ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 311

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

57° anno
12 settembre 2014


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

498a sessione plenaria del CESE del 29 e 30 aprile 2014

2014/C 311/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Approcci intergenerazionali e interculturali per promuovere l'integrazione sociale dei giovani cittadini dell'UE che lavorano in un altro Stato membro (parere d'iniziativa)

1

2014/C 311/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Occupabilità dei giovani — Adeguamento della formazione alle esigenze dell'industria in tempi di austerità

7

2014/C 311/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Riportare le industrie nell'UE nel quadro del processo di reindustrializzazione

15

2014/C 311/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le trasformazioni industriali nel settore farmaceutico europeo

25

2014/C 311/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Contrastare il lavoro forzato in Europa e nel mondo: il ruolo dell'UE — Contributo del CESE alla conferenza dell'OIL 2014 (parere d'iniziativa)

31

2014/C 311/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Protezione dei consumatori e gestione corretta dell'indebitamento eccessivo per prevenire l'esclusione sociale (parere esplorativo)

38

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

498a sessione plenaria del CESE del 29 e 30 aprile 2014

2014/C 311/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Per una rinascita industriale europea [COM(2014) 14 final]

47

2014/C 311/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n. 715/2007 e (CE) n. 595/2009 per quanto riguarda la riduzione delle emissioni inquinanti dei veicoli stradali [COM(2014) 28 final — 2014/0012 (COD)]

55

2014/C 311/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni che affronta le conseguenze della privazione del diritto di voto dei cittadini dell'Unione che esercitano il diritto alla libera circolazione [COM(2014) 33 final]

59

2014/C 311/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno e nei paesi terzi [COM(2013) 812 final — 2013/0398 (COD)]

63

2014/C 311/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n. 850/98, (CE) n. 2187/2005, (CE) n. 1967/2006, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 254/2002, (CE) n. 2347/2002 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 1434/98 del Consiglio per quanto riguarda l'obbligo di sbarco [COM(2013) 889 final — 2013/0436 (COD)]

68

2014/C 311/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla clonazione di animali delle specie bovina, suina, ovina, caprina ed equina allevati e fatti riprodurre a fini agricoli [COM(2013) 892 final — 2013/0433 (COD)], alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa all'immissione sul mercato di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali [COM(2013) 893 final — 2013/0434 (APP)] e alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi prodotti alimentari [COM(2013) 894 final — 2013/0435 (COD)]

73

2014/C 311/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione Costruzione della rete centrale di trasporto: corridoi della rete centrale e meccanismo per collegare l'Europa[COM(2013) 940 final]

82

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

498a sessione plenaria del CESE del 29 e 30 aprile 2014

12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Approcci intergenerazionali e interculturali per promuovere l'integrazione sociale dei giovani cittadini dell'UE che lavorano in un altro Stato membro» (parere d'iniziativa)

2014/C 311/01

Relatrice: HEINISCH

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 settembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'art. 29, par. 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Approcci intergenerazionali e interculturali per promuovere l'integrazione sociale dei giovani cittadini dell'UE che lavorano in un altro Stato membro.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 30 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 187 voti favorevoli, 2 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che la crescente mobilità lavorativa dei giovani cittadini dell'UE rappresenta un esercizio importante e positivo di una delle libertà fondamentali dell'Unione europea ed è sempre più spesso la conseguenza di una necessità. Essa contribuisce a rimediare alle situazioni critiche sul mercato del lavoro dei paesi d'origine e dei paesi di accoglienza. I giovani lavoratori migranti contribuiscono allo sviluppo economico e sociale del paese di accoglienza, apportando tra l'altro una ricchezza immateriale: la diversità, che offre nuove opportunità alle imprese e alla società.

1.2

I giovani che emigrano per motivi di lavoro colgono così le opportunità professionali che si presentano, ma nella maggior parte dei casi, anche se sono riusciti ad integrarsi sul posto di lavoro del paese ospitante, la loro integrazione sociale extralavorativa nel nuovo ambiente in cui vivono comporta nuove sfide per la società. La platea dei giovani cittadini europei che lavorano in Stati membri diversi da quello d'origine è eterogenea. Tutti hanno diritto a ricevere sostegno nella fase di inserimento, in particolare quelli con competenze linguistiche e mezzi economici più limitati.

1.3

Il CESE è convinto che occorra prestare maggiore attenzione alle difficoltà e ai bisogni specifici dei giovani cittadini dell'UE che hanno trovato lavoro in un altro Stato membro e che non soggiornano solo temporaneamente nel paese ospitante, nell'ottica della loro partecipazione e del loro ruolo attivo nella società. In caso contrario possono insorgere gravi problemi, tanto per gli interessati quanto per i paesi di accoglienza.

1.4

Il CESE segnala alle istituzioni dell'UE e agli Stati membri l'aumento della xenofobia e del razzismo nei confronti delle minoranze e dei migranti, e chiede che si intervenga con determinazione in relazione a tali comportamenti e ai gruppi che li promuovono.

1.5

Il CESE esorta la Commissione europea a sostenere gli Stati membri nei loro sforzi finalizzati a creare politiche di integrazione più efficaci per i giovani migranti europei che hanno già trovato lavoro in un altro paese dell'Unione, rafforzando gli scambi di esperienze e il dialogo. A tal fine, il CESE auspica un rafforzamento dei programmi finanziati nell'ambito di Your First EURES Job.

1.6

L'integrazione è un processo di natura sociale che si sviluppa nella relazione tra le persone e i gruppi. Essa ha carattere bidirezionale, perché coinvolge tanto i migranti quanto la società ospitante.

1.7

La Commissione dovrebbe anzitutto facilitare lo scambio di buone pratiche e produrre una documentazione relativa ai modelli e alle pratiche che sono riuscite a incoraggiare questi giovani lavoratori migranti nel loro sforzo di integrarsi nella società. In quest'ottica, si potrebbe evidenziare in modo particolare l'importanza delle strategie e dei progetti interculturali e intergenerazionali nel quadro di una «cultura dell'accoglienza» dei vari paesi e riconoscerne il promettente ruolo di misure di sostegno.

1.8

L'UE ha adottato nuovi strumenti contro la discriminazione dei cittadini europei che esercitano il diritto alla libera circolazione. Tali strumenti devono essere applicati efficacemente a livello nazionale, perché una società che consente la discriminazione nei confronti dei migranti non è inclusiva.

1.9

La Commissione dovrebbe mettere questa raccolta di modelli e progetti a disposizione degli Stati membri, con l'invito ad imitarli in modo creativo. Gli Stati membri dovrebbero essere esortati a comunicare alla Commissione le misure realizzate con successo mediante diversi soggetti, in modo da sviluppare ulteriormente la documentazione e di approfondire di conseguenza lo scambio di esperienze.

1.10

Il CESE raccomanda alla Commissione di proseguire verificando se si possa pensare ad altre modalità d'azione adeguate e a come si potrebbero mettere in pratica. Essa dovrebbe in particolare ideare un modello attraverso cui dare visibilità alle strategie e alle pratiche innovative consolidate nel quadro degli attuali programmi, piattaforme, fondi e iniziative dell'Unione, nonché per fare in modo che questi ultimi sostengano tali strategie e pratiche.

1.11

Il CESE invita la Commissione a sostenere gli interventi delle parti sociali e della società civile, che hanno un ruolo molto importante nell'integrazione attraverso l'accoglienza e la partecipazione dei migranti.

1.12

Il CESE è dell'opinione che la Commissione europea dovrebbe impegnarsi per coinvolgere adeguatamente i giovani, attraverso le loro organizzazioni della società civile, negli importanti processi di pianificazione e decisione che riguardano questo settore, affinché i bisogni e i problemi della categoria destinataria possano anche così essere definiti in modo sufficiente e affrontati mirando al raggiungimento di risultati.

1.13

Le parti sociali e le stesse imprese che danno lavoro ai giovani stranieri hanno certamente una grande responsabilità. Il CESE ne auspica un maggior coinvolgimento nella formulazione di programmi di integrazione maggiormente rispondenti alle necessità dei giovani lavoratori.

2.   Introduzione

2.1

I giovani cittadini dell'UE sono sempre più mobili e molti lasciano il proprio paese d'origine — spesso a causa di una situazione del mercato del lavoro desolante, ma non necessariamente solo per questo motivo — per cercare un posto di lavoro in un altro paese dell'UE. In questo modo, essi esercitano il proprio diritto fondamentale alla libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione, realizzano l'obiettivo di una maggiore mobilità del lavoro nell'UE e colgono le opportunità che ne derivano. Sono giuridicamente equiparati ai cittadini del paese ospitante, ma incontrano difficoltà specifiche e hanno bisogni particolari.

2.2

La platea dei giovani cittadini europei che lavorano in Stati membri diversi da quello d'origine è eterogenea. Si tratta, infatti, di giovani con un alto grado di istruzione, ma anche di giovani con un basso grado di istruzione e difficoltà economiche che compiono il passo coraggioso di costruirsi un futuro al di fuori del paese d'origine. Soprattutto questi ultimi incontrano maggiori difficoltà di inserimento non avendo, spesso, le competenze linguistiche sufficienti e i mezzi economici adeguati che sono necessari a costruirsi una posizione sociale solida nel paese di destinazione.

2.3

È quindi indispensabile che tali giovani possano integrarsi facilmente nel tessuto sociale, per poter partecipare e svolgere un ruolo attivo nella realtà sociale del paese ospitante, con la quale all'arrivo hanno poca o nessuna familiarità, e vivere quindi questa importante dimensione della cittadinanza anche nel nuovo ambiente.

2.4

La Commissione europea con l'azione Your First EURES Jobs (YFEJ), prevista nell'ambito delle iniziative faro Youth on the Move e Youth Opportunities Initiative, promuove la mobilità professionale dei giovani al fine di realizzare l'obiettivo, fissato dalla strategia Europa 2020, di un tasso di occupazione al 75 % e di migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro europei.

2.5

Il parere d'iniziativa si occupa delle difficoltà, finora generalmente considerate di secondaria importanza, connesse con l'integrazione socioculturale nel nuovo ambiente attraverso la partecipazione più ampia e il ruolo più attivo possibili nella società di accoglienza. Contemporaneamente, il CESE vede anche la necessità di elaborare un ulteriore parere per analizzare i costi sociali e gli altri effetti che ricadono sui paesi e le regioni di origine in conseguenza della mobilità del lavoro e dell'emigrazione, in particolare da parte dei giovani.

2.6

Il parere si pone l'obiettivo di sensibilizzare maggiormente sia i paesi ospitanti e d'origine che il livello dell'Unione circa questo importante aspetto dell'integrazione dei giovani europei che emigrano per motivi di lavoro. Si sottolinea l'urgenza di adeguate azioni con l'obiettivo di sviluppare modelli basati su dati concreti e orientati ai risultati negli Stati membri tramite il confronto dei singoli approcci e di esperienze specifiche, che dovranno poi essere promossi dall'Unione.

2.7

I paesi ospitanti e le imprese offrono già, in vari casi, misure di sostegno veramente efficaci, che però si concentrano soprattutto sugli aspetti connessi con il posto di lavoro e solo in casi eccezionali sono accompagnate da una «cultura dell'accoglienza» più generale. Nel quadro del YFEJ sono promossi programmi di integrazione dei giovani lavoratori organizzati dai datori di lavoro (corsi di lingua e formazione da integrare con assistenza amministrativa supporto per il trasferimento). In larga misura, mancano ancora strategie, strutture, metodi ed esperienze adeguati, che possano rivelarsi utili a questi giovani sostenendo, promuovendo, ma anche sollecitando la loro integrazione nella vita sociale e culturale del paese ospitante.

2.8

Modelli e misure con questo scopo dovrebbero essere specificamente concepiti in maniera intergenerazionale e interculturale. Tali misure possono fornire un contributo assolutamente essenziale all'integrazione e all'esercizio della cittadinanza europea nel paese ospitante. In questo quadro, dovrebbero essere sfruttate il più possibile le esperienze acquisite dalle generazioni più anziane. In particolare, gli immigrati provenienti da diversi paesi che si sono già efficacemente integrati possono apportare, grazie alla diversità delle loro radici culturali, elementi innovativi di sostegno reciproco e diverse forme di solidarietà.

2.9

Una mancata integrazione sociale e uno scarso riconoscimento dell'identità e dei bisogni specifici dei giovani possono provocare problemi molto acuti sia per gli interessati che per la società di accoglienza. Speranze deluse e una nuova messa in discussione delle prospettive sono spesso all'origine dell'esaurirsi di un orientamento inizialmente positivo nei confronti del paese ospitante e possono persino dar luogo ad azioni e atteggiamenti aggressivi e radicali.

2.10

Questi giovani devono ricevere un messaggio del tipo «voi siete preziosi per noi, siete benvenuti e vi aiutiamo», per contrastare un'impressione del tipo «voi qui siete un problema e date fastidio». Non da ultimo, si dovrebbe evitare che i giovani competenti e motivati emigrino frustrati verso paesi terzi, risultando quindi perduti per l'Unione europea.

3.   Sfide e difficoltà per i giovani che si trovano in un paese straniero

3.1

Sebbene l'Unione europea disponga già di buoni sistemi di consulenza e sostegno per i giovani che cercano lavoro sul suo territorio — come ad esempio Gioventù in movimento, EURES, il portale europeo per la mobilità professionale, ecc. — e i paesi ospitanti abbiano adottato numerose misure in tale settore, questi programmi si concentrano prevalentemente, se non esclusivamente, su aspetti di politica del mercato del lavoro o riguardano il posto di lavoro. I restanti svariati ambiti della vita, le difficoltà e i bisogni specifici dei giovani sono in gran parte ignorati, e le offerte di sostegno sono inadeguate o inesistenti.

3.2

Una difficoltà fondamentale per i nuovi arrivati nel paese ospitante consiste nel fatto che essi all'inizio non hanno familiarità con le strutture e le procedure pubbliche e non comprendono, o non comprendono in modo sufficiente, le convenzioni e la cultura della società. Tale problema, sommato il più delle volte a conoscenze linguistiche ancora carenti, rende estremamente difficile l'accesso ai diritti e ai servizi pubblici e comporta il rischio di penalizzazioni sia economiche che sociali, specialmente al di fuori dell'ambito lavorativo.

3.3

Le difficoltà quotidiane possono ad esempio riguardare l'alloggio, l'accesso a servizi generali e particolari, ad esempio in ambito sanitario e sociale, nonché un ampio spettro di altre esigenze personali, comprese l'organizzazione del tempo libero e la professione della religione. Tali difficoltà affliggono tutti i lavoratori che si trovano in uno Stato diverso da quello d'origine.

3.4

Se le possibilità di partecipazione alla società sono insufficienti o contrastate, sorge un rischio di emarginazione che, partendo da situazioni della normale vita quotidiana, arriva fino ad esperienze di rifiuto, discriminazione e distanza dalla società e può avere conseguenze psichiche considerevoli, con il relativo isolamento sociale ed emotivo. Si tratta di una situazione particolarmente difficile da vivere per questi giovani, dato che essi non possono avvalersi del sostegno delle vecchie reti di conoscenze come la famiglia d'origine, la cerchia degli amici consueti o il gruppo di pari da cui provengono.

3.5

Per un'efficace integrazione sociale nella società di accoglienza è molto importante l'effettivo coinvolgimento nella vita sociale generale, attraverso la partecipazione ad attività sociali, politiche, culturali, sportive o anche confessionali, ad esempio all'interno di club, circoli, associazioni, partiti e sindacati. Spesso però esistono diverse barriere che impediscono una normale partecipazione dei giovani stranieri, e mancano le indispensabili azioni di introduzione, incoraggiamento e presentazione. Tale situazione può facilmente comportare un impoverimento immateriale dei giovani migranti, con effetti disastrosi.

3.6

A tal proposito il CESE reputa indispensabile rafforzare la rete EURES, sinora risultata carente non solo sotto l'aspetto dell'intercettazione della domanda e dell'offerta ma anche riguardo al profilo del sostegno all'inserimento e all'integrazione. Quest'ultimo aspetto assume un'importanza maggiore con la recente estensione della rete EURES anche ai tirocini e agli apprendistati, lasciando prevedere che sempre più giovanissimi saranno coinvolti in processi di mobilità europea.

3.7

Un contributo fondamentale allo sviluppo di programmi di integrazione può derivare dalla cooperazione tra Stato ospitante e Stato d'origine che, grazie ad un approccio olistico, consenta una «migrazione consapevole» favorendo la creazione di network interculturali transnazionali più vicine al giovane lavoratore migrante.

4.   Importanti settori per azioni di sostegno in grado di proteggere e favorire i giovani lavoratori migranti

4.1

Al di fuori dell'ambito strettamente lavorativo, i giovani migranti possono ricevere un grosso aiuto da un sostegno alla loro esigenza di crearsi una rete. Ciò può essere fatto attraverso una comunicazione strutturata o mediante l'organizzazione di eventi locali o regionali, che consentano di avviare o promuovere lo scambio di esperienze e di informazioni su diritti e doveri, difficoltà e intoppi burocratici, soluzioni possibili, ecc. I media sociali svolgono un'importante funzione nello sviluppo di nuove reti di relazioni.

4.2

Poiché i giovani lavoratori migranti sono in prevalenza altamente motivati e disponibili all'azione, dovrebbe essere loro offerta un'ampia gamma di possibilità e di sbocchi facilmente percorribili affinché possano anche definire, sviluppare e realizzare i propri progetti imprenditoriali. In quest'ottica, potrebbero beneficiare delle esperienze delle persone più anziane, soprattutto per quanto riguarda le opportunità del mercato, le condizioni tecniche e amministrative, i finanziamenti, l'assunzione di personale, ecc., nel contesto socioeconomico del paese ospitante.

4.3

Il tema della partecipazione e dell'integrazione extralavorative dei giovani lavoratori stranieri coincide con la questione complessa e importante, ma ampiamente trascurata, delle necessarie misure di sostegno e promozione. Non basta che i giovani apprendano le conoscenze linguistiche di base della lingua del paese ospitante nei corsi e i linguaggi settoriali sul posto di lavoro.

4.4

Per riuscire ad ambientarsi nel nuovo contesto di vita, soddisfare i bisogni personali e impegnarsi attivamente nella società, è necessario molto di più. Servono, in particolare, informazioni certe, servizi di orientamento idonei, un collegamento pratico della lingua con una molteplicità di situazioni di vita concrete, nonché un sostegno personale duraturo e affidabile in caso di fallimenti e delusioni.

4.5

I servizi di consulenza e di sostegno sono decisivi in diverse situazioni, come ricerca di alloggio, gestione di conflitti nel settore dell'alloggio, organizzazione generale della vita quotidiana, questioni finanziarie e fiscali, intenzione di conseguire una specializzazione, scelta di attività sociali, culturali, religiose o sportive, altre attività del tempo libero, esercizio dei diritti civili e impegno politico. In tutti questi casi, possono fornire un aiuto estremamente prezioso gli altri giovani stranieri e i connazionali che hanno acquisito maggiore esperienza nel paese ospitante, ma anche gli anziani del paese ospitante, disponibili a fornire sostegno a titolo personale.

4.6

Nella definizione delle misure di sostegno e di consulenza occorre distinguere tra le soluzioni da adottare per difficoltà e bisogni molto diversi. In principio si tratta per lo più di problemi iniziali di natura giuridica, materiale o tecnica, che possono essere risolti abbastanza facilmente con aiuti idonei. È invece molto più complicato superare gli ostacoli al processo di integrazione sociale: a tal fine può risultare indispensabile un accompagnamento a lungo termine e affidabile.

4.7

Nel caso di decisioni difficili o di situazioni conflittuali, può essere molto importante per i giovani migranti avere la possibilità di contattare un referente, ad es. un tutor o mentore, o anche un consulente del programma EURES, con cui poter sviluppare un rapporto di fiducia e dal quale ricevere consigli. È essenziale che tali persone, da un lato, abbiano un'esperienza interculturale e quindi la necessaria capacità di comprensione e, dall'altro, siano in grado di comunicare efficacemente e di aiutare ad acquisire autonomia.

5.   Responsabili e promotori delle misure di sostegno

5.1

Le parti sociali e le stesse imprese che danno lavoro ai giovani stranieri hanno certamente una grande responsabilità. Possono, inoltre, offrire consulenza e aiuti concreti in ambito extralavorativo, incoraggiando in particolare i dipendenti anziani a rendersi disponibili in azienda per assistere come tutor o mentori i giovani lavoratori migranti e dare loro collaborazione e consigli, ma anche e soprattutto aiuto al di fuori dell'ambiente di lavoro. Il fatto che questo obiettivo non possa essere praticamente realizzato nelle piccole e medie imprese senza incentivi rappresenta una sfida particolare per la quale devono essere trovate soluzioni, ad esempio prevedendo l'inserimento di tali attività nei programmi finanziati nell'ambito di YFJE.

5.2

Le organizzazioni della società civile tradizionalmente si occupano in prevalenza di risolvere le difficoltà extralavorative degli individui e di creare opportunità per migliorare l'integrazione sociale e la coesione all'interno della società. Nell'ambito della definizione d'insieme delle loro attività, esse dovrebbero coinvolgere ancora più direttamente i giovani migranti, offrendo diverse proposte incentrate sulle difficoltà e sui bisogni specifici di questo gruppo importante e determinante per il futuro, in particolare nel settore sociale, culturale, sportivo e del tempo libero in generale.

5.3

Far incontrare gli anziani più esperti con i giovani migranti è estremamente vantaggioso sia nel contesto lavorativo che in quello extralavorativo. Le conoscenze e le capacità di giudizio degli anziani disponibili a mettere le proprie esperienze a disposizione dei giovani costituiscono hanno un particolare valore. L'incontro tra anziani e giovani, oltre a permettere di trovare soluzioni adeguate alle difficoltà, rappresenta anche un'importante forma di dialogo che rafforza la coesione sociale; inoltre risulta estremamente vantaggioso per tutte le parti interessate. Se poi gli interlocutori provengono da un ampio ventaglio di contesti culturali, vi è anche la possibilità di importanti esperienze in una società aperta e pluridimensionale, che offre a tutti opportunità di accesso e partecipazione.

5.4

Malgrado tutti i programmi istituzionali di aiuto e di sostegno già esistenti, un fattore assolutamente determinante per il successo delle misure consiste nelle relazioni personali. Le esperienze personali, la comunicazione diretta, l'impegno individuale, la fiducia nelle capacità dell'altro e le esperienze comuni sono altrettanti catalizzatori di un'integrazione promettente in un ambiente lavorativo nuovo e soprattutto in una società diversa. Garantire questo tipo di aiuti individuali attraverso contatti interpersonali diretti è un compito importante, che può essere realizzato soprattutto tramite un impegno volontario organizzato in maniera strutturata. Quali soggetti potrebbero o dovrebbero essere responsabili di questo processo dipende dalla cultura di ciascun paese ospitante.

5.5

Quello che conta è che né a livello nazionale né a livello europeo si cerchi di puntare a soluzioni uniformi. Si tratta infatti di difficoltà e bisogni personali che non sono soggetti a regole fisse ma che richiedono invece risposte multiformi, flessibili e continuamente innovative, a seconda dell'origine degli interessati, delle circostanze locali e della situazione personale di ciascuno.

5.6

Una forma di assistenza personale particolarmente riuscita è rappresentata, ad esempio, dai cosiddetti senior expert services («servizi forniti da esperti senior») (1), dove pensionati mettono volontariamente a disposizione dei giovani le competenze professionali e le esperienze acquisite nei più svariati ambiti lavorativi. Il trasferimento di competenze e l'impegno personale degli anziani favoriscono in grandissima misura la comprensione reciproca, la cooperazione e il rispetto tra le generazioni, apportando in tal modo un fondamentale contributo alla coesione della società.

5.7

Per le strategie che promettono di avere un certo successo è importante che le offerte esistenti e le pratiche consolidate siano documentate sistematicamente, valutate in base a dati di fatto, ben coordinate tra loro e divulgate mediante informazioni mirate. Per il successo sono infatti indispensabili una stretta cooperazione tra tutti i responsabili e le unità organizzative competenti, nonché il coinvolgimento permanente delle organizzazioni di tutte le parti e i soggetti interessati. L'obiettivo deve infatti consistere nell'assicurare che le difficoltà e i bisogni specifici dei giovani migranti siano correttamente rilevati, che vengano definite strategie e interventi mirati, che le risorse vengano utilizzate in maniera appropriata e che venga garantito un monitoraggio dei risultati. I giovani lavoratori migranti devono essere coinvolti e avere voce in capitolo in tutte le decisioni e nelle valutazioni.

6.   Constatazioni e possibili interventi della Commissione europea

6.1

La mobilità dei giovani lavoratori rappresenta una delle libertà fondamentali dell'Unione europea. Attraverso la migrazione del lavoro, i giovani colgono le occasioni che si presentano, mitigando in misura significativa i problemi del mercato del lavoro sia dei paesi di origine che di quelli di accoglienza. Dovrebbe essere più attentamente documentata, analizzata e compresa la situazione particolare dei giovani migranti europei che lavorano in un altro Stato membro dell'UE, e che rappresentano un elemento di cruciale importanza per il futuro dell'Europa.

6.2

In particolare, dovrebbe ricevere una maggiore attenzione l'integrazione extralavorativa dei giovani di altri Stati membri dell'UE nella società del paese ospitante in cui hanno trovato lavoro, dal momento che tale aspetto può presentare sfide e difficoltà considerevoli. Al riguardo, la Commissione dovrebbe realizzare attività di sensibilizzazione e documentazione, nonché iniziative che favoriscano gli scambi di esperienze e il dialogo, in modo da coinvolgere più paesi.

6.3

La Commissione europea dovrebbe pertanto essere invitata ad adottare misure per documentare le pratiche messe in campo con successo al fine di risolvere le difficoltà specifiche incontrate dai giovani lavoratori migranti nel partecipare e prendere parte attivamente alla società del paese ospitante. In quest'ottica, occorre in particolare riservare un'attenzione maggiore agli approcci operativi di tipo interculturale e intergenerazionale a sostegno di questi giovani stranieri dell'UE nei loro sforzi per partecipare attivamente alla società, in quanto elementi importanti di una «cultura dell'accoglienza».

6.4

La Commissione dovrebbe raccomandare queste pratiche agli Stati membri, affinché le imitino in modo creativo. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero essere invitati a loro volta a far conoscere alla Commissione europea i modelli, i programmi e le misure concrete innovative e consolidate — del settore pubblico e privato — intesi a favorire e sostenere l'integrazione sociale dei giovani lavoratori di altri Stati membri, allo scopo di approfondire lo scambio di esperienze sulle diverse offerte e possibilità in questo settore.

6.5

In base a questa documentazione europea, la Commissione dovrebbe analizzare in quali ambiti ci potrebbe essere bisogno di interventi e come realizzarli. Essa dovrebbe inoltre ideare un modello attraverso cui realizzare pienamente gli elementi decisivi delle pratiche innovative consolidate nel quadro degli attuali programmi, piattaforme, fondi e iniziative dell'Unione, nonché per fare in modo che questi ultimi sostengano tali elementi.

6.6

Nelle sue riflessioni, la Commissione dovrebbe far sì che i giovani vengano coinvolti in modo massiccio attraverso le loro organizzazioni della società civile, per garantire che le loro difficoltà e i loro bisogni possano essere adeguatamente presi in considerazione, compresi e affrontati tramite offerte mirate.

Bruxelles, 30 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  http://www.ses-bonn.de/.


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Occupabilità dei giovani — Adeguamento della formazione alle esigenze dell'industria in tempi di austerità»

2014/C 311/02

Relatore: FORNEA

Correlatore: GRIMALDI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Occupabilità dei giovani — Adeguamento della formazione alle esigenze dell'industria in tempi di austerità.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014, (seduta del 30 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli e 2 voti contrari.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La grave crisi dell'occupazione giovanile richiede che i governi, i datori di lavoro, i lavoratori e la società civile operino con maggiore impegno e collaborazione per promuovere, creare e mantenere posti di lavoro dignitosi (1) e sostenibili. La questione è diventata una sfida politica oltre che economica. Il CESE ha già sottolineato che occorre una reale strategia di crescita a livello europeo e nazionale per sostenere la creazione di posti di lavoro più numerosi e più stabili per i giovani. Il CESE ritiene essenziale che i governi compiano massicci sforzi correttivi per evitare un ulteriore aggravarsi della crisi.

1.2

Come afferma il Consiglio europeo nelle sue conclusioni del giugno 2013, il CESE ritiene che gli Stati membri debbano fare tutto il possibile affinché l'Iniziativa per l'occupazione giovanile (Youth Employment Initiative, YEI) e la Garanzia per i giovani siano pienamente operative quanto prima. La dotazione dei fondi nazionali ed europei per l'istruzione e la formazione, l'occupazione giovanile e la disoccupazione di lunga durata deve essere sensibilmente aumentata.

1.3

Il CESE raccomanda vivamente che i concreti piani d'azione già adottati dagli Stati membri per combattere la disoccupazione giovanile e promuovere l'occupabilità dei giovani siano sottoposti a una valutazione periodica con la partecipazione della società civile. Il CESE ritiene che nell'ambito di tali piani e programmi sia necessario adottare misure concrete intese a consentire ai giovani laureati di acquisire le competenze necessarie sul posto di lavoro, ad esempio in materia di gestione e lavoro di gruppo, risoluzione dei problemi e creatività, per renderli più versatili e migliorare le loro opportunità sul mercato del lavoro.

1.4

Il CESE raccomanda che gli Stati membri, e tutte le autorità interessate, considerino l'occupabilità come un processo continuo che interessa l'intera durata della vita lavorativa. Gli Stati membri dovrebbero prevedere e creare strumenti e condizioni volti ad aiutare i cittadini ad aggiornare, migliorare e valutare il loro livello di occupabilità. Aumentare il riconoscimento e la trasparenza delle competenze e delle qualifiche è importante per far corrispondere l'occupabilità dei giovani in cerca di lavoro alle esigenze del mercato e alla loro mobilità. Il CESE sostiene le politiche dell'UE volte a incrementare il riconoscimento e la trasparenza delle competenze, capacità e qualifiche, nonché gli strumenti connessi, come il QEQ, l'ESCO, l'Europass e i sistemi di assicurazione della qualità e di crediti.

1.5

Il CESE afferma con convinzione che la responsabilità dell'occupabilità non è soltanto individuale: si tratta di una questione di cui dovrebbero occuparsi di concerto tutte le parti interessate, ossia, tra le altre, governi, parti sociali, università, scuole, enti locali e singoli lavoratori. A tal fine il Comitato raccomanda vivamente di rafforzare il partenariato tra le imprese e gli istituti di istruzione, e di promuovere, a questo proposito, programmi di formazione di qualità all'interno delle imprese, conformemente ai principi e ai metodi dell'Alleanza europea per l'apprendistato e al proposto quadro europeo di qualità per i tirocini.

1.6

Gli Stati membri dovrebbero offrire incentivi alle università e ai centri di R&S che propongono corsi di studio corrispondenti alle esigenze del mercato globalizzato. Tali incentivi possono essere utili anche per promuovere un elevato livello di professionalità.

1.7

Preoccupato dalle recenti tendenze di tagli alla spesa per l'istruzione in diversi Stati membri, il CESE raccomanda a questi ultimi di prevedere risorse sufficienti per garantire che il personale del settore possa offrire a tutti un'istruzione di qualità. La professione dell'insegnante in Europa non è considerata attraente e sempre meno persone scelgono di intraprenderla, un problema che rischia di aggravarsi nel prossimo futuro (2). Affinché l'istruzione sia considerata una scelta professionale interessante, occorre garantire condizioni di lavoro, retribuzioni e pensioni dignitose.

1.8

Il CESE accoglie favorevolmente la decisione di lanciare il programma Erasmus+, che promuove anche la formazione professionale transfrontaliera, e auspica che, come concordato, esso sia pienamente operativo quanto prima. Il CESE si rallegra in particolare dell'accordo concluso tra il Parlamento europeo e il Consiglio sul riconoscimento delle qualifiche professionali.

1.9

Il CESE accoglie con favore il «Quadro di azioni sull'occupazione giovanile», approvato dalle parti sociali nel giugno 2013. In un periodo di crisi economica e sociale, l'Europa deve utilizzare appieno il potenziale dei suoi cittadini provenienti da tutti gli ambienti socioeconomici, assicurando sempre l'efficacia in termini di costi.

1.10

Il CESE riafferma la propria convinzione che le iniziative dell'UE intese ad affrontare il problema della disoccupazione giovanile debbano portare a misure concrete che promuovano una politica industriale efficace volta a far progredire l'industria europea e a rafforzarne la competitività in modo sostenibile e socialmente accettabile.

1.11

Il CESE raccomanda che gli Stati membri dedichino un'attenzione particolare agli effetti negativi del ricorso sistematico ai contratti a tempo determinato per i giovani, un fenomeno, questo, che ha implicazioni importanti anche per le reti di sicurezza sociale (diminuzione dei contributi) e per la coesione sociale negli Stati membri.

1.12

A giudizio del CESE, gli investimenti volti a migliorare l'occupabilità dei giovani sono fondamentali per il futuro delle economie e delle società europee. Le iniziative approvate dovrebbero essere facilmente accessibili a tutti i giovani, senza distinzioni o discriminazioni di genere, ed essere accompagnate da misure concrete a favore dell'inclusione. I soggetti interessati (incluse le parti sociali e le organizzazioni giovanili) a livello locale, regionale e nazionale devono partecipare alla concezione, all'attuazione e alla valutazione dei risultati di tali iniziative.

1.13

Occorre continuare a mettere a punto misure concrete a livello nazionale e locale per offrire un apprendimento permanente accessibile a tutti, con la partecipazione delle parti sociali e della società civile e una valutazione periodica dei risultati.

1.14

Nei modelli di apprendimento basati sul lavoro, come i sistemi di apprendimento duale, una parte importante della formazione avviene nelle imprese. I giovani lavoratori dovrebbero avere la possibilità di alternare tra l'apprendimento nelle scuole e la formazione sul luogo di lavoro all'interno di un'impresa. Il CESE è convinto dell'efficacia dei sistemi di apprendimento duale come quelli attuati in alcuni Stati membri. La condivisione delle responsabilità tra le autorità pubbliche e le imprese per investire nel futuro è fondamentale al fine di creare programmi di apprendistato efficaci.

1.15

Il Comitato raccomanda di adottare misure volte a garantire la qualità e la pertinenza delle attività proposte e a creare un quadro adeguato nel quale le responsabilità, i diritti e i doveri di ciascun soggetto siano chiaramente formulati e applicabili nella pratica. Il dialogo sociale tra i datori di lavoro e i sindacati dovrebbe continuare a essere sviluppato e utilizzato come importante strumento per individuare le future prospettive del mercato del lavoro, promuovere la creazione di posti di lavoro, condividere le pratiche di formazione più adeguate alle esigenze del mercato del lavoro e incoraggiare i giovani a migliorare le proprie competenze e capacità in modo da rispondere meglio alle esigenze mutevoli dell'industria.

1.16

L'attuale crisi economica e sociale impone limitazioni alle decisioni di bilancio dei paesi dell'UE, in particolare di quelli soggetti a programmi di aggiustamento dei bilanci, una situazione ulteriormente aggravata dalla riduzione dello stesso bilancio dell'UE. Considerato il ruolo centrale svolto dall'istruzione nello sviluppo delle condizioni di occupabilità, il CESE raccomanda che gli Stati membri incrementino le risorse stanziate per l'istruzione di qualità, che dovrebbero essere considerate non come spese ma come investimenti essenziali per superare la crisi e costruire un futuro migliore per tutti. In considerazione di ciò, il CESE ha sostenuto l'iniziativa dei cittadini europei intitolata Non includete l'istruzione nel calcolo del deficit della spesa pubblica! L'istruzione è un investimento!  (3) Il Comitato mette in guardia contro il rischio che i tagli alla spesa per l'istruzione e la formazione riducano iniziative e proposte d'importanza vitale a semplici dichiarazioni di buone intenzioni. Tenendo conto dell'importanza dell'istruzione e della formazione nella lotta alla disoccupazione giovanile, il CESE raccomanda vivamente che la CE organizzi nel 2015 una «Giornata europea dell'istruzione e della formazione».

1.17

Il CESE ritiene che le industrie e le imprese dovrebbero investire negli strumenti di produzione e attuare le loro politiche salariali e di comunicazione al fine di aumentare l'attrattiva del settore industriale. Migliorare il dialogo tra le imprese e le associazioni per la formazione professionale potrebbe costituire un passo importante per affrontare il tema dell'occupabilità e ridurre lo squilibrio tra il lato della domanda e quello dell'offerta.

1.18

Tutte le iniziative adottate per incrementare l'occupabilità giovanile devono avere un'adeguata copertura finanziaria, attraverso l'FSE e altri fondi strutturali. Il CESE raccomanda che, nell'impiego dei fondi strutturali, si attribuisca particolare importanza all'occupabilità giovanile, anche attraverso azioni volte a riprogrammare i fondi inutilizzati, ove appropriato.

2.   Introduzione

2.1

L'industria europea comprende una vasta gamma di imprese, dalle grandi imprese alle PMI fino alle microindustrie, tutte con esigenze diverse in termini di forza lavoro. Occorrono quindi lavoratori dotati di competenze e capacità diverse. È essenziale tenere conto di queste differenze nella concezione dei sistemi di istruzione e formazione. Il dialogo sociale tra i datori di lavoro e i sindacati dovrebbe continuare a essere sviluppato e utilizzato come importante strumento per individuare le future prospettive del mercato del lavoro, promuovere la creazione di posti di lavoro, condividere le pratiche di formazione più adeguate alle esigenze del mercato del lavoro e incoraggiare i giovani a migliorare le proprie competenze e capacità in modo da rispondere meglio alle esigenze mutevoli dell'industria.

2.2

L'UE e gli Stati membri hanno bisogno di una politica industriale che favorisca la crescita e incoraggi la creazione di nuovi posti di lavoro di qualità (4). La Commissione ritiene che vi sia bisogno di un partenariato forte tra l'UE, gli Stati membri e l'industria al fine di garantire un quadro efficace di cooperazione e stimolare investimenti nelle tecnologie e nelle risorse umane che conferiscano al settore industriale europeo un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti sulla scena mondiale. Per affrontare questa situazione e il problema più generale dell'occupabilità nell'industria (5), la Commissione ha assicurato che uno dei pilastri della nuova politica industriale saranno gli investimenti nelle persone e nelle competenze.

2.3

La crisi finanziaria iniziata nel 2008 ha danneggiato gravemente molte economie europee, e finora la ripresa è stata molto lenta. Un problema che rischia di rendere tale ripresa ancor più difficile, e le cui conseguenze per il futuro potrebbero essere ancora più preoccupanti, è la crisi dell'occupazione giovanile, che impone ai governi, ai datori di lavoro, ai lavoratori e alla società civile di collaborare per promuovere, creare e mantenere posti di lavoro dignitosi e produttivi.

2.4

I leader europei sembrano prendere sul serio questa crisi ma, come il Comitato ha sottolineato in precedenti pareri (6), le nuove iniziative non contribuiranno a risolvere il problema se non lo affronteranno alla radice. La questione è diventata una sfida politica oltre che economica. Sarebbe sbagliato generalizzare — la situazione non è certamente la stessa in ogni paese né a livello locale -, ma per molti giovani europei sfide come completare e pagarsi gli studi, trovare non solo un lavoro o un tirocinio temporaneo bensì un vero impiego, avviare un progetto o un'attività in proprio, vivere autonomamente o fondare una famiglia fanno parte della stessa lotta quotidiana. Sebbene la disoccupazione non sia un fenomeno nuovo per l'Europa, l'aumento della disoccupazione giovanile è uno degli effetti più visibili dell'attuale crisi economica, in relazione sia alla perdita di posti di lavoro che alla mancata creazione di nuovi posti (7).

2.5

Molte valide iniziative dell'UE (come la Garanzia per i giovani) offriranno opportunità di formazione professionale e apprendistato, ma non garantiranno sempre l'accesso a un posto di lavoro. Ciò mette in risalto un problema centrale: è la crescita economica, di solito, a produrre occupazione. Il CESE ha già sottolineato che occorre una reale strategia di crescita a livello europeo e nazionale per sostenere la creazione di posti di lavoro migliori e più stabili per i giovani. Il CESE ritiene essenziale che i governi compiano massicci sforzi correttivi per evitare un ulteriore aggravarsi della crisi. Come ha rilevato la Commissione, «il dinamismo e la prosperità del futuro dell'Europa sono nelle mani dei giovani» (8).

2.6

Al concetto di «occupabilità» non corrisponde un'unica definizione universalmente accettata: è un concetto dinamico, ed è in atto una tendenza generale verso un suo «allargamento» a fattori contestuali. Nonostante la sua importanza per le tematiche connesse al mercato del lavoro, l'occupabilità è difficile da misurare, e gli approcci alla sua definizione sono molteplici. In quanto tale, l'occupabilità è influenzata da fattori legati sia all'offerta che alla domanda, che spesso sono fuori dal controllo dei singoli individui. In un periodo di crisi economica e sociale, l'Europa deve utilizzare pienamente il potenziale di creatività, energia e capacità dei cittadini, indipendentemente dagli ambienti socioeconomici di provenienza. Anche organizzazioni della società civile forti e molto attive svolgono un importante ruolo abilitante.

2.7

L'occupabilità è determinata in gran parte dalla qualità e pertinenza dell'istruzione e della formazione offerte dalle autorità nazionali e locali. Pur constatando che gli enti locali stanno lavorando per trovare il giusto equilibrio che consenta miglioramenti in questo senso, il CESE ritiene che gli attuali sistemi di istruzione e formazione non rispecchino sempre in maniera coerente le decisioni prese a livello europeo. Nonostante gli appelli che la Commissione, nel quadro del metodo di coordinamento aperto, ha rivolto agli enti locali affinché condividano le loro risposte istituzionali ai problemi della mobilità e della formazione dei giovani, migliorino la qualità della formazione, della certificazione e degli aggiornamenti, rispondano adeguatamente alle esigenze del mercato del lavoro, rispettino un calendario delle realizzazioni relative a obiettivi condivisi e con parametri di riferimento e risultati, analizzino e integrino i risultati di studi e di lavori di ricerca, sono ancora troppi gli ostacoli istituzionali che, accanto a una mancanza di impegno reale, si frappongono a un vero e proprio spazio comune europeo dell'istruzione e della formazione.

2.8

Gli imprenditori conoscono le competenze e le capacità dei lavoratori attuali, ma devono essere più informati su quelle dei lavoratori futuri in un mercato del lavoro in continua evoluzione, in particolare per effetto dello sviluppo di tecnologie che rendono essenziale per i lavoratori continuare ad acquisire e ad aggiornare le proprie competenze. Dato che le imprese hanno caratteristiche ed esigenze diverse, è essenziale che l'istruzione e la formazione professionale siano adattabili e flessibili per quanto riguarda le competenze che insegnano. Come ha sottolineato il CESE nel parere SOC/476, è assolutamente necessaria una collaborazione migliore e più pertinente tra gli istituti di istruzione a tutti i livelli e l'industria.

2.9

Dato che l'istruzione e la formazione professionale non sono gli unici elementi che determinano l'occupabilità di una persona, concentrarsi solo su questi aspetti costituisce un approccio troppo limitativo. I programmi di tirocinio di qualità, l'apprendimento basato sul lavoro (nelle scuole o nelle imprese) o gli apprendistati e i programmi di occupazione mirati vanno considerati come strumenti fondamentali per agevolare l'accesso dei giovani (donne e uomini) al mercato del lavoro, ma non come la soluzione definitiva al problema dell'occupabilità. È importante riconoscere che i mercati del lavoro, al pari delle istituzioni economiche, sono inseriti nel contesto sociale e culturale, e che le pratiche in essi correnti dipendono anche dalle regole informali e dalle consuetudini.

2.10

Il CESE ritiene che ciò che è stato discusso e approvato a livello europeo nel settore dell'istruzione e della formazione non possa essere ridotto semplicemente a uno scambio di buone pratiche. A questo proposito, è auspicabile che i sistemi di formazione siano in grado di rispondere alle esigenze occupazionali, creando nuove figure professionali che possano far fronte ai continui cambiamenti dell'organizzazione del lavoro e della società attuale. Tenuto conto, pertanto, delle scadenze previste per ET 2020 e della dichiarazione di Bruges, il CESE chiede una valutazione e un'attenta analisi del modo in cui gli impegni vengono attuati nella pratica e degli obiettivi conseguiti.

3.   Osservazioni generali

3.1

In numerosi pareri, la CCMI ha messo in risalto una serie di questioni economiche, industriali e sociali, tra le quali l'occupabilità e la riqualificazione, in particolare nel quadro dell'attuale crisi (9). Rifacendosi alla proposta di una garanzia per l'occupazione dei giovani approvata dalla Commissione europea, nel giugno 2013 le parti sociali europee (10) hanno presentato un Quadro d'azione comune per l'occupazione dei giovani, incentrato sulla conoscenza, sulla transizione scuola-lavoro, sull'occupazione e sullo sviluppo dell'imprenditorialità.

3.2

I giovani rappresentano il presente e il futuro dell'Europa e sono una ricca sorgente di dinamismo per le nostre società. La loro inclusione economica e sociale, tuttavia, presuppone e richiede una serie di transizioni riuscite, per realizzare le quali, in un contesto in cui il passaggio alla vita adulta si è fatto più complesso, un'istruzione di qualità per tutti e mercati del lavoro inclusivi rappresentano strumenti essenziali. Occorre un approccio olistico che promuova mercati del lavoro dinamici, aperti e mobili per i giovani, con misure e risorse adeguate incentrate sulla creazione di posti di lavoro migliori e più numerosi, su risultati di apprendimento di alta qualità e su una migliore corrispondenza tra domanda e offerta di competenze, anche attraverso la diffusione dell'apprendimento sul lavoro in tutta Europa.

3.3

Le organizzazioni della società civile di molti Stati membri (in particolare quelli più colpiti dall'attuale crisi) hanno sottolineato in varie forme l'importanza di combinare un approccio individuale alle esigenze del mercato del lavoro con un approccio collettivo (contesto, ambiente, organizzazione del lavoro e condizioni di lavoro) che tenga conto delle aspettative e delle aspirazioni dei giovani. Per essere pienamente efficaci, le suddette misure dovrebbero essere sostenute attraverso finanziamenti europei e misure di rafforzamento della crescita, e la dotazione loro assegnata non dovrebbe limitarsi ai 6-8 miliardi di euro previsti dall'iniziativa per l'occupazione giovanile, ma dovrebbe essere sensibilmente aumentata.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

I principi e i metodi di lavoro dell'Alleanza europea per l'apprendistato e il quadro di qualità per i tirocini rafforzano la convinzione del CESE che l'apprendistato e i tirocini nelle imprese costituiscano uno strumento importante affinché i giovani possano acquisire competenze ed esperienza professionale, e che debbano rientrare nelle strategie delle imprese. Il Comitato raccomanda che gli Stati membri e l'industria garantiscano la qualità e la pertinenza delle attività proposte e creino un quadro adeguato nel quale le responsabilità, i diritti e i doveri di ciascun soggetto siano chiaramente formulati e applicabili nella pratica.

4.2

Considerando che la possibilità di ottenere titoli universitari riconosciuti ai vari livelli è importante, ma non è più sufficiente, il Comitato ritiene che, al momento di attuare i piani e i programmi della Garanzia per i giovani, sia necessario adottare misure concrete intese a consentire ai giovani laureati di acquisire le competenze necessarie sul posto di lavoro, ad esempio in materia di gestione e lavoro di gruppo, risoluzione dei problemi e creatività, per migliorare le loro opportunità sul mercato del lavoro.

4.3

Nei modelli di apprendimento basati sul lavoro, come i sistemi di apprendimento duale, una parte importante della formazione avviene nelle imprese. I giovani lavoratori dovrebbero avere la possibilità di alternare tra l'apprendimento nelle scuole e la formazione sul luogo di lavoro all'interno di un'impresa. Il CESE è convinto dell'efficacia dei sistemi di apprendimento duale come quelli attuati in alcuni Stati membri. La condivisione delle responsabilità tra le autorità pubbliche e le imprese per investire nel futuro è fondamentale al fine di creare programmi di apprendistato efficaci.

4.4

Stimolare l'apprendimento è sicuramente opportuno, purché non dipenda soltanto dallo sforzo che ogni persona può e deve fare individualmente, altrimenti rimarranno esclusi tutti quei gruppi che sono già oggi più svantaggiati o emarginati. Occorre continuare a mettere a punto misure concrete a livello nazionale e locale per offrire un apprendimento permanente accessibile a tutti, con la partecipazione delle parti sociali e della società civile e una valutazione periodica dei risultati.

4.5

Nel riesaminare i sistemi di istruzione/formazione, è importante garantire che l'istruzione possa rimanere una professione attraente e competitiva. Anche il rilancio della professione di docente è in sintonia con le mutevoli esigenze del mercato del lavoro. C'è bisogno di insegnanti fortemente motivati e preparati, in grado di gestire la gamma diversificata di richieste provenienti dalla società, dall'industria e dagli studenti.

4.6

Istruzione, formazione e servizi di consulenza professionale dovrebbero sostenere i giovani nei loro sforzi per ottenere un'istruzione, qualifiche e competenze migliori. I materiali di orientamento professionale dovrebbero includere informazioni chiare circa gli impieghi e le prospettive di carriera disponibili sul mercato del lavoro (11). Il CESE ha accolto favorevolmente la decisione della Commissione europea di lanciare il programma Erasmus+, che promuove anche la formazione professionale transfrontaliera, e auspica che, come concordato, esso sia pienamente operativo nel 2014. Il CESE si rallegra in particolare dell'accordo concluso di recente tra il Parlamento europeo e il Consiglio sul riconoscimento delle qualifiche professionali.

4.7

Gli Stati membri dovrebbero offrire incentivi alle università e ai centri di R&S che propongono corsi di studio corrispondenti alle esigenze del mercato globalizzato; tali incentivi potrebbero contribuire a promuovere un elevato livello di professionalità.

4.8

L'introduzione della formazione obbligatoria potrebbe essere considerata come una sorta di «assicurazione per la carriera». L'apprendistato e il tirocinio non devono però diventare un modo per distribuire manodopera a basso costo o non retribuita. Le migliori pratiche dell'industria dovrebbero essere riconosciute, e gli abusi non dovrebbero essere tollerati. Tutti i periodi di apprendimento o di formazione devono prevedere il rilascio di un diploma o di un certificato che riconosca le qualifiche ottenute.

4.9

Tenendo conto delle attuali differenze tra i giovani uomini e le giovani donne che entrano nei mercati del lavoro, il CESE sottolinea l'importanza di affrontare la questione dell'occupazione giovanile sulla base di una corretta prospettiva di genere che includa, ove necessario, misure concrete. La raccomandazione del Consiglio sull'istituzione di una garanzia per i giovani specifica infatti che è opportuno tenere conto del genere e della diversità dei giovani beneficiari di tali misure (12).

4.10

Per migliorare l'occupabilità, occorre fare ogni sforzo possibile per tenere conto delle effettive condizioni sul campo. Quanto più le misure politiche soddisferanno questo requisito, tanto più saranno efficaci nelle loro finalità. Qualsiasi azione volta a promuovere lo sviluppo economico deve essere collegata alle condizioni sul terreno: questa è l'unica via per realizzare l'eccellenza sostenibile. La creazione di partenariati locali sarà utile a intensificare il dialogo e le azioni di lotta alla disoccupazione giovanile. Le istituzioni locali, le università, le organizzazioni giovanili, gli enti pubblici e gli istituti di formazione professionale, i sindacati e i datori di lavoro che operano nella stessa area dovrebbero trovare il modo di collaborare per mettere a punto possibili strategie comuni. In tal modo le caratteristiche e le esigenze locali saranno meglio riconosciute e prese in considerazione al fine di migliorare le possibilità occupazionali dei giovani.

4.11

Gli Stati membri dovrebbero inserire corsi di imprenditorialità nei programmi scolastici e promuovere l'imprenditorialità nei modelli di apprendimento basati sul lavoro, in linea con il nuovo piano d'azione per l'imprenditorialità 2020 lanciato dalla Commissione europea. L'imprenditorialità deve essere considerata come un concetto ampio e non limitato alla creazione di nuove imprese. Le persone devono imparare e comprendere, fin da giovani, come essere imprenditori nella propria vita. L'educazione allo spirito imprenditoriale dovrebbe preparare le persone alla vita insegnando loro a dimostrare iniziativa, ad assumersi responsabilità e ad analizzare le situazioni. Il CESE ritiene che lo sviluppo di abilità e competenze come la creatività, lo spirito di iniziativa, la tenacia e il lavoro di squadra sia essenziale per tutti, non solo per i futuri imprenditori che desiderano avviare un'attività. Tali competenze dovrebbero dare a una generazione i mezzi per lavorare efficacemente in tutti i settori e per realizzare le infrastrutture necessarie al successo dell'economia europea.

4.12

La Commissione riconosce che l'Europa «deve procedere a un cambiamento culturale profondo e di grande portata» (13), per introdurre metodologie efficaci di apprendimento dell'imprenditorialità nelle aule scolastiche. Il CESE raccomanda inoltre di modificare i programmi di formazione degli insegnanti, e suggerisce agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari allo sviluppo dei docenti in quest'ambito. L'efficacia delle politiche dipende dalla disponibilità di operatori competenti, che devono essere formati e sostenuti.

4.13

In precedenti pareri (14) il CESE ha richiamato l'attenzione sulle conseguenze prodotte dalla riduzione del ruolo dei contratti a tempo indeterminato sull'occupazione giovanile, e ha raccomandato di prendere in considerazione i rischi legati a questo sviluppo. I contratti a tempo determinato, oggi all'ordine del giorno per i giovani (specialmente a inizio carriera), hanno dato luogo a una maggiore segmentazione del mercato del lavoro. Il CESE raccomanda che gli Stati membri dedichino un'attenzione particolare a questo aspetto, che ha implicazioni importanti anche per le reti di sicurezza sociale (riduzione dei contributi) e per la coesione delle società degli Stati membri.

4.14

L'attuale crisi economica e sociale impone limitazioni alle decisioni di bilancio dei paesi dell'UE, in particolare di quelli soggetti a programmi di aggiustamento dei bilanci, una situazione ulteriormente aggravata dalla riduzione dello stesso bilancio dell'UE. Il Comitato mette in guardia contro il rischio che i tagli alla spesa per l'istruzione e la formazione riducano iniziative e proposte d'importanza vitale a semplici dichiarazioni di buone intenzioni. In considerazione di ciò, il CESE sostiene l'iniziativa dei cittadini europei intitolata L'istruzione è un investimento! Non includete l'istruzione nel calcolo del deficit della spesa pubblica!

4.15

Tutte le iniziative volte a incrementare l'occupabilità giovanile devono essere prontamente attuate in tutta Europa e disporre di un'adeguata copertura finanziaria, attraverso l'FSE e altri fondi strutturali. A giudizio del CESE, si tratta di un investimento fondamentale per il futuro delle economie e delle società europee. Queste iniziative dovrebbero essere facilmente accessibili a tutti i giovani, senza distinzioni. I soggetti interessati (incluse le parti sociali e le organizzazioni giovanili) a livello locale, regionale e nazionale devono partecipare all'attuazione e alla valutazione dei risultati ottenuti. Il CESE raccomanda che, nell'impiego dei fondi strutturali, si attribuisca particolare importanza all'occupabilità giovanile, anche attraverso azioni volte a riprogrammare i fondi inutilizzati, ove appropriato.

Bruxelles, 30 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Il concetto di lavoro dignitoso è stato formulato dalle componenti dell'OIL — governi, datori di lavoro e lavoratori — partendo dal presupposto che il lavoro è una fonte di dignità personale, coesione sociale, pace nella comunità, democrazia e crescita economica, che incrementa le opportunità per l'occupazione di qualità e lo sviluppo delle imprese. OIL, www.ilo.org.

(2)  Cfr. Key Data on Teachers & School Leaders in Europe («Dati essenziali sugli insegnanti e i dirigenti scolastici in Europa»). Rapporto Eurydice 2013, Commissione europea.

(3)  Avviata da cittadini greci e promossa da DIKTIO — «La Rete».

(4)  La Commissione europea propone che entro il 2020 il settore industriale costituisca il 16 % del PIL dell'UE.

(5)  Commissione europea, Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica, 10 ottobre 2012.

(6)  GU C 68/11 del 6.3.2012, pagg. 11-14, GU C 143/94 del 22.5.2012, pagg. 94-101; GU C 299/97 del 4.10.2012, pagg. 97-102; GU C 11 del 15.1.2013, pagg. 8-15; GU C 161 del 6.6.2013, pagg. 67-72.

(7)  «In tempi di recessione economica, i giovani non sono solo gli ultimi a essere assunti, ma anche i primi a perdere il lavoro, perché per gli imprenditori è più costoso licenziare i dipendenti più anziani. I giovani il più delle volte non hanno ricevuto alcuna formazione nell'impresa, hanno minori competenze e i loro contratti sono spesso a tempo determinato. […] E anche quando vengono assunti, è probabile che non abbiano un buon posto di lavoro. Nei paesi sviluppati hanno spesso contratti temporanei che rendono più facile il loro licenziamento, oppure ricoprono posti inadeguati alle loro qualifiche». (Foro economico mondiale — Youth Unemployment Visualization 2013) http://www.weforum.org/community/global-agenda-councils/youth-unemployment-visualization-2013.

(8)  COM(2013) 447 final, giugno 2013.

(9)  «La politica industriale presenta una forte dimensione sociale nel senso che investe tutti gli strati della società: [...] istruzione e università, consumatori e cittadini. La politica industriale consiste in un'opera sia di ristrutturazione che di anticipazione, e dovrebbe pertanto fornire istruzione, formazione e informazione aggiornate, nonché sostenere le tecnologie, l'innovazione, la creatività e l'imprenditorialità. Il cambiamento demografico deve anche essere anticipato per reagire di conseguenza». GU C 327 del 12.11.2013, pag. 82.

(10)  ETUC/CES, BusinessEurope, UEAPME e CEEP, 11 giugno 2013.

(11)  GU C 327 del 12.11.2013, pagg. 58-64.

(12)  «La Commissione riconosce che il genere è una delle dimensioni di cui devono tenere conto le misure adottate per contrastare efficacemente la disoccupazione giovanile. [...] Per le giovani donne è più probabile essere escluse dall'occupazione, dall'istruzione o dalla formazione rispetto ai loro coetanei maschi [...], che spesso hanno una transizione più agevole (ossia ottengono un contratto a tempo indeterminato). Per le giovani donne, invece, è più probabile diventare lavoratrici a tempo parziale o temporanee, o trovarsi nella situazione particolarmente fragile di un lavoro a tempo parziale e temporaneo. La raccomandazione del Consiglio sull'istituzione di una garanzia per i giovani specifica quindi che è opportuno tenere conto del genere e della diversità dei giovani beneficiari di tali misure.» László Andor, commissario responsabile per l'Occupazione, gli affari sociali e l'inclusione, maggio 2013.

(13)  Comunicazione della Commissione europea — Piano d'azione imprenditorialità 2020.

(14)  Parere del CESE sul tema Iniziativa Opportunità per i giovani, GU C 299 del 4.10.2012, pagg. 97-102.


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Riportare le industrie nell'UE nel quadro del processo di reindustrializzazione»

2014/C 311/03

Relatore: IOZIA

Correlatore: LEIRIÃO

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 settembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Riportare le industrie nell'UE nel quadro del processo di reindustrializzazione.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 29 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 139 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che, per arrestare il declino economico dell'Unione, occorra rilanciare l'industria e in particolare quella manifatturiera, punto di forza della struttura produttiva. Con il presente parere d'iniziativa, si propone di individuare alcuni strumenti utili per sostenere l'iniziativa della Commissione, volta alla reindustrializzazione dell'Unione europea, nel cui ambito si pone il tema del rimpatrio delle imprese che hanno trasferito altrove le loro attività. Anche la Commissione europea ha avviato un processo di analisi sul tema del rimpatrio. Il CESE si compiace che, contestualmente all'elaborazione del presente parere, Eurofound sia stato incaricato di predisporre un set di dati necessari per comprendere l'entità del fenomeno del rimpatrio e delle possibili soluzioni.

1.2

Il CESE sostiene il progetto proposto dal vicepresidente della Commissione Tajani, di sviluppare una politica di reindustrializzazione dell'Unione, riportando il peso dell'industria nella formazione del PIL europeo ad almeno il 20 % dal 15,1 % in cui si trova ora e propone di allargare il progetto, rafforzandolo, con questo obiettivo: «Un patto sociale europeo per una nuova industria sostenibile e competitiva». La Commissione nella sua recente comunicazione (1) ha posto alcune priorità tra le quali

approfondire il mainstreaming della competitività industriale con un'attenzione particolare alla produttività nell'ambito dei servizi alle imprese per accrescere la competitività industriale e quella dell'economia unionale in generale;

massimizzare il potenziale del mercato interno sviluppando le necessarie infrastrutture, offrendo un quadro normativo stabile, semplificato, e

porre in atto con decisione gli strumenti dello sviluppo regionale unitamente agli strumenti nazionali e unionali a sostegno dell'innovazione, delle competenze e dell'imprenditoria.

1.3

Il CESE invita l'UE a predisporre un piano europeo su questi temi, e raccomanda specificamente:

di disegnare politiche per accelerare l'innovazione e la produttività per creare vantaggio competitivo;

di identificare nuovi strumenti bancari per facilitare l'accesso ai finanziamenti e accelerare gli investimenti richiesti;

di promuovere azioni per assicurare la partecipazione delle industrie manifatturiere europee a tutte le fasi della catena di valore;

che reindustrializzazione e rimpatrio dovrebbero essere integrati in una politica industriale europea sostenibile che si focalizzi su investimenti, tecnologie, imprenditoria, educazione, innovazione, ricerca, prezzi energetici, infrastrutture, commercio, ecc.;

il bisogno di una regolamentazione coerente, stabile e sicura;

di assicurare l'effettivo funzionamento del mercato interno;

una legislazione ambientale coerente con i cicli di competitività e investimento dell'industria europea;

l'ammodernamento delle infrastrutture;

di finanziare i fabbisogni delle imprese;

di sostenere la politica energetica europea;

di assicurare lavori qualificati nel mercato in Europa;

di affrontare la mancanza di capacità e competenze nell'industria manifatturiera;

di sviluppare un sistema efficace di gestione delle risorse umane che promuova l'attività e le competenze professionali e l'innovazione, ma soprattutto sfrutti le possibilità creative offerte da soggetti della società civile come le associazioni nazionali ed europee di ingegneri e ricercatori.

Il CESE invita gli Stati membri a:

costruire nuovi o rivitalizzare su un livello tecnologico aggiornato distretti industriali e installazioni che hanno ridotto la loro attività, a causa dell'offshoring delle industrie manifatturiere;

di aggiornare o rinnovare gli strumenti ed i processi di produzione per essere in linea con i nuovi requisiti della politica di sviluppo sostenibile;

introdurre un sistema di tasse più equilibrato e stabile per promuovere il consumo domestico e per attrarre investimenti FDI;

organizzare centri speciali di informazione per i processi di delocalizzazione e rimpatrio.

1.4

Il CESE ritiene di fondamentale importanza una politica industriale integrata e con obiettivi più chiari a livello europeo, nazionale, regionale e locale che sia in grado di attrarre investimenti in tutti i settori del manifatturiero (high-tech e low-tech). Queste politiche dovrebbero focalizzarsi sulla catena di valore globale includendo attività di ricerca, innovazione e sviluppo.

1.5

Il CESE è convinto che sia indispensabile fissare obiettivi ambiziosi e nel contempo realistici da realizzare entro la scadenza del 2020 per la reindustrializzazione in Europa. In questo contesto, le politiche che favoriscano il rimpatrio di attività produttive che sono state trasferite possono contribuire a raggiungere gli obiettivi proposti.

1.6

Le principali forze motrici del rimpatrio dalla Cina all'Occidente possono essere considerate le seguenti:

i costi delle operazioni off-shore superiori alle previsioni;

aumento della produttività, riduzione dei costi e il miglioramento della capacità che molte aziende occidentali nazionali hanno fatto perseguendo programmi di miglioramento continuo;

desiderio di localizzare la produzione e la progettazione per una migliore collaborazione a livello nazionale;

la crescente complessità dei prodotti e la necessità di modificare gli imballaggi per soddisfare le preferenze dei clienti;

la riduzione dei costi energetici negli USA;

iniziative di crescita del governo più forti negli USA;

necessità di sovrapproduzione per il riempimento dei contenitori;

attesa di prodotti a causa di consegna incerta, qualità incoerente, pratiche doganali;

incremento dei costi di trasporto a causa di navi semivuote;

alto livello di scorte per far fronte alle merci in transito, ai cicli, alla scorta di sicurezza, ai tempi di consegna incerti e ai controlli di qualità;

aumento dei costi straordinari;

i difetti sono molto più elevati rispetto alle fonti locali, ispezione supplementare di materiali e tolleranze, clienti più insoddisfatti;

riduzione del divario dei costi tra ospitante e paese d'origine (costi di manodopera e di trasporto);

elementi operativi quali: ridotta flessibilità operativa, ordine di acquisto, rigidità posto rilascio; penalizzazione per gli ordini in ritardo;

ordini che devono prevedere una quantità minima minimi a causa della misura dei contenitori;

ridotta risposta alla domanda dei clienti a causa della separazione fisica tra luogo di produzione e centri di sviluppo;

produzione e consegna; impatto sul tempo di ciclo di vita del prodotto;

costi di coordinamento della catena di approvvigionamento aumentati;

problemi di qualità (scarsa qualità del prodotto);

disponibilità di competenze (mancanza di tecnici ben preparati e lavoratori qualificati presso il paese ospitante);

alti tassi di disoccupazione nel paese di origine;

rischi di tasso di cambio.

1.7

Le industrie manifatturiere necessitano di forniture resilienti e flessibili per competere nei mercati di oggi. Il rimpatrio di produzioni è una delle vie che possono essere percorse dalle imprese per far fronte a questi bisogni. Per il CESE, le politiche centrali a supporto delle industrie manifatturiere che scelgano di rilocalizzare e/o espandere il proprio business in Europa consistono nella creazione di un ambiente adeguato per le imprese che investono, competenze professionali, costi energetici competitivi, accesso ai finanziamenti e accesso ai mercati.

1.8

La Commissione ha rilevato che «tra il 2008 e il 2012 nell'UE i prezzi al dettaglio dell'elettricità che l'industria si è trovata a sostenere sono cresciuti in media del 3,5 % annuo e quelli del gas dell'1 %. Di conseguenza i prezzi dell'elettricità consumata dall'industria nell'UE sono stimati doppi rispetto a quelli praticati negli USA e in Russia e del 20 % superiori a quelli della Cina, stando ai dati dell'Agenzia internazionale per l'energia (2). Il differenziale di prezzo è maggiore per quanto concerne il gas: il gas unionale è da tre a quattro volte più costoso per l'industria dell'UE che per concorrenti quali USA, Russia e India, e più caro del 12 % rispetto alla Cina ma costa meno che in Giappone. I prezzi effettivamente pagati dagli utilizzatori industriali possono tuttavia variare notevolmente da uno Stato membro all'altro» (3).

1.9

Il CESE ha studiato attentamente la questione delle industrie ad alta intensità energetica in Europa (4) e ha proposto una serie di misure e di raccomandazioni rivolte a consentire a tali industrie di continuare a produrre in Europa. Ribadisce anche nella presente occasione l'invito rivolto alle istituzioni europee affinché realizzino una politica energetica comune e affrontino il problema della competitività del capitale e dell'energia come fattori di produzione. Invita le parti sociali a rafforzare la loro cooperazione in un patto di sviluppo che tenga in considerazione le caratteristiche e le tutele del modello sociale europeo, il quale garantisce l'applicazione degli obiettivi di Lisbona relativi all'economia sociale di mercato.

1.10

La coerenza tra le politiche ha implicazioni importanti. La prima è che lo sviluppo futuro è nella transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio e questo orizzonte richiede coerenza nella ricerca, nella normativa e nei programmi di sostegno. La seconda implicazione riguarda lo sviluppo socialmente sostenibile e quindi il rapporto tra competitività e lavoro, cioè un'occupazione per tutti, qualificata e inclusiva, a sua volta capace di generare sviluppo di qualità e quindi valore aggiunto in termini di competitività.

1.11

Il CESE ritiene che una migliore relazione fra le imprese e le banche che si concentrino sull'economia reale possa realizzare fruttuose sinergie, e valorizzare i vantaggi competitivi connessi alla loro presenza sui mercati esteri.

1.12

Le imprese europee dovrebbero puntare innanzitutto nella innovazione, nella qualità, nell'affidabilità, nei risultati e nella funzionalità dei loro prodotti, devono qualificare la loro «impronta» ambientale e infine ispirare alla responsabilità sociale di impresa i loro processi produttivi. Tuttavia affinché le imprese rimangano competitive è essenziale tenere sotto controllo anche il fattore costi, specie quelli salariali e quelli energetici, e adottare le misure necessarie a tal fine.

1.13

La transizione dei nostri sistemi produttivi, infrastrutture ed economie verso la sostenibilità e i cambiamenti demografici, la formazione delle nuove generazioni e l'adattamento della forza lavoro europea alla divisione internazionale del lavoro, tutto questo richiede investimenti massicci, per essere realizzato in un modo coerente e coordinato su scala europea.

1.14

Mantenere una vasta e diversa base manifatturiera in Europa è importante per preservare competenze che una volta perdute, è difficile sviluppare di nuovo. Specifiche competenze manifatturiere in particolari industrie potrebbero in un contesto più vasto risultare importanti input per lo sviluppo di nuovi prodotti.

1.15

Occorre rafforzare e mantenere la capacità europea in Ricerca e Innovazione, che garantisca uno sviluppo sostenibile stabile e duraturo; a questo fine occorrono regolazioni intelligenti, efficienti ed efficaci per favorire le migliori condizioni, guidare la leadership tecnologica, creare lavori di qualità in R&I e manifattura, promuovere sicurezza e sostenibilità (5).

Le imprese che considerano di delocalizzare dovrebbero sapere che cosa cercano e come possa essere realizzato nell'ambito dell'UE. Esse hanno bisogno di poter accedere a dati affidabili, informazioni e consigli per prevedere vantaggi e svantaggi, inclusi i costi reali. Le rappresentanze dell'UE e degli Stati membri nei paesi importanti dovrebbero rafforzare la loro assistenza e dovrebbero fare altrettanto le autorità regionali e locali. Tutto ciò per verificare se lo stesso obiettivo potrebbe essere ottenuto all'interno dell'Unione.

1.16

Le principali motivazioni che spingono al rimpatrio sono presentate al punto 1.6.

1.17

Il CESE si compiace che la Commissione europea stia includendo il processo di rimpatrio nell'agenda industriale come elemento di accelerazione dell'attività industriale, la creazione di nuovi posti di lavoro e fare del manifatturiero il motore del futuro dell'Europa. L'accordo stipulato recentemente con Eurofound si presenta come un piccolo primo passo nella direzione giusta.

2.   Introduzione

2.1

«Non possiamo continuare a consentire alla nostra industria di lasciare l'Europa. I nostri indicatori sono cristallini: l'industria europea può sviluppare crescita e creare lavoro. Oggi abbiamo posto le condizioni per una reindustrializzazione sostenibile dell'Europa, per sviluppare investimenti necessari in nuove tecnologie e per ricostruire un clima di fiducia e di imprenditorialità. Lavorando insieme e recuperando fiducia, possiamo riportare l'industria indietro in Europa» (6).

2.2

Nel corso degli ultimi anni si è assistito a una progressiva delocalizzazione delle attività manifatturiere dall'Europa ai paesi terzi e ad una progressiva deindustrializzazione che ha determinato la perdita di peso specifico nella contribuzione al PIL europeo, passando in pochissimi anni dal 20 al 15 %. Nell'UE si sono persi 3,5 milioni di posti di lavoro nell'industria manifatturiera dal 2008.

2.3

L'offshoring, ovvero la decisione di localizzare le proprie produzioni in paesi stranieri ha rappresentato, almeno dagli anni Settanta in poi, una delle strategie più diffuse per le imprese manifatturiere dei principali paesi industrializzati occidentali. Spesso, tale scelta manageriale si è accompagnata a quella dell'esternalizzazione di attività manifatturiere (c.d. outsourcing), contribuendo alla creazione di fenomeni economici quali la Global factory, l'International supply chain e le Global commodity chains, queste ultime successivamente definite Global value chains  (7).

2.4

Il processo di «spostare ricchezza» dai paesi OCSE verso i paesi a reddito medio grandi e popolosi è stato guidato da in gran parte Cina e India, ma anche altri paesi stanno contribuendo ad esso, compresi Brasile e Sud Africa. Nel mondo, i 20 principali produttori dei paesi Stati Uniti e UE inclusi (Germania, Italia, Francia, Regno Unito, Spagna e Paesi Bassi) hanno registrato cali molto significativi nelle attività industriali manifatturiere dal 1990. Negli USA, dal 1987 l'impiego privato nell'industria manifatturiera è crollato dal 21 % a meno dell'11 % (8).

2.5

«Le politiche anti-crisi dei paesi dell'euro vanno riviste, perché rischiano di poter complicare ulteriormente la situazione». «Se la causa di questa crisi risiede nelle crescenti discrepanze tra le economie dell'Eurozona, allora dobbiamo correggere la nostra politica di austerità. Tale politica da sola non può risolvere il problema della mancanza di competitività europea, al contrario rischia di aggravare la situazione» (9).

2.6

Il perdurare della crisi economica e del debito sovrano in alcuni paesi a forte vocazione manifatturiera ha determinato una ulteriore contrazione delle attività industriali secondarie. L'alto costo dell'energia, in particolare per i settori ad alto consumo energetico (ad esempio, le acciaierie), ha scoraggiato gli investimenti e indotto in alcuni casi a delocalizzare.

2.7

L'Unione europea dovrebbe puntare all'utilizzo di tecnologie abilitanti (KET) e all'automazione. Altri fattori quali la produzione pulita, ed avanzata, investimenti in reti intelligenti cosi come efficienza energetica e mobilità sostenibile, svolgono un ruolo importante nel futuro dell'industria europea, come la possibilità di creare nuovi posti di lavoro nel breve periodo.

3.   Politica industriale europea e reindustrializzazione

3.1

L'attuale politica industriale dell'Unione europea ha l'obiettivo di migliorare il quadro legislativo in vigore e di rafforzare la competitività delle imprese in modo che queste ultime possano mantenere il proprio ruolo di elemento motore per la crescita sostenibile e l'occupazione in Europa. L'articolo 173 del Trattato (TFUE) costituisce la base giuridica della politica industriale dell'UE.

Con reindustrializzazione s'intende una serie di iniziative e programmi a sostegno dello sviluppo economico-produttivo in aree territoriali interessate da crisi industriali, socioeconomiche ed ambientali. L'Europa ha bisogno ora più che mai che la sua economia reale sostenga la ripresa della crescita e dell'occupazione attraverso una nuova fase di reindustrializzazione. L'industria ha un effetto trainante importante. Si calcola che cento posti di lavoro creati in questo settore ne permettono la nascita di altrettanti in altri ambiti dell'economia (10). La Commissione europea nella comunicazione «Per una rinascita industriale europea» adottata il 22 gennaio 2014 invita gli Stati membri a riconoscere l'importanza centrale dell'industria per la creazione di posti di lavoro e la crescita e a inserire più sistematicamente le tematiche legate alla competitività in tutti gli ambiti politici (11).

3.2

Nel 2012 la Commissione ha varato una strategia per la reindustrializzazione dell'Europa con l'obiettivo di aumentare la quota del settore manifatturiero nell'economia europea portandola dal 15 % al 20 % del PIL entro il 2020. Questa iniziativa si basa su quattro pilastri: maggiori investimenti nell'innovazione, una formazione strettamente collegata al fabbisogno delle imprese, un migliore accesso ai finanziamenti e ai mercati (12).

3.3

Il CESE ritiene che l'Unione debba sviluppare una strategia unitaria: una politica industriale europea, che individui i settori strategici per rafforzare l'intera catena delle attività manifatturiere, siano esse di prodotti finali che di semi-lavorati. Il CESE ha elaborato un parere (13) sulla comunicazione della Commissione sul piano d'azione per l'industria dell'acciaio (14), nel quale individua concrete e urgenti misure per sostenere uno dei capisaldi delle industrie manifatturiere: prodotti di base di elevata qualità che costituiscono un vero valore aggiunto per le industrie a valle, in particolare l'industria meccanica, elettronica e di ingegneria, la meccanica fine, l'automotive, l'industria delle costruzioni e quella delle costruzioni navali, solo per citare le più importanti.

3.4

In molti pareri dedicati alle trasformazioni industriali, il CESE ha suggerito soluzioni e individuato percorsi per riportare l'industria europea a occupare lo spazio che le compete. Il CESE è assolutamente convinto che il rilancio dell'industria sia fondamentale per lo sviluppo economico, la crescita e la prosperità, cioè il fondamento del modello europeo sociale.

3.5

«Il manifatturiero rimane la sala macchine della crescita economica: nelle regioni dove l'industria ha aumentato il suo peso relativo il PIL è cresciuto di più. Una spiegazione di ciò è che nel manifatturiero, attraverso l'innovazione introdotta nei prodotti e nei processi, si genera l'aumento di produttività anche per gli altri settori: l'informatizzazione dei servizi non sarebbe mai avvenuta senza il manufatto computer. Tanto più che è nel manifatturiero che si concretizzano la ricerca e lo sviluppo che stanno alla base dell'innovazione» (15), (16).

3.6

I mezzi finanziari europei disponibili sono stati aumentati. Orizzonte 2020, il programma di ricerca, sviluppo ed innovazione è stato portato da 54 a 80 miliardi di EUR. I fondi strutturali e di investimento europei (fondi ESI) sono disponibili per gli Stati membri per un importo di almeno 100 miliardi di EUR per finanziare l'investimento nell'innovazione, in linea con le priorità della politica industriale. COSME, il programma europeo per la competitività delle imprese e PMI 2014-2020, ha un budget dedicato di 2,3 miliardi di euro. SPIRE — Sustainable Process Industry through Resource and Energy Efficiency, è la nuova partnership pubblico privata (PPP) firmata a dicembre 2013 e parte di Orizzonte 2020 con budget totale comunitario di 900 milioni di euro per i prossimi sette anni (17).

3.7

«La nanotecnologia, la micro e la nanoelettronica, anche nel campo dei semiconduttori, i materiali progrediti, le biotecnologie e la fotonica, la robotizzazione e la stampa in 3D sono tutti comparti che stanno conoscendo una crescita spettacolare nell'Unione. Il fatto di padroneggiare queste tecnologie comporta la possibilità di gestire la transizione ad un'economia basata sulle conoscenze e caratterizzata da basse emissioni di biossido di carbonio» (18).

3.8

Nel progetto di relazione sulla reindustrializzazione per promuovere la competitività e la sostenibilità (19), del PE si sottolinea che «il futuro industriale è legato alla strategia RISE (Renaissance of Industry for a Sustainable Europe — Rinascita dell'industria per un'Europa sostenibile) che punta all'innovazione tecnologica, imprenditoriale e sociale per una rivoluzione industriale che preveda un'offensiva di modernizzazione improntata a basse emissioni di carbonio».

3.9

Il futuro comune è «dell'Europa regione industria moderna», ma ciò richiede una vera e propria offensiva di modernizzazione su almeno cinque piani: un rafforzamento dell'innovazione tecnologica e produttiva, con investimenti nella ricerca e nella competitività; una riduzione dei ritardi, delle opacità e della pesantezza della PA, facilitare la vita delle PMI, un rilancio delle infrastrutture informatiche e viarie adeguate (Connecting Europe Facility, Ten-T, Ten-E e Agenda digitale); una circolazione di capitali che sia accessibile, faccia da leva per sollecitare e attirare risorse private e abbia anche obiettivi di investimento a medio termine.

4.   Il rimpatrio

4.1

Il rimpatrio (reshoring) è una strategia d'impresa volontaria che riguarda la parziale o totale rilocalizzazione di una precedente delocalizzazione (in-sourced o out-sourced) della produzione nel paese di origine (back-shoring) o nella regione del paese d'origine (20). L'offshoring è la delocalizzazione da parte di una società della sua produzione, o parte di essa, da un paese europeo verso un paese estero.

4.2

Negli ultimi anni moltissime industrie hanno deciso di delocalizzare parte della loro catena produttiva all'estero dell'Unione, inizialmente avvicinandosi ai mercati emergenti, più tardi per la maggior parte spinte da costi della manodopera più bassi e dalla prossimità alle risorse. Questa tendenza ci ha portato alla situazione che oggi il mercato europeo con i 500 milioni di abitanti sia gran consumatore di prodotti industriali non-europei. Quali fattori potrebbero influenzare il rimpatrio di queste aziende? A livello nazionale ed europeo il rimpatrio di una parte di queste aziende porterebbe vantaggi da non sottovalutare quali la creazione di nuovi posti di lavoro, diminuzione di perdita di know-how, e rafforzamento del marchio «Made in». Viste le numerose dinamiche e fattori chiave che influiscono sulla scelta a delocalizzare e/o rimpatriare, un'analisi dettagliata di vantaggi e svantaggi sia a livello nazionale, sia a livello della singola impresa è opportuna.

4.3

Il processo di offshoring continua dall'Europa verso l'Asia. Nel periodo 2007-2009 circa il 40 % delle imprese che impiegavano più di 50 dipendenti hanno riallocato le loro produzioni in una qualche misura, in particolare quelle ad alto consumo energetico. Per contro ci sono un certo numero di Paesi in Europa centrale e dell'Est che hanno mantenuto una notevole percentuale di attività manifatturiera.

4.4

Le imprese europee a causa della continuazione della crisi sono molto caute ed evitano di pianificare ulteriori investimenti e di cambiare gli attuali fornitori.

4.5

Diversi fattori nell'Unione europea influiscono negativamente sul processo di rimpatrio, quali:

un euro molto forte,

bassa produttività,

costi sociali più elevati rispetto ad altri paesi con costi del lavoro molto più bassi e senza protezione sociale,

costi crescenti dell'energia,

mancanza di soluzioni positive.

Una possibilità potrebbe essere la creazione di iniziative specifiche per il rimpatrio in territori maggiormente svantaggiati.

4.6

La tendenza del reshoring negli Stati Uniti

4.6.1

Le aziende americane stanno rimpatriando progressivamente la produzione. Il cambiamento riflette la perdita per la Cina del vantaggio competitivo come centro di produzione a basso costo dopo anni di crescita rapida dei salari e una varietà di altri fattori. Uno degli elementi che hanno favorito il rimpatrio è stato determinato dalla riduzione dei prezzi dell'energia negli Stati Uniti.

4.6.2

In Cina, la recente tendenza è stata guidata da un aumento dei costi del lavoro, dei prezzi dell'energia, l'impatto sull'innovazione, il furto della proprietà intellettuale e dal maggior utilizzo della tecnica di analisi del costo totale che riconosce e calcola tutti i costi e rischi. Con l'uso dei TCO (Total Cost of Ownership) le società di analisi aiutano a identificare realmente tutti i costi connessi con le operazioni di offshoring.

4.6.3

I settori industriali coinvolti nell'attività di rimpatrio sono i produttori di utensili e dell'automotive, metalli primari, macchinari, fabbricati in metallo, robotica, strumenti medici e scientifici, sanità, computer e elettronica, prodotti chimici, plastica, imballaggi, ecc.

4.6.4

La logica del rimpatrio si applica a tutte le aziende manifatturiere nelle loro decisioni. Poiché le aziende adottano un'analisi del costo totale più globale stanno scoprendo che l'aumento del costo del lavoro aggiunto ai «costi nascosti» di offshoring spesso hanno eliminato il vantaggio competitivo.

4.6.5

C'è un movimento che coinvolge il governo degli Stati Uniti e varie associazioni nella creazione del nuovo marchio Made in America, Again con l'obiettivo di motivare i clienti ad acquistare prodotti americani e attrezzature. Reshore now è un'altra iniziativa a livello nazionale per il rimpatrio delle aziende nel territorio americano (21).

4.6.6

Le aziende che sono rimpatriate abitualmente conseguono una riduzioni delle scorte del 50 %, esistono casi in cui la riduzione delle scorte presenta fattori di tre e sei. Le ragioni di riduzione delle scorte sono: le migliori condizioni di pagamento, la quantità di stoccaggio minori, i tempi di consegna più brevi e certi.

4.6.7

Il sondaggio MIT ha anche chiesto alle aziende quale sarebbe l'azione di governo che può fare la differenza. Le prime cinque azioni, in ordine di importanza che il governo degli Stati Uniti può prendere per incentivare il reshoring per le società statunitensi sono:

1.

riduzione delle tasse (68,3 %);

2.

crediti d'imposta (65,9 %);

3.

incentivi in R&S (60,0 %);

4.

fornire una migliore istruzione/formazione per le competenze richieste (43,8 %);

5.

fornire migliori infrastrutture (38,0 %).

4.6.8

Secondo il Boston Consulting Group, i primi tre fattori che determinano la decisione di reshoring sono: (i) il costo del lavoro, (ii) la vicinanza ai clienti, (iii) la qualità del prodotto. Altri fattori includono l'accesso alla manodopera qualificata, i costi di trasporto, i tempi di consegna e la facilità di fare affari. Anche le indicazioni mostrano che gli Stati Uniti stanno diventando il produttore a basso costo del mondo sviluppato, e così gli Stati Uniti appaiono sempre più attraenti.

4.7

Qual è il risultato di studi o indagini sul processo di reshoring nell'UE? Limitate indagini o studi sono conosciuti sul processo di reshoring europeo. Uno studio sulla delocalizzazione di aziende tedesche ha riscontrato che un sesto a un quarto di queste aziende ha rimpatriato nel giro di 4 anni; aziende francesi di IT che hanno delocalizzato il lavoro di IT si sono lamentate di costi imprevisti, qualità, e problemi di logistica. Uno studio di aziende manifatturiere UK che hanno delocalizzato la propria produzione nel 2008-2009 mostra che il 14 % di queste aziende ha già rimpatriato il lavoro (22). La Commissione europea nella comunicazione COM(2010) 614 sul tema Una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione — Riconoscere il ruolo centrale di concorrenzialità e sostenibilità ha menzionato l'idea, ma non ha usato esplicitamente la parola reshoring.

5.   I risultati dell'audizione pubblica a Bruxelles e a Bergamo

5.1

Nel corso delle audizioni pubbliche organizzate dal CESE a Bruxelles e a Bergamo sono state presentate esperienze di delocalizzazione e di rimpatrio, con possibili scenari futuri in diversi settori dell'industria manifatturiera nel quadro di un processo di reindustrializzazione in Europa.

5.2

L'economia mondiale è guidata principalmente da forze di mercato che influiscono significativamente sulla scelta di un'azienda a delocalizzare e/o rimpatriare la propria attività produttiva.

5.3

Lo studio in UK evidenzia che non sempre delocalizzare in paesi a basso costo di manodopera è la chiave del successo. La struttura della catena di valore e della supply chain costituisce una parte integrante di questo successo. Anche se il costo rimane il tema principale, l'equazione dello stesso non deriva solo dal costo del lavoro, ma anche dal costo della logistica e del management. Lo studio conferma che le tre ragioni principali che hanno spinto le aziende a rientrare sono state i risparmi di costi inferiori alle aspettative (50 %), problemi con la qualità (43 %) e la prossimità al mercato (36 %). Tra gli altri motivi figurano la capacità di rispettare tempi stretti di consegna, la visibilità e stabilità dei fornitori, e la protezione della proprietà intellettuale.

5.4

L'accesso al mercato e ai clienti è e rimarrà uno dei fattori chiave per la decisione. In alcuni settori esistono delle barriere geografiche a servire mercati esteri tra cui le esigenze locali, che rendono quindi necessaria la strategia a delocalizzare la propria produzione ed essere presenti nel mercato locale.

5.5

L'accesso alle infrastrutture, energia e trasporti, è di fondamentale importanza per le imprese. Oggi esistono paesi con infrastrutture moderne e accessibili in grado di competere con quelle europee. Investimenti futuri in questo settore dovrebbero essere presi in seria considerazione.

5.6

Formazione professionale ed istruzione svolgono un ruolo molto importante e da non sottovalutare. I paesi in via di sviluppo hanno e stanno investendo molto sull'educazione dei loro giovani creando competizione con i nostri giovani. Questi ultimi, vista mancanza di opportunità di lavoro qualificato in Europa, espatriano. Il CESE ha un parere in corso di elaborazione sul rapporto tra istruzione, formazione professionale e impresa.

5.7

ETUC (European Trade Union Confederation) ha adottato il 7 novembre 2013 l'Investment plan for good jobs and a sustainable future, con l'obiettivo di riportare crescita nel continente, creare fino a 11 milioni di posti di lavoro, e motivare le aziende multinazionali a delocalizzare in Europa, forti della domanda dinamica.

5.8

Le PMI sono state indirettamente colpite dalla delocalizzazione delle grandi industrie, vedendosi ridurre le commesse per la produzione di componenti. Il settore automotive, ad esempio, ha spostato la propria produzione in paesi emergenti principalmente per la crescente domanda in questi mercati Il settore automotive prospetta una diminuzione di circa 70  000 — 85  000 dei posti di lavoro.

5.9

Il settore di beni prodotti dalla metallurgia prevede una forte domanda che per ben due terzi arriverà dai paesi emergenti al 2025. Per questo motivo, il settore deve costruire una rete di contatti globali e assicurare la propria presenza sul mercato. Le industrie europee metallurgiche e di ingegneria delocalizzano in mercati in via di sviluppo, non solo per un fattore di costo, ma per incontrare la domanda con una strategia in country for country, garantire la fornitura di prodotti e servizi ai manifatturieri e consumatori locali.

5.10

Nel corso dell'audizione pubblica a Bergamo, sono state riassunte le seguenti conclusioni (23):

l'offshoring non è morto;

back shoring e near shoring sono due possibilità, ma non le sole;

i lavori rimpatriati non sono sempre gli stessi che sono stati delocalizzati (diversi numeri, diversi profili lavorativi);

gli imprenditori devono considerare il total cost of sourcing invece che solamente il costo del lavoro (investimenti nel capitale di lavoro; rivedere le parti difettose);

i sindacati devono considerare il «costo del lavoro per unità di prodotto» invece che il «costo del lavoro per ore lavorate» (innovazione di prodotto/processo, organizzazione del lavoro);

i responsabili politici devono considerare tutti gli elementi che influiscono sul «fare business».

Bruxelles, 29 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Hensi MALOSSE


(1)  COM(2014) 14 final.

(2)  Tali prezzi non sono corretti da differenze qualitative poiché la fornitura di elettricità nell'UE è più affidabile e presenta meno interruzioni che nei paesi menzionati.

(3)  COM(2014) 14 final.

(4)  ces1857-2011_ac_it.do.

(5)  INT/451 — Ricerca e sviluppo: un sostegno alla competitività, GU C 277 del 17.11.2009, pag.1.

(6)  Industrial revolution brings industry back to Europe, 10 dicembre 2012 — commissario Tajani.

(7)  Rapporto del Centro Europa Ricerche sul tema dell'internazionalizzazione n. 3/2013 pag. 57.

(8)  The Mechanics Behind Manufacturing Job Losses, William T. Gavin in Economic Synopses, 2013, n. 20.

(9)  Lectio Magistralis. London School of Economics. 3 dicembre 2013.

(10)  http://www.labanconota.it/finanza/globalizzazione-delocalizzazione-reindustrializzazione.html.

(11)  http://ec.europa.eu/enterprise/initiatives/mission-growth/index_en.htm.

(12)  Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica. Aggiornamento della comunicazione sulla politica industriale (COM(2012) 582 final), 10 ottobre 2012.

(13)  In corso di approvazione. CCMI/117 — Un piano d'azione per l'industria europea dell'acciaio.

(14)  COM(2013) 407 final.

(15)  Industria motore di ricchezza? La risposta positiva delle regioni europee (Scenari industriali — Centro studi Confindustria, giugno 2011).

(16)  Capitolo 4, A «manufacturing imperative» in the EU: the role of industrial policy. European Competitiveness Report 2013, Towards Knowledge Driven Reindustrialisation.

(17)  http://ec.europa.eu/research/press/2013/pdf/ppp/spire_factsheet.pdf.

(18)  Capitolo 5, EU production and trade based on key enabling technologies. European Competitiveness Report 2013, Towards Knowledge Driven Reindustrialisation.

(19)  Relatore: Reinhard BÜTIKOFER PR\936863IT.doc PE510.843v01-00 2013/2006(INI).

(20)  Uni-Club MoRe Back-reshoring Research Group.

(21)  http://www.reshorenow.org.

(22)  Leibl, P., Morefield, R. and Pfeiffer, R. (2011), A study of the effects of backshoring in the EU, Proceedings of the 13th International Conference of American Society of Business and Behavioural Sciences http://asbbs.org/files/2010/ASBBS_%20Proceedings_13th_Intl_Meeting.pdf.

(23)  Uni-Club MoRe Back-reshoring Research Group.


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/25


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le trasformazioni industriali nel settore farmaceutico europeo»

2014/C 311/04

Relatore: ALMEIDA FREIRE

Correlatore: GIBELLIERI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 settembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Le trasformazioni industriali nel settore farmaceutico europeo.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 29 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 195 voti favorevoli, 4 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il settore farmaceutico è uno dei settori più importanti e strategici per il futuro dell'Europa. L'Europa dispone di un ricco patrimonio di risorse, essendo uno dei principali centri mondiali per l'innovazione farmaceutica, e possiede molti dei requisiti necessari per mantenere anche in futuro il suo successo in questo campo. Tale successo dipende tuttavia dall'esistenza di un contesto politico che favorisca un adeguato utilizzo dell'innovazione nei sistemi sanitari europei.

1.2

L'industria farmaceutica non solo presenta il più alto valore aggiunto per lavoratore, la più elevata intensità dell'attività di ricerca e sviluppo e il maggiore attivo commerciale di tutti i settori ad alta tecnologia, ma offre un contributo unico alla crescita economica anche a livello più generale attraverso i suoi prodotti, che favoriscono la buona salute della popolazione. Il settore è composto non solo da grandi aziende con molti dipendenti ma anche da piccole e medie imprese, i cui margini differiscono spesso a seconda delle dimensioni aziendali. Grazie alle sue collaborazioni con università e altri istituti in tutto il mondo, esso si inserisce in un «sistema» integrato di scienze della vita.

1.3

Di fronte alla crescente concorrenza mondiale, il CESE ritiene che sia giunto il momento di raccomandare l'adozione di una nuova strategia europea per le scienze della vita, in grado di assicurare un approccio più coordinato all'industria, in modo che tutti i gruppi di soggetti interessati possano continuare a trarre beneficio da questo settore d'importanza unica.

1.4

Per questa nuova strategia delle scienze della vita il CESE raccomanda di prevedere tre elementi:

raccomandazioni in materia di politica sociale — incentrate sul contributo del settore al superamento delle sfide poste da un'Europa che invecchia in termini di gestione delle malattie croniche e sulla necessità di ridurre le disuguaglianze sanitarie;

raccomandazioni in materia di politica scientifica — che dovrebbero prevedere un forte impegno per lo sviluppo di attività di ricerca paneuropee meglio coordinate e maggiormente strategiche;

raccomandazioni in materia di politica economica — che riconoscano più esplicitamente che gli investimenti in ambito sanitario, compresi i farmaci, sono importanti per tutti i segmenti della società. Il CESE raccomanda che tutti gli Stati membri collaborino con il settore per la definizione di accordi che possano assicurare a tutti i consumatori europei (cioè ai pazienti) parità di accesso a una medicina moderna.

1.5

Il ruolo dell'Agenzia europea per i medicinali (EMA) e la sua indipendenza dovrebbero essere rafforzati.

1.6

L'Europa dovrebbe provvedere a rafforzare e consolidare la propria posizione di leader mondiale nel settore farmaceutico mediante partenariati che si estendano oltre i suoi confini.

1.7

Bisogna adoperarsi per ridurre le disparità nell'accesso ai farmaci in Europa.

1.8

Per quanto riguarda le raccomandazioni in materia di politica scientifica, l'Europa, dovrebbe continuare a seguire la propria strategia coordinata per la ricerca medica e bioscientifica in Europa, prestando maggiore attenzione all'eccellenza nella ricerca, l'istruzione e la formazione biomedica di base per conquistare la leadership scientifica a sostegno degli obiettivi della strategia Europa 2020 e promuovere la competitività a livello mondiale.

1.9

Nel quadro della sua imminente comunicazione sulla politica industriale per il settore farmaceutico la Commissione europea dovrebbe esaminare anche la questione della proprietà intellettuale.

1.10

Il settore farmaceutico contribuisce alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020, finalizzata a garantire una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva ponendo particolarmente l'accento sulla creazione di posti di lavoro di qualità e la riduzione della povertà. A tal fine occorrerà investire in modo più efficace nell'istruzione, la ricerca e l'innovazione, in politiche della domanda capaci di incentivare prodotti e servizi innovativi e nella promozione di un'economia caratterizzata da un'occupazione di qualità che garantisca coesione sociale e territoriale.

1.11

Tutte queste iniziative dovranno essere sostenute da un efficace dialogo sociale settoriale e da un approccio che presupponga la partecipazione di tutte le parti interessate.

1.12

Il CESE invita la Commissione ad intervenire tempestivamente per porre in essere una strategia per il settore farmaceutico che garantisca lo sviluppo di un'industria farmaceutica fiorente in Europa lungo tutta la catena del valore (ricerca e sviluppo, produzione, vendita e distribuzione).

2.   Quadro storico e situazione attuale dell'industria farmaceutica

2.1

L'industria farmaceutica europea fornisce un importante contributo all'Unione europea, non solo a livello economico ma anche in termini di occupazione di elevata qualità, investimenti nella base scientifica e salute pubblica. Negli ultimi 60 anni l'Europa ha fatto passi da gigante nel miglioramento dell'aspettativa di vita e delle condizioni di salute. L'uso di farmaci innovativi ha svolto un ruolo importante in questi recenti progressi. Ora però l'Europa si trova di fronte a una nuova serie di sfide.

2.2

Le disparità nell'accesso all'assistenza sanitaria persistono, mentre le condizioni croniche e le patologie degenerative fanno aumentare il numero di persone che vivono più a lungo con alcune forme di disabilità mediche o di malattie. Questa situazione si ripercuote negativamente sui costi e sulla produttività dei sistemi sanitari.

2.3

Una priorità importante consiste nel garantire che i consumatori possano disporre di una catena di approvvigionamento dei prodotti farmaceutici sicura ed efficace. In teoria, il quadro normativo europeo garantisce ai pazienti farmaci conformi alle stesse norme di qualità indipendentemente dal luogo di produzione. Ciononostante, l'ulteriore miglioramento della sicurezza della catena di approvvigionamento — e l'eliminazione del rischio di contraffazione — che si avrà con l'attuazione della direttiva sui medicinali falsificati sarà un importante passo avanti, che consentirà di identificare ogni singola confezione tramite un codice e un numero di serie facilitando così la tracciabilità del prodotto, che rappresenta un elemento essenziale.

2.4

Nel 1995 è stata istituita l'Agenzia europea per i medicinali (EMA), seguendo grosso modo lo schema della Food and Drug Administration (FDA) statunitense, ma senza l'accentramento tipico di quest'ultima. L'EMA è stata finanziata dall'UE e dal settore farmaceutico, nonché dagli Stati membri tramite sovvenzioni indirette, nel tentativo di armonizzare (senza tuttavia sostituire) il lavoro degli organismi nazionali esistenti di regolamentazione dei medicinali, che continuano a operare, all'interno di una rete, con l'EMA.

3.   Le trasformazioni industriali nel settore farmaceutico europeo

3.1

In media servono oltre 12 anni per sviluppare un nuovo farmaco secondo gli standard di qualità, efficacia e sicurezza previsti dagli organismi di regolamentazione. Ogni 25  000 farmaci testati, 25 accedono mediamente agli studi (trial) clinici, 5 vengono approvati e 1 riesce a incassare proventi sufficienti per finanziare il proprio sviluppo. L'abbandono (attrition) del farmaco è un fenomeno ricorrente durante il processo di innovazione. Tenuto conto degli enormi investimenti ad alto rischio effettuati dalle aziende farmaceutiche del settore privato nella fase iniziale, alle tecnologie incorporate nei farmaci viene offerto una certo margine di esclusività temporale, ad esempio mediante i brevetti.

3.2

Le innovazioni farmaceutiche traggono ispirazione dalla nuova scienza, specialmente per quanto riguarda la comprensione della biologia. I progressi in materia di genomica, proteomica e nanotecnologia, unitamente alla scoperta di biomarcatori più accurati, aprono grandi potenzialità di miglioramento dei farmaci a disposizione dei medici. Nel settore farmaceutico si sta assistendo a un cambiamento strutturale indotto dall'abbandono dei farmaci blockbuster utilizzati per le cure primarie a vantaggio di nuovi farmaci specializzati; da un aumento della concorrenza generica e dalle attuali sfide di produttività in materia di R&S. Un'altra sfida attuale è mantenere la spesa per la R&S a fronte delle pressioni per assicurare un ritorno a breve termine agli azionisti.

3.3

Il settore occupa direttamente 7 00  000 addetti (per il 70 % donne) con diverse specializzazioni scientifiche e tecnologiche, e genera indirettamente un numero di posti di lavoro da tre a quattro volte maggiore. Si tratta di posti di lavoro di elevata qualità. I lavoratori che li occupano hanno un livello di istruzione elevato e producono più valore aggiunto a testa di quelli di qualsiasi altro settore ad alta tecnologia. Rispetto ad altri settori, l'industria farmaceutica è più resistente all'alternanza a breve termine di periodi di espansione e contrazione. Questo è un punto di forza che riveste grande importanza per l'Europa.

3.4

Il ciclo di vita dei farmaci costituisce un quadro adeguato per garantire un flusso continuo di nuove tecnologie utili assicurando al tempo stesso una ragionevole sostenibilità di bilancio. Al suo interno si possono distinguere tre fasi:

1)

R&S — Le aziende del settore privato assumono rischi per mettere sul mercato nuovi farmaci.

2)

Il mercato dei farmaci coperti da brevetto (in patent) — Affinché le aziende possano recuperare i costi degli investimenti è importante che i sistemi sanitari utilizzino le nuove tecnologie in maniera appropriata, e che i prezzi che pagano siano adeguati, riflettano il valore effettivo del farmaco e siano sostenibili per il sistema sanitario interessato.

3)

Mercato dei farmaci a brevetto scaduto (off patent) (generici e biosimilari) — Quando il brevetto di un farmaco giunge a scadenza, i prodotti concorrenti provocano un'erosione dei prezzi, con conseguenti risparmi per i sistemi sanitari che possono essere utilizzati per finanziare nuovi farmaci.

3.5

Negli ultimi anni l'integrità di questo ciclo di vita ha subito una serie di sollecitazioni. La fase di R&S è diventata più lunga e più costosa e comporta un maggior numero di rischi. La richiesta, da parte non solo degli organi di regolamentazione ma anche dei finanziatori dei sistemi sanitari, di disporre di più dati ha di fatto obbligato le aziende farmaceutiche a investire più tempo negli studi, realizzandone un numero maggiore e prendendo in considerazione un maggior numero di farmaci di confronto. Durante la fase in patent, i finanziatori dei sistemi sanitari sono divenuti più attenti ed esigenti, imponendo un numero crescente di prove riguardo non solo alla sicurezza e all'efficacia di un farmaco ma anche alla sua efficienza in termini di costi.

3.6

La nuova scienza offre la possibilità di sviluppare terapie più mirate per pazienti con particolari caratteristiche.

3.7

Il mercato sul quale le aziende farmaceutiche possono recuperare i loro costi è di dimensioni ridotte rispetto a quello delle precedenti generazioni, mentre i costi di sviluppo sono aumentati e continuano ad aumentare.

3.8

Infine, i governi hanno giustamente cercato di massimizzare l'efficienza economica dei mercati off patent. La concorrenza basata sui prezzi che contribuisce a ridurre i costi di trattamento con i vecchi farmaci è uno strumento importante con il quale i governi possono gestire i loro bilanci. Occorre tuttavia trovare un giusto equilibrio.

3.9

Se da un lato è ragionevole attendersi un uso razionale dei farmaci di vecchia generazione, dall'altro è indispensabile utilizzare farmaci innovativi, di nuova generazione. Ma in Europa vi sono sensibili differenze tra i pazienti in termini di accesso alle terapie innovative. Ciò significa non solo che molti pazienti non hanno accesso ai trattamenti migliori, ma anche che viene compromessa la vitalità dell'industria europea.

3.10

La Commissione europea prevede che in Europa la popolazione di età pari o superiore a 65 anni aumenterà del 75 % entro il 2050. Il rapporto tra il numero dei lavoratori che sostengono i costi della previdenza per i pensionati (assistenza sanitaria e pensioni) e il numero dei pensionati stessi sarà più basso e quindi più problematico. Per ridurre l'onere sui lavoratori sarà quindi importante garantire che il più alto numero possibile di soggetti in età lavorativa sia sufficientemente sano e in buone condizioni di salute.

3.11

Una buona assistenza sanitaria può comportare tre importanti vantaggi: indurre a lavorare soggetti che attualmente non svolgono alcun lavoro; ridurre l'assenteismo sul posto di lavoro e infine influire positivamente sul presenteismo migliorando le condizioni di salute e quindi la produttività di quei lavoratori che continuano a lavorare pur avendo una qualche malattia o disabilità.

3.12

L'industria farmaceutica registra il più importante attivo commerciale di tutti i settori ad alta tecnologia (48,3 miliardi di euro nel 2011) e il più elevato rapporto tra investimenti in R&S e vendite nette. Le aziende del settore rappresentano il 19,1 % delle spese effettuate dalle imprese per la R&S a livello mondiale. Le aziende del settore privato investono circa 100 miliardi di dollari all'anno in ricerca e sviluppo. Gli investimenti in Europa ammontano a circa 30 miliardi di euro. Tali importi vengono utilizzati prevalentemente per gli studi clinici, che oltre ai trial comprendono anche gli studi di post-marketing, richiesti anche dopo che è iniziata la commercializzazione di un prodotto.

3.13

Molti pazienti europei non percepiscono attualmente i benefici dei nuovi farmaci. Ciò non solo pregiudica la salute e la produttività dell'Europa ma impedisce anche a quest'ultima di sfruttare il proprio potenziale per creare valore economico. In un nuovo studio pubblicato da IMS Health in occasione di un convegno sulla sanità organizzato dalla presidenza lituana dell'UE vengono presentati nuovi dati che mostrano le differenze esistenti nell'Unione in materia di accesso ai farmaci. I più svantaggiati risultano essere i consumatori dei paesi più poveri.

3.14

Per porre rimedio a questa situazione, l'UE deve creare un contesto politico in cui il prezzo dei nuovi trattamenti possa essere stabilito anche in funzione della capacità del paese di pagare oltre che della domanda. I farmaci si distinguono da tutti gli altri prodotti nella misura in cui la società si aspetta che tutti i pazienti possano avere accesso ai farmaci di cui hanno bisogno. I responsabili dell'elaborazione delle politiche europee dovrebbero riflettere attivamente su come fare in modo che il mercato unico europeo operi nel miglior interesse di tutti i cittadini europei.

Attualmente si assiste a un contenimento artificiale della spesa farmaceutica, che si traduce in un peggioramento degli indicatori dello stato di salute. Nei paesi che hanno significativamente ridotto la spesa farmaceutica a seguito della crisi finanziaria, o che hanno spostato l'onere finanziario da un soggetto finanziatore terzo ai singoli individui, si è registrato un immediato peggioramento dei risultati sanitari ed un aumento di altre e più costose forme di assistenza sanitaria per compensare le carenze di accesso ai farmaci.

4.   Verso una nuova strategia sulle scienze della vita per l'Europa

4.1

L'Europa, pur soddisfacendo molte delle condizioni necessarie per una crescita sostenibile, sta in realtà perdendo terreno rispetto agli Stati Uniti in quanto leader nella ricerca farmaceutica.

4.2

L'industria farmaceutica mondiale, concentrata soprattutto nell'UE e negli Stati Uniti, può fornire un contributo utile ad affrontare le questioni relative all'equità, permettendo a entrambi i blocchi di proteggere i loro investimenti storici e futuri nel settore farmaceutico. A questo proposito è importante che sia la dimensione economica che quella sociale nonché le preoccupazioni dei consumatori siano adeguatamente incluse nelle attuali discussioni sul TTIP (Partenariato transatlantico in materia di scambi commerciali e investimenti).

4.3

I paesi a medio reddito, man mano che aumenta la loro prosperità, dovrebbero contribuire equamente a sostenere i costi dell'innovazione in questo mercato globale in crescita. Purtroppo ciò non sta accadendo e vi è addirittura una crescente tendenza da parte di alcuni paesi, come ad esempio l'India, a ricorrere a licenze obbligatorie o, come nel caso della Corea, ad adottare strategie simili, quali un'eccessiva pressione sui prezzi. Per cogliere le sfide e le opportunità future e trarne vantaggio, abbiamo basato le nostre conclusioni su tre prospettive principali — sociale, scientifica ed economica — a ciascuna delle quali abbiamo associato delle raccomandazioni.

4.4

In materia di politica sociale si raccomanda di focalizzare l'attenzione sul miglioramento degli indicatori dello stato di salute della popolazione europea, tenuto conto del cambiamento demografico e delle sfide dovute alle malattie croniche. La salute è un presupposto per la prosperità economica.

In Europa persistono enormi disuguaglianze sia tra i paesi che al loro interno. Questo problema, se non verrà risolto con urgenza, diverrà ancora più grave con l'invecchiamento della popolazione.

4.5

Un miglior utilizzo dei farmaci e l'innovazione nel settore farmaceutico possono svolgere un ruolo fondamentale nell'aiutare l'Europa ad affrontare queste sfide. La diagnosi precoce, la gestione ottimale del percorso del paziente e il miglioramento dell'aderenza al trattamento da parte dei pazienti sono ambiti fondamentali nei quali l'industria e le strutture sanitarie possono collaborare per ottenere risultati migliori. Si dovrebbe riflettere seriamente sulla creazione di un contesto in cui l'industria farmaceutica possa stabilire i prezzi in base alla capacità di pagamento dei paesi, senza correre il rischio di deviazioni della catena di approvvigionamento.

4.6

I fondi strutturali dell'UE dovrebbero essere utilizzati in maniera più efficace, per sostenere miglioramenti della qualità delle infrastrutture sanitarie.

4.7

I governi europei dovrebbero puntare allo sviluppo di un quadro europeo per la valutazione dei programmi di gestione delle malattie croniche, definendo parametri di riferimento e percorsi del paziente «best in class» per un'assistenza completa, e a un utilizzo appropriato, durante il percorso, sia di farmaci a basso costo che di farmaci innovativi. Lo sviluppo di una piattaforma in cui dar vita a grandi partenariati organizzativi per la messa a punto di programmi di prevenzione secondaria per tali malattie consentirebbe a una pluralità di soggetti interessati (quali governi, pazienti e associazioni di medici, parti sociali e altre istituzioni della società civile) di contribuire ad assicurare un'efficace attuazione della gestione delle malattie croniche. A questo proposito l'azione comune contro le malattie croniche della Commissione europea è un passo importante nella giusta direzione.

4.8

In Europa attualmente le attività nel campo della ricerca biomedica di base vengono organizzate, gestite e finanziate attraverso una serie di programmi indipendenti e frammentati, a livello sia europeo che di Stati membri. Malgrado alcune eccellenti iniziative europee, vi è in realtà una concorrenza eccessiva tra gli Stati membri, mentre non viene fatto abbastanza per attuare una strategia coerente per l'Europa. Ne conseguono vari problemi: l'esistenza di diversi criteri di valutazione della qualità, la duplicazione degli sforzi, lo spreco di risorse finanziarie e il ritardo che l'Europa sta accumulando rispetto agli Stati Uniti in molti settori della ricerca biomedica, con una conseguente perdita di competitività.

4.9

È essenziale rafforzare la ricerca di base e quella traslazionale, e creare in Europa centri di eccellenza di livello mondiale per assicurare che l'UE continui ad attirare gli investimenti nel settore R&S e in quello manifatturiero. Dato che l'Europa ha sistematicamente mancato l'obiettivo di investire il 3 % del PIL nel settore R&S, occorre prestare un'attenzione rinnovata alla scienza di base e all'istruzione. Azioni quali l'iniziativa in materia di medicinali innovativi e Orizzonte 2020 possono contribuire a promuovere una cultura di collaborazione e innovazione aperta, e a rendere disponibile uno strumento finanziario per stimolare investimenti mirati.

4.10

In termini di raccomandazioni di politica economica, l'UE dovrebbe promuovere l'introduzione in Europa di un 'quadro per la crescita e la stabilità nel sistema delle scienze della vita che lo renda più stabile e prevedibile per tutti. L'obiettivo di tale quadro, sostenuto da un dialogo sociale settoriale, consisterebbe nell'incentivare la diffusione di nuove e utili innovazioni, conservando al tempo stesso la capacità dei governi di gestire i bilanci in maniera prevedibile. Questo tipo di quadro verrebbe attuato a livello di Stato membro, per tenere conto delle differenze in termini di sviluppo demografico, domanda reale, inflazione, progressi tecnologici, ecc. Anche la dimensione sociale dovrebbe essere inclusa.

4.11

Nella maggior parte degli Stati, i risparmi previsti dai programmi di risanamento di bilancio hanno penalizzato in maniera eccessiva i farmaci, sebbene sia chiaramente dimostrato il loro valore più elevato rispetto ad altre voci della spesa sanitaria. In questo modo si diffonde un clima di incertezza per l'industria, viene inviato un segnale confuso riguardo all'impegno dell'Europa a favore dell'innovazione, e viene potenzialmente compromessa la capacità degli Stati membri di rafforzare ulteriormente l'efficienza dei loro sistemi sanitari mediante utilizzo di farmaci e altre tecnologie.

4.12

Favorire un approccio sostenibile nel tempo al finanziamento dell'assistenza sanitaria è un obiettivo chiave per gli attori economici europei e soprattutto per i consumatori. Un approccio più sostenibile alla spesa farmaceutica consentirebbe di assicurare che i finanziamenti siano destinati agli ambiti con i ritorni maggiori. È importante individuare le opportunità di migliorare la gestione dei farmaci. In tutti gli Stati membri dovrebbe essere garantito un livello soglia minimo di finanziamento della spesa sanitaria e farmaceutica.

4.13

Dovrebbero anche essere formulate aspettative realistiche di crescita, indotta dall'invecchiamento demografico, da un'innovazione reale e da considerazioni di efficacia economica a lungo termine dell'assistenza sanitaria. Un quadro simile consentirebbe di attenuare le dannose fluttuazioni osservate nel finanziamento della spesa sanitaria durante gli ultimi tre-cinque anni, e renderebbe possibile una programmazione a lungo termine per tutti i soggetti coinvolti nel sistema sanitario.

4.14

Con la recente iniziativa Tajani promossa dalla Commissione sono stati conseguiti importanti progressi e obiettivi in materia di etica e trasparenza; accesso ai farmaci, ai medicinali orfani e ai farmaci non soggetti a prescrizione medica nei piccoli paesi; farmaci biosimilari e accordi di accesso condizionato al mercato (managed entry agreements), sostenuti dal Comitato.

4.15

Il CESE è al corrente che la Commissione europea ha in programma un'importante comunicazione sulla politica industriale per il settore farmaceutico. Ritiene che tale comunicazione giunga al momento opportuno e incoraggia la Commissione ad adottare un'agenda ambiziosa che garantisca lo sviluppo di un'industria farmaceutica fiorente in Europa lungo tutta la catena del valore (ricerca e sviluppo, produzione, vendita e distribuzione).

Bruxelles, 29 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Contrastare il lavoro forzato in Europa e nel mondo: il ruolo dell'UE — Contributo del CESE alla conferenza dell'OIL 2014» (parere d'iniziativa)

2014/C 311/05

Relatrice: OUIN

Il Comitato economico e sociale europeo, nella sessione plenaria dell'11 dicembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Contrastare il lavoro forzato in Europa e nel mondo: il ruolo dell'UE — Contributo del CESE alla conferenza dell'OIL 2014.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 30 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 167 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

In una società civile non c'è posto per la tratta degli esseri umani. Eppure questo fenomeno è in aumento e il lavoro forzato è diventato non solo una componente permanente di taluni segmenti del mercato del lavoro, ma anche un grosso mercato per la criminalità organizzata. La 103a sessione della Conferenza internazionale del lavoro, che si svolgerà a giugno del 2014, ha iscritto all'ordine del giorno un dibattito sul potenziamento della lotta al lavoro forzato. In effetti, da quando sono state adottate le prime convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) su questo tema — la numero 29 nel 1929 e la numero 105 nel 1957 -, il lavoro forzato ha cambiato natura: se un tempo a infliggerlo erano soprattutto gli Stati, oggi esso si concentra invece nell'economia privata e si diffonde per effetto della globalizzazione, delle migrazioni, dell'economia informale e della dimensione mondiale assunta dalle reti criminali. L'Unione europea ha adottato una direttiva contro la tratta degli esseri umani che tiene conto del lavoro forzato (1), e nel giugno prossimo gli Stati e le parti sociali dovrebbero adottare un nuovo strumento internazionale nel quadro dell'OIL. In questo contesto, il Comitato economico e sociale europeo intende formulare delle proposte alla luce dell'esperienza maturata dall'Europa sia all'interno che al di là delle sue frontiere, mettendo particolarmente l'accento sul ruolo che svolge, e che potrebbe ancor più svolgere, la società civile per una vera applicazione dei diritti fondamentali. L'Osservatorio del mercato del lavoro verrà incaricato di seguire l'andamento dell'applicazione sia della direttiva sulla tratta degli esseri umani che dei testi adottati dall'OIL per combattere il lavoro forzato.

1.1

Raccomandazioni

1.2

All'Unione europea:

adottare una posizione comune all'OIL affinché gli obiettivi della direttiva europea per la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime nonché la strategia per l'eradicazione della tratta degli esseri umani (2) (2012) siano integrati nel diritto internazionale del lavoro.

1.3

Agli Stati membri:

alla prossima Conferenza internazionale del lavoro, adottare un protocollo aggiuntivo alla convenzione 29, completato da una raccomandazione, che affronti la tratta degli esseri umani per sfruttamento di manodopera e colmi le lacune della convenzione negli ambiti della prevenzione, della protezione delle vittime, del loro indennizzo e della punizione dei trafficanti, riprendendo nel diritto internazionale le disposizioni già esistenti nel diritto europeo;

ratificare la convenzione 189 sul lavoro domestico;

rafforzare i mezzi a disposizione degli ispettorati del lavoro e la cooperazione tra loro a livello europeo;

rendere coerenti le politiche in materia di tratta di esseri umani e di immigrazione e vigilare sull'attuazione effettiva della direttiva 2011/36 sulla prevenzione della tratta degli esseri umani e la repressione di questo fenomeno nonché la protezione delle vittime (3);

affrontare il fenomeno alla radice riducendo la povertà e la vulnerabilità delle vittime e sensibilizzare l'opinione pubblica.

1.4

Alle imprese/datori di lavoro e agli investitori:

assicurarsi che la propria catena di approvvigionamento sia esente da lavoro forzato e che rispetti i diritti dell'uomo sia in Europa che nei paesi terzi, conformemente alle Linee guida dell'OCSE destinate alle imprese multinazionali e alla Dichiarazione tripartita di principi dell'OIL sulle imprese multinazionali e la politica sociale;

seguire i lavori e partecipare alla coalizione delle imprese contro la tratta degli esseri umani, che sarà presto lanciata dalla Commissione europea.

1.5

Alle organizzazione sindacali:

formare gli aderenti in modo che sappiano rapportarsi alle vittime e assisterle nelle loro pratiche, in primis in settori sensibili quali l'agricoltura, i cantieri edili, la ristorazione, il comparto alberghiero e il lavoro domestico; lavorare con le ONG specializzate nell'assistenza ai migranti sprovvisti di documenti, che devono essere considerati vittime e non delinquenti.

1.6

Alle associazioni:

le associazioni dei consumatori devono preoccuparsi dell'origine dei prodotti in commercio ed esigere la trasparenza dell'intera filiera produttiva.

Le associazioni che assistono gli immigrati clandestini, che organizzano i lavoratori domestici o che lottano per l'abolizione della prostituzione dovrebbero essere riconosciute e ascoltate in quanto partner nella lotta al lavoro forzato.

2.   Osservazioni generali

2.1   Che cos'è il lavoro forzato?

Ai sensi dell'art. 2 della Convenzione 29 dell'OIL, ratificata da 177 paesi, viene definito lavoro forzato «ogni lavoro o servizio estorto a una persona sotto minaccia di una punizione o per il quale detta persona non si sia offerta spontaneamente». In base a questa definizione sono da considerarsi lavoro forzato la detenzione in campi di lavoro, la servitù per debiti e la tratta degli esseri umani a fini di lavoro forzato (lavoratori che non percepiscono retribuzione, a cui vengono sottratti i documenti d'identità, ecc.). È difficile distinguere tra sfruttamento di manodopera e lavoro forzato. Secondo l'Ufficio internazionale del lavoro (UIL), il lavoro forzato viene generalmente identificato con un lavoro lungo e gravoso, svolto in condizioni molto dure e retribuito male o non retribuito affatto, senza il consenso dell'interessato e sotto minaccia di sanzioni, che possono consistere in violenze fisiche (percosse, tortura, sevizie sessuali) o psicologiche (sovraindebitamento, confisca dei documenti d'identità, minacce di denuncia ai servizi immigrazione o di rappresaglie sulla famiglia, ecc. (4)). Le catene degli schiavi di un tempo sono state sostituite oggi dalla paura e dalla coercizione economica.

Il lavoro forzato è anche considerato una forma di sfruttamento ai sensi della direttiva 2011/36 sulla tratta degli esseri umani.

2.2   Dove si svolge lavoro forzato?

Tra i settori più interessati figurano il lavoro domestico, l'agricoltura, l'edilizia e la produzione manifatturiera (tessile, giocattoli). Si tratta, nel settore privato, di un'attività fondamentalmente clandestina che però si introduce nell'economia legale per il tramite del subappalto e delle agenzie di reclutamento dei lavoratori, entrando così nella catena di approvvigionamento dei gruppi privati, compresi alcuni molto grandi. In questo caso, si tratta per lo più di lavoro svolto fuori dai confini dell'Unione europea, e la regione del mondo più colpita è quella asiatico-pacifica (56 %). L'Europa centrale e meridionale insieme ai paesi della Comunità degli Stati indipendenti costituiscono le regioni in cui la prevalenza del lavoro forzato raggiunge i livelli più elevati al mondo (4,2 su 1  000 abitanti). Tredici dei 19 paesi interessati sono situati alle porte dell'UE. Tuttavia, contrariamente a ciò che molti pensano, l'Unione europea e i paesi industrializzati non sono esenti da questo fenomeno (7 %) (5). Sono stati riscontrati casi di lavoro forzato in ambito domestico e agricolo in tutti i paesi dell'Unione europea. Adulti e bambini sono anche costretti a svolgere attività economiche illecite o informali, compreso l'accattonaggio. Le cifre del fenomeno vanno raffrontate con quelle relative alla corruzione nell'Unione europea, che rende la lotta al lavoro forzato più difficile.

2.3   Chi svolge lavoro forzato?

Sebbene non tutte le persone che svolgono lavoro forzato siano immigrati irregolari, questi ultimi sono senz'altro il gruppo più vulnerabile e costituiscono la maggioranza delle vittime di questo fenomeno. Intrappolate in un circolo vizioso, le vittime non osano rivolgersi alle autorità, temendo di essere rispedite nei paesi d'origine. Spesso i trafficanti stessi sono immigrati irregolari, che sfruttano i loro compatrioti. Le categorie più esposte al lavoro forzato sono le minoranze etniche o razziali, i migranti, i poveri e, tra queste categorie, le donne e i bambini. Le donne costituiscono la maggioranza delle vittime della tratta a fini di sfruttamento sessuale ma anche di lavoro domestico — lavoro che svolgono in condizioni di isolamento. Le vittime sono spesso persone fragili, non sindacalizzate, incapaci di difendersi e di proteggersi da sole. L'estensione dell'economia informale offre opportunità ai trafficanti. La debolezza degli ispettorati del lavoro e dei servizi di polizia non consente di contrastarne lo sviluppo.

La crisi economica che dal 2008 scuote l'Europa ha spinto molti lavoratori a cercare lavoro in paesi più ricchi lasciando i loro paesi, i quali, privati di queste qualifiche, si vedono costretti a fare appello a migranti venuti da paesi ancor più lontani, anch'essi alla ricerca di condizioni di vita migliori. Gli immigrati si scontrano con difficoltà che non avevano immaginato — senza documenti, con lavori precari, senza protezione sociale e nell'incapacità di tornare nel loro paese. Questa situazione, che rende molte famiglie vulnerabili, rappresenta il terreno in cui proliferano i trafficanti di esseri umani.

2.4   Il lavoro forzato in cifre

Secondo una recente stima dell'OIL, nel 2012 il lavoro forzato ha interessato 21 milioni di persone a livello mondiale, cifra costituita per il 58 % da donne e bambine. Un quarto delle vittime ha meno di 18 anni. Circa 19 milioni di persone vengono sfruttate da privati o imprese private e oltre due milioni da Stati o gruppi ribelli. Tra quelle sfruttate da privati o imprese, 4,5 milioni subiscono uno sfruttamento sessuale forzato. Sempre in base alle cifre dell'OIL, la durata media del lavoro forzato è pari a 18 mesi.

Contrariamente all'idea diffusa, dalle cifre di Eurostat sulla tratta degli esseri umani in Europa nel 2013 emerge che le vittime identificate dagli Stati membri erano in maggioranza cittadini dell'UE — 61 % negli anni 2008-2010. Ed erano in maggioranza cittadini dell'UE anche i trafficanti (67 % nel 2008, 76 % nel 2010) (6). Tuttavia, la percentuale delle vittime identificate o presunte in provenienza da paesi terzi è triplicata tra il 2008 e il 2010 passando da 12 % a 37 %, a conferma del fatto che la migrazione da tali paesi rimane un fattore di vulnerabilità. Nel 2010, i paesi che hanno comunicato i più alti numeri di vittime, identificate o presunte, della tratta sono Italia (2  381), Spagna (1  605), Romania (1  154) e Paesi Bassi (993), mentre quelli in cui tali numeri risultano più bassi sono Ungheria (10), Portogallo (8), Malta (4) e Lituania (3) (7).Negli Stati membri dell'UE, sul totale di persone interessate dal fenomeno stimato a 8 80  000, 2 70  000 (30 %) sono vittime di sfruttamento sessuale forzato e 6 10  000 (70 %) di lavoro forzato (8).

2.5   Come funziona la tratta degli esseri umani?

Esiste un forte legame, riconosciuto dai testi, tra la tratta degli esseri umani e il lavoro forzato (anche se le vittime del lavoro forzato non sono tutte vittime della tratta). La povertà e/o i conflitti armati, lo squilibrio di sviluppo tra regioni geograficamente vicine mettono in moto il processo di migrazione. I mezzi utilizzati dai trafficanti sono l'inganno, la minaccia, i debiti. Le vittime sono spesso reclutate, trasportate o alloggiate con la forza, la coazione o in modo fraudolento. I debiti vengono utilizzati e manipolati per assumere e mantenere il controllo su chi li contrae. I lavoratori migranti prendono spesso a prestito ingenti somme di denaro per pagare il trafficante per l'organizzazione del trasporto, l'acquisizione dei documenti di viaggio e le spese legate all'ottenimento di un lavoro. A prestare il denaro sono amici e parenti. L'aspirante immigrato parte dal presupposto che più tardi gli sarà possibile mantenere la famiglia e assicurarle un futuro. Per la maggior parte dei lavoratori migranti l'idea di tornare in patria senza poter onorare il debito contratto è inconcepibile, anche quando scoprono che il lavoro promesso non esiste e che saranno sfruttati per un tempo indeterminato. Le somme che devono pagare prima per il passaporto e il trasporto e poi per vitto e alloggio sono esorbitanti. In molti paesi i lavoratori migranti in situazione irregolare non hanno accesso alla giustizia (9).

2.6   Le conseguenze del lavoro forzato

Oltre a costituire una violazione dei diritti dell'uomo, il lavoro forzato penalizza imprese e lavoratori. Le imprese virtuose subiscono la concorrenza sleale di quelle che invece fanno ricorso a prodotti derivanti dal lavoro forzato; quanto ai lavoratori, l'esistenza del lavoro forzato fa diminuire le retribuzioni e peggiorare le condizioni di lavoro e incide negativamente sul finanziamento della solidarietà sociale.

2.7   Chi trae vantaggio dal lavoro forzato?

La tratta di esseri umani è estremamente lucrativa: quanti finanziano o impongono il lavoro forzato generano enormi profitti illegali. Nel 2005 gli utili ricavati annualmente su scala mondiale dallo sfruttamento del lavoro forzato venivano stimati a 44,3 miliardi di USD, di cui 31,6 miliardi provenienti dalla tratta di esseri umani. Di questi, 15,5 miliardi, ossia il 49 %, provenivano dalle economie industrializzate (10), tra cui l'Unione europea. Il traffico di esseri umani alimenta le reti criminali al pari del traffico d'armi e di stupefacenti.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Gli strumenti per contrastare il lavoro forzato

Il diritto a non subire lavoro forzato è, insieme alla libertà di associazione e di contrattazione, all'età lavorativa minima (divieto di lavoro minorile) e all'assenza di discriminazione lavorativa e professionale, uno dei diritti del lavoro fondamentali sanciti dall'ONU, dall'OIL, dall'OCSE e dall'Unione europea (Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, art. 5; Convenzione europea dei diritti dell'uomo, art. 4). Oltre alle convenzioni dell'OIL 29 e 105 ve ne sono altre che consentono di intervenire per contrastarlo, come quelle riguardanti il lavoro domestico (189), l'ispezione del lavoro (81 e 129), i lavoratori migranti (97 e 143) e le agenzie per l'impiego private (181).

Si tratta di un diritto fondamentale che come tale ha portata universale e che, in virtù della Dichiarazione dell'OIL sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro e i suoi seguiti, deve essere applicato anche negli Stati che non hanno ratificato le convenzioni fondamentali. In base ai Principi guida delle Nazioni unite su imprese e diritti umani, le imprese multinazionali, a prescindere dal ruolo dello Stato nei paesi in cui sono presenti, sono responsabili del rispetto dei diritti dell'uomo (11).

Il lavoro forzato è una delle forme di sfruttamento previste dalla direttiva europea 2011/36. La direttiva definisce come reati tutte le forme di sfruttamento e armonizza le sanzioni a carico degli sfruttatori e delle imprese che ricorrono al lavoro forzato. Contiene inoltre disposizioni in materia di prevenzione, tutela delle vittime e indennizzo.

Eppure, nonostante questi diritti siano sanciti da numerosi testi internazionali, il lavoro forzato non scompare. Le reti criminali si fanno gioco delle frontiere e approfittano delle falle esistenti tra i diversi sistemi.

Si rende necessario completare le convenzioni dell'OIL per rispondere alle forme attuali di lavoro forzato. Tali convenzioni non fanno riferimento né alla tratta degli esseri umani, né alla sua prevenzione, né alla protezione e all'indennizzo delle vittime.

3.2   Le lacune degli strumenti

Vi è un grande scarto tra la forza (si tratta di diritti fondamentali) e il numero di principi (OIL), regolamenti (ONU) e convenzioni (OIL) o discipline volontarie esistenti (linee guida dell'OCSE destinate alle imprese multinazionali (12), ISO 26000 (13), dichiarazione tripartita sulle imprese multinazionali e la politica sociale (14) dell'OIL, comunicazione di informazioni di carattere non finanziario) e la loro applicazione. I piani di lotta, anche quando esistono, spesso non sono dotati di bilanci sufficienti né soggetti a un monitoraggio e a una valutazione adeguati. Gli strumenti non sono coerenti tra loro: le politiche in materia di immigrazione, controllo delle frontiere e tutela dei diritti dell'uomo, ad esempio, sono spesso in contraddizione, mentre le politiche di cooperazione, che potrebbero fornire delle leve per la lotta alla tratta e al lavoro forzato, non affrontano questo aspetto.

La molteplicità di testi esistenti non rappresenta una garanzia di efficacia. A quelli delle istituzioni internazionali si aggiunge ora un'offerta di marchi, codici di condotta, certificazioni, ecc. da parte del settore privato. In Europa esistono 240 marchi, di cui molti autodefiniti che non prevedono alcun tipo di verifica. Alcune multinazionali, ad esempio, si impegnano, nei loro codici di condotta, a rispettare il diritto locale ovunque operino: un'affermazione discutibile in paesi che discriminano le donne e non proteggono le libertà sindacali. Taluni codici di condotta hanno la funzione di rassicurare i consumatori e gli investitori. Essi non prevedono alcun tipo di controllo o verifica e non affrontano realmente il lavoro forzato, in quanto questo consente di diminuire i costi e di incrementare i profitti.

3.3   Agire contro il lavoro forzato dentro e fuori del territorio dell'UE

3.3.1

Colmare le lacune dei testi attuali. All'OIL, gli Stati europei dovrebbero parlare con una sola voce a favore dell'adozione di un protocollo aggiuntivo alla convenzione 29 e di una raccomandazione per rafforzare la prevenzione, il controllo, la protezione delle vittime e il loro indennizzo.

Sul territorio dell'Unione europea

L'Unione europea ha adottato una direttiva sulla repressione della tratta di esseri umani (2011/36/UE) e una strategia (parere del CESE SOC/467). La strategia europea contro la tratta degli esseri umani dedica una speciale attenzione allo sfruttamento di manodopera in quanto forma poco studiata e prevede una serie di azioni che coinvolgono gli ispettori del lavoro e le autorità competenti nonché la Commissione europea. Si tratta però di testi recenti, che non hanno ancora prodotto gli effetti attesi. Inoltre, quando la crisi economica si traduce nella riduzione dei mezzi a disposizione della polizia e degli ispettorati del lavoro e nella diffusione dell'economia informale, vi sono più probabilità che, con la povertà e la precarietà, aumenti anche il lavoro forzato. La prevenzione si fa senz'altro attraverso la sensibilizzazione, l'istruzione e l'informazione ma anche lottando contro l'economia informale e la povertà, prestando particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili, tra cui gli immigrati che non parlano la lingua del paese d'accoglienza.

Gli ispettorati del lavoro devono disporre di mezzi di controllo sufficienti. Occorre inoltre rafforzare la cooperazione europea creando un'agenzia per le questioni transfrontaliere, ampliando il mandato della piattaforma di cooperazione tra gli ispettorati del lavoro includendovi anche il lavoro forzato, e coordinare gli altri organismi competenti (amministrazione fiscale) per il contrasto del lavoro non dichiarato.

Gli ispettori del lavoro, gli assistenti sociali e i sindacalisti dovrebbero disporre di indicatori (il lavoratore è in possesso di passaporto? Può circolare liberamente? Viene retribuito?) per individuare il lavoro forzato e fare appello ai servizi di polizia (15).

Le agenzie di ricerca e collocamento di personale che reclutano in altri Stati membri e oltre i confini dell'Unione (per i settori dell'edilizia, dell'agricoltura, dei rifiuti e della pulizia) devono essere controllate e sorvegliate per evitare le pratiche fraudolente. La strategia europea contro la tratta degli esseri umani prevede che la Commissione europea collabori con l'agenzia europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) all'elaborazione di un manuale di buone pratiche per le autorità pubbliche in materia di vigilanza delle agenzie di ricerca e collocamento di personale, nonché delle agenzie di lavoro temporaneo, al fine di prevenire la tratta di esseri umani. Nel manuale dovrebbero essere inclusi anche sistemi di licenze nonché di attuazione della responsabilità di tali agenzie.

Bisogna proteggere le vittime, garantire i loro diritti, fare in modo che possano recuperare quanto loro dovuto (retribuzioni arretrate, protezione sociale) e ricevere indennizzi proporzionati ai danni subiti. Esse non dovrebbero essere perseguite né per il reato di immigrazione illegale, né per il possesso di falsi documenti d'identità né per i reati commessi coattivamente (16). Sono i trafficanti i criminali che devono essere perseguiti. La confisca dei beni dei trafficanti dovrebbe permettere di indennizzare le vittime.

Le vittime devono poter intentare azione legale e, a questo fine, essere autorizzate a rimanere nel territorio dell'Unione per la durata dell'azione, anche qualora vi siano entrate illegalmente. I permessi di soggiorno non dovrebbero dipendere dalla volontà delle vittime di cooperare con la polizia e la giustizia: molte di esse infatti hanno subito traumi e spesso hanno avuto esperienze estremamente negative con la polizia. Possono temere che, se testimoniano contro i loro sfruttatori, le loro famiglie subiscano rappresaglie nei paesi d'origine. La direttiva 2011/36 prevede un certo numero di obblighi, per gli Stati membri, in materia di assistenza e protezione delle vittime. L'attuazione di tali misure deve essere quanto più efficace possibile per ottenere una tutela adeguata delle vittime, anche quelle più vulnerabili.

3.3.2

Fuori dall'Unione europea: bisogna tenere meglio conto del fatto che, con la globalizzazione, sono apparsi nuovi attori, ONG e multinazionali. Le regole dell'OMC non inglobano in modo sufficientemente esplicito le convenzioni dell'OIL. Bisognerebbe che un osservatore dell'OIL partecipasse ai lavori dell'OMC. Occorre inoltre rafforzare l'attuazione delle conclusioni e delle raccomandazioni previste dai meccanismi di controllo dell'OIL sulla legislazione e sulla prassi degli Stati aderenti. Queste raccomandazioni rimangono spesso lettera morta in mancanza della necessaria volontà politica e/o di risorse finanziarie e capacità amministrative adeguate per applicarle.

3.3.3

L'Unione europea sta preparando una direttiva sulla responsabilità sociale delle imprese (RSI) (17) che prevede l'obbligo per le imprese con oltre 500 dipendenti di inserire nella loro relazione d'attività una dichiarazione non finanziaria sull'impatto delle loro attività relative alle questioni ambientali, sociali e del personale, tra cui il rispetto dei diritti dell'uomo e la lotta alla corruzione. Tale direttiva è in linea con le norme dell'OIL (parere CESE INT/698).

3.3.4

La politica in materia di sviluppo e di aiuto ai paesi terzi potrebbe fornire una leva, se gli aiuti fossero condizionati al rispetto dei diritti fondamentali, sia da parte degli Stati che di altri attori, in particolare le imprese multinazionali che sfruttano le risorse dei paesi cui vengono concessi gli aiuti. Inoltre, l'assistenza allo sviluppo dovrebbe comprendere anche progetti relativi al miglioramento della capacità amministrativa che prevedano una formazione adeguata degli ispettori del lavoro e delle parti sociali sull'attuazione delle convenzioni dell'OIL. La politica commerciale e la politica a favore dello sviluppo dovrebbero sostenersi a vicenda per una migliore applicazione dei diritti dell'uomo. La ratifica e l'attuazione effettiva delle convenzioni dell'OIL sul lavoro forzato (29 e 105) e le altre convenzioni fondamentali dell'OIL dovrebbero figurare negli accordi commerciali, di cooperazione e di associazione tra l'UE e i paesi terzi ed essere oggetto di un monitoraggio regolare che coinvolga anche le organizzazioni della società civile tramite organismi di monitoraggio dedicati all'attuazione degli accordi commerciali e del capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile in essi previsto.

3.3.5

Contare sulla società civile

3.3.5.1

Accrescere il ruolo delle imprese per quanto riguarda il rispetto e la promozione dei diritti dell'uomo, come raccomandato dall'OCSE nelle linee guida destinate alle imprese multinazionali (18). È quanto propone anche la relazione Ruggie (ONU) (19), che esorta a coinvolgere governi, imprese, società civile e investitori. In tale relazione viene raccomandato alle imprese di effettuare analisi dei rischi (due diligence). Le imprese devono premunirsi contro le violazioni dei diritti fondamentali e in questo modo diventare attori nella lotta a tali violazioni. Bisogna responsabilizzare le imprese multinazionali e gli investitori, sia perché è nel loro interesse combattere questi fenomeni, sia perché in questo modo sarà possibile perseguirli, quando non praticano la necessaria vigilanza. Anche le imprese devono rispondere dell'applicazione delle norme dell'OIL. L'esattezza delle loro dichiarazioni dovrebbe essere controllata da agenzie di rating non finanziario indipendenti.

3.3.5.2

Molte multinazionali sono europee e sono all'avanguardia nel campo degli accordi quadro internazionali con le federazioni sindacali internazionali, nella fattispecie per quanto riguarda la RSI, compresa la lotta al lavoro forzato. La nuova strategia (20) dell'UE in materia di RSI per il periodo 2011-2014 prevede che le imprese europee si assumano la loro responsabilità in fatto di rispetto dei diritti dell'uomo (21).

3.3.5.3

Anche gli investitori rappresentano una leva: numerosi investitori hanno aderito ai PRI (22), i principi per gli investimenti responsabili dell'ONU. Oggi gli investimenti socialmente responsabili rappresentano il 22 % del totale, e il 49 % di quelli europei.

3.3.5.4

Le imprese possono agire attraverso politiche di acquisti responsabili. Altrettanto possono fare le amministrazioni e gli enti locali, assicurandosi negli appalti pubblici che le imprese con cui lavorano abbiano provveduto a eliminare il lavoro forzato dalla loro catena di approvvigionamento.

3.3.5.5

Le ONG europee sono all'avanguardia per quanto riguarda il diritto dei consumatori di sapere dove e in che condizioni sono prodotti abbigliamento e calzature (23), oppure i prodotti alimentari provenienti dai paesi terzi. Esigere più trasparenza e rintracciabilità per tutti gli elementi che compongono un prodotto o servizio dovrebbe permettere di eliminare il lavoro forzato.

3.3.5.6

Numerose organizzazioni sindacali hanno esperienze da condividere: messa a punto di formazioni che forniscono indicazioni su come avvicinare le persone che svolgono lavoro forzato, metodi di lavoro con le ONG specializzate nell'assistenza agli immigrati clandestini. Non tutti, però, sono consapevoli globalmente dell'entità del problema: molti pensano che non riguardi il loro paese o di non poter farci nulla. Gli Stati potrebbero aiutare le organizzazioni sindacali a organizzare i lavoratori del settore informale.

Le organizzazioni sindacali dei paesi committenti dovrebbero sostenere la sindacalizzazione dei lavoratori dei paesi loro fornitori, e la rivendicazione, da parte dei lavoratori dei paesi terzi, di salari e orari di lavoro dignitosi.

I comitati europei per il dialogo sociale settoriale sono uno degli strumenti per sensibilizzare e agire contro il lavoro forzato.

Bruxelles, 30 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  2011/36/EU http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:101:0001:0011:IT:PDF.

(2)  http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52012DC0286:IT:NOT.

(3)  GU L 101 del 15.4.2011, pag. 1.

(4)  L'OIL e la Commissione europea hanno chiesto a un gruppo di esperti di sviluppare degli indicatori operativi che consentano di individuare la tratta di esseri umani. Una pagina del documento a cui rimanda il seguente link è dedicata specificamente allo sfruttamento di manodopera: http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---ed_norm/---declaration/documents/publication/wcms_105023.pdf.

(5)  http://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/glotip/Trafficking_in_Persons_2012_web.pdf.

(6)  Eurostat (2013), Trafficking in Human Beings (Tratta di esseri umani) http://ec.europa.eu/anti-trafficking/EU+Policy/Report_DGHome_Eurostat.

(7)  Va sottolineato che le cifre di Eurostat per il 2013 si basano esclusivamente sui numeri comunicati dagli Stati membri dell'UE e non comprendono le vittime di tratta non identificate. Non tutti gli Stati membri hanno fornito dati. Inoltre, le metodologie utilizzate dalle autorità dei singoli paesi sono molto diverse fra loro. Può quindi essere fuorviante mettere a diretto confronto paesi diversi.

(8)  UIL (2012), Global Estimate on Forced Labour. Results and Methodology (Stima globale del lavoro forzato. Risultati e metodologia), Ginevra, 2012. I dati dell'UIL si riferiscono al numero stimato (anziché riferito) di persone in situazioni di lavoro forzato. Si tratta di stime minime, in quanto sono stati applicati criteri molto severi per la convalida e l'estrapolazione dei dati. Le stime sono suddivise per regione. Non è invece disponibile una suddivisione per paese in quanto pochissimi paesi hanno cercato di elaborare stime nazionali.

http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---ed_norm/---declaration/documents/publication/wcms_182004.pdf.

(9)  Ad esempio, a un datore di lavoro irlandese è stata inflitta un'ammenda di 90  000 EUR per la mancata retribuzione di un lavoratore, sottoposto a lavoro forzato. Il datore di lavoro ha fatto ricorso contro il provvedimento sostenendo che il lavoratore non aveva diritto a indennizzo in quanto era in situazione irregolare, e ha vinto il ricorso (http://www.mrci.ie/resources/publications/mrciupdates/the-fight-for-justice-muhammads-story-part-ii/).

(10)  Patrick Belser, Forced Labor and Human Trafficking: Estimating the Profits (Lavoro forzato e tratta degli esseri umani: stima dei profitti), documento di lavoro, Ginevra, Ufficio internazionale del lavoro, 2005. http://www.ilo.org/sapfl/Informationresources/ILOPublications/WCMS_081971/lang--en/index.htm.

(11)  Nazioni unite, (2011) Report of the Special Representative of the Secretary- General on the Issue of Human Rights and Transnational Corporations and Other Business Enterprises (Relazione del rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani e le società transnazionali e altre imprese commerciali), John Ruggie, UN GA A/HRC/17/31 http://www.ohchr.org/documents/issues/business/A.HRC.17.31.pdf.

(12)  OCSE (2011) Linee guida destinate alle imprese multinazionali http://www.oecd.org/fr/daf/inv/mne/principesdirecteursdelocdealintentiondesentreprisesmultinationales.htm.

(13)  ISO 26000 — Responsabilità sociale http://www.iso.org/iso/fr/home/standards/iso26000.htm.

(14)  OIL (2006), Dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale, 4a edizione

http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---europe/---ro-geneva/---ilo-rome/documents/publication/wcms_152553.pdf.

(15)  http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---ed_norm/---declaration/documents/publication/wcms_105023.pdf.

(16)  OSCE, orientamenti in materia di non sanzione, 2013 http://www.osce.org/cthb/101083.

(17)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune società e di taluni gruppi di grandi dimensioni — COM(2013) 207 final — 2013/0110 (COD).

(18)  http://www.oecd.org/daf/inv/mne/oecdguidelinesformultinationalenterprises.htm.

(19)  http://www.ohchr.org/documents/issues/business/A.HRC.17.31.pdf.

(20)  http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2011:0681:FIN:it:PDF.

(21)  UE (2011), Strategia rinnovata dell'UE per il periodo 2011-14 in materia di responsabilità sociale delle imprese

COM(2011) 681 final. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2011:0681:FIN:it:PDF.

(22)  Sito web sui principi dell'ONU per gli investimenti responsabili: http://www.unpri.org/ (in inglese).

(23)  Sito della campagna Clean Clothes (Abiti puliti): http://www.cleanclothes.org/ (in inglese).


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Protezione dei consumatori e gestione corretta dell'indebitamento eccessivo per prevenire l'esclusione sociale» (parere esplorativo)

2014/C 311/06

Relatrice generale: MADER

Con lettera datata 6 dicembre 2013 e in conformità dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, Theodoros SOTIROPOULOS, rappresentante permanente della Grecia presso l'Unione europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, a nome della futura presidenza greca, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Protezione dei consumatori e gestione corretta dell'indebitamento eccessivo per prevenire l'esclusione sociale.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 498a sessione plenaria dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 29 aprile), ha nominato relatrice generale Reine-Claude MADER e ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 12 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) rivolge un'attenzione tutta particolare al problema dell'indebitamento eccessivo, che si è aggravato con la crisi finanziaria, l'aumento del costo della vita e il ricorso al credito allo scoperto e/o ai prestiti a brevissimo termine (in francese ricompresi nei termini crédits de trésorerie). Il Comitato ha già avuto modo di sottolineare, in una serie di precedenti pareri, la necessità di adottare delle misure a livello europeo in questo ambito.

1.2

Rileva che, malgrado le cause del fenomeno siano state individuate, non esiste nessuna definizione armonizzata del concetto di «indebitamento eccessivo», né sono disponibili strumenti che consentano di avere una visione precisa della situazione negli Stati membri. Chiede pertanto che venga adottata una definizione comune.

1.3

Tale definizione dovrebbe tener conto degli elementi seguenti: (i) la famiglia quale unità di misura pertinente per quantificare l'indebitamento eccessivo; (ii) obblighi finanziari assunti; (iii) obblighi informali assunti in seno alla famiglia o alla comunità; (iv) incapacità di pagamento; (v) indebitamento eccessivo strutturale; (vi) tenore di vita dignitoso e (vii) insolvenza.

1.4

Il CESE insiste affinché la protezione dei consumatori sia effettivamente integrata in tutte le misure adottate per realizzare il mercato interno.

1.5

La gestione dell'indebitamento eccessivo deve avvenire mediante l'educazione, la prevenzione e una serie di procedure adeguate che devono consentire il reinserimento della persona sovraindebitata in una vita economica normale.

1.6

A tale scopo, è indispensabile sia disporre di un quadro complessivo della problematica dell'indebitamento eccessivo delle famiglie sia attuare misure efficaci.

1.7

L'educazione finanziaria va insegnata prima di tutto nelle scuole, ma deve anche essere disponibile in qualsiasi momento e per ogni tipo di pubblico. Il CESE sostiene pertanto l'organizzazione di campagne d'informazione, cui devono partecipare tutti i soggetti interessati al fine di assicurare la complementarità delle esperienze.

Mette inoltre l'accento sul ruolo indispensabile che svolgono le associazioni dei consumatori e delle famiglie nel diffondere informazioni e nel fornire assistenza a chiunque lo desideri.

1.8

Alcuni paesi dell'UE hanno introdotto meccanismi di prevenzione e di gestione dei casi di indebitamento eccessivo; tuttavia tali dispositivi sono assai disparati.

Il CESE ritiene che debba essere adottata in tutti gli Stati membri una procedura adeguata e uniforme, basata sull'articolo 38 della Carta dei diritti fondamentali nonché sull'articolo 114 oppure 81 del TFUE e orientata ad una serie di principi generali proposti dalla Commissione europea in una direttiva. Questo sarà la dimostrazione concreta della volontà del Parlamento di risolvere i problemi dei cittadini europei.

1.9

Questi principi devono riguardare la rapidità e gratuità della procedura, la sospensione di eventuali procedimenti se è stata avviata una procedura per contenere l'indebitamento eccessivo, la verifica dei crediti, la tutela dell'abitazione principale, la parità di trattamento dei creditori ordinari, la possibilità di cancellare i debiti nei casi di indebitamento più gravi e, infine, l'obbligo di lasciare alla persona sovraindebitata un reddito sufficiente a far fronte adeguatamente alle esigenze della vita quotidiana, dal momento che l'obiettivo perseguito è il rapido reinserimento del consumatore nella vita economica e sociale.

1.10

Il CESE rammenta inoltre l'importanza dell'inclusione bancaria, che va salvaguardata per le persone in situazione di indebitamento eccessivo per evitare loro qualsiasi forma di esclusione sociale.

1.11

La lotta all'indebitamento eccessivo presuppone anche l'esistenza di un quadro europeo in materia di usura.

1.12

Malgrado ciò, ridurre il numero di casi di indebitamento eccessivo non può essere soltanto il risultato dell'introduzione di un dispositivo finalizzato alla loro gestione, ma occorre anche adottare una serie di misure complementari per lo sviluppo dell'educazione domestica e finanziaria, il che comporta lo stanziamento di fondi per questo obiettivo.

1.13

Infine, il Comitato sottolinea che senza il rispetto dei testi non è possibile tenere sotto controllo l'indebitamento. Per quanto riguarda questo aspetto, rammenta che è favorevole al concetto di «credito responsabile», che implica pratiche leali ed etiche da parte tanto dei soggetti erogatori di credito quanto di chi sottoscrive un prestito.

2.   Introduzione

2.1

Nella comunicazione del 2013 sul Pacchetto investimenti sociali  (1) la Commissione ha constatato un forte aumento del numero di espulsioni e di senzatetto dall'inizio della crisi, e ha osservato che l'indebitamento eccessivo è una delle cause all'origine di questo stato di cose.

2.2

All'inizio degli anni '80 il fenomeno dell'indebitamento eccessivo si è accentuato, allargandosi ad un numero sempre maggiore di persone appartenenti a tutte le categorie socioprofessionali.

2.3

Non è più possibile considerare i casi di indebitamento eccessivo come il problema di singoli individui dominati dalle loro «pulsioni e passioni»: essi sono oggi l'espressione di una crisi sociale e persino socioculturale.

2.4

Nel 2013 la Banca centrale europea rilevava che oltre metà della popolazione dell'area dell'euro aveva contratto debiti con istituti finanziari (2).

2.5

Da tale indagine emerge che l'indebitamento eccessivo è in genere il risultato di una diminuzione imprevista del reddito, dovuta per lo più alla perdita del posto di lavoro, a una malattia, a una separazione/divorzio o persino a consumi eccessivi (3).

2.6

Dopo la Danimarca, che nel 1984 si è dotata di un dispositivo completo di gestione dell'indebitamento eccessivo dei privati, la Francia è stato il secondo paese UE ad adottare misure analoghe con la legge del 31 dicembre 1989 sulla prevenzione e la gestione delle difficoltà legate all'indebitamento eccessivo dei privati e delle famiglie (4).

2.7

Il fenomeno dell'indebitamento eccessivo, che, seppure a livelli diversi, interessa tutti gli Stati membri, si è aggravato con la crisi finanziaria che ha destabilizzato le economie di un gran numero di paesi. Trovare un rimedio a questo fenomeno è più che mai importante considerando che tutti i soggetti economici ne subiscono le conseguenze finanziarie: in effetti le imprese, e in particolar modo le PMI, si trovano anch'esse in una posizione fragile a causa dei pagamenti non effettuati da alcuni dei loro clienti in stato di insolvenza.

2.8

Oggi il problema è più preoccupante, perché riguarda lavoratori poveri o disoccupati che hanno accumulato arretrati di pagamento delle bollette di servizi essenziali — energia, acqua, assicurazioni o telefonia — e dell'affitto; oppure colpisce, spesso in seguito a qualche incidente di percorso, appartenenti alla classe media, ma anche pensionati la cui pensione è stata ridotta dalle politiche di austerità o che danno un sostegno finanziario ai loro cari (5). Le cause dell'indebitamento eccessivo sono note: disoccupazione, posti di lavoro precari, determinati contesti familiari. È noto anche che le famiglie monoparentali sono quelle più interessate dal fenomeno. Talvolta l'indebitamento eccessivo può essere dovuto a un incidente di percorso, un divorzio, una separazione, un decesso, una malattia o un handicap le cui cure risultano onerose. In alcuni Stati membri, un altro fattore da considerare è il costo esorbitante dell'iscrizione all'università, che svolge un ruolo importante nell'indebitamento eccessivo dei giovani.

2.9

Il recente incremento dell'indebitamento eccessivo interessa un'altra categoria sociologica: gli appartenenti alla classe media che hanno perso il posto di lavoro e si trovano a dover far fronte a gravosi oneri ipotecari sulla loro abitazione, senza prospettive di ritrovare un lavoro a breve termine.

2.10

Tra le diverse categorie di persone interessate, come pure all'interno di ciascuna categoria, si osserva quindi una notevole eterogeneità per quanto concerne sia le cause dell'indebitamento eccessivo sia le conseguenze del fenomeno.

2.11

Il rischio di indebitamento eccessivo è accentuato dall'asimmetria tra l'andamento dei redditi e quello del costo della vita, che è legato all'evoluzione degli stili di vita, alle politiche nazionali di austerità e all'aumento delle spese necessarie per la vita quotidiana quali quelle per l'energia, l'alloggio, le comunicazioni elettroniche e telefoniche, i trasporti e gli oneri finanziari.

2.12

In una società opulenta molto spesso all'origine di un indebitamento eccessivo vi è un ricorso al credito, incentivato da campagne pubblicitarie aggressive e ingannevoli, destinato a compensare un reddito insufficiente o all'acquisto di beni e servizi. A questo proposito si deve osservare che le categorie sociali fragili sono «male indebitate», poiché non hanno accesso a tutte le forme di credito a causa del loro insufficiente merito creditizio. Queste persone si orientano verso le forme di credito che risultano più onerose, come ad esempio i crediti allo scoperto o i prestiti a brevissimo termine (in francese ricompresi nei termini crédits de trésorerie), spesso funzionanti con carte, distribuite attraverso vari canali, a tassi d'interesse molto elevati.

2.13

Sovente questo tipo di carta di credito viene pubblicizzata con materiale, inviato per posta al domicilio del potenziale cliente, contenente frasi quali «rallegramenti, avete vinto un credito gratuito con rimborso a costo zero», in violazione delle regole sull'informazione e la protezione del consumatore. Il CESE chiede di disciplinare rigorosamente la durata e il massimale di utilizzo di queste carte (6).

2.14

Un'attenzione particolare va rivolta anche alla questione dei tassi del credito immobiliare o del credito al consumo. Determinati prestiti vengono accordati a tassi variabili senza fissare un limite alla loro variazione, di modo che tali tassi possono variare anche di molto in funzione dell'andamento del mercato.

2.15

Talvolta, con il pretesto di restituire la solvibilità alle famiglie, vengono anche accordati prestiti a tassi crescenti che presuppongono un incremento del reddito; con l'insorgere della crisi, però, il reddito di chi ha sottoscritto il prestito non è aumentato per via del tetto massimo agli stipendi applicato in alcuni paesi, se non addirittura perché tale reddito è venuto meno.

2.16

Inoltre, in assenza di un'armonizzazione a livello europeo, in alcuni paesi UE non esistono normative sull'usura.

2.17

Talune famiglie sovraindebitate che devono far fronte ad arretrati dei pagamenti o del rimborso dei prestiti contratti presentano un rischio più elevato di esclusione sociale, minacciate come sono di vedersi private dei servizi di base o di venire sfrattate, per non parlare dei problemi di accesso all'assistenza sanitaria che questa loro situazione di fragilità comporta. Ad esempio, nel 2012 più di 75  000 spagnoli eccessivamente indebitati sono stati sfrattati, il 16,7 % in più rispetto al 2011 (7).

2.18

Oggi si è grosso modo d'accordo sulle principali cause dell'indebitamento eccessivo, benché esse non siano esattamente le stesse in tutti i paesi dell'UE. Resta il fatto, già sottolineato dal Comitato in precedenti pareri, che mancano tuttora i mezzi per delineare un quadro sufficientemente preciso della situazione a livello europeo (8). Non disponiamo infatti di un censimento in materia realizzato su scala europea, e del resto il ricorso a un simile strumento presupporrebbe che ci si fosse accordati in precedenza su una definizione di «indebitamento eccessivo» nonché sui criteri e i metodi di valutazione del fenomeno.

2.19

Il Comitato ha già constatato tali lacune e sollecita l'elaborazione di un Libro verde che proponga delle soluzioni operative, come pure l'avvio di una consultazione online.

2.20

A questo proposito, il CESE auspica che venga elaborata a livello europeo una definizione operativa comune dell'indebitamento eccessivo, basata sull'impossibilità per il consumatore di far fronte all'insieme dei propri debiti, di qualsiasi tipo, e dei propri obblighi. In mancanza di una tale definizione, capace di valutare con precisione un fenomeno così multiforme, l'azione dei poteri pubblici rischia infatti di essere vanificata.

2.21

Il Comitato è favorevole all'istituzione di un Osservatorio europeo dell'indebitamento eccessivo che serva di complemento a pratiche di provata efficacia già in uso nei singoli paesi, senza che ciò comporti costi di bilancio supplementari.

2.22

Infine, il CESE ritiene che la gestione dell'indebitamento eccessivo debba avvenire a monte tramite l'educazione finanziaria, strumento indispensabile per lo sviluppo di un consumo responsabile e controllato.

3.   Per una definizione operativa comune dell'indebitamento eccessivo a livello europeo

3.1

Secondo uno studio, pubblicato nel febbraio 2008 (9), che offre una panoramica generale delle definizioni e delle misure adottate per la gestione dell'indebitamento eccessivo in 18 Stati membri e un paese membro dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA) (10), non disponiamo ancora di una definizione univoca e consensuale di indebitamento eccessivo, poiché tale concetto è diverso da paese a paese.

3.2

Un'analisi statistica del 2013 commissionata dalla direzione generale Salute e consumatori (DG SANCO) della Commissione europea (11) ha difatti evidenziato come l'indebitamento eccessivo sia un fenomeno complesso, multiforme e in divenire.

3.3

Come parimenti messo in luce dal Consiglio d'Europa (12), l'indebitamento eccessivo può includere anche problemi legati al pagamento delle rate del credito, oltre che le difficoltà della vita di ogni giorno nel pagare fatture e bollette.

3.4

Da questi diversi studi e pubblicazioni emerge che, nella maggior parte dei casi, l'unità di misura è la famiglia. Quasi il 50 % delle definizioni elaborate a livello nazionale fa riferimento alla durata dell'indebitamento o al suo carattere strutturale, e la maggioranza di esse adotta come criterio la capacità di far fronte agli obblighi assunti.

3.5

Emergono quindi alcuni elementi comuni su cui poggiano le diverse definizioni e che possono servire a formare una base comune.

3.6

A giudizio del CESE, per elaborare una definizione operativa comune dell'indebitamento eccessivo occorre prendere in considerazione gli elementi descritti di seguito:

la famiglia, in quanto unità di misura pertinente per quantificare l'indebitamento eccessivo (13);

gli obblighi finanziari assunti, comprendenti il mutuo acceso per l'abitazione, il credito al consumo, le bollette telefoniche e per le comunicazioni digitali, quelle per i servizi di base (acqua, riscaldamento, elettricità, assistenza sanitaria, ecc.), l'affitto, le spese correnti (alimentazione, trasporti, istruzione, ecc.);

gli obblighi informali assunti in seno alla famiglia o alla comunità. Il CESE insiste perché venga preso in considerazione anche questo criterio, poiché il dato relativo a questi obblighi informali assume un rilievo crescente per quanto riguarda il fenomeno dell'indebitamento eccessivo;

l'incapacità di pagamento. La famiglia sovraindebitata è incapace di far fronte sia alle spese correnti che agli oneri legati agli obblighi da essa assunti, compresi quelli informali;

l'indebitamento eccessivo strutturale. Si tratta di un criterio temporale, destinato a tener conto di difficoltà finanziarie persistenti e continuate;

il tenore di vita dignitoso. La famiglia deve essere in grado di far fronte agli obblighi finanziari e agli obblighi informali assunti senza ridurre le spese minime essenziali al mantenimento del proprio tenore di vita;

l'insolvenza. La famiglia è incapace di rimediare alla propria situazione finanziaria mobilitando i propri attivi sia finanziari che non finanziari.

4.   Prevenire l'indebitamento eccessivo

4.1   Educazione finanziaria e consumo responsabile

4.1.1

Ridurre il numero di casi di indebitamento eccessivo non può essere soltanto il risultato dell'introduzione di uno strumento legislativo, ma è invece indispensabile adottare un approccio globale. Occorre mettere in campo misure di prevenzione che impediscano per quanto possibile le situazioni di indebitamento eccessivo.

4.1.2

La necessità di un'educazione finanziaria è un tema ricorrente nel dibattito sui servizi finanziari al quale però non vengono assegnate risorse adeguate. Per rendersene conto, basta mettere a confronto le somme destinate alla pubblicità e quelle attribuite all'educazione finanziaria.

4.1.3

Tra le misure raccomandate, il CESE ha già messo l'accento sulla necessità che il cittadino sviluppi la cultura di un consumo responsabile (14), e reputa indispensabile l'educazione finanziaria, dal momento che questa aiuta a gestire correttamente le proprie finanze individuali e contribuisce a prevenire l'indebitamento eccessivo.

4.1.4

Il CESE osserva che l'educazione alla prevenzione non è assicurata da un prestatore unico in nessuno dei 18 Stati membri citati sopra. Auspica pertanto che l'UE istituisca un sistema educativo che sia all'altezza dell'obiettivo che si intende perseguire.

4.1.5

Il Comitato chiede che l'educazione finanziaria diventi materia di insegnamento nei programmi scolastici, sottolineando altresì come tale formazione debba essere adattata in funzione dell'età e delle conoscenze dei discenti, in modo che possa corrispondere alle loro esigenze.

4.1.6

La Commissione dovrebbe anche incoraggiare gli Stati membri a istituire dei programmi di educazione finanziaria a livello nazionale, impartiti da insegnanti o realizzati nel quadro di partenariati pubblico-privati, e dovrebbe inoltre pubblicizzare maggiormente gli strumenti disponibili a livello europeo.

4.1.7

A giudizio del CESE, dato che l'educazione deve poter raggiungere tutti i tipi di pubblico, le campagne d'informazione e di divulgazione sui temi finanziari vanno rafforzate, affidandone magari l'organizzazione ai vari soggetti socioeconomici, ai poteri pubblici, a ONG e ad associazioni di categoria o dei consumatori. L'obiettivo è in effetti quello di assicurare che le diverse fonti d'informazione siano tra loro complementari, tenendo sempre presente l'interesse generale. Del resto in alcuni paesi la necessità di diffondere queste informazioni è ormai assodata, tanto che i governi hanno adottato programmi pertinenti accessibili a tutti i cittadini.

4.1.8

Il CESE ritiene altresì importante che chiunque lo desideri possa avere facilmente accesso, lungo tutto l'arco della vita, a informazioni, consulenza, assistenza nella gestione delle finanze personali o nella risoluzione di eventuali difficoltà con il proprio istituto di credito, nonché con fornitori di servizi o amministrazioni. Reputa quindi che sia opportuno sostenere e valorizzare il lavoro che svolgono già oggi le associazioni dei consumatori, vicine ai cittadini, le quali danno il loro apporto vuoi con l'organizzazione di riunioni d'informazione vuoi accompagnando e assistendo gratuitamente le persone interessate.

4.1.9

Va detto, infine, che non è possibile tenere sotto controllo l'indebitamento senza rispettare sia lo spirito che la lettera dei testi sul credito al consumo, il credito immobiliare e le pratiche commerciali sleali (clausole abusive, pubblicità ingannevole, tecniche aggressive di promozione commerciale diretta) (15).

4.2   Prevenire l'indebitamento eccessivo incentivando il prestito responsabile e sanzioni dissuasive in caso di violazione degli obblighi d'informazione da parte degli operatori professionali

4.2.1

Gli operatori professionali devono dar prova di un comportamento responsabile fin dal momento in cui presentano le loro offerte o pubblicizzano i loro prodotti, come pure nei consigli e spiegazioni prodigati al consumatore al momento in cui questi sottoscrive un prestito. Per far ciò è necessario adottare un approccio personalizzato che, purtroppo, non costituisce la norma nell'attuale pratica commerciale, nonostante le leggi e i codici di condotta in vigore nella maggior parte dei paesi. La trasparenza sui prodotti (specie quando si tratta di prestiti in valuta straniera) e sui rischi connessi sia per le persone che si rendono garanti sia per i coniugi indirettamente impegnati, nonché la leggibilità delle informazioni, devono essere sempre garantite, a prescindere dal supporto o dai canali utilizzati per fornirle.

4.2.2

Il CESE è favorevole al concetto di «credito responsabile», dal momento che esso chiama in causa entrambe le parti contraenti (16). Il monitoraggio della concessione di crediti mediante la loro iscrizione in un registro persegue lo stesso obiettivo.

4.2.3

In tale contesto sensibile, il CESE è dell'avviso che si debba riservare una particolare attenzione al trattamento dei dati personali.

4.3   Prevenire l'indebitamento eccessivo regolamentando il credito e in particolare il settore creditizio

4.3.1

La direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori (17) stabilisce che gli Stati membri obblighino i soggetti erogatori del prestito o gli intermediari del credito a informare con chiarezza il consumatore nelle loro pubblicità, fornendo loro degli elementi utili per il confronto tra varie offerte, ed elenca inoltre i principali dati finanziari da inserire obbligatoriamente nel contratto.

4.3.2

Le disposizioni della direttiva, basata sull'informazione dei consumatori, non sono tuttavia sufficienti a prevenire l'indebitamento eccessivo.

4.3.3

Una normativa efficace in materia deve prevedere misure educative rivolte sia agli operatori professionali che ai consumatori.

4.3.4

Taluni Stati membri hanno quindi introdotto norme più stringenti rispetto a quelle della direttiva, e prevedono che il contratto di credito al consumo contenga un'avvertenza al consumatore intesa a metterlo in guardia contro determinati abusi o ad informarlo del diritto di ricevere una tabella di ammortamento dettagliata.

4.3.5

Il CESE chiede una legislazione più incisiva e ambiziosa di quanto non lo sia la direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (18), che vieti talune forme ingannevoli o tendenziose di pubblicità, in particolare quelle mirate a consumatori vulnerabili o che non sono già più in grado di rimborsare i debiti contratti (19).

4.4   Contrastare l'usura

4.4.1

Il consumatore europeo sarebbe meglio tutelato se fosse in vigore un quadro europeo in materia di usura. Il meccanismo di base per la lotta all'usura consiste nel fissare un massimale del tasso per il costo totale del credito, comprensivo dell'insieme degli interessi e degli oneri connessi al contratto di credito, espresso in percentuale secondo il metodo riconosciuto del tasso annuo effettivo globale (TAEG); quest'ultimo varierebbe in funzione del tipo di credito e dell'importo del prestito contratto.

4.4.2

Sulla questione dell'usura il quadro europeo è estremamente eterogeneo (20).

4.4.3

Se in genere sono previste delle tutele per il credito ai privati, alcuni paesi hanno invece completamente liberalizzato il regime dell'usura per il credito alle imprese, con la sola eccezione di Francia e Italia.

4.4.4

Nella maggior parte degli Stati membri — ad esempio nel Regno Unito e in Spagna — il controllo dei tassi di interesse non trova fondamento nella legislazione, bensì nella giurisprudenza.

4.4.5

In Germania i tribunali valutano se un tasso è usurario basandosi sulle medie dei tassi di mercato per le diverse categorie di credito pubblicate mensilmente dalla Bundesbank. La differenza è ritenuta eccessiva quando risulta superiore al doppio del tasso medio di mercato.

4.4.6

Al pari della Francia, anche in Italia è in vigore una legge che disciplina i tassi di interesse, e anche nella Penisola il tasso usurario viene riveduto di trimestre in trimestre. Tuttavia, in Italia un tasso di interesse è considerato usurario se supera di oltre il 50 % il tasso medio applicato dalle banche.

5.   La gestione dell'indebitamento eccessivo

5.1

Numerosi paesi dell'UE hanno adottato delle procedure giuridiche volte a contenere l'indebitamento eccessivo. Tenuto conto dei dati disponibili, e pur in assenza di studi comparati sulle legislazioni nazionali o di statistiche sull'insieme dei 28 Stati membri, si può affermare che l'obiettivo generale della gestione dell'indebitamento eccessivo consiste nel trovare una soluzione per evitare l'esclusione sociale delle famiglie indebitate e consentire loro, laddove sia possibile, di ripianare i debiti nella misura della loro capacità di rimborso. Alcuni meccanismi prevedono la possibilità di una cancellazione dei debiti, totale o parziale, quando la situazione delle persone sovraindebitate è definitivamente compromessa, in modo da offrire loro una seconda opportunità.

5.2

A questo proposito, un esempio interessante è quello del diritto fallimentare delle imprese, tema a cui il CESE ha già dedicato un parere (21).

5.3

La maggior parte dei paesi dell'UE hanno adottato delle procedure giudiziarie per la gestione dell'indebitamento eccessivo, che differiscono tra loro quanto al tipo di debito, alle condizioni di accesso al credito e ai motivi per cui è stato contratto.

5.3.1

Tutte però prevedono che il giudice possa imporre un piano di estinzione del debito alle persone sovraindebitate e ai loro creditori. Generalmente tale decisione è preceduta da una fase di «composizione amichevole» in cui le parti cercano di addivenire ad un accordo su un progetto di piano di estinzione del debito, piano che, qualora l'accordo venga raggiunto, riceve l'approvazione del giudice (22).

5.3.2

Parallelamente all'intervento del giudice, queste procedure possono prevedere la nomina di un ausiliario del giudice (in Belgio: de schuldbemiddelaar/le médiateur de dettes, nei Paesi Bassi: de curator), incaricato di ricevere e verificare le dichiarazioni di credito, di accertare il tenore di vita e lo stato patrimoniale delle persone sovraindebitate, di stabilire, se del caso, il reddito necessario per consentire loro di far fronte alle spese correnti, di conservare l'importo restante del reddito per soddisfare i diritti dei loro creditori, di mettere in vendita parte dei loro beni, di definire un progetto di piano di estinzione dei debiti e di controllarne l'esecuzione, come pure di vigilare sulla lealtà delle persone sovraindebitate (23).

5.3.3

A questo proposito, il CESE insiste sulla necessità di stabilire, a livello europeo, che determinati beni essenziali non possano in nessun caso venire pignorati o venduti a prezzo irrisorio.

5.3.4

Una volta che queste procedure siano state avviate, risulta per lo più impossibile per i creditori ordinari intentare azioni giudiziarie individuali contro i beni o il reddito dei loro beneficiari. Ovviamente, questi ultimi non possono aggravare la loro situazione di indebitamento, altrimenti perdono i benefici derivanti dalla procedura di estinzione del debito.

5.3.5

Il Comitato ritiene che l'obiettivo di proteggere il consumatore dal rischio di esclusione sociale trarrebbe grande vantaggio da un'armonizzazione delle procedure sopra descritte, purché queste siano rapide, semplici e gratuite per i debitori, i quali si trovano, per definizione, in una situazione delicata.

5.3.6

Inoltre, fin dall'avvio della procedura qualsiasi azione giudiziaria intentata contro il debitore dovrebbe essere sospesa, in modo da evitare che i creditori possano esercitare delle pressioni.

5.3.7

Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità di prevedere una fase di verifica dei crediti, in modo da garantire il rispetto dei diritti di tutte le parti in causa.

5.3.8

Osserva inoltre che in alcuni paesi l'abitazione principale delle persone sovraindebitate viene gestita separatamente nell'ambito della procedura per impedire che le famiglie vengano sfrattate. Se ne compiace e ritiene che tale misura dovrebbe essere applicata sistematicamente per evitare l'esclusione sociale delle famiglie, obiettivo essenziale da perseguire nell'interesse della società.

5.3.9

Nei casi di indebitamento più gravi raccomanda di prevedere la cancellazione, totale o parziale, del debito, onde prevenire il rischio di esclusione sociale della persona sovraindebitata.

5.3.10

A giudizio del Comitato, il fatto che una persona faccia ricorso ad una procedura di gestione dell'indebitamento eccessivo non deve comportarne l'esclusione dai servizi bancari di base, i quali sono indispensabili alla vita economica e sociale dell'individuo.

5.3.11

Il CESE insiste sul fatto che le risorse messe a disposizione per il funzionamento di questi dispositivi debbano permettere una gestione personalizzata dei casi di indebitamento. Ritiene opportuno, a tale proposito, prevedere sistemi di accompagnamento di tutti coloro che ne avvertano l'esigenza.

6.   Garantire un livello elevato di protezione dei consumatori per contribuire al consolidamento del mercato unico

6.1

Il CESE ritiene che per conseguire questo obiettivo sia necessario adottare una procedura uniforme in tutti gli Stati membri, anch'essa basata sulla Carta dei diritti fondamentali, sull'articolo 114 o sull'articolo 81 del TFUE e secondo principi generali che la Commissione potrebbe proporre in una direttiva sulla base degli spunti di riflessione presentati qui di seguito, puntando ad un mercato interno più integrato.

6.2

Il Comitato fa presente che alcune delle soluzioni proposte sono già di attualità in alcuni paesi dell'UE, e che la loro applicazione generalizzata ne accrescerebbe l'efficacia.

6.3   Dispositivi di assistenza alle persone sovraindebitate

6.3.1

Spesso per le persone sovraindebitate la consulenza in materia di servizi finanziari e consumo, l'obbligo per banche e istituti di credito di fornire consulenza al cliente, come pure l'assistenza per la gestione delle finanze personali, risultano insufficienti o inadeguati. Le autorità pubbliche nazionali devono quindi mettere a disposizione delle persone in difficoltà servizi di assistenza sociale che siano in grado di offrire loro, se lo desiderano, un aiuto immediato oppure un'assistenza legale gratuita. A tale proposito, gli Stati membri potrebbero sostenere e rendere ufficiale il ruolo di assistenza legale svolto dalle associazioni di protezione dei consumatori.

6.3.2

Nei casi più gravi di indebitamento si può prevedere il versamento di assegni sociali per coprire le spese del consumo di gas ed elettricità, per l'alloggio, per l'alimentazione, per l'assistenza sanitaria e per il rimborso totale o parziale dei debiti ai creditori.

6.3.3

È inoltre necessario introdurre un dispositivo che consenta di analizzare la situazione reale delle persone sovraindebitate, accertare la legittimità delle somme che viene loro chiesto di rimborsare, negoziare un piano di estinzione dei debiti con i creditori o tentare altre strade (ad esempio l'avvio di una procedura giudiziaria), nonché informarle sui loro diritti e i loro obblighi.

7.   Osservatorio europeo dell'indebitamento eccessivo

7.1

Il CESE caldeggia l'istituzione di un Osservatorio europeo dell'indebitamento eccessivo senza che ciò comporti costi di bilancio supplementari. Questo strumento, che si baserebbe su sistemi nazionali già esistenti, dovrebbe permettere di ovviare all'attuale carenza di statistiche attendibili, di esaminare in modo approfondito le cause dell'indebitamento eccessivo e la tipologia delle persone sovraindebitate, di confrontare le situazioni nei vari paesi UE e le azioni di lotta al fenomeno proposte, nonché di misurarne l'evoluzione.

7.2

All'Osservatorio potrebbe essere affiancata una rete per gli scambi, aperta a tutte le persone interessate, all'interno della quale potrebbe svolgersi un dialogo sulle buone pratiche in questo campo.

7.3

La lotta all'indebitamento eccessivo dei consumatori e la prevenzione dell'esclusione sociale presuppongono infatti un approccio olistico. Il fenomeno non può essere contrastato efficacemente con iniziative isolate e non coordinate a livello europeo. È indispensabile una maggiore cooperazione tra i consumatori, le amministrazioni pubbliche e le imprese per l'applicazione di metodi più innovativi ed efficaci.

7.4

L'Osservatorio potrebbe essere articolato in dipartimenti responsabili dei seguenti settori: raccolta dei dati, quadri giuridici in vigore e azioni educative e di sensibilizzazione.

7.5

I membri dell'Osservatorio dovrebbero essere esponenti del settore pubblico e di quello privato. I rappresentanti del settore privato potrebbero essere membri di associazioni di categoria e dei consumatori nazionali ed europee, provenienti da un ampio spettro di comparti dell'economia e di aree geografiche e impegnati nella lotta all'indebitamento eccessivo. Essi parteciperebbero attivamente ai lavori dei vari dipartimenti dell'Osservatorio, eventualmente nell'ambito di gruppi di lavoro specializzati.

7.6

I rappresentanti del settore pubblico sarebbero esperti nazionali nominati dagli Stati membri, con legami già consolidati con il settore privato e provvisti di competenze nel settore dell'indebitamento eccessivo e della protezione dei consumatori. Questi rappresentanti nazionali dovrebbero inoltre essere qualificati in materia di sensibilizzazione del grande pubblico.

Bruxelles, 29 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2013) 83 final; parere del CESE, GU C 271 del 19.9.2013, pag. 91.

(2)  Banca centrale europea 2013. Indagine dell'Eurosistema su patrimonio e consumi delle famiglie: risultati della prima fase, Statistics Paper Series, aprile 2013, pagg. 57-71.

(3)  Eurofound 2013, Le surendettement des ménages dans l’UE: le rôle des emprunts informels («L'indebitamento eccessivo delle famiglie nell'UE: il ruolo dei prestiti informali»), Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, Lussemburgo.

(4)  Nota di sintesi del Senato francese Le traitement du surendettement («La gestione dell'indebitamento eccessivo»), Servizio degli affari europei, aprile 1998.

(5)  Eurofound 2013, op. cit.

(6)  GU C 18 del 19.1.2011, pag. 24.

(7)  Dati pubblicati il 22 marzo 2013 su L'expansion.com in collaborazione con l'AFP.

(8)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 74.

(9)  Towards a common operational European definition of over-indebtedness («Verso una definizione operativa comune dell'indebitamento eccessivo a livello europeo»), studio condotto dall’OEE (Observatoire de l’Epargne européenne — Osservatorio del risparmio in Europa), dal CEPS (Centre for European Policy Studies — Centro per gli studi politici europei) e dal PFRC (Personal Finance Research Centre — Centro di ricerca sulla finanza personale dell'Università di Bristol) per conto della DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità della Commissione europea.

(10)  Austria, Belgio, Bulgaria, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito, Repubblica ceca, Svezia e Norvegia.

(11)  The over-indebtedness of European households: updated mapping of the situation, nature and causes, effects and initiatives for alleviating its impact («L'indebitamento eccessivo delle famiglie europee: mappatura aggiornata della situazione, natura e cause, effetti e iniziative per attenuarne l'impatto»). Consultazione pubblica del consorzio di valutazione della politica per i consumatori (Consumer Policy Evaluation Consortium — CPEC), 17 gennaio 2013.

(12)  Raccomandazione Rec(2007)8 del Consiglio dei ministri agli Stati membri relativa alle soluzioni giuridiche ai problemi di indebitamento. Consiglio d'Europa, 20 giugno 2007.

(13)  Definizione derivata dalla metodologia del Sistema europeo dei conti ESA 95.

(14)  GU C 318 del 29.10.2011, pag. 24.

(15)  Settori e pratiche contemplati dalla direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

(16)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 74 e GU C 318 del 29.10.2011, pag. 24.

(17)  GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66.

(18)  GU L 376 del 27.12.2006, pag. 21.

(19)  Si tratta di pubblicità che reclamizzano la concessione di «crediti gratuiti», «anche se coinvolti in un procedimento di contenzioso» o «anche se già schedati con profilo negativo presso la Banca nazionale», o che incentivano abusivamente a «raggruppare» i crediti contratti in precedenza o, ancora, insistono sulla facilità o la rapidità con cui il credito potrebbe essere accordato.

(20)  Articolo L313-3 del Code de la Consommation francese. In Francia l'usura è un reato punibile con una pena detentiva di due anni e un'ammenda di 45  000 euro, o soltanto con una delle due pene. Inoltre gli importi percepiti in eccesso devono essere riversati al capitale di credito. Se nel frattempo il credito è stato rimborsato, il creditore deve restituire l'importo indebitamente percepito con gli interessi. Il tasso usurario, diverso per ciascuna categoria di finanziamento, è stabilito con cadenza trimestrale dalla Banque de France e pubblicato sul Journal Officiel (Gazzetta ufficiale della Repubblica francese).

(21)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 55.

(22)  Questa fase è parte integrante della procedura propriamente detta e fa seguito alla decisione giudiziaria di ammissione alla procedura stessa (Francia, Belgio), oppure precede obbligatoriamente la procedura pur senza farne parte (Paesi Bassi).

(23)  Talvolta tale funzione di inquadramento e controllo non è prevista, ma parte dei compiti descritti viene effettuata da un'amministrazione (in Francia, da una commission départementale).


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

498a sessione plenaria del CESE del 29 e 30 aprile 2014

12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Per una rinascita industriale europea

[COM(2014) 14 final]

2014/C 311/07

Relatrice: SIRKEINEN

La Commissione europea, in data 28 gennaio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Per una rinascita industriale europea

COM(2014) 14 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 marzo 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 29 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 139 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione sulla rinascita industriale e ne trae le seguenti conclusioni:

le sfide che interessano le industrie europee non perdono la loro gravità, e senza una base industriale competitiva l'Europa non riuscirà a generare crescita e posti di lavoro;

per convincere le imprese a investire nell'UE è necessario un ventaglio più energico di proposte relative alla politica industriale unionale;

l'economia verde e inclusiva sarà una delle sfide principali dei prossimi anni;

il ruolo principale dell'UE nella politica industriale è quello di integrare i settori di intervento e di diffondere di conseguenza le migliori pratiche;

il ruolo principale degli Stati membri è garantire il funzionamento corretto ed efficace, a beneficio di tutti, delle infrastrutture della conoscenza, dell'informazione, dei trasporti e dell'energia;

la comunicazione evidenzia che molto lavoro rimane incompiuto e sottolinea l'esigenza di attuazione a livello di UE e di Stati membri;

la Commissione invia un importante messaggio sull'esigenza di integrare le industrie europee nelle catene del valore internazionali.

1.2

Il CESE raccomanda che le idee e le proposte presentate nella comunicazione siano sostenute e messi in atto rapidamente dai soggetti competenti.

1.3

Inoltre il CESE raccomanda:

che l'obiettivo di portare la quota dell'industria nel prodotto interno lordo al 20 % entro il 2020 sia integrato da aspetti qualitativi, in particolare per cogliere le prestazioni a valore aggiunto a livello internazionale;

che l'obiettivo di rendere le industrie europee più rispettose dell'ambiente sia accompagnato da una forte determinazione a rafforzare il ruolo delle nuove tecnologie e a puntare su industrie e servizi competitivi, basati sulla conoscenza e con maggiore valore aggiunto;

che uno degli obiettivi primari della politica industriale europea sia dare alle imprese europee maggiori possibilità di raggiungere posizioni di primo piano nelle catene internazionali del valore e di massimizzare la cattura di valore per l'Europa;

che si dedichi maggiore attenzione al ruolo dei servizi e si sviluppino politiche corrispondenti, specie per quanto riguarda i servizi basati sulla conoscenza, sia per se stessi che per il loro potenziale di stimolare la produttività in tutti i settori imprenditoriali;

che le politiche dell'UE in materia di concorrenza e di aiuti di Stato, nell'ottica di garantire una sana concorrenza che incoraggi l'innovazione, aiutino le imprese a promuovere gli obiettivi di crescita dell'UE, e in particolare la rilocalizzazione dei posti di lavoro, senza distorcere la concorrenza, e che vengano perseguite a livello internazionale condizioni di concorrenza uniformi;

che alla creazione di un ambiente favorevole e prevedibile per l'industria partecipino tutti i soggetti interessati, compresi i lavoratori e i datori di lavoro, grazie a iniziative su base regionale;

che siano rafforzate le strutture di governance delle politiche microeconomiche dell'UE. Il Consiglio europeo dovrebbe assumere una chiara funzione guida mentre il Consiglio Competitività dovrebbe sottoporre le decisioni delle altre formazioni del Consiglio a un vero e proprio controllo dal punto di vista della loro incidenza sulla competitività e la Commissione dovrebbe organizzare un'integrazione efficace e sistematica delle proposte politiche;

che i finanziamenti UE destinati all'innovazione siano sistematicamente convogliati verso i sei settori trasversali individuati dalla Commissione, tenendo conto di nuove tecnologie particolarmente impegnative come i megadati, la robotica e la stampa tridimensionale;

che si faccia quanto ragionevolmente possibile per ridurre i prezzi dell'energia in Europa.

2.   Introduzione

2.1

La crisi economica ha dimostrato l'importanza dell'industria per la stabilità economica, l'occupazione, l'innovazione e le prestazioni internazionali delle economie europee. Nell'UE, l'industria rappresenta oltre l'80 % delle esportazioni e l'80 % delle attività private di ricerca e innovazione. Nell'industria si concentra inoltre il 15 % dell'occupazione dell'UE, e ogni posto di lavoro nel comparto industriale crea fino a 1,5-2 posti di lavoro in altri settori. Oggi inoltre l'industria offre posti di lavoro di qualità con retribuzioni superiori alla media. L'industria non rappresenta un obiettivo in sé, ma un mezzo per creare occupazione e mantenere un buon tenore di vita.

2.2

L'industria europea genera ancora un forte surplus nel commercio mondiale di manufatti, ed è un leader mondiale nella sostenibilità. Tuttavia, come indica la relazione sulla competitività europea 2013, nell'ultimo decennio la quota europea nella produzione manifatturiera mondiale si è ridotta. Lo scarto di produttività con gli Stati Uniti è nuovamente aumentato. Dopo una ripresa nel triennio 2009-11, la quota dell'industria nel prodotto interno lordo dell'UE è scesa di nuovo al 15,1 %, ben lontano dall'obiettivo del 20 % fissato per il 2020. Dal 2008 a oggi sono andati persi 3,5 milioni di posti di lavoro. Tuttavia il quadro della situazione varia sensibilmente da uno Stato membro all'altro.

2.3

Alla politica industriale è dedicata una delle iniziative faro della strategia Europa 2020. Nel 2010 e 2012 il CESE ha formulato dei pareri sulle principali proposte della Commissione  (1), ed ha elaborato una serie di altri pareri su vari aspetti della politica industriale, comprese analisi settoriali a cura della commissione consultiva per le trasformazioni industriali (2), attiva al suo interno. Due di queste analisi vertono rispettivamente sul rimpatrio di attività industriali e sull'occupabilità dei giovani. Il presente parere si basa su questi precedenti pareri e li integra.

2.4

La comunicazione della Commissione fissa le principali priorità della Commissione per la politica industriale a titolo di contributo alla discussione che si svolgerà su questo argomento al Consiglio europeo del marzo 2014. Essa passa in rassegna le azioni già intraprese e ne propone alcune altre per accelerare l'attuazione delle priorità stabilite. La comunicazione mostra la crescente integrazione fra la politica industriale e altre politiche dell'UE, e spiega perché tale processo di integrazione deve proseguire.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione, in questo contesto di crisi economica e di crescente preoccupazione per la competitività delle industrie europee. Le sfide cui è confrontata l'industria non vengono meno, ma anzi si intensificano. L'ambiente globale in cui operano le imprese è in continua trasformazione, e le nostre imprese devono saper rispondere sempre più rapidamente a queste condizioni mutevoli. Senza un'industria competitiva l'Europa non sarà in grado di generare più crescita e occupazione. Inoltre, un approccio basato esclusivamente su funzioni di progettazione e ingegneristiche, senza produzione e contatti con i clienti finali, ha poche probabilità di successo nel lungo periodo.

3.2

Alla luce della gravità di questa situazione, il CESE si sarebbe aspettato un più energico pacchetto di proposte per la politica industriale europea, con una prospettiva chiara e misure urgenti. Occorrono messaggi chiari per convincere le imprese che l'Europa costituirà in futuro uno spazio attraente per nuovi investimenti. Il documento in esame presenta poche novità rispetto alle comunicazioni del 2010 e del 2012. Esso si limita essenzialmente a fare il punto delle azioni già realizzate o in programma nei principali settori prioritari della politica industriale, già individuati in precedenza, evidenziando che molto lavoro rimane incompiuto e sottolineando l'esigenza di attuazione a livello di UE e di Stati membri.

3.3

Il CESE apprezza le conclusioni della comunicazione, compreso l'obiettivo di portare la quota del PIL dell'industria al 20 %. Esprime però alcune riserve a questo riguardo. Si tratta infatti di un obiettivo puramente quantitativo, laddove l'inserimento di aspetti qualitativi sarebbe stato maggiormente in linea con l'aspirazione dell'UE a una competitività socialmente ed ecologicamente sostenibile. L'obiettivo del 20 % dovrebbe essere accompagnato da altri obiettivi, che il CESE invita la Commissione a esaminare ulteriormente, e che dovrebbero riflettere in particolare gli aspetti del valore aggiunto in un contesto internazionale.

3.4

Il CESE si compiace specialmente del chiaro messaggio della Commissione sull'importanza dell'integrazione delle imprese europee nelle catene del valore internazionali. In realtà, data l'estrema specializzazione, complessità e dinamismo delle attività industriali odierne, sarebbe più appropriato parlare di reti del valore. Le imprese competono a livello globale per conquistare posizioni chiave in tali reti. L'obiettivo della politica industriale europea dovrebbe essere quello di accrescere le possibilità delle imprese europee di conquistare tali posizioni chiave e di massimizzare la cattura di valore per l'Europa. Questo è un aspetto di cui si dovrebbe tener conto nel definire politiche e obiettivi.

3.5

A giudizio del CESE l'economia verde e inclusiva sarà la sfida principale dei prossimi anni. La trasformazione dell'industria europea nel senso di un maggiore rispetto dell'ambiente e la transizione entro il 2050 verso un'economia a basse emissioni di carbonio ed efficiente nell'impiego delle risorse, grazie a una politica industriale rinnovata, sono priorità necessarie. Tuttavia quello che serve all'Europa per realizzare con successo tale passaggio, se vuole garantire la crescita industriale e la creazione di occupazione, sono industrie e servizi maggiormente basati sulla conoscenza e sulle nuove tecnologie — industrie e servizi a più alto valore aggiunto, più innovativi, competitivi e sostenibili, finanziati attraverso un ambizioso piano di investimenti.

3.6

Il soddisfacimento dei bisogni della società e la concorrenza sono i due propulsori dell'innovazione. Tutte le imprese del mercato interno, indipendentemente dal loro modello d'impresa, dovrebbero competere in condizioni di parità. Il CESE ritiene che gli Stati membri debbano evitare di competere tra loro nell'offerta di aiuti. Una delle finalità di una politica degli aiuti di Stato deve essere quella di consentire l'erogazione di aiuti precompetitivi a imprese che possono contribuire agli obiettivi di crescita dell'UE, limitando però nel contempo le distorsioni della concorrenza. Qualora vengano concessi aiuti di Stato, bisognerà impiegarli per aiutare le imprese a svilupparsi e ad adattarsi, e non già per sostenere attività costantemente non competitive. Servono condizioni uguali per tutti anche nei mercati globali, specie per le imprese a forte intensità energetica.

3.7

Il ruolo dei servizi merita maggiore attenzione. L'interdipendenza tra servizi e attività manifatturiera è ampiamente riconosciuta, dato che le attività industriali comportano sempre più elementi propri della fornitura di servizi e che molti servizi dipendono dalle prestazioni dell'industria. Ma i servizi basati sulla conoscenza e sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno un potenziale enorme sia di per sé, come industrie esportatrici, che per la loro applicazione in tutti i settori economici come fattori essenziali di produttività. Si dovrebbero sviluppare politiche specifiche per sostenere lo sviluppo di questo potenziale.

3.8

Il difficile compito di creare un ambiente più favorevole per l'industria dovrebbe essere svolto con il coinvolgimento di tutti i soggetti: istituzioni dell'UE, Stati membri, regioni, lavoratori, datori di lavoro e altre parti in causa. Le iniziative dovrebbero basarsi su specialità regionali che si integrano a vicenda e interagiscono in maniera costruttiva. Il quadro politico deve essere stabile e prevedibile, anche a livello della legislazione nazionale, ad esempio in materie come la fiscalità.

3.9

Il CESE chiede strutture di governance più forti per le politiche microeconomiche. Il Consiglio europeo dovrebbe assumere una chiara leadership strategica. Il Consiglio Competitività dovrebbe svolgere un ruolo più incisivo e sottoporre le decisioni di politica industriale prese delle altre formazioni del Consiglio ad un vero e proprio controllo dal punto di vista della loro incidenza sulla competitività. La Commissione dovrebbe provvedere all'integrazione sistematica delle sue attività mediante soluzioni manageriali efficaci. Gli Stati membri devono applicare le decisioni comuni in maniera coerente, e le questioni attinenti alla politica industriale devono essere pienamente integrate nel semestre europeo, anche per quanto riguarda la formulazione di raccomandazioni specifiche per paese.

4.   Osservazioni specifiche per settore di intervento

4.1   Un mercato unico europeo integrato

4.1.1

Una funzione essenziale dei governi consiste nel garantire la disponibilità e l'accessibilità per tutti di reti di prima qualità per quanto riguarda i trasporti, l'informazione e l'energia, corrispondenti alle esigenze in evoluzione della società e delle imprese. Come riconosce la Commissione, in questo settore sono di grande attualità elementi come le infrastrutture legate alla tecnologia spaziale, la convergenza delle reti dell'informazione e di quelle dell'energia nonché le infrastrutture per la distribuzione di carburanti alternativi.

4.1.2

I confini interni all'UE non dovrebbero comportare alcuna differenza per quanto riguarda il funzionamento delle infrastrutture e l'accesso ad esse. Le residue barriere regolamentari, amministrative e tecniche devono essere rimosse. Le risorse finanziarie a livello di UE e nazionale dovrebbero essere dirette verso i necessari investimenti in questo settore, mobilitando un massimo di finanziamenti privati.

4.1.3

Il CESE concorda con la Commissione nel ritenere che le proposte legislative riguardanti il mercato unico che non hanno ultimato il loro iter dovrebbero essere adottate con urgenza. Gli Stati membri continuano a non attuare e a non applicare in maniera adeguata il quadro legislativo e così facendo provocano da parte della Commissione delle giustificate azioni per non conformità.

4.2   Investire nell'innovazione e nelle nuove tecnologie

4.2.1

In precedenti pareri sulla politica industriale, il CESE ha espresso le proprie vedute in merito alle iniziative dell'UE per l'innovazione e le nuove tecnologie, per lo più sostenendo con energia tali proposte e sottolineando l'esigenza di adeguati finanziamenti da parte dell'UE, degli Stati membri e dei privati.

4.2.2

In particolare, il CESE ha appoggiato la scelta da parte della Commissione di sei settori strategici trasversali e le azioni riguardanti tali settori, che sono: fabbricazione avanzata, tecnologie abilitanti fondamentali, prodotti biologici, veicoli puliti e navi pulite, edilizia e materie prime sostenibili, reti intelligenti e infrastruttura digitale. Nuove tecnologie dotate di potenziale elevato e degne di attenzione sono le seguenti: robotica, megadati, stampa tridimensionale, internet industriale e progettazione industriale. Le risorse finanziarie dell'UE, come quelle del programma Orizzonte 2020 e i finanziamenti a finalità regionale, dovrebbero essere diretti in maniera coerente verso l'innovazione nei suddetti settori. Il CESE chiede anche un'attuazione più rapida della Comunità della conoscenza e dell'innovazione per le attività manifatturiere a valore aggiunto.

4.2.3

Ai fini della competitività industriale rivestono estrema importanza i tempi di immissione sul mercato delle innovazioni per la loro applicazione. Il rafforzamento dello strumento dei capitali di rischio e altre forme di condivisione del rischio da parte della BEI, come pure un uso innovativo dei fondi strutturali, sono esempi di misure altamente necessarie per attirare investimenti privati in progetti di ricerca che comportano rischi.

4.3   Accesso ai finanziamenti

4.3.1

Malgrado il miglioramento delle condizioni economiche, l'accesso al credito bancario rimane limitato per le imprese, specialmente per le PMI. Il CESE sostiene pertanto gli sforzi dell'UE in questo settore: la creazione dell'Unione bancaria, l'iniziativa per il finanziamento delle PMI, il regolamento sui requisiti patrimoniali, la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari, la direttiva riveduta sulla trasparenza e le misure volte ad accrescere il mercato paneuropeo dei capitali di rischio.

4.3.2

Per migliorare la capacità di prestito delle banche, l'UE dovrebbe trovare il giusto equilibrio tra aumento della stabilità finanziaria e sostegno al fabbisogno di capitale delle imprese. Inoltre le misure di regolamentazione dirette al settore finanziario non dovrebbero ostacolare il prestito privato.

4.3.3

Nell'UE le PMI dipendono più che altrove dal finanziamento bancario. Occorrerebbe fare sforzi a livello sia di UE che nazionale per accrescere la diversificazione del finanziamento delle imprese, introducendo altri strumenti come i fondi azionari, il capitale di rischio, le garanzie societarie e i metodi ibridi di finanziamento. Bisogna elaborare un piano comprendente un approccio al finanziamento che si basi sul ciclo di vita, individuando strumenti innovativi.

4.4   Energia

4.4.1

Il CESE constata con soddisfazione che la Commissione riconosce l'importanza dei prezzi energetici per la competitività industriale. I prezzi dell'energia per le industrie europee sono molto più elevati di quelli cui fanno fronte i loro principali concorrenti; l'elettricità costa il doppio che negli Stati Uniti e in Russia e 20 % in più che in Cina. I prezzi del gas sono da tre a quattro volte più elevati di quelli che si pagano negli Stati Uniti, in Russia e in India e del 12 % più elevati di quelli cinesi.

4.4.2

In parte, il divario nei prezzi energetici tra l'UE e i suoi concorrenti deriva da fattori che non possono essere modificati da interventi dell'Unione. Occorre tuttavia fare quanto ragionevolmente possibile per ridurre tale scarto, in particolare nell'ottica di restituire all'Europa settori produttivi e posti di lavoro ad alta intensità energetica. Le industrie dell'UE sono riuscite sinora a compensare in parte l'aumento dei costi energetici grazie ad una maggiore efficienza, ma il potenziale in questo senso sta riducendosi.

4.4.3

La sicurezza dell'approvvigionamento energetico è essenziale per tutti i settori industriali. La situazione attuale costituisce un serio monito a ridurre la nostra dipendenza dall'energia proveniente da fonti instabili e inaffidabili. Un mix energetico diversificato, stabilito dagli Stati membri in cooperazione tra loro e nel rispetto degli impegni ambientali, costituisce un forte interesse comune per l'UE.

4.4.4

Alcune misure di politica energetica, in particolare quelle volte ad accrescere il ricorso alle fonti rinnovabili, avevano anche l'obiettivo di creare nuovi posti di lavoro. In base alle informazioni sinora disponibili, non sembra che questo obiettivo sia stato raggiunto; gli studi sull'argomento parlano per lo più di un impatto neutro o leggermente positivo sull'occupazione, con forti trasformazioni della struttura dei posti di lavoro.

4.5   Materie prime ed uso efficiente delle risorse

4.5.1

Il CESE accoglie favorevolmente le intenzioni della Commissione nel settore della diplomazia delle materie prime, e il suo proposito di eliminare le distorsioni nei prezzi dei fattori di produzione industriale.

4.5.2

Bisognerebbe rafforzare la ricerca e lo sfruttamento delle materie prime nell'UE e armonizzare la regolamentazione in materia. Le iniziative legislative in materia di utilizzazione efficiente delle risorse e di rifiuti dovrebbero essere pensate con attenzione per fornire risultati ottimali, evitando di imporre alle imprese oneri finanziari superflui (a breve termine). L'applicazione efficiente del principio a cascata nell'uso della biomassa presuppone una politica neutrale per quanto riguarda l'accesso alla biomassa.

4.6   Aggiornamento delle competenze e facilitazione delle mutazioni industriali

4.6.1

Attualmente in Europa sono disoccupati 5 milioni di giovani, a fronte di 2 milioni di posti scoperti nel mercato del lavoro. Lo squilibrio tra domanda e offerta di competenze e le questioni riguardanti la formazione sono al primo posto nell'agenda della politica industriale.

4.6.2

Bisogna accrescere il numero e la qualità dei laureati di tutti i livelli in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica e favorire con energia l'accesso delle donne di ogni età a tali settori e professioni.

4.6.3

Gli apprendistati e, per esempio, il sistema duale di apprendimento e lavoro, contribuiscono chiaramente alla creazione di profili di competenze connessi alle reali esigenze del mercato del lavoro. Gli Stati membri e le parti sociali devono studiare e applicare le buone prassi, compresi i modelli efficienti di apprendistati transfrontalieri.

4.6.4

L'UE, gli Stati membri e le parti sociali possono contribuire al progresso dell'industria in termini di nuove tecnologie e di innovazione soltanto adottando politiche dirette a migliorare le conoscenze dei lavoratori e a sviluppare l'apprendimento permanente con l'obiettivo di remunerare il loro investimento. Ai fini del coinvolgimento del lavoratore sono essenziali il riconoscimento delle qualificazioni e delle competenze e il miglioramento delle condizioni di lavoro. L'approfondimento del dialogo sociale dovrebbe svolgere un ruolo primario nel rinascimento industriale europeo.

4.7   PMI e imprenditorialità

4.7.1

Il CESE continua a sostenere fortemente gli sforzi compiuti dall'UE per promuovere le PMI, compresa la pluralità di modelli d'impresa, e mettere in pratica il principio «pensare anzitutto in piccolo». Occorre non soltanto aggiornare la legge europea sulle piccole imprese (Small Business Act), ma anche rinnovarla ed ampliarla, per affrontare gli ostacoli residui allo sviluppo e alla crescita. Queste riforme dovrebbero essere collegate al semestre europeo.

4.7.2

La domanda «da 1 miliardo di euro» — domanda profonda e dalle vaste implicazioni — è in realtà come cambiare la mentalità europea facendola propendere verso l'imprenditorialità e l'assunzione di rischi.

4.7.3

A giudizio del CESE, misure, tra cui in particolare il programma Refit, volte a ridurre gli oneri normativi e amministrativi e a eliminare gli ostacoli alla crescita delle imprese, non possono andare a detrimento delle regolamentazioni che tutelano i consumatori, l'ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori, la loro informazione e consultazione. Tali misure devono inoltre rispettare gli accordi conclusi nel quadro del dialogo sociale.

4.7.4

Come ha osservato la Commissione le reti di cooperazione e i cluster potrebbero offrire alle PMI i mezzi per crescere. L'approccio dovrebbe valere per tutti i settori, per imprese di ogni dimensione, e per catene del valore sia transeuropee che internazionali.

4.8   Internazionalizzazione delle imprese dell'UE

4.8.1

Il CESE appoggia le azioni della Commissione rivolte a garantire alle imprese dell'UE l'accesso a importanti mercati internazionali. Occorrerebbe perseguire in maniera coerente e in uno spirito di reciprocità un'agenda ambiziosa di accordi di libero scambio e altri negoziati commerciali, in particolare con il principale partner commerciali dell'UE, gli Stati Uniti, nonché con i paesi della sponda sud del Mediterraneo e quelli del partenariato orientale.

4.8.2

Bisognerebbe utilizzare strumenti bilaterali e multilaterali per garantire che i principali partner commerciali dell'UE mettano in atto i loro impegni internazionali.

4.8.3

Nelle varie regioni economiche vigono norme industriali molto differenti, che creano ostacoli agli scambi e, più in generale, condizioni di concorrenza non uniformi. Fatta riserva del rispetto dei requisiti essenziali in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori, di cui all'articolo 114 del TFUE, il CESE è favorevole alla promozione di norme internazionali e della cooperazione in campo normativo, come pure ad azioni, tra cui il controllo del mercato, volte a garantire che le imprese dell'UE possano far valere i loro diritti di proprietà industriale. La comunicazione avrebbe potuto prevedere misure più concrete in quest'ambito.

Bruxelles, 29 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 327, del 12.11.2013, pag. 33, GU C 327, del 12.11.2013, pag. 1, GU C 181, del 21.06.2012, pag. 125.

(2)  GU C 198, del 10.7.2012, pag. 45, GU C 299, del 4.10.2012, pag. 54, GU C 327, del 12.11.2012, pag. 82.


PARERE

del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento, pur essendo stato respinto durante il dibattito, ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 39, paragrafo 2, del Regolamento interno).

Punto 3.5

Modificare come segue:

«A giudizio del CESE l'economia verde, e inclusiva e competitiva sarà la sfida principale dei prossimi anni. La trasformazione dell'industria europea nel senso di un maggiore rispetto dell'ambiente e la transizione entro il 2050 verso un'economia a basse emissioni di carbonio ed efficiente nell'impiego delle risorse, grazie a una politica industriale rinnovata, sono prioritarie priorità necessarie. Tuttavia quello che serve all'Europa per realizzare con successo tale passaggio, se vuole garantire la crescita industriale e la creazione di occupazione, sono industrie e servizi maggiormente basati sulla conoscenza e sulle nuove tecnologie — industrie e servizi a più alto valore aggiunto, più innovativi, competitivi e sostenibili , finanziati attraverso un ambizioso piano di investimenti. Questi obiettivi ambiziosi richiedono condizioni quadro per gli investimenti ancor più efficaci. »

Motivazione

1)

Se l'economia non è competitiva, non sarà neanche sostenibile da un punto di vista ambientale e sotto altri aspetti. Per generare risorse sufficienti a sostenere una società prospera, inclusiva e verde, l'economia dev'essere globalmente competitiva.

2)

Si tratta di un cambiamento stilistico.

3)

La transizione dei nostri settori produttivi verso segmenti a più alto valore aggiunto, ecc., non è soltanto importante ai fini di un maggior rispetto dell'ambiente, ma anche necessaria per garantire all'Europa un futuro prospero sotto altri aspetti.

4)

La politica industriale non consiste, né dovrebbe consistere, nel creare piani d'investimento pubblici. Essa dovrebbe, al contrario, offrire una serie di misure in grado di creare un clima economico tale da attrarre investimenti privati a condizioni di mercato. L'esperienza dimostra — e il mio paese (la Svezia) negli anni Settanta del secolo scorso è uno dei tanti esempi — che gli investimenti pubblici massicci e i programmi destinati a determinati settori industriali tendono a rivelarsi onerosi per i contribuenti senza produrre alcun beneficio a lungo termine.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

41

Voti contrari

:

81

Astensioni

:

11


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n. 715/2007 e (CE) n. 595/2009 per quanto riguarda la riduzione delle emissioni inquinanti dei veicoli stradali

[COM(2014) 28 final — 2014/0012 (COD)]

2014/C 311/08

Relatore generale: RANOCCHIARI

Il Parlamento europeo, in data 6 febbraio 2014, e il Consiglio, in data 18 febbraio 2014, hanno deciso, conformemente all'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n. 715/2007 e (CE) n. 595/2009 per quanto riguarda la riduzione delle emissioni inquinanti dei veicoli stradali

COM(2014) 28 final — 2014/0012 (COD).

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della sua 498a sessione plenaria del 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 29 aprile), ha nominato relatore generale Virgilio RANOCCHIARI e ha adottato il seguente parere con 158 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è da sempre favorevole a tutte le misure che, anche alla luce delle evoluzioni tecnologiche, contribuiscano a ridurre le emissioni inquinanti e più in generale a migliorare la qualità dell'aria.

1.2

La proposta in esame, tuttavia, solleva alcune perplessità riguardo al modo e ai tempi in cui si vogliono ottenere tali riduzioni, come specificato più avanti nel parere.

1.3

In particolare si nota la carenza, se non in qualche caso l'assenza, di un'adeguata valutazione d'impatto su alcune delle misure proposte; carenze e assenze che contrastano in maniera evidente con il principio di «regolamentazione intelligente» più volte ribadito per queste come per altre materie di rilevante importanza sociale, economica e ambientale.

1.4

Analoga perplessità suscita il ricorso eccessivo all'utilizzo di atti delegati in materie che, per la loro rilevanza non sembrano certo «elementi non essenziali» di un regolamento, suscettibili quindi di rientrare nella categoria di atti delegati.

1.5

Il CESE raccomanda quindi:

di eliminare il ricorso agli atti delegati laddove le evidenze e gli studi già effettuati, sia dalla Commissione europea sia in sede UN/ECE (1), consentano un'applicazione immediata di alcune delle misure previste (ad es. l'aumento della massa per taluni veicoli leggeri, come pure l'esclusione dei veicoli a gas dalla misurazione di ammoniaca).

di effettuare delle analisi d'impatto chiare e approfondite per tutte le altre misure proposte che appaiono carenti da questo punto di vista e che si vorrebbe comunque sviluppare con la strumentazione degli atti delegati.

1.6

A parere del CESE, quanto sopra suggerito consentirebbe ai colegislatori una valutazione più consapevole, completa e trasparente della proposta, almeno riducendo, se non eliminando del tutto, le perplessità di cui si fa cenno sopra.

2.   La proposta della Commissione

2.1

La proposta intende apportare una serie di modifiche a due regolamenti in vigore:

regolamento n. 715/2007 relativo all'omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dei veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 5 e Euro 6);

regolamento n. 595/2009 relativo all'omologazione dei veicoli a motore e dei motori riguardo alle emissioni dei veicoli pesanti (Euro VI).

2.2

Nelle intenzioni della Commissione la proposta contribuirà alla riduzione delle emissioni inquinanti e, con alcuni dei provvedimenti previsti, a semplificare le normative vigenti.

2.3

Per le automobili e i veicoli commerciali leggeri (LD) le variazioni più importanti sono le seguenti:

2.3.1

all'attuale valutazione delle emissioni di CO2 va aggiunta anche quella del metano, ottenendo così un nuovo dato che è la massa totale di CO2 equivalente. Questa misura consentirebbe anche di rivedere i limiti delle emissioni di idrocarburi totali (THC), che attualmente comprendono le emissioni di metano (CH4) e di idrocarburi non metanici (NMHC), deregolamentando la valutazione specifica delle emissioni di metano. Tutto ciò dovrebbe agevolare l'introduzione sul mercato dei veicoli a gas naturale, per i quali è altrimenti difficile il rispetto dei limiti di THC;

2.3.2

la revisione dei limiti per emissioni allo scarico a bassa temperatura (Euro 6);

2.3.3

la previsione di un limite distinto per le emissioni di NO2 (biossido di azoto), finora incluse nelle indicazioni delle emissioni totali di ossido di azoto (NOX);

2.3.4

la revisione del metodo di misura del particolato, introducendo anche un nuovo limite riguardo al numero di particelle che lo compongono;

2.3.5

la revisione delle prescrizioni relative all'accesso illimitato alle informazioni sulla riparazione e manutenzione dei veicoli, con particolare attenzione alle esigenze delle PMI.

2.4

Per i veicoli pesanti (HD) le variazioni più importanti riguardano:

2.4.1

la ridefinizione del limite di massa massima ai fini dell'estensione della normativa sulle emissioni dei veicoli leggeri (regolamento n. 715/2007) anche a quei veicoli che, in base alle loro varianti di allestimento, possono rientrare nel campo di applicazione sia della normativa dei leggeri sia di quella dei pesanti, per evitare l'obbligo di una doppia certificazione sullo stesso veicolo. Ciò si renderebbe possibile consentendo a quei veicoli di raggiungere un peso totale a terra (PTT) di 5  000 kg, senza abbassare il livello di protezione ambientale;

2.4.2

il limite di emissioni di ammoniaca (NH3) è attualmente imposto a tutti i veicoli pesanti. In realtà il rischio di rilascio di ammoniaca (utilizzata nei sistemi di controllo delle emissioni) è presente nei veicoli con motore diesel che adottano appunto tali sistemi. Nei motori a benzina o a gas naturale questo rischio non esiste, e la Commissione propone di liberare da questo limite autobus e HD alimentati a gas naturale compresso (CNG), indubbiamente più ecologici, altrimenti costretti a notevoli incrementi di costi non necessari.

2.5

Per realizzare quanto sopra, la Commissione chiede di poter adottare atti delegati, da emanare senza un limite temporale a decorrere dall'entrata in vigore del regolamento.

3.   Considerazioni generali

3.1

Il CESE non può non esprimere alcuni dubbi sulla forma di questa proposta, sui suoi modi di attuazione e sulla relativa tempistica.

3.2

Anzitutto suscita perplessità la struttura stessa del regolamento, nel quale sono accorpate in unico atto legislativo modifiche disparate riguardanti sia veicoli leggeri che pesanti; una modalità, questa, che non rientra nei canoni della smart and transparent regulation, che era uno degli impegni principali assunti con CARS 21 (2) e viene ora ribadito anche in CARS 2020, i cui lavori sono ancora in corso (3).

3.3

La valutazione d'impatto che accompagna il documento sembra in molti casi carente se non addirittura assente per quanto attiene ad alcune delle misure proposte, che invece avrebbero una ricaduta importante in termini di costo dei veicoli.

3.4

Ancora una volta la Commissione chiede di poter ricorrere allo strumento degli atti delegati (una decina) in applicazione dell'articolo 290 del TFUE, con ciò stesso riducendo i contenuti concreti dell'atto legislativo sovrastante, ossia il regolamento.

3.4.1

A questo proposito va aggiunto che alcuni degli argomenti della proposta per i quali si prevede il ricorso all'uso di atti delegati riguardano le emissioni dei veicoli e i relativi limiti. Argomenti che sono sempre stati decisi dai colegislatori proprio per la loro rilevanza e che appare difficile considerare «elementi non essenziali» di un regolamento e quindi suscettibili di rientrare nel campo di applicazione degli atti delegati.

3.4.2

Il CESE ha più volte sollevato nei suoi pareri l'argomento di un eccessivo ricorso agli atti delegati, riassumendone gli aspetti problematici in una recente relazione (4) che, rilevando il sempre più ampio margine di manovra della Commissione in materia, solleva interrogativi in merito alla trasparenza del sistema, all'uso corretto delle procedure e all'efficacia dei meccanismi di controllo.

4.   Considerazioni particolari

4.1

Sull'inclusione del metano (CH4) come CO2 equivalente (vedi il punto 2.3.1) il CESE nutre forti dubbi, poiché tale scelta comporterebbe la revisione delle attuali normative sul CO2 (regolamento n. 443/2009 e regolamento n. 510/2011). Gli obiettivi indicati da tali regolamenti sono stati fissati senza tener conto del CO2 equivalente, la cui eventuale introduzione richiederebbe una accurata valutazione d'impatto per una corretta revisione dei suddetti regolamenti. L'inclusione del CO2 equivalente avrebbe conseguenze anche per il consumatore, sia in termini di revisione della tassazione negli Stati membri in cui quest'ultima è basata sulle emissioni di CO2 sia per il rischio di confondere l'utenza abituata alla corrente etichettatura delle emissioni di CO2. Tutto questo per variazioni marginali dei valori attualmente misurati con il CO2 (l'aumento sarebbe inferiore a 1gr/km) e con notevoli complicazioni di monitoraggio.

4.2

Per quanto riguarda i limiti delle emissioni allo scarico alle basse temperature (punto 2.3.2), il CESE raccomanda che l'eventuale revisione dei limiti sia preceduta da un'ampia e approfondita valutazione d'impatto anche per quanto riguarda il monossido di carbonio (CO) e gli idrocarburi (HC) e non solo per gli ossidi di azoto (NOX) e i biossidi di azoto (NO2).

4.3

Anche nel caso del biossido di azoto (punto 2.3.3), inquinante di particolare rilevanza specie nelle aree urbane, la decisione di stabilirne un limite specifico attraverso atti delegati dovrebbe essere supportata da un'approfondita valutazione d'impatto.

4.4

Circa la revisione della misurazione del particolato (punto 2.3.4) il CESE nota che, in occasione dell'introduzione del limite del numero di particelle (regolamento n. 692/2008), il limite della massa del particolato era stato ridotto da 5,0 mg/km a 4,5 mg/km proprio per renderlo coerente con il numero di particelle. La proposta sembra pertanto ingiustificata e in contraddizione con quanto il gruppo di lavoro dell'UN/ECE (5) (cui anche la Commissione partecipa) ha recentemente confermato, ossia che non è necessario rivedere le procedure in materia di particolato.

4.5

In merito all'accesso alle informazioni (punto 2.3.5) il CESE ricorda che, secondo l'articolo 9 del regolamento n. 715/2007, la Commissione avrebbe dovuto elaborare, entro il 2 luglio 2011, un rapporto sull'argomento, che invece non è stato ancora presentato. Va da sé, dunque, che ogni decisione in merito potrà essere presa solo dopo che Consiglio e Parlamento europeo avranno visionato il rapporto in questione.

4.6

Il CESE apprezza la flessibilità che si intende accordare in termini di limiti di emissioni ad alcuni veicoli leggeri, che, una volta completati, rischiano di entrare nella categoria dei pesanti con conseguente obbligo di doppia omologazione (punto 2.4.1). L'introduzione del limite di 5  000 kg di PTT del veicolo appare coerente con l'attuale limite di 2  840 kg quale massa di riferimento. Non sembra pertanto giustificato il ricorso agli atti delegati per l'aggiornamento della procedura di prova. Al CESE sembra invece che tale proposta, già da tempo discussa, dovrebbe entrare in vigore subito, magari come norma transitoria, senza ricorso alla procedura dell'atto delegato. Ciò perché la misura avrà una durata limitata, 'in attesa della prossima 'approvazione a Ginevra, in sede UN/ECE, della nuova procedura, ossia di quella WLTP (World light duty test procedure) che cambierà tutte le procedure di prova per i veicoli leggeri e che, secondo la Commissione, sarà applicata a partire dal 2017.

4.7

Infine, anche sulla proposta di escludere i veicoli alimentati a gas dalla misurazione di ammoniaca (punto 2.4.2) il CESE appoggia la Commissione poiché si tratta di correggere una disposizione che discrimina i veicoli alimentati a gas naturale (CNG). L'argomento era già stato sollevato in sede di discussione del regolamento n. 595/2009, ma poi è stato inspiegabilmente ignorato nella stesura finale del regolamento stesso.

Bruxelles, 29 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Commissione economica delle Nazioni Unite per l'Europa.

(2)  CARS 21: Un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico per il XXI secolo, COM(2007) 22 final.

(3)  CARS 2020: Piano d'azione per una industria europea dell'automobile competitiva e sostenibile, COM(2012) 636 final.

(4)  Relazione informativa INT/656 del 18 settembre 2013 — Legiferare meglio: atti di esecuzione e atti delegati.

(5)  Commissione economica delle Nazioni Unite per l'Europa, con sede a Ginevra, che ha, tra gli altri compiti, quello di uniformare i regolamenti tecnici a livello mondiale con la partecipazione dei 58 paesi firmatari e dell'UE (WP 29).


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/59


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni che affronta le conseguenze della privazione del diritto di voto dei cittadini dell'Unione che esercitano il diritto alla libera circolazione

[COM(2014) 33 final]

2014/C 311/09

Relatore unico: GOBIŅŠ

La Commissione europea, in data 7 marzo 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni che affronta le conseguenze della privazione del diritto di voto dei cittadini dell'Unione che esercitano il diritto alla libera circolazione

COM(2014) 33 final.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il suo parere in data 7 aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 29 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 203 voti favorevoli, 5 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Punto di vista del Comitato

1.1

I cittadini dell'UE sono al centro dell'articolo 10, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione europea (TUE), il quale stabilisce che «ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell'Unione». Per forza di cose, questo deve anche includere il diritto di partecipare alle elezioni, che è un elemento essenziale della democrazia e un diritto umano fondamentale.

1.2

Uno dei diritti fondamentali dei cittadini dell'UE è il diritto alla libera circolazione. I cittadini dell'Unione, infatti, possono risiedere e lavorare in uno qualsiasi dei 28 Stati membri.

1.3

La Carta dei diritti fondamentali — che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati — stabilisce agli articoli 39 e 40 che i cittadini dell'Unione che esercitano il diritto fondamentale alla libera circolazione hanno diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Tuttavia, la Carta non menziona la partecipazione alle elezioni nazionali.

1.4

In totale sono 23 gli Stati membri che autorizzano i loro cittadini che vivono in un altro paese dell'UE a partecipare alle elezioni nazionali. In un'inchiesta informale condotta da Europeans Throughout the World (ETTW) ai fini dell'elaborazione del presente parere, le organizzazioni di residenti all'estero in Europa indicano, tra l'altro, le seguenti ragioni a favore del mantenimento del diritto di voto:

votare alle elezioni — siano esse comunali, regionali, nazionali o europee — è un diritto democratico fondamentale, che va sostenuto e tutelato.

Affinché le elezioni nazionali siano veramente democratiche, bisogna dar voce a tutti i cittadini, compresi quelli che hanno deciso di vivere e lavorare all'estero.

Il diritto di voto alle elezioni nazionali consente ai residenti all'estero di mantenere legami importanti con il loro paese di origine e di continuare ad essere «cittadini responsabili» e «buoni europei».

I residenti all'estero sono, per definizione, «ambasciatori» dei loro paesi di origine e devono spesso affrontare le conseguenze delle decisioni politiche adottate da questi ultimi.

Votare all'estero in Europa è considerato come la realizzazione del motto europeo «Unità nella diversità».

1.5

Cinque Stati membri dell'UE — Cipro, Danimarca, Irlanda, Malta e Regno Unito — vietano ai loro cittadini che vivono in un altro paese dell'UE di votare alle elezioni nazionali, immediatamente dopo aver lasciato il paese di origine oppure dopo un certo periodo di tempo. Non è chiaro quanti cittadini dell'Unione siano interessati, anche solo potenzialmente, da questo tipo di disposizione, ma si stima che circa 3 milioni di cittadini dei cinque paesi in questione vivano in un altro Stato membro dell'UE (1).

1.6

La maggioranza dei cittadini privati del diritto di voto a seguito di tali politiche, inoltre, non può partecipare alle elezioni nazionali del paese dove vive (2). Tali pratiche hanno creato un «elettorato perduto», ossia una categoria di cittadini che non ha diritto di voto alle elezioni nazionali di nessun paese.

1.7

Uno degli argomenti spesso addotti a favore di questa privazione del diritto di voto è che i cittadini che vivono all'estero perdono contatto con il paese di origine. Ciò potrebbe essere stato vero nel passato: oggi, tuttavia, grazie alle moderne tecnologie di comunicazione, è facile per i cittadini dell'UE che vivono all'estero mantenere uno stretto legame con il paese di origine. Possono infatti seguire l'attualità del loro paese alla televisione, alla radio e su Internet: quest'ultimo, in particolare, è uno strumento diffuso di interazione e partecipazione. Hanno l'opportunità di recarsi nel loro paese di origine rapidamente e a costi contenuti, e, in molti casi, pagano persino le tasse o sono titolari di pensioni nel loro paese. Il luogo di residenza fisica può difficilmente essere considerato un indicatore adeguato per giustificare la perdita del diritto di voto.

1.8

Nella raccomandazione del 29 gennaio 2014 la Commissione esorta i cinque Stati membri interessati a permettere ai loro cittadini di conservare il diritto di voto alle elezioni nazionali se dimostrano un interesse persistente per la vita politica dello Stato membro di cui sono cittadini, ad esempio attraverso la presentazione di una domanda per restare iscritti nelle liste elettorali. Il CESE avrebbe accolto con favore l'inserimento di una richiesta generale a tutti gli Stati membri di garantire che la partecipazione al voto sia altrettanto semplice per i cittadini all'estero che per quelli che vivono nel paese.

1.9

Il CESE sostiene fermamente la suddetta raccomandazione, che accompagna la comunicazione oggetto del parere.

1.10

L'articolo 20 del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE) definisce la cittadinanza dell'Unione come qualcosa che «si aggiunge» alla cittadinanza nazionale. Può apparire strano, quindi, che alcuni cittadini siano privati di un diritto fondamentale — il diritto di voto — quando ne esercitano un altro: il diritto alla libera circolazione. È comprensibile che molti considerino questa situazione come contraria all'intera filosofia della cittadinanza dell'UE.

1.11

Le norme relative al diritto di voto alle elezioni nazionali sono chiaramente una competenza nazionale, e non europea. L'UE non mette in discussione questo importante principio, né deve farlo. Tuttavia, dal punto di vista dei cittadini, occorre fare dei passi avanti in questo campo. Ai cittadini dovrebbero essere ancora consentito di esercitare i diritti fondamentali a cui tutti gli Stati membri hanno aderito nei Trattati UE, senza per questo essere privati del loro diritto di voto dalla legislazione nazionale.

1.12

Il CESE incoraggia i cinque Stati membri interessati a trovare delle modalità per essere più flessibili. Naturalmente le soluzioni saranno diverse da un paese all'altro, ma il punto cruciale è che tutti i cittadini dell'UE dovrebbero conservare il diritto di voto alle elezioni nazionali del loro paese di origine. Il Comitato incoraggia questi Stati membri a prendere in considerazione la posizione della Commissione secondo cui, invece di limitare il diritto dei cittadini di votare alle elezioni nazionali esclusivamente in base al criterio della residenza, si dovrebbe dare ai residenti all'estero l'opportunità di dimostrare il loro interesse persistente per la vita politica del paese di origine. I limiti di tempo per conservare il diritto di voto tendono, per loro stessa natura, a essere arbitrari.

1.13

Inoltre, il Comitato vorrebbe sottolineare l'importanza di fornire ai cittadini che risiedono in un altro Stato membro informazioni chiare sui loro diritti e sulle modalità per esercitarli.

1.14

Il Comitato esorta le autorità nazionali competenti a rendere il più possibile semplici e trasparenti le procedure per l'iscrizione e la votazione.

1.15

Infine, il Comitato sottolinea che la privazione del diritto di voto alle elezioni nazionali è solo un esempio delle violazioni dei diritti di cittadinanza che i cittadini subiscono quando vivono in un altro paese dell'UE. Il Comitato esorta la Commissione a individuare tutte queste violazioni in modo da fornire una panoramica completa della situazione attuale in Europa, riservando una particolare attenzione alle opportunità di esercitare una cittadinanza attiva e di partecipare al processo decisionale quotidiano.

2.   Ulteriori informazioni di base

2.1

La raccomandazione della Commissione offre una buona sintesi della situazione giuridica di ciascuno dei cinque Stati membri interessati. Tuttavia, sulla base delle informazioni fornite da ETTW, il Comitato vorrebbe aggiungere alcune osservazioni a quanto dichiarato dalla Commissione:

2.2

Cipro: circa 4 80  000 cittadini ciprioti vivono in un altro paese dell'UE, che nella maggior parte dei casi è il Regno Unito. Nonostante quanto viene affermato, tuttavia, questi cittadini hanno potuto partecipare alle elezioni nazionali dell'anno scorso. In altri termini, sembrerebbe esservi una discrepanza tra la situazione giuridica e le prassi effettive.

2.3

Danimarca: circa 1 40  000 cittadini danesi vivono in un altro paese dell'UE. La Costituzione danese stabilisce che un cittadino danese ha diritto di voto alle elezioni per il Parlamento danese se risiede in modo permanente nel paese. Sono state tuttavia introdotte numerose deroghe. In determinate circostanze, infatti, i cittadini conservano il diritto di voto per 12 anni e, in alcuni casi, anche oltre. Queste deroghe mettono in discussione l'argomento «costituzionale» a favore del mantenimento di una privazione generalizzata dei diritti dei cittadini danesi che vivono all'estero.

2.4

Irlanda: il numero di cittadini irlandesi che vivono all'estero è molto elevato — secondo una recente stima ufficiale, si tratterebbe di circa 3 milioni, di cui mezzo milione in un altro Stato dell'UE. Uno degli argomenti che vengono addotti contro la concessione dei diritto di voto ai residenti all'estero è che questi ultimi potrebbero diventare un fattore dominante nella vita politica del paese. Sviluppi recenti, tuttavia, indicano che i cittadini irlandesi che vivono all'estero potrebbero gradualmente acquisire il diritto di voto. Il 78 % dei delegati nella convenzione costituzionale attualmente convocata è favorevole a concedere ai residenti all'estero il diritto di voto alle elezioni presidenziali. In una legge di riforma del Seanad (la camera alta del Parlamento) è stato addirittura proposto che i residenti all'estero abbiano diritto di voto alle elezioni della camera alta. Mentre la risposta del governo alla convenzione costituzionale si fa ancora attendere, sembra esservi aria di cambiamento sulla questione della privazione del diritto di voto in Irlanda.

2.5

Malta: 1 01  700 cittadini maltesi vivono in un altro Stato membro dell'UE, per la stragrande maggioranza nel Regno Unito (3). La Costituzione maltese stabilisce che un cittadino maltese può esercitare il diritto di voto se «è residente a Malta e nei diciotto mesi immediatamente precedenti alla sua iscrizione è stato residente per un periodo continuo di sei mesi o per periodi che ammontino complessivamente a sei mesi». In una storica sentenza del 2003 un tribunale maltese ha stabilito che il riferimento alla «residenza» nella Costituzione maltese va interpretato come «residenza abituale», poiché l'interpretazione più restrittiva di «residenza» come «residenza fisica» violerebbe la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. A questa sentenza non ha mai fatto seguito un emendamento della Costituzione.

2.6

Regno Unito: circa 2,2 milioni di cittadini del Regno Unito vivono in un altro Stato membro dell'UE. Le norme che disciplinano il loro diritto di voto alle elezioni parlamentari del Regno Unito sono state modificate tre volte negli ultimi trent'anni. Prima del 1985 i residenti all'estero non potevano votare in nessun caso, ma da allora i cittadini perdono il loro diritto di voto solo dopo aver trascorso cinque anni all'estero. Tale lasso di tempo è stato portato a 20 anni nel 1989 e poi ridotto a 15 nel 2000, e questa è la disposizione ancora in vigore. Molto di recente, tuttavia, i liberaldemocratici — che fanno parte del governo di coalizione — hanno deciso, in occasione del congresso del loro partito del 1o e 2 marzo 2014, che i cittadini del Regno Unito che vivono in Europa dovrebbero avere diritto di voto alle elezioni nazionali.

Bruxelles, 29 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Stando ai dati forniti da Eurostat, nel 2013 1,17 milioni di cittadini dell'UE dei cinque paesi in questione vivevano in un altro Stato membro, ma questo dato non comprende i cittadini di un altro paese UE che vivono in Grecia, Francia, Croazia, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Malta e Regno Unito (benché siano calcolati i cittadini irlandesi residenti nel Regno Unito).

(2)  Secondo la Commissione, nessuno Stato membro ha adottato una politica generale che accordi ai cittadini degli altri Stati membri che risiedono nel suo territorio il diritto di voto alle elezioni nazionali. Vi sono, tuttavia, delle eccezioni: i cittadini considerati qualifying Commonwealth citizens possono votare alle elezioni parlamentari nazionali nel Regno Unito e i cittadini del Regno Unito possono votare alle elezioni parlamentari nazionali in Irlanda.

(3)  Dati forniti dal governo maltese.


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno e nei paesi terzi

[COM(2013) 812 final — 2013/0398 (COD)]

2014/C 311/10

Relatore: ŠARMÍR

Il Parlamento europeo, in data 9 dicembre 2013, e il Consiglio, in data 11 dicembre 2013, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 42, 43, paragrafo 2, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad azioni di informazione e di promozione a favore dei prodotti agricoli sul mercato interno e nei paesi terzi.

COM(2013) 812 final — 2013/0398 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 30 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 4 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) apprezza l'impegno profuso dalla Commissione nel semplificare e rendere più efficace la politica di promozione dei prodotti agroalimentari europei.

1.2

Il CESE accoglie con particolare favore l'obiettivo della Commissione di aumentare significativamente il bilancio destinato al sostegno delle azioni di promozione e di sviluppare una vera e propria strategia di promozione.

1.3

Il CESE è consapevole della necessità di incentivarne maggiormente la promozione nei paesi terzi, dato che questi ultimi hanno un grande potenziale di assorbimento dei prodotti agroalimentari europei e dato che, fino ad ora, meno del 30 % del bilancio destinato alle azioni di promozione ha riguardato tali paesi. Tuttavia, l'ambizione di attribuire il 75 % del bilancio alle azioni di promozione nei paesi terzi ci sembra sproporzionata rispetto alle sfide reali del settore agroalimentare europeo. Una soluzione adeguata sarebbe piuttosto quella di ripartire gli importi destinati alla promozione al 50 % tra Europa e paesi terzi.

1.4

Secondo il CESE, i prodotti agricoli europei subiranno, sul mercato dell'UE, una concorrenza sempre più accanita da parte dei prodotti importati. Per tale ragione sarà necessario intensificare le azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli europei nell'UE, tanto più che la maggior parte dei consumatori europei non è a conoscenza dei vantaggi comparati di tali prodotti.

1.5

Il CESE raccomanda che, in casi ben definiti e a titolo eccezionale, sia possibile incentivare la promozione dei prodotti agroalimentari di uno Stato membro sul suo territorio.

1.6

Il CESE raccomanda che i prodotti alimentari di seconda trasformazione (non inclusi nell'allegato I del TFUE) siano citati esplicitamente nell'articolo 5 come prodotti ammissibili; chiede anche di sopprimere l'esclusione esplicita dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura.

1.7

Il CESE raccomanda che la promozione del vino possa beneficiare del sostegno europeo non soltanto se un altro prodotto alimentare fa parte del programma considerato, ma anche quando tale programma sia legato a un progetto di agriturismo.

1.8

Il CESE raccomanda che il sostegno dell'UE alla promozione del latte destinato specificamente agli alunni degli istituti scolastici dell'Unione possa coprire fino al 60 % dei costi, come nel caso dei prodotti ortofrutticoli.

1.9

Il CESE chiede che sia mantenuto l'obbligo per gli Stati membri di contribuire ai costi delle campagne di promozione a concorrenza del 30 %. In caso contrario, molti candidati potenziali non avranno le risorse finanziarie necessarie per la realizzazione dei programmi di promozione. Il CESE insiste sulla necessità di garantire alle organizzazioni professionali di tutti gli Stati membri le stesse possibilità di beneficiare del sostegno per la promozione dei loro prodotti agroalimentari.

1.10

Il CESE raccomanda che le candidature presentate dalle organizzazioni al fine di ottenere il sostegno dell'UE siano depositate presso lo sportello unico della Commissione e che le informazioni riguardanti ogni candidatura siano trasmesse allo Stato membro di cui è originaria l'organizzazione che l'ha presentata prima che la Commissione prenda una decisione in merito.

1.11

Il Comitato raccomanda di semplificare le procedure amministrative per l'elaborazione e il monitoraggio dei programmi promozionali, in particolare riducendo il numero di relazioni richieste dalla Commissione. In particolare, è importante alleggerire gli oneri amministrativi ed è necessario introdurre maggiore flessibilità affinché sia possibile adeguare i programmi alle mutevoli condizioni del mercato durante la fase di attuazione. A tal fine, è opportuno ridurre la quantità di dettagli da fornire al momento della presentazione dei programmi (1).

2.   Osservazioni generali

2.1

La politica di sostegno alla promozione dei prodotti agricoli è necessaria al fine di assicurare lo sviluppo dell'agricoltura europea, dato che gli operatori del settore agroalimentare devono far fronte a una concorrenza sempre più dura per imporsi sul mercato europeo e sul mercato globale.

2.2

Il regolamento (CE) n. 3/2008 permetteva di condurre azioni di promozione sostenute dall'Unione europea, i cui meccanismi si sono rivelati di gran lunga più adatti alle sfide poste dall'economia globalizzata di quanto non lo fossero quelli del sistema precedentemente instaurato dai regolamenti (CE) n. 2702/1999 e 2826/2000. Le campagne di promozione realizzate conformemente al regolamento (CE) n. 3/2008 mettevano in evidenza la qualità, il valore nutritivo e la sicurezza dei prodotti agroalimentari dell'Unione europea, richiamando inoltre l'attenzione su altre caratteristiche e vantaggi peculiari di tali prodotti, come i metodi di produzione, l'etichettatura, il benessere degli animali e il rispetto dell'ambiente. Le attività di promozione potevano consistere in campagne pubblicitarie, in attività di promozione nei punti vendita, in campagne di relazioni pubbliche o nella partecipazione a esposizioni, a saloni, ecc. Tra il 2000 e il 2012, l'UE ha cofinanziato 552 programmi di promozione.

2.3

Tuttavia, le esperienze legate al sistema di sostegno alla promozione dei prodotti agricoli previsto dal regolamento (CE) n. 3/2008 ne hanno già mostrato i limiti, poiché, in un contesto interessato dalla crisi economica e finanziaria, risulta di cruciale importanza utilizzare più strumenti e rendere più mirate le azioni di promozione.

2.4

La presente proposta è stata preceduta dal Libro verde — Politica di informazione e promozione dei prodotti agricoli: una strategia a forte valore aggiunto europeo per promuovere i sapori dell'Europa (COM(2011) 436 final), e dalla comunicazione della Commissione — Politica di informazione e promozione dei prodotti agricoli: una strategia a forte valore aggiunto europeo per promuovere i sapori dell'Europa (COM(2012) 148 final). Il Comitato economico e sociale europeo si è pronunciato su questi due documenti (2) e accoglie con soddisfazione il fatto che la Commissione abbia in gran parte tenuto conto delle conclusioni e delle raccomandazioni dei due pareri, in particolare per quanto riguarda l'aumento del bilancio e la semplificazione della procedura amministrativa.

2.5

Un altro obiettivo della proposta è l'elaborazione di una strategia europea che consenta azioni di promozione più mirate. Tale strategia dovrebbe permettere di aumentare il numero di programmi destinati ai paesi terzi, il numero di programmi multipli (proposti da organizzazioni di più Stati membri) e di ovviare, sul mercato interno, alla conoscenza molto limitata del valore dei prodotti agricoli europei da parte dei consumatori. In effetti, tra il 2010 e il 2011, solo il 30 % delle spese per azioni di informazione e di promozione era destinato ai mercati dei paesi terzi, nonostante tali mercati offrano un potenziale di crescita elevato. Si aggiunga inoltre che solo il 14 % degli europei riconosce il logo dei prodotti a denominazione di origine protetta (DOP) o a indicazione geografica protetta (IGP).

2.6

In base alla proposta in esame, l'importo totale degli aiuti dovrebbe aumentare significativamente e la valutazione dei progetti dovrebbe avvenire soltanto a livello della Commissione, senza essere preceduta da una prima valutazione a livello dello Stato membro.

2.7

Altre grandi novità presentate dalla proposta riguardano la possibilità di disciplinare con precisione l'indicazione dell'origine e dei marchi dei prodotti, di estendere il campo dei beneficiari alle organizzazioni dei produttori e di aumentare il numero dei prodotti ammissibili.

3.   Considerazioni particolari

3.1   La nuova strategia di promozione

3.1.1

La futura strategia di promozione ha tra i suoi obiettivi quello di sostenere maggiormente le azioni nei paesi terzi, obiettivo chiaramente pertinente poiché questi nuovi mercati a elevato potenziale di crescita sono in grado di assorbire una buona parte della produzione europea, a condizione, però, di convincere i loro consumatori dei vantaggi specifici dei prodotti agroalimentari europei. Tuttavia, tale priorità strategica non dovrebbe pregiudicare gli sforzi volti a promuovere sul mercato interno i prodotti agroalimentari europei, anche se questi ultimi si trovano a dover far fronte a una concorrenza sempre più forte da parte dei prodotti importati. Per questo motivo ci sembra sproporzionato ed eccessivo rispetto alle sfide reali dell'agricoltura europea voler destinare l'obiettivo di destinare il 75 % delle spese stimate alla realizzazione di azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli dell'Unione nei paesi terzi (considerando 8 del preambolo) Destinare a tali paesi il 50 % delle spese potrebbe essere un obiettivo più equilibrato.

3.1.2

I prezzi dei prodotti importati sono spesso più bassi rispetto a quelli dei prodotti europei, non soltanto per i ridotti costi socioeconomici ma anche per le norme di produzione meno severe in termini di sicurezza, di tracciabilità degli alimenti, di salute e di sicurezza dei lavoratori. Invece, come indicato nella proposta, la maggior parte dei consumatori degli Stati membri non sono consapevoli della «qualità integrale» (3) dei prodotti agroalimentari europei. Bisogna quindi destinare alla promozione dei prodotti europei sul mercato interno sforzi altrettanto intensi di quelli indirizzati ai mercati dei paesi terzi, impegno che risulta ancor più inderogabile dal momento che la maggioranza degli europei, contrariamente alla maggior parte degli abitanti dei paesi terzi, può permettersi di pagare i vantaggi peculiari di questi prodotti che essi continueranno ad acquistare solo se convinti di tali vantaggi. Inevitabilmente, a causa della globalizzazione e degli effetti della crisi su una parte consistente della popolazione europea, l'UE sarà sempre più inondata da prodotti a buon mercato provenienti dai paesi terzi.

3.1.3

Le norme generali dell'UE vietano la promozione dei prodotti di un solo Stato membro, poiché tale attività potrebbe essere considerata protezionistica. Ciò appare logico, dato che il mercato comune dovrebbe essere privo di barriere. Tuttavia, sembra che, in casi debitamente motivati, questa norma potrebbe essere soggetta a deroghe, in particolare quando alcuni obiettivi della costruzione europea appaiono compromessi, come nel caso dell'obiettivo di uno sviluppo regionale equilibrato. Infatti, le forze di mercato da sole riescono a volte a sostituire la produzione nazionale di uno Stato membro con prodotti importati da un altro Stato membro; lo sviluppo dell'agricoltura in un paese è quindi ottenuto a scapito dell'agricoltura di un altro paese. Per questo motivo pensiamo che sarebbe giusto autorizzare, o addirittura incoraggiare, a titolo eccezionale, caso per caso e secondo criteri ben definiti, la promozione dei prodotti agricoli di uno Stato membro sul proprio mercato.

3.1.4

Tra le priorità dell'Unione europea figurano lo sviluppo territoriale e sociale equilibrato e la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari. Ora, lo sviluppo è tutt'altro che equilibrato e la situazione non migliora. Inoltre, in vari Stati membri, la sicurezza degli approvvigionamenti è ultimamente scesa al di sotto di una soglia molto preoccupante: in Slovacchia, per esempio, il tasso di autosufficienza è pari solamente al 47 %. Un'agricoltura efficiente è indubbiamente l'elemento essenziale per raggiungere i due obiettivi succitati, ma l'agricoltura non può funzionare correttamente senza un numero di sbocchi sufficiente. Il declino dell'agricoltura in alcuni Stati membri è direttamente legato alla vendita dei prodotti agroalimentari nazionali sul mercato interno del paese. Le ragioni sono complesse, ma il rilancio dell'agricoltura necessita, tra le altre cose, di campagne d'informazione che si indirizzino ai consumatori del paese e che esaltino le qualità dei prodotti nazionali.

3.1.5

In realtà, secondo dati attendibili, il calo degli acquisti di prodotti nazionali in alcuni Stati membri non deriva sempre da un migliore rapporto qualità-prezzo dei prodotti importati, ma può essere dovuto ad altri fattori. Ad esempio, nei paesi dell'ex blocco comunista dell'Europa centrale, gli attori principali della grande distribuzione sono società commerciali originarie dell'Europa occidentale che naturalmente intrattengono rapporti privilegiati con i fornitori dei paesi dove erano già insediate prima e dove spesso sono situati i centri d'acquisto per i nuovi paesi.

3.2   Prodotti ammissibili

3.2.1

Il considerando 6 del preambolo, così come i documenti d'informazione ufficiali pubblicati dalla Commissione, indicano che il regime di promozione sarà ormai aperto a tutti i prodotti agroalimentari che non rientrano nell'allegato I del TFUE (prodotti agricoli di seconda trasformazione) e ammissibili ai regimi europei di qualità come il cioccolato, i dolciumi, la birra, ecc. Tale apertura è considerata una delle principali innovazioni del nuovo regime. Ora, l'articolo 5 della proposta, riguardante i prodotti e i temi ammissibili, non fa riferimento a tale apertura poiché definisce prodotti ammissibili solo i prodotti agricoli e alimentari che figurano nell'allegato I, più il vino e l'acquavite. Ciò comporta dei problemi in quanto il contenuto di tali disposizioni non è chiaro.

3.2.2

Tra i prodotti ammissibili, il vino è il solo prodotto per cui il sostegno alle azioni di informazione e di promozione è condizionato. La condizione posta è quella di promuovere contemporaneamente un altro prodotto. La ragione è da ricondurre al fatto che l'attività di informazione e promozione dei vini dell'Unione è una delle misure faro dei programmi di aiuto nel settore vitivinicolo previsti dalla PAC nell'ambito dell'organizzazione comune del mercato. Tuttavia, il principio della promozione del vino insieme ad altri prodotti è posto in dubbio dall'esclusione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura, che costituiscono un accompagnamento naturale di determinati vini. Il CESE chiede che l'eccezione relativa a tali prodotti nell'articolo 5 sia soppressa.

3.2.3

Tuttavia, i vini europei devono far fronte alla concorrenza particolarmente intensa dei «vini del Nuovo Mondo» con una conseguente diminuzione della produzione nei paesi europei e un aumento della produzione in paesi come il Cile, l'Argentina, l'Africa del Sud, l'Australia, gli Stati Uniti o addirittura la Cina. Le ragioni di tale situazione sono complesse, ma, in generale, i vini importati hanno un prezzo più basso, meno qualità «accessorie» (pochissime informazioni sull'indicazione geografica, nessun controllo di qualità ufficiale, una tipicità legata al millesimo o alla zona di produzione nettamente inferiore, numero di vitigni limitato, ecc.) e godono di un'attività di promozione molto rilevante. Inoltre, la capacità dei produttori dei paesi terzi di garantire la consegna regolare, in quantità sufficiente e ad un prezzo interessante, di prodotti in grado di mantenere inalterate le caratteristiche organolettiche risulta molto invitante per le società della grande distribuzione, le quali sono proprio alla ricerca di questo genere di fornitori. Per il settore vitivinicolo europeo, molto più diversificato, è più difficile rispondere a tali esigenze.

3.2.4

I vini europei di qualità devono quindi essere oggetto di un numero ancora maggiore di azioni di promozione e d'informazione affinché i potenziali consumatori possano conoscerne i vantaggi comparati. Se il sostegno apportato alla promozione dei vini europei dev'essere condizionato per le ragioni riportate precedentemente (paragrafo 3.2.2), raccomandiamo di prevedere un'opzione supplementare oltre alla promozione contemporanea, di un altro prodotto agricolo. Questa alternativa permetterebbe di associare la promozione dei vini a attività di agriturismo. Infatti, in diversi paesi dell'Europa centrale, questo tipo di promozione vinicola è risultata efficace.

3.2.5

Il rapporto reciprocamente vantaggioso che lega il vino alle attività di agriturismo può estendersi in effetti in futuro anche al complesso dei prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento, come pure della pesca e dell'acquacoltura, in modo da massimizzare le sinergie e favorire la diversificazione delle fonti di reddito nelle zone rurali e costiere.

3.3   Attuazione e gestione dei programmi semplici

3.3.1

Secondo il sistema instaurato dal regolamento (CE) n. 3/2008, le autorità nazionali degli Stati membri proponevano, due volte all'anno, delle campagne che avrebbero potuto beneficiare del sostegno dell'Unione. Tali autorità trasmettevano in seguito le proposte ricevute alla Commissione europea, che a sua volta operava una selezione. La proposta in esame mira a semplificare tale procedura grazie a uno sportello unico di selezione dei programmi, selezione che sarà effettuata dalla Commissione solo una volta all'anno. Si tratta indubbiamente di una semplificazione della procedura amministrativa. Tuttavia, la gestione dei programmi «semplici» (provenienti da un solo Stato membro) continuerà ad essere condivisa con gli Stati membri, dopo la selezione effettuata dalla Commissione.

3.3.2

Il CESE raccomanda che le candidature presentate dalle organizzazioni al fine di ottenere il sostegno dell'UE siano depositate presso lo sportello unico della Commissione e che le informazioni riguardanti ogni candidatura siano trasmesse allo Stato membro di cui è originaria l'organizzazione che l'ha presentata prima che la Commissione prenda una decisione in merito.

3.3.3

Nel sistema precedente, l'Unione europea poteva finanziare la metà dei costi di una data campagna. L'organizzazione commerciale che proponeva la realizzazione di una campagna doveva contribuire almeno al 20 % dei costi, mentre il finanziamento residuo era a carico delle autorità nazionali (4). In alcuni casi, come ad esempio la promozione di prodotti ortofrutticoli destinati agli alunni europei, l'Unione europea poteva contribuire al 60 % dei costi.

3.3.4

Nel sistema previsto dal regolamento proposto, i programmi saranno cofinanziati esclusivamente dall'organizzazione proponente e dall'Unione europea. Le autorità nazionali non avranno quindi più né l'obbligo né la possibilità di contribuire al costo dei programmi.

3.3.5

L'Unione può contribuire al finanziamento del programma per il 50 % o per il 60 % se si tratta di un programma multiplo, di un programma destinato a uno o più paesi terzi o di programmi riguardanti prodotti ortofrutticoli destinati agli alunni degli istituti scolastici dell'Unione.

3.3.6

Il CESE valuta positivamente il fatto che sempre più programmi siano ormai ammissibili all'ottenimento di un contributo finanziario dell'UE equivalente al 60 % del costo dei programmi. Tuttavia, il contributo dell'organizzazione proponente sarà chiaramente più elevato rispetto al regime precedente, dato che le autorità nazionali non possono più partecipare. Tale situazione scoraggerà certamente quelle organizzazioni che dispongono di risorse finanziarie limitate, con il risultato di permettere alle organizzazioni relativamente ricche di usufruire maggiormente del sistema di sostegno alle azioni di informazione e di promozione.

3.3.7

Il CESE ritiene dunque opportuno che le autorità nazionali continuino ad avere la possibilità di contribuire ai costi delle azioni di promozione (fino al 30 %), almeno nel caso in cui gli Stati membri partecipino alla gestione dei programmi (programmi semplici).

3.3.8

Allo stesso tempo, è inoltre opportuno autorizzare un contributo più elevato da parte dell'UE (60 % dei costi) per le azioni d'informazione e di promozione del latte destinato agli alunni degli istituti scolastici dell'Unione. Infatti, per una sana e corretta alimentazione, i bambini di oggi hanno bisogno di consumare non soltanto più frutta e verdura, ma anche più latte e più prodotti caseari.

Bruxelles, 30 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Parere del CESE sulla Politica di informazione e promozione dei prodotti agricoli: una strategia a forte valore aggiunto europeo per promuovere i sapori dell'Europa, GU C 43 del 15.2.2012, pagg. 59-64.

(2)  GU C 43 del 15.2.2012, pagg. 59-64 e GU C 299 del 4.10.2012, pagg. 141-144.

(3)  Parere del CESE sul tema Il modello agricolo comunitario: qualità della produzione e comunicazione ai consumatori come elementi di competitività, GU C 18 del 19.1.2011, pagg. 5-10.

(4)  Regolamento (CE) n. 3/2008, articolo 13, comma 3.


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n. 850/98, (CE) n. 2187/2005, (CE) n. 1967/2006, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 254/2002, (CE) n. 2347/2002 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 1434/98 del Consiglio per quanto riguarda l'obbligo di sbarco

[COM(2013) 889 final — 2013/0436 (COD)]

2014/C 311/11

Relatore unico: SARRÓ IPARRAGUIRRE

Il Parlamento europeo, in data 13 gennaio 2014, e il Consiglio, in data 16 gennaio 2014, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 43 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n. 850/98, (CE) n. 2187/2005, (CE) n. 1967/2006, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 254/2002, (CE) n. 2347/2002 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 1434/98 del Consiglio per quanto riguarda l'obbligo di sbarco

COM(2013) 889 final — 2013/0436 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014, (seduta del 29 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 199 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

In seguito all'adozione della nuova politica comune della pesca (PCP), che prevede un nuovo obbligo di sbarco per le specie soggette a un totale ammissibile di catture (TAC), a contingenti o a taglie minime di riferimento per la conservazione, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene indispensabile adeguare la vigente normativa, che prescrive in determinati casi il rigetto in mare delle catture, in funzione di tale obbligo di sbarco.

1.2

Il Comitato ritiene inoltre che la proposta della Commissione sia troppo complessa e che l'obbligo di sbarco comporterà per i pescatori un aumento eccessivo e sproporzionato del lavoro. Reputa quindi che occorra puntare a una normativa maggiormente pragmatica, chiara, semplice e flessibile, che dia ai pescatori il tempo per adeguarsi, grazie a un periodo transitorio, senza incorrere in sanzioni severe.

1.3

Il CESE si rammarica che non sia stata realizzata una valutazione preliminare d'impatto intesa a valutare le ripercussioni che l'attuazione dell'obbligo di sbarco avrà sulle varie flotte da pesca.

1.4

Il CESE ritiene che le misure tecniche rappresentino un aspetto fondamentale dell'attività di pesca e che, per questo motivo, le decisioni in questa materia andrebbero prese dopo un contatto diretto con i porti, dovrebbero essere specificamente rapportate a casi concreti, essere di natura temporanea e basarsi su processi decisionali rapidi ed efficaci che permettano un adattamento alle mutevoli circostanze e alle variazioni riguardanti le specie interessate.

1.5

Il Comitato esorta il colegislatore a tener conto dei propri commenti sulle nuove definizioni, la composizione e la registrazione delle catture, i nuovi obblighi di controllo, le autorizzazioni di pesca, i margini di tolleranza, il controllo attraverso telecamere a circuito chiuso (CCTV) e le sanzioni.

2.   Contesto

2.1

L'11 dicembre 2013 è stato adottato il regolamento (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla politica comune della pesca. Tale regolamento si applica a decorrere dal 1o gennaio 2014.

2.2

Con la sua adozione è stato abrogato il regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell'ambito della politica comune della pesca, in vigore dal 1o gennaio 2003 al 31 dicembre 2013.

2.3

Il nuovo regolamento sulla PCP modifica e abroga differenti regolamenti, decisioni e direttive per adattarli alle norme in esso contenute.

2.4

Una di queste, che ha portato all'elaborazione del presente parere, è quella formulata nell'articolo 15 sulle misure per la conservazione e lo sfruttamento sostenibile delle risorse biologiche marine, ed essa fa riferimento all'obbligo di sbarco.

2.5

L'obbligo di sbarco previsto dal nuovo regolamento (UE) n. 1380/2013 comporta di per sé la modifica di sette regolamenti (CE) precedenti e l'abrogazione di un ottavo regolamento.

3.   Considerazioni generali

3.1

L'iter della revisione della PCP prevista dal regolamento (UE) n. 1380/2013 è durato più di quanto inizialmente previsto, tanto da ritardare di un anno l'entrata in vigore del suddetto regolamento, a causa soprattutto della contrastata introduzione dell'obbligo di sbarco, noto anche come divieto di rigetti in mare.

3.2

È possibile affermare che l'obiettivo principale della nuova PCP è la progressiva eliminazione — mediante l'obbligo di sbarco — dei rigetti in tutte le attività di pesca praticate nell'Unione europea (UE).

3.3

Nel punto 1.8 delle conclusioni del parere sulla riforma della PCP, il CESE riteneva che la politica di divieto dei rigetti fosse «un obiettivo auspicabile», ma invocava «un approccio più graduale e proporzionato basato sulla riduzione progressiva dei rigetti, che [promuovesse e incentivasse] la selettività degli attrezzi da pesca, misure per la loro valorizzazione mediante la trasformazione in prodotti con valore aggiunto e la ricerca di sbocchi commerciali, adeguando le infrastrutture delle flotte e dei porti di pesca».

3.4

In quest'ottica, è opportuno ricordare che la proposta di regolamento di base della PCP introduceva il divieto dei rigetti, a seconda delle differenti specie, tra il 1o gennaio 2014 e il 31 dicembre 2015.

3.5

Verso la fine del 2013 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno raggiunto un accordo politico che prevedeva un nuovo calendario per l'entrata in vigore dell'obbligo di sbarco attraverso un'applicazione più graduale di quella inizialmente prevista, ossia tra il 1o gennaio 2015 e il 1o gennaio 2019.

3.6

Per rendere attuabile l'obbligo di sbarco è necessario abolire o modificare, nell'ambito dei vigenti regolamenti relativi alle misure tecniche e alle misure di gestione nonché al controllo della pesca, una serie di disposizioni che sono in contrasto con l'obbligo di sbarco, in quanto impongono ai pescatori di rigettare in mare il pesce catturato.

3.7

Il Consiglio ha esortato la Commissione ad agire rapidamente per modificare la regolamentazione esistente. La Commissione intende elaborare un nuovo quadro di misure tecniche volto ad agevolare la piena attuazione dell'obbligo di sbarco. Tuttavia, è probabile che il nuovo quadro non entrerà in vigore in tempo utile per il primo gruppo di attività di pesca cui si applica l'obbligo di sbarco a decorrere dal 1o gennaio 2015.

3.8

In attesa dell'elaborazione di tale nuovo quadro, è quindi necessario istituire in via transitoria disposizioni tese ad eliminare tutti gli eventuali ostacoli giuridici e pratici all'attuazione dell'obbligo di sbarco.

3.9

Sono queste nuove disposizioni, che il CESE ritiene indispensabili per la corretta attuazione della nuova PCP, ad essere oggetto dell'attuale proposta della Commissione e dell'esame del CESE nei punti seguenti del presente parere.

4.   Osservazioni generali

4.1

La proposta inizia con l'introduzione di alcuni cambiamenti nelle definizioni che sono comuni a vari regolamenti, come l'introduzione del nuovo termine «catture indesiderate» o la nuova denominazione «taglia minima di riferimento per la conservazione» (TMRC) che sostituisce «taglia minima di sbarco» (TMS).

4.2

La maggior parte dei cambiamenti nei regolamenti relativi a misure tecniche è tesa a eliminare l'obbligo dei rigetti in mare che l'attuale normativa impone in tre casi:

mancato rispetto delle norme relative alla composizione delle catture;

mancato raggiungimento delle taglie minime di sbarco;

mancato rispetto delle disposizioni sulle catture accessorie.

4.3

La Commissione propone di mantenere in vigore l'obbligo di rigettare in mare tutto quello che non è soggetto all'obbligo di sbarco e di eliminare, tramite esenzioni, quello che rimarrà soggetto all'obbligo di sbarco, che dovrà inoltre essere imputato ai contingenti.

4.4

Il CESE ritiene che le misure tecniche rappresentino un aspetto fondamentale dell'attività di pesca e, per questo motivo, le decisioni in questa materia andrebbero prese dopo un contatto diretto con i porti, dovrebbero essere specificamente rapportate a casi concreti, essere di natura temporanea e basarsi su processi decisionali rapidi ed efficaci che permettano un adattamento alle mutevoli circostanze e alle variazioni riguardanti le specie interessate. Purtroppo il processo decisionale dell'UE non permette che le cose si svolgano in questo modo.

4.5

Il Comitato reputa che la proposta di regolamento sia molto complessa e che genererà un lavoro supplementare eccessivo e sproporzionato per i pescatori al momento di dare attuazione all'obbligo di sbarco. Per questo motivo ritiene che sarebbe necessaria una normativa più realistica, chiara, semplice e flessibile, che conceda ai pescatori un periodo transitorio — come è avvenuto in altri paesi — affinché possano adattarsi senza essere severamente puniti. Pertanto, reputa che non siano giustificate le nuove misure di controllo introdotte per assicurare l'assoluto rispetto, sin dal primo giorno, di una normativa di cui non si ha alcuna esperienza precedente.

4.6

In quest'ottica, il CESE si rammarica che non sia stata realizzata una valutazione preliminare d'impatto che esaminasse le ripercussioni che l'attuazione dell'obbligo di sbarco avrà sulle varie flotte pescherecce. In particolare, ritiene che questa valutazione sia specialmente necessaria per la pesca pelagica che viene realizzata in zone di pesca esterne gestite dalle organizzazioni regionali per la pesca (ORP). Per queste zone è indispensabile uno studio preliminare completo, nella prospettiva di un'applicazione armonizzata della normativa UE che tenga conto delle regolamentazioni già esistenti in queste ORP, in modo da evitare un pregiudizio comparativo e una minaccia per la competitività delle flotte pescherecce dell'UE che operano in zone di pesca esterne.

5.   Osservazioni particolari

5.1

In rapporto alla definizione di «catture indesiderate», ossia le catture accidentali di organismi marini di cui è vietata la pesca nelle circostanze pertinenti, il Comitato ritiene che la definizione sia semplice, ma non molto soddisfacente, perché normalmente si tratta di specie non bersaglio inevitabili e preziose che, per motivi di ripartizione dei contingenti o di altre norme, l'attrezzo di pesca o l'operatore concreto non avevano il permesso di trattenere. Il CESE reputa più opportuno definirle come «le catture accidentali che non rispettino pienamente la normativa in vigore».

5.2

Per quanto riguarda la definizione di «taglia minima di riferimento per la conservazione», per il momento si tratta meramente di un cambiamento di termine, dimodoché la specie che non raggiunga questa taglia e sia soggetta all'obbligo di sbarco dovrà essere sbarcata in modo indipendente e controllato, affinché non ritorni nel circuito commerciale, mentre le specie non soggette continueranno ad essere rigettate in mare. Il CESE ritiene che occorra prendere in considerazione dei margini di errore per tener conto della difficoltà tecnica di separare in modo preciso, tra le specie con obbligo di sbarco, le differenti TMRC, perché altrimenti si genererà un'incertezza giuridica enorme.

5.3

La modifica apportata alle disposizioni sulla composizione delle catture, che adesso obbligano a scaricare le specie soggette all'obbligo di sbarco, non chiarisce in alcuni casi se queste catture indesiderate debbano essere prese in considerazione al momento di calcolare le percentuali di composizione. In quest'ottica, il Comitato ritiene che si ponga il problema di sapere a quali contingenti verranno imputate queste catture, una domanda a cui è difficile rispondere senza conoscere la flessibilità che sarà apportata dai differenti meccanismi previsti e senza sapere quale sarà in futuro l'andamento dello scambio di contingenti tra Stati membri (i cosiddetti swap) e la politica della Commissione nel fissare il totale ammissibile di catture per le differenti specie nelle attività di pesca multispecifiche. Se il criterio è quello del rendimento massimo sostenibile, verranno generati squilibri che porteranno a una penuria generalizzata di determinati contingenti, con il risultato che molte attività di pesca rimarranno strozzate.

5.4   Registrazione delle catture e dei rigetti

5.4.1

La modifica apportata all'articolo 14 del regolamento (CE) n. 1224/2009 sulla tenuta e la presentazione del giornale di bordo, che al paragrafo 1 prima recitava «indicando in particolare tutti i quantitativi di ciascuna specie catturata e detenuta a bordo superiori a 50 kg in equivalente peso vivo», ha eliminato quest'ultimo criterio. Il CESE ritiene che questa misura complicherà notevolmente il lavoro, specialmente sulle piccole imbarcazioni, sebbene questa disposizione sia applicabile soltanto a quelle di lunghezza superiore a 10 metri. Se l'intenzione è migliorare l'informazione, questo obiettivo può essere raggiunto con sufficiente precisione mediante campionamento.

5.4.2

Inoltre il Comitato reputa che la modifica apportata alla lettera f), che adesso impone di indicare «i quantitativi o gli individui di taglia inferiore alla pertinente taglia minima di riferimento per la conservazione», possa anche talvolta implicare un compito sproporzionato, soprattutto per la flotta artigianale.

5.4.3

Il paragrafo 4 stabiliva che «i comandanti dei pescherecci comunitari registrano inoltre nel giornale di pesca tutte le stime dei rigetti di un volume superiore a 50 kg in equivalente peso vivo per qualsiasi specie». Il CESE ritiene che l'eliminazione in questo paragrafo del riferimento ai 50 kg comporti anch'esso un lavoro considerevole che non è stato neppure stimato. Bisogna tener conto che il testo fa riferimento a tutte le specie, siano esse soggette o meno all'obbligo di sbarco.

5.5

Il nuovo obbligo di controllo che l'articolo 15, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 850/98 impone agli armatori richiama in particolare l'attenzione del CESE, visto che non è possibile sapere in anticipo cosa sarà catturato da un peschereccio in una bordata di pesca e non si possono pretendere capacità divinatorie dagli armatori. Sebbene la formulazione sia vaga in rapporto ai risultati pratici di questo requisito o alla sua inosservanza, si potrebbe arrivare ad applicarlo per infliggere sanzioni a degli armatori oppure per esacerbare qualsiasi situazione di conflitto. Pertanto il Comitato ritiene che occorra eliminare questo punto che può generare una grave incertezza giuridica.

5.6

Il CESE reputa che il requisito di un'autorizzazione di pesca individuale obbligatoria per i pescherecci interessati dall'obbligo di sbarco sia un po' eccessivo, in quanto sarebbe applicabile a un gran numero di piccole imbarcazioni e genererebbe una burocrazia enorme, tenuto conto dei requisiti aggiuntivi di comunicazione da parte dello Stato membro in questione. Il Comitato ritiene che sia più opportuno esentare da tale requisito di autorizzazione i pescherecci con bordate di pesca inferiori a un giorno.

5.7   Altri obblighi supplementari di controllo

5.7.1

Le nuove norme di controllo sono di applicazione generale per tutte le attività di pesca e per i pescherecci grandi e piccoli. Il CESE ribadisce che queste misure sono particolarmente inadeguate per i piccoli pescherecci, in quanto implicano un carico amministrativo enorme sia per l'industria che per le amministrazioni, oltre a difficoltà pratiche nel lavoro a bordo.

5.7.2

La Commissione propone lo stivaggio separato delle specie di piccola taglia e stabilisce che dovranno essere «poste in casse, compartimenti o contenitori in modo separato per ciascuno stock». Il Comitato ritiene che questa misura sia inattuabile per i piccoli pescherecci e che l'esenzione parziale prevista per le imbarcazioni di lunghezza inferiore a 12 metri non sia sufficiente. Pertanto il CESE reputa che occorra esentare da questo requisito almeno tutti i pescherecci che hanno bordate di pesca di uno o due giorni, indipendentemente dalle loro dimensioni.

5.8   Sanzioni e osservatori

5.8.1

Secondo la formulazione proposta per l'articolo 90, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (CE) n. 1224/2009, qualsiasi inosservanza dell'obbligo di sbarco è considerata un'infrazione grave. Il CESE ritiene che questa valutazione sia esagerata ed eccessiva e debba essere eliminata dalla proposta.

5.8.2

Sebbene in questo stesso articolo sia specificato che la gravità dell'infrazione in questione sarà determinata dall'autorità competente dello Stato membro interessato, il Comitato reputa che la normativa risulterà tanto complessa e difficile da rispettare che non sarà facile per qualsiasi armatore di qualsiasi flotta evitare di incorrere in piccole infrazioni involontarie.

5.9

Il CESE ritiene che l'introduzione di margini di tolleranza maggiori per catture di modesta entità sia ragionevole. Reputa tuttavia che i margini proposti non siano realisti, specialmente con la scomparsa del limite di 50 kg nelle dichiarazioni e l'introduzione dell'obbligo di quantificare tutti i rigetti. Al suo posto, propone che i nuovi margini di tolleranza — con questi requisiti di informazione — siano negoziati e discussi caso per caso in ogni attività di pesca.

5.10

Secondo la Commissione, l'introduzione di un riferimento al controllo elettronico a distanza (CCTV), sebbene attualmente non sia obbligatorio, risponde alla necessità di disporre di un quadro giuridico per questo sistema, che così diventerebbe uno in più tra quelli attualmente disponibili nel regolamento sul controllo. Il CESE ritiene che occorra stabilire più chiaramente e definire bene le condizioni in base alle quali questo sistema potrebbe diventare obbligatorio.

Bruxelles, 29 aprile 2014.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla clonazione di animali delle specie bovina, suina, ovina, caprina ed equina allevati e fatti riprodurre a fini agricoli

[COM(2013) 892 final — 2013/0433 (COD)],

alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa all'immissione sul mercato di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali

[COM(2013) 893 final — 2013/0434 (APP)]

e alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi prodotti alimentari

[COM(2013) 894 final — 2013/0435 (COD)]

2014/C 311/12

Relatore: ESPUNY MOYANO

Il Parlamento europeo, in data 16 gennaio 2014, e il Consiglio, in data 15 e 17 gennaio 2014, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 43, 304 e 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla clonazione di animali delle specie bovina, suina, ovina, caprina ed equina allevati e fatti riprodurre a fini agricoli

COM(2013) 892 final — 2013/0433 (COD)

Proposta di direttiva del Consiglio relativa all'immissione sul mercato di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali

COM(2013) 893 final — 2013/0434 (APP)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi prodotti alimentari

COM(2013) 894 final — 2013/0435 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 30 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 174 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Clonazione

1.1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) giudica necessario e opportuno disciplinare la clonazione di animali nell'UE, al fine di garantire l'uniformità delle condizioni di produzione per gli agricoltori, tutelando nel contempo la salute e il benessere degli animali e le aspettative dei consumatori.

1.1.2

Tenendo conto delle contrarietà dei cittadini e delle organizzazioni dei consumatori nonché delle insufficienti conoscenze tecniche, il CESE approva la sospensione temporanea della clonazione di animali e delle importazioni di animali clonati a fini agricoli nell'UE.

1.1.3

Il CESE mette in risalto che detta sospensione non è dettata da rischi di sicurezza sanitaria bensì da questioni etiche e di benessere animale.

1.1.4

Per il CESE, il divieto non è applicabile a casi come la clonazione a fini di ricerca, qualora si giustifichi l'uso di detta tecnica.

1.1.5

Il CESE ritiene che in futuro si potrà riesaminare la sospensione temporanea solo tenendo conto dell'esperienza maturata dagli Stati membri durante la sua attuazione, dei progressi scientifici e tecnici, dell'evoluzione della situazione internazionale e del punto di vista dei cittadini e delle organizzazioni di consumatori.

1.1.6

Il CESE si chiede se davvero esistano tecniche adeguate per distinguere, specie a livello d'importazioni, gli animali clonati da quelli allevati con le tecniche attualmente autorizzate nell'UE; in tal senso, raccomanda di estendere ai prodotti importati l'esigenza di tracciabilità completa, sola garanzia valida dell'origine di un animale, come strumento insostituibile di gestione del rischio sanitario.

1.1.7

Ancora una volta, il CESE insiste sul fatto che la legislazione applicabile sul territorio dell'UE sia estesa agli animali importati affinché i nostri allevatori non siano svantaggiati rispetto a quelli dei paesi terzi.

1.1.8

Il CESE ritiene che la clonazione possa rappresentare una minaccia per le produzioni di qualità e la sostenibilità della filiera economica e agroalimentare europea. Inoltre, la diffusione della clonazione a fini agricoli rischia di far transitare la ricchezza da chi lavora e produce ai centri di ricerca proprietari dei brevetti.

1.2   Commercializzazione di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali

1.2.1

Per il CESE è al tempo stesso necessario e opportuno definire disposizioni uniformi relative al divieto temporaneo di immissione sul mercato di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali, al fine di tenere conto delle diverse preoccupazioni dei cittadini e delle organizzazioni di consumatori.

1.2.2

Il CESE approva la sospensione temporanea della commercializzazione nell'UE di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali, come misura complementare al divieto temporaneo di clonazione animale.

1.2.3

Per il CESE dunque la sospensione potrà essere riesaminata in futuro, tenendo conto dell'esperienza maturata dagli Stati membri durante la sua attuazione, dei progressi scientifici e tecnici, dell'evoluzione della situazione internazionale e del punto di vista dei cittadini e delle organizzazioni di consumatori.

1.2.4

Se si considera che la clonazione animale è autorizzata in determinati paesi terzi, il CESE sottolinea che gli Stati membri devono adottare tutte le misure opportune per impedire l'importazione nell'UE di prodotti alimentari ottenuti in tali paesi a partire da cloni animali.

1.2.5

Il CESE esprime preoccupazione per la mancanza di sistemi adeguati volti ad individuare l'esistenza, nei prodotti alimentari importati dai paesi terzi, di carne e latte provenienti da animali clonati; in tal senso, raccomanda di estendere ai prodotti importati l'esigenza di tracciabilità completa, sola garanzia valida dell'origine di un prodotto, come strumento insostituibile di gestione del rischio sanitario.

1.2.6

Il CESE, riconoscendo la necessità di salvaguardare la fiducia dei consumatori e vista la carenza di strumenti analitici sufficientemente certi per distinguere i cloni e la progenie dalla parte convenzionale e di sistemi di tracciabilità ed etichettatura chiari e sicuri, pone in guarda da possibili future ripercussioni negative sul mercato dei prodotti animali.

1.3   Nuovi prodotti alimentari

1.3.1

Il CESE ritiene che l'aggiornamento della legislazione sui nuovi prodotti alimentari sia necessario e opportuno, e che esso si rifletterà non solo in una maggiore sicurezza alimentare ma anche in una maggiore certezza giuridica. Accoglie pertanto con favore la proposta della Commissione, pur formulando, al tempo stesso, alcune raccomandazioni.

1.3.2

Per il CESE, la definizione di nuovo prodotto alimentare, vale a dire un prodotto alimentare non utilizzato in misura significativa per il consumo umano nell'Unione, deve formare oggetto di maggiore precisione, stabilendo i criteri opportuni a tale scopo.

1.3.3

Il CESE ritiene necessario studiare scrupolosamente le implicazioni del sistema di autorizzazione generica previsto dalla proposta, che non potrà in nessun caso pregiudicare le innovazioni future.

1.3.4

Per il CESE, la procedura di autorizzazione di prodotti alimentari tradizionali provenienti da paesi terzi dovrebbe essere più semplice e basarsi su criteri chiari che consentano di giustificare l'uso alimentare sicuro storicamente comprovato al quale si fa riferimento nella proposta.

1.3.5

Il CESE è del parere che gli elenchi dell'Unione debbano essere chiari, aggiornati e di facile accesso, sia per i consumatori sia per gli operatori. In detti elenchi dovrebbero figurare, oltre ai nuovi prodotti alimentari e a quelli tradizionali provenienti da paesi terzi autorizzati, i prodotti ai quali è stata rifiutata l'autorizzazione richiesta, insieme ai motivi che giustificano il rifiuto. Questo consente di promuovere la trasparenza e garantisce la necessaria certezza giuridica.

1.3.6

Il CESE osserva che la proposta di regolamento in esame non prevede né un sistema né una scadenza per la revisione dell'elenco, e propone quindi di inserirvi un meccanismo che consenta di eseguire delle revisioni quando sia necessario.

1.3.7

Il CESE ritiene che gli sforzi di ricerca, sviluppo e innovazione compiuti dalle imprese debbano essere tutelati dalle autorità mediante un'adeguata protezione dei dati. Per tale motivo, propone che il criterio a giustificazione della protezione dei dati risieda nel richiedente e non nella visione che la Commissione ha della richiesta effettuata.

1.3.8

Il CESE sottolinea che le disposizioni transitorie dovrebbero riguardare anche i prodotti che alla data di entrata in vigore del regolamento non soddisfino i requisiti stabiliti dal regolamento stesso.

2.   Le proposte in sintesi

2.1   Clonazione

2.1.1

La proposta stabilisce norme relative alla clonazione di animali a fini agricoli nell'UE e all'immissione sul mercato di cloni embrionali e animali.

2.1.2

A tal fine vengono impiegate le seguenti definizioni:

a)

animali «allevati e fatti riprodurre a fini agricoli»: gli animali allevati e fatti riprodurre per ricavarne prodotti alimentari, lana, pelli, pellicce o per altri fini agricoli. Non sono compresi gli animali allevati e fatti riprodurre esclusivamente per altri scopi quali la ricerca, la produzione di medicinali e dispositivi medici, la conservazione di razze rare o di specie minacciate di estinzione, gli eventi sportivi e culturali;

b)

«clonazione»: la riproduzione asessuata di animali con una tecnica mediante la quale il nucleo di una cellula di un singolo animale è trasferito in un ovocito dal quale sia stato prelevato il nucleo al fine di creare singoli embrioni geneticamente identici («cloni embrionali»), che possono successivamente essere impiantati in madri surrogate per produrre popolazioni di animali geneticamente identici («cloni animali»);

c)

«immissione sul mercato»: la prima messa a disposizione di un animale o di un prodotto sul mercato interno.

2.1.3

Gli Stati membri vietano, a titolo provvisorio, la clonazione di animali e l'immissione sul mercato di cloni animali e embrionali.

2.1.4

Dal divieto sono espressamente esclusi gli animali allevati e fatti riprodurre esclusivamente per altri scopi quali la ricerca, la produzione di medicinali e dispositivi medici, la conservazione di razze rare o di specie minacciate di estinzione, gli eventi sportivi e culturali.

2.1.5

Gli Stati membri stabiliscono le sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della direttiva all'esame.

2.2   Commercializzazione di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali

2.2.1

La proposta prende in considerazione la questione della percezione dei consumatori riguardo all'utilizzo di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali.

2.2.2

La proposta stabilisce un divieto a titolo provvisorio di immissione sul mercato di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali.

2.2.3

La proposta si basa sulle seguenti definizioni:

a)

«clonazione»: la riproduzione asessuata di animali con una tecnica mediante la quale il nucleo di una cellula di un singolo animale è trasferito in un ovocito dal quale sia stato prelevato il nucleo al fine di creare singoli embrioni geneticamente identici («cloni embrionali»), che possono successivamente essere impiantati in madri surrogate per produrre popolazioni di animali geneticamente identici («cloni animali»);

b)

«prodotto alimentare», un prodotto alimentare così come definito all'articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002.

2.2.4

È vietata l'importazione di prodotti alimentari di origine animale provenienti da paesi terzi in cui i prodotti alimentari ottenuti da cloni animali possano essere immessi sul mercato o esportati legalmente, a eccezione di quelli che soddisfano tutte le condizioni specifiche in materia d'importazione.

2.2.5

La proposta garantisce che prodotti quali la carne e il latte di cloni non vengano introdotti nel mercato dell'UE.

2.2.6

Gli Stati membri stabiliscono le sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della presente direttiva.

2.3   Nuovi prodotti alimentari

2.3.1

La proposta di regolamento all'esame aggiorna la normativa europea iniziale sui nuovi prodotti alimentari, che risale al 1997.

2.3.2

La proposta mira a garantire la sicurezza alimentare, a tutelare la salute pubblica e ad assicurare il funzionamento del mercato interno, promuovendo al contempo l'innovazione per il settore alimentare.

2.3.3

Essa intende snellire la procedura di autorizzazione, al fine di migliorarne l'efficienza e la trasparenza, e chiarisce la definizione di «nuovo prodotto alimentare», tenendo conto dell'impatto delle nuove tecnologie sui prodotti alimentari.

2.3.4

La proposta introduce una più rapida e proporzionata valutazione della sicurezza dei prodotti alimentari tradizionali provenienti da paesi terzi che vantano un uso alimentare sicuro storicamente comprovato.

2.3.5

La proposta mantiene i criteri generali esistenti per definire un nuovo prodotto alimentare:

a)

alimenti non utilizzati in misura significativa per il consumo umano nell'Unione prima del 15 maggio 1997, e più precisamente:

i)

i prodotti alimentari sottoposti a un nuovo processo di produzione non usato per la produzione di prodotti alimentari nell'Unione prima del 15 maggio 1997, nel caso in cui tale processo di produzione comporti cambiamenti significativi nella composizione o nella struttura del prodotto alimentare tali da incidere sul suo valore nutritivo, sul modo in cui è metabolizzato o sul tenore di sostanze indesiderabili;

ii)

i prodotti alimentari contenenti o costituiti da «nanomateriali ingegnerizzati», come definiti all'articolo 2, paragrafo 2, lettera t), del regolamento (UE) n. 1169/2011;

iii)

le vitamine, i minerali e altre sostanze utilizzate in conformità della direttiva 2002/46/CE, del regolamento (CE) n. 1925/2006 o del regolamento (UE) n. 609/2013:

ai quali sia stato applicato un nuovo processo di produzione previsto al punto i) oppure contenenti o costituiti da nanomateriali ingegnerizzati;

iv)

i prodotti alimentari utilizzati esclusivamente in integratori alimentari nell'Unione prima del 15 maggio 1997, se destinati ad essere utilizzati in prodotti alimentari diversi dagli integratori alimentari come definiti all'articolo 2, lettera a), della direttiva 2002/46/CE.

2.3.6

La proposta definisce inoltre altri concetti di base, quale quello di «alimento tradizionale proveniente da un paese terzo» o quello di «uso alimentare sicuro storicamente comprovato».

2.3.7

I nuovi prodotti alimentari sono sottoposti alla valutazione della sicurezza e all'autorizzazione mediante una procedura pienamente armonizzata.

2.3.8

Il documento prevede che potranno essere commercializzati nell'UE solo i nuovi alimenti che figurano nel relativo elenco comunitario e che inoltre:

in base ai criteri scientifici disponibili non presentano rischi per la sicurezza;

non inducono in errore il consumatore;

quando sono destinati a sostituire altri alimenti tradizionali, non risultano svantaggiosi per i consumatori sul piano nutrizionale.

2.3.9

L'attuale sistema di autorizzazioni individuali è sostituito da autorizzazioni generiche.

2.3.10

Tutte le autorizzazioni di nuovi prodotti alimentari saranno presentate alla Commissione, la quale chiederà il parere scientifico sulla valutazione dei rischi all'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). La Commissione valuterà se iscrivere un nuovo prodotto alimentare nell'apposito elenco dell'Unione sulla base del parere dell'EFSA e in questo sarà assistita dal comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali (SCFCAH).

2.3.11

Per i prodotti alimentari tradizionali provenienti da paesi terzi, sono previste una valutazione della sicurezza e una gestione dei rischi basate sul loro uso alimentare sicuro storicamente comprovato in un paese terzo per un periodo di almeno 25 anni.

2.3.12

Nel caso in cui siano sollevate obiezioni motivate relative alla sicurezza di un prodotto alimentare tradizionale di un paese terzo, è necessaria una valutazione dell'EFSA seguita da una procedura simile alla normale procedura di autorizzazione ma con termini più brevi. Sulla base di un parere dell'EFSA, la Commissione può imporre il monitoraggio dopo l'immissione sul mercato, qualora risulti necessario per motivi di sicurezza alimentare.

2.3.13

La proposta prevede il diritto alla protezione dei dati per una durata massima di cinque anni e in casi debitamente giustificati.

2.3.14

Gli Stati membri stabiliscono le sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della presente direttiva.

3.   Osservazioni generali

3.1   Clonazione

3.1.1

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di direttiva prendendo atto delle insufficienti conoscenze tecnico-scientifiche disponibili, dei problemi legati al benessere animale e della contrarietà di cittadini e consumatori, anche se ritiene che, al momento opportuno, sarà necessario rivedere il divieto temporaneo della clonazione di animali basandosi sullo sviluppo della tecnica, sui progressi scientifici, sulla situazione internazionale e sulla necessaria competitività dei settori interessati.

3.1.2

Il CESE ricorda che gli Stati membri si sono impegnati «affinché i proprietari o i custodi adottino le misure adeguate per garantire il benessere dei propri animali e per far sì che a detti animali non vengano provocati dolori, sofferenze o lesioni inutili» (1).

3.1.3

Per il CESE è molto importante sottolineare il ruolo decisivo dell'EFSA nella valutazione dei rischi potenzialmente collegati all'uso della tecnica della clonazione animale e il suo contributo al processo decisionale relativo al suo utilizzo.

3.1.4

L'EFSA ha riscontrato problemi di benessere degli animali legati alla salute delle madri surrogate e dei cloni stessi (alto tasso di aborti, disfunzioni della placenta, impianti su più madri surrogate per avere un clone, dimensioni insolitamente grandi per i feti, decessi alla nascita), rendendo la clonazione una tecnica ad alto tasso di mortalità.

3.1.5

La clonazione pone problemi di biodiversità e rischi per il patrimonio genetico, comportando problematiche di resistenza ai rischi emergenti e ai nuovi agenti zoonotici che entrano in Europa (ad es. Schmallenberg Virus).

3.1.6

Il CESE ritiene che la clonazione possa rappresentare una minaccia per le produzioni di qualità e la sostenibilità della filiera economica e agroalimentare europea. Inoltre, la diffusione della clonazione a fini agricoli rischia di far transitare la ricchezza da chi lavora e produce ai centri di ricerca proprietari dei brevetti.

3.2   Commercializzazione di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali

3.2.1

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di direttiva prendendo atto delle insufficienti conoscenze tecnico-scientifiche disponibili, dei problemi legati al benessere animale e della contrarietà dei cittadini e delle organizzazioni di consumatori, anche se ritiene che, al momento opportuno, sarà necessario rivedere il divieto temporaneo della immissione sul mercato di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali basandosi sullo sviluppo della tecnica, sui progressi scientifici, sulla situazione internazionale e sulla competitività dei settori interessati.

3.2.2

Il CESE riconoscendo la necessità di salvaguardare la fiducia dei consumatori e vista la carenza di strumenti analitici sufficientemente certi per distinguere i cloni e la progenie dalla parte convenzionale e di sistemi di tracciabilità ed etichettatura chiari e sicuri, pone in guarda da possibili future ripercussioni negative sul mercato dei prodotti animali.

3.2.3

Il CESE evidenzia che a tutt'oggi non è stata presentata alcuna domanda di autorizzazione all'immissione sul mercato di prodotti alimentari ottenuti con tecniche di clonazione.

3.2.4

Il CESE sottolinea il ruolo dell'EFSA nella valutazione dei rischi potenzialmente collegati all'uso della tecnica della clonazione.

3.2.5

Il CESE sottolinea che l'EFSA ha concluso che non vi è alcuna indicazione di una differenza sul piano della sicurezza alimentare tra la carne e il latte di cloni e della loro progenie e la carne e il latte degli animali allevati con metodi convenzionali.

3.2.6

Il divieto di commercializzare prodotti alimentari ottenuti da cloni animali non è dettato da rischi comprovati di sicurezza sanitaria bensì da questioni etiche e di benessere animale.

3.3   Nuovi prodotti alimentari

3.3.1

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di revisione della normativa in vigore relativa ai nuovi prodotti alimentari, in quanto tale normativa risale al 1997 e dopo 17 anni si possono osservare importanti innovazioni.

3.3.2

Per il CESE, la proposta deve essere sufficientemente chiara e completa onde consentirne l'applicazione da parte degli operatori.

3.3.3

Il CESE ritiene importante ed opportuno definire una procedura di autorizzazione centralizzata e un sistema di sanzioni armonizzato, al fine di fare passi avanti nel mercato unico.

3.3.4

Il Comitato approva il ruolo importante conferito dalla Commissione all'EFSA nella valutazione del rischio inerente ai nuovi prodotti alimentari, il che contribuirà alla sicurezza e alla protezione dei consumatori e dello stesso settore.

3.3.5

Per il CESE, il concetto di alimento usato in misura significativa per il consumo umano non è sufficientemente chiaro.

3.3.6

Il CESE sottolinea l'esigenza di stabilire criteri precisi che consentano di giustificare un uso alimentare sicuro storicamente comprovato in un paese terzo, requisito necessario per poter autorizzare prodotti alimentari tradizionali di paesi terzi.

3.3.7

Il Comitato esprime preoccupazione per quanto concerne la riservatezza dei dati che il richiedente presenta per l'autorizzazione di un nuovo prodotto alimentare.

3.3.8

Il CESE considera necessario approfondire e chiarire le misure transitorie previste dalla proposta.

3.3.9

Giudica infine importante che la Commissione si faccia assistere dall'SCFCAH.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Clonazione

4.1.1

La clonazione non è una tecnica usata attualmente nell'UE a scopi agricoli.

4.1.2

Tale pratica viene tuttavia attuata in paesi quali Argentina, Brasile, Canada e Stati Uniti, paesi che però non hanno potuto precisare quanti animali clonati vengono prodotti.

4.1.3

I cittadini dell'Unione hanno espresso una posizione generalmente negativa nei confronti dell'uso della tecnica di clonazione per la riproduzione a fini agricoli.

4.1.4

Dato che la proposta di direttiva stabilisce il divieto temporaneo di clonazione degli animali e d'immissione sul mercato di cloni animali ed embrionali nell'UE, gli Stati membri dovranno definire le misure necessarie di campionamento e controllo al fine di garantire l'osservanza delle misure previste.

4.1.5

In questo ambito, ancora non esiste una metodologia analitica riconosciuta valida, accreditata e armonizzata. Per tale motivo, il CESE ritiene necessario che la Commissione e gli Stati membri avviino i lavori necessari a tal fine.

4.1.6

Il CESE invita inoltre gli Stati membri ad armonizzare i regimi di sanzioni applicabili in caso di violazione, onde evitare che ci siano paesi più permissivi o lassisti, il che potrebbe dar luogo ad una «concorrenza al ribasso» tra di essi.

4.2   Commercializzazione di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali.

4.2.1

Dato che la proposta di direttiva stabilisce il divieto temporaneo di clonazione degli animali e d'immissione sul mercato di cloni animali ed embrionali nell'UE, gli Stati membri dovranno definire le misure necessarie di campionamento e controllo al fine di garantire l'osservanza di questa disposizione.

4.2.2

In quest'ambito, ancora non esiste una metodologia analitica riconosciuta valida, accreditata e armonizzata. Per tale motivo, il CESE ritiene necessario che la Commissione e gli Stati membri avviino i lavori necessari a tal fine.

4.3   Nuovi prodotti alimentari

4.3.1   Definizione di «nuovo prodotto alimentare»

Per il CESE, la definizione di «nuovo prodotto alimentare» si basa sul consumo e pertanto dovrebbe essere più precisa onde evitare che in essa rientrino prodotti alimentari che non sono nuovi (ad es. una pizza con una nuova composizione).

4.3.2   Concetto di «cambiamento significativo»

Il CESE osserva che bisognerebbe specificare i criteri volti a stabilire che cosa si intenda per «cambiamento significativo» onde determinare se un nuovo prodotto alimentare rientri o meno nell'ambito di applicazione della proposta.

4.3.3   Concetto di «misura significativa per il consumo umano»

Il CESE esprime perplessità circa il concetto di misura significativa per il consumo umano considerandone l'ambiguità (in una regione, un paese, una zona geografica o all'interno di una popolazione specifica?).

4.3.4   Procedura di autorizzazione centralizzata

In un precedente parere (2) il cui contenuto è ancora valido, il CESE ha affermato a tale proposito: «È indispensabile una procedura di valutazione e autorizzazione dei nuovi prodotti alimentari centralizzata a livello dell'EFSA e della Commissione, ma dovrebbe anche esserci una procedura semplice, chiara, efficace, dettagliata e corredata da scadenze...».

Anche se la proposta prevede alcune scadenze (ad esempio nome mesi per l'adozione del parere da parte dell'EFSA, altri nove mesi per la presentazione, da parte della Commissione, del corrispondente atto di esecuzione destinato ad autorizzare un nuovo prodotto alimentare), è necessaria una maggiore chiarezza e precisione, affinché l'operatore conosca i particolari relativi allo stato della richiesta inoltrata.

4.3.5   Elenchi

Nel parere precedentemente citato, il CESE ha sottolineato a tale proposito: «L'elaborazione di elenchi dei nuovi alimenti (articoli 5, 6 e 7) contribuirà a migliorare l'informazione dei consumatori e darà agli operatori una maggiore certezza giuridica. Il ricorso agli elenchi non costituisce una soluzione nuova, ma è anzi sempre più frequente (si pensi tra l'altro al regolamento sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute e al regolamento sull'aggiunta di vitamine e minerali agli alimenti)».

Questa osservazione continua ad essere pienamente valida, con la differenza che l'elenco proposto dalla Commissione sarà uno solo e non due elenchi separati.

4.3.6   Tutela della proprietà intellettuale

Sempre nello stesso parere, il CESE ha affermato quanto segue: «Per elaborare nuovi prodotti alimentari le imprese devono avere una solida vocazione e devono effettuare degli investimenti in ricerca e sviluppo. Occorre quindi che le procedure siano semplici, rapide ed economicamente sostenibili, ma anche, per non frenare la competitività, che vi sia una tutela delle conoscenze e degli sviluppi. La proposta non definisce chiaramente la portata della tutela dei dati cui avranno diritto le imprese (viene fatto riferimento alle sole autorizzazioni, senza specificare cosa avverrà delle richieste respinte ecc.)».

Nel citato parere, il CESE ha infine sostenuto che «introducendo nel regolamento uno strumento quale la protezione dei dati si dà alle imprese una certa sicurezza nell'impiego di risorse finanziarie e umane per lo sviluppo di nuovi prodotti e si conferisce loro la protezione necessaria perché proseguano il loro sforzo di innovazione, divenendo più competitive nel soddisfare le sempre maggiori esigenze del mercato e dei consumatori».

Queste considerazioni sono tuttora valide.

Bruxelles, 30 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Direttiva del Consiglio 98/58/CE (art. 3).

(2)  GU C 224 del 30.8.2008, pag. 81.


12.9.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 311/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione «Costruzione della rete centrale di trasporto: corridoi della rete centrale e meccanismo per collegare l'Europa»

[COM(2013) 940 final]

2014/C 311/13

Relatore: COULON

Correlatore: BACK

La Commissione europea, in data 13 febbraio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — Costruzione della rete centrale di trasporto: corridoi della rete centrale e meccanismo per collegare l'Europa

COM(2013) 940 final.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 aprile 2014.

Alla sua 498a sessione plenaria, dei giorni 29 e 30 aprile 2014 (seduta del 29 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 209 voti favorevoli, 4 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione come un importante e utile contributo per la realizzazione dei corridoi della rete centrale e dei relativi progetti individuati in via preliminare, elencati nella parte I dell'allegato I al regolamento che istituisce il meccanismo per collegare l'Europa (il regolamento MCE — (UE) No 1316/2013), sulla base dei criteri fissati dal regolamento sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE (gli «orientamenti» — regolamento (UE) No 1315/2013).

1.2

Il CESE apprezza il fatto che la comunicazione sia incentrata sul sistema di governance come motore principale di un'attuazione efficace; approva altresì il sostegno che essa fornisce allo sviluppo dei piani di lavoro per i corridoi della rete centrale: si tratta, infatti, di un passo avanti verso una pianificazione transfrontaliera coordinata dei corridoi al fine di ottenere una capacità coerente ed evitare le strozzature.

1.3

Il CESE sottolinea l'importanza di un'interazione armoniosa ed efficiente tra i coordinatori, la cui attività sarà il fattore chiave di un'attuazione efficace, i Forum dei corridoi con i loro gruppi di lavoro e, in particolare, i soggetti pubblici e privati a diversi livelli, compresa la società civile.

1.4

Il CESE riconosce che garantire un coordinamento chiaro e coerente sarà un compito estremamente impegnativo, tenendo presente la scala geografica dei corridoi della rete centrale e la necessità di coordinarsi con altre iniziative, ad esempio i corridoi ferroviari di trasporto merci istituiti dal regolamento (CE) n. 913/2010, l'iniziativa per il trasporto sulle vie navigabili interne Naiades II, le autostrade del mare e il sistema europeo di gestione del traffico ferroviario (ERTMS), come pure la necessità di collaborare con soggetti privati e pubblici. Sembra tuttavia che vi siano a disposizione degli strumenti per risolvere questo problema, ad esempio il ricorso a gruppi di lavoro.

1.5

Tenendo presente, da un lato, il ruolo svolto dal CESE come collegamento tra le istituzioni dell'UE e la società civile e, dall'altro, l'iniziativa di avviare un dialogo partecipativo con la società civile in merito all'attuazione del Libro bianco sui trasporti del 2011 (1), riteniamo che la partecipazione di un rappresentante del CESE ai lavori del Forum di ciascun corridoio apporterebbe un valore aggiunto.

1.6

A questo proposito il CESE sottolinea l'importanza di far sì che il sistema di governance risulti comprensibile e trasparente. Il CESE è convinto che saranno compiuti sforzi adeguati per garantire il raggiungimento di questo importante obiettivo, in modo da aumentare l'interesse dei cittadini e rafforzare il loro sostegno nei confronti dell'attuazione delle TEN-T.

1.7

Il CESE richiama l'attenzione sul ruolo che potrebbero svolgere degli studi di progetto approfonditi e imparziali, anche come elemento importante di un quadro per un dialogo trasparente. Si potrebbe anche prendere in considerazione la necessità di introdurre un meccanismo per la risoluzione dei conflitti.

1.8

Ciò nondimeno, il CESE ravvisa delle carenze essenziali nell'efficacia di un sistema di governance completamente dipendente, in ogni fase decisionale, dal consenso degli Stati membri e non sostenuto da un solido dispositivo di esecuzione giuridica nei casi in cui gli obiettivi stabiliti negli orientamenti o nel regolamento MCE non vengano attuati in modo adeguato.

1.9

Considerato il carattere non vincolante (soft law) del sistema di governance, basato sul consenso degli Stati membri e dei proprietari delle infrastrutture come condizione necessaria per le decisioni fondamentali relative allo sviluppo delle infrastrutture e alle nuove costruzioni, il cofinanziamento dell'UE assume particolare importanza. A giudizio del CESE, il cofinanziamento deve essere impiegato, in modo coerente, come uno strumento per giungere ad accordi di costruzione condivisi e realizzarli nei tempi previsti. A questo proposito si rimanda al punto 4.7 del presente parere.

1.10

Allo stesso modo, il CESE è preoccupato per l'esiguità delle risorse finanziarie disponibili a livello UE e per il ritmo lento e le prospettive poco chiare che sembrano caratterizzare lo sviluppo di meccanismi di finanziamento alternativi, quali i prestiti obbligazionari per il finanziamento di progetti e i partenariati pubblico-privati.

2.   Introduzione

2.1

Nel dicembre 2013 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato gli orientamenti e il regolamento MCE.

2.2

Gli orientamenti forniscono un quadro nuovo per la creazione di una rete infrastrutturale multimodale transfrontaliera volta a facilitare la mobilità efficiente e sostenibile delle persone e delle merci all'interno dell'UE, al fine di aumentare l'accessibilità e la competitività dell'Unione europea nella prospettiva temporale 2030-2050.

2.3

Il cofinanziamento UE dei progetti infrastrutturali di trasporto e delle relative priorità per l'intera durata del quadro finanziario pluriennale (QFP) 2014-2020 è stabilito dal regolamento MCE.

2.4

Insieme, gli orientamenti e il regolamento MCE rappresentano un elemento importante dell'attuazione degli obiettivi del Libro bianco sulla politica dei trasporti del 2011.

2.5

I principali obiettivi della comunicazione Costruzione della rete centrale di trasporto: corridoi della rete centrale e meccanismo per collegare l'Europa (COM(2013) 940) (la «comunicazione») sono i seguenti:

spiegare in che modo la Commissione intende sostenere la creazione e la struttura di gestione dei corridoi della rete centrale;

fornire informazioni circa il bilancio, lo sviluppo di strumenti di finanziamento e le priorità di finanziamento;

orientare i potenziali richiedenti/beneficiari per quanto riguarda la gestione dei progetti e le aspettative della Commissione.

2.6

Per accompagnare la comunicazione, la Commissione ha pubblicato un documento di lavoro predisposto dai suoi servizi che illustra la metodologia per l'identificazione della rete centrale e della rete globale stabilita negli orientamenti (SWD (2013)542).

3.   Elementi principali della comunicazione

3.1

La comunicazione illustra il ruolo e il funzionamento dei corridoi della rete centrale. Mette in evidenza la funzione dei coordinatori europei e quella del Forum dei corridoi, eventualmente coadiuvati da gruppi di lavoro, in quanto organo consultivo e di collegamento tra il coordinatore e gli Stati membri dell'UE, enti di ogni livello e altri soggetti interessati.

3.2

La comunicazione descrive il ruolo del coordinatore e del Forum nell'elaborazione del piano di lavoro per ciascun corridoio fino al dicembre 2014 e la funzione decisiva svolta dagli Stati membri interessati per l'intera durata del processo di attuazione, anche per quanto concerne la composizione del Forum e l'approvazione del piano di lavoro. Tale piano sarà riesaminato nel 2017, in concomitanza con la revisione del piano di lavoro che la Commissione stabilirà per l'attuazione del regolamento MCE, e poi nel 2023. Il piano di lavoro analizzerà la situazione attuale del corridoio, identificando esigenze come le strozzature e i problemi di interoperabilità, compresi gli ostacoli amministrativi e di altro tipo che si frappongono alla creazione di servizi di trasporto multimodali ottimali e sostenibili, e proponendo delle soluzioni anche in materia di finanziamento.

3.3

La comunicazione menziona in breve anche i due coordinatori orizzontali, per le autostrade del mare e per il sistema comune di gestione del traffico ferroviario ERTMS.

3.4

La comunicazione sottolinea altresì l'importanza della cooperazione tra i corridoi della rete centrale e i nove corridoi ferroviari di trasporto merci istituiti dal regolamento (CE) n. 913/2010, che dovrebbero essere rappresentati nel Forum dei corridoi della rete centrale. Vengono menzionati anche altri progetti, e la comunicazione esprime l'auspicio che i soggetti in essi coinvolti partecipino ai Forum dei corridoi e contribuiscano al piano di lavoro dei corridoi.

3.5

Il programma Marco Polo sarà portato avanti, ma verrà finanziato come progetto di servizi merci innovativi e sostenibili in relazione agli orientamenti e nel quadro del regolamento MCE.

3.6

Il resto della comunicazione espone le priorità di finanziamento nel quadro del regolamento MCE, che riguardano in particolare i progetti dei corridoi (progetti transfrontalieri, eliminazione delle strozzature e trasporti multimodali). Viene anche presentata una ripartizione delle priorità di finanziamento al di fuori dei corridoi, nella quale figura un piccolo importo destinato a progetti della rete globale.

3.7

La comunicazione passa in rassegna i principi della gestione delle sovvenzioni e le aspettative rispetto ai progetti, e indica che la Commissione mantiene la prerogativa di finanziare parzialmente un progetto se quest'ultimo contiene elementi non conformi alle priorità stabilite. In caso di ritardi o cattiva gestione dei progetti, i finanziamenti possono essere ridotti oppure ritirati e riassegnati. L'importo dell'assistenza finanziaria per lavori che rientrino nei massimali previsti dal regolamento MCE sarà ampiamente basato su un'analisi costi-benefici di ciascun progetto e sulla sua pertinenza rispetto al piano di lavoro del corridoio.

3.8

Sul totale di 26,3 miliardi di euro disponibili per le TEN-T nel periodo 2014-2020, 11,3 miliardi sono riservati agli Stati membri ammessi a beneficiare del Fondo di coesione. L'importo riservato ai paesi della coesione verrà interamente destinato ai progetti individuati in via preliminare relativi alla rete centrale di tali paesi, elencati nell'allegato I al regolamento MCE. L'assegnazione di tali fondi rispecchierà i principi del Fondo di coesione per quanto riguarda la ripartizione per paese nel periodo 2014-2016. L'intensità di finanziamento sarà superiore ai massimali normali TEN-T, poiché saranno applicati i principi del Fondo di coesione. Altrimenti, i principi di governance e di gestione saranno gli stessi. Uno sforzo speciale verrà compiuto per sostenere le attività del programma nei paesi della coesione.

3.9

Infine, la comunicazione presenta una breve descrizione dei piani di sviluppo e delle risorse destinate ad aumentare l'utilizzo di strumenti finanziari. La conclusione è che l'importo destinato a questo progetto dipenderà in larga misura dall'assorbimento di tali strumenti da parte del mercato.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione come un aiuto prezioso per le parti interessate nello sviluppo della rete TEN-T. Anche se il suo valore aggiunto potrebbe rivelarsi maggiore per le parti interessate a un progetto individuato in via preliminare nell'allegato I al regolamento MCE e che si trovino in un corridoio di rete centrale o vi partecipino, essa riveste interesse anche per altri soggetti.

4.2

Su diversi punti la comunicazione va oltre il testo degli orientamenti e del regolamento MCE e offre alle parti interessate maggiori opportunità di svolgere un ruolo proattivo e di ottimizzare la pianificazione. Il CESE fa presente che numerose questioni affrontate dalla comunicazione erano già state sollevate nei suoi pareri sulla proposta di orientamenti (2) e sulla proposta di regolamento MCE (3).

4.3

Il Comitato ritiene che la comunicazione abbia le qualità necessarie per essere uno strumento utile a sostegno dell'attuazione degli orientamenti TEN-T e per ispirare modelli di comportamento atti a migliorare la cooperazione transfrontaliera tra le parti interessate e a potenziare gli effetti sinergici tra i diversi programmi indicati nella comunicazione.

4.4

Ciò nonostante, il CESE vorrebbe formulare alcune osservazioni al fine di chiarire taluni punti, cosicché la comunicazione serva l'obiettivo in modo ancora più efficace.

4.5

La struttura di governance, con il coordinatore, il Forum dei corridoi e il piano di lavoro per ogni corridoio della rete centrale, è in grado di accelerare, come previsto, la realizzazione dei corridoi della rete centrale e l'esecuzione dei relativi progetti individuati in via preliminare. È quindi importante che tale struttura venga creata e inizi le proprie attività al più presto. Pertanto il CESE si compiace degli sforzi compiuti nella comunicazione per pianificare l'avvio del sistema di governance e l'elaborazione del piano di lavoro.

4.6

Tuttavia, il CESE coglie l'occasione per esprimere il proprio rammarico per il fatto che il sistema di governance inizialmente proposto per i corridoi della rete centrale risulta in una certa misura indebolito rispetto alla proposta di orientamenti della Commissione (COM/2011/0650 final/2 — 2011/0294 (COD)). A giudizio del CESE, è vitale assicurare un adeguato controllo dell'attuazione.

4.7

Sulla base di tali circostanze, il CESE sottolinea la particolare importanza di una pianificazione prestabilita della costruzione, che sia coordinata e concordata tra la Commissione, gli Stati membri e i proprietari delle infrastrutture. Questo rappresenterà un fattore decisivo di successo per il miglioramento delle TEN-T. A giudizio del CESE, uno dei principali compiti dei coordinatori dovrebbe essere quello di assistere le procedure di coordinamento e far sì che diano luogo ad accordi vincolanti, nonché esercitare la propria influenza perché questi ultimi vengano rispettati. Il pagamento dei finanziamenti dell'UE potrebbe essere utilizzato per garantire sia la conclusione degli accordi che la loro realizzazione.

4.8

D'altro canto, il CESE accoglie con favore le disposizioni sull'impegno con i soggetti pubblici e privati, contenute nell'articolo 50 degli orientamenti, come base per una cultura del dialogo che trova espressione anche nella comunicazione (4). Il CESE evidenzia l'importanza di avviare al più presto tale dialogo, anche con il grande pubblico, in modo da garantire trasparenza e costruire fiducia.

4.9

Per quanto riguarda l'azione del coordinatore, il CESE evidenzia l'importanza dei compiti che esso deve svolgere e le opportunità, inerenti a tale funzione, di risolvere i problemi e contribuire ai progressi del corridoio interessato. Ai coordinatori spetta anche una notevole responsabilità nel garantire che la creazione dei corridoi avvenga dappertutto in modo armonioso e diventi parte dello sviluppo di uno spazio europeo dei trasporti unificato, interoperabile sul piano tecnico, sostenibile e produttivo. Un prerequisito importante a tal fine è che il coordinatore possa disporre di adeguate risorse di segretariato.

4.10

Il CESE sottolinea che, sia per motivi di credibilità che al fine di assicurare il massimo di contributi utili, al Forum del corridoio dovrebbero partecipare i rappresentanti di tutti i gruppi interessati, compresi gli enti nazionali, regionali e locali, gli operatori del mercato, i lavoratori dei settori interessati, le parti sociali e gli utenti.

4.11

Il CESE sottolinea l'importanza della coerenza tra la pianificazione dei piani di lavoro del corridoio e il programma di lavoro pluriennale che la Commissione dovrà stabilire nel quadro del regolamento MCE. Il CESE presume, tuttavia, che questo non sarà un problema, considerate le priorità comuni stabilite nella comunicazione e l'elenco dei progetti individuati in via preliminare contenuto nell'allegato I al regolamento MCE. Poiché sembrerebbe che i rispettivi piani saranno stilati in parallelo, il CESE sottolinea l'importanza delle istruzioni fornite al riguardo nella comunicazione, basate sulle disposizioni contenute negli orientamenti e nel regolamento MCE.

4.12

Il CESE si compiace dell'importanza giustamente attribuita dalla comunicazione al coordinamento delle attività dei corridoi con i corridoi ferroviari di trasporto merci (regolamento (UE) No 913/2010), il programma Naiades II per le vie navigabili interne (COM/2013/0623 final), l'iniziativa sui porti volta a migliorarne l'efficienza (COM/2013/0295 final) e i progetti di sviluppo sostenibile, al fine di evitare duplicazioni del lavoro e creare sinergie. Il CESE si rammarica inoltre che non sia previsto un sistema per questo coordinamento né delle disposizioni giuridiche, ad eccezione dell'obbligo, contenuto negli orientamenti, di instaurare una cooperazione tra il corridoio di rete centrale e i corridoi ferroviari merci, laddove è anche stabilito che i corridoi ferroviari pertinenti dovrebbero essere rappresentati nel Forum del corridoio. Il Comitato si chiede se non potrebbe essere utile garantire almeno la rappresentanza nel Forum del corridoio di altri progetti o programmi con progetti pertinenti al corridoio in questione. Un esempio al riguardo è costituito da «Swiftly Green», un tipo di progetto transfrontaliero di corridoio verde con una configurazione geografica che lo rende pertinente per il corridoio scandinavo-mediterraneo della rete centrale. Data l'importanza che la comunicazione attribuisce alle autostrade del mare, lo stesso potrebbe valere per i progetti di autostrade del mare in corso di realizzazione su un dato corridoio. In ogni caso, il CESE ritiene che i lavori già effettuati debbano essere presi in considerazione, e le infrastrutture esistenti utilizzate il più possibile.

4.13

Problemi analoghi a quelli che si creano tra diversi tipi di corridoi o progetti potrebbero verificarsi quando i corridoi della rete centrale si intersecano o si sovrappongono. Il CESE sottolinea che è importante trovare delle modalità per affrontare questo tipo di situazioni in modo trasparente ed efficiente sotto il profilo delle risorse.

4.14

Il CESE constata il dualismo esistente tra la struttura di governance dei corridoi e le decisioni finanziarie, che vengono adottate dalla Commissione in base a criteri specifici e indipendentemente dalla suddetta struttura. A tale proposito il CESE si compiace che la comunicazione riconosca la pertinenza dei piani di lavoro dei corridoi per quanto riguarda le decisioni finanziare.

4.15

Pur prendendo atto dell'importanza, in termini sia pratici che formali, dei corridoi della rete centrale e della loro struttura di governance, nonché dell'enfasi posta su entrambi in termini di risorse amministrative e finanziamenti, il CESE ribadisce l'interrogativo già posto nel parere sulla proposta di orientamenti, ossia se i corridoi della rete centrale non debbano di fatto essere considerati un terzo strato, di livello più elevato, della rete TEN-T (5).

4.16

Il CESE condivide le priorità enunciate nella comunicazione e prende atto dell'elevata priorità conferita ai collegamenti ferroviari e alle autostrade del mare, in particolare tra le isole o le penisole e la terraferma, e alle misure volte a ridurre l'impronta GES dei trasporti. A tale proposito richiama l'attenzione sui collegamenti marittimi che attraversano il Baltico, il Mare del Nord fino al Golfo di Biscaglia e connettono numerosi porti mediterranei: tutte queste tratte presentano la caratteristica di abbreviare le distanze di trasporto terrestre e/o di sviluppare trasporti combinati.

4.17

Il CESE è preoccupato dall'inadeguatezza delle risorse finanziarie messe a disposizione dall'UE e dai punti interrogativi circa le possibilità di sviluppare meccanismi di finanziamento alternativi, tra cui i prestiti obbligazionari per il finanziamento di progetti e i partenariati pubblico-privati.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il CESE osserva che la somma degli importi proposti per il cofinanziamento UE rispetto alle priorità stabilite nella comunicazione sembra superiore al totale disponibile per il finanziamento. Non vi è nulla a indicare che si è tenuto conto, e in quale misura, della possibilità di ricorrere a strumenti finanziari.

5.2

La comunicazione attribuisce grande importanza alle analisi costi/benefici come strumento per valutare un progetto. Per quanto concerne i progetti nei paesi della coesione, la comunicazione fa riferimento a un metodo specifico impiegato per calcolare i costi/benefici quando vengono utilizzati i finanziamenti per la coesione. Questo metodo non è menzionato per i paesi che non rientrano nell'obiettivo coesione, per i quali si fa invece riferimento a una metodologia riconosciuta. Il CESE si chiede se non possano essere proposti uno o più metodi consigliati, per esempio nel momento in cui vengono pubblicati gli inviti a presentare proposte. Questo potrebbe aumentare la trasparenza e creare condizioni di concorrenza eque. Ciò significherebbe fare un passo avanti rispetto alla pubblicazione dei principi di fondo per la valutazione dei costi/benefici e del valore aggiunto europeo di cui all'articolo 51 degli orientamenti.

5.3

A questo proposito il CESE ricorda la necessità di tenere conto degli aspetti sociali e ambientali, oltre che economici, al momento di esaminare i progetti, in linea con la strategia Europa 2020. In quest'ambito rientra la garanzia che le infrastrutture previste corrispondano ad esigenze reali e che verranno adeguatamente utilizzate.

5.4

L'opzione prevista dal regolamento MCE di aumentare il ricorso a strumenti finanziari innovativi per il finanziamento delle TEN-T viene trattata molto brevemente nella comunicazione. La principale questione che viene sollevata è la possibile accettazione da parte dei mercati, che finora sembra essere ancora aperta. Il CESE ne prende atto e rimanda alle osservazioni formulate nei summenzionati pareri riguardanti la proposta di orientamenti e la proposta di regolamento MCE, nonché nel parere sull'iniziativa Prestiti obbligazionari (6). A tale proposito il CESE richiama l'attenzione anche sull'accoglienza favorevole riservata dal mercato ai progetti lanciati nel periodo di sperimentazione dei prestiti obbligazionari per il finanziamento di progetti (project bond), nonché sull'imminente valutazione di tale fase pilota.

Bruxelles, 29 aprile 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 299 del 4.10.2012, pag. 170.

(2)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 130.

(3)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 134.

(4)  GU C 299 del 4.10.2012, pag. 170.

(5)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 130.

(6)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 134.