ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 268

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

58° anno
14 agosto 2015


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

506a sessione plenaria del CESE dei giorni 18 e 19 marzo 2015

2015/C 268/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’attuale sistema a garanzia della sicurezza degli alimenti e degli approvvigionamenti alimentari nell’UE e le possibilità di migliorarlo (parere d’iniziativa)

1

2015/C 268/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le isole intelligenti (parere d’iniziativa)

8

2015/C 268/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La cooperazione europea in materia di reti energetiche (parere d’iniziativa)

14

2015/C 268/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Ruolo dello sviluppo sostenibile e partecipazione della società civile nel quadro degli accordi di investimento autonomi dell’UE con paesi terzi

19


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

506a sessione plenaria del CESE dei giorni 18 e 19 marzo 2015

2015/C 268/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Un Piano di investimenti per l’Europa[COM(2014) 903 final] e alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) n. 1291/2013 e 1316/2013[COM(2015) 10 final — 2015/0009 (COD)]

27

2015/C 268/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Riesame della governance economica — Relazione sull’applicazione dei regolamenti (UE) n. 1173/2011, (UE) n. 1174/2011, (UE) n. 1175/2011, (UE) n. 1176/2011, (UE) n. 1177/2011, (UE) n. 472/2013 e (UE) n. 473/2013[COM(2014) 905 final]

33

2015/C 268/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1304/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo, per quanto riguarda un aumento del prefinanziamento iniziale versato a programmi operativi sostenuti dall’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile[COM(2015) 46 final]

40

2015/C 268/08

Parere del Comitato economico e sociale europeoin merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall’applicazione di una normativa adottata da un paese terzo e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti (rifusione)[COM(2015) 48 final — 2015/0027 (COD)]

45


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

506a sessione plenaria del CESE dei giorni 18 e 19 marzo 2015

14.8.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 268/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’attuale sistema a garanzia della sicurezza degli alimenti e degli approvvigionamenti alimentari nell’UE e le possibilità di migliorarlo»

(parere d’iniziativa)

(2015/C 268/01)

Relatore:

Igor ŠARMÍR

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 febbraio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, lettera A), delle modalità di applicazione del proprio regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«L’attuale sistema a garanzia della sicurezza degli alimenti e degli approvvigionamenti alimentari nell’UE e le possibilità di migliorarlo».

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 marzo 2015.

Alla sua 506a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 marzo 2015 (seduta del 18 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 181 voti favorevoli, 9 voti contrari e 17 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) apprezza che la sicurezza degli alimenti faccia parte delle priorità dell’Unione europea e che sia stato creato un solido sistema destinato a garantirla. Il Comitato si compiace in particolare per il fatto che la sicurezza degli alimenti nell’UE rientri, dal 2002, nelle competenze di un’agenzia specializzata — l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) — che dispone di tutti i mezzi necessari per valutare la sicurezza dei prodotti immessi sul mercato europeo.

1.2.

Il CESE ritiene che, nel corso della sua esistenza, l’EFSA abbia dimostrato la propria competenza e che ricopra incontestabilmente un ruolo molto importante nel campo della prevenzione dei rischi sanitari in Europa. Grazie all’agenzia, l’UE dispone di uno dei sistemi di protezione della sanità pubblica più efficaci al mondo. Tuttavia, considerando che la sanità pubblica è un tema estremamente delicato e che la fiducia dei consumatori rappresenta una delle preoccupazioni principali dell’EFSA, è necessario continuare a studiare le possibilità di migliorare il sistema attuale, in particolare in ragione dei nuovi interrogativi posti dalla scienza. A tal fine, il CESE ritiene opportuno formulare alcune proposte.

1.3.

La trasparenza della procedura di valutazione dei nuovi prodotti, chimici o di altro tipo, destinati a entrare nella catena alimentare costituisce sicuramente una condizione importante per aumentare la fiducia dei consumatori nei confronti del sistema e dei prodotti valutati. Il CESE ritiene che in questo settore siano possibili alcuni miglioramenti. Ad esempio, gli studi obbligatori presentati dai fabbricanti e finalizzati a dimostrare l’innocuità di un determinato prodotto non vengono pubblicati sulle riviste scientifiche e non solo i dati grezzi di tali studi non sono messi a disposizione della comunità scientifica in modo sistematico, ma in più il segreto commerciale è apertamente invocato in un buon numero di casi. Il Comitato è convinto che ciò non sia giuridicamente corretto dato che, secondo la stessa EFSA, i dati contenuti negli studi obbligatori non hanno carattere riservato.

1.4.

Il CESE chiede alla Commissione europea di apportare le opportune modifiche alla regolamentazione, per far sì che quest’ultima imponga, dopo la perizia effettuata dall’EFSA, di pubblicare sistematicamente sul sito web dell’agenzia di Parma gli studi obbligatori utilizzati e i relativi dati grezzi.

1.5.

Il Comitato si congratula con l’agenzia per le recenti iniziative volte a pubblicare informazioni in modo proattivo.

1.6.

In passato l’EFSA si era trovata in una situazione difficile a causa dei conflitti d’interessi di alcuni suoi esperti. Il CESE si congratula con l’agenzia per lo sforzo compiuto nel 2012 al fine di normalizzare la situazione, ma raccomanda di non abbassare la guardia data l’estrema delicatezza di questo particolare aspetto della valutazione ufficiale.

1.7.

Il compito dell’EFSA è complicato dall’esistenza di studi scientifici i cui risultati sono chiaramente influenzati dalla fonte del loro finanziamento, e che possono quindi dare adito a forti controversie. Il Comitato raccomanda all’EFSA di rivolgere un’attenzione particolare a questo fenomeno, dal momento che la letteratura scientifica è un riferimento importante della procedura di valutazione.

1.8.

Il CESE si congratula con l’EFSA per i notevoli sforzi compiuti in questi anni al fine di capire meglio l’azione delle miscele, nonché di mettere a punto metodologie nuove utilizzabili nel corso della procedura di valutazione, e incoraggia l’EFSA ad applicare tali metodologie il più rapidamente possibile.

1.9.

Il Comitato raccomanda una certa prudenza circa l’applicazione del principio secondo cui «è la dose che fa il veleno», perché da 20 anni buona parte degli endocrinologi fornisce prove indicanti che, nel caso delle sostanze denominate «interferenti endocrini», la variabile decisiva non è la quantità, ma il momento dell’esposizione. Queste nuove conoscenze non sono ancora state prese in considerazione dal quadro normativo, come è stato già evidenziato da una recente relazione del Parlamento europeo (1).

1.10.

Il CESE raccomanda alla Commissione europea di stabilire, dopo aver consultato la comunità degli endocrinologi, un elenco dei prodotti che possono avere un impatto negativo sullo sviluppo del sistema endocrino. Il CESE chiede alla Commissione di applicare il principio di precauzione alle sostanze che figureranno in questo elenco, in attesa che la comunità scientifica pervenga a una posizione condivisa sulla loro pericolosità ormonale o sulla loro innocuità.

1.11.

L’importazione di parassiti e malattie provenienti da paesi terzi può avere conseguenze drammatiche per i produttori e i consumatori dell’Unione europea. Il rafforzamento dei controlli alle frontiere, l’applicazione del principio di reciprocità e la volontà politica delle autorità europee risultano indispensabili per garantire la coerenza del sistema.

1.12.

L’UE deve dotarsi di un sistema commerciale che non riduca le garanzie in materia di sicurezza degli alimenti per i cittadini europei. La revisione della normativa in materia di salute delle piante e degli animali rappresenta un’opportunità per migliorare il funzionamento dei sistemi di controllo, per applicarli in modo uniforme e per impedire un impatto negativo in ambito sociale, ambientale ed economico.

1.13.

Il CESE chiede che venga garantita la piena tracciabilità degli alimenti «dall’azienda agricola alla tavola» (compresi quelli importati), così da permettere ai consumatori di scegliere alimenti di una certa qualità e conformi alle norme di sicurezza in vigore nell’UE.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il presente parere tratta due argomenti un po’ differenti, ma uniti da un denominatore comune: rassicurare la società europea circa la disponibilità di alimenti sicuri. La prima parte riguarda l’attuale sistema di valutazione dei nuovi prodotti destinati ad entrare nella catena alimentare, mentre l’obiettivo della seconda parte è segnalare alcuni aspetti problematici che il commercio internazionale di prodotti agroalimentari presenta sia per gli agricoltori che per i consumatori e i cittadini in generale.

2.2.

La sicurezza degli alimenti costituisce una delle priorità ufficiali dell’UE e, sul piano istituzionale, è sicuramente ben garantita dalla Commissione europea e dall’EFSA. È innegabile che la gestione dei rischi microbiologici possa considerarsi pienamente sotto controllo. Tuttavia, nel XX secolo ai rischi microbiologici si sono aggiunti i rischi chimici, e in questo campo la situazione è meno chiara.

2.3.

Negli ultimi 60 anni sono state immesse nell’ambiente oltre 1 00  000 nuove molecole prodotte dalla chimica di sintesi. Tuttavia, solo una parte trascurabile di tali prodotti (1-2 %) è stata valutata sotto il profilo dei possibili rischi per la salute umana (2), il che è preoccupante, fra l’altro, sul piano della sicurezza degli alimenti. Infatti, al di là delle sostanze che entrano direttamente nella catena alimentare (additivi, residui di pesticidi o di materie plastiche) e che, in via di principio, sono sottoposte alla procedura di valutazione, esistono anche sostanze che vi possono accedere indirettamente, tramite il suolo, l’aria o l’acqua.

2.4.

Dopo un uso e un consumo più o meno prolungati, un certo numero di prodotti della chimica di sintesi è stato ritirato dal mercato in seguito alla dimostrazione scientifica della loro tossicità e/o del loro potere cancerogeno (cfr. ad esempio il punto 2.5). Tuttavia, altri prodotti non sono ancora stati vietati nonostante l’esistenza di sospetti scientifici più o meno fondati. È dunque del tutto legittimo chiedersi quale sia il nesso tra l’esposizione della popolazione umana a questi nuovi prodotti sintetizzati chimicamente e l’aumento esponenziale dei casi di cancro e malattie neurodegenerative, nonché di sterilità, diabete e obesità che si registra nei paesi sviluppati.

2.5.

L’UE ha creato un sistema solido per la prevenzione dei rischi legati all’introduzione di nuovi prodotti, chimici o di altro tipo, nella catena alimentare. Sul piano istituzionale, la Commissione europea (DG SANTÉ) è responsabile della gestione dei rischi, mentre l’EFSA, in quanto agenzia europea competente dal punto di vista tecnico, è responsabile della valutazione dei rischi. L’applicazione del nuovo sistema ha già dato risultati confortanti per i consumatori: ad esempio, valutazioni approfondite hanno portato a ridurre drasticamente il numero dei pesticidi autorizzati nell’UE fra il 2000 e il 2008 (da 1  000 a 250). D’altro canto, una simile evoluzione preoccupa gli agricoltori, che cominciano a lamentare l’assenza di sostanze attive atte a combattere i parassiti. Paradossalmente, un buon numero di queste sostanze attive vietate nell’UE è autorizzato nei paesi terzi che esportano la loro produzione sul mercato europeo.

2.6.

Malgrado l’esistenza di un sistema solido, l’esperienza del suo funzionamento ha dimostrato che alcuni aspetti legati alle competenze possono ancora essere migliorati, tanto più che le nuove scoperte scientifiche e le loro applicazioni commerciali presentano spesso nuove sfide per la procedura di valutazione. Tali sfide sono di ordine sistemico e metodologico.

3.   Possibilità di migliorare il sistema di valutazione dei nuovi prodotti che entrano nella composizione dei prodotti alimentari

3.1.

La valutazione effettuata dall’EFSA si basa su uno studio scientifico che dovrebbe dimostrare l’innocuità di un determinato prodotto. Secondo la legislazione attuale, tale studio di riferimento deve essere presentato dal richiedente, ossia dalla società che intende immettere il prodotto sul mercato. Ed è qui il punto assai poco rassicurante, dal momento che i risultati degli studi scientifici possono essere radicalmente differenti a seconda della fonte che li finanzia (cfr. punto 3.4). Peraltro, è vero che la normativa europea applicata dall’EFSA prevede condizioni da rispettare al momento dell’effettuazione di tali studi, nonché — nel proseguimento della procedura di valutazione — meccanismi di ponderazione delle influenze suaccennate.

3.2.

Un altro aspetto problematico della procedura di valutazione è la confidenzialità degli studi obbligatori, che appare controversa: tali studi non vengono pubblicati sulle riviste scientifiche e i dati grezzi sono spesso coperti dal «segreto commerciale», per cui la comunità scientifica non può effettuare una controperizia (3). Il Comitato comprende la necessità di proteggere col segreto commerciale i dati e le informazioni sui prodotti nuovi, che potrebbero lasciarne trapelare la composizione o il processo di fabbricazione. Ciò però non vale per i dati contenuti negli studi obbligatori, i quali riportano soltanto la reazione delle cavie che hanno consumato i prodotti studiati. Dato che in questo caso l’applicazione del segreto commerciale non è giustificata dalla tutela dei legittimi interessi dei produttori (4), il CESE la giudica abusiva e chiede di adattare la legislazione al fine di rendere sistematicamente disponibili alla comunità scientifica i dati grezzi degli studi obbligatori, pubblicandoli sul sito web dell’EFSA una volta effettuata la perizia dell’agenzia.

3.3.

L’EFSA è un ente pubblico istituito per garantire un’analisi scientifica indipendente dei prodotti di nuovo tipo che entrano a far parte della composizione dei prodotti alimentari. Tuttavia, in passato l’agenzia è stata criticata a causa dei conflitti d’interessi di alcuni suoi esperti. Assai spesso, tali esperti erano anche consulenti dell’ILSI (5). A giudizio del CESE, nel 2012 l’EFSA ha compiuto uno sforzo importante per rimediare a questo problema, perciò la situazione si è in seguito normalizzata. Tenuto conto della delicatezza di quest’aspetto, il Comitato raccomanda di non abbassare la guardia.

3.4.

Nel quadro del lavoro di valutazione, le agenzie competenti fanno anche riferimento agli studi riguardanti il settore interessato che vengono pubblicati nella letteratura scientifica. Tuttavia, è stato dimostrato che i risultati degli studi scientifici possono essere radicalmente differenti a seconda della fonte che li finanzia (6). L’indipendenza dei ricercatori è fondamentale per garantire la sostenibilità del sistema, e il compito dell’EFSA è complicato dalla necessità di distinguere fra gli studi scientifici di alto livello e quelli di valore discutibile a causa di errori metodologici o di altro tipo.

4.   Possibilità di migliorare la metodologia della procedura di valutazione dei prodotti potenzialmente pericolosi

4.1.

La metodologia per la valutazione dei prodotti chimici che possono entrare a far parte dei prodotti alimentari si basa sul principio detto di Paracelso, ossia «Nulla è di per sé veleno, tutto è di per sé veleno, è la dose che fa il veleno»: per ciascun prodotto è quindi sufficiente determinare una «dose giornaliera ammissibile» (DGA). In altre parole, la grande maggioranza dei nuovi prodotti può essere consumata quotidianamente, purché non si superi una determinata quantità.

4.2.

Per secoli si è potuto ritenere che l’applicazione del principio di Paracelso fosse un metodo affidabile. Ma le nuove sostanze sintetiche, che da diversi decenni sono contenute nei prodotti alimentari, pongono una sfida di tipo nuovo e rendono impraticabile un’applicazione cieca di quel principio.

4.3.

Il primo problema riguarda la gestione dell’alimentazione delle persone considerate una per una. Infatti, i consumatori ignorano completamente l’esistenza della DGA e non hanno quindi la possibilità, nemmeno teorica, di controllare che non stiano superando la quantità «autorizzata» di una particolare sostanza che può essere contenuta in più prodotti alimentari rientranti nel loro consumo quotidiano (7). In realtà, si tratta di un concetto scientifico e molto tecnico, la cui applicazione è riservata a una ristretta cerchia di specialisti.

4.4.

L’organismo umano non è esposto a una sola sostanza chimica, ma piuttosto a un gran numero di residui di pesticidi, materie plastiche e additivi alimentari contenuti negli alimenti. Però, la DGA è determinata per ogni singola sostanza chimica, senza tener conto del possibile effetto cumulativo o anche sinergico. Purtroppo, simili effetti sono tutt’altro che puramente ipotetici: diversi studi hanno già evidenziato che l’azione cumulata di diverse sostanze che non presentavano problemi nel corso dei singoli test può avere conseguenze gravi (8).

4.5.

Le agenzie responsabili della valutazione dei prodotti potenzialmente pericolosi, come l’EFSA o la statunitense FDA, studiano da molti anni l’effetto cumulativo e l’effetto sinergico, ma i risultati del loro lavoro non sono ancora stati tradotti in norme (9) a causa delle difficoltà scientifiche connesse e della complessità del compito. Tuttavia, l’EFSA dichiara di essere abbastanza vicina alla realizzazione delle applicazioni regolamentari delle conoscenze scientifiche acquisite in questo campo, e il CESE la esorta a farlo il più rapidamente possibile.

4.6.

Infine, il principio di Paracelso è stato messo in discussione dal fenomeno delle sostanze dette «interferenti endocrini». Si tratta di sostanze che tendono ad imitare il funzionamento degli ormoni, soprattutto dell’ormone estrogeno femminile. Secondo buona parte degli endocrinologi, queste sostanze hanno spesso un effetto nefasto quando l’organismo è esposto a quantità nettamente inferiori alla DGA, e non è nemmeno possibile determinare una soglia sotto la quale non sarebbero nocive (10). È stato dimostrato che, nel caso degli interferenti endocrini, la variabile cruciale non è la dose, ma il momento dell’esposizione. Nella fattispecie, il periodo più pericoloso è quello in cui si sviluppa il sistema endocrino delle persone (vita prenatale, prima infanzia e pubertà). Un’altra caratteristica particolare degli interferenti endocrini è il fatto che la loro tossicità può manifestarsi alcuni anni o addirittura svariati decenni dopo l’esposizione.

4.7.

Numerose sostanze, naturali o sintetiche, sono oggi considerate interferenti endocrini dagli endocrinologi, e molte di queste si trovano normalmente nell’alimentazione umana. Si tratta ad esempio di diversi pesticidi, diossine, PCB e ftalati, ma la discussione più animata riguarda oggi il materiale da imballaggio denominato bisfenolo A (11).

4.8.

È dimostrato che gli interferenti endocrini contribuiscono in modo decisivo al calo inquietante della fertilità maschile (fenomeno constatato a partire dalla Seconda guerra mondiale), a una sensibile crescita dei casi di cancro ai testicoli e alla prostata negli uomini e di cancro al seno nelle donne, nonché ad altre gravi patologie (12).

4.9.

Gli organismi europei competenti, ossia l’EFSA e la DG SANTÉ, esitano ad adottare le misure caldamente raccomandate dagli endocrinologi, poiché l’opinione della comunità scientifica sarebbe divisa quanto all’azione dannosa delle concentrazioni molto basse (13). Nei fatti, gran parte degli scienziati che svolgono ricerche originali nel settore dell’endocrinologia ritiene che l’azione di dosi estremamente basse delle sostanze che essi riconoscono come interferenti endocrini sia molto pericolosa, in particolare per le donne incinte e i bambini in tenera età. A loro avviso, si tratta di un fatto accertato e dimostrato da «migliaia di studi scientifici» (14), mentre per l’EFSA l’azione delle dosi estremamente basse è solo un’ipotesi.

4.10.

Per effetto di una relazione dettagliata (15) commissionata dalla DG ENV, che ha confermato il parere degli endocrinologi, nell’ottobre 2012 la DG SANTÉ ha invitato l’EFSA a prendere in esame i criteri di definizione degli interferenti endocrini e a valutare la pertinenza dei metodi di prova esistenti in questo campo. Tuttavia, non è stato ancora compiuto alcun passo in questo senso e la Commissione europea propone per il momento soltanto una tabella di marcia che pone le basi per una definizione degli interferenti endocrini (16). Il lavoro vero e proprio è quindi rinviato alla fine del 2016.

4.11.

La comunità degli endocrinologi ha espresso a più riprese il proprio disaccordo rispetto alla posizione dell’EFSA e di altre agenzie consultive o di regolamentazione in materia di interferenti endocrini, in particolare con la dichiarazione di consenso della Società americana di endocrinologia, che conta più di mille professionisti (17), il colloquio internazionale svoltosi a Berlino nel settembre 2012 e la Dichiarazione del Berlaymont del maggio 2013 (18). Tutti i firmatari di quest’ultima erano specialisti che pubblicavano attivamente lavori sull’argomento e ritenevano urgente che la normativa europea cominciasse a tener conto delle conoscenze accumulate negli anni. Ad esempio, «l’ultimo regolamento sui pesticidi del marzo 2013 impone di effettuare dei test per sapere se il nuovo prodotto è, tra l’altro, mutageno, ma non di valutarne l’attività ormonale». Ciò mostra che le preoccupazioni degli endocrinologi sono ancora lungi dall’essere prese sul serio dalle autorità competenti.

4.12.

Il CESE ritiene urgente cominciare a tener conto, nel quadro normativo, delle conoscenze acquisite in materia di endocrinologia, e sottoscrive la posizione espressa al riguardo dal Parlamento europeo (19). Anche se l’opinione della comunità scientifica in senso lato è divisa, il parere di gran parte degli endocrinologi dovrebbe essere più che sufficiente per applicare almeno il principio di precauzione alle sostanze riconosciute dagli endocrinologi come interferenti endocrini.

5.   Commercio internazionale: parassiti e malattie agricole

5.1.

L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) prescrive ai suoi aderenti di avviare negoziati per continuare gli scambi di prodotti agricoli e per facilitarli, riducendo in modo sostanziale e progressivo gli aiuti interni e la protezione dei loro prodotti, al fine di promuovere una liberalizzazione sempre maggiore.

5.2.

In un mercato mondiale sempre più liberalizzato e nel quale la circolazione commerciale dei prodotti vegetali s’intensifica e rafforza in seguito agli accordi commerciali che l’UE continua a sottoscrivere con paesi terzi, il rischio d’introdurre nuovi parassiti e nuove malattie cresce costantemente.

5.3.

I produttori europei nutrono una forte inquietudine e acute preoccupazioni circa l’arrivo di organismi nocivi finora assenti sul territorio europeo che, per molti, rappresentano un grave pericolo. In certi casi, l’apparizione e la diffusione di tali organismi potrebbero provocare un declino drammatico di diverse produzioni europee, in particolare in rapporto alle colture meno diffuse, infliggendo così pesanti perdite economiche ai loro produttori.

5.4.

Indipendentemente dalla minaccia che questo comporta per l’attività agricola per quanto riguarda alcune produzioni, l’irruzione di malattie o parassiti esogeni ha l’effetto di aumentare i costi di produzione per gli agricoltori europei e, conseguentemente, di intaccare la redditività delle loro aziende. Inoltre, questi flagelli possono avere un pesante impatto economico, ambientale o sociale sull’insieme del territorio europeo.

5.5.

Volendo trarre dall’attualità un esempio chiaro, eloquente e incontestabile della gravità del problema, va citato il recente caso dell’importazione di agrumi dal Sudafrica. In seguito all’ultimo raccolto è approdato nei porti europei un numero non trascurabile di carichi di agrumi sudafricani contaminati dal pericoloso fungo Guignardia Citricarpa, che provoca la macchia nera degli agrumi. Nel concreto, questo agente patogeno è stato rilevato 35 volte in agrumi sudafricani d’importazione.

5.6.

In questo modo, il lassismo dell’UE mette a rischio i 5 00  000 ettari di territorio europeo che sono coltivati ad agrumi, dal momento che non disponiamo di una cura efficace per debellare la malattia. La sua apparizione produrrebbe effetti estremamente dannosi dal punto di vista economico, ambientale e sociale, compromettendo la sicurezza degli approvvigionamenti.

5.7.

Pur migliorando, sotto alcuni aspetti, la direttiva 2000/29/CE del Consiglio, dell’8 maggio 2000, concernente le misure di protezione contro l’introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità (20), il progetto di nuova regolamentazione in materia fitosanitaria continua a trascurare alcuni aspetti di importanza cruciale, così che i problemi principali rimangono, in gran parte, in attesa di soluzione.

5.8.

Inoltre, va sottolineato che le condizioni in cui sono prodotti gli alimenti importati dai paesi terzi non sono le stesse che vigono nell’UE. I paesi terzi consentono l’utilizzo di numerosi prodotti fitosanitari che sono vietati in Europa, i loro limiti massimi di residui (LMR) sono più elevati rispetto a quelli tollerati sul territorio europeo e le condizioni socioprofessionali di quei paesi sono diverse, dato che la protezione ivi garantita è minore rispetto a quella europea, quando non è totalmente inesistente.

5.9.

Dal punto di vista dei consumatori europei, è opportuno insistere sulla notevole differenza che si registra fra le produzioni straniere e quelle dell’UE in materia di sicurezza e tracciabilità.

5.10.

La legislazione europea vigente limita e restringe l’utilizzo di un numero crescente di sostanze attive per la lotta contro l’uno o l’altro parassita o malattia. Queste restrizioni imposte agli agricoltori europei potrebbero arrivare a riguardare il 50 % dei prodotti che erano disponibili negli ultimi anni. Inoltre, gli operatori che applicano questi trattamenti devono conformarsi a prescrizioni rafforzate, le quali prevedono che siano meglio formati e utilizzino più dispositivi di protezione al momento in cui procedono ai trattamenti stessi.

5.11.

Il principio di reciprocità dovrebbe garantire che tutte le produzioni che arrivano su un determinato mercato siano ottenute obbligatoriamente rispettando le prescrizioni o le norme che vigono per le coltivazioni lavorate in Europa in materia di sicurezza sanitaria, ecocondizionalità, utilizzo delle sostanze attive ecc.

Bruxelles, 18 marzo 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 sulla protezione della salute pubblica dagli interferenti endocrini [2012/2066(INI)].

(2)  Stima indipendente di Vincent Cogliano, del CIRC (Centro internazionale di ricerca sul cancro), e Andreas Kortenkamp, che dirige il Centro di tossicologia dell’università di Londra.

(3)  Ad esempio, i dati grezzi dello studio obbligatorio relativo al mais geneticamente modificato MON 863 sono stati messi a disposizione della comunità scientifica solo in seguito alla decisione adottata da un tribunale tedesco nel 2005 e, nel gennaio 2013, la società Monsanto ha minacciato l’EFSA di citarla in giudizio per violazione del segreto commerciale, in quanto la direttrice dell’agenzia, sotto la pressione dei media e di una parte della comunità scientifica, aveva rivelato su Internet alcuni dati relativi al mais GM NK 603.

(4)  Secondo l’EFSA, i dati degli studi obbligatori (di riferimento) non hanno carattere confidenziale.

(5)  ILSI (International LIFE Science Institute) — organizzazione di lobby delle multinazionali del settore agrochimico, agroalimentare e biotecnologico, ad esempio Coca-cola o Monsanto. Nella primavera del 2012, in seguito a una relazione della Corte dei conti (Relazione speciale n. 15/2012) che ha messo in luce la mancanza di trasparenza nella gestione dei conflitti d’interessi all’interno dell’EFSA, il Parlamento europeo ha rinviato a una seconda lettura la decisione di approvare lo scarico di bilancio dell’agenzia per il 2010, in attesa di informazioni complementari sulla politica seguita dall’EFSA in materia di conflitti di interessi.

(6)  Cfr. ad esempio Frederick vom Saal & Claude Hughes, An extensive new literature concerning low-dose effects of bisphenol-A shows the need for a new risk assessment («Un’ampia letteratura di nuova pubblicazione riguardante gli effetti di basse dosi di bisfenolo A mostra la necessità di una nuova valutazione del rischio»), Environmental Health Perspectives, vol. 113, agosto 2005, pagg. 926-933.

(7)  Ad esempio, l’aspartame è un edulcorante sintetico presente in 6  000 prodotti diversi.

(8)  Ad esempio Sofie Christiansen, Ulla Hass et al., Synergic disruption of external male sex organ development by a mixture of four antiandrogens («Perturbazioni sinergiche dello sviluppo degli organi sessuali maschili esterni ad opera di una miscela di quattro antiandrogeni»), Environmental Health Perspectives, vol. 117, n. 12, dicembre 2009, pagg. 1839-1846.

(9)  Nel 2006, il commissario europeo per l’Agricoltura, rispondendo al parlamentare Paul Lannoye, ha riconosciuto il vuoto normativo riguardante la valutazione delle miscele. Dopo questa ammissione, però, non si è compiuto alcun progresso significativo.

(10)  Dichiarazione del Berlaymont sugli interferenti endocrini, 2013.

(11)  Nel 2008 la vendita di biberon prodotti con bisfenolo A è stata vietata in Canada, e nel 2011 l’UE ha fatto altrettanto. Dal 1o gennaio 2015, la Francia ha vietato l’utilizzo del bisfenolo A per tutti i prodotti che possono entrare in contatto con i prodotti alimentari. Tale divieto è giustificato da un parere scientifico dell’agenzia nazionale ANSES. Il 21 gennaio 2015, l’EFSA ha pubblicato un parere secondo cui «il BPA non rappresenta un rischio per la salute della popolazione di alcuna fascia di età […] ai livelli attuali di esposizione».

(12)  Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 sulla protezione della salute pubblica dagli interferenti endocrini [2012/2066(INI)], considerando A e C, nonché Dichiarazione del Berlaymont sugli interferenti endocrini, 2013.

(13)  L’EFSA si riferisce in particolare al convegno che ha organizzato a Bruxelles nel giugno 2012, in cui gli esperti in materia di endocrinologia rappresentavano solo una parte (minoritaria) dei partecipanti.

(14)  Affermazione dell’endocrinologo americano Frederick vom Saal alla conferenza internazionale svoltasi a Berlino nel settembre 2012.

(15)  Andreas Kortenkamp, Olwenn Martin, Michael Faust, Richard Evans, Rebecca McKinlay, Frances Orton e Erika Rosivatz, State of the art assessment of endocrine disrupters («Valutazione dello stato dell’arte degli interferenti endocrini»), relazione finale, 23 dicembre 2011.

(16)  Tabella di marcia della Commissione europea sul tema Defining criteria for identifying endocrine disruptors in the context of the implementation of the Plant Protection Product Regulation and Biocidal Products Regulation («Definire criteri per individuare gli interferenti endocrini nel contesto dell’attuazione della regolamentazione in materia di prodotti fitosanitari e biocidi»), giugno 2014.

(17)  Evanthia Diamanti-Kandarakis et alii, Endocrine-disrupting chemicals: an Endocrine Society scientific statement («Le sostanze chimiche che agiscono come interferenti endocrini: una dichiarazione scientifica della Società di endocrinologia»), Endocrine Reviews, vol. 30, n. 4., giugno 2009, pagg. 293-342.

(18)  Cfr. nota a piè di pagina 10.

(19)  Cfr. nota a piè di pagina 1.

(20)  GU L 169 del 10.7.2000, pag. 1.


14.8.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 268/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le isole intelligenti»

(parere d’iniziativa)

(2015/C 268/02)

Relatrice:

DARMANIN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«Le isole intelligenti»

(parere d’iniziativa).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2015.

Alla sua 506a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 marzo 2015 (seduta del 19 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1.

Le particolari caratteristiche che contraddistinguono le isole comportano difficoltà specifiche, ma tali caratteristiche possono anche essere convertite in altrettante opportunità, a condizione di attuare politiche di sviluppo intelligenti e sostenibili rivolte a dotare le isole dei vantaggi concorrenziali che derivano da una crescita sostenibile e da posti di lavoro migliori.

1.2.

Nel quadro dell’elaborazione e dell’attuazione delle politiche di sviluppo intelligente e sostenibile, dovrebbero inoltre essere prese in considerazione le caratteristiche specifiche delle isole, in particolare per quanto riguarda la loro vulnerabilità agli effetti dei cambiamenti climatici. Le politiche e le iniziative devono pertanto prevedere l’adeguata integrazione delle misure di adattamento ai cambiamenti climatici, in modo da garantire che le isole costruiscano e rafforzino la resilienza ai cambiamenti climatici in tutti i settori delle loro economie.

1.3.

Le politiche intelligenti per isole intelligenti comprenderebbero una «verifica insulare» che consisterebbe nell’esaminare tutte le politiche dell’Unione europea per valutarne gli effetti sulle isole e nel tenere conto in misura adeguata della dimensione insulare. Il Comitato invita la Commissione europea ad applicare tale verifica insulare in tutte le sue direzioni generali.

1.4.

Nell’ottica di promuovere le isole intelligenti, il Comitato formula tutta una serie di raccomandazioni strategiche intelligenti. Ciascuna di esse viene spiegata e descritta in dettaglio nei successivi punti da 4 a 11. Tali raccomandazioni riguardano:

l’agenda digitale: investimenti infrastrutturali, completamento del mercato unico e investimenti in R&S,

l’approvvigionamento energetico: le isole come banco di prova per l’energia oceanica, l’energia dalle onde e dalle maree e l’energia solare ed eolica, nonché la combinazione di questi tipi di energia,

la mobilità nelle città insulari e i trasporti: Orizzonte 2020 e Interreg devono realizzare programmi mirati al trasporto marittimo e alla mobilità urbana, nell’ottica della sostenibilità nelle isole; occorre combinare gli aiuti di Stato e i trasporti sostenibili,

la politica marittima: sorveglianza marittima; R&S nei settori dell’estrazione mineraria dal fondo marino e dell’oceanografia utilizzando le isole come centri di ricerca; valutazione dell’impatto sulle isole della politica marittima; ruolo delle isole nella politica marittima,

gli scambi commerciali, sia di beni che di servizi: migliori pratiche nel commercio di nicchia; adeguamento delle politiche per agevolare tale commercio nelle isole; laboratori aperti per lo sviluppo economico e sociale delle isole,

il turismo: accessibilità; specificità della natura del turismo e suo impatto,

la gestione delle risorse idriche: politica con caratteristiche specifiche uniche delle isole,

l’istruzione, la formazione e l’apprendimento permanente.

1.4.1.

Occorre tenere conto che l’iniziativa in questi ambiti spetta in prima istanza, in funzione delle diverse competenze e responsabilità, in maniera condivisa o meno, al livello locale, regionale, nazionale o europeo. A questo riguardo è espressamente indispensabile la cooperazione tra i diversi livelli.

2.   Ambito d’applicazione

2.1.

Nel presente parere, il CESE utilizza come base la definizione di «isole» adottata dalle Nazioni Unite, ma il suo ambito di applicazione è, da un lato, limitato alle isole che fanno parte dello Spazio economico europeo (SEE) e, dall’altro, esteso in modo da includere le isole piccole e medie che sono anche Stati membri del SEE. Ciò si riferisce in modo specifico a Malta, a Cipro e all’Islanda.

2.2.

Con l’espressione «isole intelligenti», il CESE si riferisce specificamente a una zona insulare che crea uno sviluppo economico locale sostenibile e un’elevata qualità della vita attraverso l’eccellenza in molteplici settori chiave della sostenibilità, quali l’economia, la mobilità, l’energia, l’ambiente, le TIC, l’acqua, l’istruzione e il capitale umano, e che dimostra l’eccellenza in materia di governance.

3.   Introduzione

3.1.

Le isole europee si trovano talvolta in situazione di svantaggio nei confronti del territorio continentale, a causa del loro isolamento e del loro carattere periferico. Tuttavia la geografia comporta anche vantaggi oltre che svantaggi, e attualmente le isole offrono anche un immenso potenziale di crescita e di sviluppo, non soltanto per se stesse ma anche per l’Europa nel suo insieme. È per tale ragione che il Comitato chiede politiche intelligenti e iniziative di sviluppo intelligenti, a livello unionale, nazionale e regionale, che tengano conto delle caratteristiche specifiche delle isole. Tuttavia, la responsabilità delle politiche intelligenti nelle isole dovrebbe essere condivisa tra tutti i livelli di cui sopra, e non rientrare esclusivamente in un’unica categoria. Nell’ottica di tale responsabilità condivisa, ma non soltanto per questa ragione, il Comitato chiede che sia costituito un gruppo di esperti in materia di isole, che sovrintenderà alle politiche, alla loro applicabilità e al loro impatto sulle isole. Inoltre, il CESE raccomanda di istituire una piattaforma aperta per le isole che funga da forum per il coordinamento, e di un’azione tra le isole in relazione a obiettivi insulari intelligenti.

3.2.

Le caratteristiche specifiche delle isole spesso comportano alcune particolarità in campo sociale, come la contrazione demografica quando gli abitanti migrano verso la terraferma, per effetto di opportunità apparentemente migliori, delle difficoltà collegate ai trasporti e, talvolta, della marginalizzazione. Tuttavia alcune isole sono riuscite a trasformare questi svantaggi in punti di forza, sviluppando delle nicchie e creando per se stesse una posizione a parte.

3.3.

Alla luce delle caratteristiche specifiche delle isole, il CESE chiede che le politiche dell’UE includano una «verifica insulare», che consisterebbe nell’esaminare tutte le politiche per appurarne gli effetti sulle isole in modo da tenere conto in misura adeguata della dimensione insulare. Il Comitato invita la Commissione europea ad applicare tale verifica insulare in tutte le sue direzioni generali.

4.   Capacità digitale

4.1.

In un contesto in cui Internet costituisce chiaramente un settore di crescita per l’Europa, i nostri obiettivi all’orizzonte del 2020 comprendono quello di garantire che tutti gli europei abbiano accesso alla banda larga entro la suddetta scadenza e che il 50 % della popolazione possa effettuare acquisti online entro il 2015.

4.2.

Per quanto riguarda l’obiettivo di garantire un’ampia diffusione di Internet entro il 2020, sussistono problemi infrastrutturali, e alcune aree, anche insulari, sono in ritardo. Allo stato attuale un certo numero di isole, specie le più remote, risente di una modesta diffusione di Internet e di un insufficiente accesso pubblico alla rete.

4.3.

Sebbene uno degli obiettivi della strategia Europa 2020 consistesse nel garantire la copertura Internet per l’intera Europa entro il 2013, tale obiettivo non è stato realizzato ancora in alcune isole, principalmente a causa di problemi infrastrutturali.

4.4.

La capacità digitale costituisce per le isole uno dei possibili modi di ridimensionare l’ostacolo geografico dell’insularità, non solo attraverso le opportunità offerte dal commercio elettronico per l’imprenditoria, l’occupazione e le piccole e medie imprese, ma anche grazie alla possibilità, per la cittadinanza, di ottenere vantaggi maggiori dal mercato unico.

4.5.

A tal fine, il CESE chiede interventi specifici affinché sia il livello europeo che quello nazionale:

i)

investano in infrastrutture per garantire una piena diffusione della banda larga nelle isole;

ii)

completino il mercato unico digitale, garantendo così che le isole non siano penalizzate e consentendo loro di partecipare pienamente al mercato unico;

iii)

investano in attività di ricerca e sviluppo a livello europeo, utilizzando il potenziale delle isole per promuovere l’occupazione e la crescita nelle aree remote. Inoltre tali attività dovrebbero essere utilizzate come strumento per conseguire una maggiore innovazione sociale nelle isole.

5.   Sostenibilità energetica

5.1.

L’Europa ha stabilito obiettivi energetici per il 2020, il 2030 e il 2050, allo scopo di diventare più sostenibile e di ridurre il ricorso ai combustibili fossili per soddisfare le nostre necessità energetiche. Alcune delle isole dell’UE, oltre a dipendere dai combustibili fossili per il soddisfacimento delle loro esigenze energetiche, devono affidarsi, per approvvigionarsi di tali risorse, a un ventaglio limitato di specifiche modalità di trasporto.

5.2.

Risulta pertanto ancor più importante che le isole acquisiscano un grado maggiore di sostenibilità nei loro consumi energetici. Le isole sono, per loro stessa natura, nella posizione ottimale per sfruttare al meglio l’energia oceanica, eolica e solare.

5.3.

Vi sono resoconti di esperienze riuscite che dimostrano che le isole hanno il potenziale di divenire autosufficienti in maniera sostenibile per quanto riguarda le loro esigenze energetiche. Per esempio, l’isola di Samsø, nella Danimarca centrale, si identifica sin dal 1997 come l’isola danese dell’energia rinnovabile. Grazie a 11 eoliche terrestri, l’isola è stata in grado, nel giro di 10 anni, di soddisfare interamente il proprio fabbisogno con energia rinnovabile. Dal 2014 anche l’isola di El Hierro (Canarie) è in grado di autoapprovvigionarsi interamente con energia da fonti rinnovabili grazie a impianti eolici e idroelettrici.

5.4.

Le isole europee potrebbero trarre grandi vantaggi dalle energie rinnovabili. Oltre a ridurre la loro impronta del carbonio, il settore delle energie rinnovabili costituisce una fonte di crescita e di occupazione, non soltanto all’interno del comparto energetico ma anche al di là di esso, come avviene nel caso di Samsø, che è divenuta un’attrazione turistica proprio a causa degli sforzi che ha fatto per divenire autosufficiente in modo sostenibile.

5.5.

Il Comitato chiede pertanto di intervenire a livello sia europeo che nazionale nei seguenti modi:

i)

concentrando nelle isole le attività di ricerca e sviluppo sull’energia oceanica e l’energia proveniente dalle onde e dalle maree. In tale contesto le isole non costituirebbero semplicemente dei banchi di prova, sebbene si tratti di un ruolo correlato, ma contribuirebbero anche grazie alle conoscenze e all’esperienza in materia di ricerca presenti a livello locale;

ii)

studiando gli effetti della combinazione di forme differenti di energia rinnovabile in aree piccole e localizzate come appunto le isole;

iii)

concentrando sulle isole talune iniziative specifiche in materia di innovazione.

Tali misure dovrebbero tenere conto delle particolari condizioni prevalenti nelle isole nei vari mari/oceani.

6.   Trasporti e mobilità nelle città insulari

6.1.

I trasporti costituiscono una questione problematica per gli abitanti delle isole, a causa dell’insularità e della conseguente forte dipendenza dai traghetti e dei trasporti aerei. Inoltre gli abitanti delle isole dipendono fortemente dai trasporti marittimi anche per l’importazione e l’esportazione di merci. In considerazione di ciò, i servizi di traghetti ricevono spesso sovvenzioni statali intese a ridurne il costo per i residenti. Un gran numero di compagnie di trasporto utilizza ancora carburante di bassa qualità, che costituisce una minaccia sia per gli operatori del trasporto marittimo che per la popolazione locale e i turisti.

6.2.

Sebbene la mobilità urbana dipenda dall’ampio uso di veicoli a motore, vengono gradualmente introdotti modi più sostenibili di trasporto urbano, quali i veicoli a basse emissioni delle Isole Eolie. Nelle isole vi è ancora un ampio margine per l’introduzione o la maggiore diffusione delle auto ibride ed elettriche.

6.3.

Il Comitato raccomanda di intervenire nei seguenti campi:

i)

destinare risorse specifiche nel quadro di Orizzonte 2020 a progetti di trasporto marittimo a basso consumo energetico per le isole;

ii)

concedere aiuti di Stato alle compagnie che agiscono concretamente per ridurre le loro emissioni e che nel trasporto marittimo utilizzano carburanti di più elevata qualità;

iii)

destinare i progetti dell’iniziativa Interreg alla mobilità urbana a basso consumo energetico nelle isole;

iv)

porre l’accento sulla creazione di lavoro dignitoso e più sostenibile nelle isole. Il CESE invita inoltre a ridurre il precariato del personale delle aerolinee che servono le isole e delle navi da crociera, la cui attività beneficia spesso dell’attrattiva delle isole;

v)

anche l’accessibilità per gli anziani e le persone con disabilità dovrebbe far parte delle politiche di trasporto intelligente nelle isole.

7.   Politica marittima

7.1.

Negli ultimi anni l’economia blu e il suo potenziale hanno riscosso maggiore attenzione. Gli affari marittimi rivestono particolare importanza per le isole, essendo queste ultime circondate dal mare.

7.2.

Le isole possono ottenere vantaggi specifici dall’attuazione di politiche marittime a livello dell’Unione europea.

7.3.

Il CESE reitera la sua precedente richiesta di elaborare pareri sull’importanza delle isole dell’UE per le tradizioni marittime e il know-how nelle attività marittime. Le isole dell’UE godono di un vantaggio comparativo in quanto luogo d’origine di marittimi che hanno generazioni di know-how alle spalle, un patrimonio che non deve andare perduto. Tuttavia, in un periodo di forte disoccupazione a terra, l’industria marittima dell’UE soffre di una ben nota scarsità di manodopera UE e fatica a reperire personale per comporre gli equipaggi delle sue flotte.

7.4.

Il Comitato raccomanda di intervenire nei seguenti campi:

i)

occorrerebbe fare in modo che le isole ricavino vantaggi specifici dalla sorveglianza marittima;

ii)

occorrerebbe conferire alle isole compiti di ricerca e sviluppo nei settori dell’estrazione mineraria dal fondo marino, dell’oceanografia e della mappatura dei fondali marini e bisognerebbe accrescere la loro capacità in questi settori; le isole possono svolgere un ruolo maggiore nella protezione della biodiversità e le iniziative adottate ai diversi livelli in questo settore hanno bisogno di sostegno;

iii)

la Commissione europea dovrebbe eseguire una analisi d’impatto europea sul ruolo delle isole europee negli affari marittimi;

iv)

occorrerebbe fare uno sforzo concentrato nell’area degli affari marittimi, con particolare attenzione per le isole e per il loro ruolo;

v)

l’UE deve intervenire per rendere le professioni marittime più attraenti per gli abitanti delle isole e offrire a questi ultimi la necessaria formazione.

8.   Prodotti e servizi delle isole

8.1.

Le isole europee si sono sviluppate in misura differente, per alcune di esse l’economia si basa ancora su: emigrazione, rimesse, aiuti e burocrazia (MIRAB) (Bertram and Watters, 1985): altre costituiscono piccole economie turistiche insulari (SITE) (McElroy, 2006); altre ancora hanno raggiunto lo stadio in cui l’economia si basa su: persone, risorse, oltremare, finanza, trasporti (Profit) (Baldacchino, 2006).

8.2.

Alcuni chiari esempi di buone pratiche tra le isole che si trovano allo stadio Profit sono i seguenti:

Jersey: gestione patrimoniale,

Malta: giochi elettronici,

Islanda: cloud computing,

Cipro: registro navale,

Creta: trattamento oculistico Lasik.

8.3.

Le isole sono più competitive quando possono individuare mercati di nicchia e assumere in essi un ruolo di eccellenza.

8.4.

Il Comitato raccomanda pertanto quanto segue:

i)

individuare le migliori prassi per le isole;

ii)

fare in modo che le politiche regionali provvedano allo sviluppo di tali nicchie;

iii)

utilizzare le isole come laboratori aperti per lo sviluppo dei prodotti o servizi che possono quindi essere ampiamente introdotti sul continente europeo.

9.   Turismo insulare

9.1.

Molto spesso le isole sono legate al turismo (modello SITE); ma, mentre il turismo costituisce un settore importante per le isole, esso non va considerato come l’unico o il principale settore economico, e occorre invece tenere nel dovuto conto l’industria nel suo complesso.

9.2.

Il turismo di nicchia offre alle isole un evidente vantaggio concorrenziale rispetto alle zone, più accessibili, dell’Europa continentale. Tuttavia il turismo di nicchia non coincide necessariamente con il turismo costoso. Da questo punto di vista, l’accessibilità delle isole è essenziale per garantire la loro accessibilità anche in termini finanziari, fisici e di trasporto nel rispetto dei requisiti di protezione ambientale.

9.3.

Il Comitato raccomanda pertanto quanto segue:

i)

che le politiche in materia di turismo tengano in considerazione le situazioni insulari;

ii)

che l’accessibilità a fini turistici comprenda anche l’aspetto dei trasporti insulari, nei termini in cui è stato menzionato più in alto, come pure l’accessibilità in termini finanziari e di mobilità, nonché la questione dei requisiti di protezione ambientale.

10.   Gestione delle risorse idriche

10.1.

Le isole devono far fronte a problemi analoghi per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche, e in particolare: scarsità d’acqua; abbassamento del livello qualitativo dell’acqua; prassi inadeguate, come per esempio l’uso eccessivo delle risorse; aumento della domanda a causa del turismo.

10.2.

Le isole vulcaniche aggiungono alla gestione delle risorse idriche una dimensione che di solito non rientra nelle politiche in materia di acqua: quella delle sorgenti d’acqua utilizzate a fini terapeutici.

10.3.

Il Comitato raccomanda pertanto che le politiche di gestione delle risorse idriche dedichino particolare considerazione alle caratteristiche specifiche delle isole nella misura in cui le esigenze di queste ultime riguardano spesso:

i)

la riutilizzazione dell’acqua;

ii)

la distinzione tra acqua potabile e non potabile;

iii)

la desalinizzazione;

iv)

la raccolta delle acque piovane, e

v)

il miglioramento della sostenibilità delle sorgenti d’acqua utilizzate per scopi terapeutici.

11.   Istruzione, formazione e apprendimento permanente

11.1.

L’istruzione viene spesso considerata un elemento essenziale ai fini del miglioramento del tenore di vita. Ciò è ancor più vero nel caso delle isole. Sebbene le università presenti nelle isole siano spesso eccellenti in specifiche aree, anche in considerazione dell’approccio di nicchia, occorrerebbe anche che gli abitanti delle isole potessero accedere a studi superiori di carattere generale.

11.2.

A tal fine si dovrebbe sfruttare ulteriormente il potenziale del mondo digitale per garantire che l’apprendimento e l’istruzione siano accessibili agli abitanti delle isole al pari di quanto avviene per gli abitanti del continente europeo. Un esempio chiaro del potenziale offerto dal mondo digitale è quello delle Cicladi, dove si ricorre ampiamente alle teleconferenze per scopi di formazione.

11.3.

Le isole soffrono di un maggiore impoverimento demografico a causa delle delocalizzazioni e, di conseguenza, l’apprendimento permanente può e deve essere una delle politiche e delle pratiche ideate per conservare una forza lavoro che non sia solo altamente occupabile ma anche interessata a rimanere sull’isola.

11.4.

Pertanto, il CESE raccomanda che la politica:

i)

rifletta sul ruolo dell’istruzione nello sviluppo delle isole;

ii)

adotti approcci di apprendimento permanente al fine di garantire l’occupabilità e una forza lavoro che sappia sfruttare appieno il potenziale del mercato del lavoro delle isole;

iii)

garantisca che le isole non siano private della loro forza lavoro.

Bruxelles, 19 marzo 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


14.8.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 268/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La cooperazione europea in materia di reti energetiche»

(parere d’iniziativa)

(2015/C 268/03)

Relatore:

COULON

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 ottobre 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«La cooperazione europea in materia di reti energetiche».

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2015.

Alla sua 506a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 marzo 2015 (seduta del 18 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 167 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE considera vitale per i cittadini e per le imprese una cooperazione europea rafforzata in materia di reti energetiche.

1.2.

Gli attori della società civile e le regioni hanno un ruolo importante da svolgere nella transizione energetica — unica garanzia di efficienza, controllo dei prezzi e lotta ai cambiamenti climatici.

1.3.

Il CESE propone la creazione di spazi di scambio tra i territori e le rappresentanze della società civile, su iniziativa congiunta del Comitato economico e sociale europeo e del Comitato delle regioni e con il coinvolgimento dei consigli economici e sociali o delle istituzioni analoghe di ciascuno Stato membro.

1.3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta formulata dalla Commissione, nella sua comunicazione sull’Unione dell’energia, di creare un forum dell’infrastruttura energetica. Raccomanda che in tale forum venga lasciato ampio spazio alla società civile, al fine di:

rendere sistematici il feedback e l’individuazione delle buone pratiche locali,

promuovere la riflessione sulle regolamentazioni locali e orientare i finanziamenti verso i modelli efficaci,

favorire l’accettazione e l’impegno rispetto alle diverse sfide energetiche.

1.4.

Il CESE propone la creazione di un «libretto di risparmio energetico europeo». Questo libretto, che potrebbe essere aperto da qualsiasi cittadino europeo, beneficerebbe di una remunerazione leggermente superiore all’inflazione annuale nell’Unione, raccoglierebbe fondi dedicati esclusivamente a progetti energetici europei, e consentirebbe di integrare finanziamenti pubblici o privati (imprese).

2.   Introduzione

2.1.

Nei prossimi anni lo sviluppo delle reti energetiche costituirà una sfida «vitale» per l’Europa. L’estensione e il rafforzamento di tali reti sono una conditio sine qua non per portare a compimento la transizione energetica, a sua volta assolutamente indispensabile per combattere i cambiamenti climatici, assicurare la competitività e l’attrattiva economica dell’Unione europea e, infine, garantire ai consumatori la sicurezza dell’approvvigionamento.

2.2.

Questi processi richiedono la mobilitazione di centinaia di miliardi di euro, di cui una prima parte viene fornita dal programma di rilancio della Commissione per una crescita economica generatrice di attività e di occupazione. Tali investimenti andranno di pari passo con la diffusione delle reti intelligenti (a livello sia del trasporto che della distribuzione), che si affermano come un mercato di vasta portata. Bisognerà prevedere dei finanziamenti complementari innovativi, anche attraverso un invito a un finanziamento collettivo remunerato.

2.3.

Una vera politica europea delle infrastrutture energetiche esige inoltre che vengano sviluppate alcune filiere fondamentali in materia di innovazione, che rafforzino la competitività europea nel mercato mondiale.

2.4.

La priorità data alle reti energetiche sarà una componente fondamentale di questa più grande cooperazione/integrazione europea in materia di energia che appare oggi come una necessità imperativa, già ampiamente esaminata dal CESE in alcuni suoi precedenti lavori, come ad esempio quelli relativi alla costruzione di una Comunità europea dell’energia. Ed è proprio per rispondere a queste necessità che la nuova Commissione ha proposto la creazione dell’Unione dell’energia, posta sotto la guida del vicepresidente Maroš Šefčovič.

2.5.

In linea con le priorità del CESE, l’Unione dell’energia mira opportunamente a promuovere il dialogo e la cooperazione come unica via per ridurre i costi, migliorare l’efficienza e rispondere ai bisogni dei cittadini e delle imprese.

3.   Le sfide delle infrastrutture del gas in Europa

3.1.

Nel 2014 la situazione creatasi in Ucraina ha riacceso i timori dell’Europa per le forniture di gas naturale. Con l’impoverimento dei giacimenti del Mare del Nord e dei Paesi Bassi, la diversificazione delle importazioni è oggi una sfida importante, così come la capacità europea di far fronte a eventuali interruzioni dell’approvvigionamento. Ciò significa che nei prossimi anni occorrerà avviare o mandare in porto una serie di progetti di gasdotti transfrontalieri, di compressori per invertire i flussi in caso di necessità, o ancora di terminali per il metano. Allo stesso tempo, saranno necessarie infrastrutture intraeuropee per favorire l’integrazione del mercato interno ed evitare differenze di prezzo dovute a strozzature.

3.2.

D’altro canto, la transizione energetica stravolge, per molti aspetti, le prospettive delle industrie del gas, inviando segnali diversi che possono talvolta rivelarsi contraddittori. In effetti, le infrastrutture del gas presuppongono investimenti che richiedono decenni per essere ammortizzati, e che sono poco incentivati dalla volontà di ridurre il consumo di energia o di passare dalle energie ad elevato contenuto di carbonio alle energie rinnovabili. Tanto più che, non avendo previsto lo sviluppo del gas di scisto negli Stati Uniti, e quindi delle importazioni di carbone statunitense, si è investito troppo nella capacità di produzione elettrica in ciclo combinato, che doveva fare da pendant alle centrali di produzione intermittente. La transizione energetica porta però con sé lo sviluppo del biogas, che richiederà un certo adeguamento delle reti per consentire la raccolta e tenere conto della dispersione delle fonti di produzione.

3.3.

Per il gas naturale è quindi essenziale che la strategia energetica europea segua una traiettoria chiara e prevedibile, visti i notevoli investimenti da realizzare, che da qui al 2020 sono valutati dalla Commissione a 70 miliardi di euro e dalla rete europea dei gestori di sistemi di trasporto del gas (REGST del gas) a 90 miliardi di euro.

4.   La sfida delle reti elettriche nella transizione energetica

4.1.

Le reti di trasporto e di distribuzione dell’energia elettrica sono la spina dorsale del sistema elettrico europeo e una risorsa fondamentale per la transizione energetica. Esse devono essere adeguate ai nuovi sistemi di produzione — rinnovabili, più diffusi nello spazio e intermittenti — e alle nuove esigenze dei consumatori al fine di assicurare l’equilibrio tra l’offerta e la domanda di energia elettrica. In molti paesi le prime linee ad alta e altissima tensione si sono sviluppate inizialmente intorno a impianti di produzione — prima termica, poi idraulica e successivamente nucleare — centralizzati. Successivamente, sono stati i bisogni delle zone urbane e industriali, che a partire dagli Anni 50 hanno conosciuto una crescita molto rapida, a determinare il tracciato delle nuove linee. Oggi l’Europa è attraversata da grandi flussi di elettricità prodotta da fonti rinnovabili, che superano i confini nazionali e rendono ancora più indispensabile la solidarietà territoriale.

4.2.

Gli obiettivi dell’UE per il 2020 e per il 2050, che tengono conto del clima e dell’ambiente, della sicurezza dell’approvvigionamento energetico e della competitività, conducono ad una esplosione degli investimenti negli impianti di produzione elettrica decentrata da fonti rinnovabili. In Francia come in Germania, ma anche in Spagna e in Italia, il 95 % di questi impianti è già collegato alla rete di distribuzione elettrica (bassa e media tensione). Questa produzione energetica decentrata ha carattere essenzialmente intermittente, in quanto è condizionata dalla presenza di vento o sole. Il ruolo e i compiti dei distributori di energia vengono quindi a cambiare radicalmente. Ieri, la rete di distribuzione faceva fronte soltanto a poche «strozzature elettriche» e portava al consumatore finale, in una logica top down, da monte a valle, l’elettricità prodotta in modo centralizzato che era transitata sulla rete di trasporto (alta e altissima tensione). Domani, la gestione della rete cambierà. Il collegamento alla rete di una quota crescente di fonti di energia rinnovabili decentrate, la ricarica dei veicoli elettrici e il maggior ruolo dei clienti in grado di partecipare attivamente al mercato della gestione del carico modificheranno infatti le responsabilità e le attività dei distributori di energia elettrica, come anche il rapporto tra reti di distribuzione e reti di trasporto. In futuro, quindi, le reti di distribuzione saranno sempre più interconnesse e complesse, e comprenderanno molteplici fonti di produzione e tipologie di consumo sempre più varie e variabili nel tempo; i flussi di elettricità potranno addirittura essere invertiti e transitare dalle reti di distribuzione verso le reti di trasporto, nel caso in cui localmente la produzione superi di molto il consumo. In generale, si può prevedere che le difficoltà incontrate oggi dalle reti di trasporto dell’energia elettrica, in particolare la gestione delle congestioni, saranno presto una realtà che interesserà piuttosto le operazioni quotidiane dei gestori delle reti di distribuzione.

Maggiore flessibilità della produzione

4.3.

Questa transizione energetica, avviata in tutti i paesi europei, porta a una diversa dislocazione delle fonti di produzione: i nuovi siti, più dispersi degli impianti di produzione «convenzionali», non coincidono con la cartografia del periodo anteriore. Le aree in cui viene prodotta l’energia eolica o fotovoltaica sono generalmente lontane dai principali centri di consumo. In Germania, ad esempio, il trasporto dell’energia eolica prodotta nel Mare del Nord e nel Mare Baltico verso i centri di consumo del Sud rappresenta una sfida importante, e a volte, data l’attuale mancanza di una capacità di trasmissione sufficiente, la produzione rinnovabile deve essere limitata, il che si traduce in uno spreco fisico ed economico. La rete dovrà quindi essere rapidamente adeguata per poter accogliere queste nuove fonti di produzione. Inoltre, le politiche energetiche di ciascuno Stato membro, ad esempio per quanto riguarda il ritmo e la portata dell’attuazione delle energie rinnovabili, dovrebbero tenere conto anche degli effetti sui sistemi energetici degli altri Stati membri.

4.4.

Al di là della questione del collegamento, lo sviluppo massiccio di queste nuove fonti di produzione variabili (in contrapposizione alle fonti di produzione programmabili, finora predominanti) induce gli attori a interrogarsi sulla gestione del sistema elettrico, e a immaginare nuovi strumenti di programmazione.

4.5.

Lo stoccaggio dell’energia elettrica, una volta operativo, sarà un’ottima soluzione all’intermittenza delle energie rinnovabili e alla variabilità (giornaliera o stagionale) del consumo. Oggi però le tecnologie sono essenzialmente circoscritte al pompaggio idroelettrico — tecnologia, sì, collaudata (viene utilizzata da quasi 80 anni), ma limitata dalla scarsità dei siti e dal loro impatto ambientale. Inoltre, si tratta di impianti di grandi dimensioni, che richiedono la trasmissione dell’elettricità nei due sensi: pompaggio e restituzione. L’ideale sarebbe uno stoccaggio diffuso.

4.5.1.

Si stanno esplorando altre piste promettenti, ad esempio l’accumulo sotto forma di idrogeno, ma per svilupparle su scala industriale si dovranno aspettare almeno dieci anni.

4.6.

Per il momento, in mancanza di una capacità di stoccaggio diffusa che sia sufficiente, efficace, economicamente sostenibile e rispettosa dell’ambiente, e anche integrando le diverse possibilità legate all’autoconsumo, la soluzione più adatta per accogliere e valorizzare le nuove energie rinnovabili rimane oggi una buona gestione dei flussi. È proprio questo che consente una rete sufficientemente collegata e resiliente, su scala regionale, nazionale ed europea. Assicurando, attraverso le interconnessioni, la messa in comune delle capacità produttive di diverso livello, il collegamento delle reti energetiche consente notevoli risparmi garantendo al tempo stesso l’approvvigionamento elettrico di tutta l’Unione europea.

4.7.

Questa economia di mezzi non è legata soltanto alle dimensioni della rete, ma è anche effetto delle differenze — sociali, culturali, geografiche, meteorologiche e nei modi di produzione. Per riprendere il nostro esempio di interconnessione tra le reti europee, innanzitutto, i picchi di consumo serali si verificano in momenti diversi in conseguenza dei diversi stili di vita che caratterizzano i paesi limitrofi: gli abitanti del Belgio, della Germania, della Francia e della Spagna non cenano alla stessa ora, e neppure quelli di Romania, Bulgaria, Grecia e Polonia. Inoltre, i sistemi elettrici dei paesi europei sono più o meno sensibili a taluni rischi. In Francia, i periodi più difficili sono strettamente legati alle basse temperature: il picco massimo di consumo si verificherà una sera d’inverno particolarmente fredda, intorno alle ore 19. La Germania invece è molto sensibile alla produzione eolica, mentre la Spagna registrerà i suoi picchi di consumo in estate a metà giornata, verso le ore 13, in concomitanza con l’uso dei condizionatori d’aria.

4.8.

La messa in comune delle capacità di produzione tramite l’interconnessione consente a ciascun paese di condividere il rischio legato a tali incertezze e quindi di ridurre il fabbisogno di capacità di produzione.

4.9.

Le reti per il trasporto dell’elettricità consentono di sfruttare appieno i giacimenti di energie rinnovabili su vasta scala e di gestire meglio i vincoli dovuti all’intermittenza di queste ultime; la rete consente di ridurre il fabbisogno di capacità compensative cosiddette «di back up», spesso costituite da centrali termiche a combustibile fossile (carbone, gas, olio combustibile) con elevate emissioni di gas a effetto serra (GES). Le reti (di trasporto e di distribuzione) assicurano la trasmissione delle sovrapproduzioni locali puntuali, ad esempio una produzione fotovoltaica consistente nella pausa pranzo in un quartiere residenziale, verso le zone di consumo. Esse consentiranno inoltre di coprire il fabbisogno di questa stessa popolazione durante le ore notturne e nei giorni con irraggiamento solare scarso o assente.

La modulazione del consumo: una necessità

4.10.

Una rete europea ben gestita, basata su infrastrutture adeguate alla nuova geografia della produzione, appare pertanto come uno strumento essenziale per la transizione energetica. Ma questo è solo un aspetto della questione.

4.11.

Nei paesi industrializzati, i sistemi di produzione perfettamente programmabili utilizzati fino all’inizio del decennio 1990, come l’energia idroelettrica o nucleare, hanno portato a pensare che la produzione dovesse adeguarsi al consumo (offerta e domanda) e non viceversa. L’operatore della rete doveva assicurare l’adeguamento della produzione e della fornitura alle variazioni del consumo per garantire un equilibrio permanente tra produzione e consumo di elettricità.

4.12.

Ma la situazione è cambiata in modo irreversibile. Lo sviluppo di nuovi impieghi dell’elettricità (diffusione della climatizzazione, moltiplicazione degli apparecchi elettronici, telefonia mobile e applicazioni varie ecc.) e i passaggi da una forma di energia all’altra attualmente in corso, in particolare nel settore dei trasporti (veicoli elettrici) implicano la necessità di controllare il consumo attuale in modo da non sovraccaricare il parco produzione e le reti elettriche, onde evitare investimenti sovradimensionati.

4.13.

Bisogna tenere conto dei picchi di consumo, associati alla maggiore variabilità climatica: nei paesi in cui l’elettricità viene utilizzata per il riscaldamento, i picchi di consumo si vanno accentuando sempre più nei periodi difficili. In Francia, ad esempio, alla fine di febbraio del 2012 si sono superati i 102 GW, il che equivale ad un aumento del 30 % rispetto a 10 anni fa. Le più frequenti ondate di caldo, associate al maggiore ricorso alle apparecchiature di condizionamento dell’aria, determinano già ora dei picchi di consumo. Ciò può creare problemi in termini di produzione. In Europa occidentale, ad esempio, i picchi di consumo elettrico corrispondono ai periodi di freddo invernale e alle calure estive, cioè a un regime anticiclonico segnato in particolare dall’assenza di vento. Ciò ha scarsa rilevanza quando l’elettricità di origine eolica rappresenta solo una percentuale ridotta della produzione totale, ma le cose cambiano con la progressiva affermazione di questa fonte di energia.

4.14.

La gestione del carico è una particolare e utile forma di programmazione che permette di attenuare i picchi di consumo e, più generalmente, di livellare la «curva di carico». Essa consiste nel ridurre a un determinato momento il consumo fisico di un dato sito o di un gruppo di attori. La gestione del carico è diffusa nel settore residenziale e assume forme diverse nei siti industriali. In questo sistema, occorre tenere conto dell’effetto di «consumo differito».

4.15.

La modulazione del consumo è un altro strumento, accanto allo sviluppo di reti intelligenti (con minori investimenti) e di impianti di produzione oppure di stoccaggio. I gestori di rete devono svolgere un ruolo attivo in questo campo contribuendo a sviluppare il mercato delle nuove tecniche di gestione del carico. Non si tratta solo di tecnologie, ma anche di veri e propri meccanismi di mercato che consentiranno di trasformare gradualmente i consumatori in «consum-attori». Oggi questi meccanismi sono in pieno sviluppo e i gestori delle reti (di trasporto e di distribuzione) sono attori di primo piano. In Francia, ad esempio, le gare d’appalto hanno già consentito un forte aumento dei volumi sottoposti a gestione del carico da quando è stato introdotto questo strumento nel 2010: si è infatti passati dai 100 MW della prima sperimentazione a oltre 700 MW alla fine del 2013. Vi è inoltre, anche in questo caso, ampio spazio per la concertazione tra gli operatori, gli enti locali e regionali, i lavoratori del settore e le organizzazioni dei consumatori.

4.16.

I nuovi meccanismi di mercato che dovranno essere creati nei prossimi anni, come il meccanismo di capacità, dovrebbero permettere di sostenere questa tendenza a medio e lungo termine, contribuendo così a valorizzare maggiormente la flessibilità della domanda elettrica.

5.   Dall’ottimizzazione economica e sociale all’ottimizzazione ambientale

5.1.

La messa in comune e l’ottimizzazione degli impianti di produzione da un lato e, dall’altro, lo sviluppo e la flessibilità del consumo sono tutti aspetti che rimandano alla missione fondamentale della rete di trasmissione e della rete di distribuzione dell’energia elettrica: quella della solidarietà territoriale. Infatti, il sistema di trasporto consente di riconciliare bilanci regionali o persino nazionali eterogenei, potenziali di produzione diversi e profili di consumo differenti e irregolari. Oltre alla flessibilità che apporta tra produzione e consumo, la rete di trasmissione dell’energia elettrica è anche uno strumento di ottimizzazione ambientale del sistema elettrico.

5.2.

Infatti, la gestione dei flussi dell’energia elettrica tiene conto dei vincoli tecnici e della «gerarchia» economica e sociale delle diverse fonti di produzione elettrica. Vengono utilizzate per prime le energie che in francese vengono definite «fatales» (quelle, cioè, la cui produzione sarebbe perduta se non venisse utilizzata immediatamente: l’energia eolica, quella solare fotovoltaica), seguite dall’idroelettrico ad acqua fluente e poi dall’energia nucleare, che ha un basso costo marginale. Vengono poi quelle prodotte a partire da combustibili fossili — carbone, gas e olio combustibile, in funzione del costo del combustibile. La produzione idroelettrica a bacino svolge invece un ruolo «regolatore» rispetto alle altre. Ciò vale anche per altri impianti di produzione convenzionali che presentano caratteristiche di flessibilità, come ad esempio le centrali a gas.

5.3.

Tale funzionamento garantisce in teoria un uso ottimale ed economico delle fonti di produzione. Ma i numerosi parametri da prendere in considerazione mettono sotto pressione il sistema, e l’ascesa delle energie rinnovabili può contribuire a spezzarne l’equilibrio.

5.4.

Al di là degli aspetti tecnici dell’inserimento delle energie rinnovabili nel sistema elettrico, il loro sviluppo nel quadro di meccanismi di sostegno, specie finanziari, solleva la questione del loro coordinamento con i tradizionali meccanismi di mercato.

5.5.

Ciò è dovuto, in particolare, al contesto: il ristagno del consumo, che si può vedere in chiave positiva dal punto di vista sociale, e il calo dei prezzi del carbone e della CO2 in Europa fanno sì che non si riesca a rendere redditizi gli impianti di produzione termici, in particolare i cicli combinati a gas. In questo contesto, l’inserimento di produzioni energetiche rinnovabili può essere fonte di squilibri per i mercati organizzati. Ad esempio, abbiamo assistito a più riprese a prezzi negativi sui mercati all’ingrosso, situazione paradossale che rischia di verificarsi in alcuni paesi europei per varie centinaia di ore all’anno. In questi ultimi anni, la disattivazione, per mancato sfruttamento economico, di cicli combinati a gas per oltre 70  000 MW, con tutte le conseguenze tecniche, sociali ed economiche che ciò comporta, testimonia l’assenza di coordinamento tra lo sviluppo del nuovo modello energetico europeo e le condizioni imposte dal mercato interno dell’energia.

5.6.

La disattivazione di numerose centrali termiche, in particolare a gas, in tutta Europa potrebbe diventare problematica. Oltre a porre problemi sociali, faranno sì che i margini di sicurezza oggi disponibili, che hanno consentito ad esempio di passare l’ondata di freddo continentale nel 2012, diminuiscano per tutto il periodo 2014-2018, con una riduzione considerevole nel 2015 e nel 2016. I diversi scenari studiati da varie società dimostrano che se un evento come l’ondata di freddo del febbraio 2012 dovesse ripetersi nelle stesse condizioni climatiche (vento, sole, temperatura), il criterio della sicurezza dell’alimentazione fissato da alcuni Stati membri, pari in media a tre ore di interruzione della fornitura elettrica potrebbe non essere più soddisfatto nel 2016!

5.7.

Oggi il mercato dell’elettricità fatica a inviare dei segnali di lungo periodo efficaci, indispensabili per incentivare gli investimenti necessari e realizzare gli obiettivi energetici e climatici dell’UE. Nell’Unione europea e in gran parte dei paesi limitrofi urge trovare un nuovo modello per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico, un modello che consenta di favorire l’emergere di nuove opportunità tecnologiche e industriali intorno a reti intelligenti e nel contempo di ripensare l’economia dei sistemi energetici nel suo complesso per renderli coerenti con i diversi obiettivi fissati per il 2030 e oltre.

Bruxelles, 18 marzo 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


14.8.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 268/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Ruolo dello sviluppo sostenibile e partecipazione della società civile nel quadro degli accordi di investimento autonomi dell’UE con paesi terzi»

(2015/C 268/04)

Relatore:

PEEL

Nella sessione plenaria del 10 luglio 2014, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«Ruolo dello sviluppo sostenibile e partecipazione della società civile nel quadro degli accordi di investimento autonomi dell’UE con paesi terzi».

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 febbraio 2015.

Alla sua 506a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 marzo 2015 (seduta del 19 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 165 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Negli ultimi anni l’UE ha negoziato con successo una serie di accordi di libero scambio (ALS), ciascuno dei quali comprende un capitolo specifico sullo sviluppo sostenibile, oltre a un meccanismo congiunto della società civile volto a monitorare l’attuazione del relativo accordo. In tutti e due i casi al Comitato spetta un ruolo cruciale. L’UE sta inoltre conducendo due distinti negoziati per concludere degli accordi d’investimento autonomi, ed è possibile che altri seguiranno. Il Comitato ritiene essenziale che anche tali accordi comprendano un capitolo sullo sviluppo sostenibile, con un meccanismo adeguato che permetta la partecipazione della società civile.

1.2.

Accordi d’investimento autonomi distinti, anziché ALS completi, saranno negoziati per ragioni diverse dipendenti dalle specifiche circostanze, ma il loro campo di applicazione sarà necessariamente più limitato. Il requisito dell’inclusione di un capitolo sullo sviluppo sostenibile in tali accordi mantiene tutta la sua urgenza, ma saranno necessari sforzi maggiori per dare veste ufficiale alla partecipazione della società civile. Nel quadro di un accordo di libero scambio, come quello con la Corea, sono istituiti molti comitati misti, ma un accordo di investimento ne prevede un numero assai ridotto.

1.2.1.

Sarà perciò necessaria una maggiore creatività per permettere di avere il contributo diretto della società civile; ci si dovrebbe arrivare utilizzando un meccanismo di dialogo già esistente, come quello offerto dalla Tavola rotonda UE-Cina, oppure incoraggiando il dialogo intersettoriale, compreso un coinvolgimento maggiore delle parti sociali. In ogni caso, il Comitato dovrebbe partecipare alla ricerca delle possibili soluzioni.

1.3.

Ovviamente, l’accento che l’UE pone sullo sviluppo sostenibile deriva in parte dalla sua generale aspirazione a sostenere e potenziare la forza persuasiva delle sue convinzioni condivise in materia di democrazia, Stato di diritto, diritti umani, trasparenza e prevedibilità, non da ultimo in settori fondamentali quali i diritti di proprietà intellettuale.

1.3.1.

Questo approccio è incentrato sulla tutela dell’ambiente, la lotta ai cambiamenti climatici, la promozione del lavoro dignitoso, la salute e la sicurezza sul lavoro, e l’ampio ventaglio di temi trattati sia dalle convenzioni fondamentali dell’OIL che dalle principali convenzioni in materia ambientale. Il CESE ritiene che adesso sia giunto il momento di mettere in evidenza l’attuazione effettiva nel quadro di questi accordi, attraverso un impegno a collaborare che implichi lo sviluppo di capacità in termini sia di risorse umane che di trasferimenti di tecnologia.

1.3.2.

La dichiarazione congiunta del 27o vertice ACP-UE (1), tenutosi nell’ottobre 2014, illustra chiaramente i principi e le preoccupazioni di fondo del Comitato, in questo caso condivisi dalla società civile di paesi terzi. La sintesi del documento sottolinea l’importanza sia dello sviluppo sostenibile che della definizione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) nell’anno in corso, oltre alla necessità di coinvolgere la società civile (o parti interessate non statali) mediante questi negoziati. Sebbene tale dichiarazione riguardi gli accordi di partenariato economico (APE), il suo contenuto vale anche per gli accordi d’investimento.

1.4.

Il CESE sottolinea inoltre che qualsiasi accordo d’investimento sottoscritto dall’UE deve essere in totale sinergia con i lavori del gruppo di lavoro aperto che sta mettendo a punto l’intero complesso dei 17 OSS, con il processo di preparazione per la Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC COP 15) che si terrà a Parigi, e anche con gli attuali negoziati multilaterali volti a ridurre le tariffe doganali sui beni ambientali (o «verdi»).

1.4.1.

Il Comitato ha precedentemente affermato che occorre comprendere meglio le modalità d’interazione delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile «al fine di trovare soluzioni eque, sobrie ed efficaci» (2). Ciononostante, la sostenibilità deve svolgere un ruolo di primo piano negli attuali negoziati in materia di investimenti tra l’UE e la Cina, non da ultimo perché si ritiene che una delle esigenze principali della Cina consista nella realizzazione di investimenti verdi e sostenibili attraverso l’importazione delle conoscenze e delle tecnologie dell’UE.

1.5.

Il Comitato constata con rammarico che, a partire dal 2000, i livelli d’investimento a livello mondiale sono calati di almeno il 5 %.

1.6.

Il CESE rileva inoltre che il ruolo del settore privato rappresenterà un fattore cruciale in ogni accordo d’investimento, soprattutto alla luce della stima della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) (3) secondo cui saranno necessari circa 7  000 miliardi di dollari USA a fini d’investimento per tutta la durata degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), e un terzo di questo ammontare dovrà provenire dal settore privato. La protezione degli investimenti è una questione cruciale, ma è trattata in un altro parere del Comitato elaborato contestualmente. Il CESE ribadisce, tuttavia, che il diritto dell’UE e di altri Stati a regolamentare e a perseguire obiettivi legittimi di politica pubblica (comprese la salute, la sicurezza e l’ambiente) è d’importanza preminente.

1.6.1.

Il CESE raccomanda vivamente alla Commissione di prestare particolare attenzione al sostegno che bisogna offrire alle PMI — e a imprese più specializzate — nelle questioni d’investimento e anche in altri campi. Queste aziende sono i principali promotori dell’innovazione, un aspetto particolarmente importante per mantenere e sviluppare la sostenibilità; esse costituiscono il 99 % del tessuto economico dell’UE e inoltre generano il 70-80 % dei posti di lavoro.

1.6.2.

Ogni accordo d’investimento dovrà considerare gli appalti pubblici, oltre ai partenariati pubblico-privati (PPP) in cui i governi operano fianco a fianco con il settore privato. Il punto di vista del CESE sui PPP è stato illustrato nel parere ECO/272 del 21 ottobre 2010. Sebbene il parere fosse generalmente favorevole ai PPP, sono stati tuttavia segnalati certi timori che sono ancora assai pertinenti. Il CESE ha precedentemente affermato che i partenariati tra settore pubblico e settore privato «possono diventare uno strumento essenziale per attuare le strategie di sviluppo, a condizione che vi siano una giusta proporzione e una buona comunicazione tra le parti interessate» (4). Tutti gli accordi d’investimento devono pertanto rendere possibili gli investimenti pubblici e i PPP, e sia i primi che i secondi devono garantire il raggiungimento degli obiettivi in materia di sostenibilità.

1.6.3.

Il CESE raccomanda che nel capitolo sullo sviluppo sostenibile di ogni accordo d’investimento venga trattato anche il ruolo della responsabilità sociale delle imprese (RSI), compreso un riferimento agli investimenti socialmente responsabili (5), come i principi di investimento responsabile delle Nazioni Unite (UNPRI). A questo scopo tali accordi dovrebbero incoraggiare gli istituti finanziari pubblici e privati a dichiarare di loro spontanea volontà che i dati sull’impatto ambientale, sociale e sul piano della governance (noti come criteri ESG) sono stati presi in considerazione nelle loro analisi e decisioni d’investimento responsabile. Il CESE rileva che una nuova comunicazione della Commissione sulla RSI è prevista per i primi mesi del 2015, ma è essenziale che le due parti negoziali si accordino sul pieno riconoscimento reciproco di orientamenti internazionali più ampi, tra cui gli orientamenti dell’OCSE per le imprese multinazionali (MNE) (6) e i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (principi guida delle Nazioni Unite), che sono in fase di attuazione. Il Comitato sottolinea che qualsiasi azione a livello internazionale o dell’UE non dovrebbe contrastare queste linee guida o recarvi pregiudizio.

2.   Contesto

2.1.

Con il trattato di Lisbona gli investimenti sono diventati di competenza dell’UE nel quadro della sua politica commerciale comune, e all’Unione è stato assegnato il compito di operare per la «graduale soppressione delle restrizioni [agli scambi internazionali e] agli investimenti esteri diretti» (7) (IED). Il trattato stabiliva inoltre che tutti gli aspetti pertinenti del commercio, degli investimenti, dello sviluppo e dell’allargamento dovessero essere integrati più strettamente e armonizzati tra loro, anche al fine di consentire un migliore coordinamento.

2.2.

La Commissione ha pubblicato all’epoca la comunicazione «Verso una politica globale europea degli investimenti internazionali» (8), in cui «si ritiene in generale» — sulla scorta delle sentenze della Corte di giustizia — che gli investimenti esteri diretti (IED) comprendano «qualunque investimento estero che serva a stabilire collegamenti durevoli e diretti con l’impresa a disposizione della quale viene messo il capitale necessario a realizzare un’attività economica» oppure siano un flusso di capitale che va da un investitore con sede in un determinato paese verso un’impresa ubicata in un altro paese.

2.2.1.

In risposta, il parere del Comitato (9) ha «espresso «particolare apprezzamento» per la rassicurazione […] secondo cui la politica dell’UE in materia di commercio e investimenti «deve adattarsi» e deve essere compatibile con la politica economica e le altre politiche dell’Unione, comprese quelle «in materia di tutela dell’ambiente, di lavoro dignitoso, di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro», nonché di sviluppo».

2.3.

Tuttavia, in quel momento non si è manifestata la spinta verso un’integrazione più stretta di ogni aspetto della politica esterna dell’UE. Nella comunicazione Europa globale del 2006, pubblicata quando i negoziati dell’OMC relativi all’agenda di Doha per lo sviluppo (ADS) erano effettivamente entrati in una fase di stallo, la Commissione ha affermato che era essenziale garantire che i benefici derivanti dalla liberalizzazione degli scambi commerciali arrivassero fino ai cittadini. «Siccome perseguiamo la giustizia sociale e la coesione all’interno dell’UE, dovremmo adoperarci anche per promuovere i nostri valori, compresi gli standard in materia sociale e ambientale e la diversità culturale, in tutto il mondo» (10). Nella risposta a questa comunicazione, il Comitato ha chiesto a sua volta di inserire un capitolo sullo sviluppo sostenibile in ogni successivo accordo di libero scambio (ALS), oltre a prevedere un attivo ruolo di monitoraggio per la società civile (11).

2.4.

Da allora l’UE ha concluso un numero considerevole di accordi commerciali in cui il capitolo sullo sviluppo sostenibile ha rivestito un ruolo di primo piano. A partire dall’accordo del 2010 tra l’UE e la Corea, il primo ALS concluso dall’UE da molti anni, questi accordi hanno anche stabilito la creazione di un meccanismo congiunto della società civile teso a monitorare l’attuazione di questi capitoli dedicati allo sviluppo sostenibile, e tali meccanismi stanno iniziando a produrre i loro effetti. Il Forum della società civile UE-Corea si è riunito regolarmente, e anche gli organismi consultivi relativi agli ALS tra l’UE e l’America centrale e tra l’UE e due paesi sudamericani (Colombia e Perù), oltre a quelli relativi all’accordo di partenariato economico UE-Cariforum, hanno iniziato i lavori.

2.5.

Negli ALS globali e approfonditi che l’UE ha recentemente firmato con l’Ucraina, la Georgia e la Repubblica di Moldova (ma che non sono ancora entrati in vigore) esistono meccanismi simili, e lo stesso vale per l’accordo economico commerciale e globale (CETA) con il Canada e per l’accordo con Singapore; è inoltre facile prevedere che essi saranno inseriti in altri negoziati commerciali dell’UE ancora in corso.

2.6.

Gli investimenti hanno rappresentato a loro volta un aspetto fondamentale del mandato negoziale nelle trattative avviate dopo che gli investimenti sono diventati di competenza dell’UE; ciò vale per il CETA e soprattutto per i negoziati con gli Stati Uniti relativi al partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP). Il mandato approvato per l’accordo con la Corea e per gli altri ALS menzionati al punto 2.4 era stato deciso prima che gli investimenti rientrassero nella competenza dell’UE, ma il tema degli investimenti è stato in seguito aggiunto al mandato per l’accordo con Singapore, poi concluso separatamente.

2.7.

I negoziati per un accordo d’investimento distinto e autonomo hanno ufficialmente preso avvio in occasione del vertice UE-Cina del novembre 2013, e nel marzo 2014 sono stati avviati i negoziati per un accordo analogo con il Myanmar. Si tratta dei primi negoziati d’investimento «autonomi» dell’UE, ossia che non rientrano in un negoziato più ampio relativo a un accordo di libero scambio (12). Questo tipo di accordo può inoltre offrire un’alternativa interessante quando i negoziati relativi a un ALS si trascinano da lungo tempo e sembrano aver perso ogni slancio, sebbene la possibilità di un negoziato separato con la Russia in materia di investimenti fosse stata stato ventilata anche prima della crisi in Ucraina.

2.8.

Il presente parere esamina pertanto il possibile ruolo di un capitolo sullo sviluppo sostenibile in questi accordi d’investimento autonomi, nonché la possibilità di un coinvolgimento ufficiale e attivo della società civile.

3.   La natura variabile degli investimenti

3.1.

Inizialmente gli investimenti (da intendersi come uno dei «temi di Singapore» concordati nel 1996) avrebbero dovuto far parte dei negoziati commerciali multilaterali dell’OMC avviati a Doha, ma erano stati poi messi da parte nella conferenza ministeriale dell’OMC tenutasi nel 2003 a Cancún. Il tentativo dell’OCSE di dare avvio a un accordo multilaterale sugli investimenti è fallito nel 1998. L’accordo sulle misure d’investimento legate al commercio (TRIM), concluso 20 anni fa nel quadro dell’Uruguay Round dell’OMC, riguarda soltanto le misure che hanno un’incidenza sul commercio di beni, escludendo i servizi o altri settori strategici che si sono sviluppati nel frattempo.

3.2.

Separare gli scambi commerciali dagli investimenti sta diventando sempre più complesso e si rende quindi necessario un approccio integrato. Gli investimenti esteri diretti (IED) svolgono un ruolo crescente e fondamentale nella strategia commerciale globale dell’UE. In molti casi, a seconda dei costi comparativi di produzione, il luogo ideale di produzione si trova il più vicino possibile al mercato finale, e ciò risulta particolarmente importante con l’apertura di nuovi sbocchi commerciali, soprattutto nelle economie rapidamente emergenti e in altre economie in via di sviluppo. In altri casi è importante la capacità di spostare velocemente da un paese all’altro le attività di approvvigionamento e produzione, come è già stato dimostrato in ragione delle differenze osservate nell’accettazione dell’impiego delle biotecnologie.

3.2.1.

Le fluttuazioni valutarie e i costi variabili si ripercuotono anche sulle catene di approvvigionamento, con la conseguenza di oscillazioni e variazioni di breve termine nella produzione. Inoltre è più probabile che elevate barriere all’importazione, che nel passato erano un fattore positivo per gli investimenti, adesso invece scoraggino gli IED.

3.2.2.

Anche le filiere mondiali di approvvigionamento e di produzione possono ramificarsi in numerosi paesi, ad esempio un telefono cellulare destinato all’Europa può essere fabbricato in Cina utilizzando componenti ad alta tecnologia importati da altre regioni dell’Asia orientale. Prima dell’ingresso della Cina nell’OMC, in genere questi componenti venivano direttamente importati nell’UE. Circa la metà delle esportazioni cinesi proviene in realtà da imprese di proprietà straniera che hanno investito in Cina (nel settore elettronico tale quota raggiunge il 65 %).

3.2.3.

La comunicazione del 2010 ha inoltre sottolineato che lo «stato attuale della ricerca sugli IED e l’occupazione mostra che non è stato ancora individuato un impatto negativo misurabile sull’occupazione a livello aggregato per quanto riguarda gli investimenti verso l’esterno» (13), anche se ha riconosciuto che «mentre il bilancio aggregato è positivo, possono evidentemente prodursi effetti negativi a livello settoriale, geografico e/o individuale». Tali ripercussioni interessano con maggiore probabilità i lavoratori meno qualificati.

3.3.

Le pratiche commerciali e di investimento si stanno sviluppando molto rapidamente. Ad esempio, Internet sta generando un cambiamento radicale, con una crescita esponenziale degli acquisti internazionali online di beni, dei relativi pagamenti online e del tracciamento dell’effettiva spedizione per assicurare che le merci arrivino a destinazione. I cambiamenti introdotti dal crescente utilizzo di eBay/PayPal ed equivalenti (come Alibaba) rivoluzioneranno il commercio e gli investimenti. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) rappresentano già un fattore importante negli investimenti esteri diretti.

3.3.1.

Si tratta di un potenziale enorme per le PMI e altre imprese più specializzate, in quanto consentirà a queste e alle imprese locali di entrare in mercati finora inaccessibili, in particolare per le PMI situate in regioni periferiche. Questo potrebbe dare una spinta notevole alle PMI che investono all’estero, oltre che alla creazione di posti di lavoro a livello locale. Dato che il tessuto economico dell’UE è costituito per il 99 % da PMI, che sono i principali motori dell’innovazione (la quale è essenziale per mantenere e sviluppare la sostenibilità) e creano il 70-80 % dell’occupazione totale, il CESE chiede alla Commissione di prestare una particolare attenzione al sostegno di queste aziende nelle questioni d’investimento e anche in altri campi.

4.   Accordi d’investimento autonomi

4.1.

I due negoziati dell’UE in corso che riguardano accordi d’investimento «autonomi», quelli con la Cina e il Myanmar, saranno molto diversi, anche se secondo il Comitato i mandati di base sono simili. Tutti gli Stati membri dell’UE ad eccezione dell’Irlanda hanno un trattato bilaterale d’investimento (TBI) con la Cina, mentre con il Myanmar non esiste alcun trattato di questo tipo. Inoltre, le questioni relative all’accesso ai mercati rappresentano una parte fondamentale dei negoziati con la Cina, mentre con il Myanmar i negoziati vertono soltanto sulla tutela degli investitori; infatti, dopo un lungo periodo di isolamento, ora il governo del Myanmar vuole attirare e favorire gli investimenti esteri.

4.2.

In termini di sviluppo, la Cina e il Myanmar sono più o meno agli antipodi. La prima è una grande superpotenza, ora integrata nel sistema commerciale mondiale, mentre il secondo sta lentamente riemergendo da decenni d’isolamento, in parte imposto e in parte volontario. Il Myanmar dovrà sviluppare le sue capacità, mentre la Cina non ne ha bisogno. Nel 2013 il totale degli scambi commerciali di beni tra l’UE e il Myanmar ha raggiunto 533 milioni di EUR, mentre con la Cina l’ammontare totale è stato di 428 miliardi di euro (e se si considerano anche i servizi, nel 2012 bisogna aggiungere altri 49,9 miliardi di euro) (14).

4.2.1.

Ciononostante, nel 2012 gli investimenti dell’UE in Cina sono ammontati soltanto a 15,5 miliardi di euro (nel 2009 erano stati pari a 5,3 miliardi), mentre quelli cinesi nell’UE sono stati di appena 7,6 miliardi di euro (0,3 miliardi nel 2009) (15), ossia all’incirca soltanto il 2,6 % degli investimenti esteri nell’UE in quell’anno. Si tratta di cifre molto basse, come evidenziato dal fatto che gli investimenti esteri diretti dell’UE sono di quasi il 30 % negli Stati Uniti, mentre gli IED dell’UE in Cina sono inferiori al 2 % (anche se ammontano a circa il 20 % di tutti gli IED in questo paese). Alla Cina è a sua volta riconducibile meno dello 0,7 % degli investimenti esteri diretti complessivi nell’UE (si può trattare anche di investimenti indiretti che passano per Hong Kong o per altri paesi), mentre la quota degli Stati Uniti è pari al 21 %.

4.2.2.

Ogni negoziato relativo a un accordo d’investimento avrà sue caratteristiche specifiche. Nel caso del Myanmar, verranno stabiliti principi e standard tesi ad alimentare e incoraggiare investimenti dall’estero; per la Cina, si punta a un accordo molto più ambizioso. In ogni caso, tuttavia, gran parte degli investimenti futuri sarà generato dal settore privato oppure in collaborazione con questo settore.

4.3.

L’agevolazione degli investimenti attraverso la fornitura delle infrastrutture sostenibili necessarie rappresenterà una competenza fondamentale per le parti contraenti di un accordo d’investimento. I governi hanno il compito di fornire una solida base normativa per le infrastrutture, anche a livello regionale, oppure di assicurare reti efficaci ed efficienti per l’energia, le risorse idriche e i trasporti attraverso un lavoro di preparazione efficiente e sistematico. I sistemi e le reti per l’energia e l’acqua richiedono una progettazione complessa e, per renderli pienamente operativi, possono essere necessari dieci anni o più. Il quadro normativo deve inoltre essere pianificato a lungo termine. Secondo le stime dell’Unctad (16), dei 7  000 miliardi di dollari USA necessari agli investimenti per tutta la durata degli obiettivi di sviluppo sostenibile, almeno un terzo proverrà dal settore privato, compreso lo sviluppo di nuove città e la costruzione di scuole, ospedali e strade.

4.4.

Sarà quindi essenziale facilitare i partenariati tra il pubblico e i privati (PPP). Tutti gli accordi d’investimento devono garantire che il quadro normativo incoraggi gli investimenti dall’estero in appalti pubblici e in PPP, che devono essere basati sulla prevedibilità e la sostenibilità a lungo termine. Le imprese hanno anche bisogno di pianificare a lungo termine, soprattutto per consentire agli investimenti di dare i frutti sperati. Il fallimento di uno degli attori in gioco non giova a nessuno. Nuove sinergie devono essere sviluppate da attori — statali o privati — solidi e questi devono apprendere nuove forme di partecipazione. Anche in questo caso il contributo della società civile dovrebbe avere una funzione cruciale, specialmente a livello delle parti sociali.

4.5.

Uno dei benefici maggiori che un trattato di questo tipo apporterà alla Cina sarà l’aggiornamento dei 27 TBI (trattati bilaterali d’investimento) stipulati con Stati membri dell’UE e la loro sostituzione con un unico accordo. L’UE non deve puntare soltanto a unificare questi TBI, ma piuttosto a concludere un accordo di alto livello e di tipo nuovo (come ha fatto con il Canada). Oltre ai temi legati all’accesso al mercato, questi negoziati riguardano anche una serie di questioni più ampie, compresi gli appalti pubblici, la politica della concorrenza, il ruolo delle imprese statali, l’accesso a settori finora chiusi, nonché le questioni connesse allo sviluppo sostenibile.

4.5.1.

È essenziale che l’accordo d’investimento tra l’UE e la Cina apporti un valore aggiunto. Esso dovrebbe portare a un rafforzamento del dialogo politico, oltre che a un livello maggiore d’integrazione e di scambi tecnologici.

4.5.2.

Il Comitato prende atto dei principi in materia di investimento concordati tra l’UE e gli Stati Uniti nel 2012 (17). In tali principi è stata sottolineata «l’importanza cruciale di creare e mantenere ambienti e politiche in materia di investimento che siano aperti e stabili e che contribuiscano a uno sviluppo e a una crescita economicamente sostenibili, nonché alla creazione di posti di lavoro, all’aumento della produttività, all’innovazione tecnologica e alla competitività».

4.6.

Tuttavia, la necessità preminente di un capitolo sullo sviluppo sostenibile in qualsiasi accordo d’investimento con la Cina è palese, soprattutto perché in quel paese parte della domanda d’investimento riguarda essenzialmente gli investimenti verdi e sostenibili. La maggior parte degli osservatori ritiene che uno dei motivi principali dell’interesse mostrato dalla Cina per un accordo di questo tipo risieda nel suo bisogno di ricevere dall’UE investimenti e competenze tecniche, che sarebbero d’aiuto nell’espandere le città esistenti — assicurandone al contempo la massima sostenibilità — e nel costruire nuove città sostenibili in tutta la Cina. La Cina si è accorta degli errori commessi non solo nei paesi sviluppati, dove certi quartieri centrali delle città sono diventati sinonimo di degrado, ma anche di quelli nelle economie rapidamente emergenti in cui si assiste a uno sviluppo urbanistico selvaggio dovuto a una crescita rapida, non pianificata e incontrollata delle città. La crescita dell’urbanizzazione in Cina è esponenziale: attualmente, oltre il 50 % della popolazione cinese vive nelle città, un livello considerato inconcepibile soltanto alcuni fa. Ad esempio, Shenzhen, una città che 40 anni fa non esisteva, ha quadruplicato la sua popolazione arrivando a più di 10 milioni di persone nel primo decennio di questo secolo. I cinesi sono determinati a evitare il più possibile le trappole osservate altrove.

5.   Il ruolo dello sviluppo sostenibile nei negoziati in materia di investimenti

5.1.

Il Comitato accoglie con favore l’impegno della Commissione a inserire una componente relativa allo «sviluppo sostenibile» negli accordi d’investimento. Ogni capitolo specificamente dedicato allo sviluppo sostenibile sarà basato sui principi stabiliti nel primo capitolo del genere, ossia nel capitolo 13 dell’accordo di libero scambio tra l’UE e la Repubblica di Corea concluso nel 2010 (18), e sulle modifiche successive, in particolare quelle inserite in accordi di partenariato economico (APE) recenti e negli accordi con Singapore e il Canada (ancora non ratificati). Saranno inoltre necessari adattamenti specifici per gli investimenti, anche per porre l’accento sugli investimenti responsabili, su una maggiore trasparenza, sull’efficienza energetica, sulla promozione dei servizi ambientali e su altri fattori pertinenti.

5.1.1.

Il Comitato accoglie inoltre con favore gli impegni assunti sia dalla Commissione europea che dal Consiglio volti a garantire che la politica in materia di investimenti non sia in contrasto con nessun aspetto specifico dello sviluppo sostenibile.

5.2.

L’allegato 13 dell’accordo tra l’UE e la Corea chiarisce che, per raggiungere gli obiettivi fissati nel capitolo sullo sviluppo sostenibile, le parti contraenti collaboreranno sia a uno scambio di vedute sul tema degli «effetti positivi e negativi» dell’accordo, che nel quadro di «forum internazionali competenti per gli aspetti sociali o ambientali del commercio e dello sviluppo sostenibile», compresi l’OMC, l’OIL, l’UNEP e gli accordi ambientali multilaterali. Ogni aggiornamento dovrebbe anche tener conto della Banca Mondiale, della FAO e di altre iniziative pertinenti.

5.2.1.

L’articolo 13, paragrafo 4, dell’accordo chiarisce che tutte le convenzioni sociali fondamentali (standard e accordi multilaterali in materia di lavoro) sono prese in considerazione, mentre l’articolo 13, paragrafo 5, fa riferimento agli accordi multilaterali in materia di ambiente. L’articolo 13, paragrafo 6, fa specifico riferimento agli investimenti esteri diretti (IED) in «beni e servizi ambientali, comprese le tecnologie ambientali, l’energia rinnovabile sostenibile, i prodotti e i servizi efficienti sul piano energetico e le merci con un marchio di qualità ecologica».

5.2.2.

Hanno una particolare importanza anche l’articolo 13, paragrafo 7, volto a prevenire ogni indebolimento o limitazione nell’applicazione delle leggi per incoraggiare gli investimenti, e l’articolo 13, paragrafo 9, dedicato alla trasparenza.

5.2.3.

Anche se ogni accordo negoziato avrà la sua impronta specifica, è essenziale un approccio coerente con un formato facilmente riconoscibile e accettabile.

5.2.4.

Un meccanismo di dialogo ufficiale in materia di sviluppo sostenibile, analogo a quello previsto dal capitolo 13/allegato 13 dell’accordo con la Corea, avrà un’importanza pari a quello di un ALS completo. Nel caso del Myanmar, la capacità di discutere l’attuazione delle convenzioni dell’OIL sarà fondamentale: tra il 1997 e il 2013 il Myanmar è stato sospeso dall’accordo «Tutto tranne le armi-SPG» concluso con l’UE a causa di violazioni ripetute dei principi sanciti nella convezione dell’OIL sul lavoro forzato.

5.2.5.

Con la Cina, il capitolo sullo sviluppo sostenibile e il forum di discussione specifico dovrebbero cercare di basarsi sia sull’attuale dialogo in materia di politica occupazionale e sociale che sul dialogo in materia di politica ambientale che l’UE e la Cina intrattengono dal 2005, anche se più di recente le discussioni sono state basate sulla dichiarazione congiunta del 2012 sulla crescita verde e il dialogo rafforzato in materia di politica ambientale. L’inquinamento atmosferico e idrico, la gestione dei rifiuti e la silvicoltura dovrebbero essere temi delle discussioni.

5.2.6.

Qualunque capitolo sullo sviluppo sostenibile dovrà esaminare da vicino il ruolo rafforzato svolto dal settore privato negli investimenti. L’obbligo degli investitori sarà fondamentale e sarà controbilanciato da una forma pienamente adeguata di tutela nei loro confronti. Occorre tener conto degli obblighi degli investitori in materia di esigenze di sviluppo sostenibile, compresa un’attività d’investimento socialmente responsabile, nel quadro dei loro sforzi volti a rafforzare e mantenere la loro competitività generale. Per alcuni il sostegno allo sviluppo sostenibile sarà lo scopo d’investimento fondamentale, ma per altri sarà un elemento incidentale. La parti negoziali devono agevolare gli investimenti, ma non possono imporre il tipo di investimenti. Tuttavia, una strategia efficace dell’UE in materia di investimenti riveste un ruolo essenziale nel mantenere la competitività dell’UE in un momento di rapide trasformazioni economiche e di importanti cambiamenti nella potenza economica relativa a livello mondiale, specialmente per quanto concerne gli investimenti realizzati da imprese più specializzate e dalle PMI, che sono fonti d’innovazione d’eccellenza.

5.2.7.

L’articolo 13, paragrafo 6, punto 2 dell’accordo con la Corea fa riferimento al commercio equo ed etico per quanto riguarda gli scambi di merci, oltre che ai regimi «che implicano la responsabilità sociale delle imprese e il loro obbligo di rendere conto». L’allegato 13 stabilisce inoltre «lo scambio di informazioni e la cooperazione» su questi punti, compresa «l’attuazione e il seguito efficaci degli orientamenti concordati a livello internazionale». Il CESE raccomanda vivamente di estendere questo approccio agli accordi d’investimento. Il ruolo della responsabilità sociale delle imprese (RSI) in tutti gli accordi d’investimento sarà di fondamentale importanza.

5.2.8.

Un meccanismo di questo tipo sarebbe molto utile per affrontare questioni in materia di RSI assieme ai partner d’investimento. Dovrebbe mettere l’accento sulla sensibilità culturale, promuovendo la trasparenza e un approccio etico e combattendo la corruzione. Grazie alla presa in considerazione delle preferenze dei consumatori, verranno generati benefici economici e — ad esempio — sarà promossa un’energia più efficiente e pulita. La sensibilizzazione, lo scambio di buone pratiche e la collaborazione costruttiva tra imprese e parti interessate hanno un’importanza fondamentale, così come lo sviluppo di capacità per le PMI, su cui i costi gravano in modo sproporzionato. Gli investimenti cinesi all’estero possono fallire fin troppo facilmente a causa di una mancata piena comprensione di quanto si richiede da loro. Facilitare un legame più stretto tra investitori, esigenze della società e — quindi — preferenze dei consumatori sarebbe di grande aiuto per tutte le parti.

5.2.9.

La Commissione definisce la responsabilità sociale delle imprese come «responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società». La RSI è guidata dalle imprese ed è costituita da iniziative volontarie che vanno al di là degli obblighi di legge. Si tratta di creare nuovo valore attraverso l’innovazione. La RSI riguarda considerazioni di ordine economico, sociale e ambientale attraverso la consultazione di tutti i soggetti interessati, ma è soprattutto importante che ogni approccio sia flessibile e diverso. Non può essere valida un’unica impostazione: ogni impresa ha la sua identità specifica. Le pratiche di RSI possono quindi variare notevolmente ma, se correttamente impiegate, rappresentano uno strumento prezioso per creare opportunità imprenditoriali e migliorare la competitività di una società.

5.2.10.

Una nuova comunicazione della Commissione sulla RSI dovrebbe essere pubblicata tra breve; gli orientamenti internazionali più importanti a cui si fa riferimento comprendono gli orientamenti dell’OCSE per le imprese multinazionali (MNE) (19) e i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (principi guida delle Nazioni Unite), che sono in fase di applicazione. È importante che qualsiasi azione a livello internazionale o dell’UE non contrasti queste linee guida oppure non rechi loro pregiudizio. È anche importante ricordare che, se gli Stati hanno il dovere di proteggere i diritti umani e dare loro attuazione concreta, le imprese hanno la responsabilità di rispettare questi diritti.

6.   Il ruolo della società civile

6.1.

Alla società civile spetta un ruolo nel far avvicinare il governo e il settore privato e nel garantire una partecipazione costante e un monitoraggio continuo. Tuttavia, la questione del diretto coinvolgimento della società civile, compreso il monitoraggio diretto di ogni accordo d’investimento con l’attiva partecipazione di parti interessate sia statali che non statali, richiederà soluzioni differenti in funzione di ciascun paese e basate sui livelli esistenti di dialogo all’interno della società e sull’intesa tra i vari gruppi sociali.

6.2.

Nell’accordo UE-Corea esistono vari meccanismi di dialogo tra le due parti. Il forum della società civile riferisce al comitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile, che coinvolge i governi di entrambe le parti. Per gli accordi d’investimento è previsto soltanto un comitato di questo tipo; potrebbe non essere sempre opportuno sollevare le questioni legate agli investimenti a questo livello, in particolare quando una delle parti potrebbe non volerne fare una questione politica o diplomatica. È possibile che sia necessario trovare un nuovo meccanismo per il forum della società civile.

6.3.

In paesi come la Cina o il Myanmar esistono idee molto diverse, più chiuse in tema di società civile, perciò il principio del coinvolgimento delle organizzazioni della società civile in tutti gli organismi di monitoraggio richiederà una forza persuasiva molto maggiore. La Cina ha avviato con diversi paesi africani dei partenariati concentrati unicamente sugli investimenti, intesi come attività commerciale piuttosto che come aiuto allo sviluppo. I meccanismi di consultazione esistenti non sono prontamente intercambiabili con quelli dell’Unione europea, ma anche un dialogo crescente tra organismi competenti costituirebbe un complemento importantissimo per un accordo. Dal canto suo, dandogli un quadro istituzionale, l’UE ha fatto del dialogo sociale e civile una pietra angolare del suo modello sociale.

6.3.1.

Il Comitato dovrebbe partecipare alla ricerca delle soluzioni. Si raccomanda pertanto di utilizzare estesamente il principio della Tavola rotonda UE-Cina, in cui il CESE e il Consiglio economico e sociale cinese sono rappresentati in maniera paritetica, oppure un altro meccanismo di dialogo studiato in funzione delle circostanze sociali specifiche del paese interessato, perché costituirebbero la strada migliore da seguire.

6.3.2.

Un modo alternativo di procedere potrebbe essere quello di far leva sulla vasta esperienza acquisita dalla Commissione nei programmi per lo sviluppo di capacità in rapporto al commercio o a questioni commerciali. Ad esempio, i programmi con ministeri di paesi terzi incentrati sull’attuazione delle regole dell’OMC presentavano una componente legata alla società civile — comprese le federazioni dei datori di lavoro e i sindacati — e queste organizzazioni della società civile hanno collaborato con organismi delle Nazioni Unite (ad esempio OIL, Unctad, UNIDO) nella realizzazione di tali programmi. Anche il ruolo delle parti sociali sarà importante, non da ultimo in ragione della grande percentuale di investimenti globali che coinvolge le attività economiche e le imprese.

Bruxelles, 19 marzo 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Vertice ACP-UE, ottobre 2014, dichiarazione finale.

(2)  GU C 271 del 19 settembre 2013, pag. 144.

(3)  Unctad WIF, comunicato stampa, Ginevra 14 ottobre 2014.

(4)  GU C 67 del 6 marzo 2014, pag. 1.

(5)  Questi temi saranno trattati più approfonditamente in una prossima relazione informativa del Comitato.

(6)  Orientamenti dell’OCSE per imprese multinazionali, edizione 2011.

(7)  Articolo 206 del TFUE.

(8)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso una politica globale europea degli investimenti internazionali, COM(2010) 343 definitivo.

(9)  GU C 318 del 29 ottobre 2011, pag. 150.

(10)  COM(2006) 567 definitivo, del 4 ottobre 2006, paragrafo 3.1, iii).

(11)  GU C 211 del 19.8.2008, pag. 82.

(12)  Alcuni auspicano che l’UE conduca con la Cina dei negoziati che portino a un accordo di libero scambio completo.

(13)  2010 Impact of EU Outward FDI («Impatto degli IED dell’UE nel 2010»), Copenhagen Economics.

(14)  Dati della DG Commercio.

(15)  Dati della Commissione.

(16)  Cfr. nota a piè di pagina 3.

(17)  http://trade.ec.europa.eu/doclib/html/149331.htm

(18)  GU L 127 del 14.5.2011, pag. 62.

(19)  Orientamenti dell’OCSE per imprese multinazionali, edizione 2011.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

506a sessione plenaria del CESE dei giorni 18 e 19 marzo 2015

14.8.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 268/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Un Piano di investimenti per l’Europa»

[COM(2014) 903 final]

e alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) n. 1291/2013 e 1316/2013»

[COM(2015) 10 final — 2015/0009 (COD)]

(2015/C 268/05)

Relatore:

Michael SMYTH

La Commissione europea, in data 19 dicembre 2014, il Parlamento europeo, in data 28 gennaio 2015 e il Consiglio dell’Unione europea, in data 3 marzo 2015, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 172, 173, 175, 182 e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Un Piano di investimenti per l’Europa»

[COM(2014) 903 final]

e alla

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) n. 1291/2013 e (UE) n. 1316/2013»

[COM(2015) 10 final — 2015/0009 (COD)].

La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 marzo 2015.

Alla sua 506a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 marzo 2015 (seduta del 19 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 200 voti favorevoli, 6 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il Piano di investimenti per l’Europa e apprezza il cambiamento di enfasi dall’austerità al risanamento di bilancio. La Commissione riconosce ora che vi è un problema di mancanza di investimenti e di bassa domanda aggregata, e che il settore finanziario non è ancora in grado di svolgere pienamente il suo ruolo nel rilanciare la crescita.

1.2.

Il Piano di investimenti è un passo nella direzione giusta, ma deve rispondere a un certo numero di importanti interrogativi riguardanti le sue dimensioni in rapporto alle enormi esigenze di investimento dell’Europa, l’elevato livello dell’effetto leva atteso, il potenziale flusso di progetti d’investimento adeguati, la strategia di marketing per attirare il capitale privato dall’Europa e dai paesi extra-UE, il coinvolgimento delle PMI — con particolare attenzione alle microimprese e alle piccole imprese — e la sua cornice temporale.

1.3.

Vi è incertezza circa la possibilità di sviluppare una riserva di progetti capaci di offrire rendimenti tali da attirare gli investitori istituzionali. Il CESE si rammarica che, nella proposta in esame, la Commissione europea non abbia dato attuazione ai principi di cui all’articolo 5 del suo stesso regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (1), ulteriormente sviluppati nel regolamento delegato (UE) n. 240/2014 della Commissione (2), e rivolge un pressante invito a coinvolgere le parti sociali e la società civile organizzata nel processo di selezione a livello nazionale. Il mancato coinvolgimento delle parti interessate nella titolarità delle proposte è evidente nell’elenco dei potenziali progetti presentato a dicembre.

1.4.

Bisogna concentrarsi molto di più sulla creazione di un contesto propizio e prevedibile per l’attività imprenditoriale. Senza fiducia da parte degli investitori, una migliore regolamentazione e costi accettabili per fare impresa nell’UE, saranno quasi nulle le speranze di riavviare una crescita anche moderata con i posti di lavoro necessari.

1.5.

Il Piano propone che i contributi al Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) provenienti dagli Stati membri non siano inclusi nei calcoli relativi al disavanzo di bilancio, il che è sicuramente un motivo per rallegrarsi. La Commissione dovrebbe spiegare perché le spese in corso per infrastrutture pubbliche di carattere strategico non siano trattate nello stesso modo. Qual è la differenza tra un trattamento di bilancio favorevole per i contributi degli Stati membri agli investimenti produttivi nell’ambito del FEIS ed una vera e propria «regola d’oro»?

1.6.

Il CESE ritiene che sia giunto il momento di riconoscere che l’Europa ha bisogno di un cospicuo programma di investimenti pubblici e privati per rilanciare la crescita, l’occupazione e la prosperità. Gli investimenti pubblici strategici come quelli considerati nel Piano, e che sono alla base dello sviluppo economico presente e futuro, dovrebbero essere incentivati da un quadro di bilancio europeo più favorevole. Il CESE invita la Commissione ad aprire un dibattito su una formulazione appropriata del quadro di bilancio per l’Europa, nella piena consapevolezza delle molteplici difficoltà legate alla sua definizione e alla fissazione delle adeguate condizionalità.

1.7.

Il CESE invita la Commissione prendere in considerazione le raccomandazioni dell’OIL di puntare ad attrarre progetti dalle regioni con i tassi di disoccupazione più elevati, con la partecipazione attiva delle parti sociali nazionali e dei soggetti interessati. Il CESE raccomanda di prendere in considerazione le strategie macroregionali in sede di individuazione e valutazione dei potenziali progetti.

2.   Contesto

2.1.

Il livello di investimenti in Europa ha registrato una flessione del 15 % rispetto al suo picco precedente alla crisi. Allo stesso tempo, in tutta Europa vi sono alti tassi di risparmio, i bilanci delle aziende traboccano di liquidità e gli investitori istituzionali sono pieni di denaro, mentre i bilanci della maggior parte degli Stati membri sono sotto massima tensione oppure in contrazione.

2.2.

La scarsità degli investimenti è tanto più inaccettabile in quanto il costo del capitale, sia in termini nominali che reali, è a un livello bassissimo. I mercati europei, dove devono incontrarsi la domanda di investimenti e l’offerta di risorse per gli investimenti stessi, non funzionano in modo corretto. Tra gli investitori vi è una mancanza di fiducia nel contesto economico, e l’incertezza si ripercuote gravemente sulla fiducia delle imprese. Il terzo pilastro del Piano punta alla riforma della regolamentazione e a semplificare il quadro per gli investimenti in tutta Europa, un obiettivo non facile da raggiungere.

2.3.

Qual è l’essenza del Piano di investimenti per l’Europa? Il Piano ha tre pilastri:

creazione di un apposito Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) garantito da 21 miliardi di euro a titolo del bilancio dell’UE e di riserve della BEI che, secondo le stime della Commissione, possono esercitare un effetto leva per un importo supplementare di 294 miliardi di euro di fondi per investimenti nell’arco di tre anni,

una riserva di progetti strategici di investimento sostenuta da un polo specializzato di consulenza tecnica,

la rimozione degli ostacoli agli investimenti e il miglioramento della regolamentazione.

2.4.

Il FEIS è simile a una società veicolo (SPV) istituita in seno alla BEI per effettuare investimenti a più alto rischio rispetto al resto degli interventi della Banca, il che garantisce il rating AAA della BEI stessa. Sotto questo profilo, il FEIS rappresenta un’innovazione e segna anche un allontanamento significativo dall’ortodossia, in quanto i fondi a titolo del bilancio UE saranno utilizzati come garanzia o protezione per assorbire l’impatto di potenziali perdite degli investimenti del Fondo.

2.5.

In termini di effetto leva, i 21 miliardi di euro in finanziamenti di avviamento iniziali consentiranno alla BEI di prestare 63 miliardi ricorrendo al proprio modello aziendale abituale. La Commissione ritiene che il FEIS cercherà poi investitori del settore privato e altri soggetti per progetti idonei, il che potenzialmente consentirà di liberare un totale di 315 miliardi di euro di investimenti di capitali. La chiave di tale effetto leva sta nel fatto che il Fondo fornisce alla BEI una protezione dal rischio che consente alla Banca di investire in progetti più rischiosi.

2.6.

Il Comitato prende atto del fatto che la Commissione difende la necessità di rimuovere gli ostacoli agli investimenti. Le risorse finanziarie programmate equivalgono solamente alla differenza media annua in meno rispetto a un tasso d’investimenti considerato sano; quindi, un tale livello d’investimenti addizionale sarebbe necessario ogni anno. Il contesto in cui operano le imprese deve esser reso molto più propizio agli investimenti se si vuole che l’iniziativa realizzi il proprio obiettivo. Per esempio:

una migliore regolamentazione e un contesto normativo più prevedibile che sostenga l’adozione di decisioni a lungo termine sono prerequisiti essenziali,

i costi collegati all’attività imprenditoriale in Europa sono troppo alti. È importante affrontare, tra gli altri fattori, gli elevati prezzi dell’energia,

per affermare l’UE in quanto territorio a partire dal quale le imprese possano disporre del miglior accesso ai mercati mondiali occorre perseguire una politica commerciale europea ambiziosa.

3.   Osservazioni sul Piano di investimenti per l’Europa

3.1.

Se la risposta iniziale al Piano di investimenti per l’Europa è stata positiva, successivamente non sono state lesinate critiche al Piano. Alcuni commentatori hanno espresso un parere chiaramente negativo, altri lo hanno accolto con favore sottolineandone però alcune debolezze. Gran parte delle osservazioni negative deriva da una scarsa comprensione del contesto in cui il Piano si inserisce al momento attuale. Idealmente, un ampio piano europeo di investimenti dovrebbe essere trainato da progetti strategici finanziati dalla mano pubblica e volti a stimolare la crescita e la creazione di posti di lavoro.

3.2.

Una delle principali critiche al Piano è che appare di dimensioni troppo ridotte, data l’attuale insufficienza degli investimenti in Europa. Si prevede inoltre che il Piano possa avere un effetto moltiplicatore di 1: 15. Alcuni non ritengono affatto credibile un simile livello dell’effetto leva (3). La Commissione si aspetta che l’importo iniziale di 21 miliardi di euro sia accresciuto due volte dall’effetto leva, in primo luogo con finanziamenti obbligazionari del settore privato che aumenteranno le dimensioni del FEIS, in secondo luogo quando i progetti saranno sostenuti da capitale del Fondo, il che consentirà di attrarre maggiori investimenti privati. Non vi sono dubbi che l’effetto moltiplicatore atteso sia assai ampio ma, secondo la Commissione, si trova comunque nei limiti dell’effetto leva ottenuto storicamente dalla BEI. Nonostante la natura rischiosa dei progetti che dovranno essere finanziati dal FEIS, il fatto che il Fondo sarà costituito in seno alla BEI e da questa gestito dovrebbe probabilmente garantire un effetto leva piuttosto elevato.

3.3.

Il tempo necessario per avviare i grandi progetti di infrastrutture, in particolare quelli transfrontalieri, può essere di diversi anni a causa di ostacoli politici, ambientali o normativi, e a volte di puro e semplice rifiuto delle comunità locali ad accogliere i progetti sul proprio territorio (4). Questi ostacoli sollevano due problemi ulteriori. In primo luogo, vi sarà un numero sufficiente di grandi progetti infrastrutturali che risultino sia di natura strategica sia interessanti per gli investitori? In secondo luogo, nell’arco di tre anni, investimenti per 315 miliardi di euro equivalgono a circa 100 miliardi di euro l’anno, ovvero al 40 % in più rispetto ai livelli attuali di investimento dell’UE, il che non sembra realizzabile. Tali critiche sono valide fino ad un certo punto. Circa il 25 % dei finanziamenti del FEIS (ossia 75 miliardi di euro) sarà destinato alle PMI e alle società a media capitalizzazione, e dovrebbe essere reso operativo in tempi ragionevolmente brevi. Il resto degli investimenti del Fondo sarà stanziato per i tipi di progetti definiti nella relazione della task force sugli investimenti nell’Unione europea. L’esame della situazione sembrerebbe indicare l’esistenza di una notevole serie di considerevoli progetti potenziali nei settori dell’energia, dei trasporti, dell’innovazione e del digitale che potrebbero beneficiare di un sostegno del FEIS.

3.4.

Una delle principali critiche al Piano di investimenti è che il suo impatto sarà a medio e lungo termine, mentre quello che occorre invece un programma di investimenti a breve termine simile al programma europeo di ripresa economica applicato durante la recente recessione. Le conseguenze finanziarie di tale approccio potrebbero essere gestite nell’ambito di un sistema di conti nazionali più flessibile, e questo aspetto è sviluppato in modo più approfondito nella sezione 4 del parere.

3.5.

Anche la capacità della BEI di gestire un Fondo così ambizioso solleva qualche interrogativo. Per quanto concerne i finanziamenti per le PMI, in particolare le microimprese e le piccole imprese, e per le società a media capitalizzazione, alcuni ritengono che la Banca non disponga di risorse umane sufficienti per arrivare direttamente alle imprese. Ciò comporterà l’esigenza di fare maggiore affidamento sulle banche commerciali per selezionare le microimprese, le PMI e le società a media capitalizzazione e fornire loro finanziamenti a un costo relativamente basso. Il rischio è che le banche selezionino i propri clienti commerciali preferiti cui avrebbero comunque concesso finanziamenti, dando origine su larga scala a quello che viene definito come «effetto inerziale». Il CESE esorta a fare in modo che una situazione del genere venga evitata. Ciò è possibile, tra l’altro, in particolare, operando in consultazione con le organizzazioni rappresentative delle PMI.

3.6.

Una possibile soluzione a tale rischio è che le agenzie regionali di sviluppo e le associazioni imprenditoriali ottengano un ruolo più attivo nell’individuazione delle microimprese, delle PMI e delle società a media capitalizzazione che dovranno essere finanziate dal Fondo. Normalmente tali agenzie e associazioni hanno una conoscenza migliore delle piccole imprese e sono loro più vicine, e possono dare un contributo efficace alle valutazioni del rischio. Pur riconoscendo che esistono questioni relative all’azzardo morale, il CESE ha già invitato in passato ad adottare tale approccio, e ritiene che potrebbe trattarsi di una misura efficace nell’attuazione del Piano di investimenti (5).

3.7.

È stato fatto un parallelismo tra il Piano di investimenti per l’Europa e l’iniziativa per la crescita varata nel 2012 (6). L’iniziativa per la crescita comprendeva un pacchetto di 120 miliardi di euro di finanziamenti provenienti da fondi riassegnati, ma solo una piccola parte di quel denaro è stata utilizzata. Si tratta di una valida obiezione, che rende essenziale far sì che la realizzazione del Piano sia trasparente e sia oggetto di una comunicazione adeguata. Il CESE accoglie con favore il fatto che il Piano e il FEIS saranno monitorati da vicino dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Anche al CESE dovrebbe spettare un ruolo nel controllo dell’attuazione del Piano durante i prossimi tre anni.

3.8.

È deprecabile che la Commissione europea non abbia né le risorse finanziarie né il sostegno politico per raccogliere risorse aggiuntive significative al fine di dar vita a un vero e proprio piano europeo di investimenti. I limiti di bilancio attuali appaiono assolutamente vincolanti. In una situazione in cui nel bilancio dell’UE sono disponibili risorse assai scarse, il Piano di investimenti per l’Europa che è stato proposto è in qualche modo un ripiego.

3.9.

Secondo la Commissione, il Piano rappresenta un elemento che è realmente complementare alle altre politiche strutturali, perché il FEIS entrerà in azione solo quando non siano disponibili fonti alternative di finanziamento. Inoltre, è stato argomentato che il Fondo sarà complementare ad altri investimenti della BEI, in quanto presenta una maggiore propensione al rischio. Il FEIS sarà anche più flessibile per quanto riguarda gli strumenti finanziari di cui si avvale. Fra questi si possono contare strumenti come capitale azionario e quasi-azionario, capitale di rischio, finanziamenti mediante debito e garanzie per la cartolarizzazione dei prestiti. Il Fondo opererà in collaborazione, ove possibile, con le banche di sviluppo nazionali. La Commissione propone anche di sostenere il Piano istituendo fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF), insieme ad iniziative volte a creare nuovi mercati della cartolarizzazione e veicoli atti ad allargare la base di finanziamento dei progetti e delle PMI. Questi sviluppi sono da accogliersi con favore, ma si sono fatti aspettare molto a lungo.

3.10.

La Commissione prevede che il Piano di investimenti sia abbastanza flessibile sotto l’aspetto del FEIS, della riserva di progetti e del polo di consulenza per gli investimenti, in modo da consentire ulteriori fasi di investimento nel corso dei prossimi anni. Il Piano prevede una rigorosa struttura di governance in seno alla BEI. Ogni progetto sostenuto dal FEIS dovrà anche essere approvato dal consiglio di amministrazione della BEI, come stabilisce il trattato. Il CESE raccomanda di coinvolgere da vicino le parti sociali e i soggetti interessati nel processo di selezione dei progetti di investimenti pubblici a livello nazionale (una possibilità consiste nell’utilizzare i comitati di sorveglianza degli accordi nazionali di partenariato).

3.11.

Il FEIS cercherà di promuovere progetti di rischio elevato in grado di promuovere la crescita, l’occupazione e la produttività. Non è ancora chiaro se le piattaforme di coinvestimento (comprendenti il FEIS, le banche di sviluppo nazionali e le istituzioni finanziarie del settore privato) saranno abbastanza attraenti per i partecipanti. Al riguardo, il CESE raccomanda di mettere in atto una strategia di marketing proattiva per attirare gli investimenti privati, introducendo maggiore chiarezza circa l’assetto delle piattaforme d’investimento e conferendo al Polo europeo di consulenza sugli investimenti un ruolo di promozione delle possibilità d’investimento all’interno e all’esterno dell’Europa. La capacità di assunzione di rischio del Piano (21 miliardi di euro) è piuttosto ampia. Sebbene i livelli di rischio saranno più elevati nello svolgimento del Piano, è altamente improbabile che sarà necessario ricorrere alla garanzia nella sua totalità, e certamente non sarà necessario utilizzarla tutta insieme.

3.12.

La Commissione ritiene che, se il Piano di investimenti realizzerà pienamente il suo obiettivo, nei prossimi tre anni si potranno creare altri 1-1,3 milioni di posti di lavoro. Non è una cifra trascurabile, anche in un’UE in cui la disoccupazione colpisce un totale di 25 milioni di persone. L’OIL ha recentemente pubblicato proprie stime dei posti di lavoro che potrebbero essere creati dal Piano. La principale conclusione della relazione dell’OIL è che, se la concezione del programma e la sua ripartizione saranno attentamente studiate, risulterà possibile creare oltre 2,1 milioni di nuovi posti di lavoro entro la metà del 2018. Ad esempio, l’aumento dell’occupazione più elevato e più equo si potrebbe ottenere assegnando i finanziamenti del FEIS in base ai livelli di disoccupazione (7). Il CESE chiede di tener conto delle priorità contenute nelle strategie macroregionali al momento di decidere sui progetti potenziali. È chiaro pertanto che occorre rendere pubblici il prima possibile i criteri da seguire per la selezione dei progetti che dovranno ricevere il sostegno del Piano.

3.13.

Se il Piano di investimenti riuscirà a far confluire verso il FEIS capitale addizionale proveniente dagli Stati membri, la Commissione considererà favorevolmente tali contributi al momento di valutare i criteri del debito e del disavanzo previsti dal Patto di stabilità e crescita. Ciò costituisce in certa misura un ripensamento da parte della Commissione, che però è ancora insufficiente. Il CESE si dichiara pronto a partecipare attivamente alle ulteriori discussioni sul tema delle modalità per migliorare gli investimenti in Europa, includendovi anche l’introduzione di una maggiore flessibilità nell’ambito del Patto di stabilità e crescita. Il CESE invita la Commissione a continuare a studiare le opportunità di creare un contesto di bilancio favorevole agli investimenti in Europa

4.   È tempo per una nuova regola d’oro per l’Europa?

4.1.

Il CESE si compiace del fatto che i contributi al FEIS provenienti dagli Stati membri non saranno inclusi nei calcoli relativi al disavanzo di bilancio. In relazione a ciò, tuttavia, è lecito chiedersi perché le spese in corso per infrastrutture pubbliche di carattere strategico non siano trattate nello stesso modo. Qual è la differenza tra un trattamento di bilancio favorevole per i contributi degli Stati membri agli investimenti produttivi nell’ambito del FEIS ed una vera e propria «regola d’oro»?

4.2.

I sostenitori della «regola d’oro» europea vedono in questo punto un importante elemento di incoerenza. Nella situazione attuale delle politiche di bilancio in Europa, gli incentivi negativi hanno causato una carenza di investimenti pubblici. In generale, gli investimenti pubblici aumentano lo stock di capitale pubblico e producono crescita per le generazioni presenti e future. Ne consegue che le generazioni future dovrebbero contribuire al finanziamento di tali investimenti perché se non si consente di finanziare col debito i benefici che matureranno per le generazioni future, l’onere fiscale peserà in modo sproporzionato sulla generazione attuale, con la conseguenza che ne deriva di un livello insufficiente di investimenti (8). È quanto sta accadendo attualmente in Europa.

4.3.

Si potrebbe sostenere che la maggiore flessibilità in relazione agli investimenti mostrata nel quadro del FEIS sia in realtà una mini «regola d’oro». La questione di una regola di bilancio per l’Europa correttamente formulata dovrebbe essere discussa nella piena consapevolezza delle molte difficoltà legate alla sua definizione. La discussione dovrebbe inoltre riguardare la fissazione delle condizionalità appropriate. Il CESE ritiene che sia giunto il momento di riconoscere che l’Europa ha bisogno di un cospicuo programma di investimenti pubblici e privati per rilanciare la crescita, l’occupazione e la prosperità. Gli investimenti pubblici e privati strategici come quelli considerati nel Piano, e che sono alla base dello sviluppo economico presente e futuro, dovrebbero essere incentivati da un quadro di bilancio europeo più favorevole.

Bruxelles, 19 marzo 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU L 347 del 20.12.2013, pag. 320.

(2)  GU L 74 del 14.3.2014, pag. 1.

(3)  Cfr. ad esempio: Europe’s Great Alchemist («Il grande alchimista d’Europa»), The Economist, 29 novembre 2014; Daniel Gros, The Juncker Plan: From EUR21 to EUR315 billion, through smoke and mirrors («Il piano Juncker: da 21 a 315 miliardi di euro, attraverso i trucchi del prestigiatore»), CEPS, 27 novembre 2014.

(4)  Si tratta dell’atteggiamento NIMBY: Not in My Back Yard, ossia «Non nel mio cortile».

(5)  Cfr. ad esempio parere del CESE sul tema Finanziamento delle imprese/meccanismi di approvvigionamento alternativi (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 20).

(6)  CEPS, novembre 2014, pag. 2.

(7)  An Employment Oriented Investment Strategy for Europe («Una strategia di investimento orientata all’occupazione per l’Europa»), OIL, gennaio 2015.

(8)  Per un’accurata disamina della letteratura e delle modalità relative alla golden rule vedere Implementing the Golden Rule for Public Investment in Europe («Attuare la golden rule per gli investimenti pubblici in Europa») di Achim Truger. http://blog.arbeit-wirtschaft.at/wp-content/uploads/2015/03/Endfassung.pdf in: Materialien zu Wirtschaft und Gesellschaft Nr. 138, Working Paper-of AK-Wien.


14.8.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 268/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Riesame della governance economica — Relazione sull’applicazione dei regolamenti (UE) n. 1173/2011, (UE) n. 1174/2011, (UE) n. 1175/2011, (UE) n. 1176/2011, (UE) n. 1177/2011, (UE) n. 472/2013 e (UE) n. 473/2013»

[COM(2014) 905 final]

(2015/C 268/06)

Relatore:

David CROUGHAN

Correlatore:

Carmelo CEDRONE

La Commissione europea, in data 19 dicembre 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Riesame della governance economica — Relazione sull’applicazione dei regolamenti (UE) n. 1173/2011, (UE) n. 1174/2011, (UE) n. 1175/2011, (UE) n. 1176/2011, (UE) n. 1177/2011, (UE) n. 472/2013 e (UE) n. 473/2013»

[COM(2014) 905 final].

La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 marzo 2015.

Alla sua 506a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 marzo 2015 (seduta del 19 marzo 2015), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 165 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le norme per la governance economica europea, concepite in periodo di crisi, hanno svolto un ruolo importante nel risanamento di bilancio e nel coordinamento delle politiche economiche e, con l’introduzione della valutazione dei documenti programmatici di bilancio, hanno contribuito a promuovere l’integrazione di bilancio. Il CESE teme però che abbiano comportato un prezzo alto in termini di crescita e occupazione e che abbiano rallentato l’uscita dalla crisi dell’Unione europea rispetto alle altre economie avanzate, mettendo in luce carenze delle politiche dovute in gran parte a una governance economica incompleta in un’unione economica e monetaria.

1.2.

Se le misure poste in essere nel quadro del semestre europeo hanno dato inizio al processo di risanamento di bilancio e di ricostruzione della credibilità, è evidente tuttavia che l’approccio normativo, appropriato in tempi normali, è diventato ora parte del problema. Gli Stati membri in difficoltà hanno bisogno di maggiori risorse per uscire dall’impasse della recessione e garantire crescita, creazione di posti di lavoro e, tramite la crescita, un risanamento di bilancio sostenibile.

1.3.

Il Comitato ritiene che non si possa lasciare alla sola BCE il compito di combattere l’attuale recessione della zona euro. Le misure di allentamento monetario (quantitative easing) che la BCE sta attivando devono trovare un riscontro in iniziative politiche di più ampio respiro da parte degli Stati membri, che vadano al di là del Piano d’investimenti per l’Europa annunciato dalla Commissione.

1.4.

Le differenze nella competitività relativa degli Stati membri dell’Unione economica e monetaria, che in passato sarebbero state riequilibrate con aggiustamenti valutari verso l’alto o verso il basso, non possono essere affrontate semplicemente rivolgendo raccomandazioni agli Stati membri giudicati non competitivi e sollecitandoli, sotto pena di sanzioni, a realizzare riforme.

1.5.

Occorre introdurre quanto prima meccanismi e strumenti concreti per un adeguato coordinamento delle politiche economiche che porti alla convergenza e alla solidarietà. Sebbene in un primo tempo questo processo non debba necessariamente comportare una modifica dei Trattati, il CESE è tuttavia dell’avviso che, a lungo termine, tale modifica sia necessaria.

1.6.

Nel riesame del QFP previsto nel 2016 occorrerà sostenere le riforme strutturali urgenti di comune interesse europeo, compreso il riequilibrio macroeconomico, con qualche forma di capacità di bilancio (fiscal capacity), come ad esempio lo Strumento di convergenza e di competitività proposto nel Piano per un’UEM autentica e approfondita.

1.7.

Il CESE ritiene preoccupante il fatto che il saldo strutturale — una variabile non osservabile, basata su calcoli teorici e discussi di output gap [NdT: differenza tra il prodotto interno lordo effettivo e quello potenziale], che potrebbe subire grandi revisioni — svolga un ruolo così importante sia nel braccio preventivo che in quello correttivo della procedura per i disavanzi eccessivi.

1.8.

Nel processo del semestre europeo viene dato molto più peso alla riduzione dei disavanzi annuali dei governi, come correttivo a un elevato rapporto debito/PIL, che a misure più costruttive per rafforzare la crescita del PIL. La Commissione dovrebbe non solo monitorare l’attuazione delle raccomandazioni specifiche per paese (in appresso CSR), ma anche analizzare ex post l’efficacia delle sue raccomandazioni ai fini dell’incremento della produzione, della crescita e dei posti di lavoro di qualità nello Stato membro in questione.

1.9.

Il Comitato accoglie con favore l’accento posto sull’introduzione di una certa flessibilità nelle regole del Patto di stabilità e crescita, per cui la Commissione terrà conto di taluni investimenti pubblici nel calcolo del disavanzo di bilancio. Ritiene tuttavia che si tratti di un provvedimento parziale e di portata limitata. Uno scostamento ragionevole dal parametro del 3 % fissato per il disavanzo dovrebbe essere considerato come un evento eccezionale per un certo numero di anni e non essere automaticamente sanzionabile.

1.10.

Il deficit democratico inerente al fatto che organi non eletti hanno un margine d’intervento rilevante nella governance rischia di tradursi in una scarsa titolarità delle raccomandazioni e in ostilità nei confronti del progetto europeo. All’insufficiente livello di attuazione delle CSR si potrebbe ovviare con un reale coinvolgimento della società civile e delle parti sociali nell’elaborazione delle CSR.

1.11.

Il Parlamento europeo dovrebbe avere un ruolo incisivo nello stabilire le priorità economiche di ciascun semestre e nella supervisione parlamentare delle CSR. Il processo del semestre dovrebbe essere più ampiamente pubblicizzato dagli Stati membri e dalla Commissione per garantirne una migliore comprensione da parte dei cittadini.

2.   La revisione della governance economica in breve

2.1.

Il semestre europeo, introdotto nel 2011, è stato rafforzato con l’introduzione del Patto di stabilità e di crescita riveduto, entrato in vigore il 13 dicembre 2011, e integrato da una serie di nuove normative sulla sorveglianza economica e di bilancio (cinque regolamenti e una direttiva, che insieme formano il cosiddetto Six pack). Il 30 maggio 2013 sono stati aggiunti altri due regolamenti (il cosiddetto Two pack) intesi a rafforzare ulteriormente l’integrazione e la convergenza economiche tra gli Stati membri della zona euro. Il testo in esame analizza l’efficacia dei sette regolamenti e la direzione degli sviluppi futuri. Esso affronta in generale tre aspetti spinosi della governance economica dell’UE: la sorveglianza di bilancio (1), gli squilibri macroeconomici (2), il monitoraggio e la sorveglianza dei paesi della zona euro con difficoltà in termini di stabilità finanziaria (3).

3.   Osservazioni sull’attuale governance economica

3.1.   Sorveglianza di bilancio

3.1.1.

Il Comitato giudica positivamente l’orientamento di fondo dell’Analisi annuale della crescita 2015, pubblicata in concomitanza con il Riesame della governance economica, che propone di razionalizzare e potenziare il semestre europeo semplificando le diverse fasi e i relativi risultati, come già raccomandato dal CESE nel suo parere sull’Analisi annuale della crescita 2014 (4).

3.1.2.

Il CESE ritiene che il semestre svolga un ruolo indispensabile nel processo di convergenza e di aggiustamento. Il Comitato ha inoltre invitato a lanciare una strategia di comunicazione e semplificazione, come frutto di uno sforzo comune della Commissione, del Parlamento europeo, degli Stati membri e della società civile (5).

3.1.3.

Il Comitato accoglie positivamente l’incoraggiamento all’integrazione di bilancio rappresentato dall’istituzione di un calendario comune per gli Stati membri, con la presentazione e la pubblicazione entro la metà del mese di ottobre di ogni anno dei documenti programmatici di bilancio, controllati da organismi nazionali indipendenti, per permettere alla Commissione di formulare le sue osservazioni prima dell’adozione finale da parte dei governi degli Stati membri. Il processo dovrebbe diventare più democratico e trasparente ed essere più ampiamente pubblicizzato dagli Stati membri e dalla Commissione per garantirne una migliore comprensione da parte dei cittadini. Il Comitato è favorevole a far valutare dalla Commissione il ruolo e la qualità degli organismi nazionali indipendenti.

3.1.4.

Il Comitato osserva che in base ai documenti programmatici di bilancio per il 2015 la riduzione dello sforzo di bilancio nel 2015 si tradurrà in una posizione generalmente neutra nella zona euro. Fa osservare inoltre che in marzo potrebbero essere presi provvedimenti nel quadro della procedura per i disavanzi eccessivi nei confronti di tre dei sette paesi a rischio di non conformità. Anche questa procedura dovrebbe essere più trasparente, e prevedere una maggiore consultazione dei governi nazionali e della società civile e delle parti sociali e la supervisione del Parlamento europeo.

3.1.5.

Il Comitato ritiene che, nel breve periodo preso in considerazione nel Riesame, le norme di bilancio rivedute previste dai pertinenti regolamenti sulla sorveglianza di bilancio abbiano senza dubbio contribuito al risanamento di bilancio, come dimostrato dal fatto che il disavanzo dell’UE-28 è passato dal 4,5 % del PIL nel 2011 al 3 % nel 2014.

3.1.6.

Il costo, tuttavia, è stato elevato in rapporto ai successi molto limitati ottenuti, indice del fatto che la politica dell’UE non è stata in grado di contribuire alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro. Si fa notare che negli USA, invece, nello stesso periodo il disavanzo è passato dal 10,6 % al 4,9 %, il tasso di crescita del PIL è aumentato dall’1,6 % al 2,4 % (nell’UE questo parametro è sceso dall’1,7 % all’1,3 %), la disoccupazione è diminuita dall’8,9 % al 6,2 % (mentre nell’UE è aumentata, passando dal 9,6 % al 10,2 %) e — fatto molto importante — l’occupazione è aumentata del 6,3 %, mentre nell’UE è ristagnata (- 0,1 %).

3.1.7.

Il CESE è molto meno ottimista della Commissione circa il fatto che gli obiettivi di disavanzo strutturale nel quadro della procedura per i disavanzi eccessivi permettano un orientamento e un monitoraggio delle politiche più precisi e trasparenti. Sebbene il Comitato ammetta che questa misura, depurata delle distorsioni del ciclo economico e delle misure di bilancio una tantum, consente di avere un quadro più trasparente, va detto tuttavia che si tratta di una variabile non osservabile basata su calcoli teorici e discussi di output gap che potrebbero subire revisioni sostanziali e in alcuni casi tradursi, molto probabilmente, in ricette politiche di scarsa qualità.

3.1.8.

Il rapporto debito/PIL è un elemento importante della sostenibilità di bilancio. Esso consta di due componenti: l’ammontare del debito e l’entità del PIL. Nessuna azione che abbia per oggetto una di queste due componenti può prescindere dall’effetto sull’altra. Se un approccio incentrato su una riduzione troppo rapida del disavanzo, allo scopo di ridurre ulteriormente il livello del debito, si traduce nella stagnazione o nel calo del PIL, l’effetto complessivo ai fini della riduzione del rapporto debito/PIL in quanto tale sarà controproducente.

3.1.9.

Il Comitato accoglie con favore l’accento posto sulla flessibilità nel rispetto delle regole del Patto di stabilità e crescita, per cui la Commissione (nello stabilire la solidità della posizione di bilancio di uno Stato membro) terrà conto: a) degli investimenti pubblici effettuati nel quadro del Piano d’investimenti per l’Europa; b) di quelli collegati al cofinanziamento a titolo dei fondi strutturali; c) delle riforme che abbiamo un impatto a lungo termine sulla sostenibilità delle finanze pubbliche; e d) delle condizioni cicliche (6). Secondo il CESE, tuttavia, si tratta di un provvedimento parziale e di portata limitata.

3.1.10.

Il CESE mette in guardia sul fatto che, malgrado un certo rafforzamento del coinvolgimento del Parlamento europeo e i maggiori contatti con i parlamenti nazionali tramite missioni in loco e la sorveglianza dei progetti di bilancio nella zona euro, il deficit democratico rimane al centro del processo, nella misura in cui istituzioni UE che in larga misura non sono tenute a dar conto del loro operato esercitano un’influenza significativa sul processo decisionale degli Stati membri.

3.1.11.

Un «deficit di input» (vale a dire, la mancanza di un vero coinvolgimento nazionale nel processo decisionale) che non sia compensato da una buona legittimità a livello di output (vale a dire, da un’efficace soluzione dei problemi economici) si traduce in una scarsa adesione ai programmi economici e in una crescente ostilità verso il progetto europeo, come illustrato dalle elezioni europee (7).

3.1.12.

La Commissione dovrebbe non soltanto valutare ex post l’attuazione delle raccomandazioni politiche da parte degli Stati membri, ma anche verificare se le sue raccomandazioni abbiano effettivamente promosso il ritorno dell’economia sulla via della sostenibilità non soltanto in termini di aggiustamenti finanziari e di bilancio, ma anche in termini di crescita economica, sviluppo e creazione di posti di lavoro di qualità.

3.2.   La procedura per gli squilibri macroeconomici

3.2.1.

Il Comitato riconosce e sostiene la necessità della procedura per gli squilibri macroeconomici, in quanto la sorveglianza di variabili chiave non di bilancio può individuare eventuali tendenze pericolose prima che si consolidino. La crisi ha dimostrato fin troppo bene il fallimento del Patto di stabilità e crescita nel limitare il controllo al solo equilibrio di bilancio, continuando a ignorare o ad affrontare soltanto marginalmente le questioni dello sviluppo e dell’occupazione.

3.2.2.

Il Parlamento europeo dovrebbe avere un ruolo importante nello stabilire le priorità economiche di ciascun semestre e nella supervisione parlamentare delle raccomandazioni specifiche per paese (8).

3.2.3.

Il Comitato osserva con grande preoccupazione l’approccio unilaterale alla correzione degli squilibri macroeconomici, considerati come un problema interamente nazionale, approccio che pone l’accento quasi esclusivamente sulla correzione dei disavanzi nocivi e proietta una visione positiva delle eccedenze. Per trovare delle soluzioni valide occorre analizzare gli squilibri e il loro impatto sull’intera economia europea.

3.2.4.

Per garantire che la procedura per gli squilibri macroeconomici e, di conseguenza, la strategia Europa 2020 non vadano incontro allo stesso insuccesso dell’agenda di Lisbona, la Commissione deve studiare un metodo migliore per valutare la qualità dell’attuazione delle CSR ed essere pronta a monitorare il processo e offrire incentivi agli Stati membri (flessibilità, «regole d’oro» ecc.) prima di ricorrere all’estremo rimedio rappresentato dalle sanzioni.

3.2.5.

Contrariamente alla sorveglianza di bilancio, che generalmente comporta risultati a breve termine e facilmente misurabili, le raccomandazioni politiche che formano una parte significativa delle CSR fanno riferimento a politiche e risultati con effetti meno immediatamente percepibili come la competitività, vari aspetti del contesto in cui operano le imprese, oppure le riforme del sistema previdenziale, di cui può essere difficile misurare il grado di attuazione o l’impatto.

3.2.6.

Nel riesame del QFP nel 2016, occorrerà sostenere le riforme strutturali urgenti di comune interesse europeo, compreso il riequilibrio macroeconomico, con qualche forma di capacità di bilancio (fiscal capacity). Il CESE esorta a considerare i possibili strumenti: lo Strumento di competitività e convergenza per consentire alle economie sotto stress di intraprendere le riforme strutturali urgenti di comune interesse europeo, delineate in sei pagine del Piano per un’UEM autentica e approfondita, e poi oggetto di una comunicazione (9); una revisione del Libro verde sulla fattibilità dell’introduzione di stability bond, prevista dal regolamento (UE) n. 1173/2011, oggetto del Riesame di cui si occupa il presente parere, e una forma di regime minimo di sicurezza sociale che venga in aiuto alle economie in difficoltà.

3.2.7.

La Commissione afferma che gli esami approfonditi sono una parte fondamentale della procedura per gli squilibri macroeconomici, le cui raccomandazioni politiche confluiscono nelle CSR. Il CESE sostiene tale prassi, potenzialmente in grado di fornire indicazioni valide in quanto comporta missioni sul posto, che migliorano significativamente la conoscenza dell’economia esaminata, e in più consente di stabilire utili relazioni di lavoro tra la Commissione e i funzionari delle finanze degli Stati membri.

3.2.8.

Poiché i risultati delle riforme nel quadro della procedura per gli squilibri macroeconomici maturano nel più lungo periodo, si teme che i governi nazionali non le considerino come una priorità e si limitino a parlarne senza far niente per realizzarle. Una parte essenziale delle CSR per la correzione degli squilibri dovrebbe concentrarsi sul completamento del mercato interno.

3.2.9.

Un effettivo coinvolgimento della società civile e delle parti sociali in quest’aspetto del semestre europeo sarebbe un modo importante per garantire la conformità e migliorare la visibilità politica e la titolarità a livello nazionale.

3.2.10.

Il CESE osserva che l’esperienza dei paesi sottoposti a programmi di aggiustamento, sui quali è stata praticata una sorveglianza costante e approfondita, potrebbe fornire insegnamenti quanto al modo migliore per la Commissione di interagire con gli Stati membri.

3.2.11.

Un documento di lavoro della direzione generale Affari economici e finanziari (ECFIN) indica che nel biennio 2012-2013 è stato attuato soltanto il 41 % delle CSR, con un leggero deterioramento da un anno all’altro (10), il che può essere visto come un forte segnale d’allarme. È assolutamente necessaria una valutazione delle ragioni alla base del divario esistente tra le raccomandazioni e la loro attuazione.

3.2.12.

Il CESE mette in guardia sul fatto che l’approccio basato sul quadro di valutazione, che è di tipo retrospettivo ed è uno dei strumenti fondamentali per giustificare un riesame approfondito, non necessariamente consente di identificare l’accumularsi di squilibri di stock che può far precipitare una futura crisi. Vi è perciò il rischio che i responsabili politici non dispongano di basi solide per adottare provvedimenti efficaci (11), e che possano anzi essere distratti dai nodi politici più cruciali.

3.3.   Paesi della zona euro che si trovano in difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria

3.3.1.

Il CESE riconosce la necessità di sostenere, attraverso una sorveglianza attenta, i paesi che 1) si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria o la sostenibilità delle loro finanze pubbliche; oppure 2) chiedono o ricevono assistenza finanziaria dalle istituzioni europee, da altri Stati membri o dall’FMI.

3.3.2.

Il CESE sostiene pienamente il principio per cui, qualora uno Stato membro intraprenda un programma di aggiustamento finanziario, tutti gli altri obblighi, compreso il semestre europeo, vengono sospesi e lo Stato membro è sottoposto a una sorveglianza post programma di tipo continuativo.

3.3.3.

Il processo che copre il periodo in cui uno Stato membro si rivolge all’UE per chiedere assistenza finanziaria non è ancora stato testato poiché il relativo regolamento è entrato in vigore soltanto dopo che i quattro paesi cui si applicano programmi di aggiustamento vi erano già entrati.

3.3.4.

Il CESE invita la Commissione a eseguire e pubblicare uno studio sui risultati ottenuti dai programmi di aggiustamento in questi quattro paesi, in particolare per stabilire se i risultati manifestamente meno buoni ottenuti da uno di questi paesi avrebbero potuto essere influenzati positivamente da un approccio diverso da parte della Commissione.

4.   Occorre una visione più profonda della governance dell’UEM

4.1.

L’UE è il più grande e il più prospero blocco economico al mondo. Essa è riuscita finora a sopravvivere con un sistema di governance economica disfunzionale nato dalla decisione di formare un’unione economica e monetaria con una moneta e una politica monetaria uniche mantenendo al tempo stesso delle politiche economiche e di bilancio nazionali.

4.2.

Il Comitato ritiene che non si possa lasciare alla sola BCE il compito di combattere l’attuale recessione della zona euro. Le misure di allentamento monetario (quantitative easing) che la BCE sta attivando devono essere accompagnate da iniziative politiche di più ampio respiro da parte degli Stati membri. Il Piano d’investimenti per l’Europa annunciato dalla Commissione è un passo necessario, ma non sufficiente nella giusta direzione. Senza una maggiore integrazione di bilancio, l’approccio di tipo nazionale al coordinamento economico del semestre europeo, impedisce alla zona euro di perseguire un’adeguata posizione di bilancio.

4.3.

La crisi ha messo in luce profondi difetti, che mettono a rischio la stessa esistenza dell’euro, e imposto grandi riforme alla governance economica, adottate nella fretta e introdotte tramite trattati intergovernativi anziché con il metodo comunitario. Le differenze nella competitività relativa degli Stati membri dell’Unione economica e monetaria, che in passato sarebbero state riequilibrate con aggiustamenti valutari verso l’alto o verso il basso, non possono essere affrontate semplicemente rivolgendo raccomandazioni agli Stati membri giudicati non competitivi e sollecitandoli, sotto pena di sanzioni, a realizzare riforme.

4.4.

Se le misure poste in essere nel quadro del semestre europeo hanno dato inizio al processo di risanamento di bilancio e di ricostruzione della credibilità, è evidente tuttavia che l’approccio normativo, appropriato in tempi normali, è diventato ora parte del problema. Il Comitato ritiene che non sia più possibile affidare la governance economica (in particolare quella della zona euro) ai soli regolamenti oggetto dell’attuale Riesame. Gli Stati membri in difficoltà hanno bisogno di maggiori risorse per uscire dall’impasse della recessione e garantire crescita, creazione di posti di lavoro e, tramite la crescita, un risanamento di bilancio sostenibile.

4.5.

Il Comitato condivide le preoccupazioni che emergono dalla lettura del rapporto annuale sulla situazione sociale europea pubblicato di recente dalla Commissione (12), dove si afferma che le ricette applicate per affrontare la crisi hanno accresciuto il disagio finanziario e i livelli di indebitamento delle famiglie ed esacerbato la povertà e l’esclusione sociale, e che il deterioramento della situazione sociale per un prolungato periodo di tempo ha avuto un impatto negativo sulla fiducia dei cittadini nella capacità di governi ed istituzioni di far fronte a tali problemi. I dati riportati nel rapporto della Commissione relativamente alla qualità del lavoro (part-time, precario e instabile) e alla disoccupazione, specie quella giovanile, sono impressionanti.

4.6.

Il Comitato chiede che nel quadro di valutazione venga dato maggior rilievo agli indicatori sociali (13) e che nella regolamentazione delle politiche di bilancio, a cominciare dal semestre, si prendano tali indicatori come riferimento, onde non tradire i principi fondamentali dell’UE — vale a dire uno sviluppo armonioso e bilanciato delle attività economiche, una crescita sostenibile e rispettosa dell’ambiente, un alto tasso di convergenza delle economie, un alto livello di occupazione e di protezione sociale, la coesione economica e sociale, la solidarietà tra gli Stati membri — definiti dai Trattati di Roma e successivamente ripresi nei Trattati di Maastricht, Amsterdam e Lisbona, ma di cui il patto di bilancio e i testi che ne sono derivati non tengono sufficientemente conto.

4.7.

Per ridare coerenza al progetto di integrazione dei paesi dell’UE, e ancora più dei paesi della zona euro, occorre proporre un approccio di governance europea che consenta ai paesi più indebitati e con crescita nulla o negativa del PIL di potere effettuare gli investimenti necessari a ridare competitività ai loro sistemi produttivi e a rilanciare lo sviluppo. Tale approccio dovrebbe tenere in debita considerazione i principi di coesione economica e sociale sanciti dai Trattati istitutivi dell’UE.

4.8.

Uno scostamento ragionevole, in qualsiasi Stato membro, dal parametro del 3 % fissato per il disavanzo potrebbe essere considerato come un evento eccezionale limitato a un certo numero di anni, che quindi non farebbe scattare automaticamente le sanzioni. La Commissione — ed è questo il nuovo approccio della governance — deve esaminare attentamente le esigenze espresse dai paesi in difficoltà, valutare la congruità e fattibilità del programma di investimenti proposto dallo Stato membro rispetto agli impegni assunti (programmi di stabilità/convergenza e programmi nazionali di riforma) nel semestre europeo, e approvarlo sotto la supervisione del Parlamento europeo.

4.9.

Gli stessi parametri per la «costruzione» dei bilanci e l’interpretazione dei dati devono essere omogenei e concordati, e valere per tutti i paesi e le loro amministrazioni pubbliche, con una procedura trasparente, comprensibile e resa pubblica. Potrebbe bastare un solo regolamento con norme chiare e semplici, che garantisca il coinvolgimento della società civile, delle parti sociali e dei parlamenti nazionali.

4.10.

Con questa logica, bisognerebbe trasformare il semestre in una grande occasione per l’UEM, per ristabilire una fiducia reciproca ed iniziare un percorso comune sia per quanto riguarda le riforme strutturali, che andrebbero concordate per tutti i paesi della zona euro, sia per il bilancio. Il quadro normativo dovrebbe evolversi in direzione di un nuovo bilancio della zona euro, sperimentando una procedura di costruzione comune, con la massima trasparenza e verità come parole d’ordine per l’opinione pubblica europea.

Bruxelles, 19 marzo 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Regolamento (UE) n. 1173/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 novembre 2011relativo all’effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro (GU L 306 del 23.11.2011, pag. 1);

Regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche (GU L 306 del 23.11.2011, pag. 12);

Regolamento (UE) n. 473/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulle disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro (GU L 140 del 27.5.2013, pag. 11).

(2)  Regolamento (UE) n. 1174/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro (GU L 306 del 23.11.2011, pag. 8);

Regolamento (UE) n. 1176/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici (GU L 306 del 23.11.2011, pag. 25).

(3)  Regolamento (UE) n. 472/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri nella zona euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria (GU L 140 del 27.5.2013, pag. 1).

(4)  GU C 214 dell’8.7.2014, pag. 46.

(5)  Parere del CESE sul tema Completare l’Unione economica e monetaria — Le proposte del Comitato economico e sociale europeo per la prossima legislatura europea (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10).

(6)  COM(2015) 12 final.

(7)  CEPS, relazione speciale n. 98, Enhancing the Legitimacy of EMU Governance (Rafforzare la legittimità della governance dell’UEM), dicembre 2014.

(8)  Ibid.

(9)  COM(2013) 165 final.

(10)  ECFIN, «Implementing Economic Reforms — Are EU Member States Responding to European Semester Recommendations» (Attuazione delle riforme economiche: gli Stati membri rispondono alle raccomandazioni del semestre europeo?), Economic Brief, n. 37, ottobre 2014.

(11)  Daniel Gros e Alessandro Giovannini, «The “Relative” Importance of EMU Macroeconomic Imbalances in the MIP» (L’importanza «relativa» degli squilibri macroeconomici dell’UEM nel MIP), Documenti Istituto Affari Internazionali, n. 14, marzo 2014.

(12)  Employment and Social Developments in Europe (Andamento dell’occupazione e della situazione sociale in Europa), dicembre 2014.

(13)  Ad esempio, la crescita del PIL, il tasso di disoccupazione, la disoccupazione di lunga durata, il numero di persone a rischio di povertà, gli investimenti pubblici, il rapporto prezzi-retribuzioni ecc.


14.8.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 268/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1304/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo, per quanto riguarda un aumento del prefinanziamento iniziale versato a programmi operativi sostenuti dall’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile»

[COM(2015) 46 final]

(2015/C 268/07)

Relatore generale:

Pavel TRANTINA

Il Parlamento europeo, in data 12 febbraio 2015, e il Consiglio, in data 23 febbraio 2015, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 164 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1304/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo, per quanto riguarda un aumento del prefinanziamento iniziale versato a programmi operativi sostenuti dall’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile»

[COM(2015) 46 final].

L’Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato, in data 17 febbraio 2015, la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l’urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 506a sessione plenaria del 18 e 19 marzo 2015 (seduta del 18 marzo 2015), ha nominato TRANTINA relatore generale e ha adottato il seguente parere con 213 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi condotti dalla Commissione europea al fine di aumentare in modo sostanziale il prefinanziamento iniziale per l’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile (IOG) e li giudica un buon passo avanti. Questo dovrebbe aiutare gli Stati membri che presentano i livelli più elevati di disoccupazione giovanile e che spesso subiscono maggiori vincoli di bilancio ad avviare in modo efficace l’attuazione dell’Iniziativa stessa.

1.2.

Nonostante le riserve costantemente espresse circa l’ammontare dei finanziamenti garantiti all’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile e alla Garanzia per i giovani e circa il modo di conseguirli (1), il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è d’accordo con la Commissione sulla necessità di modificare, in linea con la proposta presentata, il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo.

1.3.

Il CESE è convinto che tale iniziativa dovrebbe incoraggiare gli Stati membri a rendere la lotta contro la disoccupazione giovanile una priorità nell’ambito dei loro bilanci nazionali. Le procedure burocratiche non devono impedire l’impiego efficiente dei 6 miliardi di euro stanziati per l’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile, né rallentare le eventuali altre iniziative volte a combattere l’attuale disoccupazione giovanile in modo efficiente.

1.4.

Il CESE ritiene che l’Iniziativa possa essere un’opportunità per portare avanti un’analisi su quello che sarà in futuro il mondo del lavoro negli Stati membri; i servizi pubblici dell’occupazione devono diventare molto più proattivi, vanno create migliori sinergie tra il settore dell’istruzione e della formazione e gli operatori del mercato del lavoro, infine i giovani devono essere adeguatamente e tempestivamente informati sui diritti e le opportunità loro offerte.

1.5.

Il CESE raccomanda vivamente di coinvolgere la società civile organizzata nell’elaborazione e nel monitoraggio dei programmi nazionali previsti nell’ambito dell’Iniziativa, sulla base di un partenariato. Il CESE desidera ricordare il suo impegno a lungo termine sul tema della disoccupazione giovanile. È convinto che la partecipazione delle parti sociali alla strategia per la crescita, alla riforma del mercato del lavoro, ai programmi d’istruzione e formazione e alla riforma della pubblica amministrazione, nonché il coinvolgimento delle organizzazioni giovanili nell’attuazione della Garanzia per i giovani assicurino il consenso di una grossa fetta della popolazione e garantiscano, di conseguenza, la stabilità sociale (2).

1.6.

Il CESE invita la Commissione europea a monitorare attentamente le sfide per l’attuazione dell’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile e soprattutto della Garanzia per i giovani. Il processo di monitoraggio deve basarsi non solo su un’analisi quantitativa ma anche su indicatori più qualitativi.

1.7.

Sono necessari maggiori investimenti nell’istruzione e nella formazione, per promuovere l’attuazione di politiche di apprendimento permanente e rientrare, in ultima analisi, in un approccio globale all’istruzione. I sistemi di tirocinio e di apprendistato dovrebbero essere di qualità. I tirocini dovrebbero essere basati su obiettivi di apprendimento e preferibilmente rientrare nei programmi didattici, senza sostituire la creazione di nuova occupazione.

1.8.

Il CESE è convinto che la Commissione europea, gli Stati membri e il Parlamento europeo, in cooperazione con le parti sociali e con altre organizzazioni della società civile, debbano svolgere un ruolo fondamentale nel garantire un solido bilancio dell’UE volto a stimolare la creazione di posti di lavoro per i giovani.

2.   Contesto

2.1.

L’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile è una proposta presentata dal Consiglio europeo nel 2013 e dispone di un bilancio di 6 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. Essa è destinata in particolare a sostenere i giovani residenti nelle regioni dell’Unione con un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 25 % (dati 2012) che non studiano, non hanno un impiego e non seguono un corso di formazione (NEET), integrandoli nel mercato del lavoro.

2.2.

I fondi destinati all’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile dovrebbero essere quindi impiegati per rafforzare e accelerare le misure descritte nel Pacchetto per l’occupazione giovanile del 2012. Tali fondi vanno in particolare assegnati ai paesi dell’UE per finanziare misure volte ad attuare, nelle regioni ammissibili, la raccomandazione relativa alla garanzia per i giovani approvata dal Consiglio dei ministri degli Affari sociali e dell’occupazione nel 2013.

2.3.

Nel dicembre 2014, il tasso di disoccupazione giovanile era del 21,4 % nell’UE-28 e del 23,0 % nell’area dell’euro (3) e in alcuni paesi raggiunge tuttora livelli inaccettabilmente alti (al di sopra del 40 o addirittura del 50 %). Pur essendo in leggero calo, questi tassi sono ancora molto al di sopra dei livelli precedenti la crisi, dalla quale i giovani non sembrano ancora essere usciti. Più di metà dei giovani europei ritiene che nel proprio paese i giovani siano emarginati ed esclusi dalla vita economica e sociale per effetto della crisi (4).

2.4.

Un anno dopo la sua adozione, il regolamento dell’FSE sull’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile ha dimostrato di non essere all’altezza delle sue potenzialità. Né l’anticipo degli impegni né le altre misure specifiche per l’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile hanno indotto, come era previsto, a mobilitare rapidamente le risorse a titolo dell’Iniziativa stessa. Tra i principali motivi individuati figurano il processo negoziale in corso sui programmi operativi e l’introduzione delle rispettive modalità di attuazione negli Stati membri, la limitata capacità delle autorità di pubblicare inviti a presentare progetti e di trattare rapidamente le domande nonché l’insufficienza del prefinanziamento per avviare le misure necessarie.

2.5.

La proposta in esame dovrebbe rispondere a questa e ad altre sfide. Essa prevede, nel 2015, un aumento del prefinanziamento iniziale messo a disposizione a titolo della dotazione specifica per l’Iniziativa fino ad arrivare a circa 1 miliardo di euro. Questo non modifica il profilo finanziario globale delle dotazioni nazionali che sono già state approvate; si propone semplicemente di anticipare gli stanziamenti già garantiti nel bilancio dell’UE per l’Iniziativa. La proposta, pertanto, dà agli Stati membri maggiore flessibilità nell’accedere a tali finanziamenti e nel mobilitarli in modo più accurato.

3.   Osservazioni specifiche

3.1.   L’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile e il diritto dei giovani a godere di buone opportunità

3.1.1.

Le misure finanziate a titolo dell’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile dovrebbero essere basate su un approccio all’occupazione giovanile fondato sui diritti; la qualità del lavoro giovanile non deve essere compromessa, specie in tempi di crisi. I progetti nell’ambito dell’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile devono contribuire a promuovere posti di lavoro di qualità. Sempre più elementi dimostrano che in alcuni Stati membri il lavoro temporaneo e a tempo parziale sta diventando un obbligo anziché un’opzione per i giovani.

3.1.2.

Nel quadro dell’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile occorre ampliare ulteriormente i programmi di tirocinio e di apprendistato. I tirocini dovrebbero essere di qualità, e rappresentare per i giovani un’esperienza di lavoro valida e utile. I tirocini dovrebbero essere basati su obiettivi di apprendimento e preferibilmente rientrare nei programmi didattici, oltre ad aiutare il passaggio dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro senza sostituire la creazione di nuova occupazione. Le imprese dovrebbero essere incoraggiate ad assumere i tirocinanti al termine del tirocinio.

3.2.   Il principio di partenariato

3.2.1.

Il CESE desidera sottolineare con forza che i programmi operativi (compresi quelli sovvenzionati dall’FSE e che, quindi, finanziano l’Iniziativa) dovrebbero essere finalizzati ad azioni e misure favorevoli al partenariato. Gli orientamenti principali dovrebbero essere la parità di trattamento e il pluralismo nel partenariato, la creazione di partenariati mirati per programmi mirati e il rafforzamento delle azioni di costruzione di capacità (5). Il CESE ritiene che i comitati di sorveglianza, in quanto strumento di partenariato cui partecipa anche la società civile organizzata, dovrebbero essere utilizzati per stimolare un dibattito adeguato sul modo in cui l’Iniziativa è realizzata negli Stati membri, nonché per sorvegliarne l’attuazione.

3.2.2.

Una riduzione della disoccupazione giovanile può essere avviata solo da un reale approccio intersettoriale e dallo sviluppo di partenariati efficienti che coinvolgano le imprese, il settore giovanile, le organizzazioni della società civile, i servizi pubblici dell’occupazione e i fornitori di servizi di formazione e istruzione, nonché le autorità locali e regionali.

3.2.3.

Affinché gli interventi possano tener conto della natura eterogenea della disoccupazione giovanile, contribuire alla concezione di servizi personalizzati e garantire un miglior contatto con i giovani, in particolare i più vulnerabili e distanti dal mercato del lavoro, si dovrebbero coinvolgere i giovani e le organizzazioni giovanili nella definizione, nel monitoraggio e, se del caso, nell’attuazione delle misure finanziate dall’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile a livello nazionale, regionale e locale.

3.2.4.

Le organizzazioni e i rappresentanti dei giovani potrebbero anche agevolare la comunicazione: possono infatti svolgere un ruolo di individuazione dei giovani beneficiari delle misure, previste dall’Iniziativa, di lotta alla disoccupazione giovanile e di informazione dei giovani circa le possibilità offerte dai programmi.

3.3.   Il ruolo dei servizi pubblici dell’occupazione nell’attuazione dell’Iniziativa

3.3.1.

Le politiche del mercato del lavoro che incoraggiano interventi tempestivi volti ad aiutare i giovani a entrare nel mercato del lavoro possono arrecare un beneficio a tutta la loro carriera. Tuttavia, è anche molto difficile per i giovani rimanere nel mercato del lavoro dopo una prima esperienza, pertanto i servizi di orientamento professionale dovrebbero fornire assistenza ai giovani nel lungo termine.

3.3.2.

Per essere efficienti, è necessario che le misure adottate nel quadro dell’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile, in particolare i sistemi di Garanzia per i giovani, siano accompagnate da un aumento della capacità amministrativa dei servizi pubblici dell’occupazione. Non è sufficiente ribattezzare i sistemi attuali, che hanno fallito. Una Garanzia per i giovani equa e inclusiva dovrebbe garantire un rapido passaggio dalla scuola al mondo del lavoro, offrendo servizi di orientamento professionale su misura che consentano a tutti i giovani di accedere ad offerte di lavoro di qualità.

3.4.   Necessità di garantire la coerenza

3.4.1.

Le misure dell’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile non dovrebbero essere soltanto misure immediate volte a ridurre la disoccupazione giovanile sul breve termine, ma dovrebbero anche puntare a ridurre il fenomeno sul medio e lungo termine, il che necessita di investimenti mirati di lungo periodo.

3.4.2.

I tagli ai servizi giovanili e a quelli sociali sono in contrasto con lo spirito dell’Iniziativa e compromettono la capacità delle misure adottate di affrontare il problema della disoccupazione giovanile.

3.4.3.

Al fine di rispondere alle diverse esigenze di tutti i giovani, soprattutto dei più vulnerabili, i progetti finanziati nell’ambito dell’Iniziativa dovrebbero essere parte di un pacchetto coerente di misure che comprenda diversi meccanismi di sostegno. Occorre garantire ai giovani l’accesso ai sistemi sociali e regolamentare tutte le forme atipiche di occupazione per controbilanciare alcuni effetti negativi dell’insicurezza cui dà luogo questo genere di posti di lavoro. Inoltre, occorre rivolgere particolare attenzione alla lotta contro le discriminazioni sul mercato del lavoro, siano esse basate sull’età, il genere, l’origine o altri fattori.

3.4.4.

L’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile non dovrebbe impedire agli Stati membri di utilizzare il Fondo sociale europeo per finanziare progetti più ampi connessi con i giovani, in particolare sui temi della povertà e dell’inclusione sociale. Il CESE invita la Commissione europea a monitorare l’utilizzo dei fondi dell’FSE per i progetti nel settore della gioventù.

3.5.   Dall’istruzione al lavoro e dal lavoro all’istruzione

3.5.1.

Considerando le rapide mutazioni previste nel mercato del lavoro, occorrono oggi più che mai ingenti investimenti nell’istruzione e nella formazione. Detto questo, le politiche in materia di competenze non devono essere considerate semplici strumenti per rispondere alle necessità del mercato del lavoro ma devono anche riconoscere le competenze acquisite attraverso l’istruzione non formale, promuovere l’attuazione di politiche di apprendimento permanente e rientrare, in ultima analisi, in un approccio globale all’istruzione.

3.5.2.

Il passaggio fra il mondo dell’istruzione e il mondo del lavoro può anche essere facilitato da un sistema duale intelligente che sappia combinare istruzione e lavoro e dia ai giovani la possibilità di fare la prima esperienza professionale parallelamente all’acquisizione di un’istruzione di qualità.

3.5.3.

Lo sviluppo di competenze imprenditoriali e multifunzionali può essere utile ai giovani per essere cittadini attivi e innovativi. I giovani dovrebbero inoltre considerare l’imprenditorialità un percorso praticabile verso l’occupazione. Si devono predisporre misure atte a rimuovere gli ostacoli incontrati dai giovani nel creare una propria impresa, quali la mancanza di accesso al credito, la mancanza di un livello minimo di protezione sociale per i giovani imprenditori e la mancanza di sostegno da parte delle strutture governative e dell’istruzione.

3.5.4.

Si deve inoltre promuovere l’imprenditoria sociale, data la sua capacità di creare occupazione e di contribuire allo sviluppo delle comunità, promuovere la sostenibilità ambientale e produrre capitale sociale.

3.6.   Un monitoraggio di qualità

3.6.1.

Il CESE invita la Commissione europea a monitorare attentamente le sfide connesse con l’attuazione dell’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile e soprattutto con la Garanzia per i giovani, sfide individuate nelle raccomandazioni specifiche per paese del 2014 per quanto riguarda la qualità delle offerte, la mancanza di azioni attive di coinvolgimento dei giovani NEET, la capacità amministrativa dei servizi pubblici dell’occupazione e l’assenza di un impegno efficace con tutte le parti interessate.

3.6.2.

Il processo di monitoraggio dovrebbe basarsi non solo su un’analisi quantitativa ma anche su indicatori più qualitativi. Ciò consentirebbe di individuare le misure rivelatesi non in grado di riportare i giovani nel mondo del lavoro e, con esse, i motivi del loro insuccesso.

3.6.3.

Il CESE accoglie con favore il quadro per gli indicatori riguardanti il monitoraggio della garanzia per i giovani definito dal Comitato per l’occupazione. Tali indicatori sono molto ambiziosi e richiederanno un notevole lavoro amministrativo da parte delle autorità nazionali. Gli Stati membri saranno responsabili per la raccolta efficiente dei dati.

3.7.   Estensione dell’Iniziativa

3.7.1.

L’Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile dà agli Stati membri la possibilità di estendere le misure ai giovani fino all’età di 30 anni. Gli Stati membri dovrebbero tener conto di tale possibilità quando procedono al monitoraggio e alla valutazione dell’Iniziativa nel loro paese.

3.8.   Creazione di posti di lavoro

3.8.1.

Occorrono politiche macroeconomiche a favore dell’occupazione per aumentare gli investimenti e la crescita. Gli investimenti pubblici nelle infrastrutture e nella protezione sociale possono aumentare le opportunità di lavoro, mentre gli investimenti in settori specifici e innovativi, come l’economia verde e il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, possono garantire la sostenibilità della crescita e la creazione di posti di lavoro di buona qualità per i giovani. Politiche fiscali calibrate sui giovani, in particolare per sostenere tali interventi mirati sul versante della domanda, devono far parte di questo approccio più ampio alla lotta contro l’impatto della crisi sui giovani.

Bruxelles, 18 marzo 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 101.

(2)  GU C 424 del 26.11.2014, pag. 1.

(3)  Ultimi dati Eurostat sulla disoccupazione giovanile.

(4)  Parlamento europeo (2014), Flash Eurobarometro del Parlamento europeo: i giovani europei nel 2014.

(5)  GU C 44 del 15.2.2013, pag. 23.


14.8.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 268/45


Parere del Comitato economico e sociale europeoin merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall’applicazione di una normativa adottata da un paese terzo e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti (rifusione)»

[COM(2015) 48 final — 2015/0027 (COD)]

(2015/C 268/08)

Il Parlamento europeo, in data 12 febbraio 2015, e il Consiglio, in data 4 marzo 2015, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall’applicazione di una normativa adottata da un paese terzo e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti (rifusione)»

[COM(2015) 48 final — 2015/0027 (COD)].

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 18 e 19 marzo 2015, nel corso della 506a sessione plenaria (seduta del 18 marzo 2015), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 165 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

Bruxelles, 18 marzo 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE