ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 51

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

59° anno
10 febbraio 2016


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

RISOLUZIONI

 

Comitato delle regioni

 

115a sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2015

2016/C 051/01

Risoluzione in merito al programma di lavoro della Commissione europea per il 2016

1

 

PARERI

 

Comitato delle regioni

 

115a sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2015

2016/C 051/02

Parere del Comitato europeo delle regioni — La visione territoriale per il 2050: quale futuro?

8

2016/C 051/03

Parere del Comitato europeo delle regioni — Agenda europea sulla migrazione

14

2016/C 051/04

Parere del Comitato europeo delle regioni — Norme per la remunerazione dei lavoratori nell’UE

22

2016/C 051/05

Parere del Comitato europeo delle regioni — Il ruolo dell’economia sociale nella ripresa della crescita economica e nella lotta alla disoccupazione

25

2016/C 051/06

Parere del Comitato europeo delle regioni — La dimensione locale e regionale dell’economia della condivisione

28

2016/C 051/07

Parere del Comitato europeo delle regioni — Un regime equo ed efficace per l’imposta societaria nell’Unione europea

34

2016/C 051/08

Parere del Comitato europeo delle regioni — La dimensione locale e regionale dell’accordo sugli scambi di servizi (TiSA)

39

2016/C 051/09

Parere del Comitato europeo delle regioni — Il futuro del Patto dei sindaci

43

2016/C 051/10

Parere del Comitato europeo delle regioni — Contributo al controllo dell’adeguatezza della direttiva sulla conservazione degli uccelli e della direttiva fauna-flora-habitat

48


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

RISOLUZIONI

Comitato delle regioni

115a sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2015

10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/1


Risoluzione in merito al programma di lavoro della Commissione europea per il 2016

(2016/C 051/01)

IL COMITATO DELLE REGIONI,

visti la comunicazione della Commissione europea dal titolo Programma di lavoro della Commissione per il 2016 — È il momento di andare oltre l’ordinaria amministrazione e il protocollo di cooperazione fra la Commissione europea e il Comitato delle regioni,

viste le sue risoluzioni del 9 luglio 2015 sulle priorità per il programma di lavoro 2016 della Commissione europea e del 4 giugno 2015 sulle priorità per il sesto mandato 2015-2020,

tenuto conto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità,

Occupazione, crescita, investimenti e politica di coesione

1.

accoglie con favore le proposte della Commissione europea per il 2016 — che tengono presenti la revisione intermedia della strategia Europa 2020 e l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite — di introdurre un nuovo approccio per dare attuazione al principio dello sviluppo sostenibile di cui all’articolo 3, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea. Per questo nuovo approccio si rendono possibili due alternative: integrare gli obiettivi di sviluppo sostenibile in una strategia Europa 2030 riveduta oppure in una nuova strategia per lo sviluppo sostenibile;

2.

sottolinea che un tale sforzo necessita di una robusta dimensione territoriale alla cui concezione e attuazione devono prendere parte gli enti locali e regionali, nell’ambito del semestre europeo, in modo da garantirne l’efficacia, la legittimità democratica e l’assunzione di responsabilità; questa richiesta si ricollega all’invito che ha già rivolto alla Commissione a presentare un Libro bianco sulla coesione territoriale, basato sul lavoro di analisi svolto dalla presidenza lussemburghese circa l’interazione tra l’Agenda territoriale 2020 e la strategia Europa 2020; raccomanda inoltre, in questo contesto, che nel quadro delle valutazioni d’impatto realizzate dalla Commissione le valutazioni di impatto territoriale divengano obbligatorie;

3.

esorta la Banca europea per gli investimenti e la Commissione a dare la priorità a progetti in cui siano coinvolti anche gli enti locali e regionali, con particolare riguardo a raggruppamenti di progetti di piccole e medie dimensioni, e si impegna a promuovere e monitorare l’attuazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) a livello locale e regionale; rileva che i prestiti del FEIS non risultano interessanti per tutti gli Stati membri, dato che il FEIS non offre agli enti locali e regionali condizioni di credito migliori di quelle già disponibili in alcuni paesi dell’UE;

4.

accoglie con favore l’intenzione della Commissione di semplificare l’attuazione della politica di coesione e reputa che nell’azione di semplificazione si debba adottare un approccio olistico nel caso sia dei beneficiari che delle autorità di gestione; seguirà da vicino i lavori del gruppo ad alto livello sulla semplificazione e fornirà un proprio contributo alla sua attività;

5.

esorta la Commissione ad avviare tempestivamente un dialogo con il CdR stesso sugli aspetti territoriali della revisione del QFP, per far sì che tutte le politiche dell’UE contribuiscano a rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale nell’Unione;

6.

osserva che orientare il bilancio dell’UE verso la realizzazione di risultati richiede iniziative ambiziose per dar seguito alle conclusioni del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie, che dovrebbero essere disponibili entro breve. Dal momento che l’impatto maggiore del bilancio europeo è riscontrabile a livello locale e regionale, è necessario che anche gli enti locali e regionali — in particolare per il tramite del CdR — abbiano un ruolo di primo piano nell’elaborazione delle proposte sostanziali e globali di revisione del sistema di bilancio dell’UE che il Comitato attende dalla Commissione nel corso del 2016;

7.

rinnova l’esortazione rivolta alla Commissione a rilanciare il dibattito su altri indicatori che vadano «oltre il PIL» e a valutare la necessità e la fattibilità dello sviluppo di indicatori complementari relativi al benessere e allo sviluppo sostenibile;

8.

si rammarica che nel programma di lavoro per il 2016 la Commissione non faccia alcun cenno all’agenda urbana dell’UE, considerata l’urgente necessità di un approccio maggiormente integrato per la politica e la legislazione dell’Unione in questo campo; ribadisce quindi la richiesta alla Commissione di elaborare un Libro bianco sull’agenda urbana dell’UE;

9.

invita la Commissione a prendere in considerazione la proposta, presentata dalla presidenza lussemburghese del Consiglio dell’UE, di una «Convenzione transfrontaliera europea in merito a disposizioni specifiche nelle regioni di confine», e chiede di poter partecipare attivamente al processo di valutazione degli ostacoli transfrontalieri che la Commissione ha attualmente in preparazione;

10.

chiede nuovamente alla Commissione di pubblicare un Libro verde sulla mobilità nelle regioni con caratteristiche geografiche e demografiche problematiche;

11.

invita la Commissione ad elaborare un Libro bianco sulle zone rurali, per sviluppare l’immenso potenziale di queste aree dal punto di vista dell’occupazione e della crescita, anche in un contesto urbano-rurale; insiste nuovamente sulla necessità di semplificare la PAC; attende inoltre con interesse la relazione sul funzionamento del mercato del latte, a proposito del quale ha già formulato una serie di raccomandazioni assai dettagliate;

12.

chiede alla Commissione di mettere a punto un piano d’azione ben preciso sulla crescita blu e invita a creare una Comunità della conoscenza e dell’innovazione specifica per l’economia blu come ulteriore misura per lo sviluppo delle competenze e il trasferimento di idee dalla ricerca marina al settore privato;

13.

sostiene l’impegno della Commissione volto a facilitare l’uso di strumenti finanziari innovativi; insiste sull’esigenza di semplificare ancor di più tali strumenti ed esorta la Commissione ad adottare, in un intenso dialogo con i rappresentanti delle città e delle regioni, con la BEI e con le parti sociali, tutte le soluzioni giuridiche necessarie per evitare che vengano di nuovo commessi gli errori verificatisi all’inizio del periodo di programmazione 2007-2013;

Sviluppo sostenibile

14.

esaminerà con grande attenzione il nuovo «pacchetto sull’economia circolare», in particolare il piano d’azione e la nuova proposta legislativa che modifica la legislazione dell’UE sui rifiuti e l’impatto che questo avrà sugli enti locali e regionali;

15.

sollecita la Commissione a promuovere una maggiore cooperazione nel settore dell’energia a livello europeo e a riconoscere espressamente il ruolo e il contributo degli enti locali e regionali nelle politiche sull’Unione dell’energia, soprattutto per quanto riguarda le energie rinnovabili, la microproduzione di energia, l’efficienza energetica, la realizzazione del mercato interno dell’energia, le infrastrutture energetiche e le politiche di diversificazione energetica, e infine le tecnologie innovative nel settore dell’energia; dichiara la propria disponibilità a prendere attivamente parte al Forum delle infrastrutture energetiche e a cooperare con le autorità di regolamentazione europee nel settore dell’energia;

16.

chiede che la Commissione, al momento di definire la nuova struttura e il nuovo assetto del mercato dell’energia, tenga conto dei punti di vista e delle aspettative dei consumatori, come pure dell’esperienza e delle buone pratiche degli enti locali e regionali; si dichiara inoltre pronto a fornire il proprio attivo contributo ai lavori del Forum dei cittadini sull’energia;

17.

si compiace che la Commissione promuova un’iniziativa, anche se non legislativa, per la strategia spaziale per l’Europa ed auspica che essa sostenga il mercato delle applicazioni delle tecnologie spaziali al fine di favorire la nascita di PMI del settore; chiede a questo proposito un maggiore coinvolgimento degli enti locali e regionali nelle fasi di programmazione e di realizzazione della strategia spaziale per l’Europa;

18.

invita la Commissione a sostenere le iniziative locali e regionali della campagna per le «città resilienti ai rischi», guidata dalle Nazioni Unite nell’ambito del suo «quadro di Sendai per la riduzione dei rischi di catastrofi», e le chiede ancora una volta di integrare risolutamente il concetto di rafforzamento della resilienza nelle sue politiche di sviluppo; agire fin da ora risulterà molto più efficiente sotto il profilo dei costi che non rendere resilienti in un secondo momento delle infrastrutture già completate;

19.

approva la decisione della Commissione di unificare la gestione del Patto dei sindaci e dell’iniziativa Mayors Adapt («I sindaci si adattano»), e si dichiara pronto a contribuire attivamente ad estendere e promuovere su scala planetaria questo nuovo Patto dei sindaci integrato per il clima e l’energia; ribadisce tuttavia che non andrebbero trascurate altre forme di cooperazione a livello locale e regionale sulle questioni del clima e dell’energia;

20.

si rammarica che nel programma di lavoro per il 2016 la Commissione non menzioni chiaramente il programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020, adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio (1); chiede in particolare alla Commissione di realizzare l’obiettivo prioritario n. 4 di tale programma generale di azione, che punta a sfruttare al massimo i vantaggi della legislazione dell’Unione in materia di ambiente migliorandone l’applicazione; accoglie con favore la prevista iniziativa REFIT (programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione) sugli obblighi di informativa in materia ambientale, ma chiede nuovamente alla Commissione di elaborare una nuova direttiva sull’accesso alla giustizia in materia ambientale e una proposta sulle attività ispettive e repressive in materia (2);

21.

osserva con preoccupazione che i cambiamenti demografici, la crisi socioeconomica e i flussi migratori concentrati in determinate aree geografiche possono accrescere le diseguaglianze già riscontrabili tra le regioni europee in ambito sanitario e diventare una sfida per sistemi sanitari efficaci, accessibili e resilienti; invita quindi la Commissione a far realizzare uno studio che analizzi questi fattori aggravanti e proponga dei metodi grazie ai quali le regioni europee possano trasformare questa sfida in un’opportunità;

22.

sollecita la Commissione ad intervenire contro gli sprechi alimentari prefiggendosi di ridurli di almeno il 30 % entro il 2025, soprattutto perché un gran numero di enti locali e regionali di tutta Europa hanno bisogno di orientamenti e di certezza giuridica quando danno attuazione a misure e iniziative nel campo della riduzione degli sprechi alimentari;

23.

rinnova la richiesta di misure, procedure di finanziamento e priorità dell’UE che tengano conto dell’effetto di accumulazione delle città di piccole e medie dimensioni, dato che all’incirca il 56 % delle città europee sono di dimensioni piccole e medie con una popolazione compresa tra i 5 000 e i 100 000 abitanti;

Il mercato interno

24.

esorta la Commissione a portare avanti in tempi rapidi le iniziative proposte per la realizzazione della strategia per il mercato unico; sottolinea che l’impatto sui territori delle misure collegate alla strategia dovrà essere oggetto di una valutazione esaustiva;

25.

mette in evidenza il fatto che l’attuazione del mercato unico del digitale è essenziale per gli enti locali e regionali; invita la Commissione a riferire regolarmente sui progressi compiuti nel rimediare al divario digitale, in particolare a livello regionale e locale;

26.

si compiace dell’intenzione della Commissione di rivedere la direttiva sui servizi di media audiovisivi (direttiva SMA), revisione nel cui ambito chiede che si tenga conto della dimensione e delle specificità regionali;

27.

rileva che occorre una strategia di sostegno allo sviluppo di infrastrutture per le TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), segnatamente nelle regioni rurali e isolate, e più in generale in quelle con ritardo di sviluppo, nella consapevolezza che i servizi di connettività a banda larga e ultra larga possono rappresentare una potente leva di crescita;

28.

esprime apprezzamento per l’attenzione che la Commissione riserva all’esigenza di liberare il potenziale dell’economia collaborativa, o economia della condivisione, e si aspetta che la Commissione presenti presto delle proposte per un approccio coordinato sulle norme applicabili a questo nuovo settore economico, tenendo presenti il ruolo importante degli enti locali e regionali in tale ambito e la necessità di garantire i diritti dei consumatori;

29.

appoggia l’azione della Commissione volta ad eliminare gli ostacoli regolamentari per le PMI e le start-up, e accoglie con favore la sua intenzione di presentare una proposta d’iniziativa per offrire una seconda opportunità agli imprenditori dopo il fallimento; mette l’accento sull’importante contributo degli enti regionali e locali alla creazione di ecosistemi imprenditoriali forti e sottolinea pertanto che occorre integrarle nella governance della politica a favore delle PMI, e in particolare nella rete di rappresentanti delle PMI (SME Envoys);

30.

esorta la Commissione a proseguire gli sforzi tesi a realizzare un’Unione dei mercati dei capitali, e insiste nuovamente sulla necessità di ridurre al minimo gli adempimenti amministrativi che risulteranno da future iniziative di regolamentazione e di evitare un’assunzione eccessiva di rischi e l’instabilità dei mercati finanziari;

31.

si compiace del fatto che la Commissione intenda presentare un piano d’azione sull’IVA e applicare standard internazionali in materia di erosione della base imponibile e trasferimento degli utili, e che intenda inoltre chiarire, nel quadro della revisione della direttiva relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto prevista nel 2016, le condizioni alle quali l’esenzione dall’imposta concessa alle cooperative intercomunali di diritto pubblico non soggette alla normativa sugli appalti pubblici può essere considerata conforme al diritto dell’UE;

32.

prende atto dell’annuncio della Commissione di voler ritirare la proposta di una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società, attualmente sul tavolo e che era stata accolta con favore dal CdR, ma si chiede in quale misura l’intenzione espressa dalla Commissione di sostituirla con «proposte per un approccio articolato in più fasi diretto all’adozione di una base imponibile obbligatoria per l’imposta sulle società» non pregiudichi le conclusioni della consultazione pubblica in corso sul tema;

33.

esprime il proprio profondo rammarico per l’assenza di spiegazioni riguardo alla decisione della Commissione europea di rimandare l’adozione del Pacchetto sulla mobilità dei lavoratori, che si propone come una delle iniziative di punta della Commissione per affrontare le questioni del dumping sociale e del cosiddetto «turismo del welfare» (o «turismo delle prestazioni sociali») nonché per rafforzare i diritti sociali in Europa, e che inoltre, a giudizio del CdR, dovrebbe prevedere una revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori;

34.

attende la proposta della Commissione volta ad affrontare più efficacemente le sfide dell’equilibrio tra la vita professionale e la vita privata, in particolare in relazione alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, tra l’altro rivedendo la direttiva del 2010 sul congedo parentale, sbloccando lo stallo istituzionale per quanto riguarda la direttiva sul congedo di maternità e presentando una strategia concreta per la realizzazione della parità di genere nell’UE;

35.

esorta la Commissione a presentare una proposta di revisione della direttiva sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro e una proposta relativa ad una direttiva sulle patologie muscolo-scheletriche legate al lavoro;

36.

sottolinea che l’agenda per le nuove competenze per l’Europa dovrebbe includere in primis un rinnovamento delle iniziative volte a modernizzare i sistemi d’istruzione superiore europei, nonché proposte volte a garantire che tutti i cittadini dell’UE abbiano il diritto e la possibilità di raggiungere un livello minimo di istruzione e di competenze, a conseguire l’eccellenza e a stimolare l’innovazione nell’istruzione e nell’istruzione e formazione professionale (IFP), promuovendo la diffusione delle competenze digitali e il ruolo dell’istruzione nella lotta alla radicalizzazione dei giovani;

Unione economica e monetaria

37.

accoglie con favore la volontà della Commissione di rafforzare la responsabilità democratica del sistema di governance economica dell’UE, che non sarebbe completa senza il coinvolgimento degli enti subnazionali;

38.

invita la Commissione a valutare l’impatto delle nuove regole SEC/ESA 2010 sulla capacità d’investimento degli enti locali e regionali;

39.

prende atto delle iniziative della Commissione in merito alla transizione dalla fase 1 alla fase 2 del completamento dell’UEM, ivi compreso il Libro bianco previsto per la primavera del 2017; sottolinea che per ogni fase del processo di attuazione va presa una decisione separata;

40.

sottolinea che, al fine di migliorare la dimensione sociale dell’UEM, è essenziale porre rimedio alle disparità regionali; ritiene che al quadro di valutazione degli indicatori sociali dell’UEM dovrebbero essere aggiunti degli indicatori di disparità regionale;

Giustizia, diritti fondamentali e migrazione

41.

ritiene che la governance multilivello consenta di affrontare il problema della protezione dei diritti fondamentali nella pratica e contribuisca al processo di costruzione e di salvaguardia di una Europa dei cittadini;

42.

è dell’avviso che la fiducia reciproca sia fondamentale per un’efficace cooperazione transfrontaliera tra le autorità di contrasto, dato che il terrorismo e la radicalizzazione, la criminalità organizzata e la criminalità informatica sono per loro stessa natura transnazionali e richiedono una risposta dell’UE; accoglie con favore l’impegno della Commissione a prestare maggiore attenzione allo sviluppo della cooperazione operativa e degli strumenti che sono necessari al riguardo;

43.

prende atto dell’accento posto sui principi di solidarietà e responsabilità nel quadro dell’Agenda europea sulla migrazione e delle iniziative per la sua attuazione; sottolinea che tali principi e il rispetto dei diritti umani, nonché le capacità dei governi locali e regionali, dovrebbero essere al centro di tutte le politiche dell’UE in materia di migrazione, e della loro adozione e attuazione da parte degli Stati membri;

44.

prende atto dell’aumento dei finanziamenti dell’UE per affrontare la crisi dei rifugiati e chiede che la Commissione effettui un’analisi del valore aggiunto e della portata dell’utilizzo di tali finanziamenti, in particolare per gli enti regionali e locali; sottolinea la necessità di maggiore urgenza nell’erogazione e nell’assegnazione dei fondi per la gestione della migrazione e dell’integrazione; esorta la Commissione a garantire che gli enti locali e regionali che stanno attualmente accogliendo e ospitando i rifugiati siano dotati urgentemente dei mezzi finanziari necessari per soddisfare i loro bisogni immediati;

45.

accoglie con favore l’annuncio di iniziative volte a porre rimedio alle lacune della normativa dell’UE in materia di asilo e ad presentare un sistema coerente e di lungo periodo per la ricollocazione e il reinsediamento attuabile in tutta l’UE; a questo proposito accoglie con altrettanto favore il previsto sviluppo del regolamento di Dublino per garantire una ripartizione più equilibrata degli oneri sulla base di quote fisse ed eque; sottolinea che rimangono in vigore le disposizioni della procedura di Dublino, che sono state concordate congiuntamente, e che tutti gli Stati membri dell’UE devono conformarsi alle norme di ammissione e di procedura dell’UE;

46.

evidenzia l’esigenza impellente di proteggere meglio le frontiere esterne dell’UE; sottolinea la necessità di evitare qualsiasi misura che possa minare il principio della libera circolazione all’interno dello spazio Schengen; riconosce tuttavia che, in circostanze eccezionali, i controlli alle frontiere interne dell’UE devono restare possibili per garantire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia; sollecita la Commissione a valutare anche la necessità di ulteriori iniziative per agevolare l’integrazione dei rifugiati, per esempio attraverso la creazione di «partenariati per la migrazione e l’integrazione» tra gli enti locali e regionali dei paesi di origine e di quelli di destinazione;

47.

prende atto della proposta della Commissione di mettere a punto un elenco di paesi di origine sicuri e si impegna a partecipare all’elaborazione delle politiche e allo scambio delle migliori pratiche a livello regionale e locale attraverso i suoi comitati consultivi misti e gruppi di lavoro, che coinvolgono tutti e sette i paesi elencati nella proposta della Commissione;

48.

invita la Commissione a definire efficaci politiche di rimpatrio da attuare rapidamente e nel rispetto della dignità e dei diritti fondamentali dei migranti che non sono ammessi all’asilo e possono essere rimpatriati in maniera sicura. Ciò è necessario per assicurare che le risorse possano essere concentrate su coloro che ne hanno realmente bisogno e per evitare di creare nuovi conflitti sociali che possano aprire la strada all’estremismo;

Politica commerciale dell’UE

49.

accoglie con favore la proposta della Commissione di introdurre un nuovo sistema di tribunali degli investimenti per il TTIP e per tutti gli altri negoziati commerciali in corso e futuri; si compiace, in particolare, che la nuova proposta sancisca il diritto dei governi di regolamentare, ma chiede ulteriori chiarimenti dettagliati sul modo in cui ciò consentirà di migliorare la situazione rispetto all’attuale meccanismo ISDS;

50.

esorta la Commissione, prima di avviare i negoziati commerciali, a effettuare valutazioni d’impatto dei potenziali effetti economici, sociali e ambientali degli accordi commerciali, compresi quelli sulle PMI, sui consumatori, su specifici settori economici, sui diritti umani e sui paesi in via di sviluppo; sottolinea, in particolare, la necessità di chiarire se e quando il TTIP possa avere ripercussioni sui servizi pubblici locali;

51.

deplora la perdurante omissione della dimensione locale e regionale nei negoziati commerciali e invita la Commissione a correggere questa lacuna nella sua nuova strategia commerciale e di investimenti; a questo riguardo chiede alla Commissione di coinvolgere il CdR nel processo negoziale relativo all’accordo sugli scambi di servizi (TiSA), garantendo in particolare al Comitato l’accesso ai documenti negoziali, analogamente a quanto è avvenuto in occasione del TTIP;

Stabilità e cooperazione al di fuori dell’Unione europea

52.

sottolinea l’urgenza di trovare una soluzione pacifica ai conflitti in Libia, Siria e Ucraina. Propone di coinvolgere gli enti locali e regionali nel quadro della diplomazia dei contatti interpersonali; riafferma la sua disponibilità ad adoperarsi per l’attuazione della riforma in materia di decentramento in Ucraina e propone di rafforzare i legami di collaborazione tra istituzioni europee e autorità locali e regionali libiche riguardanti lo sviluppo delle capacità e lo sviluppo territoriale, anche prima della piena attuazione di un ampio accordo interno;

53.

si compiace dell’intenzione della Commissione di fornire un quadro più mirato per sostenere la stabilizzazione e lo sviluppo democratico dei paesi partner nell’ambito della nuova politica europea di vicinato; sottolinea che la nuova politica deve adottare un approccio territoriale e inserire tra i suoi obiettivi strategici il sostegno al processo di decentramento; si impegna a contribuire a tale approccio tramite le sue due piattaforme di cooperazione, vale a dire l’Assemblea regionale e locale euromediterranea (ARLEM) e la Conferenza degli enti regionali e locali per il partenariato orientale (Corleap);

54.

si rallegra dell’intenzione della Commissione di continuare a lavorare per la concretizzazione della prospettiva di adesione dei paesi candidati; esorta la Commissione a esaminare più in dettaglio, nelle sue relazioni sull’avanzamento dell’allargamento, la situazione delle autonomie locali e regionali nei paesi dell’allargamento, che sarebbe il tema centrale dell’attività dei comitati consultivi misti (CCM) e dei gruppi di lavoro (GL);

55.

accoglie con favore la proposta di politica post-Cotonou e l’intenzione della Commissione di accrescere la coerenza della politica esterna; insiste sulla necessità di sviluppare la democrazia locale e la capacità amministrativa nel quadro della politica di sviluppo e di promuovere l’integrazione regionale e la cooperazione decentrata per lo sviluppo nelle zone partner;

56.

esorta la Commissione, nel considerare le risposte alle consultazioni pubbliche, a tener conto della diversa provenienza dei contributi, distinguendo tra i contributi rappresentativi di interessi particolari e quelli rappresentativi di interessi generali, tra i quali rientrano i contributi degli enti locali e regionali; sottolinea l’importanza di tener conto di tale diversa portata anche al fine di valutare la necessità di condurre la valutazione d’impatto territoriale in riferimento a specifiche proposte legislative;

Cittadinanza e governance

57.

sottolinea che gli enti locali e regionali possono svolgere un ruolo essenziale nell’individuazione delle norme dell’UE che comportano particolari oneri amministrativi, compresi quelli che possono verificarsi all’atto del recepimento e dell’attuazione delle norme; ripete la sua richiesta di far riferimento al contributo del CdR al processo legislativo nel contesto dell’accordo interistituzionale «Legiferare meglio», dato il ruolo istituzionale privilegiato del CdR per quanto riguarda il principio di sussidiarietà e l’impatto territoriale della legislazione dell’UE;

58.

rilancia il suo appello a favore di un’esenzione per i rappresentanti democraticamente eletti degli enti locali e regionali e per le loro associazioni rappresentative dalle regole del registro per la trasparenza dell’UE inteso a disciplinare l’accesso alle istituzioni dell’UE per i lobbisti;

59.

accoglie con favore l’intenzione della Commissione di estendere i «dialoghi con i cittadini» e la sua determinazione a ridurre la distanza tra l’UE e i suoi cittadini; ribadisce che continuerà a promuovere la trasparenza e la responsabilità democratica del processo decisionale dell’UE nonché la comunicazione decentrata sulle politiche dell’UE che hanno un’incidenza sugli enti locali e regionali al fine di accrescere la legittimità dell’UE e della sua legislazione;

60.

segue con grande interesse la revisione del regolamento sull’iniziativa dei cittadini europei e sottolinea la necessità che tale revisione sia completa affinché questo strumento possa realizzare appieno il proprio ruolo e i propri meriti potenziali;

61.

incarica il suo presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione, al Parlamento europeo, al Consiglio e al presidente del Consiglio europeo.

Bruxelles, 3 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


(1)  Decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, su un programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020 — Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta.

(2)  CDR 1119-2012; CDR 593-2013.


PARERI

Comitato delle regioni

115a sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2015

10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/8


Parere del Comitato europeo delle regioni — La visione territoriale per il 2050: quale futuro?

(2016/C 051/02)

Relatore:

Oldřich VLASÁK (CZ/ECR), consigliere comunale di Hradec Králové

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI

Osservazioni generali

1.

plaude agli sforzi profusi dalla presidenza lussemburghese per discutere la visione territoriale per il 2050, e si compiace del fatto che abbia deciso di consultare il CdR sull’argomento;

2.

sottolinea l’importanza di riconoscere esplicitamente l’ampia gamma di realtà territoriali nell’Unione europea, che necessitano di diversi approcci e diverse strategie per far fronte ai loro problemi;

3.

ritiene che, a distanza di oltre 15 anni dall’adozione della Prospettiva di sviluppo spaziale europeo a Potsdam nel 1999, l’Unione europea abbia bisogno di una nuova visione territoriale che:

trasponga il concetto di coesione territoriale sancito dal trattato di Lisbona in una serie di orientamenti strategici operativi,

vada oltre una mera prospettiva di sviluppo spaziale,

affronti le sfide territoriali chiave dell’Unione europea,

fornisca orientamenti per tutte le politiche dell’UE con una dimensione territoriale e sia collegata e coerente con le Politiche di coesione territoriale ed i suoi interventi cofinanziati da fondi SIE,

fornisca orientamenti per tutte le politiche dell’UE con una dimensione territoriale,

sia collegata ai futuri obiettivi economici, ambientali e sociali di lungo termine delle politiche europee, e che

si basi sul principio di sussidiarietà e sulla governance multilivello;

4.

chiede pertanto un’ampia consultazione europea sulla futura visione territoriale dell’Unione europea ispirata al Libro verde sulla coesione territoriale [COM(2008) 616 final] e rinnova la propria richiesta di un Libro bianco sulla coesione territoriale, che potrebbe essere utilizzato come pietra angolare per altre politiche dell’Unione europea con una dimensione territoriale rafforzata già nel prossimo periodo di programmazione successivo al 2020;

5.

sottolinea l’importanza di individuare le tendenze e le sfide globali con sufficiente anticipo, così da adattare adeguatamente la politica pubblica. In tal senso, il CdR plaude alle diverse relazioni lungimiranti realizzate dalle istituzioni europee, e richiama l’attenzione sullo studio del CdR intitolato Challenges at the Horizon 2025 — Key trends and Impact on the LRAs («Sfide all’orizzonte 2025 — Tendenze chiave e impatto sugli enti locali e regionali») (1);

6.

fa riferimento alle tendenze e alle sfide globali che affronta l’Unione europea, identificate nella relazione intitolata Global trends to 2030: Can the EU meet the challenges ahead? («Tendenze globali all’orizzonte 2030: può l’UE far fronte alle sfide future?») elaborata dal progetto ESPAS (2): tali tendenze e sfide hanno ricadute territoriali, poiché il loro impatto varia da una regione all’altra a seconda delle specificità e dei contesti territoriali. Tuttavia, il CdR constata che nella relazione del progetto ESPAS non si è tenuto sufficientemente conto della dimensione territoriale e auspica di poter contribuire all’analisi del tema della dimensione territoriale nelle future attività del progetto stesso;

7.

ritiene che una chiara visione territoriale europea sia necessaria per rispondere efficacemente alle tendenze e alle sfide attuali e future e che tale visione territoriale dovrebbe consolidare la dimensione territoriale nell’elaborazione delle politiche, tra l’altro mediante l’applicazione dell’approccio basato sul territorio;

8.

sottolinea, in tal senso, il ruolo dell’Agenda territoriale 2020, che resta valida e suscettibile di una migliore attuazione. Alla luce di quanto sopra, il CdR fa riferimento al suo recente parere intitolato Il miglioramento dell’attuazione dell’Agenda territoriale dell’Unione europea 2020  (3);

9.

sottolinea altresì che la pianificazione strategica, nonché la definizione di obiettivi politici chiari e realistici, che potrebbero far parte di una «visione», sono elementi essenziali di una buona elaborazione delle politiche;

10.

ribadisce che, a livello dell’UE, il trattato (TFUE, articolo 174) stabilisce un obiettivo generale territoriale per lo sviluppo dell’Unione europea, stipulando che «per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale». La coesione territoriale consiste nel garantire uno sviluppo equilibrato di tutti i territori dell’UE;

La dimensione territoriale dell’elaborazione delle politiche

11.

richiama l’attenzione sui vantaggi e i benefici che derivano dall’applicazione dell’approccio basato sul territorio (4), i cui elementi essenziali riguardano l’integrazione dei settori in una particolare strategia territoriale e un dialogo territoriale orientato ai risultati. Se attuato efficacemente, l’approccio basato sul territorio consente di valorizzare e rivitalizzare l’identità territoriale e le specificità territoriali come bene unico;

12.

constata che, benché l’approccio basato sul territorio sia spesso oggetto di discussione in seno alle istituzioni dell’UE, la sua applicazione non è ancora completa dappertutto, né a livello dell’UE né negli Stati membri. Il CdR ribadisce la propria ferma convinzione che l’approccio delle politiche dell’UE basato sul territorio porterà ai migliori risultati, visto che le politiche saranno adattate alle specifiche condizioni locali e, quindi, terranno più efficacemente conto delle sfide cui sono confrontate le regioni, le città e i comuni e potranno così ridurre le differenze tra i loro livelli di sviluppo;

13.

rileva che, nonostante il rafforzamento delle politiche settoriali resti necessario, l’approccio basato sul territorio è quello più efficace per conseguire l’obiettivo, sancito dal trattato, di promuovere uno sviluppo armonioso. In tal senso, il CdR rimanda a uno studio realizzato dalla Commissione europea che ha individuato cinque caratteristiche comuni per una riuscita attuazione dell’approccio basato sul territorio (5). Tali caratteristiche includono il ruolo importante della valorizzazione dell’identità territoriale, che travalichi i confini geografici e settoriali, un sistema di governance aperto e la capacità di esercitare un ruolo guida, nonché la sperimentazione e l’apprendimento attraverso la pratica;

14.

riconosce l’importanza delle politiche settoriali, ma ritiene che, ai fini dello sviluppo territoriale, l’approccio fondato sul territorio costituisca un presupposto importante per uno sviluppo locale e regionale adeguato. Il concetto di quadro comune (accordo di partenariato) per l’attuazione dei fondi strutturali e di investimento europei nell’attuale periodo di programmazione va indubbiamente accolto con favore; tuttavia, per garantire un’attuazione efficace di tutte le misure politiche, è necessario rimuovere gli ostacoli determinati dai diversi quadri normativi. Dev’essere possibile procedere alla semplificazione del quadro giuridico dei fondi strutturali e di investimento europei con il contributo e la partecipazione degli enti locali e regionali. I progetti che adottano un approccio territoriale integrato dovrebbero essere finanziati da più fondi e poter essere contabilizzati in base ad uno stesso quadro normativo;

15.

pone in rilievo l’analisi realizzata nella Sesta relazione sulla coesione, in cui si afferma che «nel corso degli ultimi anni le disparità regionali si sono ampliate poiché la crisi economica ha colpito le regioni in maniera differenziata» (6). Di fatto, non soltanto la crisi in sé ma anche le decisioni politiche, segnatamente le misure di austerità adottate nel quadro del semestre europeo, hanno avuto impatti molto diversi sulle regioni europee. Per esempio, le regioni finanziariamente solide hanno potuto mitigare gli effetti della crisi e rispettare i requisiti del semestre europeo, mentre quelle finanziariamente deboli hanno dovuto ridurre gli investimenti pubblici in conseguenza delle misure di austerità, il che ha portato a difficoltà finanziarie. La conclusione a cui giunge l’analisi è che l’impatto territoriale è presente persino nei settori e fattori esterni che in passato non erano stati considerati in una prospettiva territoriale, per esempio nel settore bancario o nella politica di bilancio. Ricorda che la crisi ha in particolare accentuato le diversità fra i territori, e nei paesi con maggiori ritardi ha inciso maggiormente. Il CdR pertanto sottolinea che, per impattare in modo armonioso, le politiche devono essere applicate avendo a riferimento il principio del riequilibrio e l’approccio territoriale. Questo comporta l’adozione di un approccio equilibrato riguardo alle misure di austerità;

16.

fa osservare che, dal dibattito sul tema «Non solo PIL» del 2009, i dati a disposizione a livello dell’UE sono sensibilmente aumentati ed è necessario esplorare altri indicatori per integrare il PIL quando si valutano i progressi compiuti, in particolare dalle città e regioni europee, nel realizzare gli obiettivi dell’UE;

17.

sottolinea che gran parte delle politiche dell’UE presenta una dimensione regionale e locale che può essere esaminata attraverso una valutazione dell’impatto territoriale e di cui occorrerebbe tener conto nella concezione e nella revisione di tali politiche. Il CdR ha avviato la fase pilota della propria strategia di valutazione dell’impatto territoriale nel 2014 su fascicoli selezionati: nell’ambito di tale strategia, sono stati sperimentati diversi approcci e metodologie. Esprime vivo compiacimento per il fatto che, a seguito della pubblicazione del pacchetto Legiferare meglio il 19 maggio 2015, la Commissione utilizzerà le valutazioni dell’impatto territoriale quale elemento della valutazione d’impatto. Il CdR, coerentemente, sottolinea pertanto anche il ruolo dell’Agenda urbana europea, e un’attenzione particolare alle «aree interne», la cui attuazione resta una priorità per lo sviluppo dei territori; si fa riferimento al parere dal titolo «Verso una politica urbana integrata per l’Unione europea» (del 25 giugno 2014) (7), e ribadisce la proposta ivi formulata per l’adozione di un «Libro bianco su una politica urbana integrata»; il CdR ribadisce infine il plauso alle dichiarazioni della Commissione europea che annunciava l’avvio di passi concreti per l’adozione dell’Agenda urbana dell’UE, con la destinazione di 80 miliardi UE a valere sul bilancio europeo per la sua realizzazione (8). In tal senso, esorta la Commissione stessa a ispirarsi alle esperienze maturate dal CdR;

L’elaborazione delle politiche basata su dati di fatto

18.

si dice preoccupato per il fatto che le attuali unità statistiche negli Stati membri dell’UE non rappresentano necessariamente l’effettiva situazione socioeconomica e, pertanto, ritiene che non dovrebbero costituire l’unica base per la futura concezione e attuazione delle politiche. Le politiche dovrebbero essere arricchite con un approccio trasversale a settori, regioni e frontiere, tenendo conto degli effetti di ricaduta sulle altre regioni;

19.

ribadisce che, per determinare tali effetti, gli Stati membri e l’Unione europea devono applicare le valutazioni dell’impatto territoriale quale pratica comune nel processo di elaborazione delle politiche nonché nella programmazione e nell’esecuzione del finanziamento settoriale. Laddove non si tenga conto degli eventuali effetti asimmetrici delle politiche dell’UE e nazionali, queste politiche non potranno mai essere sufficientemente efficienti o efficaci e, potenzialmente, potrebbero tradursi in esiti indesiderati;

20.

sottolinea che, nella disamina degli effetti delle politiche dell’UE, occorre tener conto del fatto che sono sempre di più i cittadini dell’UE che vivono nelle aree urbane, e che da ciò scaturiscono sfide sia per la dimensione urbana che per la realtà rurale. Attualmente, i dati statistici sul livello urbano non esistono o sono assai limitati, il che rende difficile realizzare una valutazione coerente e approfondita degli effetti. Il CdR e la Commissione europea stanno attualmente lavorando a un progetto pilota sulla valutazione dell’impatto urbano, che dovrebbe essere ulteriormente sviluppato in futuro e che potrebbe rivelarsi uno strumento utile per valutare tali effetti, con ricadute positive per una migliore legiferazione. Sottolinea inoltre la richiesta, da parte del Comitato europeo delle regioni, che le politiche dell’UE tengano maggiormente conto dell’impatto di tutte le città medie e piccole;

21.

rammenta che, per caratteristiche e problemi, le zone rurali presentano inoltre delle differenze tra loro e che il loro livello di sviluppo è più basso rispetto a quello medio dell’Unione europea e in particolare delle zone urbane — e questo divario si sta allargando. Non sarà possibile realizzare l’obiettivo della coesione territoriale senza sfruttare tutto il potenziale disponibile — compreso, quindi, il potenziale di tutte le aree territoriali. Ciò è particolarmente importante dato che i rapporti di interdipendenza funzionale tra zone urbane e rurali, dovuti ad esempio al pendolarismo professionale e all’offerta ricreativa, rendono pressoché impossibile, in alcuni casi, tracciare delimitazioni nette tra le diverse zone;

22.

si prevede che la tecnologia subirà un rapido sviluppo nei decenni a venire e, di conseguenza, anche gli strumenti utilizzati per valutare tali impatti evolveranno in modo rapido, efficiente e obiettivo. Modelli come questo vengono già creati e si sviluppano rapidamente: un buon esempio, in tal senso, è il Quick Scan del programma ESPON. Attualmente, il principale ostacolo che si frappone all’utilizzo di tali strumenti è l’assenza di una banca di dati statistici sufficiente ed esaustiva, soprattutto a livello locale;

23.

ritiene parimenti importante valutare l’impatto territoriale di determinate politiche dell’UE nelle zone, definite all’articolo 174 del TFUE, caratterizzate da svantaggi strutturali, naturali o demografici, che si tratti delle regioni più settentrionali con bassissima densità demografica, di isole, di regioni transfrontaliere o di montagna;

24.

invita gli Stati membri e l’Unione europea a investire una quantità considerevolmente maggiore di risorse per acquisire i dati statistici mancanti, che rispecchino le diverse sfide in ambito territoriale, e sviluppare in maniera solida la raccolta dati al più basso livello amministrativo. Questo vale in particolare per quei paesi in cui le unità territoriali statistiche di Eurostat non rispecchiano fedelmente le aree geografiche reali a livello locale o regionale. Senza un quadro completo e in evoluzione delle regioni dell’Unione europea, non è possibile creare politiche efficaci per far fronte alle sfide che le attendono. Il CdR ricorda che nei nuovi regolamenti sui fondi strutturali è previsto un obiettivo tematico 11 per tali fondi che finora è stato purtroppo scarsamente usato, sebbene sia disponibile proprio per il finanziamento di investimenti nello sviluppo di dati migliori a livello locale e regionale. Nel contempo, il CdR ribadisce la necessità di ridurre gli oneri amministrativi delle diverse parti interessate, inclusi gli enti locali e regionali, creando strumenti adeguati che consentano si sistematizzare, in modo rigoroso e selettivo, la raccolta di dati statistici e la rendicontazione, al fine di facilitarne il trattamento. È necessario garantire un’ampia divulgazione delle risorse disponibili a titolo dell’obiettivo tematico 11;

25.

sottolinea l’utile lavoro svolto nell’ambito del programma ESPON (9), che sta raccogliendo dati territoriali in tutta Europa. Più specificamente, le proiezioni contenute nella sua relazione intitolata Making Europe Open and Polycentric («Rendere l’Europa aperta e policentrica») sono pertinenti per decidere con discernimento come investire per consolidare lo sviluppo regionale. Considerando i diversi scenari, il CdR ritiene che lo sviluppo policentrico dovrebbe essere l’obiettivo e l’elemento essenziale della visione territoriale per il 2050, che include gli enti locali di ogni dimensione in tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Con la crescita delle regioni metropolitane, occorrerebbe promuovere uno sviluppo equilibrato, prestando nel contempo attenzione ai piccoli villaggi e alle regioni meno sviluppate, nonché all’interconnessione dei territori adiacenti;

Una visione territoriale e una governance europee

26.

considerando che le tendenze e le sfide globali si ripercuotono in maniera diversa sui territori europei e che tutte le politiche pubbliche presentano una dimensione territoriale, una visione territoriale europea dovrebbe essere soprattutto incentrata sull’applicazione di una dimensione territoriale alla governance europea;

27.

ricorda che il CdR ha adottato una Carta della governance multilivello (10) in Europa, che sottolinea i principi chiave della governance europea che dovrebbero contribuire a rafforzare la dimensione territoriale dell’elaborazione delle politiche e a raggiungere una maggiore coesione economica, sociale e territoriale in Europa, come ribadito dal CdR in tutti i suoi Pareri sul tema delle politiche territoriali;

28.

ritiene che, in tale contesto, occorra dedicare particolare attenzione e sostegno alle diverse forme di cooperazione tra gli enti locali e regionali e altri organi decentrati, quale strumento efficace, efficiente e legittimo per la fornitura di servizi pubblici;

29.

sottolinea che la cooperazione transfrontaliera ad opera degli enti locali e regionali si è rivelata una strumento chiave per lo sviluppo delle regioni frontaliere. Essa meriterebbe pertanto un ulteriore sostegno da parte dell’UE e degli Stati membri;

30.

sottolinea che gli strumenti finanziari innovativi e i partenariati pubblico-privati sostenuti da norme chiare possono costituire importanti strumenti per lo sviluppo territoriale in un approccio basato sul territorio in zone in cui i finanziamenti privati possono integrare quelli pubblici e dove vi sono buone prospettive di mettere a frutto tali risorse. Tuttavia, occorre prestare attenzione a garantire che gli enti locali e regionali dispongano di orientamenti circa l’uso degli strumenti finanziari (11);

31.

sottolinea il ruolo cruciale dei rappresentanti politici locali e dei governi locali democraticamente eletti nello sviluppo di un approccio basato sul territorio, e constata che questo tipo di approccio richiede la partecipazione delle parti interessate e l’apertura da parte di tutti i livelli di governo. È importante che questo processo, il suo valore e i suoi vantaggi siano ben compresi da tutti i partecipanti;

32.

sottolinea che l’approccio basato sul territorio comporta ruoli specifici per gli attori ai diversi livelli di governo. La pianificazione territoriale e le strategie di sviluppo dovrebbero sempre tenere conto del livello più vicino ai cittadini, che, nella maggior parte dei casi, è costituito dal livello locale o regionale;

33.

nei settori in cui le competenze spettano al livello europeo, una dimensione territoriale deve essere considerata in modo sistematico. In tal senso, il CdR plaude all’iniziativa Legiferare meglio della Commissione europea, e conviene sul fatto che «Applicando i principi per legiferare meglio garantiremo che le misure si basino su elementi concreti, siano progettate bene e diano vantaggi effettivi e sostenibili ai cittadini, alle imprese e alla società in generale» (12). Il CdR si compiace in particolare del fatto che l’iniziativa Legiferare meglio fa propri i principi chiave enunciati nella sua Carta della governance multilivello in Europa;

34.

ricorda che il CdR ha istituito una Piattaforma di monitoraggio Europa 2020 per monitorare la dimensione regionale della strategia Europa 2020. Tale piattaforma è giunta alla conclusione che una strategia Europa 2020 rinnovata dovrebbe essere basata su un partenariato solido e una titolarità forte di tutti i livelli di governo, introducendo una dimensione territoriale, una maggiore trasparenza e responsabilità e la governance multilivello (13);

35.

ritiene che, in linea con il codice europeo di condotta sul partenariato, gli enti locali e regionali debbano essere incaricati dell’elaborazione dei piani di sviluppo, utilizzando le rispettive specificità territoriali quali punti di forza unici, e tenendo conto degli obiettivi concordati a livello europeo e dell’opportuno coinvolgimento degli interessi organizzati. Il CdR sottolinea che la politica di coesione è fondamentale per l’assistenza finanziaria e l’orientamento metodologico degli enti locali e regionali nell’attuazione dei rispettivi piani di sviluppo. Una governance efficiente è fondamentale per una migliore attuazione dei programmi, al pari della qualità progettuale;

36.

osserva che, secondo la sesta relazione di monitoraggio su Europa 2020 e il semestre europeo recentemente pubblicata (ottobre 2015) dalla piattaforma di monitoraggio Europa 2020 del CdR, in 15 Stati membri si registra una forte partecipazione degli enti locali e regionali alla preparazione dei programmi nazionali di riforma. Inoltre, nel corso dell’attuazione dei programmi, 23 governi su 28 hanno fatto specifico riferimento al ruolo svolto dagli enti locali e regionali in settori quali le politiche del mercato del lavoro, l’inclusione sociale e l’assistenza sanitaria. Per quanto riguarda la strategia Europa 2020, 20 Stati membri hanno sottolineato il contributo dato dagli enti territoriali ai programmi nazionali di riforma nei settori dell’inclusione sociale, delle energie rinnovabili e dei cambiamenti climatici. Chiede pertanto per il riesame della strategia Europa 2020 rafforzi ulteriormente la dimensione territoriale delle politiche dell’UE in modo che tutti gli Stati membri rispettino i principi di sussidiarietà e di governance multilivello nell’elaborazione dei programmi nazionali di riforma;

37.

la politica di coesione dovrebbe garantire la coerenza dei piani locali e regionali con gli obiettivi europei. Gli accordi di partenariato e i programmi operativi rappresentano gli strumenti principali a questo fine. Il CdR sottolinea che il finanziamento della politica di coesione attraverso i fondi strutturali e d’investimento europei può contribuire all’assistenza finanziaria necessaria all’attuazione dei piani. Sottolinea altresì che l’attuazione dei piani di sviluppo locali e regionali può essere ulteriormente facilitata dagli specifici strumenti della politica di coesione come gli investimenti territoriali integrati (ITI) e lo sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD), che dovrebbero essere usati in maniera più ampia;

38.

molte altre politiche dell’UE — come quella per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, per i trasporti e l’energia oppure, tra le altre, quella per la tutela ambientale — possiedono una dimensione territoriale che è importante quanto quella della stessa politica di coesione. Pertanto, queste altre politiche settoriali devono anche essere adattate affinché coadiuvino i piani di sviluppo locali e regionali. Infatti la visione territoriale per il 2050 deve comprendere tutte le politiche dell’UE con una dimensione territoriale rilevante, in modo che l’approccio basato sul territorio all’elaborazione delle politiche venga generalizzato a tutte le pertinenti politiche dell’UE;

39.

è inoltre necessario un approccio più coesivo e coordinato alla strategia/visione territoriale europea a livello europeo; occorrerebbe instaurare una cooperazione continua con le associazioni nazionali ed europee che rappresentano gli enti locali e regionali. Questo approccio dovrebbe includere anche uno scambio strutturato e sistematico di esperienze e conoscenze nella messa a punto delle diverse politiche settoriali;

40.

ritiene infine che una strategia/visione europea debba evolversi costantemente, in particolare facendo ricorso al contributo dal basso verso l’alto che può apportare una cooperazione costante con le associazioni europee e nazionali di rappresentanza degli enti regionali e locali e tenendo conto degli sviluppi globali, come ad esempio le sfide della migrazione e dei cambiamenti climatici, settori nei quali gli enti regionali e locali dell’UE svolgono un ruolo centrale in virtù del principio di solidarietà.

Bruxelles, 3 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


(1)  http://cor.europa.eu/en/documentation/studies/Documents/challenges-horizon-2025.pdf

(2)  http://europa.eu/espas/

(3)  GU C 195 del 12.6.2015, pag. 30.

(4)  L’approccio basato sul territorio può essere definito come la partecipazione delle parti interessate a un processo collaborativo per far fronte a temi di interesse in uno specifico spazio geografico, sia esso un quartiere, una regione o un ecosistema.

(5)  http://ec.europa.eu/regional_policy/en/newsroom/news/2015/07/territorial-agenda-2020-put-in-practice

(6)  http://ec.europa.eu/regional_policy/en/information/publications/reports/2014/6th-report-on-economic-social-and-territorial-cohesion pag. 3.

(7)  COTER-V-046.

(8)  Cfr. le dichiarazioni della commissaria alle politiche regionali Corina Crețu in occasione del secondo Cities Forum (tenutosi a Bruxelles il 2 giugno 2015).

(9)  http://www.espon.eu/main/

(10)  http://cor.europa.eu/it/activities/governance/Pages/charter-for-multiLevel-governance.aspx

(11)  Parere del CdR sugli strumenti finanziari a sostegno dello sviluppo territoriale, adottato il 13 ottobre 2015, COTER-VI/005.

(12)  COM(2015) 215, pag. 3.

(13)  http://cor.europa.eu/it/news/Pages/regions-cities-athens-declaration.aspx


10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/14


Parere del Comitato europeo delle regioni — Agenda europea sulla migrazione

(2016/C 051/03)

Relatore:

François DECOSTER (FR/ALDE) consigliere regionale del Nord-Pas-de-Calais

Testo di riferimento:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Agenda europea sulla migrazione

COM(2015) 240 final

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI

1.

accoglie con favore le discussioni attualmente in corso nelle varie riunioni del Consiglio europeo e del Consiglio «Giustizia e affari interni» e gli sforzi profusi per concordare un approccio comune e soluzioni concrete alla crisi migratoria, nonché individuare il modo migliore per alleviare la situazione; è però estremamente preoccupato dai drammatici sviluppi della situazione e dai lenti progressi verso una risposta comune e globale da parte dell’UE e dei suoi Stati membri; invita gli Stati membri, le istituzioni dell’UE e altri soggetti internazionali a collaborare, trovare soluzioni realistiche comuni e adempiere alle responsabilità esistenti;

2.

osserva che il flusso dei richiedenti asilo e dei migranti irregolari per motivi economici che arrivano nell’UE ha raggiunto dimensioni senza precedenti; il numero dei migranti rende evidente che la capacità di qualsiasi Stato membro di far fronte da solo alla situazione nel breve e medio termine si esaurisce rapidamente. Necessari sono una maggiore unione e solidarietà tra gli Stati membri dell’UE, oltre che un più forte senso di partenariato, appartenenza e responsabilità condivisa. Sottolinea che tutti i livelli di governance dell’UE — europeo, nazionale, regionale e locale — hanno urgente bisogno di trovare un approccio comune per gestire tutte le sfide sul piano sociale, economico e della sicurezza. Soltanto un approccio strategico globale e integrato che affronti le cause di fondo della migrazione riuscirà a risolvere il problema. Questo deve comprendere un rafforzamento della politica estera e di sicurezza comune dell’UE, oltre che una maggiore coerenza delle politiche interne ed esterne dell’UE e delle sue politiche nel settore degli affari esteri, della sicurezza, del commercio, dello sviluppo, dell’assistenza umanitaria e della migrazione;

3.

si compiace del fatto che i capi di Stato e di governo, nelle loro riunioni, abbiano applicato alla questione dei rifugiati un approccio complesso — distinguendo il caso di coloro che migrano perché la loro vita è a rischio (rifugiati) da altre situazioni, come quella dei migranti irregolari, consentendo così di affrontare la questione nel suo insieme e di esaminare in particolare, oltre agli aspetti umanitari, la protezione delle frontiere, le questioni concernenti la sicurezza e la difesa, il traffico di migranti, il rimpatrio e il reinserimento dei migranti irregolari, la collaborazione con i paesi di origine e di transito;

4.

deplora, a questo proposito, che nelle riunioni dei capi di Stato condotte finora la dimensione umanitaria della situazione sia stata appena sfiorata; a questo proposito sottolinea che il rafforzamento dei controlli alle frontiere e delle misure di contrasto alla migrazione irregolare è essenziale, compresa la rigorosa registrazione di tutti i migranti secondo il pertinente acquis dell’UE, ma non può prevalere sugli obblighi internazionali di salvaguardare vite e rispettare i diritti umani, o sul diritto di richiedere asilo nell’UE, la quale deve restare un luogo di rifugio per chi necessita di protezione internazionale; chiede pertanto con insistenza l’organizzazione di riunioni periodiche ad alto livello tra gli Stati membri, le istituzioni e le agenzie dell’UE, le organizzazioni regionali e i paesi terzi più interessati;

5.

segnala altresì che uno degli aspetti fondamentali dell’attuale situazione migratoria è la crescita del giro d’affari per i trafficanti e i gruppi organizzati che sfruttano le disgrazie umane e le difficili condizioni sociali dei migranti. Il CdR appoggia le misure volte a intensificare la lotta contro i trafficanti di esseri umani e la criminalità organizzata, che sono state proposte al vertice dei capi di Stato e di governo europei e africani l’11 e il 12 novembre 2015 a La Valletta. Sottolinea che occorre preparare un intervento rapido, oltre che piani d’azione a lungo termine, globali e concreti, in stretta cooperazione con i paesi terzi. Ricorda che la cooperazione in tal senso deve essere reciproca, e che i paesi di origine e transito devono impegnarsi a prestare assistenza e ad attuare tutte le misure concordate nel piano d’azione di La Valletta. È pertanto essenziale coinvolgere tempestivamente le forze di sicurezza degli Stati membri dell’UE ed effettuare un controllo rigoroso dei gruppi criminali, nonché pubblicare regolarmente dei rapporti sulla situazione e sui risultati ottenuti nella lotta contro questa forma di criminalità organizzata che minaccia la sicurezza e la coesione sociale dei cittadini degli Stati membri dell’UE; sottolinea inoltre l’importanza di una meticolosa registrazione ai confini Schengen e di un controllo efficace delle frontiere esterne dell’UE. Bisognerebbe rispettare appieno il livello appropriato dei controlli alle frontiere e le misure per salvaguardare la sicurezza interna dell’area Schengen. Un buon esempio in proposito è costituito dalla collaborazione tra i quattro paesi del gruppo di Visegrad, che mettono a disposizione funzionari per la protezione delle frontiere esterne dello spazio Schengen (Ungheria, Grecia);

6.

sottolinea che, per creare una politica più efficiente in materia di migrazione che raccolga tutte le sfide cui sono confrontati gli enti locali e regionali, occorre porre maggiormente l’attenzione sull’impegno dell’UE e dei suoi Stati membri a salvaguardare il principio di solidarietà. A questo riguardo, il CdR prende atto della risoluzione che il Parlamento europeo ha approvato il 29 aprile 2015. Nel contempo, il CdR ritiene che la solidarietà debba basarsi sulla fiducia reciproca piuttosto che sull’obbligatorietà, senza tuttavia dimenticare che si tratta di un atto dovuto e che è un rischio far passare per migrazione il fenomeno della mobilità per motivi di persecuzione;

7.

a questo proposito, accoglie con favore la pubblicazione, il 13 maggio 2015, dell’Agenda europea sulla migrazione da parte della Commissione, che a suo giudizio costituisce un importante passo avanti verso la definizione di un approccio globale nei confronti dei vantaggi offerti e delle sfide poste dalla migrazione; sottolinea tuttavia l’importanza di garantire la continuità dell’agenda nel lungo periodo;

8.

si compiace dell’importanza attribuita nella comunicazione della Commissione alla priorità da accordare a una politica di rimpatrio efficace e sostenibile, nel rispetto dei diritti dei migranti e in considerazione delle specificità dei paesi di origine. Deplora tuttavia l’attuale applicazione inefficace delle decisioni di rimpatrio e raccomanda vivamente agli Stati membri di seguire prassi di rimpatrio rigorose per i richiedenti asilo respinti e i migranti irregolari mediante procedure eque e rapide. Sottolinea, a tale proposito, l’importanza di rafforzare il ruolo e il mandato di Frontex nelle operazioni di rimpatrio e di operare una distinzione tra i richiedenti asilo e i migranti economici, dato che i due gruppi sono distinti sotto il profilo giuridico e pertanto richiedono approcci diversi. Per far ciò, è necessario migliorare la cooperazione pratica con i paesi terzi interessati, in modo da promuovere e realizzare i sistemi di rimpatrio volontario più efficienti e rapidi; inoltre, la capacità delle autorità competenti nei paesi di origine deve essere rafforzata per gestire i candidati alla riammissione;

9.

rileva con favore che, nella comunicazione, la Commissione sottolinea l’importanza di salvare vite in mare quale priorità per una «azione immediata» e ribadisce che la solidarietà, la fiducia reciproca e la responsabilità condivisa tra gli Stati membri e gli enti locali e regionali sono la linea politica da seguire per raggiungere tale obiettivo;

10.

ribadisce la propria convinzione che l’approccio dell’UE in materia di migrazione debba essere solidale e sostenibile nel lungo termine, e debba rispettare i diritti dell’uomo. Esso deve affrontare tutti gli aspetti della migrazione, tra cui rientrano gli obblighi umanitari, i richiedenti asilo e i migranti economici; sottolinea l’importanza di lottare contro il traffico di migranti e la tratta di esseri umani, favorire lo sviluppo e la stabilità nei paesi terzi, attuare una politica efficace di rimpatrio e affrontare le sfide demografiche per l’Europa. Il CdR sottolinea che la migrazione regolare può essere un fattore essenziale dello sviluppo. Oltre ai vantaggi di una politica dell’integrazione riuscita per i migranti, vi è anche un beneficio significativo dal punto di vista sia economico sia sociale, in quanto essa copre il fabbisogno di manodopera e contribuisce al finanziamento dei sistemi sociali. Il CdR chiede pertanto a tutti i soggetti interessati — istituzioni europee, autorità nazionali, regionali e locali, mezzi di comunicazione e società civile — di non stigmatizzare i migranti o la migrazione e di fornire ai cittadini un’informazione oggettiva sul fenomeno migratorio, le relative cause e il suo contributo alla società di accoglienza; il CdR respinge ogni forma di discriminazione e di comportamento razzista nei confronti dei migranti conformemente ai principi fondanti dell’UE;

11.

riguardo all’informazione corretta già citata al punto 10, chiede che la Commissione lanci una campagna di informazione diretta agli enti locali e regionali e ai cittadini europei che:

fornisca dati aggiornati e comprensibili sulla reale dimensione del fenomeno migratorio,

renda fruibili i dati sul monitoraggio dei flussi dei migranti una volta che questi hanno varcato i confini europei, e

riferisca riguardo alle migliori pratiche di integrazione, in special modo le ricadute in termini demografici ed economici;

12.

considera prioritario che al problema dei minori non accompagnati, generalmente trattato a margine delle politiche di intervento sulla migrazione, venga dato adeguato rilievo: è infatti necessario dedicare risorse apposite agli enti territoriali, regionali e locali, al fine di sostenere e sorvegliare specificamente i minori non accompagnati, per evitare che scompaiano e che questi soggetti più deboli, insieme alle donne, divengano oggetto di sfruttamento da parte dei racket della prostituzione, della pedofilia e del traffico di organi;

13.

ritiene necessario che, tra le «azioni immediate» da applicare a fronte di una situazione migratoria in rapida evoluzione, venga predisposto, accanto al soccorso in mare, anche un piano per fronteggiare e debellare il traffico di migranti lungo le rotte migratorie sia sulla terraferma sia in mare; in tale contesto occorrerà inoltre favorire la cooperazione tra tutti i soggetti direttamente interessati e coinvolti a tutti i livelli di governance — Stati membri, enti locali e regionali, organismi ufficiali e società civile;

14.

ritiene essenziale aumentare i controlli e rafforzare la cooperazione tra i servizi di sicurezza allo scopo di assicurare e rassicurare i cittadini che la situazione disperata dei rifugiati e il loro arrivo nel territorio dell’UE non sono sfruttati come copertura per terroristi ed estremisti; occorre inoltre sostenere il ruolo degli enti locali e regionali nell’individuare, prevenire e combattere la radicalizzazione e gli estremismi.

La comunicazione offre soluzioni pragmatiche basate sulla solidarietà

15.

accoglie con favore le azioni proposte nella comunicazione per far fronte al gran numero di migranti in arrivo nell’UE. Il reinsediamento e la ricollocazione potrebbero essere un sistema efficace per affrontare il problema dell’ineguale ripartizione dei richiedenti asilo e dei rifugiati tra gli Stati membri, nonché tra le regioni e al loro interno; chiede pertanto di intensificare gli sforzi a livello europeo al fine di trovare un accordo sui relativi criteri e sull’attuazione di un sistema sostenibile ed equo di ripartizione dei richiedenti asilo e dei rifugiati tra gli Stati membri;

16.

sottolinea tuttavia che, di fronte all’aumento drammatico della migrazione irregolare, si rende necessario un nuovo approccio che deve tener conto del fatto che la gestione dei migranti economici (informazione, accoglienza o rimpatrio) differisce dagli aiuti umanitari da fornire ai rifugiati. Inoltre mette in rilievo l’importanza di un dialogo sistematico tra i governi e i cittadini in merito a queste misure pianificate, che al tempo stesso illustri alla società gli effetti di tali misure;

17.

ribadisce che è giunto il momento di chiarire meglio che cosa si intenda per solidarietà e responsabilità condivisa in materia di asilo e migrazione. È evidente che i singoli Stati, regioni e comuni hanno una visione assai diversa di ciò che, alla luce delle loro specifiche caratteristiche, come il potere economico, può essere considerato un’equa condivisione delle responsabilità e della solidarietà. Si rammarica, tuttavia, che, nella comunicazione, la Commissione non proponga soluzioni a lungo termine in termini di programmazione e di risorse per preparare con sufficiente anticipo l’accoglienza dei migranti;

18.

accoglie con favore l’aumento della dotazione destinata alle operazioni Triton e Poseidon condotte dall’UE e l’impegno assunto da 15 Stati membri di fornire risorse supplementari, nonché la successiva decisione dell’UE di lanciare un’operazione militare nel Mediterraneo meridionale (EUNAVFOR MED) al fine di ostacolare le reti di trafficanti. Si rammarica, tuttavia, che la comunicazione non faccia riferimento in misura sufficiente alla questione delle risorse finanziarie accessibili per gli enti locali e regionali, così da permettere loro di far fronte ai loro obblighi in materia di migrazione e integrazione, garantendone l’accesso ai fondi nazionali ed UE (quali il Fondo Asilo e migrazione, lo Strumento europeo di vicinato e il Fondo sociale europeo);

19.

accoglie con favore le decisioni prese dal Consiglio europeo il 26 giugno e il 22 settembre 2015 di ricollocare 160 000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale, le quali mostrano come si potrebbe applicare concretamente il principio di solidarietà e di responsabilità condivisa; deplora invece la lentezza nell’applicazione e la portata molto limitata delle misure decise e chiede con urgenza agli Stati membri di onorare gli impegni assunti in questo contesto e a tutti i livelli istituzionali di porre in essere, senza ritardi, le strutture e i meccanismi necessari; sottolinea che il ruolo cruciale degli enti locali e regionali deve risultare più visibile nella discussione, in quanto tali enti sono in possesso di informazioni dirette sulla propria capacità di accogliere rifugiati e migranti con umanità;

20.

accoglie con favore le conclusioni adottate finora dal Consiglio europeo e la dichiarazione pubblicata il 25 ottobre 2015 dai leader dei paesi situati sulla rotta dei Balcani occidentali. In tale contesto chiede che siano attuate tutte le misure concordate finora ed esorta gli Stati ad aumentare la disponibilità di alloggi adeguati.

Le soluzioni devono essere attuate prontamente

21.

si compiace del fatto che la Commissione, in cooperazione con i paesi terzi e sulla base di informazioni circostanziate, intenda prevenire la migrazione irregolare verso l’UE, ma invita anche gli Stati membri a migliorare gli scambi di informazioni sul piano bilaterale e nel contesto dell’UE;

22.

sottolinea l’importanza delle azioni intraprese da gruppi di volontari e organizzazioni della società civile per salvare vite umane nel mar Mediterraneo. Nonostante le soluzioni finanziarie presentate nella comunicazione e l’intensificarsi degli sforzi nel quadro delle operazioni Poseidon e Triton, si tratta comunque di una grave situazione di emergenza che è possibile risolvere soltanto con un’azione comune e concertata dell’UE e degli Stati membri, da realizzare giorno per giorno nel rispetto dei valori europei dei diritti umani; riconosce però anche che la crisi dei rifugiati non può essere risolta con operazioni di soccorso in mare e chiede alla Commissione di adottare adeguate misure di accompagnamento per prevenire la tratta di esseri umani. Un passo importante in questo senso è l’adozione della risoluzione 2240 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 9 ottobre 2015, la quale autorizza gli Stati membri a intercettare le navi sospettate di tratta di esseri umani al largo delle coste libiche;

23.

ribadisce che la solidarietà reciproca è un principio cardine dell’UE, che va rispettato non solo tra Stati membri, ma anche nei confronti dei migranti e degli enti locali, e tra gli stessi enti, ai quali spetta il compito di aiutare quotidianamente tali migranti;

24.

sottolinea che negli ultimi mesi il problema è diventato più evidente con l’arrivo massiccio di flussi di migranti misti nel Mediterraneo, nei Balcani, a Calais e in altre zone frontaliere dell’UE, ma anche a fronte dell’aumento del numero di migranti a livello locale e regionale. I problemi con cui per anni si sono confrontati punti nodali come Calais e Lampedusa si vanno ora diffondendo ad altre città e regioni. Si tratta di un fenomeno allarmante, che richiede misure urgenti, ma che va anche considerato come un’opportunità per convincere l’opinione pubblica che la ricollocazione è l’unica soluzione prima che le località situate sulle rotte migratorie siano sopraffatte dal gran numero di migranti; pertanto i flussi migratori non costituiscono una difficoltà transitoria solo per alcuni enti territoriali, bensì una sfida a breve, medio e lungo termine per l’UE tutta intera;

25.

desidera segnalare alla Commissione la realtà della tragedia umana che la situazione migratoria sta creando in Europa: secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) già fino a fine agosto 2015 si erano registrati più di 3 400 decessi documentati nel Mediterraneo, 700 decessi nel giro di qualche giorno nell’aprile dello stesso anno e almeno 13 decessi collegati al tentativo di alcuni migranti di attraversare la Manica; i migranti sono spesso vittima dei trafficanti di esseri umani: alla fine di agosto, ad esempio, 71 persone sono morte in Austria dopo essere state abbandonate dai trafficanti chiuse in un camion frigorifero.

Le soluzioni possono spingersi anche oltre

26.

chiede che siano trovate soluzioni pratiche che coinvolgono gli enti locali e regionali e non solo i governi centrali degli Stati membri. A seguito degli eventi che hanno coinvolto dei migranti che tentavano, ad esempio, di attraversare il tunnel sotto la Manica, la discussione è più che mai incentrata sul ruolo degli enti locali e regionali, dimostrando così che la sfida non è solo una questione di mezzi finanziari disponibili, ma anche di un loro utilizzo concreto. Pertanto la Commissione deve promuovere soluzioni pragmatiche per potenziare le capacità fisiche degli enti locali. La gestione uniforme dei campi di rifugiati costituisce un altro modo per facilitare il compito di tali enti. Le forze di polizia e il personale amministrativo potrebbero essere distaccati da una regione a un’altra per favorire la cooperazione tra regioni vicine e fornire risorse umane sufficienti a gestire il crescente numero di persone in difficoltà;

27.

chiede un ulteriore aumento della dotazione, già citata in precedenza, proporzionalmente all’evoluzione delle esigenze di condurre operazioni di salvataggio efficaci e spera che tutti gli Stati membri si impegneranno a mettere a disposizione le risorse supplementari necessarie; sottolinea, in proposito, che l’esercizio di revisione obbligatorio del quadro finanziario pluriennale, da tenersi entro la fine del 2016, offre l’opportunità di incrementare le risorse legate all’attuazione delle priorità dell’Agenda europea sulla migrazione; sottolinea che la tempestiva erogazione di fondi e di risorse andrebbe per quanto possibile facilitata e non ostacolata da procedure burocratiche inutili. Tali risorse supplementari dovrebbero comprendere dotazioni per le infrastrutture, strutture educative e aiuti d’urgenza nei paesi dell’UE in prima linea. Agli Stati membri andrebbe anche fornita una guida pratica sulle possibilità di utilizzare le fonti di finanziamento disponibili (come per esempio il Fondo Asilo, migrazione e integrazione, il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo sociale europeo (FSE)];

28.

esorta a prestare una particolare attenzione al rafforzamento delle sinergie tra i differenti organismi e sistemi finora istituiti, in funzione delle loro rispettive competenze e sfere d’azione: ad esempio, Frontex, SIS II ed Eurosur operano nel campo della migrazione e della circolazione delle persone, mentre, sul versante della sicurezza, Europol ed Eurojust lavorano per prevenire ed eliminare alla radice i reati connessi con i transiti irregolari (tratta e traffico di esseri umani);

29.

sottolinea l’importanza di affrontare le cause profonde che spingono verso l’UE i migranti che non hanno motivo di richiedere asilo; invita l’UE e i suoi Stati membri a intensificare la cooperazione con i paesi terzi in Medio Oriente e in Africa, dove occorre rafforzare la democrazia e lo Stato di diritto, e a coordinare meglio la loro politica esterna. A questo proposito, si rallegra dello svolgimento, l’11 e 12 novembre 2015, di un vertice UE-Africa (paesi dei processi di Rabat e di Khartoum) a La Valletta (Malta); ritiene inoltre necessario assicurare ai rifugiati che vivono in paesi terzi vicini ai loro paesi di origine i servizi di base, tra cui la sicurezza all’interno e all’esterno dei campi e l’istruzione per i loro figli; ciò richiede una visione a lungo termine, una programmazione integrata, un coordinamento tra le parti e uno sviluppo economico locale;

30.

prende atto delle discussioni sugli elenchi di «paesi terzi sicuri» a livello dell’UE al fine di garantire, su scala europea, standard comuni nel trattamento delle domande di asilo che provengono da tali paesi, e di facilitare procedure di rimpatrio efficaci — una condizione preliminare, questa, per meglio concentrare le capacità dell’UE in materia di asilo e accoglienza sulle persone legittimamente bisognose di protezione internazionale; sottolinea che in particolare i paesi candidati e candidati potenziali all’adesione all’UE sono obbligati a rispettare le norme dell’UE in materia di protezione dei diritti umani, il che ne farebbe dei ‘paesi di origine sicurì; avverte, tuttavia, che la situazione in questi paesi (in particolare per quanto riguarda i gruppi vulnerabili come i minori non accompagnati, le donne sole, le minoranze etniche e le persone LGBTI) deve essere attentamente monitorata, che devono essere migliorati i meccanismi per identificare e accogliere soggetti con legittime richieste di asilo da questi paesi, e che i motivi specifici di persecuzione (quali il genere, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o l’origine etnica) devono essere valutati adeguatamente durante tutte le fasi di accoglienza e di esame delle domande, nonché durante le fasi successive, compresi il reinsediamento e la ricollocazione; il CdR si impegna a partecipare allo scambio di buone pratiche a livello regionale e locale, attraverso i suoi comitati consultivi misti e gruppi di lavoro, di cui fanno parte tutti e sette i paesi elencati nella proposta della Commissione;

31.

accoglie con particolare favore l’impegno della Commissione a presentare, all’inizio del 2016, proposte di revisione del regolamento Dublino, in base alle quali le domande di asilo potrebbero essere presentate ed esaminate al di fuori dell’UE; invita la Commissione a vigilare affinché la ripartizione della responsabilità tra Stati membri sia regolata da modalità sostenibili, sempre nel rispetto dei diritti fondamentali dei migranti; alla base dev’esserci una chiave di ripartizione vincolante a livello dell’UE per la distribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri;

32.

raccomanda alla Commissione di inserire nella sua proposta il riconoscimento reciproco delle domande di asilo che hanno ricevuto esito positivo, in modo che le persone che ottengono la protezione possano circolare liberamente all’interno dell’UE al pari dei cittadini europei; chiede inoltre alla Commissione di presentare una proposta per un codice generale europeo in materia di migrazione, in modo da fornire opportunità legali alle persone che desiderano lavorare in Europa. La Commissione deve altresì offrire ai cittadini dei paesi candidati all’adesione un corridoio per la migrazione di manodopera che agevoli il loro accesso al mercato del lavoro europeo;

33.

chiede con urgenza alla Commissione e agli Stati membri dell’UE di accelerare sensibilmente l’introduzione — già concordata — dei cosiddetti hotspot, in modo da coadiuvare, tramite agenzie dell’UE, le regioni frontaliere maggiormente coinvolte nelle operazioni di registrazione dei rifugiati in arrivo; chiede inoltre di sviluppare ulteriori misure di questo genere;

34.

si rammarica che la Commissione non abbia proposto misure specifiche per i richiedenti asilo al fine di creare rotte sicure e legali verso l’Europa, onde evitare ulteriori perdite di vite umane nel corso di viaggi pericolosi. Tali misure potrebbero consistere, tra l’altro, nella creazione di un «corridoio umanitario», nel rilascio di un maggior numero di visti per motivi umanitari e nell’apertura di centri di accoglienza nei paesi di transito, dove esaminare le domande di asilo o stabilire l’ammissibilità all’ingresso legale nei paesi dell’UE. L’idea di un «corridoio umanitario» è in linea con quelle della ricollocazione e della solidarietà, in quanto costituisce l’unico mezzo efficace per far fronte alla criminalità organizzata. Quanto prima i migranti sono sottoposti all’autorità degli enti pubblici europei, tanto più facile sarà il compito di ricollocarli. Si tratta anche del modo migliore per assicurare che l’accoglienza dei migranti sia ripartita più equamente tra gli Stati membri. Gli enti locali e regionali potrebbero in questo senso rivelarsi molto utili;

35.

invoca un’autentica politica europea in materia di migrazione ed accoglie con favore l’impegno della Commissione a proporre nuove misure e rivedere il sistema della carta blu allo scopo di sostituire i 28 sistemi nazionali e favorire la migrazione legale; sollecita la Commissione a tener conto dell’esperienza degli enti locali e regionali e della loro conoscenza della realtà locale al momento di sviluppare tali proposte;

36.

si rammarica che la Commissione non abbia accolto il suggerimento formulato dal CdR di sviluppare dei sistemi per condividere conoscenze specifiche, esperienze e buone pratiche. Il CdR ribadisce pertanto l’opportunità di introdurre un sistema completo di condivisione di dati in materia di migrazione ed enti locali, basato sul sistema di informazione visti (VIS). Un sistema siffatto potrebbe portare ottimi risultati in termini di gestione degli alloggi, esame delle domande di asilo e di rifugio, politiche di integrazione e contrasto alla migrazione irregolare, e fornirebbe soluzioni pratiche per avviare l’applicazione del principio di solidarietà tra enti locali; il CdR invita la Commissione a istituire una piattaforma di cooperazione (dialogo) sui problemi della migrazione;

37.

raccomanda la creazione di un autentico sistema di gestione delle frontiere europee in grado di dotarsi di servizi di polizia professionali ed efficaci, e delle capacità necessarie per scoprire e contrastare i piani delle organizzazioni criminali volti a trasportare migranti lungo rotte illegali e pericolose, nonché per accogliere, esaminare e registrare quanti arrivano via mare o via terra in maniera ben organizzata;

38.

concorda sul fatto che garantire l’attuazione piena e coerente di un sistema europeo comune di asilo, ampliato e aggiornato, nonché modificato in funzione della situazione attuale, costituisce una priorità; suggerisce di far partecipare attivamente gli enti locali e regionali al processo, annunciato nella comunicazione, volto a migliorare le norme sulle condizioni di accoglienza e sulle procedure di asilo, avvalendosi dell’esperienza di tali enti; suggerisce altresì di creare una formazione apposita e una rete dedicata di enti preposti all’accoglienza e di coinvolgere gli enti territoriali nel dibattito da avviare sullo sviluppo e sul completamento del sistema europeo comune di asilo;

39.

ribadisce che esiste un nesso intrinseco tra il livello e la qualità delle politiche di sviluppo e il numero crescente di persone che migrano. È indispensabile che l’aiuto allo sviluppo erogato dall’UE e dagli Stati membri raggiunga quanto prima un livello equivalente allo 0,7 % del PIL. In questo contesto, è necessario anche rafforzare la partecipazione finanziaria degli enti locali e regionali alla lotta contro la povertà nel mondo: alcuni di essi, infatti, si sono già prefissi l’obiettivo di destinare 1 EUR l’anno per residente alle loro azioni di cooperazione con i paesi in via di sviluppo;

40.

chiede alla Commissione di adottare un regime comune europeo in materia di asilo che applichi in maniera uniforme criteri concordati e assicuri un trattamento equo e umano alle persone che cercano rifugio nell’UE; chiede inoltre di procedere a una radicale revisione del regolamento Dublino, in modo che le differenze tra i 28 sistemi nazionali, che rischiano di distruggere Schengen, scompaiano nella legislazione e nella prassi.

La scelta della base giuridica

41.

si rammarica che ancora una volta non ci si sia avvalsi dell’articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) per attuare misure in applicazione del principio di solidarietà e dell’equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri nel campo della mobilità, anche sul piano finanziario. Gli impegni assunti in materia di migrazione e rimpatrio sono stati del tutto volontari e, in alcuni casi, sono stati i comuni a prendere l’iniziativa di metterli in pratica;

42.

prende atto che il sistema di ricollocazione proposto è basato sulla clausola di emergenza di cui all’articolo 78, paragrafo 3, del TFUE, cosa che sembra del tutto giustificata nelle attuali circostanze; sottolinea tuttavia che si dovrebbero adottare ulteriori misure a medio e a lungo termine che esigono la solidarietà europea e che richiederanno il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo allo scopo di assicurarne la trasparenza e la legittimità.

Il ruolo degli enti locali e regionali

43.

ribadisce che la governance multilivello rappresenta lo strumento più idoneo per ottenere la combinazione necessaria di misure e iniziative tali da consentire risultati ottimali in materia di integrazione dei rifugiati, il cui status sia riconosciuto, e dei migranti ammessi per altri motivi. Tutti i livelli di governo sull’intero territorio dell’UE dovrebbero condividere la responsabilità dell’accoglienza e dell’integrazione dei rifugiati e dei migranti, e migliorare la cooperazione, il coordinamento e la solidarietà interregionali grazie allo sviluppo di un meccanismo permanente di ridistribuzione delle responsabilità tra Stati membri, regioni ed enti locali, tenendo conto dei vincoli strutturali, delle risorse disponibili, delle esigenze del mercato del lavoro, delle situazioni demografiche e di altri fattori pertinenti; invita la Commissione e gli Stati membri a fornire a tutti gli enti locali e regionali interessati da un afflusso di rifugiati e migranti un sostegno sufficiente sul piano finanziario, tecnico, amministrativo e in materia di sicurezza, valutando la possibilità di deroghe rispetto ai vincoli strutturali e finanziari;

44.

ribadisce che gli enti locali e regionali hanno un’esperienza diretta della situazione e pertanto devono essere consultati e coinvolti più attivamente nel processo di ricollocazione. Tali enti costituiscono un livello di governo efficiente in grado di fornire dati chiari sul numero di migranti presenti nel proprio territorio e devono quindi essere coinvolti al fine di attuare un meccanismo equo basato sulla solidarietà;

45.

esorta tutti gli Stati membri a collaborare con gli enti locali e regionali all’attuazione e al funzionamento sia del meccanismo di ricollocazione di emergenza proposto dalla Commissione, se introdotto tra breve, sia di qualunque eventuale futuro sistema di ricollocazione attivabile in maniera automatica e obbligatoria, che dovrebbe essere proposto entro la fine del 2015; ritiene che, nell’elaborazione delle future politiche migratorie, si dovrebbe dare la priorità alla creazione di procedure e opportunità per i cittadini dei paesi terzi affinché questi vengano in Europa per studiare o lavorare. Per riuscire a stabilire il numero di cittadini di paesi terzi che ciascuno Stato membro è in grado di accogliere, è essenziale prendere in considerazione la capacità inutilizzata del mercato del lavoro (anche in termini di struttura) e del sistema di istruzione delle varie regioni e dei diversi Stati membri. Il CdR sottolinea che, di conseguenza, occorre anche accelerare il processo di introduzione di regimi semplificati in materia di visti per i cittadini di paesi terzi che partecipano a programmi di cooperazione scolastica, scientifica ed economica, rafforzare la cooperazione con gli altri paesi interessati e informare in merito alle possibilità offerte da tali programmi e dalla migrazione legale in Europa, nonché ai gravi rischi legati alla migrazione irregolare;

46.

sottolinea che una politica europea in materia di migrazione si può realizzare con successo solo in presenza di una chiara comprensione e un impegno a lungo termine a favore di politiche di integrazione efficaci, e rileva che è soprattutto a livello locale che si determina il successo o il fallimento dell’integrazione. Richiama l’attenzione sul fatto che molti enti locali hanno scarsa esperienza e magre risorse cui attingere per quanto concerne l’integrazione, e invita pertanto la Commissione a organizzare un dialogo strutturato annuale sull’integrazione insieme al CdR, al fine di elaborare, riesaminare e aggiornare una serie di linee guida destinate agli enti locali e regionali di tutto il continente, per assicurare un’integrazione armoniosa;

47.

accoglie favorevolmente la proposta di un incentivo di 6 000 EUR garantiti per ogni individuo ricollocato nel contesto del programma di ricollocazione di emergenza a titolo del Fondo Asilo, migrazione e integrazione; chiede tuttavia che tali fondi siano utilizzati dall’autorità preposta all’accoglienza dei migranti; nell’immediato futuro sollecita una modifica dei relativi regolamenti per conferire alle regioni e agli enti locali un accesso diretto al Fondo Asilo, migrazione e integrazione; è inoltre dell’avviso che, a più lungo termine, sia opportuno sviluppare strumenti con i quali incentivare in via duratura l’accoglienza di rifugiati tramite aiuti finanziari destinati direttamente agli enti locali e regionali interessati;

48.

si aspetta che l’Agenda europea sulla migrazione, unitamente alle conclusioni del Consiglio europeo e alle discussioni in seno al Consiglio «Giustizia e affari interni», diventerà il punto di riferimento per l’adozione e l’attuazione di politiche efficaci in materia di migrazione e asilo, fondate sul rispetto dei diritti fondamentali e della solidarietà tra l’UE, gli Stati membri, gli enti locali e regionali e i migranti;

49.

ribadisce che sarebbe notevolmente più semplice tradurre in pratica la cooperazione e la solidarietà se si facesse di più in termini di soluzioni pragmatiche e concrete; bisogna attingere al patrimonio di conoscenze specifiche degli enti locali e regionali riguardo alle questioni legate all’integrazione;

50.

sottolinea che il CdR si trova nella posizione ideale per dialogare con le città e le regioni di tutta Europa, agevolare e incoraggiare lo scambio di idee e pratiche innovative e far progredire il dibattito sulle diverse modalità per coinvolgere in maniera più efficiente gli enti locali e regionali nella definizione e attuazione delle politiche in materia di migrazione e integrazione, in linea con la governance multilivello e il principio di sussidiarietà;

51.

ribadisce che un approccio dal basso è necessario per affrontare le disparità tra le condizioni di accoglienza che gli Stati membri e le regioni riservano a richiedenti asilo, rifugiati e migranti irregolari al loro arrivo, come pure le disparità in fatto di efficienza e celerità nel trattamento delle domande e delle pratiche;

52.

invita le autorità dell’UE e quelle nazionali e subnazionali a collaborare strettamente con la società civile, le associazioni di migranti e le comunità locali, mostrandosi pronte ad accettare i loro contributi;

53.

ribadisce che l’UE dovrebbe cogliere ogni opportunità per cooperare con i partner istituzionali e stimolare il dibattito in tutte le sedi pertinenti. In quest’ottica, organizzazioni internazionali non governative come l’OIM, le reti di cooperazione esistenti con i paesi terzi e con la società civile, oltre che gli scambi a livello di enti territoriali — ad esempio tramite l’Assemblea regionale e locale euromediterranea (ARLEM) o la Conferenza degli enti regionali e locali del partenariato orientale (Corleap) — costituiscono componenti importanti della cooperazione.

Bruxelles, 3 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/22


Parere del Comitato europeo delle regioni — Norme per la remunerazione dei lavoratori nell’UE

(2016/C 051/04)

Relatore:

Mick ANTONIW (UK/PSE), rappresentante della circoscrizione di Pontypridd all’Assemblea nazionale del Galles

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI,

Legittimità del dibattito

1.

precisa che i governi nazionali o regionali sono i primi responsabili dell’occupazione e della politica sociale, che la competenza dell’Unione europea si limita al coordinamento di questo settore e che qualunque iniziativa dell’UE riguardante le norme salariali deve rispettare il principio di sussidiarietà;

2.

ricorda che, secondo un sondaggio di Eurobarometro sull’atteggiamento dei cittadini nei confronti della povertà, la grande maggioranza (73 %) ritiene che essa sia un problema diffuso nel proprio paese e chiede interventi urgenti a livello nazionale (89 %) e a livello di UE (74 %) per farvi fronte (1);

3.

afferma che il diritto di tutti i lavoratori ad una retribuzione equa che assicuri, a loro ed alle loro famiglie, un livello di vita soddisfacente è stabilito nella Carta sociale europea, che è stata accolta da quasi tutti gli Stati membri dell’UE;

4.

ritiene che la legittimità democratica dell’Unione europea sarà rafforzata se i cittadini europei riconoscono che si intende salvaguardare anche il progresso sociale quando la dimensione occupazionale e quella sociale sono pienamente integrate nel ciclo annuale di coordinamento delle politiche economiche (il semestre europeo) insieme alla promozione della crescita;

5.

ricorda che l’UE si è impegnata a raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite e a rispettare la risoluzione che proclama il secondo decennio delle Nazioni Unite per l’eliminazione della povertà (2008-2017);

6.

prende atto che la convenzione C 94 dell’OIL sulle clausole di lavoro negli appalti pubblici è attualmente vincolante in nove Stati membri dell’UE ed è applicata su base volontaria in altri. Tuttavia, devono essere chiarite le eventuali incongruenze giuridiche tra detta convenzione e i trattati dell’UE;

7.

prende atto degli appelli del Parlamento europeo concernenti la questione del salario minimo (2) compreso il recente invito rivolto alla Commissione europea a «prendere in considerazione tutte le possibilità per rafforzare l’UEM e renderla più resiliente e favorevole alla crescita, all’occupazione e alla stabilità, con una dimensione sociale intesa a preservare l’economia sociale di mercato europea, e a rispettare il diritto alla contrattazione collettiva, in virtù del quale sarebbe garantito il coordinamento delle politiche sociali degli Stati membri, tra cui un meccanismo di salario o reddito minimo specifico di ciascuno Stato membro e stabilito da quest’ultimo (3).

Salari minimi e salari di sussistenza

8.

afferma che la povertà e l’esclusione sociale impediscono di condurre un’esistenza dignitosa, e violano quindi i diritti umani fondamentali dei cittadini e ritiene che tutti gli Stati membri dovrebbero garantire un’esistenza dignitosa ai cittadini, ad esempio fornendo i servizi necessari per un tenore di vita decente, e dovrebbero portare avanti politiche, soprattutto in campo sociale e nel settore del mercato del lavoro, atte ad assicurare salari equi nell’intero ciclo di vita lavorativa;

9.

mette in risalto l’urgenza di affrontare la questione, dato che la povertà e le disuguaglianze sociali si sono aggravate con la crisi economica nell’UE e che le politiche di pura austerità adottate in seguito alla stessa crisi hanno ulteriormente accentuato il problema; il numero di persone a rischio di povertà è aumentato, una tendenza che interessa in modo particolare le donne e i minori;

10.

sottolinea che l’obiettivo della strategia Europa 2020 sembra compromesso e dovrà essere rivisitato in occasione della prossima revisione del processo Europa 2020, dato che il numero di persone a rischio di povertà è passato da 114 milioni nel 2009 a 124 milioni nel 2012 (4);

11.

accoglie con favore il fatto che nella maggioranza degli Stati membri dell’UE vi siano regimi relativi al salario minimo stabiliti per legge o mediante contrattazione collettiva. La competenza e la responsabilità per le questioni relative alla fissazione dei salari spettano agli Stati membri e/o alle parti sociali a livello nazionale. L’autonomia delle parti sociali e il loro diritto di stipulare contratti collettivi devono essere pienamente tutelati;

12.

sottolinea che i regimi salariali minimi variano sensibilmente e rileva che in alcuni paesi il livello fissato è inferiore al 50 % della retribuzione mediana (5), e che anche la povertà lavorativa costituisce un problema crescente;

13.

riconosce il ruolo essenziale della contrattazione collettiva per definire salari minimi, ma evidenzia che in molti settori e per numerose PMI non esistono accordi settoriali e che pertanto alcuni lavoratori risultano esclusi. Invita le parti sociali nazionali a rafforzare il dialogo sociale a livello nazionale, regionale e locale;

14.

ritiene pertanto che gli Stati membri debbano essere incoraggiati a definire un salario di sussistenza indicativo, calcolato prendendo orientativamente come parametro il 60 % del salario mediano e basato su bilanci di riferimento (6), vale a dire un insieme di beni e servizi di cui una persona ha bisogno per vivere dignitosamente, insieme a una serie di condizioni di lavoro ritenute eque. Secondo un recente studio di Eurofound (7), elaborato sulla base delle cifre relative al 2010, un ipotetico salario minimo fissato al 60 % della retribuzione mediana nazionale avrebbe, di media, arrecato benefici al 16 % di tutti i lavoratori europei;

15.

ricorda il lavoro svolto dalla Rete europea dei bilanci di riferimento volto ad elaborare una metodologia comune per i bilanci di riferimento in Europa in modo che il loro contenuto, ad esempio il paniere alimentare, sia comparabile in tutti gli Stati membri;

16.

sottolinea il fatto che l’indebitamento privato, che nella zona euro raggiungeva nel 2014 il 126 % del PIL rispetto al 92 % del debito pubblico, è un fattore che aggrava una situazione di calo dei consumi e degli investimenti; sottolinea in tale contesto che le strutture salariali eque sono degli stabilizzatori economici importanti e rappresentano uno strumento chiave per promuovere la competitività non basata sul prezzo; essi pertanto fungono da motore determinante della crescita economica e contribuiscono ad evitare il ristagno; inoltre, al fine di incrementare la sicurezza del reddito delle famiglie, occorre riflettere sull’adozione di una procedura di gestione del sovraindebitamento a livello europeo che definisca in particolare le condizioni relative agli espropri immobiliari delle famiglie;

17.

sostiene che grazie ad un salario equo il settore pubblico potrebbe non essere tenuto, se non in misura limitata, a fornire sostegno ai cittadini che lavorano a tempo pieno attraverso contributi integrativi o crediti d’imposta, il che potrebbe consentire agli Stati membri di rispettare i loro obblighi fiscali;

18.

propone di valutare le disposizioni in materia di salari minimi in collegamento con le condizioni occupazionali, in particolare per quanto concerne specifici regimi flessibili;

19.

ritiene che un salario equo, condizioni di lavoro e di occupazione eque e un adeguato sistema di protezione sociale siano fra i presupposti necessari per garantire una concorrenza equa tra gli Stati membri dell’UE, in modo che essi non tentino di superarsi l’un l’altro attraverso una «corsa al ribasso» e il «dumping sociale»;

20.

sottolinea che tale questione è particolarmente importante nel contesto della Direttiva sui lavoratori distaccati e delle successive sentenze della Corte europea di giustizia, che hanno fatto sì che le società non siano tenute a rispettare gli accordi in materia di retribuzione minima per un determinato settore che non siano stati dichiarati di applicabilità generale (8);

21.

esorta gli enti nazionali e regionali a dare piena applicazione alla Direttiva di applicazione relativa al distacco dei lavoratori; a tale proposito, aspetta il tanto atteso e già annunciato riesame da parte della Commissione europea della vigente legislazione sui lavoratori distaccati con l’obiettivo di combattere il dumping sociale e di garantire che per lo stesso lavoro nello stesso posto venga corrisposto un salario analogo in tutta l’UE;

22.

ritiene che il dibattito in questo settore potrebbe in particolare basarsi sugli articoli 9 e 156 del TFUE e dovrebbe, per assicurare il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, proseguire sulla base di processi non vincolanti come il metodo aperto di coordinamento e nell’ambito del semestre europeo, che ha già affrontato questioni salariali;

23.

sostiene inoltre che anche il salario equo quale fattore economico potrebbe essere preso in considerazione nelle raccomandazioni specifiche per paese, nelle quali già figurano la determinazione delle retribuzioni in funzione del mercato del lavoro e la moderazione salariale;

24.

riconosce che i salari minimi variano considerevolmente tra gli Stati membri dell’UE che li applicano e sottolinea che un meccanismo di salario minimo specifico di ciascuno Stato membro e stabilito da quest’ultimo, vuoi per legge vuoi attraverso contrattazione collettiva, ma comunque nel pieno rispetto delle sue tradizioni e delle sue pratiche, potrebbe permettere di realizzare l’obiettivo della strategia Europa 2020 di far uscire 20 milioni di persone dalla povertà e dall’esclusione sociale;

25.

ritiene che i salari equi contribuirebbero a combattere i livelli inaccettabili di ineguaglianza esistenti in Europa, che sono una fonte di preoccupazione per la coesione sociale, una questione di natura politica e un rischio per il potenziale di crescita futura dell’UE;

26.

rileva che vi sono diversi esempi positivi negli Stati membri in cui i lavoratori a bassa retribuzione rappresentano solo una frazione limitata del numero di dipendenti. In tre di essi, vale a dire Svezia, Danimarca e Italia, non sono previsti né il salario minimo stabilito per legge né la dichiarazione del carattere vincolante dei contratti collettivi, ma i meccanismi di fissazione dei salari funzionano bene perché sono radicati nelle tradizioni e nella prassi (9).

Dimensione regionale

27.

invita gli enti locali e regionali dell’UE ad assumere la guida, nella loro veste di datori di lavoro e ad adoperarsi per garantire ai loro dipendenti salari equi e chiede che a livello dell’UE si proceda allo scambio di buone pratiche;

28.

accoglie inoltre con favore il fatto che alcune autorità pubbliche a livello locale e regionale abbiano utilizzato le proprie politiche in materia di appalti per incoraggiare e obbligare gli appaltatori ad offrire retribuzioni eque al loro personale. A tal fine, prende atto con soddisfazione che la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici, che entrerà in vigore nell’aprile 2016, indica esplicitamente che non dovrebbe essere in alcun modo impedita l’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione che siano più favorevoli ai lavoratori (considerando 37) e prevede che le amministrazioni aggiudicatrici non possano usare solo il prezzo o il costo come unico criterio di aggiudicazione degli appalti pubblici (articolo 67). Accoglie inoltre favorevolmente la sentenza della Corte di giustizia dell’UE che, nella causa C-115-14 (17 novembre 2015) ha stabilito che il diritto dell’UE consente di escludere da una procedura di aggiudicazione di un pubblico appalto un offerente che si rifiuti di impegnarsi a versare il salario minimo al personale interessato (10).

Bruxelles, 3 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


(1)  Relazione speciale di Eurobarometro (2010) in materia di povertà e inclusione sociale.

(2)  Risoluzioni del Parlamento europeo sui seguenti argomenti: 1) il ruolo del reddito minimo nella lotta alla povertà e nella promozione di una società inclusiva in Europa, adottata il 20 ottobre 2010 [2010/2039(INI)], e 2) la Piattaforma europea contro la povertà e l’esclusione sociale, adottata il 15 novembre 2011 [2011/2052(INI)].

(3)  Risoluzione del Parlamento europeo sul programma di lavoro della Commissione per il 2016 [2015/2729(RSP)], punto 16.

(4)  COM(2014) 130 — Bilancio della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

(5)  «I contorni di una politica europea del salario minimo» Studio di Thorsten Schulten, Friedrich Ebert Stiftung, ottobre 2014 http://epsu.org/IMG/pdf/Contours_of_a_Minimum_Wage_Policy_Schulten.pdf

(6)  COM(2013) 83 — Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020.

(7)  «Il salario in Europa nel 21o secolo»: relazione di Christine Aumayr-Pintar e altri, Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound), aprile 2014.

(8)  Causa C-346/06 Dirk Rüffert contro Land Niedersachsen.

(9)  Eurostat, Structure of earnings survey 2010. Sono escluse le imprese con meno di 10 dipendenti. Cfr. in particolare il grafico 5.34.

(10)  La legislazione di un ente regionale di uno Stato membro, in base alla quale si impone agli offerenti e ai subappaltatori di impegnarsi a versare un salario minimo al personale che effettua il servizio previsto dal contratto di pubblico appalto, è stata dichiarata compatibile con il diritto dell’UE.


10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/25


Parere del Comitato europeo delle regioni — Il ruolo dell’economia sociale nella ripresa della crescita economica e nella lotta alla disoccupazione

(2016/C 051/05)

Relatore:

Luís GOMES (PT/PPE), sindaco di Vila Real de Santo António, Portogallo

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI,

1.

ritiene che l’economia sociale costituisca un attore cruciale dello sviluppo sociale ed economico dell’Unione europea, corrispondendo a 2 milioni di aziende, tra cui associazioni, cooperative e mutue. Essa fornisce 11 milioni di posti di lavoro, il che equivale al 6 % della popolazione attiva e al 10 % di tutte le imprese del tessuto imprenditoriale europeo;

2.

mette in rilievo che le istituzioni e i soggetti dell’economia sociale si sono dimostrati resistenti durante la crisi, contribuendo a migliorare il benessere dei cittadini e a farli rimanere nel mercato del lavoro, non senza gravi difficoltà, anche quando altre organizzazioni e imprese non sono state in grado di farlo. Questa caratteristica è stata particolarmente significativa per l’inserimento nel mercato del lavoro delle persone che incontrano particolari difficoltà ad accedervi o a rientrarvi;

3.

ritiene che occorra dare la priorità a una migliore considerazione del contributo dato dall’economia sociale alla realizzazione degli obiettivi sociali della strategia Europa 2020, nel quadro del seguito riservato alla comunicazione sul rafforzamento della dimensione sociale dell’UEM adottata dalla Commissione nel 2012 e del pacchetto d’investimenti sociali adottato nel 2013. Reputa inoltre che gli investimenti nell’economia sociale dovrebbero rientrare anche nel perimetro d’intervento del Fondo europeo per gli investimenti strategici e del Fondo sociale europeo, in quanto contribuiscono sovente alla creazione di posti di lavoro di qualità per i cittadini europei, oltre che nel quadro del contributo offerto dai fondi SIE e da altre fonti di finanziamento dell’UE;

4.

evidenzia che le iniziative dell’economia sociale, essendo basate sulla collaborazione e l’impegno civico tra le persone che compongono le comunità, contribuiscono ad aumentare la coesione sociale, economica e territoriale, oltre che il livello di fiducia in tutta l’Unione europea, grazie all’impegno nei confronti del territorio in cui sono inserite e al livello di radicamento in tale territorio, che le rendono meno vulnerabili alle delocalizzazioni e che consentono loro di offrire quindi maggiore sicurezza ai loro lavoratori, elementi che rientrano nella responsabilità sociale di queste imprese;

5.

si rallegra per l’accento posto sull’economia sociale all’interno della legislazione dell’UE, ad esempio il regolamento (UE) 1304/2013 sul Fondo sociale europeo (FSE), il regolamento (UE) 1301/2013 sul Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), oppure il regolamento (UE) n. 1296/2013 dell’11 dicembre 2013 che crea un programma dell’Unione europea per l’occupazione e l’innovazione sociale («EaSI») e istituisce uno strumento europeo Progress di microfinanza per l’occupazione e l’inclusione sociale. Accoglie inoltre con favore i nuovi regolamenti per il periodo (2014-2020) di programmazione dei fondi SIE, che pongono l’impresa sociale tra le possibili priorità d’investimento dell’FSE e del FESR, rafforzano l’approccio di partenariato e prevedono opportunità per la promozione di iniziative basate sul partenariato tra l’economia sociale e gli enti locali e regionali, attraverso l’impiego di strumenti come lo sviluppo locale di tipo partecipativo;

6.

ricorda che le organizzazioni dell’economia sociale stimolano la partecipazione, la solidarietà e lo spirito imprenditoriale di tutti i cittadini, anche di quelli che sono spinti ai margini dal sistema produttivo, fatto che contribuisce a generare attività economica che crea valore ed è redditizia nel caso delle imprese sociali, anche in settori economicamente più deboli;

7.

sottolinea l’importanza di favorire il coinvolgimento dei cittadini e i processi di creazione condivisa in campo sociale attraverso partenariati dinamici tra il settore pubblico, le molteplici istituzioni dell’economia sociale e il settore privato, in particolare quello che comprende le «imprese sociali», adottando nel contempo anche un approccio orientato verso le azioni e le politiche socialmente innovative;

8.

mette in evidenza il riconoscimento pubblico relativamente scarso della capacità imprenditoriale nel settore dell’economia sociale, che deriva — tra l’altro — dalla mancata intesa tra gli operatori di regioni e paesi differenti. È pertanto fondamentale lo scambio di buone pratiche, la creazione di partenariati e l’istituzione di incentivi e finanziamenti per promuovere la capacità imprenditoriale, nonché l’innovazione e gli investimenti sul piano sociale. Questi costituiscono i presupposti per aumentare l’attrattiva dell’economia sociale e darle un riconoscimento migliore;

9.

propone di dare maggior risalto alla ricerca sull’economia sociale in Europa, puntando anche sull’elaborazione e diffusione sia di programmi generali di formazione in questa materia destinati al grande pubblico, in particolare agli studenti, che di programmi specializzati rivolti agli operatori dell’economia sociale e ai disoccupati, attraverso lo sviluppo di partenariati tra le organizzazioni dell’economia sociale, gli istituti di istruzione, i centri di formazione e gli enti locali e regionali;

10.

ricorda che gli enti locali e regionali, gli Stati membri e l’UE devono incoraggiare uno spirito di partenariato e sostenere lo sviluppo sia di nuovi strumenti che di nuove possibilità nel quadro del sostegno sociale; queste possibilità continuano a dischiudersi grazie all’evoluzione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, favorendo la qualità e l’accessibilità dei servizi forniti, razionalizzando i costi e contribuendo a dare — di fronte al grande pubblico — un’immagine attraente dell’economia sociale;

11.

incoraggia gli Stati membri a lavorare per agevolare l’attività dei soggetti dell’economia sociale nel mercato, tenendo conto del contributo che tali soggetti recano, grazie all’attivazione professionale dei gruppi considerati esclusi, alla soluzione dei problemi legati, tra le altre cose, alla disoccupazione e all’esclusione sociale;

12.

esorta la Commissione europea a presentare un quadro giuridico che comprenda un corpus di definizioni comuni applicabili alle differenti forme europee dell’economia sociale — ad esempio, società cooperative, fondazioni, mutue e associazioni, per permettere alle imprese dell’economia sociale di operare su un fondamento di certezza giuridica e poter così trarre profitto dai vantaggi offerti dal mercato interno e dalla libera circolazione. Questo documento dovrà in particolare comprendere un corpus di definizioni comuni che possano essere alla base della concezione di programmi europei di partenariato con tali organizzazioni, in modo da rendere possibile l’adeguamento del sostegno alle necessità di ciascun tipo di organizzazione e di rafforzare il loro ruolo nella promozione dell’occupazione e nello sviluppo della capacità imprenditoriale dei territori;

13.

rileva che il ruolo positivo delle istituzioni e degli operatori dell’economia sociale nella lotta alla disoccupazione e nella promozione della crescita inclusiva e sostenibile è particolarmente importante nei territori caratterizzati dall’emigrazione, dal rapido invecchiamento della popolazione, dall’assenza di dinamiche produttive e da uno scarso spirito imprenditoriale, specialmente nei contesti rurali. In questi territori l’importanza dell’economia sociale va oltre la risposta alla domanda locale di beni e servizi di natura sociale, in quanto le organizzazioni attive in questo settore costituiscono una delle poche basi di aggregazione di volontà in grado di promuovere l’imprenditorialità e di trattenere o attirare operatori economici capaci di valorizzare le risorse endogene di tali territori;

14.

raccomanda di favorire la cooperazione tra economia sociale e istruzione professionale, in tutti gli ambiti, e di promuovere la creazione di cooperative scolastiche e di studenti, per ampliare le possibilità di carriera degli studenti e contribuire a prevenire la disoccupazione giovanile. A questo scopo auspica inoltre che le cooperative scolastiche e di studenti vengano incluse tra i soggetti dell’economia sociale e propone alla Commissione europea e agli Stati membri di collaborare per inserire il movimento cooperativo e l’economia sociale nella formazione all’imprenditoria, quale parte integrante dei piani e programmi statali di studio delle scuole e degli istituti d’istruzione superiore;

15.

ritiene che, ovunque e con qualunque mezzo possibile, il sostegno degli Stati membri e quello dell’UE ai partenariati che coinvolgono organizzazioni dell’economia sociale debbano essere aumentati nei territori a bassa densità demografica, nelle zone che presentano indici di disoccupazione particolarmente elevati e un basso tasso di occupazione tra i gruppi sociali vulnerabili, nelle aree geografiche colpite dalla povertà e dall’esclusione sociale, nonché nei territori di particolare interesse ambientale, allo scopo di incoraggiare il loro ruolo speciale nella creazione e nel mantenimento del valore in tali territori;

16.

chiede alla Commissione europea di mostrarsi flessibile nell’applicazione delle regole in materia di aiuti di Stato alle organizzazioni dell’economia sociale, di aiutare gli enti territoriali a comprendere e applicare in modo proporzionato queste regole e, ove possibile, di aumentare gli aiuti degli Stati membri o dei loro enti territoriali e gli aiuti dell’UE ai partenariati che coinvolgono organizzazioni dell’economia sociale;

17.

si rallegra della recente adozione delle direttive sugli appalti pubblici e sulle concessioni (direttive 2014/24/UE, 2014/25/UE e 2014/23/UE), che comprendono clausole e criteri sociali tesi a favorire, tra l’altro, l’inclusione sociale e l’innovazione in campo sociale; invita gli Stati membri ad assicurare nell’attuale fase di recepimento di queste direttive nelle rispettive legislazioni nazionali che le amministrazioni aggiudicatrici possano avvalersi pienamente delle disposizioni specifiche sugli appalti riservati e sulle procedure semplificate ivi previste, per rafforzare il ruolo degli attori dell’economia sociale a livello sia nazionale che regionale o locale. Invita inoltre le istituzioni dell’UE a monitorare l’attuazione di queste norme a livello nazionale, regionale e locale, oltre che a proseguire il dibattito sul loro miglioramento;

18.

sostiene che l’economia sociale può essere uno strumento adeguato e molto efficace per combattere l’economia sommersa e per creare valore economico e sociale;

19.

ritiene fondamentale sbloccare il potenziale dell’economia sociale migliorando l’accesso di questo tipo di economia a differenti modi di finanziamento — come i fondi europei, i fondi di capitali di rischio, il microcredito e il microfinanziamento partecipativo («crowdfunding») — e mobilitando mezzi finanziari sufficienti a livello locale, regionale, nazionale ed europeo, rendendo compatibili i necessari livelli di esigenza economica/finanziaria con l’interesse pubblico riconosciuto del lavoro che queste organizzazioni svolgono sul campo;

20.

deplora che la strategia della Commissione per un mercato unico digitale non menzioni l’economia sociale e si limiti ad accennare all’economia collaborativa non commerciale, le cui potenzialità sociali sono enormi;

21.

evidenzia la necessità di promuovere una cultura del monitoraggio all’interno delle organizzazioni dell’economia sociale, migliorando la loro capacità di misurare e comunicare le dimensioni economiche e sociali delle loro attività e sviluppando metodologie e indicatori adeguati alla loro natura e specificità. Le esperienze in materia di monitoraggio devono essere divulgate e rese disponibili in diversi modi;

22.

accoglie con favore l’istituzione, da parte della Commissione europea, di una piattaforma digitale plurilingue — la cosiddetta «Social Innovation Europe Platform» — per promuovere lo scambio di informazioni nel campo dell’innovazione sociale, ma ritiene necessario che la piattaforma comprenda una sezione distinta dedicata all’economia sociale;

23.

propone alla Commissione europea di creare un’unità appositamente dedicata all’economia sociale, nella consapevolezza che allo stato attuale delle cose la decisione di fondere delle unità all’interno della DG Growth per costituire l’unità «Clusters, social economy and entrepreneurship» non sembra in sintonia con il perimetro d’azione e la natura reale dell’economia sociale;

24.

incoraggia le istituzioni dell’UE, gli Stati membri e gli enti locali e regionali a fare il punto e a promuovere la diffusione degli esempi esistenti di nuove forme di dialogo, di definizione comune delle politiche e di attuazione congiunta delle stesse mediante partenariati formati da autonomie locali e regionali, enti dell’economia sociale e altri soggetti;

25.

sostiene, tenuto conto dell’ambito fortemente localizzato (o su base territoriale) d’intervento della maggior parte delle organizzazioni dell’economia sociale, che l’UE e gli Stati membri debbano promuovere e incoraggiare un ruolo più incisivo degli enti locali e regionali sia nella definizione di programmi e politiche per l’economia sociale che nella loro articolazione con le differenti politiche pubbliche, migliorando la realizzazione degli obiettivi stabiliti;

26.

invita la Commissione europea a chiedere agli Stati membri che ancora non l’hanno fatto di definire e adottare quanto prima il quadro legislativo e giuridico necessario per il funzionamento e lo sviluppo dell’economia sociale, dopo che sia stata definita una strategia chiara per il settore.

Bruxelles, 3 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Marku MARKKULA


10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/28


Parere del Comitato europeo delle regioni — La dimensione locale e regionale dell’economia della condivisione

(2016/C 051/06)

Relatrice:

Benedetta BRIGHENTI (IT/PSE), vicesindaco del comune di Castelnuovo Rangone, provincia di Modena

RACCOMANDAZIONI STRATEGICHE

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI,

1.

ritiene che l’economia della condivisione (di seguito: «EdC») si basi su modelli sociali, nuovi o rimessi in auge, che presentano una serie di importanti implicazioni sul piano imprenditoriale, giuridico e istituzionale: le pratiche sociali di condivisione, collaborazione e cooperazione. Essendo per sua natura innovativo e dinamico, il concetto si sottrae in ultima analisi ad una definizione, ma ingloba tuttavia una serie di fenomeni contraddistinti dai seguenti tratti:

i)

gli agenti principali dell’EdC non agiscono nel modo solitamente previsto dai modelli economici classici (quello cioè del cosiddetto homo oeconomicus). Questo non significa che non possano operare in maniera razionale e determinata per conseguire i loro obiettivi;

ii)

l’EdC adotta un approccio tipico delle piattaforme, in virtù del quale le relazioni, la reputazione, la fiducia sociale e altre motivazioni non economiche all’interno di una comunità diventano uno dei principali fattori propulsivi;

iii)

l’EdC fa un uso intensivo e su vasta scala delle tecnologie digitali e della raccolta dati. I dati diventano materia prima primaria. I costi fissi sono in gran parte esternalizzati;

iv)

su scala più ridotta e in una dimensione locale, alcune delle iniziative di questo nuovo tipo di economia possono limitarsi all’uso o alla gestione condivisi di attivi materiali (ad esempio, spazi di coworking, beni comuni urbani ecc.), o a nuove forme di sistemi di welfare «peer to peer» (tra pari) che interessano talvolta una singola strada o un singolo edificio;

v)

l’EdC può essere organizzata secondo modelli incentrati tanto su logiche di mercato quanto su logiche sociali;

2.

in questo contesto, osserva che la Commissione europea invece di «economia della condivisione» preferisce usare la formula «economia collaborativa», e che nella sua recente comunicazione «Migliorare il mercato unico: maggiori opportunità per i cittadini e per le imprese» (1) ha compiuto un primo tentativo di definire il concetto alla base di questo nuovo settore economico nei seguenti termini: «procede a un ritmo elevato lo sviluppo dell’economia collaborativa, un complesso ecosistema di servizi a richiesta e di uso temporaneo di attività sulla base di scambi attraverso piattaforme online. L’economia collaborativa assicura ai consumatori una scelta più vasta e prezzi più bassi e alle start-up innovative e alle imprese europee esistenti opportunità di crescita, sia nel loro paese che all’estero. Accresce altresì l’occupazione e permette ai lavoratori di beneficiare di una maggiore flessibilità, da microattività non professionali a un’imprenditorialità a tempo parziale. Le risorse possono essere utilizzate in maniera più efficiente, accrescendo in tal modo la produttività e la sostenibilità». A giudizio del CdR, tuttavia, questa definizione è incentrata sugli aspetti commerciali e di consumo dell’economia della condivisione (o collaborativa) e ne trascura al tempo stesso gli approcci non commerciali e basati sui beni comuni. Chiede pertanto alla Commissione di approfondire prima di tutto l’analisi delle varie forme dell’EdC (parte della quale rientra nel settore dell’economia sociale) e, in un secondo momento, di fornire una definizione di tali diverse forme;

L’EdC come vettore di un nuovo paradigma

3.

rileva che, secondo un opinione condivisa da molti, il soggetto principale dell’EdC non è più il «consumatore» mosso dalla volontà di possedere qualcosa o di acquistare un servizio, ma piuttosto un cittadino, semplice individuo, utilizzatore, fabbricante, produttore, creatore, progettatore/designer, collega di lavoro, artigiano digitale o agricoltore urbano desideroso di avere accesso ad un servizio o ad un attivo necessari a soddisfare determinate sue esigenze;

4.

sottolinea che altri osservatori sostengono però che, in molti casi, il soggetto dell’EdC è parimenti una persona desiderosa di agire prendendosi cura di, gestendo, generando o rigenerando una risorsa comune, in libero accesso, materiale o immateriale, senza l’intermediazione di un fornitore pubblico o privato, su piccola scala e ad un livello «tra pari», interpersonale. Nell’EdC, quindi, il soggetto non è un semplice «soggetto economico», ma può invece essere un soggetto sociale, individuale o civico per il quale le tradizionali motivazioni economiche sono secondarie o inesistenti. Alcuni ambiti dell’EdC non sono necessariamente «economie» in senso stretto, bensì comunità e reti sociali collaborative che generano nuove iniziative economiche o svolgono una funzione in relazione ad attività economiche esistenti;

5.

osserva che l’EdC sembra anche mettere in discussione i modelli macroeconomici tradizionali che stabiliscono una chiara distinzione tra consumatori e produttori;

6.

ritiene che l’EdC potrebbe far nascere una nuova identità economica nella quale un individuo, refrattario ad agire in solitudine, invece di ricercare la massimizzazione dei propri interessi materiali, assocerebbe il proprio comportamento economico ad un impegno verso la comunità, agirebbe nella sfera pubblica — sociale, economica, politica — e si porrebbe in relazione agli altri per prendersi cura dell’interesse generale comune (in altre parole, la cosiddetta «mulier activa») (2);

7.

mette l’accento sulla necessità di distinguere tra le diverse forme di economia della condivisione. Pur ricorrendo tutte allo stesso paradigma sociale — l’atto di condividere, collaborare e cooperare — queste forme sono tuttavia molto diverse l’una dall’altra. Vi è spazio per definire con precisione quelle forme di EdC che in qualche modo perpetuano la stessa dinamica sociale ed economica del modello economico preesistente, e per applicare a ciascuna di esse un regime giuridico distinto. La dicotomia tra attività generatrice di profitto e attività senza fini di lucro (non-profit) e il tipo di impresa o associazione promotrici di progetti di EdC, nonché, in termini di diritto dell’UE, l’impatto sugli scambi transfrontalieri, possono rappresentare parametri importanti per tracciare una linea di demarcazione tra le diverse forme che assume questo tipo di economia e proporre approcci regolamentari differenziati;

8.

sottolinea che si potrebbe operare una prima distinzione tra EdC in senso stretto e forme collaborative di questa stessa economia considerando la collaborazione e la cooperazione in quanto stratificazioni della condivisione. Si potrebbe in effetti distinguere tra iniziative dell’EdC che creano e cristallizzano una distinzione tra diverse tipologie di utilizzatori (consumatori-utilizzatori versus fornitori-utilizzatori) e iniziative dell’EdC che promuovono un approccio «peer to peer» (tra pari), in cui ciascun utilizzatore può essere al tempo stesso anche fornitore e consumatore, o persino prendere parte alla gestione della piattaforma. Ancora, si potrebbe tener conto del modello di governo e controllo della transazione economica, distinguendo i casi in cui la piattaforma funge esclusivamente da strumento finalizzato a mettere in contatto i privati (i quali concludono l’accordo in autonomia) da quelli in cui l’intermediario mantiene il controllo della transazione (3). Un’ulteriore cooperazione potrebbe suggerire un approccio all’EdC basato sui beni comuni (4). Se i soggetti coinvolti non si limitano a condividere una risorsa ma collaborano alla creazione, produzione o rigenerazione di una risorsa comune per la collettività in generale, per la comunità, essi stanno cooperando, si stanno unendo o consorziando per i beni comuni;

9.

ritiene che sembrino profilarsi due categorie principali e quattro forme di EdC:

l’EdC in senso stretto, o «economia su richiesta» (on-demand economy):

«economia dell’accesso»: per iniziative dell’EdC il cui modello imprenditoriale implica che lo scambio di beni e servizi avviene sulla base dell’accesso anziché della proprietà. Questo tipo di iniziativa si riferisce al noleggio temporaneo di oggetti piuttosto che alla loro vendita/acquisto permanente,

«gig economy» (gig = singola prestazione lavorativa attivata su richiesta tramite piattaforme online o applicazioni di cellulari, smartphone ecc.): per iniziative dell’EdC basate su prestazioni lavorative aleatorie che vengono negoziate in un mercato digitale;

la pooling economy («economia della messa in comune»):

«economia collaborativa»: per iniziative dell’EdC che promuovono un approccio «peer to peer» (tra pari) e/o coinvolgono gli utilizzatori nella concezione del processo produttivo oppure trasformano i clienti in una comunità,

«commoning economy» («economia dei beni comuni»): per iniziative dell’EdC a proprietà o gestione collettiva;

10.

osserva che la Commissione europea cita un recente studio (5) secondo cui l’EdC è potenzialmente in grado di accrescere le entrate globali dagli attuali 13 miliardi di euro circa a 300 miliardi di euro di qui al 2025. A giudizio del CdR, tuttavia, la crescita dell’EdC va considerata solo in parte una rivoluzione e/o una conseguenza della crisi. Per alcuni aspetti, essa potrebbe anche rappresentare la trasformazione-inversione di marcia (6) o la transizione (7) di determinati settori dell’attuale modello economico verso tradizioni economiche e modelli economici consolidati (ad esempio l’economia cooperativa, l’economia sociale, l’economia solidale, la produzione artigianale, l’economia dei beni comuni e altre ancora), e persino verso forme arcaiche di scambio economico (ad esempio l’economia del baratto), che costituiscono delle alternative a forme dell’economia di mercato ad elevata intensità di capitale;

11.

evidenzia che l’innovazione tecnologica gioca un ruolo di fondamentale importanza nello sviluppo dell’EdC, la cui maggior parte delle iniziative si basa sull’utilizzo di piattaforme collaborative attraverso le quali avvengono le transazioni/scambi di beni e/o servizi. Per tale ragione è necessario rafforzare le iniziative di contrasto al divario digitale, soprattutto se si intende adottare un mercato unico digitale;

12.

sottolinea che nei casi in cui i nuovi servizi basati sull’EdC esercitino un effetto aggressivo di «spiazzamento dal mercato» (crowding-out) sui servizi tradizionali, le autorità pubbliche a livello nazionale, regionale o locale hanno quasi sempre un’importante responsabilità nella misura in cui:

i requisiti di accesso al mercato stabiliti dalle autorità pubbliche in termini sia di politica fiscale che di requisiti professionali hanno creato dei monopoli o oligopoli senza che si siano verificate le condizioni di un fallimento del mercato,

potrebbero non essere stati messi in atto dei sistemi di controllo della qualità dei servizi prestati;

Principi sottesi all’elaborazione di un’iniziativa dell’UE sull’EdC

13.

l’EdC può migliorare la qualità di vita dei cittadini, promuovere la crescita (in particolare a livello di economie locali) e ridurre gli effetti sull’ambiente. Essa può inoltre generare nuovi posti di lavoro di qualità, ridurre i costi e incrementare la disponibilità e l’efficienza di alcuni beni e servizi o infrastrutture. Tuttavia, è importante che i servizi offerti tramite l’EdC non siano all’origine di pratiche di elusione fiscale o concorrenza sleale né violino regolamentazioni locali e regionali o normative nazionali ed europee. Motori fondamentali di qualsiasi iniziativa normativa dell’UE sull’EdC dovrebbero poi essere la valutazione di tutti i suoi possibili effetti, positivi e negativi, e la definizione degli obiettivi di politica pubblica in questo ambito;

14.

ritiene necessario garantire il libero accesso al mercato per i nuovi arrivati. La raccolta di dati ad opera di piattaforme o iniziative dell’EdC può essere all’origine di «squilibri del potere economico». I dati costituiscono la materia prima di questa economia e in alcuni casi devono essere quanto più possibile open source (cioè liberi da licenza). Questo è talvolta necessario per ridurre le barriere all’ingresso nell’EdC e per consentire di valutare gli effetti delle iniziative o delle imprese di questa economia, oltre che per favorire una regolamentazione basata sui dati a tutti i livelli di governo. Si dovrebbe chiedere alle piattaforme dell’EdC di dotarsi dei meccanismi tecnici interni idonei per fornire agli enti locali e regionali dati pubblici e pertinenti, purché non di carattere sensibile o strategico. In ogni caso, l’UE e i governi nazionali dovrebbero offrire un sostegno agli enti locali e regionali per la realizzazione delle operazioni di raccolta dati. Uno dei fattori principali dovrebbe essere inoltre la protezione dei dati, e la mulier activa dovrebbe avere la possibilità di detenere la proprietà dei propri dati;

15.

mette l’accento sulle importanti condizioni sine qua non che sono, nell’EdC, la fiducia e la gestione della reputazione (8): tali fiducia e reputazione devono essere gestite con la massima attenzione e in modo indipendente (ad esempio mediante regolamentazione, certificazione, arbitraggio). Si dovrebbe poi condurre un’analisi più approfondita per valutare se i soggetti dell’EdC siano o no in grado di autoregolamentarsi in modo efficiente (9). La valutazione tra pari potrebbe essere un metodo utile per garantire la fiducia. L’istituzione di organismi indipendenti incaricati di elaborare dei rating, preferibilmente in comproprietà con soggetti alla pari nell’ambito dell’EdC, è un’opzione strategica che andrebbe valutata con particolare attenzione. Occorre inoltre riflettere alla questione della copertura assicurativa. In ogni caso, la «portabilità» dei dati e della reputazione dovrebbe costituire uno dei principali obiettivi di politica da perseguire;

16.

fa presente che i risultati della valutazione dell’impatto dell’EdC non sono sempre positivi in termini di protezione dell’ambiente, coesione sociale, uguaglianza e giustizia sociale, uso corretto del suolo o governance urbana (10). Va inoltre ricordato che le imprese orientate al profitto utilizzano talvolta impropriamente le piattaforme dell’EdC e al tempo stesso non garantiscono alcuna copertura sociale ai lavoratori, arrecando così danno, da un lato, al benessere dei cittadini e, dall’altro, ai bilanci nazionali, regionali e comunali. L’UE e gli enti regionali e locali devono sostenere e incoraggiare unicamente la realizzazione di iniziative o piattaforme di questa economia che abbiano ricadute positive sul piano sociale, economico e ambientale. Gli obiettivi di politica pubblica che andrebbero promossi tramite l’EdC sono la creazione di comunità, la messa in comune di beni urbani, l’inclusione, la non discriminazione, lo sviluppo economico locale, l’imprenditorialità giovanile, la consapevolezza delle problematiche ambientali e la solidarietà interpersonale;

17.

ritiene che se all’interno dell’UE le condizioni lavorative dei soggetti dell’EdC rientrano nello stesso quadro di quelle applicabili ad un «lavoratore dipendente», detti soggetti dovrebbero ricevere un trattamento adeguato. In un contesto di scambi economici sempre più «flessibile», questo tipo di economia è potenzialmente distorsivo delle relazioni industriali. Occorre svolgere un’analisi approfondita degli effetti dell’EdC sulla sicurezza economica individuale e sul welfare sociale. La Commissione europea, in cooperazione con gli Stati membri, le parti sociali e, laddove applicabile, gli enti locali e regionali, deve condurre studi dettagliati sulle condizioni di impiego e di lavoro dei lavoratori dell’EdC, al fine di valutare se sia necessaria un’azione di regolamentazione del settore. L’EdC potrebbe far nascere una nuova classe sociale, la «classe collaborativa», che necessita di tutele sociali ed economiche;

18.

sottolinea che nell’ambito dell’EdC dovrebbero in linea di principio essere applicate tutte le norme previste in materia di antitrust, mercato interno, fiscalità e tutela dei consumatori, proprio come avviene in tutti gli altri settori economici. Le iniziative dell’EdC non dovrebbero avere la possibilità di utilizzare il modello della condivisione al solo scopo di distorcere i mercati preesistenti mirando ad una strategia di riduzione dei costi che si prefigga di evitare i costi normativi applicabili a servizi e prodotti simili la cui fornitura non avviene tramite piattaforme. Il CdR ritiene tuttavia che la regolazione dei mercati preesistenti dovrebbe essere oggetto di una revisione periodica per accertare che sia in grado di consentire lo svolgersi di continui processi di innovazione. Il dibattito sull’economia circolare e sul mercato unico digitale potrebbe mettere in luce alcuni degli ambiti in cui si dovrebbe prendere in considerazione l’EdC. Nel contempo, la Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero garantire un approccio coordinato alla regolamentazione dell’EdC a livello europeo, laddove un tale approccio europeo sia necessario, onde rafforzare il mercato unico e agevolare la diffusione in tutti i paesi dell’UE delle iniziative di successo realizzate in questo campo; in tutti gli altri casi la regolamentazione dovrebbe rimanere prerogativa del governo nazionale, regionale o locale, conformemente al principio di sussidiarietà;

19.

osserva che la Commissione europea ha riservato uno spazio molto marginale alla questione dell’EdC nella sua comunicazione sulla «Strategia per il mercato unico digitale in Europa» [COM(2015) 192]; apprezza però l’impegno assunto dalla Commissione nella comunicazione «Migliorare il mercato unico: maggiori opportunità per i cittadini e per le imprese» ad elaborare un’agenda europea per l’economia collaborativa o della condivisione, a definire orientamenti sulle modalità di applicazione a questo nuovo settore economico del diritto UE vigente — in particolare la direttiva «servizi» e la direttiva sul commercio elettronico nonché la legislazione a tutela dei consumatori come la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la direttiva sulle clausole contrattuali abusive e la direttiva sui diritti dei consumatori — e a valutare eventuali lacune normative. Sottolinea che il CdR è pronto a svolgere un ruolo attivo nell’elaborazione di tale agenda e raccomanda una più stretta cooperazione in questo campo con le istituzioni europee;

20.

rileva che i dossier relativi all’EdC sono seguiti da una decina di direzioni generali della Commissione europea (in particolare CNECT, GROW, COMP, JUST, MOVE, TAXUD, EMPL, REGIO e TRADE), e che occorre assicurare un coordinamento interservizi all’interno della Commissione: raccomanda pertanto a quest’ultima di istituire un gruppo di lavoro per il coordinamento tra le DG che si occupano a vario titolo di EdC;

21.

plaude tuttavia all’intenzione della Commissione europea di avviare, a fine settembre 2015, una consultazione pubblica sugli approcci regolamentari auspicabili a livello dell’UE in materia di EdC;

22.

ritiene che, per gli aspetti commerciali dell’EdC, siano necessari approcci regolamentari settoriali a livello UE, per garantire certezza giuridica e condizioni di concorrenza eque agli operatori interessati, in particolare in materia di fiscalità;

23.

invita la Commissione europea e gli Stati membri a mettere a punto degli incentivi all’economia collaborativa affinché questo nuovo settore economico sostenga e dia attuazione ai principi dell’economia sociale (con particolare riguardo ai principi di solidarietà, di democrazia e partecipazione, e di cooperazione con le comunità locali);

24.

in una dimensione locale e regionale, le iniziative dell’EdC, oltre a promuovere lo sviluppo delle economie locali, possono divenire uno strumento attraverso il quale favorire la promozione, la cura e la rigenerazione dei cosiddetti beni comuni, come la mobilità, il welfare, il paesaggio urbano e l’ambiente. Da questo punto di vista, il ruolo delle pubbliche amministrazioni dovrebbe essere quello di favorire il consolidamento di un «ecosistema istituzionale collaborativo» (11). In tale ottica, il compito degli enti locali deve essere quello di facilitare e coordinare le diverse iniziative di EdC, valorizzando quelle che rafforzano i processi di partecipazione e collaborazione con i mulier activa, si mostrano inclusive, sia in fase di progettazione che di gestione ed erogazione del servizio, e che rispettano i principi di trasparenza, apertura e accountability;

25.

giudica nel contempo importante verificare in quali settori si sviluppa l’EdC e in che modo essa influisce sugli indicatori macroeconomici, affinché questo particolare tipo di economia non si trasformi in un sistema di ottimizzazione fiscale.

Per un’agenda dell’EdC

26.

è del parere che qualsiasi iniziativa di regolamentazione di tipo vincolante dovrebbe mantenere un approccio settoriale e, nel definire le linee normative, dovrebbe basarsi sul criterio delle dimensioni delle iniziative dell’EdC da assoggettare alle regole. Le istituzioni e la legislazione dell’UE dovrebbero offrire un quadro solido, orientamenti sul piano istituzionale e giuridico e un accesso permanente a consulenze e altra assistenza adeguata ai fini dell’attuazione della regolamentazione;

27.

ciononostante, invita tutte le istituzioni dell’UE che si occupano di EdC ad adottare un approccio olistico nel trattare questo settore emergente in quanto fenomeno economico, politico e sociale, e, in considerazione dell’ampio potenziale di trasformazione degli attuali sistemi economici inerente all’EdC, le esorta a coordinare i loro sforzi tramite una politica pubblica globale, elaborando in collaborazione un’agenda di politica pubblica in materia di EdC;

28.

raccomanda che un’agenda dell’UE per l’EdC si basi sui seguenti pilastri:

definizione di un protocollo metodologico basato anche su una valutazione preliminare dell’impatto urbano e territoriale ed elaborato in stretto partenariato con tutti i livelli di governo, come pure con la cooperazione di una comunità di responsabili politici, accademici, operatori del settore, esperti, nonché imprese, iniziative e piattaforme dell’EdC, al fine di promuovere la transizione verso città della condivisione e collaborative,

promozione, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, di condizioni di parità a livello europeo, pur assicurando una flessibilità sufficiente per soluzioni locali, nonché incentivazione di progetti pilota e della creazione di reti di città e regioni portatrici di buone pratiche nel campo dell’EdC, come ad esempio il progetto pilota Iniziativa per start up nell’economia della condivisione («sharing economy») (12),

promozione dello sviluppo di programmi educativi e campagne di comunicazione (ad esempio Sharitaly) destinate a diffondere una maggiore consapevolezza delle potenzialità e dei rischi dell’EdC,

definizione di criteri chiari e condivisi per un sistema di qualificazione basato sulla comunità e sviluppo di una serie di indicatori per monitorare e misurare l’impatto delle iniziative e delle pratiche dell’EdC,

applicazione effettiva dell’agenda dell’UE per l’EdC in modo da contrastare l’elusione fiscale e garantire la tutela dei consumatori, la concessione delle licenze e il rispetto delle normative in materia di salute e sicurezza,

periodici aggiornamento e monitoraggio dell’agenda dell’UE per l’EdC per evitare oneri inutili e garantirne in permanenza la sostenibilità e l’efficacia in un contesto in rapido mutamento;

29.

ritiene che molti dei settori interessati dall’EdC abbiano un impatto, talvolta anche distorsivo, a livello locale e regionale, e che dovrebbero pertanto, se necessario, poter essere disciplinati o regolamentati dagli enti locali e regionali nel rispetto del principio di autonomia locale, per consentire a tali enti di adattare le iniziative e le imprese dell’EdC ai diversi contesti locali;

30.

insiste sulla necessità che un’iniziativa di regolamentazione dell’EdC non sia disgiunta da una visione di governance urbana e locale (13), oltre che delle zone rurali. Gli esperimenti di governance collaborativa e policentrica portati avanti in diverse città europee sembrano profilarsi come il metodo più idoneo per sostenere e promuovere uno sviluppo corretto ed equo di iniziative nel campo dell’EdC. Un approccio di governance collaborativa/policentrica all’EdC consentirebbe a gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni del terzo settore, sindacati, istituzioni operanti nel campo della conoscenza, imprese sociali e start-up di utilizzare spazi e attivi aperti oppure vacanti o abbandonati, di proprietà delle amministrazioni pubbliche e a loro disposizione, traendo ispirazione dalle iniziative adottate da alcuni enti locali e regionali [ad esempio, il Regolamento del comune di Bologna sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani (14)].

Bruxelles, 4 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


(1)  COM(2015) 550, pag. 3.

(2)  Cfr. C. Iaione, Economia e diritto dei beni comuni, 2011, e Poolism, in www.labgov.it, 28 agosto 2015.

(3)  G. Smorto, I contratti della sharing economy, in Il Foro Italiano, 2015, fasc. 4, pagg. 222-228.

(4)  D. Bollier, Think like a commoner: a short introduction to the life of the commons, 2014 (trad. it. La rinascita dei Commons. Successi e potenzialità del movimento globale a tutela dei beni comuni, Stampa Alternativa, 2015). S. Foster, Collective action and the Urban Commons [Azione collettiva e i beni comuni urbani], 2011; C. Iaione, The Tragedy of Urban Roads [La tragedia delle arterie urbane], 2009.

(5)  Consumer Intelligence Series: The Sharing Economy. PwC 2015, https://www.pwc.com/us/en/technology/publications/assets/pwc-consumer-intelligence-series-the-sharing-economy.pdf

(6)  K. Polanyi, The great transformation: The political and economic origins of our time, 1944 (trad. it. La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Einaudi, 2000).

(7)  M. Bauwens, A commons transition plan [Un piano di transizione per i beni comuni], disponibile all’indirizzo: http://commonstransition.org/

(8)  T. Wagner, M. Kuhndt, J. Lagomarsino, H. Mattar, Listening to Sharing Economy Initiatives [Prestare ascolto alle iniziative dell’economia della condivisione], 2015; Nesta & Collaborative Lab, Making Sense of the UK Collaborative Economy [Dare un senso all’economia collaborativa nel Regno Unito], 2014.

(9)  M. Cohen, A. Sundararajan, Self regulation and innovation in the peer to peer sharing economy [Autoregolamentazione e innovazione nell’economia della condivisione tra pari], 2015.

(10)  P. Parigi P, State B., Dakhlallah D., Corten R., Cook K., A Community of Strangers: The Dis-Embedding of Social Ties [Una comunità di estranei: la disgregazione dei legami sociali], 2013; S. Shaheen, Greenhouse Gas Emission Impacts of Carsharing in North America Final Report [Effetti delle emissioni di gas a effetto serra dovute al car-sharing in Nord America — Relazione finale], 2010.

(11)  Cfr. il «Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani» del comune di Bologna, e, da ultimo, il documento «SharExpo, linee guida per la sharing economy e per i servizi collaborativi a Milano».

(12)  Sostenuto da uno stanziamento di 2 500 000 EUR, approvato dal Parlamento europeo nella sua lettura del bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2016 in data 28 ottobre 2015.

(13)  S. Foster, C. Iaione, La città come bene comune, 2015.

(14)  Per ulteriori esempi, cfr. il progetto Sharing cities diretto da Neal Gorenflo di Shareable e l’insieme di strumenti Sharitories (Territori collaborativi) elaborati dalla OuiShare Community.


10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/34


Parere del Comitato europeo delle regioni — Un regime equo ed efficace per l’imposta societaria nell’Unione europea

(2016/C 051/07)

Relatore:

Jean-Luc VANRAES (BE/ALDE), consigliere comunale e presidente del Centro pubblico d’azione sociale (CPAS/OCMW) di Uccle

Testo di riferimento:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Un regime equo ed efficace per l’imposta societaria nell’Unione europea: i 5 settori principali d’intervento

COM(2015) 302 final

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI,

1.

rammenta che tutte le proposte legislative della Commissione, anche quelle in materia fiscale ai sensi dell’articolo 113, 115 o 116 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, devono essere conformi ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità;

2.

sostiene i quattro obiettivi del piano d’azione della Commissione sulla fiscalità delle imprese, e precisamente:

ristabilire il legame tra l’imposizione fiscale e il luogo in cui si svolge l’attività economica, che è il luogo in cui viene creato valore, ossia in cui si svolgono effettivamente la ricerca, lo sviluppo e la produzione,

garantire che gli Stati membri siano in grado di determinare correttamente il valore dell’attività societaria nella loro giurisdizione,

creare nell’UE un contesto di imposizione fiscale delle società competitivo e favorevole alla crescita, che renda le imprese più resilienti, conformemente alle raccomandazioni del semestre europeo,

tutelare il mercato unico e assicurare un approccio vigoroso dell’UE sulle questioni esterne inerenti alla fiscalità delle società;

3.

considera la legislazione vigente in materia di imposizione delle imprese — a livello sia nazionale che europeo e globale — ormai inadeguata al contesto economico attuale, contraddistinto da globalizzazione, mobilità, tecnologie digitali, nuovi modelli commerciali e strutture imprenditoriali complesse;

4.

sottolinea la grande complessità delle regole vigenti in materia di imposta societaria nell’UE, come pure la mancanza di coordinamento e di complementarità tra i sistemi dei diversi Stati membri;

5.

deplora il fatto che talune imprese, e in particolare quelle multinazionali, approfittino di questa situazione per ridurre i loro versamenti tributari ricorrendo a pratiche illegali di frode fiscale e di evasione fiscale oppure a strategie di «pianificazione fiscale aggressiva» che, quand’anche lecite, sono però in contrasto con lo spirito della legislazione in materia;

6.

sottolinea che, in un caso come nell’altro, tali imprese sono, in ultima analisi, soggette a un’imposizione fiscale che è ben lungi dall’essere equa, tanto essa è bassa rispetto ai loro redditi;

7.

rammenta che, secondo alcune stime, l’evasione fiscale, la frode fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva provocano ogni anno nell’Unione europea una perdita di gettito fiscale potenziale pari a circa 1 000 miliardi di euro (1); ricorda inoltre che questi mancati introiti danneggiano le finanze pubbliche a tutti i livelli, compreso quello degli enti locali e regionali, e che una riscossione fiscale giusta, trasparente, efficace ed equa per tutte le imprese permetterebbe di alleviare il carico fiscale;

8.

propone che tutti gli accordi internazionali di cui è parte l’Unione europea, compresi gli accordi commerciali e quelli di partenariato economico, includano clausole di promozione della buona governance fiscale, per quanto concerne la trasparenza ma anche la lotta contro le pratiche fiscali dannose, e invita la Commissione europea a insistere su questo punto nell’ambito dei negoziati attualmente in corso, e in particolare in quelli sul partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) e sull’accordo sugli scambi di servizi (TiSA);

9.

deplora l’esistenza e la portata di tali pratiche fiscali dannose, tanto più in un momento in cui numerosi contribuenti, in particolare persone fisiche, sono, in alcuni Stati membri, soggetti a una più forte pressione fiscale a causa delle politiche di austerità, e considera tale mancanza di equità fiscale nefasta per la pace sociale e la stabilità economica;

10.

rammenta che la complessità delle norme vigenti in materia di imposta sul reddito delle società, se presenta un enorme vantaggio per talune grandi imprese che approfittano delle lacune di tale normativa, si traduce invece in un chiaro svantaggio per le piccole, piccolissime e medie imprese, poiché questa pesantezza amministrativa frena le loro attività, in particolare quelle transfrontaliere;

11.

reputa che tale situazione dia luogo inoltre a uno squilibrio concorrenziale tra le imprese, principalmente tra le grandi multinazionali, che hanno le risorse necessarie per sottrarsi alla suddetta imposta ricorrendo a pianificazioni fiscali aggressive, e le piccole e medie imprese (PMI), che non dispongono di tali risorse;

12.

fa notare che, a livello dell’UE e nel lungo periodo, si registra una riduzione generalizzata delle aliquote legali dell’imposta sulle società;

13.

sottolinea, per contro, che, in questi ultimi anni, tale abbassamento delle aliquote è stato accompagnato da una serie di sviluppi diversi, quali l’ampliamento delle basi imponibili, l’aumento del numero delle società costituite e la debolezza dei tassi d’interesse (con la conseguente limitazione degli importi deducibili), sviluppi che avrebbero dovuto condurre a un aumento del gettito proveniente dall’imposta sul reddito delle società;

14.

osserva che è difficile comparare tra loro le aliquote effettivamente applicate nei vari Stati membri, e suggerisce pertanto di elaborare un metodo di calcolo comune che consenta di redigere una tabella comparativa delle aliquote fiscali effettive nei diversi Stati membri;

15.

sostiene — alla luce degli studi OCSE secondo cui alcune imprese multinazionali utilizzano strategie che consentono loro di versare imposte societarie pari ad appena il 5 %, mentre imprese più piccole versano fino al 30 % — la richiesta di imporre alle multinazionali di pubblicare nei loro bilanci, per ciascuno Stato membro e paese terzo in cui sono stabilite, una serie di informazioni aggregate, tra cui il risultato di esercizio prima delle imposte, le imposte sugli utili, il numero di dipendenti e le attività possedute; tali informazioni dovrebbero essere rese disponibili per il pubblico, eventualmente per mezzo di un registro centrale europeo.

Una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB)

16.

riconosce che una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) racchiude un duplice potenziale: in primo luogo ai fini della lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva, la frode fiscale, l’evasione fiscale e la concorrenza fiscale dannosa tra Stati membri e, in secondo luogo, ai fini del rafforzamento del mercato unico e della riduzione degli oneri amministrativi che gravano sulle società di ogni dimensione che svolgono attività transfrontaliere;

17.

reputa che, per le società, il calcolo della propria base imponibile secondo un unico insieme di norme fiscali, anziché di 28 regimi, rappresenterebbe una semplificazione e una fonte di risparmio in termini di oneri amministrativi, risparmio che sarebbe particolarmente significativo per le PMI che sono attive in diversi Stati membri;

18.

sottolinea, pertanto, gli effetti positivi che una CCCTB potrebbe avere sulla crescita economica, l’occupazione e la giustizia fiscale, come pure sulle finanze pubbliche, comprese quelle degli enti locali e regionali.

Aspetti locali e regionali di una CCCTB

19.

considera che, benché la CCCTB non riguardi — almeno nella proposta del 2011 — direttamente le imposte locali e regionali, la sua introduzione avrebbe comunque un impatto sul gettito fiscale delle amministrazioni locali e regionali, una parte del quale proviene, a seconda degli Stati membri, da imposte locali o regionali riscosse sulla base imponibile nazionale e/o da una quota dell’imposta societaria nazionale;

20.

invita la Commissione a studiare attentamente l’impatto che una nuova proposta legislativa di introduzione di una CCCTB potrebbe avere sugli enti locali e regionali e, più in particolare, sui loro bilanci, senza tuttavia riavviare interamente la procedura di valutazione d’impatto della CCCTB, che ne ritarderebbe inutilmente l’attuazione;

21.

sottolinea che, in alcuni Stati membri, l’introduzione di un regime CCCTB si ripercuoterebbe anche sulle imposte locali e regionali, in quanto sarebbe logico, nell’interesse della semplificazione, che tale regime fosse utilizzato anche per calcolare le imposte locali e regionali.

CCCTB e aliquote d’imposta

22.

sottolinea che la CCCTB non è intesa ad armonizzare le aliquote fiscali, tenendo conto del fatto che nei trattati attuali non figura alcun articolo specifico per le imposte dirette. Nondimeno, questa assenza di prospettiva d’armonizzazione sulla base dei trattati attuali non osta all’ipotesi che alcuni Stati membri possano prevedere cooperazioni rafforzate in materia;

23.

osserva che il livello delle aliquote legali dell’imposta societaria nei diversi Stati membri è un indicatore impreciso, quando non addirittura fuorviante, tante sono le divergenze in termini di basi imponibili, deduzioni e regimi preferenziali; e sottolinea che, in certi casi, l’aliquota fiscale effettiva non è in alcun rapporto con quella legale;

24.

chiede pertanto, nell’interesse della trasparenza, che gli Stati membri e le regioni con competenze legislative in materia di imposte sulle società forniscano alla Commissione dati dettagliati concernenti l’aliquota media effettiva dell’imposta sul reddito delle società in vigore, tenendo conto di tutte le deduzioni.

Carattere obbligatorio e rinvio del consolidamento

25.

si rallegra del fatto che, nella sua nuova proposta, la Commissione intenda rendere la CCCTB obbligatoria, quantomeno per le società multinazionali, essendo chiaro che, tra queste società, quelle che ricorrono a strategie fiscali aggressive — o addirittura all’evasione o alla frode fiscale — non adotterebbero un regime CCCTB volto a impedire queste pratiche se tale regime fosse facoltativo;

26.

rammenta che, nel suo parere del 2011, aveva proposto che, al termine di un periodo transitorio, la CCCTB fosse resa obbligatoria, almeno per le imprese di certe dimensioni (2);

27.

ritiene auspicabile introdurre immediatamente una base imponibile comune consolidata per le società. Dato che i negoziati sul consolidamento sono lunghi e difficili, sostiene l’approccio della Commissione riguardante il rinvio dell’esame dell’elemento di consolidamento della CCCTB, se ciò consentirà di procedere con i negoziati sugli altri aspetti della proposta e in particolare sulla definizione della base imponibile comune. Prende quindi atto che la Commissione, nel suo programma di lavoro per il 2016 adottato lo scorso 27 ottobre, ha annunciato l’intenzione di ritirare l’attuale proposta di CCCTB, ma si chiede in quale misura la sua intenzione di sostituirla «con proposte per un approccio articolato in più fasi, cercando di raggiungere dapprima un accordo su una base imponibile obbligatoria» anticipi le conclusioni della consultazione pubblica lanciata dalla Commissione stessa l’8 ottobre e che è aperta fino all’8 gennaio 2016;

28.

ribadisce, però, che il consolidamento deve continuare a rientrare tra gli obiettivi delle istituzioni europee e degli Stati membri in materia di fiscalità delle imprese, nel senso che esso fornirebbe una risposta alle questioni del prezzo dei trasferimenti intragruppo (transfer pricing) all’interno dell’UE e ai problemi di evasione fiscale ad esse collegati, oltre a rappresentare una semplificazione e comportare un notevole risparmio in termini di oneri amministrativi per le imprese;

29.

ritiene che, qualora i negoziati sul consolidamento dovessero fallire, si potrebbe considerare la possibilità di introdurre un’aliquota d’imposta minima;

30.

teme peraltro che il meccanismo di compensazione transfrontaliera temporanea previsto dalla Commissione in attesa dell’introduzione del consolidamento rischi di aprire nuove opportunità di pianificazione fiscale aggressiva; e, alla luce di tale rischio, che si tradurrebbe per gli Stati membri in una considerevole perdita di entrate invita la Commissione ad accelerare il calendario di attuazione proposto inizialmente.

Altre considerazioni sulla CCCTB

31.

considera che il trattamento fiscale favorevole riservato da numerosi regimi fiscali dell’UE all’indebitamento e agli interessi costituisca un freno alla diversificazione dei modelli di finanziamento delle imprese e impedisca il rafforzarsi anche nell’UE del finanziamento delle società con fondi propri, che è pratica corrente in altri paesi;

32.

chiede pertanto alla Commissione e agli Stati membri di favorire una più ampia diversificazione delle fonti di finanziamento per le società, che sarebbe indubbiamente benefica per la crescita e l’occupazione;

33.

ricorda la propria proposta, formulata nel parere del 2011 sulla CCCTB, di prendere in considerazione, nello stilare l’elenco delle spese deducibili, le spese correnti relative alla tutela dell’ambiente e alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra anche con riferimento ad iniziative finalizzate all’adozione di processi produttivi integrati a basso impatto ambientale;

34.

invita la Commissione a prevedere la deducibilità di tali spese nella sua nuova proposta legislativa, attesa per il 2016;

35.

fa osservare altresì, come già nel 2011, che, per conseguire appieno il suo obiettivo di semplificazione amministrativa, l’introduzione di una base imponibile consolidata comune dovrebbe essere affiancata dall’introduzione di regole contabili comuni.

Lavori in sede OCSE

36.

si rallegra per il fatto che i lavori dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) siano sfociati nell’adozione, da parte dei capi di Stato e di governo del G20, ad Antalya, il 16 novembre 2015, del suo piano d’azione contro l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (Base erosion and profit shifting — BEPS), che coinvolge 62 paesi; ritiene tuttavia insufficienti le disposizioni relative alle relazioni pubbliche «paese per paese» (country by country reporting), dato che l’azione 13 del pacchetto BEPS prevede la comunicazione automatica di dati soltanto presso le amministrazioni tributarie di residenza fiscale della società controllante, tendendo conto del fatto che, a livello UE, l’obbligo di comunicazione pubblica esiste già per le banche e le industrie estrattive stabilite nell’Unione europea;

37.

chiede alla Commissione europea, agli Stati membri e alle regioni con competenze legislative in materia di imposte sulle società di applicare in maniera vincolante il pacchetto BEPS, adottando una nuova direttiva «anti-BEPS» che contrasti efficacemente tali fenomeni nell’Unione europea;

38.

ritiene positivo che in sede Ecofin si sia giunti a un accordo sul nexus approach modificato, e inoltre considera che questa direttiva dovrebbe tradurre in diritto europeo vincolante anche il nexus approach modificato, adottato a livello OCSE nel quadro del pacchetto BEPS e nell’Ecofin nel quadro del gruppo Codice di condotta, in relazione ai suddetti patent boxes.

Giurisdizioni fiscali non collaborative

39.

è dell’avviso che, parallelamente alle iniziative e ai progressi necessari in seno all’UE, sia fondamentale rafforzare l’approccio europeo nei confronti delle giurisdizioni fiscali non collaborative, ossia i «paradisi fiscali»;

40.

ritiene che, in particolare in questo ambito, le divisioni tra Stati membri e la mancanza di coordinamento siano i fattori che permettono alle imprese di evitare una giusta imposizione;

41.

accoglie con favore la pubblicazione da parte della Commissione, in allegato alla sua comunicazione, di un «elenco delle giurisdizioni fiscali di paesi terzi non collaborative», e ritiene che si tratti di un’iniziativa dal forte significato simbolico;

42.

reputa inoltre che la pubblicazione di tale elenco debba essere la base per una discussione ambiziosa, tra tutti gli Stati membri, volta a definire un approccio comune e coordinato a livello europeo nei confronti di tali giurisdizioni, al fine di combattere le pratiche fiscali dannose che esse rendono possibili;

43.

si chiede se il criterio di inclusione nell’elenco delle giurisdizioni fiscali non collaborative pubblicato dalla Commissione non sia forse eccessivamente restrittivo, dato che esse devono essere qualificate come tali da almeno dieci Stati membri;

44.

si rallegra, a tale proposito, per li accordi del 2015 tra l’UE, da un lato, e Svizzera, Andorra e Liechtenstein, dall’altro, in quanto essi costituiscono un importante passo avanti nella trasparenza e nella lotta contro la frode fiscale;

45.

reputa che lo scambio automatico di informazioni previsto dagli accordi di cui al punto precedente sia un meccanismo efficace per ridurre e combattere le strategie fiscali aggressive e debba quindi essere generalizzato; e si rallegra altresì che numerose giurisdizioni non collaborative incluse nella lista della Commissione abbiano adottato, o si siano impegnate ad adottare, il nuovo standard mondiale in materia.

Bruxelles, 4 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


(1)  R. MURPHY (direttore di Tax Research UK), Closing the European Tax Gap [«Colmare il divario fiscale europeo»], relazione per il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, disponibile online all’indirizzo: http://www.socialistsanddemocrats.eu/sites/default/files/120229_richard_murphy_eu_tax_gap_en.pdf (testo in lingua inglese).

(2)  Parere del CdR sul tema «Una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB)» [relatore: Gusty GRAAS (LU/ALDE), ECOS-V-018, CdR 152/2011 fin], il cui testo è disponibile online all’indirizzo: http://webapi.cor.europa.eu/documentsanonymous/cdr152-2011_fin_ac_it.doc


10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/39


Parere del Comitato europeo delle regioni — La dimensione locale e regionale dell’accordo sugli scambi di servizi (TiSA)

(2016/C 051/08)

Relatore:

Helmuth MARKOV (DE/PSE), ministro della Giustizia, degli affari europei e della protezione dei consumatori del Land Brandeburgo

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

Osservazioni preliminari

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI

1.

l’accordo sugli scambi di servizi (Trade in Services Agreement — TiSA) è un accordo commerciale che (attualmente) 51 membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (1), compresa l’UE, stanno negoziando dall’inizio del 2013;

2.

le parti si prefiggono l’obiettivo di liberalizzare gli scambi di servizi, poiché questi ultimi costituiscono una componente importante dell’economia mondiale. Nell’UE circa il 68 % dei lavoratori è impiegato nel settore dei servizi, e 10 milioni di posti di lavoro dipendono dalle esportazioni di servizi. Per «liberalizzazione degli scambi di servizi» si intende principalmente l’eliminazione degli ostacoli incontrati dai prestatori di servizi nella fornitura di questi ultimi in altri paesi;

3.

sebbene i negoziati sul TiSA vengano condotti al di fuori dell’OMC, tale accordo deve essere compatibile con l’accordo generale sugli scambi di servizi (GATS), in modo da poter essere trasformato in accordo multilaterale qualora vi dovessero aderire in futuro altri membri dell’OMC;

Osservazioni generali

4.

aveva già rilevato, nel parere del 3 luglio 2003 sui negoziati dell’OMC relativi all’Accordo generale sul commercio di servizi (GATS), che i negoziati sugli scambi di servizi rivestono un’importanza cruciale dal punto di vista regionale e locale, sia per gli interessi dell’economia regionale (le imprese, in particolare le PMI, insediate sul territorio di una regione sono interessate a un accesso più facile ai mercati esterni all’Unione), sia per quelli degli enti territoriali, che sono spesso il livello responsabile per la regolamentazione e, in determinati casi, la prestazione stessa dei servizi. Al tempo stesso il Comitato faceva presente che il principio della reciprocità dell’accesso ai mercati non può essere applicato alle imprese controllate dagli enti locali e regionali, dato il legame che esse intrattengono con il proprio territorio;

5.

sottolinea che queste considerazioni valgono anche per i negoziati sul TiSA, come pure la constatazione che i servizi pubblici si sono sviluppati a partire dalla concezione che gli enti locali e regionali hanno dei loro compiti e obblighi nei confronti dei cittadini e che, pertanto, il controllo democratico nonché la continuità, l’accessibilità e la qualità di tali servizi dovranno essere garantiti anche in futuro;

6.

accoglie con favore l’approccio generale seguito nel progetto di relazione del Parlamento europeo sulle raccomandazioni alla Commissione in merito ai negoziati sul TiSA, secondo cui tali negoziati dovrebbero offrire vantaggi concreti ai consumatori e permettere alle parti interessate di avere accesso ai colloqui, in modo da facilitare la futura multilateralizzazione. Di conseguenza «i servizi pubblici e culturali, i diritti fondamentali alla riservatezza dei dati e a condizioni di lavoro eque, come anche il diritto di regolamentare non sono negoziabili e dovrebbero essere inequivocabilmente esclusi dall’ambito di applicazione dell’accordo». Esprime inoltre apprezzamento per i numerosi riferimenti alla dimensione locale e regionale dei negoziati TiSA contenuti nel progetto di relazione;

7.

sottolinea che il mandato negoziale dell’UE per il TiSA riguarda soltanto le disposizioni di accesso ai mercati e la non discriminazione dei fornitori di paesi terzi e non interessa, invece, il diritto dell’UE, dei singoli Stati e dei loro enti territoriali di regolamentare i servizi;

Raccomandazioni generali

8.

riconosce che i servizi sono una componente importante dell’economia mondiale ed europea e che a seguito dell’ulteriore liberalizzazione degli scambi di servizi operata dal TiSA si possono prevedere molteplici vantaggi economici, in primo luogo per il settore privato di diversi paesi;

9.

sostiene l’attuale dibattito sul TiSA e sottolinea la necessità di trovare un equilibrio tra le esigenze di riservatezza delle parti durante i negoziati e il requisito generale della trasparenza, in modo da garantire che si possano ottenere risultati legittimi con il coinvolgimento di tutte le parti interessate; ricorda a tal riguardo la pratica seguita in ambito OMC in materia di accesso pubblico ai documenti negoziali e si aspetta che questa sia applicata anche al TiSA;

10.

accoglie con favore gli sforzi della Commissione europea volti a garantire una maggiore trasparenza dei negoziati; sottolinea tuttavia che, anche se la Commissione europea ha reso pubblico il mandato negoziale, gli eletti locali e regionali, rappresentati a livello dell’UE dal CdR, devono essere invitati ai dialoghi condotti dalla Commissione europea all’inizio e alla fine dei cicli di negoziati;

11.

approva la scelta di inserire la seguente disposizione nelle direttive di negoziato per la Commissione europea: «l’accordo deve confermare il diritto dell’UE e dei suoi Stati membri di regolamentare e introdurre nuove regolamentazioni sulla fornitura di servizi nei loro territori per realizzare obiettivi di politica pubblica»;

12.

sottolinea, in relazione ai servizi di interesse generale, l’importanza di un riferimento agli articoli 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e al protocollo (n. 26) sui servizi di interesse generale nelle direttive di negoziato dell’accordo e chiede che sia pienamente rispettata l’autonomia a livello locale e regionale, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, del trattato sull’Unione europea (TUE); si rammarica tuttavia, in tale contesto, che in relazione ai servizi pubblici di interesse generale vengano utilizzati concetti differenti nei diversi accordi commerciali attualmente in fase di negoziato da parte dell’UE (CETA, TTIP, TiSA);

13.

rammenta che i negoziati sul TiSA non riguardano la privatizzazione di servizi;

14.

sottolinea la necessità di raccogliere dati completi e comparabili sull’impatto delle disposizioni del TiSA a livello locale e regionale e di aggiornare e monitorare le presentazioni statistiche e le previsioni economiche sulla base di questi dati e valutazioni d’impatto;

15.

esprime preoccupazione per il fatto che la valutazione dell’impatto sotto il profilo della sostenibilità (SIA) prevista nelle direttive di negoziato dell’UE (2) non sia ancora stata completata; chiede che in tale valutazione sia considerato l’impatto del TiSA sulla coesione territoriale (valutazione di impatto territoriale);

16.

sottolinea l’obbligo di cui all’articolo 11 del TFUE, in base al quale le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate anche nella politica UE in materia di commercio estero, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile;

17.

richiama l’attenzione della Commissione europea, nel quadro dei negoziati TiSA, sulle esigenze specifiche del livello locale e regionale. Tale compito potrebbe assumere un rilievo molto maggiore se, sulla base del parere della Corte di giustizia dell’Unione europea sull’accordo di libero scambio tra l’UE e Singapore, venisse confermato che l’accordo TiSA presenta le caratteristiche di un accordo commerciale misto, che in diversi Stati membri andrebbe sottoposto alla ratifica delle camere che rappresentano il livello regionale;

18.

ricorda che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del TFUE, la politica commerciale comune rappresenta un settore di competenza esclusiva dell’Unione. Tuttavia, nel rispetto del principio di sussidiarietà, è anche necessario chiarire sin dall’inizio la ripartizione delle competenze nei negoziati commerciali quando questi ultimi hanno un impatto su settori di competenza degli Stati membri.

Richieste

19.

sostiene l’approccio inteso a utilizzare un elenco negativo degli ambiti che devono essere esclusi dal TiSA a scopo di non discriminazione, mentre un elenco positivo dei settori di intervento ai quali l’accordo dovrebbe applicarsi servirebbe da riferimento per l’accesso ai mercati;

20.

si aspetta che le strategie volte a favorire l’uso dei dati, benché essenziali per le attività imprenditoriali e la crescita, vengano utilizzate solo se non compromettono il diritto dei cittadini a una tutela adeguata della vita privata (vale a dire, a una protezione completa e incondizionata dei dati personali); chiede pertanto una deroga generale e incondizionata per quanto riguarda le misure volte a proteggere la vita privata in rapporto al trattamento e alla diffusione dei dati personali e la riservatezza di registri e documenti contabili, in conformità con l’articolo XIV del GATS e in continuazione dello stesso; respinge inoltre, in linea di principio, l’applicazione dell’accordo a misure di protezione dei dati fintantoché l’UE non avrà introdotto un quadro giuridico completo in materia di tutela dei dati che sia adeguato ai progressi nel campo della digitalizzazione;

21.

respinge qualsiasi restrizione della sovranità normativa dei governi e degli enti locali e regionali, in particolare in materia di istruzione, cultura, teatri, biblioteche, musei e finanze nonché salute e sicurezza sul luogo di lavoro, tutela dell’ambiente, protezione dei dati, servizi sociosanitari finanziati con fondi pubblici, concessione di licenze per strutture sanitarie e laboratori, impianti per lo smaltimento dei rifiuti e centrali elettriche, norme a tutela dei consumatori, norme per la coesione sociale, scuole, servizi di istruzione finanziati dal settore pubblico e altri servizi analoghi a finanziamento privato nonché disposizioni in materia di appalti pubblici;

22.

è contrario all’introduzione di restrizioni al finanziamento incrociato tra imprese del medesimo ente territoriale, nella misura in cui tali restrizioni vadano oltre quelle previste dal diritto dell’Unione e del diritto degli Stati membri;

23.

esorta ad adottare una clausola di revisione che consenta un eventuale riesame dell’accordo, e a inserire nello stesso una disposizione in base alla quale sia possibile revocare in qualsiasi momento le decisioni in materia di liberalizzazione di un servizio;

24.

si oppone all’inclusione di clausole che obblighino le autorità a mantenere il grado di liberalizzazione raggiunto al momento dell’accordo (clausola di standstill), che vietino di ripristinare la fornitura, da parte dello Stato, di un servizio già liberalizzato [clausola di irreversibilità (ratchet)] e sottopongano automaticamente e interamente qualsiasi nuovo servizio alla liberalizzazione (clausola di garanzia del futuro);

25.

ritiene che il TiSA debba stabilire soltanto gli standard minimi necessari, senza limitare il diritto di applicarne di più elevati;

26.

chiede che nell’accordo venga inserito un capitolo sociale, il quale definisca, sulla base delle convenzioni pertinenti dell’OIL, delle norme di protezione sociale, in particolare nel settore del lavoro, senza che tale capitolo renda impossibile la multilateralizzazione del TiSA;

27.

invita a garantire, in caso di norme divergenti, il rispetto del principio del paese di destinazione, in particolare nel settore coperto dalla modalità 4 (libera circolazione di prestatori temporanei di servizi e di lavoratori oggetto di trasferimenti intrasocietari) per mantenere i requisiti in termini di qualifiche per l’assunzione e rispettare il diritto del lavoro e i contratti collettivi del paese ospitante; la libera circolazione dei prestatori temporanei di servizi e di lavoratori oggetto di trasferimenti intrasocietari non può e non deve essere sfruttata per impedire gli scioperi o allo scopo di eludere i contratti collettivi (mediante l’assunzione temporanea del personale);

28.

chiede che nel testo di negoziato venga dato pieno riconoscimento al diritto dell’Unione europea, dei governi nazionali e degli enti regionali e locali di regolamentare nell’interesse pubblico («diritto di regolamentare») e parte dal principio che la cooperazione normativa non debba, a nessun livello, compromettere la legislazione o i regolamenti democratici, né rallentare il loro processo di elaborazione;

29.

invita a prevedere nel TiSA la possibilità di verificare per via giudiziaria il rispetto dei diritti umani in relazione agli scambi di servizi;

30.

chiede che le controversie giuridiche che interessano il rispetto dell’accordo debbano essere presentate dinanzi ai tribunali civili del luogo del convenuto o dei convenuti, nella lingua e ai sensi delle norme vigenti in tale paese; inoltre, deve essere possibile presentare un ricorso; le procedure di risoluzione delle controversie tra Stati dovrebbero fare riferimento a quelle attualmente in vigore a livello dell’OMC, mentre non è auspicabile che l’accordo contenga un meccanismo di risoluzione delle controversie investitore-Stato;

31.

propone di considerare l’inclusione di disposizioni sulla protezione dei consumatori online, in particolare contro le attività fraudolente nonché per una speciale competenza territoriale in materia di vendite al consumatore sul modello del regolamento Bruxelles I;

32.

si aspetta che sia garantita la fornitura del servizio universale, tra l’altro per assicurare che gli abitanti delle regioni remote, frontaliere, insulari, di montagna ecc. non debbano sostenere limitazioni della qualità dei servizi né oneri finanziari maggiori rispetto agli abitanti degli agglomerati urbani;

33.

si oppone all’inserimento delle norme locali e regionali in materia di pianificazione del territorio e dei piani regionali di sviluppo e/o urbanismo tra le barriere non tariffarie agli scambi;

34.

accoglie con favore il fatto che i servizi audiovisivi siano stati esplicitamente esclusi dai negoziati; si rammarica, tuttavia, che la medesima esclusione non si applichi ai servizi culturali; è pertanto preoccupato per la difficoltà di delimitare i servizi culturali e chiede la protezione della diversità linguistica e delle specificità culturali degli enti locali e regionali, tenendo conto in particolare degli interessi delle minoranze, come pure dei diritti d’autore e dei diritti di proprietà intellettuale;

35.

si oppone fermamente all’introduzione di obblighi nel campo dei servizi finanziari che siano in contrasto con le disposizioni vigenti nell’UE per regolamentare i mercati e i prodotti finanziari;

36.

attende con interesse una seconda consultazione pubblica riguardo all’accordo sugli scambi di servizi e raccomanda vivamente alla Commissione europea di tenere conto dei risultati di questa e della precedente consultazione nella sua valutazione finale delle disposizioni dell’accordo;

37.

chiede che i negoziati per il TiSA siano concepiti in modo aperto, in maniera da consentire anche ai paesi in via di sviluppo e ai paesi meno avanzati di associarvisi, se lo desiderano;

38.

sottolinea la necessità di un approccio multilaterale per un mondo sempre più interconnesso;

39.

chiede che vengano negoziate norme commerciali che contribuiscano sia a un commercio giusto ed equo sia allo sviluppo sostenibile, e accoglie con favore, in tale contesto, l’annuncio fatto dalla Commissione europea, nella sua strategia in materia di commercio, secondo cui la politica commerciale europea deve essere in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Bruxelles, 4 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


(1)  I paesi che attualmente partecipano ai negoziati sul TiSA sono: Australia, Canada, Cile, Colombia, Corea del Sud, Costa Rica, Giappone, Hong Kong, Islanda, Israele, Liechtenstein, Mauritius, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Pakistan, Panama, Paraguay, Perù, Stati Uniti, Svizzera, Taiwan, Turchia e i 28 Stati membri dell’UE.

(2)  Cfr. il punto 10 in: http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-6891-2013-ADD-1-DCL-1/it/pdf


10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/43


Parere del Comitato europeo delle regioni — Il futuro del Patto dei sindaci

(2016/C 051/09)

Relatrice:

Kata TÜTTŐ (HU/PSE), membro del consiglio del 12o distretto di Budapest

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI,

Il rafforzamento del Patto dei sindaci e la definizione di nuovi obiettivi

1.

sostiene sin dal suo avvio il Patto dei sindaci, un movimento europeo lanciato nel 2008 allo scopo di contribuire, grazie a obiettivi in materia di efficienza energetica e di energie rinnovabili assunti autonomamente dai comuni firmatari, al raggiungimento e se possibile al superamento dell’obiettivo dell’UE di ridurre del 20 % entro il 2020 le proprie emissioni di CO2. Il Patto ha ormai firmatari in ogni Stato membro, con un’unica eccezione. Vi hanno aderito oltre 6 000 enti locali e regionali dell’UE, che rappresentano un terzo della popolazione dell’Unione. I firmatari si sono impegnati a ridurre le loro emissioni di CO2 in media del 28 %;

2.

riconosce, in linea con i suoi precedenti pareri (1), che il Patto dei sindaci, sin dalla sua creazione, ha riscosso un successo senza precedenti sia nella mobilitazione degli enti locali e regionali in tutte le questioni riguardanti il clima e l’energia, che nella costruzione di una struttura di governance multilivello;

3.

apprezza in particolare che la Commissione europea abbia avviato e finanziato questa iniziativa, la quale, attraverso misure nel campo delle energie pulite e del risparmio energetico, sta aiutando oltre 6 400 regioni e città di tutto il mondo a limitare le loro emissioni di CO2, un’azione che, sulla base di impegni volontari, comporterà una riduzione del 28 % entro il 2020;

4.

ha costantemente messo l’accento sulla necessità di adottare un approccio globale alla lotta ai cambiamenti climatici e all’adattamento ai suoi inevitabili effetti; plaude pertanto alla decisione della Commissione europea di accorpare l’iniziativa del Patto dei sindaci con quella denominata «I sindaci si adattano» (Mayors ADAPT) e la invita ad esplorare tutte le sinergie che ne potranno scaturire; raccomanda di seguire un metodo analogo per quanto riguarda l’iniziativa del Patto delle isole;

5.

considera significativo che nell’attuazione di questo obiettivo si punti in primo luogo all’aumento dell’efficienza energetica degli edifici pubblici, all’ammodernamento dell’illuminazione pubblica e allo sviluppo dei trasporti urbani. La riduzione delle emissioni di CO2 perseguita deriverà per il 44 % da miglioramenti del rendimento energetico degli edifici, inoltre si prevede una riduzione del 20 % dei consumi energetici entro il 2020 grazie agli investimenti nell’edilizia e nei trasporti;

6.

intende mantenere il sostegno istituzionale fornito al Patto dei sindaci mediante le proprie risorse e, attraverso i propri membri, invita ad aderire al Patto e a impegnarsi per l’attuazione degli obiettivi della politica energetica dell’Unione europea e per il superamento dei valori obiettivo stabiliti;

7.

condivide e sostiene l’ampliamento e l’aggiornamento degli obiettivi del Patto dei sindaci in linea con il quadro 2030 per le politiche dell’energia e del clima dell’UE, in particolare la riduzione di oltre il 40 % (2) rispetto al 1990 (3) delle emissioni di gas a effetto serra, e chiede che tra i nuovi obiettivi figuri, oltre all’efficienza energetica, anche l’uso sostenibile delle risorse;

8.

invita la Commissione europea a garantire la continuità delle attività del Patto dei sindaci anche dopo il 2020 e, a tale scopo, a mettere a disposizione dell’iniziativa un bilancio amministrativo autonomo che sia all’altezza delle crescenti ambizioni politiche del progetto, in modo da garantire al Patto una prospettiva a lungo termine. Poiché ormai il 2020 non è più così lontano, e ha sempre meno senso per le città assumere nuovi e ambiziosi impegni con una scadenza così ravvicinata, e poiché il quadro delle politiche dell’UE in materia di clima e di energia menziona la scadenza del 2030, occorrerebbe indicare il 2030 come scadenza intermedia, e il 2050 come orizzonte temporale per gli obiettivi a lungo termine, conformemente alla strategia intesa a fare dell’UE un’economia a basse emissioni di CO2 entro il 2050;

9.

nel medio periodo suggerisce di modificare l’obiettivo fissato per il 2030, sulla base delle relazioni scientifiche del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (4) e delle proprie raccomandazioni in merito al quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte del 2030 (5), ossia mirando a una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 50 % rispetto ai valori del 1990. Rileva, tuttavia, che il quadro normativo dell’UE attualmente in preparazione fissa come obiettivo una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra pari al 40 %;

10.

a lungo termine raccomanda che le parti contraenti perseguano, entro il 2050, una riduzione di almeno il 95 %. Sulla base delle documentate relazioni scientifiche del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, l’UE si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra in misura compresa tra l’80 e il 95 % rispetto ai livelli del 1990. Poiché appaiono continuamente nuovi dati scientifici in merito all’intervento e all’esigenza di fare sforzi maggiori in risposta al peggioramento delle condizioni climatiche, il CdR raccomanda che il Patto dei sindaci prenda come base il valore obiettivo più elevato, ossia il 95 %;

11.

è tuttavia contrario alla proposta di rendere più restrittive le condizioni di adesione al Patto dei sindaci; l’obiettivo relativo alle emissioni di CO2 dovrebbe essere innalzato, anche se di pochissimo, perché la semplicità costituisce uno dei fattori di attrazione del movimento, ma suggerisce di considerare, per i firmatari più ambiziosi, un sistema interno a più livelli, corredato da un metodo di riconoscimento, in particolare per le questioni fondamentali, come la progettazione di edifici, i trasporti ecc.;

12.

suggerisce di dedicare maggiore attenzione ai comuni e ai centri di minori dimensioni, dato che il 56 % dei centri abitati dell’UE ha una popolazione compresa tra 5 000 e 100 000 abitanti. I centri abitati e le città di dimensioni piccole e medie dispongono complessivamente di una forte influenza sull’attuazione dei principi di uno sviluppo urbano sostenibile. Raccomanda pertanto di definire misure di semplificazione e modernizzazione sia dei piani d’azione per l’energia sostenibile (SEAP), inclusa una semplice scheda finanziaria, che del sistema di monitoraggio in modo da tener conto delle dimensioni del centro abitato, perché tra i comuni meno popolosi ve ne sono alcuni per i quali gli adempimenti amministrativi oggi in vigore relativi al Patto risultano eccessivamente complessi.

La globalizzazione del Patto dei sindaci

13.

constata con soddisfazione che il Patto ha già superato i confini dell’UE: infatti fino a oggi enti locali di oltre 50 paesi di tutto il mondo vi si sono associati, aderendo volontariamente agli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2;

14.

sostiene l’esportazione a livello globale del modello del Patto dei sindaci, ed è pronto a contribuire alla diffusione di tale modello grazie ai partenariati in corso con città e regioni di paesi terzi, in particolare con quei paesi del vicinato dell’UE con cui ha già realizzato delle strutture di cooperazione attraverso le piattaforme ARLEM e Corleap o tramite i propri comitati consultivi misti e gruppi di lavoro, aiutando in tal modo le città e le regioni del mondo ad affrontare la sfida dei cambiamenti climatici;

15.

invita la Commissione a promuovere anche al di fuori dell’UE i principi e le buone pratiche di successo del Patto dei sindaci e a sostenere, nell’interesse degli obiettivi climatici, la diffusione del modello di governance multilivello (6), che può aprire la strada a ulteriori cooperazioni decentrate.

Estendere il novero dei firmatari e promuovere il movimento negli Stati membri dell’UE

16.

constata con compiacimento che numerosi membri del CdR sono rappresentanti di enti locali già associati al Patto dei sindaci, e incoraggia i membri del Comitato a promuovere l’iniziativa del Patto nelle rispettive città o regioni e a garantire la continuità delle politiche ai fini dell’attuazione dei suoi obiettivi;

17.

ritiene che semplificare l’elaborazione e l’attuazione dei piani d’azione per l’energia sostenibile e il relativo processo di notifica potrebbe servire ad attrarre nuovi firmatari. Sotto questo profilo, potrebbe risultare molto utile anche migliorare le procedure di valutazione dei piani d’azione per l’energia sostenibile e ridurre i tempi massimi di valutazione di tali piani, tenendo conto del fatto che attualmente le piccole città e le località rurali non hanno accesso alle risorse né ai finanziamenti per applicare i piani d’azione per l’energia sostenibile;

18.

ritiene che le regioni e i comuni che hanno già un’esperienza potrebbero svolgere un ruolo guida e assistere altri enti locali o regionali nell’adesione all’iniziativa, nell’elaborazione dei piani d’azione per l’energia sostenibile e nella condivisione delle migliori pratiche;

19.

suggerisce di nominare in ciascuno Stato membro un «Ambasciatore del Patto dei sindaci», per richiamare l’attenzione sul Patto nelle città e nelle regioni, comprese quelle che a causa di un cambio di guida politica non sono necessariamente interessate a proseguire la loro partecipazione all’iniziativa. Questi «Ambasciatori» potrebbero essere scelti su base volontaria tra i membri del Patto dei sindaci e beneficerebbero del sostegno del CdR, dei ministeri nazionali competenti e, attraverso le rappresentanze permanenti degli Stati membri, della Commissione europea. Al tempo stesso, saranno anche incaricati di fare un resoconto degli obiettivi, in generale, per ciascun paese;

20.

raccomanda di utilizzare i partenariati locali e regionali esistenti, e in particolare i gemellaggi tra città, per continuare a promuovere, all’interno e all’esterno dell’UE, il Patto e i suoi obiettivi, contribuendo a farne un movimento mondiale.

Il ruolo delle regioni nell’ambito del Patto dei sindaci

21.

ricorda che l’obiettivo del Patto dei sindaci è creare una struttura di governance che, sulla base della governance multilivello e in linea con il principio di sussidiarietà, garantisca un adeguato coordinamento tra tutti i livelli di governo, affinché al livello più ambizioso si adottino misure efficaci sotto il profilo dei costi. È condizione essenziale che l’iniziativa di adottare le misure proceda dal basso verso l’alto. La mobilitazione delle comunità locali e dei cittadini in generale è fondamentale. Il livello del governo locale è il più idoneo per l’elaborazione e l’attuazione di piani d’azione, nonché per garantire l’impegno della popolazione al riguardo. Le regioni garantiscono il coordinamento e forniscono assistenza alle città che dispongono di risorse limitate per l’elaborazione dei piani di azione per l’energia sostenibile. Le autorità nazionali svolgono anch’esse un lavoro di coordinamento e distribuiscono le risorse nazionali ed europee; il livello dell’UE, invece, decide in merito al quadro regolamentare, al finanziamento e ai programmi di assistenza tecnica;

22.

sottolinea che, ai fini di risultati ottimali, tutti i livelli di governo devono svolgere la funzione e il ruolo di loro competenza nel Patto dei sindaci e che inoltre, dopo vari anni di attività del Patto, occorre limitare per quanto possibile gli impegni;

23.

fa osservare che le regioni o le microregioni (livello NUTS 4) possono svolgere un ruolo fondamentale nel sostenere le città firmatarie del Patto dei sindaci nella preparazione e nell’attuazione dei piani di azione per l’energia sostenibile e nello scambio delle migliori pratiche, allo scopo di evitare duplicazioni delle attività o anche per fare in modo che numerose città piccole e medie possano partecipare all’iniziativa; questo ruolo essenziale delle regioni di ogni dimensione è riconosciuto formalmente attraverso la loro adesione al Patto dei sindaci in veste di coordinatrici territoriali;

24.

ribadisce le sue precedenti raccomandazioni sull’esigenza di riconoscere e rafforzare la funzione di coordinamento svolta nel Patto dei sindaci dalle regioni, le quali hanno un ruolo importante nel coinvolgere i comuni più piccoli nelle azioni e nei progetti, mentre non percepiscono alcuna compensazione per le spese affrontate.

Proposte riguardanti iniziative analoghe

25.

riconosce, tuttavia, che il Patto dei sindaci non costituisce l’unico ed esclusivo percorso adeguato nella lotta contro i cambiamenti climatici, poiché esistono altre iniziative simili negli Stati membri e nell’ambito del Consiglio d’Europa, e occorre assicurare le sinergie tra loro. Le iniziative nazionali e regionali sono importanti per fornire un appoggio di tipo più operativo, in particolare ai comuni di dimensioni minori. Occorre riesaminare la comunicazione e gli impegni all’interno del Patto dei sindaci per facilitare il coordinamento con altre iniziative internazionali, al fine di conferire visibilità agli enti locali e regionali nel quadro dei negoziati sul clima delle Nazioni Unite (ad esempio il Compact of Mayors, il registro Carbonn delle città per il clima e la piattaforma NAZCA);

26.

ribadisce la raccomandazione di integrare le iniziative Patto dei sindaci e «I sindaci si adattano», già avanzata nel parere sulla Strategia dell’UE di adattamento ai cambiamenti climatici (7), e suggerisce di integrare alle prime due anche l’iniziativa Patto delle isole;

27.

richiama l’attenzione dell’Ufficio del Patto dei sindaci e della Commissione europea sull’utilità delle sinergie che possono derivare dall’incontro tra, da un lato, gli impegni politici risultanti dall’integrazione del Patto dei sindaci con l’iniziativa «I sindaci si adattano», e dall’altro, le soluzioni tecnologiche offerte dall’iniziativa Città intelligenti (SMART Cities);

28.

richiama l’attenzione sul fatto che le varie iniziative, le differenti procedure di adesione, gli obiettivi che in parte si sovrappongono e i diversi sistemi di controllo possono provocare confusione, e chiede pertanto un coordinamento, su iniziativa del Patto dei sindaci, e una strutturazione migliore di tali elementi, con particolare attenzione per la trasparenza, la comprensibilità della comunicazione e la riduzione degli oneri amministrativi; raccomanda di prendere in considerazione una soluzione basata su uno sportello unico, dove gli enti locali e regionali possano ricevere tutte le informazioni necessarie sulle varie iniziative;

29.

osserva che l’accesso al sostegno o al finanziamento continua a rappresentare un serio ostacolo all’attuazione dei piani d’azione per l’energia sostenibile, in particolare nel caso dei piccoli comuni o nei paesi in cui sono stati realizzati importanti tagli di bilancio;

30.

richiama l’attenzione sul fatto che, accanto a un sostegno e a un quadro istituzionale solidi, gli enti locali e regionali hanno bisogno di un ambiente giuridico, finanziario, metodologico e promozionale favorevole alla creazione di reti e in grado di agevolare il conseguimento degli obiettivi (8);

31.

si oppone a qualsiasi discriminazione nei confronti degli enti locali che non hanno aderito al Patto.

Questioni relative al finanziamento

32.

esprime preoccupazione per il fatto che i comuni di dimensioni piccole e medie hanno grandi difficoltà ad accedere alle risorse dell’UE, poiché in parte non sono a conoscenza delle possibilità di finanziamento a loro disposizione, in parte non hanno le capacità necessarie per elaborare piani al livello dei progetti in grado di beneficiare dei fondi; per tali ragioni il CdR rivolge un forte appello alla Commissione europea e al Patto dei sindaci affinché provvedano a informarli in merito alle possibilità di finanziamento di cui dispongono per realizzare i loro impegni (9). Più in generale auspica che vengano predisposti regimi di finanziamento ad hoc per i comuni piccoli e medi;

33.

osserva che i piani d’azione per l’energia sostenibile, nella forma approvata dal Centro comune di ricerca dell’UE, costituiscono eccellenti progetti di risparmio energetico urbano, ma ai fini del finanziamento bancario e della partecipazione del capitale privato sono necessari piani trasposti in progetti, e gli enti locali mancano spesso della capacità di provvedere alla loro elaborazione. Il programma ELENA, gestito dalla Banca europea per gli investimenti (BEI), può fornire un contributo al riguardo, ma serve quasi soltanto per grandi progetti. Al fine di consentire al maggior numero possibile di piani di vedere la luce, è necessario avviare, sul modello del programma ELENA, programmi nazionali e regionali che offrano possibilità di finanziamento anche per progetti di piccole dimensioni, specie nei comuni piccoli e medi;

34.

raccomanda di fornire ai firmatari ulteriore assistenza tecnica (studi di fattibilità, ingegneria tecnica e finanziaria, procedure di appalto ecc.) in modo che sia possibile preparare, sulla base delle misure dei loro piani d’azione per l’energia sostenibile, progetti finanziabili, e predisporre regimi di finanziamento a lungo termine volti a mobilitare gli investimenti necessari. Lo strumento ELENA della BEI ha aiutato alcuni firmatari ad attuare modelli di finanziamento vasti e a lungo termine, ma è molto selettivo in termini di entità ed effetto leva del progetto, cosa che esclude direttamente i firmatari di piccole e medie dimensioni. È necessario un maggiore sostegno dell’Unione europea per fornire assistenza allo sviluppo dei progetti di piani di azione per l’energia sostenibile di varie dimensioni. Occorrerebbe razionalizzare varie fonti di finanziamento, tra cui gli strumenti BEI (FEIS, EIAH, ELENA), i fondi SIE (Fi-Compass), Orizzonte 2020, EEEF, Jessica, la futura iniziativa di finanziamento intelligente per edifici intelligenti ecc.;

35.

invita la Commissione europea a consentire all’Ufficio del Patto dei sindaci di facilitare, eventualmente attraverso una piattaforma online, l’interconnessione dei progetti degli enti locali, affinché accedano al servizio fornito dal programma ELENA, gestito dalla BEI; chiede alla Commissione europea di aumentare l’assistenza tecnica e l’aiuto alla creazione di capacità offerti ai firmatari del Patto;

36.

insiste sulla necessità di raccogliere tutte le informazioni relative alle possibilità di finanziamento in un opuscolo aggiornato annualmente e comprensibile, disponibile in tutte le lingue ufficiali dell’UE, e chiede che tale pubblicazione venga trasmessa alle parti interessate, tra cui anche il CdR e i suoi membri.

La cooperazione tra il CdR e il Patto dei sindaci

37.

ricorda che il Comitato delle regioni, in quanto istituzione dell’UE che rappresenta la voce delle regioni e delle città europee e punto di contatto per molte reti locali, dovrebbe svolgere un ruolo centrale nel sistema di governance multilivello. Occorre inoltre mantenere un pieno sostegno per il lavoro all’interno di sistemi di governance multilivello che le agenzie regionali e locali per l’energia in Europa e le loro reti hanno svolto nel quadro del Patto dei sindaci. Ciò garantirebbe che la legislazione dell’UE sia più adeguata alla situazione e alle esigenze delle città;

38.

è pronto ad elaborare delle azioni destinate ad accrescere la visibilità del Patto dei sindaci tra i suoi membri e incoraggia quelli che non l’abbiano ancora fatto ad aderire al Patto a nome dei rispettivi enti locali e regionali; a tal fine, valuterà la possibilità di creare, tra i suoi membri che sono anche firmatari dell’iniziativa, uno specifico gruppo di «amici del Patto dei sindaci», i quali potrebbero beneficiare di un sostegno per promuovere il Patto nell’ambito delle pertinenti strutture sia interne che esterne al CdR;

39.

fa presente che l’attuale emergenza rifugiati, causata principalmente dalla guerra e dalle difficoltà economiche, potrebbe aggravarsi in futuro se l’azione di contrasto dei cambiamenti climatici non verrà portata avanti con successo e, quindi, le conseguenze di tali cambiamenti minacceranno la sopravvivenza di un numero sempre maggiore di persone;

40.

aggiunge in conclusione che il Patto dei sindaci è uno degli strumenti che possono contribuire a rendere l’UE più prossima ai cittadini; è confermato che gli enti locali sono in grado di superare, sulla base di impegni volontari, gli obiettivi dell’UE; risultati ancora più ambiziosi possono essere realizzati a condizione che anche le famiglie contribuiscano, eventualmente su iniziativa di un ente locale, e riescano a fissare loro obiettivi specifici per un consumo energetico ridotto, più pulito e più sostenibile, nell’interesse proprio e dell’intero pianeta.

Bruxelles, 4 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


(1)  CdR 1536/2015; CdR 1535/2015; CdR 4084/2014; CdR 2691/2014; CdR 6902/2013; CdR 5810/2013; CdR 140/2011; CdR 408/2010; CdR 164/2010; CdR 241/2008.

(2)  In linea con l’obiettivo fissato nel quadro 2030 di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 40 % rispetto al 1990. I firmatari del Patto dei sindaci si sono impegnati ad andare al di là degli obiettivi dell’UE.

(3)  L’obiettivo dei fondatori del Patto dei sindaci era di ridurre entro il 2020 le emissioni di gas a effetto serra di oltre il 20 % rispetto al 1990.

(4)  http://www.ipcc.ch/publications_and_data/publications_and_data_reports.shtml

(5)  CdR 2691/2014.

(6)  CdR 89/2009.

(7)  CdR 3752/2013.

(8)  http://urban-intergroup.eu/wp-content/files_mf/position_paper_smart_cities_public_consultation_2011_en.pdf

(9)  CdR 283/2011.


10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/48


Parere del Comitato europeo delle regioni — Contributo al controllo dell’adeguatezza della direttiva sulla conservazione degli uccelli e della direttiva fauna-flora-habitat

(2016/C 051/10)

Relatore:

Roby BIWER (PSE/LU), membro del consiglio comunale di Bettembourg, Lussemburgo

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI,

Osservazioni generali

1.

sottolinea che una delle principali sfide ecologiche attuali consiste nell’arrestare e invertire entro il 2020 il declino della biodiversità e degli habitat naturali e il degrado dei servizi ecosistemici;

2.

ricorda che secondo i pertinenti considerando delle direttive dell’UE concernenti rispettivamente la conservazione degli uccelli selvatici (1) e la conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (2) (nel seguito «le direttive sulla natura»), la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualità dell’ambiente costituiscono un obiettivo essenziale di interesse generale perseguito dalla Comunità, e la diminuzione delle popolazioni selvatiche e dei loro habitat rappresenta un serio pericolo per la conservazione dell’ambiente naturale;

3.

esprime preoccupazione per il fatto che, secondo ricerche recenti, come ad esempio la Relazione sullo stato della natura nell’Unione europea (3), è da prevedere che le misure adottate o programmate non consentiranno, da sole, di attuare l’obiettivo in materia di biodiversità all’orizzonte del 2020, ribadito anche dal Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2010;

4.

condivide l’osservazione formulata dalla Commissione europea nel quadro della strategia dell’UE sulla biodiversità (4), secondo cui la piena attuazione delle direttive sulla protezione della natura costituisce un elemento basilare per arrestare la perdita di biodiversità e realizzare i singoli obiettivi indicati nella strategia;

5.

fa osservare che gli enti locali e regionali hanno un ruolo essenziale nell’attuazione delle direttive sulla natura, ed è convinto che da tale ruolo derivi una particolare esperienza del Comitato europeo delle regioni con le suddette direttive;

6.

intende pertanto contribuire alla verifica dell’adeguatezza di tali direttive eseguita attualmente dalla Commissione europea (5), mettendo a disposizione la particolare esperienza su tali atti giuridici che gli deriva dal proprio mandato politico, ed esprime le seguenti posizioni sulle singole questioni sollevate dalla Commissione;

Pertinenza

7.

ritiene che le direttive sulla natura si basino su considerazioni e obiettivi ancora attuali, e siano pertanto imprescindibili per la protezione delle specie, dei loro habitat e dei tipi di habitat naturali nell’UE;

8.

osserva che le direttive sulla natura prendono in considerazione tutte le principali minacce per le specie, per i loro habitat e per i tipi di habitat naturali nell’UE;

9.

esprime tuttavia grande preoccupazione per il fatto che le disposizioni delle suddette direttive non sono ancora pienamente applicate da tutti gli Stati membri; segnala che spesso la garanzia giuridica dei siti Natura 2000 non è pienamente assicurata e che l’elaborazione dei piani di gestione e l’esecuzione di misure concrete di tutela sono ancora incomplete; si augura un maggior coinvolgimento degli enti locali e regionali in tali compiti;

10.

fa presente che le direttive sulla natura perseguono in tutti i settori di intervento un’ampia salvaguardia delle specie più bisognose di tutela, dei loro habitat e dei loro tipi di habitat naturali, e osserva che in futuro occorrerà integrare maggiormente le questioni di protezione della natura in altri settori di intervento, tra cui per esempio la politica agricola, nei quali manca ancora una considerazione ottimale di taluni aspetti della protezione della natura;

11.

in tale contesto considera le direttive sulla natura particolarmente rilevanti ai fini della tutela delle specie, dei loro habitat e dei loro tipi di habitat naturale dalle sollecitazioni e minacce a livello locale e regionale derivanti dalla perdita o dalla frammentazione di habitat naturali, dall’inquinamento e dalla diffusione di specie animali e vegetali non indigene;

Efficacia

12.

riconosce che, nei settori nei quali sono state applicate le direttive sulla natura, la situazione delle specie, dei loro habitat e dei tipi di habitat naturali è migliorata in maniera significativa (6), e che si può quindi ritenere che gli obiettivi delle suddette direttive possano essere realizzati grazie ad una piena attuazione delle stesse;

13.

sottolinea che vari esempi concreti contenuti nella Relazione sullo stato della natura nell’UE mostrano che gli Stati membri e gli enti locali e regionali svolgono un ruolo fondamentale nella protezione delle specie e degli habitat;

14.

esprime il forte timore che i successi nella tutela delle specie e degli habitat, ottenuti grazie alle direttive sulla natura, siano limitati e lacunosi, perché la maggior parte delle specie e dei tipi di habitat continua a trovarsi in uno stato di conservazione inadeguato, e in molti casi vi è addirittura il rischio di un peggioramento;

15.

osserva inoltre che, al di fuori delle aree tutelate dalle direttive sulla natura, la biodiversità non mostra sviluppi positivi analoghi a quelli che invece si presentano all’interno della rete Natura 2000, cosa che si evidenzia ad esempio nella drammatica perdita di specie di uccelli di ampia diffusione;

16.

è convinto che le discussioni tra differenti parti in causa, relative ad alcune specie in grado di provocare danni, possano essere risolte anche attraverso disposizioni chiare nei piani di gestione che, da un lato, dispongano una serie di interventi e, dall’altro, prevedano risorse finanziarie e umane adeguate per garantire la salute e la sicurezza pubbliche, evitare danni gravi e compensare quelli inevitabili;

17.

invita la Commissione europea e gli Stati membri a sostenere gli enti locali e regionali nella piena attuazione delle direttive sulla natura, in particolare per quanto riguarda la designazione e la garanzia giuridica dei siti Natura 2000 e la determinazione di obiettivi concreti di salvaguardia relativi alla tutela delle specie e degli habitat attraverso misure pratiche di tutela e di ripristino, nonché per quanto riguarda la mobilitazione delle necessarie risorse finanziarie, tra l’altro per far fronte alla mancanza di fondi e all’esigenza di semplificare l’accesso alle fonti di finanziamento esistenti (7);

18.

invita la Commissione europea a emanare orientamenti più efficaci sull’attuazione e ad aggiornare quelli già esistenti, in modo che siano facilmente reperibili, comprensibili e disponibili nelle varie lingue degli Stati membri attraverso un unico portale internet (8); tali orientamenti dovrebbero tenere conto della giurisprudenza in vigore ed eventualmente affrontare le specificità di differenti settori;

19.

propone alla Commissione europea di affidarsi maggiormente all’informazione, all’educazione e alla sensibilizzazione, in particolare per quanto riguarda l’utilità delle misure di protezione della natura e dei siti Natura 2000, e inoltre di sviluppare l’attuale mappa interattiva Natura 2000 viewer dell’Agenzia europea dell’ambiente, facendone un ampio sistema di informazione geografica online che informi in maniera sistematica il pubblico, i responsabili della pianificazione, gli utilizzatori del suolo e altri soggetti coinvolti, in merito a tutti gli aspetti dell’attuazione delle direttive sulla protezione della natura in relazione ai singoli siti Natura 2000;

20.

sulla base di quanto sopra è convinto che le carenze evidenziate e il preoccupante stato di conservazione di un gran numero di specie e di tipi di habitat non si debbano considerare come il risultato della scarsa efficacia delle direttive sulla protezione della natura, e che anzi tali direttive si siano dimostrate strumenti molto efficaci per la protezione della biodiversità;

Efficienza

21.

fa presente che la salvaguardia della biodiversità costituisce innanzitutto un compito della società, che deve essere svolto ai fini di una forma di economia e di vita sostenibile e quindi duratura e praticabile su scala globale;

22.

sottolinea che, in risposta a una consultazione pubblica organizzata dalla Commissione europea (9), le piccole e medie imprese hanno asserito che le direttive sulla natura non figurano tra gli atti giuridici più gravosi;

23.

si rammarica del fatto che gli addetti alla pianificazione, gli utilizzatori del suolo e altri settori essenziali hanno talvolta subito costi non necessari, ad esempio a causa di una tardiva o incompleta designazione dei siti Natura 2000; fa tuttavia presente che le differenze che intercorrono tra i costi a carico degli enti locali e regionali si spiegano col fatto che la varietà di specie e di habitat, e le relative misure di protezione della natura richieste, possono avere una distribuzione diseguale tra le varie regioni;

24.

mette pertanto in rilievo il fatto che numerosi siti Natura 2000 forniscono a livello locale e regionale servizi ecosistemici importanti e monetizzabili (10), ad esempio sotto forma di servizi per la salute, di assorbimento dell’anidride carbonica, di ritenzione delle piene, di depurazione delle risorse idriche, di mantenimento della qualità dell’aria e di prevenzione dell’erosione del suolo;

25.

fa osservare che recenti ricerche (11) confermano l’esistenza di un rapporto particolarmente favorevole tra costi e benefici a livello regionale e locale, grazie al fatto che i vantaggi ecologici, sociali ed economici superano di gran lunga i costi di attuazione delle direttive sulla protezione della natura;

26.

segnala le opportunità offerte dalla rete Natura 2000 in termini di creazione di occupazione e di reddito nei settori del turismo ecosostenibile e delle attività ricreative legate alla natura. Sottolinea la particolare importanza a questo proposito di creare nuove opportunità imprenditoriali nelle aree rurali svantaggiate;

27.

ritiene pertanto che i costi inevitabilmente legati all’attuazione delle direttive sulla protezione della natura siano necessari anche per ragioni di tutela della biodiversità — indispensabile ai fini della sostenibilità — e proporzionati ai benefici ben più grandi, e solo in parte quantificabili in termini economici, che derivano dalle direttive sulla protezione della natura;

Coerenza

28.

è convinto che le due direttive sulla natura costituiscano di per sé eccellenti esempi di una legislazione concisa, comprensibile, coerente, sistematica, e pertanto, nel complesso, orientata ai risultati;

29.

considera inoltre le due direttive sulla natura come strumenti legislativi efficaci, poiché hanno un funzionamento analogo, non sono in contraddizione l’una con l’altra e si integrano in maniera opportuna sotto il profilo dei requisiti materiali di tutela, costituendo insieme il regime di protezione Natura 2000;

30.

ritiene che le direttive sulla natura siano convergenti con altri atti giuridici dell’Unione europea in materia di ambiente, e ricorda a questo proposito la modifica introdotta espressamente a tal fine con la direttiva sulla valutazione dell’impatto ambientale (12); invita al tempo stesso gli Stati membri e gli enti locali e regionali a coordinare meglio l’attuazione dei vari atti giuridici in materia di protezione e, ad esempio, a promuovere l’integrazione delle procedure di autorizzazione e di monitoraggio e gli obblighi di segnalazione;

31.

considera che, per ragioni sia di tutela ambientale che di risparmio di costi superflui, potrebbe essere opportuno migliorare il coordinamento dei processi di pianificazione a norma delle direttive sulla natura, della direttiva quadro sulle acque (13) ed eventualmente della direttiva sulla valutazione di impatto ambientale e della direttiva sulla valutazione ambientale strategica (14);

32.

invita gli Stati membri a cooperare con gli enti locali regionali e a sostenerli nell’attuazione pratica di nuovi atti giuridici in materia ambientale, come ad esempio il regolamento dell’UE sulle specie esotiche invasive (15);

33.

considera problematico, nell’ottica della realizzazione degli obiettivi delle direttive sulla natura, il fatto che, a prescindere dalla buona integrazione di tali direttive nei rimanenti atti giuridici dell’Unione europea in materia ambientale, altre politiche settoriali dell’UE, come la politica agricola comune, la politica comune della pesca o le politiche in materia di energia e trasporti, continuino a non contribuire in maniera adeguata alla conservazione della biodiversità (16);

34.

ritiene indispensabile che la relazione intermedia della Commissione europea sui fondi strutturali e di investimento assuma l’impegno di introdurre una valutazione obbligatoria della biodiversità in tutti i progetti promossi dall’UE (17);

35.

invita inoltre la Commissione europea, ai fini della tutela di specie e habitat al di fuori dei siti Natura 2000 e delle specie che non rientrano nel severo regime di tutela, a presentare, conformemente alla strategia dell’UE sulla biodiversità, una proposta di quadro giuridico volto a prevenire le perdite nette di biodiversità e di servizi ecosistemici (18);

36.

in ragione di quanto sopra, è convinto che le direttive sulla natura, per il loro orientamento, siano adeguate a realizzare le finalità che sono alla loro base; ritiene tuttavia che occorra intraprendere nuovi sforzi per impedire azioni negative per la biodiversità in ambiti di intervento che non sono contemplati dalle misure delle direttive sulla natura;

Valore aggiunto dell’UE

37.

riconosce che le direttive sulla natura hanno contribuito considerevolmente, nelle regioni dei vari Stati membri, a una gestione più unitaria e più efficace della protezione della natura e delle specie, nonché a norme minime più rigorose in questi settori giuridici;

38.

fa osservare che la varietà di specie e di habitat in Europa è distribuita attraverso le frontiere, nonché in maniera non uniforme, e che pertanto, ai fini di una protezione transfrontaliera efficace, occorre un’azione a livello UE, volta a coordinare gli sforzi degli Stati membri;

39.

ricorda che le direttive sulla natura costituiscono lo strumento essenziale per fare in modo che l’UE possa adempiere agli obblighi internazionali derivanti dalla convenzione sulla diversità biologica e da ulteriori accordi internazionali, tra cui la Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa (Convenzione di Berna) e la Convenzione di Bonn sulla tutela delle specie migratrici e in tal modo, inoltre, influire in maniera positiva sulla biodiversità e sulla fauna e la flora selvatiche all’interno e all’esterno dell’UE;

40.

è persuaso che le direttive sulla natura abbiano contribuito sensibilmente all’introduzione di norme giuridiche omogenee negli Stati membri, consentendo ai soggetti economici di usufruire di un quadro unitario, con condizioni di concorrenza uguali, nel mercato interno;

41.

in considerazione di quanto precede sottolinea che, per realizzare gli obiettivi della strategia dell’UE sulla diversità biologica e delle convenzioni internazionali, è più che mai necessaria una legislazione unitaria a livello dell’UE, e che le direttive sulla natura costituiscono a tal fine una base eccellente;

Conclusioni

42.

è convinto che eventuali problemi connessi alla protezione delle specie e degli habitat non derivino dalle direttive sulla protezione della natura, ma dalle disposizioni di attuazione a livello locale, regionale e di Stato membro;

43.

ritiene pertanto non consigliabile procedere al riesame delle direttive sulla natura, anche in considerazione del fatto che le iniziali incertezze nell’interpretazione di tale direttive si sono nel frattempo dissolte, specialmente grazie alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea;

44.

ritiene che la revisione delle direttive sulla natura costituirebbe un errore anche perché gli enti locali e regionali hanno bisogno di tempo per attuare le misure rese possibili o previste dalle suddette direttive, ma non ancora realizzate, come per esempio i piani di gestione non ancora elaborati, e per sfruttare al massimo il potenziale offerto dalle direttive in questione;

45.

esprime forte preoccupazione, anche in considerazione degli interessi dei vari soggetti incaricati di applicare il diritto, per il fatto che in caso di revisione della legislazione vigente potrebbe avviarsi una fase di prolungate discussioni tra i soggetti sociali interessati dalla legislazione, cui potrebbe seguire una fase di incertezza giuridica della durata di vari decenni;

46.

esprime preoccupazione per la distruzione di singoli siti Natura 2000 e per le dimensioni assunte finora dall’uccisione e dalla cattura illegale di uccelli e di altre specie animali, ed è convinto che occorra uno sforzo maggiore a tutti i livelli di governo per sorvegliare e attuare la conformità alle disposizioni delle direttive sulla protezione della natura;

47.

ritiene pertanto indispensabile che la Commissione europea assuma con decisione il proprio ruolo di custode del diritto dell’UE, e la invita in tale contesto a valutare con attenzione i reclami in merito all’applicazione del diritto dell’UE, senza esimersi dall’avviare le opportune procedure di infrazione dei trattati;

48.

raccomanda alla Commissione europea di utilizzare la procedura di controllo dell’adeguatezza della normativa per sottolineare l’importanza di una migliore applicazione delle direttive sulla protezione della natura da parte degli Stati membri, e accoglie con favore l’approccio adottato da questi ultimi per coinvolgere gli enti locali e regionali nell’attuazione.

Bruxelles, 4 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


(1)  Direttiva 2009/147/CE (GU L 20 del 26.1.2010, pag. 7).

(2)  Direttiva 92/43/CEE (GU L 206 del 22.7.1992, pag. 7).

(3)  COM(2015) 219 final.

(4)  COM(2011) 244 final.

(5)  Cfr. il mandato della Commissione europea

http://ec.europa.eu/environment/nature/legislation/fitness_check/docs/Mandate%20for%20Nature%20Legislation.pdf

(6)  Cfr. COM(2015) 219 final citato più in alto.

(7)  Cfr. CdR 112/2010 fin e CdR 8074/2013.

(8)  Cfr. la relazione del CdR sulla valutazione di impatto territoriale 2015.

(9)  Cfr. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-188_it.htm

(10)  Brink/Badura/Bassi/et al., Estimating the Overall Economic Value of the Benefits provided by the Natura 2000 Network (Stima del valore economico complessivo della rete Natura 2000), 2011.

(11)  Da rapporti dell’UE risulta che l’attuazione integrale di tutti i siti Natura 2000 costerebbe agli Stati membri circa 6 miliardi di euro all’anno, mentre il valore dei relativi servizi ecosistemici ammonta a 300 miliardi di euro, e il potenziale occupazionale dei siti Natura 2000 ammonta a 8 milioni di posti di lavoro.

(12)  Direttiva 2014/52/UE (GU L 124 del 25.4.2014, pag. 1).

(13)  Direttiva 2000/60/CE (GU L 327 del 22.12.2000, pag. 1).

(14)  Direttiva 2001/42/CE (GU L 197 del 21.7.2001, pag. 30).

(15)  Regolamento (UE) n. 1143/2014 (GU L 317 del 4.11.2014, pag. 35).

(16)  Cfr. CdR 112/2010 fin; CdR 22/2009 fin; relazione del CdR sulla valutazione dell’impatto territoriale 2015 (Conflitti con la politica regionale).

(17)  Cfr. CdR 4577/2013 fin.

(18)  Cfr. CdR 4577/2013 fin; risoluzione del Parlamento europeo 2011/2307 (INI).