervenga a tale affermazione: la sua politica reale dimostra esattamente il contrario.

4.6.2.

Proprio la strategia Europa 2020 avrebbe invece rappresentato l'ambito giusto per affrontare il problema, dopo che la strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile del 2001 ha praticamente perso qualsiasi ruolo nelle politiche in questo campo. Il CESE ha chiesto ripetutamente ai ministri dell'Economia e delle finanze di riflettere, ad esempio, sulla rilevanza economica del calo della biodiversità (15). Tale riflessione, tuttavia, non ha ancora avuto luogo.

4.6.3.

Poiché gli obiettivi delle direttive UE in materia di protezione della natura e della strategia UE sulla biodiversità corrispondono anche agli obiettivi concordati a livello internazionale (ad esempio gli obiettivi di Aichi nell'ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica oppure gli obiettivi di sviluppo sostenibile), urge integrare in modo ampio la politica in materia di biodiversità nella strategia di attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, come pure in una nuova strategia europea per lo sviluppo sostenibile.

4.6.4.

Tuttavia molti servizi della Commissione e alcuni Consigli dei ministri dell'UE hanno considerato finora la politica in materia di biodiversità come un ambito di intervento concorrente, che blocca o impedisce in parte lo sviluppo economico e per di più vincola risorse finanziarie.

4.6.5.

È tuttavia innegabile che vi siano conflitti tra differenti destinazioni d'uso, e si verifica che vengano prevenuti, tra l'altro mediante le direttive in materia di protezione della natura, impatti negativi sull'equilibrio naturale. È proprio questo, però, il compito della protezione della natura, agire a livello statale per garantire un rapporto equilibrato tra sfruttamento economico e salvaguardia delle fonti di sostentamento naturali. La protezione della natura non si differenzia da altri settori di intervento quando le disposizioni legislative vanno a regolare il «libero gioco delle forze di mercato».

4.6.6.

La mancanza di effettiva coerenza tra la politica economica classica e la politica ambientale non è una novità. Già nel 2006 il CESE (16) si rammaricava «del divario esistente tra le dichiarazioni d'intenti e la realtà» e del fatto che decisioni pubbliche di pianificazione e i relativi programmi «spesso contribuiscono a mettere a repentaglio la biodiversità».

4.6.7.

La causa principale di questo conflitto di obiettivi è la contraddizione tra il perseguimento di interessi particolari, specialmente di natura economica, e l'interesse generale. Le dichiarazioni formulate finora dall'UE devono essere interpretate nel senso che l'Unione prende posizione per una tutela della biodiversità orientata al bene comune. Di conseguenza l'UE dovrebbe definire in maniera coerente dei limiti chiari per il contenimento degli interessi economici che sono in contrasto con la tutela della biodiversità, e far valere tali limiti.

4.7.    Politica agricola/agricoltura

4.7.1.

Il CESE si è occupato in più occasioni del rapporto tra agricoltura, politica agricola comune e biodiversità e ha riscontrato una diminuzione lenta ma costante e generalizzata della biodiversità, sebbene gli agricoltori rispettino prevalentemente le leggi in vigore. Ciò accade quindi nell'ambito delle leggi, nel rispetto delle cosiddette buone pratiche; tale circostanza non si modifica attraverso una riforma del diritto in materia di protezione della natura, ma solo attraverso la modifica delle prassi di sfruttamento, in combinazione con un cambiamento delle politiche di sostegno all'agricoltura. Il CESE rinvia in tale contesto al proprio parere d'iniziativa sul tema La riforma della politica agricola comune nel 2013  (17), in cui descrive estesamente le modifiche che giudica necessarie.

4.7.2.

La Commissione è pienamente consapevole dell'importanza dell'agricoltura e afferma che «la politica agricola comune (PAC) (…) costituisce lo strumento in grado di incidere maggiormente sulla biodiversità nelle zone rurali. (…) Uno dei cambiamenti con ripercussioni negative per la biodiversità è l'abolizione della messa a riposo obbligatoria» (18). La politica agricola continua a essere spesso in contrasto con la politica in materia di biodiversità, sebbene parti della politica agricola comune, in particolare i programmi agroambientali del secondo pilastro, mostrino come si possano risolvere tali contrasti.

4.7.3.

La messa a riposo è stata introdotta, a metà degli anni '80, non già per migliorare la stabilità ecologica dei paesaggi tradizionali, ma per ridurre le eccedenze. Con la riforma della politica agricola comune del 2013, tuttavia, viene ripresa in considerazione l'idea di coltivare meno intensivamente una parte delle superfici. È stata prevista l'obbligatorietà delle aree di interesse ecologico nell'ambito dell'inverdimento. In tale contesto vi fu un acceso dibattito a) sull'entità e b) sulla definizione del concetto di «interesse ecologico».

4.7.4.

Ad esempio, la coltivazione di leguminose o di colture commerciali è oggi definita di interesse ecologico. Anche se l'espansione delle superfici su cui vengono coltivate leguminose oppure colture commerciali è da accogliere in linea di principio con favore, tali misure non rappresentano un reale contributo al miglioramento della biodiversità. Anche il fatto che l'uso di pesticidi in aree sensibili dal punto di vista ecologico sia parzialmente permesso è in palese contrasto con l'intenzione di rendere più ecologica la politica agricola: i pesticidi non contribuiscono a un aumento della biodiversità, bensì a una sua riduzione.

4.7.5.

La Commissione dovrebbe fare al più presto un primo bilancio dell'effetto delle misure adottate, perché l'inverdimento ha costituito una delle ragioni principali per il mantenimento dei pagamenti di sussidi agricoli a carico del bilancio dell'UE.

4.7.6.

Inoltre, e sulla base di queste premesse, le politiche orizzontali dell'UE, specie in materia di ricerca, sviluppo e innovazione, dovrebbero anche tener conto con particolare attenzione del lavoro che le attività di ricerca, sviluppo e innovazione applicate all'agricoltura possono svolgere ai fini dell'aumento della biodiversità nell'UE.

4.8.    Infrastruttura verde

4.8.1.

La direttiva Habitat presenta un'importante lacuna tecnica: l'art. 10 menziona espressamente l'importanza del collegamento tra elementi del paesaggio, manca però un meccanismo obbligatorio che consenta di realizzare in Europa un coerente sistema integrato di biotopi. La Commissione, nella sua comunicazione sull'infrastruttura verde, ha fornito una bozza di come questa mancanza potrebbe essere compensata attraverso investimenti adeguati nella salvaguardia e nel ripristino dell'infrastruttura verde, tanto su grande quanto su piccola scala. In questo contesto diventa molto importante varare e attuare una strategia coerente per l'infrastruttura verde comprendente in ogni caso, in quanto elemento chiave, una struttura metodologica e uno strumento di finanziamento per le reti transeuropee della biodiversità (TEN-G). Questo vale sia su ampia sia su piccola scala, ad esempio nei paesaggi agricoli.

4.9.    Note sulla politica degli Stati membri e dei paesi candidati potenziali

4.9.1.

In molti Stati membri e paesi candidati si verificano troppo spesso danni gravi a carico della natura. Per citare solo alcuni esempi:

4.9.2.

in Romania la superficie di foreste primarie naturali al momento dell'adesione all'UE era di oltre 2 000 km2. Tali superfici sono state designate quasi per intero come siti Natura 2000. Da allora, nelle foreste primarie della Romania sono stati documentati numerosi casi di taglio raso su vasta scala e, pertanto, è andato perduto un insostituibile patrimonio naturale europeo.

4.9.3.

Gli ecosistemi fluviali dei Balcani, in particolare negli Stati dei Balcani occidentali, sono di gran lunga quelli di maggior valore in Europa. Circa un terzo dei fiumi dei paesi ex iugoslavi e dell'Albania presenta una dinamica naturale che permette loro di essere ancora considerati corsi d'acqua naturali. La dinamica naturale e la biodiversità di tutti i fiumi dei Balcani sono gravemente minacciate a causa della pianificazione, confermata da documenti, di ben oltre 2 700 centrali idroelettriche, situate per almeno un terzo in riserve naturali. Questi progetti vengono finanziati anche con risorse pubbliche. In quasi tutti gli Stati membri la biodiversità di quasi tutti i fiumi è stata gravemente compromessa, ragion per cui adesso occorrerà spendere, tra l'altro nel quadro dell'attuazione della direttiva quadro dell'UE sulle acque, somme ingenti per il loro recupero.

4.9.4.

Numerose specie di uccelli citate nell'Allegato I della direttiva Uccelli e che, pertanto, sono tutelate nel territorio dell'UE, sono oggetto di una caccia indiscriminata nei paesi balcanici candidati all'adesione; anche in molti Stati membri la caccia agli uccelli risulta per molti versi un problema irrisolto. L'abbattimento delle spatole, delle gru, dei marangoni minori e delle morette tabaccate, per citare solo alcune specie, porta all'indebolimento dell'incidenza riproduttiva di queste specie nell'UE.

4.10.    Finanziamento

4.10.1.

Un ulteriore problema riscontrato nella revisione intermedia, come anche nelle conclusioni del Consiglio, è il finanziamento non solo, ma anche, della rete Natura 2000. In una comunicazione della Commissione del 2004 (19) si parla del finanziamento della rete per quanto riguarda a) l'ammontare dei fondi necessari, b) la decisione in merito a quale voce di bilancio utilizzare. In tale contesto veniva menzionato l'importo approssimativo di 6,1 miliardi di euro all'anno; si decise di non creare una linea di finanziamento ad hoc e di non potenziare il programma Life, bensì di utilizzare principalmente il secondo pilastro della PAC e a altri fondi UE.

4.10.2.

Il CESE all'epoca aveva espresso dei dubbi sull'ammontare e aveva affermato di ritenere «indispensabile presentare al più presto stime più precise. Dubita ad esempio che la somma di appena 0,3 miliardi di euro per i nuovi Stati membri (mentre per l'Unione a 15 si toccano i 5,8 miliardi di euro) possa davvero essere sufficiente» (20).

4.10.3.

A tutt'oggi non è accaduto nulla, e la somma considerata rimane la stessa. Finora gli Stati membri responsabili e la Commissione hanno omesso di chiarire la questione.

4.10.4.

Il CESE, all'epoca, ha indicato il rischio che il finanziamento delle misure di Natura 2000 a carico del secondo pilastro potesse causare situazioni di concorrenza con altre misure di sviluppo agricolo (21). Questo è doppiamente confermato: da una parte nel periodo finanziario 2007–2013 i pagamenti a carico del secondo pilastro sono diminuiti del 30 % rispetto al periodo finanziario precedente, dall'altra la Corte dei conti europea e il Consiglio Ambiente giustamente indicano che «gli Stati membri non hanno sempre riconosciuto il FESR come possibile strumento per la promozione della biodiversità, mentre non è stato sufficientemente realizzato il suo potenziale per il finanziamento di Natura 2000» (22).

4.10.5.

Di conseguenza la Commissione europea (23) ha dovuto constatare che il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale rimane la principale fonte di finanziamento dell'UE per Natura 2000 e la biodiversità dell'UE, ma che «in Europa è soddisfatto solo il 20 % dei bisogni complessivi di finanziamento per la gestione delle zone protette, tra cui la rete Natura 2000».

4.10.6.

È anche urgente stimare l'esatto fabbisogno finanziario connesso all'attuazione delle direttive europee in materia di protezione della natura e stanziare le relative risorse, vincolandole alla loro finalità attraverso un'apposita linea di bilancio (ad esempio nel quadro di un'estensione del bilancio destinato allo strumento LIFE).

4.11.    Collaborazione e processi partecipativi

4.11.1.

Le carenze nell'attuazione della strategia dell'UE per la biodiversità, specie nel caso della rete Natura 2000, dipendono in parte dal deficit di coinvolgimento e di partecipazione della società civile nelle varie zone protette. La designazione delle zone protette va considerata anzitutto come un atto amministrativo, da eseguire conformemente a tutti i principi dello Stato di diritto. Tuttavia, l'elaborazione e l'attuazione dei piani di gestione dovrebbero essere caratterizzate da un forte coinvolgimento dei proprietari delle aree, degli utilizzatori dei terreni, delle organizzazioni ambientaliste e dei comuni. In molti casi tale coinvolgimento è mancato, e tale mancanza ha spesso causato diffidenza e ostilità nei confronti della politica in materia di biodiversità.

Bruxelles, 21 settembre 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(1998) 42 final.

(2)  COM(2001) 162 final.

(3)  COM(2006) 216 final.

(4)  COM(2010) 4 final.

(5)  COM(2011) 244 final.

(6)  GU C 24 del 28.1.2012, pag. 111.

(7)  COM(2015) 478 final.

(8)  Istituto Milieu, IEEP e ICF Evaluation Study to support the Fitness Check of the Birds and Habitats Directives [Valutazione a sostegno del controllo dell'adeguatezza della direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici e della direttiva flora, fauna, habitat], marzo 2016.

(9)  Consiglio dell'Unione europea, doc. n. 15389/15.

(10)  Il periodo di 3 anni (quindi fino al 1995) riguardava la segnalazione dei siti corrispondenti da parte degli Stati membri. Ad oggi tale procedura di segnalazione non è ancora del tutto conclusa.

(11)  Si veda tra l'altro la risoluzione del Parlamento europeo del 2 febbraio 2016 sulla revisione intermedia della strategia dell'UE sulla biodiversità [2015/2137(INI)].

(12)  COM(2010) 548 final, dell'8.10.2010, pag. 3.

(13)  Consiglio dell'Unione europea, doc. n. 15389/2015, punto 36.

(14)  COM(2011) 244 final, pag. 2.

(15)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 150, punto 2.3.

(16)  GU C 195 del 18.8.2006, pag. 96.

(17)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 35.

(18)  COM(2010) 548 final, pag. 5.

(19)  COM(2004) 431 final.

(20)  GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 108, punto 3.10.1.

(21)  GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 108, punti 3.14.1 e 3.14.2.

(22)  Consiglio Ambiente del 16.12.2015.

(23)  COM(2010) 548 final, pag. 13.


ALLEGATO

I seguenti emendamenti, pur avendo ricevuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni:

Punto 4.7.4. — Modificare come segue:

 

Ad esempio, la coltivazione di leguminose o di colture commerciali è oggi definita di interesse ecologico. Anche se l'L'espansione delle superfici su cui vengono coltivate leguminose oppure colture di avvicendamento è da accogliere in linea di principio con favore, tali misure non rappresentano un reale . Un contributo al miglioramento della biodiversità consiste tra l'altro nel promuovere la salute del suolo attraverso la simbiosi fra le leguminose e il rhizobium . Anche il fatto che l'uso di pesticidi L'uso di prodotti fitosanitari in aree sensibili dal punto di vista ecologico è sia parzialmente permesso nel quadro delle severe norme europee di applicazione e autorizzazione, cosa che consente pertanto di promuovere la coltivazione di proteine vegetali in Europa. è in palese contrasto con l'intenzione di rendere più ecologica la politica agricola: i pesticidi non contribuiscono a un aumento della biodiversità, bensì a una sua riduzione.

Motivazione

La misura è ancora al secondo anno di attuazione. Non vi sono analisi sicure sul piano della biodiversità. L'uso mirato di prodotti fitosanitari può, in taluni casi, essere giustificato, ad esempio per proteggere dagli infestanti talune colture ancora in una fase iniziale e quindi con poca capacità di difendersi. Conformemente all'articolo 46 del regolamento (UE) n. 1307/2013, la Commissione europea è tenuta a presentare, entro marzo 2017, una relazione di valutazione sull'attuazione delle aree sensibili dal punto di vista ecologico.

Esito della votazione

Voti favorevoli:

69

Voti contrari:

96

Astensioni:

26

Punto 4.7.4. — Modificare come segue:

 

Ad esempio, la coltivazione di leguminose o di colture commerciali è oggi definita di interesse ecologico. Anche se l'espansione delle superfici su cui vengono coltivate leguminose oppure colture commerciali è da accogliere in linea di principio con favore, tali misure non rappresentano un reale contributo al miglioramento della biodiversità. Anche il fatto che l'uso di pesticidi in aree sensibili dal punto di vista ecologico sia parzialmente permesso è in palese contrasto con l'intenzione di rendere più ecologica la politica agricola: i pesticidi non contribuiscono a un aumento della biodiversità, bensì a una sua riduzione. D'altro canto, l'UE presenta un forte deficit di colture proteiche, e un divieto generalizzato di utilizzare pesticidi nelle colture di leguminose aggraverebbe tale deficit.

Motivazione

Sarà esposta oralmente.

Esito della votazione

Voti favorevoli:

80

Voti contrari:

105

Astensioni:

11

Punto 1.5. — Sopprimere una parte del testo:

 

Il CESE chiede che sia garantita la coerenza tra tutti gli ambiti di intervento che si ripercuotono sulla tutela della biodiversità. In questo contesto il CESE si attende che già la revisione intermedia delle aree di interesse ecologico e un'eventuale revisione intermedia della PAC vengano utilizzate per fare in modo che in futuro la PAC contribuisca in maniera mirata al raggiungimento degli obiettivi in materia di biodiversità. A giudizio del CESE occorre adesso introdurre delle modifiche relative alle dimensioni e alla qualità delle aree di interesse ecologico.

Motivazione

Le misure di inverdimento introdotte nel 2015 sono soltanto al secondo anno di attuazione. Le analisi disponibili non sono quindi ancora sufficienti a fornire elementi conclusivi e attendibili in merito alla questione. Ai sensi dell'art. 46 del regolamento (UE) n. 1307/2013, la Commissione dovrà presentare, entro il marzo 2017, una relazione di valutazione sull'attuazione delle aree di interesse ecologico. Misure appropriate dovranno poi essere adottate sulla base dei risultati di tale valutazione.

Esito della votazione

Voti favorevoli:

57

Voti contrari:

120

Astensioni:

11

Punto 1.5. — Modificare come segue:

 

Il CESE chiede che sia garantita la coerenza tra tutti gli ambiti di intervento che si ripercuotono sulla tutela della biodiversità. In questo contesto il CESE si attende che già la revisione intermedia delle aree di interesse ecologico e un'eventuale revisione intermedia della PAC vengano utilizzate per fare in modo che in futuro la PAC contribuisca in maniera mirata al raggiungimento degli obiettivi in materia di biodiversità. A giudizio del CESE occorre adesso introdurre delle modifiche relative alle dimensioni e alla qualità delle aree di interesse ecologico, per garantire anche che possano essere meglio integrate nelle moderne pratiche agricole.

Motivazione

Sarà esposta oralmente.

Esito della votazione

Voti favorevoli:

75

Voti contrari:

118

Astensioni:

9


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/24


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Dopo Parigi»

(parere di iniziativa)

(2016/C 487/04)

Relatrice:

Tellervo KYLÄ-HARAKKA-RUONALA

Decisione dell’Assemblea plenaria

26/04/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

05/09/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

129/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’accordo di Parigi costituisce un impegno globale molto atteso a favore dell’attenuazione dei cambiamenti climatici. Ora si profila il compito di garantire la ratifica, l’attuazione e l’ulteriore sviluppo dell’accordo. Nel presente parere, il CESE illustra il proprio punto di vista sugli approcci principali da seguire per quanto riguarda il sentiero da percorrere per giungere nel lungo termine a un mondo a zero emissioni di carbonio, come richiesto dall’accordo.

1.2.

Le enormi sfide globali richiedono un profondo cambiamento nell’approccio dell’Unione europea. Invece di concentrarsi unicamente sulle proprie emissioni di gas a effetto serra, l’UE dovrebbe valutare in che modo può contribuire al conseguimento dei massimi benefici climatici in una prospettiva globale. Il CESE invita quindi la Commissione europea a concepire una strategia a lungo termine che verta sui modi per aumentare e massimizzare le azioni positive in materia di carbonio («carbon handprint») (1) dell’UE a livello globale.

1.3.

L’UE dovrebbe inoltre essere ambiziosa nei suoi sforzi volti alla ricerca di soluzioni relative agli aspetti economici, sociali e ambientali vantaggiose per tutte le parti. Il CESE esorta pertanto la Commissione a strutturare la strategia in materia di clima in modo che contribuisca a rafforzare l’economia dell’UE e ad aumentare il benessere dei suoi cittadini, attenuando al tempo stesso i cambiamenti climatici.

1.4.

L’impegno a livello globale è essenziale per conseguire impatti significativi sul piano climatico e per evitare la delocalizzazione delle emissioni di carbonio, degli investimenti e dei posti di lavoro. Il CESE invita la Commissione a continuare a impegnarsi in una diplomazia attiva in materia di clima, allo scopo di rafforzare la generale attuazione dell’accordo e di incoraggiare le principali economie ad accrescere il loro impegno fino a un livello di ambizione simile a quello dell’UE. Il CESE invita inoltre la Commissione ad integrare le considerazioni sul clima in tutti i settori della politica esterna, specialmente nel campo del commercio e degli investimenti, oltre che in quello della cooperazione allo sviluppo.

1.5.

In termini di misure concrete, il modo migliore in cui l’UE può contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici è esportando tecnologie e soluzioni per la riduzione delle emissioni e l’aumento dei pozzi di assorbimento del carbonio, nonché fabbricando prodotti destinati al mercato mondiale con un livello di emissioni inferiore rispetto a quello dei suoi concorrenti. Il CESE chiede pertanto che venga dato un forte impulso all’innovazione — dalla ricerca all’accesso al mercato — per collocare l’Europa all’avanguardia sulla scena globale per quanto riguarda le soluzioni in materia di salvaguardia del clima. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata al potenziale delle PMI.

1.6.

Quanto alla dimensione interna della politica climatica, l’UE dovrebbe puntare a diventare un’Unione per il clima orientata all’azione, efficace e coesa nelle misure interne. Ogni sforzo deve quindi essere rivolto ora all’attuazione delle decisioni adottate finora, e in questo scenario ognuno, la Commissione come gli Stati membri, ha il proprio ruolo.

1.7.

Il CESE invita inoltre la Commissione a basare la strategia di lungo termine su un approccio integrato. Il sentiero da seguire dovrebbe essere tracciato nell’ambito delle «unioni» pertinenti del mercato unico, in particolare quelle nei settori dell’energia, dei trasporti, della digitalizzazione, dell’industria, dell’agricoltura, dei capitali e dell’innovazione. Un’attenzione speciale andrebbe riservata anche alle sfide connesse a sistemi alimentari sostenibili e al ruolo dei pozzi di assorbimento del carbonio.

1.8.

Nell’attuazione degli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi, si dovrebbe ricorrere quanto più possibile ai meccanismi di mercato. Un sistema di tariffazione globale per le emissioni di carbonio rappresenterebbe il modo più neutrale ed efficace per coinvolgere tutti gli attori del mercato. Il CESE esorta la Commissione ad esplorare attivamente percorsi e metodi differenti e a collaborare attivamente con altri paesi sul passaggio a una tariffazione del carbonio a livello globale.

1.9.

La via da percorrere «dopo Parigi» per conseguire un’economia a zero emissioni di carbonio è estremamente impegnativa. Per una gestione equa e controllata della transizione, oltre che per aiutare le aziende e i cittadini ad adattarsi ai cambiamenti e a sviluppare soluzioni e competenze nuove, è necessario introdurre opportune misure di aggiustamento nella strategia sul clima.

1.10.

Sono gli attori della società civile che realizzeranno nei fatti il passaggio a un’economia a zero emissioni di carbonio grazie alla loro azione sul territorio, mentre il ruolo dei responsabili delle decisioni politiche consiste nel fornire a tali attori un contesto favorevole e finanziamenti, anche mediante azioni di sensibilizzazione alle opportunità di finanziamento accessibili a tutti. Occorre sviluppare un approccio di governance multilivello per agevolare l’azione della società civile a favore del clima ed eliminare gli ostacoli del caso. Il CESE si attende di essere pienamente coinvolto sia nello sviluppo di questa infrastruttura di tipo multipartecipativo che nella preparazione della strategia a lungo termine dell’UE in materia di clima.

2.   L’UE quale attore mondiale forte in materia di clima

2.1.

Dalla Conferenza delle parti (COP 21) di Parigi è scaturito un accordo volto a creare le condizioni a livello mondiale per contenere il riscaldamento globale ben al di sotto di 2 oC e proseguire gli sforzi per limitare ulteriormente l’aumento della temperatura a 1,5 oC rispetto ai livelli preindustriali. Ciò renderà necessaria una drastica riduzione delle emissioni globali ed esigerà cambiamenti radicali nelle società.

2.2.

Le sfide globali che si profilano all’orizzonte richiedono un cambiamento radicale dell’approccio dell’UE all’attenuazione dei cambiamenti climatici. È cruciale che l’UE si prepari a sforzi considerevoli allo scopo di generare un impatto globale efficace. L’UE dovrebbe pertanto sforzarsi di aumentare le azioni positive in materia di carbonio (la cosiddetta «carbon handprint»), anziché limitarsi a ridurre la propria impronta di carbonio.

2.3.

L’impegno a livello globale è essenziale per risolvere il problema del clima ed evitare la delocalizzazione del carbonio, degli investimenti e dei posti di lavoro. L’UE ha già dimostrato di saper svolgere un ruolo guida sia nella preparazione che nel corso della conferenza di Parigi, e dovrebbe continuare con questo spirito in vista delle prossime conferenze delle parti. Nella sua azione diplomatica in materia di clima, l’UE dovrebbe concentrarsi non solo sui paesi con le maggiori emissioni di gas a effetto serra, ma anche sui suoi concorrenti più forti e sui partner più promettenti da un punto di vista economico. L’azione diplomatica in materia di clima e la diplomazia economica dovrebbero quindi andare di pari passo.

2.4.

I paesi con il più alto livello di emissioni di carbonio sono la Cina, gli Stati Uniti e l’UE, che sono rispettivamente responsabili di oltre il 25 %, di circa il 15 % e di più o meno il 10 % delle emissioni mondiali. Secondo le proiezioni, la quota di emissioni prodotte dall’UE dovrebbe scendere a circa il 5 % entro il 2030. Pertanto, per esercitare la massima influenza sull’attenuazione dei cambiamenti climatici, l’UE deve compiere ogni sforzo per incoraggiare altri parti a porsi obiettivi più ambiziosi.

2.5.

Per quanto riguarda l’aspetto pratico, il modo migliore in cui l’UE può contribuire all’attenuazione dei cambiamenti climatici a livello globale è esportando soluzioni a basse emissioni di CO2 , nonché fabbricando prodotti destinati al mercato mondiale con un livello di emissioni inferiore rispetto a quello dei suoi concorrenti.

2.6.

Oltre agli Stati Uniti, la Cina ed altri paesi in rapido sviluppo sono diventati importanti fornitori di tecnologie a basse emissioni di carbonio. Negli ultimi cinque anni l’UE ha registrato dei veri e propri crolli, sia nei mercati di esportazione che nel mercato interno; la posizione di avanguardia tecnologica mondiale, che vantava un tempo, è andata perduta. La Commissione Juncker ha espresso l’ambizione di fare dell’UE il primo soggetto mondiale nelle energie rinnovabili, ma tale obiettivo appare oggigiorno quanto mai remoto.

2.7.

Di qui urge la necessità di un nuovo impulso aggiuntivo per collocare nuovamente l’UE all’avanguardia nel campo delle soluzioni in materia di tutela del clima. Le opportunità globali coprono un’ampia gamma di tecnologie, prodotti, servizi e competenze specifiche, oltre ai modelli generali di produzione e consumo. L’esportazione di competenze specialistiche sui pozzi di assorbimento del carbonio, ad esempio mediante la gestione sostenibile delle foreste e l’imboschimento, dovrebbe inoltre essere considerata un’opportunità per produrre un impatto a livello globale.

2.8.

Il CESE si compiace che la Commissione abbia aderito all’iniziativa «Mission Innovation», lanciata dalle principali economie mondiali che si sono impegnate a raddoppiare i finanziamenti a favore della R&S nel settore dell’energia pulita nei prossimi cinque anni.

2.9.

Una politica efficace in materia di commercio e investimenti rappresenta uno strumento essenziale per fornire soluzioni a basse emissioni di carbonio e per stimolare i progressi verso un’economia globale a zero emissioni di carbonio. Per assicurare un risultato positivo, le considerazioni sul clima devono far parte integrante dei negoziati sugli accordi commerciali e di investimento. Si dovrebbe puntare a eliminare gli ostacoli che intralciano gli scambi commerciali di prodotti, tecnologie e soluzioni rispettose del clima; all’accordo sui beni ambientali spetterebbe un ruolo importante in tale contesto. Sono inoltre necessarie soluzioni congiunte per evitare le distorsioni degli scambi commerciali causate dalle differenze nelle politiche e nei requisiti in materia di clima vigenti in regioni differenti.

2.10.

Per quanto riguarda la politica di sviluppo, l’attuale obiettivo di 100 miliardi di dollari USA l’anno promessi dai paesi sviluppati per finanziare le misure in materia di clima è stato esteso fino al 2025 in occasione della COP21 ed è stata chiesta una tabella di marcia concreta per raggiungere l’obiettivo. Anche singoli paesi hanno preso impegni finanziari. È importante che le promesse vengano mantenute e che i fondi siano utilizzati in modo responsabile sul piano economico, ambientale e sociale. Sono necessarie campagne di sensibilizzazione volte a fornire informazioni in materia di accesso ai finanziamenti per gli attori della società civile, in particolare nei paesi in via di sviluppo, come proposto dal CESE nel quadro della strategia UE-Africa.

2.11.

Anche la cooperazione tecnologica ha un ruolo da svolgere nella politica di sviluppo. In tale contesto, i diritti di proprietà intellettuale (DPI) devono essere adeguatamente protetti, in quanto sono cruciali per l’innovazione. È altresì importante garantire che le soluzioni fornite tengano conto delle condizioni nei paesi in via di sviluppo e, nello spirito di partenariato, aiutino questi paesi a realizzare una crescita a basse emissioni di carbonio senza ostacolare il loro sviluppo. Oltre a ciò, risultano necessarie azioni di sviluppo delle capacità per assistere i paesi in via di sviluppo nell’attenuazione dei cambiamenti climatici e nell’adattamento a tali cambiamenti.

2.12.

In linea di massima, le considerazioni sul clima dovrebbero essere integrate in tutte le politiche esterne dell’UE, allo scopo di rafforzare l’attuazione dell’accordo di Parigi a livello globale.

3.   Verso un’Unione per il clima più efficace

3.1.

Per fornire una solida base alla propria aspirazione di diventare un attore forte a livello globale, l’UE dovrebbe puntare a diventare un’Unione per il clima che sia pienamente efficace, coesa e credibile nelle sue misure interne. Deve essere, in primo luogo, un’Unione di azione. Ogni sforzo deve quindi essere ora rivolto all’attuazione delle decisioni adottate finora, e in questo scenario sia la Commissione che gli Stati membri hanno il proprio ruolo.

3.2.

Poiché l’attenuazione dei cambiamenti climatici riguarda tutti i settori dell’economia, l’Unione per il clima deve basarsi su un approccio integrato. Ulteriori misure in materia di clima andrebbero quindi sviluppate nell’ambito delle «unioni» pertinenti, come l’Unione dell’energia, lo spazio unico europeo dei trasporti, il mercato unico dei beni e dei servizi, il mercato unico digitale, la politica industriale europea, la politica agricola comune, l’Unione dei mercati dei capitali e l’Unione dell’innovazione. Bisogna anche trovare un approccio ottimale per collegare la politica climatica dell’UE e l’attuazione a livello nazionale.

3.3.

L’UE dovrebbe onorare i propri impegni in materia di clima in modo da rafforzare la sua economia e accrescere il benessere dei cittadini. La politica climatica dovrebbe essere considerata non come il perseguimento di un semplice equilibrio tra fattori economici, sociali e ambientali, ma come la ricerca di soluzioni vantaggiose sotto tutti e tre questi profili. A tal fine, bisogna adoperarsi per stimolare una crescita a basse emissioni di carbonio, avvalendosi pienamente delle opportunità offerte — ad esempio — dalla digitalizzazione, dalle tecnologie pulite, dalla bioeconomia e dall’economia circolare.

3.4.

Oltre che a livello globale, anche all’interno dell’UE sono necessari notevoli investimenti a favore di basse emissioni di carbonio. Le considerazioni sul clima devono permeare i criteri di finanziamento dei programmi d’investimento pubblici, compreso l’uso dei fondi europei. La cooperazione tra il settore pubblico e quello privato, nonché il ruolo del Fondo europeo per gli investimenti strategici e della Banca europea per gli investimenti, sono della massima importanza. Il CESE accoglie con favore il lancio del portale dei progetti d’investimento europei e del Polo europeo di consulenza sugli investimenti, e sottolinea che la soglia di ammissibilità dei progetti non deve escludere i progetti minori.

3.5.

Per quanto concerne il settore privato, gli investimenti a favore di basse emissioni di carbonio presentano i medesimi prerequisiti di qualsiasi investimento. Per poter sfruttare appieno le opportunità e il potenziale economico offerti dall’attenuazione dei cambiamenti climatici, è essenziale un contesto economico stimolante, competitivo e stabile.

3.6.

Per potersi attestare all’avanguardia a livello mondiale nel campo delle tecnologie e delle soluzioni in materia di tutela del clima, l’UE deve investire in un ambiente propizio all’innovazione che copra la ricerca, lo sviluppo, i progetti pilota e quelli dimostrativi, nonché l’accesso al mercato e l’espansione su scala internazionale. Bisognerebbe prestare particolare attenzione al potenziale di innovazione delle PMI e al loro ingresso sul mercato internazionale. A tal fine, occorre garantire che l’accesso ai finanziamenti non costituisca un ostacolo per le PMI.

3.7.

Dal momento che gran parte delle emissioni di gas a effetto serra trova origine nella produzione energetica, l’energia è al centro del processo di transizione. Le misure principali comprendono la sostituzione dei combustibili fossili con fonti di energia a basse emissioni di carbonio e il miglioramento dell’efficienza energetica in tutte le aree e attività. La crescente elettrificazione della società, in cui i combustibili fossili vengono man mano sostituiti, può contribuire in misura notevole a ridurre le emissioni. Una delle sfide e, al tempo stesso, una delle opportunità più importanti consiste nello sviluppo di soluzioni per lo stoccaggio di elettricità.

3.8.

Per quanto riguarda la decarbonizzazione dei trasporti, in particolare di quello su strada, è necessario introdurre una grande varietà di misure. L’elettricità e le fonti alternative di energia, i biocarburanti di tipo avanzato, il miglioramento dell’efficienza energetica dei veicoli e nella logistica, un ricorso maggiore a modi di trasporto a basse emissioni di carbonio, l’intermodalità e i trasporti pubblici, oltre che la pianificazione del territorio, sono tutti elementi cui spetta un ruolo da svolgere nella transizione. Per quanto riguarda il trasporto marittimo e aereo, il CESE chiede risultati globali ambiziosi nel quadro dell’OMI (Organizzazione marittima internazionale) e dell’ICAO (Organizzazione dell’aviazione civile internazionale).

3.9.

Per avere successo nella decarbonizzazione è altresì necessario sviluppare prodotti e metodi di produzione. Le maggiori opportunità vanno ricercate nello sviluppo di modelli imprenditoriali innovativi e di nuovi prodotti a basse emissioni, ponendo l’accento soprattutto sul servizio che forniscono e sulla funzione che assolvono. Andrebbero sfruttate le potenzialità di tutti i settori e di tutti gli attori, e i responsabili politici non dovrebbero «scommettere sul cavallo vincente», per esempio sostenendo particolari settori, tecniche o prodotti.

3.10.

L’agricoltura e la silvicoltura sono legate ai cambiamenti climatici in vari modi. Oltre a ridurre le emissioni, il sequestro del diossido di carbonio svolge un ruolo essenziale nell’attenuazione dei cambiamenti climatici. Questo mette in evidenza l’importanza di un utilizzo sostenibile delle risorse forestali e di una corretta gestione del suolo. D’altro canto, l’agricoltura e la silvicoltura sono poste di fronte a sfide significative nell’adattamento ai cambiamenti climatici. È quindi necessaria un’intensa attività di R&S in rapporto non solo alla resilienza e all’adattamento, ma anche al ruolo del suolo quale pozzo di assorbimento del carbonio.

3.11.

Il collegamento tra cambiamenti climatici e sicurezza alimentare è di vitale importanza in un contesto di rapida crescita demografica. Per rispondere alle grandi sfide della sicurezza alimentare e dell’attenuazione dei cambiamenti climatici, sono necessari sistemi alimentari più sostenibili, evitando al tempo stesso la delocalizzazione del carbonio e dei posti di lavoro.

3.12.

La digitalizzazione costituisce un aspetto trasversale del processo di decarbonizzazione della società. L’automazione, la robotica e l’Internet degli oggetti rendono più efficienti i processi industriali e la logistica. Le reti di energia, la mobilità, gli edifici e le comunità intelligenti coinvolgono tutti i cittadini nella decarbonizzazione e permettono ai consumatori di diventare «prosumatori», mentre le piattaforme digitali offrono un’alternativa per lo scambio di prodotti e servizi.

3.13.

Nel complesso, i cittadini hanno un ruolo vitale da svolgere nella transizione verso un’economia a zero emissioni di carbonio. È possibile conseguire notevoli risultati con modelli di consumo più sostenibili e cambiamenti di stile di vita, ad esempio, in rapporto al regime alimentare, agli acquisti, alla mobilità e agli svaghi. La sensibilizzazione, l’informazione sui prodotti e l’istruzione sono strumenti che possono essere utilizzati per aiutare i cittadini a compiere scelte illuminate.

3.14.

Per quanto riguarda le misure più specifiche verso un futuro a zero emissioni di carbonio nei suddetti settori fondamentali, il CESE ha elaborato diversi pareri in materia nel corso degli ultimi anni (2).

3.15.

Con il passaggio a un’economia a zero emissioni ci saranno inevitabilmente dei vincitori, ma anche dei vinti. Di qui l’importanza di una gestione equa e controllata della transizione. Sono necessarie azioni appropriate per aiutare le imprese e i cittadini ad adattarsi alla nuova situazione. I principali rischi da affrontare sono l’aumento dei costi e il deficit di competenze. Un’assistenza finanziaria mirata, basata sull’individuazione dei settori e gruppi di persone più vulnerabili, appare in questo caso appropriata. Gli sforzi da intraprendere, tuttavia, dovrebbero perlopiù mirare alla ricerca di nuove soluzioni e allo sviluppo di competenze.

4.   Utilizzare appieno i meccanismi di tariffazione

4.1.

I meccanismi di mercato andrebbero utilizzati il più possibile nell’attuazione delle misure volte a raggiungere gli scopi e gli obiettivi fissati dai responsabili politici nel quadro dell’accordo di Parigi. Per rafforzare l’azione per il clima in modo neutrale ed efficiente, è importante adoperarsi per una tariffazione globale delle emissioni di gas a effetto serra. Di conseguenza, per consentire al sistema di tariffazione di funzionare correttamente, andrebbero gradualmente eliminate le sovvenzioni energetiche non compatibili tra loro o che si sovrappongono.

4.2.

In numerosi paesi e regioni si applicano già vari tipi di sistemi di tariffazione del carbonio, principalmente la tassazione del carbonio, un massimale alla quota di emissioni e sistemi di scambio. Sono inoltre all’esame misure per collegare tra loro tali sistemi.

4.3.

Per quanto concerne il sistema di scambio di quote di emissioni dell’UE, il prezzo delle quote di emissioni è rimasto inaspettatamente basso, perché l’offerta di quote ha chiaramente superato la domanda e il mercato ha risentito della sovrapposizione delle sovvenzioni. Il massimale alle emissioni garantisce che l’obiettivo di riduzione delle emissioni venga rispettato, ma il sistema non fornisce un incentivo ad investire nell’energia a basse emissioni di carbonio. A tal fine sarebbe necessario un aumento di prezzo del carbonio, garantendo nel contempo l’adozione di misure volte ad evitare la delocalizzazione delle emissioni di carbonio.

4.4.

Un sistema equo e ben funzionante per la tariffazione globale del carbonio assicurerebbe parità di condizioni per le imprese esportatrici nei mercati mondiali e, quindi, ridurrebbe il rischio di una delocalizzazione degli investimenti e dell’occupazione. Inoltre, eliminerebbe il vantaggio concorrenziale dei prodotti importati che sono più a buon mercato per effetto di requisiti meno rigorosi in materia di clima. In aggiunta, i flussi finanziari verrebbero indirizzati verso i paesi in via di sviluppo. Occorrerebbe pertanto perseguire energicamente una regolamentazione mondiale in questo senso. Il Comitato ricorda di avere sostenuto, quasi come soluzione intermedia finché non si affermi detta regolamentazione mondiale, un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera (3). Bisognerebbe tuttavia prestare la debita attenzione ai rischi e alle sfide connessi a tali meccanismi.

4.5.

Per poter analizzare i prerequisiti e le conseguenze di un sistema di tariffazione adeguato, andrebbero analizzate attentamente diverse opzioni. Bisognerebbe quantomeno studiare i percorsi e metodi seguenti:

collegamento tra i sistemi di tariffazione e di scambio esistenti in alcune regioni con quelli di altre regioni;

istituzione di sistemi internazionali di scambio delle emissioni per i settori più rilevanti.

Il CESE invita la Commissione ad esplorare attivamente percorsi e metodi differenti, a condividere le sue esperienze e a collaborare con altri paesi per il passaggio a un sistema di tariffazione del carbonio a livello globale.

5.   I molteplici ruoli della società civile

5.1.

Alla società civile spetta un importante ruolo da svolgere a livello mondiale, europeo, nazionale e locale nella transizione verso un mondo a zero emissioni di carbonio. Le imprese, i lavoratori, i consumatori e i cittadini sono coloro che effettivamente realizzano il cambiamento grazie alla loro azione sul campo, mentre i responsabili politici dovrebbero fornire loro un contesto operativo favorevole e stimolante.

5.2.

A livello dei mercati si stanno compiendo molti progressi: un numero crescente di investitori privati e istituzionali sta tenendo conto del «rischio carbonio» negli obiettivi d’investimento, e sono stati creati fondi privati di capitale legati alle questioni climatiche. Numerose aziende stanno rinnovando e sviluppando le loro attività e i loro portafogli di prodotti per rispondere alle richieste di consumatori e azionisti attenti ai problemi climatici. Nuovi ecosistemi imprenditoriali sono in fase di sviluppo in diversi settori e tra le grandi imprese e le PMI.

5.3.

Alla COP 21 un filone significativo di attività ha sottolineato il ruolo degli enti territoriali, del settore privato e di altri soggetti della società civile per raggiungere gli obiettivi climatici e stimolare nuovi partenariati. Il piano d’azione globale per il clima deve mantenere lo slancio e incoraggiare ulteriormente questo tipo di attività.

5.4.

Come proposto dal CESE (4), bisognerebbe formare un’alleanza tra i responsabili politici, le amministrazioni pubbliche e la società civile allo scopo di fornire stimoli e sensibilizzare all’azione non governativa a favore del clima a vari livelli, e anche per offrire un forum per il dialogo strutturato ed eliminare gli ostacoli che impediscono l’azione. Il CESE si attende di essere pienamente coinvolto nello sviluppo di questa infrastruttura coesa di tipo multipartecipativo.

5.5.

Per quanto riguarda la cooperazione con la società civile di altre regioni, in particolare con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) (5) e quelli del Mediterraneo, la questione climatica, assieme alla sfida della sicurezza alimentare, si trova ai primi posti dell’agenda del CESE.

5.6.

Il CESE è inoltre interessato a collaborare con la Commissione nella preparazione della strategia a lungo termine dell’UE in materia di clima che verterà sui metodi per giungere a un mondo senza emissioni di carbonio.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Con il termine «handprint» (letteralmente, impronta della mano) si intende una misurazione degli effetti positivi sull’ambiente o sulla società, mentre il termine «footprint» (letteralmente, impronta del piede) indica una misurazione degli effetti negativi in termini (ad esempio) di emissioni. (Norris 2015). Di conseguenza, il termine «carbon handprint» indica una misurazione dell’impatto positivo sul clima derivante da una riduzione delle emissioni o dall’aumento dei pozzi di assorbimento del carbonio. La «carbon handprint» dell’UE è la somma degli effetti positivi dell’UE in qualsiasi parte del mondo.

(2)  Cfr. ad esempio i seguenti pareri del CESE: L’impatto delle conclusioni della COP21 sulla politica europea dei trasporti, GU C 303, del 19.8.2016, pag. 10; Stato dell’Unione dell’energia 2015, GU C 264, del 20.7.2016, p. 117; Pacchetto sull’economia circolare, GU C 264, del 20.7.2016, p. 98; Un piano strategico integrato per le tecnologie energetiche (piano SET), GU C 133, del 14.4.2016, p. 25; Nuovo assetto del mercato dell’energia, GU C 82, del 3.3.2016, pp. 13; Quadro per l’etichettatura dell’efficienza energetica, GU C 82, del 3.3.2016, p. 6; Un «new deal» per i consumatori di energia, GU C 82, del 3.3.2016, p. 22; Revisione del sistema UE per lo scambio di quote di emissione, GU C 71, del 24.2.2016, p. 57; Il protocollo di Parigi, GU C 383, del 17.11.2015, p. 74; Impatto della politica del clima e dell’energia dell’UE sui settori agricolo e forestale, GU C 291, del 4.9.2015, p. 1; Quadro per le politiche dell’energia e del clima per il periodo 2020-2030, GU C 424, del 26.11.2014, p. 39; Strumenti di mercato, GU C 226, del 16.7.2014, p. 1.

(3)  Cfr. Strumenti di mercato, punti 3.5.1 e 3.5.2 (GU C 226 del 16.7.2014, p. 1).

(4)  Parere sul tema Una coalizione per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi, adottato il 14 luglio 2016 (GU C 389 del 21.10.2016, pag. 20).

(5)  Cfr. la risoluzione sulla rete degli attori economici e sociali UE-Africa, Nairobi, luglio 2016.


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/30


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «La posizione del CESE su alcune questioni specifiche fondamentali sollevate nel quadro dei negoziati sul Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP)»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 487/05)

Relatore:

Philippe DE BUCK

Correlatrice:

Tanja BUZEK

Decisione dell’Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

19/07/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

213/23/17

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Nel 2016 i negoziati relativi al partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) entrano in una fase cruciale. I negoziatori principali dell’UE e degli USA hanno affermato il loro impegno ad accelerare i colloqui, con l’obiettivo di raggiungere un accordo politico globale e ambizioso che individui gli eventuali «terreni d’intesa» in tutti i settori entro la fine dell’attuale amministrazione Obama. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha pertanto deciso di elaborare un parere su alcune questioni specifiche relative al TTIP.

1.2.

Il presente parere non esprime osservazioni in merito a un possibile accordo finale che sarà il risultato dei negoziati tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. È nondimeno importante valutare fino a che punto le posizioni della società civile organizzata europea, formulate in precedenti pareri del CESE, siano state prese in considerazione nelle proposte dell’UE attualmente a disposizione del pubblico. Ciò costituisce la base per un partenariato rafforzato tra la Commissione europea e la società civile europea nello sviluppo della futura politica commerciale dell’UE.

1.3.

Nel sottolineare il proprio ruolo istituzionale, il CESE formula pertanto le seguenti raccomandazioni.

1.4.    Cooperazione normativa

1.4.1.

I negoziati per il TTIP stanno imprimendo un nuovo slancio a favore di una maggiore cooperazione normativa, creando più ampie aspettative. Il Comitato pertanto osserva con soddisfazione che il capitolo proposto in materia include il perseguimento di obiettivi politici pubblici e di un elevato livello di protezione in una serie di ambiti specifici. Il CESE accoglie favorevolmente anche il fatto che sia stato precisato in modo esplicito che la funzione e lo scopo della struttura istituzionale per la cooperazione normativa è di fornire sostegno e consulenza agli organi decisionali sotto il controllo democratico e che non avrà né il potere di adottare atti giuridici né di sostituire le varie procedure di regolamentazione nazionali.

1.4.2.

Il Comitato chiede tuttavia una definizione più chiara del concetto di normativa «gravosa» e sottolinea che i regolamenti che tutelano i diritti dei consumatori, dei lavoratori e dell’ambiente non dovrebbero essere considerati «gravosi» di per sé.

1.4.3.

Il CESE inoltre chiede che il capitolo sulle buone pratiche in materia di regolamentazione non limiti il diritto delle parti di regolamentare o di introdurre procedure equivalenti alla procedura statunitense detta «notice and comment».

1.4.4.

Infine, il CESE chiede alla Commissione di chiarire le modalità concernenti il coinvolgimento dei soggetti rappresentativi, in particolare le parti sociali e i rappresentanti della società civile.

1.5.    Ostacoli tecnici al commercio e misure sanitarie e fitosanitarie

1.5.1.

Il CESE ritiene che le proposte in materia di normazione, regolamentazioni tecniche, etichettatura e marcatura debbano essere considerate interessi rilevanti e offensivi dell’Unione europea. Prende atto inoltre delle importanti disposizioni in materia di trasparenza. Chiede tuttavia:

che si tenga conto delle preoccupazioni degli organi di normazione CEN/Cenelec per quanto riguarda il rischio di riconoscimento reciproco di standard volontari;

che vengano effettuati lavori più particolareggiati per quanto concerne i requisiti in materia di marcatura ed etichettatura.

1.5.2.

Relativamente al capitolo sulle misure sanitarie e fitosanitarie, il CESE prende atto che esso si basa sul corrispondente accordo dell’OMC, che sancisce il principio di precauzione. Tuttavia, chiede ulteriori rassicurazioni sul fatto che la legislazione dell’UE in campo alimentare non venga modificata e che l’UE mantenga le sue restrizioni sugli ormoni, sugli stimolanti della crescita e sugli organismi geneticamente modificati.

1.6.    Dogane e facilitazione degli scambi

1.6.1.

Il CESE riconosce l’importanza di agevolare gli scambi, in particolare per le piccole imprese, e accoglie con favore il capitolo proposto dalla Commissione. Chiede tuttavia di semplificare ulteriormente le procedure doganali e di chiarire le norme concernenti le sanzioni e la responsabilità in caso di violazione della legislazione doganale.

1.7.    Servizi

1.7.1.

Il CESE accoglie favorevolmente gli impegni significativi assunti dall’UE nel capitolo sui servizi e ribadisce la sua richiesta di rendere più facile l’accesso al mercato a livello federale e statale, di garantire una più ampia cooperazione normativa (riconoscendo che l’accesso al mercato dipende anche da questo aspetto) e di salvaguardare i servizi pubblici conformemente al TFUE. Il CESE inoltre fa nuovamente presente che i servizi audiovisivi non figurano nel mandato e non possono quindi essere inclusi in nessun impegno. Il Comitato appoggia la decisione della Commissione europea di lasciare in sospeso i negoziati sull’accesso al mercato dei servizi finanziari finché i negoziatori statunitensi non accetteranno chiaramente di avviare un dibattito sulla cooperazione normativa in questo settore, con l’obiettivo di incrementare i livelli di protezione e la stabilità finanziaria. Il CESE infine chiede che la deroga riguardante i servizi di pubblica utilità sia formulata in maniera esplicita e dettagliata, al fine di garantire che tutti i servizi pubblici sottoposti a esternalizzazione o finanziati dallo Stato o da organizzazioni private, con o senza scopo di lucro, siano esclusi dall’accordo.

1.8.    Commercio e sviluppo sostenibile

1.8.1.

Il CESE accoglie con favore la portata globale e dettagliata della proposta della Commissione in materia di commercio e sviluppo sostenibile. Ritiene tuttavia che il valore effettivo di tali disposizioni dipenda innanzitutto dalla possibilità che alla fine queste vengano effettivamente applicate. Il CESE chiede di elaborare un sistema di applicazione efficace e un forte meccanismo di monitoraggio da parte della società civile. Il CESE non è in grado di formulare osservazioni sulle misure di applicazione del capitolo sullo sviluppo sostenibile del TTIP, in quanto le proposte di testo relative all’applicazione sono state rinviate. È importante che la Commissione collabori con la società civile e le parti sociali in merito a queste proposte, per assicurare che vengano elaborate in modo da essere efficaci nella pratica. Il CESE si riserva la possibilità di formulare osservazioni in merito a tali elementi nel momento in cui saranno resi pubblici.

1.9.    Protezione degli investimenti

1.9.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta volta a riformare il sistema di protezione degli investimenti e l’obiettivo di creare un tribunale multilaterale permanente per gli investimenti che sostituisca i collegi arbitrali privati. Tuttavia, il CESE ravvisa ancora una serie di criticità, elencate al punto 8.8, che è necessario affrontare. Chiede inoltre alla Commissione di elaborare una valutazione d’impatto che esamini sia il costo sia il funzionamento del nuovo sistema giurisdizionale per gli investimenti (ICS).

2.   Contesto

2.1.

Dall’avvio dei negoziati sul TTIP, nel giugno 2013, il CESE ha svolto un ruolo importante nella formulazione delle posizioni della società civile organizzata dell’UE mediante l’elaborazione di pareri in merito a specifici aspetti dei negoziati sul TTIP (1), alla protezione degli investimenti, alla risoluzione delle controversie investitore-Stato (ISDS) (2) e all’impatto del TTIP sulle PMI (3). Nel frattempo, la Commissione ha pubblicato l’importante comunicazione Commercio per tutti  (4) che fissa le condizioni per i prossimi trattati in materia di commercio e investimenti. Nel suo parere al riguardo (5) il CESE ha sostenuto l’approccio illustrato nella comunicazione. Il Comitato sta inoltre cercando, in cooperazione con le altre istituzioni dell’UE, di contribuire ad un dibattito della società civile sul TTIP basato sui fatti, attraverso una serie di attività collegate al TTIP. Tra queste figurano l’organizzazione di audizioni e visite di consiglieri del CESE negli Stati Uniti.

2.2.

Il CESE prende atto del fatto che i negoziati sul TTIP si svolgono in un clima di maggiore trasparenza rispetto a precedenti negoziati nel campo del commercio e degli investimenti: è la prima volta che vengono pubblicati il mandato del Consiglio, le posizioni dell’UE e il testo di varie proposte. È stato creato un gruppo consultivo che riunisce esperti in rappresentanza di una vasta gamma di interessi — consumatori, sindacati, imprese, ambientalisti ed esperti nel campo della salute pubblica — per fornire ai negoziatori europei una consulenza di elevata qualità nei settori oggetto di negoziazione. Il CESE tuttavia si rammarica, considerato il proprio ruolo istituzionale, di non essere stato formalmente invitato a partecipare ai lavori del gruppo consultivo sul TTIP (6). La Commissione europea ha creato una pagina web dedicata al TTIP che contiene schede informative e letture orientative, documenti sulla posizione dell’UE (che definiscono e descrivono l’approccio generale dell’Unione europea a un determinato tema), le proposte testuali dell’UE (che sono le proposte iniziali dell’UE per i testi giuridici sui temi oggetto del TTIP) e l’offerta dell’UE per l’accesso al mercato in materia di servizi. Il CESE esprime apprezzamento per la proposta della Commissione di creare un forum della società civile, che sarà composto di rappresentanti delle organizzazioni indipendenti della società civile, tra cui i partecipanti ai gruppi consultivi nazionali, per portare avanti un dialogo sull’attuazione e sull’applicazione dell’accordo.

2.3.

Il presente parere si basa sulle conclusioni dei precedenti pareri in cui il Comitato ha chiesto che i benefici del TTIP siano equamente ripartiti tra il mondo imprenditoriale (in particolare le PMI), i lavoratori, i consumatori e i cittadini, ponendo al tempo stesso la salvaguardia degli elevati standard in vigore nell’UE quale presupposto per l’accettazione dell’accordo. Il CESE ritiene importante esprimersi in merito alle posizioni e alle proposte di testo dell’UE già pubblicate per una serie di capitoli, esaminando fino a che punto esse siano compatibili con tali presupposti e individuando i principali punti di interesse e di preoccupazione per la società civile europea. In particolare, il CESE ha scelto di concentrare la sua analisi sulle proposte in merito alla cooperazione normativa, soprattutto per quanto riguarda le buone pratiche in materia (rese pubbliche il 21 marzo 2016), sugli ostacoli tecnici al commercio e sulle misure sanitarie e fitosanitarie (entrambe rese pubbliche nel gennaio 2015), sulle dogane e sull’agevolazione degli scambi (rese pubbliche nel gennaio 2015 e modificate nel marzo 2016), sui servizi (rese pubbliche nel luglio 2015), sullo sviluppo sostenibile (rese pubbliche nel novembre 2015) e sugli investimenti (rese pubbliche nel novembre 2015). Il presente parere esamina i documenti pubblicati anteriormente al 14 luglio 2016.

2.4.

È opportuno osservare che il 14 luglio 2016 la Commissione europea ha pubblicato una proposta sulle disposizioni istituzionali dell’accordo (7), che comprende la creazione di gruppi consultivi composti da rappresentanti della società civile e in grado di fornire consulenza alle parti sull’applicazione dell’accordo. Il CESE accoglie con favore il fatto che il mandato di tali gruppi venga esteso in modo da coprire tutti i temi pertinenti per l’accordo; si rammarica tuttavia del fatto che la riunione congiunta dei due gruppi consultivi, da indire su iniziativa dei gruppi stessi, non venga esplicitamente menzionata nella proposta dell’UE e che il forum della società civile possa essere convocato soltanto dal comitato misto. Le riunioni del forum della società civile consentiranno ai membri dei due gruppi di lavorare su raccomandazioni comuni alle parti.

2.5.

A questo proposito, il CESE deplora profondamente che quando i negoziati verranno condotti, alla fine, sulla base di testi consolidati, l’elevato livello di trasparenza conseguito finora risulterà seriamente compromesso se gli USA non accetteranno di rendere tali testi accessibili al pubblico o almeno al gruppo consultivo dell’UE. Pertanto il CESE invita la Commissione a continuare a compiere tutti gli sforzi possibili per sollevare la questione con i propri omologhi.

3.   Cooperazione normativa

3.1.

La cooperazione normativa è uno dei tre pilastri del TTIP (gli altri sono l’accesso al mercato e le regole) e si compone di quattro elementi: gli aspetti orizzontali (che comprendono, da un lato, un capitolo sulla «coerenza normativa» o le «buone pratiche normative» e, dall’altro, un capitolo sulla «cooperazione normativa» tra le autorità di regolamentazione), gli ostacoli tecnici al commercio, la sicurezza alimentare e la salute di animali e piante (misure sanitarie e fitosanitarie) e infine gli allegati settoriali. L’obiettivo del presente capitolo è quello di analizzare il primo di questi elementi — gli aspetti orizzontali — mentre nel capitolo successivo verranno affrontati gli ostacoli tecnici al commercio e le misure sanitarie e fitosanitarie.

3.2.

La cooperazione normativa è considerata uno dei principali obiettivi del TTIP, perché può svolgere un ruolo importante nel facilitare gli scambi e gli investimenti nonché nel migliorare la competitività soprattutto delle piccole imprese. In particolare, le piccole e medie imprese si attendono nuove opportunità dato che, a differenza di quelle grandi, esse non dispongono delle risorse necessarie per orientarsi nei differenti contesti normativi delle due sponde dell’Atlantico. Al tempo stesso, una maggiore compatibilità dei regimi normativi creerebbe, per le grandi imprese, opportunità di trarre vantaggio dalle economie di scala tra l’Europa e gli Stati Uniti.

3.3.

Gli sforzi verso una cooperazione normativa non sono nuovi (8). I negoziati per il TTIP imprimono un nuovo slancio a favore di una maggiore cooperazione normativa, creando più ampie aspettative. Il CESE ritiene che non sia facile stimare i benefici derivanti da una maggiore cooperazione normativa, soprattutto perché variano a seconda del grado di cooperazione concordata nel corso dei negoziati. Nel progetto di relazione tecnica intermedia elaborato dalla Commissione europea e concernente la valutazione d’impatto per la sostenibilità si prevede che il 76 % dell’impatto complessivo del TTIP sarà il risultato della cooperazione normativa e che il 24 % deriverà dalla riduzione tariffaria (9).

3.4.

Tuttavia, il Comitato ritiene importante creare un sistema di protezione per far sì che il processo di cooperazione normativa non venga utilizzato per compromettere gli standard in materia di protezione sociale e di tutela dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente, ma che tenda piuttosto a migliorarli. Se tali condizioni saranno soddisfatte, non vi saranno solo vantaggi economici, ma anche un alleggerimento del lavoro delle autorità di regolamentazione nel conseguire obiettivi di politica pubblica.

3.5.

La salvaguardia degli alti livelli di protezione esistenti nell’UE è un punto fondamentale per il CESE. L’attuale proposta di articolo x1, lettera b), del capitolo sulla cooperazione normativa riguarda il perseguimento di obiettivi di politicai pubblica e di un elevato livello di protezione, in particolare nei seguenti settori: salute pubblica; vita e salute di persone, animali e piante; salute e sicurezza; condizioni di lavoro; benessere animale; ambiente; consumatori; protezione e sicurezza sociale; dati personali e cibersicurezza; diversità culturale; stabilità finanziaria.

3.6.

Tuttavia, il CESE teme che questo possa essere compromesso dall’articolo x1, lettera d), che stabilisce l’obiettivo di «ridurre i requisiti normativi inutilmente gravosi» (10). Il CESE teme che questa formulazione potrebbe indurre a pensare che la tutela dei diritti dei consumatori, dei lavoratori e dell’ambiente sia qualcosa di «gravoso» di per sé.

3.7.

Pertanto, il CESE ribadisce con fermezza che la salvaguardia degli elevati standard esistenti è un requisito fondamentale e che, oltre a promuovere le opportunità commerciali, la cooperazione normativa dovrebbe essere intesa a migliorare la sicurezza, la salute e il benessere economico e sociale dei cittadini sulle due sponde dell’Atlantico. Tale impegno dovrebbe essere pertanto riaffermato in un linguaggio molto chiaro e dettagliato nell’accordo definitivo. Il CESE esprime preoccupazione per la proposta dell’UE sulle buone pratiche in materia di regolamentazione. La cooperazione normativa dovrebbe essere intesa a migliorare il dialogo tra le autorità di regolamentazione e non invece a influenzare i rispettivi iter legislativi. Il CESE chiede alla Commissione europea di chiarire il capitolo della sua proposta relativo alle buone pratiche in materia di regolamentazione.

3.8.

In questo senso, il CESE ritiene che l’attuale proposta concernente il capitolo sulle buone pratiche normative, in cui si osserva che le parti avranno il compito di esaminare «alternative di tipo non normativo (compresa la possibilità di non regolamentare) […] in grado di conseguire l’obiettivo dell’atto normativo», non debba essere considerata una limitazione del diritto delle parti a regolamentare. Ai fini di una maggiore certezza del diritto, il testo dell’accordo dovrebbe specificare che questa disposizione non limita il diritto delle parti a legiferare. Rileva inoltre che l’articolo 6 della proposta relativo alle consultazioni delle parti interessate non dovrebbe essere considerato equivalente alla procedura detta «notice and comment» in vigore negli Stati Uniti (consistente nell’obbligo per le agenzie amministrative di notificare alle parti interessate una proposta di provvedimento, con la possibilità di queste di presentare osservazioni).

3.9.

Lo sviluppo degli scambi commerciali deve pertanto continuare a essere, secondo il CESE, un obiettivo centrale. È importante che i negoziati sul TTIP sostengano l’eliminazione di inutili ostacoli al commercio (11).

3.10.

Il CESE accoglie favorevolmente il fatto che l’attuale proposta della Commissione precisi in modo esplicito che la funzione e lo scopo della struttura istituzionale per la cooperazione normativa è di fornire sostegno e consulenza agli organi decisionali sotto il controllo democratico del Parlamento europeo e del Consiglio dell’UE (12). La normale procedura legislativa non deve essere compromessa e bisogna evitare eventuali ritardi o il cosiddetto «gelo normativo». Il CESE accoglie con favore il testo dell’articolo 1 proposto, nel quale si ribadisce il diritto sia di disciplinare sia di stabilire i livelli di protezione. Tuttavia, è fondamentale che la proposta definisca la composizione e le norme procedurali dei vari comitati e dei diversi gruppi di lavoro. Il CESE invita la Commissione europea a garantire la coerenza e l’uniformità tra i capitoli riguardanti la cooperazione normativa orizzontale, quelli sugli ostacoli tecnici al commercio e sulle misure sanitarie e fitosanitarie e gli allegati settoriali.

3.11.

Il dialogo che ha luogo all’inizio del processo normativo aumenta le possibilità di trovare soluzioni politiche che tengano conto anche delle considerazioni transfrontaliere e deve pertanto essere garantito. Nella sua proposta, la Commissione deve descrivere in maniera chiara il coinvolgimento dei soggetti interessati attraverso un processo trasparente, il quale è un principio fondamentale di un corretto iter normativo all’interno dell’Unione europea. Affinché la cooperazione normativa raggiunga risultati inclusivi e formuli proposte destinate alle autorità di regolamentazione, vi deve essere una partecipazione strutturata ed equilibrata delle parti interessate, in particolare le imprese, i consumatori, i gruppi d’interesse ambientalisti e i lavoratori.

3.12.

Per realizzare concretamente progressi specifici, occorrono consultazioni preliminari sulle attività normative tra le autorità di regolamentazione dell’UE e quelle degli Stati Uniti. Le discussioni fin dalle fasi iniziali del processo di elaborazione delle politiche dovrebbero aumentare le possibilità di elaborare norme interoperabili in futuro e di consentire agli operatori del mercato di conformarsi ai due regimi contemporaneamente. Tuttavia, le autorità di regolamentazione devono considerare facoltativi il dialogo e la risposta alle osservazioni dei loro omologhi o delle parti interessate, al fine di evitare qualsiasi effetto di gelo normativo.

3.13.

Il CESE chiede alla Commissione europea di chiarire le modalità concernenti sia il dialogo sia la partecipazione dei soggetti rappresentativi di cui sopra, in particolare le parti sociali e i rappresentanti della società civile. Bisogna garantire espressamente che le parti interessate pertinenti possano contribuire a un dialogo trasparente attraverso una procedura ben definita che imponga la parità di trattamento e consenta di evitare ritardi nel processo di regolamentazione. Per quanto riguarda l’UE, il registro per la trasparenza dovrebbe essere tenuto in considerazione al momento di definire la pertinenza e la rappresentatività delle parti interessate.

4.   Questioni riguardanti gli ostacoli tecnici al commercio e le misure sanitarie e fitosanitarie

4.1.

Il CESE si compiace del fatto che l’accordo OMC sugli ostacoli tecnici al commercio sia stato integrato così com’è nella proposta. Inoltre, il capitolo proposto sugli ostacoli tecnici al commercio affronta i requisiti tecnici (norme e regolamentazioni tecniche) e i requisiti di valutazione della conformità. Il CESE ritiene che le proposte in materia di normazione, regolamentazioni tecniche, etichettatura e marcatura debbano essere considerate interessi rilevanti e offensivi dell’Unione europea. È importante che queste proposte non vengano utilizzate per mettere in discussione i regolamenti in materia di salute e sicurezza e di protezione sociale.

4.2.

Il CESE prende atto delle disposizioni importanti in materia di trasparenza: in esse viene ribadito l’obbligo di notificare le misure all’OMC, di fornire informazioni all’altra parte, di offrire la possibilità di presentare osservazioni scritte e di fornire risposte a tali osservazioni. Tali disposizioni prevedono altresì la pubblicazione, in un registro, di tutte le regolamentazioni tecniche applicabili, sia quelle nuove che quelle già esistenti, nonché degli standard cui fanno riferimento le regolamentazioni tecniche (la grande maggioranza degli standard viene applicata dall’industria senza che le autorità di regolamentazione vi facciano riferimento nelle regolamentazioni tecniche).

4.3.

Per quanto riguarda la normazione, il CESE accoglie con favore la cooperazione tra gli organismi preposti e i principi relativi ad un limitato riconoscimento reciproco. Il CESE ha comunque preso atto delle preoccupazioni espresse dal CEN/Cenelec sui rischi del riconoscimento reciproco di norme volontarie nel quadro del TTIP. Il CESE chiede alla Commissione di valutare le proposte degli organismi di normazione dell’UE e di garantire che gli interessi dell’UE siano salvaguardati. Un altro aspetto importante è quello di garantire che tutte le parti interessate possano contribuire allo sviluppo di nuove norme.

4.4.

I sistemi di normazione degli Stati Uniti e dell’Unione europea sono assai diversi l’uno dall’altro. In particolare, gli Stati Uniti non hanno mai adottato il principio «un prodotto, uno standard accettato ovunque» che rappresenta un pilastro del mercato unico dell’UE. Quando viene adottato uno standard europeo, gli standard nazionali che sono in contrasto con esso vengono soppressi; negli USA coesistono standard diversi sul mercato, il che rende difficile per le PMI capire quale sia quello più adatto alla loro linea di prodotti. Al fine di accrescere la trasparenza e facilitare le piccole imprese, è essenziale che sia istituito un helpdesk negli Stati Uniti che possa fornire un servizio di supporto alle imprese dell’Unione europea che intendono esportare verso il mercato statunitense. Si tratta spesso di piccole imprese con risorse limitate ma con un elevato livello di specializzazione in un mercato di nicchia che costituisce la base della loro competitività.

4.5.

Il CESE si rammarica che taluni settori chiave come la sicurezza elettrica, la compatibilità elettromagnetica, i macchinari e le telecomunicazioni, nei quali l’UE ha un chiaro interesse offensivo, siano considerati settori prioritari da esaminare in futuro: essi dovrebbero figurare tra i risultati specifici di riferimento dei negoziati per quanto concerne la valutazione della conformità

4.6.

Analogamente, il CESE si rammarica che nel capitolo relativo alla marcatura e all’etichettatura non vengano definite delle priorità per i futuri lavori e non esistano «spazi riservati» né per il calendario del prossimo riesame dei requisiti di marcatura ed etichettatura, né per l’inclusione dei risultati ottenuti dai negoziati in determinati settori specifici.

4.7.

Il capitolo proposto per quanto concerne le misure sanitarie e fitosanitarie si basa sull’accordo dell’OMC in materia e sulle osservazioni in merito alla proposta testuale dell’Unione presentata per essere discussa con gli Stati Uniti in occasione del ciclo di negoziati svoltisi fra il 29 settembre e il 3 ottobre 2014 e resa pubblica il 7 gennaio 2015.

4.8.

L’accordo dell’OMC sulle misure sanitarie e fitosanitarie, che contempla l’applicazione dei regolamenti sulla sicurezza alimentare e sulla salute delle piante e degli animali, prevede il principio di precauzione (articolo 5, paragrafo 7), che attualmente è sancito anche dal trattato di Lisbona. Ciò non deve essere negoziabile e non dovrebbe pertanto formare parte dell’accordo. Il CESE accoglie pertanto favorevolmente le assicurazioni fornite dall’UE che il TTIP non modificherà le norme vigenti sui prodotti alimentari, che l’UE manterrà le sue restrizioni sugli ormoni e sugli stimolanti della crescita nelle carni e che il TTIP non cambierà la legislazione dell’UE in materia di organismi geneticamente modificati.

5.   Dogane e facilitazione degli scambi

5.1.

Considerato che il commercio di beni rappresenta una larga fetta degli scambi transatlantici, qualsiasi sforzo per migliorare le procedure doganali avrà un notevole impatto sugli scambi bilaterali, in particolare per le piccole imprese.

5.2.

Il CESE accoglie favorevolmente le proposte aggiuntive volte ad agevolare le procedure doganali, in particolare: la creazione di uno sportello unico da entrambe le parti dell’Atlantico, un maggiore coordinamento sugli standard internazionali e lo sviluppo di un programma di partenariato per facilitare il commercio, l’armonizzazione e l’allineamento dei dati, l’impegno a valutare quali dati debbano essere allineati, il potenziamento delle responsabilità del comitato misto di cooperazione doganale affinché agisca in qualità di «comitato doganale specializzato» in taluni settori ancora da definire e possa adottare decisioni anticipate.

5.3.

Il CESE invita la Commissione europea a chiarire gli elementi particolarmente importanti per le imprese dell’UE e non ancora precisati nel testo disponibile, come il valore de minimis, l’eliminazione di tutti i costi aggiuntivi e la questione delle sanzioni e della responsabilità in caso di violazione della legislazione doganale.

6.   Servizi

6.1.

Nell’offerta di servizi, l’UE assume impegni significativi in settori che sono fondamentali per promuovere la competitività e la crescita dell’Europa (servizi digitali e telecomunicazioni), che accelerano il processo di integrazione delle catene globali del valore (trasporti, servizi di corriere, servizi alle imprese e servizi professionali) o che incidono su altri settori economici chiave (edilizia, vendita al dettaglio, energia).

6.2.

Il CESE, inoltre, rileva con soddisfazione che l’UE propone un quadro per facilitare un regime equo, trasparente e coerente per il reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali tra le parti e stabilisce le condizioni generali per la negoziazione di accordi di reciproco riconoscimento, che rivestono grande importanza per garantire ai fornitori di servizi dell’UE un migliore accesso al mercato.

6.3.

Il CESE ricorda tre aspetti principali collegati ai servizi: la necessità di incrementare l’accesso al mercato a livello sia federale che di Stato; il riconoscimento che l’accesso al mercato dipende anche da una maggiore cooperazione normativa; la richiesta di salvaguardare il carattere specifico dei servizi pubblici conformemente al trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

6.4.

Il CESE sottolinea che la Commissione dovrebbe assicurare che nel campo dei servizi il TTIP vada al di là degli accordi vigenti, quali il GATS e il TiSA, e che bisognerebbe adottare disposizioni specifiche per eliminare numerosi ostacoli discriminatori esistenti negli Stati Uniti.

6.5.

Il Comitato sottolinea un aspetto particolare che la Commissione dovrebbe prendere in considerazione e che riguarda gli squilibri di accesso al mercato: le imprese americane possono beneficiare di un mercato unico europeo mentre le imprese dell’UE devono far fronte, negli USA, a un mercato frammentato visto che numerosi settori nel campo dei servizi sono disciplinati a livello di singolo Stato. Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che il mantenimento dell’obbligo di visto imposto dagli Stati Uniti ai cittadini di alcuni Stati membri dell’UE, quando invece i cittadini statunitensi non hanno bisogno di visto per entrare nel territorio dell’Unione, costituisce un trattamento discriminatorio nei confronti dei cittadini dell’UE che nuoce alle relazioni bilaterali.

6.6.

In merito a determinati settori specifici, il CESE formula le seguenti osservazioni:

i servizi audiovisivi non fanno parte del mandato e non possono quindi essere inclusi in nessun impegno;

l’accesso al mercato dei servizi finanziari deve rimanere in sospeso finché i negoziatori statunitensi non accetteranno chiaramente di avviare un dibattito sulla cooperazione normativa. Una siffatta cooperazione normativa dovrebbe avere l’obiettivo di aumentare i livelli di protezione e la stabilità finanziaria;

i servizi pubblici devono essere pienamente tutelati in quanto garantiscono gli elevati standard esistenti nella fornitura di servizi essenziali e sensibili ai cittadini. A tal fine bisognerebbe inoltre adottare una serie di deroghe chiare e definite in termini generali.

6.7.

In materia di servizi pubblici, nel suo parere sul tema Commercio per tutti il CESE afferma che il modo migliore per proteggere i servizi pubblici negli accordi commerciali è «quello di ricorrere a un elenco positivo, per quanto riguarda sia l’accesso al mercato che il trattamento nazionale». Tuttavia, l’attuale offerta dell’UE relativa ai servizi nel TTIP adotta un approccio «ibrido» inedito ai servizi elencati che potrebbe dar luogo a una notevole incertezza.

6.8.

L’allegato III relativo all’accesso al mercato fornisce un elenco positivo con una formulazione identica all’elenco GATS dell’UE in cui «i servizi pubblici esistono in settori quali le consulenze scientifiche e tecniche, i servizi di R&S per le scienze sociali e umane, le prove tecniche e le analisi, i servizi ambientali, i servizi sanitari, i servizi di trasporto e i servizi connessi a tutti i modi di trasporto. Gli operatori privati beneficiano spesso di diritti esclusivi su questi servizi, ad esempio mediante concessioni da parte delle autorità pubbliche, fatti salvi specifici obblighi di servizio. Dato che i servizi pubblici esistono spesso anche a livello decentrato, è praticamente impossibile stilare un elenco dettagliato ed esauriente per i singoli settori» (13). Tuttavia, la clausola di pubblica utilità, che consente di mantenere strutture monopolistiche, presenta diverse carenze, tra cui il fatto che l’ambito di applicazione non copre determinate limitazioni, quali la verifica della necessità economica o le quote. Il CESE sottolinea che la deroga riguardante i servizi di pubblica utilità deve applicarsi a tutte le modalità di fornitura.

6.9.

Il CESE chiede che tale deroga, di cui all’allegato III, sia formulata in maniera esplicita e dettagliata, al fine di garantire che tutti i servizi pubblici sottoposti a esternalizzazione o finanziati dallo Stato o da organizzazioni private, con o senza scopo di lucro, siano esclusi dall’accordo.

6.10.

Nonostante la non applicazione delle clausole di sospensione (standstill) e di irreversibilità (ratchet) ai servizi di cui all’allegato II, il CESE è preoccupato per il fatto che, al termine dei negoziati, le riserve dell’UE attualmente elencate in questo allegato potrebbero essere spostate all’allegato I, impedendo quindi che la liberalizzazione sia rimessa in discussione. A questo proposito, il CESE concorda con quanto si afferma nella relazione consultiva del Consiglio economico e sociale dei Paesi Bassi, secondo cui «i governi devono restare liberi di dichiarare che determinati servizi, definiti secondo le loro preferenze, sono di “interesse pubblico generale”» (14).

6.11.

Il CESE teme inoltre che le disposizioni nazionali concernenti qualsiasi servizio che non figuri in modo adeguato nell’elenco di cui agli allegati I e II possano essere esposte a contestazioni da parte del governo degli Stati Uniti attraverso procedimenti di risoluzione delle controversie fra Stato e Stato per violazione degli impegni in materia di trattamento nazionale o della clausola della nazione più favorita oppure attraverso il sistema giurisdizionale per gli investimenti.

6.12.

Il CESE deplora il fatto che all’accesso al mercato dei servizi venga attribuita una minore attenzione rispetto ad altri capitoli e invita la Commissione a intensificare gli sforzi per eliminare gli ostacoli residui che impediscono di accedere ai mercati degli Stati Uniti. Questi ultimi continuano ad imporre un divieto totale nel settore del trasporto marittimo. Sono inoltre in vigore limiti alla presenza di capitali stranieri, come ad esempio il limite del 25 % nel trasporto aereo e del 20 % nel settore delle telecomunicazioni, nonché significativi ostacoli «oltre frontiera», in particolare nel settore delle telecomunicazioni e dei satelliti. Vi è poi un lungo elenco di requisiti in materia di cittadinanza, ad esempio nei settori bancario, assicurativo e della contabilità. Vengono imposti requisiti di residenza per servizi giuridici, di contabilità, ingegneria e assicurazione. Sono necessarie, inoltre, la presenza sul territorio, ad esempio, per i servizi giuridici, di contabilità e di assicurazione, come anche una determinata forma giuridica, in particolare nel settore delle assicurazioni.

7.   Sviluppo sostenibile

7.1.

Il TTIP offre alle parti la possibilità di promuovere la sostenibilità attraverso gli scambi e di andare al di là di qualsiasi altro accordo commerciale concluso da una delle parti in relazione ad obiettivi di sostenibilità. Nei pareri REX/390 e REX/449 (15), il CESE aveva chiesto l’inclusione di un solido capitolo sul commercio e sullo sviluppo sostenibile, definito come una componente essenziale dell’accordo, e accoglie pertanto con favore la portata globale e dettagliata della proposta della Commissione. Il CESE ritiene tuttavia che il valore effettivo di tali disposizioni dipenda innanzitutto dalla possibilità che alla fine queste vengano effettivamente applicate.

7.2.

Nel parere REX/390, il CESE sottolinea che un forte meccanismo congiunto di monitoraggio della società civile deve fare parte integrante di qualunque accordo. Il Comitato pertanto sostiene pienamente la dichiarazione della commissaria Malmström sulla necessità di meccanismi di applicazione efficaci nel capitolo sullo sviluppo sostenibile (16). Allo stesso modo, il CESE appoggia le raccomandazioni formulate nella relazione consultiva del Consiglio economico e sociale neerlandese e del Consiglio economico, sociale e ambientale francese circa «la capacità di imporre sanzioni efficaci alle parti, ove necessario» (17).

7.3.

Il CESE elogia il profondo impegno della Commissione europea a conseguire elevati standard in materia di lavoro e di ambiente. Il CESE approva che il diritto di regolamentare e di stabilire i livelli di protezione sia stato riaffermato nel preambolo dell’accordo e in un articolo ad hoc del capitolo sullo sviluppo sostenibile.

7.4.

Il CESE aveva invitato a ribadire l’impegno delle parti ad attuare e ad applicare efficacemente la loro normativa in materia di lavoro e a rispettare gli obblighi loro derivanti dall’adesione all’OIL. Pertanto il CESE è favorevole all’inclusione di disposizioni vincolanti sulla tutela delle norme fondamentali del lavoro, quali la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, mediante la costituzione di sindacati e l’adesione ad essi, l’eliminazione del lavoro forzato o obbligatorio, l’effettiva abolizione del lavoro minorile, nonché l’uguaglianza e la non discriminazione in materia di occupazione e di professioni. Inoltre, il CESE accoglie con favore l’ulteriore integrazione dell’impegno delle parti a garantire condizioni di lavoro dignitose nonché salute e sicurezza sul lavoro. Al fine di rendere vincolanti tali disposizioni sullo sviluppo sostenibile, occorre attuare un «approccio in tre fasi» che preveda consultazioni governative, gruppi consultivi nazionali e comitati di esperti con la partecipazione dell’OIL e la disposizione generale sulla risoluzione delle controversie contenuta nell’accordo.

7.5.

Per quanto riguarda gli aspetti ambientali, l’inserimento di una disposizione sul commercio collegata a una gestione ecologicamente corretta dei rifiuti e delle sostanze chimiche è perfettamente in linea con le preoccupazioni della società civile. Il CESE approva pertanto l’inclusione, nell’accordo, di disposizioni intese a prevenire o a ridurre al minimo gli effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente in relazione ai prodotti chimici e ai rifiuti. Analogamente, il CESE accoglie favorevolmente l’impegno delle parti a garantire una gestione sostenibile delle foreste e il riconoscimento reciproco del notevole impatto negativo della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata.

7.6.

La cooperazione tra le parti per quanto riguarda gli aspetti commerciali delle politiche in materia di lavoro e di ambiente è una disposizione della proposta che merita di essere approvata. Il CESE è favorevole a che sia riconosciuta l’importanza della cooperazione nel promuovere condizioni di lavoro dignitose nelle catene di approvvigionamento globali e nell’elaborare strategie e politiche che favoriscano il contributo del commercio all’efficienza delle risorse, all’economia verde e a quella circolare (18).

7.7.

Il CESE sostiene l’obiettivo di tutelare i diritti del lavoro e l’ambiente attraverso un codice di condotta, programmi standard, l’etichettatura, la certificazione, la verifica e altre politiche aziendali collegate.

7.8.

Un comportamento responsabile da parte delle imprese, ad esempio all’insegna della loro responsabilità sociale, può dare un ulteriore contributo agli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il CESE sostiene l’inserimento nel capitolo sulla sostenibilità di espliciti riferimenti alle linee guida dell’OCSE destinate alle imprese multinazionali, al patto mondiale (Global Compact) delle Nazioni Unite, alla norma ISO 26000, alla dichiarazione tripartita dell’OIL sui principi concernenti le imprese multinazionali e la politica sociale (dichiarazione MNE) e ai principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.

7.9.

Il CESE prende atto del fatto che il testo della proposta europea non contiene elementi relativi alla risoluzione delle controversie, tema, questo, che sarà elaborato in una fase successiva, e si riserva la possibilità di formulare osservazioni in merito a tali elementi nel momento in cui saranno resi pubblici.

7.10.

Per sostenere l’attuazione dell’impegno delle parti a favore della promozione del commercio internazionale in modo da contribuire all’obiettivo di perseguire lo sviluppo sostenibile, il CESE è favorevole a un meccanismo di applicazione basato sul dialogo sociale. Il CESE accoglie con favore le proposte della Commissione per l’istituzione di gruppi consultivi nazionali costituiti da gruppi della società civile che rappresentino in modo equilibrato gli interessi delle imprese, dei lavoratori, dei consumatori, dell’ambiente e della sanità pubblica, e possano presentare punti di vista o raccomandazioni in merito al TTIP (19). L’esperienza acquisita con gli accordi in vigore ci insegna che per garantire l’efficacia di tali meccanismi di monitoraggio è importante che le raccomandazioni formulate dagli organi di monitoraggio diano luogo a un’indagine da parte delle istituzioni dell’UE e siano collegate a un meccanismo di applicazione.

8.   Investimenti

8.1.

Il CESE prende atto della presentazione, da parte della Commissione, di una proposta di testo relativa a un sistema giurisdizionale per gli investimenti (ICS), che introduce una riforma procedurale volta a creare un nuovo sistema in sostituzione del meccanismo ISDS (composizione delle controversie investitore-Stato). Il sistema si compone di due parti, più precisamente le disposizioni sostanziali sulla protezione degli investimenti e le misure operative del sistema, il cui obiettivo è di comporre le controversie tra investitori e Stati. Il sistema comprende anche una sezione introduttiva che contiene le definizioni specifiche relative alla tutela degli investimenti.

8.2.

Come era stato richiesto nel parere REX/390, il testo fornisce definizioni più precise dei concetti di «diritto di regolamentare», «espropriazione indiretta» e «trattamento giusto ed equo». Sono queste le condizioni che devono essere soddisfatte per poter regolamentare la procedura di risoluzione delle controversie tra uno Stato e un investitore. Questi chiarimenti garantiscono il diritto delle parti a regolamentare la tutela dell’investitore nel pubblico interesse.

8.3.

Il CESE sottolinea che le definizioni contenute nell’accordo, in particolare il diritto a regolamentare, dovrebbero essere chiare e assicurare il diritto di un paese a mantenere e a introdurre standard elevati soprattutto in materia di protezione sociale, ambientale e dei consumatori, garantendo al tempo stesso un’adeguata e legittima tutela degli investitori dal protezionismo e dalla discriminazione. Il CESE si rallegra del fatto che un articolo ad hoc sia stato inserito nel testo dell’accordo, in aggiunta a quanto sancito nel preambolo. In relazione al diritto di legiferare nel settore della protezione sociale, dovrebbero essere esplicitamente menzionati i contratti collettivi, compresi gli accordi tripartiti e/o generalizzati (erga omnes), in modo da evitare che essi possano essere interpretati come una violazione delle legittime aspettative di un investitore. Le condizioni lavorative e salariali stabilite nel quadro di accordi collettivi non possono essere considerate ostacoli non tariffari al commercio.

8.4.

Il CESE riconosce tuttavia che i cambiamenti più significativi riguardano gli aspetti procedurali della risoluzione delle controversie. Il sistema di arbitrato è stato trasformato in un sistema giudiziario con un tribunale in cui gli arbitri ad hoc designati dalle parti della controversia sono sostituiti da giudici il cui nome figura in un elenco permanente e che saranno designati dalle parti contraenti. Tali cambiamenti rendono il sistema maggiormente istituzionalizzato. Il CESE invita le parti a garantire che, nel momento stesso in cui il trattato sarà ratificato, il sistema giudiziario per gli investimenti sia pienamente operativo e che i giudici godano di legittimità democratica e siano nominati in modo da eliminare il rischio di politicizzazione del sistema giudiziario, come pure il rischio di conflitti di interesse.

8.5.

Il CESE sottolinea con soddisfazione che un codice di condotta rigoroso è stato introdotto per garantire l’imparzialità ed evitare conflitti di interessi. Un «ricorso giurisdizionale» è inoltre previsto per giudicare le sentenze del tribunale, dando così una risposta a critiche legittime sollevate nei confronti del sistema ISDS. Inoltre, la trasparenza è garantita dal fatto che nelle controversie verrebbero applicate le norme dell’UNCITRAL (la Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale).

8.6.

Il CESE accoglie con favore i miglioramenti intesi a riformare il sistema ma ravvisa ancora una serie di criticità che è necessario affrontare.

8.7.

Il CESE riconosce inoltre che sussistono preoccupazioni riguardo all’attuazione del nuovo sistema, preoccupazioni che variano a seconda delle parti interessate. Il CESE chiede alla Commissione di esaminare ulteriormente questi timori nei suoi sforzi costanti per migliorare il sistema di risoluzione delle controversie in materia di investimenti.

8.8.

Alcune di queste preoccupazioni possono essere così riassunte:

la necessità di trovare il giusto equilibrio tra le politiche pubbliche legittime e le norme di protezione degli investimenti per quanto concerne il «trattamento giusto ed equo» e «la protezione contro l’espropriazione indiretta», sulla base di chiare definizioni che riducano il rischio di interpretazioni estensive;

un elenco estremamente limitato di obiettivi politici legittimi, come la tutela della salute pubblica, della sicurezza, dell’ambiente o della morale pubblica, della protezione sociale o dei consumatori o la promozione e protezione della diversità culturale connesse al diritto di regolamentare;

il fatto che non vi sia una esplicita esclusione dei regolamenti che disciplinano l’organizzazione o la fornitura di servizi pubblici;

l’esclusione totale del lucro cessante dal calcolo del risarcimento per gli investimenti che sono stati effettuati;

il fatto che l’attuazione del principio «chi perde paga» possa scoraggiare un’impresa, in particolare una PMI, dal ricorrere a tale sistema;

la necessità di fare riferimento agli obblighi degli investitori di cui alla dichiarazione dell’OIL per le imprese multinazionali, ai principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani e alle linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali;

una certa mancanza di chiarezza circa il modo in cui le sentenze saranno riconosciute ed eseguite dai tribunali nazionali e circa il rapporto con la convenzione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere o con le pertinenti norme del Centro internazionale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti (ICSID). Questi elementi meritano di essere precisati in quanto l’attuale sistema pone gli investitori già ora dinanzi a problemi di applicazione;

la necessità di valutare attentamente la compatibilità del sistema giurisdizionale per gli investimenti con il quadro giuridico dell’UE;

l’assenza di una reale indipendenza dei giudici, dal momento che nella nuova proposta in alcuni casi sono ancora autorizzati a operare come legali di impresa;

la necessità di prendere in considerazione la raccomandazione di una valutazione d’impatto per la sostenibilità, contenuta nel progetto di relazione tecnica intermedia sul TTIP, per escludere la possibilità che i servizi pubblici siano oggetto di contestazione nell’ambito dell’ICS (20).

Il CESE invita la Commissione a coinvolgere la società civile e la comunità giuridica europea nel dare una risposta a tali preoccupazioni.

8.9.

Alcuni soggetti interessati, inoltre, mettono in dubbio la necessità di un apposito sistema di arbitrato in materia di investimenti in sistemi giuridici nazionali ben funzionanti e altamente sviluppati (21).

8.10.

In conclusione, il CESE ritiene che il sistema giurisdizionale per gli investimenti proposto dalla Commissione europea sia un passo nella giusta direzione, ma che debba essere ulteriormente migliorato in un certo numero di settori al fine di operare come organo giurisdizionale internazionale indipendente. Il Comitato si rammarica del fatto che questo sia stato proposto senza un processo di consultazione completo e adeguato e senza una valutazione preliminare dell’impatto concernente sia i costi del sistema stesso sia il suo funzionamento, e chiede alla Commissione di effettuare tale valutazione.

Bruxelles, 21 settembre 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. il parere d’iniziativa del CESE sul tema Le relazioni commerciali transatlantiche e il punto di vista del CESE su una cooperazione rafforzata e un eventuale accordo di libero scambio tra l’UE e gli USA (GU C 424 del 26.11.2014, pag. 9).

(2)  Cfr. il parere d’iniziativa del CESE Tutela degli investitori e risoluzione delle controversie investitore-Stato negli accordi commerciali e di investimento dell’UE con i paesi terzi (GU 332 dell'8.10.2015, pag. 45).

(3)  Cfr. il parere d’iniziativa del CESE Il TTIP e il suo impatto sulle PMI (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 34).

(4)  Comunicazione della Commissione europea Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile (COM(2015) 497 final).

(5)  Cfr. il parere d’iniziativa del CESE sul tema Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 123).

(6)  Cfr. nota 5.

(7)  Cfr. http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2016/july/tradoc_154802.pdf

(8)  Ricordiamo ad esempio il Consiglio economico transatlantico (CET) istituito nel 2007, il Forum per la cooperazione ad alto livello e il Forum per la cooperazione normativa ad alto livello.

(9)  Ecorys, Trade SIA on the Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) between the EU and the USA — Draft Interim Technical Report (Valutazione d’impatto per la sostenibilità degli scambi commerciali riguardo al Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) tra l’UE e gli USA — Progetto di relazione tecnica intermedia), pag. 18 (http://www.trade-sia.com/ttip/wp-content/uploads/sites/6/2014/02/TSIA-TTIP-draft-Interim-Technical-Report.pdf).

(10)  Proposta riveduta di testo dell’UE sulla cooperazione normativa, resa pubblica il 21 marzo 2016, http://trade.ec.europa.eu/doclib/html/154377.htm.

(11)  Relazione 16/04E del Consiglio economico e sociale (SER) neerlandese sull’accordo TTIP, (https://www.ser.nl/~/media/files/internet/talen/engels/2016/ttip.ashx).

(12)  Cfr. il parere del Consiglio economico, sociale e ambientale francese sul tema Le poste in gioco dei negoziati relativi al progetto di Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTPI)

(http://www.lecese.fr/sites/default/files/pdf/Avis/2016/2016_01_projet_partenariat_transtlantique.pdf).

(13)  Offerta di servizi e gli investimenti nell’Unione europea (http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2015/july/tradoc_153670.pdf).

(14)  Cfr. nota 11.

(15)  Cfr. nota 5.

(16)  Dichiarazione della commissaria Malmström del 17 novembre 2015 (http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2015/november/tradoc_153968.pdf).

(17)  Cfr. note 12 e 11.

(18)  Cfr. il parere d’iniziativa del CESE sul tema Lavoro dignitoso nelle catene globali di approvvigionamento (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 17).

(19)  Cfr. nota 7.

(20)  Ecorys, Trade SIA on the Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) between the EU and the USA — Draft Interim Technical Report (Valutazione d’impatto per la sostenibilità degli scambi commerciali riguardo al Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) tra l’UE e gli USA — Progetto di relazione tecnica intermedia), pag. 144 (http://www.trade-sia.com/ttip/wp-content/uploads/sites/6/2014/02/TSIA-TTIP-draft-Interim-Technical-Report.pdf).

(21)  Cfr. ad esempio la posizione della Confederazione europea dei sindacati sulla proposta della Commissione per un sistema giurisdizionale per gli investimenti nel TTIP e nel CETA https://www.etuc.org/documents/etuc-position-commissions-proposal-investment-court-system-ttip-and-ceta#.V2xn19KNhHg.


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: «Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE»

[parere esplorativo]

(2016/C 487/06)

Relatore:

Ioannis VARDAKASTANIS

Correlatrice:

Jarmila DUBRAVSKÁ

Consultazione

Commissione europea, 8.6.2016

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

5.9.2016

Adozione in sessione plenaria

21.9.2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

171/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’adozione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile rappresenta una svolta storica in direzione di un nuovo paradigma, perché affronta in maniera universale e integrata le disparità economiche, sociali e ambientali. Tutti i paesi devono tradurre e attuare l’Agenda, indipendentemente dal livello di reddito. Questa Agenda di straordinaria importanza riflette pienamente i valori europei di giustizia sociale, governance democratica, economia sociale di mercato e tutela dell’ambiente. Essa costituisce pertanto una grande occasione per l’UE di far leva su questi valori e di gestire la sua attuazione in modo globale. Il CESE invita l’UE a dare l’esempio a livello mondiale nell’ambito di questo processo di grande complessità.

1.2.

Il CESE accoglie con favore l’impegno dell’Unione europea a favore dell’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS). Esprime tuttavia preoccupazione per il fatto che, a un anno dall’adozione dell’Agenda 2030 dell’ONU, l’UE non abbia preso misure concrete e lungimiranti per integrare gli OSS nelle sue politiche e nei suoi programmi, e non abbia avviato una più ampia consultazione con la società civile.

1.3.

L’UE ha di fronte sfide politiche, sociali, economiche e strutturali cruciali in tutti i settori dell’economia e della società. Le disuguaglianze, la disoccupazione, specie giovanile, l’esclusione sociale e la povertà, le diseguaglianze di genere, la discriminazione e l’emarginazione dei gruppi vulnerabili nelle società europee minano le fondamenta stesse dell’Unione europea. In molti Stati membri, la crisi finanziaria ha ulteriormente acutizzato il problema, trasformandosi in una crisi dei diritti umani e sociali.

1.4.

L’Agenda 2030 dell’ONU dovrebbe essere convertita in una narrazione proattiva, trasformazionale e positiva per l’Europa e tale processo deve essere guidato a livello politico da una volontà e una determinazione forti di plasmare un’Unione europea sostenibile, avviando le nostre economie verso uno sviluppo resiliente, competitivo, efficiente nell’uso delle risorse, a basso tenore di carbonio e socialmente inclusivo. Questa narrazione lungimirante contribuirebbe inoltre a far fronte alla sfiducia senza precedenti mostrata dai cittadini dell’UE nel progetto europeo, e in particolare a conquistare il sostegno dei giovani per tale progetto. L’UE dovrebbe quindi utilizzare l’Agenda 2030 dell’ONU per presentare ai suoi cittadini una nuova visione per l’Europa: il contratto sociale del ventunesimo secolo.

1.5.

Il CESE chiede una strategia generale e integrata per un’Europa sostenibile all’orizzonte del 2030 e oltre, che garantisca la necessaria prospettiva a lungo termine, il coordinamento e la coerenza delle politiche per l’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Tale strategia dovrebbe essere basata su un accordo interistituzionale tra la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo, al fine di creare una solida base per l’ulteriore azione politica. A giudizio del CESE le attuali strategie europee, tra cui Europa 2020, che ha soppiantato in quanto strategia generale la precedente Strategia europea per lo sviluppo sostenibile del 2001, e le 10 priorità del presidente Juncker, non forniscono un approccio per raccogliere tutte le sfide insite nell’attuazione degli OSS nell’UE.

1.6.

La suddetta strategia generale deve comprendere traguardi specifici per l’attuazione degli OSS, meccanismi di revisione e di monitoraggio, piani d’azione con i necessari strumenti legislativi e strategici, attività di sensibilizzazione, come ad esempio un sondaggio di Eurobarometro sugli OSS, e un piano per la mobilitazione di risorse finanziarie. La Commissione dovrebbe avviare l’elaborazione di questa strategia nella sua imminente comunicazione e la fase di concezione della strategia dovrebbe prevedere un’ampia consultazione della società civile, dei governi, dei parlamenti e degli enti locali. Il CESE è pronto a contribuire a tale processo in veste di facilitatore.

1.7.

Il lavoro della Commissione volto a effettuare una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE alla luce dei 17 OSS è una misura necessaria. Il CESE invita la Commissione a integrare tale iniziativa con un’analisi dettagliata delle lacune rispetto ai 17 OSS, al fine di individuare i settori in cui l’UE dovrebbe avviare azioni preliminari e immediate.

1.8.

Il CESE ha individuato i seguenti principali settori di intervento per un cambiamento trasformazionale in direzione dello sviluppo sostenibile, e raccomanda alla Commissione di definire, tenendo conto delle raccomandazioni formulate al punto 4.3 del presente parere, adeguate iniziative faro, comprendenti piani d’azione e tappe fondamentali trasparenti:

la transizione equa verso un’economia a basso tenore di carbonio, circolare e collaborativa,

la transizione verso una società e un’economia socialmente inclusive, il lavoro dignitoso e i diritti umani,

la transizione verso la produzione e il consumo sostenibili di alimenti,

l’investimento nell’innovazione e nella modernizzazione a lungo termine delle infrastrutture e la promozione delle imprese sostenibili,

la promozione dello sviluppo sostenibile globale attraverso gli scambi commerciali.

1.9.

Il CESE chiede alla Commissione di integrare gli OSS in tutte le politiche pertinenti. Si dovrebbero utilizzare a tal fine le relazioni intermedie da realizzare nel periodo 2014-2020. I futuri periodi di riferimento dei quadri finanziari pluriennali offriranno un’eccellente opportunità per integrare gli OSS nei programmi di spesa dell’UE.

1.10.

È particolarmente importante integrare l’Agenda 2030 dell’ONU nell’azione esterna dell’Unione europea. La Commissione dovrebbe adeguare integralmente settori di importanza cruciale, quali le politiche commerciali e di sviluppo, le politiche ambientali globali e l’azione per il clima, gli aiuti umanitari, la limitazione del rischio di catastrofi, il trasferimento di tecnologia e la promozione dei diritti umani, in modo da promuovere proattivamente l’attuazione dell’Agenda 2030 dell’ONU. Il Comitato invita inoltre la Commissione a integrare e applicare pienamente l’Agenda 2030 dell’ONU nel consenso europeo in materia di sviluppo e si rammarica del fatto che di ciò non si sia tenuto sufficientemente conto nella strategia globale dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza.

1.11.

Il CESE invita la Commissione a valutare e migliorare il coordinamento orizzontale e verticale delle politiche ai fini di un’efficace attuazione dell’Agenda 2030 dell’ONU. Una migliore governance è un fattore cruciale dello sviluppo sostenibile. Il semestre europeo dovrebbe essere sviluppato e trasformato in un quadro di governance adatto per coordinare l’attuazione degli OSS con gli Stati membri. Il CESE sottolinea che la partecipazione, la trasparenza, il monitoraggio e il riesame, la responsabilità e la titolarità dei cittadini dovrebbero figurare tra gli elementi e le caratteristiche principali di una migliore governance.

1.12.

Eurostat dovrebbe elaborare e applicare una serie di indicatori e parametri di riferimento, sviluppati dall’ONU, per facilitare la valutazione, il monitoraggio, la rendicontabilità e la trasparenza del processo di attuazione degli OSS e fornire alle istituzioni dell’UE, agli Stati membri e a tutte le parti interessate dati statistici verificati ripartiti per singolo OSS e per traguardo.

1.13.

Il CESE rileva con soddisfazione che tra i 22 paesi che nel 2016 hanno presentato al Forum politico di alto livello delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile le prime valutazioni volontarie in materia di attuazione degli OSS figuravano quattro Stati membri dell’UE. Invita l’UE a dare l’esempio ed essere la prima regione a presentare una valutazione volontaria al forum politico di alto livello del 2017. Il CESE sarebbe disposto ad organizzare il contributo della società civile.

1.14.

L’Unione europea dovrebbe optare per un’impostazione guidata da una pluralità di parti interessate nell’attuazione degli OSS, includendo tutti i soggetti e le organizzazioni della società civile sulla base dei principi di partecipazione, rendicontabilità e partenariato. Il CESE stesso ha già presentato un’iniziativa specifica per il Forum della società civile europea a favore dello sviluppo sostenibile con la partecipazione di più parti interessate. La Commissione dovrebbe valutare e sviluppare proattivamente un’iniziativa per una Carta degli OSS, volta a favorire la creazione di forti partenariati a livello nazionale, UE e internazionale.

2.   Introduzione

2.1.

Nel settembre del 2015 i leader mondiali hanno adottato il documento dell’ONU Trasformare il nostro mondo: agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, indicando una serie di OSS per sradicare la povertà, proteggere il pianeta, garantire la tutela dei diritti umani e assicurare la prosperità per tutti. Ogni obiettivo prevede alcuni traguardi specifici da raggiungere nei prossimi 15 anni.

2.2.

L’UE avrà un ruolo cruciale nell’attuazione degli OSS in Europa. Nel suo programma di lavoro per il 2016 la Commissione ha annunciato una nuova iniziativa, Le prossime tappe per un futuro europeo sostenibile, al fine di attuare gli OSS nelle politiche interne ed esterne dell’UE (1).

2.3.

Come primo passo la Commissione sta svolgendo una «mappatura» per individuare quali politiche attuali dell’UE raccolgano già le sfide poste dagli OSS. La Commissione ha invitato il Comitato a contribuire a tale processo con il presente parere esplorativo. Per tenere conto del più ampio dibattito in corso nella società civile europea, il Comitato ha preso in considerazione i risultati di due grandi convegni sull’attuazione degli OSS, svoltisi presso la sua sede nel 2016, e di altri importanti convegni (2).

3.   Trasformare gli OSS in un’Agenda 2030 europea: verso un’Unione dello sviluppo sostenibile

3.1.

Il Comitato accoglie con favore l’iniziativa Le prossime tappe per un futuro europeo sostenibile , annunciata nel programma di lavoro della Commissione per il 2016, come approccio innovativo volto ad assicurare lo sviluppo economico e la sostenibilità sociale e ambientale dell’Europa oltre l’orizzonte temporale del 2020 ed ad attuare in modo integrato gli OSS nelle politiche interne ed esterne dell’UE (3). Si nutrono tuttavia timori per una possibile mancanza di volontà e di impegno a livello politico, dato che finora non è stato fatto molto per attuare l’Agenda.

3.2.

In una situazione in cui il progetto dell’UE è sotto pressione e sta perdendo la fiducia di molti cittadini, l’UE dovrebbe utilizzare gli OSS per sviluppare una narrazione trasformazionale positiva per un’Europa sostenibile, che colleghi la prospettiva a lungo termine con azioni politiche concrete a breve e medio termine. La sostenibilità è un «marchio» europeo (4): l’Agenda 2030 dell’ONU rispecchia valori europei e il modello europeo di giustizia sociale e di governance democratica, e offre quindi un’eccellente opportunità di definire una narrazione e una visione nuove, convincenti e positive per l’UE.

3.3.

Tutti gli Stati membri dell’UE e l’UE nel suo insieme hanno approvato l’Agenda 2030 dell’ONU. È giunto il momento di un chiaro impegno politico, assunto al più alto livello politico, che affermi che l’UE ha già adottato questa nuova agenda come una visione e un quadro generale per la transizione verso un’Unione dello sviluppo sostenibile (5).

3.4.

L’attuazione degli OSS non riguarda solo lo sviluppo o l’ambiente. Gli OSS affrontano le principali sfide della trasformazione delle nostre economie e società, anche nei paesi sviluppati. La loro applicazione nell’UE richiede un nuovo modello di sviluppo che sia economicamente più sostenibile, socialmente più inclusivo ed ecologicamente più sostenibile nel lungo periodo e in grado di garantire un’equa ripartizione delle risorse del nostro pianeta con una popolazione mondiale in crescita. Bisogna trasformare radicalmente le nostre economie (6). Il nuovo concetto di sviluppo dovrebbe comportare una nuova definizione di prosperità per l’UE e una nuova serie di indicatori. Gli OSS dovrebbero essere usati come leve per consentire e accelerare la transizione nel lungo periodo verso un’economia dell’UE resiliente, competitiva, efficiente nell’uso delle risorse e socialmente inclusiva.

3.5.

Il lancio, da parte della Commissione, di una tabella di marcia per il rinnovo del consenso europeo in materia di sviluppo induce a ritenere che la Commissione intenda concentrarsi in primo luogo sull’attuazione della nuova agenda nell’ambito delle politiche di sviluppo. Questo tipo di attribuzione di priorità non è in linea con l’approccio integrato degli OSS, che richiede strategie di attuazione generali e integrate che includano le politiche interne ed esterne.

3.6.

Per istituire un quadro di governance per l’attuazione degli OSS l’UE dovrà estendere il suo orizzonte di programmazione ben al di là del 2020. Una strategia globale e a lungo termine per un’Europa sostenibile all’orizzonte del 2030 e oltre (7) dovrebbe tradurre gli OSS in politiche interne ed esterne dell’UE, che affrontino sfide specificamente europee e siano accompagnate da tabelle di marcia e piani d’azione trasparenti per iniziative legislative e politiche e da un calendario dettagliato fino al 2030. Il Parlamento europeo ha chiesto un approccio analogo (8).

4.   Mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE

4.1.    L’esercizio di mappatura dev’essere combinato con un’analisi delle lacune strategiche

4.1.1.

Per definire una strategia politica dell’UE e una tabella di marcia relativa all’attuazione degli OSS serve ben più di una mappatura delle attuali politiche dell’UE. Una mappatura che riconduca le attuali politiche dell’UE ai singoli OSS non consente di valutare se sia possibile attuare tali obiettivi nell’UE senza ulteriori interventi. Le politiche attuali potrebbero non essere efficaci, o essere compromesse da altre politiche, oppure potrebbero esservi altri ostacoli. Pertanto, la mappatura delle politiche dev’essere combinata con un’analisi delle lacune che individui le effettive carenze delle politiche dell’UE rispetto ai 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU e ai traguardi associati.

4.1.2.

In tale contesto, il CESE accoglie con favore il documento elaborato sotto la guida dell’ex direttore generale della DG Ambiente, Karl Falkenberg, intitolato Strategic Notes «Sustainability Now!» (Note strategiche «Sostenibilità adesso»), che descrive già, in maniera decisa, attraverso esempi relativi ad alcuni settori di intervento, l’esigenza di riforme per l’UE in seguito all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

4.1.3.

Un’analisi esauriente delle lacune relative agli OSS per l’UE fa tuttora difetto. Tuttavia, da un «indice e quadro di controllo» degli OSS pubblicato di recente e da altre valutazioni svolte negli Stati membri dell’UE emerge che gli OSS costituiscono un programma ambizioso anche per i paesi ad alto reddito (9), anzitutto a causa delle modalità con cui tali paesi producono, forniscono e consumano prodotti e servizi e del conseguente impatto negativo sull’ambiente. Le principali sfide per i paesi dell’UE sono l’obiettivo 12 in materia di consumo e produzione responsabili, l’obiettivo 13 in materia di azione per il clima, gli obiettivi 14 e 15 sulla conservazione degli ecosistemi, i traguardi per l’agricoltura sostenibile e l’alimentazione dell’obiettivo 2, e l’obiettivo 9 sull’industria, l’innovazione e le infrastrutture, in relazione al quale è stata rilevata una carenza di investimenti.

4.1.4.

Le altre sfide sono gli OSS imperniati sulle persone, in particolare il numero 10, sulla riduzione delle disuguaglianze, il numero 8 sul lavoro e l’occupazione dignitosi, il numero 1 sulla povertà, il numero 5 sull’uguaglianza di genere, il numero 4 sull’istruzione.

4.1.5.

Molti paesi OCSE non riescono a conseguire il traguardo sui contributi finanziari alla cooperazione allo sviluppo, nel quadro dell’obiettivo 17.

4.1.6.

In quanto programma universale, gli OSS mirano anche a ridurre le ripercussioni sociali e ambientali negative che le economie dei paesi ad alto reddito hanno nei paesi terzi. Finora questo aspetto non è stato oggetto di molte misurazioni, ma si tratta di una sfida importante per gli Stati dell’UE.

4.2.    Il contributo delle attuali strategie europee all’attuazione degli OSS

4.2.1.

Il Comitato ritiene che la mappatura delle politiche dell’UE dovrebbe concentrarsi anzitutto sugli strumenti politici di importanza strategica per la definizione e l’attuazione delle politiche dell’UE. Le prime valutazioni indicano che questi strumenti non sono all’altezza della sfida dell’attuazione degli OSS nell’UE (10). Nessuna di queste strategie ha l’orizzonte temporale dell’Agenda 2030 dell’ONU.

4.2.2.

Ai tempi della Commissione Barroso la strategia Europa 2020 è stata proclamata strategia generale dell’UE, prendendo così il posto della strategia di sviluppo sostenibile dell’UE. Tale strategia affronta in linea di principio, le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, ma è piuttosto orientata al breve periodo, con una prospettiva chiaramente europea. Essa non tiene conto della prospettiva internazionale, né descrive l’impatto delle politiche interne dell’UE sulle altre parti del mondo e le sue politiche esterne, tra cui quella di cooperazione allo sviluppo. Di conseguenza, essa non potrebbe mai rappresentare un sostituto della precedente strategia di sviluppo sostenibile. Due OSS non sono presi in considerazione: il numero 2 relativo agli alimenti e all’agricoltura e il numero 16 sulla governance; altri, tra cui il numero 6 (acqua) e il numero 11 (città) sono coperti solo in parte.

4.2.3.

Due obiettivi (n. 14, oceani e n. 15, biodiversità) non sono considerati nelle dieci priorità del presidente Juncker, mentre altri (n. 4 istruzione, n. 6 acqua, n. 11 città e n. 12 consumo e produzione sostenibili) vi sono contemplati solo in misura limitata.

4.2.4.

Un gruppo più ristretto di priorità è stato scelto nella Relazione dei cinque presidenti, incentrata su questioni economiche, finanziarie, monetarie e di bilancio e comprendente la governance come quinto argomento. La relazione contiene dei riferimenti a settori connessi agli obiettivi di sviluppo del millennio, come l’energia, l’occupazione, l’inclusione sociale e i sistemi sanitari.

4.2.5.

Il Fondo europeo per gli investimenti strategici ha attirato progetti in settori che sembrano allinearsi ad alcune sfide connesse all’attuazione degli OSS: energia (40 %), ambiente ed uso efficiente delle risorse (12 %), infrastruttura sociale (3 %) (11).

4.2.6.

Alcuni OSS, in particolare il n. 3 relativo alla salute, il numero 5 sulla parità di genere, il n. 10 sulle disuguaglianze e il n. 11 sulle città, non sono adeguatamente trattati nel quadro delle priorità tematiche di investimento dei fondi strutturali e di investimento europei.

4.2.7.

Con la nuova strategia globale dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza l’UE dispone di un quadro più ampio per integrare l’Agenda 2030 dell’ONU in ambiti quali il commercio, lo sviluppo, la democrazia, i diritti umani, gli aiuti umanitari, la riduzione del rischio di catastrofi, il trasferimento di tecnologie e l’azione per il clima. La strategia affronta, in una certa misura, gli OSS relativi all’esigenza di garantire una prosperità condivisa a livello mondiale. Essa afferma inoltre che gli OSS guideranno il futuro accordo post-Cotonou e sono un fattore trainante per la revisione del consenso europeo per lo sviluppo.

4.3.    I settori chiave per il cambiamento trasformazionale

4.3.1.

Sulla base dell’analisi delle lacune e delle tendenze reali dei risultati dell’UE nella realizzazione degli obiettivi, la Commissione dovrebbe individuare i settori di intervento fondamentali per i cambiamenti trasformazionali necessari. L’azione politica andrebbe incentrata su tali settori fondamentali, con opportune iniziative faro, tra cui piani d’azione e tappe fondamentali trasparenti. Il CESE, anche alla luce dei suoi precedenti lavori in questi settori, considera essenziali le seguenti aree di intervento.

Transizione equa verso un’economia a basso tenore di carbonio, circolare e collaborativa

(Obiettivi 7, 8, 9, 11, 12 e 13)

4.3.2.1.

Una delle finalità principali degli OSS è mantenere i percorsi di sviluppo entro i limiti del pianeta, che si tratti del clima, del consumo di risorse, della qualità dell’aria e dell’acqua ovvero della protezione della biodiversità terrestre e marina. Ciò impone a regioni sviluppate come l’Europa di ridurre drasticamente l’impronta ambientale dell’economia attraverso uno spostamento della produzione, dei consumi e della società verso un’economia circolare e a basso tenore di carbonio. La transizione offre all’UE l’opportunità di ammodernare la propria economia, accrescendone così la competitività e la resilienza, e di migliorare la qualità della vita e il benessere dei suoi cittadini.

4.3.2.2.

Il Settimo programma d’azione per l’ambiente, il quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte 2030 e il piano d’azione per l’economia circolare hanno introdotto delle tabelle di marcia, ma è chiaro che bisogna accelerare i progressi sul campo (12). Si deve migliorare la coerenza con altri settori di intervento e rimediare alle carenze di attuazione in molti Stati membri integrando pienamente nel semestre europeo la transizione verso un’economia circolare e a basso tenore di carbonio (13). Il Settimo programma d’azione per l’ambiente e il piano d’azione per l’economia circolare necessitano di solidi meccanismi di attuazione e coordinamento attivo con altri settori di intervento all’interno della Commissione, al fine di assicurare risultati efficaci (14). Per avanzare bisogna migliorare il dialogo e le alleanze con la società civile, comprese le imprese e i sindacati. Si deve rendere possibile una giusta transizione mediante politiche attive sul fronte dell’occupazione (15). La politica per il clima deve basarsi sul principio della giustizia climatica, garantire che oneri e vantaggi dei cambiamenti climatici, in termini del loro impatto sui diritti umani, sulla povertà e sull’uguaglianza, siano ripartiti in modo equo e che non siano le sole categorie più vulnerabili a subire gli effetti negativi.

4.3.2.3.

Occorre garantire che i mercati sostengano la transizione economica e che i prezzi riflettano i veri costi esterni delle emissioni che incidono sul clima e dell’uso delle risorse naturali (16). Bisogna mettere in pratica gli attuali impegni ad eliminare le sovvenzioni dannose per l’ambiente e promuovere maggiormente la riforma della tassazione ambientale. È necessario promuovere nuovi modelli per mercati decentrati dell’energia pulita in cui i consumatori diventino anche produttori. Analogamente, un’economia della condivisione decentrata permette ai consumatori di avanzare verso il modello di economia circolare. L’economia collaborativa che sta emergendo comporta una trasformazione concettuale per quanto riguarda il lavoro e rappresenterà un’importante fonte di occupazione. In questo nuovo settore bisognerà tutelare i diritti dei consumatori e dei lavoratori e la concorrenza leale (17).

Transizione verso una società e un’economia socialmente inclusive: lavoro dignitoso e diritti umani

(Obiettivi 1, 3, 4, 5, 8 e 10)

4.3.3.1.

Le principali finalità degli OSS sono sradicare la povertà e garantire che tutti possano esprimere il loro potenziale nella dignità e nell’uguaglianza. Sotto questo profilo gli OSS rispecchiano i valori e il modello sociale dell’Europa. Ma nel corso dei decenni passati il divario fra ricchi e poveri in Europa si è accentuato, e gli ultimi otto anni di recessione, di crisi finanziaria e di politiche di austerità, e in talune zone la mancanza di riforme strutturali, hanno aumentato i tassi di disoccupazione e di povertà, acuito le disuguaglianze di altro tipo e messo ulteriormente sotto pressione la protezione sociale, colpendo in particolare i gruppi più vulnerabili.

4.3.3.2.

Nel realizzare gli OSS, l’Unione europea deve modificare il proprio paradigma economico verso un modello di sviluppo più inclusivo, che distribuisca la ricchezza esistente in modo più equo e aumenti la resilienza economica e finanziaria (18). Al fine di creare posti di lavoro e generare sviluppo economico, l’UE deve creare un ambiente favorevole agli investimenti, insieme con un mercato interno ben funzionante, competitività internazionale e una maggiore domanda interna.

4.3.3.3.

Gli OSS dovrebbero costituire una ragione per riaffermare gli obiettivi della strategia Europa 2020 in materia di riduzione della povertà, di occupazione e d’istruzione, e per riflettere su modi più efficienti di realizzarli. Obiettivi sociali fondamentali, quali posti di lavoro dignitosi, l’eliminazione della povertà, la riduzione delle disuguaglianze e gli investimenti sociali, devono essere posti sullo stesso piano delle considerazioni macroeconomiche nel quadro del semestre europeo (19). La prima proposta della Commissione del pilastro europeo dei diritti sociali non conteneva alcun riferimento agli OSS. Si dovrebbe prendere in considerazione l’integrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile nelle fasi ulteriori di preparazione del pilastro europeo dei diritti sociali. Il Comitato sta attualmente elaborando un parere sul pilastro in cui esprimerà la sua posizione effettiva.

4.3.3.4.

L’UE dovrebbe investire in un approccio più coerente e sistematico alla lotta contro l’esclusione sociale, l’emarginazione e la povertà, che si concentri sui gruppi più vulnerabili, si basi sui diritti dell’uomo e affronti anche le discriminazioni di genere. Occorre adottare la direttiva sulla parità di trattamento (20).

4.3.3.5.

Oltre che alle sfide della disoccupazione e dell’invecchiamento demografico, i sistemi previdenziali devono essere adattati alle nuove sfide, in particolare quelle derivanti da nuove forme di occupazione, che possono offrire nuove opportunità lavorative, ma possono condurre al lavoro precario e alla povertà lavorativa. Bisogna sfruttare il potenziale di creazione di posti di lavoro derivante da transizioni economiche fondamentali, come il passaggio all’economia digitale, a basso tenore di carbonio e circolare (21). Le norme in materia di lavoro e un reddito minimo europeo contribuiranno a garantire la coesione territoriale e sociale e un’equa ridistribuzione della ricchezza e del reddito (22), fatte salve le competenze degli Stati membri e dell’UE in questi temi. Soggetti sia pubblici che privati dovrebbero mobilitare l’enorme potenziale occupazionale degli investimenti sociali (23). Per non lasciare indietro nessuno è necessario investire in un’istruzione inclusiva e di qualità e in servizi di alta qualità, accessibili e integrati per aiutare le persone in stato di bisogno.

4.3.3.6.

Le imprese sociali promuovono l’integrazione nel mercato del lavoro e al tempo stesso forniscono prodotti e servizi a prezzi accessibili per fini sociali, ad esempio servizi in un’economia decentrata, circolare e a basso tenore di carbonio. Esse dovrebbero essere sostenute mediante incentivi per l’avvio di nuove imprese nel settore dell’economia sociale e un contesto regolamentare favorevole (24).

Transizione verso la produzione e il consumo sostenibili di alimenti

(Obiettivi 2, 12 e 15)

4.3.4.1.

Le derrate alimentari, e in particolare il modo in cui sono coltivate, prodotte, consumate, commerciate, trasportate, immagazzinate e commercializzate, costituiscono la connessione fondamentale tra il genere umano e il pianeta, nonché il percorso verso una crescita economica inclusiva e sostenibile (25). Gli OSS, in particolare gli obiettivi 2 e 12, forniscono un quadro di riferimento cruciale per l’azione comune volta ad alimentare il mondo in modo sostenibile entro il 2030. Risulta particolarmente necessaria una transizione verso sistemi alimentari più sostenibili, che comprenda tutte le fasi, dalla produzione al consumo. I produttori devono produrre maggiori quantità di alimenti con un minore impatto ambientale, mentre i consumatori devono essere incoraggiati a ricorrere ad alimenti nutrienti, sani e con un’impronta di carbonio minore.

4.3.4.2.

La riforma della politica agricola comune ha introdotto una combinazione di misure che possono essere considerate un passo nella giusta direzione (26). La transizione verso sistemi alimentari sostenibili richiede non soltanto una politica agricola, ma anche una vasta politica alimentare, integrata con una strategia ad ampio raggio per la bioeconomia. Sulla base del riconoscimento dell’interdipendenza tra la produzione e il consumo di alimenti, bisogna mettere a punto un adeguato approccio strategico europeo che indichi il percorso verso la sostenibilità, la salute e la resilienza (27).

4.3.4.3.

In tale contesto occorre per esempio rispondere alla questione sollevata nel rapporto Falkenberg relativa alla compatibilità dell’orientamento all’esportazione dell’agricoltura europea con l’obiettivo di rafforzare la produzione alimentare nei paesi in via di sviluppo.

4.3.4.4.

L’UE avrà un ruolo fondamentale nella realizzazione dell’obiettivo 12.3, dimezzare gli sprechi alimentari pro capite a livello mondiale. Mentre circa 800 milioni di persone nel mondo soffrono la fame, i dati mostrano che un terzo degli alimenti prodotti per il consumo umano a livello globale va perduto o viene gettato via; 100 milioni di tonnellate nella sola UE (28). Il CESE accoglie con favore l’intenzione della Commissione di creare una piattaforma delle parti interessate per contribuire a inquadrare le misure necessarie e condividere le buone pratiche in materia di prevenzione e riduzione degli sprechi alimentari (29).

Investire nell’innovazione e nell’ammodernamento a lungo termine delle infrastrutture e promuovere le imprese sostenibili

(Obiettivi 7, 8, 9 e 13)

4.3.5.1.

Trasformare l’economia secondo un modello più sostenibile richiederà un considerevole spostamento degli investimenti. Si stima che per attuare gli OSS a livello globale occorreranno investimenti pubblici e privati per circa 3 mila miliardi di dollari (30). Serve un piano globale per mobilitare risorse finanziarie a livello dell’UE e degli Stati membri. Bisogna inoltre riunire i programmi e le iniziative di finanziamento dell’UE.

4.3.5.2.

L’UE deve orientare in modo più efficiente verso lo sviluppo sostenibile integrato gli investimenti pubblici nei paesi in via di sviluppo, e deve integrare indicatori relativi agli OSS nel finanziamento pubblico di progetti di sviluppo. Cosa ancora più importante, l’UE deve incoraggiare e incrementare gli investimenti del settore privato in tali ambiti.

4.3.5.3.

Ma anche all’interno dell’UE, gli OSS richiedono notevoli investimenti nell’ammodernamento delle infrastrutture e in imprese sostenibili. Le prime valutazioni sull’attuazione degli OSS nell’UE mostrano gravi lacune in termini di investimenti nell’industria, nell’innovazione e nelle infrastrutture (31).

4.3.5.4.

Vi sono chiari argomenti economici a favore della sostenibilità. Per approfittare appieno di questa opportunità, l’UE deve creare un contesto imprenditoriale favorevole, che stimoli l’innovazione, l’imprenditorialità e gli investimenti sostenibili. Alcune imprese hanno già iniziato, ma è fondamentale estendere e replicare le esperienze imprenditoriali sostenibili coronate da successo. Approcci volontari, quali la responsabilità sociale delle imprese, possono favorire questa transizione. Essi devono essere integrati da misure aggiuntive volte ad esempio ad incrementare la trasparenza, sviluppare le competenze, facilitare i partenariati e accompagnare le imprese nei loro compiti di rendicontazione. La Commissione dovrebbe valutare se alleanze tra più parti interessate con il settore privato potrebbero costituire un utile strumento a livello dell’UE.

4.3.5.5.

I programmi di finanziamento dell’UE devono essere allineati con gli OSS. Sarà determinante il ruolo di iniziative quali il piano Juncker, nonché quello delle istituzioni finanziarie e delle banche di investimento pubbliche. La sfida in questo contesto consiste nel riallocare i capitali. L’Unione dei mercati dei capitali offre un’opportunità per promuovere gli investimenti sostenibili (32). La revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale sarà un’opportunità per integrare gli OSS nei principali fondi dell’UE. Gli investimenti a lungo termine devono essere incentivati e gli ostacoli eliminati (33).

Mettere gli scambi commerciali al servizio dello sviluppo sostenibile globale

(Obiettivi 12 e 17)

4.3.6.1.

In un’economia globalizzata, il commercio ha un impatto fondamentale sullo sviluppo sostenibile nell’UE e a livello mondiale. Nell’ambito di vari OSS, quindi, il commercio è considerato come un importante mezzo di attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Con la comunicazione Commercio per tutti, la Commissione ha avviato un ambizioso piano d’azione per un commercio e degli investimenti più responsabili, al fine di tutelare le norme sociali e ambientali negli scambi commerciali e promuovere lo sviluppo sostenibile (34). L’attuazione degli OSS dovrà essere sistematicamente ed effettivamente connessa al piano d’azione, i relativi risultati dovranno essere controllati.

4.3.6.2.

Occorrerebbe inserire in tutti gli accordi commerciali e di investimento dell’UE capitoli ambiziosi in materia di commercio e sviluppo sostenibile, e in seguito attuarli ed applicarli efficacemente. Bisogna rafforzare la dimensione dello sviluppo sostenibile nell’ambito dell’OMC (35). Il modo migliore per salvaguardare le norme sociali, sul lavoro e ambientali nell’ambito degli accordi di libero scambio consiste nel garantire una partecipazione molto maggiore della società civile ai negoziati e al processo di attuazione e di monitoraggio (36).

4.3.6.3.

La Commissione dovrebbe adottare una strategia sulla promozione del lavoro dignitoso nelle catene di approvvigionamento a livello mondiale (37). Bisogna incoraggiare iniziative tra più parti interessate per promuovere la dovuta diligenza nelle catene di approvvigionamento globali.

4.4.    Una migliore governance per lo sviluppo sostenibile

4.4.1.

Per sostenere le attività in settori di intervento essenziali, l’UE deve valutare e migliorare il coordinamento orizzontale e verticale delle politiche per un’efficace attuazione dell’Agenda 2030 dell’ONU. Una migliore governance è essenziale per lo sviluppo sostenibile (38) e un migliore coordinamento costituisce un approccio fondamentale per conseguire la coerenza delle politiche.

4.4.2.

L’UE deve migliorare la coerenza delle sue politiche e orientarle in modo mirato verso uno sviluppo sostenibile equilibrato. L’attuale meccanismo di «coerenza delle politiche per lo sviluppo», volto ad integrare considerazioni di politica dello sviluppo in altri settori, dovrebbe essere esaminato attentamente, rafforzato e concettualizzato nuovamente in uno strumento in grado di assicurare la «coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile» e collegato con altri sforzi di coordinamento orizzontale.

4.4.3.

La Commissione dovrebbe inoltre valutare in che modo gli strumenti per legiferare meglio possono essere utilizzati per contribuire al conseguimento degli OSS. Occorrerebbe riesaminare di conseguenza gli orientamenti per la valutazione d’impatto, ad esempio introducendo un criterio di sostenibilità nelle valutazioni d’impatto per la nuova legislazione.

4.4.4.

Per integrare gli OSS in tutti i pertinenti settori di intervento, la Commissione dovrebbe rifarsi ai principi guida dell’Agenda 2030 dell’ONU come quadro di riferimento per il riesame della legislazione e dell’elaborazione delle politiche dell’UE, in particolare per quanto riguarda un approccio fondato sui diritti umani e il principio di non lasciare indietro nessuno.

4.4.5.

Sulla base degli indicatori globali relativi agli OSS, integrati da indicatori europei appropriati, l’UE deve istituire un sistema di monitoraggio e riesame degli OSS, coordinato con il monitoraggio negli Stati membri dell’UE e connesso al monitoraggio globale nel forum politico di alto livello (HLPF).

4.4.6.

Gli indicatori relativi agli OSS dovrebbero inoltre essere introdotti negli attuali processi di monitoraggio e valutazione delle politiche. Ciò riguarda in particolare il semestre europeo, in quanto meccanismo centrale di governance dell’UE, che deve essere adattato all’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibili.

4.4.7.

Rafforzare il ruolo degli indicatori di sostenibilità nel quadro della procedura legislativa di assegnazione del bilancio costituirebbe uno strumento importante nell’attuazione dello sviluppo sostenibile. I criteri di condizionalità nei fondi strutturali e di investimento europei dovrebbero essere adattati all’attuazione degli OSS.

4.4.8.

Si dovrebbe sostenere l’iniziativa della rete europea per lo sviluppo sostenibile (ESDN) di creare una piattaforma di apprendimento tra pari tra gli Stati membri.

4.4.9.

L’UE dovrebbe a sua volta prendere l’iniziativa di presentare, per prima tra le organizzazioni regionali, una valutazione volontaria alla sessione 2017 del forum politico di alto livello. Essa dovrebbe inoltre elaborare una relazione annuale che illustri in che modo l’azione interna ed esterna dell’UE contribuisca all’attuazione degli OSS nell’area di interesse tematico annuale del forum politico di alto livello (39). La società civile dovrebbe essere pienamente integrata nella preparazione e nella presentazione della revisione volontaria e nelle relazioni tematiche attraverso il forum europeo sullo sviluppo sostenibile.

5.   La società civile quale forza trainante

5.1.

L’Agenda 2030 dell’ONU esige un passaggio a un modello di governance cui partecipi una pluralità di parti interessate, con un ruolo più incisivo per la società civile. Gli OSS potranno essere attuati solo se la società civile e le altre parti interessate svolgeranno un ruolo attivo e assumeranno la titolarità del processo. La società civile deve essere associata al processo a partire dal livello locale, regionale e nazionale a quello dell’UE e del forum politico di alto livello, in ogni fase fino all’attuazione.

5.2.

Per l’UE e i suoi Stati membri il Comitato suggerisce di creare un Forum europeo dello sviluppo sostenibile per coinvolgere un ampio ventaglio di organizzazioni della società civile e di altre parti interessate nell’attuazione degli OSS nell’UE, nonché in un processo continuo di monitoraggio e valutazione (40). Un primo compito di tale forum dovrebbe essere quello di facilitare il dialogo con la società civile nel processo, portando così a una strategia globale dell’UE per lo sviluppo sostenibile.

5.3.

La Commissione dovrebbe sviluppare un programma specifico e una linea di finanziamento per sostenere il rafforzamento delle capacità delle organizzazioni della società civile, in modo che possano partecipare pienamente a questo processo. Gli attuali programmi di rafforzamento delle capacità devono essere aperti in maniera più esplicita alle organizzazioni della società civile che lavorano su questioni interne e che stanno svolgendo attività di collegamento per quanto riguarda gli aspetti interni ed esterni, l’integrazione degli OSS e le questioni di governance.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2015) 610 final.

(2)  Convegno How to make the SDG’s Europe’s business (Come coinvolgere l’Europa negli OSS), 30 e 31 maggio 2016, organizzato congiuntamente dalla presidenza neerlandese, dal CESE, dalla rete Sustainable Development Solutions Network (SDSN) e da Dutch SDG Charter; convegno del CESE Next steps for a sustainable European future (I prossimi passi per un futuro europeo sostenibile), 7 luglio 2016; convegno dell’IDDRI sul tema Sustainable development: it’s time! (Sviluppo sostenibile, è l’ora!) 10 e 11 maggio 2016, Parigi; convegno organizzato dall’IASS sul tema Jump-starting the SDGs in Germany (Lanciare gli OSS in Germania), 1-3 maggio 2016.

(3)  Parere del CESE sul tema Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibili (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 73).

(4)  Sostenibilità adesso! Nota strategica del Centro europeo di strategia politica (EPSC), numero18, 20 luglio 2016.

(5)  Op. cit.

(6)  Discorso pronunciato dal vicepresidente della Commissione Frans Timmermans in occasione del vertice delle Nazioni Unite il 27 settembre 2015.

(7)  Punto 4.3.3 del parere del CESE in merito a Bilancio della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 105); parere del CESE sul tema Forum della società civile europea a favore dello sviluppo sostenibile (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 73).

(8)  Risoluzione del Parlamento europeo 2016/2696(RSP).

(9)  SDSN, Bertelsmann Stiftung, SDG Index & Dashboard (Indice e quadro di controllo per gli OSS), luglio 2016; Niestroy, How are we getting ready? (Come ci stiamo preparando?) DIE discussion paper, 9/2016.

(10)  Alla base della disanima condotta nei punti 4.2.2 — 4.2.7 cfr. Niestroy (2016), pagg. 38-45, Commissione europea, DG Ricerca e innovazione (2015). The role of science, technology and innovation policies to foster the implementation of the SDGs (Il ruolo delle politiche in materia scientifica, tecnologica e di innovazione nel promuovere l’attuazione degli OSS).

(11)  COM(2016) 359 final.

(12)  Parere del CESE sul tema Il protocollo di Parigi — Piano particolareggiato per la lotta contro il cambiamento climatico oltre il 2020 (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 74); parere del CESE sul tema Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1).

(13)  Parere del CESE sul tema Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1).

(14)  Parere del CESE in merito a L’anello mancante — Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98).

(15)  Parere sul tema Una coalizione per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi, adottato il 14 luglio 2016 (non ancora pubblicato in GU).

(16)  Parere del CESE sul tema Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1); parere del CESE in merito a Avvio del processo di consultazione pubblica sul nuovo assetto del mercato dell’energia (GU C 82 del 3.3.2016, pag. 13); parere del CESE in merito a Un «new deal» per i consumatori di energia (GU C 82 del 3.3.2016, pag. 22).

(17)  Parere del CESE sul tema Il consumo collaborativo o partecipativo: un modello di sviluppo sostenibile per il XXI secolo (GU C 177 dell’11.6.2014, pag. 1); parere del CESE sul tema L’economia della condivisione e l’autoregolamentazione (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 36).

(18)  Parere del CESE sul tema L’impatto degli investimenti sociali sull’occupazione e sui bilanci pubblici (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21); parere del CESE sul tema Principi per sistemi previdenziali efficaci e affidabili (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 40).

(19)  Parere del CESE sul tema L’impatto degli investimenti sociali sull’occupazione e sui bilanci pubblici (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21); parere del CESE sul tema Principi per sistemi previdenziali efficaci e affidabili (GU C 133 del 14.4.2016, pag. 9).

(20)  COM(2008) 426 final.

(21)  Parere del CESE in merito a Piano d’azione verde per le PMI/Iniziativa per favorire l’occupazione verde (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99); parere del CESE sul tema Società digitale: accesso, istruzione, formazione, occupazione, strumenti per l’uguaglianza (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 25); parere del CESE in merito a Verso una florida economia basata sui dati (GU C 242 del 23.7.2015, pag. 61).

(22)  Parere del CESE sul tema Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibile (GU C 170 del 5.6.2014, pag. 23).

(23)  Parere del CESE sul tema L’impatto degli investimenti sociali sull’occupazione e sui bilanci pubblici (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21).

(24)  Parere del CESE sul tema Costruire un ecosistema finanziario per le imprese sociali (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 152).

(25)  FAO and the 17 Sustainable Development Goals (La FAO e i 17 OSS): http://www.fao.org/3/a-i4997e.pdf

(26)  Parere del CESE sul tema Sistemi alimentari più sostenibili (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 64).

(27)  Op. cit.

(28)  FUSIONS (2016). Stime dei livelli di sprechi alimentari in Europa http://eu-fusions.org/phocadownload/Publications/Estimates%20of%20European%20food%20waste%20levels.pdf

(29)  Cfr. nota a piè di pagina 26.

(30)  IDDRI, 2015 Issue Brief: http://www.iddri.org/Publications/Three-commitments-governments-should-take-on-to-make-Sustainable-Development-Goals-the-drivers-of-a-major-transformation (Tre impegni che i governi dovrebbero assumersi per trasformare gli OSS nel motore di una grande trasformazione).

(31)  Niestroy 2016; pag. 28.

(32)  Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) Inquiry, Building a sustainable Financial System in the European Union (Studio, costruire un sistema finanziario sostenibile nell’UE), pag. 5: http://web.unep.org/inquiry

(33)  Parere del CESE in merito a Libro verde — Il finanziamento a lungo termine dell’economia europea (GU C 327 del 12.11.2013, pag. 11).

(34)  COM(2015) 497 final.

(35)  Parere del CESE in merito a Commercio, crescita e sviluppo — Ripensare le politiche commerciali e d’investimento per i paesi più bisognosi (GU C 351 del 15.11.2012, pag. 77); parere del CESE sul tema Finanziamento dello sviluppo — la posizione della società civile (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 49).

(36)  Parere del CESE in merito a Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015AE2717&from=FR

(37)  Parere del CESE sul tema Lavoro dignitoso nelle catene globali di approvvigionamento (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 17).

(38)  Ultimately, — it’s all about governance (In definitiva, è tutta una questione di governance), intervento del commissario Timmermans al vertice delle Nazioni Unite, 27 settembre 2015.

(39)  Parere del CESE sul tema L’Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore degli obiettivi di sviluppo sostenibile a livello globale, non ancora pubblicato sulla GU.

(40)  Parere del CESE sul tema Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibile (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 73).


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Una legislazione a prova di futuro»

(parere esplorativo)

(2016/C 487/07)

Relatore:

Christian MOOS

Correlatore:

Denis MEYNENT

Consultazione

Presidenza slovacca, 14/03/2016

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Organo competente

Sottocomitato Una legislazione a prova di futuro

Adozione in sottocomitato

07/09/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

213/2/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La presidenza slovacca ha invitato il Comitato economico e sociale europeo (CESE) a esprimere il suo parere sul tema Una legislazione a prova di futuro. Questo nuovo concetto rientra nel solco tracciato da altre domande specifiche rivolte alla Commissione e ai colegislatori affinché venga assicurata una maggiore adeguatezza della legislazione, in particolare sul piano della competitività dell’UE e della considerazione data alle specificità delle PMI e delle microimprese, aspetti sui quali il CESE si è espresso in più occasioni.

1.2.

Il CESE rileva che sono stati compiuti degli sforzi per migliorare la qualità della legislazione europea e ritiene che tali sforzi vadano intensificati.

1.3.

Secondo il CESE, una legislazione di alta qualità, semplice, comprensibile e coerente «è un fattore fondamentale di integrazione e non costituisce affatto un onere o un costo da ridurre»; è altresì indispensabile per generare una crescita economica sostenibile, oltre che per stimolare l’innovazione, la competitività delle imprese — comprese le PMI — e per creare posti di lavoro di qualità.

1.4.

Il «principio dell’innovazione», come definito nel capitolo 2, si inserisce anch’esso nella logica del programma REFIT. Il CESE ricorda i principi, già definiti e applicati, del programma Legiferare meglio e sottolinea che questo nuovo principio non deve avere la precedenza rispetto ad essi, ma deve essere applicato con intelligenza e prudenza, in particolare nei settori della tutela sociale e ambientale, della salute e della protezione dei consumatori.

1.5.

Il CESE propone di esaminare le potenzialità offerte dal «principio dell’innovazione» attraverso uno scambio di buone pratiche.

1.6.

L’innovazione è una delle condizioni necessarie alla crescita sostenibile in Europa. C’è bisogno di un quadro regolamentare favorevole all’innovazione, anche se non esiste una relazione lineare tra innovazione e quadro regolamentare. Oltre ai provvedimenti legislativi, si rendono necessarie altre misure per il sostegno e lo sviluppo dell’innovazione (misure amministrative, fiscalità, piano di investimenti ecc.).

1.7.

L’obiettivo della legislazione europea deve sempre consistere nella creazione di un quadro giuridico che consenta alle imprese e ai cittadini di beneficiare dei vantaggi del mercato interno, evitando loro oneri amministrativi superflui. La legislazione europea è a prova di futuro se è capace di anticipare e prevedere; il CESE è favorevole a una legislazione in grado di adattarsi. Il Comitato ritiene che una legislazione europea a prova di futuro debba fondarsi sul metodo comunitario.

1.8.

È necessario evitare i costi superflui della regolamentazione; i costi della regolamentazione devono essere proporzionati ai benefici che ne derivano.

1.9.

Il CESE è convinto che qualsiasi legislazione debba essere il risultato di deliberazioni politiche pubbliche. In questo senso, è di grande importanza il ruolo svolto dalla società civile e dalle parti sociali, dal momento che occorre garantire un quadro adeguato per lo svolgimento di un dialogo sociale e civile di qualità, che consenta di valorizzare opportunamente i punti di vista espressi.

1.10.

Il CESE rileva che, per soddisfare le esigenze delle imprese e dei cittadini, deve essere a prova di futuro non solo il contenuto della legislazione, ma anche lo stesso processo legislativo.

1.11.

Una legislazione a prova di futuro deve essere rigida in rapporto alla sua finalità, sempre coerente con gli obiettivi stabiliti nei Trattati e flessibile in termini di recepimento all’interno della legislazione nazionale; non si sofferma sui dettagli e si limita a definire un quadro, che deve essere recepito in modo tempestivo e adeguato a livello nazionale, anche mediante la consultazione delle parti sociali e delle organizzazioni rappresentative della società civile, tenendo conto del loro punto di vista. L’impiego delle clausole di durata massima («sunset clauses») merita di essere esaminato ulteriormente.

1.12.

Il CESE è favorevole a un chiarimento dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, che sono talvolta usati come argomentazioni da coloro che avversano le iniziative legislative senza che la fondatezza del loro ragionamento sottostante sia sufficientemente certa.

1.13.

La società civile deve essere la cassa di risonanza di una legislazione a prova di futuro. Il CESE è in una posizione idonea per fungere da intermediario tra il legislatore, le organizzazioni della società civile e le parti sociali.

1.14.

Il CESE sottolinea l’importanza delle valutazioni d’impatto a livello nazionale ed europeo, compreso il test per le PMI, riguardo a qualsiasi iniziativa legislativa o non legislativa, in modo che le decisioni politiche siano prese con cognizione di causa e sulla base di elementi concreti. Le analisi d’impatto costituiscono un ausilio al processo di decisione politica, ma non possono sostituirvisi.

1.15.

Il CESE chiede di essere consultato quando la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio decidono di comune accordo di ritirare delle proposte legislative, perché è importante valutare le conseguenze materiali e immateriali di tali decisioni.

1.16.

Secondo il CESE, il Consiglio deve diventare più trasparente, e una futura riforma dei Trattati dovrebbe cercare di aumentare la coerenza delle decisioni del Consiglio. I diritti del Parlamento europeo devono essere rafforzati.

1.17.

Il CESE ritiene che sia necessario avvalersi in misura maggiore della cooperazione rafforzata, evitando al contempo che questo indebolisca le istituzioni.

1.18.

Il CESE insiste sulla propria partecipazione ai processi consultivi che devono accompagnare l’approfondimento dell’Unione economica e monetaria (UEM). Il Parlamento europeo come anche gli organismi consultivi devono essere integrati meglio nel ciclo del semestre europeo.

1.19.

Il CESE è favorevole a una procedura legislativa accelerata nel quadro del trilogo unicamente per i casi di emergenza.

2.   Osservazioni generali

2.1.

La presidenza slovacca ha invitato il CESE a esprimere il suo punto di vista sul tema Una legislazione a prova di futuro e a riflettere su come l’UE possa migliorare la legislazione affinché questa si adatti alle esigenze dell’economia e della società in questa fase di rapide trasformazioni. La presidenza desidera capire in che modo sia possibile mantenere i costi della regolamentazione per le imprese a un livello ragionevole senza perdere di vista gli obiettivi dei Trattati.

2.2.

La legislazione europea è a prova di futuro se è capace di anticipare e prevedere, e se offre la massima chiarezza e certezza del diritto. Il CESE è pertanto a favore di una legislazione in grado di adattarsi e che abbia al tempo stesso la capacità di prevedere.

2.3.

Le regolamentazioni sono necessarie, tra l’altro, per raggiungere gli obiettivi politici dei Trattati. L’Unione europea è un’economia sociale di mercato e certe regole comportano quindi un costo per le imprese, ad esempio nel settore della sicurezza e della salute sul lavoro. È l’equilibrio tra gli obiettivi economici e quelli sociali a garantire la pace sociale in Europa. Una legislazione a prova di futuro deve rispettare questo equilibrio e promuovere la coesione economica, sociale e territoriale, oltre che la solidarietà tra gli Stati membri.

2.4.

Il CESE sostiene e sottolinea che bisogna rafforzare la legittimità della legislazione europea legiferando meglio, ma ribadisce che il processo volto a comprendere quel che è a prova di futuro non deve portare a una depoliticizzazione del processo legislativo. Il CESE è convinto che qualsiasi legislazione debba essere il risultato di deliberazioni politiche. A questo proposito, il ruolo di primo piano della società civile e delle parti sociali nel quadro del dialogo sociale deve essere preso in considerazione.

2.5.

La legislazione europea è a prova di futuro se i cittadini la considerano legittima: essa deve basarsi sulla rappresentanza, sul consenso e sulla partecipazione, e deve avere la capacità di fornire risultati o apportare soluzioni a un problema collettivo.

2.6.

Secondo il CESE, affinché le politiche europee forniscano risultati migliori, il processo legislativo europeo andrebbe rivisto nel quadro del trattato di Lisbona e — se necessario — nel quadro di un nuovo trattato. È proprio questo aspetto della legislazione a prova di futuro che il CESE intende mettere in risalto, ossia la sua qualità, legittimità, trasparenza e inclusività.

2.7.

Il CESE rileva che, per soddisfare le esigenze delle imprese e dei cittadini, deve essere a prova di futuro non solo il contenuto della legislazione, ma anche lo stesso processo legislativo. In altri termini, qui si pone la questione della democrazia a livello europeo.

2.8.

La volontà politica dei rappresentanti eletti e le loro scelte sono determinanti. Ogni legislazione può essere valutata alla luce della sua capacità di trasformare questa volontà politica in fatti concreti, e giudicata in funzione della sua qualità democratica. Il CESE propone quindi di esaminare non solo il contenuto della legislazione, ma anche il processo legislativo.

2.9.

Questo nuovo concetto di «legislazione a prova di futuro» è legato ad altre iniziative volte a migliorare la legislazione. In precedenti pareri (1) il CESE ha più volte espresso il proprio punto di vista in merito al programma Legiferare meglio e al programma REFIT (2). Desidera inoltre ricordare il proprio parere su un approccio proattivo alla legislazione (3).

2.10.

L’attuazione dei programmi Legiferare meglio e REFIT — quest’ultimo lanciato dalla Commissione europea nel 2012 per misurare gli oneri amministrativi delle disposizioni legislative vigenti e, se del caso, eliminarli — è una delle massime priorità del trio di presidenze (Paesi Bassi, Slovacchia e Malta) tra gennaio 2016 e giugno 2017. È evidente che l’idea di una legislazione a prova di futuro rientra nella logica di tali programmi.

2.11.

Il CESE rileva che sono stati compiuti degli sforzi per migliorare la qualità della legislazione europea e insiste sulla necessità di intensificarli. Il CESE ha preso atto della comunicazione della Commissione, del 19 maggio 2015 (4), e dell’accordo interistituzionale Legiferare meglio, del 13 aprile 2016 (5), ma constata che non è stato coinvolto in tale accordo.

2.12.

Il CESE ritiene che una legislazione di alta qualità, semplice, comprensibile e coerente (garantita dalla Commissione, dal Parlamento europeo e dal Consiglio) rappresenti una condizione indispensabile per generare una crescita economica sostenibile, oltre che per stimolare l’innovazione, la competitività delle imprese — anche quella delle PMI e delle microimprese — e la creazione di posti di lavoro di qualità. Bisogna inoltre dare piena attuazione allo Small Business Act in tutti i settori.

2.13.

La regolamentazione europea «è un fattore fondamentale di integrazione e non costituisce affatto un onere o un costo da ridurre: se ben proporzionata, essa è anzi un’importante garanzia di protezione, di promozione e di certezza del diritto per tutti i cittadini e gli altri soggetti europei» (6).

2.14.

Nell’ottica di assicurare una legislazione adeguata, il CESE ricorda l’importanza dei principi già definiti. Questo vale, tra l’altro, per i principi di corretta attuazione nel tempo, di sussidiarietà e proporzionalità, per i principi di precauzione e di prevedibilità, per il principio «pensare anzitutto in piccolo» e per i principi relativi alla dimensione esterna della competitività e al test del mercato interno.

2.15.

Attualmente, sembra che un nuovo aspetto della legislazione stia acquisendo un’importanza fondamentale per il Consiglio, ossia il principio dell’innovazione. Questo principio, che comporta la considerazione dell’impatto sulla ricerca e l’innovazione al momento dell’elaborazione e revisione della regolamentazione, è uno dei numerosi criteri che permettono di valutare le proposte legislative della Commissione in settori di natura tecnica, tecnologica e scientifica. Tale principio dovrebbe tuttavia essere applicato in modo intelligente e con prudenza, in particolare nei settori della tutela sociale e ambientale, della salute e della protezione dei consumatori.

2.16.

Dalle conclusioni del Consiglio Competitività dell’UE (7) si evince che è necessario applicare il «principio dell’innovazione», il che implica che occorre tener conto dell’impatto sulla ricerca e l’innovazione nel processo di sviluppo e revisione della regolamentazione in tutti i settori politici. Questa necessità è rispecchiata anche dalla richiesta della presidenza slovacca, oltre che da un recente studio del CEPS (8), secondo cui fissando regole troppo severe si rischia di bloccare gli investimenti e di frenare l’innovazione. Questa interpretazione rientra inoltre nella logica del programma REFIT.

2.17.

Secondo il CESE, bisogna definire preventivamente quando occorre applicare questo nuovo principio, e le modalità di utilizzo vanno accuratamente precisate.

2.18.

Per il CESE, il principio dell’innovazione deve avere lo stesso peso degli altri criteri enunciati al punto 2.14 e utilizzati dalla Commissione per valutare l’impatto di una proposta legislativa. Occorre pertanto trovare un equilibrio tra il principio dell’innovazione e gli altri criteri, e vigilare affinché il primo non abbia la precedenza sugli altri.

2.19.

Il CESE propone alla presidenza slovacca di esaminare le potenzialità offerte dal principio dell’innovazione attraverso uno scambio di buone pratiche. Il CESE chiede che, su tale base, la Commissione tracci un bilancio sia delle opportunità che dell’impatto di questo nuovo principio.

2.20.

L’obiettivo della legislazione europea deve sempre consistere nella creazione di un quadro giuridico che consenta alle imprese e ai cittadini di beneficiare dei vantaggi e delle libertà del mercato interno, ossia l’obiettivo deve essere la promozione delle forze innovative in Europa. Questo significa evitare gli oneri amministrativi superflui, mentre le norme mal concepite, obsolete e gravose devono essere riviste o eliminate.

2.21.

Il CESE ritiene che i costi della regolamentazione debbano essere proporzionati ai benefici che ne derivano. I costi e gli oneri amministrativi superflui devono essere evitati nell’interesse delle imprese, dei cittadini e delle amministrazioni incaricate dell’applicazione della regolamentazione. È necessario che il beneficio netto e il valore aggiunto di una regolamentazione siano superiori al costo per le imprese e la società nel suo insieme.

3.   Proposte di lungo termine per una legislazione a prova di futuro

3.1.

Il CESE insiste affinché la nozione di «legislazione a prova di futuro» sia definita in modo migliore: essa deve rispettare i valori e gli obiettivi dell’Unione europea, conformemente ai primi due articoli del trattato di Lisbona. Pertanto, il principio dell’innovazione, che figura tra le priorità della presidenza slovacca (9) ed è quindi strettamente legato al nuovo concetto di una legislazione a prova di futuro, deve essere inteso in maniera responsabile.

3.2.

L’innovazione è una delle condizioni necessarie alla crescita sostenibile dell’Europa. Qualsiasi legislazione, europea o nazionale che sia, deve evitare che le imprese, soprattutto le PMI che hanno pochi mezzi, siano sottoposte a oneri superflui. L’innovazione e la competitività sono alla base del successo dell’economia sociale di mercato europea. L’innovazione ha bisogno di un quadro regolamentare di qualità. L’interazione tra la legislazione e l’innovazione è complessa e non può essere considerata solo da un punto di vista quantitativo, nel senso di un numero maggiore o minore di disposizioni legislative (10).

3.3.

Secondo il CESE, l’impiego delle clausole di durata massima («sunset clauses») nella legislazione europea, allo scopo di evitare futuri ostacoli burocratici, merita di essere esaminato ulteriormente.

3.4.

Una legislazione a prova di futuro deve essere rigida in rapporto alla sua finalità, sempre coerente con gli obiettivi dei Trattati e flessibile nel quadro del suo recepimento nel diritto nazionale, nel rispetto dei principi summenzionati. Essa non si sofferma sui dettagli e si limita a definire un quadro, che può essere completato — all’occorrenza — attraverso strumenti non legislativi, oppure dai regolatori nazionali, dalle parti sociali o da regimi di autoregolamentazione, regimi che devono rimanere sempre sotto il controllo del legislatore al livello adeguato.

3.5.

Il CESE è favorevole a un chiarimento dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. Il rispetto della sussidiarietà, ossia della ripartizione delle competenze, è fondamentale per il buon funzionamento dell’UE quale spazio giuridico comune. Questi due principi, però, sono talvolta usati come argomentazioni da coloro che avversano le iniziative legislative senza che la fondatezza del loro ragionamento sottostante sia sufficientemente certa. È opportuno chiarire i criteri che determinano l’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. Lo spazio giuridico dell’Unione europea deve essere unico e indivisibile.

3.6.

Per migliorare la qualità della legislazione, il CESE ritiene necessario esaminare in primo luogo il processo legislativo a livello europeo. Un gran numero di iniziative punta a migliorare il processo legislativo, ma le parti interessate a questo processo non sono d’accordo sui mezzi. Il CESE rimanda agli orientamenti che la Commissione ha formulato nel programma Legiferare meglio (19 maggio 2015) e nell’accordo interistituzionale (dicembre 2015 — aprile 2016), alla relazione Bresso-Brok (febbraio 2016), alla relazione Hübner (marzo 2016), alla relazione Giegold (fine maggio 2016) e, in particolare, allo Small Business Act (febbraio 2011). Richiama inoltre l’attenzione sulle proposte dei governi e dei parlamenti degli Stati membri, su iniziative come quelle del Movimento europeo internazionale (MEI) e dell’Unione dei federalisti europei (UFE), nonché sui contributi degli istituti di ricerca e dei gruppi di riflessione.

3.7.

La società civile organizzata ha un’importanza decisiva per lo sviluppo di un’opinione pubblica europea. L’Europa ha bisogno di un’opinione pubblica meno frammentata, che funga da cassa di risonanza a una legislazione europea a prova di futuro. In quanto organo di rappresentanza della società civile organizzata in Europa, il CESE è nella posizione idonea per facilitare il consenso tra i differenti attori della società civile a tutti i livelli, anche all’interno degli Stati membri. Più precisamente, è un intermediario importante tra il legislatore, le organizzazioni della società civile e le parti sociali.

3.8.

Il CESE è consapevole dell’importanza delle valutazioni d’impatto — in particolare per le PMI — che devono essere prese in considerazione nel processo legislativo, senza tuttavia sostituire il processo politico.

3.9.

La semplificazione di leggi difficili da capire o da applicare, oppure l’abbandono di regolamentazioni divenute superflue possono apportare benefici per i cittadini e per le forze economiche, contribuendo così a un ambiente favorevole alla crescita e alla creazione di un maggior numero di posti di lavoro di qualità («enabling environment»). Il CESE chiede però di essere consultato quando la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio decidono di comune accordo di ritirare delle proposte legislative; in tale contesto, è importante valutare le conseguenze materiali ed immateriali di tali decisioni e informarne il CESE.

3.10.

Il trattato di Lisbona punta a rafforzare il ruolo del Parlamento europeo e anche il metodo comunitario. Per effetto della crisi, il Consiglio europeo è diventato la pietra angolare del sistema istituzionale europeo. Il CESE ritiene che tale deriva debba essere corretta. Una legislazione europea a prova di futuro deve fondarsi sul metodo comunitario.

3.11.

Le riunioni delle formazioni del Consiglio che decidono a maggioranza qualificata dovrebbero essere pubbliche, nell’interesse di una trasparenza e democrazia maggiori. Il voto a maggioranza qualificata per le decisioni del Consiglio dovrebbe essere la regola. Il CESE è inoltre dell’avviso che una futura riforma dei Trattati debba cercare di aumentare la coerenza delle decisioni del Consiglio, le cui formazioni perseguono attualmente politiche in parte contraddittorie, con conseguenze evidenti sulla qualità della legislazione.

3.12.

L’ampliamento dei diritti del Parlamento europeo, previsto dai Trattati ma non realizzato, deve essere attuato quanto prima. Il diritto d’iniziativa ristretto introdotto dal trattato di Lisbona (articolo 225 del TFUE) dovrebbe quindi essere maggiormente applicato in conformità alle disposizioni di questo trattato. Un rifiuto da parte della Commissione dovrebbe essere possibile solo per motivi formali, in particolare quando la base delle competenze non è sufficiente.

3.13.

Le differenze in termini di velocità di integrazione sono da tempo una realtà nell’UE e queste discrepanze saranno inevitabili in futuro, tenuto conto del numero di Stati membri. In tale contesto, il CESE ritiene che sia necessario avvalersi in misura maggiore della cooperazione rafforzata; al tempo stesso, bisogna evitare che le istituzioni dell’UE vengano indebolite dalla geometria variabile dei progetti di integrazione europea. La cooperazione rafforzata dovrebbe funzionare sulla base della maggioranza qualificata.

3.14.

Il CESE appoggia la richiesta del Parlamento europeo di trasformare l’Unione economica e monetaria (UEM) in un «efficace e democratico governo economico», e insiste nuovamente sulla propria partecipazione ai processi consultivi che devono accompagnare questo approfondimento dell’UEM, se si vuole coinvolgere la società civile.

3.15.

Il CESE è dell’avviso che la procedura legislativa accelerata nel quadro del trilogo debba essere applicata soltanto per i casi di emergenza, come peraltro stabilito dal trattato. A differenza delle riunioni delle commissioni del Parlamento europeo, quelle del trilogo non sono né trasparenti né accessibili. La limitazione della procedura legislativa a una sola lettura conduce a un ridimensionamento della partecipazione della società civile.

3.16.

Il CESE ritiene che gli strumenti e le procedure introdotti per effetto della crisi finanziaria e della crisi dell’euro debbano essere integrati in modo migliore nel quadro legislativo europeo. Il Parlamento europeo, ma anche gli organi come il Comitato europeo delle regioni (CdR) e il CESE, devono essere coinvolti meglio nel ciclo del semestre europeo. Il meccanismo europeo di stabilità deve essere collegato al quadro legislativo dell’UE.

3.17.

Nel caso degli atti delegati, la Commissione dovrebbe aumentare la trasparenza del suo processo decisionale (cfr. l’articolo 290 del TFUE), come sottolineato dal Comitato in più occasioni.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Elenco dei pareri e delle relazioni informative del CESE.

(2)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66 e GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45.

(3)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 26.

(4)  Legiferare meglio per ottenere risultati migliori — una sfida prioritaria per l’UE — COM(2015) 215 final.

(5)  Legiferare meglio, GU L 123 del 12.5.2016, pag. 1.

(6)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45.

(7)  Conclusioni del Consiglio Competitività del 26.5.2016 (punto 2), http://www.consilium.europa.eu/register/it/content/out/?&typ=ENTRY&i=ADV&DOC_ID=ST-9580-2016-INIT

(8)  Il Centro per gli studi politici europei (CEPS) è un gruppo di riflessione con sede a Bruxelles.

(9)  http://www.eu2016.sk/data/documents/presidency-programme-fra-nahlad2.pdf.

(10)  Better regulations for innovation-driven investment at EU level («Una migliore regolamentazione per favorire gli investimenti basati sull’innovazione nell’UE»), documento di lavoro dei servizi della Commissione: https://ec.europa.eu/research/innovation-union/pdf/innovrefit_staff_working_document.pdf.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

519a sessione plenaria del CESE del 21 e 22 settembre 2016

28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul quadro giuridico dell’Unione relativo alle infrazioni e alle sanzioni doganali»

[COM(2013) 884 final — 2013/0432 (COD)]

(2016/C 487/08)

Relatore generale:

Antonello PEZZINI

Consultazione

Parlamento europeo, 22/06/2016

Base giuridica

Articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519a

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

173/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo ha sempre sostenuto che una Unione doganale efficiente rappresenta un elemento essenziale del processo di integrazione europea, per assicurare una libera circolazione delle merci sicura e trasparente, nel rispetto delle regole di concorrenza e con la massima tutela dei consumatori e dell’ambiente e una efficace lotta contro le infrazioni, le frodi e la contraffazione e per agevolare lo sviluppo del commercio legittimo.

1.2.

Il Comitato sostiene con convinzione le finalità della proposta della Commissione, nella misura in cui le misure suggerite siano tese a:

costituire un primo passo verso un effettivo regime di Dogana unica europea, dotato di una governance unitaria, istanze amministrative e giurisdizionali doganali comuni come: un tribunale europeo delle dogane; un corpus applicativo comune delle norme del codice doganale; un sistema informatico unico, con procedure di conformità uniformi; un’interpretazione normativa univoca in grado di agevolare lo sviluppo del commercio intra e extracomunitario;

dare certezze normative e applicative in modo uniforme in tutto il territorio dell’Unione attraverso un regime omogeneo di rilevazione e di imputazione di infrazioni e di misure sanzionatorie, civili e non penali, proporzionate ai dazi evasi e alla loro gravità nell’ambito di soglie minime e massime comuni, comprese le possibilità di sanzioni non pecuniarie;

inserire come parte integrante della normativa sistemi comuni rafforzati di prevenzione e dissuasione dalle infrazioni con l’aiuto di modellizzazioni TIC di conformità e sistemi di allerta rapida automatica;

prevedere meccanismi comuni di composizione delle vertenze e di transazione delle sanzioni comminate per snellire ed accelerare lo sviluppo del commercio europeo ed evitate procedure legali lunghe e costose;

rispondere in maniera esauriente agli obblighi derivanti dai quadri di riferimento internazionali dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e dell’Organizzazione mondiale delle dogane (OMD).

1.3.

Il CESE chiede che nelle finalità della direttiva venga inserito che tale strumento, che consente di convergere gradualmente ma necessariamente verso un regime unitario unico normativo, applicativo e interpretativo, si arricchisca con il controllo e la sorveglianza di mercato, basati su meccanismi automatici di rilevazioni, non ostacolanti lo sviluppo del commercio europeo legittimo.

1.4.

Il Comitato raccomanda che la relazione biennale da presentare a Parlamento europeo (PE), Consiglio e CESE, oltre alla valutazione del grado di convergenza attuativa della nuova normativa a livello territoriale, mostri una proposta di indicatori, per le prossime tappe del percorso, verso la creazione di:

una vera e propria Agenzia europea delle dogane,

un Tribunale europeo delle dogane,

la formazione di un corpo doganale comune, efficace ed efficiente, per allineare i sistemi doganali di infrazioni e sanzioni, su una base normativa e applicativa unica, con una interpretazione univoca.

2.   Introduzione

2.1.

L’Unione doganale (UD) è il fondamento dell’Unione europea. La legislazione doganale dell’Unione è completamente armonizzata dal punto di vista delle norme sostanziali e procedurali sin dal 1992. Dal 2013 è stato adottato il nuovo Codice doganale (Union Customs Code — UCC), regolamento (UE) n. 952/2013, in vigore a partire dal 2016.

2.2.

La materia doganale, per quanto riguarda gli aspetti normativi, rientra tra le materie di competenza esclusiva dell’Unione ai sensi dell’articolo 3 del TFUE, mentre attengono alla competenza degli Stati membri le attività relative all’organizzazione dei controlli, il sistema sanzionatorio nonché le attività di applicazione normativa rientranti nel quadro della cooperazione giudiziaria in materia penale (Titolo V del TFUE).

2.3.

Le operazioni doganali dell’UE rappresentano circa il 16 % del commercio mondiale movimentando importazioni ed esportazioni per un valore di oltre 3 500 miliardi di euro l’anno. I dazi doganali raccolti nel 2013 erano pari a 15,3 miliardi di EUR, quasi l’11 % del bilancio UE.

2.4.

I sistemi nazionali di infrazione e di sanzioni doganali non armonizzati possono indurre il commercio illegale a spostare il commercio verso gli Stati membri in cui sono minori i rischi di venire scoperti e le sanzioni sono inferiori, mentre le imprese che operano nella legalità devono affrontare costi più elevati quando operano attraverso più giurisdizioni e dove diversi regimi di sanzioni rischiano di alterare i flussi commerciali e gli schemi di attività economica nel mercato unico e conferire vantaggi per le imprese che operano in paesi con controlli doganali meno severi.

2.5.

Sin dal programma Dogana 2013, si sono analizzati i regimi nazionali degli Stati membri applicabili alle infrazioni e alle sanzioni doganali, constatando un considerevole numero di differenze tra i regimi come è stato ribadito da approfondite analisi recenti (1).

2.6.

In effetti, la lotta alle infrazioni della normativa doganale segue 28 (2) regimi giuridici diversi e tradizioni amministrative o giuridiche differenti con una grande variazione nelle definizioni e nella severità di tali sanzioni: la mancanza di uniformità nell’applicazione della legislazione doganale si ripercuote sulle condizioni di concorrenza, che dovrebbero essere omogenee nel mercato interno.

2.7.

Le difformità nell’applicazione normativa riguardano, in particolare: la natura delle sanzioni amministrative e/o penali, la tipologia delle sanzioni, le soglie e entità della violazione, i sistemi di composizione/transazione, i livelli e tipi di responsabilità, i fattori aggravanti o attenuanti, le limitazioni di tempo e di prescrizione e responsabilità delle persone giuridiche.

2.8.

Superare la difformità di applicazioni diventa necessario e bisogna attuare sistemi doganali europei armonizzati, secondo il principio della dogana unica, all’interno dei quali gli Stati membri consentano meccanismi di composizione delle vertenze per le liquidazioni, nel caso di infrazioni doganali, a seconda della natura e l’entità della violazione, cercando di evitare procedure legali lunghe e costose per entrambe le parti.

2.9.

Del resto, occorre ricordare che l’UD è il braccio operativo di gran parte delle misure di politica commerciale dell’UE e attua numerosi accordi internazionali, connessi ai flussi commerciali, sviluppando, attraverso le amministrazioni degli Stati membri, importanti processi orizzontali di gestione dati, gestione degli operatori commerciali e applicazioni: le difformità applicative, nel sistema europeo, sono già state oggetto di reclami davanti all’OMC.

2.10.

Di fronte ai gravi problemi di funzionamento che l’UD si trova ad affrontare, per le difformità di applicazione delle normative che rischiano di comprometterne l’efficacia globale, il CESE ha già avuto modo di sottolineare la necessità «che venga perseguita un’unica politica doganale, basata su procedure uniformi, aggiornate, trasparenti, efficaci e semplificate, che sia in grado di contribuire alla competitività economica dell’UE, a livello globale» (3).

2.11.

Occorre, come ribadito dal CESE (4), che siano garantiti, per la realizzazione di un vero mercato interno, tempi certi di implementazione delle disposizioni di attuazione; interpretazioni uniformi della normativa doganale dell’Unione, che deve agire come amministrazione unica, per la realizzazione di: trattamenti uniformi degli operatori, in qualsiasi punto del territorio doganale UE; facilitazioni d’accesso allo status di operatore economico autorizzato; un aggiornamento capillare di tutti gli operatori interessati; procedure informatizzate; una formazione di qualità delle risorse umane. In sostanza, dovremmo essere in grado di realizzare una dogana unica europea.

2.12.

Solo con efficaci passi in avanti verso una dogana unica europea e strutture di governance adeguate si potrà porre rimedio ad un funzionamento operativo dell’UD ancora complesso e non omogeneo.

3.   La proposta della Commissione

3.1.

L’obiettivo principale della proposta di direttiva della Commissione è quello di raggiungere, attraverso una direttiva d’armonizzazione, un quadro giuridico comune di riferimento, volto a conseguire:

parità di trattamento degli operatori economici;

efficace tutela degli interessi finanziari dell’UE;

effettiva applicazione normativa nel campo delle infrazioni e sanzioni doganali;

situazione di certezza del diritto (lex certa) e di condizionalità e proporzionalità della pena (nulla poena sine culpa);

garantendo il rispetto delle norme doganali in maniera uniforme in tutta l’UE con l’applicazione armonizzata di una regolamentazione delle infrazioni e delle sanzioni doganali che eviti sistemi nazionali di infrazione e interventi sanzionatori troppo differenti, tali da alterare le regole della concorrenza e condizionare la libera circolazione delle merci.

3.2.

In particolare, l’esecutivo comunitario, in ragione della base giuridica prescelta, l’articolo 33 del TFUE, ha proposto:

di tipicizzare un lungo elenco di fattispecie sanzionabili diviso in tre macrocategorie: fattispecie sanzionabili in caso di strict liability (concetto assimilabile alla responsabilità oggettiva) in caso di colpa o negligenza, o in caso di dolo;

una scala di sanzioni «effettive, proporzionate e dissuasive» per ciascuna delle categorie secondo quelli che sono i criteri affermati della giurisprudenza della Corte di giustizia (5);

un ventaglio di sanzioni irrogabile, dall’1 al 30 % del valore delle merci, o stabilito in misura fissa se la violazione attiene a determinati status o autorizzazioni;

l’introduzione, per ovviare alle differenze di limiti temporali della potestà punitiva, di un limite temporale di 4 anni dal giorno dell’infrazione o in caso di continuazione o reiterazione dal giorno in cui cessa;

l’introduzione di meccanismi di sospensione del procedimento amministrativo, nel caso in cui per gli stessi fatti inizi un procedimento penale;

incentivazione di cooperazione e scambio di informazioni tra gli Stati membri.

3.3.

La proposta, presentata tre anni fa dalla Commissione europea, è passata al vaglio del Parlamento europeo e alle obiezioni di vari Stati membri. Il Parlamento lituano ha obiettato che «la base giuridica prescelta (articolo 33, TFUE) per la proposta non autorizza l’Unione ad adottare misure intese a istituire un quadro relativo alle infrazioni della normativa doganale dell’Unione e alle sanzioni per tali infrazioni» (6), non essendo conforme al principio di sussidiarietà, in particolare laddove non soddisfa i requisiti del principio di attribuzione, secondo il quale l’Unione interviene unicamente se i trattati prevedono una base giuridica per il suo intervento.

3.4.

Il PE ha ora ripreso l’esame della proposta, affidando la redazione del proprio parere all’on. Kaja Kallas, relatore per la commissione IMCO, che ha richiesto l’estensione della base giuridica anche all’articolo 114 del TFUE (7), che prevede la consultazione obbligatoria del CESE, come indicato nella lettera di consultazione del CESE da parte del presidente della commissione IMCO del PE.

3.5.

Il CESE concorda pienamente con questa scelta, e sottolinea l’importanza di un omogeneo sistema doganale, in grado di dare valori e unità, non solo al mercato interno, ma all’intera società europea, ora, più che mai, in cerca di sistemi unitari.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il Comitato economico e sociale europeo ha sempre sostenuto che una unione doganale efficiente sia un elemento essenziale del processo di integrazione europea, per assicurare una libera circolazione delle merci, nel rispetto delle regole di concorrenza e con la massima tutela dei consumatori e dell’ambiente.

4.2.

Il CESE ritiene fondamentale un approccio comune nei confronti della prevenzione, dissuasione e identificazione univoca delle infrazioni e di una gestione uniforme di previsione di sanzioni, ivi compresi sistemi di composizione transattiva, per garantire un’applicazione uniforme e non discriminatoria delle normative europee in tutto il territorio, così come recita l’articolo 3 del TFUE.

4.3.

Il CESE sostiene con convinzione una accelerazione del processo evolutivo verso un’effettiva dogana unica europea con una governance unitaria con una Agenzia europea delle dogane e l’istituzione di istanze amministrative e giurisdizionali comuni (8), con un tribunale europeo delle dogane (9), sull’esempio del sistema nordamericano per l’applicazione di un sistema unico per infrazioni e di un sistema sanzionatorio unitario di ultima istanza, integrato dall’attivazione ex ante di sistemi di prevenzione e da sistemi di composizione/transazione miranti al contenimento/eliminazione di contenziosi costosi e penalizzanti il commercio comunitario, soprattutto per le piccole e medie imprese.

4.4.

Secondo il Comitato, l’uniformità di applicazione della normativa doganale europea deve comprendere anche la fase del contenzioso per gli operatori economici, sia dal punto di vista del mercato interno che internazionale, così come l’approccio ex ante di prevenzione, basato su soluzioni telematiche TIC, univoche rafforzate, per evitare moli di lavoro burocratico di identificazione.

4.4.1.

Il Comitato ribadisce l’importanza dell’attuazione «di una politica doganale unica sulla base di procedure uniformi, trasparenti, efficaci, efficienti (…) tale da consentire all’UE di far fronte alla concorrenza mondiale e di tutelare i diritti delle imprese e dei consumatori europei, oltre che la proprietà intellettuale (…)» (10).

4.5.

Il CESE è convinto che qualsivoglia sistema europeo di infrazioni, composizione e transazione sanzionatoria, debba essere accompagnato da misure inclusive di tutti gli altri elementi che fanno parte del sistema di applicazione generale delle norme, come la supervisione, il controllo, l’indagine e il monitoraggio.

4.6.

Il Comitato ritiene fondamentale dare certezza normativa e applicativa, in modo uniforme, in tutto il territorio dell’Unione, con un regime omogeneo di rilevazione ed imputazione di infrazioni, per categorie certe e ben definite, e di misure sanzionatorie, civili e non penali, proporzionate alla loro gravità, nell’ambito di soglie minime e massime comuni, che impongano una convergenza di indirizzi, prevedendo anche sanzioni diverse da quelle pecuniarie.

4.7.

Secondo il CESE, questo primo passo di convergenza dei regimi d’infrazione e sanzione della normativa doganale comune, dovrebbe:

allineare i termini di prescrizione con i termini di prescrizione per la notifica di un’obbligazione doganale pari a 3 anni, come previsto dal codice doganale;

garantire che le infrazioni vengano sanzionate in funzione del grado di colpevolezza;

parametrare le sanzioni pecuniarie in modo proporzionale e in funzione dei dazi evasi e non del valore delle merci.

4.8.

Il CESE insiste perché venga garantita la piena interoperatività tra le differenti banche dati in essere nel sistema europeo di sorveglianza del mercato, per aumentare le capacità dissuasive delle infrazioni, sulla base di una strategia comune e con un forte sostegno dei programmi comunitari, in modo da assicurare la condivisione delle informazioni tra le varie autorità, ai vari livelli, in tempo reale, in particolare nei casi di infrazioni e sanzioni di gravi entità, anche per rafforzare la lotta contro il commercio illegittimo e snellire le procedure per quello legittimo.

4.9.

Conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, il Comitato ritiene che l’inclusione dell’articolo 114 oltre all’articolo 33 nella base giuridica della proposta sia condivisibile, in quanto le misure di cui all’articolo 114 del TFUE sono destinate a migliorare le condizioni di funzionamento del mercato interno e contribuiscono all’eliminazione di distorsioni della concorrenza, come nello spirito della proposta legislativa in oggetto.

4.10.

Il CESE chiede, in attesa di una effettiva Unione doganale, il rafforzamento delle azioni dell’UE per la formazione e lo sviluppo di risorse umane qualificate e per il potenziamento delle capacità gestionali del quadro normativo comunitario, anche attraverso interventi delle capacità amministrative e la costituzione di un nucleo di forza doganale comune, che garantisca un’applicazione uniforme dei sistemi sanzionatori, di composizione e di transazione.

4.11.

Il Comitato raccomanda che nella relazione che la Commissione dovrebbe presentare con cadenza biennale al PE, al Consiglio e al CESE, non venga inserita solo una valutazione del livello di convergenza attuativa degli Stati membri, ma anche e soprattutto una visione sinottica degli indicatori chiave di prestazione delle sanzioni doganali, della diffusione delle migliori pratiche, dell’efficacia dei relativi servizi, dell’efficacia del quadro normativo comunitario adottato, per valutare le prossime tappe del percorso verso la creazione di una vera Agenzia europea delle dogane, di un tribunale europeo delle dogane e la formazione di un corpo doganale comune efficace ed efficiente.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. Analysis and effects of the different Member States’ customs sanctioning systems. PE 569.990 — Gennaio 2016.

(2)  Al momento.

(3)  Cfr. GU C 229 del 31.7.2012, pag. 68.

(4)  Cfr. pareri del CESE GU C 229 del 31.7.2012, pag. 68 e GU C 251 del 31.7.2015, pag. 25.

(5)  Cfr. Sentenze della Corte di giustizia rese per le cause C-382/92 e C- 91/02.

(6)  Cfr. Seimas della Repubblica Lituana — Conclusioni della Commissione per gli affari europei, documento n. ES-14-51, 9.7.2014 n. 100-P-71.

(7)  L’articolo 33 del TFUE costituisce quindi la corretta base giuridica quando si tratta di un quadro di cooperazione tra le autorità doganali. L’articolo 114 del TFUE è la base giuridica utilizzata per l’adozione delle misure di armonizzazione concernenti il mercato interno. Le misure di armonizzazione di cui a tale articolo richiedono come presupposto che tra le legislazioni degli Stati membri si registrino divergenze suscettibili di perturbare gli scambi commerciali in seno al mercato interno.

(8)  L’ipotesi è giuridicamente praticabile, sulla base della disciplina di cui all’articolo 257 del TFUE, già applicata per il tribunale della funzione pubblica (i.e. il giudice del lavoro dei dipendenti europei) e in prospettiva da utilizzarsi anche per la creazione di un tribunale europeo dei marchi e brevetti.

(9)  Il modello di riferimento potrebbe essere quello della U.S. Court of International Trade. «The Customs Courts Act of 1980 creates a comprehensive system for judicial review of civil actions arising out of import transactions and federal transactions affecting international trade.»

(10)  Cfr. parere CESE (GU C 271 del 19.9.2013, pag. 66).


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione delle informazioni sull’imposta sul reddito da parte di talune imprese e succursali»

[COM(2016) 198 final — 2016/0107 (COD)]

(2016/C 487/09)

Relatore:

Victor ALISTAR

Correlatore:

Petru Sorin DANDEA

Consultazione

Parlamento europeo, 28/04/2016

Consiglio, 28/04/2016

Base giuridica

Articolo 50, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

08/09/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

204/7/16

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia la proposta della Commissione volta ad accrescere la trasparenza del sistema di tassazione attraverso una comunicazione paese per paese, e ritiene che questa misura possa aumentare la fiducia dei cittadini dell’Unione europea.

1.2.

La trasparenza fiscale costituisce uno strumento utile per assicurare che venga riconosciuto l’apporto che le imprese multinazionali danno alla formazione delle entrate pubbliche nel luogo in cui operano.

1.3.

Il CESE osserva che la pubblicazione dei dati specifici sul rispetto degli obblighi tributari (già stabiliti mediante altre regolamentazioni introdotte a livello europeo o del singolo Stato membro e dai mercati finanziari), nel quadro di un sistema di comunicazione per paese, è sollecitata tanto dall’opinione pubblica quanto dal mondo imprenditoriale.

1.4.

Un clima di concorrenza economica leale è assicurato dall’imposizione di un onere fiscale equo, in rapporto agli utili realizzati all’interno del mercato unico europeo, su tutti i soggetti che operano all’interno di tale mercato, indipendentemente dalla loro forma organizzativa sul mercato mondiale.

1.5.

Gli standard che la Commissione ha proposto per i dati da comunicare sono di livello minimo e più modesti rispetto a quelli stabiliti dall’OCSE, ma in compenso la proposta di direttiva ne richiede la pubblicazione, per assicurare la coerenza con le dichiarazioni di etica imprenditoriale e di responsabilità pubblica che le società interessate hanno reso a tutti i consumatori, partner e contribuenti dell’Unione europea. Il CESE ritiene pertanto che l’insieme dei dati da fornire debba essere quello stabilito nel piano d’azione BEPS (Base Erosion and Profit Shifting = erosione della base imponibile e trasferimento degli utili) dell’OCSE che l’UE e la maggior parte degli Stati membri hanno già adottato, dato che la regolamentazione in esame riguarda la trasparenza e non punta a ridurre gli impegni internazionali già assunti.

1.6.

Secondo il CESE, i regolamenti della Commissione relativi al pacchetto sulla fiscalità devono assicurare che le grandi imprese e/o le multinazionali che rispettano correttamente gli obblighi fiscali non siano svantaggiate dalle pratiche di pianificazione fiscale aggressiva attuate da altre imprese multinazionali.

1.7.

Il CESE raccomanda che per la pubblicazione dei dati venga scelta una delle lingue ufficiali dell’Unione europea tra le più diffuse a livello internazionale, per garantire il raggiungimento dell’obiettivo di consentire l’accesso effettivo dei cittadini a dati riguardanti l’intero mercato comune.

1.8.

Per semplificare l’onere amministrativo della pubblicazione e gestione dei dati a livello dell’Unione europea, il CESE ritiene che occorra stabilire l’obbligo per gli Stati membri di tenere un registro pubblico sulle comunicazioni per paese conformemente a un sistema standardizzato a livello europeo.

1.9.

Visti gli impegni assunti dagli Stati membri e dalla Commissione nel quadro dell’iniziativa per un Open Government Partnership (partenariato per un governo aperto), la pubblicazione dei dati sul portale deve avvenire in un sistema aperto, che agevoli l’accesso ai dati e il loro utilizzo da parte della società civile e del mondo imprenditoriale.

1.10.

Secondo il CESE, per risolvere i problemi di fondo, la Commissione deve presentare un pacchetto più ambizioso, che prosegua l’attuale processo di armonizzazione fiscale e assicuri il reperimento delle risorse necessarie ai programmi di investimento, di protezione sociale e di crescita economica degli Stati membri in modo efficiente, proporzionato e non discriminatorio, in modo da evitare sia l’erosione fiscale che i rischi di abusi e di una tassazione eccessiva in alcune giurisdizioni.

1.11.

Il CESE ritiene che la soglia di 750 milioni di EUR sia troppo elevata e chiede che sia abbassata, oppure che venga previsto un calendario per la sua graduale riduzione.

1.12.

È necessario stabilire criteri più chiari per la definizione di una buona governance in materia fiscale e per l’individuazione di quelle giurisdizioni fiscali che non vi si attengono.

2.   La proposta della Commissione europea

2.1.

Nel marzo del 2016 la Commissione europea ha presentato una comunicazione (1) contenente una proposta di direttiva intesa a modificare la direttiva in materia di contabilità (2). Questa proposta di direttiva, che era stata annunciata nel quadro del pacchetto contro l’elusione presentato dalla Commissione nel marzo del 2016, è uno degli elementi costituitivi dell’agenda (3) per una tassazione più trasparente, equa ed efficiente delle imprese.

2.2.

La lotta all’evasione fiscale e alla pianificazione fiscale aggressiva costituisce una priorità politica per la Commissione europea. Con la proposta in esame, la Commissione intende assicurare l’applicazione del principio in base al quale gli utili devono essere tassati nel luogo in cui sono stati realizzati.

2.3.

La proposta impone alle imprese multinazionali con un fatturato superiore a 750 milioni di EUR di rendere note, attraverso una comunicazione paese per paese, le imposte sul reddito versate e altre informazioni fiscali pertinenti.

2.4.

La proposta di direttiva non impone alle piccole imprese e alle microimprese di rispettare alcun obbligo aggiuntivo per quel che riguarda l’imposta sul reddito versata.

2.5.

La proposta di direttiva che modifica la direttiva 2013/34/UE contiene misure intese ad attuare uniformemente l’azione 13 (4) del piano d’azione BEPS dell’OCSE negli Stati membri dell’UE. Tali misure sono volte a migliorare il meccanismo per lo scambio automatico di informazioni tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri e inseriscono le informazioni sui risultati di fine esercizio delle imprese multinazionali tra le categorie di informazioni che devono essere scambiate.

2.6.

La proposta della Commissione risponde all’invito del Parlamento europeo di introdurre, a livello dell’Unione europea, un sistema di comunicazione paese per paese in materia di imposta sul reddito delle società.

2.7.

Nel periodo compreso tra giugno e dicembre 2015, i servizi della Commissione hanno tenuto una vasta consultazione sulla proposta di introdurre un sistema di comunicazione paese per paese. A tale consultazione hanno risposto in 400, tra cui imprese, associazioni di categoria, ONG, cittadini e gruppi di riflessione. La maggior parte dei cittadini che hanno risposto alla consultazione pubblica ha invitato l’Unione europea ad assumere un ruolo guida nel dibattito e, se necessario, ad andare oltre le attuali iniziative internazionali in materia di comunicazione paese per paese. La maggior parte delle imprese che hanno partecipato alla consultazione ha risposto esprimendo una preferenza per uno standard di comunicazione paese per paese che sia allineato allo standard BEPS dell’OCSE.

2.8.

La proposta è corredata di una valutazione d’impatto che è stata accolta favorevolmente dal comitato per il controllo normativo. A seguito del parere di tale comitato, è stata migliorata la valutazione d’impatto.

2.9.

La Commissione stima che circa 6 000 imprese saranno tenute a redigere una comunicazione paese per paese per il fatto di condurre la loro attività nell’Unione europea. Di queste, solo 2 000 hanno sede nell’UE, un numero che rappresenta soltanto una minima parte del totale, che è di oltre 7,5 milioni di imprese.

3.   Osservazioni generali e specifiche

3.1.

La proposta di direttiva propone l’attuazione uniforme, a livello degli Stati membri, delle norme contenute nel piano d’azione BEPS dell’OCSE (5), volto a lottare contro la pianificazione fiscale aggressiva a livello mondiale. Come già indicato in pareri precedenti (6), il CESE accoglie con favore l’iniziativa della Commissione e ne sostiene gli sforzi tesi a combattere la pianificazione fiscale aggressiva, una pratica che alcune società multinazionali mettono in atto allo scopo di erodere le basi imponibili degli Stati membri per un importo che, secondo le stime, si aggira sui 10 miliardi di euro l’anno.

3.2.

Il pacchetto della Commissione sulla fiscalità contribuisce a rendere trasparenti le pratiche fiscali e a creare una pressione legittima volta ad assicurare un quadro paritario, in materia di concorrenza e risultati economici, tra le imprese che dispongono degli strumenti per una pianificazione fiscale e quelle che operano soltanto sul mercato comune. La direttiva in esame non modifica i principi della fiscalità, ma impone una maggiore trasparenza sulla loro applicazione, a seguito delle richieste dell’opinione pubblica europea dopo gli scandali LuxLeaks e Panama Papers.

3.3.

La proposta di direttiva esclude dal campo di applicazione l’85-90 % delle società multinazionali, in quanto stabilisce che la presentazione di una comunicazione paese per paese diviene obbligatoria per le imprese che superano la soglia di 750 milioni di EUR. Il CESE ritiene che questa soglia sia troppo elevata e discriminatoria. L’esclusione della maggior parte delle imprese multinazionali dal campo di applicazione della direttiva può avere per effetto che i risultati della sua attuazione siano inferiori alle aspettative.

3.4.

Il CESE ritiene che la soglia di 750 milioni di EUR vada progressivamente ridotta e che occorra prevedere un calendario in questo senso, dopo aver effettuato valutazioni intermedie d’impatto.

3.5.

La Commissione propone che la comunicazione paese per paese contenga una serie di informazioni, indicate in dettaglio all’articolo 48 quater della proposta di direttiva. Secondo il CESE, in questa categoria di informazioni bisognerebbe includere anche una dichiarazione dell’impresa sulle eventuali operazioni realizzate nel territorio delle giurisdizioni elencate all’articolo 48 octies. Inoltre, affinché l’attuazione della direttiva porti ai risultati attesi, l’elenco dei tipi di informazione da comunicare, indicati nel suddetto articolo, dovrebbe comprendere anche i dati sugli asset e sulle vendite, oltre che una lista di tutte le controllate o succursali, come raccomandato dallo standard BEPS dell’OCSE.

3.6.

La Commissione propone che la comunicazione paese per paese sia dettagliata e presenti un bilancio separato per ogni Stato membro in cui la società madre ha delle succursali o delle controllate. Per le giurisdizioni al di fuori dell’Unione europea, la proposta di direttiva prevede che le informazioni siano presentate nel loro insieme. Il CESE ritiene che questa presentazione unificata dei dati possa mascherare eventuali operazioni particolari di pianificazione fiscale aggressiva: la direttiva perderebbe così la capacità di produrre l’effetto auspicato. Il CESE raccomanda alla Commissione di prevedere che la comunicazione paese per paese debba riportare le informazioni dettagliate per ogni giurisdizione fiscale in cui la società madre ha delle succursali o controllate.

3.7.

L’articolo 48 octies della proposta riguarda la redazione di un elenco delle giurisdizioni fiscali che non cooperano oppure che non rispettano gli standard di buona governance in materia fiscale. Il CESE ha appoggiato (7) l’idea di un elenco UE in cui figurino le giurisdizioni che rifiutano di applicare le norme di buona governance in materia fiscale. Attualmente, la maggior parte degli Stati membri dispone di un proprio sistema di elenchi e sanzioni per le operazioni finanziarie nelle quali sono coinvolte tali giurisdizioni. Il CESE ritiene che un elenco a livello dell’UE, corredato di criteri chiari per individuare le giurisdizioni non cooperative e di sanzioni applicabili in maniera uniforme da tutti gli Stati membri, costituirebbe uno strumento molto più efficace per combattere l’evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva. Il Comitato approva pertanto le misure presentate dalla Commissione nel quadro della strategia.

3.8.

Per assicurare il conseguimento dell’obiettivo di politica pubblica relativo a una maggiore trasparenza fiscale delle imprese, il CESE raccomanda di istituire un registro pubblico nazionale gestito dalle amministrazioni fiscali degli Stati membri, in modo che le comunicazioni paese per paese siano accessibili senza restrizioni. In questo contesto, per facilitare i lavori e ridurre gli oneri amministrativi per le imprese, il CESE raccomanda che la direttiva stabilisca un formato standard comune a livello degli Stati membri che consenta il trattamento dei dati in un regime aperto, conformemente agli impegni assunti nel quadro dell’Open Government Partnership.

3.9.

Inoltre secondo il CESE, per assicurare un sistema omogeneo di etica fiscale a livello del mercato comune, è necessario che nelle politiche sulla fiscalità si persegua una maggiore armonizzazione dei principi e delle strategie in materia di tassazione, prestando un’attenzione particolare al principio della tassazione del reddito nel luogo in cui è prodotto, anche per quel che concerne i rapporti produttivi e commerciali tra gli Stati membri.

3.10.

In considerazione delle ripetute richieste che le organizzazioni della società civile hanno formulato per aumentare la trasparenza nel campo della tassazione delle società multinazionali, il CESE accoglie favorevolmente l’iniziativa della Commissione di includere nelle disposizioni della direttiva anche l’obbligo per gli Stati membri di pubblicare i dati presentati nelle comunicazioni paese per paese.

3.11.

La proposta di direttiva prevede che la comunicazione paese per paese sia pubblicata nella lingua ufficiale dello Stato membro sul cui territorio l’impresa considerata opera. Secondo il CESE, per garantire l’accesso dei cittadini alle informazioni di natura fiscale riportate nella comunicazione, tali informazioni dovrebbero quantomeno essere pubblicate anche in una lingua diffusa a livello internazionale.

3.12.

Tenuto conto degli effetti negativi che la crisi ha avuto sulle capacità amministrative dei servizi fiscali negli Stati membri, il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di stanziare, nel quadro dell’applicazione delle nuove norme in materia fiscale, le risorse umane e finanziarie necessarie per garantire la riuscita della loro applicazione.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2016) 198 final.

(2)  Direttiva 2013/34/UE.

(3)  http://ec.europa.eu/taxation_customs/sites/taxation/files/resources/documents/taxation/company_tax/anti_tax_avoidance/timeline_without_logo.png

(4)  http://www.oecd.org/tax/transfer-pricing-documentation-and-country-by-country-reporting-action-13-2015-final-report-9789264241480-en.htm

(5)  http://www.oecd.org/ctp/beps-actions.htm

(6)  Cfr. il parere del CESE sul tema Lotta alla frode e all’evasione fiscale (GU C 198 del 10.7.2013, pag. 34) e quello sul tema Pacchetto anti-elusione (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 93).

(7)  Cfr. il parere del CESE in merito al Pacchetto sulla trasparenza fiscale (GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 64.)


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 2016/399 per quanto riguarda l’uso del sistema di ingressi/uscite»

[COM(2016) 196 final — 2016/0105 (COD)]

e sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema di ingressi/uscite per la registrazione dei dati di ingresso e di uscita e dei dati relativi al respingimento dei cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea e che determina le condizioni di accesso al sistema di ingressi/uscite a fini di contrasto e che modifica il regolamento (CE) n. 767/2008 e il regolamento (UE) n. 1077/2011»

[COM(2016) 194 final — 2016/0106 (COD)]

(2016/C 487/10)

Relatore:

Cristian PÎRVULESCU

Consultazione

Parlamento europeo, 09/05/2016

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

09/09/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

155/2/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che il sistema di ingressi/uscite (Entry/Exit System — EES), nella sua nuova configurazione, sia necessario, in quanto apporta un valore aggiunto alla sicurezza a livello europeo. Come in altri settori riguardanti le politiche e le regolamentazioni, attraverso i propri pareri il Comitato promuove un approccio equilibrato in cui l’esigenza di garantire la sicurezza e quella di rispettare la legge sono sempre messe in rapporto con i valori fondamentali sostenuti dall’Unione europea.

1.2.

Il Comitato ritiene che la messa in funzione del nuovo sistema di ingressi/uscite debba essere accompagnata da un’azione di comunicazione al pubblico attraverso cui occorre spiegare ai cittadini, nella maniera più chiara possibile, le modalità di funzionamento del sistema, mettendo l’accento sulla protezione dei dati personali. Il CESE raccomanda di organizzare campagne informative ed educative rivolte sia alle autorità che ai cittadini di paesi terzi.

1.3.

Il Comitato ritiene necessario informare e formare in modo adeguato il personale incaricato del funzionamento del sistema. Il Comitato raccomanda che le attività di addestramento del personale siano adeguatamente sostenute sul piano sia finanziario che istituzionale.

1.4.

Il Comitato reputa che il rispetto dei diritti fondamentali debba essere costantemente monitorato dalle istituzioni specializzate dell’Unione europea, ma ritiene altresì che tale monitoraggio debba essere aperto anche alle organizzazioni della società civile, a livello sia europeo che nazionale.

1.5.

Per quanto concerne i dati personali, il Comitato insiste sulla necessità di definire chiaramente e di proteggere i diritti di accesso, rettifica e cancellazione di tali dati.

1.6.

Il Comitato raccomanda che, dopo l’introduzione del nuovo sistema, venga realizzato un sondaggio simile a quello compiuto nella fase pilota, in modo da poter valutare l’impatto sui viaggiatori in condizioni reali.

2.   Introduzione: il contesto e gli argomenti a favore dell’istituzione di un nuovo sistema di ingressi/uscite dell’UE

2.1.

Alla luce delle stime secondo cui nel 2025 il numero degli attraversamenti regolari delle frontiere arriverà a 887 milioni, di cui un terzo sarebbe effettuato da cittadini di paesi terzi che si recano nei paesi Schengen per visite di breve durata, è necessaria una modernizzazione della gestione delle frontiere che consenta di regolare congiuntamente e in modo efficiente i flussi dei viaggiatori.

2.2.

Il campo di applicazione del nuovo sistema di ingressi/uscite (EES) comprende gli attraversamenti della frontiera compiuti da tutti i cittadini di paesi terzi che si recano nello spazio Schengen per soggiorni di breve durata (massimo 90 giorni su un periodo di 180 giorni), che si tratti di viaggiatori soggetti all’obbligo del visto oppure esentati da tale obbligo o, eventualmente, di viaggiatori in possesso di un visto di circolazione (fino a un anno).

2.3.

Con l’introduzione del sistema EES si perseguono i seguenti obiettivi: 1) abbreviare i tempi delle verifiche di frontiera e migliorare la qualità di tali verifiche per i cittadini di paesi terzi; 2) garantire un’individuazione sistematica e affidabile di chi soggiorna nell’UE oltre il termine stabilito; 3) rafforzare la sicurezza interna e la lotta contro il terrorismo e le forme gravi di criminalità.

2.4.

Nel febbraio 2013 la Commissione ha presentato un pacchetto di proposte legislative sulle frontiere intelligenti, allo scopo di modernizzare la gestione delle frontiere esterne dello spazio Schengen. Dal 2013 sono stati apportati alcuni cambiamenti che hanno facilitato la progettazione e l’attuazione del sistema EES, vale a dire:

2.4.1.

il sistema d’informazione sui visti (Visa Information System — VIS) è diventato pienamente operativo, e la verifica biometrica dei titolari di visto mediante confronto con il VIS alle frontiere esterne dello spazio Schengen è divenuta obbligatoria;

2.4.2.

sono stati conclusi o accelerati i dialoghi sulla liberalizzazione dei visti con i paesi dei Balcani occidentali e alle frontiere orientali e sudorientali dell’UE, con il risultato che aumenterà la percentuale dei viaggiatori liberi di entrare nell’UE senza visto;

2.4.3.

è stato adottato il Fondo sicurezza interna (ISF-B), che ha destinato 791 milioni di EUR allo sviluppo delle frontiere intelligenti;

2.4.4.

l’Agenda europea sulla migrazione ha individuato nella gestione delle frontiere uno dei quattro pilastri per gestire meglio la migrazione;

2.4.5.

la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla direttiva relativa alla conservazione dei dati ha chiarito giuridicamente le condizioni e le salvaguardie da rispettare per conservare e usare i dati del sistema EES.

3.   Osservazioni generali sull’istituzione di un nuovo sistema di ingressi/uscite dell’UE

3.1.

Il Comitato ritiene necessario passare da un sistema non integrato e farraginoso, basato sull’apposizione di timbri sui documenti di viaggio da parte del personale addetto alle frontiere, ad uno quasi automatizzato che agevoli l’accesso dei cittadini di paesi terzi. In questo caso, il valore aggiunto degli sforzi a livello dell’Unione è evidente. L’Unione europea ha bisogno di un sistema di controllo delle frontiere che faccia fronte sia all’aumento della mobilità che all’esigenza di garantire la sicurezza sul territorio dell’Unione, un sistema che riesca sia ad agevolare la mobilità che a non ledere i diritti fondamentali.

3.2.

Il Comitato si compiace che il sistema sia stato collaudato attraverso un progetto pilota e che sia stato possibile osservare nella pratica gli effetti che l’utilizzo dei differenti dispositivi biometrici provoca sui cittadini di paesi terzi (cfr. lo studio realizzato al termine del progetto pilota) (1). I risultati del sondaggio evidenziano una grande fiducia nell’affidabilità delle tecnologie biometriche e rispecchiano il consenso generale tra gli esperti circa gli strumenti di identificazione biometrica più sicuri e affidabili per stabilire l’identità di una persona.

3.3.

Il CESE accoglie con favore il coinvolgimento dell’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali, la quale ha realizzato un sondaggio d’opinione fra i cittadini di paesi terzi che sono entrati in contatto con il sistema attraverso una serie di dispositivi biometrici (tutti già disponibili sul mercato) che potrebbero essere utilizzati per esaminare, in vari tipi di luoghi (negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie e sui treni, nei porti e alle frontiere marittime, oltre che ai valichi di frontiera stradali) e in condizioni differenti, gli identificatori biometrici delle persone provenienti da paesi terzi (2).

3.4.

I risultati del sondaggio mostrano che il rilevamento dei dati biometrici è considerato umiliante da certi gruppi di persone, con una media del 45 % (America settentrionale — 30 %, Europa — 43 %, America Latina e paesi caraibici — 46 %, Asia — 52 %, Africa — 58 %) (3). Per quanto riguarda il tipo di dati biometrici rilevati, la scansione dell’iride è considerata veramente umiliante dalla maggior parte delle persone intervistate (32 %), seguita dal riconoscimento facciale (26,2 %). Va inoltre segnalato che, per una percentuale considerevole delle persone intervistate (44,3 %), con l’entrata in funzione di questo nuovo sistema ci saranno meno discriminazioni.

3.5.

In numerose occasioni il Comitato ha cercato di promuovere, attraverso i propri pareri, un approccio equilibrato in cui l’esigenza di garantire la sicurezza e quella di rispettare la legge sono sempre messe in rapporto con i valori sostenuti dall’UE e con la visione di un’Unione che sia libera, aperta e allo stesso tempo sicura.

3.6.

È di cruciale importanza che l’Unione europea e i suoi Stati membri agevolino il sistema di ingressi/uscite allo scopo di attrarre, invece che scoraggiare, un numero maggiore di visitatori, compresi turisti, uomini d’affari e professionisti. Il Comitato ha pertanto attirato l’attenzione su alcune dinamiche preoccupanti a livello di certi Stati membri che stanno diventando sempre più restii ad accogliere cittadini di paesi terzi. «Il Comitato, viste le azioni di alcuni Stati membri, teme che non sia credibile che questi ultimi agevolino l’accesso al territorio dell’Unione per i cittadini dei paesi terzi quando già minacciano di rimpatrio gli stessi cittadini europei per il fatto che non hanno lavoro, o semplicemente proibiscono loro l’ingresso» (4).

3.7.

Nel precedente parere dedicato al tema delle frontiere intelligenti, il CESE ha voluto «sottolineare che l’identità dell’UE è associata esplicitamente e implicitamente all’apertura e all’interconnessione non soltanto all’interno ma anche al di là delle frontiere. L’UE costituisce uno spazio culturale, sociale, politico ed economico di tipo dinamico e la mobilità transfrontaliera è essenziale per preservare il ruolo dell’UE nel contesto globale. Alla luce di ciò, le istituzioni e gli Stati membri dell’UE dovrebbero fare in modo che i nuovi sistemi non abbiano ripercussioni sugli spostamenti dei cittadini di paesi terzi e sulla loro propensione a recarsi nell’UE» (5).

3.8.

In quello stesso parere il Comitato ha sottolineato l’importanza di proteggere i diritti fondamentali, di evitare ogni discriminazione e di assicurare, con mezzi procedurali e istituzionali, l’integrità e l’utilizzo appropriato dei dati raccolti e conservati nel sistema.

3.9.

Non è chiaro in che misura gli Stati membri debbano contribuire, sul piano finanziario e istituzionale, alla messa in funzione di questo sistema. Bisogna chiarire questo punto e vanno trovate delle soluzioni affinché gli Stati membri si impegnino con forza a cooperare e a contribuire alla realizzazione del sistema.

3.10.

Il Comitato richiama l’attenzione sulle esperienze simili maturate dai paesi che hanno attuato sistemi analoghi. Le attese dei cittadini e di tutti i soggetti coinvolti devono essere adattate in funzione delle capacità del sistema di raggiungere tutti gli obiettivi stabiliti.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Per quanto riguarda gli identificatori biometrici, il Comitato accoglie favorevolmente la riduzione (da 10 a 4) del numero di impronte digitali al minimo indispensabile che, assieme al riconoscimento facciale, permette di ottenere dati pertinenti.

4.2.

Per quanto concerne i dati personali, il Comitato ribadisce la necessità di definire chiaramente e di proteggere i diritti di accesso, rettifica e cancellazione di tali dati.

4.3.

È molto importante che, nell’utilizzo del sistema di ingressi/uscite, le autorità competenti non solo garantiscano il rispetto della dignità umana e dell’integrità delle persone di cui vengono richiesti i dati, ma evitino anche di operare discriminazioni tra le persone per motivi legati al sesso, al colore della pelle, all’origine etnica o sociale, alle caratteristiche genetiche, alla lingua, alla religione o alle convinzioni personali, alle opinioni politiche, all’appartenenza ad una minoranza nazionale, alla proprietà, alla nascita, alla disabilità, all’età o all’orientamento sessuale.

4.4.

Il funzionamento del sistema di ingressi/uscite ha un impatto considerevole sull’esercizio dei diritti previsti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ossia: il diritto alla dignità (articolo 1), la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato (articolo 5), il diritto alla libertà e alla sicurezza (articolo 6), il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare (articolo 7), il diritto alla protezione dei dati di carattere personale (articolo 8), il divieto delle discriminazioni (articolo 21), i diritti del minore (articolo 24), i diritti degli anziani (articolo 25), i diritti delle persone con disabilità (articolo 26) e il diritto a un ricorso effettivo (articolo 47). Il Comitato ritiene che il rispetto dei diritti fondamentali debba essere costantemente monitorato dalle istituzioni specializzate dell’Unione europea, ma è altresì convinto che tale monitoraggio debba essere aperto anche alle organizzazioni della società civile a livello sia europeo che nazionale.

4.5.

Sebbene il progetto pilota con cui è stato collaudato il funzionamento del sistema in una serie di siti non abbia suscitato significative resistenze o riluttanza da parte degli utenti, come è stato possibile desumere dai risultati del sondaggio condotto dall’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali, è tuttavia possibile prevedere non solo che sorgeranno delle difficoltà nell’utilizzo di questo sistema con alcune categorie di persone, ma anche che i cittadini avranno una percezione negativa di tale sistema. A queste categorie possono inoltre essere aggiunte le persone che si dimostrano riluttanti ad acconsentire alla raccolta dei dati biometrici a causa di considerazioni di ordine culturale/religioso, oppure per mancanza di fiducia nelle modalità di utilizzo e protezione dei dati da parte delle autorità.

4.6.

In quest’ottica, il Comitato ritiene che la messa in funzione di questo sistema debba essere accompagnata da una campagna di comunicazione al pubblico attraverso cui occorre spiegare ai cittadini, nella maniera più chiara possibile, le modalità di funzionamento del sistema stesso, mettendo soprattutto l’accento sulla protezione dei dati personali. Tutte le misure precauzionali connesse alla raccolta, alla conservazione e all’utilizzo dei dati devono essere comunicate ai cittadini, in modo da vincere eventuali resistenze e agevolare una mobilità senza ostacoli.

4.7.

Il Comitato ritiene necessario informare e formare in modo adeguato il personale incaricato del funzionamento del sistema. Come è emerso dal progetto pilota, il personale addetto alle frontiere ha segnalato che la formazione è necessaria affinché possa prepararsi alle nuove attrezzature e procedure (6). Dal canto loro, gli Stati membri hanno la responsabilità del funzionamento in buone condizioni del sistema. In quest’ottica, bisogna prendere in considerazione delle regole e delle procedure che specifichino la responsabilità degli Stati membri in caso di danni derivanti dalla violazione delle disposizioni del regolamento.

4.8.

Il Comitato ritiene che il trasferimento dei dati personali ottenuti dagli Stati membri attraverso il sistema di ingressi/uscite o la comunicazione di tali dati a paesi terzi, a organizzazioni internazionali o a enti privati, siano essi situati all’interno o all’esterno del territorio dell’Unione, debbano essere limitati e pienamente motivati.

4.9.

Secondo il Comitato, le autorità designate ed Europol dovrebbero chiedere l’accesso al sistema di ingressi/uscite solo quando hanno fondati motivi per ritenere che tale accesso fornirà informazioni che contribuiranno in modo sostanziale alla prevenzione, all’accertamento o all’indagine di reati di terrorismo o di altri reati gravi. L’utilizzo del sistema di ingressi/uscite apporterà un valore aggiunto alle attività di polizia, ma è importante che l’accesso sia rigorosamente regolamentato.

4.10.

Il Comitato si compiace che i costi previsti del sistema siano stati riveduti al ribasso in modo significativo (da 1,1 miliardi di euro a 480 milioni di EUR).

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia: Progetto pilota Frontiere intelligenti — Relazione sulle conclusioni tecniche del progetto pilota (I parte, 2015).

(2)  Agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia: Progetto pilota Frontiere intelligenti — Allegati (novembre 2015, pagg. 307-335).

(3)  Agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia: Progetto pilota Frontiere intelligenti — Allegati (novembre 2015, pag. 322).

(4)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un'Europa aperta e sicura: come realizzarla [COM(2014) 154 final] (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 96).

(5)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di modifica della proposta della Commissione COM(2011) 607 final/2 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo e che abroga il regolamento (CE) n. 1081/2006 del Consiglio» COM(2013) 145 final — 2011/0268 (COD) e alla «Proposta di modifica della proposta della Commissione COM(2012) 496 — Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio» COM(2013) 146 final — 2011/0276 (COD) (GU C 271 del 19.9.2013, pag. 97).

(6)  Agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia: Progetto pilota Frontiere intelligenti — Relazione sulle conclusioni tecniche del progetto pilota (I parte, pag. 14).


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente misure volte a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas e che abroga il regolamento (UE) n. 994/2010 del Consiglio»

[COM(2016) 52 final — 2016/0030 (COD)]

(2016/C 487/11)

Relatore:

Graham WATSON

Consultazione

Commissione europea, 16/09/2016

Parlamento europeo, 07/03/2016

Consiglio dell’Unione europea, 09/03/2016

Base giuridica

Articoli 194 e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

07/09/2016

Adozione in sessione plenaria

22/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

133/4/9

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La politica dell’Union europea in materia di sicurezza dell’approvvigionamento di gas è riuscita in parte a incoraggiare gli Stati membri a pensare in termini di solidarietà e di condivisione della sicurezza. Resta però il fatto che la maggior parte delle questioni di politica energetica vengono ancora gestite principalmente in funzione degli interessi nazionali. Per soddisfare le aspettative dei cittadini europei in termini di sicurezza, l’approvvigionamento energetico va affrontato in modo più coerente a livello dell’UE.

1.2.

Un tale regolamento di portata europea deve tener conto del più ampio contesto in cui si inseriscono gli sforzi di mitigazione dei cambiamenti climatici a livello globale, con gli ambiziosi obiettivi fissati dall’accordo di Parigi, della strategia dell’UE per un’Unione dell’energia resiliente accompagnata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici, nonché delle diverse tensioni geopolitiche sia in Europa che a livello mondiale, tra cui l’afflusso di profughi, i focolai di crisi alle frontiere europee — più di recente in Ucraina, Turchia, Libia e Georgia — e l’avanzata del regionalismo che minaccia l’integrazione dell’UE.

1.3.

Per garantire l’approvvigionamento di gas in Europa, occorrono ingenti investimenti, che è importante reperire in primo luogo da fonti private: i profitti dell’industria petrolifera e gasiera, infatti, sono tali che non dovrebbe essere necessario un aiuto pubblico. Per assicurarsi la fiducia degli investitori e, di riflesso, un approvvigionamento di gas costante e sicuro, serve un quadro politico prevedibile e affidabile.

1.4.

La proposta di regolamento in esame è volta a scongiurare l’insorgenza di crisi nelle forniture di gas paragonabili a quelle del 2006 e del 2009. Gran parte della domanda di gas è destinata al riscaldamento di edifici. Un ampio programma di ammodernamento dell’edilizia per renderla efficiente sotto il profilo energetico, come proposto nella direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (2010/31/UE) e nella direttiva sull’efficienza energetica (2012/27/UE), soprattutto se mirato agli edifici riscaldati a gas, comporterebbe un calo significativo della domanda di gas, specialmente nei mesi invernali in cui si sono verificate le crisi precedenti.

1.5.

Il gas naturale resta un’importante fonte temporanea di combustibile che contribuisce in misura significativa a ridurre le emissioni di gas a effetto serra nonché di pericolose sostanze tossiche quali i particolati PM10 e PM2,5. Dal momento che gli indicatori del livello di emissioni prodotte dal gas naturale sono notevolmente inferiori rispetto a quelli del carbone, la presenza nel mix energetico dei paesi UE di una quota maggiore di gas naturale è particolarmente importante per migliorare la qualità dell’aria e, di conseguenza, la salute dei cittadini degli Stati membri e di quelli dei paesi vicini. Occorre tuttavia accelerare la transizione verso un’economia a basso tenore di carbonio: un aspetto, questo, di cui la politica per l’approvvigionamento di gas deve tener conto.

1.6.

I consumatori di energia possono svolgere un ruolo importante nello sviluppo e nella gestione dell’approvvigionamento. Dovrebbero essere utilizzati metodi capaci di attivare i consumatori, da sviluppare in cooperazione con i consumatori stessi, che includano anche un impiego innovativo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). La povertà energetica dovrebbe essere affrontata in primo luogo attraverso misure di politica sociale, che dovrebbero comprendere piani nazionali specifici volti a stimolare gli investimenti nei programmi di ristrutturazione degli immobili, come previsto dall’articolo 4 della direttiva sull’efficienza energetica (2012/27/UE), dando la priorità ai consumatori a rischio di povertà energetica e vulnerabili e favorendo la collaborazione tra le parti sociali.

1.7.

La crescita dell’energia da fonti rinnovabili, unita all’accelerazione dell’elettrificazione, può certamente ridurre il consumo di gas nell’UE e, di conseguenza, le importazioni: più rapida sarà la diffusione di queste risorse rinnovabili, meno rilevanti saranno le politiche esterne perseguite dall’UE a garanzia dell’approvvigionamento di gas. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede alla Commissione di valutare il livello di accuratezza del coordinamento tra le previsioni di consumo di gas nell’UE, la sicurezza dell’approvvigionamento di gas nell’UE, lo sviluppo delle risorse rinnovabili e i miglioramenti nell’efficienza energetica in tutti i settori.

2.   Introduzione (Contenuto della proposta della Commissione)

2.1.

Di fronte alle perturbazioni per l’economia e alle sofferenze per la popolazione prodotte dall’interruzione delle forniture di gas, la Commissione europea intende avvalersi del lavoro condotto in precedenza dall’UE per garantire una più elevata interconnessione tra le infrastrutture per la distribuzione del gas e una maggiore solidarietà tra Stati membri quanto alla loro disponibilità a condividere l’onere delle interruzioni.

2.2.

La proposta di regolamento in esame aggiorna una politica importante per l’UE nel suo slancio volto a creare un’Unione europea dell’energia [COM(2015) 80 final]. Quest’ultima deve inserirsi nel contesto degli impegni assunti dall’UE per arrestare e, se possibile, invertire con azioni concrete i cambiamenti climatici di origine umana derivanti dalla combustione di combustibili fossili.

2.3.

La proposta di regolamento punta a far sì che tutti gli Stati membri si dotino di strumenti adeguati per prepararsi all’eventualità di una carenza di gas, causata da una perturbazione della fornitura o da una domanda eccezionalmente elevata, e per gestirne gli effetti.

2.4.

Per raggiungere questo obiettivo, il regolamento propone un coordinamento regionale rafforzato, imperniato su alcuni principi e norme definiti a livello dell’Unione. L’approccio suggerito prevede che le valutazioni regionali del rischio siano frutto di una stretta cooperazione tra Stati membri nell’ambito delle rispettive regioni. I rischi individuati da tali valutazioni regionali saranno affrontati in piani d’azione preventivi e in piani d’emergenza a livello regionale, che dovranno essere sottoposti a valutazione tra pari e approvati dalla Commissione.

2.5.

Affinché le valutazioni del rischio e i piani siano esaurienti e coerenti, il regolamento stabilisce modelli obbligatori che contengono gli elementi da prendere in considerazione in sede di valutazione del rischio e di elaborazione dei piani.

2.6.

Il regolamento migliora inoltre l’applicazione della norma di fornitura dei clienti protetti (soprattutto quelli civili) e la norma di infrastruttura (possibilità di fornitura di gas anche se l’infrastruttura principale non è disponibile). Esso dispone la realizzazione della capacità bidirezionale permanente e propone, infine, l’introduzione di misure supplementari di trasparenza riguardo ai contratti di fornitura di gas, dal momento che tali contratti possono influire sulla sicurezza dell’approvvigionamento dell’UE.

2.7.

La necessità di un’azione dell’UE è giustificata dal fatto che le misure nazionali non si sono rivelate all’altezza di una crisi, anzi, ne hanno aggravato l’impatto. Una misura adottata in un paese può causare una carenza di gas nei paesi confinanti.

2.8.

La sicurezza dell’approvvigionamento di gas, sebbene dipenda in primis dall’esistenza di mercati funzionanti, può essere sensibilmente potenziata da un buon coordinamento delle misure adottate dagli Stati membri, in particolare nel caso di un’emergenza; non sono però solo le misure nazionali di mitigazione in situazione di emergenza a richiedere un migliore coordinamento, ma anche le misure nazionali di prevenzione, quali le proposte volte a migliorare il coordinamento dello stoccaggio a livello nazionale o le politiche del gas naturale liquefatto (GNL) [COM(2016) 49 final], che in alcune regioni possono rivestire un’importanza strategica.

2.9.

Da una relazione di valutazione condotta dall’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER) nel2014 emerge che sussistono seri motivi di preoccupazione per quanto riguarda la cooperazione tra Stati membri (le misure da essi adottate, prevalentemente a carattere nazionale, non sono idonee ad affrontare i problemi di fornitura del gas); la prova di stress effettuata nell’estate del 2014 [COM(2014) 654 final] ha dimostrato inoltre che una grave perturbazione delle forniture di gas dall’Est continuerebbe a causare forti ripercussioni in tutta l’UE.

3.   Osservazioni generali

3.1.

La principale difficoltà di questa proposta di regolamento non è rappresentata dal testo, ma dal contesto. Mentre la strategia quadro per un’Unione dell’energia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici [COM(2015) 80 final], sottolinea con accenti quasi messianici la necessità di lottare contro i cambiamenti climatici, la proposta di regolamento in esame — pur in linea con i precedenti regolamenti in materia di sicurezza dell’approvvigionamento di gas — non è del tutto coerente con gli obiettivi della strategia quadro.

3.2.

Numerosi climatologi dichiarano che, per avere ragionevoli possibilità di limitare l’aumento della temperatura del pianeta a 2 oC, occorre portare le emissioni di gas a effetto serra ad un livello prossimo allo zero entro il 2050 e, se si vuole limitare tale aumento a 1,5 oC, ancora prima del 2050. Per eliminare i circa 4 611 milioni di tonnellate di CO2 equivalente che, per fare un esempio, l’uomo ha riversato nell’atmosfera nel 2013, occorre soddisfare la domanda di energia primaria dell’UE [pari nel 2013 a 1 567 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep)] ricorrendo all’energia pulita. Oltre due terzi delle emissioni provengono dai combustibili fossili che sono il motore della nostra civiltà industriale, e questi combustibili vanno sostituiti.

3.3.

Il gas naturale resta un’importante fonte temporanea di combustibile che ha aiutato l’UE a ridurre le emissioni di gas a effetto serra da combustibili solidi, in particolare nei paesi in cui l’uso del carbone come combustibile è predominante. Occorre tuttavia accelerare la transizione verso fonti energetiche, in un primo momento, a più basso tenore di carbonio e, poi, del tutto prive di carbonio. Si tratta di un requisito essenziale per raggiungere l’obiettivo a lungo termine, stabilito nell’accordo di Parigi, di mantenere l’aumento della temperatura media mondiale a 1,5 oC, obiettivo di cui la politica di approvvigionamento di gas deve tener conto. Ciò dovrebbe trovar riscontro nelle valutazioni del rischio che gli Stati membri sono tenuti ad effettuare. Per promuovere investimenti efficienti e definire il quadro di riferimento di un sistema energetico resiliente è indispensabile un migliore allineamento tra la politica dell’UE in materia di approvvigionamento di gas e le varie dimensioni dell’Unione dell’energia, tra cui in particolare un mercato europeo dell’energia pienamente integrato, miglioramenti nell’efficienza energetica e la decarbonizzazione.

3.4.

A cinque anni dall’adozione del regolamento n. 994/2010, la sicurezza dell’approvvigionamento di gas resta un tema di grande attualità, soprattutto di fronte al persistere delle tensioni tra Ucraina e Russia. Ci si sta adoperando a livello sia nazionale sia UE per rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento di gas per l’inverno 2016/2017 e oltre. Tuttavia, un serio sforzo volto a garantire prestazioni energetiche migliori nell’edilizia, potenziando l’isolamento e dando priorità al gas come combustibile per il riscaldamento degli edifici, potrebbe avere una notevole incidenza sulla richiesta di gas.

3.5.

Il gas naturale ha sostituito i combustibili solidi al secondo posto della classifica dei combustibili più importanti per l’UE: nel 2013, infatti, esso rappresentava il 23,8 % dell’energia primaria consumata complessivamente nell’Unione, contribuendo così a ridurre le sue emissioni di gas a effetto serra. La crescita delle energie rinnovabili è però considerevole: la quota delle fonti di energia rinnovabile nel consumo totale lordo di energia nell’UE è passata dall’8,3 % del 2004 al 15 % del 2013, mettendo l’Unione sulla giusta via per raggiungere l’obiettivo fissato del 20 % di energie rinnovabili nel 2020. Tra il 2000 e il 2013 la quota lorda di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è più che raddoppiata, arrivando a fornire nel 2013 oltre un quarto dell’elettricità complessiva.

3.6.

La crescita dell’energia da fonti rinnovabili, unita all’accelerazione dell’elettrificazione, può certamente ridurre il consumo di gas nell’UE e, di conseguenza, le importazioni: più rapida sarà la diffusione di queste risorse rinnovabili, meno rilevanti saranno le politiche esterne perseguite dall’UE a garanzia dell’approvvigionamento di gas. È quindi di fondamentale importanza coordinare tra loro in modo più efficace le previsioni di consumo di gas nell’UE, la sicurezza dell’approvvigionamento di gas nell’UE, lo sviluppo delle risorse rinnovabili e i miglioramenti nell’efficienza energetica in tutti i settori.

3.7.

Il coordinamento tra i paesi dell’UE in materia di trasporto e fornitura di qualunque tipo di combustibile è essenziale per la creazione di un’Unione dell’energia, a livello sia di politiche che di strategie a lungo termine. La Commissione, nella sua proposta, divide l’UE in sette «regioni», al cui livello effettuare il coordinamento della politica. Questo è, nel migliore dei casi, solo un passaggio intermedio, visto che si renderà ben presto necessario un coordinamento della politica a livello UE, da estendere, idealmente, fino a comprendere le parti contraenti della Comunità dell’energia, vale a dire i paesi vicini con cui l’UE ha concluso accordi in materia di energia.

3.8.

Per accrescere la concorrenza nelle forniture di energia e la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento, l’energia deve restare un elemento importante delle politiche esterne dell’UE, che però dovrebbero puntare in misura crescente a garantire approvvigionamenti energetici da fonti rinnovabili, in particolare da tecnologie mature come la produzione solare ed eolica, a complemento delle forniture provenienti dalla produzione interna di energia rinnovabile.

3.9.

Una nuova governance in materia di politica energetica deve garantire la coerenza tra i diversi aspetti dell’approvvigionamento energetico, nonché la realizzazione degli obiettivi a livello UE. Un aspetto importante a garanzia di tale coerenza è un impegno tempestivo, sistematico e strutturato con la società civile per far sì che la sensibilizzazione alle sfide poste dalla sicurezza energetica sia ampiamente condivisa dalle organizzazioni della società civile e — soprattutto — che i responsabili politici di tutta Europa siano consapevoli delle preoccupazioni, degli interessi, delle risorse e delle soluzioni offerte dalla società civile e dalle parti sociali per far fronte a tali sfide e conseguire gli obiettivi della politica energetica dell’UE. A tale scopo il CESE sta promuovendo attivamente il concetto di dialogo europeo per l’energia, un’iniziativa, questa, che la Commissione ha accolto con grande favore.

3.10.

Un altro aspetto importante della governance della politica energetica dovrebbe consistere nel rafforzamento reciproco tra la dimensione esterna e quella interna di tale politica, come indicato nel piano d’azione per la diplomazia energetica (Energy Diplomacy Action Plan — EDAP). Il CESE ha già chiesto che nell’elaborazione e nell’attuazione della dimensione esterna della politica energetica dell’UE si potenzino la cooperazione e i dialoghi esistenti in materia di energia, e se ne istituiscano anche di nuovi, con i principali paesi o regioni di produzione e di transito, con i paesi del vicinato e con i più importanti partner strategici mondiali e regionali, al fine di rafforzare la diversificazione delle fonti, delle forniture e delle rotte energetiche dell’UE.

3.11.

La dimensione esterna della politica energetica dell’UE, compresa la politica in materia di approvvigionamento di gas, deve tener conto di un ampio contesto geopolitico. Già in passato il CESE ha sottolineato che gli aspetti commerciali del progetto non dovrebbero essere l’unico fattore di cui tener conto al momento di decidere, soprattutto alla luce della tendenza della Russia a servirsi dell’energia come di uno strumento per conseguire obiettivi geopolitici. La diplomazia energetica dell’UE deve tener conto di una serie di fattori tra cui la stabilità politica dei paesi situati lungo il gasdotto e la loro vulnerabilità alle influenze politiche esterne, le prestazioni sociali ed ambientali dei promotori di progetti nonché il coinvolgimento delle imprese russe nelle attività di esplorazione e di produzione. La valutazione dei nuovi progetti deve anche tener conto del loro impatto sulla sicurezza energetica dei paesi limitrofi. Per quanto riguarda l’Ucraina, ad esempio, vi è il rischio che i progetti che prevedono di rimuovere il transito di gas dal suo territorio abbiano un impatto negativo sulle entrate del paese, pregiudichino i suoi investimenti nel potenziamento delle reti e riducano i margini di negoziato con Mosca.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di introdurre una definizione comune di «cliente protetto».

4.2.

Il CESE approva inoltre i concetti di «responsabilità condivisa» e «approccio a tre livelli» tra le imprese di gas naturale, gli Stati membri e l’UE per la sicurezza dell’approvvigionamento di gas; si compiace altresì della proposta della Commissione di coordinare, ove necessario, le azioni, come richiesto in un precedente parere del CESE (1). Questo approccio assume particolare rilievo nel garantire la trasparenza dei contratti di fornitura di gas.

Il CESE ritiene inoltre che la responsabilità e le competenze delle autorità pubbliche di cui all’articolo 3 della proposta di regolamento debbano essere distinte da quelle delle imprese o degli organismi privati e per tale motivo propone una nuova formulazione, in cui sia chiaro che:

la sicurezza nell’approvvigionamento di gas rientra tra le responsabilità delle autorità competenti degli Stati membri e della Commissione, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza;

le imprese di gas naturale e i clienti industriali devono cooperare e applicare le misure decise dalle autorità responsabili.

4.3.

Il CESE prende atto dei criteri proposti per la configurazione delle sette «regioni» all’interno dell’UE, Andrebbe quanto meno prevista una soluzione che consenta a uno Stato membro di essere contemporaneamente membro di più di una «regione».

4.4.

Il CESE rileva che la norma di infrastruttura proposta è sostanzialmente invariata rispetto al regolamento del 2010. Accoglie con favore la proposta di capacità bidirezionale (flusso invertito) su tutti gli interconnettori tra Stati membri.

4.5.

Il CESE rileva che la norma di fornitura proposta è sostanzialmente invariata rispetto al regolamento del 2010. Accoglie con favore l’obbligo di condurre una valutazione d’impatto prima di adottare qualunque misura nuova non di mercato.

4.6.

Il CESE prende atto della proposta di effettuare la valutazione del rischio a livello regionale. Si tratta, a suo avviso, di un passo avanti verso il giorno in cui tale valutazione sarà condotta a livello UE. Accoglie con favore il modello per la valutazione del rischio proposto dalla Commissione e ritiene in questo contesto importante la valutazione tra pari.

4.7.

Il CESE accoglie con favore le proposte concernenti i piani di emergenza, le procedure di gestione della crisi e le risposte all’emergenza.

4.8.

Il CESE accoglie con favore le proposte di trasparenza e solidarietà tra Stati membri, basate sulle prove di stress dell’estate 2014, in quanto si tratta, a suo avviso, di un meccanismo di garanzia appropriato. In particolare, il Comitato accoglie favorevolmente l’accordo del gruppo ad alto livello sull’interconnessione del gas nell’Europa centrale e sudorientale in merito a un elenco di progetti prioritari, la cui attuazione permetterà ai paesi della regione di avere accesso ad almeno tre fonti di gas, garantendo così la diversificazione e la sicurezza dell’approvvigionamento.

4.9.

Il CESE accoglie con favore la proposta di cooperazione con i paesi terzi che sono parti contraenti della Comunità dell’energia.

4.10.

Il CESE riconosce l’importanza della proposta della Commissione di provvedere continuamente al monitoraggio delle misure di sicurezza dell’approvvigionamento di gas e sollecita la Commissione ad inserire in questo ambito la necessità di eliminare gradualmente il ricorso al gas naturale sostituendolo con fonti di energia rinnovabili.

4.11.

Il CESE prende atto delle deroghe proposte per Malta e Cipro, e incoraggia entrambi, in considerazione delle loro condizioni climatiche favorevoli, ad essere tra i paesi leader nel processo di transizione verso il ricorso alle fonti di energia rinnovabili, invece che ai combustibili fossili, per soddisfare il fabbisogno energetico.

Bruxelles, 22 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. GU C 339 del 14.12.2010, pag. 49.


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa a una strategia dell’UE in materia di gas naturale liquefatto e stoccaggio del gas»

[COM(2016) 49 final]

(2016/C 487/12)

Relatore:

Marian KRZAKLEWSKI

Consultazione

Commissione europea, 16/02/2016

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

07/09/2016

Adozione in sessione plenaria

22/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

109/0/8

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE reputa che la strategia dell’UE in materia di gas naturale liquefatto (GNL) e stoccaggio del gas presentata nella comunicazione COM(2016) 49 final sia un elemento essenziale del progetto di Unione dell’energia, che ha l’obiettivo della sicurezza energetica e della diversificazione dell’approvvigionamento.

1.2.

Nei prossimi anni, a livello mondiale la capacità di liquefazione di gas aumenterà, spingendo probabilmente i prezzi verso il basso, per cui il Comitato scorge in tale evoluzione un’opportunità di accrescere la sicurezza e la resilienza del sistema del gas europeo.

1.3.

Il Comitato ritiene necessario rendere più flessibile il mercato europeo del gas attraverso un aumento della quota di GNL in tale mercato.

1.4.

Il CESE reputa che l’aumento della quota di GNL nel mercato del gas dell’UE, la disponibilità di riserve adeguate di gas nei depositi di stoccaggio e l’effettiva diversificazione dell’approvvigionamento energetico siano fattori che contribuiranno a garantire la sicurezza di tale approvvigionamento per i paesi dell’Unione europea.

1.5.

Nella comunicazione in esame, la Commissione richiama giustamente l’attenzione sull’adeguatezza solo «apparente» della capacità di rigassificazione dell’UE, dato che tale capacità non è distribuita in modo ottimale a livello regionale.

1.6.

Il Comitato concorda sul fatto che, per conseguire una piena e sostenibile diversificazione dell’approvvigionamento di gas per l’Unione europea, occorra adottare un approccio diversificato nei confronti della costruzione di nuovi terminali di GNL.

1.6.1.

Si dovrebbe in effetti accordare la priorità agli investimenti che mirano a diversificare le rotte di approvvigionamento. Misure europee accorte per sostenere la realizzazione di nuovi terminali di GNL e di interconnessioni transfrontaliere di trasporto del gas dovrebbero riguardare le regioni attualmente isolate e dipendenti da un unico fornitore.

1.6.2.

Importante per l’espansione del mercato del GNL nell’UE è effettuare in modo corretto e tempestivo investimenti in Progetti di interesse comune. Dovrebbero essere istituiti meccanismi trasparenti al fine di garantire che i costi d’investimento e di esercizio siano ripartiti equamente tra gli Stati membri e gli operatori economici.

1.6.3.

Il Comitato ritiene che l’UE debba garantire che lo sviluppo di terminali GNL del tipo «fast track» e di progetti di «Floating Storage & Regasification Units» (FSRU), ossia «unità galleggianti di stoccaggio e di rigassificazione», sia un’opzione neutrale sul piano tecnologico, funzione degli investimenti più efficaci.

1.7.

Il CESE appoggia l’intenzione della Commissione europea di verificare la conformità al diritto dell’UE degli accordi intergovernativi per l’acquisto di GNL da paesi terzi.

1.8.

Il Comitato fa notare che dalla comunicazione in esame non emerge come la strategia per incrementare la quota di GNL e di stoccaggio del gas si concili con i grossi investimenti in infrastrutture di rete già previsti (es. Nordstream 2) da paesi vicini dell’UE.

1.9.

Il CESE riconosce e sottolinea l’importanza del gas naturale — compreso il GNL, che svolge un ruolo essenziale — ai fini del passaggio dell’UE a un’energia a basse emissioni di carbonio, nonché degli sforzi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra ma anche le emissioni di gas e polveri tossici (PM10, PM2,5) pericolosi per la salute e la vita delle persone negli Stati membri.

1.9.1.

Nella strategia delineata nella comunicazione si dovrebbe sottolineare con maggior forza l’importanza dell’uso del gas naturale in quanto tecnologia-ponte nel passaggio da una produzione energetica basata sul carbone ad una a basse emissioni. Il gas, in quanto fonte di energia più pulita, riveste una particolare importanza ai fini della drastica riduzione delle emissioni, soprattutto nell’ambito delle utenze domestiche e nel settore dei trasporti.

1.9.2.

Il Comitato raccomanda che, durante la transizione dalle centrali elettriche a carbone a un’economia a basse emissioni di carbonio, si aumenti la quota di gas naturale nel mix energetico degli Stati membri, in particolare di quelli in cui il carbone svolge un ruolo preponderante.

1.10.

Il CESE condivide la tesi della comunicazione secondo cui l’utilizzo del GNL nel trasporto di merci pesanti su strada, come anche nel trasporto marittimo, può ridurre significativamente l’impatto negativo sull’ambiente.

1.10.1.

Nel contempo, il Comitato fa notare che, nella sezione relativa al GNL, la comunicazione non dedica un’attenzione sufficiente allo sviluppo intensivo del sistema europeo di approvvigionamento ed uso del GNL come carburante nel settore dei trasporti sia su strada che marittimi.

1.11.

Il CESE riconosce la particolare importanza dello stoccaggio del gas nell’ambito dell’architettura della sicurezza europea e al fine di garantire un approvvigionamento stabile di gas naturale. Le capacità di stoccaggio esistenti nell’UE sono considerevoli [COM(2016) 49 final], ma non sono distribuite in maniera adeguata.

1.12.

Il CESE reputa necessario, per conseguire un equilibrio e garantire la sicurezza energetica, che i gestori dei sistemi di stoccaggio adottino una serie di principi, in particolare quello secondo cui il livello minimo del gas stoccato deve coprire il 100 % del fabbisogno del mercato nazionale del gas per il periodo invernale, fermo restando, tuttavia, che la migliore alternativa consisterebbe in un equilibrio degli stock di gas su scala regionale.

1.13.

Il Comitato appoggia, e considera importante, il piano della Commissione volto a rimuovere gli ostacoli agli scambi tra gli effettivi hub regionali del gas e i mercati dei diversi paesi.

1.14.

Riguardo alla questione, messa in rilievo nella comunicazione, del completamento delle infrastrutture mancanti, il CESE è del parere che occorra sfruttare le opportunità offerte dal Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) per cofinanziare i progetti riguardanti infrastrutture critiche nei campi dell’energia e delle TIC.

2.   Contesto del parere

2.1.

Nel marzo 2015, il Consiglio dell’UE ha adottato le conclusioni relative all’Unione dell’energia. Nel passaggio più importante di tale documento si afferma che «L’UE è impegnata a costruire un’Unione dell’energia con politiche lungimiranti in materia di clima sulla base della strategia quadro della Commissione, le cui cinque dimensioni sono strettamente interrelate e si rafforzano reciprocamente:

sicurezza energetica, solidarietà e fiducia,

piena integrazione del mercato europeo dell’energia,

efficienza energetica per contenere la domanda,

decarbonizzazione dell’economia,

ricerca, innovazione e competitività».

2.2.

Il CESE osserva che nel suddetto documento (e precisamente al punto 2, lettera a), il Consiglio chiede di accelerare i progetti delle infrastrutture per l’energia elettrica e il gas, comprese le interconnessioni in particolare con le regioni periferiche, al fine di garantire la sicurezza energetica e il buon funzionamento del mercato interno dell’energia.

2.3.

Nel presente parere il CESE analizza la strategia dell’UE in materia di gas naturale liquefatto (GNL) e stoccaggio del gas presentata dalla Commissione nella comunicazione COM(2016) 49 final. Tale strategia è un elemento importante del progetto di Unione dell’energia [COM(2015) 80], in termini di contributo alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, alla competitività dei mercati dell’energia e alla realizzazione degli obiettivi climatici e ambientali perseguiti nel quadro di tale Unione e al di fuori di essa.

2.4.

Il gas naturale è un combustibile importante nel mix energetico dell’UE. Nel consumo totale di fonti energetiche, la quota del gas naturale è pari al 25 %. Va osservato che, negli Stati membri, l’estrazione di tale materia prima soddisfa il 34 % del fabbisogno di produzione di energia nell’industria, nei servizi e per usi privati.

2.5.

Nell’UE l’estrazione di gas naturale diminuisce piuttosto rapidamente: tra il 2004 e il 2014, è passata da 229,5 miliardi a 132,3 miliardi di metri cubi; inoltre, l’autonomia garantita dalle riserve esistenti non è elevata, essendo stimata in 11,3 anni. Stando così le cose, si comprende perché l’Unione europea sia il più grande importatore di gas naturale nel mondo. Nel 2014, il consumo di gas nell’UE è stato pari a 386,9 miliardi di metri cubi. Si è trattato del livello più basso da 10 anni a questa parte, inferiore dell’11,6 % rispetto all’anno precedente, mentre il consumo medio annuo di gas nell’UE tra il 2004 e il 2013 è stato pari a 477 miliardi di metri cubi.

2.6.

A livello mondiale, le riserve estraibili di gas naturale sono enormi (187 000 miliardi di metri cubi), e la loro durata residua è stimata in 54 anni. Se si tiene conto anche delle riserve di gas non convenzionale, tale durata sale a 290 anni.

2.7.

Entro il 2020, a livello mondiale la capacità di liquefazione del gas crescerà in misura significativa (+ 50 %), in particolare negli Stati Uniti e in Australia (oltre 100 milioni di tonnellate/anno), e ciò spingerà certamente in basso i prezzi. Per gli Stati membri dell’UE, ciò costituisce un’opportunità per accrescere la sicurezza dell’approvvigionamento e la resilienza del sistema del gas europeo di fronte a eventuali interruzioni delle forniture.

2.8.

Nel primo decennio di questo secolo le importazioni di gas nell’UE sono state effettuate principalmente tramite un sistema di gasdotti, ma il gas sotto forma liquida (GNL) ha costituito soltanto 1/5 di esse, nonostante il fatto che il GNL abbia un volume 600 volte inferiore, che ne rende assai più economico il trasporto e lo stoccaggio.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE riconosce l’importanza del ruolo del gas nella transizione dell’UE verso un’energia a basse emissioni di carbonio, e dunque negli sforzi intesi a ridurre tali emissioni. Garantire agli Stati membri un accesso equo e libero a mercati di produzione del gas diversificati e politicamente stabili è estremamente importante, e, a breve e medio termine, costituisce una priorità ai fini dell’attuazione della politica climatica ed energetica dell’UE e della costruzione di un’Unione dell’energia stabile. La politica riguardante la quota di gas nel mix energetico dovrebbe tenere conto dell’obiettivo di lungo termine stabilito nell’accordo di Parigi (COP21), ossia quello di mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto di 1,5 gradi Celsius.

3.2.

Il Comitato osserva che la comunicazione della Commissione [COM(2016) 49 final] costituisce il seguito dell’accordo sul «quadro per le politiche dell’energia e del clima» dell’UE raggiunto dal Consiglio del 23 e 24 ottobre 2014, che fissa i seguenti obiettivi da conseguire entro il 2030:

ridurre le emissioni di CO2 in misura pari al 40 %;

portare la quota di energia da fonti rinnovabili nel mix energetico dell’UE almeno al 27 %;

aumentare l’efficienza energetica almeno del 27 %.

3.3.

Le questioni della competitività economica del gas come carburante nei paesi dell’UE e della possibilità che il gas sia un effettivo concorrente dei combustibili solidi e in particolare del carbone saranno decise nel prossimo decennio dall’interazione di cinque fattori:

la politica energetica e climatica, e in particolare l’attenzione alla qualità dell’aria;

i prezzi del gas;

l’attuazione del sistema UE di scambio di quote di emissioni, e quindi i prezzi delle quote di emissione del CO2;

la dinamica delle esportazioni di gas (GNL) dagli Stati Uniti e dall’Australia;

i prezzi alla produzione del petrolio e del carbone sul mercato mondiale.

3.4.

Il CESE appoggia — e considera importante — il piano della Commissione volto a rimuovere gli ostacoli agli scambi tra gli effettivi hub regionali del gas e i mercati dei diversi paesi. A tal fine, è di fondamentale importanza completare la realizzazione del mercato interno del gas, eliminare gli ostacoli residui di tipo regolamentare, commerciale e legale e garantire l’accesso ai suddetti mercati.

3.4.1.

Poiché l’importazione di gas di scisto statunitense può avere un impatto positivo sul mercato europeo del gas, il CESE esorta le competenti autorità dell’UE a negoziare attivamente, nel quadro del TTIP, l’abbattimento delle barriere alle importazioni di tale gas dagli Stati Uniti.

3.5.

Occorre richiamare l’attenzione sul fatto che dalla comunicazione della Commissione non emerge una strategia coerente che concili l’incremento della quota di GNL e il potenziamento dello stoccaggio del gas con il previsto investimento nel gasdotto Nordstream 2 [COM(2016) 49 final].

3.6.

Nella strategia delineata nella comunicazione si dovrebbe sottolineare con maggior forza l’importanza dell’uso del gas naturale in quanto tecnologia-ponte nel passaggio da una produzione energetica basata sul carbone ad una a basse emissioni. Il gas è un combustibile particolarmente adatto a una generazione rapida e stabile di elettricità e calore, per cui il suo impiego può essere una tecnologia di riserva rispetto all’uso delle fonti energetiche rinnovabili.

3.7.

Il CESE raccomanda che, durante la transizione dalle centrali elettriche a carbone a un’economia a basse emissioni di carbonio, si aumenti la quota di gas naturale nel mix energetico degli Stati membri, e in particolare di quelli in cui il carbone svolge un ruolo preponderante. Ciò è di particolare importanza ai fini del miglioramento della qualità dell’aria, con effetti positivi per la salute dei cittadini di tali paesi e di quelli vicini, ma anche con una riduzione significativa delle emissioni di gas a effetto serra e tossici.

3.7.1.

In alcuni Stati membri, una media di 2/3 dell’energia finale consiste in energia termica per il riscaldamento delle abitazioni, prodotta in centrali termiche a carbone poco efficienti. Investire in piccole centrali termoelettriche cogenerative a gas accrescerebbe la stabilità del sistema energetico e migliorerebbe la qualità dell’aria. Gli investimenti di questo tipo vengono effettuati in periodi di tempo brevi (2 anni), con costi finanziari (CAPEX) relativamente bassi (benché accresciuti dai costi di esercizio) che compensano in parte i costi piuttosto elevati del combustibile. Un altro vantaggio degli impianti di cogenerazione a gas su piccola scala è la loro notevole rapidità di sincronizzazione con la rete di distribuzione dell’energia, che ne fa un’eccellente fonte energetica di compensazione nei periodi di massimo consumo energetico.

3.8.

Per quanto riguarda la questione, evidenziata nella comunicazione, di «colmare le lacune infrastrutturali», si dovrebbero sfruttare le opportunità offerte dal Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). Nell’ambito di tale programma è previsto, tra l’altro, il cofinanziamento dei seguenti progetti relativi alle infrastrutture critiche del settore energetico e delle TIC:

sviluppo delle interconnessioni energetiche tra i paesi;

diversificazione delle fonti e delle rotte di approvvigionamento energetico;

sviluppo di piani europei e regionali per il caso di crisi energetica;

miglioramento dell’efficienza energetica dell’economia.

4.   Osservazioni specifiche relative al GNL

4.1.

Il Comitato ritiene essenziale rendere più flessibile il mercato europeo del gas attraverso un aumento della quota di GNL in tale mercato.

4.2.

L’aumento della quota di GNL nel mercato del gas dell’UE, la disponibilità di riserve adeguate di gas nei depositi di stoccaggio e l’effettiva diversificazione delle rotte di approvvigionamento, sono fattori che contribuiranno ad aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dei paesi dell’Unione europea.

4.3.

La comunicazione della Commissione richiama giustamente l’attenzione sull’apparente adeguatezza della capacità di rigassificazione dell’UE. Apparente perché tale capacità sembra sufficiente, ma non è distribuita in modo ottimale sul territorio. Nei paesi della penisola iberica, in Francia, nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, la capacità di rigassificazione è utilizzata in misura molto limitata, mentre gli Stati membri dell’area del Mar Baltico e dell’Europa centro- e sudorientale sono fortemente dipendenti da un unico fornitore.

4.4.

Il Comitato concorda sul fatto che, per conseguire una piena e sostenibile diversificazione dell’approvvigionamento di gas sul mercato europeo, è necessario un approccio diversificato nei confronti della costruzione di nuovi terminali di GNL. Occorrerebbe infatti accordare la priorità agli investimenti che mirano a diversificare le rotte di approvvigionamento.

4.5.

Misure europee avvedute per sostenere la realizzazione di nuovi terminali di GNL e di interconnessioni transfrontaliere dovrebbero riguardare in via prioritaria le regioni attualmente isolate e dipendenti da un unico fornitore. Questo modo di stimolare gli investimenti garantirebbe a molti fornitori di gas parità di accesso a tali regioni, sulla base di una concorrenza libera ed equa. In tale contesto, è particolarmente importante migliorare le interconnessioni per facilitare gli scambi di gas tra i mercati interni degli Stati membri, in particolare nelle regioni attualmente prive di un sufficiente livello di sicurezza degli approvvigionamenti.

4.6.

Molto importante per l’espansione del mercato del GNL nell’UE è effettuare in modo corretto e tempestivo investimenti in progetti di interesse comune (PIC). Devono essere istituiti meccanismi chiari al fine di garantire che i costi d’investimento e di esercizio siano ripartiti equamente tra gli Stati membri con livelli di infrastrutture per il GNL e di capacità di stoccaggio del gas diversi.

4.7.

L’UE deve garantire che lo sviluppo di terminali GNL del tipo «fast track» e progetti FSRU sia un’opzione neutrale sul piano tecnologico, funzione degli investimenti più efficaci, che dovrebbero condurre a tariffe di rigassificazione quanto più basse possibile, a una riduzione dei tempi di commercializzazione dei prodotti, a rischi di attuazione inferiori e a una maggiore certezza sul mercato.

4.8.

Il CESE appoggia pienamente l’intenzione della Commissione europea di verificare la conformità al diritto dell’UE degli accordi intergovernativi per l’acquisto di GNL conclusi dagli Stati membri con paesi terzi.

4.9.

Il Comitato condivide la tesi della comunicazione secondo cui l’uso del GNL come carburante alternativo al gasolio (diesel) nel trasporto pesante su strada e in sostituzione dell’olio combustibile pesante nel trasporto marittimo può ridurre significativamente l’impatto negativo sull’ambiente.

4.9.1.

Il Comitato fa notare che, nella sezione relativa al GNL, la comunicazione non dedica un’attenzione sufficiente al sistema europeo di approvvigionamento ed uso del GNL come carburante nel settore dei trasporti sia su strada che marittimi. Si tratta in particolare di sviluppare in maniera innovativa il sistema di approvvigionamento, la rete di stazioni di rifornimento per il trasporto su strada e quella di stazioni di bunkeraggio per il trasporto marittimo. Obiettivi, questi, realizzati da progetti come il Blue Corridor, che coinvolge una serie di Stati membri, dalla Francia fino al Mar Baltico.

4.10.

In alcuni Stati membri dell’Unione europea, con accessibilità limitata alle reti del gas, vengono utilizzati massicciamente combustibili fossili solidi per la produzione di energia elettrica e termica. L’impiego del GNL come combustibile alternativo nei sistemi locali, dove potrebbe sostituire i combustibili convenzionali che provocano un notevole inquinamento da emissioni gassose e di particolato, può determinare un rapido miglioramento della qualità dell’aria. Anche in questi casi, peraltro, il rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile a lungo termine esclude che l’impiego del GNL possa sostituire il ricorso a fonti di energia rinnovabili.

4.11.

Il CESE condivide l’idea, espressa dalla Commissione nella comunicazione, che l’uso delle fonti di energia rinnovabili e l’efficienza energetica possano costituire soluzioni efficaci sotto il profilo dei costi e che, nell’adottare decisioni relative all’infrastruttura per il GNL, tali soluzioni dovrebbero essere oggetto di un esame approfondito onde evitare il rischio di lock-in tecnologico o di attivi non recuperabili. Occorre evitare di separare gli investimenti nelle fonti di energia dallo sviluppo economico degli Stati membri dell’UE.

5.   Osservazioni specifiche sullo stoccaggio del gas

5.1.

Il CESE riconosce la particolare importanza dello stoccaggio del gas nell’ambito dell’architettura della sicurezza europea e al fine di garantire un approvvigionamento stabile di gas naturale per l’economia dell’UE. Le capacità di stoccaggio esistenti nell’UE sono considerevoli, ma la loro distribuzione è ben lungi dall’essere sufficiente. Più dell’83 % della capacità di stoccaggio del gas è situata nell’Europa occidentale e sudoccidentale. Importanti ostacoli all’uso transfrontaliero delle capacità di stoccaggio sono costituiti dalle barriere tariffarie e regolamentari, nonché dall’insufficienza delle reti di interconnettori in alcune regioni d’Europa.

5.2.

Il CESE fa notare che, per conseguire un equilibrio e garantire la sicurezza energetica, è necessario che i gestori dei sistemi di stoccaggio adottino il principio secondo cui il livello minimo del gas stoccato deve coprire il 100 % del fabbisogno del mercato nazionale del gas per il periodo invernale. Tuttavia, l’alternativa economicamente più razionale consisterebbe nell’equilibrio degli stock di gas su scala regionale. Questo modello ottimale potrà essere realizzato una volta che sarà stata ampliata la rete di interconnettori nell’Europa nordorientale (Finlandia, Svezia, Stati baltici, Polonia), sudorientale (Bulgaria, Turchia, Serbia, Croazia) e sudoccidentale (Portogallo, Spagna, Francia); e una seconda condizione è la rimozione di tutti gli ostacoli al trasporto transfrontaliero del gas e, in particolare, delle barriere tariffarie.

5.3.

Il Comitato accoglie con favore le proposte della Commissione volte a «garantire condizioni paritarie agli strumenti di flessibilità in concorrenza tra loro» elaborando «codici di rete di portata unionale» che unifichino le tariffe di trasporto del gas «da e verso lo stoccaggio», fermo restando che le strutture tariffarie dovranno riflettere i costi di stoccaggio.

5.4.

Bisognerebbe considerare essenziale adottare misure per garantire la libertà di accedere fisicamente allo stoccaggio e alla capacità nella rete di trasporto del gas, anche in ambito transfrontaliero. Il CESE concorda con la Commissione sulla necessità di ottimizzare l’uso delle capacità di stoccaggio esistenti portando a termine i lavori sui codici di rete. In quest’ottica, sarebbe importante che gli Stati membri cooperassero in modo efficace con i paesi limitrofi per fare un uso ottimale delle capacità di stoccaggio di entrambe le parti.

Bruxelles, 22 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi e strumenti non vincolanti fra Stati membri e paesi terzi nel settore dell’energia e che abroga la decisione n. 994/2012/UE»

[COM(2016) 53 final]

(2016/C 487/13)

Relatore:

Vladimír NOVOTNÝ

Consultazione

Commissione europea, 16/2/2016

Consiglio, 2/3/2016

Parlamento europeo, 7/3/2016

Base giuridica

Articolo 194, paragrafo 2, e articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

7/9/2016

Adozione in sessione plenaria

21/9/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

139/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, e ritiene che la proposta di una nuova decisione, nel suo insieme, costituisca un passo avanti verso una maggiore certezza giuridica in materia di investimenti nel settore dell’energia e dei relativi progetti infrastrutturali, verso una maggiore trasparenza sulle questioni della sicurezza dell’approvvigionamento di gas e verso un migliore funzionamento del mercato interno dell’energia.

1.2.

Il CESE sostiene la realizzazione di una valutazione degli accordi internazionali con paesi terzi nel settore energetico tramite un meccanismo «ex ante» quale strumento di prevenzione dei rischi di potenziali conflitti degli accordi conclusi con il diritto UE e con i requisiti del mercato interno dell’energia. Al tempo stesso, reputa che in questo caso la prevenzione rappresenti una procedura più efficace rispetto all’adozione di misure correttive a posteriori.

1.3.

Il CESE propone che la procedura di notifica e verifica ex ante — ossia precedente la conclusione — degli accordi internazionali nel settore dell’energia si applichi soltanto agli accordi che riguardano l’approvvigionamento di gas degli Stati membri, poiché esso rappresenta il prodotto energetico di base più sensibile, la cui fornitura interessa di norma più Stati membri dell’UE.

1.4.

Ad avviso del CESE, la revisione della decisione dovrebbe riguardare soltanto la concezione degli accordi quadro che hanno implicazioni dirette sul mercato interno dell’Unione e/o sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, e la Commissione dovrebbe valutare esclusivamente la conformità al diritto dell’Unione del progetto di accordo intergovernativo che le viene sottoposto.

1.5.

Una maggiore protezione delle informazioni riservate durante tutto il processo preparatorio dell’accordo è la condizione necessaria per introdurre con successo le procedure di notifica e verifica proposte per gli accordi internazionali in preparazione o in corso di negoziazione nel settore dell’energia.

1.6.

Secondo il CESE, gli altri accordi nel settore dell’energia dovrebbero invece essere valutati con le procedure giuridiche e amministrative ex post attualmente in vigore. Al tempo stesso, tuttavia, il CESE raccomanda di considerare la possibilità di sottoporre anche questi ultimi accordi a una valutazione ex ante, ma su base volontaria, ossia se lo Stato membro interessato ne fa richiesta.

1.7.

Il CESE ritiene inoltre che il termine proposto di 12 settimane entro cui la Commissione può emettere parere negativo in caso di incompatibilità del progetto di accordo con il diritto dell’Unione debba essere il termine massimo. Una volta scaduto questo termine, l’accordo proposto dovrà considerarsi approvato dalla Commissione e i negoziati per la sua conclusione potranno proseguire.

2.   Introduzione

2.1.

La proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi fra Stati membri e paesi terzi nel settore dell’energia fa parte del cosiddetto «pacchetto invernale» della Commissione europea, che è incentrato sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico e rientra a sua volta nel quadro del progetto dell’Unione dell’energia. Il pacchetto verte principalmente sulle forniture di gas provenienti da paesi terzi.

2.2.

Nel 2015 la Commissione ha proceduto a un riesame e a una valutazione dell’efficacia della decisione n. 994/2012/UE, del 25 ottobre 2012, sugli accordi intergovernativi, che è attualmente in vigore e ha istituito un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi fra Stati membri e paesi terzi nel settore dell’energia.

2.3.

Dalla relazione di valutazione che ne è scaturita emerge che, secondo la Commissione, le attuali decisioni non rispondono ad uno dei loro principali obiettivi, ossia quello di assicurare la conformità degli accordi intergovernativi al diritto dell’Unione. Un problema, questo, di cui la Commissione ha individuato tre cause fondamentali:

l’assenza di qualsiasi comunicazione ex ante degli accordi intergovernativi alla Commissione, con il conseguente aumento del rischio che questi accordi siano elaborati in modo non conforme al diritto dell’UE;

l’insufficienza dei meccanismi giuridici previsti in alcuni accordi intergovernativi che ne consentono la modifica o la risoluzione;

per quanto riguarda gli accordi intergovernativi, la mancanza di trasparenza riguardo ai negoziati in corso o al loro effetto di sostituzione.

2.4.

La Commissione ha ora presentato una proposta di decisione che abroga la decisione n. 994/2012/UE e che, traendo le conseguenze del riesame di quest’ultima, prevede una serie di modifiche significative. Tale proposta, che costituisce l’oggetto del presente parere, si prefigge due obiettivi principali:

assicurare la conformità degli accordi intergovernativi al diritto dell’UE, in modo da garantire il buon funzionamento del mercato interno e accrescere la sicurezza energetica dell’UE, e

migliorare la trasparenza degli accordi intergovernativi conclusi con terzi al fine di ottimizzare il rapporto costi-benefici dell’approvvigionamento energetico dell’UE e accrescere la solidarietà tra gli Stati membri.

3.   Il documento della Commissione

3.1.

La proposta di decisione in esame contiene i seguenti elementi:

3.1.1.

Obblighi di comunicazione in materia di accordi intergovernativi:

gli Stati membri avranno l’obbligo di comunicare alla Commissione la loro intenzione di avviare negoziati con paesi terzi per concludere nuovi accordi intergovernativi, o modificare accordi esistenti, concernenti la fornitura di gas;

in seguito a tale avviso di negoziazione, la Commissione dovrà essere tenuta informata dello stato di avanzamento dei lavori preparatori dell’accordo;

ove lo Stato membro dia comunicazione dei negoziati alla Commissione, i servizi di quest’ultima potranno fornirgli consulenza sui modi di evitare eventuali incompatibilità tra, da un lato, l’accordo intergovernativo e, dall’altro, il diritto dell’Unione, le posizioni adottate in seno al Consiglio sulle politiche dell’Unione o le conclusioni del Consiglio europeo;

non appena le parti avranno raggiunto un accordo in sede negoziale su tutti i punti principali, lo Stato membro avrà l’obbligo di trasmettere alla Commissione, per la valutazione ex ante, il progetto dell’accordo intergovernativo o della modifica, corredato di tutti i documenti pertinenti (eventuali allegati e testi di riferimento);

dopo la ratifica dell’accordo intergovernativo nuovo o modificativo, gli Stati membri avranno l’obbligo di trasmetterlo alla Commissione unitamente agli eventuali allegati;

ogni Stato membro avrà l’obbligo di comunicare alla Commissione tutti gli accordi intergovernativi esistenti da esso conclusi e ogni modifica di tali accordi, compresi eventuali allegati;

gli accordi tra imprese non saranno soggetti agli obblighi di comunicazione, ma potranno essere trasmessi alla Commissione su base volontaria;

la Commissione ha l’obbligo di condividere le informazioni e i documenti ricevuti con gli altri Stati membri, conformemente alle disposizioni in materia di riservatezza.

3.1.2.

Valutazione della Commissione:

la Commissione avrà l’obbligo di effettuare una valutazione ex ante dei progetti di accordi intergovernativi nuovi o modificativi, e di comunicare allo Stato membro, nel termine di sei settimane, eventuali perplessità quanto alla loro compatibilità con il diritto dell’Unione, in particolare in materia di mercato interno dell’energia e di concorrenza;

la Commissione avrà l’obbligo di trasmettere allo Stato membro, entro dodici settimane dalla data di comunicazione, un parere sulla compatibilità con il diritto dell’Unione dell’accordo intergovernativo nuovo o modificativo;

lo Stato membro non concluderà l’accordo intergovernativo nuovo o modificativo proposto prima che la Commissione gli abbia comunicato, nel suo parere in merito, eventuali perplessità. E, quando concluderà l’accordo intergovernativo nuovo o modificativo proposto, lo Stato membro terrà in massima considerazione le conclusioni e raccomandazioni pertinenti della Commissione;

la Commissione avrà l’obbligo di effettuare una valutazione ex post degli accordi intergovernativi esistenti o delle relative modifiche, e di comunicare agli Stati membri, entro nove mesi dalla notifica di tali accordi o modifiche, eventuali perplessità quanto alla loro compatibilità con il diritto dell’Unione.

3.1.3.

Obblighi di notifica e di valutazione da parte della Commissione riguardo a strumenti non vincolanti:

lo Stato membro avrà l’obbligo di trasmettere alla Commissione gli strumenti non vincolanti esistenti o futuri, corredati di tutti i documenti pertinenti;

la Commissione potrà eseguire una valutazione ex post degli strumenti non vincolanti pervenuti e informare lo Stato membro se riterrà che le misure di attuazione dello strumento non vincolante possano essere in contrasto con il diritto dell’Unione;

la Commissione propone, ritenendola l’opzione più efficiente, efficace e proporzionata rispetto ai costi, di rendere obbligatoria la valutazione ex ante degli accordi intergovernativi da parte della Commissione. Gli Stati membri dovrebbero avere l’obbligo di informare la Commissione già nella fase iniziale di qualsiasi negoziato in corso per un accordo intergovernativo relativo alla fornitura di gas, e di presentare alla Commissione le loro proposte al riguardo affinché essa effettui la sua valutazione ex ante.

3.2.

Gli effetti della decisione proposta dovrebbero, secondo la Commissione, contribuire:

a una maggiore certezza del diritto, a tutto beneficio degli investimenti;

al buon funzionamento del mercato interno dell’energia, in assenza di segmentazione e in presenza di una maggiore concorrenza;

a una maggiore trasparenza per quanto riguarda la sicurezza degli approvvigionamenti in tutti gli Stati membri.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE ha già affrontato il problema degli accordi nel settore energetico nel 2012, nel quadro della preparazione della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 994/2012/UE (1). Nel parere in merito il Comitato sottolineava che gli accordi sull’energia devono essere guidati da considerazioni sia strategiche che commerciali, nel rispetto dei principi di proporzionalità e trasparenza.

4.2.

Il Comitato si rammaricava, tra l’altro, che nella proposta di decisione non fossero inclusi importanti accordi commerciali nel settore dell’energia riguardanti più Stati membri, accordi per i quali vi è il rischio di conflitto con il diritto dell’UE. Il Comitato ha richiamato l’attenzione sulle potenziali minacce che potrebbero concretizzarsi qualora i partenariati strategici portassero all’adozione forzata di pratiche imposte da paesi terzi, i cui interessi potrebbero rivelarsi pregiudizievoli per l’UE.

4.3.

In merito alla proposta di decisione del PE e del Consiglio che modifica la decisione n. 994/2012/UE le organizzazioni europee di datori di lavoro, in quanto partner importanti del dialogo sociale, e i rappresentanti delle organizzazioni della società civile hanno espresso delle riserve. Le associazioni dei datori di lavoro, sottolineando che l’attuale meccanismo «ex post» è sufficiente, hanno indicato che la valutazione dovrebbe essere mirata agli accordi che hanno un impatto sul mercato interno dell’energia oppure sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico.

4.4.

Le organizzazioni della società civile e diversi Stati membri hanno inoltre formulato la richiesta che venga stabilita una responsabilità per i casi di perdita di informazioni commercialmente sensibili ed espresso l'esigenza di un’adeguata protezione degli interessi commerciali. Si sono altresì pronunciati a favore dell'esclusione degli accordi tra soggetti privati e degli accordi fondati sui meccanismi Euratom dal campo di applicazione della decisione, e hanno chiesto che l’intera revisione della decisione n. 994/2012/UE rispetti la libertà di impresa e di commercio, la protezione del segreto commerciale e il diritto a una buona amministrazione.

4.5.

Durante le consultazioni pubbliche su questo tema, riserve analoghe sono state formulate dalle parti interessate, tra cui le associazioni settoriali europee e le associazioni di regolatori. È stato tra l’altro sottolineato che i documenti di accompagnamento forniti dalla Commissione [SWD(2016) 28 final] non contengono elementi e argomenti quantificati sufficientemente probanti per giungere legittimamente a concludere che l’attuale legislazione non consegue i propri obiettivi e va quindi sostituita con una nuova normativa. Per correggere le carenze individuate negli accordi internazionali, può servire, invece dell’adozione di nuove normative, un’applicazione più rigorosa della decisione in vigore.

4.6.

Al fine di trovare un valido compromesso, nel presente parere il CESE si basa, da un lato, sulle osservazioni e obiezioni già menzionate di una parte della società civile organizzata, e dall’altro, sugli argomenti della Commissione, ma anche sulle conclusioni del Consiglio Energia dell’UE.

4.7.

Sulla base dell’esperienza della Commissione riguardo alla difficoltà di ottenere modifiche di accordi internazionali già conclusi nel settore dell’energia qualora venga successivamente accertata un’incompatibilità con il diritto dell’UE, il CESE sostiene la proposta di applicare il meccanismo «ex ante» come forma di prevenzione delle violazioni del diritto dell’UE e delle norme del mercato interno dell’energia nei casi che rivestono un’importanza di livello europeo o interessano più Stati membri.

4.8.

Ad avviso del CESE, la revisione della decisione in vigore dovrebbe pertanto riguardare soltanto gli accordi intergovernativi importanti con paesi terzi che hanno implicazioni dirette sul mercato interno dell’Unione e/o sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, e la Commissione dovrebbe valutare esclusivamente la conformità al diritto dell’Unione del progetto di accordo intergovernativo che le viene sottoposto.

4.9.

Nel quadro del processo di negoziazione di accordi intergovernativi di minore portata e di importanza limitata, la Commissione non dovrebbe ricevere alcun mandato specifico a fornire assistenza a uno Stato membro nel corso dei negoziati. Nel contempo, però, onde evitare che l’accordo in corso di negoziazione confligga con il diritto dell’UE, occorre mantenere la possibilità, per lo Stato membro, di ottenere, su richiesta, servizi di consulenza da parte della Commissione, la quale, in tal caso, dovrebbe essere vincolata al rispetto di termini perentori per fornire le informazioni pertinenti.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Il CESE ritiene opportuno che si continui ad applicare il meccanismo di controllo soltanto agli accordi internazionali relativi alla fornitura di gas.

5.2.

Il Comitato fa propria l’opinione della Commissione secondo cui gli obblighi derivanti dalla proposta di decisione in esame non devono applicarsi agli accordi conclusi da soggetti di diritto privato. Raccomanda tuttavia di considerare l’applicazione del meccanismo «ex ante» proposto nel caso in cui l’accordo del settore privato abbia un impatto considerevole sul mercato interno dell’energia o sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Occorre tuttavia fissare delle regole chiare per tale procedura.

5.3.

Il CESE auspica che venga stabilita una precisa responsabilità per i casi di perdita di informazioni commercialmente sensibili, compreso l’esame di tali casi sotto il profilo del diritto penale.

5.4.

Il CESE non reputa necessario né utile che la proposta di decisione in esame si applichi agli strumenti giuridicamente non vincolanti (articolo 2 della decisione proposta).

5.5.

Il Comitato esprime dei dubbi circa l’affermazione della Commissione secondo cui la proposta non avrà alcuna incidenza sul bilancio dell’UE. In particolare nel caso di un’estensione del meccanismo «ex ante» agli accordi di soggetti privati si può prevedere un aumento tanto delle spese quanto degli oneri amministrativi. Il CESE non dispone di analisi riguardanti il rispetto del principio di sussidiarietà e l’applicazione del principio di proporzionalità nella nuova decisione.

5.6.

Il CESE approva la proposta della Commissione di mantenere il carattere facoltativo dell’assistenza da essa fornita (articolo 4 della decisione proposta), tenendo presente che tale assistenza non dovrebbe essere obbligatoria nel quadro dei negoziati di uno Stato membro con un paese terzo.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 68 del 6.3.2012, pag. 65.


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Iniziativa europea per il cloud computing — Costruire un'economia competitiva dei dati e della conoscenza in Europa»

[COM(2016) 178 final]

(2016/C 487/14)

Relatore:

Antonio LONGO

Consultazione

Commissione europea, 19/04/2016

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione

Adozione in sezione

07/09/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

149/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE condivide e sostiene la scelta strategica della Commissione di un cloud computing europeo, aperto e destinato al mondo scientifico, all'interno di un forte impegno politico ed economico per l'innovazione digitale. Il Comitato fin dal 2011 ha espresso in varie occasioni una serie di raccomandazioni alla Commissione per posizionare l'Europa alla testa di questo promettente settore, con l'aiuto di imprese leader.

1.2.

Per il CESE si tratta di una priorità assoluta che ha una importanza strategica, sia per quanto riguarda il superamento del gap tecnologico, sia per quanto riguarda il progresso economico, sociale e culturale della società.

1.3.

La proposta del CESE è per un cloud europeo disponibile per tutti i cittadini e le imprese. Il CESE chiede anzitutto di chiarire e precisare quali saranno i tempi e le modalità di estensione della base di utenti, promessi a PMI innovative ed all'industria.

1.4.

Il CESE condivide l'analisi della Commissione sulle criticità che impediscono all'Europa di sfruttare il potenziale dei dati, in particolare per quanto riguarda l'assenza di interoperabilità, la frammentazione delle strutture, la loro chiusura ad altri apporti e scambi. Sono positive le misure individuate nella comunicazione per superare la divisione delle realtà nazionali, che impediscono l'implementazione di un vero mercato unico digitale europeo, con azioni finalizzate ad ampliare l'accessibilità e a rafforzare la fiducia tra settore pubblico e mondo accademico, spesso totalmente separati e non comunicanti.

1.5.

Il CESE chiede che le misure di integrazione vengano realizzate in modo da favorire il cambio di mentalità della comunità scientifica, con meccanismi di integrazione tra le infrastrutture accademiche, centri di ricerca e istituzioni pubbliche e con la revisione della struttura degli incentivi per ottenere una maggiore condivisione dei dati, mentre quelle comunità in cui la condivisione dei dati è già piuttosto diffusa dovrebbero essere incoraggiate a svolgere un ruolo chiave nella definizione dei dettagli dei dati aperti.

1.6.

Il CESE raccomanda di esplicitare meglio quale sarà l'interazione fra l'infrastruttura di dati europea, che dovrebbe promuovere anche la promozione, lo sviluppo e l'implementazione di supercomputer ad alte prestazioni (HPC), e l'annunciata iniziativa faro per il rafforzamento nel campo della tecnologia informatica quantistica.

1.7.

Il CESE propone che sull'aspetto decisivo della governance, come anche sull'apertura progressiva a tutti e sulle modalità di utilizzo e la conservazione dei dati, la Commissione lanci una grande consultazione che coinvolga direttamente la comunità scientifica e i cittadini nelle loro associazioni rappresentative degli interessi.

1.8.

Il CESE raccomanda che le forniture di hardware e software necessari al cloud europeo siano acquistate in Europa e chiede maggiore chiarezza in merito alle risorse finanziarie, provenienti da vari programmi quadro, fondi strutturali, CEF e FEIS.

1.9.

Il CESE propone che la Commissione, d'accordo con gli Stati membri, lanci un grande programma di sviluppo e valorizzazione di nuove alte professionalità, che offra nuove opportunità occupazionali qualificate e favorisca il «rientro» nell'UE dei giovani scienziati che lavorano in altri paesi.

1.10.

Per avere un quadro normativo definito e certo a disposizione di imprese e cittadini, in un settore così strategico ma anche così complesso e in continua evoluzione come il digitale, il CESE propone la creazione di un «portale unico dell'Europa digitale», attraverso il quale cittadini e imprese possano facilmente accedere ai testi comunitari esistenti.

1.11.

Il CESE ribadisce infine, per lo sviluppo di una vera rivoluzione digitale, la necessità di educazione e formazione per tutte le fasce di età della popolazione europea e in tutti i periodi di attività o inattività. In particolare il CESE ribadisce la necessità di investire nella formazione tecnologica delle donne e nella loro collocazione nei ruoli di responsabilità e decisionali.

2.   Contesto e contenuti

2.1.

La Commissione ha elaborato una serie di orientamenti finalizzati a porre le basi di una iniziativa europea per il cloud computing aperto e destinato al mondo scientifico ed ha pubblicato una proposta che, partendo dalla considerazione dello sviluppo dei cosiddetti big data, ritiene il cloud uno strumento in grado di sfruttare appieno la mole dei dati prodotti da soggetti pubblici e privati. La capacità di utilizzare i big data viene ritenuta di impatto sulla economia globale, offrendo l'opportunità di grandi innovazioni in campo industriale e sociale e la creazione di nuovi servizi e prodotti finanziari.

2.2.

La proposta si colloca all'interno di un primo pacchetto di politica industriale nel quadro della strategia per il mercato unico digitale, annunciato il 19 aprile 2016, con un consistente piano finanziario di 50 Mrd di euro, finalizzato a un vero e proprio «percorso per la digitalizzazione dell'industria europea» e prevede «un pacchetto di misure per sostenere e collegare le iniziative nazionali per la digitalizzazione dell'industria e dei servizi connessi in tutti i settori e per stimolare gli investimenti attraverso reti e partenariati strategici».

2.3.

L'iniziativa sul cloud computing costituisce uno degli impegni più importanti per fare dell'Europa «il leader mondiale nell'economia basata sui dati». La scelta — ha dichiarato Carlos Moedas, commissario alla Ricerca, sviluppo e innovazione — è anche una risposta «all'appello della comunità scientifica, che chiedeva un'infrastruttura per la scienza aperta. (…) I vantaggi dei dati aperti, ossia liberamente accessibili per la scienza, l'economia, la società europea, saranno enormi».

2.4.

Nella visione della Commissione, l'Europa deve rispondere a quattro quesiti:

Come sfruttare al massimo la condivisione di dati

Come garantire che i dati possano essere utilizzati il più possibile, tra diverse discipline scientifiche e tra il settore pubblico e quello privato?

Qual è il modo migliore per collegare le infrastrutture di dati esistenti e quelle nuove in tutta Europa?

Come coordinare al meglio gli strumenti di supporto disponibili per le infrastrutture di dati europee?

2.5.

Lo strumento individuato dalla Commissione è lo sviluppo di un European Open Science Cloud , uno spazio sicuro e aperto in cui la comunità scientifica possa archiviare, condividere e riutilizzare dati e risultati scientifici. Questo importante strumento finalizzato a sviluppare la capacità di calcolo, la connettività e soluzioni cloud ad alta capacità, si avvarrebbe di un'infrastruttura di dati europea, collegando dapprima la comunità scientifica e poi il settore pubblico e l'industria. Tutto questo rende necessaria la collaborazione aperta di tutti i soggetti interessati a trarre beneficio dalla rivoluzione dei dati in Europa.

2.6.

La Commissione chiarisce che l'iniziativa sarà accompagnata da ulteriori azioni nell'ambito della strategia per il mercato unico digitale, con riferimenti ai contratti di cloud computing per gli utenti commerciali ed il passaggio ad altro fornitore di servizi cloud e dall'iniziativa sul libero flusso dei dati.

2.7.

La Commissione individua 5 ragioni per cui l'Europa non sta sfruttando pienamente il potenziale dei dati:

i dati provenienti dalla ricerca finanziata con fondi pubblici non sono sempre aperti;

l'assenza di interoperabilità;

la frammentazione delle infrastrutture dati ed informatiche;

la mancanza di un'infrastruttura di calcolo ad alte prestazioni (HPC) di punta per l'elaborazione dei dati;

la necessità di tecniche di analisi avanzate (text mining e data mining) in un ambiente affidabile.

2.8.

Il cloud europeo per la scienza aperta dovrebbe conferire all'Europa un ruolo guida a livello globale nelle infrastrutture per i dati scientifici mettendo a disposizione di 1,7 milioni di ricercatori e 70 milioni di operatori professionali un ambiente virtuale con servizi fruibili gratuitamente. Lo sviluppo di questo strumento sarebbe rimesso alla comunità scientifica ed, in prospettiva, sarà finalizzato anche alla istruzione ed alla formazione professionale. La definizione di norme tecniche riconosciute permetterebbe la creazione di un ambiente dati sicuro per gli utenti.

2.9.

Partendo dalle infrastrutture già esistenti, la Commissione intende far leva anche su azioni già previste come il libero accesso alle pubblicazioni e ai dati scientifici nell'ambito di Orizzonte 2020. La governance del cloud europeo per la scienza aperta sarà definita a conclusione di un accurato processo di preparazione, che è già in corso.

2.10.

Le misure specifiche previste per la realizzazione del cloud sono individuate nella comunicazione come segue:

rendere liberamente accessibili per default tutti i dati scientifici prodotti dal programma Orizzonte 2020;

aumentare la consapevolezza e modificare le strutture degli incentivi;

sviluppare l'interoperabilità e la condivisione dei dati;

creare un'idonea struttura di governance paneuropea;

sviluppare servizi basati sul cloud per una scienza aperta;

estendere la base di utenti del mondo scientifico del cloud europeo per la scienza.

2.11.

La Commissione prevede anche la infrastruttura europea dei dati, con una capacità HPC integrata di classe mondiale che rappresenta una necessità per l'Europa, da realizzare su scala exa entro il 2022 e che la porrebbe tra i tre protagonisti del settore.

2.12.

La Commissione ritiene che l'infrastruttura europea dei dati contribuirà anche alla digitalizzazione dell'industria, alla promozione dell'innovazione industriale ed allo sviluppo di piattaforme europee strategiche nella ricerca.

2.12.1.

Il calendario delle azioni si svilupperà dal 2016 al 2020.

2.13.

Nella comunicazione la Commissione annuncia anche un'iniziativa-faro finalizzata alla promozione della ricerca e dello sviluppo delle tecnologie quantistiche.

2.14.

La Commissione infine intende ampliare l'accessibilità e rafforzare la fiducia tra settore pubblico e mondo accademico, aprendo il cloud europeo al settore pubblico.

2.15.

La base di utenti sarebbe estesa successivamente ai servizi pubblici, alle PMI innovative ed all'industria. L'estensione dell'iniziativa ai servizi pubblici si baserà su esempi di eccellenza esistenti, quali la direttiva INSPIRE per l'informazione territoriale e la rete eHealth. L'estensione all'industria si baserà sugli esempi correnti della fornitura di infrastrutture scientifiche cruciali quali Helix-Nebula, EBI-EMBL e PRACE. Per le PMI il prossimo passo potrebbe essere il coinvolgimento in quanto fornitori di soluzioni innovative per l'EOSC, come già avviene per Orizzonte 2020.

2.16.

La Commissione prevede varie fonti di finanziamento:

il programma quadro per la ricerca e l'innovazione Orizzonte 2020;

il meccanismo per collegare l'Europa (CEF);

i fondi strutturali e d'investimento europei;

il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS).

2.16.1.

La stima iniziale dell'investimento supplementare pubblico e privato richiesto ammonta a 4,7 miliardi di euro in un periodo di 5 anni.

2.17.

Nel tempo l'iniziativa consentirà di generare entrate proprie, di pari passo con la relativa diffusione nella comunità scientifica, nelle startup innovative e nel settore pubblico.

3.   Considerazioni generali

3.1.

La scelta della Commissione di impegno politico ed economico per l'innovazione digitale ha l'adesione convinta del CESE, con particolare riguardo alla scelta di un cloud computing europeo.

3.1.1.

La Commissione definisce una strategia molto ambiziosa. Sebbene il suo livello di complessità sia molto elevato, gli obiettivi politici sono chiaramente individuati. Le debolezze dell'Europa e le sfide che essa si trova dinanzi nel campo della creazione dei servizi per sfruttare i big data prodotti dalla scienza e dai servizi pubblici sono individuate con precisione e questo dovrebbe essere il punto di partenza di tutto il lavoro da realizzare nei prossimi anni.

3.2.

Il Comitato fin dal 2011 (1) e in varie occasioni ha formulato una serie di raccomandazioni alla Commissione «per incoraggiare l'Europa a posizionarsi alla testa di questo promettente settore, con l'aiuto di imprese leader».

3.3.

Ma va subito ricordato che la proposta del CESE era per un cloud europeo per tutti i cittadini e le imprese. Peraltro il titolo della comunicazione rischia di trarre in inganno il lettore, perché non specifica la destinazione al solo mondo scientifico.

3.4.

Il CESE, accoglie positivamente la decisione della Commissione e rileva l'importanza strategica delle scelte sia per quanto riguarda il superamento del gap tecnologico europeo, sia per quanto riguarda il progresso economico, sociale e culturale della società europea. Il cloud della scienza risponde anche all'esigenza della comunità scientifica di avere accesso e condividere i dati delle ricerche pubbliche.

3.5.

Il CESE condivide l'analisi della Commissione sulle criticità che impediscono all'Europa di sfruttare il potenziale dei dati, in particolare per quanto riguarda l'assenza di interoperabilità, la frammentazione delle strutture, la loro chiusura ad altri apporti e scambi. Il CESE ribadisce inoltre la necessità di educazione e formazione per tutte le fasce di età della popolazione europea e in tutti i periodi di attività o inattività (2). In particolare il CESE insiste sulla necessità di investire nella formazione tecnologica delle donne e nel loro accesso ai posti di responsabilità e dirigenza.

3.6.

Il Comitato concorda sugli obiettivi e le misure individuate nella comunicazione per superare la divisione delle realtà nazionali, che impediscono l'implementazione di un vero mercato unico digitale europeo. Va considerato inoltre che è ormai una tendenza generale il passaggio dallo stoccaggio sul proprio computer dei propri dati personali e di lavoro all'utilizzo di cloud pubblici o commerciali. L'iniziativa del cloud va quindi nella direzione giusta.

3.7.

È positivo anche l'impegno della Commissione per azioni finalizzate ad ampliare l'accessibilità e insieme rafforzare la fiducia tra settore pubblico e mondo accademico, spesso totalmente separati e non comunicanti.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Ci sono alcuni aspetti che devono essere meglio precisati. Il piano della Commissione sembra allo stesso tempo molto complesso negli obiettivi, ma generico in alcuni punti fondamentali.

4.2.

Anzitutto il CESE raccomanda che le forniture di hardware e software necessari al cloud europeo siano acquistate in Europa. Le soluzioni di software sono altamente sviluppate in Europa, e dovrebbe essere possibile evitare la dipendenza tecnologica da altre regioni del mondo. Per quanto riguarda l'hardware, è positiva la previsione che almeno uno dei due supercomputer su scala exa sia europeo.

4.3.

Il CESE esprime preoccupazione anche in merito alle risorse non solo finanziarie, ma anche professionali necessarie all'implementazione e allo sviluppo del cloud. Per sfruttare tutte le potenzialità dei big data in termini di crescita economica e di occupazione per l'Europa, sarà fondamentale la disponibilità di risorse umane legate con competenze adeguate. Il Comitato esorta inoltre la Commissione a prendere attentamente in considerazione i sistemi di cloud computing transfrontalieri di specifiche comunità scientifiche, che già esistono e hanno dimostrato di funzionare bene, nonché le attività nazionali volte a conseguire lo stesso obiettivo.

4.3.1.

Pur valutando positivamente quanto previsto da Orizzonte 2020 e dal finanziamento del progetto EDISON che accelera il processo di istituzione della professione di «scienziato dei dati», il CESE si augura che la Commissione, d'accordo con gli Stati membri, lanci un grande programma di sviluppo di nuove alte professionalità che favorisca una occupazione qualificata e il «rientro» nell'UE dei giovani scienziati che lavorano in altri paesi. In particolare, c'è grande necessità di «amministratori dei dati» in grado di aiutare gli scienziati, l'industria del settore e l'amministrazione pubblica a utilizzare al meglio e a condividere i dati raccolti. Questi interventi della Commissione hanno un carattere di assoluta urgenza e devono tendere anche a recuperare opportunità di lavoro.

4.4.

Inoltre non si comprende bene l'interazione fra la proposta infrastruttura di dati europea, che dovrebbe promuovere anche la promozione, lo sviluppo e l'implementazione di supercomputer ad alte prestazioni (HPC), e l'iniziativa faro da affiancare in materia di rafforzamento nel campo della tecnologia informatica quantistica. Le due iniziative sono complementari, anche se differenziate. Mentre per la realizzazione dei supercomputer su scala exa c'è la previsione di realizzazione entro il 2018, la strategia per la tecnologia quantistica si trova ancora ad uno stadio preparatorio e presenta un approccio di lungo periodo.

4.5.

La comunicazione risulta molto generica anche laddove presuppone dei meccanismi di naturale integrazione, grazie al cloud europeo per la scienza aperta ed alla infrastruttura dati europei, tra infrastrutture accademiche, centri di ricerca e istituzioni pubbliche. Questa strategia non potrà avere successo senza l'allineamento di tutte le parti interessate. La sensibilizzazione e il cambiamento delle strutture degli incentivi destinati al mondo accademico, all'industria e ai servizi pubblici per la condivisione dei dati è un passo necessario per sviluppare il cloud computing per la scienza aperta. In particolare, le comunità in cui la condivisione dei dati è già piuttosto diffusa, come molti settori di ricerca, potrebbero svolgere un ruolo fondamentale per definire i dettagli dei dati aperti in un processo «dal basso».

4.5.1.

Il CESE apprezza la scelta della Commissione sull'opzione standard per i dati della ricerca aperta in tutti i nuovi progetti di Orizzonte 2020 a partire dal 2017. Il CESE incoraggia la Commissione ad esaminare le raccomandazioni del 2012 sull'accesso all'informazione scientifica e sulla sua conservazione.

4.6.

Inoltre, devono essere precisati i meccanismi di estensione della base di utenti, promessi a PMI innovative ed all'industria, avvalendosi di centri dati e software di eccellenza e poli di innovazione dei servizi di dati per PMI.

4.7.

Il CESE chiede che venga meglio costruita la governance del cloud, che secondo la Commissione sarà definita a conclusione di un accurato processo di preparazione che è già in corso. La comunità scientifica, le imprese e i cittadini hanno il diritto di partecipare a questa governance, e la Commissione ha il dovere di indicare in che modo e in quale misura. L'utilizzo della piattaforma OSPP (Piattaforma sulle politiche relative alla scienza aperta) può essere uno strumento positivo.

4.8.

Il CESE propone che su temi come la governance, l'apertura progressiva a tutti e le modalità di utilizzo e conservazione dei dati vada lanciata una grande consultazione che coinvolga direttamente la comunità scientifica e i cittadini nelle loro associazioni rappresentative degli interessi.

4.9.

In particolare la Commissione deve fornire informazioni più dettagliate sulla piattaforma amministrativa di gestione del cloud.

4.10.

Quanto al finanziamento, pur tenendo conto del gran numero di Stati in cui dovrebbe essere implementata, ma anche del contesto economico di bassa crescita dell'economia europea che rende molto difficili investimenti privati in una iniziativa europea, che di fatto avrebbe una ricaduta solo indiretta e secondaria sul mondo dell'industria e delle PMI, il CESE ritiene che si tratti di una priorità assoluta per l'Europa.

4.11.

Le imprese, infatti, fruirebbero degli effetti positivi del cloud e della infrastruttura dati solo dopo la loro implementazione, nel rispetto di norme tecniche comuni ancora da elaborare ed in un quadro normativo relativo a privacy, cybersecurity e proprietà intellettuale ancora non consolidato, sia a livello normativo europeo che di recepimento negli Stati membri.

4.12.

A questo proposito, il CESE propone la creazione di un «portale unico dell'Europa digitale», per facilitare l'accesso di cittadini e imprese ai testi comunitari esistenti.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 24 del 28.1.2012, pag.40; GU C 76 del 14.3.2013, pag. 59.

(2)  GU C 451 del 16.12.2014 pag. 25.


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/92


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Priorità per la normazione delle TIC per il mercato unico digitale»

[COM(2016) 176 final]

(2016/C 487/15)

Relatore:

Gundars STRAUTMANIS

Consultazione

Commissione europea, 19/04/2016

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

07/09/2016

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

159/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE riconosce che, nel complesso, il testo elaborato dalla Commissione è valido, in quanto fissa un punto di partenza per piani e iniziative volti a favorire la normazione delle TIC e determina degli ambiti prioritari e delle attività essenziali, dotandole di uno scadenzario (tabella di marcia).

1.2.

Il CESE ritiene che la normazione debba contribuire ad accrescere il valore aggiunto, a rendere più sicura l’occupazione in tutti i settori e a migliorare il livello di benessere della società nel suo complesso. È particolarmente importante, pertanto, definire correttamente gli ambiti prioritari in cui essa deve essere effettuata, anche nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), al fine di risolvere le suddette questioni, che rivestono una tale portata per la collettività. Si può quindi riconoscere che la comunicazione della Commissione è necessaria e comprendere facilmente perché l’elaborazione del documento sia fondamentale per un’ulteriore normazione delle TIC e, di conseguenza, per lo sviluppo del mercato unico digitale.

1.3.

Il CESE desidera formulare una serie di raccomandazioni che potrebbero aiutare la Commissione a migliorare ulteriormente le comunicazioni e altri testi di accompagnamento da essa elaborati.

1.3.1.   Raccomandazione n. 1

Il CESE raccomanda che, nelle future comunicazioni e altri documenti correlati, la Commissione spieghi chiaramente a tutti i soggetti interessati la necessità di adottare un approccio equilibrato in materia di normazione delle TIC: le norme come fattore limitativo in opposizione alla creatività.

1.3.2.   Raccomandazione n. 2

Il CESE raccomanda di adoperarsi per garantire una coerenza tra gli ambiti prioritari in materia di normazione delle TIC che hanno denominazioni diverse nella comunicazione della Commissione e nel programma continuativo annuale per la normazione delle TIC. Al fine di garantire la coerenza tra i diversi documenti e l’insieme dei testi collegati, è necessario adottare una terminologia unificata.

1.3.3.   Raccomandazione n. 3

Tenuto conto dell’importanza della definizione delle priorità in materia di normazione delle TIC, il CESE raccomanda di offrire maggiori informazioni sulle giustificazioni, la metodologia e i risultati ottenuti per quanto riguarda la scelta degli ambiti prioritari.

1.3.4.   Raccomandazione n. 4

Affinché tutte le parti interessate possano avere una migliore comprensione dell’attuazione e della coerenza della comunicazione della Commissione, il CESE raccomanda di diffondere informazioni circa le attività ricorrenti che completano o continuano l’iniziativa avviata da tale documento.

1.3.5.   Raccomandazione n. 5

Affinché tutti i soggetti interessati abbiano la certezza che, nell’elaborare la comunicazione, la Commissione abbia guardato al di là delle questioni direttamente legate alle priorità in materia di normazione delle TIC e abbia valutato anche l’impatto di tali priorità su diverse problematiche sociali (cfr. articolo 11 del TFUE), il CESE raccomanda che le future comunicazioni della Commissione contengano informazioni specifiche in merito alla partecipazione di diverse parti interessate e alle conseguenze sociali dell’approccio adottato nel campo della normazione delle TIC, che già interessa la società nel suo complesso.

1.4.

Pur sostenendo complessivamente la comunicazione della Commissione, il CESE suggerisce tuttavia di valutare:

se la comunicazione, sul piano formale, sia sufficiente per conseguire gli obiettivi descritti, ad esempio svolgere un «ruolo di primo piano», o se non sia necessario ricorrere a forme che consentano azioni e decisioni più efficaci;

se non sia il caso di riesaminare questo concetto di «ruolo di primo piano» e se la comunicazione della Commissione non debba porre l’accento sulla cooperazione con le organizzazioni internazionali di normazione, su una base di partenariato, piuttosto che sui principi della concorrenza, poiché condividiamo grosso modo le stesse esigenze, che travalicano le frontiere dell’UE.

2.   Introduzione

2.1.

Il 19 aprile 2016 la Commissione europea ha adottato la comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Priorità per la normazione delle TIC per il mercato unico digitale [COM(2016) 176 final].

2.2.

Obiettivi della comunicazione della Commissione

Sostenere e rafforzare il ruolo dell’Europa nell’economia digitale globale

Garantire che le norme relative alle TIC siano concepite in modo più adeguato alle esigenze delle politiche

Garantire che le norme siano dinamiche, aperte e più strettamente collegate a ricerca e innovazione

2.3.

Spirito della comunicazione della Commissione

Un approccio strategico e politico globale alla normazione per le tecnologie TIC prioritarie. La comunicazione definisce un approccio strategico e politico globale alla normazione per le tecnologie TIC prioritarie che sono fondamentali per il completamento del mercato unico digitale.

Affrontare i problemi relativi alla normazione delle TIC. Per affrontare i problemi relativi alla normazione delle TIC, la Commissione ha annunciato l’intenzione di varare «un piano integrato di normazione per individuare e determinare le priorità fondamentali nel settore, concentrandosi sulle tecnologie e i settori considerati d’importanza critica per il mercato unico digitale».

2.4.

Contesto della comunicazione della Commissione

Norme comuni come fondamento per un mercato unico digitale efficace. L’introduzione di norme tecniche comuni garantisce l’interoperabilità delle tecnologie digitali e costituisce il fondamento per un mercato unico digitale efficace, poiché assicura che le tecnologie possano integrarsi in modo fluido e affidabile, consente le economie di scala, promuove la ricerca e l’innovazione e mantiene i mercati aperti. Il ricorso a norme tecniche nazionali discordanti può invece rallentare in modo significativo l’innovazione e mettere le imprese europee in posizione di svantaggio nei confronti del resto del mondo.

Regolamento (UE) n. 1025/2012 sulla normazione europea. La recente revisione della politica di normazione dell’UE ha portato all’adozione del regolamento n. 1025/2012 sulla normazione europea e alla creazione di un quadro per un sistema di normazione europeo più trasparente, efficiente ed efficace per tutti i settori industriali. La comunicazione in esame si basa sul suddetto regolamento  (1) e si collega alla prevista «iniziativa congiunta sulla normalizzazione» che si inserisce nel quadro più ampio della strategia per il mercato unico [COM(2015) 550 final — Migliorare il mercato unico: maggiori opportunità per i cittadini e per le imprese].

2.5.

Punti principali della comunicazione della Commissione

Le norme tecniche delle TIC come fondamento del mercato unico digitale

Definire le norme tecniche per le TIC: un contesto globale difficile e in rapida evoluzione

La risposta dell’Europa: un piano basato su due pilastri per stabilire un ordine di priorità e di definizione delle norme tecniche per le TIC per il mercato unico digitale

Cinque settori prioritari: gli elementi costitutivi della definizione delle norme tecniche delle TIC

Un impegno ad alto livello per conseguire e consolidare la leadership attraverso le norme

3.   Sintesi e osservazioni generali sul testo della comunicazione della Commissione

3.1.    Le norme tecniche delle TIC come fondamento del mercato unico digitale

3.1.1.

Al punto 1 della comunicazione si afferma che la trasformazione dell’economia globale in economia digitale riguarda tutti i settori dell’industria e dei servizi. Il punto 1 illustra inoltre alcune questioni generali relative alla comunicazione, ossia:

l’oggetto della comunicazione,

la natura della comunicazione,

il contesto della comunicazione.

3.2.    Definire le norme tecniche per le TIC: un contesto globale difficile e in rapida evoluzione

3.2.1.

Al punto 2 della comunicazione si rileva che l’elaborazione di norme tecniche per le TIC deve affrontare una serie di nuove sfide che richiedono una soluzione mirata e costante a livello UE.

3.2.2.

Nel testo della comunicazione si sottolinea che le potenziali conseguenze di tali sfide potrebbero includere una dispersione di risorse limitate, una mancanza di efficienza e, più in generale, un indebolimento della capacità d’innovazione europea.

3.3.    La risposta dell’Europa: un piano basato su due pilastri per stabilire un ordine di priorità e di definizione delle norme tecniche per le TIC per il mercato unico digitale

3.3.1.

Al punto 3 la comunicazione presenta un piano d’azione prioritario per la prossima ondata di normazione delle tecnologie nell’economia digitale.

3.3.2.

La Commissione propone il seguente approccio:

1)

la comunicazione identifica un elenco di elementi prioritari per il mercato unico digitale, di cui il miglioramento della normazione delle TIC è il più urgente, accompagnati da prodotti della normazione e da un calendario;

2)

la Commissione propone un processo politico ad alto livello per convalidare, monitorare e, se necessario, adattare l’elenco delle priorità. Si prevede che il suddetto processo farà uso degli strumenti del sistema europeo di normazione e coinvolgerà una vasta gamma di soggetti interessati, sia all’interno dell’UE che a livello internazionale.

3.3.3.

Entrambe le parti di questo piano prioritario dovranno essere portate avanti insieme, per garantire che l’UE diventi uno dei leader dell’economia digitale globale.

3.4.    Cinque settori prioritari: gli elementi costitutivi della definizione delle norme tecniche delle TIC

3.4.1.

Al punto 3.1 della comunicazione la Commissione indica i cinque settori prioritari che costituiscono gli elementi tecnologici essenziali del mercato unico digitale (elencati qui di seguito in ordine sparso):

il cloud computing,

l’Internet delle cose (IoT),

le comunicazioni 5G,

le tecnologie di dati e di big data,

la cibersicurezza.

3.4.2.

I settori prioritari sono stati selezionati in base al parere della piattaforma multilaterale europea sulla normazione delle TIC, che riunisce le parti interessate dell’industria, gli organismi di normazione, i governi e i rappresentanti della società civile.

3.4.3.

La trasformazione digitale ha importanti ripercussioni su diversi settori industriali come pure sui consumatori. Numerosi importanti ambiti di applicazione delle TIC (ad esempio la sanità elettronica, i sistemi di trasporto intelligenti, l’energia intelligente, le tecnologie produttive avanzate, le città intelligenti ecc.) si basano direttamente sui cinque settori prioritari della normazione in materia di TIC individuati dalla Commissione.

3.4.4.

Le priorità individuate integreranno altri strumenti di normazione usati per attuare la politica di normazione europea, vale a dire il programma continuativo per la normazione delle TIC e il programma di lavoro annuale dell’Unione, oltre alla prevista iniziativa congiunta sulla normalizzazione europea.

3.5.    Un impegno ad alto livello per conseguire e consolidare la leadership attraverso le norme

3.5.1.

Al punto 3.2 della comunicazione la Commissione sottolinea che limitarsi a definire le priorità in materia di norme delle TIC per il mercato unico digitale non sarà sufficiente. Il successo dipende da un impegno ad alto livello per la normazione da parte di un’ampia base di soggetti interessati, tra cui l’industria, gli organismi di normazione e la comunità scientifica, nonché le istituzioni dell’UE e le amministrazioni nazionali.

3.5.2.

La Commissione propone un processo ad alto livello per realizzare le azioni prioritarie. Tale processo si baserà, integrandoli, sulla piattaforma multilaterale europea sulla normazione delle TIC, sul programma continuativo per la normazione delle TIC e sul programma di lavoro annuale dell’Unione per la normazione europea, in quanto meccanismo di attuazione e di diffusione di norme. Nella comunicazione la Commissione descrive ogni elemento del processo e tutte le attività connesse.

4.   Osservazioni particolari

4.1.    Equilibrio tra normazione e creatività

4.1.1.

Nell’ottica della comunicazione della Commissione, la normazione non è un fine di per sé, ma solo un mezzo, tra i cui obiettivi figura quello di incoraggiare la ricerca e l’innovazione nel settore delle TIC.

4.1.2.

Le norme non offrono soltanto opportunità, ma fissano anche dei quadri e delle limitazioni. Le norme possono favorire lo sviluppo, ma anche frenarlo, soprattutto nei settori caratterizzati da uno sviluppo molto rapido, come le TIC.

4.1.3.

Al punto 2 della comunicazione, intitolato Definire le norme tecniche per le TIC: un contesto globale difficile e in rapida evoluzione, in relazione ai problemi incontrati nel processo di normazione, si afferma che: «… la crescente complessità che risulta dalla proliferazione delle norme tecniche e dalla diversità delle comunità tecniche interessate coinvolte nella definizione delle norme tecniche può frenare l’innovazione».

4.1.4.

I risultati della consultazione pubblica (Synopsis report on the public consultation «Standards in the digital single market: setting priorities and ensuring delivery» («Relazione sinottica sulla consultazione pubblica intitolata «Norme applicabili al mercato unico digitale: definire le priorità e ottenere risultatì») mostrano inoltre il punto di vista dei gruppi di parti interessate, ossia il settore delle TIC. Tale settore chiede un processo di normazione di tipo «ascendente».

4.1.5.

È evidente che l’introduzione di norme troppo severe o premature potrebbe

limitare la creatività, ritardando la messa a punto e l’attuazione di soluzioni innovative;

determinare una situazione in cui le norme sono state elaborate e approvate, ma in cui i produttori svolgono le loro attività quotidiane utilizzando altre «norme» che hanno essi stessi definito.

4.1.6.

Ciò significa che, nel processo di normazione, occorre garantire un’attenta valutazione per quanto riguarda l’elaborazione, l’adozione e l’applicazione di ogni norma, e trovare un equilibrio ragionevole tra le norme, in quanto fattore limitante, da un lato, e la creatività, dall’altro, ossia lasciare la possibilità di esprimersi liberamente nella creazione di nuove soluzioni «fuori norma».

4.1.7.   Raccomandazione n. 1

Il CESE raccomanda che, nelle future comunicazioni e altri documenti correlati, la Commissione spieghi chiaramente a tutti i soggetti interessati la necessità di adottare un approccio equilibrato in materia di normazione delle TIC: le norme come fattore limitativo in opposizione alla creatività.

4.2.    Incoerenze tra i settori prioritari in diversi documenti relativi all’attività di normazione

4.2.1.

Al punto 3.1 della comunicazione la Commissione indica i seguenti cinque ambiti prioritari per la normazione delle TIC, già menzionati nel presente parere:

il cloud computing,

l’Internet delle cose (IoT),

le comunicazioni 5G,

la cibersicurezza,

le tecnologie di dati e di big data.

4.2.2.

Allo stesso tempo, nella comunicazione si fa riferimento al programma continuativo per la normazione delle TIC (Rolling plan for ICT standardisation). I diversi ambiti citati e descritti nel programma 2016 sono elencati qui di seguito:

3.5.

Fattori chiave e sicurezza

95

 

3.5.1.

Cloud computing

96

 

3.5.2.

Informazione del settore pubblico, dati aperti e big data

101

 

3.5.3.

eGovernment

106

 

 

3.5.3.1.

Profilo applicativo DCAT dei portali di dati in Europa

107

 

 

3.5.3.2.

Scambio di metadati relativi a risorse di interoperabilità riutilizzabili (eGovernment)

107

 

 

3.5.3.3.

Vocabolari di base per agevolare lo sviluppo di soluzioni interoperabili

107

 

3.5.4.

Identificazione elettronica e servizi fiduciari, comprese le firme elettroniche

109

 

3.5.5.

Identificazione a radiofrequenza (RFID)

112

 

3.5.6.

Internet delle cose

114

 

3.5.7.

Sicurezza delle reti e dell’informazione

120

 

3.5.8.

ePrivacy

124

 

3.5.9.

Infrastrutture elettroniche per i dati della ricerca e le scienze ad alta intensità di calcolo

127

 

3.5.10.

Mappatura delle infrastrutture a banda larga

131

 

3.5.11.

Conservazione del cinema digitale

134

4.2.3.

Sebbene questi due documenti — la comunicazione della Commissione e il programma continuativo per la normazione delle TIC 2016 — siano connessi e complementari, essi impiegano una terminologia diversa. Nessuno dei due documenti effettua un collegamento tra settori di normazione analoghi.

4.2.4.   Raccomandazione n. 2

Il CESE raccomanda di adoperarsi per garantire una coerenza tra gli ambiti prioritari in materia di normazione delle TIC che hanno denominazioni diverse nella comunicazione della Commissione e nel programma continuativo per la normazione delle TIC. Al fine di garantire la coerenza tra i diversi documenti e l’insieme dei testi collegati, è necessario adottare una terminologia unificata.

4.3.    Selezione delle priorità in materia di normazione delle TIC

4.3.1.

Al punto 3.1 della comunicazione la Commissione indica i cinque ambiti prioritari per la normazione delle TIC e precisa: «Questi settori sono stati selezionati in base al parere della piattaforma multilaterale europea sulla normazione delle TIC, che riunisce le parti interessate dell’industria, gli organismi di normazione, i governi e i rappresentanti della società civile. Un processo di consultazione pubblica ha confermato l’ampio consenso circa le priorità illustrate nel presente documento».

4.3.2.

La consultazione pubblica si è svolta dal 23 settembre 2015 al 4 gennaio 2016, e i partecipanti sono stati 168. I risultati della consultazione figurano nel documento Synopsis report on the public consultation «Standards in the Digital Single Market: setting priorities and ensuring delivery» («Relazione sinottica sulla consultazione pubblica intitolata «Norme applicabili al mercato unico digitale: definire le priorità e ottenere risultatì»).

4.3.3.

Dato che i risultati dell’indagine sono presi in considerazione nella selezione dei settori prioritari della strategia in materia di TIC che figurano nella comunicazione della Commissione e riguardano gran parte degli imprenditori europei, una partecipazione relativamente ridotta (168 partecipanti) potrebbe rendere necessario un complemento di informazione sulla composizione dei soggetti intervistati.

4.3.4.

Informazioni sui gruppi di partecipanti sono disponibili nella relazione (2).

4.3.5.

Come si può osservare, numerosi intervistati appartengono a diverse organizzazioni di normazione. Una percentuale relativamente ridotta è costituita da sviluppatori e produttori — soggetti attenti alle esigenze del mercato, che determinano o seguono le tendenze del progresso tecnologico e che dispongono di propri piani di sviluppo. In termini assoluti, i numeri sono bassi.

4.3.6.

I risultati della consultazione che figurano nel documento «Relazione sinottica» contengono alcune informazioni sui settori selezionati, ma non indicano tuttavia il numero di settori effettivamente esaminati né in cosa essi consistano (né i settori citati nel programma continuativo per la normazione delle TIC). Inoltre non indicano gli autori delle scelte, né quali fossero le opinioni nel caso in cui l’elenco iniziale contenesse altri ambiti.

4.3.7.   Raccomandazione n. 3

Tenuto conto dell’importanza della definizione delle priorità in materia di normazione delle TIC, il CESE raccomanda di offrire maggiori informazioni sulle giustificazioni, la metodologia e i risultati ottenuti per quanto riguarda la scelta degli ambiti prioritari.

4.4.    Ciclo di vita della comunicazione

4.4.1.

Nella comunicazione la Commissione fa riferimento a numerosi aspetti specifici che si evolveranno nel tempo: in particolare, i settori prioritari, le azioni chiave, le scadenze principali e molto altro ancora. Ciò significa che un documento di questo tipo, ovvero la comunicazione della Commissione, non può essere valido a lungo termine.

4.4.2.

Occorre quindi prevedere una procedura specifica, di applicazione pratica, che precisi come e con quale frequenza sarà riesaminato il documento, verranno organizzate le consultazioni pubbliche, saranno adottate le decisioni, verrà effettuata la pianificazione operativa e verranno svolte altre attività — ossia, è necessario pianificare la gestione del regolare ciclo di vita del documento e ogni attività connessa.

4.4.3.   Raccomandazione n. 4

Affinché tutte le parti interessate possano avere una migliore comprensione dell’attuazione e della coerenza della comunicazione della Commissione, il CESE raccomanda di diffondere informazioni circa le attività ricorrenti che completano o continuano l’iniziativa avviata da tale documento.

4.5.    Temi non sufficientemente trattati

4.5.1.

La comunicazione della Commissione menziona numerosi aspetti riguardanti la scelta delle priorità per la normazione delle TIC e le attività previste per il prosieguo di questa iniziativa. Tuttavia, percorrendo il testo e i documenti connessi, il gruppo di studio del CESE ha constatato che diversi aspetti importanti per la società non sono affrontati o vengono menzionati solo incidentalmente, en passant.

4.5.2.

Sebbene l’obiettivo fondamentale della comunicazione sia stabilire gli orientamenti prioritari per la normazione delle TIC e le attività connesse, la sua attuazione e la sua applicazione pratica produrranno effetti, diretti o indiretti, anche in settori quali:

i diritti dei consumatori,

le attività delle piccole e medie imprese (PMI),

l’occupazione e la sicurezza del posto di lavoro,

l’orario e le condizioni di lavoro,

le possibilità di accesso alle TIC per le persone con esigenze particolari,

la tutela dell’ambiente,

varie altre questioni legate alla dimensione sociale.

4.5.3.

Il CESE osserva che, durante il processo di normazione, occorre prestare attenzione ai seguenti aspetti:

creare delle «condizioni di parità» per tutti i soggetti interessati,

l’importanza di mettere in evidenza le questioni di normazione negli accordi di libero scambio bilaterali dell’UE,

le modalità con cui i settori di attività vengono delimitati,

le competenze dei lavoratori nel rispondere alle esigenze poste dalle norme,

i diritti fondamentali dei lavoratori,

il coinvolgimento dei rappresentanti della società civile nel dialogo.

4.5.4.   Raccomandazione n. 5

Affinché tutti i soggetti interessati abbiano la certezza che, nell’elaborare la comunicazione, la Commissione abbia guardato al di là delle questioni direttamente legate alle priorità in materia di normazione delle TIC e abbia valutato anche l’impatto di tali priorità su diverse problematiche sociali (cfr. articolo 11 del TFUE), il CESE raccomanda che le future comunicazioni della Commissione contengano informazioni specifiche in merito alla partecipazione di diverse parti interessate e alle conseguenze sociali dell’approccio adottato nel campo della normazione delle TIC, che già interessa la società nel suo complesso.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU L 316 del 14.11.2012, pag. 12.

(2)  http://ec.europa.eu/information_society/newsroom/image/document/2016-17/synopsis_report_on_the_public_consultation_-_standards_in_the_digital_single_market_setting_priorities_and_ensuring_delivery_15264.pdf


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/99


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Piano d’azione dell’UE per l’eGovernment 2016-2020 — Accelerare la trasformazione digitale della pubblica amministrazione»

[COM(2016) 179 final]

(2016/C 487/16)

Relatore:

Raymond HENCKS

Consultazione

Commissione europea, 19/04/2016

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

07/09/2016

Adozione in sessione plenaria

22/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

162/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’obiettivo perseguito dall’Unione europea di creare entro il 2020 un’amministrazione online («eGovernment») in grado di offrire servizi digitali che siano interamente di facile uso, personalizzati e transfrontalieri non sembra minimamente realizzabile al ritmo con cui procede oggi in molti Stati membri l’attuazione dei piani d’azione che si sono susseguiti nel settore.

1.2.

Il CESE appoggia le proposte formulate dalla Commissione europea nel terzo piano d’azione dell’UE in materia (2016-2020) al fine di accelerare l’attuazione di servizi di eGovernment efficienti, interoperabili e accessibili a tutti.

1.3.

I servizi di eGovernment potranno funzionare soltanto se saranno soddisfatte altre condizioni preliminari, quali la disponibilità di una rete e di servizi digitali efficienti, un accesso universale a prezzi ragionevoli e una formazione digitale adeguata degli utenti di tutte le età e a tutti i livelli. Anche se, a medio o lungo termine, l’eGovernment è destinato a diventare il mezzo di comunicazione standard, per i cittadini che lo desiderino è opportuno mantenere, con l’amministrazione pubblica, i mezzi di comunicazione tradizionali (posta, contatti personali, telefono).

1.4.

Per quanto riguarda i diritti degli utenti dei servizi di eGovernment — in particolare i diritti in materia di accesso e non discriminazione, di libertà di espressione e d’informazione, il diritto alla protezione della vita privata e dei dati personali, il diritto all’istruzione e all’accesso a conoscenze generali (a partire dall’insegnamento scolastico fino alla formazione permanente), il diritto di accedere a procedure di ricorso ecc. — il CESE propone alla Commissione di mettere a disposizione in un unico sito una raccolta esaustiva di tali diritti.

1.5.

Il CESE approva i sette principi di base sui quali si fonda la proposta della Commissione, ma dubita che sia possibile che alcuni di tali principi trovino effettiva applicazione se prima non verranno risolti i problemi giuridici e tecnologici ad essi collegati.

1.6.

Il CESE constata, ad esempio, che non si è ancora trovata una soluzione per una serie di problemi giuridici e organizzativi relativi al principio «una tantum», secondo cui i privati e le imprese non dovrebbero essere costretti a fornire più di una volta le stesse informazioni alle amministrazioni, e invita pertanto la Commissione ad avviare un esperimento pilota in materia. Propone inoltre di introdurre il principio dell’«approccio globale a tutti i livelli dell’amministrazione», che prevede una collaborazione tra i diversi enti pubblici che superi i limiti delle rispettive sfere di competenza, allo scopo di fornire al richiedente una risposta integrata da parte di un unico ente.

1.7.

Il CESE si rammarica altresì che il principio di «aggiornamento costante» (no legacy), che prevede l’aggiornamento dei sistemi informatici e delle tecnologie informatiche nelle pubbliche amministrazioni affinché rimangano sempre al passo con i più recenti sviluppi tecnologici — non figuri tra i principi indicati dalla Commissione.

1.8.

Il Comitato insiste perché, in applicazione del principio di «apertura e trasparenza», i cittadini e le imprese dispongano in modo esplicito del diritto di controllare la trasmissione dei loro dati personali ad altre amministrazioni pubbliche e, se del caso di farli cancellare (diritto all’oblio) nel rispetto delle relative norme e procedure e chiede alla Commissione di presentare una proposta relativa ad un sistema sicuro di archiviazione e scambio online di documenti su scala europea.

1.9.

Dal momento che molti cittadini hanno bisogno di familiarizzarsi con il nuovo strumento dell’eGovernment, il CESE ritiene che gli Stati membri dell’UE e i loro enti regionali e locali dovrebbero offrire ai loro amministrati delle formazioni alle competenze digitali; i paesi UE e i loro enti territoriali dovrebbero inoltre essere invitati ad istituire un servizio digitale assistito o un supporto di prossimità cofinanziati da fondi europei. Altrettanto dicasi per i funzionari delle amministrazioni pubbliche nel quadro della formazione professionale permanente.

1.10.

Il CESE deplora vivamente che il nuovo piano d’azione non menzioni affatto le implicazioni e le conseguenze sociali dell’eGovernment e neppure il relativo impatto occupazionale, per quanto riguarda sia i posti di lavoro perduti sia i numerosi posti di lavoro che rimarranno vacanti per mancanza di candidati provvisti delle qualifiche professionali digitali richieste. Nell’ambito della riassegnazione dei posti che si rendono disponibili a seguito del passaggio dell’amministrazione pubblica al digitale, i funzionari i cui posti figurano tra quelli destinati ad essere soppressi dovrebbero essere assegnati al servizio digitale assistito oppure dirottati verso mansioni lavorative adeguate.

2.   Introduzione

2.1.

Il piano d’azione europeo per l’eGovernment 2011-2015 («Valorizzare le TIC per promuovere un’amministrazione digitale intelligente, sostenibile e innovativa») (1) è venuto a scadere nel dicembre 2015.

2.2.

Tuttavia, l’amministrazione digitale (o eGovernment) rimane pur sempre uno dei principali cantieri dell’agenda digitale e, a livello sia dell’Unione europea che di Stati membri, una delle iniziative di maggior rilievo, indispensabile al completamento di un «mercato unico digitale».

2.3.

Numerose iniziative previste dal piano d’azione scaduto non sono state ancora tutte correttamente attuate in parecchi Stati membri, e devono essere riprese e confermate nel nuovo piano d’azione dell’UE per l’eGovernment per il periodo 2016-2020.

2.4.

Le pubbliche amministrazioni devono quindi migliorare la concezione dei servizi online che offrono, orientandola maggiormente alle esigenze degli utenti onde garantire un funzionamento di servizi di eGovernment efficaci ed efficienti anche al di là dei confini nazionali.

3.   Contenuto della comunicazione

3.1.

Il nuovo piano d’azione — che mette l’accento sull’accelerazione della trasformazione digitale — dovrebbe servire da catalizzatore e consentire il coordinamento degli interventi e delle risorse destinati a modernizzare il settore pubblico nel campo dell’eGovernment.

3.2.

Il piano è articolato in 20 azioni che, tuttavia, non pretendono di essere esaustive e che potranno essere integrate, via via che il contesto evolverà rapidamente, da altre misure proposte dalla Commissione o dalle parti interessate.

3.3.

Le iniziative da avviare nel quadro del nuovo piano d’azione dovranno osservare i seguenti principi di base:

Digitale per definizione: l’erogazione di servizi digitali dovrebbe diventare la norma, pur mantenendo il ricorso ad altri canali di comunicazione per chi, per scelta o per necessità, non dispone di una connessione Internet. Inoltre, i servizi pubblici dovrebbero essere forniti tramite un unico punto di contatto o uno sportello unico e attraverso diversi canali.

Principio «una tantum»: in osservanza di questo principio, i singoli cittadini e le imprese non sarebbero tenuti a fornire più di una volta le stesse informazioni alle amministrazioni.

Inclusività e accessibilità: le pubbliche amministrazioni dovrebbero progettare servizi pubblici digitali che siano per definizione inclusivi e che vengano incontro a diversi tipi di esigenze, ad esempio quelle degli anziani o delle persone con disabilità.

Apertura e trasparenza: le pubbliche amministrazioni dovrebbero scambiarsi dati e informazioni e permettere a cittadini e imprese di accedere ai propri dati, di verificarli e di correggerli; dovrebbero permettere agli utenti di monitorare le procedure amministrative che li vedono coinvolti; dovrebbero dialogare, in uno spirito di apertura, con le parti interessate (imprese, ricercatori e organizzazioni senza scopo di lucro) in merito alla progettazione e alla prestazione dei servizi.

Transfrontalieri per definizione: le pubbliche amministrazioni dovrebbero rendere disponibili a livello transfrontaliero i pertinenti servizi pubblici digitali e impedire ogni ulteriore frammentazione, facilitando così la mobilità all’interno del mercato unico.

Interoperabilità per definizione: i servizi pubblici dovrebbero essere progettati in modo da funzionare senza intoppi e senza soluzione di continuità in tutto il mercato unico, al di là dei confini organizzativi, grazie alla libera circolazione dei dati e dei servizi digitali nell’Unione europea.

Affidabilità e sicurezza: tutte le iniziative dovrebbero andare oltre la semplice conformità con il quadro normativo vigente in materia di protezione dei dati personali, tutela della vita privata e sicurezza informatica, integrando tutti questi elementi sin dalla fase di progettazione.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE appoggia le iniziative adottate dalla Commissione per accelerare lo sviluppo e l’utilizzo di servizi di eGovernment. Fin dal primo piano d’azione in materia, del 2006, gli Stati membri hanno assunto l’impegno di promuovere servizi di eGovernment efficaci, efficienti, interoperabili e accessibili a tutti, compresi i servizi digitali erogati a livello transfrontaliero. Tali impegni sono stati ribaditi nel quadro della strategia per il mercato unico digitale entro il 2020.

4.2.

Si deve tuttavia constatare che, nonostante siano stati realizzati alcuni progressi, come viene sottolineato nelle diverse valutazioni del piano d’azione 2011-2015 e malgrado le ingenti risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione — cui però i paesi dell’UE attingono solo in misura modesta -, gli utenti si trovano comunque confrontati, ad un livello molto variabile a seconda dei paesi, ad una modernizzazione soltanto frammentaria delle pubbliche amministrazioni degli Stati membri e ad un’offerta insufficiente di servizi di eGovernment transnazionali. Il CESE si interroga sui motivi per cui i fondi messi a disposizione dall’UE rimangono ampiamente sottoutilizzati e chiede alla Commissione di condurre un’analisi in materia, di eliminare gli eventuali ostacoli e di incoraggiare gli Stati membri a utilizzare queste risorse in modo efficace ed efficiente, soprattutto nel campo dell’eGovernment.

4.3.

L’eGovernment è uno degli elementi centrali della strategia per il mercato unico digitale. È però vero che altri elementi chiave del settore digitale, che costituiscono condizioni preliminari per la realizzazione dei servizi di eGovernment, non sono contemplati nella comunicazione in esame. Ad esempio, è evidente che reti e servizi digitali all’avanguardia devono essere messi a disposizione dei cittadini di ogni età e delle imprese, permettendo loro un accesso universale a prezzi ragionevoli, indipendentemente dalla loro ubicazione geografica o dalle loro condizioni finanziarie. Tali soggetti devono, se opportuno, poter beneficiare di assistenza e formazione al fine di acquisire le competenze necessarie a sfruttare le applicazioni digitali in modo efficace e responsabile.

4.4.

Un altro elemento essenziale è costituito dai diritti degli utenti dei servizi di eGovernment, i quali fanno parte prima di tutto dei diritti umani e delle libertà fondamentali applicabili agli utenti di Internet, in particolare i diritti in materia di accesso e non discriminazione, di libertà di espressione e d’informazione, il diritto alla protezione della vita privata e dei dati personali, il diritto all’istruzione e all’accesso a conoscenze generali (a partire dall’insegnamento scolastico fino alla formazione permanente), il diritto di accedere a procedure di ricorso ecc. A questi elencati sopra vanno aggiunti diritti specifici direttamente legati al settore dell’eGovernment. Considerato che i diritti di cui fruiscono gli utenti dei servizi di eGovernment discendono da tutta una serie di fonti diverse, il CESE propone alla Commissione di mettere a disposizione in un unico sito una raccolta esaustiva di tali diritti.

4.5.

Data la difficoltà, a volte, per gli utenti di reperire le informazioni e l’assistenza online di cui hanno bisogno, la Commissione propone, a livello sia UE che nazionale, la creazione di uno sportello/portale digitale unico. Portali unici di questo tipo sono già operativi nella maggior parte dei paesi UE e degli enti regionali e locali. Il CESE sostiene la creazione di un simile punto di accesso all’amministrazione pubblica centrale nazionale, regionale o comunale al fine di dirottare gli utenti direttamente verso gli organismi competenti a trattare le loro domande o richieste.

4.6.

Il piano d’azione 2016-2020 è articolato intorno a sette principi di base che erano in larga misura predominanti anche nei piani d’azione precedenti. Il CESE approva, in linea di massima, tali principi, ma si chiede come dar loro applicazione senza prima aver risolto tutti i problemi giuridici (trattamento dei dati personali e tutela della vita privata in un contesto di amministrazione aperta) e tecnologici (tecnologie abilitanti e industriali, migrazione dei servizi verso i canali digitali) ad essi collegati.

4.7.

Il nuovo piano d’azione insiste sull’interoperabilità e sul riutilizzo dei dati in possesso delle amministrazioni pubbliche, considerato che gran parte dei dati oggi raccolti da tali amministrazioni sono utilizzati ogni volta per un solo scopo o comunque per un obiettivo di portata assai limitata. In applicazione del citato principio «una tantum», gli utenti non saranno più tenuti a fornire nuovamente informazioni di tipo ordinario che li riguardano ad ogni successivo contatto con l’amministrazione pubblica, la quale potrà condividere tali dati con gli altri suoi dipartimenti, ovviamente nel rispetto della protezione dei dati personali e della tutela della vita privata. Conformemente a tale principio, si dovrebbe provvedere all’interconnessione dei registri delle imprese di tutta l’Unione, oltre che ad una reciproca cooperazione tra i diversi sistemi nazionali e transfrontalieri, ed evitare che le pubbliche amministrazioni chiedano più e più volte informazioni di cui dispongono già. Anche se in materia di eGovernment il regolamento sulla protezione dei dati resta applicabile, il CESE ritiene che si debba garantire un equilibrio tra il controllo di uno Stato di diritto e la sicurezza e la libertà dei cittadini.

4.8.

Adottando questo nuovo approccio, la Commissione intende restare in presa diretta con un contesto che evolve rapidamente. Ora, il CESE osserva che il principio di «aggiornamento costante» — che prevede l’aggiornamento dei sistemi informatici e delle tecnologie informatiche nelle pubbliche amministrazioni affinché rimangano sempre al passo con i più recenti sviluppi tecnologici — non figura tra i sette principi di base indicati, in attesa di diventare oggetto di sperimentazione da parte della Commissione ai fini di una sua eventuale applicazione.

4.9.

La Commissione dichiara di voler mettere l’accento sulla partecipazione dei cittadini all’elaborazione dei servizi pubblici digitali e, ai fini dell’applicazione del principio di «apertura e trasparenza», invita le pubbliche amministrazioni ad intavolare un dialogo con i cittadini, le imprese, i rappresentanti delle parti sociali e dei consumatori, i ricercatori e le organizzazioni senza scopo di lucro in merito alla progettazione e all’erogazione dei servizi.

4.10.

I cittadini europei potranno pertanto formulare proposte e rivolgere direttamente richieste specifiche alla Commissione e agli Stati membri tramite una «piattaforma collaborativa» che creerà una rete tra i cittadini stessi e le autorità e consentirà l’individuazione di problematiche simili nei vari paesi dell’UE, oltre che di buone pratiche e di soluzioni di attuazione da parte delle amministrazioni. Il CESE sostiene una siffatta iniziativa che consentirà a qualunque cittadino di riferire alle autorità nazionali, regionali o locali i problemi osservati nel proprio ambiente.

4.11.

In base al principio di «apertura e trasparenza», le pubbliche amministrazioni condividono dati e informazioni e consentono a cittadini e imprese di accedere ai propri dati, di verificarli e di correggerli. In materia di protezione dei dati personali, il CESE insiste perché i cittadini e le imprese dispongano esplicitamente del diritto di controllare la trasmissione dei loro dati personali ad altre amministrazioni pubbliche e, se del caso di farli cancellare (diritto all’oblio) nel rispetto delle relative norme e procedure.

4.12.

In tale contesto, e al fine di evitare nuovi problemi di incompatibilità, il Comitato ritiene che la Commissione dovrebbe presentare una proposta relativa ad un sistema sicuro di archiviazione e scambio online di documenti su scala europea.

4.13.

Un principio che non viene menzionato nel piano d’azione, è quello dell’«approccio globale a tutti i livelli dell’amministrazione», che prevede una collaborazione tra i diversi enti pubblici che superi i limiti delle rispettive sfere di competenza, allo scopo di fornire al richiedente una risposta integrata da parte di un unico ente.

4.14.

Il CESE chiede alla Commissione di accelerare la realizzazione degli «sportelli unici» per il portale della giustizia elettronica («e-Justice»), per il settore del trasporto marittimo e gli altri modi di trasporto. La futura strategia dovrebbe mirare a integrare, per quanto possibile, alcuni portali europei oggi in funzione (ad esempio e-Justice, SOLVIT, YourEurope ecc.) in un portale unico e soprattutto puntare, in un secondo tempo, ad estendere la strategia stessa ai portali nazionali per facilitare qualsiasi tipo di adempimento amministrativo.

4.15.

Pur sottoscrivendo l’idea che, per sviluppare ulteriormente i loro servizi online, in futuro gli Stati membri e i loro enti regionali e locali dovranno servirsi di questi portali, il CESE sottolinea che tali strumenti dovranno comunque rimanere complementari agli sportelli d’accoglienza e d’informazione fisici e ai mezzi di comunicazione tradizionali (spedizioni postali, scambi interpersonali allo sportello, telefono).

4.16.

Per stabilire quali sono i paesi con un livello di eGovernment più avanzato, l’Organizzazione delle Nazioni Unite utilizza un indice di sviluppo basato sui seguenti tre criteri: i servizi online dedicati ai cittadini, le infrastrutture di telecomunicazione e il capitale umano. Si deve però constatare che il nuovo piano d’azione non menziona affatto le implicazioni e le conseguenze sociali dell’eGovernment e neppure il relativo impatto occupazionale, per quanto riguarda sia i posti di lavoro perduti sia i numerosi posti di lavoro che rimarranno vacanti per mancanza di candidati provvisti delle qualifiche professionali digitali richieste.

4.17.

Il fatto di offrire servizi online «per definizione» non può servire da pretesto per abbandonare la lotta contro il divario digitale.

4.18.

Sussistono forti disparità tra, da un lato, l’offerta di servizi di e-Government e, dall’altro, l’utilizzazione e l’adozione di questi servizi da parte degli utenti. Questa riluttanza degli utenti a beneficiare dei servizi online deriva spesso dalla mancanza di competenze digitali. Numerosi cittadini hanno bisogno di familiarizzarsi con il nuovo strumento dell’eGovernment e necessitano di un «servizio digitale assistito» o di un supporto di prossimità. Altrettanto dicasi per i funzionari delle amministrazioni pubbliche nel quadro della formazione professionale permanente.

4.19.

A giudizio del CESE, gli Stati membri dell’UE e i loro enti regionali e locali dovrebbero essere invitati ad istituire un servizio di assistenza digitale di questo tipo per i cittadini, cofinanziato da fondi europei. Nell’ambito della riassegnazione dei posti che si rendono disponibili a seguito del passaggio dell’amministrazione pubblica al digitale, i funzionari i cui posti figurano tra quelli destinati ad essere soppressi dovrebbero essere assegnati al servizio digitale assistito oppure dirottati verso mansioni lavorative adeguate.

Bruxelles, 22 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2010) 743 final e COM(2010) 744 final.


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/104


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: «Comunicazione della Commissione — Programma indicativo per il settore nucleare presentato, per parere, al Comitato economico e sociale europeo ai sensi dell’articolo 40 del trattato Euratom»

[COM(2016) 177 final]

(2016/C 487/17)

Relatore:

Brian CURTIS

Consultazione

Commissione europea, 4.4.2016

Base giuridica

Articolo 40 del trattato Euratom

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

7.9.2016

Adozione in sessione plenaria

22.9.2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

210/2/11

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

A sostegno del programma Unione dell’energia sono attualmente in corso numerose iniziative e revisioni legislative in campo energetico, le quali saranno presentate entro i prossimi 12 mesi. Per contribuire a questo ampio pacchetto legislativo, il riesame strategico oggetto del presente parere avrebbe potuto trattare le principali questioni alle quali deve far fronte la produzione di energia nucleare, nonché aspetti quali la ricerca e la disattivazione. Il programma indicativo per il settore nucleare (PINC) non offre tuttavia un approccio chiaro e completo su come affrontare in modo strategico il futuro complesso dell’energia nucleare all’interno del mix energetico europeo.

1.2.

La produzione di energia nucleare è un tema politico sensibile nella maggior parte degli Stati membri e vi sono, in campo economico e sociale, diverse questioni fluttuanti di carattere nazionale che lo influenzano. Il Comitato sollecita la Commissione a cogliere questa opportunità per proporre un chiaro processo analitico e una metodologia altrettanto chiara in grado di offrire un quadro coerente e volontario al processo decisionale nazionale sul ruolo — eventuale — dell’energia nucleare nel mix energetico.

1.3.

Il CESE chiede pertanto di rivedere il progetto di comunicazione e di aggiungervi i seguenti elementi specifici (esposti in modo particolareggiato al punto 4.3):

la competitività dell’energia nucleare a breve, medio e lungo termine,

i relativi aspetti economici,

il contributo alla sicurezza dell’approvvigionamento,

il cambiamento climatico e gli obiettivi di riduzione della CO2,

l’accettazione da parte dei cittadini, la responsabilità per i danni nucleari, la trasparenza e un dialogo efficace a livello nazionale.

1.4.

Un monitoraggio trasparente è essenziale ai fini sia della sicurezza nucleare sia della fiducia da parte dei cittadini; pertanto il CESE propone che il documento sostenga espressamente le proposte relative al monitoraggio e alla rendicontazione contenute nei piani d’azione degli Stati membri, come suggerito dal gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare. Occorre adoperarsi con maggiore impegno per includere i paesi terzi vicini.

1.5.

Inoltre, sempre per quanto riguarda la fiducia da parte dei cittadini, occorre fare ulteriore riferimento sia all’importante lavoro sulla preparazione alle emergenze esterne e transfrontaliere (revisione delle attuali disposizioni sulla preparazione e sulla risposta alle emergenze nucleari esterne, vigenti negli Stati membri dell’UE e nei paesi limitrofi. Euratom, dicembre 2013) sia alle conclusioni del vertice sulla sicurezza nucleare del 2016, in particolare in relazione alle potenziali minacce terroristiche.

1.6.

Considerando il notevole impegno dell’Unione europea a favore della ricerca sulla fusione nucleare, potrebbe essere utile includere una tabella di marcia che illustri i progressi compiuti verso la produzione commerciale.

1.7.

Alla luce dei risultati del referendum britannico sulla permanenza nell’Unione europea, va preso in considerazione l’impatto strategico di questa azione e, in particolare, la sua importanza per il trattato Euratom. Il programma indicativo per il settore nucleare dovrebbe riconoscere esplicitamente la necessità di deliberare sulle ripercussioni potenzialmente rilevanti.

2.   Introduzione

2.1.

A norma dell’articolo 40 del trattato Euratom, «la Commissione pubblica periodicamente dei programmi a carattere indicativo, riguardanti in particolare obiettivi di produzione di energia nucleare e gli investimenti di qualsiasi natura richiesti dalla loro realizzazione. La Commissione domanda il parere del Comitato economico e sociale europeo su tali programmi, prima della loro pubblicazione» [COM(2003) 0370 final]. Dal 1958, sono stati pubblicati cinque programmi a carattere indicativo nel settore nucleare (PINC) l’ultimo dei quali nel 2007, più un aggiornamento nel 2008. La versione finale verrà messa a punto e pubblicata non appena la Commissione avrà ricevuto il parere del Comitato economico e sociale europeo.

2.2.

Come in precedenti occasioni, il Comitato è lieto di avere l’opportunità di esprimere il proprio parere su un progetto di documento prima della presentazione, da parte della Commissione, di una versione definitiva al Consiglio e al Parlamento europeo. Il CESE esorta in tutti i modi la Commissione ad inserire nel testo le raccomandazioni contenute nella prima parte del presente parere, rendendo il programma indicativo per il settore nucleare un documento più completo e strategico, e facendo in modo che possa dare un più valido contributo al pacchetto «Unione dell’energia».

2.3.

L’energia nucleare è una delle più importanti fonti di energia nell’UE. Nella relazione sullo stato dell’Unione dell’energia, elaborata nel 2015, si afferma che «l’UE è una delle tre grandi economie mondiali che generano oltre metà della propria energia elettrica senza produrre gas serra, essendo il 27 % di tale energia prodotto da fonti energetiche rinnovabili mentre un altro 27 % è ottenuto dall’energia nucleare». La relazione evidenzia inoltre che il «Programma indicativo per il settore nucleare dovrebbe chiarire ulteriormente le esigenze di investimento nel settore nucleare a lungo termine e la gestione delle responsabilità nucleari» [COM(2015) 572 final].

2.4.

La strategia dell’UE nel campo dell’energia ha avuto importanti sviluppi dopo l’ultimo programma indicativo per il settore nucleare ed è attualmente una priorità assoluta. Gli obiettivi per il 2020, 2030 e 2050 sono stati fissati ma permangono variabili ed incertezze di rilievo. Tra queste figurano l’eventuale grado di attuazione dell’accordo di Parigi sul cambiamento climatico, la volatilità del mercato internazionale dei combustibili fossili, il tasso al quale le nuove tecnologie saranno applicate, i paesi che fanno parte dell’UE, l’influenza delle prospettive economiche globali e la misura in cui i massicci investimenti previsti per l’intera catena energetica saranno prossimamente effettuati.

2.5.

Indipendentemente dalla politica energetica dell’UE, le decisioni chiave sul mix di fonti di produzione energetica rimangono di competenza degli Stati membri. La politica energetica dell’UE può essere usata come riferimento per tali decisioni ma l’energia è un tema politicamente molto sensibile ed è quindi soggetta al clima sociale e politico che varia a seconda degli Stati membri. La definizione delle politiche dell’UE richiede un processo analitico chiaro e una metodologia altrettanto chiara, in grado di offrire un quadro coerente per l’adozione di decisioni a livello nazionale. Il programma indicativo per il settore nucleare offre potenzialmente l’opportunità di portare avanti questo processo sia per gli Stati membri che valutano l’opportunità di ricorre al nucleare sia per quelli che già utilizzano l’energia nucleare e che ne stanno valutando il futuro.

3.   Sintesi del progetto di comunicazione della Commissione

3.1.

La comunicazione della Commissione si apre con la seguente affermazione: «Il programma indicativo per il settore nucleare fornisce una base di discussione sul modo in cui l’energia nucleare può contribuire al conseguimento degli obiettivi energetici dell’UE» e si conclude con la seguente: «In quanto tecnologia a bassa emissione di carbonio e significativo fattore della sicurezza di approvvigionamento e della diversificazione delle fonti energetiche, si prevede che l’energia nucleare rimanga un’importante componente del mix energetico dell’UE fino alla metà del secolo».

3.2.

La comunicazione si concentra sugli investimenti connessi al potenziamento della sicurezza dopo Fukushima e su un funzionamento sicuro degli impianti esistenti. La Commissione mette inoltre in risalto le risorse finanziarie necessarie per la disattivazione delle centrali nucleari e per la gestione del combustibile esaurito e delle scorie radioattive.

3.3.

129 reattori nucleari sono attivi in 14 Stati membri, e in 10 di tali Stati è prevista la costruzione di nuovi reattori. L’UE dispone delle norme vincolanti più avanzate in materia di sicurezza nucleare in tutto il mondo. Tali misure vengono salvaguardate e potenziate grazie ad una revisione periodica della direttiva sulla sicurezza nucleare (1).

3.4.

L’industria nucleare dell’UE opera in un mercato globale per un valore di tremila miliardi di euro fino al 2050 ed è un settore leader sul piano tecnologico che dà lavoro direttamente a 400 000-500 000 persone e crea 400 000 posti di lavoro indotti.

3.5.

Le imprese europee sono fortemente coinvolte nella produzione globale di combustibile nucleare e collaborano strettamente con l’Agenzia di approvvigionamento dell’Euratom, coprendo l’intero fabbisogno dei reattori UE di progettazione occidentale e avendo la capacità di sviluppare gli elementi di combustibile per i reattori di progettazione russa (19 dei quali sono attualmente operanti nell’UE).

3.6.

La Commissione prevede una diminuzione della capacità di produzione nucleare dell’UE (120 GW) fino al 2025, e un’inversione di questa tendenza entro il 2030. La capacità nucleare dovrebbe rimanere stabile tra 95 e 105 GWe entro il 2050 nell’ipotesi che il 90 % del parco nucleare esistente venga sostituito nello stesso periodo. L’investimento è stimato tra 350 e 450 miliardi di euro e garantisce la produzione di energia elettrica fino alla fine del secolo.

3.7.

Il superamento del bilancio, i lunghi ritardi relativi ai nuovi progetti e i diversi approcci da parte degli organismi nazionali per il rilascio delle autorizzazioni hanno creato difficoltà di investimento. Una standardizzazione in materia di progettazione e una cooperazione rafforzata tra le autorità di regolamentazione nazionali sono considerati elementi fondamentali della futura politica.

3.8.

Programmi per estendere la durata di vita (10-20 anni) di molti reattori europei sono in fase di preparazione, con un costo stimato di 45-50 miliardi di EUR, e il carico di lavoro necessario sul piano regolamentare deve essere previsto e programmato conformemente alla direttiva modificata sulla sicurezza nucleare.

3.9.

Entro il 2025 si prevede la chiusura di 50 reattori. La questione, pur se delicata da un punto di vista politico, richiede, da parte degli Stati membri, decisioni rapide per quanto riguarda gli interventi e gli investimenti concernenti i depositi geologici dei rifiuti radioattivi, la loro gestione a lungo termine e i problemi di disattivazione ad essi collegati.

3.10.

Esistono già competenze significative in materia di stoccaggio e smaltimento dei rifiuti a bassa e media radioattività mentre per quanto concerne i depositi geologici, in Finlandia, in Svezia e in Francia saranno operative, tra il 2020 e il 2030, strutture per la collocazione definitiva dei rifiuti ad alta attività. La possibilità di condividere le competenze in questo campo e l’eventuale creazione di impianti di smaltimento comuni fra più Stati membri apporteranno vantaggi in termini sia di efficienza che di sicurezza. Tutto questo può essere potenziato con la creazione di un centro europeo di eccellenza.

3.11.

Gli operatori nucleari ritengono che saranno necessari 253 miliardi di EUR per sostenere i costi di disattivazione e sono già stati individuati 133 miliardi di euro di fondi disponibili. Gli Stati membri hanno il compito di garantire che gli operatori si assumano le loro responsabilità e che la disattivazione avvenga entro un calendario preciso.

3.12.

Un maggiore coordinamento è necessario per lo sviluppo tecnico e la commercializzazione dell’uso della tecnologia delle radiazioni a scopo non energetico. Ad esempio il solo mercato delle apparecchiature di diagnostica per immagini ha, in Europa, un valore di ben 20 miliardi di euro l’anno e l’agricoltura, l’industria e la ricerca fanno un crescente utilizzo di questa tecnologia. L’UE continua ad investire in modo significativo nella ricerca, sia per quanto concerne le centrali di nuova generazione e quelle modulari a fissione sia per mantenere la leadership nella ricerca sulla fusione e ciò è visto come essenziale per salvaguardare le competenze e le carriere nonché per assicurare un’influenza sul piano globale. Si tratta di un aspetto particolarmente importante dal momento che l’energia nucleare è in continua espansione a livello mondiale, benché non lo sia in Europa.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il Comitato ha regolarmente espresso il suo parere sulla sicurezza e sul ruolo dell’energia nucleare nel mix energetico dell’UE (2). La comunicazione costituisce il primo riesame indicativo del settore nucleare da parte della Commissione dopo l’incidente di Fukushima, e benché nel programma precedente la stessa Commissione abbia promesso di pubblicare più di frequente i programmi indicativi sul nucleare [COM(2007) 565 final], questo impegno non è stato mantenuto. Il programma indicativo per il settore nucleare del 2016, pur se accompagnato da un ampio documento di lavoro dei servizi, è lungo la metà rispetto alla comunicazione del 2007. Il Comitato suggerisce di aggiungere taluni elementi al programma indicativo, al fine di disporre di un documento strategico in cui vengano discussi gli elementi contestuali che determinano sia le decisioni di investimento sia la definizione degli obiettivi.

4.2.

Il Comitato apprezza l’analisi approfondita degli investimenti in tutto il ciclo del combustibile nucleare presentata nel programma indicativo per il settore nucleare, riconoscendo che esso definisce sia le sfide sia le opportunità in questo settore. Accoglie inoltre con favore l’attenzione rivolta alle norme di sicurezza più avanzate e la necessità di garantire il totale degli stanziamenti per tutti gli aspetti delle attività di disattivazione. Il documento di lavoro è estremamente particolareggiato e insiste sulla necessità di portare avanti la ricerca. Tuttavia, per quanto concerne altri aspetti, molto resta ancora da dire, il che sminuisce il valore strategico del documento.

4.3.

Il progetto di programma indicativo per il settore nucleare 2016 segna un cambiamento significativo nell’approccio da parte della Commissione. I precedenti programmi indicativi avevano fissato il riesame nell’ambito delle sfide energetiche per l’UE e la comunità internazionale. Ad esempio, il programma indicativo per il settore nucleare del 2007 conteneva capitoli, non ripresi in quello del 2016, che offrivano una visione strategica chiara. Tali capitoli andrebbero aggiunti alla proposta attualmente all’esame e dovrebbero coprire i seguenti aspetti:

competitività: quali sono i fattori che influenzano e influenzeranno in futuro la competitività dell’energia nucleare? Ad esempio il ruolo degli aiuti di Stato, e in particolare dell’assistenza finanziaria e fiscale, i cambiamenti nelle prospettive sui costi di costruzione, il costo del capitale, lo smaltimento dei rifiuti, le procedure di concessione di licenze, le estensioni della durata di vita e i costi relativi di altre fonti di energia,

aspetti economici: la struttura del mercato dell’energia rimane incerta, scoraggiando gli investimenti a lungo termine; in un periodo di insicurezza politica e finanziaria, inoltre, i rischi economici legati all’energia nucleare hanno un loro peso,

la sicurezza dell’approvvigionamento: la domanda di energia a livello mondiale è in costante aumento, anche se in Europa si è stabilizzata o addirittura ridotta; occorre inoltre prendere in più seria considerazione le conseguenze di questa situazione nonché gli aspetti politici in generale e di politica estera in particolare. Soprattutto la sicurezza dell’approvvigionamento energetico è un settore al quale l’energia nucleare può dare un contributo, cosa che fa mettendo a disposizione fonti di approvvigionamento di un combustibile come l’uranio, che nelle condizioni attuali appare più sicuro rispetto al petrolio o al gas (3),

cambiamenti climatici: l’energia nucleare fornisce all’Europa la metà dell’energia elettrica a basse emissioni di carbonio,

l’accettabilità da parte dei cittadini: le notevoli differenze all’interno dell’UE circa l’atteggiamento della pubblica opinione nei confronti dell’energia nucleare sono una realtà che si conosce poco ma che ha effetti significativi sul grado di accettazione politica.

Tutti questi aspetti hanno assunto maggiore importanza negli ultimi nove anni, eppure il programma indicativo per il settore nucleare oggetto del presente parere pone l’accento quasi esclusivamente sulla sicurezza e sul ciclo del combustibile, dando scarsa importanza agli altri aspetti, sia nella comunicazione sia nel documento di lavoro dei servizi della Commissione. Il programma indicativo inoltre non precisa la natura del dibattito su questi temi, molti dei quali sono discussi e controversi (ad esempio il mantenimento di standard elevati nel lavoro subappaltato), né propone una serie di orientamenti o un approccio strategico per analizzare la posizione del nucleare nel mix energetico complessivo. In questo, rispecchia l’approccio adottato per il pacchetto «Unione dell’energia» in cui si è altrettanto restii a valutare le implicazioni di una strategia energetica europea nell’ambito dei dibattiti nazionali sul futuro (eventuale) ruolo del nucleare nel mix energetico.

4.4.

Come già osservato, nella comunicazione la Commissione afferma che «il programma indicativo per il settore nucleare fornisce una base di discussione sul modo in cui l’energia nucleare può contribuire al conseguimento degli obiettivi energetici dell’UE» … in quanto … «importante componente del mix energetico dell’UE fino alla metà del secolo». Tali dichiarazioni non trovano pieno riscontro nel contenuto del documento all’esame. I precedenti programmi indicativi avevano condotto un importante riesame analitico del ruolo del nucleare e proposto orientamenti per una politica futura.

4.5.

In particolare, l’analisi degli investimenti necessari per l’energia nucleare (chiaramente una delle principali difficoltà nelle circostanze attuali) va ora inquadrata, per forza di cose, nel contesto degli investimenti globali richiesti per raggiungere gli obiettivi dell’Unione dell’energia, dal momento che occorre collegare e ponderare le decisioni di investimento riguardanti tutte le tecnologie e le infrastrutture di produzione energetica.

4.6.

La politica e l’economia nucleare sono inoltre caratterizzate da una serie di ulteriori elementi contestuali che non sono stati affrontati appieno e che sono difficili per la Commissione da trattare, in quanto oggetto di revisioni o di riforme in corso. Tra questi figurano il funzionamento del sistema di scambio delle quote di emissioni, le proposte di sovvenzioni a favore del meccanismo di capacità, lo sviluppo del settore delle energie rinnovabili ecc.

4.7.

Attualmente l’energia nucleare rappresenta il 28 % della produzione interna di energia nell’UE e il 50 % della sua elettricità a bassa intensità di carbonio (dati Eurostat del maggio 2015). La riduzione della CO2 è un obiettivo fondamentale della politica energetica sia dell’UE sia mondiale. Per restare entro i 2 oC di aumento della temperatura, occorre ridurre le emissioni di CO2 nell’energia mondiale in media del 5,5 % all’anno tra il 2030 e il 2050. Il modo di realizzare il contributo UE a questo obiettivo è stato illustrato nella tabella di marcia per l’energia 2050 che ha adottato un approccio al mix energetico basato su più scenari possibili, secondo il quale il mix varierebbe in funzione di differenti fattori politici, economici e sociali [COM(2011) 885 final]. Basandosi sulle cifre fornite dagli Stati membri, nella comunicazione la Commissione presuppone una capacità di circa 100 GWe nel 2050, ma alla luce dell’attuale dibattito si tratta di un presupposto alquanto incerto.

4.8.

Il Comitato prende atto dell’esempio della Svezia, paese che ha annunciato di volersi impegnare a sostituire gradualmente le centrali da chiudere con dieci nuovi reattori e parallelamente ad adottare misure per garantire un approvvigionamento energetico al 100 % da fonti rinnovabili entro il 2040, annuncio effettuato dopo la pubblicazione del programma indicativo per il settore nucleare, che ovviamente non lo riporta (Financial Times, 10 giugno 2016). Perseguire una forte politica in materia di fonti energetiche rinnovabili e disporre di una capacità supplementare per rifornire di energia a basse emissioni di carbonio i paesi vicini è, in questo caso, un fatto politicamente accettabile per tutte le parti e, di conseguenza, strategicamente significativo nel contesto europeo. Il documento dovrebbe pertanto essere aggiornato per tenere conto di questo aspetto.

4.9.

Da anni il CESE si batte affinché venga adottato un approccio più strategico alle questioni energetiche e venga attribuita una maggiore attenzione ad un ampio dialogo pubblico in materia di produzione e uso dell’energia (4). La tecnologia ha una serie di valori che le sono propri e le tecnologie energetiche comportano un’ampia gamma di valutazioni etiche, sociali e politiche. Gli Stati membri hanno potere discrezionale nella composizione del loro mix energetico, solo la metà di essi dispone di centrali nucleari operative e dall’ultimo programma indicativo per il settore nucleare c’è stata una polarizzazione delle opinioni in materia di energia nucleare. Questo importante documento di revisione periodica trarrebbe forza da una presentazione obiettiva delle questioni di attualità e degli aspetti di alto profilo da prendere in considerazione quando si tratta di «discutere il contributo dell’energia nucleare al conseguimento degli obiettivi energetici dell’UE». Si propone pertanto di introdurre nel documento finale una serie di nuove sezioni, come indicato al punto 4.3, e di far sì che l’intera strategia tenga maggiormente conto delle osservazioni specifiche formulate dal punto 5.3.1 al punto 5.3.4.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Il documento sottolinea l’importanza di un migliore coordinamento nazionale tra gli Stati membri, di un rafforzamento della cooperazione tra le parti interessate e di una maggiore trasparenza e partecipazione dei cittadini alle questioni nucleari. Si osserva a tale riguardo l’importante ruolo svolto dal gruppo europeo dei regolatori in materia di sicurezza nucleare (ENSREG), nonché la volontà di continuare a promuovere il dialogo fra i soggetti interessati in seno al Forum europeo sull’energia nucleare (ENEF). Nel dicembre 2015, l’ENSREG ha rilasciato una dichiarazione sul tema «I progressi compiuti nell’attuazione dei piani di azione nazionali post Fukushima», nella quale sottolinea le differenze nel grado di attuazione di detti piani e raccomanda di potenziare l’innalzamento dei livelli di sicurezza al fine di rispettare una serie di scadenze di attuazione già decise. L’ENSREG ha inoltre raccomandato a ciascun paese partecipante all’attuazione dei piani d’azione nazionali di aggiornare e pubblicare periodicamente lo stato di avanzamento per garantire un controllo trasparente con l’obiettivo di elaborare una relazione sull’attuazione nel 2017 (Quarta relazione dell’ENSREG, novembre 2015). Il CESE suggerisce alla Commissione di accettare tale raccomandazione e di inserirla nel programma indicativo per il settore nucleare.

5.2.

La comunicazione esamina le relazioni con gli Stati vicini dell’UE che hanno adottato il nucleare e in tale contesto il CESE ritiene che l’intensificazione di un dialogo attivo con la Bielorussia sarebbe particolarmente utile per risolvere i problemi in materia di trasparenza e di sicurezza che sono sorti nella costruzione del primo reattore nucleare bielorusso ad Ostrovets. Bisognerebbe dare priorità all’attività di collegamento svolta dall’ENSREG.

5.3.

Per quanto riguarda il dialogo e la trasparenza, il CESE in linea di massima osserva che, in pratica, il ruolo, le risorse, la capacità e lo status dell’ENEF sono stati notevolmente ridotti negli ultimi due anni. È essenziale chiarire ulteriormente le questioni fondamentali riguardanti il dialogo sulla politica nucleare europea e proporre un quadro di discussione comune a livello nazionale. È poco probabile che si possano registrare attualmente passi avanti nell’ambito dell’ENEF ed è un aspetto che il programma indicativo per il settore nucleare non menziona neppure. Un quadro di questo tipo rafforzerebbe anche la futura governance dell’Unione dell’energia e dovrebbe essere applicato in modo coerente a tutte le fonti energetiche primarie. Per contribuire a questo chiarimento, il programma indicativo per il settore nucleare dovrebbe pertanto contenere sezioni specifiche al fine di illustrare le implicazioni e la rilevanza per la politica di investimento nel settore nucleare. Questi temi, illustrati in modo particolareggiato ai quattro punti successivi, sono ambiti di discussione essenziali per qualsiasi visione strategica.

5.3.1.

Il passaggio all’energia elettrica e la misura in cui un costante rifornimento di energia elettrica può essere assicurato da fonti primarie. Da un lato, l’energia nucleare può contribuire alla sicurezza energetica considerando che è possibile produrre grandi volumi di energia elettrica prevedibile in maniera continuativa e per periodi prolungati, cosa che permette di contribuire positivamente al funzionamento stabile delle reti elettriche (ad esempio mantenimento della frequenza di rete). Dall’altro però, i costi dei capitali di costruzione sono elevati, i nuovi requisiti di sicurezza sono impegnativi, il finanziamento è incerto e le future condizioni del mercato risultano in larga misura imprevedibili. Si tratta di questioni che deve affrontare ogni Stato membro che abbia una capacità di produzione nucleare e che potrebbero rivelarsi fondamentali per sapere se e in che modo sia possibile realizzare piani nazionali realistici in grado di contribuire agli obiettivi energetici e climatici globali dell’UE. Il programma indicativo per il settore nucleare dovrebbe fare riferimento ad un quadro comune di discussione di questi temi, come la Commissione ha proposto in altre comunicazioni strategiche in materia di energia, e presentare un’analisi equilibrata del ruolo dell’energia nucleare.

5.3.2.

Conoscenza da parte dei cittadini, comportamenti e sensibilizzazione ai rischi inerenti la produzione di energia. Da un lato, la sicurezza nucleare, l’impatto degli incidenti di Chernobyl e di Fukushima e le questioni in sospeso concernenti la disattivazione e lo smaltimento delle scorie radioattive destano viva preoccupazione tra i cittadini di alcuni paesi. Vi sono però altre fonti di energia primaria che presentano anch’esse diversi elementi negativi importanti e spesso sottovalutati. Il CESE ha sempre sottolineato quanto sia importante che i cittadini comprendano il «dilemma» energetico — essenzialmente come conciliare gli obiettivi di sicurezza energetica, di accessibilità economica e di sostenibilità ambientale, che sono interconnessi e talvolta in conflitto l’uno con l’altro. La volontà politica è in larga misura forgiata dal comportamento dei cittadini e lo scarso livello di sensibilizzazione generale in materia di energia può determinare l’adozione di decisioni politiche tutt’altro che ottimali. Sarebbe utile investire più risorse e introdurre un quadro giuridico favorevole che consenta, ad esempio, l’istituzione di comitati locali di informazione come avvenuto in Francia.

5.3.3.

Una metodologia per valutare i costi e la competitività. Un’energia a basse emissioni di carbonio e a prezzi accessibili è essenziale per raggiungere gli obiettivi concordati in materia di clima e di energia, ma si tratta di un settore al riparo dalla concorrenza sul mercato. Inoltre non esiste una metodologia standard o accettabile in base alla quale gli Stati membri siano in grado di valutare i costi futuri delle alternative nel loro mix di produzione energetica prima di prendere una decisione politica (che sarà influenzata da altri fattori).

5.3.4.

L’importanza di una base attiva nel campo della ricerca e della produzione di energia per mantenere la leadership sul mercato, in campo tecnologico e in materia di sicurezza. Fino a che punto vale la pena di mantenere un’importante industria di produzione di energia nucleare in costante evoluzione per salvare l’occupazione e preservare l’influenza e la leadership dell’Europa in un settore che si espande a livello mondiale (Agenzia governativa degli Stati Uniti per l’informazione in materia di energia, maggio 2016 — Raddoppiamento della produzione nucleare mondiale entro il 2040)? Per esempio, la Cina intende raddoppiare la sua capacità nucleare per arrivare ad almeno 58 GWe tra il 2020 e il 2021 ed incrementarla fino a 150 GWe entro il 2030. Posti di lavoro di alta qualità e ben retribuiti hanno un loro peso nell’UE e quindi, qualora dovessero essere progressivamente eliminati, sarebbe opportuno attuare un programma volto ad assicurare una transizione equa e sostenuta.

5.4.

L’elemento più significativo del finanziamento della ricerca nucleare nell’UE è l’impegno ad elaborare il programma comune sulla fusione nucleare (ITER). La tabella di marcia EFDA (Accordo europeo per lo sviluppo della fusione) illustra le varie tappe di questo processo, dagli attuali esperimenti sulla fusione alla costruzione di una centrale elettrica dimostrativa a fusione per la produzione netta di energia elettrica per la rete. Il CESE chiede alla Commissione di tener conto di un’eventuale fornitura di elettricità da centrali a fusione in tutti gli scenari energetici efficaci sotto il profilo dei costi, relativi al periodo successivo al 2050. Bisogna inoltre continuare a sostenere la ricerca sui reattori di 4a generazione, che permettono di diminuire potenzialmente i costi e di ridurre in misura significativa i rifiuti ad alto livello.

5.5.

Il progetto di proposta è stato elaborato prima del referendum britannico sulla permanenza nell’Unione europea e dell’attuale interpretazione giuridica secondo cui l’uscita dall’UE comporta anche quella dall’Euratom. Tutto questo ha importanti ripercussioni strategiche, non da ultimo per quanto concerne gli obiettivi 2030 in materia di energia, ma anche la ricerca, il quadro normativo, la catena di approvvigionamento e la cooperazione per la sicurezza. La questione deve quindi trovare riscontro nel progetto di proposta, sebbene in questa fase sia difficile anticipare risultati specifici.

Bruxelles, 22 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU L 219 del 25.7.2014, pag. 42.

(2)  GU C 341 del 21.11.2013, pag. 92; GU C 133 del 14.4.2016, pag. 25.

(3)  GU C 182 del 4.8.2009, pag. 8.

(4)  GU C 291 del 4.9.2015, pag. 8.


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/111


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 1303/2013 per quanto attiene a talune disposizioni relative alla gestione finanziaria per alcuni Stati membri che si trovano, o rischiano di trovarsi, in gravi difficoltà relativamente alla loro stabilità finanziaria»

[COM(2016) 418 final — 2016/0193 (COD)]

(2016/C 487/18)

Consultazione

Parlamento europeo, 04/07/2016

Consiglio dell’Unione europea, 08/07/2016

Base giuridica

Articoli 117 e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

169/1/4

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente ed essendosi già pronunciato al riguardo nei propri pareri Modifica al Regolamento dei fondi strutturali — Misure specifiche per la Grecia, adottato l’8 ottobre 2015 (1), Gestione finanziaria e norme di disimpegno per alcuni Stati membri in gravi difficoltà, adottato il 19 settembre 2013 (2), fondi strutturali — Disposizioni generali, adottato il 25 aprile 2012 (3), e Modifica di talune disposizioni relative alla gestione finanziaria — fondi strutturali — per alcuni Stati membri in difficoltà, adottato il 27 ottobre 2011 (4), il Comitato, nel corso della 519a sessione plenaria dei giorni 21 e 22 settembre 2016 (seduta del 21 settembre), ha deciso, con 169 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE sul tema Modifica al Regolamento dei fondi strutturali — Misure specifiche per la Grecia (GU C 32 del 28.1.2016, pag. 20).

(2)  Parere del CESE sul tema Gestione finanziaria e norme di disimpegno per alcuni Stati membri in gravi difficoltà (GU C 341 del 21.11.2013, pag. 27).

(3)  Parere del CESE sul tema fondi strutturali — Disposizioni generali (GU C 191 del 29.6.2012, pag. 30).

(4)  Parere del CESE sul tema Modifica di talune disposizioni relative alla gestione finanziaria — fondi strutturali — per alcuni Stati membri in difficoltà (GU C 24 del 28.1.2012, pag. 81).


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/112


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce dazi doganali supplementari sulle importazioni di determinati prodotti originari degli Stati Uniti d’America (codificazione)»

[COM(2016) 408 final — 2014/0175 (COD)]

(2016/C 487/19)

Consultazione

Commissione europea, 23/06/2016

Base giuridica

Articolo 207 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

165/0/8

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 519a sessione plenaria dei giorni 21 e 22 settembre 2016 (seduta del 21 settembre), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 165voti favorevoli e 8 astensioni.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


28.12.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 487/113


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro»

[COM(2016) 248 final — 2016/0130 (COD)]

(2016/C 487/20)

Consultazione

Consiglio, 24/05/2016

Parlamento europeo, 25/05/2016

Base giuridica

Articolo 148, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Organo competente

Sezione Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sessione plenaria

21/09/2016

Sessione plenaria n.

519

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

171/0/3

Essendosi già pronunciato sul contenuto della proposta all’esame nei propri pareri relativi alla Proposta di direttiva del Consiglio sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni durante il lavoro (sesta direttiva particolare ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 80/1107/CEE), adottati il 2 giugno 1988 (1) e il 20 ottobre 1999 (2), nonché nel parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa ad un quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro (2014-2020), adottato l’11 dicembre 2014, il Comitato ha deciso di non procedere all’elaborazione di un nuovo parere in materia ma di rinviare alla posizione espressa nei documenti succitati.

Bruxelles, 21 settembre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 208 dell'8.8.1988, pag.43.

(2)  GU C 368 del 20.12.1999, pag. 18.