ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 389

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

59° anno
21 ottobre 2016


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

RISOLUZIONI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

518a sessione plenaria del CESE dei giorni 13 e 14 luglio 2016

2016/C 389/01

Risoluzione sul Contributo del Comitato economico e sociale europeo al programma di lavoro della Commissione europea per il 2017

1

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

518a sessione plenaria del CESE dei giorni 13 e 14 luglio 2016

2016/C 389/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’impatto sui settori industriali principali (e sull’occupazione e la crescita) dell’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato (ai fini degli strumenti di difesa commerciale) (parere d’iniziativa)

13

2016/C 389/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Costruire una coalizione della società civile e degli enti subnazionali per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi (parere d'iniziativa)

20

2016/C 389/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il pilastro digitale della crescita: gli anziani digitali, un potenziale del 25 % della popolazione europea (parere d’iniziativa)

28

2016/C 389/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo L’iniziativa dei cittadini europei (revisione) (parere d'iniziativa)

35


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

518a sessione plenaria del CESE dei giorni 13 e 14 luglio 2016

2016/C 389/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo su un piano d’azione sull’IVA — Verso uno spazio unico europeo dell’IVA — Il momento delle scelte [COM(2016) 148 final]

43

2016/C 389/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Industria 4.0 e la trasformazione digitale: la direzione da seguire [COM(2016) 180 final]

50

2016/C 389/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Acciaio: mantenere occupazione sostenibile e crescita in Europa [COM(2016) 155 final]

60

2016/C 389/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla conservazione delle risorse della pesca e alla protezione degli ecosistemi marini attraverso misure tecniche, che modifica i regolamenti del Consiglio (CE) n. 1967/2006, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 1224/2009 e i regolamenti (UE) n. 1343/2011 e (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, e che abroga i regolamenti del Consiglio (CE) n. 894/97, (CE) n. 850/98, (CE) n. 2549/2000, (CE) n. 254/2002, (CE) n. 812/2004 e (CE) n. 2187/2005 [COM(2016) 134 final — 2016/0074 (COD)]

67

2016/C 389/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione dell’Unione europea contro il traffico illegale di specie selvatiche [COM(2016) 87 final]

74

2016/C 389/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme relative alla messa a disposizione sul mercato di prodotti fertilizzanti recanti la marcatura CE e che modifica i regolamenti (CE) n. 1069/2009 e (CE) n. 1107/2009 [COM(2016) 0157 final — 2016/0084 (COD)]

80

2016/C 389/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una strategia per l’aviazione in Europa [COM(2015) 598 final]

86

2016/C 389/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore della navigazione interna e che abroga la direttiva 96/50/CE del Consiglio e la direttiva 91/672/CEE del Consiglio [COM(2016) 82 final — 2016/0050 (COD)]

93


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

RISOLUZIONI

Comitato economico e sociale europeo

518a sessione plenaria del CESE dei giorni 13 e 14 luglio 2016

21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/1


Risoluzione sul «Contributo del Comitato economico e sociale europeo al programma di lavoro della Commissione europea per il 2017»

(2016/C 389/01)

2017: l’anno di un nuovo slancio e di una maggiore solidarietà in Europa

Dichiarazione politica

Il CESE deplora il risultato del voto espresso dai cittadini britannici a favore dell’uscita dall’Unione europea. Si è trattato di un voto democratico e di una decisione legittima, che avranno tuttavia conseguenze non solo per un Regno Unito in preda alle divisioni ma anche per l’intera UE. Ora si aprirà un lungo e difficile processo di negoziati per definire tutte le condizioni di questa uscita. Non sappiamo come e quando verrà attuato l’articolo 50 del trattato, ma il CESE chiede un rapido avvio dei negoziati, per poter rispondere all’attuale incertezza riguardo al futuro dell’UE e alla sua architettura istituzionale e politica. La reazione dei mercati finanziari è una chiara indicazione della probabilità che si verifichi una nuova recessione (e non solo nel Regno Unito), pertanto l’UE deve reagire con urgenza.

Il CESE chiede di essere pienamente coinvolto nel processo negoziale con il Regno Unito. Il voto dei cittadini britannici rappresenta chiaramente un nuovo e pressante campanello d’allarme per le istituzioni europee; i cittadini chiedono di partecipare al processo decisionale dell’UE e l’impatto della Brexit è un tema cruciale che dovrà essere affrontato anche con il pieno sostegno dei cittadini degli altri Stati membri dell’UE. Il CESE, che rappresenta le organizzazioni della società civile, è pronto a partecipare attivamente a questo processo.

Infine, il CESE ritiene che la Commissione europea dovrebbe riconsiderare i 10 settori prioritari del suo programma, tenendo conto della necessità di gestire con urgenza la Brexit, con tutte le sue implicazioni istituzionali, politiche, economiche e sociali.

1.

Il Comitato economico e sociale europeo esprime la sua profonda preoccupazione circa lo stato dell’Unione europea. A causa dell’attuale situazione politica ed economica, che si inquadra in un contesto di crescente sfiducia dei cittadini europei nei confronti del processo di integrazione nell’UE, la Commissione europea (CE) dovrà impegnarsi per ripristinare uno spirito di solidarietà e di responsabilità, come già anticipato nel programma di lavoro per il 2016. Vi sono segnali crescenti di una mancanza di volontà da parte degli Stati membri di trovare soluzioni comuni e coese. Allo stesso tempo, assicurare tra i cittadini la titolarità degli obiettivi dell’UE dovrebbe essere un pilastro fondamentale dell’azione dell’UE.

2.

La crisi dei rifugiati richiede un’azione urgente a livello umanitario. Al tempo stesso, è necessario prestare particolare attenzione alle difficoltà sostenute dai governi europei nel promuovere soluzioni che godano del consenso di tutti i cittadini europei, i quali si sentono non sicuri e spaventati. Devono essere aperti corridoi sicuri e legali e l’UE deve avanzare fermamente verso un sistema comune di asilo, portando a compimento le iniziative politiche e legislative varate a maggio e luglio 2016. La Commissione europea dovrebbe intensificare gli sforzi per applicare lo Stato di diritto nell’attuazione dell’acquis dell’UE in materia di migrazione e asilo e assicurare la gestione responsabile dello spazio Schengen, al fine di ripristinare la fiducia reciproca e la sostenibilità dello spazio di libera circolazione. Mettendo in pericolo l’accordo di Schengen si colpirebbe al cuore il progetto europeo limitandone l’evoluzione. La richiesta fondata di una maggiore regolamentazione (nel pieno rispetto dello Stato di diritto) del controllo e della gestione delle frontiere esterne, la richiesta legittima da parte della popolazione di una maggiore sicurezza a tutti i livelli, e la richiesta di una più stretta cooperazione nella lotta al terrorismo non possono tradursi nella creazione di barriere all’interno dell’UE e nella limitazione della libera circolazione delle persone.

3.

Preoccupazioni ancora più forti scaturiscono dalla diffusione di sentimenti antieuropei e dall’aumento della rappresentanza politica, nei parlamenti nazionali e nella società in generale, di movimenti populisti e xenofobi che costituiscono una minaccia per i valori democratici in Europa. In alcuni Stati membri questi movimenti sono in grado di influenzare i governi. L’ostilità verso l’Europa nel suo insieme può sfociare in un pericoloso dibattito su meccanismi di opt-out concessi ai governi in funzione delle rispettive esigenze politiche del momento, come dimostrato dal dibattito sulla Brexit. L’UE deve rispondere a questa deriva protezionista e nazionalista affrontandola anche sul piano culturale.

4.

Non dobbiamo tuttavia perdere di vista né compromettere i risultati che l’UE ha garantito finora, e l’integrazione economica dev’essere ora completata con una più profonda integrazione politica e sociale. Il mercato unico è un elemento centrale dell’integrazione europea e il funzionamento delle condizioni di parità dev’essere preservato ad ogni costo. I cittadini devono essere parte attiva di questi sviluppi positivi. Il dialogo a livello locale, nazionale ed europeo deve essere rafforzato e strutturato con l’aiuto della società civile, comprese le parti sociali che svolgono un ruolo essenziale nel tracciare un nuovo corso per l’Europa.

5.

I giovani dovrebbero costituire una priorità per questo cambiamento culturale, perché sono i più colpiti dalla disoccupazione ma anche perché offrono il potenziale maggiore per la risoluzione della crisi. Grazie alle esperienze acquisite, la cosiddetta «generazione Erasmus» si mostra aperta e disponibile a dialogare e a crescere assieme a popolazioni e culture diverse. Per tale ragione, la Commissione, al di là dei timidi risultati della Garanzia per i giovani, deve offrire a tutti i giovani l’opportunità di beneficiare di scambi europei, a prescindere dal loro livello di istruzione e dal loro status lavorativo.

6.

In un contesto economico e sociale che resta incerto, la Commissione è chiamata a sfruttare tutte le risorse disponibili per rafforzare la crescita, i posti di lavoro di qualità e il progresso sociale. Gli investimenti finanziari, produttivi e sociali sono lungi dal ritornare ai livelli precedenti alla crisi. Occorre un quadro macroeconomico in grado di sostenere la crescita, stimolato da un contesto favorevole agli investimenti in un mercato interno perfettamente funzionante. Tutti gli aspetti della competitività internazionale dovrebbero essere affrontati, e l’aumento della domanda interna potrebbe dare slancio alle imprese europee sui mercati mondiali, stimolando un circolo virtuoso vantaggioso per tutti.

7.

La governance economica deve essere orientata alla crescita e al progresso sociale, attuando tutte le priorità della comunicazione sulle tappe verso il completamento dell’Unione economica e monetaria e dell’analisi annuale della crescita 2016. Le raccomandazioni specifiche per paese dovrebbero fare un uso migliore della flessibilità all’interno delle regole esistenti del Patto di stabilità e crescita, al fine di stimolare la crescita. La titolarità del semestre europeo deve essere potenziata, coinvolgendo la società civile in generale e riconoscendo le specificità delle parti sociali a livello europeo e nazionale.

8.

La strategia Europa 2020 aggiornata dovrebbe essere in linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, integrando i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), considerando gli aspetti economici, sociali e ambientali come componenti indissociabili e interdipendenti, e rinnovando gli sforzi per conseguire gli obiettivi sociali rispetto ai quali l’UE è in ritardo.

9.

Il CESE chiede alla Commissione di esercitare il suo ruolo di guida per ottenere un consenso e un impegno in seno al Parlamento europeo e al Consiglio, allo scopo di attuare l’agenda interna ed esterna dell’UE.

10.

In tale contesto, il CESE invita la Commissione ad incentrare il suo programma di lavoro per il 2017 sui tre ambiti strategici descritti in appresso, riconoscendo che la dimensione interna e quella esterna, nonché le tre dimensioni economica, sociale e politica, sono indissociabili.

10.1.    Rafforzare la coesione economica e sociale dell’UE

Al fine di realizzare un piano di investimenti pari ad almeno il 2 % del PIL dell’UE, il CESE raccomanda uno stimolo di bilancio, anche sotto forma di investimenti pubblici, concentrato su investimenti destinati a stimolare l’innovazione e la crescita, dando priorità a settori quali l’energia, i trasporti e le infrastrutture a banda larga, la digitalizzazione, l’economia circolare a basse emissioni di carbonio, l’economia sociale e le competenze necessarie per l’imprenditoria e per la creazione di posti di lavoro di qualità. L’impiego dei fondi europei dovrebbe essere coerente con questi obiettivi. La promozione di imprese sostenibili e della crescita industriale dovrebbe essere accompagnata da un piano mirato per le PMI.

Per quanto riguarda il processo del semestre europeo, il CESE invita la Commissione a seguire esattamente e a realizzare tutti gli obiettivi, sia economici che sociali, che riguardano l’elaborazione di raccomandazioni specifiche per paese, per registrare risultati concreti nel conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020, compresa la lotta contro la povertà e la disuguaglianza.

Il completamento del mercato interno richiede un fermo impegno da parte della Commissione a favore delle priorità stabilite nel 2016. La libera circolazione dei lavoratori dovrebbe rimanere una priorità; una mobilità equa richiede che sia garantito il rispetto dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione a causa della nazionalità, conformemente all’acquis dell’UE per i lavoratori europei.

Il principio della «parità di retribuzione per uno stesso lavoro nello stesso luogo di lavoro», come affermato dal presidente Juncker, nel quadro della mobilità dei lavoratori nell’UE, è in discussione in seno al CESE. Il Comitato ha già espresso preoccupazioni in merito alle distorsioni che possono pregiudicare l’integrazione nel mercato del lavoro e la concorrenza leale.

L’Unione economica e monetaria si trova al centro del mercato unico e il CESE insiste sulla necessità di svilupparne i pilastri economico, sociale e politico. L’area dell’euro, compresi i paesi che desiderano aderire, ha bisogno di una più forte identità.

Per sfruttare le opportunità offerte dalla digitalizzazione dovranno essere adottate misure in numerosi settori. Il CESE invita la Commissione ad avviare un regolare processo di consultazione per gestire l’impatto sugli aspetti qualitativi e quantitativi di occupazione, produzione, consumo e servizi pubblici per i cittadini. Particolare attenzione dev’essere inoltre riservata all’attuazione dell’agenda per le competenze digitali, soprattutto per quando riguarda la garanzia dell’accessibilità per tutti.

L’Unione dell’energia è ancora lontana dall’essere completata. Il CESE sollecita la Commissione ad accelerare l’attuazione della strategia per l’Unione dell’energia, per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e prezzi ragionevoli mediante fonti energetiche diversificate e un mercato interno dell’energia pienamente integrato. Occorre creare un fondo per una transizione giusta allo scopo di sostenere il processo di transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Per quanto riguarda la politica climatica, è necessaria un’azione concreta e immediata. La Commissione dovrebbe assicurare che la società civile e i cittadini, a livello mondiale, nazionale e subnazionale, partecipino più attivamente all’elaborazione, alla revisione e, soprattutto, all’attuazione dell’accordo di Parigi.

La crisi dei profughi deve essere gestita in maniera appropriata. Devono essere aperti corridoi umanitari sicuri e l’UE deve avanzare fermamente verso un sistema comune di asilo.

10.2.    Rafforzare il ruolo dell’UE nel mondo

Nel 2016 l’UE ha conquistato più spazio come protagonista sulla scena mondiale e deve ora rafforzare la sua posizione nel promuovere la pace e la stabilizzazione nelle zone di conflitto. Tuttavia, l’insufficiente coesione interna e lo scarso impegno politico hanno finora indebolito l’influenza dell’UE nel mondo. Come condizione preliminare per un’efficace azione esterna, devono essere adottate, per quanto possibile, misure di intervento integrate tra la politica esterna e quella interna dell’Unione.

Ulteriori azioni concrete sono necessarie per rafforzare la sicurezza in Europa: una forte politica estera comune per affrontare conflitti aperti nei paesi vicini, una politica di sviluppo coerente con quella di altre istituzioni internazionali, una cooperazione internazionale tra le forze di polizia e un controllo efficace delle frontiere esterne senza limitare le libertà individuali e la vita privata.

Il CESE considera essenziale concludere gli attuali negoziati bilaterali in materia di scambi e investimenti, assicurando un equilibrio di interessi, come indicato nel suo parere in merito alla Comunicazione della Commissione Commercio per tutti, e adoperarsi per attuarli correttamente. La trasparenza e il corretto equilibrio degli interessi devono essere perseguiti anche nell’approccio multilaterale agli accordi commerciali in seno all’OMC. Gli accordi conclusi dall’UE non devono pregiudicare le norme relative all’ambiente, agli affari sociali, al lavoro, ai consumatori e ad altri settori, né i servizi pubblici, ma devono invece puntare al loro miglioramento.

Gli obiettivi globali di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU vanno integrati negli ambiti politici relativi all’azione esterna dell’UE.

Il CESE invita la Commissione a concentrare i propri sforzi per influenzare e promuovere lo sviluppo e l’esportazione di tecnologie e soluzioni in materia di clima su scala mondiale.

10.3.    Rafforzare il sentimento di appartenenza all’UE tra i cittadini europei

Il CESE chiede alla Commissione di avviare un dibattito sul modo in cui opera l’UE. Abbiamo bisogno di riaffermare i valori europei nell’ambito di una visione condivisa, l’importanza della dimensione solidale dell’Europa, la coesione sociale e la costruzione di una democrazia inclusiva e partecipativa.

Il CESE incoraggia vivamente la Commissione a monitorare attentamente il rispetto da parte degli Stati membri dello Stato di diritto e della Carta dei diritti fondamentali, e ad intervenire attivamente contro qualsiasi violazione.

Il CESE si rammarica che la Commissione non abbia preso in debita considerazione il contributo del Comitato al programma di lavoro per il 2016 e che non abbia ritenuto opportuno procedere a uno scambio di vedute approfondito in merito alle scelte politiche da essa effettuate. La costruzione di un dialogo sistematico con le organizzazioni della società civile e il rafforzamento del dialogo sociale a tutti i livelli sono essenziali per raggiungere gli obiettivi dell’UE.

RACCOMANDAZIONI E PROPOSTE DI AZIONE COLLEGATE ALLE 10 PRIORITÀ DELLA COMMISSIONE EUROPEA

1.   Una nuova spinta all’occupazione, alla crescita e agli investimenti

Gli investimenti in infrastrutture, produzione e posti di lavoro di qualità

Un semestre europeo rinnovato per la crescita, la competitività e il progresso sociale

Procedere rapidamente verso un’economia circolare a basse emissioni di carbonio

1.1.

L’occupazione costituisce la priorità assoluta per il 2017, in particolare tramite la creazione di nuovi posti di lavoro per i disoccupati di lunga durata, le donne, i giovani e i migranti.

1.2.

Per quanto riguarda i fondi europei, la Commissione dovrebbe valutarne l’impiego e assicurare che i finanziamenti siano assegnati in maniera effettivamente mirata e tale da consentire di massimizzare lo stimolo per l’innovazione e la crescita, dando priorità agli investimenti in infrastrutture, produzione e posti di lavoro di qualità. Le irregolarità nell’utilizzo dei fondi UE devono formare oggetto di controlli più accurati e devono essere sanzionate.

1.3.

Il settore dei servizi sociali figura tra i maggiori creatori di posti di lavoro in Europa. La Commissione dovrebbe pertanto sviluppare un piano d’azione per massimizzarne il potenziale e sfruttare appieno il Fondo europeo per gli investimenti strategici a favore del settore sociale.

1.4.

Nel 2017 l’analisi annuale della crescita dovrebbe altresì dare la priorità agli investimenti sociali e aiutare le economie in ritardo ad allinearsi agli standard economici e sociali europei.

1.5.

Occorre un’offensiva sulle competenze basata sulla rapida attuazione dell’Agenda per nuove competenze per l’Europa e del Pacchetto per l’occupazione giovanile (garanzia per i giovani e Alleanza europea per l’apprendistato).

1.6.

Le misure previste dal piano d’azione per l’economia circolare devono essere attuate senza indugio, privilegiando azioni che contribuiscano a garantire un ambiente più competitivo per le imprese europee. Il CESE chiede alla Commissione europea di valutare la fattibilità di una piattaforma europea per l’economia circolare che riunirebbe tutte le parti interessate e verrebbe ospitata dal CESE stesso.

2.   Un mercato unico digitale connesso

Promuovere la digitalizzazione di infrastrutture, produzione e servizi pubblici

Aumentare le competenze e l’accettazione del cambiamento digitale nella società in generale e tra i lavoratori

2.1.

La digitalizzazione dell’industria sarà un fattore decisivo per la competitività dell’economia europea. Il processo di digitalizzazione esercita un forte impatto sulla società civile europea ed è ormai essenziale per la vita quotidiana dei cittadini, Il CESE, con le sue responsabilità trasversali e nella sua veste di forum di rappresentanza della società civile organizzata, opererà per promuovere l’accettazione, in seno alla società civile europea, delle politiche in questo settore.

2.2.

Il potenziale dell’economia digitale, collegato con altre importanti trasformazioni economiche (ad es: transizione verso un’economia della condivisione ed un’economia a basse emissioni di carbonio), deve essere più strategicamente orientato verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite.

2.3.

Per eliminare le disparità tra le persone e tra le piccole imprese, l’agenda per la digitalizzazione dovrebbe essere interamente dedicata allo sviluppo di sistemi di produzione intelligenti, reti energetiche intelligenti, mobilità e trasporti intelligenti, smart housing (domotica) e comunità intelligenti. Vi sono inoltre ampie possibilità di utilizzare la digitalizzazione per migliorare i servizi pubblici e la pubblica amministrazione. La Commissione dovrebbe promuovere lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri in questo settore.

2.4.

Le parti sociali, nel quadro di una strategia coordinata a livello europeo, dovrebbero essere invitate a sfruttare tutti gli strumenti del dialogo sociale per affrontare le sfide del processo di digitalizzazione, in modo da massimizzare le opportunità occupazionali di qualità, riqualificare/favorire l’aggiornamento professionale dei lavoratori interessati dalla digitalizzazione e individuare nuove forme di protezione per questa categoria di lavoratori. Per garantire un approccio globale, è opportuno istituire un regolare processo di consultazione con altre organizzazioni della società civile.

3.   Un’Unione dell’energia resiliente con una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici

Attuare la strategia dell’Unione dell’energia, compresa la sua dimensione esterna

Attuare e rafforzare a livello mondiale le decisioni della COP21

Assicurare un’equa transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio

3.1.

La Commissione deve continuare ad attuare una strategia lungimirante in linea con il programma di lavoro allegato alla comunicazione del 2015 sullo stato dell’Unione dell’energia.

3.2.

La proposta del CESE per un dialogo europeo per l’energia (DEE) deve diventare un meccanismo fondamentale per garantire che le conoscenze, le preoccupazioni e gli interessi della società civile siano integrati nel processo dell’Unione dell’energia.

3.3.

Le decisioni della COP21 vanno attuate senza indugi e con il pieno coinvolgimento della società civile organizzata. Devono essere garantite condizioni di parità per le imprese che competono a livello internazionale, al fine di evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Invitando gli Stati membri dell’UE a comunicare i rispettivi contributi stabiliti a livello nazionale si darebbe il giusto segnale. Andrebbe inoltre tenuto conto della necessità di rilanciare gli investimenti e di rafforzare il ruolo guida dell’UE nel settore delle tecnologie verdi.

3.4.

Alla luce degli impegni assunti alla COP21, devono essere attentamente valutati i rischi di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e devono essere attuati strumenti politici in grado di affrontare in maniera efficace detti rischi, specialmente nel quadro del sistema di scambio di quote di emissioni dell’UE per il periodo 2021-2030.

3.5.

Il sistema alimentare è una delle principali cause dei cambiamenti climatici, ma anche uno dei settori più colpiti da tali cambiamenti. Occorre rafforzare il ruolo svolto dal settore agroalimentare nell’adattamento ai cambiamenti climatici, ma anche nel mitigarne gli effetti. Nel contesto del piano d’azione dell’UE sull’economia circolare si dovrebbero porre in rilievo l’importanza di prevenire e ridurre gli sprechi alimentari, nonché gli sforzi compiuti dalla società civile.

3.6.

Oltre al fondo per una transizione giusta, l’UE deve attuare il fondo per l’innovazione e il fondo per la modernizzazione e coinvolgere le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile nella gestione di tali fondi.

3.7.

Facendo seguito ai risultati dello studio del CESE sull’obsolescenza programmata, si dovrebbe avviare un progetto pilota sull’introduzione di un sistema di etichettatura con indicazione della durata minima stimata o media dei prodotti.

4.   Un mercato interno più profondo e più equo con una base industriale più solida

Un’industria in crescita e un’Unione dei mercati dei capitali funzionante

Promuovere un’economia più competitiva e più verde, sviluppare imprese dell’economia sociale e attuare modelli innovativi

Rendere la mobilità equa della forza lavoro disponibile per tutti

Verso una tassazione più equa

4.1.

Dato che l’industria è la chiave di volta del mercato unico, l’Unione europea deve continuare a concentrarsi sul rilancio dell’industria europea e conseguire l’obiettivo di portare al 20 % il contributo di quest’ultima al PIL dell’UE entro il 2020. Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta alle sfide che interessano la siderurgia, attraverso una rimodulazione degli aiuti di Stato e un utilizzo più mirato del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. È necessario avviare l’attuazione di un piano d’azione sull’industria europea della difesa, che consentirebbe di realizzare notevoli risparmi negli appalti relativi alla difesa.

4.2.

Il CESE raccomanda misure efficaci per migliorare l’accesso ai finanziamenti, che si affianchino alle iniziative adottate nel quadro dell’Unione dei mercati dei capitali. Il quadro normativo e di vigilanza (a livello micro e macro prudenziale) del settore finanziario dovrebbe essere adattato in modo da ridurre il rischio di arbitraggio normativo. Il nuovo quadro dovrebbe disciplinare anche il settore bancario ombra. Inoltre, dovrebbero essere sviluppati strumenti che consentano di sfruttare in modo migliore il capitale disponibile nei fondi sovrani di investimento. Nel processo dell’Unione bancaria dovrebbe essere fatto riferimento alla componente dei servizi bancari relativa al servizio pubblico. I cittadini devono essere in grado di utilizzare tali servizi sapendo che si tratta di servizi trasparenti, affidabili e a basso costo.

4.3.

Occorre un piano d’azione concreto per eliminare gli ostacoli che le piccole e medie imprese, tra cui le microimprese e le imprese familiari, devono affrontare nel mercato interno e nel commercio transfrontaliero.

4.4.

Per sfruttare appieno il potenziale delle imprese dell’economia sociale, il CESE sollecita la Commissione a varare un piano d’azione per l’economia sociale che fornisca un ecosistema completo per il suo sviluppo e la sua crescita.

4.5.

Il CESE sottolinea la necessità di aumentare la competitività dell’Europa e sostenere l’economia verde. In questo contesto, è importante incoraggiare, in sede di riesame della strategia del mercato unico nel 2017, oltre al principio del mantenimento di condizioni di parità, nuovi modelli d’impresa in grado di conciliare gli aspetti economici, sociali e ambientali. L’economia collaborativa, l’economia funzionale e l’economia circolare necessitano di orientamenti chiari per poter prosperare. È essenziale adottare un approccio globale che tenga conto dei diversi aspetti sociali, economici e ambientali in un quadro politico coerente. È indispensabile definire una strategia più ambiziosa in materia di responsabilità sociale delle imprese che riconosca maggiormente il contributo delle imprese al bene comune, utilizzando per la misurazione del benessere e dello sviluppo sociale indicatori che vadano oltre il PIL.

4.6.

Per quanto riguarda gli appalti pubblici, in conformità con le nuove direttive, è necessario facilitare il ricorso a clausole sociali e a un mercato riservato, elaborando una guida per le amministrazioni aggiudicatrici.

4.7.

La mobilità equa dei lavoratori dev’essere salvaguardata. A questo proposito, il CESE sta attualmente elaborando un parere sulla proposta della Commissione concernente la revisione della direttiva 96/71/CE e sta affrontando le questioni relative alla necessità di promuovere la libera prestazione dei servizi e di preservare sia la concorrenza leale nel mercato dei servizi che la parità di trattamento nel mercato del lavoro.

4.8.

Le esigenze della PAC in materia di sviluppo della politica nel contesto della revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale 2014-2020 dovrebbero puntare a mantenere la multifunzionalità, le aziende agricole familiari e la sostenibilità al centro dell’agricoltura europea. La Commissione dovrebbe elaborare una strategia alimentare europea con un approccio globale che copra l’intera catena di approvvigionamento, dall’agricoltore al consumatore, oltre a garantire coerenza politica tra i diversi settori di intervento: dalle politiche agricole al commercio, passando per le politiche in materia di istruzione e clima.

4.9.

L’agenda urbana dell’UE è una questione della massima importanza. La Commissione dovrebbe elaborare un Libro bianco sulle zone rurali. Va tuttavia osservato che le zone urbane e rurali sono strettamente interconnesse e non hanno alternative.

4.10.

È importante cogliere i vantaggi in termini di occupazione derivanti dal rafforzamento del mercato unico, soprattutto relativamente a servizi, digitalizzazione e mobilità del lavoro. Il corretto funzionamento del mercato unico e un quadro che garantisca la sicurezza delle persone, nonché una concorrenza leale, costituiscono il punto di partenza per la ripresa economica in Europa. Il CESE sottolinea altresì la necessità di affrontare la situazione dei lavoratori poveri, e di sviluppare strumenti e politiche efficaci volti a garantire un salario di sussistenza e una rete di sicurezza nell’ambito dei nuovi rapporti di lavoro.

4.11.

Il piano d’azione per un’efficace tassazione delle imprese deve avanzare, in particolare per quanto riguarda la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (common consolidated corporate tax base — CCCTB). Il CESE sollecita l’adozione di misure decisive per ridurre la frode fiscale, l’evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva. Occorre prelevare le imposte laddove si esplica sostanzialmente l’attività economica. A tal fine, il CESE intende assicurare la piena partecipazione dell’UE al piano d’azione dell’OCSE per contrastare l’elusione fiscale, nonché l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (base erosion and profit shifting — BEPS).

4.12.

Il CESE accoglie con favore l’attenzione rivolta dalla Commissione durante l’ultimo ciclo del semestre europeo ad un trasferimento progressivo degli oneri fiscali dai contribuenti a basso reddito verso un sistema fiscale più efficace ed equo, incoraggiando il passaggio a imposte che abbiano effetti frenanti inferiori rispetto a quelli della tassazione sul lavoro. Inoltre, le riforme dei sistemi di tassazione sono necessarie per garantire il loro ruolo redistributivo, che può contribuire a ridurre le disuguaglianze.

5.   Un’Unione economica e monetaria approfondita e più equa

Una tabella di marcia per completare l’UEM, compresa l’Unione bancaria

Andare avanti con l’Unione economica e politica

Assicurare che il semestre europeo consegua gli obiettivi della strategia Europa 2020 e gli obiettivi sociali

5.1.

Tenendo conto della capacità estremamente limitata della politica monetaria di stimolare la domanda, l’economia dell’area dell’euro si trova in una cosiddetta trappola della liquidità. È necessaria una maggiore solidarietà dai paesi con eccedenze strutturali che dovrebbero contribuire in misura maggiore alla messa in atto di politiche espansionistiche.

5.2.

L’area dell’euro deve rafforzare il suo potenziale di crescita e la sua capacità di resistere agli shock asimmetrici e promuovere la convergenza economica e sociale. Occorre quindi un nuovo regolamento relativo a una capacità di bilancio specifica. Il CESE chiede che venga instaurato un dialogo macroeconomico nell’area dell’euro, quale contributo essenziale per lo sviluppo democratico e sociale dell’UEM. Il CESE raccomanda vivamente di utilizzare, nelle future discussioni sull’argomento, non più la dicitura di «comitati per la competitività» bensì quella di «comitati per la competitività, la coesione sociale e la sostenibilità». L’area dell’euro dovrà esprimersi con una sola voce nelle sedi internazionali.

5.3.

Il CESE si attende che le istituzioni europee avviino nel 2017 la seconda fase della tabella di marcia per il completamento dell’UEM, fornendo quindi una chiara identità all’area dell’euro. Una tabella di marcia corrispondente dovrebbe includere un dibattito politico sull’attuazione di interventi a livello istituzionale, che potrebbero in alcuni casi richiedere modifiche del trattato.

5.4.

Il dibattito dovrebbe idealmente affrontare le seguenti questioni: una struttura più solida per l’area dell’euro, la capacità di bilancio dell’area dell’euro e l’emissione congiunta di debito da parte degli Stati appartenenti all’area dell’euro, gestita da un Fondo monetario europeo; una maggiore assunzione di responsabilità e legittimità democratica dell’UEM attraverso un rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, una conferenza interparlamentare più efficacemente strutturata, un maggior impegno da parte dei parlamenti nazionali, e il voto esclusivo degli eurodeputati dell’area dell’euro su materie di competenza dell’UEM.

5.5.

In quanto elemento del semestre europeo, il dialogo civile e sociale può fungere da forza trainante per garantire riforme efficaci, sostenibili e inclusive in ambito economico, occupazionale e sociale. I parlamenti nazionali devono essere coinvolti nella pianificazione e nella valutazione dei programmi nazionali di riforma (PNR) e nell’applicazione delle raccomandazioni specifiche per paese (country-specific recommendations — CSR), in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020. Le parti sociali hanno un ruolo specifico da svolgere per quanto riguarda le loro funzioni, responsabilità e competenze esclusive.

5.6.

Occorre attuare misure immediate per introdurre reti di sicurezza per i lavoratori vulnerabili e per quelli a basso salario, assicurare un reddito minimo di sussistenza per le famiglie, individuare le aree di povertà e compensare le disuguaglianze. Il Pilastro europeo dei diritti sociali dovrà essere chiaramente definito e attuato nel 2017, con il contributo attivo delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile. Tuttavia, tale pilastro dovrebbe contribuire a sostenere lo sviluppo economico sostenibile e la creazione di posti di lavoro, e a tal fine dovrebbe conseguire risultati concreti per poter migliorare la qualità di vita e di lavoro dei cittadini europei e promuovere mercati del lavoro efficienti e inclusivi e servizi pubblici di qualità e accessibili per tutti.

5.7.

Nel quadro dell’Unione finanziaria, l’Unione bancaria è essenziale per garantire l’integrità dell’euro e accrescere la condivisione dei rischi con il settore privato. La proposta relativa al sistema europeo di assicurazione dei depositi (European Deposit Insurance Scheme — EDIS) costituisce un aspetto essenziale dell’Unione bancaria. L’introduzione di un’ulteriore condivisione dei rischi grazie a tale proposta dovrebbe essere accompagnata da un’ulteriore riduzione dei rischi all’interno dell’Unione bancaria. Entrambi gli interventi devono essere realizzati simultaneamente, senza indugio e in modo efficace. La Commissione dovrebbe condurre uno studio d’impatto approfondito ed esaustivo per rafforzare ulteriormente la legittimità della proposta.

6.   Accordi di libero scambio ragionevoli ed equilibrati

Conclusione di accordi commerciali con capitoli ambiziosi e innovativi sul commercio e sullo sviluppo sostenibile

Sfruttare i vantaggi del dialogo sociale e civile

6.1.

Occorre assicurare coerenza tra la politica commerciale e la politica di sviluppo. Come annunciato nella comunicazione della Commissione Commercio per tutti, gli accordi conclusi dall’UE non devono pregiudicare le norme relative all’ambiente, agli affari sociali, al lavoro, ai consumatori e ad altri settori, né i servizi pubblici, ma devono invece puntare al loro miglioramento.

6.2.

Il CESE, in questo contesto, ritiene importante concludere in modo equilibrato gli attuali negoziati in materia di commercio e investimenti (compresi TTIP, CETA, UE-Giappone, i negoziati UE-Cina in materia di investimenti, i negoziati con i paesi dell’ASEAN, ed eventuali accordi di partenariato economico (APE) in corso) e, successivamente alla ratifica degli accordi, controllarne l’effettiva attuazione.

6.3.

La trasparenza e il corretto equilibrio degli interessi devono essere perseguiti anche nei negoziati multilaterali sui servizi (TiSA) e sui beni ambientali.

6.4.

Lo svolgimento di negoziati commerciali bilaterali non dovrebbe indebolire l’impegno dell’UE nei confronti dell’OMC e di un solido accordo globale multilaterale, e dovrebbe evitare possibili conflitti normativi. Nel quadro dei negoziati dell’OMC, occorre un approccio più mirato per quanto riguarda il commercio digitale, ad esempio.

6.5.

Il commercio è un tema fondamentale per i settori manifatturieri dell’UE e per la difesa del mercato europeo dai comportamenti sleali e dal dumping, mediante strumenti di difesa commerciale aggiornati, per proteggere con la massima efficacia il mercato interno da importazioni sleali da paesi terzi. La Commissione dovrebbe tuttavia valutare attentamente l’impatto della decisione sul riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato.

6.6.

Il sistema giudiziario per la protezione degli investimenti, recentemente proposto dalla Commissione, pur rappresentando un miglioramento rispetto al meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori e Stato (Investor-State Dispute Settlement — ISDS), sostenuto dagli Stati Uniti e ormai screditato, è ancora controverso e deve essere sottoposto a ulteriori valutazioni.

6.7.

La politica commerciale dell’UE dovrebbe tenere conto dei diversi pareri espressi in merito alle conseguenze degli accordi commerciali. Un’attenzione particolare dovrebbe essere rivolta al coinvolgimento di organi misti, composti da tutte le componenti della società civile, nel monitoraggio di tutti gli aspetti degli accordi di libero scambio. Le competenze di cui dispone il CESE apportano un valore unico in materia. Gli studi d’impatto sui negoziati in corso o su quelli futuri rimangono uno strumento essenziale per tutti i soggetti coinvolti nel loro monitoraggio.

7.   Uno spazio di giustizia e di diritti fondamentali basato sulla fiducia reciproca

Migliorare la sicurezza dei cittadini

Rispettare lo Stato di diritto

Rimuovere gli ostacoli e rimediare alle carenze

7.1.

La crescente domanda di sicurezza da parte dei cittadini europei richiede una risposta immediata per proteggere le principali conquiste dell’integrazione europea e ristabilire la fiducia tra gli Stati membri. La lotta contro il terrorismo richiede una più stretta collaborazione tra gli Stati membri e tra le loro autorità.

7.2.

La ricerca della pace in Medio Oriente, la cooperazione internazionale di polizia, il controllo efficace delle frontiere esterne e la politica di sviluppo sono complementi indispensabili delle misure volte a rafforzare la sicurezza in Europa.

7.3.

Nel 2017 dovranno essere rafforzati i pilastri dell’azione dell’UE definiti nell’Agenda europea sulla sicurezza. Quest’ultima dovrà garantire il pieno rispetto dello Stato di diritto, nonché il rispetto dei diritti fondamentali negli Stati membri, fra cui la democrazia, i diritti umani, i diritti economici e sociali, e un efficace dialogo con la società civile.

7.4.

Occorre sbloccare la proposta di direttiva recante applicazione del principio di parità di trattamento [COM(2008) 426 final] e dare un forte impulso all’aspetto partecipativo della società civile.

7.5.

La Strategia per la parità di genere 2010-2015 ha bisogno di rilanciarsi per includere obiettivi chiari, azioni concrete e un monitoraggio efficace dei progressi contro la discriminazione di genere nel mercato del lavoro, in ambito educativo e decisionale, nonché nel contrastare la violenza di genere.

7.6.

La strategia europea sulla disabilità dovrebbe essere aggiornata tenendo conto delle osservazioni del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), mediante una legislazione pertinente e la creazione di una carta delle priorità dell’UE riconosciuta da tutti gli Stati membri.

7.7.

Nel quadro della lotta alla povertà, devono essere stabiliti indicatori e obiettivi specifici per i minori vulnerabili.

7.8.

Devono essere affrontate le nuove forme di vulnerabilità: lavoro precario, lavoratori poveri, donne anziane e giovani, madri sole, donne migranti.

8.   Verso una nuova politica della migrazione

Gestire correttamente i profughi/rifugiati

Integrare i migranti

Combattere il populismo e la xenofobia

8.1.

L’UE deve affrontare le questioni della migrazione e dell’asilo intensificando la cooperazione tra gli Stati membri e adottando misure concrete e omogenee. Il CESE richiama le raccomandazioni e la relazione che ha elaborato sulla base delle missioni di informazione effettuate in 11 Stati membri. Occorre dare la priorità alle proposte formulate nella relazione del Parlamento europeo sulla situazione nel Mediterraneo e alla necessità di un approccio globale dell’UE in materia di migrazione.

8.2.

Nel 2017 occorrerà mettere in atto le condizioni necessarie per porre fine alle deroghe ai controlli alle frontiere stabilite dall’accordo di Schengen e per garantire lo Stato di diritto nella gestione dello spazio Schengen.

8.3.

È ragionevole supporre che il sistema comune di asilo proposto possa essere realizzato nel medio termine. Le iniziative legislative e politiche proposte dalla Commissione devono essere adottate rapidamente, nel rispetto dell’interesse generale dei richiedenti protezione internazionale e dello Stato di diritto in quanto espressione di una concreta solidarietà tra gli Stati membri.

8.4.

È quindi importante riesaminare la proposta concernente il reinsediamento, la ricollocazione e la protezione dei richiedenti asilo al fine di aprire vie legali e sicure per i richiedenti asilo.

8.5.

A questo proposito, il CESE desidera sottolineare che l’accordo tra l’UE e la Turchia non offre le garanzie necessarie per garantire il rispetto dei diritti fondamentali e degli obblighi internazionali dell’UE. Occorre un intervento deciso per ripristinare una collaborazione concreta con le autorità turche e dei paesi limitrofi, che svolgono un ruolo fondamentale per il mantenimento della sicurezza delle frontiere dell’UE.

8.6.

La politica in materia di migrazione necessita di risorse per l’integrazione dei migranti e dei profughi/rifugiati. Il CESE apprezza gli sforzi tesi a razionalizzare l’impiego delle risorse disponibili a titolo dei diversi fondi europei. Tali risorse devono essere tuttavia aumentate, in particolare nel quadro dell’FSE, per gli Stati membri più direttamente toccati dalla sfida dell’integrazione dei migranti o dei profughi/rifugiati.

8.7.

È fondamentale che i cittadini regolarmente soggiornanti in Europa siano coinvolti in attività di formazione e vengano aiutati ad accedere al mercato del lavoro e a inserirsi nella società in generale. Parimenti è essenziale affrontare il crescente fenomeno della xenofobia e del populismo, spesso riconducibile a flussi migratori consistenti. La dichiarazione congiunta dei partner economici e sociali europei (CES, Business Europe, CEEP, Ueapme e Eurochambres) e il lavoro svolto dalle organizzazioni della società civile e dagli attori dell’economia sociale indicano la via da seguire.

9.   Un ruolo più incisivo a livello mondiale

Garantire coesione interna nell’azione esterna

Cooperare con i paesi vicini e i partner strategici

9.1.

L’UE deve rafforzare la sua posizione di attore sulla scena mondiale per la pace e la stabilizzazione nelle zone di conflitto, nel quadro delle istituzioni internazionali e intervenendo in un modo più coeso. Per un’efficace azione esterna, devono essere adottate misure di intervento integrate tra la politica esterna e la politica interna della Commissione. Per poter svolgere un ruolo più incisivo a livello mondiale è altresì essenziale migliorare le relazioni e la cooperazione con i partner strategici.

9.2.

Il contributo dell’UE alla cooperazione e allo sviluppo dovrebbe dare priorità ai processi di democratizzazione nei paesi vicini. È richiesta un’azione concreta, sostenuta da investimenti correttamente pianificati e finanziati dall’UE di concerto con la Banca mondiale.

9.3.

Il dialogo con le organizzazioni della società civile e i contatti interpersonali dovrebbero essere adeguatamente integrati nell’azione esterna dell’UE. È essenziale sostenere l’avvio di un dialogo strutturato con le organizzazioni della società civile della regione al fine di valutare la politica europea di vicinato (PEV). Inoltre, il dialogo sociale dovrebbe diventare parte integrante dei programmi di cooperazione e sviluppo dell’UE.

9.4.

La valutazione della PEV dovrebbe costituire una priorità. Le relazioni con i paesi del Mediterraneo meridionale e orientale non dovrebbero essere incentrate su un approccio difensivo basato su aspetti relativi alla sicurezza o alla crisi dei profughi, ma dovrebbero invece dar vita a un’autentica politica di co-sviluppo tra partner di pari livello.

9.5.

Un’attenzione particolare dovrebbe essere riservata alle relazioni con la Russia, sviluppando altresì una diplomazia più attiva nei confronti di tale paese, soprattutto per quanto riguarda le relazioni nel settore dell’energia.

9.6.

Particolarmente importante sarà raggiungere e iniziare a attuare sia gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) sia gli obiettivi della COP21. Gli OSS in particolare devono orientare l’agenda dell’UE per lo sviluppo. L’UE deve valutare in modo proattivo i mezzi, in particolare a livello di bilancio, che saranno necessari per far fronte a tali sfide. Un quadro di governance adeguato dovrà garantire una forte partecipazione della società civile. Il CESE ribadisce la sua proposta di creare un Forum europeo a favore dello sviluppo sostenibile.

10.   Un’Unione di cambiamento democratico

Promuovere la cittadinanza attiva e la democrazia partecipativa

Garantire una maggiore apertura e trasparenza

Ampliare il dialogo civile e rafforzare il dialogo sociale

10.1.

Per affrontare le complesse sfide comuni che si presentano all’UE, è indispensabile mobilitare l’insieme dei settori e delle risorse per adottare soluzioni comuni. La società civile è fondamentale per portare avanti questa innovazione cruciale e il cambiamento richiede specificamente fiducia da parte dei cittadini. Gli attori della società civile devono quindi partecipare a parità di condizioni con altri soggetti interessati, in modo da garantire che i loro contributi siano pienamente valorizzati. Tutto questo richiede un cambiamento culturale ma anche la valorizzazione di una società civile forte e indipendente a livello di Stati membri e di UE.

10.2.

In tale contesto, il CESE ricorda alla Commissione l’invito a pubblicare un Libro verde su come il dialogo civile potrebbe essere organizzato in maniera efficace e su base permanente.

10.3.

Il CESE chiede inoltre nuovamente che i processi di consultazione con le parti interessate siano migliorati in termini di rappresentatività, accessibilità, trasparenza e riscontri.

10.4.

È necessario intervenire in merito alla proposta di rivedere il regolamento relativo all’iniziativa europea dei cittadini al fine di aumentarne l’efficacia.

10.5.

Il CESE continua a considerare il rafforzamento della democrazia partecipativa una priorità, con l’obiettivo di migliorare la resilienza democratica del processo decisionale dell’Unione europea. In questo scenario, il nuovo accordo interistituzionale Commissione-Consiglio-Parlamento dovrebbe permettere agli organi consultivi istituzionali come il CESE di esercitare maggiore influenza sulle proposte legislative nel quadro del processo decisionale.

10.6.

Il miglioramento della regolamentazione dovrebbe essere un metodo per garantire testi normativi più efficaci e più semplici, provvisti di obiettivi chiari e trasparenti. Si pensi alla proposta di un’impronta legislativa per monitorare più efficacemente l’evoluzione di un iter legislativo, rendendo possibile la partecipazione delle organizzazioni della società civile e un più forte coinvolgimento delle parti sociali nel processo legislativo, e assicurando che le loro esigenze e aspettative siano soddisfatte.

10.7.

La Commissione dovrebbe proseguire il programma REFIT, nell’ambito del quale il CESE dovrebbe svolgere un ruolo maggiore. Tale programma non dovrebbe comunque pregiudicare i diritti del lavoro e i diritti sociali né la protezione dell’ambiente e dei consumatori. Una normativa più efficiente, anche per le PMI, potrebbe risultare possibile grazie all’apertura e alla trasparenza dei processi di miglioramento della regolamentazione, che dovrebbero incoraggiare i beneficiari a proporre iniziative legislative dal basso verso l’alto e dovrebbero in particolare favorire un maggiore coinvolgimento degli attori della società civile.

10.8.

Nel marzo 2016 le parti sociali europee hanno presentato quattro posizioni comuni concernenti il rilancio del dialogo sociale, i profughi/rifugiati, le politiche industriali e la digitalizzazione. Tali posizioni devono essere ora integrate nel programma di lavoro della Commissione per il 2017 e promosse in quanto tali.

Bruxelles, 14 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


PARERI

Comitato economico e sociale europeo

518a sessione plenaria del CESE dei giorni 13 e 14 luglio 2016

21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/13


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’impatto sui settori industriali principali (e sull’occupazione e la crescita) dell’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato (ai fini degli strumenti di difesa commerciale)»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 389/02)

Relatore:

Andrés BARCELÓ DELGADO

Correlatore:

Gerald KREUZER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

L’impatto sui settori industriali principali (e sull’occupazione e la crescita) dell’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato (ai fini degli strumenti di difesa commerciale)

(parere d’iniziativa)

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, tenutasi il 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 14 luglio 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 194 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

È veramente difficile ammettere che la Cina operi oggi in condizioni di economia di mercato, dal momento che l’economia cinese non soddisfa quattro dei cinque criteri stabiliti dalla prassi consolidata della Commissione né rispecchia le condizioni fissate dal regolamento di base [regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio].

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che, malgrado le conclusioni diverse a cui si perviene a seconda delle fonti consultate, se l’UE non disporrà più degli strumenti idonei a garantire un commercio libero ed equo con la Cina, andranno perdute centinaia di migliaia di posti di lavoro — una cifra chiaramente inaccettabile.

1.3.

Le perdite sarebbero concentrate in determinati settori industriali (alluminio, biciclette, ceramica, elettrodi, ferroleghe, vetro, carta, pannelli solari, acciaio e pneumatici) e in aree geografiche specifiche, che subirebbero gravi impatti negativi: pertanto, si raccomandano ulteriori studi di tipo settoriale e geografico.

1.4.

I comparti interessati sono principalmente produttori o consumatori di beni intermedi; di conseguenza, è improbabile che i consumatori privati possano beneficiare della riduzione delle misure antidumping.

1.5.

I settori industriali che consumano prodotti oggetto di dumping trarrebbero vantaggio, a breve termine, dall’importazione di prodotti oggetto di sovvenzioni. Nel medio periodo, tuttavia, anche questi settori potrebbero essere a rischio, dal momento che la Cina oggi promuove anche settori a valle provvisti di valore aggiunto. L’insufficiente livello di conformità della Cina in materia di diritti di proprietà industriale in passato rappresenta anch’esso una minaccia in tal senso.

1.6.

Una volta perduti, è assai raro che i posti di lavoro nell’industria possano essere creati di nuovo. Se chi ha perso il posto riesce a trovare un nuovo lavoro, probabilmente riceverà un salario inferiore e si troverà in una posizione in cui le sue qualifiche non saranno considerate nel loro giusto valore. La sostituzione di posti di lavoro di qualità nell’industria con lavori scarsamente retribuiti e precari rischia inoltre di aumentare le disuguaglianze sociali in Europa.

1.7.

Pertanto, il CESE ritiene che il riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina metterebbe in serio pericolo l’assetto industriale dell’UE e la sua occupazione manifatturiera. Verrebbe pregiudicata la possibilità di consentire il rilancio dell’industria europea attraverso l’impiego di occupazione stabile e di alta qualità oltre che con l’introduzione e la diffusione di innovazione tecnologica e della ricerca e sviluppo — altrettanti fattori chiavi per assicurare una dinamica sostenibile del sistema economico e sociale europeo.

1.8.

In questo contesto, la concessione dello status di economia di mercato alla Cina comprometterebbe seriamente l’esistenza dei distretti industriali e dei sistemi locali produttivi di PMI caratterizzati da produzioni minacciate da pratiche concorrenziali scorrette da parte della Cina. Si correrebbe così il rischio di perdere specializzazioni produttive di PMI e un’occupazione artigianale ed altamente specializzata che rappresentano la spina dorsale dell’assetto manifatturiero europeo.

1.9.

Il CESE esorta la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio a promuovere una concorrenza equa a livello mondiale quale via da percorrere per una difesa attiva di questi posti di lavoro e dei valori della società europea, oltre che per incentivare il reddito e la ricchezza nell’Unione europea.

1.10.

La difesa dei posti di lavoro nell’UE e degli investimenti ad essi collegati non è ragionevole unicamente da una mera prospettiva economica, ma va anche a favore della sostenibilità sociale e ambientale. Delocalizzare le produzioni da stabilimenti di produzione in Europa molto efficienti in termini di impiego delle risorse e dell’energia verso un’economia cinese basata sul carbone rappresenterebbe una seria battuta d’arresto per il conseguimento dei nostri obiettivi in materia di cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile. Va anche sottolineato che il rispetto dei diritti umani e del lavoro in Cina rimane una questione difficile.

1.11.

L’azione di difesa dei nostri posti di lavoro dev’essere condotta nel rispetto del diritto europeo e dei trattati internazionali. Essa dovrebbe inoltre garantire l’adempimento di accordi da parte di terzi e tenere conto dei negoziati condotti con i nostri maggiori partner commerciali, come gli Stati Uniti. Strumenti di difesa commerciale efficaci servono a garantire un’equa concorrenza, e sono inoltre indispensabili per il futuro dell’industria europea e per sostenere l’obiettivo dell’UE di portare al 20 % la percentuale dell’industria nel PIL.

1.12.

Fin quando la Cina non soddisferà i cinque criteri fissati dall’UE per essere riconosciuta come economia di mercato, la Commissione europea dovrebbe utilizzare un metodo non standard per condurre le inchieste antidumping e antisovvenzioni sulle importazioni cinesi, in conformità delle rimanenti disposizioni della sezione 15 del Protocollo di adesione della Cina all’OMC.

1.13.

Mantenere le industrie nell’UE costituisce la base per lo sviluppo di solide reti di R&S (ricerca e sviluppo), le quali rivestono un’importanza cruciale per la crescita futura e per trovare soluzioni alle «grandi sfide sociali» dell’Europa (invecchiamento demografico, energia, clima, assistenza sanitaria e mobilità).

1.14.

Le piccole e medie imprese (PMI) non dispongono delle risorse necessarie per avviare dei procedimenti antidumping né per offrire una piena collaborazione alla Commissione nel quadro delle inchieste antidumping. Il CESE invita ad adottare un approccio semplificato per quei settori in cui la partecipazione delle PMI ha una sua rilevanza.

1.15.

Il presente parere, che riconosce l’importanza strategica di questa problematica, rappresenta l’inizio, e non la fine, dell’impegno del CESE sull’argomento. Il Comitato intende definire un impegno permanente in materia e propone di dare vita ad un proprio progetto sullo status di economia di mercato della Cina, che dovrebbe consentirgli di seguire tutti gli sviluppi della questione per conto della società civile. Si dovrebbero assegnare risorse sufficienti e idonee allo svolgimento di questo particolare compito.

2.   Introduzione

2.1.

Conformemente alle norme dell’OMC, un paese può imporre, oltre alle tariffe doganali, dei dazi antidumping su prodotti provenienti da paesi terzi qualora, al termine di un’indagine, sia dimostrato che tali prodotti entrano nel paese in questione a prezzi inferiori a quelli praticati sul suo mercato interno, arrecando pertanto un pregiudizio all’industria nazionale. Quando la Cina è diventata membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel dicembre 2001, un regime transitorio relativo alla sua adesione le ha consentito di essere considerata un’economia non di mercato nell’ambito dei procedimenti antidumping, nel caso in cui le imprese cinesi non potessero dimostrare di operare conformemente ai principi del libero mercato. L’attuale status di economia non di mercato di cui beneficia offre alla Cina la possibilità di ricorrere ai prezzi di un paese «analogo» invece dei prezzi applicati sul suo mercato interno (prezzi che nelle economie non di mercato sono artificialmente bassi a causa dell’intervento statale) per calcolare il margine di dumping. Il ricorso a metodologie relative all’economia non di mercato è descritto nella sezione 15 del Protocollo di adesione della Cina all’OMC, ma le disposizioni della sezione 15, lettera a), punto ii), del protocollo verranno a scadere nel dicembre 2016. Il fatto che tali disposizioni vengano a scadere a quella data obbligherà la Commissione a modificare il metodo utilizzato nei procedimenti antidumping per determinare la comparabilità dei prezzi.

2.2.

Il presente parere del CESE esamina in particolare gli effetti sull’industria e l’occupazione nell’UE che risulterebbero dall’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato e dall’eventuale modifica del metodo utilizzato per gli strumenti di difesa commerciale, a prescindere dagli aspetti giuridici del dibattito in merito, dal momento che il Comitato considera tale questione della massima importanza per l’industria dell’UE e i posti di lavoro nei vari settori industriali europei.

2.3.

Il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza una risoluzione in cui chiede l’applicazione di un metodo non standard che sia conforme al Protocollo di adesione della Cina all’OMC, pur mantenendo la possibilità di creare effettivamente un quadro per un commercio libero ed equo.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Per quanto concerne l’economia, il CESE formula le seguenti osservazioni:

3.2.

Negli ultimi 15 anni la Cina ha registrato una crescita senza precedenti, che ha modificato la configurazione dell’industria e del commercio a livello mondiale. Il modello di crescita cinese si è basato sugli investimenti, un’attività, questa, che rappresentava il 46 % del suo PIL nel 2015, secondo i dati del Fondo monetario internazionale (FMI) — una cifra superiore alla quota di investimenti registrata in altre economie industrializzate quali l’UE (19 %) e gli Stati Uniti (20 %).

3.3.

L’ampiezza e la velocità delle trasformazioni sono dovute in larga misura all’intervento dello Stato. Il CESE riconosce che la Cina non è un’economia di mercato in base alla definizione di questo concetto a cui si attiene l’UE, e il consenso su questo punto è generale anche al di fuori della nostra istituzione. Come si legge in una recente relazione della Banca mondiale, «lo Stato è intervenuto ampiamente e direttamente nell’assegnazione delle risorse tramite un controllo amministrativo e dei prezzi, garanzie, orientamenti in materia di credito e una proprietà diffusa delle istituzioni finanziarie (1), oltre che con politiche regolamentari».

3.4.

Lo sviluppo della Cina è segnato da un gran numero di eccessi. Il paese ha registrato un consumo di cemento pari a 6,6 miliardi di tonnellate tra il 2011 e il 2013, vale a dire più del consumo degli Stati Uniti in tutto il XX secolo (4,4 miliardi di tonnellate). Questo significa che, nello spazio di tre anni, la Cina ha utilizzato lo stesso quantitativo di cemento che è stato necessario per costruire in tutti gli Stati Uniti nell’arco di un secolo. A parte l’impiego inefficiente delle risorse, si è sviluppata un’enorme capacità industriale per produrre un così ingente quantitativo di materiali in un periodo tanto breve.

3.5.

La Cina ha iniziato a cambiare il proprio modello economico orientandolo verso maggiori consumi e una crescita imperniata sui servizi. L’economia cinese deve far fronte ad una recessione, il che implica che una quota significativa della produzione dell’industria pesante cinese non troverà acquirenti in Cina.

3.6.

Secondo la Camera di commercio europea in Cina, si può già riscontrare un considerevole eccesso di capacità per prodotti o settori quali l’acciaio grezzo, l’alluminio, il cemento, i prodotti chimici, la cantieristica navale, la raffinazione, il vetro piano, la carta e il cartone. Il governo cinese ne è consapevole e ha deciso una riduzione della capacità di produzione di acciaio grezzo compresa tra 100 e 150 milioni di tonnellate entro il 2020 (2), nonché una riduzione della produzione di carbone di 500 milioni di tonnellate nello stesso periodo (3).

3.7.

A prescindere da questi obiettivi che le autorità cinesi si sono prefissi, la riduzione della capacità totale è un compito che richiederà tempi lunghi. Le fabbriche chiuse negli ultimi dieci anni sono state sostituite da stabilimenti moderni con una produttività più elevata, e il problema dell’eccesso di capacità si è andato sempre più aggravando. La domanda di beni intermedi proveniente dalle famiglie non potrà mai sostituirsi a quella dell’industria.

3.8.

L’UE è riuscita a risolvere questo problema negli Anni 80 e 90 del secolo scorso solo al termine di un processo lungo e faticoso, e anche nel caso della Cina non sarà possibile trovare una soluzione in tempi brevi.

3.9.

Di conseguenza, l’eccesso di capacità combinato alla debolezza della domanda interna sta determinando una produzione in eccesso, che cerca poi di trovare degli sbocchi sui mercati internazionali.

3.10.

Il CESE mette in rilievo i dati sulle esportazioni cinesi.

3.10.1.

Secondo i dati dell’OMC, la Cina è il principale esportatore di prodotti manufatti al mondo, con una quota del 18 %, che dal 2010 ad oggi è aumentata del 20 %. Nel 2014 le esportazioni cinesi hanno registrato una crescita del 6 %, mentre quelle dal resto del mondo sono aumentate del 3,5 %. Se prendiamo in considerazione il periodo 2010-2014, l’incremento delle esportazioni dalla Cina è stato del 49 %, vale a dire il doppio della percentuale di crescita delle esportazioni dal resto del mondo.

3.10.2.

In base ai dati dell’Istituto nazionale di statistica cinese, i prodotti che nel 2014 hanno registrato il maggiore tasso di crescita sono lo zinco e le leghe di zinco (+2 360 %), il cotone (+ 100 %), il coke (+ 82 %), i diodi e gli altri semiconduttori (+ 61 %) e l’acciaio laminato (+ 50 %). Dal 2010 le esportazioni di cotone, di acciaio laminato e di diodi e altri semiconduttori sono raddoppiate, mentre il volume delle vendite di coke, zinco e leghe di zinco è triplicato.

3.10.3.

Questa tendenza alla crescita delle esportazioni dovrebbe proseguire nei prossimi anni, dal momento che le previsioni indicano una contrazione della domanda interna in Cina. Se gli strumenti di difesa commerciale messi in campo dall’Europa si riveleranno nettamente meno efficaci di quelli dei nostri partner commerciali, le esportazioni che la Cina realizza attualmente verso l’area dell’Accordo di libero scambio nordamericano (North American Free Trade Agreement — NAFTA) o il Giappone potrebbero essere dirottate verso l’UE.

3.10.4.

Questo modello di crescita trainata dalle esportazioni ha determinato oggi un forte disavanzo — pari a 137 miliardi di euro (48,8 miliardi di euro nel 2000) — della bilancia commerciale dell’UE nel settore del commercio di beni, con le importazioni dell’UE dalla Cina due volte superiori rispetto alle esportazioni dell’Unione verso questo stesso paese.

3.10.5.

È in questo contesto che la Cina ha avviato l’iniziativa «One Belt One Road» (OBOR, ossia la «Nuova via della seta») volta a realizzare un’attività di infrastrutturazione di trasporto (ferroviario-autostradale e marittimo) dell’area euroasiatica, con l’obiettivo principale di far accedere ai mercati euroasiatici coinvolti nell’iniziativa le proprie aziende in condizioni di non concorrenzialità e di utilizzare questi ultimi come mercati di sbocco per i settori in sovrapproduzione. La concessione alla Cina dello status di economia di mercato rappresenterebbe un rischio considerevole per le aziende europee degli Stati membri dell’UE coinvolti nell’iniziativa OBOR.

3.11.

Dati relativi alle pratiche di dumping

3.11.1.

La Cina ha, in parte, ottenuto il netto aumento delle esportazioni sopra descritto grazie a pratiche sleali, come dimostrano i numerosi procedimenti antidumping avviati nei suoi confronti ai sensi delle norme dell’OMC.

3.11.2.

La Cina è il paese più colpito da misure antidumping: è stata infatti oggetto del 34 % delle inchieste di difesa commerciale che hanno portato all’imposizione di 667 misure. Nel solo 2015 erano in vigore o erano state avviate nei confronti della Cina ben 76 misure antidumping.

3.11.3.

Il 67 % delle misure antidumping adottate nei confronti della Cina riguardava settori industriali quali quelli dei prodotti tessili e dell’abbigliamento, della ceramica e del vetro, dei metalli comuni, delle materie plastiche, dei macchinari, delle apparecchiature elettriche e della petrolchimica. Lo scorso anno il 79 % delle misure imposte nei confronti della Cina si concentrava in questi settori.

3.11.4.

Benché l’UE sia uno dei protagonisti più attivi nell’arena del commercio mondiale, di cui rappresenta il 15,8 % del totale, nei confronti della regione formata dai 28 Stati membri sono state adottate solamente 133 misure antidumping, pari al 7 % dei procedimenti antidumping nel mondo. Al confronto, la Cina costituisce l’oggetto del 47 % di tali misure, e nel solo 2015 è stata sanzionata in tre procedimenti.

4.   Osservazioni specifiche riguardo alle perdite di posti di lavoro in Europa

4.1.    Settori direttamente colpiti

4.1.1.

Dal punto di vista puramente teorico, la concessione alla Cina dello status di economia di mercato avrebbe degli effetti negativi per l’Unione europea in termini di benessere generale. La liberalizzazione degli scambi è di fondamentale importanza per l’UE: essa ha effetti di rete positivi, benché vi siano sempre dei settori su cui il processo di liberalizzazione incide negativamente peggiorandone la situazione.

4.1.2.

Nel caso in esame, tuttavia, il CESE sottolinea che non si tratta di un processo negoziale che preveda lo smantellamento di barriere da entrambe le parti al negoziato. In cambio della concessione dello status di economia di mercato la Cina non darebbe nulla in contropartita, mentre l’UE ridurrebbe unilateralmente la propria capacità di compensare la distorsione della concorrenza causata dal sostegno sleale fornito dal governo centrale e dalle autorità locali cinesi.

4.1.3.

Il CESE constata che i posti di lavoro nell’industria sono già stati delocalizzati. Nel periodo 2000-2014 le industrie europee hanno registrato una perdita di 6,7 milioni di lavoratori, ossia il 12 % del totale di 56,3 milioni di lavoratori all’inizio del periodo considerato. Nell’arco dello stesso periodo l’indice del volume delle importazioni è aumentato del 144 %. Secondo i risultati di ricerche condotte negli Stati Uniti, paese con un settore industriale ben più ridotto di quello dell’UE, tra il 1999 e il 2011 si è registrata una perdita di circa 985 000 posti di lavoro nell’industria a causa di una maggiore penetrazione delle importazioni cinesi (4).

4.1.4.

Non sono solo le industrie di base ad aver perso posti di lavoro, ma anche quelle innovative: ad esempio, è del tutto scomparsa una certa industria all’avanguardia nel settore della telefonia mobile. In un settore essenziale per il nostro futuro come quello dei pannelli fotovoltaici, tra il 2010 e il 2012 34 produttori hanno presentato una domanda di apertura di un procedimento d’insolvenza, due hanno abbandonato l’attività nel campo dell’energia solare, cinque hanno cessato, parzialmente o totalmente, la produzione e, infine, tre sono stati rilevati da investitori cinesi (5).

4.1.5.

Sono particolarmente a rischio taluni comparti industriali che hanno un’importanza strategica nei piani quinquennali della Cina: le produzioni di alluminio, biciclette, ceramica, vetro, componenti per autoveicoli, carta e acciaio.

4.1.6.

Varie istituzioni hanno condotto delle valutazioni d’impatto sull’eventuale concessione alla Cina dello status di economia di mercato. La Commissione europea ha fatto realizzare uno studio che, tuttavia, non è ancora pubblicato, cosicché il CESE non è in grado di analizzare la posizione assunta da questa istituzione dell’UE su questo tema della massima urgenza.

4.1.7.

Secondo il think tank statunitense Economic Policy Institute (EPI), il pregiudizio derivante dalla concessione alla Cina dello status di economia di mercato è valutabile in una cifra compresa tra 1,7 e 3,5 milioni di posti di lavoro a rischio nell’UE. Questa stima si basa su un modello input-output che prende in considerazione le perdite dirette (settori direttamente colpiti da un aumento delle importazioni), le perdite indirette (industrie fornitrici e di trasformazione per i settori direttamente colpiti) e le perdite in termini di reinvestimenti (dovute alla riduzione del reddito delle famiglie e delle spese). L’inconveniente principale dello studio dell’EPI è che tiene conto degli effetti di tutte le importazioni dalla Cina, anche in settori su cui esse in realtà sono ben lungi dall’avere un’incidenza.

4.1.8.

Se si prendono in considerazione unicamente le industrie che registrano delle misure antidumping, le perdite dirette e indirette di posti di lavoro sono comprese tra 0,5 e 0,9 milioni. Sempre secondo lo studio, l’occupazione diretta totale generata dalle industrie esposte a forti e improvvisi incrementi delle importazioni oggetto di dumping è di 2,7 milioni di posti di lavoro.

4.1.9.

Lo studio non calcola tuttavia gli effetti in termini di reinvestimenti in questi soli settori. Il dato che emerge dalla relazione dell’EPI è che i posti di lavoro a rischio nei settori interessati dalle pratiche antidumping rappresentano il 60 % dell’occupazione totale nelle industrie manifatturiere. Applicando la stessa proporzione agli effetti indiretti e a quelli in termini di reinvestimenti, le perdite di posti di lavoro potrebbero salire ad una cifra compresa tra 1,1 e 2,1 milioni.

4.1.10.

Una seconda relazione riprende le conclusioni di tre studi, commissionati dalle associazioni dei produttori siderurgici dell’area del NAFTA, relativi ai probabili effetti economici che avrebbe la concessione dello status di economia di mercato alla Cina sui paesi appartenenti a tale area. La relazione conclude che, se i tre paesi del NAFTA riconoscessero alla Cina lo status di economia di mercato, la domanda di manodopera diminuirebbe di un importo compreso tra 15 e 32 miliardi di USD, e gran parte di tale diminuzione si registrerebbe negli Stati Uniti. Secondo le stime, questo si tradurrebbe in una perdita di posti di lavoro compresa tra 0,4 e 0,6 milioni.

4.1.11.

Entrambi gli studi citati si basano su modelli macroeconomici di equilibrio generale. Tuttavia, se studi di questo tipo venissero realizzati separatamente su grandi aree economiche come l’UE e l’area del NAFTA, il CESE è convinto che la concessione unilaterale dello status di economia di mercato alla Cina sarebbe quasi certamente all’origine di una perdita diretta di prosperità nella misura di, come minimo, centinaia di migliaia di posti di lavoro perduti, e anzi, le perdite si avvicinerebbero probabilmente al milione — un milione di persone che dovrebbero trovare delle alternative per il proprio sostentamento.

4.1.12.

Per poter valutare la probabilità che tali perdite si verifichino effettivamente, il CESE richiama l’attenzione su alcune importanti conseguenze:

le pratiche di dumping sulle importazioni non si verificano solamente per i prodotti che sono attualmente oggetto di misure antidumping. Sono al vaglio ulteriori misure, da parte della Commissione europea o dei produttori. Si osserva inoltre un effetto negativo a catena tra i prodotti: dopo che è stata imposta una misura antidumping su un determinato prodotto, è probabile che gli esportatori che ne vengono colpiti orientino la loro attività di esportazione verso prodotti non contemplati da tale misura,

gli effetti del basso livello dei prezzi dovuto alle importazioni oggetto di dumping su altri prodotti dello stesso settore,

una volta perdute, le capacità manifatturiere non verranno ripristinate, proprio come verrà meno anche l’intero ecosistema che gravita intorno a un determinato comparto industriale.

4.1.13.

Per quanto riguarda la dimensione geografica, il CESE ribadisce che i posti di lavoro che rischiano di andare perduti non sono uniformemente distribuiti sotto il profilo geografico. La concentrazione delle perdite di posti di lavoro in talune aree può determinare situazioni critiche in queste zone, anche se altre regioni dell’Unione potrebbero invece non dover subire conseguenze gravi. I paesi più colpiti potrebbero perdere fino al 2,7 % della loro manodopera.

4.1.14.

Molto spesso sono stabilimenti industriali di grandi dimensioni e fortemente legati al tessuto economico e industriale dei territori in cui sono situati ad offrire questi posti di lavoro. Recentemente si sono registrate perdite considerevoli in settori come quello siderurgico, nel quale migliaia di posti di lavoro dipendono da un’unica azienda, con conseguenti drammatiche ripercussioni sociali sulle comunità in cui sono situati questi impianti.

4.1.15.

Il CESE insiste inoltre sulla qualità dei posti di lavoro nell’industria: quelli delle industrie manifatturiere sono mediamente più stabili e meglio retribuiti rispetto ai posti di lavoro di altri settori dell’economia. La Commissione europea sottolineava nel 2014 (6) che la retribuzione mensile dei lavoratori del manifatturiero è superiore del 5 % rispetto alla media generale dell’UE. Negli Stati Uniti il salario settimanale nell’industria manifatturiera è maggiorato dell’8 % rispetto a quello dei lavoratori nei settori non manifatturieri. Tale retribuzione più elevata è il risultato di una maggiore produttività.

4.1.16.

L’industria offre posti di lavoro di qualità a lavoratori qualificati ma anche poco qualificati, che avrebbero grandi difficoltà a trovare un altro posto alle stesse condizioni lavorative. Il ruolo sempre più ridotto dell’industria contribuisce, di per sé, alle disuguaglianze sociali in Europa.

4.1.17.

Secondo l’indagine sulle condizioni di lavoro condotta da Eurofound (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), il lavoro a tempo parziale è molto meno diffuso nel settore manifatturiero (12 %) rispetto alla media dell’UE a 28 (24 %). Inoltre, nel settore manifatturiero l’orario di lavoro tende ad essere più regolare e gli orari atipici sono assai meno diffusi rispetto all’economia dell’UE nel suo complesso (7).

4.1.18.

Il CESE vorrebbe poi evitare il rischio che la concessione alla Cina dello status di economia di mercato pregiudicasse l’ecosistema della conoscenza: il manifatturiero è il settore in cui si osserva, ben più che in tutti gli altri, la maggiore domanda di attività di R&S (ricerca e sviluppo), e vi è una crescente tendenza ad avvalersi della R&S realizzata da società di servizi incentrate sull’innovazione (8). Secondo uno studio realizzato dall’ECSIP Consortium, il contenuto medio in servizi dei beni manufatti prodotti nell’UE sfiora il 40 % del valore totale dei prodotti finiti ottenuti. La maggior parte di tali servizi sono servizi di distribuzione (15 %), trasporto e comunicazione (8 %) nonché servizi alle imprese, questi ultimi in percentuale compresa tra meno del 10 % e ben il 20 % e anche più nei vari Stati membri dell’UE. La categoria dei servizi alle imprese comprende servizi quali R&S, pubblicità e ricerche di mercato, attività di ingegneria e servizi di TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione).

4.1.19.

Il CESE ha già predisposto dei pareri sull’importanza di promuovere standard normativi più elevati in materia di proprietà intellettuale, a causa della mancata conformità agli standard da parte di alcuni paesi. Questo aspetto non andrebbe dimenticato al momento dell’elaborazione della politica commerciale dell’UE.

4.2.    Settori non direttamente interessati dagli strumenti di difesa commerciale

4.2.1.

Una valutazione dell’impatto della concessione unilaterale alla Cina dello status di economia di mercato deve prendere in considerazione anche i potenziali vantaggi che ne deriverebbero in altri settori, in particolare per i consumatori di prodotti per i quali la Cina vanta attualmente — o ha in previsione nei suoi piani economici — una forte attività manifatturiera.

4.2.2.

Molte delle industrie che hanno subito finora degli effetti negativi sono produttrici di beni intermedi, vale a dire di beni che vengono trasformati e assemblati in prodotti finiti.

4.2.3.

La produzione industriale mondiale non ha ancora recuperato i livelli precedenti la crisi finanziaria. Di conseguenza, dato che si registra tuttora una notevole eccedenza di capacità industriale, gli acquirenti di prodotti cinesi oggetto di misure antidumping sarebbero in grado di rifornirsi da paesi terzi senza una perdita significativa di competitività.

4.2.4.

Se la Cina è autorizzata ad accrescere la sua quota di mercato con pratiche sleali e a creare un vantaggio oligopolistico, non c’è dubbio che, in seguito, trarrà profitto da questa situazione per aumentare di nuovo i prezzi, il che avrà delle ripercussioni negative sulle industrie consumatrici dell’UE. Oggi la Cina agisce già in questo modo per incentivare le proprie industrie locali. Il Parlamento europeo (9) presenta elementi di prova in merito a misure restrittive del commercio di risorse naturali che potrebbero costituire una violazione delle norme dell’OMC. Nel 2009 la Cina ha adottato un piano di sviluppo per le terre rare per il periodo 2009-2015 che impone contingenti alle esportazioni, fissate a 35 000 tonnellate annue. L’anno seguente, i prezzi delle terre rare cinesi sono triplicati. Un altro esempio è riscontrabile nel mercato dell’elettronica, in cui la Cina impone tasse più elevate sull’esportazione di componenti che non su quella di prodotti finiti, al fine di proteggere la propria industria locale dell’assemblaggio di dispositivi elettronici.

4.2.5.

Questi esempi dimostrano che la strategia cinese promuove le industrie a più alto contenuto di valore aggiunto. Se non avessero la possibilità di intentare dei procedimenti antidumping, settori come quello delle apparecchiature o l’industria automobilistica finirebbero anch’essi per essere esposti ad una concorrenza sleale. Inoltre, la Cina in passato ha violato in diverse occasioni i diritti di proprietà intellettuale, perciò persino i brevetti non sarebbero di grande utilità per riuscire a mantenere industrie innovative entro i confini dell’UE.

4.2.6.

A lungo termine, la concessione alla Cina dello status di economia di mercato arrecherebbe un danno all’intera catena del valore industriale a causa degli effetti negativi sull’innovazione. Nell’UE è ampiamente diffusa la convinzione che l’innovazione sia l’unico strumento di cui dispongono le nostre società in Europa per competere con chi ci fa concorrenza unicamente sul piano dei costi. Tuttavia, è ormai finita l’epoca in cui l’innovazione era frutto degli sforzi di laboratori isolati. Da un’indagine della società di servizi e consulenza KPMG emerge invece che l’85 % degli intervistati, esponenti dell’industria dei metalli a livello mondiale, ritiene che saranno i partenariati a plasmare il futuro dell’innovazione per la loro organizzazione. Oltre tre quarti dei partecipanti all’indagine dichiarano di avere già dato vita a modelli aziendali più collaborativi con fornitori e clienti. È quindi impossibile immaginare che le industrie innovative del futuro non facciano parte di reti della conoscenza.

4.3.    Reddito dell’UE

4.3.1.

Nel lungo periodo, e a prescindere dall’andamento nei singoli settori, la ricchezza nell’UE potrà registrare una crescita duratura solo grazie ad un robusto sviluppo del reddito disponibile. Le attuali politiche della Commissione a favore dell’occupazione e degli investimenti ne sono consapevoli e dovrebbero essere prese in considerazione al momento di adottare le decisioni tese ad affrontare questo problema.

Bruxelles, 14 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Banca mondiale, China Economic Update (“Aggiornamento sull’economia cinese”), giugno 2015.

(2)  Curb to be placed on metal overcapacity («Saranno operate riduzioni dell’eccesso di capacità nel settore siderurgico»), English.gov.cn, febbraio 2016.

(3)  Coal capacity guideline issued («Emanata una direttiva sulla capacità di produzione di carbone»), English.gov.cn, febbraio 2016.

(4)  Per un equilibrio negli scambi commerciali tra l’UE e la Cina, Position Paper (documento di sintesi) del gruppo dell’Alleanza progressista dei Socialisti & Democratici al Parlamento europeo, marzo 2016.

(5)  Concorrenza leale — Situazione allarmante per le aziende europee del solare, EuProSun.

(6)  Indagini europee sulle condizioni di lavoro (European Working Conditions Surveys — EWCS).

(7)  ECSIP Consortium, 2014.

(8)  Direzione generale delle Politiche esterne, Parlamento europeo, 2016.

(9)  Direzione generale delle Politiche esterne, Parlamento europeo, Bruxelles, 2015.


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Costruire una coalizione della società civile e degli enti subnazionali per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi»

(parere d'iniziativa)

(2016/C 389/03)

Relatore:

Lutz RIBBE

Correlatrice:

Isabel CAÑO AGUILAR

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Costruire una coalizione della società civile e degli enti subnazionali per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi

(parere d'iniziativa)

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 183 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore le decisioni della COP 21 di Parigi e ravvisa in esse un punto di svolta importante ai fini di una lotta efficace contro i cambiamenti climatici.

1.2.

Permangono tuttavia due gravi problemi: in primo luogo, gli obiettivi di riduzione delle emissioni presentati dai singoli Stati membri (INDCs) non corrispondono ai risultati della COP 21; in secondo luogo, malgrado alcuni piccoli progressi, l’importanza del ruolo della società civile non è stata sufficientemente considerata.

1.3.

Oggi gli attori della società civile devono far fronte a notevoli ostacoli quando vogliono intraprendere e attuare misure in materia di cambiamenti climatici. In gran parte ciò è riconducibile al fatto che la politica non riconosce il grande potenziale che l’azione della società civile racchiude per la protezione del clima. Finora, infatti, i responsabili politici non hanno mostrato sufficiente interesse riguardo alle strategie di protezione del clima progettate dagli attori della società civile, alle esigenze di tali attori ed al sostegno di cui questi hanno bisogno. In certi casi, anzi, i requisiti normativi impediscono sistematicamente ogni iniziativa di protezione del clima da parte della società civile.

1.4.

Accade fin troppo spesso che gli attori della società civile non possano contare su un quadro di riferimento operativo che consenta loro di mettere in atto i loro piani di «protezione del clima dal basso»; e ciò per i motivi anzidetti, ma anche a causa del fatto che tali attori non riescono a trovare finanziamenti per i loro progetti, benché in realtà per i relativi investimenti siano quasi sempre disponibili risorse sufficienti.

1.5.

Il CESE propone pertanto, per dare una risposta immediata alle decisioni adottate a Parigi, di stabilire un’alleanza tra politica, pubblica amministrazione e società civile, un’alleanza — o, più precisamente, una coalizione — la cui funzione deve essere quella di ridurre al minimo gli ostacoli frapposti alle iniziative di protezione del clima della società civile:

promuovendo la protezione del clima «dal basso» e rilanciando il principio «pensare globale, agire locale»;

coprendo l’ampio spettro delle possibili strategie di protezione del clima da parte della società civile, considerate l’eterogeneità e la molteplicità dei suoi attori;

sviluppando una governance multilivello che agevoli, anziché ostacolare, la protezione del clima da parte della società civile.

1.6.

Le azioni della suddetta coalizione devono aver luogo a diversi livelli di intervento. Si tratta, in sostanza, di assolvere cinque compiti:

1)

far comprendere quali politiche di protezione del clima gli attori della società civile vogliono, possono, potrebbero o dovrebbero attuare, e ciò soprattutto a livello locale e regionale;

2)

individuare e superare gli ostacoli strutturali;

3)

diffondere in tutta Europa gli esempi di buone pratiche;

4)

individuare le condizioni e i fattori per il successo, in primo luogo a livello nazionale;

5)

sviluppare un quadro strategico per un’attuazione efficace della protezione del clima da parte della società civile, a tutti i livelli.

1.7.

Per assolvere questi cinque compiti, è necessario un dialogo strutturato, ma aperto, all’interno della coalizione, la quale deve rappresentare in tal senso un vero e proprio forum di discussione. È quindi importante che i partecipanti rispecchino l’eterogeneità della società civile e sviluppino una cultura dell’apertura, della creatività e della collaborazione. Il forum di discussione dovrebbe garantire che il quadro politico da sviluppare sostenga effettivamente l’azione climatica della società civile.

1.8.

Affinché la coalizione possa svolgere i suoi compiti, è necessario un supporto amministrativo, con il cui ausilio

coinvolgere quanti più attori della società civile possibile,

condurre una ricerca sistematica e un’analisi del successo — o dell’insuccesso — delle azioni climatiche della società civile programmate e già realizzate, sulla cui base delineare un modello di approccio operativo per ciascun tipo di attore, e

concepire e attuare misure per diffondere tale modello in tutta Europa.

1.9.

Grazie a questa alleanza tra politica e società civile dovrebbe poi essere raggiunto un ulteriore obiettivo sostenuto dal CESE: il necessario cambiamento del mondo del lavoro in direzione dell’equità e della sostenibilità, con la partecipazione strutturale delle organizzazioni sindacali.

2.   Contesto del parere

2.1.

I risultati della COP 21 di Parigi rappresentano un importante punto di svolta per i negoziati sulla protezione del clima, perché si tratta del primo accordo internazionale giuridicamente vincolante con cui tutti gli Stati firmatari, senza alcuna eccezione, si impegnano ad affrontare attivamente i cambiamenti climatici riconosciuti come rischiosi.

2.2.

La comunità internazionale si è impegnata congiuntamente a mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi e, se possibile, persino al di sotto di 1 grado centigrado e mezzo.

2.3.

L’accordo di Parigi, inoltre, contiene un’altra indicazione d’intervento importante e concreta, ossia quella di raggiungere, nella seconda metà di questo secolo, la neutralità globale rispetto ai gas a effetto serra.

2.4.

Il CESE ha accolto con favore questi risultati (1), ma al riguardo ha anche ravvisato due gravi problemi:

2.4.1.

In primo luogo, gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni presentati dagli Stati membri (INDC) non coincidono con i risultati della COP: attuando tali obiettivi, infatti, non si limiterebbe il riscaldamento globale a 2 gradi centigradi, ma lo si lascerebbe salire a 2,5, quando non addirittura a oltre 3 gradi.

2.4.2.

In secondo luogo, non si tiene sufficientemente conto dell’importanza della società civile. Se è vero che, rispetto al passato, sono stati compiuti alcuni progressi in termini di trasparenza e di partecipazione, tuttavia il vero ruolo della società civile nella politica in materia di clima non è ancora sufficientemente compreso: non sono i negoziatori della COP, ma è la società civile a dover tradurre in pratica e dare sostanza concreta alle conclusioni della COP di Parigi.

2.5.

Ad oggi non è disponibile o riconoscibile alcuna strategia che preveda il ricorso alla società civile come partner strategico per l’attuazione delle decisioni della COP. Ciò vale anche per il livello dell’Unione europea, la cui politica climatica deve perciò poggiare, oltre che sulla «diplomazia del clima», anche su un secondo pilastro: quello consistente nel comprendere e rafforzare il ruolo della società civile, e nel rendere più agevole, per i molteplici e svariati attori di questa, progettare e attuare strategie di azione per la protezione del clima nello specifico ambito in cui essi operano.

«Azioni dal basso» per il successo della lotta ai cambiamenti climatici

2.6.

La politica climatica non può e non deve essere soltanto imposta «dall’alto»: essa raggiungerà gli obiettivi prefissati soltanto basandosi su un ampio consenso e sulla partecipazione attiva della maggior parte delle imprese, degli enti locali e regionali e dei cittadini. Di conseguenza, se non viene attuata in via prioritaria «dal basso», tale politica è destinata a fallire.

2.7.

In passato, infatti, nella politica in materia di sostenibilità e di clima, risultati significativi sono stati raggiunti proprio grazie ai rappresentanti della società civile (categoria che dovrebbe comprendere espressamente anche i «semplici» cittadini in quanto tali), i quali non si sono limitati a reagire agli orientamenti politici o a considerarsi come uno «strumento di attuazione», ma hanno scelto di intervenire fungendo da pionieri del cambiamento e realizzando così, nei limiti delle loro possibilità, progressi di fondamentale importanza, oltre ad esercitare una pressione politica. Ciò vale sia sul piano tecnologico che su quello economico, ma in primo luogo sul piano sociale (in termini di accettazione sociale di queste tecnologie, e soprattutto di generalizzazione del cambiamento — apprendimento sociale e «apprendimento dalla comunità»).

2.8.

Mentre, ad esempio, finora la produzione e la politica energetiche, corresponsabili del cambiamento climatico, sono state perlopiù orientate ai vettori energetici finali e a grandi strutture centralizzate con pochi attori, e la società civile è stata perlopiù trattata solo come «consumatore», in futuro l’azione per il clima sarà assai più decentrata e richiederà l’impegno di tutti. Non vi è dubbio che una disponibilità in tal senso esista già: adesso si tratta di impiegarla e promuoverla in maniera coerente.

2.9.

Le azioni della società civile, da tenere già oggi sotto osservazione, racchiudono un enorme potenziale di innovazione, che scaturisce dalle idee, dall’impatto e dallo spirito d’iniziativa di città, comuni e altri enti locali, grandi imprese e sindacati ma anche di singoli o di piccole entità (privati cittadini, agricoltori, cooperative, PMI ecc.).

2.10.

Queste azioni, oggi, sono molto spesso svincolate dalle organizzazioni ed incentrate in maniera assai concreta su progetti specifici. E ciò fa sì che esse si contraddistinguano per la loro particolare dinamica sociale, ma significa anche che, se tali iniziative falliscono, i costi del fallimento sono interamente a carico di coloro che le hanno intraprese. Questo non comporta solo rischi finanziari. Perché le azioni della società civile non richiedono solo denaro, ma anche motivazione e impegno, e richiedono tempo. Deve perciò «valerne la pena» (e ciò non solo in senso economico), e il rischio di un insuccesso deve essere gestibile. Al riguardo i responsabili politici europei e nazionali sono chiamati a creare un quadro quanto più ampio possibile e molto aperto per le attività della società civile.

Ostacoli da superare sulla strada dell’impegno della società civile

2.11.

Nell’Unione europea vi sono già numerose storie di successo che dimostrano quanto sia importante ed efficace l’impegno degli attori della società civile per la protezione del clima, eppure tali esempi non sono mai stati raccolti e valutati sistematicamente. Non vi è alcun dibattito sugli insegnamenti politici che si possono trarre da queste molteplici e diverse iniziative, sugli ostacoli da eliminare per renderle ancora più efficaci e per diffonderle, oppure sui motivi per cui esse falliscono.

2.12.

Inoltre, non esistono né sistemi di incentivazione validi che rendano possibile il rifinanziamento del capitale investito, né meccanismi che trasmettano i segnali auspicati agli attori non statali che non siano grandi imprese industriali. Oggi, anzi, in Europa si può constatare persino una tendenza contraria: spesso l’attuazione di iniziative pertinenti è resa ancor più difficile, o risulta addirittura impossibile, a causa di orientamenti politici inadeguati. In questi casi tutt’altro che rari, quindi, non esiste alcun quadro d’azione che consenta agli attori della società civile di elaborare e tanto meno attuare progetti per la protezione del clima, cosicché essi non possono realizzare le loro idee. Talvolta accade semplicemente che manchi il quadro giuridico-amministrativo adatto, talaltra gli attori non riescono a trovare finanziamenti per i loro progetti; in altri casi, tuttavia, il fatto è che i costi esterni dei vettori di energia fossili continuano a non essere pienamente internalizzati (2), e quindi il carbonio — checché se ne dica — non ha alcun «giusto» prezzo, ma si rivela un ostacolo insormontabile.

2.13.

Troppo spesso si parla di «perdenti» di una politica climatica ambiziosa, e altrettanto spesso si trasmette l’impressione che proteggere il clima significhi in primo luogo rinunciare a fare qualcosa. È evidente che i problemi che la transizione verso un’economia in gran parte priva di emissioni di carbonio porta con sé devono essere oggetto di un’attenzione e una considerazione adeguate; e tuttavia anche gli aspetti positivi vanno sottolineati almeno con altrettanta forza, così da infondere nella società la fiducia in un futuro diverso e migliore. I progressi tecnologici ed economici degli ultimi anni (ad esempio nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili e in quello dello stoccaggio di energia, ma anche e soprattutto nelle applicazioni digitali che permettono di compiere notevoli passi avanti nell’uso efficiente e intelligente delle risorse) legittimano tale ottimismo.

2.14.

L’attuale situazione tecnologica ed economica dell’Europa è tale che la protezione del clima e la sostenibilità possono essere vantaggiose per tutti. L’Unione europea dell’energia si fonda esattamente su questa idea. Per tradurla in realtà, è necessario che la politica sostenga le iniziative in tal senso o per lo meno le consenta e non cerchi di impedirle per il timore che possano mettere in discussione le strutture esistenti. Questo potenziale di cambiamento e progresso in materia di protezione del clima, che dovrebbe in linea di principio poter essere sfruttato facilmente, di fatto è ben lungi dal venir pienamente utilizzato.

3.   Urgente necessità di una coalizione tra politica, pubblica amministrazione e società civile

3.1.

Abbiamo bisogno di un nuovo approccio di governance multilivello. Il CESE propone la creazione di un’ambiziosa coalizione tra gli attori della società civile, gli enti locali e regionali e le istanze amministrative e politiche competenti a livello nazionale ed europeo.

3.2.

Tale coalizione dovrebbe:

coordinare gli approcci dei diversi livelli politici dell’Unione europea per stimolare le misure di protezione del clima messe a punto dagli attori non governativi;

mostrare chiaramente il potenziale e l’impatto di tali misure; e

istituire un forum che ospiti un dialogo strutturato tra la società civile e i responsabili politici a livello dell’UE e degli Stati membri, in cui gli attori della società civile illustrino le loro idee e facciano presenti i problemi da essi incontrati nel tradurle in pratica, formulino raccomandazioni operative per il livello politico e ottengano una risposta qualificata alle questioni e ai problemi da essi sollevati.

3.3.

In questo modo tale coalizione, in quanto espressione di una governance multilivello, può contribuire a una gestione efficace del compito di proteggere il clima, compito che incombe a tutta la società.

Il cambiamento climatico e i cambiamenti che esso comporta nella vita quotidiana delle persone

3.4.

La COP persegue degli obiettivi chiari, e il Consiglio europeo ha delineato una visione di ampio respiro per un’Europa a basso tenore di carbonio ed efficiente nell’impiego delle risorse. Secondo tale visione, nel 2050 l’UE dovrà aver ridotto le emissioni di gas a effetto serra dell’80-95 % rispetto ai livelli attuali. Ciò avrà un impatto enorme sulla vita di ogni singolo cittadino europeo, di ogni singola impresa e dei relativi dipendenti.

3.5.

Il CESE ha già indicato, nel suo parere esplorativo sullo sviluppo sostenibile (3), quanto sia importante prendere molto sul serio la questione delle conseguenze, per la vita quotidiana delle persone, dei radicali cambiamenti di politica che sono all’orizzonte.

3.6.

Il rischio che lo sviluppo sostenibile possa essere visto come una minaccia e non come una opportunità per il futuro può essere contrastato diffondendo un semplice messaggio: la protezione del clima comporta indubbiamente dei cambiamenti, ma ogni membro della società ha la possibilità di orientare attivamente — da solo o insieme ad altri — questi cambiamenti, in modo che a beneficiarne sia non soltanto il clima, ma anche le condizioni di vita locali.

3.7.

Questo messaggio deve sia rivolgersi a coloro che percepiranno immediatamente i cambiamenti «negativi» prevedibili (ad esempio l’intero settore dei combustibili fossili), sia stimolare e attivare il potenziale positivo dei membri della società che sono pronti ad agire e che possono fungere da modello per gli altri.

Riconoscere, accettare e sfruttare la grande diversità degli attori

3.8.

La nostra società civile è estremamente varia. E tale varietà risulta evidente nella sfera della protezione del clima: l’azione che per un attore è facile da realizzare per un altro risulta difficile da mettere in atto. Questa eterogeneità deve essere presa sul serio, e questa molteplicità va intesa come un’opportunità e in quanto tale sfruttata pienamente.

3.9.

Essenzialmente, si tratta di dare espressione concreta al concetto di «protezione del clima». Al riguardo si registra anche un deficit di conoscenze: benché siano stati realizzati diversi studi di casi concreti, manca tuttavia una sistematizzazione che distingua, ad esempio, tra le varie categorie di attori, mentre ciò sarebbe necessario in quanto le diverse risorse a disposizione dei singoli attori implicano altresì strategie di azione completamente differenti. Qualche esempio:

nel campo delle energie rinnovabili, le iniziative di proprietari di abitazioni, associazioni di inquilini o commercianti che producono l’energia elettrica che consumano,

gli imprenditori, le start-up e le PMI che, sviluppando e utilizzando le nuove tecnologie, la digitalizzazione ecc., e creando modelli imprenditoriali innovativi (basati, ad esempio, sull’«economia collaborativa»), e prodotti, servizi e posti di lavoro di elevata qualità, possono contribuire notevolmente a realizzare una società a basse emissioni di carbonio,

le organizzazioni sindacali che, insieme con i loro membri, elaborano ed attuano progetti di protezione del clima per i lavoratori,

iniziative «di transizione» verso una città resiliente (transition town) per lo sviluppo di pozzi di assorbimento del carbonio (inverdimenti) nel proprio quartiere cittadino.

3.10.

Questo elenco esemplificativo dimostra che le risorse a disposizione degli attori della società civile sono molto diverse, ma la logica alla base delle loro azioni è sempre la stessa. Essi vi investiranno le loro risorse endogene, materiali, finanziarie e di tempo solo se ravviseranno una possibilità realistica di raggiungere una risonanza immediata. A contrario, questo significa anche che, laddove non sia possibile produrre un impatto positivo, si rischia l’inerzia e persino di scontrarsi con una certa resistenza (ad esempio nei confronti di nuovi progetti di investimento).

3.11.

Gli esempi dimostrano anche che la gamma di strategie di azione progettate e attuate in tutta Europa principalmente da attori non governativi è tanto ampia e varia quanto la stessa società civile.

Comprendere che la protezione del clima «dal basso» è un processo aperto, e garantire la sicurezza sociale

3.12.

Sarebbe un grave errore se i responsabili politici si limitassero semplicemente ad attribuire agli attori della società civile un ruolo definito solo da un punto di vista politico, nel quadro di impostazioni «dall’alto».

3.13.

Nella svolta che si va profilando, bisogna porre un accento particolare sul mantenimento della sicurezza sociale. Protezione del clima «dal basso» significa, certo, che l’iniziativa privata dei singoli acquista sempre maggiore rilievo ed emerge quindi come uno stimolo economico importante; tuttavia, ciò non può avvenire a scapito della sicurezza sociale.

3.14.

È quindi importante che chi agisce «dal basso» per proteggere il clima continui a far parte del sistema di sicurezza sociale. In alcuni casi ciò significherà dover ridefinire i modi in cui la comunità solidale è costituita, e stabilire nuovamente quale contributo ciascuno debba apportarvi. E ciò si rende necessario già per il solo fatto che, fino ad oggi, la combustione e l’utilizzo di combustibili fossili hanno costituito i pilastri fondamentali dello Stato sociale. L’abbandono di questa impostazione e il passaggio a un’economia in larga parte priva di emissioni di carbonio non possono aver luogo a scapito delle conquiste di politica sociale ottenute, e dei livelli di welfare raggiunti, nell’Unione europea. La coalizione di politica, pubblica amministrazione e società civile deve prestare particolare attenzione a tutti questi aspetti, e in più deve elaborare strategie completamente nuove.

Basti pensare, a titolo di esempio, al fatto che:

3.15.

al giorno d’oggi l’energia da fonti rinnovabili può essere prodotta a livello decentrato a un prezzo talmente basso che tale produzione, in combinazione con misure di efficienza energetica, potrebbe risolvere persino il problema della povertà energetica (sociale). Tali iniziative, però, devono essere sostenute da politiche che instaurino un quadro giuridico adeguato e garantiscano l’accesso ai capitali necessari per gli investimenti.

La coalizione tra politica, pubblica amministrazione e società civile deve dare nuovo impulso al principio «pensare globale, agire locale».

3.16.

L’impegno della società civile a favore della protezione del clima è perlopiù orientato alla realtà locale o regionale, ma i negoziati nel quadro della COP, come anche molte discussioni politiche, sono condotti a livello globale. Eppure, se vi è un campo in cui più che in ogni altro trova applicazione il principio «pensare globale, agire locale», quel campo è la protezione del clima. Gli effetti delle iniziative della società civile non devono essere diluiti in uno spazio globale: è necessario che essi siano percepibili, tangibili, sperimentabili in modo immediato e diretto, ossia nel luogo in cui tali azioni vengono intraprese.

3.17.

Per la politica europea, ciò significa adottare un approccio diverso e guardare al futuro: ad esempio, nella logica del Protocollo di Kyoto, fondata sull’Implementazione congiunta (JI) e sul Meccanismo di sviluppo pulito (CDM), le iniziative locali dispongono di un margine d’azione davvero limitato. Questo è un problema fondamentale poiché le iniziative degli attori della società civile hanno luogo di regola a livello locale e regionale, ma le condizioni quadro in cui essi devono operare sono stabilite principalmente a livello nazionale ed europeo. E il CESE osserva con preoccupazione che tra questi livelli vi è un profondo scollamento.

3.18.

L’attiva, concreta protezione del clima attraverso l’intervento della società civile come secondo pilastro portante della politica climatica europea deve produrre effetti — ed effetti visibili — a livello locale, altrimenti gli attori della società civile rinunceranno a qualsiasi iniziativa in tal senso.

3.19.

Le regioni, le città e i comuni svolgono un ruolo importante. Il CESE prende atto con grande soddisfazione delle numerose iniziative che sono state già intraprese per coordinare queste attività. Si pensi ad esempio al «Vertice mondiale sul clima e i territori», al Patto dei sindaci, alla rete ICLEI ecc. — iniziative, queste, che in molti casi hanno anche iniziato a beneficiare di varie forme di sostegno statale.

3.20.

Lo sviluppo regionale e una politica energetica rispettosa dell’ambiente potrebbero completarsi in maniera efficace se la produzione decentralizzata di energia fosse garantita da strutture locali o regionali e se la creazione del valore aggiunto derivante dall’utilizzazione del vento, del sole e della biomassa avvenisse a livello locale. Accrescere la diversità degli attori è quindi utile, e tuttavia finora nessun documento ufficiale dell’UE ha affrontato in maniera sufficientemente approfondita questa possibile connessione strategica.

3.21.

Questo è un buon esempio di come l’Unione europea non sfrutti in modo sufficientemente ampio il potenziale della società civile. Anche il Patto dei sindaci, infatti, è visto principalmente come un «puntello» per l’attuazione degli obiettivi fissati dall’UE, mentre il suo ruolo di forza trainante per la realizzazione di nuove iniziative politiche non viene valorizzato abbastanza o non viene chiamato in causa in modo sistematico.

4.   I 5 compiti di una coalizione tra politica, amministrazione pubblica e società civile

4.1.

La coalizione dovrebbe assolvere i cinque compiti seguenti:

4.1.1.

In primo luogo, è necessario comprendere meglio quali siano le azioni che gli attori della società civile, nelle loro diverse funzioni, intendono intraprendere ed attuare in materia di protezione del clima.

4.1.2.

In secondo luogo, si tratta di individuare e risolvere i problemi e le barriere strutturali che, quando tali iniziative vengono attuate, ne ostacolano il successo. E qui incombe alla politica il compito di eliminare gli ostacoli burocratici e le complessità procedurali che impediscono le iniziative degli attori della società civile o le rendono notevolmente più difficili. Nella comunicazione Un «new deal» per i consumatori di energia  (4), la Commissione europea ha compiuto un primo passo in questa direzione. Ciò, tuttavia, non è neanche lontanamente sufficiente, perché, per fare un esempio, la definizione del concetto di «prosumatore» risulta eccessivamente restrittiva (5).

4.1.3.

In terzo luogo, occorre diffondere una migliore conoscenza degli esempi di buone pratiche.

4.1.4.

In quarto luogo, occorre individuare le condizioni e i fattori chiavi per il successo di tali iniziative.

4.1.5.

In quinto luogo, occorre sviluppare un quadro politico che crei le condizioni operative necessarie, in modo che gli attori della società civile possano progettare e realizzare strategie di azione per la protezione del clima. Diffondere il quadro operativo si può considerare un compito della governance multilivello, dato che, per attuare tale quadro, sono necessarie tanto una comprensione comune quanto un’azione coordinata tra i decisori politici a livello europeo, nazionale e subnazionale.

4.2.

L’esecuzione dei suddetti compiti richiede un sostegno amministrativo supplementare, con il quale condurre, quale base di discussione nell’alleanza tra politica, amministrazione pubblica e società civile, le seguenti attività:

un’ampia partecipazione degli attori della società civile interessati alla protezione del clima «dal basso»,

una ricerca sistematica di esempi di azioni in materia di protezione del clima già realizzate dalla società civile, principalmente a livello regionale e locale — esempi sulla cui base, nell’ambito del forum di discussione, poter definire dei modelli specifici per i singoli gruppi di attori,

lo sviluppo e l’attuazione di una strategia di comunicazione europea, e in seguito anche globale, relativa ai modelli operativi paradigmatici così individuati — una strategia calibrata in funzione dei singoli gruppi di attori,

un’analisi, condotta con metodi scientifici adatti, dei modelli operativi ritenuti paradigmatici in termini di condizioni e fattori chiavi per il successo delle iniziative, ed elaborazione dei risultati di tale analisi,

un sostegno agli attori della società civile che non dispongono di risorse sufficienti, in modo che anch’essi possano partecipare attivamente alla coalizione.

4.3.

Il ruolo della politica e della pubblica amministrazione sarà quello di coordinare — se del caso in cooperazione con il CESE — siffatta coalizione, affrontare gli ostacoli fatti loro presenti e, nella misura del possibile, rimuoverli, o quantomeno fornire risposte chiare in merito al perché esse ritengono che determinate iniziative debbano o meno essere attuate.

Il necessario quadro operativo: impatto sul finanziamento delle iniziative di protezione del clima della società civile e sviluppo di nuovi modelli economici

4.4.

Solo se esistesse un quadro operativo che tenesse conto dei molteplici ruoli degli attori della società civile, riconoscesse le diverse risorse disponibili, prendesse in considerazione i fattori di successo e creasse condizioni quadro positive, gli attori della società civile avrebbero la possibilità di accedere al capitale e ad altri mezzi di investimento. Questo aspetto costituisce ancora oggi un grosso problema pratico di cui la politica non tiene sufficientemente conto. L’accordo di Parigi ha enormi implicazioni finanziarie, di gran lunga superiori al Fondo verde per il clima, pari a 100 miliardi di dollari all’anno.

4.5.

Piccole banche locali e altri finanziatori esterni concedono crediti alle iniziative della società civile destinate alla protezione del clima solo se il rifinanziamento è relativamente sicuro. Il quadro politico deve soddisfare anche questa condizione, vale a dire il rifinanziamento poco rischioso degli investimenti nella protezione del clima da parte degli attori della società civile.

4.6.

Il quadro operativo deve creare sicurezza a lungo termine sia per la pianificazione che per gli investimenti: per il necessario impegno, infatti, niente è più dannoso dell’incertezza che deriva dal costante riorientamento delle politiche.

4.7.

Per progetti efficaci a livello locale, bisogna che vi siano possibilità di investimento alternative, che consentano agli attori della società civile di valutare e gestire essi stessi in prima persona — ad esempio in quanto membri di una cooperativa — i relativi rischi e le relative opportunità. Se la collettività riconosce che gli investimenti arrivano «dai cittadini» e non sono resi anonimi dall’intreccio di istituti finanziari e grandi investitori, allora potrà anche nutrire più fiducia — una fiducia oggi messa a dura prova — negli stessi istituti finanziari.

4.8.

Nella misura in cui vi sarà un quadro operativo solido e stabile, sarà possibile una crescita diversa, all’interno di strutture economiche modificate. Si può infatti presumere che, ai fini della nuova «crescita», il capitale sociale diventerà altrettanto importante del capitale finanziario. L’alienazione dovuta al lavoro sarà neutralizzata, almeno in parte, dallo svilupparsi del concetto di «prosumerismo», e la divisione del lavoro sarà maggiormente organizzata in strutture comunitarie. Tutto ciò apre enormi potenzialità di innovazione sociale, e questa è indispensabile per una politica climatica ambiziosa. Stanno nascendo nuovi ruoli, descritti — in modo ancora impreciso — con termini come «prosumatori», «piattaforme» e «aggregatori». In particolare il «prosumerismo» può essere visto come un fattore cruciale di successo per realizzare una vita e un’economia sostenibili.

4.9.

Questa nuova forma di economia non è un’utopia, ma è già oggi visibile, e pertanto anche scalabile, in molte iniziative per la protezione del clima, principalmente organizzate a livello locale. La scalabilità, la riproduzione e la diffusione sono assolutamente necessarie non solo per realizzare gli ambiziosi obiettivi in materia di protezione del clima, ma anche e soprattutto perché costituiscono una condizione indispensabile per ridurre i costi del cambiamento e per evitare che gli obiettivi climatici si scontrino con quelli di politica sociale.

4.10.

Il CESE sottolinea che l’accordo di Parigi sancisce espressamente la necessità di una giusta transizione della forza lavoro, come era già stato osservato in occasione della conferenza sui cambiamenti climatici di Lima. Nell’ambito del nuovo modello economico, è necessario creare posti di lavoro di qualità. Ciò è possibile grazie a un solido dialogo sociale e mediante contrattazioni collettive che vedano l’impegno degli imprenditori e che siano sostenute da contenuti e misure come, ad esempio, iniziative di formazione continua per i dipendenti volte a dotarli delle nuove qualifiche necessarie nel quadro della transizione energetica ed ambientale, nonché da misure tese a rafforzare i regimi di protezione sociale. Anche in questo caso è necessario adottare un quadro d’azione positivo. Solo così, infatti, gli attori della società civile sono in grado di compensare le perdite di occupazione e di competitività in alcuni settori, inevitabili nel contesto di una trasformazione, e rendono possibile una crescita economica che sia sociale, sostenibile e inclusiva.

Bruxelles, 14 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. il dibattito svoltosi nel corso della sessione plenaria del CESE del 20 gennaio 2016.

(2)  Cfr. il documento di lavoro del FMI dal titolo How Large Are Global Energy Subsidies? (WP/15/105).

(3)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 18.

(4)  COM(2015) 339 final.

(5)  GU C 82 del 3.3.2016, pag. 22.


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il pilastro digitale della crescita: gli anziani digitali, un potenziale del 25 % della popolazione europea»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 389/04)

Relatrice:

Laure BATUT

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Il pilastro digitale della crescita: gli anziani digitali, un potenziale del 25 % della popolazione europea.

(parere d'iniziativa)

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 13 luglio 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 189 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Raccomandazioni

Per sfruttare il potenziale insito nella forza economica del 25 % di cittadini anziani nell’UE, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) non reputa opportuno, ai fini della crescita, considerare gli anziani una categoria di cittadini ormai esclusi dalla vita; ritiene anzi che se ne dovrebbero riconoscere tanto le capacità quanto le aspettative, e che andrebbero inclusi in quanto soggetti economici e sociali dell’era digitale. Il Comitato raccomanda di intraprendere quanto prima le seguenti azioni:

1)

cambiare l’approccio all’«economia degli anziani» (silver economy), tenendo presente che il digitale cancella il divario dovuto all’età e che gli anziani sono soggetti della catena del valore e protagonisti della loro vita;

2)

in occasione della riunione dei ministri UE responsabili dell’occupazione, della politica sociale, della sanità e dei consumatori del giugno 2016 e del vertice europeo del dicembre 2016 dedicato agli anziani, favorire l’inclusione digitale della popolazione anziana per poter fare fronte alle sfide poste dalle due transizioni: digitale e demografica;

3)

definire una governance globale, integrando gli anziani nella vita digitale e sviluppando servizi pubblici efficienti, dotati di risorse a tutti i livelli, compreso il livello territoriale, ed esenti dai requisiti del semestre europeo;

4)

definire una clausola orizzontale europea «anziani-uguaglianza» e incoraggiare i ministeri responsabili delle pari opportunità negli Stati membri ad applicarla;

5)

far partecipare le associazioni rappresentative degli anziani e il CESE alle riflessioni condotte dal gruppo di parti interessate sull’economia collaborativa (o «della condivisione») auspicato dal Parlamento europeo;

6)

favorire l’accesso degli anziani al digitale e migliorarne l’accessibilità attraverso l’acquisizione di conoscenze e competenze; sviluppare inoltre prima possibile l’adattamento di hardware e software e il tutoraggio degli anziani per conseguire con successo l’inclusione, l’istruzione e la formazione permanente di questa fascia della popolazione;

7)

definire una serie di indicatori per misurare l’impatto economico degli anziani, la loro qualità di vita e i benefici derivanti dalle innovazioni;

8)

promuovere l’accesso degli anziani a un programma europeo di scambio di buone pratiche da istituire in futuro sotto forma, ad esempio, di una piattaforma denominata «SENEQUE — Seniors Equivalent Erasmus»;

9)

sviluppare la fiducia e diffondere presso i cittadini la conoscenza delle norme europee sul digitale mediante la loro pubblicazione sotto forma di codice e tramite uno sportello digitale unico nel rispetto del multilinguismo;

10)

riconoscere in tutti gli Stati membri l’accesso a Internet come un diritto a un servizio universale, basato sul criterio dell’accessibilità economica, e incoraggiare, in caso di barriere tariffarie, l’introduzione di tariffe regolamentate, se non addirittura di un accesso libero e gratuito a Internet per gli anziani indigenti in punti o spazi pubblici determinati;

11)

promuovere partenariati pubblico-privato (PPP) i cui profitti siano basati sul capitale umano, grazie a corsi gratuiti per gli anziani a carico delle grandi multinazionali delle TIC organizzati, nell’ambito della loro politica di responsabilità sociale delle imprese (RSI), in tutte le scuole primarie dell’UE, al di fuori dell’orario scolastico;

12)

eliminare gli ostacoli che impediscono agli anziani di accedere ai prestiti bancari;

13)

promuovere l’istituzione di un «servizio civile» per combattere l’analfabetismo digitale.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1.

Oggi l’Unione europea deve far fronte a una sfida del tutto senza precedenti nella storia dell’umanità, vale a dire alla concomitanza di due fenomeni: la longevità della popolazione, da un lato, e la diffusione di massa delle tecnologie digitali, dall’altro — fenomeni che, considerati nel loro insieme, richiedono vere e proprie strategie al contempo economiche e sociali.

2.2.

Entro il 2060, come indicato dalle proiezioni (The 2015 Ageing Report, «Relazione 2015 sull’invecchiamento demografico», Commissione europea), la situazione demografica sarà di 2 anziani per 1 giovane, con il numero delle persone molto anziane che avrà superato il numero dei bambini al di sotto dei cinque anni. In base al criterio dell’età mediana (Eurostat), i primi paesi interessati saranno Svezia, Germania, Polonia, Romania e Slovacchia, i quali saranno seguiti, pochi anni dopo, da Belgio, Danimarca, Irlanda e infine dai restanti Stati membri.

2.3.

Gli anziani e i lavoratori anziani sono visti al tempo stesso come una minaccia per i sistemi di protezione sociale e un’opportunità per il settore dei beni e dei servizi. Nel 2011 l’UE consacrava i propri sforzi agli «adulti» (1) e definiva cinque orientamenti strategici, con l’obiettivo di realizzare un’economia «con un alto tasso di occupazione» e di migliorare la qualità e l’efficacia dell’offerta di istruzione e formazione per gli adulti.

2.4.

Il Comitato osserva che la categoria degli anziani non era direttamente interessata da tale iniziativa.

Chi sono gli «anziani»?

2.5.

Prima generazione a non aver conosciuto la guerra sul territorio comune in cui vivono, i nati nel periodo del cosiddetto «baby boom» (ossia i «baby boomers»: termine utilizzato per indicare le generazioni dei numerosi nati subito dopo la Seconda guerra mondiale) sono, insieme ai loro genitori, i più «pro-europei» di tutti i tempi. Oggi sono ormai considerati degli «anziani». Nel documento di riferimento per il dibattito su questo tema intitolato Growing the European Silver Economy («Lo sviluppo della silver economy in Europa»), del febbraio 2015, la Commissione europea manifesta l’intenzione di tener conto delle «esigenze degli ultracinquantenni». Questa fascia della popolazione viene talvolta suddivisa in tre sottogruppi: attivi, fragili e non autonomi. Il CESE fa propria questa definizione che corrobora la sua proposta di un cambiamento di paradigma da adottare nei confronti degli «anziani»: questi ultimi sono dei soggetti determinanti per la crescita.

2.6.

Con «invecchiamento demografico» si intende un aumento della percentuale di anziani in una popolazione data dovuto ad un calo della fertilità e alla riduzione della mortalità. I giapponesi (cfr. Étude comparative du marché des seniors français et japonais — Opportunités croisées,«Studio comparato dei mercati per gli anziani in Francia e in Giappone — Opportunità incrociate», David Barboni, Eurasiam (European Institut of Asian Management), serie Management n. 001, 2007) hanno anticipato il fenomeno dell’invecchiamento demografico, e sono riusciti a creare una dinamica dei consumi mirata agli «anziani» nei settori del benessere, della salute, della finanza, delle assicurazioni, della distribuzione e del turismo. Quanto alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), esse rientrano tra quei beni di mercato che servono a migliorare la qualità della vita e si rivolgono ad un anziano in quanto «consumatore» di prodotti mirati piuttosto che ad un anziano in quanto «soggetto» della società digitale, inscrivendosi pertanto in una prospettiva di benefici a breve termine per i produttori. Si tratta di una dimensione importante delle TIC, ma che è al tempo stesso riduttiva.

2.7.

Nell’Unione europea i «baby boomers» non sono diventati unicamente degli anziani consumatori di beni. I nati in quel periodo, sia uomini che donne, sono stati in misura preponderante — per la prima volta nella storia del Vecchio Continente — dapprima studenti e in seguito soggetti «attivi» e «produttivi». Oggi molti di loro possono scegliere di rimanere attivi nell’economia di mercato o nell’economia sociale e solidale.

2.8.

Gli anziani si accosterebbero alle TIC lentamente e con fatica: questa, almeno, è l’immagine che a volte prevale — mentre invece sono stati spesso i primi a utilizzare queste tecnologie e persino a creare innovazioni nel settore (The Seven Myths of Population Aging, «I sette miti dell’invecchiamento demografico», Julika Erfurt, Athena Peppes e Mark Purdy, Società di consulenza Accenture, febbraio 2012). Nel 2010, in Francia, oltre il 16 % delle nuove imprese è stato creato da persone di 50 anni o più, di cui circa la metà mediante autofinanziamento: tra gli ultracinquantenni fondatori di queste imprese figurano anziani lavoratori dipendenti, disoccupati, imprenditori ancora in attività e persino pensionati (cfr. l’articolo di Yann Le Galès, Le Figaro, 27 aprile 2012).

Cambiare approccio

2.9.

È solo in seguito alla Dichiarazione e al piano d’azione internazionale in materia di invecchiamento dell’ONU (2002) e alla Dichiarazione del Consiglio sull’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni (2012) che nell’Unione europea si è iniziato ad affrontare il tema dell’economia legata alla fascia di popolazione più anziana (la cosiddetta silver economy). La Commissione ritiene inoltre che si debba fare tutto il possibile per un «invecchiamento in buone condizioni», in particolare grazie alle TIC, offrendo così all’UE l’opportunità di svolgere un ruolo di primo piano: «la silver economy può essere definita come le prospettive economiche rese possibili dalla spesa per i consumi e dalla spesa pubblica connesse all’invecchiamento della popolazione e alle esigenze degli ultracinquantenni» (cfr. la pagina web dedicata alla Silver economy, Commissione europea).

2.10.

Secondo il Comitato, è necessario prendere in considerazione le problematiche del benessere, dell’autonomia e della dipendenza, oltre che la questione del mercato. Tuttavia, in Europa gli anziani costituiscono una popolazione di quasi 125 milioni di cittadini che sono protagonisti della loro vita, dell’economia e della crescita, e le tecnologie dell’informazione devono fare parte della loro vita proprio come di quella degli «attivi».

2.11.

Per questo il Comitato vorrebbe insistere sulla necessità di un approccio alla vecchiaia che consideri questa età in continuità con le altre fasi della vita, senza compartimenti stagni: un approccio nel quale ogni anziano in buona salute conservi la propria esperienza e le proprie capacità digitali e non possa essere disgiunto da tutti gli altri soggetti della catena del valore. Il nocciolo della questione risiede nel considerare gli anziani in una prospettiva dinamica e inclusiva e non soltanto come persone nell’ultima fase della loro vita, e nel non limitarsi a vedere l’applicazione delle tecnologie digitali unicamente sotto forma di «assistenza tecnico-medica».

2.12.

Questa visione non pregiudica in alcun modo il diritto alla pensione (articoli 25 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, articoli 153 e 156 del TFUE), né rimette in discussione i sistemi pensionistici, che differiscono da uno Stato membro all’altro.

2.13.

Un approccio globale e inclusivo potrebbe offrire a tutti i cittadini europei «anziani» la certezza che l’innovazione digitale riguarda anche loro. Secondo il Comitato, è attraverso un’assunzione di responsabilità, a tutti i livelli, che l’UE potrebbe ricoprire il ruolo di primo piano al quale ambisce nel campo della silver economy.

3.   Osservazioni specifiche

3.1.    I cittadini europei ultracinquantenni devono tutti diventare quanto prima degli «anziani digitali»

Disporre delle TIC e padroneggiarle è una condizione assolutamente indispensabile, nonché un obiettivo che richiede volontà politica e mezzi. Tutte le istituzioni si sono appropriate del tema della transizione digitale; il CESE auspica che i 125 milioni di ultracinquantenni dell’UE siano inclusi in tale processo di transizione.

3.1.1.

I baby boomers, ormai arrivati in gran numero all’età del pensionamento (il fenomeno detto del «papy-boom»), hanno a loro disposizione uno strumento: la rivoluzione delle nuove tecnologie. È urgente adottare una visuale più lungimirante e più ampia rispetto a quella basata sul solo «mercato», e fare in modo che nessuno rimanga escluso dalle conoscenze e dall’utilizzo pratico delle tecnologie dell’informazione, dal momento che la connettività è ovunque. L’UE deve contemperare l’esigenza di interoperabilità a livello europeo con quella di protezione in Stati membri dai contesti molto frammentati; tuttavia, le comunicazioni della Commissione dell’aprile 2016 [COM(2016) 176, 178 e 179 final] si concentrano unicamente sugli aspetti tecnici e non fanno alcun riferimento agli aspetti sociali. La comunicazione della Commissione del giugno 2016 Una nuova agenda per le competenze per l’Europa [COM(2016) 381/2] e la proposta di raccomandazione del Consiglio sull’istituzione di una garanzia per le competenze [COM(2016) 382/2] si concentrano sull’occupabilità e sulla produttività. In questi due documenti gli anziani non vengono neppure citati, e anche i riferimenti al digitale sono scarsi. Il Comitato auspica che la riunione dei ministri dei paesi UE di giugno e il vertice di dicembre 2016, che dovranno affrontare la questione degli anziani, possano favorirne l’inclusione digitale, oltre che il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, presupposto necessario per poter fare fronte alle due transizioni: digitale e demografica.

3.1.2.

Al fine di promuovere la coesione, fare opera di divulgazione e sensibilizzare gli anziani e le altre fasce della popolazione, il Comitato auspica la pubblicazione sotto forma di un «codice» di tutti i testi dell’UE legati al digitale già adottati, come pure si augura che venga presa in considerazione la creazione di uno sportello digitale unico nel rispetto del multilinguismo.

3.2.    Gli anziani nella società digitale  (2)

3.2.1.

Le tecnologie digitali offrono la possibilità di apprendere e di essere proattivi, soprattutto agli anziani e alle persone con una mobilità ridotta; esse consentono di evitare la «ghettizzazione» degli anziani e facilitano la trasmissione delle conoscenze; possono inoltre portare a rovesciare lo schema tradizionale della trasmissione di conoscenze tra le generazioni, e ad abolire il divario dovuto all’età.

3.3.    Uno dei modi per attenuare lo shock del «papy-boom» (ossia, l’elevato numero di pensionamenti nei prossimi anni degli appartenenti alla generazione del «baby-boom») consiste nella scelta deliberata di posizionarsi nel settore del digitale

3.3.1.

Il Comitato ha pubblicato una lunga serie di pareri sugli aspetti tecnici, economici e sociali dei progressi compiuti nel settore digitale: le infrastrutture, i diritti, i costi, la telemedicina, l’assistenza sanitaria online (e-health), l’invecchiamento attivo, la criminalità informatica, le città/la mobilità/le isole intelligenti, la neutralità della rete ecc.

3.3.2.

La Commissione dovrebbe includere in questo processo tutte le generazioni, evitando la frattura geografica, ed elaborare previsioni a lungo termine (orizzonte 2060) poiché la curva dell’invecchiamento demografico (3) subirà un’accelerazione in tutti gli Stati membri.

3.3.3.

Nelle sue comunicazioni (4) del 19 aprile 2016, la Commissione informa che prenderà in esame la normazione delle TIC — «elemento fondamentale del mercato unico» — oltre alla digitalizzazione delle imprese e al cloud computing.

3.3.4.

Le presidenze neerlandese e slovacca del Consiglio dell’UE hanno chiesto al Comitato di elaborare un parere esplorativo sulle ripercussioni sociali di queste nuove realtà: il parere, intitolato L’evoluzione della natura dei rapporti di lavoro e il suo impatto sul mantenimento di una retribuzione dignitosa, nonché l’impatto degli sviluppi tecnologici sul sistema di sicurezza sociale e sul diritto del lavoro, è stato adottato dal CESE il 26 maggio 2016.

3.3.5.

Nella risoluzione del 19 gennaio 2016Verso un atto per il mercato unico digitale (punto 80), il Parlamento europeo esorta la Commissione a «istituire un gruppo di parti interessate incaricato della promozione delle migliori pratiche nel settore dell’economia collaborativa», denominata anche «economia della condivisione» nella terminologia del CESE — un tipo di economia che non potrebbe in larga misura esistere senza le tecnologie digitali; rappresentare la società civile è un compito di cui solitamente gli anziani possono farsi carico. Il CESE desidera prendere parte a una simile iniziativa.

3.4.    I rischi inerenti al digitale sono maggiori per gli anziani digitali?

3.4.1.

Con la comparsa dei megadati, del cloud computing, dell’Internet degli oggetti, della stampa 3D e di altre tecnologie apparse con la rapidissima diffusione di Internet nella nostra epoca, alcuni timori paralizzanti sono tuttora molto comuni tra la popolazione; certi anziani sono più facilmente preda di questi timori rispetto ai giovani «nativi digitali» (dotati cioè di un’attitudine naturale all’ambiente digitale) e rimangono bloccati dalle seguenti barriere:

il timore che la tecnologia in questione sia complicata da utilizzare;

il timore di violazioni della loro privacy;

il timore che venga loro sottratto del denaro quando effettuano dei pagamenti online;

il timore che la tecnologia in questione sia pericolosa.

3.4.2.

Alla stregua del Parlamento europeo, anche il Comitato «ritiene che la fiducia dei cittadini e delle imprese nell’ambiente digitale sia essenziale per liberare appieno l’innovazione e la crescita nell’economia digitale».

3.4.3.

L’attuale contesto di crisi e le misure adottate con lo stato di emergenza accrescono il sentimento di minaccia per le libertà e di sorveglianza eccessiva, come pure i timori di fronte ai rischi legati alla criminalità informatica.

3.4.4.

I testi destinati a tutelare i cittadini, in vigore nei diversi Stati membri e a livello dell’UE, sono poco noti. Sensibilizzare — senza tuttavia spaventare — queste fasce della popolazione, per le quali non si può più ricorrere all’insegnamento scolastico, nonché informare e formare, consentirebbero di compiere dei passi avanti riducendo l’asimmetria delle informazioni tra i grandi operatori, quasi sempre stranieri, e i cittadini utenti.

3.5.    Agire a livello dell’UE, delle autorità nazionali, delle imprese e dei servizi

3.5.1.   A livello dell’Unione europea

Le tecnologie digitali dovrebbero ridurre i costi sociali dell’invecchiamento. Circa 58 milioni di cittadini europei tra i 16 e i 74 anni non hanno mai utilizzato Internet (Bridging the digital divide in the EU, «Colmare il divario digitale nell’UE», nota informativa del Parlamento europeo). Secondo i dati per il 2014 di un ente di beneficenza francese (Secours Catholique, citato dal quotidiano Le Monde, 6 novembre 2014), in Francia tra il 2000 e il 2013 la percentuale di persone beneficiarie di un’assistenza o di un sostegno nella fascia di età 50-59 anni è aumentata dal 13 % al 17 %. Il dato è indicativo sia dell’aumento della disoccupazione degli anziani che della precarizzazione della popolazione attiva anziana, e mette in luce quanto urgente sia passare all’azione, poiché questa situazione rappresenta un freno a quel volano della crescita economica che dovrebbe essere il digitale.

3.5.1.1.   Il principio di uguaglianza (Carta, articolo 20) non va ridotto alle sole care (cure/assistenza)

Il CESE auspica che l’UE definisca una clausola orizzontale «anziani-uguaglianza» e incoraggi i ministeri competenti negli Stati membri per le pari opportunità ad applicarla. Essere collegati ha un costo. Il CESE ritiene che, tenuto conto delle minacce che gravano sulle pensioni, in tutti gli Stati membri gli anziani dovrebbero poter accedere liberamente e gratuitamente a Internet in determinati punti o spazi di accesso. In caso di barriere tariffarie, si dovrebbe valutare l’eventualità di fissare tariffe regolamentate.

3.5.1.2.   Una governance globale

3.5.1.2.1.

In una visione globale, una nuova governance potrebbe instaurare una solidarietà attiva tra generazioni e una sostenibilità nel settore sociale.

Il CESE ritiene che i soggetti rappresentativi della società civile, compresi i potenziali beneficiari delle innovazioni in materia di salute e autonomia, dovrebbero pertanto partecipare a dei meccanismi di dialogo.

Il Comitato raccomanda che gli anziani si organizzino, a tutti i livelli, per definire la loro rappresentatività.

Pone l’accento su una «partecipazione attiva dei cittadini», i quali dovrebbero «approfittare del passaggio al digitale», e invita «la Commissione a continuare ad analizzare in che misura la rivoluzione digitale influisce sulla società europea»; ritiene che questa analisi debba includere anche gli sviluppi del digitale relativamente agli anziani.

3.5.1.3.   Finanziamento

Trasformazioni epocali sono già in corso (5) in tutti i settori dell’industria e nei servizi.

3.5.1.3.1.

Per lo sviluppo del digitale sono previsti fondi ad hoc (ricerca, banda larga, intelligence), oltre che fondi strutturali e programmi dedicati. Tuttavia, non si è provveduto a quantificare gli investimenti necessari affinché l’UE possa conservare la propria posizione dominante, mentre le esigenze della popolazione europea — dagli alunni della scuola primaria agli adulti impegnati nell’apprendimento permanente e fino agli anziani — dovrebbero essere indicate con precisi dati numerici. È importante assicurarsi che i fondi stanziati siano esclusi dall’applicazione delle norme sull’austerità di bilancio. Infine, occorre eliminare con la massima urgenza gli ostacoli che limitano l’accesso degli anziani al finanziamento privato (prestiti bancari) (6).

3.5.1.3.2.

La Commissione propone la creazione di partenariati pubblico-privato (PPP). Il CESE si mostra prudente, giacché i rischi che si corrono in questi casi sono sempre gli stessi, ossia che il settore privato si impegni solo se intravede la possibilità di un profitto, che il costo degli interessi aumenti il debito pubblico e, in ultima analisi, che una parte del settore pubblico finisca per essere privatizzata.

3.6.    A livello di autorità nazionali e regionali

3.6.1.

Un’autentica politica pubblica del digitale per gli anziani

Il CESE ha già raccomandato che l’accesso a Internet debba essere considerato un diritto a un servizio universale, insistendo in particolare sulla sua accessibilità economica, in modo da lottare contro le disuguaglianze sociali e geografiche. Sarebbe opportuno prevedere, a tale scopo, punti o spazi pubblici per anziani con accesso libero a Internet.

I servizi pubblici devono naturalmente tener conto delle problematiche inerenti agli anziani: trasporti, sanità, poste, servizi di interesse generale (SIG), servizi di interesse economico generale (SIEG), servizi sociali di interesse generale (SSIG), servizi sociali di interesse economico generale (SSIEG) ecc.

3.6.2.

Le autorità nazionali e regionali devono fare in modo che gli anziani acquisiscano nuove prassi abituali di protezione e sicurezza dei dati in formato digitale. Rendere indissociabili l’inclusione sociale e l’inclusione digitale è particolarmente necessario dato che la perdita di autonomia è in aumento. Il livello territoriale favorisce un’evoluzione in tal senso per via della sua prossimità. Il CESE raccomanda l’istituzione di un «servizio civile» per combattere l’analfabetismo digitale.

3.6.3.

Lanciare campagne nazionali di sensibilizzazione

3.6.4.

Inclusione degli anziani: dovrebbe essere compito degli Stati membri informare i cittadini anziani di tutte le opportunità di formazione alle tecnologie digitali messe a loro disposizione. L’informazione potrebbe essere diffusa presso questa fascia della popolazione mediante campagne di sensibilizzazione sui media.

3.6.4.1.   Attraverso le competenze e le formazioni

3.6.4.2.

Gli anziani hanno bisogno di acquisire delle competenze digitali o di mantenerle. L’operato delle ONG, seppur importante, non è sufficiente. Gli anziani hanno bisogno di vedere riconosciute le loro qualifiche e di un apprendimento permanente lungo tutto l’arco della vita. Ad esempio, in Slovacchia si contano 18 università della terza età e numerose scuole per le persone anziane meno istruite.

3.6.4.3.

Tramite le formazioni e un’«alfabetizzazione digitale»: il Comitato avanza ancora una volta la richiesta di promuovere l’educazione ai media e a Internet (7) per tutti i cittadini dell’UE, in particolare per le categorie vulnerabili, e accoglie con favore la creazione, su scala europea, della «grande coalizione per l’occupazione nel digitale». Sottolinea che un gran numero di soggetti partecipa alle formazioni.

3.6.4.4.

Il Comitato ritiene che la Commissione trarrebbe profitto da una collaborazione con gli Stati membri e le università sulle esigenze degli anziani in materia di competenze e sui mezzi idonei per soddisfarle, ad esempio creando legami istituzionali con le università per agevolare l’accesso degli anziani ai corsi online (i cosiddetti massive open online course — MOOC = corsi online aperti e di massa).

3.6.5.

Attraverso l’accessibilità e la partecipazione di tutti gli anziani

3.6.5.1.

Come il Parlamento europeo (8), anche il Comitato riconosce la necessità di «superare gli stereotipi», rileva «il potenziale significativo delle donne innovatrici e imprenditrici e il ruolo fondamentale che possono svolgere nell’ambito della trasformazione digitale», e mira alla «loro integrazione e partecipazione alla società dell’informazione»; il CESE sa bene che in molti casi le donne anziane hanno dovuto patire le conseguenze di uno sviluppo della carriera con parecchie interruzioni e che, una volta pensionate, si ritrovano più spesso degli uomini in condizioni di povertà. Occorre tenere conto di tale contesto nell’adottare misure volte all’inclusione delle donne nel mondo digitale degli anziani.

3.6.5.2.

Allo stesso modo, il Comitato «riconosce il potenziale del mercato unico digitale al fine di garantire l’accessibilità e la partecipazione a tutti i cittadini, comprese le persone con esigenze particolari, gli anziani, le minoranze e altri cittadini appartenenti a gruppi vulnerabili, per quanto riguarda tutti gli aspetti dell’economia digitale  (9)», ma preferirebbe che «le persone anziane» rimanessero degli attori economici senza essere tutte quante stigmatizzate e viste come persone con «esigenze particolari».

3.6.5.3.

Il Comitato si è pronunciato a favore della proposta di direttiva sull’accessibilità (10), ma deplora il ritardo con cui tale proposta è stata elaborata e la mancata ratifica del trattato di Marrakech. In materia di digitale, con «accessibilità» il CESE intende sia quella delle apparecchiature materiali (hardware) che quella dei programmi e delle applicazioni informatiche (software). A questo proposito, il Comitato auspica la diffusione di funzionalità facilitate e di software meglio adattati e multilingui, come pure di spazi pubblici digitali che creino dei legami tra le persone. Il contatto sociale è di vitale importanza per le persone vulnerabili.

3.6.6.

Il CESE raccomanda che il programma europeo Erasmus+ preveda una componente dedicata agli «anziani», ad esempio sotto forma di una piattaforma di condivisione di buone pratiche che potrebbe essere battezzata «SENEQUE — Seniors Equivalent Erasmus».

3.6.7.

Incoraggiare la creatività e l’innovazione a tutte le età attraverso il digitale, dal momento che gli anziani sono nella posizione migliore per conoscere le loro esigenze e sostenere chi presta loro assistenza e le associazioni.

3.7.    Nelle imprese e nei servizi: attività e occupazione

Il CESE propone la creazione di un PPP i cui profitti siano basati sul capitale umano, grazie a corsi gratuiti organizzati nell’ambito della politica di responsabilità sociale d’impresa delle stesse grandi multinazionali delle TIC: sponsorizzando i dipendenti che vanno in pensione, e offrendo questi corsi a tutti gli anziani, in ogni scuola pubblica dell’UE, al di fuori dell’orario scolastico.

Le competenze digitali sono deficitarie nell’UE (900 000 posti di lavoro vacanti nel settore) (11). Riqualificare i lavoratori anziani potrebbe contribuire a migliorare tale situazione, che deve essere valutata alla luce della concorrenza mondiale. Promuovere l’imprenditorialità digitale, le formazioni e le nuove imprese, così come lo sviluppo delle competenze e del benessere di tutti, richiede ingenti investimenti pubblici.

In un contesto di disoccupazione di massa, l’economia 4.0 permette agli anziani di costituire delle reti e di creare nuove imprese, nonché posti di lavoro stabili ad elevato valore aggiunto e non delocalizzabili, ad esempio nelle attività dei servizi alla persona e nel settore della salute, del sostegno all’autonomia o delle politiche di prevenzione (12).

Posta di fronte alle diverse forme dell’economia collaborativa (o «della condivisione»), l’UE non prende una netta posizione di principio sugli abusi di posizione dominante e sulla loro compatibilità con l’obiettivo dell’«economia sociale di mercato», mentre una quota crescente della forza lavoro impiegata in queste nuove forme dell’economia si trova di fatto ad essere «fuori legge» rispetto al diritto del lavoro. Gli anziani rischiano di essere più colpiti di altre categorie della popolazione dagli effetti della digitalizzazione sulla coesione sociale.

3.8.    Rivoluzioni

3.8.1.

La tecnologia digitale permette un approccio alle relazioni sociali, e in particolare alla «vecchiaia», che è al contempo dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto.

3.8.2.

L’economia collaborativa (o «della condivisione») può avvicinare le persone attraverso modalità di apprendimento che favoriscano tutte le forme di intelligenza, nonché attraverso soluzioni innovative nel campo della salute che consentano ai disabili o agli anziani di essere parte integrante del corpo sociale e che permettano loro, se non possono essere mobili, di essere quantomeno agili (ubiquitous = «onnipresenti»).

3.8.3.

Tuttavia, questo nuovo tipo di economia destruttura i rapporti di lavoro. Con l’invecchiamento, il digitale stravolge ciò che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha reso possibile la coesione delle società europee: i sistemi di solidarietà, i quali hanno funzionato da ammortizzatori degli effetti delle crisi (come nel 2008).

3.8.4.

La rivoluzione 4.0, le attività in rete, l’improvvisa «comparsa» della categoria degli anziani e il fatto che le «frontiere» sono diventate più labili destabilizzano il rapporto di subordinazione dei lavoratori dipendenti; al tempo stesso, il 10 % circa degli anziani digitali, pur essendo connessi, sono poveri e — come nei secoli scorsi — potrebbero ridiventare dei «vecchi» incapaci di provvedere al loro sostentamento (famiglie nucleari). Le transizioni con trasmissione delle conoscenze sono pertanto possibili?

3.8.5.

Per un’economia sociale di mercato digitale e inclusiva (13) per tutti, preservare i sistemi pensionistici è di vitale importanza. Sarà comunque inevitabile entro il 2060 fondare questi sistemi su altri elementi che non siano il lavoro subordinato retribuito, evitando nel contempo i rischi dei fondi pensione: occorrerà svolgere una riflessione approfondita sulla base di calcolo dei contributi e sulla ridistribuzione delle ricchezze al fine di predisporre ai necessari cambiamenti il nostro modo di pensare e le nostre menti.

Bruxelles, 13 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 372 del 20.12.2011, pag. 1. Risoluzione del Consiglio su un’agenda europea rinnovata per l’apprendimento degli adulti.

(2)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 16.

(3)  http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Population_structure_and_ageing/fr.

(4)  COM(2016) 176 final.

(5)  Cfr. GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161.

(6)  Direttiva 2013/36/UE (GU L 176 del 27.6.2013, pag. 338).

(7)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 25.

(8)  Risoluzione del Parlamento europeo 2015/2147(INI), cit. punto 113.

(9)  Risoluzione del Parlamento europeo 2015/2147(INI), cit. punto 114.

(10)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 103.

(11)  http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-518_en.htm

(12)  GU C 21 del 21.1.2011, pag. 39.

(13)  GU C 318 del 29.10.2011, pag. 9.


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo «L’iniziativa dei cittadini europei (revisione)»

(parere d'iniziativa)

(2016/C 389/05)

Relatore:

Antonio LONGO

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

L’iniziativa dei cittadini europei (revisione).

(parere d'iniziativa)

Il sottocomitato incaricato di preparare i lavori del Comitato in materia ha formulato il proprio parere in data 17 maggio 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio (seduta del 13 luglio 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 107 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), a quattro anni dall’entrata in vigore del regolamento ICE, ribadisce la centralità dei cittadini nel progetto europeo e la capacità di detto strumento di contribuire a colmare il deficit democratico sostenendo la cittadinanza attiva e la democrazia partecipativa.

1.2.

Il Comitato, condividendo le posizioni già assunte dal Parlamento europeo, dal Comitato delle regioni e dalla Mediatrice europea, ritiene che l’iniziativa dei cittadini europei non abbia espresso tutte le sue potenzialità a causa di un regolamento di cui si chiede la revisione.

1.3.

Il CESE, infatti, ha riscontrato notevoli problemi di carattere tecnico, legale e burocratico, nonché un evidente sovraccarico di competenze in capo alla Commissione europea, che ne impediscono la completa diffusione, implementazione e follow-up, nel caso di iniziative di successo.

1.4.

Il Comitato, nell’ottica di revisione del regolamento, propone le seguenti misure:

1.4.1.

Consentire ai comitati dei cittadini di iniziare la raccolta delle dichiarazioni di sostegno in una data di loro scelta.

1.4.2.

Conferire riconoscimento giuridico ai comitati dei cittadini in modo da limitare la responsabilità penale degli organizzatori al dolo e alla colpa grave, in linea con il modello della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente.

1.4.3.

Creare un one-stop-shop, fisico e online, ove i cittadini possano ricevere informazioni ed essere orientati nella presentazione di iniziative.

1.4.4.

Esaminare le proposte orientate a ridurre l’età minima per sostenere e partecipare a un’ICE, così come richiesto da Parlamento e Comitato delle regioni.

1.4.5.

Risolvere l’evidente conflitto di interessi interno alla Commissione scindendo i ruoli di «guida istituzionale» e «giudice». In tale ottica il CESE, rinnovando la sua disponibilità a proseguire il suo impegno nelle iniziative già intraprese, può essere un candidato naturale a svolgere il ruolo di facilitatore e guida istituzionale.

1.4.6.

Garantire un follow-up adeguato alle iniziative di successo, sollecitando la Commissione ad elaborare una proposta legislativa entro 12 mesi dalla fine della campagna oppure motivando adeguatamente la decisione di non presentare alcuna proposta. In caso di una mancata proposta, il Comitato auspica che il Parlamento europeo eserciti una pressione sulla Commissione ai sensi dell’articolo 225 del TFUE.

1.5.

Il CESE sottolinea che taluni problemi non necessitano di una revisione del regolamento e, quindi, dovrebbero essere tempestivamente affrontati per non scoraggiare potenziali promotori. Al fine di rendere più efficace ed user-friendly tale strumento, il Comitato auspica l’implementazione delle seguenti iniziative:

1.5.1.

La Commissione, per rendere più trasparente il processo di registrazione, deve adottare procedure chiare e semplici nonché fornire risposte dettagliate e possibili soluzioni nel caso di iniziative valutate non ammissibili, consentendo ai comitati di poterle rimodulare e ripresentare.

1.5.2.

La Commissione deve continuare i negoziati con gli Stati membri per semplificare, ridurre ed uniformare il sistema di norme nazionali previsto per la raccolta dati. Si propone, in particolare, di limitare le richieste di documenti personali di identificazione e consentire a tutti i cittadini di poter firmare le iniziative dai paesi di residenza.

1.5.3.

Rendere permanente il software gratuito per la raccolta online delle dichiarazioni di sostegno (OCS) (1) per semplificare la raccolta e catalogazione delle dichiarazioni di sostegno nonché la loro verifica da parte delle autorità nazionali. Si auspica, altresì, che tale strumento sia reso accessibile anche per le persone diversamente abili.

1.6.

Il Comitato, in un’ottica più generale di diffusione e radicamento dell’ICE, raccomanda di:

1.6.1.

Rafforzare l’informazione e la sensibilizzazione dei cittadini sullo strumento dell’ICE con campagne ad hoc, consentendo ai comitati dei cittadini di informare i firmatari sui risultati raggiunti e, soprattutto, attraverso un maggiore impegno della Commissione nella pubblicizzazione dei follow-up delle iniziative di successo.

1.6.2.

Garantire il multilinguismo ed esplorare nuove modalità di collegamento tra la raccolta firme online e i media sociali e digitali al fine di raggiungere un pubblico sempre più vasto.

1.6.3.

Consentire, in linea di principio, ad ogni cittadino dell’UE di essere promotore di un’ICE, garantendo la possibilità di sostenere le spese essenziali di una campagna nel caso in cui un’ICE sia stata formalmente registrata.

1.7.

Il CESE propone di creare un forum istituzionale sulla Partecipazione dei Cittadini Europei, che diventi luogo permanente di discussione e dibattito presso il Comitato sul modello del Forum europeo delle migrazioni, valorizzando il percorso già intrapreso con la Giornata per l’iniziativa dei cittadini europei. Il tema potrebbe essere oggetto di una specifica e più articolata proposta da parte del Comitato da trattare in un parere d’iniziativa ad hoc.

2.   Introduzione

2.1.

Il diritto d’iniziativa dei cittadini europei è stato introdotto dal trattato di Lisbona (2) come strumento innovativo di democrazia partecipativa transnazionale. Questo consente a un milione di cittadini europei, appartenenti ad almeno sette paesi membri, di invitare la Commissione europea a proporre un testo legislativo su questioni di competenza dell’UE. In questo modo si vogliono coinvolgere attivamente i cittadini nei processi decisionali europei, fornendo loro una forma indiretta del diritto di iniziativa legislativa.

2.2.

Le norme e le procedure che disciplinano l’iniziativa dei cittadini europei (ICE) figurano in un regolamento dell’UE adottato il16 febbraio 2011 ed in vigore dal 1o aprile 2012 (3).

2.3.

Un’ICE può essere organizzata e/o firmata da tutti i cittadini europei che abbiano raggiunto l’età in cui si acquisisce il diritto di voto per le elezioni del Parlamento europeo (4). Le iniziative non possono essere gestite da organizzazioni, le quali possono tuttavia promuoverle o sostenerle purché lo facciano in piena trasparenza.

2.4.

La procedura prevista per l’ICE può essere sintetizzata in tre fasi:

2.4.1.

La fase di avvio prevede la costituzione di un «comitato dei cittadini» (5), la registrazione formale dell’iniziativa (6) subordinata ad una valutazione di ammissibilità della Commissione (7) e la certificazione del sistema di raccolta firme online (8).

2.4.2.

Nella fase di raccolta occorre raggiungere 1 milione di «dichiarazioni di sostegno» (firme) in un periodo massimo di 12 mesi in almeno 7 paesi dell’UE (9). Tale risultato dovrà essere certificato dalle autorità nazionali competenti (10).

2.4.3.

Nella fase di presentazione, l’iniziativa viene esaminata dalla Commissione, previo un incontro con gli organizzatori e un’audizione pubblica presso il Parlamento europeo. La Commissione avrà tre mesi di tempo per rispondere con una comunicazione ad hoc e scegliere se adottare la proposta dando inizio alla procedura legislativa.

3.   I primi quattro anni dell’iniziativa dei cittadini europei

3.1.

Ad oggi, oltre 6 milioni sono i cittadini europei che hanno firmato un’ICE. Sebbene siano state presentate 56 iniziative, solo 36 sono state registrate dalla Commissione, delle quali solo 3 hanno raccolto almeno 1 milione di firme (11). Nessuna iniziativa di successo ha dato origine ad una nuova proposta legislativa sebbene, in alcuni casi, la Commissione europea ha tenuto conto della posizione dell’opinione pubblica su aspetti particolari.

3.2.

Le notevoli difficoltà di carattere tecnico, legale e burocratico incontrate dagli organizzatori e lo scarso impatto legislativo prodotto dalle iniziative di successo hanno minato alla base la credibilità dello strumento dell’ICE. Tale fenomeno è evidente nel drastico calo delle iniziative registrate, passate da 16 nel 2012 a 5 nel 2015 (12), e dal numero delle dichiarazioni di sostegno raccolte, da oltre 5 milioni nel 2012 a poche migliaia nel 2015 (13).

3.3.

Nell’arco di questi quattro anni molti organizzatori ed esponenti della società civile organizzata (14) hanno denunciato i difetti e le rigidità di uno strumento che, negli intenti, doveva essere chiaro, semplice e user-friendly. Tali orientamenti sono stati confermati in un’audizione pubblica organizzata dal CESE il 22 febbraio 2016.

3.4.

Nel febbraio 2015, a tre anni di distanza dalla sua entrata in vigore, il Parlamento europeo ha presentato uno studio (15) sullo stato di implementazione del regolamento auspicandone una sua revisione. Le conclusioni di tale studio sono state riprese, nell’ottobre 2015, da una risoluzione (16) con la quale il Parlamento ha formalmente avanzato detta richiesta alla Commissione con proposte chiare e puntuali.

3.5.

La Mediatrice europea, a seguito di un’inchiesta per verificare l’effettivo funzionamento della procedura che disciplina l’ICE nonché il ruolo e le responsabilità della Commissione, ha stilato, nel marzo 2015, 11 linee guida finalizzate al miglioramento dell’iniziativa (17).

3.6.

Il Comitato delle regioni ha adottato, nell’ottobre 2015, un parere anch’esso favorevole ad una pronta e sensibile revisione del regolamento (18).

3.7.

La Commissione, in risposta alle numerose richieste di modifica del regolamento, ha pubblicato nell’aprile 2015, come previsto dal regolamento, una relazione (19) sui risultati finora raggiunti e successivamente, nel febbraio 2016, un follow-up (20) rispetto alle proposte avanzate dal Parlamento. In entrambi i casi la Commissione, pur riconoscendo diverse difficoltà incontrate dai promotori di ICE ed accettando la possibilità di apportare miglioramenti nell’implementazione del quadro normativo vigente, ha più volte respinto ogni possibilità di revisione in tempi brevi dell’attuale regolamento.

3.8.

È ormai opinione diffusa tra le istituzioni europee, gli organizzatori e i rappresentanti della società civile organizzata che, nonostante alcuni positivi risultati raccolti, l’ICE sia ancora lontana dall’aver espresso tutte le sue potenzialità in termini di proposta politica e di partecipazione attiva dei cittadini.

3.9.

Le principali criticità individuate, in modo uniforme, da istituzioni e stakeholders sono:

3.9.1.

Scarsa conoscenza e consapevolezza da parte dei cittadini e delle istituzioni nazionali dello strumento ICE (21).

3.9.2.

I comitati dei cittadini hanno incontrato numerosi ostacoli di carattere tecnico, legale e burocratico, nelle fasi di registrazione e raccolta delle dichiarazioni di sostegno, tali da compromettere l’esito dell’iniziativa stessa.

3.9.3.

I cittadini che intendevano firmare un’iniziativa hanno incontrato numerose difficoltà connesse alle singole leggi nazionali sul trattamento dei dati.

3.9.4.

Le poche iniziative di successo non sono state prese in considerazione dalla Commissione per elaborare nuove proposte legislative ma solo per iniziative legislative ad esse indirettamente correlate.

3.10.

Nel dettaglio delle principali difficoltà incontrate dai comitati di cittadini si segnalano:

3.10.1.

Assenza di un riconoscimento giuridico per il comitato dei cittadini. Questo aspetto influisce negativamente su importanti aspetti pratici di un’ICE come il fundraising o la mera apertura di un conto corrente. Inoltre, il fatto che i soggetti promotori siano personalmente responsabili «per ogni danno cagionato nell’organizzazione» (22) di un’ICE genera un effetto dissuasivo.

3.10.2.

Eccessiva rigidità nell’applicazione dei criteri di ammissibilità dell’ICE. Circa il 40 % delle iniziative sono state dichiarate inammissibili dalla Commissione europea nella prima fase del processo, quello di «registrazione» dell’iniziativa (23). Secondo il Parlamento europeo, è opportuno approfondire il conflitto di interessi interno alla Commissione che, da un lato, è tenuta a informare gli organizzatori e dare una valutazione sulla ammissibilità dell’iniziativa, dall’altro, è destinataria dell’iniziativa medesima (24).

3.10.3.

Sovrapposizione di attività nel calendario di un’ICE. I tempi necessari a far certificare in ciascuno Stato membro i sistemi di raccolta per via elettronica riducono il tempo, già breve di per sé, di 12 mesi per la raccolta delle dichiarazioni di sostegno.

3.10.4.

Mancanza di adeguato supporto da parte della Commissione soprattutto nelle fasi di lancio e gestione dell’iniziativa. Un approfondimento particolare meritano il servizio di hosting e l’OCS offerti gratuitamente dalla Commissione e le difficoltà degli organizzatori nell’elaborare e diffondere documentazione in versione multilingue.

3.10.5.

Gestire un’ICE è un processo costoso. Lo dimostra il fatto che le tre iniziative di successo avevano alle loro spalle il sostegno di grandi organizzazioni della società civile che ne hanno sostenuto dal punto di vista tecnico, organizzativo e finanziario le attività. Molti organizzatori, al fine di non snaturare il principio fondante dell’Iniziativa dei cittadini europei, hanno sottolineato la necessità di ricevere un maggior supporto a livello UE per il lancio della campagna.

3.10.6.

Eccessiva rigidità per la raccolta e gestione dei dati personali. In alcuni Stati membri, le norme in materia hanno disincentivato ulteriormente l’organizzazione e l’adesione a nuove iniziative. Inoltre, in alcuni paesi le leggi per la raccolta dati prevedono che siano prese in considerazione solo le firme raccolte tra i cittadini residenti sul territorio nazionale, privando, di fatto, 11 milioni di persone del loro diritto di partecipare (25).

3.10.7.

Scarso coinvolgimento dei promotori nell’attività di follow-up. Gli incontri e le audizioni, visto lo scarso seguito dato alle iniziative di successo, sembrano essere insufficienti a dar vita ad una concreta azione legislativa da parte della Commissione.

3.11.

Il 2016 rappresenta un anno decisivo per l’ICE nel processo che potrebbe portare ad una sua revisione. Il presente parere d’iniziativa vuole rappresentare il contributo del CESE a questo processo, nella consapevolezza delle enormi potenzialità inespresse di un così importante ed innovativo strumento nei processi decisionali europei e nell’ottica di una reale cittadinanza europea.

4.   Il CESE e l’iniziativa dei cittadini europei

4.1.

Il CESE, in quanto ponte tra le istituzioni europee e la società civile organizzata, è stato coinvolto fin dall’inizio nel dibattito sull’ICE. Lo dimostrano i pareri fin qui approvati (26) e l’istituzione di un gruppo ad hoc che segue costantemente l’evoluzione e l’implementazione di tale diritto (27).

4.2.

Il Comitato, inoltre, è attivamente coinvolto nel processo ICE (28) con il duplice ruolo di facilitatore delle iniziative e guida istituzionale. Tra le iniziative e le competenze in capo al CESE si ricordano:

4.2.1.

La «Giornata dell’iniziativa dei cittadini europei», organizzata con cadenza annuale, per valutare con tutti gli attori coinvolti lo stato di attuazione ed efficacia dell’ICE. Tale evento, inoltre, facilita lo scambio di buone prassi ed il networking tra i proponenti ed altri stakeholders.

4.2.2.

La creazione di un proprio ufficio, «ICE helpdesk», che offre, tra l’altro, la traduzione nelle lingue ufficiali dell’UE della descrizione di quelle iniziative che sono state validate dalla Commissione.

4.2.3.

La messa a disposizione di proprie sale per favorire la diffusione delle campagne.

4.2.4.

L’elaborazione di una guida pratica, giunta alla terza edizione, per far conoscere e promuovere l’ICE (29). Il Comitato, inoltre, attribuisce un ruolo chiave all’ICE in un’altra pubblicazione intitolata Il passaporto europeo per la cittadinanza attiva  (30) volta ad informare i cittadini europei sull’insieme dei loro diritti e stimolare la democrazia partecipativa transnazionale.

4.2.5.

La creazione, nel 2016, di un archivio pubblico della documentazione accademica e scientifica relativa all’ICE, aperto a tutti i cittadini e per consultazione gratuita.

4.2.6.

La presentazione in sessione plenaria o, in alternativa in sezione, di tutte le iniziative registrate di maggior successo che non siano in contrasto con la politica ufficiale del Comitato espressa dai suoi pareri. Ciò consente al CESE, pur tenendo una posizione neutrale, di dar loro adeguata visibilità.

4.2.7.

Il CESE partecipa con propri delegati alle audizioni organizzate presso il Parlamento europeo che hanno per oggetto le iniziative di successo, contribuendo al processo di analisi e approfondimento delle stesse da parte della Commissione.

5.   Osservazioni generali

5.1.

Il CESE rinnova con forza il suo sostegno all’iniziativa dei cittadini europei. A quattro anni di distanza dall’entrata in vigore del regolamento ICE si evidenziano dati incoraggianti in termini di partecipazione ma anche enormi potenzialità inespresse. Il Comitato, infatti, crede che una corretta e completa implementazione dell’ICE possa contribuire a colmare il crescente distacco tra i cittadini e l’Unione europea.

5.2.

Il CESE condivide le opinioni già espresse dal Parlamento europeo, dal Comitato delle regioni e dalla Mediatrice europea, secondo cui l’implementazione parziale e limitata dell’ICE è dovuta ad una molteplicità di fattori. In particolare si riscontrano dei limiti di carattere tecnico, legale e burocratico, ma anche un palese corto circuito istituzionale dovuto ad un sovraccarico di competenze e responsabilità in capo alla Commissione europea.

5.3.

Il CESE, altresì, ritiene che alcuni di questi problemi siano stati risolti con successo dalla Commissione, come nel caso della fornitura di un sistema OCS gratuito, mentre altri, sfortunatamente, non possono essere affrontati senza una revisione del regolamento stesso.

5.4.

Il Comitato, quindi, invita la Commissione ad attivarsi su un doppio binario: intervenire tempestivamente per risolvere e/o semplificare i problemi tecnici e burocratici più semplici ed evidenti; presentare quanto prima una proposta di riforma del suddetto regolamento al fine di affrontare le problematiche istituzionali, legali ed organizzative più complesse.

6.   Osservazioni specifiche

6.1.

Il CESE, ai fini di una semplificazione ed efficientamento dello strumento ICE, avanza le seguenti proposte di riforma del regolamento:

6.1.1.

Consentire ai comitati dei cittadini di iniziare in una data di loro scelta la raccolta delle dichiarazioni di sostegno. Ciò è fondamentale per rendere effettivi i 12 mesi di raccolta firme.

6.1.2.

Conferire riconoscimento giuridico ai comitati dei cittadini, assegnando loro se necessario uno status speciale, in modo da limitare la responsabilità penale degli organizzatori al dolo e alla colpa grave, in linea con il modello della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente.

6.1.3.

Creare un one-stop-shop, fisico e online, ove i cittadini interessati possano ricevere informazioni ed essere orientati nella presentazione di iniziative. Fondamentale è fornire ai comitati dei cittadini un’adeguata assistenza tecnico-legale al fine di facilitare la presentazione di proposte ed aumentare la percentuale di quelle considerate ammissibili.

6.1.4.

Esaminare le proposte orientate a ridurre l’età minima per sostenere e partecipare a un’ICE, così come richiesto da Parlamento e Comitato delle regioni, per offrire ai giovani l’opportunità di partecipare attivamente al processo di costruzione dell’Unione europea.

6.1.5.

Scindere i ruoli di «guida istituzionale» e «giudice», attualmente entrambi in capo alla Commissione. Ciò è cruciale per risolvere l’evidente conflitto di interessi interno alla Commissione e favorire la piena ed efficace implementazione dello strumento dell’ICE.

6.1.5.1.

Il CESE, confermando la propria disponibilità a proseguire il suo impegno nelle iniziative già intraprese, può essere un candidato naturale a svolgere il ruolo di facilitatore e guida istituzionale.

6.1.6.

Garantire un follow-up adeguato alle iniziative di successo. Nel rispetto del diritto di iniziativa in capo alla Commissione europea si chiede a quest’ultima di elaborare una proposta legislativa entro 12 mesi dalla fine della campagna oppure motivare adeguatamente la decisione di non presentare alcuna proposta. Qualora non venga presentata una proposta nei tempi stabiliti, il Comitato auspica che il Parlamento europeo eserciti una pressione sulla Commissione ai sensi dell’articolo 225 del TFUE. La Commissione, inoltre, dovrà avviare un rapporto più stretto con i proponenti di tali iniziative, andando oltre le semplici audizioni da celebrarsi presso il Parlamento europeo, al fine di garantire che la proposta elaborata sia rispondente alle attese di coloro che l’hanno sostenuta.

6.2.

Il Comitato, inoltre, rileva che la Commissione europea dovrebbe:

6.2.1.

Rendere più trasparente ed efficace il processo di registrazione. La Commissione, in particolare, dovrebbe svolgere un ruolo più proattivo, fornendo risposte dettagliate e possibili soluzioni nel caso in cui un’iniziativa sia valutata non ammissibile, consentendo ai comitati di poterla rimodulare rendendola congruente con i criteri stabiliti dalla normativa vigente.

6.2.2.

Continuare i negoziati con gli Stati membri per semplificare, ridurre ed uniformare il sistema di norme nazionali previsto per la raccolta dati, necessario per firmare una dichiarazione di sostegno. Si propone, in particolare, di limitare al massimo le richieste di documenti personali di identificazione e consentire a tutti i cittadini europei di poter firmare le iniziative dai paesi di residenza (31).

6.2.3.

Rendere permanente il sistema OCS gratuito che semplifica la raccolta e catalogazione delle dichiarazioni di sostegno nonché la loro verifica da parte delle autorità nazionali. Si auspica, altresì, che tale strumento sia reso accessibile anche per le persone diversamente abili.

6.3.

Si raccomanda in particolare di:

6.3.1.

Rafforzare i processi di informazione e sensibilizzazione sull’ICE. Ciò deve avvenire, in primis, attraverso campagne ad hoc promosse dalla Commissione e dagli Stati membri. In tale ottica si propone, inoltre, di consentire ai comitati dei cittadini di informare i sostenitori interessati sugli sviluppi e i risultati raggiunti dalla campagna (previa autorizzazione di questi ultimi). Cosa analoga vale per la Commissione che deve meglio pubblicizzare i follow-up delle iniziative di successo informandone innanzi tutto i comitati dei cittadini.

6.3.2.

Garantire il multilinguismo quale requisito indispensabile per raggiungere un alto tasso di partecipazione ed esplorare nuove modalità di collegamento tra la raccolta firme per via elettronica e i media sociali e digitali al fine di raggiungere un pubblico sempre più vasto.

6.3.3.

Consentire, in linea di principio, ad ogni cittadino dell’UE di essere promotore di un’ICE, garantendo la possibilità di sostenere le spese essenziali di una campagna nel caso in cui un’ICE sia stata formalmente registrata.

6.4.

Il CESE, infine, propone di creare un forum istituzionale sulla Partecipazione dei Cittadini Europei che diventi un luogo permanente di discussione e dibattito presso il Comitato sul modello del Forum europeo delle migrazioni, valorizzando il percorso già intrapreso con la Giornata per l’iniziativa dei cittadini europei. In tale contesto, al fine di garantire una partecipazione sempre qualificata, il CESE inviterebbe tra gli altri i rappresentanti istituzionali coinvolti, un rappresentante per ogni comitato di cittadini la cui iniziativa è stata formalmente registrata, nonché tutti gli stakeholders interessati. Il tema potrebbe essere oggetto di una specifica e più articolata proposta da parte del Comitato da trattare in un parere d’iniziativa ad hoc.

Bruxelles, 13 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  OCS è l’acronimo di Online Collection Software, e consiste in uno strumento fornito gratuitamente dalla Commissione europea per la raccolta dei dati online. Tale strumento semplifica sia l’attività di raccolta dati sia quella di verifica da parte delle autorità nazionali. L’OCS, inoltre, è in linea con il regolamento (UE) n. 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento di esecuzione (UE) n. 1179/2011 della Commissione. https://joinup.ec.europa.eu/software/ocs/description.

(2)  Articolo 11, paragrafo 4 TUE e articolo 24, paragrafo 1TFUE.

(3)  Regolamento (UE) n. 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, riguardante l’iniziativa dei cittadini, http://ec.europa.eu/citizens-initiative/public/welcome.

(4)  Di norma sono necessari 18 anni di età in ogni paese membro salvo l’Austria, dove ne bastano 16.

(5)  Il comitato dei cittadini deve essere composto da almeno sette cittadini residenti in altrettanti Stati membri dell’UE.

(6)  L’iniziativa deve essere descritta con un massimo di 800 caratteri (100 per il titolo, 200 per la descrizione e 500 per dettagli sugli obiettivi).

(7)  Regolamento (UE) n. 211/2011, articolo 4, paragrafo 2. Prima della registrazione ufficiale dell’iniziativa e del suo inserimento nel sito web della Commissione, quest’ultima ha due mesi per verificare se: 1) il comitato dei cittadini sia stato costituito e i referenti siano stati designati; 2) l’iniziativa non esuli manifestamente dalla competenza della Commissione di presentare una proposta legislativa per applicare i trattati dell’UE; 3) l’iniziativa non sia manifestamente ingiuriosa, futile o vessatoria; 4) l’iniziativa non sia manifestamente contraria ai valori sanciti dai trattati dell’UE. La decisione di registrare o meno una proposta d’iniziativa si basa su motivazioni giuridiche e può pertanto essere impugnata. Se rifiuta la registrazione, la Commissione informa gli organizzatori dei motivi del rifiuto e di tutti i possibili mezzi di ricorso giudiziari ed extragiudiziali a loro disposizione. Tra questi figurano la possibilità di adire la Corte di giustizia dell’UE o di presentare una denuncia al Mediatore europeo (denuncia per cattiva amministrazione).

(8)  Regolamento (UE) n. 211/2011, articolo 6. Il regolamento prevede che tale processo sia in carico alle autorità competenti di ciascuno Stato membro in cui saranno raccolte le dichiarazioni di sostegno.

(9)  Il regolamento prevede l’obbligo di raggiungere una quota minima di firme per paese proporzionale al numero di abitanti http://ec.europa.eu/citizens-initiative/public/signatories.

(10)  Regolamento (UE) n. 211/2011, articolo 15.

(11)  Le proposte che hanno avuto successo sono «Acqua potabile e servizi igienico-sanitari: un diritto umano universale! L’acqua è un bene comune, non una merce!», «Stop Vivisection», «Uno di Noi»: http://ec.europa.eu/citizens-initiative/public/initiatives/successful.

(12)  Il numero delle iniziative registrate si è progressivamente ridotto nel corso degli anni: 16 nel 2012, 9 nel 2013, 5 nel 2014, 5 nel 2015.

(13)  I dati delle firme raccolte a sostegno di un’ICE negli ultimi 3 anni dimostrano chiaramente un calo di partecipazione e interesse da parte dei cittadini. Nel 2013 sono state raccolte 5 402 174 firme, 628 865 nel 2014 e solo 8 500 nel 2015.

(14)  C. Berg, J. Tomson, An ECI that works! Learning from the first two years of the European Citizens’ Initiative, 2014. http://ecithatworks.org/

(15)  European Parliamentary Research Service, «Implementation of the European Citizens’ Initiative. The experience of the first three years», 2015. www.europarl.europa.eu/thinktank.

(16)  Risoluzione del Parlamento europeo del 28 ottobre 2015 sull’iniziativa dei cittadini europei (2014/2257(INI). Relatore: Schöpflin.

(17)  Caso: OI/9/2013/TN. Aperto: 18/12/2013; Decisione: 4/3/2015 http://www.ombudsman.europa.eu/en/cases/decision.faces/it/59205/html.bookmark.

(18)  Comitato delle regioni. Parere sul tema Iniziativa dei cittadini europei (GU C 423 del 17.12.2015, pag. 1).

(19)  Relazione COM(2015) 145 final, Relazione sull’applicazione del regolamento (UE) n. 211/2011 riguardante l’iniziativa dei cittadini, 2015.

(20)  Follow up to the European Parliament resolution on the European Citizens’ Initiative, adottato dalla Commissione il 2 febbraio 2016.

(21)  Studio Eurobarometro «The promise of EU», settembre 2014, pag. 55.

(22)  Regolamento (UE) n. 211/2011, articolo 13. Si pensi al rischio di errori nella gestione dei dati personali.

(23)  Particolarmente restrittiva è apparsa l’interpretazione del concetto «la proposta d’iniziativa non esuli manifestamente dalla competenza della Commissione di presentare una proposta di atto giuridico dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati». In questo modo sono state sistematicamente bocciate tutte le iniziative che intendevano emendare i Trattati. L’unica eccezione è «Let me vote», con la quale si intendeva integrare i diritti del cittadino europeo elencati nell’articolo 20, paragrafo 2 del TFUE col diritto di votare ad ogni elezione politica nello Stato membro di residenza alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato.

(24)  EPRS Implementation of the European Citizens’ Initiative. The experience of the first three years, 2015, cap. 3.1.4.

(25)  EPRS Implementation of the European Citizens’ Initiative. The experience of the first three years, 2015, cap. 6.

EPRS Disenfranchisement of EU citizens resident abroad, Executive Summary.

(26)  Parere del CESE sul tema Iniziativa dei cittadini (GU C 44 dell’11.2.2011, pag. 182).

Parere del CESE sul tema L’attuazione del trattato di Lisbona: la democrazia partecipativa e l’iniziativa europea dei cittadini (articolo 11 TUE) (GU C 354 del 28.12.2010, pag. 59).

(27)  Il gruppo ad hoc sull’ICE è stato costituito nell’ottobre 2013 e il suo mandato è stato rinnovato nel 2015.

(28)  http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.members-former-eesc-presidents-henri-malosse-speeches-statements&itemCode=35383.

(29)  http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/it_15_438-citizens-initiative.pdf.

(30)  http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/15_85-citizenship-passport-it.pdf.

(31)  I cittadini britannici e irlandesi residenti in Bulgaria, Francia, Austria, Repubblica ceca e Portogallo sono ad oggi privati di tale diritto.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

518a sessione plenaria del CESE dei giorni 13 e 14 luglio 2016

21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo su un piano d’azione sull’IVA — Verso uno spazio unico europeo dell’IVA — Il momento delle scelte»

[COM(2016) 148 final]

(2016/C 389/06)

Relatore:

Daniel MAREELS

Correlatore:

Giuseppe GUERINI

La Commissione europea, in data 2 maggio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo su un piano d’azione sull’IVA — Verso uno spazio unico europeo dell’IVA — Il momento delle scelte

[COM(2016) 148 final].

La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 113 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore il piano d’azione sull’IVA inteso a creare un sistema definitivo dell’IVA nell’UE e ne approva sia gli obiettivi che l’approccio basato su quattro pilastri nel quadro di una prospettiva di breve e medio termine. È davvero necessario, in questo momento, compiere un passo avanti qualitativo (un vero salto di qualità) per sostenere in tal modo il mercato unico e contribuire a promuovere l’occupazione, la crescita, gli investimenti e la competitività.

1.2.

Per il CESE è importante che si persegua l’obiettivo di realizzare tutte le componenti del piano d’azione come un insieme indivisibile, in particolare per quanto riguarda il passaggio al regime IVA definitivo. Il piano d’azione prevede che l’attuazione effettiva di questo sistema avvenga soltanto in una seconda fase e sia subordinata a una valutazione specifica da parte degli Stati membri. Occorre tuttavia ambire a realizzare il regime IVA definitivo in ogni caso ed entro un periodo di tempo ragionevole, altrimenti si rischia di compromettere gli obiettivi perseguiti.

1.3.

Per quanto concerne la prima fase prevista nel piano d’azione, che è attualmente limitata a determinate cessioni di beni, il Comitato invita tutte le parti interessate a esaminare in che modo si possano trasferire più rapidamente i servizi al nuovo regime, riducendo anche i problemi connessi a questa fase (di transizione). Bisognerebbe inoltre riflettere su metodi che consentano di assoggettare i servizi finanziari all’IVA in maniera più generalizzata.

1.4.

A giudizio del Comitato, la trasformazione del regime attuale deve portare a un sistema IVA definitivo che sia non soltanto chiaro, coerente, solido e completo, ma anche proporzionato e adeguato alle esigenze future. A questo riguardo, il Comitato accoglie con favore la scelta del principio del paese di destinazione quale fondamento del sistema IVA definitivo, in quanto creerà condizioni eque per tutti i fornitori che operano sullo stesso mercato nazionale e ridurrà le distorsioni del mercato.

1.5.

Il Comitato ritiene inoltre che occorra riservare ampia attenzione alla rispondenza alle esigenze delle imprese, in particolare di quelle piccole e medie. Nonostante le novità e le semplificazioni annunciate nel piano d’azione, rimane notevole preoccupazione per la complessità e la complicazione del futuro regime e per i considerevoli oneri amministrativi connessi alla sua applicazione.

1.6.

Al di là della chiarezza e della certezza del diritto, che devono essere prioritarie nell’elaborazione del regime IVA definitivo, il Comitato auspica un’ulteriore riflessione in merito a semplificazioni maggiori e aggiuntive e a una riduzione degli oneri amministrativi, prendendo in considerazione un approccio proporzionato a favore delle PMI, senza però pregiudicare la completezza e le altre caratteristiche essenziali del sistema dell’IVA definitivo. Le PMI dovrebbero essere coinvolte sin dalle prime battute in questo processo di definizione.

1.7.

Occorre inoltre prendere in considerazione modalità per mettere a disposizione, in maniera estesa e moderna, ad esempio attraverso un portale web, informazioni utili a beneficio delle imprese. Tali informazioni devono in particolare aiutare le piccole imprese a competere su un piano di parità con altre imprese e con i fornitori del settore pubblico. Più in generale, è importante facilitare e rendere più interessanti le attività transfrontaliere all’interno dell’UE per tutte le imprese, e in particolare per quelle piccole e medie.

1.8.

Il CESE accoglie con favore il forte accento posto sulla volontà di contrastare il divario in materia di IVA e la vulnerabilità di tale imposta alle frodi, soprattutto considerando le cifre che questi importi hanno ormai raggiunto: ben 170 miliardi di EUR all’anno. È importante considerare prioritario questo obiettivo e ottenere quanto prima risultati concreti, anche attraverso una migliore cooperazione tra le amministrazioni fiscali, come anche con le amministrazioni doganali all’interno dell’UE e con i paesi terzi, una maggiore efficienza delle amministrazioni fiscali, un ruolo più forte di Eurofisc, un rafforzamento dell’osservanza volontaria delle regole e una migliore riscossione dell’imposta.

1.8.1.

Il Comitato ritiene che gli Stati membri debbano potenziare la capacità della loro amministrazione fiscale in tutte le sue dimensioni: sul piano delle risorse sia umane che finanziarie come anche su quello tecnico. Tale potenziamento deve consentire loro di contribuire a garantire il funzionamento adeguato e corretto del nuovo regime in modo da far diminuire le frodi.

1.8.2.

Fatte salve le misure previste nel piano d’azione a questo riguardo, il Comitato si chiede se a tal fine non sia necessario ricorrere a maggiori strumenti e a mezzi di altro tipo, sull’esempio di quanto fatto nel quadro di alcuni recenti accordi internazionali in materia di scambio automatico di informazioni relative alle imposte dirette.

1.8.3.

Nella stessa ottica, il CESE ritiene che un forte accento andrebbe posto sulle caratteristiche e sugli aspetti intrinseci del sistema definitivo dell’IVA per quanto concerne la vulnerabilità alle frodi. Le nuove norme, una vigilanza adeguata e un maggiore controllo, mediante l’impiego dei necessari strumenti coercitivi, compresi quelli giudiziari, dovrebbero rendere l’applicazione del sistema IVA più completa e più efficace. In tale contesto occorre considerare anche l’esenzione riservata alle piccole spedizioni provenienti da fornitori al di fuori dell’UE, ma il Comitato raccomanda al riguardo di adottare un approccio modulato.

1.9.

Il Comitato fa presente che se si vogliono contrastare in maniera concreta le frodi occorre mettere in campo un’azione mirata e proporzionata. Le imprese in buona fede devono essere tutelate, e bisogna evitare di imporre loro nuove misure eccessive.

1.10.

Il Comitato accoglie con favore l’attenzione riservata ai nuovi sviluppi, sul fronte del commercio elettronico e delle forme di impresa. In questa materia è importante apportare chiarezza per tutte le parti interessate, garantendo nel contempo la parità di trattamento di tutti i fornitori, sia che essi seguano questi nuovi sviluppi o che si mantengano invece su canali e forme più tradizionali, e per tutte le loro attività, siano esse transfrontaliere o meno.

1.11.

Per quanto concerne la maggiore flessibilità in materia di aliquote ridotte concessa agli Stati membri e le due opzioni anticipate nel piano d’azione a questo riguardo, il CESE si riserva di esprimere la propria posizione, dal momento che sono necessarie maggiori informazioni sulle opzioni previste, sul modo in cui saranno applicabili e sulle regole che le disciplineranno. Pertanto, il Comitato preferisce per il momento fornire una serie di criteri per il futuro regime: la flessibilità e la certezza del diritto devono andare di pari passo, il sistema deve essere trasparente e, per ragioni di semplicità, il numero di aliquote ridotte e di eccezioni deve essere limitato. Nelle circostanze attuali e sulla base delle informazioni al momento disponibili, il Comitato esprime una preferenza per l’opzione 1, in quanto è quella maggiormente in linea con i criteri summenzionati.

2.   Contesto  (1)

2.1.

Il piano d’azione sull’IVA definisce un percorso per la creazione di uno spazio unico europeo dell’IVA, che possa sostenere il mercato unico, che contribuisca a promuovere l’occupazione, la crescita, gli investimenti e la concorrenza, e sia adeguato al XXI secolo. Il nuovo sistema dovrebbe essere più semplice, più resistente alle frodi e più in linea con le esigenze delle imprese.

2.2.

Il sistema dell’IVA attuale è estremamente frammentario e complesso, soprattutto a livello transfrontaliero. Non è riuscito a stare al passo con le sfide dell’economia odierna, che è globale, digitale e mobile. Esiste una notevole discrepanza tra il gettito dell’IVA previsto e quello effettivamente incassato («divario dell’IVA») e il sistema è vulnerabile alle frodi.

2.3.

L’approccio proposto consentirebbe di modernizzare e «riavviare» (rilanciare) il sistema dell’IVA. Altri approcci non sono considerati opzioni valide. Qualsiasi modifica al sistema richiede l’approvazione unanime di tutti gli Stati membri.

2.4.

Il piano d’azione si articola in quattro componenti e prevede almeno 27 misure (2), alcune delle quali sono elaborate in conformità con gli orientamenti per legiferare meglio (REFIT).

2.4.1.

I principi fondamentali alla base di un futuro spazio unico dell’IVA rappresentano indubbiamente il nucleo centrale del piano d’azione e il suo capitolo più importante. Lo scopo è presentare, nel 2017, una proposta per l’adozione di norme definitive.

2.4.1.1.

Il sistema definitivo dell’IVA sarà basato sul principio dell’imposizione nel paese di destinazione dei beni e dei servizi (3), in quanto il principio del paese d’origine risulta impraticabile. Ciò vale per tutte le operazioni, comprese quelle transfrontaliere. Le modalità di riscossione evolveranno gradualmente verso un sistema a prova di frode. Queste proposte verranno attuate in due fasi.

2.4.2.

Vale inoltre la pena di citare una serie di iniziative recenti o in corso di realizzazione, tra le quali:

la rimozione degli ostacoli che frenano la diffusione del commercio elettronico nel mercato unico. La Commissione intende presentare, entro la fine del 2016, una proposta intesa a modernizzare e semplificare l’IVA, in particolare per le PMI,

l’adozione, nel 2017, di un pacchetto di misure per le PMI. Si tratta di misure di semplificazione che avranno un impatto sui costi di conformità in materia di IVA, a favore delle piccole imprese.

2.4.3.

Il pacchetto più consistente prevede misure urgenti per contrastare il divario dell’IVA e le frodi in materia di IVA. A questo proposito, viene posto l’accento sui seguenti aspetti:

migliorare la cooperazione tra le amministrazioni fiscali, come anche con le amministrazioni doganali all’interno dell’UE e con i paesi terzi,

puntare a una maggiore efficienza delle amministrazioni fiscali e rafforzare il ruolo di Eurofisc,

migliorare l’osservanza volontaria della normativa,

garantire la riscossione dell’imposta,

elaborare la relazione di valutazione della direttiva sull’assistenza reciproca in materia di riscossione delle imposte dovute.

2.4.4.

L’obiettivo finale consiste nell’adottare, a più lungo termine, una politica modernizzata delle aliquote, con l’idea di offrire agli Stati membri un maggior grado di libertà e flessibilità per quanto riguarda le aliquote, specialmente quelle ridotte. Alcune iniziative seguiranno nel 2017.

3.   Osservazioni

3.1.   Il piano d’azione

3.1.1.

Il CESE accoglie con favore il piano d’azione che mira a realizzare uno spazio unico europeo dell’IVA. Si tratta di un piano d’azione ambizioso, urgente e necessario, in linea con gli sforzi tesi a sviluppare un mercato unico più moderno e competitivo.

3.1.2.

Il CESE condivide l’approccio basato su quattro componenti (4), con una strategia differenziata nel breve e medio termine. È importante superare le debolezze e le carenze del regime transitorio attuale e compiere un passo avanti qualitativo (un vero salto di qualità), in linea con le esigenze di un mercato unico.

3.1.3.

Il Comitato condivide l’approccio proposto, secondo il quale il regime definitivo dell’IVA si baserà sul principio del paese di destinazione. Fa tuttavia presente che il nuovo sistema dovrà essere non soltanto chiaro, coerente, solido e completo ma anche proporzionato e adatto alle esigenze future. In tale contesto, il CESE invita la Commissione a esaminare, a titolo precauzionale, la possibilità di introdurre un «meccanismo generalizzato di inversione contabile» (5) per tutte le operazioni B2B transfrontaliere. Sebbene tale meccanismo sia già impiegato in alcuni Stati membri per ridurre le frodi in materia di IVA relative a determinati settori economici, un’applicazione generale di questo principio potrebbero determinare uno spostamento del rischio di frode verso la vendita al dettaglio.

3.1.4.

Il passaggio a un sistema definitivo deve essere adeguatamente inquadrato. A questo proposito, è fondamentale migliorare l’efficienza delle amministrazioni fiscali nazionali e la loro collaborazione transfrontaliera, come anche contrastare la vulnerabilità del sistema alle frodi. Al fine di migliorare la riscossione dell’IVA e di combattere le frodi è importante incoraggiare lo sviluppo e lo scambio di buone pratiche in tutta l’UE. In questo senso, si potrebbe anche riflettere sull’introduzione di scadenze per la contabilizzazione dell’IVA tra gli Stati membri. Dovrebbe essere compiuto ogni sforzo per colmare, nella misura del possibile, il divario dell’IVA. In tal modo dovrebbe essere possibile andare incontro agli interessi delle autorità (un gettito IVA corretto) e migliorare le condizioni di parità per tutti i fornitori.

3.1.5.

Al tempo stesso è estremamente importante che il sistema sia reso più consono alle esigenze delle imprese. A tal fine, devono essere prioritarie la chiarezza e la certezza del diritto. Inoltre, è importante ridurre gli oneri amministrativi, soprattutto per le PMI, senza però pregiudicare la completezza e le altre caratteristiche essenziali (6) del sistema dell’IVA definitivo. In quest’ottica occorre elaborare moduli uniformi per i rimborsi IVA, garantire la puntualità dei rimborsi e realizzare un sistema accessibile di aliquote IVA.

3.1.6.

L’applicazione del principio del paese di destinazione consente agli Stati membri di definire liberamente le proprie aliquote, ma ciò non dovrebbe portare a una frammentazione e a un’eccessiva complicazione del sistema. È opportuno seguire un approccio proporzionato, a vantaggio delle PMI. Inoltre, occorre tenere conto dei nuovi sviluppi negli scambi transfrontalieri e nell’economia digitale e mobile, come anche di tutte le forme di impresa (sia esistenti che nuove).

3.1.7.

Il CESE ritiene che gli sforzi volti a creare una politica modernizzata delle aliquote, in grado di assicurare agli Stati membri maggiore flessibilità in materia di aliquote ridotte (7), dovrebbero, in linea di massima, rientrare nell’obiettivo dell’applicazione del principio del «paese di destinazione», dato che in tali circostanze si dovrebbero generalmente verificare minori distorsioni degli scambi. Il numero di eccezioni deve essere limitato e, per una maggiore efficienza economica, i beni e servizi forniti da soggetti pubblici o privati devono essere trattati allo stesso modo (8) ai fini dell’IVA. A parità di gettito, quanto più ampia è la base imponibile IVA, tanto più bassa deve essere l’aliquota. il che consente anche di evitare le distorsioni economiche.

3.1.8.

Il CESE considera importante che questo piano d’azione sia attuato pienamente in tutti i suoi elementi e come un insieme inscindibile. L’incertezza che può regnare in questo momento al riguardo non è in linea con gli sforzi tesi a realizzare un sistema dell’IVA per un mercato unico e potrebbe mettere a rischio gli obiettivi perseguiti. Per il CESE occorre prevedere nel piano d’azione tutte le garanzie necessarie per conseguire tale obiettivo. Questo vale in particolare per il passaggio al regime definitivo dell’IVA in due fasi, di cui la seconda viene ora (9) subordinata a una valutazione specifica a discrezione degli Stati membri. Con la seconda fase bisogna tuttavia puntare a realizzare il sistema IVA definitivo in ogni caso ed entro un periodo di tempo ragionevole.

3.1.9.

Ai fini della piena realizzazione del piano d’azione, il Comitato chiede agli Stati membri di intensificare e approfondire la cooperazione per lo scambio di dati e di rafforzare la fiducia negli sforzi messi in campo per attuare le disposizioni in materia e incrementare il gettito IVA. Al tal fine, il Comitato ritiene che gli Stati membri debbano rafforzare le capacità delle loro amministrazioni fiscali, le quali devono disporre di mezzi sufficienti sul piano sia delle risorse umane che di quelle finanziarie e tecniche (in particolare in materia di TIC). Il Comitato raccomanda alla Commissione di sostenere questo aspetto.

3.1.10.

Il Comitato si attende che la Commissione presenti, a tempo debito, una valutazione approfondita ed esauriente dell’impatto delle misure proposte e del piano d’azione nel suo complesso. In tale analisi non dovranno essere trascurati gli effetti sulle PMI, per le quali la complessità e gli oneri amministrativi rappresentano notevoli sfide.

3.2.   L’obiettivo principale: verso un solido spazio unico europeo dell’IVA. Un sistema IVA definitivo

3.2.1.

Il CESE condivide la scelta del principio del paese di destinazione, che contribuisce a creare condizioni di parità per tutti i fornitori su uno stesso mercato nazionale, indipendentemente dal luogo in cui essi abbiano sede.

3.2.2.

In base al piano d’azione, nella prima fase del passaggio al regime definitivo dell’IVA il principio del paese di destinazione sarà applicato soltanto alle merci. Per semplicità e per evitare ulteriori complicazioni, il Comitato invita la Commissione e gli Stati membri a esaminare modalità che consentano di trasferire più rapidamente i servizi al nuovo regime e a studiare metodi per assoggettare i servizi finanziari all’IVA in maniera più generalizzata.

3.2.3.

L’applicazione del nuovo regime potrebbe comportare oneri amministrativi supplementari a carico delle imprese, e il Comitato sottolinea pertanto la necessità di garantire regole semplificate in materia di IVA, in particolare per le PMI, che però non mettano in discussione la completezza del sistema. Allo stesso tempo occorre prestare notevole attenzione alla chiarezza delle norme e alla certezza del diritto.

3.2.4.

Per le imprese deve essere facile e interessante espandere le attività a livello transfrontaliero all’interno dell’UE. Nelle operazioni transfrontaliere, il principio del paese di destinazione implica che i fornitori applichino l’aliquota IVA dello Stato membro del cliente, il che può comportare complicazioni e oneri supplementari. In questo modo, infatti, si trovano ad avere a che fare con i sistemi di altri 27 Stati membri. Per far sì che i costi che ne derivano rimangano gestibili, occorre prevedere sistemi pubblici di informazione, ad esempio un portale web, indicanti, tra le altre cose, le tariffe applicabili nei vari Stati membri. È importante anche che le imprese debbano registrarsi soltanto nel paese in cui si stabiliscono. Il CESE accoglie pertanto con favore la proposta della Commissione di prevedere l’«obbligo di registrazione ai fini IVA» soltanto nel paese di stabilimento, il che consentirebbe alle imprese interessate di risparmiare, secondo le stime, circa 1 miliardo di EUR.

3.3.   Misure volte a colmare il divario dell’IVA e a combattere le frodi

3.3.1.

Il CESE accoglie con favore l’attenzione rivolta alle misure intese a colmare il divario dell’IVA e a rendere il sistema meno vulnerabile alle frodi, soprattutto perché queste ultime provocano per le autorità perdite dell’ordine di 170 miliardi di EUR all’anno, pari a non meno del 15,2 % del gettito totale dell’IVA. Il costo annuo delle sole frodi transfrontaliere ammonta a 50 miliardi di EUR.

3.3.2.

È importante considerare prioritario questo obiettivo e ottenere quanto prima risultati concreti. Fatte salve le misure previste nel piano d’azione a questo riguardo, il Comitato si chiede se non sia necessario a tal fine ricorrere anche ad altri strumenti, sull’esempio dei recenti accordi internazionali in materia di imposizione diretta, in particolare in merito allo scambio di dati e ai piani (10) della Commissione per lottare contro l’elusione.

3.3.3.

Nella stessa ottica, il CESE ritiene che un forte accento andrebbe posto sulle caratteristiche e sugli aspetti intrinseci del sistema definitivo dell’IVA dal punto di vista della vulnerabilità alle frodi. La possibilità di ridurre considerevolmente (11) le frodi, con l’applicazione di un sistema di scaglionamento dei pagamenti per le operazioni transfrontaliere, non deve indurre ad abbassare la guardia.

3.3.4.

Le nuove norme, una vigilanza adeguata e un maggiore controllo, mediante l’impiego dei necessari strumenti di applicazione, compresi quelli giudiziari, dovrebbero, in modo coerente, rendere il sistema dell’IVA più completo e la sua applicazione più efficace.

3.3.5.

Il CESE considera importante che le misure per colmare il divario dell’IVA e combattere le frodi siano attuate in maniera mirata. Tali misure devono essere conformi al principio di proporzionalità e devono migliorare il funzionamento del mercato interno. Le imprese in buona fede devono essere tutelate, e bisogna evitare di imporre loro nuove misure eccessive.

3.3.6.

I punti deboli e le lacune del sistema attuale, ad esempio l’esenzione riservata alle importazioni di piccole spedizioni da parte di fornitori di paesi terzi, creano disparità di condizioni e provocano distorsioni del mercato e ingenti perdite di entrate per le autorità (stimate nell’ordine di 3 miliardi di EUR all’anno). Se, in linea di principio, un tale regime non è compatibile, con un sistema dell’IVA moderno, il Comitato raccomanda, secondo una valutazione dei costi/benefici, di adottare un approccio modulato che non vada a colpire le operazioni che realmente non provocano distorsioni di mercato, come avviene per le spedizioni di piccole dimensioni, sporadiche, di ridotto valore e a fini strettamente privati.

3.3.7.

Alcuni insegnamenti possono essere inoltre tratti dalle esperienze passate. A tale proposito, si potrebbe riflettere, in futuro, sull’opportunità di una valutazione complessiva del sistema dell’IVA: non soltanto delle norme che lo regolano e del suo funzionamento, ma anche, più in generale, della sua capacità di rispondere alle esigenze dell’economia e delle autorità, come anche di contribuire al progetto europeo. Tale valutazione potrebbe essere effettuata a intervalli regolari.

3.4.   Tenere conto di una serie di nuovi sviluppi nel commercio elettronico e delle forme di impresa

3.4.1.

Il CESE accoglie con favore l’attenzione rivolta dal piano d’azione ai modelli commerciali innovativi e ai progressi tecnologici in un ambiente sempre più digitale. Più in generale, è essenziale tenere conto di tutti gli sviluppi principali proiettati verso il futuro, in modo da contribuire anche a rafforzare l’adeguatezza del sistema IVA definitivo alle esigenze future.

3.4.2.

In tale contesto, il CESE ritiene importante che le norme in materia di IVA siano definite in maniera da garantire chiarezza e certezza per tutte le parti interessate.

3.4.3.

Parimenti, occorre garantire la parità di trattamento di tutti i fornitori che offrono, a livello transfrontaliero o meno, i medesimi beni o servizi, indipendentemente dal fatto che si stiano adeguando agli sviluppi più recenti (approccio digitale), o che stiano continuando a utilizzare i canali e i metodi più tradizionali (fisici). Il CESE incoraggia ad adottare misure di semplificazione, come la soglia IVA comune a livello UE per aiutare le start-up a inserirsi nel commercio elettronico, e ritiene che l’applicazione di tale soglia dovrebbe essere aperta a tutte le PMI.

3.5.   Tenere conto delle esigenze delle PMI

3.5.1.

Il CESE accoglie con favore e mette in risalto l’attenzione che il piano d’azione rivolge alle PMI. È importante ed essenziale che esso preveda tutta una serie di misure specifiche con norme proporzionate e adeguate alle PMI, aspetto questo già messo in evidenza in un altro punto del parere.

3.5.2.

Il Comitato esprime apprezzamento per il proposito di prevedere un vasto pacchetto di misure di semplificazione a vantaggio delle PMI, ma queste intenzioni, espresse nel piano d’azione, devono essere ulteriormente chiarite e approfondite. Il CESE reputa importante che in tale processo le PMI siano coinvolte sin dall’inizio.

3.5.3.

Per le aziende agricole sarebbe auspicabile che l’attuale possibilità di prevedere una compensazione per l’IVA pagata su taluni acquisti venisse trasformata in obbligo per tutti gli Stati membri. Allo stesso tempo, è necessario che le attività di trasformazione della produzione agricola da parte di associazioni di produttori agricoli o altre associazioni analoghe siano equiparate alle attività agricole prettamente dette.

3.6.   Misure in materia di aliquote ridotte

3.6.1.

In relazione alla maggiore flessibilità in materia di aliquote ridotte, il Comitato esprime preoccupazione per il fatto che essa potrebbe portare a una maggiore frammentazione delle aliquote IVA tra gli Stati membri, il che andrebbe a scapito della chiarezza e dell’applicabilità del sistema, soprattutto per le PMI.

3.6.2.

Per quanto concerne le opzioni proposte nel piano d’azione, il CESE si riserva di esprimere la propria posizione, dal momento che sono necessarie maggiori informazioni sulle opzioni previste, sul modo in cui saranno applicabili e sulle regole che le disciplineranno. Pertanto, il Comitato preferisce per il momento indicare una serie di caratteristiche cui il futuro regime dovrebbe rispondere: la flessibilità e la certezza del diritto devono andare di pari passo, il sistema deve essere trasparente e il numero di aliquote ridotte e di eccezioni deve essere limitato. Nelle circostanze attuali e sulla base delle informazioni al momento disponibili, il Comitato esprime una preferenza per l’opzione 1 (12), in quanto è quella maggiormente in linea con i criteri summenzionati.

3.6.3.

Il Comitato chiede che nell’ambito del futuro sistema IVA definitivo venga tenuto conto del ruolo e dell’importanza strategica delle imprese sociali (13). A tale proposito, si potrebbe valutare la possibilità di rivedere il punto 15 dell’allegato III della direttiva 112/2006 oppure di inserire una nuova disposizione concernente l’applicazione di un’aliquota ridotta per servizi sociali, sanitari e scolastici prestati a soggetti svantaggiati da enti riconosciuti che operano a favore del benessere sociale. In particolare, bisognerebbe considerare la possibilità di prevedere nel nuovo regime IVA delle esenzioni o un’aliquota ridotta applicabili sui prodotti e i servizi per le persone disabili e le persone svantaggiate.

3.6.4.

È altresì importante mantenere le esenzioni IVA esistenti, già concesse in diversi Stati membri, a favore delle organizzazioni di volontariato, in virtù della natura specifica delle organizzazioni interessate e dell’assenza di una rilevanza transfrontaliera.

3.6.5.

Nel quadro della rifusione della direttiva IVA si potrebbe esaminare la possibilità che singoli Stati membri applichino aliquote IVA maggiorate per i prodotti di lusso, e valutare, in tal caso, quali norme debbano essere applicabili.

3.6.6.

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio ha accordato aliquote IVA ridotte e deroghe speciali a talune isole e zone remote europee per controbilanciare i loro svantaggi naturali, economici e demografici permanenti; data l’importanza che tali regimi rivestono per le imprese insulari e per le economie locali, il Comitato chiede che questi vengano mantenuti.

Bruxelles, 13 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il testo che segue è in buona parte basato sul piano d’azione.

(2)  Sette di queste azioni sono illustrate nel piano e venti nel documento 20 measures to tackle the VAT gap (Venti misure per la lotta contro il divario dell’IVA). Cfr. http://ec.europa.eu/taxation_customs/resources/documents/taxation/tax_cooperation/vat_gap/2016-03_20_measures_en.pdf

(3)  Il «principio del paese di destinazione».

(4)  Cfr. il punto 2.4.

(5)  Questo sistema è noto anche con il termine inglese «reversed charge».

(6)  Cfr. il punto 3.1.3.

(7)  Cfr. il punto 2.4.4.

(8)  Ad esempio, nel settore sanitario, le imprese private sono tenute, di norma, ad applicare l’IVA, diversamente dai fornitori pubblici, che spesso beneficiano di un’esenzione.

(9)  Nella versione attuale del piano. Cfr. il punto 4, ultimo paragrafo.

(10)  Cfr. la proposta di direttiva del Consiglio recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno, pubblicata dalla Commissione il 28 gennaio 2016 («direttiva anti-BEPS»). Cfr. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1465293669136&uri=CELEX:52016PC0026 e http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-159_it.htm; Al riguardo si rimanda al parere del CESE ECO/405 in merito al Pacchetto anti-elusione, adottato il 28 aprile 2016 (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 93).

(11)  Di 40 miliardi di EUR, ossia dell’80 %.

(12)  L’opzione 1 riguarda l’ampliamento e il riesame periodico dell’elenco di beni e servizi ammissibili alle aliquote ridotte.

(13)  In merito all’importanza dell’economia sociale si rimanda alla comunicazione della Commissione dal titolo Iniziativa per l’imprenditoria sociale — Costruire un ecosistema per promuovere le imprese sociali al centro dell’economia e dell’innovazione sociale, [COM(2011) 682 final].


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Industria 4.0 e la trasformazione digitale: la direzione da seguire»

[COM(2016) 180 final]

(2016/C 389/07)

Relatore:

Joost VAN IERSEL

Correlatore:

Nicola KONSTANTINOU

La Commissione europea, in data 19 aprile 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Industria 4.0 e la trasformazione digitale: la direzione da seguire

[COM(2016) 180 final].

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 14 luglio 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli e nessuna astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la comunicazione Digitalizzazione dell’industria europea — Cogliere appieno i vantaggi di un mercato unico digitale  (1). Ritiene che l’intero pacchetto (2) rappresenti il primo passo nell’ambito di un ampio programma di lavoro a livello europeo da realizzarsi in stretta collaborazione reciproca tra tutte le parti pubbliche e private interessate.

1.2.

Il CESE apprezza la visione strategica coerente e ambiziosa della politica industriale presentata nella comunicazione e l’accento che essa pone su quattro aspetti principali: 1) tecnologie e piattaforme; 2) norme e architetture di riferimento; 3) coesione geografica inserita in una rete di centri di innovazione regionale; 4) competenze a tutti i livelli.

1.3.

L’urgenza scaturisce dall’analisi svolta dalla Commissione. Quest’ultima pone in evidenza i punti di forza del settore europeo del digitale, ma esprime anche il timore che il valore aggiunto possa spostarsi massicciamente dai soggetti industriali verso i titolari delle piattaforme digitali proprietarie, e sottolinea la mancanza di norme comuni e di soluzioni interoperabili. Vi è anche una notevole necessità di competenze digitali.

1.4.

Industria 4.0 è essenzialmente un processo che muove dal basso. Ma il settore pubblico dovrebbe sviluppare orientamenti strategici e riveste un ruolo determinante in qualità di regolatore, facilitatore e finanziatore.

1.5.

La digitalizzazione e Industria 4.0 condizionano profondamente i modelli aziendali e l’intero contesto nel quale le imprese operano attualmente. La sensibilizzazione e il senso di un obiettivo comune a tutti i portatori di interesse sono elementi fondamentali: ciò significa coinvolgere, oltre alle imprese, tutte le parti sociali a tutti i livelli, il mondo accademico, gli istituti di ricerca, gli attori pubblici regionali e locali, il settore dell’istruzione e i consumatori.

1.6.

Nessun paese europeo è in grado da solo di cogliere con successo tutte le opportunità offerte dall’era digitale. L’Europa nel suo insieme rappresenta la massa critica, paragonabile a grandi mercati quali gli Stati Uniti e la Cina. La digitalizzazione dell’industria richiede una strategia industriale condivisa per l’UE e gli Stati membri. Ciò dovrebbe rafforzare la base industriale europea, attrarre nuovi investimenti e riportare in Europa investimenti e posti di lavoro, e manterrà l’attenzione de continente sull’obiettivo di una produzione industriale attestata a quota 20 % del PNL europeo entro il 2020.

1.7.

Poter contare su un ambiente affidabile e prevedibile è fondamentale. Le start-up e le scale-up (imprese in fase di avviamento e di espansione) meritano un’attenzione particolare. Il Consiglio, e più precisamente il Consiglio «Competitività», su iniziativa della Commissione europea, dovrebbe decidere con urgenza l’adozione di una strategia industriale 4.0 per l’UE e di un mercato unico digitale, per superare l’attuale frammentazione risultante da 28 politiche digitali diverse. Il mercato unico digitale dovrebbe essere parte integrante del mercato unico rinnovato per evitare la frammentazione dell’ambiente digitale europeo.

1.8.

La cooperazione è il fattore chiave. Le piattaforme 4.0 nazionali e regionali devono riunire tutti gli attori pertinenti. Nell’ambito di un quadro comune europeo, ciascuno dovrebbe sviluppare le proprie caratteristiche. Si dovrebbero promuovere partenariati di ogni tipo, sinergie e raggruppamenti, accordi transfrontalieri e valutazioni comparative (benchmarking) a livello europeo.

1.9.

Nella stessa ottica, vanno incoraggiati i partenariati pubblico-privati e importanti progetti di comune interesse europeo (3), come anche le iniziative relative alla pubblica amministrazione elettronica (e-government).

1.10.

Le crescenti disuguaglianze tra gli Stati membri in termini di produzione industriale e performance tecnologica sono preoccupanti. Il CESE sollecita una cooperazione adeguatamente studiata per avviare la convergenza.

1.11.

Il CESE accoglie con favore il finanziamento pianificato per 5 miliardi di euro in favore delle attività di ricerca e sviluppo delle TIC nell’ambito del programma Orizzonte 2020 e altri finanziamenti a valere su una serie di fondi europei, in particolare il piano di investimenti del presidente della Commissione Juncker. La Commissione deve chiarire come intende mettere in pratica queste intenzioni strategiche.

1.12.

È evidente che sono necessarie notevoli risorse finanziarie supplementari. La Commissione parla di 50 miliardi di euro di investimenti solo per le TIC, il che implica un massiccio coinvolgimento finanziario dei settori pubblico e privato in tutta Europa. Tuttavia, non è ancora chiaro come queste disposizioni finanziarie saranno attuate entro un arco di tempo ragionevole.

1.13.

Il capitale privato riveste un ruolo centrale nei finanziamenti. Le banche dovrebbero essere incoraggiate a fare la loro parte nell’ambito di Industria 4.0. Un mercato finanziario europeo a pieno titolo potrebbe fornire il sostegno adeguato.

1.14.

Prodotti personalizzati a prezzi di produzione di massa apporteranno un considerevole beneficio a utenti e consumatori. La maggior parte delle categorie di prodotti destinati a un uso personale trarrà vantaggio dalle migliori prestazioni e da una più elevata qualità.

1.15.

La comunicazione tratta in modo deludente perché troppo stringato le considerevoli conseguenze sociali della digitalizzazione nell’industria. Gli effetti netti sono imprevedibili. Per evitare una società spaccata al suo interno, occorre dare un’attenzione specifica alle generazioni e fasce di reddito che possono essere duramente colpite. Per molte altre categorie, invece, si apriranno nuove opportunità.

1.16.

La digitalizzazione avrà notevoli ripercussioni sul mercato del lavoro e sull’organizzazione del lavoro, sotto forma, ad esempio, di aumento delle disparità retributive e riduzione dell’accesso ai sistemi di sicurezza sociale — effetti che possono risultare deleteri se non vengono contrastati in maniera appropriata (4).

1.17.

Garantire relazioni sociali stabili, una società coesa e una forza lavoro motivata e con un buon livello di istruzione, che possa godere di un reddito dignitoso e di posti di lavoro di qualità, richiede un coinvolgimento attivo da parte di tutti i soggetti interessati. È necessario un dialogo sociale a 360 gradi a tutti i livelli — europeo, nazionale, regionale e aziendale — per garantire condizioni di adeguamento eque ai lavoratori che subiscono l’impatto della digitalizzazione, con un’anticipazione tempestiva e un sostegno sufficiente al loro adattamento professionale.

1.18.

Esiste un legame diretto tra i programmi didattici e le relative strutture, da un lato, e la coesione sociale, dall’altro. L’aggiornamento delle competenze e delle qualifiche per gli utenti della tecnologia digitale, così come la riqualificazione, sono aspetti chiavi. Il mondo imprenditoriale e le parti sociali dovrebbero essere ampiamente coinvolti nell’elaborazione dei programmi di studio per tutti i livelli e le forme di istruzione.

1.19.

Il CESE si aspetta che la Commissione agisca da catalizzatore applicando in modo efficace il piano strategico. Ciò significa in particolare coordinare efficacemente gli approcci concorrenti ed evitare le incertezze e la frammentazione del mercato. Il mercato unico digitale è un elemento fondamentale. Un’accelerazione del processo di normazione europea sarà determinante.

1.20.

Il CESE si attende inoltre dalla Commissione un ruolo attivo sotto forma di:

iniziative di sensibilizzazione di tutte le componenti della società, in particolare per promuovere l’acquisizione di competenze digitali;

analisi dello scenario mondiale e messa a disposizione di dati statistici più accurati sui servizi;

presentazione del coordinamento efficace dell’UE alle amministrazioni nazionali quale esempio da seguire;

maggiore pressione in favore degli investimenti per le infrastrutture (telecomunicazioni, banda larga);

garanzia del fatto che l’applicazione dell’RGPD (5) non produrrà disarmonie nel mercato dell’UE;

maggiore pressione a favore di accordi finanziari pubblici e privati trasparenti;

monitoraggio, benchmarking e valutazione, comprese le raccomandazioni specifiche per paese nell’ambito del semestre europeo;

promozione delle piattaforme 4.0 e dei partenariati pubblico-privati nonché della cooperazione tra i soggetti interessati, in particolare riunendoli a livello UE;

promozione di poli di innovazione digitale in quanto centri di formazione avanzata della forza lavoro;

approfondimento del dialogo sociale nell’UE a tutti i livelli per esaminare le conseguenze sul mercato del lavoro e gli adeguamenti da apportare al diritto sociale e del lavoro, per quanto riguarda, in particolare, le misure economiche e politiche che dovrebbero garantire la protezione di tutti i lavoratori (6).

2.   Introduzione

2.1.

La digitalizzazione nell’industria è un elemento essenziale di una più ampia trasformazione dell’economia che comprende la robotizzazione, le scienze dei materiali e nuovi processi di produzione, ed è denominata «Industria 4.0». Questo cambiamento di paradigma modificherà radicalmente le imprese e la società. Ancora di recente, nel 2014, l’UE non aveva una visione chiara degli aspetti economici, tecnologici e sociali di Industria 4.0. Al tempo il CESE aveva presentato un elenco di misure auspicabili (7).

2.2.

Nel settembre 2015 il CESE ha adottato un parere che trattava le conseguenze socio-economiche della digitalizzazione dell’industria e gli effetti negativi sui mercati del lavoro (8).

A.    Sviluppi globali

2.3.

Sviluppi trasversali si stanno verificando soprattutto negli Stati Uniti, in Cina, nell’UE, in Giappone e in Corea, a cui si aggiungeranno altri paesi. I megadati, che rappresentano una nuova materia prima, fungono da catalizzatori del cambiamento delle dinamiche dei prodotti e dei servizi. Settori che prima non erano collegati (9) diventano ora interattivi, mentre i servizi (soprattutto digitali) nelle catene di valore stanno creando notevole valore aggiunto nei processi produttivi.

2.4.

Attualmente non esiste azienda che possa operare senza una strategia digitale, la quale ha effetti simultaneamente sui prodotti, sui servizi e sui processi dell’industria nel suo insieme. Nell’ottica di uno sviluppo di nuovi mercati, la digitalizzazione dell’industria genera una concorrenza feroce sia tra le imprese sia tra i blocchi economici. La cooperazione precompetitiva in tutto il mondo è diffusa anche tra imprese.

2.5.

Le misure si basano su una strategia industriale mirata, in particolare negli Stati Uniti e in Cina, dove le imprese traggono beneficio da grandi mercati interni. Questa è alta politica. Nel 2011 l’amministrazione Obama ha avviato un ampio programma, tuttora in corso, sulle nuove tecnologie, in particolare le TIC, che coinvolge imprese, istituti di ricerca e università in tutto il paese.

2.6.

Come spesso accade, i progetti privati trarranno benefici sostanziali da nuovi programmi tecnologici annunciati di recente da agenzie federali.

2.7.

Gli Stati Uniti intendono utilizzare la trasformazione digitale per recuperare il terreno perduto sui mercati industriali, sfruttando allo stesso tempo il principio americano della libertà di operare e la posizione dominante di attori mondiali nel settore delle TIC e dei megadati come Google, Amazon, Microsoft, Cisco e altri (10).

2.8.

Un consorzio composto dalle maggiori imprese industriali sta operando nella stessa direzione. Un elenco delle 50 imprese più innovative del 2014 rivela che sette tra le prime dieci hanno sede negli Stati Uniti (11).

2.9.

Le autorità cinesi stanno sfruttando la trasformazione digitale per rafforzare la posizione del loro paese su scala globale. I documenti ufficiali sottolineano come il loro scopo sia quello di eguagliare gli Stati Uniti.

2.10.

La chiara ambizione della Cina è evidenziata in un programma statale trasversale intitolato Made in China 2025, basato sugli obiettivi del programma tedesco Industrie 4.0. Si tratta di un concetto totalmente nuovo nei processi economico e produttivo della Cina, che prevede un alto livello di coordinamento tra istanze decisionali, attori economici e forze innovatrici.

2.11.

A tal fine sono state stanziate importanti risorse finanziarie. Nonostante la recessione economica, questi programmi specifici non ne hanno risentito.

B.    L’attuale situazione in Europa

2.12.

L’interesse nei confronti di Industria 4.0 è sensibilmente aumentato. Parallelamente, la digitalizzazione rappresenta una delle principali priorità della Commissione Juncker. Essa richiederà un coordinamento ottimale tra i servizi di questa istituzione.

2.13.

Un orientamento chiaro in sede di Consiglio «Competitività» è fondamentale per costruire un senso di obiettivo comune tra la Commissione e le istanze decisionali a livello nazionale e regionale. La digitalizzazione dell’industria e i megadati nel settore produttivo europeo devono garantire l’acquisizione di una posizione forte per il futuro. Si tratta essenzialmente di un processo dal basso che coinvolge tutti i soggetti interessati. Al settore pubblico spetta un ruolo importante in quanto regolatore, facilitatore e finanziatore.

2.14.

L’iniziativa è giunta dalla Germania a partire del 2011 grazie all’impegno congiunto del governo federale, del mondo accademico e di quello imprenditoriale. Dopo il lancio del progetto Industrie 4.0 nel 2013, il processo è stato razionalizzato in Platform 4.0, ed è sfociato in un accordo di cooperazione tra il governo, le imprese e i sindacati. Le imprese sono sempre più coinvolte in iniziative trasversali, spesso in collaborazione con le autorità regionali.

2.15.

Nel frattempo sono stati avviati, tra gli altri, i progetti Industrie 4.0 in Austria, L’industrie du Futur in Francia, Catapult nel Regno Unito e Smart Industry nei Paesi Bassi. Si tratta di uno scenario diversificato, in quanto ciascun paese sviluppa la propria visione di Industria 4.0 e del futuro dell’industria. Tuttavia, l’intensità della cooperazione e la percezione dell’urgenza sono nettamente diverse da paese a paese.

2.16.

Le iniziative nazionali, regionali e locali (nelle singole città) sono complementari. La Commissione ha giustamente in previsione partenariati e accordi transfrontalieri, così come uno scambio di buone pratiche.

2.17.

Le grandi imprese e quelle specializzate di medie dimensioni stanno dando l’esempio. Le principali preoccupazioni riguardano le profonde disuguaglianze tra i paesi, l’arretratezza o l’insufficiente consapevolezza da parte delle PMI e un coinvolgimento del pubblico in ritardo. Una questione particolarmente problematica è rappresentata dalla frammentazione del mercato europeo e dal solito scenario sconfortante di 28 politiche industriali e digitali presenti in Europa.

2.18.

La digitalizzazione dell’industria e Industria 4.0 vanno ben oltre la semplice tecnologia. Le imprese si devono preparare a cambiamenti radicali causati da una serie di fattori: la velocità, la dimensione e l’imprevedibilità della produzione nonché un’ulteriore frammentazione e il riorientamento delle catene del valore; nuovi rapporti tra gli istituti di ricerca, l’istruzione superiore e il settore privato; nuovi modelli aziendali; nuovi collegamenti tra imprese di grandi e più piccole dimensioni; nuovi modelli di collaborazione a tutti i livelli dell’attività (progettazione, produzione, vendita, logistica, manutenzione); la necessità di competenze nuove o aggiornate parallelamente a nuovi modi di lavorare, e infine più stretti collegamenti tra l’impresa e l’utente. Sono soprattutto le industrie tradizionali ad essere esposte alla sfida costituita da concetti assolutamente nuovi (12).

2.19.

Il consumatore può essere più che mai padrone delle proprie scelte. Combinando processo produttivo e servizi, la digitalizzazione consente la personalizzazione e la produzione su misura a un costo uguale o inferiore a quello della produzione in serie, spesso in un nuovo contesto. Nel contempo, il consumatore deve poter acquisire informazioni adeguate riguardo ai prodotti e ai loro effetti sociali e ambientali, che gli permetteranno di farsi un’opinione maggiormente informata sugli acquisti da effettuare.

3.   La politica industriale e le azioni in corso e auspicabili

3.1.

Nel sostenere Industria 4.0 e i suoi soggetti interessati — imprenditori, risorse umane, parti sociali, clienti e fornitori, operatori del settore dell’istruzione — l’UE ha bisogno di una strategia industriale che preveda una corretta ripartizione dei compiti tra tutte le parti coinvolte. In ciò è fondamentale il ruolo del Consiglio «Competitività». Come già nel caso di tutte le politiche industriali, si tratta di competenze condivise.

3.2.

Il Consiglio europeo (13) ha stabilito come obiettivo per il 2020 che l’industria europea rappresenti il 20 % del PNL europeo, anziché l’attuale 12 %. Tuttavia, l’esitazione da parte degli investitori e la mancanza di una direzione (europea) stanno provocando, al contrario, un declino del settore manifatturiero.

3.3.

Mettendo in rilievo la necessità di politiche coerenti, i servizi della Commissione stanno attualmente preparando un programma di lavoro imponente — regolamenti, normazione, R&S e risorse finanziarie — in stretta collaborazione con gli Stati membri e con le imprese.

3.4.

Il CESE nota con soddisfazione che la maggior parte delle 17 raccomandazioni formulate in un suo parere del 2014 (14) è attualmente in fase di discussione.

3.5.

La Commissione, i governi, le imprese e i soggetti interessati prenderanno tutti parte, a giusto titolo, alle riunioni strategiche su Industria 4.0. Andrebbero incoraggiati i partenariati pubblico-privati (15), al pari dell’importante progetto di comune interesse europeo incentrato sull’elettronica a bassa potenza per l’Internet degli oggetti. A tal fine si rende necessaria una tabella di marcia dettagliata per imprese e governi.

3.6.

Una grave preoccupazione è costituita dall’esistenza, a tutt’oggi, di 28 politiche digitali distinte, che va sostanzialmente contro la necessità di operare su una più vasta scala, ed è un argomento decisivo a favore di un’accelerazione del mercato unico digitale.

3.7.

Il mercato unico digitale dovrebbe diventare parte integrante del mercato unico rinnovato. La legislazione e la regolamentazione intelligenti devono essere velocizzate. Queste le azioni in programma:

rimozione delle barriere commerciali interne e rinnovamento di una legislazione ormai datata;

uniformazione del trattamento dei megadati in Europa;

infrastrutture digitali (telecomunicazioni, banda larga);

standardizzazione aperta mediante l’utilizzo dei brevetti essenziali per le norme tecniche (SEP) resi disponibili grazie a condizioni economiche e giuridiche eque, ragionevoli e non discriminatorie (FRAND);

un regime giuridico per il rilascio di licenze e la protezione dei dati, inclusi quelli relativi ai lavoratori;

importanza della protezione dei dati per usi attuali e futuri e accesso a dati oggettivi;

responsabilità e sicurezza dei dispositivi, delle macchine e dei veicoli autonomi connessi;

cloud computing e norme per le piattaforme operative del tipo «cloud»;

sicurezza informatica e riservatezza;

diritti d’autore;

applicazione delle norme sociali e fiscali nell’ambito della gig economy e nei rapporti di lavoro in rete (ad esempio nel crowd working);

statistiche aggiornate e dettagliate sui servizi.

3.8.

Il CESE sollecita consultazioni per stabilire un corretto equilibrio tra disposizioni legislative e lo spazio di manovra per gli attori economici.

3.9.

L’Europa deve compiere degli sforzi per stabilire norme su scala mondiale in stretta collaborazione con gli attori non europei.

3.10.

Il regolamento generale sulla protezione dei dati offre maggiore flessibilità agli Stati membri e non deve dar luogo a una restrizione dell’accesso ai dati e del loro riutilizzo, accrescendo la disarmonia sul mercato dell’UE.

3.11.

La sicurezza informatica è tuttora ampiamente sottovalutata dalle imprese e dagli Stati. Il crimine informatico si sta diffondendo su scala mondiale. L’UE deve rivestire un ruolo chiaro.

3.12.

Il CESE sollecita la Commissione a riservare particolare attenzione alle statistiche che sono tuttora sistematicamente trascurate. Dati statistici più dettagliati riguardo ai servizi rappresentano un elemento fondamentale per le imprese e le istanze decisionali.

4.   Misure nazionali e regionali

4.1.

Un numero sempre maggiore di paesi e regioni sta attualmente lavorando seriamente alla digitalizzazione.

4.2.

Tuttavia, le crescenti disuguaglianze tra i paesi e la diversa consapevolezza delle imprese nei vari paesi rappresentano un motivo di forte preoccupazione. Una delle questioni fondamentali è costituita dall’interoperabilità tra imprese e fornitori.

4.3.

Programmi di sensibilizzazione vengono organizzati sia per le imprese che per i soggetti interessati. Ciascun paese stabilisce i propri metodi. Le piattaforme, spesso a livello regionale, sono molto importanti per stimolare la cooperazione tra le grandi e le piccole imprese, e tra le imprese e gli istituti di ricerca e le università.

4.4.

Andrebbe incoraggiato il rafforzamento dei partenariati pubblico-privati su scala sia regionale che nazionale. Essi infatti fanno convergere partner da diversi background, promuovendo l’arricchimento reciproco. Incoraggiano la cooperazione e possono rappresentare una gradita e assolutamente necessaria fonte di sostegno finanziario.

4.5.

Le piattaforme, i centri di eccellenza e i laboratori sul campo spesso si focalizzano su aspetti specifici della digitalizzazione, ad esempio sulle modifiche delle catene di valore, sui nuovi modelli aziendali e sull’innovazione sociale e al lavoro (16), con la partecipazione attiva dei lavoratori e dei sindacati. Vanno incoraggiati gli sportelli unici. Le organizzazioni di settore rivestono un ruolo importante nell’affrontare questioni specifiche di settore.

4.6.

Anche le università (tecniche) attorno alle quali si sviluppano gli incubatori — i campus aziendali — svolgono un ruolo proattivo. Il concetto di università imprenditoriale, che si sta diffondendo sul continente, è di grande aiuto (17).

4.7.

Le reti costituite da imprese, piattaforme, organizzazioni di settore e università intensificano le tendenze auspicabili. Il mercato unico digitale dovrebbe migliorare le condizioni per la cooperazione transfrontaliera. Condizioni economiche e giuridiche per la condivisione della creazione di valore attraverso la digitalizzazione nell’industria potrebbero essere necessarie per favorire la cooperazione tra attori di dimensioni (molto) diverse. È necessario porre particolare attenzione alle PMI e alle start-up. La maggior parte di esse necessita di un’informazione mirata, mentre a molte mancano gli strumenti per migliorare.

4.8.

Rispetto alla situazione negli Stati Uniti, in Europa le start-up e le scale-up rappresentano piuttosto un punto debole. L’arricchimento reciproco tra imprese grandi e piccole e le reti di incubatori (transfrontalieri) sta dando risultati. Gli istruttori, come gli imprenditori esperti, in pensione, che operano part-time e i tutor possono rivestire un ruolo di grande sostegno.

5.   Finanziamenti

5.1.

La digitalizzazione sta diventando una priorità per i finanziamenti europei (Orizzonte 2020, finanziamenti regionali ecc.). Il Centro comune di ricerca di Siviglia e i centri di innovazione di imminente apertura, dotati di esperienza a livello mondiale, possono essere particolarmente utili.

5.2.

Dal punto di vista del CESE, la questione di finanziare tutti gli investimenti necessari è ben più complessa di quanto risulti dalla comunicazione. È evidente che sono necessarie notevoli risorse finanziarie supplementari. La Commissione parla di 35 miliardi di euro di investimenti solo per le TIC. Ciò implica una stretta cooperazione tra i finanziamenti UE, nazionali e regionali nonché un coinvolgimento attivo dell’industria attraverso le piattaforme e i partenariati pubblico-privati. È necessario un chiarimento su come queste disposizioni finanziarie saranno attuate entro un arco di tempo ragionevole. Sorge spontanea la solita domanda: chi pagherà cosa e a quale scopo?

5.3.

I finanziamenti europei sono spesso giustamente criticati per la loro eccessiva lentezza e burocrazia, cosa che li rende solitamente molto costosi e che scoraggia le piccole imprese. Si prendano invece ad esempio gli Stati Uniti. Procedure adattate e una burocrazia alleggerita sono fondamentali, nel rispetto, però, del principio di equità. Potrebbe essere utile ridurre il numero minimo obbligatorio di partecipanti nei consorzi di ricerca e sviluppo (18).

5.4.

Le classifiche delle università che ospitano incubatori per le piccole imprese possono rappresentare uno strumento utile per misurare le start-up promettenti e rendere più veloci le procedure burocratiche dell’UE.

5.5.

I processi aziendali innovativi nell’ambito digitale sono trainati da start-up e scale-up come gli unicorni (19). Gli americani sono leader in materia. Inoltre, i «cacciatori» americani di innovazione, molto attivi in Europa, sono alla ricerca di acquisizioni remunerative.

5.6.

Accanto al settore bancario, il capitale privato svolge un ruolo attivo. Anche il settore delle banche private si sta digitalizzando. La tecnologia finanziaria opera in parallelo. In quanto emanazione dell’universo digitale, essa promuove la velocità, una maggiore efficienza e trasparenza nonché un diverso approccio verso i clienti. Sarebbe utile che in Europa ci fossero altri poli di tecnologia finanziaria oltre a Londra.

5.7.

Le banche e la tecnologia finanziaria dovrebbero essere partner fondamentali nel mercato unico digitale, con un livello più elevato di prestazioni e creazione di valore. Esse dovrebbero essere incoraggiate ad agire quali partner strategici per l’industria, valutando da un punto di vista professionale il beneficio economico, sociale e ambientale dei progetti. Potrebbero essere utili anche forme radicalmente nuove di piattaforme di interconnessione e di servizi a valore aggiunto.

5.8.

Il regolamento finanziario (o la sua versione riveduta) non dovrebbe impedire al settore bancario di assumere rischi calcolati investendo in Industria 4.0.

5.9.

È necessario un mercato europeo dei capitali pienamente funzionante per poter creare condizioni finanziarie paritarie paragonabili a quelle degli Stati Uniti.

6.   Società e mercato del lavoro

A.    Società

6.1.

Industria 4.0 e la società digitale riguardano tutti. Occorre a tal fine condurre un’opera di sensibilizzazione. Sono attualmente in discussione i rischi e le incertezze legati al futuro, nonché le occasioni e le opportunità, le condizioni sociali e l’accettazione.

6.2.

Nell’Europa nord-occidentale i mezzi di comunicazione di massa (televisione, stampa, media sociali) si occupano già quotidianamente della rivoluzione digitale. Mentre in alcuni paesi l’opinione pubblica è piuttosto ben aggiornata, su tutto il territorio europeo l’informazione va considerevolmente migliorata.

6.3.

Prodotti personalizzati a prezzi di produzione di massa apporteranno un notevole beneficio a utenti e consumatori. Dai seguenti settori ci si attendono prestazioni decisamente migliori:

agricoltura e industria alimentare

economia circolare, COP 21

controlli e diagnostica automatici, riparazione e manutenzione, smontaggio

sanità elettronica, sanità mobile e teleassistenza

robotica applicata alla sanità (prossimità e interazione)

edilizia e ingegneria civile (20)

minore consumo energetico

trasporto e mobilità

pubblica amministrazione elettronica

città intelligenti

sviluppo di aree remote

paesi in ritardo di sviluppo.

B.    Mercato del lavoro

6.4.

Industria 4.0 ha un impatto significativo su tutte le professioni nel mercato del lavoro. Di conseguenza, le politiche in materia costituiranno il fulcro degli sviluppi futuri. A questo riguardo, la linea argomentativa della comunicazione è deludente, perché concisa e alquanto superficiale.

6.5.

Nel 2015 il CESE ha affrontato un’ampia gamma di effetti della digitalizzazione sul settore dei servizi e sull’occupazione (21). I cambiamenti in corso riguardano, tra l’altro, le descrizioni delle mansioni, le competenze e le qualifiche, l’istruzione e la formazione, l’ambiente di lavoro e l’organizzazione dei processi, i rapporti contrattuali tra imprese e dipendenti, i metodi di lavoro e la pianificazione della carriera.

6.6.

Una delle grandi sfide del nostro tempo è rappresentata da come gestire una tecnologia destinata a una rapida accelerazione, con il rischio di lasciarsi dietro alcune (o forse molte) persone (22). La politica e la società nel suo insieme, il settore imprenditoriale, i sindacati, le organizzazioni no-profit e il settore pubblico, le organizzazioni di settore e le organizzazioni non governative devono tutti impegnarsi.

6.7.

Nell’era digitale la coesione sociale dipenderà in larga misura dall’istruzione. L’istruzione ad ogni livello e i programmi di formazione in tutta Europa richiedono con urgenza un aggiornamento delle competenze e delle qualifiche, affinché le persone riescano a tenere il passo con gli sviluppi e l’esigenza di mobilità (internazionale). Dovrebbero essere promosse la creatività e l’imprenditorialità (23).

6.8.

Al fine di dotare la manodopera dell’UE delle competenze necessarie nell’era digitale, occorre promuovere gli investimenti pubblici e privati nell’istruzione professionale e valutare la necessità di adottare misure a livello europeo per generalizzare nell’UE le esperienze positive degli Stati membri in materia di congedo di studio/formazione (24).

6.9.

L’UE necessita di un’agenda per le competenze elaborata sulla base di un elenco di componenti chiave. Un forum istruzione — imprenditori a livello dell’UE, che includa le parti sociali, fornirà un eccellente supporto. Le parti sociali dei settori utilizzatori dovrebbero essere ugualmente coinvolte nella definizione di competenze digitali per l’industria. La Grande coalizione per l’occupazione nel digitale dell’UE e le coalizioni nazionali corrispondenti dovrebbero essere adeguatamente coordinate.

6.10.

La digitalizzazione apre nuove opportunità e genera maggiori scelte per le persone in termini di responsabilità e di libertà personali (ad esempio riguardo all’orario e al luogo di lavoro). Numerosissime sono le persone che già ne beneficiano all’interno di imprese esistenti oppure nuove o nell’esercizio di un lavoro autonomo. Si dovrebbe analizzare come forme diverse di flessibilità dovrebbero essere applicate dalle parti sociali nazionali in base alle pratiche invalse o alle leggi vigenti a livello nazionale per creare un corretto equilibrio tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro (25).

6.11.

Ampie categorie di lavoratori, compresi i livelli manageriali, vengono attualmente licenziate, principalmente a causa della robotizzazione. Il ceto medio basso è duramente colpito tanto quanto la generazione più anziana. La società ha una chiara responsabilità verso coloro i quali, a causa dell’età o della mancanza di qualifiche, non sono più in grado di partecipare al mondo del lavoro.

6.12.

Per incrementare l’occupazione nonostante il calo della domanda di manodopera, occorre mettere in evidenza i possibili problemi nell’ambito di un confronto con tutti i diretti interessati e, in funzione delle esigenze dei singoli Stati membri, sviluppare le strategie risolutive corrispondenti (ad esempio nel campo degli investimenti pubblici, delle innovazioni capaci di creare posti di lavoro, nonché della ripartizione del lavoro e della riduzione del relativo orario) (26).

6.13.

Parallelamente, vanno corretti gli squilibri esistenti nel mercato del lavoro. È necessario agevolare la riqualificazione dei lavoratori che sono considerati in grado di farlo. In tutta Europa vi sono centinaia di migliaia di posti di lavoro disponibili nel settore tecnico e delle TIC. A tal fine è richiesta una corretta comunicazione.

6.14.

Imprese e sindacati si trovano a dover affrontare le medesime sfide. È nell’interesse di tutti che la forza lavoro sia ben istruita e motivata e possa contare su un reddito dignitoso e su lavori di qualità. Se non gestita correttamente, la resistenza dell’opinione pubblica e tra i lavoratori potrebbe generare una tensione dannosa.

6.15.

Il dialogo sociale è necessario a tutti i livelli: UE, nazionale, regionale e aziendale. Lo stato dell’economia e l’ambiente sociale, le tradizioni e la cultura variano da paese a paese. È indispensabile che tutte le parti interessate assumano una responsabilità condivisa.

6.16.

A livello dell’UE, il dialogo sociale nell’ambito di Industria 4.0 dovrebbe riguardare:

le analisi delle complessità economiche e sociali e l’anticipazione del cambiamento a livello settoriale, promuovendo una comprensione condivisa;

la mappatura delle conseguenze per i diversi segmenti del mercato del lavoro — basso, medio e alto — nonché per i gruppi vulnerabili;

le trasformazioni dei rapporti tra datore di lavoro e dipendente;

la responsabilità in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro di fronte all’impiego di macchine e veicoli automatici e collegati;

le descrizioni delle mansioni;

la «flessicurezza» e la mobilità dovute a un’ulteriore frammentazione delle catene di valore;

le competenze e le qualifiche focalizzate sui bisogni degli utenti della tecnologia digitale, nonché la riqualificazione, che divengono, così, aspetti chiavi;

l’istruzione, dalle scuole elementari all’università; e

la riqualificazione continua e il costante miglioramento delle competenze;

l’attenzione all’equilibrio di genere;

le buone pratiche, l’attenzione sulla promozione della convergenza tra gli Stati membri;

la mobilità (Schengen);

la comunicazione e l’informazione.

6.17.

In parallelo, il dialogo sociale si svolge a livello di settore. Ne è un esempio il dialogo tra CEEMET e industriAll nel settore metallurgico, ingegneristico e tecnologico. La Federazione bancaria dell’Unione europea (FBE), il settore assicurativo e le banche centrali stanno conducendo un dialogo analogo con UNI-Europa Finanza. Inoltre, la FBE e UNI-Europa stanno lavorando a un progetto di riqualificazione di respiro europeo che coinvolgerà 40 000 lavoratori dipendenti.

6.18.

Lo stesso tipo di approccio è — o dovrebbe essere — adottato a livello nazionale, tenendo conto delle notevoli differenze culturali, di programma e di usi esistenti tra i diversi paesi, nonché delle disparità per quanto riguarda il dialogo sociale stesso e il coinvolgimento del governo in qualità di legislatore e facilitatore.

6.19.

A livello regionale e aziendale, il dialogo sociale si dovrà concentrare sui cambiamenti nei modelli aziendali e su situazioni specifiche riguardanti i singoli individui, le specializzazioni regionali e l’arricchimento reciproco tra imprese, scuole e istituti di istruzione superiore e campus aziendali. Anche le piattaforme nazionali e regionali possono rivelarsi particolarmente utili in tutti questi settori (27).

6.20.

In sintesi, un dialogo sociale correttamente gestito è fondamentale per generare una mentalità comune e fissare obiettivi comuni per la società, le imprese e i soggetti direttamente interessati in un settore che è tuttora denso di insidie economiche e sociali.

Bruxelles, 14 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2016) 180 final.

(2)  Riferimento, inter alia, alle altre parti che compongono il pacchetto e all’iniziativa europea per il cloud computing.

(3)  Come definito nell’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), del TFUE e ulteriormente specificato nella comunicazione della Commissione (2014/C-188/02).

(4)  Cfr. il parere del CESE sul tema L’impatto della digitalizzazione sull’industria dei servizi e sull’occupazione, GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161, punto 1.2.

(5)  Regolamento generale sulla protezione dei dati.

(6)  Cfr. il parere del CESE GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161, punto 6.3.

(7)  Cfr. il parere del CESE sul tema L’impatto dei servizi alle imprese nell’industria, in particolare il punto 1.15, GU C 12 del 15.1.2015, pag. 23.

(8)  Cfr. il parere del CESE, GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161.

(9)  Intelligenza artificiale e apprendimento artificiale, robotica, nanotecnologie, stampa in 3D, genetica e biotecnologia.

(10)  I «Digital-Big-5» negli Stati Uniti hanno una capitalizzazione di mercato superiore a quella di tutti i titoli dell’indice tedesco DAX30 messi insieme.

(11)  Analisi del Boston Consulting Group.

(12)  Cfr. ad esempio l’autovettura senza conducente nell’industria automobilistica o la tecnologia finanziaria nel settore bancario.

(13)  Consiglio europeo, 11 dicembre 2013.

(14)  Cfr. la nota 7, in particolare il capitolo 1 Conclusioni e raccomandazioni.

(15)  Ad esempio FoF (fabbrica del futuro) e SPIRE.

(16)  Come indicato dalla Rete europea dell’innovazione sul posto di lavoro (EUWIN).

(17)  Cfr. anche il parere del CESE sul tema Università impegnate nella costruzione dell’Europa (GU C 71 del 24.2.2016, pag. 11).

(18)  Come è già stato fatto per alcune parti di Orizzonte 2020.

(19)  Per «unicorno» si intende una startup, ormai giunta a maturità, del valore di almeno 1 miliardo di USD.

(20)  Cfr. l’iniziativa neerlandese BIM (Building Information Model), che consiste in un modello tridimensionale di informazioni di un edificio, al quale collaborano professionisti di discipline diverse — architetto, costruttore, installatore e appaltatore — tramite una base di dati comune.

(21)  Cfr. il parere CESE citato alla nota 4.

(22)  Cfr., tra i numerosi studi e analisi esistenti, la pubblicazione Digitalisation of the economy and its impact on labour markets (La digitalizzazione dell’economia e il suo impatto sul mondo del lavoro).

(23)  Cfr., tra gli altri, il parere del CESE sul tema Università impegnate nella costruzione dell’Europa, GU C 71 del 24.2.2016, pag. 11.

(24)  Cfr. il parere del CESE GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161, punto 1.5.1.

(25)  Cfr. il parere del CESE citato alla nota 4, GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161, in particolare i punti 1.5.6, 1.5.8 e 1.5.9.

(26)  Cfr. il parere del CESE GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161, punto 1.5.9.

(27)  Un interessante esempio è fornito dal laboratorio sul campo dedicato all’innovazione sociale a Ypenburg, nei Paesi Bassi.


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/60


Parere del Comitato economico e sociale europeo «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Acciaio: mantenere occupazione sostenibile e crescita in Europa»

[COM(2016) 155 final]

(2016/C 389/08)

Relatore:

Andrés BARCELÓ DELGADO

Correlatore:

Enrico GIBELLIERI

La Commissione europea, in data 4 aprile 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

«Acciaio: mantenere occupazione sostenibile e crescita in Europa»

[COM(2016) 155 final].

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 14 luglio 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 194 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo:

1.1.1.

chiede alle istituzioni dell’UE di garantire, quale priorità fondamentale, condizioni di parità per il settore siderurgico;

1.1.2.

accoglie con favore la comunicazione della Commissione intesa ad affrontare le sfide cui il settore siderurgico europeo si trova confrontato nell’attuale contesto di crisi e a mantenere un’occupazione e una crescita sostenibili in Europa;

1.1.3.

chiede l’immediata ricostituzione del gruppo ad alto livello sull’acciaio, in quanto vi sono questioni specifiche che non possono essere affrontate nel più ampio gruppo sulle industrie ad alta intensità energetica;

1.1.4.

chiede alla Commissione che il gruppo ad alto livello sull’acciaio, una volta ricostituito, comprenda la Commissione, gli Stati membri, la BEI, le parti sociali, le imprese e i sindacati, la piattaforma tecnologica di R&S e i centri di competenza;

1.1.5.

invita il Consiglio e la Commissione a definire una tabella di marcia, contenente impegni specifici in materia di attuazione, risorse e obiettivi che consentano di affrontare le minacce e le sfide descritte nell’analisi;

1.1.6.

invita la Commissione a produrre, tra un anno, una relazione di follow-up sul modo in cui le misure contenute nella comunicazione sono state attuate;

1.1.7.

invita la Commissione a potenziare e accelerare in modo significativo l’efficienza e l’efficacia degli strumenti di difesa commerciale esistenti per poter reagire immediatamente a pratiche commerciali sleali da parte di paesi esportatori e ristabilire condizioni di parità sul mercato;

1.1.8.

chiede alle istituzioni dell’UE, finché la Cina non soddisfa i cinque criteri (1) UE per essere riconosciuta come economia di mercato, di utilizzare un metodo non standard per le indagini antidumping e antisovvenzioni sulle importazioni cinesi, ai sensi della sezione 15 del protocollo di adesione della Cina all’OMC;

1.1.9.

chiede che qualsiasi modifica del trattamento delle importazioni cinesi sia accompagnata da opportune misure volte a impedire che l’industria dell’UE sia danneggiata da pratiche commerciali sleali;

1.1.10.

ricorda, in particolare agli Stati membri, che è importante portare a termine il pacchetto di modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale, che permetterà di accelerare il processo e rimuovere i cosiddetti «elementi OMC+» propri del sistema UE, in particolare la «regola del dazio inferiore»;

1.1.11.

sottolinea che, poiché il dazio all’importazione per i prodotti siderurgici è pari a zero ai sensi del codice doganale comunitario, è indispensabile abolire la regola del dazio inferiore per tali prodotti;

1.1.12.

accoglie con favore l’impegno della Commissione ad accelerare ulteriormente l’adozione di misure provvisorie. Per quanto riguarda il calcolo del margine di pregiudizio, occorre definire meglio e in modo trasparente l’attuale prassi di stabilire i profitti di riferimento al fine di garantire che questi ultimi siano realistici, che promuovano le attività di R&S in Europa e che il pregiudizio venga efficacemente eliminato;

1.1.13.

riconosce che la reintroduzione del sistema di vigilanza preventiva su taluni prodotti siderurgici aiuterà la Commissione ad affrontare adeguatamente le importazioni sleali, con la possibilità di avviare indagini sulla base di una minaccia di pregiudizio che può diventare una pratica generalizzata;

1.1.14.

esorta la Commissione a registrare le importazioni prima dell’adozione delle misure provvisorie e ad applicare retroattivamente i dazi antidumping e/o compensativi definitivi tre mesi prima dell’adozione delle misure provvisorie ai sensi delle disposizioni del regolamento di base;

1.1.15.

invita la Commissione a sollecitare gli altri partner commerciali a garantire la piena trasparenza in materia di aiuti di Stato e di sostegno pubblico indiretto al settore siderurgico, chiedendo il loro impegno a evitare gli interventi pubblici a favore di impianti non in grado di sopravvivere nel quadro delle forze di mercato;

1.1.16.

invita la Commissione e gli Stati membri a definire un metodo chiaro ed efficace per gestire il processo di ristrutturazione in modo socialmente sostenibile, aggiornando adeguatamente tutti gli strumenti disponibili per tenere conto dell’attuale situazione economica mondiale ed evitando che l’incipiente consolidamento dell’industria siderurgica dell’UE avvenga in maniera unilaterale a scapito dei lavoratori;

1.1.17.

ribadisce l’importanza di promuovere il dialogo sociale, al fine di migliorare le capacità dei lavoratori di adattarsi alle nuove sfide. A tal fine, la Commissione e le parti sociali dovranno accordarsi su una tabella di marcia specifica e su un calendario dettagliato;

1.1.18.

chiede alla Commissione di rivedere le attuali norme specifiche sugli aiuti di Stato per valutare la possibilità di includere il settore siderurgico nel quadro generale;

1.1.19.

esorta la Commissione, tenendo conto delle specificità del Fondo di ricerca carbone e acciaio (FRCA), a:

mantenere lo stesso livello di partecipazione del settore, in quanto tale coinvolgimento aiuta la Commissione nella gestione del programma FRCA, preservandone le caratteristiche specifiche originali, la cui efficienza ed efficacia sono state messe in luce nella relazione di monitoraggio e valutazione;

mantenere la rete di esperti, che è stata attiva in oltre 60 anni di ricerca collaborativa, e garantire la loro piena partecipazione alla selezione delle proposte FRCA e al monitoraggio dei progetti in corso;

impedire che l’FRCA sia indebolito da altri programmi;

1.1.20.

invita il Parlamento europeo e il Consiglio a garantire che, nel processo di revisione del sistema di scambio delle quote di emissione (ETS), agli impianti più efficienti sia assegnata gratuitamente la totalità delle quote, senza restrizioni, per incentivare in misura significativa gli altri impianti a migliorare i propri risultati;

1.1.21.

sottolinea che la piena compensazione dei costi indiretti, risultanti dall’aumento dei prezzi dell’elettricità per effetto del sistema ETS e dal sostegno alle energie rinnovabili, deve avvenire in modo armonizzato per evitare le distorsioni attuali del mercato unico dell’UE;

1.1.22.

chiede alla Commissione di adottare le misure necessarie per garantire che le spedizioni di rifiuti al di fuori dell’Europa siano gestite e trattate nel pieno rispetto delle norme ambientali e della salute umana;

1.1.23.

esorta la Commissione e gli Stati membri a prendere in considerazione — e a premiare adeguatamente nel quadro dei regolamenti che disciplinano gli appalti pubblici — i sistemi volontari di sostenibilità messi a punto dal settore siderurgico con l’obiettivo di aumentare l’impegno delle imprese nei confronti delle generazioni attuali e future, quale modo migliore per promuovere l’approccio di sostenibilità nell’intero mercato dell’UE.

2.   Introduzione

2.1.

La Commissione riconosce che il settore siderurgico, che genera l’1,3 % del PIL dell’UE, costituisce la base per le catene del valore di molti settori industriali, con 328 000 posti di lavoro diretti e un impatto ancora maggiore sull’indotto. L’industria siderurgica è presente in tutta Europa, con oltre 500 impianti di produzione distribuiti in 24 Stati membri.

2.2.

Il settore siderurgico è stato gravemente danneggiato da un’ondata di importazioni effettuate mediante pratiche commerciali sleali, le quali hanno spinto al ribasso i prezzi dell’acciaio e messo in discussione la redditività dell’intero settore nel breve termine. Tale situazione risulta particolarmente difficile poiché fa seguito a una crisi economica settennale che ha colpito duramente il settore, provocando la perdita di circa 90 000 posti di lavoro diretti.

2.3.

Gli impianti sopravvissuti alla crisi operano con personale ridotto e con un margine di manovra limitato. A ciò si aggiungono gli elevati prezzi dell’energia e l’impatto della politica ambientale e climatica che costituiscono ulteriori svantaggi nella gara che l’industria siderurgica europea sta conducendo per recuperare la sua competitività a livello internazionale. Infine, le difficoltà del settore sono legate anche alle politiche di austerità che penalizzano l’industria siderurgica, in particolare nei mercati delle costruzioni, degli impianti tecnici per l’edilizia, dei trasporti e delle infrastrutture.

2.4.

Nonostante le elevate prestazioni tecnologiche dell’industria siderurgica dell’UE, il crollo della domanda da parte dei paesi emergenti e l’eccesso di capacità a livello mondiale, specialmente in Cina, hanno creato una situazione senza precedenti che richiede misure eccezionali e urgenti.

2.5.

In Cina, la combinazione tra l’eccesso di capacità e le pratiche commerciali sleali ha portato di recente a un massiccio aumento delle esportazioni, destabilizzando i mercati mondiali dell’acciaio e abbattendo i prezzi a livello globale. Dato che il mercato dell’UE è il mercato più aperto al mondo, a dazio zero e senza ostacoli tecnici agli scambi, una buona parte della lieve ripresa economica in tale mercato è stata assorbita da importazioni sleali a prezzi estremamente bassi.

2.6.

La Commissione ha avviato 10 nuove indagini sulle pratiche commerciali sleali nel settore dell’acciaio. La situazione è tutt’altro che normale, e occorrono misure urgenti e a lungo termine per far fronte a questi sviluppi.

2.7.

L’occupazione e gli investimenti nel settore sono crollati: se non si interviene, ci si può aspettare nell’immediato un’ulteriore perdita di posti di lavoro.

2.8.

Il CESE deplora che la tabella di marcia del piano d’azione per l’acciaio del 2013 non sia stata aggiornata e sembri trovarsi in una situazione di stallo in relazione ad alcuni compiti.

2.9.

Come sottolineato dal CESE nel parere dell’11 dicembre 2013 (2), il piano d’azione per l’acciaio 2013 (3) era «un piano d’azione globale per l’acciaio». Purtroppo il CESE non può esprimere lo stesso giudizio in merito alla comunicazione in esame, che manca di obiettivi concreti e di finalità specifiche a breve, medio e lungo termine.

2.10

Il CESE prende atto del fatto che il piano d’azione europeo per l’acciaio è stato perfezionato e corredato di una tabella di marcia comprendente misure specifiche volte a tutelare il settore siderurgico europeo.

2.11.

Il CESE ritiene che da diverse riunioni del Consiglio Competitività, dal Consiglio europeo del 17 marzo 2016 e dal G7 del maggio 2016 sia emersa una chiara volontà politica, e sottolinea che è tempo di trasformarla in misure efficaci e adeguate volte a ristabilire condizioni di parità nel settore siderurgico dell’UE.

3.   Politica commerciale

3.1.    Difesa commerciale

3.1.1.

L’UE continuerà a difendere a livello mondiale il commercio aperto e libero, purché gli scambi siano condotti in condizioni di mercato eque. In assenza di norme internazionali in materia di concorrenza, gli strumenti di difesa commerciale sono essenziali per contrastare le pratiche commerciali sleali che danneggiano l’industria dell’UE.

3.1.2.

Il CESE accoglie con favore l’impegno della Commissione a continuare ad accelerare l’adozione delle misure provvisorie ottimizzando le proprie procedure interne e mettendo a disposizione le risorse necessarie. Modificare la prassi attuale ed effettuare visite di verifica, dopo l’adozione delle misure provvisorie, potrebbe accelerare il processo senza bisogno di modificare la regolamentazione di base.

3.1.3.

Nel caso dei procedimenti antisovvenzioni, il CESE esorta la Commissione a estendere le indagini fino a comprendere tutti i regimi di sovvenzione riscontrati, anche se non erano stati rilevati nella denuncia iniziale.

3.1.4.

La Commissione e l’UE nel suo complesso devono affrontare la questione dello status di economia di mercato della Cina in modo tale da non compromettere l’efficacia delle misure antidumping. Il paragrafo 15, lettera a), punto ii), del protocollo di adesione della Cina all’OMC potrebbe scadere nel dicembre 2016, ma ciò non deve comportare il riconoscimento automatico e immeritato dello status di economia di mercato per la Cina, a meno che questo paese non soddisfi i criteri stabiliti nel regolamento antidumping di base dell’UE.

3.1.5.

Il CESE auspica che la valutazione d’impatto che la Commissione sta effettuando abbia carattere globale e settoriale, e tenga conto anche dell’impatto specifico — in particolare su alcune regioni europee — del conferimento dello status di economia di mercato alla Cina, in assenza di misure di accompagnamento adeguate e veramente efficaci.

3.2.    Eccesso di capacità

3.2.1.

Il CESE riconosce gli sforzi messi in campo dalla Commissione nei negoziati bilaterali e multilaterali al fine di raggiungere un accordo sulla riduzione di capacità e sulla trasparenza per quanto riguarda gli aiuti di Stato. Tuttavia, i risultati ottenuti da tali negoziati bilaterali e multilaterali non sono soddisfacenti.

3.2.2.

Per affrontare le cause dell’eccesso di capacità sono necessari un forte impegno di rendicontazione periodica sui regimi di aiuti di Stato e misure specifiche concordate in ambito OCSE e OMC.

3.2.3.

Il CESE auspica che il Consiglio inserisca i capitoli dell’energia e delle materie prime in ogni nuovo mandato relativo ad accordi di libero scambio, in modo da consentire alla Commissione di introdurre tali capitoli nei negoziati generali condotti per tutti gli accordi di questo tipo.

3.2.4.

Inoltre, nei prossimi negoziati e nei nuovi accordi deve essere inserito come punto importante il pieno rispetto dei diritti delle organizzazioni della società civile, dei sindacati e dei singoli lavoratori per quanto riguarda le questioni ambientali.

3.2.5.

La Commissione dovrebbe rendere pubblici i casi in cui un paese non rispetta i propri impegni in materia di trasparenza e rendicontazione degli aiuti di Stato, e dovrebbe considerare tale inadempienza come comportamento non cooperativo nei procedimenti di difesa commerciale.

3.2.6.

I negoziati diplomatici non possono impedire l’imposizione di misure correttive di difesa commerciale laddove queste siano necessarie.

4.   Investimenti

4.1.

Per quanto riguarda il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), esso crea effettivamente una nuova capacità di assunzione di rischio nel mercato per sostenere progetti di investimento economicamente validi sviluppati dalle imprese siderurgiche dell’UE. Tuttavia, è deplorevole che non siano molte le imprese oggi in grado di accedere a tale fondo, in quanto, con i prezzi dell’acciaio a un livello così basso, le condizioni di mercato non possono garantire un adeguato margine di profitto sugli investimenti.

4.2.

L’attenzione deve concentrarsi sulla creazione di un quadro atto a garantire un profitto adeguato per gli investimenti nel settore siderurgico. Il quadro attuale offre numerose possibilità di finanziamento grazie alla politica monetaria della Banca centrale europea (BCE).

4.3.

Gli investimenti nel settore siderurgico europeo devono essere potenziati al fine di modernizzare gli impianti e le attrezzature, e occorre promuovere le attività di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e processi.

5.   Investire nelle persone

5.1.

Il CESE dà il suo pieno appoggio alla comunicazione della Commissione, ma segnala che in essa manca un piano d’azione dettagliato per garantire che l’acciaio resti un settore attraente per i giovani di talento. Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a definire un metodo chiaro ed efficace per gestire il processo di ristrutturazione in modo socialmente sostenibile, ricorrendo a tutti gli strumenti disponibili (Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, fondi strutturali ecc.) e garantendo a questi ultimi un’ulteriore flessibilità e capacità di rispondere alle sfide di un’economia globale in rapida trasformazione. La promozione del dialogo sociale, con l’obiettivo di migliorare le capacità dei lavoratori di adeguarsi alle nuove sfide, richiederà che la Commissione e le parti sociali mettano a punto insieme una tabella di marcia specifica e un calendario dettagliato.

5.2.

Nel quadro dell’attuale normativa sugli aiuti di Stato, alcuni Stati membri sono intervenuti a sostegno del settore siderurgico, che rimane fondamentale per l’intera industria manifatturiera a valle. Tali interventi pubblici hanno assunto varie forme, come il sostegno a investimenti nelle attività di R&S, tecnologie efficienti sotto il profilo energetico, investimenti volti a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nonché compensazioni per i costi energetici indiretti.

5.3.

Al fine di mantenere le competenze in un mercato ciclico al ribasso, sono state adottate misure quali la disoccupazione parziale, il lavoro a orario ridotto (Kurzarbeit in Germania), i programmi per la sostituzione di membri del personale (contrato relevo in Spagna) e i contratti di solidarietà (in Italia).

6.   Politica della concorrenza e flessibilità degli aiuti di Stato per la R&S

Il CESE invita la Commissione a organizzare, nella seconda metà del 2016, un gruppo di lavoro con gli Stati membri e le parti sociali al fine di mettere a punto degli orientamenti per attuare la flessibilità consentita nell’ambito del nuovo quadro di regolamentazione degli aiuti di Stato.

7.   R&S

7.1.

La Piattaforma tecnologica europea dell’acciaio (ESTEP) ha istituito importanti partenariati che coinvolgono l’intero settore siderurgico europeo, i suoi fornitori e clienti (l’industria dei trasporti, l’edilizia e il settore dell’energia), le PMI, gli istituti di ricerca pubblici e privati, le autorità pubbliche e i rappresentanti sindacali.

7.2.

La nuova tabella di marcia in materia di ricerca e innovazione (R&I) proposta dalla Commissione è stata esaminata attentamente dai gruppi di lavoro dell’ESTEP, e il suo ordine del giorno riveduto comprende già alcuni temi pertinenti per il settore dell’acciaio.

7.3.

Nel 2002 il Fondo di ricerca carbone e acciaio (FRCA) è subentrato con ottimi risultati alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). La ricerca collaborativa nel settore siderurgico europeo, nell’ambito sia del Fondo che del programma quadro, è stata promossa e rafforzata nel corso degli ultimi dieci anni. Il gruppo specchio dell’ESTEP riunisce i rappresentanti di 20 dei 28 Stati membri dell’UE.

7.4.

Una precondizione essenziale per un settore siderurgico competitivo in Europa è fare in modo che esso resti all’avanguardia della tecnologia, mantenendo e sviluppando le capacità specifiche di R&S di questo comparto dell’industria europea. Sotto questo profilo, l’FRCA rappresenta uno strumento unico ed efficace; nel settembre 2013 la Commissione europea ha pubblicato una relazione di monitoraggio e valutazione che ne dimostra chiaramente l’efficienza.

7.5.

Di recente, la DG RTD ha deciso — per motivi di mero ordine amministrativo — di ridurre il ruolo consolidato ed essenziale dell’industria nella gestione dell’FRCA, mettendo così a rischio il collegamento diretto di tale programma con l’industria. Il CESE esorta la Commissione a ritornare su questa decisione.

8.   Energia

8.1.

La Commissione non può affermare di essere riuscita a ridurre la differenza di prezzo tra gli Stati Uniti e l’UE, poiché ciò è avvenuto senza il suo intervento. Il divario, tuttavia, rimane inaccettabile e nuoce gravemente alla competitività dell’industria siderurgica dell’UE.

8.2.

Bisognerebbe adottare misure attive per garantire che i prezzi dell’energia non mettano a repentaglio la competitività dell’industria siderurgica dell’UE.

9.   Riesame dell’ETS

9.1.

Il CESE accoglie con favore le conclusioni del Consiglio europeo (del 23 e 24 ottobre 2014) che affermano la necessità di trovare un equilibrio tra l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra e quello di garantire la competitività dell’industria europea.

9.2.

La siderurgia europea è, a livello mondiale, quella più rispettosa dell’ambiente, e l’UE deve attivarsi per evitare la delocalizzazione di impianti di produzione in paesi terzi con norme ambientali meno rigorose, e livelli di emissioni più elevati, rispetto all’UE.

9.3.

Non si dovrebbe applicare arbitrariamente alcun fattore di riduzione lineare ai valori di riferimento, dato che ciò porterebbe l’assegnazione gratuita al di sotto dei livelli raggiungibili tecnicamente ed economicamente.

9.4.

La revisione dei valori di riferimento deve essere ancorata a livelli realistici, raggiungibili tecnicamente ed economicamente, che offrano una compensazione piena agli impianti più efficienti.

9.5.

Le industrie ad alta intensità di capitale, come quelle siderurgiche, hanno bisogno di un quadro di regolamentazione chiaro e prevedibile, stabilito con largo anticipo, per effettuare una corretta pianificazione degli investimenti necessari. Tutte le parti interessate devono essere coinvolte in un dibattito aperto e costruttivo riguardo alla riforma del sistema ETS dell’UE.

9.6.

Il Fondo per l’innovazione è indubbiamente un valido strumento, ma non dovrebbe determinare una riduzione della quantità di quote gratuite disponibili per la protezione dalle delocalizzazioni del carbonio. Occorre creare posti di lavoro sostenibili nella nuova economia, di cui l’acciaio è una componente essenziale. Una transizione equa deve infatti garantire che siano creati dei percorsi per i lavoratori colpiti, affinché trovino un impiego nei settori in espansione, garantendo nel contempo le loro condizioni di lavoro e i diritti sindacali.

9.7.

Il CESE insiste sulla necessità che la riforma del sistema ETS dell’UE non vada a scapito dei lavoratori dell’industria siderurgica. Qualsiasi riforma deve conciliare gli ambiziosi obiettivi dell’UE in materia di clima con un rinnovamento e ammodernamento dell’industria europea dell’acciaio, e far sì che tale settore sia rivitalizzato e modernizzato mentre concorre al raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Unione.

10.   Economia circolare: riciclaggio

10.1.

Il riciclaggio è un approccio definitivo a vantaggio dell’ambiente, e l’acciaio, in quanto materiale permanente, è estremamente adatto ad essere riciclato. Tuttavia, non esistono dati economici in grado di dimostrare che il riciclaggio «deve ridurre i costi di produzione»; anzi, a parte poche eccezioni, in realtà è vero proprio il contrario. Se il riciclaggio fosse un’attività che apporta vantaggi di carattere puramente economico, non vi sarebbe alcuna necessità di promuoverlo, poiché ogni operatore economico lo adotterebbe spontaneamente senza bisogno di alcun quadro normativo.

10.2.

Il CESE non condivide l’affermazione secondo cui «i criteri per definire quando un rifiuto cessa di essere tale per i rottami di ferro e di acciaio hanno contribuito a stimolare un aumento della domanda di acciaio riciclato». L’applicazione di criteri volti a definire tale perdita della «qualifica» di rifiuto è limitata ad alcuni Stati membri dell’UE, e, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, non ha contribuito a migliorare la qualità dei rottami; anzi, la scarsa diffusione di tale applicazione è dovuta al fatto che questa ha imposto maggiori oneri amministrativi e normativi al commercio interno di tali materiali, senza apportare alcun beneficio o miglioramento al processo di riciclaggio.

10.3.

Il pacchetto sull’economia circolare, sebbene ricco di buone intenzioni, manca della necessaria ambizione per promuovere realmente l’uso di sottoprodotti quali le scorie, senza oneri amministrativi superflui come quelli che alcuni Stati membri stanno tentando di imporre. L’impiego di sottoprodotti contribuisce sensibilmente a ridurre l’impiego delle risorse naturali e le discariche.

10.4.

L’acciaio non si consuma mai, ma viene costantemente trasformato: pertanto l’uso di risorse naturali per fabbricare acciaio per la prima volta costituisce un processo di trasformazione che rende disponibile il ferro in una forma «più pratica» per utilizzi successivi (cicli di vita), riducendo così la pressione a medio/lungo termine sulle risorse naturali.

Bruxelles, 14 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Regolamento (CE) n. 1225/2009 (regolamento antidumping di base), (GU L 343 del 22.12.2009, pag. 51).

(2)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 91.

(3)  COM(2013) 0407.


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla conservazione delle risorse della pesca e alla protezione degli ecosistemi marini attraverso misure tecniche, che modifica i regolamenti del Consiglio (CE) n. 1967/2006, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 1224/2009 e i regolamenti (UE) n. 1343/2011 e (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, e che abroga i regolamenti del Consiglio (CE) n. 894/97, (CE) n. 850/98, (CE) n. 2549/2000, (CE) n. 254/2002, (CE) n. 812/2004 e (CE) n. 2187/2005»

[COM(2016) 134 final — 2016/0074 (COD)]

(2016/C 389/09)

Relatore:

Gabriel SARRÓ IPARRAGUIRRE

Il Consiglio e il Parlamento europeo, rispettivamente in data 7 e 11 aprile 2016, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 43.2 e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla conservazione delle risorse della pesca e alla protezione degli ecosistemi marini attraverso misure tecniche, che modifica i regolamenti (CE) n. 1967/2006, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e i regolamenti (UE) n. 1343/2011 e (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga i regolamenti (CE) n. 894/97, (CE) n. 850/98, (CE) n. 2549/2000, (CE) n. 254/2002, (CE) n. 812/2004 e (CE) n. 2187/2005 del Consiglio

[COM(2016) 134 final — 2016/0074 (COD)].

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 13 luglio 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 74 voti favorevoli e 1 astensione:

1.   Conclusioni

1.1.

Il CESE condivide pienamente l’approccio della Commissione sulla necessità di aggiornare e semplificare l’attuale sistema di governance delle misure tecniche, che dovrebbe basarsi su una strategia a lungo termine in materia di gestione e conservazione delle risorse.

1.2.

Molte novità e molte modifiche proposte consentirebbero alla flotta di adeguarsi direttamente all’obbligo di sbarco e al rendimento massimo sostenibile (MSY). Il CESE non può che accogliere con favore le suddette proposte, in quanto si tratta di riforme in grado di fornire una maggiore flessibilità operativa e assicurare una maggiore selettività degli attrezzi da pesca.

1.3.

Tuttavia, alcune delle proposte sono state presentate senza tenere pienamente conto delle condizioni pratiche dell’attività di pesca e senza valutare le ripercussioni economiche e sociali. Per il Comitato, tali proposte non rappresentano un compromesso ragionevole tra la salvaguardia degli interessi a breve e medio termine del settore della pesca e una migliore conservazione delle risorse ittiche. In tale contesto, desidera dedicare una particolare attenzione ai seguenti aspetti:

1.3.1.

Il Comitato invita la Commissione a rivedere le modifiche proposte relative alle dimensioni delle maglie e a prendere in considerazione le maglie di riferimento utilizzate dalle flotte nelle diverse attività di pesca, senza inutili o ingiustificati aumenti o diminuzioni.

1.3.2.

Il Comitato ribadisce l’importanza di non proporre modifiche delle taglie minime applicate per determinate specie senza una motivazione adeguata.

1.3.3.

Il Comitato ritiene che dovrebbero essere introdotte norme favorevoli all’innovazione e alla creazione di valore per le catture accidentali.

1.3.4.

Esorta inoltre a rendere più flessibili i massimali della capacità di pesca espressa in stazza lorda (GT) imposti agli Stati membri nell’ambito della politica comune della pesca (PCP) per adeguare le navi all’obbligo di sbarco e incoraggiare il miglioramento delle condizioni di lavoro a bordo.

1.4.

Il CESE chiede al Consiglio, al Parlamento europeo e alla Commissione di istituire un vero e proprio dialogo con i pescatori e i loro rappresentanti, prima che venga adottata qualsiasi decisione su tali proposte. L’osservanza delle norme richiede il tacito consenso e la collaborazione dei pescatori. Le disposizioni hanno maggiori probabilità di essere applicate coinvolgendo pienamente la gente di mare nel dibattito.

1.5.

Il Comitato invita infine a mantenere tale impegno al dialogo con le parti interessate nel corso di tutto il processo di regionalizzazione.

2.   Contesto

2.1.

Per misure tecniche si intende un ampio gruppo di norme che stabiliscono come, dove e quando si può esercitare l’attività di pesca. Attualmente esiste un gran numero di regolamenti, modifiche, modalità d’applicazione e misure tecniche temporanee applicabili sia nelle acque dell’UE sia sulle navi europee operanti al di fuori delle acque dell’Unione. In pratica, sono più di 30 i regolamenti contenenti misure tecniche; tra questi hanno particolare rilevanza quelli che si applicano nell’Atlantico (1), nel Mediterraneo (2) e nel Mar Baltico (3).

2.2.

In passato abbiamo assistito a due tentativi infruttuosi di rivedere ed aggiornare il complesso quadro normativo di misure tecniche su proposta della Commissione.

2.3.

È quanto mai urgente adeguare la legislazione e le politiche di pesca dell’UE alle nuove modifiche introdotte dalla PCP, ossia l’obbligo di sbarco e il conseguimento del rendimento massimo sostenibile per tutti gli stock su base progressiva e graduale, al più tardi entro il 2020. L’introduzione di tali obiettivi costituisce una importante sfida per il settore della pesca dell’UE.

2.4.

Va inoltre osservato che fino a poco tempo fa, le decisioni in materia di politica della pesca venivano prese esclusivamente dal Consiglio. Ciò ha determinato l’adozione di misure tecniche particolareggiate sotto forma di regolamenti dell’UE piuttosto che di norme sviluppate a livello regionale e adattate alle specificità di ciascun bacino e zona di pesca. In tale contesto, l’approccio globale alla microgestione, insieme con il desiderio delle istituzioni dell’UE di raccogliere tutti i dettagli tecnici sotto forma di emendamenti, ha portato a un regime giuridico complesso che lascia poco margine di manovra e che risulta difficilmente comprensibile e attuabile per il settore.

2.5.

La Commissione propone un nuovo regolamento quadro (4) contenente disposizioni generali, norme comuni e regole di riferimento (per regione) che fungono da misure applicabili per difetto fino a quando le misure regionalizzate non saranno elaborate e introdotte nel diritto dell’UE.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

Con la proposta all’esame, la Commissione intende contribuire al conseguimento dei principali obiettivi della nuova PCP, in modo flessibile e su base regionale. In particolare, il CESE sottolinea la necessità di ridurre le catture di novellame e di pesci riproduttori delle specie marine, di accrescere la selettività degli attrezzi da pesca, di evitare le catture delle specie protette, di ridurre i rigetti in mare e diminuire il più possibile l’impatto sull’ambiente.

3.2.

Per raggiungere questi obiettivi, la Commissione ha presentato un testo volto a semplificare l’attuale sistema di governance delle misure tecniche, basato su una strategia a lungo termine in materia di gestione e conservazione delle risorse. Nella proposta di regolamento, la Commissione presta particolare attenzione alla questione dei rigetti, alla regionalizzazione, ad un maggior coinvolgimento delle parti interessate e ad un aumento della responsabilità dei pescatori.

3.3.

Le principali novità e modifiche introdotte dalla proposta sono le seguenti:

Consolidamento e aggiornamento di obiettivi, traguardi, soglie per le catture accessorie delle specie sensibili, principi di buona governance e definizioni precedentemente disciplinati da norme diverse.

Istituzione di norme o misure tecniche comuni applicabili a tutti i bacini marittimi e considerate permanenti. Tali misure riguardano gli attrezzi da pesca e le pratiche vietate, le condizioni e le restrizioni generali all’uso di attrezzi da traino e di reti fisse, la protezione degli habitat e delle specie sensibili, le taglie minime per la conservazione e misure comuni per ridurre i rigetti in mare.

Sviluppo del processo di regionalizzazione, attraverso misure di riferimento illustrate principalmente negli allegati alla proposta, misure che saranno applicate in assenza di provvedimenti regionali. Vengono inoltre istituite le competenze per la regionalizzazione delle misure tecniche mediante l’adozione di programmi pluriennali, piani di rigetti temporanei e provvedimenti di conservazione. La proposta prevede anche una clausola di salvaguardia in caso di interventi di emergenza per la protezione delle specie marine.

4.   Osservazioni generali

4.1.    Osservazioni preliminari

4.1.1.

L’attuale regolamentazione sulle misure tecniche è il quadro giuridico più obsoleto che conosciamo oggi, e pertanto il CESE giudica della massima importanza che il nuovo regolamento semplificato sia adottato rapidamente al fine di consentire al settore di adattarsi alle sfide in modo pratico e sostenibile.

4.1.2.

Il CESE ritiene che le misure tecniche debbano essere adottate dopo aver consultato direttamente e in modo soddisfacente le parti interessate. Le misure devono essere più flessibili, rispondenti alle esigenze specifiche e adottate mediante un processo decisionale rapido ed efficace, che consenta l’adattamento ai nuovi sviluppi.

4.1.3.

La riforma della PCP ha introdotto una strategia innovativa in materia di gestione della pesca, sulla base di un rinnovato approccio orientato ai risultati e all’introduzione della regionalizzazione. Il Comitato concorda pienamente con questo nuovo approccio.

4.2.    Conservazione

4.2.1.

Il Comitato appoggia pienamente la strategia della Commissione volta ad eliminare o a semplificare le zone in cui la pesca è vietata o limitata per garantire la protezione del novellame (circa la metà) e che, a causa degli sforzi del settore, della ricostituzione degli stock o di cambiamenti ambientali, non sono più operative o sono obsolete.

4.2.2.

Il Comitato appoggia inoltre l’idea di portare avanti ogni sforzo per perfezionare le misure tecniche, come modo per migliorare lo stato delle zone di pesca e facilitarne la conservazione, basandosi sul parere del Comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca (CSTEP) e tenendo conto delle osservazioni formulate dagli Stati membri, dal settore della pesca e dalle altre parti interessate.

4.3.    Ripercussioni economiche e sociali

4.3.1.

È evidente che molte delle norme proposte implicano importanti cambiamenti nei metodi e negli attrezzi da pesca, causando un impatto reale da un punto di vista economico e sociale. La Commissione riconosce che le nuove sfide della PCP avranno, a breve termine, un notevole impatto sul settore della pesca; a lungo termine, invece, il settore godrà di considerevoli benefici. A tutt’oggi, però, la Commissione non ha fatto alcun tentativo di stimare i costi sociali ed economici che risulteranno a breve termine dall’attuazione della proposta. Il Comitato ritiene che in assenza di tali informazioni non si potrà stabilire se le proposte siano o no un compromesso ragionevole tra la salvaguardia degli interessi a breve e medio termine del settore della pesca e una migliore conservazione delle risorse ittiche.

4.3.2.

Per contrastare gli effetti negativi a breve termine (ad esempio, la riduzione delle catture delle specie bersaglio e le spese per l’acquisto di nuove attrezzature) sia sugli armatori sia sui pescatori e la gente di mare, il Comitato considera opportuno sostenere il settore delle catture attraverso il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP).

4.3.3.

Il CESE ritiene che la proposta non fornisca alcuna valutazione di impatto sulla sicurezza in mare. Le nuove politiche in materia di pesca comportano rischi potenziali per la sicurezza dell’equipaggio (per esempio aumento delle ore lavorative per la trasformazione delle catture accessorie) o delle imbarcazioni (ad esempio la stabilità della nave a causa dell’aumento delle catture accessorie) che dovrebbero essere analizzati e presi in considerazione.

4.4.    Attuazione e rispetto delle norme

4.4.1.

Il nuovo regolamento di base della PCP (5) prevede diverse misure tecniche e di conservazione per il conseguimento degli obiettivi sopra descritti. La misura più importante per raggiungere questo obiettivo è la definizione di piani pluriennali, che stabiliranno il quadro per lo sfruttamento sostenibile degli stock e degli ecosistemi marini interessati e che dovranno trattare, in particolare, una serie di misure tecniche adeguate [articolo 10, paragrafo 1, lettera f)].

4.4.2.

Per la Commissione la proposta si giustifica in quanto garantisce la certezza giuridica fino a quando i piani di gestione pluriennali non saranno approvati, e questo rappresenta una soluzione provvisoria per adeguare l’attuale sistema giuridico alle nuove disposizioni della PCP riguardanti le misure tecniche. Il CESE giudica necessaria questa fase di transizione.

4.4.3.

Il Comitato sostiene che, per uno sviluppo e un’attuazione adeguati della regionalizzazione, la Commissione dovrebbe proporre piani pluriennali e programmi di rigetti in mare sulla base delle raccomandazioni comuni presentate dagli Stati membri al fine di evitare un ritorno alla microgestione. La CE dovrebbe limitarsi a controllare e coordinare la compatibilità delle proposte presentate dagli Stati membri, al fine di conseguire gli obiettivi della PCP. Ciò assicurerà una rapida adozione di queste misure di adeguamento alle nuove realtà della pesca, mediante un approccio «dal basso verso l’alto» che consentirà una loro migliore accettazione da parte del settore.

4.5.    Regionalizzazione e processo decisionale

4.5.1.

Anche il Comitato giudica fondamentale mantenere alcune misure comuni di base che siano applicabili a tutte le attività di pesca e a tutte le regioni ma solo per quanto concerne le definizioni, i principi e gli obiettivi comuni in linea con la nuova PCP, al fine di evitare un vuoto giuridico.

4.5.2.

Il Comitato desidera tuttavia sottolineare che la futura entrata in vigore di tutte le misure legislative sull’obbligo di sbarco cambierà radicalmente la gestione attuale della pesca. L’approccio non sarà più incentrato sugli sbarchi di pesce ma si concentrerà sulle catture. È pertanto della massima importanza che i co-legislatori non ripetano gli errori del passato ed accettino l’idea che le disposizioni tecniche dell’UE vengano decise a livello regionale in stretta consultazione con chi è tenuto ad attuare e a rispettare quotidianamente le norme.

4.5.3.

Inoltre, il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe promuovere la creazione di un clima di fiducia che dia ai pescatori la libertà di scegliere gli strumenti più adeguati per conseguire una maggiore selettività e la riduzione delle catture accidentali. Non va dimenticato che i pescatori avranno la piena responsabilità delle catture effettuate e non degli sbarchi a terra; di conseguenza, devono avere la possibilità di decidere le migliori misure selettive.

4.5.4.

Purtroppo, la Commissione non ha applicato in modo armonizzato questo approccio basato sulla libera scelta della maglia ottimale, e infatti il testo contiene delle differenze riguardanti le dimensioni delle maglie per le piccole specie pelagiche e demersali. Per le specie pelagiche c’è stata una notevole riduzione della dimensione delle maglie, mentre per le specie demersali le dimensioni sono aumentate. La regolamentazione all’esame non dovrebbe essere utilizzata per aumentare le dimensioni minime delle maglie attualmente utilizzate dai pescatori senza un’adeguata giustificazione. Non va dimenticato che i pescatori cercano di trarre il massimo vantaggio economico possibile dalla vendita delle specie catturate e tenteranno di prevenire la cattura di novellame e di specie non bersaglio dato che saranno detratti dai rispettivi contingenti e potranno essere venduti esclusivamente per produrre farine di pesce, olio o prodotti simili il cui valore alla prima vendita è trascurabile.

4.5.5.

La regionalizzazione comporta un maggiore coinvolgimento delle parti interessate. Legiferare in stretta collaborazione con gli Stati membri, i consigli consultivi, gli operatori del settore della pesca, gli ambienti scientifici e gli altri soggetti interessati presenta una serie di vantaggi fra i quali figurano: norme più chiare, semplici e adeguate alla specificità di ciascun bacino e ciascuna attività di pesca, un elevato grado di rispetto delle norme da parte dei pescatori, una più facile applicazione da parte degli ispettori, una più ampia credibilità e legittimità delle politiche, un più sicuro rispetto degli obiettivi ambientali e una maggiore selettività della pesca. Il Comitato raccomanda pertanto che le misure tecniche per gli attrezzi da pesca siano elaborate e adottate a livello locale e regionale.

4.5.6.

Un buon esempio degli effetti negativi dovuti al mancato rispetto del precedente approccio può essere quello della flotta mediterranea, che ha attraversato gravi difficoltà causate dall’introduzione di norme specifiche obbligatorie (6), come la riduzione dello spessore del filo ritorto. Questa misura tecnica ha provocato problemi di sicurezza e di manovrabilità delle imbarcazioni, una più frequente rottura delle reti dovuta al loro indebolimento o ad una loro minore resistenza, la svalutazione del prezzo delle catture e un inutile aumento degli scarti per via del deterioramento causato dall’uso di un filo tanto sottile e tagliente.

4.6.    Incentivi per i pescatori: eliminazione, riduzione e prevenzione delle catture accidentali

4.6.1.

Il Comitato ritiene che la piena partecipazione del settore della pesca al processo decisionale, attraverso le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati dei lavoratori, costituirà un enorme incentivo per raggiungere il massimo rispetto e una migliore comprensione delle norme.

4.6.2.

Nel considerando 21 della proposta si afferma che per attuare l’obbligo di sbarco gli Stati membri dovrebbero istituire misure volte a facilitare il magazzinaggio e il reperimento di possibilità di smercio per le catture accidentali. Tuttavia, si fa solo riferimento al sostegno agli investimenti per la costruzione e l’adattamento dei luoghi di sbarco. Il CESE ritiene opportuno fare riferimento anche agli investimenti a bordo per lo stoccaggio, la lavorazione e il valore aggregato delle catture accidentali.

4.6.3.

Inoltre, l’adeguamento delle imbarcazioni al divieto di rigetto è ostacolato dai limiti di volume (GT) imposti dalla PCP, poiché, indipendentemente da una maggiore selettività degli attrezzi da pesca utilizzati, il divieto di effettuare rigetti porterà ad un aumento delle catture accidentali che dovranno essere immagazzinate e/o trasformate a bordo. Alla luce di quanto precede, il Comitato propone di rendere il sistema più flessibile (7). Raccomanda pertanto che eventuali rinnovi o modifiche della nave tali da comportare un aumento del volume (ad esempio la creazione di aree supplementari per lo stoccaggio o di impianti per la trasformazione delle catture accidentali) siano iscritti in un registro distinto o in una linea separata del registro di stazza totale delle navi da pesca.

4.6.4.

D’altra parte, il Comitato ritiene che l’aumento in termini di volume non dovrebbe essere considerato come un aumento della capacità di pesca. La procedura descritta nel paragrafo precedente si dovrebbe pertanto applicare, in caso di rinnovo della nave, anche all’aumento di volume causato dalle misure attuate per migliorare la sicurezza dell’equipaggio, le condizioni di lavoro e l’alloggio a bordo, purché tale aumento del volume non determini un aumento delle capacità di cattura del peschereccio.

4.6.5.

Il settore della pesca ha condotto ingenti sforzi negli ultimi anni per sviluppare metodi di pesca ad alta tecnologia al fine di ridurre al minimo i rigetti in mare e il loro possibile impatto sull’ambiente. In effetti, lo CSTEP ha sottolineato in diverse occasioni che in termini di miglioramento della selettività è stato fatto di più negli ultimi quattro anni che nei vent’anni precedenti. Il Comitato tuttavia sottolinea la necessità di moltiplicare gli sforzi e i finanziamenti a favore della pesca demersale per promuovere sviluppi tecnologici nel campo della selettività.

4.6.6.

Il CESE ribadisce l’importanza di non approfittare del presente regolamento per modificare, senza una giustificazione, le taglie minime applicate per alcune specie. Da un lato, vi sono casi in cui le taglie aumentano, ad esempio per l’occhialone nel Mare Mediterraneo, mentre in altri casi vengono estese a zone in cui non esistevano (acque occidentali). Nel caso della spigola, l’aumento delle taglie approvato alla fine del 2015 per alcune zone (acque nordoccidentali) si estende ad aree che non erano incluse nella presente legislazione (acque sudoccidentali).

5.   Osservazioni specifiche sui vari articoli

5.1.    Articolo 6

Considerando che molte presunte definizioni creano confusione nei settori interessati, il CESE ritiene che quando si fa riferimento a un apparecchio o a parte di esso ci dovrebbe essere un grafico allegato per comprendere più facilmente il significato della definizione, utilizzando il metodo cui fa ricorso la Commissione stessa nella figura 2 dell’allegato 1 del regolamento (CE) n. 2187/2005, del Consiglio, il quale viene modificato dal nuovo regolamento all’esame sulle misure tecniche.

5.2.    Articolo 13

Al termine del paragrafo 2 si afferma che «la Commissione presta particolare attenzione alla necessità di mitigare gli effetti negativi dello spostamento delle attività di pesca in altre zone sensibili», cosa che risulta comprensibile quando si tratta di proteggere gli habitat a rischio; per tale motivo, sarebbe necessario disporre di una mappa delle zone da proteggere al fine di migliorare le conoscenze dei fondali marini senza vietare del tutto l’attività della flotta, costretta a trovare nuove zone delle specie che cattura ma ostacolata in questo dalla nuova politica dell’obbligo di rigetto. Il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe condurre una mappatura di tutte le aree marine vulnerabili al fine di sapere esattamente quali di esse godono di protezione e a quale scopo. Inoltre, al fine di assicurare la piena sostenibilità, è importante attenuare non soltanto le conseguenze ambientali ma anche l’impatto socioeconomico delle potenziali chiusure delle zone di pesca.

5.3.    Articolo 17

Il Comitato esprime preoccupazione per il contenuto dell’articolo17, paragrafo2 della proposta, dal momento che la flotta europea cattura simultaneamente una serie di specie non soggette ai TAC e ai contingenti per il valore commerciale, il che consente alle imprese di sfruttare in modo redditizio le catture effettuate dai loro pescherecci. Si raccomanda fortemente di tenere conto che queste specie (8), pur non essendo soggette ai TAC, fanno parte delle catture abituali e pertanto rivestono una certa importanza.

5.4.    Articolo 37

La Commissione europea non fa alcun riferimento agli investimenti a bordo per lo stoccaggio, la trasformazione e il valore aggregato delle catture accidentali ma c’è di più: in realtà impedisce qualsiasi possibilità di trasformazione fisica o chimica per la produzione di farine o di olio di pesce a bordo. I pescatori sono poco incentivati a conservare le catture accidentali di pesce a bordo se il prezzo di vendita è circa un centesimo di euro al chilo per il consumo non umano. Per questo motivo, il CESE chiede di cancellare l’articolo 54 bis proposto all’articolo 37.

6.   Osservazioni specifiche sugli allegati

6.1.    Acque nordoccidentali (parte B dell’allegato VI)

6.1.1.

L’UE dovrebbe promuovere la creazione di un clima di fiducia che dia ai pescatori la libertà di scegliere gli strumenti più adeguati per conseguire una maggiore selettività e ridurre le catture accidentali. Non va dimenticato che i pescatori avranno la piena responsabilità delle catture effettuate e non degli sbarchi a terra; di conseguenza, devono avere la possibilità di decidere le migliori misure selettive.

6.1.2.

Nell’allegato, la Commissione europea impone ai pescherecci da traino di cominciare ad utilizzare attrezzi da traino con sacchi di 120 mm, il che porterà inevitabilmente alla scomparsa di questa flotta, dal momento che con una maglia di 100 mm, utilizzata nella zona biologicamente sensibile, le catture sono minori del 35 % rispetto a quelle ottenute con le maglie di 80 mm.

6.1.3.

Il Comitato non può condividere l’introduzione totalmente ingiustificata di nuove zone dove si applicano misure di mitigazione a favore dei cetacei, né l’inclusione immotivata di misure intese ad evitare le catture accidentali di uccelli marini, poiché ciò richiede un’ulteriore analisi e una giustificazione scientifica.

6.2.    Acque sudoccidentali (parte B dell’allegato VII)

6.2.1.

Il CESE non condivide la proposta di aumentare la dimensione minima delle maglie del sacco per tutte le specie demersali. Passare da una maglia di 70 a una di 100 mm significa invitare i pescherecci a non effettuare catture e condannarli alla scomparsa. Per le modalità di lavoro, la scarsità dei rigetti nelle attività di pesca in questione e la varietà delle specie bersaglio, si consiglia di mantenere un’apertura di maglia di 70 mm.

6.2.2.

Per quanto riguarda le misure volte a ridurre le catture accidentali di cetacei e uccelli marini nelle sottozone CIEM VIII e IX, il CESE ritiene che, prima della loro adozione, la Commissione dovrebbe fornire le necessarie giustificazioni scientifiche, dal momento che queste stesse misure sono già state respinte per l’assenza o per la scarsa presenza di cetacei e uccelli marini nelle acque in questione.

6.3.    Mar Mediterraneo (parte B dell’allegato IX)

6.3.1.

Per quanto concerne il divieto di utilizzare reti di più di 3 mm di spessore del ritorto, il Comitato ritiene che, sulla base dello studio scientifico effettuato dall’Istituto spagnolo di oceanografia (IEO), questo spessore dovrebbe essere portato a 5 mm, dal momento che il mantenimento di tale spessore non è giustificato dal punto di vista della conservazione delle risorse e provoca solo un danno economico in quanto le reti si rompono più frequentemente.

6.3.2.

Per quanto riguarda il divieto di detenere a bordo o di calare più di 250 nasse per peschereccio per la cattura di crostacei di acque profonde (comprese le Plesionika spp.), il Comitato ritiene che per questo tipo di gamberi si dovrebbe poter mantenere il numero di reti autorizzate oggi, vale a dire 1 500 nasse. Gli studi scientifici esistenti hanno dimostrato che l’attuale livello delle catture consente una biomassa totale superiore a quella del rendimento massimo sostenibile ed evidenziano che l’attività, nelle condizioni attuali, risulta sostenibile ed effettuata in modo responsabile.

Bruxelles, 13 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Regolamento (CE) n. 850/98 del Consiglio, del 30 marzo 1998, per la conservazione delle risorse della pesca attraverso misure tecniche per la protezione del novellame, relativo all’Atlantico nordorientale (e dal 2012 al Mar Nero) (GU L 125 del 27.4.1998, pag. 1).

(2)  Regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio, del 21 dicembre 2006, relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo (GU L 409 del 30.12.2006, pag. 9)..

(3)  Regolamento (CE) n. 2187/2005 del Consiglio, del 21 dicembre 2005, relativo alla conservazione delle risorse della pesca attraverso misure tecniche nel Mar Baltico, nei Belt e nell’Øresund (GU L 349 del 31.12.2005, pag. 1).

(4)  COM(2016) 134 final.

(5)  Regolamento (UE) n. 1380/2013 articolo 7.

(6)  Regolamento (CE) n. 1967/2006.

(7)  In linea con la proposta di raccomandazione del Consiglio consultivo per le specie pelagiche V1 2015 04 18.

(8)  Si fa ad esempio riferimento alla gallinella (Triglidae), al calamaro (Loligo spp), al grongo (Conger conger), alla seppia (Sepia officinalis), al pesce San Pietro (Zeus faber), alla passera (Glyptocephalus cynoglossus), al pesce castagna (Brama brama), al totano (Illex spp), al pesce sciabola nero (Aphanopus carbo) e anche alla cappasanta (Pecten maximus).


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/74


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione dell’Unione europea contro il traffico illegale di specie selvatiche»

[COM(2016) 87 final]

(2016/C 389/10)

Relatore:

Cillian LOHAN

La Commissione europea, in data 4 marzo 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione dell’Unione europea contro il traffico illegale di specie selvatiche

[COM(2016) 87 final].

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli e nessuna astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione relativa a un piano d’azione dell’UE contro il traffico illegale di specie selvatiche e prende atto con soddisfazione dell’inclusione di una serie di importanti proposte contenute nel suo precedente parere sull’argomento.

1.2.

Il Comitato giudica l’approccio globale, che comprende un partenariato mondiale con i paesi di origine, di transito e di destinazione, un elemento fondamentale nella lotta contro le conseguenze dirette e indirette del traffico illegale di specie selvatiche.

1.3.

Per i diversi livelli della catena di approvvigionamento del traffico illegale di specie selvatiche, il CESE individua una serie di azioni da adottare in via prioritaria.

Per i paesi d’origine, a livello di comunità, la priorità deve essere attribuita alla sensibilizzazione e alla creazione di fonti sostenibili di reddito e di posti di lavoro.

Per quanto concerne la criminalità organizzata, la priorità è non solo far rispettare un sistema comune di controlli e di sanzioni che sia efficace, proporzionale e dissuasivo ma anche fornire i mezzi per garantire l’attività delle forze di polizia.

A livello della domanda, dal punto di vista sia delle imprese che dei consumatori, la priorità va assegnata alla sensibilizzazione, alla tracciabilità e all’etichettatura. Sarebbe opportuno applicare questo principio in modo specifico a livello europeo.

Per quanto riguarda infine il sistema giudiziario, la priorità deve essere data all’azione di contrasto, mediante una formazione mirata dei giudici, al fine di assicurare che vi sia coerenza e proporzionalità nell’irrogazione della pena.

1.4.

Il CESE ritiene che il dialogo strutturato e la cooperazione con i paesi terzi debbano essere attuati inserendo la lotta contro il traffico di specie selvatiche tra le condizioni essenziali di tutti gli accordi commerciali bilaterali e multilaterali. L’impatto delle politiche estere dell’UE orientate verso uno sviluppo sostenibile nei paesi terzi dovrà essere misurato soprattutto in termini di qualità della vita e di fonti alternative sostenibili di reddito e di occupazione per la popolazione rurale, conformemente all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

1.5.

Il Comitato, in linea con la dichiarazione di Londra, sottolinea la necessità di un sistema di etichettatura e tracciabilità per garantire che il commercio di specie selvatiche sia conforme alla legge e sostenibile.

1.6.

Il Comitato deplora che nella proposta della Commissione non vi sia alcun riferimento alla minaccia rappresentata dal traffico illegale di specie selvatiche per la salute pubblica e per le specie animali e vegetali autoctone. Il CESE sottolinea che i suddetti sistemi di etichettatura e tracciabilità, uniti a un adeguato meccanismo di controllo veterinario e fitosanitario possono contribuire a contrastare l’insorgenza e la diffusione delle patologie su scala mondiale.

1.7.

Il Comitato propone alla Commissione di attribuire un’importanza di gran lunga maggiore alle ripercussioni del commercio elettronico sul traffico di specie selvatiche e di attuare misure specifiche per tutelare il commercio legale e sostenibile delle specie selvatiche dalle pratiche commerciali illegali, portate avanti attraverso un uso distorto dei siti web per il commercio elettronico e dei social media oppure mediante reti illegali create nel web sommerso.

1.8.

Il CESE sottolinea l’importanza della prossima 17a riunione della conferenza delle parti (COP17) della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES) ed esorta l’UE ad adottare una ferma posizione per sostenere gli obiettivi del piano d’azione. Il CESE invita la Commissione a sostenere la proposta di chiudere i mercati nazionali dell’avorio per contribuire in modo significativo alla prevenzione della minaccia di estinzione degli elefanti africani.

2.   Introduzione

2.1.

Il traffico di specie selvatiche non è un fenomeno nuovo (1), ma la sua portata, la sua natura ed il suo impatto sono cambiati considerevolmente negli ultimi anni (2) La sua rapida e ampia crescita rende il traffico di specie selvatiche una delle forme più gravi di criminalità organizzata insieme alla tratta di esseri umani e al traffico di droga e armi, con un fatturato stimato tra 8 e 20 miliardi di euro all’anno.

2.2.

Il traffico illegale di specie selvatiche è diventato una delle attività illegali più redditizie al mondo grazie ad una forte domanda (3) e ad un basso fattore di rischio (individuazione e sanzioni). In confronto ad altri tipi di reati, gode di un livello di priorità sensibilmente più basso e le risorse destinate a combatterlo sono notevolmente inferiori. Le sanzioni applicate sono incoerenti e disomogenee anche nell’UE, il che spinge la criminalità organizzata internazionale a spostarsi verso paesi in cui le pene sono meno severe o l’azione delle autorità preposte è meno efficace.

2.3.

L’impatto del traffico illegale di specie selvatiche è misurabile e visibile, e non solo da un punto di vista ambientale (4). Per questo motivo, la perdita di biodiversità, la deforestazione (5), la possibile estinzione delle specie più iconiche (6) e la riduzione degli stock ittici (7) sono solo una conseguenza parziale di un fenomeno ancora più pericoloso.

2.4.

Il traffico di specie selvatiche è strettamente collegato ad altre attività illecite condotte da organizzazioni criminali internazionali, tra cui il riciclaggio di denaro e la corruzione, come sottolineato di recente dall’Ufficio delle Nazioni Unite sulla Criminalità e la Droga (UNODC) in una sua relazione (8).

2.5.

Il traffico di specie selvatiche rappresenta un pericolo per la sicurezza globale. Esso contribuisce ai conflitti e minaccia la sicurezza nazionale e regionale, fornendo una fonte di finanziamento ai gruppi di miliziani e alle reti terroristiche (9).

2.6.

Il traffico illegale delle specie selvatiche rappresenta una minaccia per la salute pubblica e per le specie animali e vegetali autoctone. L’aggiramento di controlli fitosanitari adeguati espone le specie vegetali autoctone, coltivate e spontanee, a considerevoli rischi di contagio da nuovi agenti patogeni (10). Si stima che il 75 % delle patologie infettive emergenti siano di origine animale, in gran gran parte derivate dalle specie selvatiche (11).

2.7.

Il furto di specie minacciate di estinzione è un altro importante problema, che non è stato sottolineato a sufficienza. Negli zoo affiliati all’associazione EAZA (12), dal 2000 sono stati sottratti 739 animali di 44 specie, molti dei quali mai più ritrovati Specie di primati e di uccelli minacciate di estinzione sono diventate spesso un obiettivo, e questo crea problemi in termini di benessere e di biodiversità per i programmi di allevamento di tali specie rare.

2.8.

La Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES) è considerata un elemento cruciale nella lotta contro il traffico illegale di specie selvatiche. Nel 2013 le Nazioni Unite hanno avviato un’intensa campagna politica (13) su questo tema, che si è conclusa con l’adozione della prima risoluzione specifica da parte dell’Assemblea generale nel luglio 2015 (14). Di conseguenza, la comunità internazionale ha avviato un percorso parallelo con l’obiettivo di creare un’alleanza mondiale che coinvolga i paesi di origine, di transito e di destinazione delle specie selvatiche, il che ha portato alla firma della dichiarazione di Londra (15) nel febbraio 2014.

2.9.

L’UE, essendo una delle principali destinazioni di prodotti di specie selvatiche di origine illegale nonché uno snodo cruciale dei traffici originari dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia, dovrà svolgere un ruolo chiave in questo contesto. Nel 2014, il Parlamento europeo ha sollecitato la Commissione ad elaborare un piano d’azione dell’UE per contrastare il traffico illecito di specie selvatiche (16). La comunicazione della Commissione sulla strategia dell’UE contro il traffico illegale di specie selvatiche (17), risultato di tale processo, è stata fortemente appoggiata dal CESE in un precedente parere (18).

2.10.

Vari settori d’impresa risentono direttamente o indirettamente del traffico illegale di specie selvatiche, tra essi figurano sia le imprese che partecipano al commercio legale e sostenibile di specie selvatiche (ad esempio l’industria dei prodotti di lusso, il settore degli animali domestici e la medicina tradizionale cinese) sia le imprese coinvolte indirettamente (ad esempio le compagine di trasporto, i corrieri e le aziende del commercio online). Per questo motivo, molte imprese hanno introdotto una serie di iniziative contro il traffico illecito di specie selvatiche, come i sistemi di certificazione o la responsabilità sociale delle imprese sul piano singolo o collettivo (19).

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

Il piano d’azione intende migliorare la cooperazione tra tutti i soggetti interessati, fare un uso più efficace degli strumenti e delle politiche attuali e rafforzare le sinergie tra di essi. I risultati conseguiti dal piano d’azione saranno valutati nel 2020.

3.2.

Le misure si basano su tre priorità:

prevenire il traffico di specie selvatiche,

attuare e applicare le norme esistenti,

rafforzare i partenariati globali tra paesi di origine, di consumo e di transito.

3.3.

Per far fronte alle cause del traffico illegale di specie selvatiche, l’UE si concentrerà su quattro settori:

ridurre la domanda,

coinvolgere le comunità rurali nella protezione della fauna selvatica,

incrementare l’impegno del settore commerciale,

combattere la corruzione.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione e ritiene che il piano d’azione dell’UE contro il traffico illegale di specie selvatiche sia uno strumento essenziale per affrontare questa vasto e pericoloso fenomeno. L’analisi delle carenze delle strutture esistenti per combattere l’aumento del il traffico di specie selvatiche, contenuta nel documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna la proposta, dovrebbe contribuire ad orientare le future valutazioni e azioni supplementari (20).

4.2.

Il Comitato è lieto che siano state prese in considerazione diverse importanti proposte contenute nel suo precedente parere sul traffico illegale di specie selvatiche (21).

4.3.

Il CESE giudica l’approccio globale un pilastro fondamentale del piano d’azione dell’UE a causa della dimensione complessa e multiforme del traffico illegale di specie selvatiche nonché dei suoi effetti diretti e indiretti.

4.4.

Il CESE ritiene che la strategia debba partire dal rispetto, dal rafforzamento e dal coordinamento degli accordi internazionali (in particolare la CITES), delle leggi, dei regolamenti, delle politiche e degli strumenti di contrasto già esistenti, concretizzandosi in una maggiore integrazione tra tutti i settori interessati — protezione ambientale, controllo alle dogane, sistema giudiziario, interessi delle imprese, lotta alla criminalità organizzata ecc. — e in una più efficace attività di cooperazione tra paesi di provenienza, di transito e di destinazione delle specie selvatiche.

4.5.

Il Comitato ritiene che l’UE non sarà in grado di lottare efficacemente contro i reati ai danni delle specie selvatiche fino a quando alcuni obiettivi (di cui in allegato alla proposta) non saranno stati raggiunti:

tutti gli Stati membri devono conformarsi nel più breve tempo possibile all’attuale legislazione UE sulle specie selvatiche;

è opportuno migliorare il meccanismo congiunto per la cooperazione, il coordinamento, la comunicazione e il flusso di dati tra le agenzie incaricate dell’applicazione negli Stati membri, attraverso una strategia specifica sulle operazioni e le indagini transfrontaliere, che includa anche l’elaborazione di un registro comune dei trafficanti;

è necessario definire un sistema adeguato di formazione e sensibilizzazione uniformi e regolari rivolto all’intera catena di contrasto e giudiziaria che partecipa alla lotta contro il traffico illegale di specie selvatiche, compresi esperti in materia di criminalità organizzata, criminalità informatica e relativi flussi finanziari illeciti;

gli Stati membri dovranno adeguare la loro legislazione agli accordi internazionali, per garantire che il traffico illecito di specie selvatiche costituisca un grave reato punibile con una pena massima di almeno quattro anni di reclusione e venga compreso tra i reati contemplati dalle misure di lotta contro il riciclaggio di denaro e la corruzione.

4.6.

La proposta relativa alla creazione di un partenariato mondiale contro il traffico illegale di specie selvatiche al fine di avviare un dialogo strutturato e una cooperazione con i paesi di origine, di transito e di consumo, che comprenda i governi nazionali, le comunità locali, la società civile e il settore privato, sarà di grande sostegno agli obiettivi del piano d’azione.

4.7.

Per i diversi livelli della catena di approvvigionamento presenti nel traffico illegale di specie selvatiche, il CESE individua una serie di azioni da adottare in via prioritaria.

Per i paesi d’origine, a livello di comunità, la priorità deve essere attribuita alla sensibilizzazione e alla creazione di fonti sostenibili di reddito e di posti di lavoro.

Per quanto concerne la criminalità organizzata, la priorità è non solo far rispettare un sistema comune di controlli e di sanzioni che sia efficace, proporzionale e dissuasivo ma anche fornire i mezzi per garantire l’attività delle forze di polizia.

A livello della domanda, dal punto di vista sia delle imprese che dei consumatori, la priorità va assegnata alla sensibilizzazione, alla tracciabilità e all’etichettatura. Sarebbe opportuno applicare questo principio in modo specifico a livello europeo.

Per quanto riguarda infine il sistema giudiziario, la priorità deve essere data all’azione di contrasto, mediante una formazione mirata dei giudici, al fine di assicurare che vi sia coerenza e proporzionalità nell’irrogazione della pena.

4.8.

Il Comitato concorda sulla necessità di maggiori risorse e di iniziative più mirate per combattere il traffico illecito di specie selvatiche nei paesi d’origine. Sostiene ad esempio la proposta della Commissione di fare della lotta contro il traffico di specie selvatiche una condizione essenziale per tutti gli accordi commerciali bilaterali e multilaterali.

4.9.

Il CESE considera fondamentale il ruolo svolto dalla società civile nella lotta e nella prevenzione del traffico illegale di specie selvatiche, tanto nei paesi di provenienza che di destinazione. In particolare, il Comitato ritiene importante il coinvolgimento attivo e consapevole dei consumatori e del settore privato al fine di promuovere un approvvigionamento sostenibile di prodotti delle specie selvatiche, sostenendo l’introduzione di un sistema di etichettatura e tracciabilità.

4.10.

Il CESE ritiene che le popolazioni rurali debbano essere coinvolte in percorsi di sviluppo efficaci in modo da poter beneficiare della tutela della fauna e della flora selvatiche (ad esempio, l’ecoturismo). Il passaggio verso un’economia sostenibile nei paesi terzi dovrà essere misurato e valutato in primo luogo in termini di qualità di vita e di possibilità di occupazione, e dovrà essere in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e con i relativi Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS).

4.11.

Il Comitato evidenzia la necessità di offrire alle popolazioni dei paesi terzi impiegate nelle fasi iniziali del traffico illegale di specie selvatiche fonti alternative e sostenibili di reddito e occupazione. Tali popolazioni potrebbero avvalersi dell’ecoturismo oppure sfruttare al massimo le opportunità di rendimento dei servizi ecosistemici degli habitat e delle specie selvatiche locali.

4.12.

Il CESE sottolinea la necessità di un impegno del settore delle imprese per favorire un dibattito e uno scambio di informazioni in entrambi i sensi, al fine di assicurare che il settore imprenditoriale svolga un ruolo positivo nella lotta contro il traffico illegale di specie selvatiche. Una strategia per affrontare questi problemi non può svolgersi in un contesto che escluda le imprese private.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Il CESE propone di avviare una vasta campagna europea di sensibilizzazione al fine di coinvolgere i consumatori e il settore privato per ridurre la domanda e l’offerta di prodotti della flora e della fauna selvatiche. A causa dell’ampia definizione di «traffico di specie selvatiche», il Comitato raccomanda di rivolgere un’attenzione particolare a piante e ad animali non iconici (22) e anche ai prodotti derivati (23).

5.2.

Il CESE ribadisce la sua disponibilità a sostenere e a partecipare alle iniziative che l’UE vorrà intraprendere, ad esempio avvalendosi della rete degli attori economico-sociali UE-Africa istituita presso il Comitato. Il CESE accoglierebbe con favore qualsiasi iniziativa della Commissione intesa a istituire un forum di discussione sull’attuazione del piano d’azione e sarebbe anche disposto ad ospitare un evento su questo tema.

5.3.

Il CESE fa propria la dichiarazione di Londra in cui si chiedono misure specifiche per fare in modo che il settore privato agisca responsabilmente e raccomanda un sistema di etichettatura e tracciabilità che garantisca un traffico di specie selvatiche legittimo e sostenibile sul piano economico e ambientale, nonché dal punto di vista delle comunità locali. A tal proposito si possono prendere a riferimento i sistemi predisposti e attualmente vigenti per il commercio del caviale e del legno tropicale (24). Il sistema di gestione delle informazioni zoologiche (ZIMS) utilizzato dall’EAZA (Associazione europea di zoo e acquari), potrebbe costituire un buon punto di riferimento per un sistema comune di tracciabilità degli animali vivi.

5.4.

Il Comitato deplora che nella proposta della Commissione non vi sia alcun riferimento alla minaccia rappresentata dal traffico illegale di specie selvatiche per la salute pubblica e per le specie animali e vegetali autoctone. La questione è di grande rilevanza e pertanto il CESE sollecita che sia inclusa nel piano d’azione dell’UE. Il CESE sottolinea che i suddetti sistemi di etichettatura e tracciabilità, uniti a un adeguato meccanismo di controllo veterinario e fitosanitario, possono contribuire a contrastare l’insorgenza e la diffusione delle patologie su scala mondiale. La cooperazione con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle patologie (ECDC) dovrebbe essere potenziata.

5.5.

La nuova frontiera del commercio illegale di specie selvatiche è rappresentata dal commercio elettronico. Il CESE osserva che esistono numerosi strumenti per il commercio elettronico illegale, ad esempio l’uso distorto dei siti web commerciali e dei forum presenti nei social media oppure le piattaforme online specializzate ad accesso ristretto create nel web sommerso. Per quanto concerne il primo caso, il CESE sottolinea alcune buone prassi che la Commissione europea dovrebbe prendere in considerazione, come l’accordo sottoscritto nel giugno 2013 tra il Corpo Forestale italiano e i due maggiori portali di annunci online («eBay annunci» e «Subito.it») (25); l’accordo prevede l’inserimento di maggiori informazioni a vantaggio dei consumatori e la possibilità di rimuovere tempestivamente le offerte considerate sospette. L’accordo consente inoltre di filtrare le pubblicità, consentendo soltanto quelle che garantiscono la tracciabilità dell’esemplare posto in vendita. Per quanto riguarda il web sommerso, il Comitato propone la creazione di un’apposita task force con il sostegno di esperti in materia di criminalità informatica.

5.6.

Il CESE sottolinea l’importanza della prossima 17a riunione della conferenza delle parti (COP17) della CITES che si terrà in Sudafrica nel settembre/ottobre 2016. L’UE dispone di 28 voti con i quali deve sostenere le ferme posizioni assunte nell’ambito del suo piano d’azione. Alcune delle proposte già presentate dalla Commissione contribuiranno a lottare contro il traffico illegale delle specie selvatiche; tra di esse figura l’aggiunta di un maggior numero di specie all’elenco CITES. Il CESE invita la Commissione a sostenere la proposta di chiudere i mercati nazionali dell’avorio per contribuire in modo significativo alla prevenzione della minaccia di estinzione degli elefanti africani.

Bruxelles, 14 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  La definizione di traffico di specie selvatiche copre il commercio illegale internazionale e non di animali e piante selvatiche nonché di prodotti derivati, ed è strettamente connesso a reati quali il bracconaggio.

(2)  Tra il 2007 e il 2013 il bracconaggio ha subito un incremento tale da aver annullato il ripopolamento realizzato nei tre decenni precedenti, costituendo una reale minaccia alla conservazione della biodiversità e allo sviluppo sostenibile. Ad esempio, ogni anno tra 20 000 e 25 000 elefanti vengono abbattuti in Africa per l’avorio, solo tra il 2010 e 2012 ne sono stati uccisi ben 100 000.

(3)  Questo tipo di traffico è in aumento, a seguito di una maggiore domanda di prodotti delle specie selvatiche, quali l’avorio, i corni di rinoceronte e le ossa di tigre, soprattutto in alcuni paesi asiatici (ad esempio, Cina e Vietnam).

(4)  L’impatto del traffico illegale di specie selvatiche sulla natura può essere amplificato da ulteriori fattori quali il consumo globalizzato, un uso insostenibile del suolo, cambiamenti climatici, un eccessivo sfruttamento delle piante medicinali e il turismo intensivo, in particolare di tipo venatorio.

(5)  Il disboscamento illegale rappresenta fino al 30 % del commercio globale del legno nonché più del 50 % della deforestazione nell’Africa centrale, nella regione Amazzonica e nel sudest Asiatico, privando le popolazioni indigene di importanti opportunità di sviluppo sostenibile.

(6)  A causa del bracconaggio, nel 2011 il rinoceronte nero occidentale è stato dichiarato estinto dall’Unione internazionale per la conservazione della natura e delle risorse naturali (IUCN).

(7)  Si stima che la pesca illegale rappresenti il 19 % del valore dichiarato delle catture.

(8)  UNODC, relazione sui crimini commessi a livello internazionale contro le specie selvatiche: il traffico di specie protette, 2016.

(9)  Comunicazione della Commissione europea intitolata Piano d’azione per rafforzare la lotta contro il finanziamento del terrorismo, COM(2016) 50 final.

(10)  GU C 424 del 26.11.2014, pag. 52.

(11)  Relazione WWF — http://awsassets.panda.org/downloads/wwffightingillicitwildlifetrafficking_lr.pdf

(12)  L’associazione europea di zoo e acquari (EAZA) è la principale organizzazione di questo settore, e conta fra i suoi membri 377 istituzioni di 43 paesi europei e del Medio Oriente.

(13)  Una risoluzione adottata nel 2013 dalla Commissione dell’ONU per la prevenzione della criminalità e la giustizia penale e approvata dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, ha definito il traffico illegale di specie selvatiche una forma grave di criminalità organizzata perpetrata dallo stesso tipo di gruppi criminali organizzati che si macchia di attività illecite come la tratta di esseri umani e il traffico di droga e armi.

(14)  Risoluzione 69/314 delle Nazioni Unite sulla lotta al traffico illecito di specie selvatiche, adottata il 30 luglio 2015.

(15)  La Dichiarazione di Londra è stata sottoscritta da Capi di Stato, ministri e rappresentanti di 46 paesi alla Conferenza sul commercio illegale di specie selvatiche (2014). Con la Dichiarazione di Londra del febbraio 2014 sono stati fissati nuovi standard nella lotta al traffico di specie selvatiche, tra cui la modifica delle legislazioni vigenti per inserire il bracconaggio ed il traffico di specie selvatiche tra i «reati gravi», il divieto di utilizzare specie minacciate di estinzione, il rafforzamento della cooperazione transfrontaliera e il coordinamento delle reti di lotta contro il traffico di specie selvatiche.

(16)  Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2014 sui reati contro le specie selvatiche (2013/2747(RSP)

(17)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla strategia dell’UE contro il traffico illegale di specie selvatiche COM(2014) 64 final

(18)  Cfr. nota 10.

(19)  Ricardo Energy & Environment «Rafforzamento della cooperazione con i settori imprenditoriali contro il commercio illegale di specie selvatiche». Relazione per la CE, DG Ambiente, 2015.

(20)  Commissione europea, Analysis and Evidence in support of the EU Action Plan against Wildlife Trafficking, Commission Staff Working Document, SWD (2016) 38 final.

(21)  Cfr. nota 10.

(22)  La CITES contiene tre allegati che elencano le diverse categorie di specie secondo il grado di protezione richiesto, vale a dire in funzione del livello di minaccia che subiscono a causa del commercio internazionale. Gli allegati menzionano circa 5 600 specie animali e 30 000 specie vegetali, tutelandole da un eccessivo sfruttamento dovuto al commercio internazionale. Questo significa che le specie meno conosciute e iconiche quali i pangolini (una delle specie più trafficate) sono anch’esse minacciate dal commercio illegale.

(23)  Il commercio di specie selvatiche può concernere gli animali vivi e le piante, ma anche una serie di prodotti derivati a causa dei loro molteplici usi potenziali (ingredienti per medicina tradizionale, prodotti alimentari, carburanti, foraggi, materiali da costruzione, indumenti e oggetti di ornamento ecc.). http://www.traffic.org/trade/

(24)  In ambito CITES, esiste un sistema di etichettatura universale per l’identificazione del caviale, la cui importazione è permessa solo in seguito all’acquisizione di apposite autorizzazioni dalle autorità competenti (www.cites.org/common/resource/reg_caviar.pdf). Per quanto concerne il commercio nel settore forestale, la normativa dell’UE sostiene l’obiettivo di scoraggiare il traffico di legno tropicale attraverso il sostegno alla realizzazione di sistemi nazionali di tracciabilità.

(25)  «eBay annunci» e «Subito.it» gestiscono il 90 % degli annunci presenti nel commercio online in Italia http://www.corpoforestale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/7388


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme relative alla messa a disposizione sul mercato di prodotti fertilizzanti recanti la marcatura CE e che modifica i regolamenti (CE) n. 1069/2009 e (CE) n. 1107/2009»

[COM(2016) 0157 final — 2016/0084 (COD)]

(2016/C 389/11)

Relatore:

Cillian LOHAN

Il Consiglio, in data 8 aprile 2016, e il Parlamento europeo, in data 11 aprile 2016, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 114 e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme relative alla messa a disposizione sul mercato di prodotti fertilizzanti recanti la marcatura CE e che modifica i regolamenti (CE) n. 1069/2009 e (CE) n. 1107/2009

[COM(2016) 0157 final — 2016/0084 (COD)].

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all’unanimità, con 184 voti favorevoli.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione in esame, volta a migliorare il funzionamento del mercato interno nel settore dei fertilizzanti, in linea con il piano d’azione sull’economia circolare. Il CESE reputa che tale approccio, se ampiamente esteso ad altri settori, possa contribuire alla sostenibilità ambientale nel suo insieme, comprensiva dello sviluppo economico, della creazione di posti di lavoro e della tutela dell’ambiente.

1.2.

Il Comitato sostiene la proposta di estendere il campo di applicazione dell’attuale regolamento, creando condizioni di parità armonizzate per i concimi organici ricavati dai rifiuti e rimuovendo i vincoli che ostacolano l’innovazione. Nondimeno, il CESE raccomanda di mantenere e applicare tutti i principi fondamentali della protezione ambientale, compreso il principio di precauzione.

1.3.

Il CESE concorda sulla creazione di un sistema efficiente di controlli, etichettatura e tracciabilità che garantisca la qualità e la sicurezza dei prodotti ed impegni tutte le parti interessate. Il Comitato suggerisce di applicare il sistema di etichettatura già in uso per i prodotti fitosanitari al fine di fornire informazioni chiare circa l’uso e la conservazione dei fertilizzanti. Oltre a ciò, il CESE raccomanda di definire un metodo di analisi ufficiale per verificare le credenziali di ogni sistema di etichettatura e per garantire l’adeguata robustezza e integrità di qualsiasi etichettatura applicata.

1.4.

Il Comitato osserva che la fertilità e la protezione dei suoli costituiscono un aspetto cruciale della proposta della Commissione, ma rileva altresì che tale obiettivo sarà difficile da raggiungere senza una direttiva quadro per la protezione del suolo. Inoltre, sottolinea la necessità di tener conto delle differenze esistenti tra i suoli degli Stati membri, il che dovrebbe comportare l’adozione di norme mirate.

1.5.

Il Comitato appoggia la proposta di fissare dei limiti al fine di ridurre la presenza di cadmio e altri metalli pesanti nei fertilizzanti. Il CESE, consapevole che tale decisione causerà un aumento dei costi di produzione dei fertilizzanti contenenti fosforo estratto da rocce fosfatiche, tiene a sottolineare che questa è una grande opportunità per i concimi organici a base biologica di conquistare una quota di mercato considerevole. Ciò, a sua volta, aprirà ulteriori opportunità e contribuirà a stimolare l’innovazione, la crescita e la creazione di posti di lavoro.

1.6.

Il CESE ammette che, in materia di etichettatura, i produttori possano scegliere di conformarsi alla normativa europea o a quella nazionale; tuttavia, considerato l’effetto che norme e standard nazionali divergenti possono avere in termini di distorsione e frammentazione del mercato, tiene a sottolineare l’importanza di adottare un approccio mirato che eviti una concorrenza sleale e il mancato rispetto degli standard di tracciabilità, qualità e sicurezza più elevati.

1.7.

Il Comitato osserva che alcune norme, anche definitorie, in materia di fertilizzanti provenienti da materie prime secondarie non sono affatto chiare. Nello specifico, nel proporre direttive e regolamenti relativi ai principi dell’economia circolare sarà essenziale fornire una definizione di «materie prime secondarie». Al fine di migliorare l’attuazione del nuovo regolamento, il CESE raccomanda una più completa e profonda integrazione e armonizzazione con l’attuale direttiva sui rifiuti.

1.8.

Il Comitato considera la transizione verso un’economia circolare una sfida cruciale per l’Europa e per le generazioni future. Al fine di seguire questo percorso, raccomanda di fornire incentivi per incoraggiare le imprese che sono interessate a modificare la loro produzione, e di avviare iniziative — campagne di informazione e sensibilizzazione, misure di istruzione e formazione professionale — a sostegno del cambiamento.

1.9.

Le strategie degli Stati membri sui sistemi di trattamento, le infrastrutture e la gestione delle acque reflue dovrebbero riconoscere il valore di tali acque e dei fanghi quali fonti di materie prime per l’industria dei fertilizzanti organici.

1.10.

La raccolta e la produzione su scala regionale, sostenute da reti di distribuzione tra gli Stati membri, dovrebbero costituire parte integrante della struttura del mercato dei fertilizzanti a base di composti organici.

2.   Introduzione

2.1.

La proposta della Commissione in esame è stata messa a punto per offrire soluzioni concrete ai problemi emersi dalla valutazione ex post (1) dell’attuale regolamento sui fertilizzanti (2), nel più ampio quadro del piano d’azione sull’economia circolare (3).

2.2.

In particolare, la proposta intende affrontare due problemi autoevidenti che interessano il mercato interno nel settore dei fertilizzanti:

i concimi ottenuti da materie prime nazionali, organiche o secondarie, conformemente al modello di economia circolare sono svantaggiati, sotto il profilo concorrenziale, rispetto a quelli prodotti rispettando un modello di economia lineare (4). E questa distorsione della concorrenza (5) ostacola gli investimenti in prodotti più sostenibili e impedisce la transizione verso l’economia circolare (6);

il regolamento sui concimi vigente non è in grado di dare risposte riguardo ai limiti da porre e alle sfide specifiche rappresentate dall’impatto dei concimi CE sul suolo, sulle acque interne e marine e sugli alimenti. In assenza di una decisione a livello UE, gli Stati membri hanno fissato dei limiti unilaterali, specificamente per la concentrazione di cadmio nei fertilizzanti fosfatici inorganici, aggravando così la frammentazione del mercato.

2.3.

I punti chiavi della proposta della Commissione sono:

rendere la marcatura «concime CE» (7) più accessibile e creare condizioni di parità armonizzate per i fertilizzanti più innovativi e sostenibili, compresi quelli prodotti a partire da materiali organici (inclusi i rifiuti organici e i sottoprodotti di origine animale) o da materie prime secondarie. Anche i prodotti intesi a migliorare l’efficienza dei processi nutrizionali delle piante, come i biostimolanti delle piante e gli additivi agronomici (8), saranno inclusi tra i fertilizzanti muniti di marcatura CE;

garantire che i prodotti immessi sul mercato siano sicuri e di alta qualità, grazie a un sistema adeguato di controlli, etichettatura e tracciabilità che coinvolgerà i fabbricanti, gli importatori, i distributori e gli altri operatori economici (9), rendendo più moderne le procedure di valutazione della conformità e di vigilanza del mercato, in linea con il «nuovo quadro normativo» per la legislazione in materia di prodotti. L’attuale facoltà dei fabbricanti di scegliere se conformarsi ai nuovi requisiti armonizzati oppure alle norme nazionali (10) sarà mantenuta;

fissare dei valori limite per i metalli pesanti (in particolare il cadmio (11)) e i contaminanti presenti nei prodotti fertilizzanti al fine di stimolare gli investimenti in fertilizzanti più sostenibili.

2.4.

Secondo la Commissione, il regolamento proposto produrrebbe una serie di effetti positivi, tra i quali:

la creazione di circa 120 000 posti di lavoro grazie al riciclaggio dei rifiuti organici in fertilizzanti organici;

la riduzione della dipendenza da materie prime non nazionali (ad esempio il fosfato): i rifiuti organici riciclati potrebbero sostituire fino al 30 % dei fertilizzanti inorganici;

la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e del consumo energetico causato dalla fabbricazione di fertilizzanti inorganici;

la riduzione dell’inquinamento causato dall’eccesso di sostanze nutritive, e in particolare dall’eutrofizzazione degli ecosistemi;

una maggiore efficienza nell’uso delle risorse;

una riduzione globale dei costi di adeguamento alla normativa per gli operatori economici;

una riduzione del 65 % dei costi di immissione di nuovi prodotti sul mercato per le imprese.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione in quanto essa risolve determinate criticità del mercato dei fertilizzanti e contribuisce alla transizione verso un’economia circolare.

3.2.

Il Comitato reitera il proprio sostegno a qualsiasi iniziativa che miri a «chiudere il cerchio» nel contesto del piano d’azione sull’economia circolare (12). Il CESE ritiene che la creazione di condizioni di parità armonizzate per i concimi organici sia un obiettivo ambientale importante, nonché un volano determinante per lo sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro.

3.3.

Il CESE sostiene la necessità di rimuovere le barriere che limitano la libera circolazione delle materie prime secondarie (comprese quelle organiche) e l’innovazione, e al tempo stesso di mantenere e applicare tutti i principi fondamentali della protezione ambientale, compreso il principio di precauzione.

3.4.

Il CESE appoggia la proposta di istituire un sistema efficace di controlli, etichettatura e tracciabilità per garantire la sicurezza e la qualità di tali prodotti. In particolare, si tratta di:

applicare il medesimo sistema di etichettatura già in uso per i prodotti fitosanitari (13), al fine di fornire agli agricoltori informazioni chiare circa l’uso e la conservazione dei fertilizzanti;

stabilire uno standard comune per la presentazione e la comunicazione delle informazioni richieste, come previsto dall’allegato III;

definire metodiche di analisi ufficiali per verificare le credenziali di ogni sistema di etichettatura e per garantire la piena e adeguata integrità di qualsiasi etichettatura applicata.

3.5.

Il CESE ammette che, in materia di etichettatura, i produttori possano scegliere di conformarsi alla normativa europea o a quella nazionale, ma fa notare che la divergenza tra le norme e gli standard dei singoli Stati membri è una delle cause principali dell’attuale distorsione e frammentazione del mercato, ragion per cui raccomanda di adottare un approccio mirato al fine di evitare nuovi rischi di concorrenza sleale e mancato rispetto degli standard di tracciabilità, qualità e sicurezza più elevati.

3.6.

Il Comitato osserva che la fertilità e la protezione del suolo costituiscono un aspetto fondamentale della proposta della Commissione, ma rileva altresì che tale obiettivo sarà difficile da raggiungere senza una «direttiva quadro per la protezione del suolo» in grado di stabilire e imporre norme comuni per la protezione e l’uso sostenibile del suolo (14). Inoltre, sottolinea la necessità di tener conto delle differenze esistenti tra i suoli degli Stati membri, il che dovrebbe comportare l’adozione di norme mirate.

3.7.

Il Comitato concorda sulla necessità di fissare dei limiti al fine di ridurre progressivamente la presenza di cadmio e altri metalli pesanti nei fertilizzanti. Il CESE, infatti, è consapevole del fatto che un’immediata e drastica riduzione dei livelli di cadmio nei concimi potrebbe far salire i costi di produzione e, di conseguenza, i costi per gli agricoltori e i consumatori. In linea con i processi dirompenti che fanno parte della transizione verso un modello di economia circolare, questo spostamento dei costi, e di conseguenza dei prezzi, potrebbe costituire uno strumento economico per spronare al cambiamento al livello dei consumatori o degli agricoltori. Questi ultimi devono essere protetti da aumenti drastici dei prezzi e devono pertanto potere accedere a fertilizzanti adatti alle loro esigenze.

3.8.

Il CESE sottolinea che l’aumento dei costi di conformità potrebbe influire sulla competitività delle PMI (15). Data l’importanza strategica del regolamento proposto, il Comitato raccomanda di fornire incentivi per incoraggiare le PMI a passare a una produzione più sostenibile (16). Le direzioni generali della Commissione europea competenti in materia di ricerca e di agricoltura svolgeranno un ruolo importante in questo processo.

3.9.

Il CESE reputa che il passaggio a fertilizzanti più sostenibili, nonché la transizione verso un’economia circolare, richieda un profondo impegno da parte di tutte le parti coinvolte (fabbricanti, agricoltori, lavoratori e consumatori). La consulenza tecnica e le buone pratiche continuano ad evolversi, ma non sempre vengono divulgate in maniera efficace. Come in altri settori, anche qui l’informazione, le campagne di sensibilizzazione, la formazione professionale e l’apprendimento permanente svolgono un ruolo essenziale (17). Il Forum sull’economia circolare che il CESE ha proposto di istituire — e ospitare presso la propria sede — nel parere NAT/676 sul pacchetto sull’economia circolare può contribuire alla realizzazione di questo obiettivo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Il CESE concorda sull’opportunità di includere i biostimolanti delle piante tra i prodotti fertilizzanti recanti la marcatura CE anziché tra i prodotti fitosanitari, modificando l’articolo 46 del regolamento (CE) n. 1107/2009. Nondimeno, il Comitato invita la Commissione a monitorare attentamente tale processo onde garantire che tale inclusione non sia sfruttata per eludere la legge sui prodotti fitosanitari, con potenziali rischi per la salute e l’ambiente.

4.2.

Il Comitato ritiene che in futuro i concimi provenienti da materie prime secondarie potrebbero costituire una parte importante di un’economia circolare integrata (18). Al fine di migliorare l’armonizzazione con l’attuale direttiva quadro sui rifiuti (19), il CESE suggerisce di:

operare una distinzione più chiara tra il «materiale agricolo utilizzato nell’attività agricola» (escluso dall’ambito di applicazione della direttiva quadro sui rifiuti) e le definizioni di rifiuti, sottoprodotti e cessazione della qualifica di rifiuto. Queste definizioni non sono sempre chiare e potrebbero far perdere opportunità di innovazione;

elaborare una definizione migliore di «sottoprodotto» quando è utilizzato come fertilizzante;

introdurre un’ulteriore distinzione tra rifiuti/sottoprodotti produttivi utilizzati direttamente in agricoltura come concime (ossia materie fecali e digestato) e prodotti analoghi utilizzati come materiali costituenti.

4.3.

La cessazione della qualifica di rifiuto (20), come definita nella proposta della Commissione, si applica ai fertilizzanti ma non ai loro costituenti. Il CESE ritiene che questo concetto dovrebbe essere applicato ai costituenti, perché tutte le operazioni di recupero devono essere effettuate sui costituenti di partenza e non sui fertilizzanti in quanto prodotti finiti.

4.4.

Il Comitato è convinto che «pensare in termini di piccoli incentivi» (nudge thinking) potrebbe essere un approccio utile per raggiungere l’obiettivo generale di un mercato interno più efficiente nel contesto della transizione verso un’economia circolare rivolgendosi ai fabbricanti, agli agricoltori e ai consumatori per coinvolgerli e incoraggiare scelte e comportamenti più sostenibili.

4.5.

Le acque reflue urbane potrebbero fungere da materie prime secondarie per questo settore emergente. Bisognerebbe incoraggiare un’analisi delle infrastrutture per le acque reflue a livello degli Stati membri; ciò al fine di effettuare un’analisi costi-benefici accurata degli investimenti nello sviluppo di tali infrastrutture che dia la priorità alla fornitura di acque reflue di alta qualità, ben separate e ricche di nutrienti. Le urine possono costituire una fonte affidabile di fosforo e azoto priva delle concentrazioni di metalli pesanti presenti nei depositi rocciosi contenenti in particolare fosfati.

4.6.

La raccolta e la produzione su scala regionale, sostenute da reti di distribuzione tra gli Stati membri, dovrebbero costituire parte integrante della struttura di un mercato dei fertilizzanti a base di composti organici. Un modello, questo, che può essere integrato da una moltitudine di centri di raccolta — e, ove possibile, unità di produzione — su scala locale.

4.7.

Il Comitato osserva che riduzioni ambiziose del tenore di cadmio possono essere realizzate più facilmente se si pone un forte accento sui concimi contenenti fosfato ricavato da fonti diverse dalle rocce contaminate da cadmio.

4.8.

Le deroghe al quadro giuridico instaurato dal regolamento REACH (registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) non devono più limitarsi al solo compost, in modo da promuovere nuove opportunità commerciali e innovazione in settori come quello della struvite e dei relativi prodotti.

4.9.

Il CESE incoraggia la Commissione a inserire negli allegati ulteriori categorie di materiali costituenti per tenere il passo con il progresso tecnologico che consente di produrre concimi sicuri ed efficaci grazie al recupero di materie prime secondarie, quali ad esempio il biochar e le ceneri.

4.10.

Il CESE incoraggia la Commissione a creare incentivi a favore del riciclaggio dell’effluente di allevamento nel rispetto dei principi dell’economia circolare. Al tempo stesso, è importante che non si creino sistemi che favoriscano l’eccessiva produzione di effluente. In altri pareri che trattano della riforma della PAC (21) e della necessità di riformare i nostri sistemi agricoli, il CESE evidenzia che è necessario ridurre la concentrazione della produzione di effluente a livello regionale, nel quadro di una riforma complessiva dei nostri sistemi agroalimentari in direzione di un modello sostenibile.

Bruxelles, 14 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Centro per i servizi di strategia e valutazione (CSES), valutazione del regolamento (CE) n. 2003/2003 relativo ai concimi — relazione finale, 2010.

(2)  Regolamento (CE) n. 2003/2003.

(3)  COM(2015) 614/2.

(4)  Secondo le stime della Commissione, i concimi inorganici rappresentano l’80 % del valore di mercato, mentre i concimi organici e organo-minerali insieme rappresentano il 6,5 %, e i substrati di coltivazione, gli ammendanti e i correttivi calcici e/o magnesiaci rappresentano circa il 10,5 %. Quanto ai biostimolanti delle piante e agli additivi agronomici, si ritiene che essi, benché rappresentino solo il 3 % del valore di mercato, abbiano un forte potenziale in termini di sviluppo commerciale.

(5)  Il regolamento vigente assicura la libera circolazione soltanto per i concimi elencati nell’allegato I. Affinché un nuovo prodotto ottenga la marcatura «concime CE», occorre in sostanza aggiornare tale allegato, ma ciò risulta talmente difficile che il 50 % dei fertilizzanti attualmente in commercio — la grande maggioranza dei quali viene prodotta a partire da materiali organici o dal riciclaggio di rifiuti organici provenienti dalla catena alimentare — è escluso dal campo di applicazione del regolamento.

(6)  La Commissione sottolinea come l’uso dei fertilizzanti ponga una triplice sfida: 1) i nutrienti ivi contenuti si disperdono nell’ambiente, con costi sanitari e di riduzione del danno elevati; 2) il fosforo è una materia prima essenziale che proviene da paesi extraeuropei — il 90 % dei concimi fosfatici è importato da paesi terzi; 3) il cadmio è un costituente cruciale dei concimi fosfatici il cui impatto ambientale è particolarmente pericoloso.

(7)  Il regolamento sui concimi del 2003 ha creato due categorie distinte: quella dei «concimi CE» e quella dei «concimi non CE» (anche detti «concimi nazionali»). Questi ultimi possono essere immessi sui mercati nazionali perché sono conformi ai requisiti nazionali, e possono anche circolare sul mercato UE in virtù del regolamento (CE) n. 764/2008 sul riconoscimento reciproco.

(8)  COM(2016) 157 final. Introduzione, considerando 14-15.

(9)  COM(2016) 157 final. Introduzione, considerando 23-27.

(10)  I fabbricanti che non vogliono apporre la marcatura CE sui loro prodotti ma vogliono comunque venderli in altri Stati membri dell’UE potrebbero essere liberi di farlo: dipenderà dal reciproco riconoscimento tra gli Stati membri.

(11)  I limiti massimi consentiti per il contenuto di cadmio nei fertilizzanti saranno portati da 60 mg/kg a 40 mg/kg dopo 3 anni, e a 20 mg/kg dopo 12 anni.

(12)  Parere del CESE sul pacchetto sull’economia circolare (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98).

(13)  Regolamento (UE) n. 547/2011.

(14)  Parere del CESE in merito alla Strategia tematica per la protezione del suolo (GU C 168 del 20.7.2007, pag. 29).

(15)  Commissione europea, Analisi dell’incidenza sulla competitività: i materiali fertilizzanti, 2013. Questo studio indica che, per alcune imprese, come ad esempio PMI produttrici di compost, i nuovi costi di conformità potrebbero essere pari al 10 % dei costi di produzione, con un impatto diretto sulla competitività delle PMI.

(16)  Parere del CESE sul tema Uso sostenibile del fosforo, punto 3.4.4 (GU C 177 dell' 11.6.2014, pag. 78).

Parere del CESE sul tema Produzione biologica ed etichettatura dei prodotti biologici, punto 1.1 (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 75).

(17)  Cfr. nota 12.

(18)  Parere del CESE sul tema Economia circolare: creazione di posti di lavoro + piano d’azione «verde» per le PMI, punto 2.8 (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99).

(19)  Direttiva 2008/98/CE, articolo 2, paragrafo 1, lettera f).

(20)  COM(2016) 157 final, articolo 18.

(21)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 35.


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una strategia per l’aviazione in Europa»

[COM(2015) 598 final]

(2016/C 389/12)

Relatore:

Jacek KRAWCZYK

La Commissione europea ha deciso, in data 7 dicembre 2015, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una strategia per l’aviazione in Europa

[COM(2015) 598 final].

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 giugno 2016.

Nella sua 518a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 234 voti favorevoli, 5 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’obiettivo generale della strategia dell’UE nel settore dell’aviazione [come definita nel documento COM(2015) 599 final] — in appresso denominata «la strategia» — dovrebbe essere la creazione di un clima più favorevole per incoraggiare gli investimenti dell’UE nel settore europeo dell’aviazione e per aumentare la competitività del settore e il suo ruolo nell’economia globale, promuovendo in tal modo la crescita economica generale e la creazione di nuovi posti di lavoro.

1.2.

La Commissione europea (in appresso «la Commissione») ha giustamente sottolineato l’importanza del trasporto aereo per l’UE in termini di esigenze crescenti di mobilità e connettività, ma ha anche evidenziato la rilevanza di questo settore per la crescita economica, mettendo in risalto il numero e la qualità dei posti di lavoro che genera direttamente e indirettamente. Sfruttare la crescita del traffico aereo mondiale è divenuta, a giusto titolo, una priorità per gli operatori europei. Il settore dell’aviazione dell’UE dovrebbe considerare ulteriormente le sfide poste dai cambiamenti climatici come opportunità per la ricerca e l’innovazione.

1.3.

La strategia persegue i seguenti obiettivi: mantenere livelli di sicurezza elevati, rafforzare il capitolo sociale e creare posti di lavoro di alta qualità nel settore dell’aviazione, continuare a tutelare i diritti dei passeggeri, affrontare i vincoli di capacità in volo e a terra, favorire la crescita del settore in Europa e a livello internazionale e infine promuovere l’innovazione, la multimodalità e una politica lungimirante in materia di cambiamento climatico basata sul consenso internazionale. Il CESE incoraggia tuttavia la Commissione europea ad adottare ulteriori misure concrete volte a evitare le conseguenze negative sull’occupazione che già aveva segnalato nel parere TEN/565 sul tema del dumping sociale nel settore dell’aviazione civile europea (1), creando posti di lavoro di qualità.

1.4.

Al fine di attuare con successo questi obiettivi ambiziosi e di ampia portata, la strategia deve basarsi su un approccio «olistico» all’aviazione che comprende una nuova valutazione, più approfondita e multidisciplinare, del settore. Il CESE sostiene pienamente un approccio globale, che giudica necessario per l’ulteriore sviluppo dell’ecosistema dell’aviazione.

1.5.

Il CESE si congratula con la Commissione per questa iniziativa politica, che colloca nuovamente il ruolo complesso del trasporto aereo al centro dell’attenzione politica, tanto in Europa quanto sul piano internazionale e che consente di sensibilizzare gli organismi di regolamentazione sulla necessità di una più ampia revisione dei requisiti del settore dell’aviazione, da un punto di vista non solo regolamentare ed infrastrutturale ma anche sociale, economico e ambientale. Il ruolo del trasporto aereo ha bisogno di maggiore riconoscimento e sostegno politico, a livello sia dell’UE che degli Stati membri.

1.6.

Il CESE insiste fermamente sulla necessità di attuare la strategia per il settore dell’aviazione sulla base di un dialogo sociale costruttivo. Al livello dell’UE, le istituzioni europee dovrebbero consultare il Comitato per il dialogo sociale settoriale sull’aviazione civile in merito a qualsiasi iniziativa che riguardi il settore dell’aviazione. Quando tali iniziative hanno ripercussioni sociali in materia di condizioni di occupazione, il CESE propone di instaurare un dialogo tra le parti sociali. Il CESE ribadisce la posizione e le raccomandazioni espresse nel parere sul tema del dumping sociale nel settore dell’aviazione civile europea (2).

1.7.

Il CESE ribadisce le proprie raccomandazioni sulla strategia proposte nel suo recente parere sulla politica integrata dell’UE in materia di trasporto aereo (3). Il CESE è lieto che una serie di proposte presentate in detto parere, concernenti tanto il mercato interno quanto la dimensione internazionale e quella sociale del settore dell’aviazione dell’UE, siano state prese in considerazione nel documento della Commissione. Ribadisce inoltre la posizione già espressa in altri pareri relativi al settore dell’aviazione dell’UE (tra cui TEN/552 — Capacità aeroportuale dell’UE, CCMI/125 — Aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree, TEN/504 — Cielo unico europeo II+). A suo avviso, le suddette raccomandazioni hanno la stessa pertinenza per l’UE a 27 di quella che presentavano per l’UE a 28.

1.8.

La Commissione ha elaborato una serie di importanti iniziative legislative per il trasporto aereo in Europa, inclusa la revisione degli orientamenti sugli aiuti di Stato per le compagnie aeree e gli aeroporti, l’introduzione di un pacchetto aeroporti, una normativa per promuovere i progressi verso la realizzazione di un Cielo unico europeo (CUE), una revisione della regolamentazione contro le sovvenzioni e le pratiche tariffarie sleali e molte altre. È necessario attuare urgentemente tutte queste politiche e normative al fine di assicurare la completa applicazione della strategia da parte degli Stati membri. Altrettanto urgente è continuare a portare avanti la realizzazione del programma di ricerca sulla gestione del traffico aereo nel cielo unico europeo (SESAR), un progetto di innovazione sviluppato dall’UE e coronato da grande successo, nonché proseguire l’attuazione dell’iniziativa Clean Sky (programma di ricerca per lo sviluppo di tecnologie intese ad aumentare in modo significativo le prestazioni ambientali del trasporto aereo). I necessari finanziamenti mirati al livello dell’UE dovrebbero essere integrati da finanziamenti privati e dovrebbero stimolare gli sviluppi intersettoriali orizzontali.

1.9.

Nel settore delle compagnie aeree, degli aeroporti e dei fornitori di servizi di controllo del traffico aereo (ATC), la strategia deve definire orientamenti chiari su come garantire la futura liberalizzazione, offrendo al tempo stesso condizioni eque di concorrenza (concorrenza leale). Il consolidamento può essere promosso solo assicurando un elevato livello di connettività affidabile in tutti gli Stati membri.

1.10.

La questione della concorrenza leale comprende anche il rispetto dei diritti dei lavoratori. Disposizioni simili all’articolo 17 bis dell’accordo UE-USA sul trasporto aereo devono essere inserite nel quadro dei negoziati con i paesi terzi. Risultano in tale contesto di fondamentale importanza l’equità e la reciprocità, così come le più elevate norme sociali e di sicurezza applicabili. Eventuali accordi conclusi nel campo della politica estera dell’UE in materia di aviazione dovrebbero avere il fine di assicurare il rispetto dei principi dell’OIL e di ricercare mezzi reciprocamente accettabili per garantire la conformità richiesta (4).

1.11.

Il ruolo non solo degli Stati membri ma anche di altri partecipanti alla rete del valore del settore dell’aviazione, come i costruttori di aeromobili, di motori e di loro componenti, deve essere esaminato con maggiore attenzione in sede di attuazione della strategia. Il settore europeo del trasporto aereo deve poter beneficiare della connessione digitale e deve impegnarsi pienamente e attivamente nella quarta rivoluzione industriale. Nel settore dell’aviazione civile, il ruolo e la capacità dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) rivestono un’importanza strategica per mantenere competitiva l’industria aeronautica civile europea sul mercato mondiale dell’aviazione civile.

1.12.

Il settore dell’aviazione dell’UE chiede di precisare come si potranno gestire in modo più flessibile le disposizioni in materia di proprietà e di controllo sulla base della reciprocità, garantendo nel contempo l’applicazione e l’esecuzione armonizzate in tutta l’UE, e assicurando che il controllo delle compagnie aeree continui a essere conforme con il diritto dell’Unione. All’interno dell’UE, diversamente da quanto avviene in qualsiasi altra parte del mondo, i cittadini possono investire nelle compagnie aeree dell’UE senza alcuna restrizione relativa alla percentuale del capitale acquistato o al grado e al livello di controllo sulla compagnia aerea in questione. Ma la domanda è: perché non investono?

1.13.

Il CESE riconosce che la Commissione deve agire con precauzione quando si tratta di ottenere il sostegno degli Stati membri e di altre parti interessate alle sue proposte. Tuttavia, la leadership politica della Commissione non va messa in discussione. I rispettivi compiti dell’AESA e di Eurocontrol dovrebbero essere definiti in modo tale che le due organizzazioni si integrino a vicenda e possano essere evitate le sovrapposizioni.

1.14.

Il CESE ribadisce che è pronto a sostenere pienamente la Commissione nel suo impegno a guidare il dibattito politico sul modo migliore per assicurare la competitività dell’Europa a livello internazionale nel settore del trasporto aereo, nonché a creare e ad attuare il necessario quadro legislativo e regolamentare. La discussione sulla «Brexit» ha stimolato il CESE a lavorare ancora più intensamente per contribuire ad una maggiore integrazione del settore del trasporto aereo dell’UE, integrazione che oggi risulta più che mai necessaria.

1.15.

Data l’unicità della sua composizione e in considerazione delle sue competenze specifiche, il CESE è in una posizione ideale per far confluire nel dibattito politico il punto di vista della società civile organizzata sulle conseguenze politiche, sociali, economiche e ambientali delle iniziative regolamentari in materia di trasporto aereo e sui mezzi più appropriati ed equilibrati per attuare la strategia. Pertanto, il Comitato ha deciso di continuare a monitorare l’attuazione della strategia varando un progetto a parte, stanziando risorse sufficienti e assegnando competenze adeguate.

1.16.

Il CESE raccomanda di accompagnare la partecipazione delle parti interessate all’attuazione della strategia da una descrizione strutturata e concreta di come la strategia verrà realizzata. Accanto a un piano d’azione che elenchi le iniziative che saranno presentate e il calendario previsto per i prossimi anni, è necessaria una tabella di marcia per stabilire in che modo la Commissione intenda entrare in contatto con le parti interessate al fine di garantire un impegno di così grande importanza. La mobilitazione di tutte le parti interessate del settore dell’aviazione per l’attuazione della strategia non è facile, ma è necessaria.

2.   Contesto

2.1.

Il settore dell’aviazione dell’UE dà direttamente lavoro ad un numero di persone compreso tra 1,4 milioni (fonte: Steer Davies Gleave, Studio sull’occupazione e sulle condizioni di lavoro nel settore del trasporto aereo e negli aeroporti, relazione finale 2015) e 2,2 milioni (Trasporto aereo: benefici al di là delle frontiere, relazione elaborata da Oxford Economics per l’ATAG, aprile 2014) e, in generale, sostiene una quantità di posti di lavoro che varia tra 4,8 milioni e 5,5 milioni (fonte: Steer Davies Gleave, Studio sull’occupazione e sulle condizioni di lavoro nel settore del trasporto aereo e negli aeroporti, relazione finale 2015). Il contributo diretto del settore al PIL dell’UE è di 110 miliardi di euro, mentre l’impatto complessivo, che include anche il turismo, raggiunge i 510 miliardi di EUR attraverso l’effetto moltiplicatore (fonte: Steer Davies Gleave, Studio sull’occupazione e sulle condizioni di lavoro nel settore del trasporto aereo e negli aeroporti, relazione finale 2015). Ciò dimostra chiaramente che il potenziale economico del settore aereo supera di gran lunga il suo impatto diretto.

2.2.

È tuttavia cruciale riconoscere l’impatto sul clima a livello mondiale che il settore dell’aviazione genera in termini di emissioni. Qualsiasi strategia per il settore dell’aviazione deve valutare le opportunità per rendere il settore più sostenibile, ad esempio l’utilizzo di biocarburanti innovativi e di nuove miscele di combustibili. L’Europa dovrebbe cercare di essere all’avanguardia in questo campo attraverso la ricerca e l’innovazione.

2.3.

Malgrado la crescita significativa del numero di passeggeri trasportati dalle compagnie aeree dell’UE, dal 2008 i posti di lavoro sono diminuiti annualmente del 2,2 % e tale diminuzione è maggiore di quella osservata nell’economia generale (-0,7 % su base annua); al tempo stesso, si è registrato un significativo aumento del numero e delle forme dei «lavori atipici» (contratto a tempo determinato e part-time, lavoratori delle agenzie di lavoro interinale, lavoro autonomo, contratto a zero ore, lavoratori distaccati, «pagare per lavorare» ecc.).

2.4.

Poiché il contributo del settore aereo ai risultati globali dell’economia dell’UE e la sua presenza a livello mondiale sono così importanti, è fondamentale che l’aviazione dell’UE rimanga competitiva, mantenga la sua posizione di leadership mondiale e sia in grado di crescere. Negli ultimi decenni, il settore dell’aviazione dell’UE ha rappresentato, anche per altri settori dell’industria europea, un esempio di come le riforme possano tradursi in maggiori benefici per i cittadini europei, i lavoratori, le imprese e l’ambiente.

2.5.

Il CESE ha pienamente mostrato il suo impegno concernente le politiche e la legislazione nel settore dell’aviazione dell’UE adottando una serie di pareri e organizzando diversi eventi per le parti interessate nonché audizioni pubbliche. Il Comitato ha presentato una serie di proposte concrete su vari elementi della rete del valore dell’aviazione dell’UE, la sua organizzazione e i suoi risultati, tra le altre cose sostenendo fortemente un dialogo sociale di ampio respiro (5) (il Comitato ha chiesto, tra l’altro, di migliorare l’attuazione delle disposizioni in vigore nel settore dell’aviazione in Europa, di creare una vera parità di condizioni per tutte le parti della catena di valore del settore aeronautico e di adottare misure rapide e coraggiose per affrontare l’imminente crisi di capacità).

2.6.

Diverse parti interessate europee, tra cui il CESE, hanno chiesto di elaborare urgentemente una strategia dell’UE nel settore dell’aviazione che sia solida, ampia, orientata al mercato e sostenibile. Nel suo recente parere sul tema Una politica integrata dell’UE in materia di trasporto aereo  (6) il Comitato ha individuato sei fattori che determinano il livello di competitività dell’aviazione in Europa: la sicurezza, la sostenibilità economica, sociale e ambientale, la competitività attraverso l’innovazione, la dimensione sociale, l’eccellenza operativa e la connettività (7). Il CESE ribadisce le proprie raccomandazioni sulla strategia proposte in questo parere.

2.7.

Per trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di sovranità e la necessità di un compromesso a livello UE servono forte volontà politica, visione e coraggio. E questo è più che mai pertinente nel contesto odierno, dopo il referendum nel Regno Unito. Sul piano economico, la strategia dovrebbe avere come obiettivo e orientamento quello di stimolare gli investimenti, la prosperità economica e la crescita sostenibile in tutta Europa. Sotto il profilo giuridico, il quadro di riferimento dovrebbe essere solido a livello macroeconomico e offrire la stabilità della pianificazione a livello microeconomico. Questa stabilità dovrebbe incoraggiare gli investitori europei a destinare maggiori risorse al settore dell’aviazione dell’UE. Gli investitori stessi dovrebbero inoltre poter accedere più agevolmente ai mercati internazionali in crescita su basi di reciprocità.

2.8.

Nel 2014 il Servizio di ricerca del Parlamento europeo ha concluso che nei prossimi 20 anni il costo totale della non-Europa per il settore dell’aviazione sarà di circa 3 400 milioni di EUR l’anno. Se una strategia chiara non venisse elaborata ed attuata, il settore dell’aviazione dell’UE potrebbe non approfittare di diverse opportunità di crescita a livello internazionale e perdere influenza sul piano della competitività. La crescita deve diventare sostenibile garantendo che le condizioni di concorrenza siano eque. Ma una strategia volta a conseguire una visione mediante gli strumenti opportuni dovrà il suo successo all’ampio sostegno di tutte le parti interessate, in particolare gli Stati membri.

2.9.

La strategia si basa su un approccio «olistico» al trasporto aereo, in quanto riconosce l’importante ruolo sociale di questo settore: l’aviazione garantisce la connettività delle regioni e la mobilità di passeggeri e di merci, procura benefici alle economie e fornisce innovazioni tecnologiche per attenuarne gli effetti sul cambiamento climatico; in altre parole, assicura la sostenibilità economica, sociale e ambientale. Il CESE sostiene pienamente tale approccio.

3.   Il trasporto aereo quale generatore di crescita

3.1.

Nel tempo, i singoli sottosettori dell’aviazione hanno registrato una crescita, con imprese al loro interno che dichiarano un fatturato di svariati milioni di EUR, che operano e si trovano a competere su mercati diversi e che, messe insieme, costituiscono una rete di imprese interdipendenti e creatrici di valore. La strategia, oltre a dover essere attuata, dovrà continuare ad individuare i punti di forza e di debolezza e la capacità di creazione di posti di lavoro di ciascun partecipante alla rete del valore promovendone le eccellenze, in modo da fornire un quadro ottimale in cui i sottosettori possano contribuire, sul piano sia individuale che collettivo, alla crescita economica e alla prosperità.

3.2.

L’approccio olistico più ampio al settore dell’aviazione consiste nell’andare oltre le sfide cui sono soggetti le compagnie aeree e gli aeroporti e nell’affrontare questioni concernenti tutti i partecipanti alla catena di valore. Gli Stati membri si aspettano una connettività migliore, sicura, affidabile e redditizia con mercati più piccoli e periferici nel settore del commercio e del turismo, i fabbricanti di aeromobili, motori e componenti cercano condizioni più favorevoli agli investimenti nelle imprese e nella ricerca e sviluppo, e le compagnie aeree e gli operatori dei servizi aerei sperano di poter attirare investitori e di operare su mercati sempre più liberalizzati a condizioni che assicurino livelli sostenibili di sana concorrenza. Bisognerebbe salvaguardare la qualità delle condizioni di lavoro, compresa la formazione, e i diritti dei passeggeri.

3.3.

La Commissione ha giustamente individuato i settori chiavi che necessitano dell’attenzione delle autorità di regolamentazione, in particolare per quanto riguarda il Cielo unico europeo, il requisito concernente un mandato globale per i negoziati internazionali volti a salvaguardare la crescita e un’equa concorrenza all’interno tanto del mercato UE quanto di quello globale. La Commissione ha inoltre fatto bene a sottolineare la necessità di garantire norme e standard internazionali che assicurino livelli elevati di sicurezza e protezione e che consentano di attenuare l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici. A sostegno del commercio mondiale di prodotti dell’UE connessi al settore dell’aviazione, gli accordi bilaterali stipulati dall’UE in materia di sicurezza dell’aviazione dovrebbero inoltre mirare a ottenere il riconoscimento reciproco delle norme di certificazione di sicurezza.

3.4.

Nel settore dell’aviazione, tutti i partecipanti alla rete del valore dipendono da un clima politico favorevole agli investimenti. Dato il livello elevato dei loro costi fissi, le compagnie aeree e gli aeroporti devono inoltre disporre di un quadro normativo che consenta una pianificazione stabile. Tanto all’interno delle istituzioni europee quanto a livello nazionale, sono attualmente in discussione diversi aspetti regolamentari in merito ai quali la Commissione dovrebbe fornire orientamenti precisi; la loro rilevanza è tale che sono stati inclusi nell’attuazione della Strategia (8).

3.4.1.

Il miglioramento, l’applicazione e il rafforzamento delle disposizioni in materia di proprietà e controllo rivestono un’importanza fondamentale [si tratta di espressioni standard negli accordi bilaterali sui servizi aerei nonché di disposizioni specifiche dell’UE previste dal regolamento (CE) n. 1008/2008]. Esse costituiscono un pilastro essenziale degli accordi internazionali relativi ai servizi aerei: senza tali disposizioni, le parti contraenti non potrebbero garantire i diritti reciproci stabiliti. Gli «orientamenti interpretativi» proposti dalla Commissione potrebbero rivelarsi uno strumento insufficiente per risolvere i problemi sistemici e le differenze in termini di applicazione, di certezza del diritto e di «efficacia» delle disposizioni. È necessario un chiaro orientamento nel settore del trasporto aereo dell’UE, che si trova di fronte ad un significativo processo di consolidamento. Data la crescente importanza delle loro attività a livello macroeconomico e considerando le differenze nella redditività di ciascuna di esse, le compagnie aeree rivestono un interesse sempre crescente per i fondi d’investimento internazionali e per gli investitori strategici. Il loro consolidamento non deve andare a discapito della connettività, soprattutto a livello regionale.

3.4.2.

La questione della concorrenza leale comprende anche il rispetto dei diritti dei lavoratori. Disposizioni simili all’articolo 17 bis dell’accordo UE-USA sul trasporto aereo devono essere inserite nel quadro dei negoziati con i paesi terzi. Risultano in tale contesto di fondamentale importanza l’equità e la reciprocità, così come le più elevate norme sociali e di sicurezza. Eventuali accordi conclusi nel campo della politica estera dell’UE in materia di aviazione dovrebbero avere il fine di assicurare il rispetto dei principi dell’OIL e di ricercare mezzi reciprocamente accettabili per garantire la conformità richiesta (9).

3.4.3.

Il CESE raccomanda alla Commissione di agevolare gli accordi di dialogo sociale per prevenire il dumping sociale ed evitare che si frappongano ostacoli al mercato interno. Anche il più piccolo degli scioperi nel settore dell’aviazione può colpire un gran numero di voli, passeggeri e imprese che dipendono dal turismo e dal commercio. Bisogna considerarne l’impatto sulle parti interessate e sui clienti, se la Commissione intende soddisfare le aspettative al momento di sviluppare un approccio «olistico» all’aviazione.

3.4.4.

La tecnologia relativa ai droni è una questione di grande importanza che la strategia dovrebbe analizzare in maniera più approfondita. Essa non riguarda più semplicemente l’hardware (vale a dire, le dimensioni e le specifiche operative dei droni) ma anche il software e le potenzialità di detta tecnologia. Il CESE si compiace dei lavori già intrapresi dall’AESA in questo campo. Tuttavia, alla luce delle iniziative di regolamentazione adottate in altre regioni del mondo, l’influenza dell’UE in questo settore dell’innovazione sarà necessaria per garantire che l’Europa non perda la capacità di guidare questa tecnologia innovativa ed esercitare un impatto sulle norme e gli standard internazionali. La sicurezza e la protezione delle operazioni effettuate con i droni è un aspetto che va affrontato con la massima urgenza.

3.4.5.

La Commissione considera giustamente l’attuazione del progetto «Cielo unico europeo» un elemento chiave e ribadisce la necessità di adottare e attuare la versione II di detto progetto. L’adozione di un regime unico di gestione dello spazio aereo per l’UE è nell’interesse dei cittadini e dei consumatori dell’Unione, e apporterebbe benefici all’ambiente e alla competitività del settore europeo dell’aviazione nel suo complesso. Occorre condurre un’analisi complementare più approfondita che consenta di stabilire per quale motivo i progressi in questo campo sono stati relativamente lenti. In particolare i «blocchi funzionali dello spazio aereo» sono stati ampiamente al di sotto delle aspettative. Un piano di sensibilizzazione globale risulta pertanto necessario per garantire un dibattito intenso, aperto e sincero con gli Stati membri e i fornitori di servizi di navigazione aerea e per presentare proposte su misura ai singoli Stati membri consentendo loro di far fronte alle preoccupazioni e agli ostacoli più diffusi causati dal processo di modernizzazione dei rispettivi organismi di gestione del traffico aereo. Il CESE è convinto che le preoccupazioni sollevate dalle parti sociali possano essere affrontate adeguatamente attraverso l’integrazione dei lavoratori nelle ulteriori deliberazioni e nell’attuazione. SESAR, il pilastro tecnologico del Cielo unico europeo, può inoltre sostenere in modo efficace l’ulteriore integrazione della gestione del traffico aereo nell’UE creando nuove applicazioni tecnologiche comuni. Il gestore della rete provvede a sviluppare una configurazione della rete di rotte europee integrata per la sicurezza e l’efficienza delle operazioni di controllo del traffico aereo.

3.4.6.

È essenziale che, nel completare un’ampia rete di trasporto dell’UE, siano pienamente presi in considerazione e inclusi gli aeroporti, facendo sì che siano adeguatamente collegati agli altri modi di trasporto. La multimodalità è fondamentale. Anche le TIC e le soluzioni digitali possono contribuire a rendere più efficiente il settore dell’aviazione promuovendo la multimodalità e la sostenibilità.

3.5.

Nel settore dell’aeronautica, i costruttori si fanno concorrenza l’un l’altro per vendere i loro prodotti sul mercato mondiale. La quarta rivoluzione industriale crea eccezionali opportunità per l’industria aeronautica dell’UE. La piena sinergia delle diverse politiche dell’UE in questo settore deve essere analizzata e sfruttata. Le imprese di questo settore investono in impianti di produzione in tutta Europa e in tutto il mondo. Per valutare l’impatto globale dell’aviazione sulla crescita, non si può sottovalutare l’importanza della certificazione dei fabbricanti da parte dell’AESA, né delle analisi economiche, considerando le dimensioni significative delle imprese in questione e il fatto che competono su scala mondiale.

3.6.

La strategia si basa sugli standard dell’UE e, tramite negoziati concertati e coordinati, dovrebbe far sì che tali standard vengano accettati anche dai paesi terzi. L’UE ha già definito l’architettura per l’attuazione e l’ulteriore sviluppo dell’accordo UE-USA sul trasporto aereo. Le disposizioni in esso contenute consentono a entrambe le parti di raggiungere un ulteriore consenso sul rafforzamento e l’applicazione congiunta degli standard di cui sopra e persino sulla loro estensione a paesi terzi. La strategia dovrebbe quindi essere orientata a utilizzare strumenti quali il comitato misto UE-USA per cercare di pervenire ad una comprensione, condivisa con altri Stati in tutto il mondo che aderiscono agli stessi principi, secondo cui la sostenibilità del settore dell’aviazione dipende dal rispetto di certi valori fondamentali. L’UE e gli Stati Uniti potrebbero assumere un ruolo guida nella definizione di norme a livello mondiale (compresi SESAR e NextGen). L’UE e gli USA hanno ancora la possibilità di essere, insieme, all’avanguardia del settore dell’aviazione a livello mondiale.

3.7.

Il successo dell’aviazione europea dipende anche dalle competenze e qualifiche dei dipendenti del settore. Pertanto, si dovrebbero adottare misure per accrescere l’attrattiva del settore europeo dell’aviazione e impedire che una manodopera qualificata lo abbandoni o si metta alla ricerca di lavoro in altre parti del mondo.

4.   L’attuazione della strategia per l’aviazione — Gestire i cambiamenti

4.1.

Il CESE riconosce che la Commissione deve agire con precauzione quando si tratta di ottenere il sostegno degli Stati membri e di altre parti interessate alle sue proposte. Tuttavia, la leadership politica della Commissione non va messa in discussione. Mettere in chiaro tale impegno è necessario affinché le potenzialità del settore del trasporto aereo europeo possano essere realizzate, rispettando al tempo stesso la necessità degli Stati membri di garantire una connettività affidabile e sicura e rassicurando anche le parti sociali sul fatto che continueranno a partecipare all’elaborazione e all’attuazione delle necessarie misure legislative.

4.2.

Nella sua comunicazione, la Commissione ha affrontato diversi temi che saranno oggetto di iniziative di regolamentazione, e ha ribadito che chiederà a tutte le parti interessate di partecipare. Tuttavia, accanto a un piano d’azione che elenchi le iniziative che saranno presentate e il calendario previsto per i prossimi anni, una tabella di marcia è necessaria per precisare in che modo la Commissione entrerà in contatto con le parti interessate e con i cittadini in generale al fine di garantire un’«adesione» di tale portata.

4.3.

La Commissione ha giustamente menzionato la necessità di rafforzare il dialogo sociale nel settore. Nel settore dell’aviazione la forza lavoro subisce una pressione molto forte. In tali condizioni, un dialogo sociale è di primaria importanza per catturare l’interesse delle parti sociali nei confronti del processo e per garantire il loro coinvolgimento. Bisogna però specificare in che modo la Commissione preveda di strutturare un dialogo sociale sui problemi causati dal suo approccio olistico.

4.4.

Occorre inoltre chiarire ulteriormente le norme sul lavoro e le disposizioni di previdenza sociale applicabili a lavoratori soggetti ad un’estrema mobilità, come quelli che operano nel settore del trasporto aereo; la mancanza di chiarezza nella legislazione ha portato a gravi lacune nella protezione sociale degli equipaggi europei. È infine opportuno modificare le norme giuridiche vigenti e allineare sia le disposizioni tecniche sia la legislazione in materia di previdenza sociale.

4.5.

L’attuazione di qualsiasi misura legislativa deve aver luogo tenendo presente il contesto di cambiamenti climatici. Non è possibile sviluppare una strategia per il settore dell’aviazione prescindendo dalla necessità di affrontare con urgenza a livello globale i costi (economici, ambientali e sociali) associati ai molteplici effetti dei cambiamenti climatici. Il settore dell’aviazione dell’UE dovrebbe considerare ulteriormente le sfide poste dai cambiamenti climatici come opportunità per la ricerca e l’innovazione.

4.6.

Le informazioni sulla strategia e sulla sua attuazione devono essere fornite costantemente, organizzando regolarmente iniziative d’informazione ben mirate con le parti interessate.

4.7.

L’approccio generale della Commissione verso il settore dell’aviazione dovrebbe inoltre essere considerato una questione prioritaria e un elemento di coerenza nel dialogo con gli Stati membri. In alcuni casi, il problema principale sembra essere l’assenza di comprensione a livello nazionale circa le reali necessità del settore dell’aviazione. Nelle sue discussioni con gli Stati membri, la Commissione dovrebbe valutare la possibilità di sostenere in modo più attivo il settore dell’aviazione a livello nazionale.

4.8.

Il CESE invita ancora una volta tutte le parti interessate del settore dell’aviazione ad impegnarsi attivamente in ulteriori lavori per l’attuazione della strategia. Un settore dell’aviazione forte e sostenibile è nell’interesse di tutti e non dobbiamo lasciarci sfuggire l’opportunità offerta dalla strategia.

Bruxelles, 14 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 110.

(2)  Cfr. nota a piè di pagina 1.

(3)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 169.

(4)  GU C 198 del 10.7.2013, pag. 51.

(5)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 17, GU C 451 del 16.12.2014, pag. 123, GU C 170 del 5.6.2014, pag. 116.

(6)  Cfr. nota a piè di pagina 3.

(7)  Cfr. nota a piè di pagina 3.

(8)  Il Comitato ribadisce pertanto quanto affermato nei pareri GU C 241 del 7.10.2002, pag. 29, GU C 264 del 20.7.2016, pag. 11 e Cfr. nota a piè di pagina 1.

(9)  Cfr. nota a piè di pagina 4.


21.10.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 389/93


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore della navigazione interna e che abroga la direttiva 96/50/CE del Consiglio e la direttiva 91/672/CEE del Consiglio»

[COM(2016) 82 final — 2016/0050 (COD)]

(2016/C 389/13)

Relatore:

M. Jan SIMONS

Il Consiglio dell’Unione europea, in data 23 marzo 2016, e il Parlamento europeo, in data 11 aprile 2016, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 91, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore della navigazione interna e che abroga la direttiva 96/50/CE del Consiglio e la direttiva 91/672/CEE del Consiglio

[COM(2016) 82 final — 2016/0050 (COD)].

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 giugno 2016.

Alla sua 518a sessione plenaria dei giorni 13 e 14 luglio 2016 (seduta del 13 luglio 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) conviene sul fatto che il sistema comune di riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore della navigazione interna debba essere basato sulle competenze richieste anziché sui requisiti convenzionali relativi all’esperienza. Condivide anche la speranza che il riconoscimento delle qualifiche professionali in tutta l’Unione favorirà lo sviluppo della navigazione interna.

1.2.

La mobilità dei lavoratori all’interno dell’UE è un fattore importante per far fronte alla carenza strutturale di personale di coperta qualificato. Una valutazione obbligatoria delle competenze professionali di tutti i membri d’equipaggio migliorerà l’immagine e l’attrattiva della professione.

1.3.

Il mantenimento delle attuali norme di sicurezza sulle principali vie navigabili internazionali deve essere considerato un requisito minimo per la corretta introduzione delle misure proposte.

1.4.

Migliorare l’applicabilità dei regolamenti da parte delle autorità competenti scoraggerà, da un lato, le pratiche sociali illecite e rafforzerà, dall’altro, la competitività e la concorrenza leale.

1.5.

Per la buona governance della rete europea delle vie navigabili interne, il CESE ritiene indispensabile proseguire e ampliare la stretta cooperazione tra la Commissione europea e le commissioni fluviali europee, in particolare la Commissione centrale per la navigazione sul Reno (CCNR).

1.6.

Il CESE è d’accordo sul fatto che, eventualmente con il coinvolgimento di determinate commissioni fluviali, siano necessari, parallelamente ai requisiti comuni di competenza la cui formulazione spetta al Comitato europeo per l’elaborazione di norme per la navigazione interna (CESNI), criteri oggettivi per definire le vie navigabili o i tratti che presentano rischi specifici, per i quali gli Stati membri possono imporre requisiti supplementari in aggiunta alle qualifiche professionali richieste in base al sistema comune.

1.7.

Occorre comunicare al più presto, in maniera più esplicita, i principi e le finalità delle misure scelte che sono alla base della proposta.

2.   Introduzione

2.1.

I settori competitivi dipendono dalla capacità di trasportare grandi volumi di merci in maniera efficiente sotto il profilo dei costi. Le imbarcazioni per la navigazione interna hanno una capacità di carico pari a centinaia di autocarri — un convoglio di quattro chiatte a spinta (= 7 000 tonnellate nette) equivale a 280 mezzi pesanti di 25 tonnellate nette ciascuno — il che potrebbe consentire di risparmiare sui costi di trasporto e di proteggere l’ambiente.

2.2.

Il Reno e il Danubio, attraverso il canale Meno-Danubio, collegano 13 Stati membri tra il Mare del Nord e il Mar Nero, per una lunghezza di 3 500 km. Su queste vie navigabili transitano ogni anno circa 500 milioni di tonnellate di merci, e il traffico sul Reno, da solo, è pari al 67 % del volume complessivo. Oltre il 75 % dei trasporti per vie navigabili interne nell’UE è costituito da trasporti transfrontalieri. In Germania, in Belgio e nei Paesi Bassi la quota modale di trasporti per vie navigabili interne è rispettivamente del 12,5 %, 25 % e 38,7 %, mentre sul corridoio del Reno, il cuore industriale d’Europa, è addirittura superiore al 50 %.

2.3.

Con 150 miliardi di tonnellate/km di merci su base annua, il trasporto per vie navigabili interne svolge un ruolo importante nel funzionamento delle catene logistiche multimodali dell’UE. In base a recenti studi, i 2,2 miliardi di EUR di valore aggiunto del settore dei trasporti per vie navigabili interne generano un valore aggiunto economico diretto e indiretto di 13,2 miliardi di EUR, il che corrisponde a un fattore moltiplicatore di 6,0.

2.4.

Alcuni dati importanti sul mercato del lavoro nei trasporti per vie navigabili interne dell’UE:

41 500 addetti, di cui 14 650 conduttori di nave e 26 850 lavoratori operativi;

i Paesi Bassi, la Germania, la Francia, il Lussemburgo, l’Italia, il Belgio, la Romania e la Bulgaria rappresentano l’80 % del totale della manodopera impiegata nei trasporti per vie navigabili interne;

la stragrande maggioranza degli addetti opera sul corridoio del Reno;

percentuali dei lavoratori stranieri: 27 % nei Paesi Bassi, 23 % in Germania e 14 % in Belgio;

numero di imprese di trasporti per vie navigabili interne: 9 482, di cui il 45 % è neerlandese.

2.5.

Il CESE ha già avuto occasione di fornire al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione pareri in merito a questo settore, in particolare sul tema della politica sociale in un regime giuridico paneuropeo sulla navigazione interna nel 2005 (1), in merito al programma di azione europeo integrato per il trasporto sulle vie navigabili interne (Naiades) nel 2006 (2) e al pacchetto Naiades II nel 2014 (3).

2.6.

In questi pareri, il CESE esortava per la prima volta «a costruire una politica sociale della navigazione interna a livello di Unione», concetto questo che «è stato ulteriormente sviluppato negli ultimi anni nel quadro del dialogo sociale e […] ha portato alla creazione di una normativa specifica in materia di orario di lavoro», inducendo poi il Comitato a chiedere, nel 2014, l’elaborazione di «nuove iniziative». «L’armonizzazione perseguita dei profili professionali, basata sul dialogo sociale, e l’allineamento a livello europeo delle qualifiche professionali svolgono in tale contesto un ruolo importante, che sarà sviluppato dalla Commissione [europea] in stretta collaborazione con le commissioni fluviali, in particolare la Commissione centrale per la navigazione sul Reno.»

2.7.

Nel frattempo, la Commissione europea e la CCNR hanno intensificato la loro cooperazione, conseguendo alcuni risultati significativi, come l’individuazione congiunta dei requisiti in materia di competenze (tabelle delle competenze Platina) e, grazie alla loro comune volontà di migliorare la regolamentazione del settore della navigazione interna, la creazione, nel giugno 2015, del Comitato europeo per l’elaborazione di norme per la navigazione interna (noto con la sigla «CESNI»). Tale comitato si è messo rapidamente al lavoro e nel 2015 ha prodotto norme in materia di requisiti tecnici per le navi della navigazione interna. È stato inoltre deciso di istituire, in seno al CESNI, un gruppo di lavoro sulle qualifiche professionali. Il CESNI dovrebbe assumere un ruolo importante anche nel settore delle qualifiche professionali, elaborando le norme cui fa riferimento la proposta.

2.8.

La proposta in esame della Commissione è il frutto di ampie e lunghe consultazioni con numerose delle organizzazioni coinvolte e con le parti sociali (ad esempio, commissioni fluviali internazionali: Commissione centrale per la navigazione sul Reno, Commissione del Danubio e Commissione della Sava; Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite; amministrazioni nazionali responsabili dell’elaborazione delle politiche e delle attività legislative e amministrative relative al trasporto sulle vie navigabili interne; organizzazioni professionali (European Barge Union e Organizzazione europea dei capitani); Federazione europea dei lavoratori dei trasporti — Sezione trasporto sulle vie navigabili interne; Platina — piattaforma per l’attuazione di Naiades; istituti di istruzione e formazione nel settore della navigazione interna in Europa, Edinna; Aquapol e Federazione europea dei porti interni. Tra le parti sociali del trasporto sulle vie navigabili interne europee figurano la European Barge Union, l’Organizzazione europea dei capitani e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti).

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

Il trasporto per vie navigabili interne è un modo di trasporto economicamente conveniente ed efficiente dal punto di vista energetico che potrebbe essere impiegato più efficacemente a sostegno degli obiettivi dell’Unione europea negli ambiti dell’efficienza energetica, della crescita e dello sviluppo industriale. Tuttavia, il suo contributo in tal senso è ostacolato dalle difficoltà esistenti in termini di mobilità dei lavoratori, posti di lavoro vacanti che non possono essere occupati e squilibri tra la domanda e l’offerta di competenze. Il variare dei requisiti minimi per le qualifiche professionali nelle vie navigabili dei vari Stati membri non fornisce ai singoli paesi garanzie sufficienti relativamente al riconoscimento delle qualifiche professionali dei membri d’equipaggio provenienti da altri Stati membri, soprattutto in quanto ciò incide anche sulla sicurezza della navigazione.

3.2.

L’obiettivo della direttiva è quello di agevolare la mobilità dei lavoratori nel settore del trasporto per vie navigabili interne, garantendo che le qualifiche dei lavoratori specializzati siano riconosciute in tutta l’Unione. L’iniziativa si basa su oltre 19 anni di esperienza nell’applicazione delle direttive 96/50/CE sul conseguimento dei certificati nazionali di conduzione di navi e 91/672/CEE sul riconoscimento reciproco dei certificati nazionali di conduzione di navi per i conduttori che operano sulle vie navigabili interne che non siano il Reno.

3.3.

La proposta estende il riconoscimento delle qualifiche professionali in modo da considerare tutti i membri del personale di coperta e si basa sulle competenze richieste. Essa prevede il riconoscimento sull’intera rete europea navigabile interna sulla base:

dell’introduzione di norme comuni per i certificati di conduttore di navi e altri membri del personale di coperta,

dell’istituzione di criteri e procedure comuni per la definizione delle competenze richieste,

dell’introduzione di criteri atti a garantire che le conoscenze richieste in merito a determinate rotte siano giustificate dal livello di sicurezza previsto.

Secondo la Commissione, la maggiore mobilità dei lavoratori e le nuove opportunità di carriera non recheranno vantaggi soltanto agli occupati del settore, ma l’intero comparto ne trarrà beneficio in quanto risulterà più attraente sia per le imprese che per i lavoratori.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE conviene sul fatto che il sistema comune di riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore della navigazione interna debba essere basato sulle competenze richieste anziché sui requisiti convenzionali relativi all’esperienza. Condivide anche la speranza che il riconoscimento delle qualifiche professionali in tutta l’Unione favorirà lo sviluppo della navigazione interna.

4.2.

Il CESE attribuisce grande valore alla prosecuzione e intensificazione della cooperazione tra la Commissione europea e le commissioni fluviali, in particolare la Commissione centrale per la navigazione sul Reno (CCNR). Gli sforzi congiunti messi in campo dalla CCNR e dalla Commissione europea per armonizzare e modernizzare la regolamentazione sono particolarmente utili ai fini della definizione di una politica coerente in relazione alla rete di vie navigabili interne dell’UE. Il CESE sottolinea l’importanza di creare e mantenere condizioni di parità nel settore dei trasporti per vie navigabili interne e pone l’accento sul fatto che la nuova regolamentazione dovrà andare di pari passo con un sistema di applicazione più moderno.

4.3.

La proposta in esame, che rientra nel quadro del pacchetto Naiades II, è volta a introdurre un sistema comune di norme minime in materia di competenze che è molto importante per il livello di sicurezza sulle vie navigabili interne dell’Unione europea. Il CESE ritiene che tale sistema non debba pregiudicare le buone pratiche esistenti in tutte le categorie di vie navigabili.

4.3.1.

La proposta prevede pertanto che gli Stati membri possano consentire eccezioni o applicare requisiti supplementari per determinate vie navigabili o per tratti di esse. Queste misure devono, naturalmente, essere efficaci e proporzionate, in modo che il loro numero rimanga limitato allo stretto necessario. In linea generale non è previsto alcun abbassamento delle norme attualmente in vigore. Tuttavia, le norme di sicurezza vigenti sulle diverse vie navigabili possono variare.

4.4.

Per quanto riguarda i fiumi internazionali, la transnazionalizzazione dei trasporti per vie navigabili interne ha portato all’istituzione di commissioni fluviali al fine di garantire un regime unico per usi commerciali. L’istituzione del regime del Reno, in quanto tale, risale a oltre 200 anni fa; le commissioni per i fiumi Danubio, Mosella e Sava sono state create successivamente.

4.4.1.

Il regime del Reno non si distingue soltanto per la sua lunga storia, ma in particolare per l’esteso quadro giuridico internazionale di cui è dotato.

4.4.2.

Il CESE reputa indispensabile garantire un contesto istituzionale più ampio e correttamente fondato, al fine di garantire che la legislazione in materia di navigazione sulla rete navigabile interna dell’Europa sia organica e coerente. Da un punto di vista sia istituzionale che economico e sociale resta altamente raccomandabile proseguire e ampliare la stretta collaborazione esistente tra la Commissione europea e la CCNR.

4.5.

Il CESE è d’accordo sul fatto che, eventualmente con il coinvolgimento di determinate commissioni fluviali, siano necessari, parallelamente ai requisiti comuni di competenza la cui formulazione spetta al Comitato europeo per l’elaborazione di norme per la navigazione interna (CESNI), criteri oggettivi per definire le vie navigabili o i tratti che presentano rischi specifici, per i quali gli Stati membri possono imporre requisiti supplementari in aggiunta alle qualifiche professionali richieste in base al sistema comune.

4.6.

Sul piano europeo, il mantenimento delle attuali norme di sicurezza sulle principali vie navigabili internazionali deve essere considerato un prerequisito generale per la corretta introduzione delle misure proposte. Per affrontare la questione si è sviluppato, partendo da una lunga tradizione internazionale, un approccio coordinato a livello dei diversi bacini idrografici, il quale è generalmente accettato da tutte le parti interessate.

4.6.1.

A questo riguardo dovrebbe essere prestata un’attenzione specifica al fiume Reno. Questo corso d’acqua navigabile internazionale, che, con il Danubio, è uno dei più impegnativi dal punto di vista nautico, fa registrare oltre i 2/3 dei trasporti per vie navigabili interne. Basandosi sulla convenzione riveduta per la navigazione sul Reno, i suoi Stati rivieraschi hanno già stabilito un elevato livello di sicurezza che è sottoposto alla supervisione della CCNR.

4.7.

La CCNR ha già creato un meccanismo multinazionale vincolante per identificare i tratti che presentano rischi specifici. Il CESE ritiene che coordinare le decisioni nazionali e le decisioni delle commissioni fluviali a livello dell’UE rappresenti pertanto un passo avanti per quanto riguarda la mobilità dei lavoratori qualificati.

4.7.1.

È dunque opportuno adottare criteri comuni per la definizione di un rischio specifico. Il CESE riconosce che stabilire criteri universali e oggettivi per definire i percorsi che presentano rischi specifici offre anche il vantaggio di un processo decisionale trasparente con un campo di applicazione più ampio.

4.7.2.

Per il bacino del Danubio non esiste ancora un meccanismo multinazionale vincolante per identificare i tratti che presentano rischi specifici. Tuttavia, il CESE reputa che l’azione degli Stati membri, sostenuta dai finanziamenti dell’UE, intesa a migliorare e a garantire la navigabilità del Danubio, sia un elemento essenziale per lo sviluppo di questo corridoio.

4.7.3.

Una proposta di metodologia per stabilire le vie navigabili o i tratti di esse che presentano rischi specifici potrebbe prevedere:

1)

criteri generali per definire i requisiti in materia di qualifiche professionali;

2)

fiumi nazionali: i paesi rivieraschi formulano una proposta e il CESNI emana raccomandazioni, decisione con atto delegato della Commissione europea;

3)

fiumi internazionali: le commissioni fluviali, nelle quali si applica un quadro giuridico internazionale, seguono i criteri generali; i paesi rivieraschi formulano una proposta, previo, se del caso, coordinamento con le commissioni fluviali, e il CESNI emana raccomandazioni, decisione con atto delegato della Commissione europea.

4.8.

La proposta in esame è intesa a favorire la mobilità dei lavoratori su un mercato interno del lavoro più ampio possibile nel settore della navigazione interna, che deve essere accessibile ai lavoratori di tutti gli Stati membri, per far fronte alla carenza strutturale di personale qualificato d’equipaggio. Il CESE conviene sul fatto che si tratta di una questione importante da affrontare.

4.8.1.

La valutazione obbligatoria delle competenze per tutti i membri d’equipaggio, già a livello operativo, migliorerà l’immagine e l’attrattiva della professione sia per gli apprendisti che per coloro che provengono da altri settori.

4.8.2.

Il CESE appoggia l’obiettivo della Commissione europea di mantenere il settore accessibile ai lavoratori con un orientamento più pratico. Il CESE accoglie con favore anche le nuove possibilità di qualificazione rapida per i lavoratori che cambiano carriera e hanno già una formazione marittima o di altro tipo.

4.9.

Il CESE comprende che la proposta sia basata su scelte politiche ben ponderate, ma dal documento in esame non è facile desumere quali esse siano. Il CESE raccomanda quindi vivamente di comunicare in maniera più esplicita i principi e i fini delle misure scelte.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Una considerevole riduzione dei documenti pertinenti, come anche la loro archiviazione e il loro aggiornamento per via elettronica potrebbero migliorare l’efficacia dell’applicazione e alleggerire gli oneri amministrativi, consentendo ai servizi di controllo di funzionare in maniera più efficace. Il risultato sarà quello di scoraggiare, da un lato, le pratiche sociali illecite e di rafforzare, dall’altro, la competitività e la concorrenza leale.

5.1.1.

Il CESE raccomanda vivamente di garantire che le parti sociali, le commissioni fluviali internazionali e i servizi di controllo rimangano coinvolti e impegnati su questo fronte.

5.2.

Gli esami pratici vengono effettuati in genere a bordo di una nave, ma si dovrebbero poter svolgere anche su un simulatore, naturalmente con l’esperienza pratica richiesta. Il CESNI dovrebbe quindi determinare uno standard uniforme per le caratteristiche tecniche e le funzionalità dei simulatori di navigazione interna, come anche le norme per l’omologazione di tali dispositivi.

5.2.1.

La proposta di direttiva prevede inoltre il riconoscimento dei programmi di formazione al posto degli esami amministrativi. A questo riguardo, il CESE osserva che occorre garantire che non vi siano conflitti di interesse tra l’esaminatore e l’insegnante o l’istruttore di un candidato da esaminare.

5.2.2.

Il CESE accoglie con favore il riconoscimento dei programmi di formazione, ma nutre seri dubbi sul valore aggiunto che ne può derivare fin che non esiste un buon sistema di accertamento e garanzia della qualità.

5.2.3.

Anche la possibilità offerta dalla proposta di un esame pratico per dimostrare l’acquisizione delle competenze richieste attraverso l’apprendimento non formale e informale, nel caso specifico durante la navigazione, è in linea con il parere adottato dal CESE a questo riguardo (4).

5.3.

Dovrebbero inoltre essere previste norme supplementari per particolari attività nelle quali si applicano già le norme internazionali di sicurezza, ad esempio, nel campo del trasporto di passeggeri. Il CESE rileva che tale raccomandazione potrebbe valere anche per gli esperti di GNL riguardo al bunkeraggio delle imbarcazioni per la navigazione interna. Tuttavia, occorre riconoscere che le norme marittime non sono sufficienti e adeguate per le navi della navigazione interna.

5.4.

Secondo la valutazione d’impatto della Commissione europea, la quota di lavoratori autonomi e dipendenti in Europa è rispettivamente del 27 % e del 73 %. Tuttavia, questi dati non sono molto utili se non sono suddivisi nelle rispettive percentuali riferibili al trasporto passeggeri e al trasporto merci, dal momento che il 40 % dei posti di lavoro è collegato alla navigazione passeggeri e le PMI che possiedono/gestiscono una nave detengono l’80-90 % circa del mercato della parte occidentale dell’UE, in particolare Belgio, Paesi Bassi, Francia e Germania.

5.5.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione europea e gli Stati membri valuteranno l’attuazione della direttiva, ma ritiene che in questo processo debbano essere coinvolte anche le commissioni fluviali. Il CESE reputa che tale valutazione a livello nazionale, europeo e internazionale costituirà un buon punto di partenza per un’eventuale futura revisione della direttiva, se del caso.

Bruxelles, 13 luglio 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 24 del 31.1.2006, pag. 73.

(2)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 218.

(3)  GU C 177 dell'11.6.2014, pag. 58.

(4)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 49.