ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 214

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

57° anno
8 luglio 2014


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

496a sessione plenaria del CESE del 26 e 27 febbraio 2014

2014/C 214/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso uno sviluppo territoriale più equilibrato nell'UE (parere d'iniziativa)

1

2014/C 214/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La produzione integrata nell'Unione europea (parere d'iniziativa)

8

2014/C 214/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni commerciali tra l'UE e il Marocco (parere d'iniziativa)

13

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

496a sessione plenaria del CESE del 26 e 27 febbraio 2014

2014/C 214/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda una dichiarazione IVA standard COM(2013) 721 final — 2013/0343 (CNS)

20

2014/C 214/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1215/2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commercialeCOM(2013) 554 final — 2013/0268 (COD)

25

2014/C 214/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Aprire l’istruzione: tecniche innovative di insegnamento e di apprendimento per tutti grazie alle nuove tecnologie e alle risorse didattiche aperte COM(2013) 654 final

31

2014/C 214/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa a un quadro di qualità per i tirocini COM(2013) 857 final

36

2014/C 214/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio al fine di ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero COM(2013) 761 final — 2013/0371 (COD)

40

2014/C 214/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 525/2013 per quanto riguarda l'attuazione tecnica del protocollo di Kyoto alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climaticiCOM(2013) 769 final — 2013/0377 (COD)

44

2014/C 214/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Analisi annuale della crescita 2014 COM(2013) 800 final

46

2014/C 214/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede una procedura d'informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazioneCOM(2013) 932 final — 2010/0095 (COD)

55

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

496a sessione plenaria del CESE del 26 e 27 febbraio 2014

8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Verso uno sviluppo territoriale più equilibrato nell'UE» (parere d'iniziativa)

2014/C 214/01

Relatore: NILSSON

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Verso uno sviluppo territoriale più equilibrato nell'UE.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 febbraio 2014.

Alla sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 230 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

«Tutta l'Europa vivrà», ha proclamato il primo Parlamento rurale europeo — forum che il 13 novembre scorso ha riunito, presso la sede del CESE, le organizzazioni rurali europee e nazionali. Le zone rurali possono prosperare e contribuire al benessere dell'Europa tanto quanto le città, se si adottano politiche adeguate nei loro confronti. La politica che il Parlamento rurale invita ad adottare è una politica geograficamente mirata, multisettoriale e «dal basso», basata sulla partecipazione e sul partenariato.

1.2

Il presente parere d'iniziativa raccoglie la sfida e, a fronte dell'accentuazione degli squilibri territoriali all'interno di paesi e regioni, esso invoca uno sviluppo più equilibrato, che consenta a tutti i territori dell'UE di contribuire all'obiettivo della coesione territoriale sancito dal Trattato di Lisbona.

1.3

Tra le minacce che pesano sulle economie rurali quella da considerarsi più grave è lo spopolamento. Molte regioni rurali sono profondamente colpite da questo fenomeno: in alcuni paesi e regioni si registrano cifre drammatiche, con perdite demografiche di circa 1 % all'anno e a volte anche maggiori. Il panorama è tuttavia estremamente eterogeneo: gran parte delle aree rurali dell'UE non è interessata da questo processo e continua ad attirare persone e imprese.

1.4

Il CESE sottolinea l'urgente necessità di condurre una vigorosa azione politica ad ogni livello per affrontare le conseguenze economiche e sociali dello spopolamento. Bisogna puntare sull'occupazione, le infrastrutture e i servizi, con l'aiuto di politiche integrate di sviluppo rurale a tutti i livelli (europeo, nazionale e regionale), cercando di fare pieno uso delle risorse endogene locali. Tutti i programmi UE, non da ultimi la politica di coesione e i suoi strumenti per lo sviluppo rurale e locale come Leader e il CLLD (sviluppo locale di tipo partecipativo), vanno utilizzati appieno. Gli Stati membri devono allocare risorse finanziarie alle zone più colpite dallo spopolamento.

1.5

Ogni decisione politica che abbia una dimensione geografica dovrebbe essere valutata alla luce dell'impatto che essa avrà sul territorio. Bisogna prestare maggiore attenzione alle valutazioni ambientali e socioeconomiche esistenti e sviluppare nuovi, specifici indicatori sia quantitativi che qualitativi.

1.6

Parallelamente allo sviluppo dei settori primari, occorre un quadro politico per la diversificazione e la promozione dell'imprenditoria tramite gli investimenti, l'innovazione e le conoscenze. Occorre promuovere le filiere corte in ambiti quali l'alimentazione e l'energia e considerare inoltre l'introduzione di incentivi al decentramento.

1.7

È indispensabile creare opportunità occupazionali e garantire quanto prima agli individui la possibilità di esercitare concretamente il loro diritto all'istruzione e alla formazione investendo in strutture appropriate per la promozione della conoscenza e della tecnologia. Una preoccupazione chiave dovrebbe essere quella di offrire posti di lavoro e corsi di studio interessanti ai giovani. Bisogna creare condizioni adeguate per facilitare l'insediamento dei giovani agricoltori in quanto fattore di stabilità per le aree rurali. Occorre inoltre liberare il potenziale lavorativo e imprenditoriale delle donne. Infine, l'assunzione di immigrati in situazione regolare potrebbe, se accompagnata da misure efficaci per prevenirne la segregazione, offrire l'opportunità di coinvolgere gli immigrati in quanto soggetti attivi dello sviluppo rurale.

1.8

Per ridurre le disparità geografiche e fare in modo che le aree rurali attirino persone e imprese occorre investire in infrastrutture che garantiscano trasporti, comunicazioni e collegamenti energetici efficienti (compresa la banda larga ad alta velocità).

1.9

Un altro presupposto fondamentale per migliorare l'attrattiva delle zone rurali e ridurre gli squilibri territoriali è un'adeguata offerta di servizi — sia servizi commerciali che servizi sociali di interesse generale. Infine, occorre investire urgentemente non soltanto nella sanità, l'istruzione e in centri di assistenza di vario tipo, ma anche nelle attività culturali e ricreative.

1.10

Il CESE ritiene che per migliorare l'equilibrio territoriale nell'Unione europea sia indispensabile sviluppare la democrazia partecipativa. Gli abitanti delle zone rurali e le loro associazioni dovrebbero partecipare alla pianificazione e attuazione delle politiche e delle attività finalizzate alla coesione territoriale. Il principio di partenariato applicato ai fondi strutturali europei dovrebbe essere utilizzato in modo efficiente ed esteso anche ad altri settori di intervento.

1.11

In quanto ponte tra le istituzioni europee e la società civile, il CESE sostiene l'idea di un Parlamento rurale europeo — vale a dire di un forum europeo a larga rappresentanza — da organizzarsi periodicamente in partenariato con lo stesso Comitato.

2.   Motivazione del presente parere di iniziativa

2.1

Scopo ultimo del presente parere è sostenere il ricorso alla valutazione d'impatto territoriale delle pertinenti politiche UE per affrontare il drammatico spopolamento che colpisce alcune zone rurali.

3.   Introduzione

3.1

L'UE presenta una grande diversità culturale, linguistica e storica, ma anche dei principi e ideali comuni a tutti suoi i cittadini — principi sanciti dall'articolo 2 del Trattato (1). Un lavoro dignitoso, l'accesso a servizi sociali ed economici di interesse generale ed elevate norme di protezione ambientale sono esigenze fondamentali in tutte le sue regioni.

3.2

Le condizioni, tuttavia, non sono identiche in tutto il territorio dell'Unione. Le regioni europee presentano disparità comprendenti differenze storiche, strutture culturali ereditate dal passato, sistemi politici contrastanti e modelli diversi di sviluppo socioeconomico — tutti fattori che possono inoltre combinarsi tra loro in svariati modi. È necessario approfondire la conoscenza del complesso fenomeno delle disparità geografiche e dei suoi effetti su politiche e prassi.

3.3

Le aree rurali hanno di fronte una sfida comune: attualmente, la loro capacità di creare posti di lavoro sostenibili e di qualità è inferiore a quella delle aree urbane (2). Il reddito dei loro abitanti è più basso di quello della popolazione urbana: in media, lo scarto è di circa 25-30 %, ma nell'Europa centrorientale può arrivare fino al 50 %. Le opportunità di lavoro che offrono sono meno numerose e interessano una gamma più ristretta di attività economiche. Le infrastrutture inadeguate, compresa la cattiva qualità delle comunicazioni a banda larga, la scarsa accessibilità dei servizi commerciali e sociali e la mancanza sia di strutture per l'istruzione e la formazione che di attività culturali e ricreative stanno contribuendo a un esodo di notevoli proporzioni — esodo di cui sono protagonisti principalmente i giovani e in particolare le giovani donne.

3.4

Tuttavia, il quadro generale non è così fosco. Nel decennio 2000-2010 le aree prevalentemente rurali hanno registrato in media una crescita leggermente superiore a quella delle aree urbane (3), anche grazie alle molte soluzioni interessanti che le comunità rurali sono riuscite a trovare per gestire le sfide e ottenere risultati positivi sfruttando le risorse endogene e altre risorse locali (4). Durante le recenti crisi, le aree rurali hanno dato prova di maggiore stabilità e resistenza agli urti. Un recente studio ha inoltre dimostrato che, per effetto dei costi legati alla congestione e degli elevati canoni di locazione, le attività economiche stanno cominciando ad allargarsi alle regioni meno sviluppate — che spesso sono regioni rurali (5).

3.5

Questo sviluppo territoriale squilibrato, caratterizzato da forti differenze sia tra Stati e regioni che al loro interno, ma anche tra comunità rurali e urbane rappresenta una grossa sfida. Per i paesi dell'Europa centrale e sudorientale, che durante il processo di adesione all'UE hanno riscoperto il ruolo delle regioni e delle comunità locali in quanto attori territoriali responsabili, lo sviluppo regionale e locale è ora diventato un importante settore di interesse. Questo rinnovato interesse per lo sviluppo locale e regionale è presente anche in altre regioni europee.

3.6

In tutto il territorio europeo sono presenti zone scarsamente popolate e piccoli centri abbandonati: si tratta in effetti di un problema comune anche agli Stati membri più piccoli. Queste zone presentano caratteristiche e bisogni specifici. Malgrado le differenze, tuttavia, esse hanno almeno quattro problemi comuni: isolamento geografico e quindi elevati costi di trasporto; problemi demografici — emigrazione, invecchiamento, bassi tassi di fecondità; una struttura economica debole e monolitica e infine un basso reddito medio accompagnato in alcuni casi da grave povertà rurale.

3.7

Il presente parere si propone di indicare come le aree rurali possano, grazie a una politica di sviluppo integrato, concorrere alla coesione territoriale e sociale sfruttando le risorse endogene, e in questo modo superare la crisi economica, mantenere i posti di lavoro esistenti, crearne di nuovi e proteggere l'ambiente. Sebbene in molte regioni il settore agroalimentare occupi un posto predominante, è necessaria una diversificazione. Tutti i settori dovrebbero essere in grado di contribuire, se sostenuti da misure politiche mirate.

4.   Osservazioni generali

4.1   Sfide per i responsabili politici UE

4.1.1

Le disposizioni in materia di coesione economica, sociale e territoriale di cui agli articoli 174-178 del Trattato di Lisbona prevedono uno sviluppo armonioso dell'UE, puntano a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo, dedicano un'attenzione particolare alle zone che presentano svantaggi naturali o demografici e invitano gli Stati membri a condurre e coordinare le loro politiche economiche al fine di realizzare tali obiettivi.

4.1.2

Secondo la Commissione europea, la coesione territoriale è uno strumento per assicurare lo sviluppo armonioso dell'Europa nel suo insieme e garantire che gli abitanti possano trarre il massimo beneficio dalle caratteristiche intrinseche delle diverse regioni. La coesione territoriale è perciò uno strumento per fare della diversità una carta vincente, che contribuisce allo sviluppo sostenibile di tutta l'UE (6).

4.1.3

Le regioni hanno al loro interno sia zone dinamiche che aree problematiche. Dal momento che le regioni sono, per definizione, eterogenee, è difficile trovare un equilibrio tra coerenza politica e coesione territoriale. Bisogna quindi costruire una prospettiva politica basata sulla cooperazione tra regioni e sul coordinamento delle diverse politiche settoriali in partenariato con i soggetti territoriali. Un'altra componente importante di qualsiasi politica regionale è il principio di sussidiarietà, in quanto è sempre preferibile affrontare i problemi specifici delle comunità a livello locale.

4.1.4

Per quanto riguarda le politiche europee, lo strumento più importante per l'agricoltura e lo sviluppo rurale è senz'altro la politica agricola comune. Ma questa non deve essere l'unico strumento: nell'elaborare i programmi operativi degli altri fondi, gli Stati membri dovrebbero concentrarsi anche sulla sostenibilità delle aree rurali.

4.2   Spopolamento

4.2.1

Le statistiche UE (7) mostrano che nel periodo 2008-2009 le regioni rurali europee hanno registrato un contenuto incremento demografico (0,1- 0,2 %). Nel periodo 2010-2011 si è avuta invece una stagnazione, a fronte di un aumento della popolazione urbana di circa 0,5 %. Il panorama è tuttavia estremamente eterogeneo. Molte aree rurali hanno registrato un incremento demografico negli ultimi cinque anni. Nel 2011 la popolazione rurale media è aumentata in 8 dei 27 Stati membri dell'UE. È invece diminuita in altri, con cifre particolarmente negative in Lettonia e Lituania, che hanno registrato un calo del 2 %, e in Bulgaria (-1 %), mentre in Portogallo, Germania, Romania e Ungheria si sono avute diminuzioni di circa 0,5 %.

4.2.2

Quando però si analizza la situazione delle singole regioni (NUTS3), le cifre si fanno drammatiche. Nel periodo 2007-2011 all'incirca 100 regioni su un totale di 1  300 hanno registrato un calo demografico del 5 % e in alcuni casi anche maggiore. Per la maggior parte, esse si trovano nei paesi sopraccitati. Bulgaria, Lituania e Lettonia si discostano dall'andamento generale in quanto presentano uno spopolamento elevato di tipo generalizzato. In Germania le zone interessate si concentrano nella parte orientale, mentre in Portogallo si trovano essenzialmente all'interno.

4.2.3

Un altro aspetto che emerge dalla statistiche è la distribuzione fortemente disomogenea della popolazione nell'UE, con densità medie estremamente variabili da regione a regione e forti differenze tra le aree urbane e quelle rurali. Ma l'aspetto demografico forse più allarmante è la densità sorprendentemente bassa di alcune regioni rispetto a 50-100 anni fa. Lo spopolamento deve essere considerato come la maggiore minaccia per le economie rurali, non soltanto in quanto limita le opportunità di crescita, provoca problemi ambientali, influisce negativamente sulle strutture sociali e rende più difficile l'erogazione dei servizi pubblici, ma anche in quanto potrebbe pregiudicare l'esistenza stessa delle piccole città e dei piccoli centri abitati.

4.2.4

Questa tendenza è tuttora in atto. La rapida espansione delle città in quanto sedi di industrie e servizi provoca l'esodo della manodopera dalle zone rurali. E la migrazione verso le città è ulteriormente accentuata dalla ristrutturazione delle attività agricole. Anche i grandi investimenti infrastrutturali possono essere causa di spostamenti demografici. Quando l'esodo rurale supera la crescita naturale, lo spopolamento rurale fa scendere il numero totale degli abitanti a un livello critico causando al tempo stesso l'invecchiamento delle strutture demografiche.

4.2.5

Lo spopolamento rurale ha tutta una serie di conseguenze ambientali. Ad esempio, quando un'area viene abbandonata, al mosaico variegato di paesaggi mantenuti in vita dall'uomo viene a sostituirsi un unico habitat dominante. Questa «omogeneizzazione ecologica» può portare a una diminuzione della biodiversità a livello locale. Tra gli effetti ambientali dello spopolamento figura anche il degrado del suolo dovuto a un'inadeguata manutenzione del terrazzamento nelle aree montuose, come avviene per vaste aree del Mediterraneo e del Sud-est europeo.

4.2.6

Altre preoccupazioni suscitate dallo spopolamento rurale riguardano ad esempio la gestione delle foreste e il rischio di incendi nelle aree mediterranee, nonché i potenziali problemi di sicurezza lungo le frontiere esterne dell'UE.

4.3   Il ruolo della società civile organizzata

4.3.1

Il CESE ha sottolineato che la «democrazia partecipativa, riconosciuta come una componente dei principi democratici del funzionamento dell'Unione, rappresenta una condizione imprescindibile» per realizzare la coesione territoriale (8). Bisogna dare alla società civile organizzata l'opportunità di partecipare in modo responsabile e trasparente alla definizione e attuazione delle politiche e delle attività di coesione territoriale a livello regionale e locale. Il principio di partenariato applicato ai fondi strutturali europei dovrebbe essere utilizzato in modo efficiente ed esteso anche ad altri settori di intervento.

4.3.2

Le parti sociali tradizionali e le organizzazioni socioprofessionali possono svolgere un ruolo fondamentale nel correggere i crescenti squilibri territoriali promuovendo un'occupazione e delle imprese che offrano condizioni di vita e di lavoro migliori.

4.3.3

D'altro canto, si va diffondendo in tutta Europa un movimento delle comunità rurali. In alcuni paesi esso è sorto di recente, mentre in altri esiste da molti anni (i suoi precursori si trovano principalmente nel Nord Europa). A livello nazionale, questi movimenti si organizzano in federazioni e reti che riuniscono sia organizzazioni socioprofessionali già esistenti che nuove iniziative della base. Essi danno voce agli abitanti delle zone rurali con un approccio «dal basso», oltre a promuovere le nuove imprese e l'organizzazione della produzione e dei servizi a livello locale.

4.3.4

Nel novembre 2013 il CESE ha ospitato quello che è stato definito il «primo Parlamento rurale europeo» (9) — un forum delle organizzazioni nazionali ed europee che si occupano di questioni rurali che si propone di rafforzare il movimento rurale in Europa e di dargli una voce comune. Esso punta in primo luogo a influenzare la politica rurale europea, migliorare il dialogo tra i decisori politici e il livello locale e promuovere lo scambio di buone pratiche.

4.3.5

Il CESE, in quanto ponte tra le istituzioni europee e la società civile, potrebbe mettere i cittadini che vivono nelle zone rurali e le loro organizzazioni in condizione di esercitare un ruolo guida nel processo di definizione e attuazione delle politiche rurali. Il Comitato sostiene pertanto l'idea di un Parlamento rurale europeo — vale a dire, di un forum rurale europeo esteso anche alle organizzazioni socioprofessionali e alle parti sociali — da organizzarsi periodicamente in collaborazione con lo stesso Comitato e che potrebbe anche fare da tramite con il suo gruppo di collegamento.

4.4   Valutazione dell'impatto territoriale

4.4.1

In passato il CESE ha raccomandato di esaminare la legislazione, le politiche e i programmi dell'UE dal punto di vista del loro impatto sulla coesione territoriale. La Commissione ha una responsabilità particolare in questa valutazione di impatto, che dovrebbe coinvolgere da vicino tutti i soggetti interessati (10).

4.4.2

Recentemente, questa proposta del CESE ha trovato eco in un parere del Comitato delle regioni che chiede «che le politiche settoriali valutino sin dalle prime fasi la dimensione territoriale dei loro interventi al pari delle loro incidenze economiche, ecologiche e sociali» ed esorta alla «collaborazione degli enti regionali e locali al momento di trasmettere le consultazioni ai soggetti direttamente interessati» (11).

4.4.3

Il concetto di valutazione d'impatto è già presente nelle varie clausole orizzontali del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (artt. 8-12). Queste clausole affermano che «nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni», l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la dimensione sociale, l'uguaglianza dei generi, l'ambiente, la tutela dei consumatori e la lotta alle discriminazioni.

4.4.4

Nel prendere ogni eventuale decisione, i responsabili politici dovrebbero porsi la seguente domanda: qual è l'impatto atteso da questa azione? Contribuirà a far aumentare la popolazione urbana o a mantenere intatta quella rurale? Alle politiche che migliorano l'equilibrio territoriale globale o che perlomeno lo lasciano inalterato si dovrebbe dare immediatamente il via libera, mentre qualsiasi decisione che turbi questo equilibrio aumentando la concentrazione urbana dovrebbe essere soggetta a una valutazione d'impatto che dimostri che essa comporta più benefici che svantaggi.

4.4.5

Bisognerebbe valutare l'impatto territoriale delle politiche settoriali, in particolare quelle riguardanti i settori seguenti: trasporti, TIC, energia, ambiente, agricoltura, commercio, concorrenza e ricerca (12).

4.4.6

A questo fine, la Commissione dovrebbe garantire che nella valutazione strategica ambientale (13) e negli orientamenti per la valutazione d'impatto si presti adeguata attenzione alla dimensione territoriale. Occorre però sviluppare anche altri, specifici indicatori quantitativi e qualitativi che consentano di misurare non soltanto gli effetti socioeconomici e ambientali, ma anche altri effetti meno misurabili come la perdita delle competenze tradizionali.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Uno sviluppo territoriale equilibrato comporta un uso più omogeneo e sostenibile delle risorse naturali, con vantaggi economici derivanti dalla riduzione della congestione e dai minori costi. La prosperità delle aree rurali dipenderà dalla capacità di queste ultime di mobilitare la popolazione e le risorse locali, sviluppando al tempo stesso i fattori che rendono le condizioni di vita e di lavoro in queste zone più allettanti sia per le persone che per le imprese. Le «diseconomie» e le esternalità negative delle agglomerazioni urbane riducono le prospettive di una buona qualità di vita per tutti.

5.2

Accanto agli spazi urbani e periurbani sovrasfruttati esistono molte aree rurali con un potenziale di sviluppo ancora intatto. Nelle regioni periferiche lontane dalle aree metropolitane, le città di piccole e medie dimensioni svolgono un ruolo chiave nel fornire accesso ai servizi, e in questo modo conservano la loro attrattiva come posti per vivere. Sostenere questi centri rurali sarà di grande importanza per far fronte alla chiusura di servizi e all'afflusso di persone dai centri più piccoli della zona circostante, purché però siano organizzati trasporti pubblici efficienti.

5.3

Le forze del mercato non sono in grado di fornire da sole gli incentivi necessari per invertire la tendenza in atto. Occorre perciò una vigorosa azione politica a tutti i livelli per affrontare le conseguenze economiche e sociali dello spopolamento e attirare persone e imprese verso le aree rurali. È necessario un insieme equilibrato di incentivi per stimolare gli investimenti, l'innovazione e le conoscenze e mantenere e creare opportunità per chi vive e lavora nelle zone rurali. Bisognerebbe puntare sull'occupazione, le infrastrutture e i servizi, con l'aiuto di politiche integrate di sviluppo rurale a tutti i livelli (europeo, nazionale e regionale).

5.4

Tutti i programmi UE, non da ultimi la politica di coesione e i suoi strumenti per lo sviluppo rurale e locale come Leader e il CLLD (sviluppo locale di tipo partecipativo), vanno utilizzati appieno. Gli Stati membri devono allocare risorse finanziarie alle zone più colpite dallo spopolamento.

5.5

La normativa sulla concorrenza dovrebbe essere adattata di conseguenza per consentire le necessarie esenzioni. Se i cambiamenti proposti incidono sul costo del lavoro, devono essere trattati nel quadro del normale dialogo sociale con le parti sociali.

5.6

La più importante espressione concreta della coesione territoriale è garantire a tutti i cittadini europei, ovunque essi vivano o lavorino, pari accesso ai servizi di interesse generale. Per ridurre le disparità geografiche è necessario investire in infrastrutture che garantiscano trasporti, comunicazioni e collegamenti energetici efficienti (compresa la banda larga ad alta velocità) per lo sviluppo delle aree più fragili e periferiche.

5.7

Le condizioni di vita delle popolazioni rurali, comprese le più svantaggiate, devono essere migliorate tramite un'adeguata offerta di servizi: questo rappresenta infatti un'altra condizione fondamentale per ridurre gli squilibri territoriali, e ciò vale sia per i servizi commerciali che per i servizi sociali di interesse generale. Investendo non soltanto nella sanità, nell'istruzione e in centri di assistenza di vario tipo, ma anche in attività culturali e ricreative si migliorerà l'attrattiva esercitata dalle zone rurali non soltanto sulle persone ma anche sulle imprese.

5.8

Sfruttare le risorse endogene significa anche creare filiere corte che apportino benefici economici, sociali e culturali non soltanto agli agricoltori, ma anche ad altre attività economiche, ai consumatori e alle aree rurali in generale. L'alimentazione e l'energia sono buoni esempi in questo senso. Questo tipo di modello di produzione ha bisogno di essere incoraggiato, come dimostra il fatto che anche quando esistono catene di approvvigionamento ben organizzate in grado di garantire un flusso produttivo affidabile, le catene di vendita al dettaglio transnazionali si rivolgono raramente ai produttori locali.

5.9

È essenziale creare opportunità di lavoro e garantire concretamente il diritto all'istruzione e alla formazione. Bisogna fornire con urgenza una formazione professionale che consenta di «adeguare la manodopera alle necessità del nuovo modello produttivo» (14). Una preoccupazione fondamentale dovrebbe essere quella di ridurre l'esodo dalle aree rurali dei giovani — e non da ultimo delle giovani donne, tendenzialmente più inclini a emigrare. La società ha tutto da guadagnare dall'offrire un'occupazione che consenta alle giovani famiglie di beneficiare dell'ambiente naturale della campagna come luogo propizio per crescere i figli. Il CESE ha inoltre già raccomandato, in precedenti pareri, di adottare misure forti che consentano di realizzare il potenziale lavorativo e imprenditoriale delle donne facendone un volano di sviluppo e innovazione e dotandole di conoscenze e tecnologie adeguate (15).

5.10

Dei posti di lavoro di qualità in industrie creative avanzate potrebbero mettere in moto un circolo virtuoso, attirando non soltanto attività economiche, ma anche iniziative culturali e altri tipi di servizi che possono rendere la vita in ambiente rurale più interessante per i giovani lavoratori e dissuaderli dal trasferirsi.

5.11

Per creare nuovi posti di lavoro nelle zone rurali più colpite dallo spopolamento occorrono misure radicali di diversificazione e decentramento (16). Per quelle zone vanno perciò attuati programmi con finanziamenti specifici. Sarebbe bene far conoscere le esperienze delle aree rurali che sono riuscite a gestire positivamente la sfida dello spopolamento e a conservare la loro attrattiva nei confronti di persone e imprese.

5.12

Il mercato interno e il diritto di libera circolazione consentono agli agricoltori di praticare l'agricoltura in altri Stati membri che offrono migliori prospettive del loro paese d'origine, come dimostra l'esempio degli agricoltori olandesi insediatisi in Romania. Queste opportunità di mobilità e acquisizione di terra non devono però andare a scapito del sistema agricolo esistente e dei piccoli proprietari locali.

5.13

Il CESE ha chiesto il pari trattamento dei lavoratori migranti nelle aree rurali attraverso l'applicazione di norme minime che garantiscano condizioni di lavoro e di vita dignitose, coinvolgendo in questo processo anche le parti sociali (17). Un processo di integrazione supportato da misure di accompagnamento che impediscano efficacemente la segregazione potrebbe contribuire a fare dei migranti regolari una fonte di sviluppo rurale.

Bruxelles, 26 febbraio 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  L’articolo 2 stabilisce che: "L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Gli Stati membri condividono «una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».

(2)  Si veda ad esempio la relazione informativa del CESE 425/2011 (relatore NARRO), GU C 376 del 22.12.2011, pag. 25.

(3)  Quinta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale.

(4)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 82.

(5)  ESPON 2013 Programma CAEE — The Case for Agglomeration Economies in Europe Progetto 2013/2/1.

(6)  Commissione europea, direzione generale Politica regionale, 2008.

(7)  Eurostat, Annuario regionale, pag. 238 e segg. (sviluppo rurale).

(8)  GU C 228 del 22.9.2009, pag. 123.

(9)  Il Parlamento rurale europeo si ispira al modello dell'ultraventennale Parlamento rurale svedese — forum che si svolge con cadenza biennale, composto dalle organizzazioni rurali nazionali, sia di categoria che di altro tipo, e da gruppi «dal basso» che rappresentano le comunità locali.

(10)  GU C 228 del 22.9.2009, pag. 123.

(11)  GU C 280 del 27.9.2013, pag. 13.

(12)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 15.

(13)  GU L 197 del 21.7.2001, pag. 30.

(14)  GU C 347 del 18.12.2010, pag. 41.

(15)  GU C 299 del 4.10.2012, pag. 29.

(16)  Un esempio rilevante di decentramento è dato dal nuovo centro dati di Portugal Telecom nei pressi di Covilhã, nella regione montana di Serra da Estrela.

(17)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 25.


8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La produzione integrata nell'Unione europea» (parere d'iniziativa)

2014/C 214/02

Relatore: NARRO

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 febbraio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, delle modalità d'applicazione del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

La produzione integrata nell'Unione europea.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 febbraio 2014.

Alla sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio), il Comitato economico e sociali europeo ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, 6 contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La produzione integrata è un esempio concreto di come l'attività agricola funzioni tenendo conto degli aspetti globali economici, ambientali e sociali della sostenibilità. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede di potenziare i modelli di produzione di generi alimentari che privilegiano un uso razionale delle risorse naturali e il rispetto di standard ambientali elevati.

1.2

Per il CESE, l'attività agricola deve perseguire un equilibrio tra protezione dell'ambiente, redditività ed esigenze sociali. L'agricoltura sostenibile è una necessità fondamentale della società civile, che può essere raggiunta attraverso diversi modelli produttivi. La produzione integrata è la prova dell'interesse che i produttori agricoli europei nutrono per un rispetto ancora maggiore delle norme di produzione sostenibile.

1.3

Nell'attuare sul piano nazionale la nuova Politica agricola comune, gli Stati membri devono fare in modo di dare alla produzione integrata nuovi incentivi attraverso i piani di sviluppo rurale e di favorirne l'integrazione nei nuovi sistemi di equivalenza che saranno definiti in relazione al cosiddetto «pagamento ecologico».

1.4

Il CESE invita la Commissione europea ad effettuare un'analisi particolareggiata della situazione della produzione integrata nei vari paesi dell'UE. La diversità delle norme, lo sviluppo di sistemi privati di certificazione e le differenze tra i paesi o addirittura le regioni non favoriscono lo sviluppo di questo sistema produttivo. L'elaborazione, da parte della Commissione, di una comunicazione sul tema della produzione integrata potrebbe fornire nuovi elementi di giudizio su scala comunitaria per quanto concerne la portata di questo tipo di produzione in Europa.

1.5

Per garantire al sistema la necessaria coerenza e un certo grado di armonizzazione, sarebbe opportuno avviare un dibattito a livello europeo sulla possibilità di stabilire una serie di standard minimi per l'UE. Tali orientamenti europei contribuirebbero ad una maggiore diffusione del modello di produzione integrata fra i produttori agricoli e i consumatori e dovrebbero basarsi sugli strumenti di una politica europea di promozione, attualmente in fase di revisione.

1.6

Il CESE riscontra una mancanza d'informazioni per il consumatore e sottolinea la necessità di una migliore comprensione della realtà di un'azienda agricola. I diversi marchi di qualità generano confusione nell'utilizzatore finale e per tale motivo occorre intensificare gli sforzi per avvicinare il cittadino ai produttori agricoli che rispettino elevati standard economici, sociali e ambientali.

1.7

Al fine di sviluppare la produzione integrata occorrono sforzi aggiuntivi in termini di ricerca, formazione tecnica, promozione di iniziative collettive e naturalmente comunicazione nei confronti dei consumatori e del settore agricolo, i quali non conoscono i potenziali vantaggi di un modello di produzione che ottimizza l'uso delle risorse naturali in modo professionale e in linea con le esigenze ambientali.

1.8

Il CESE approva la natura volontaria del sistema di produzione integrata in Europa. Anche se numerosi elementi di tale sistema diventeranno obbligatori, solo un sistema volontario potrà migliorare la presa di coscienza ambientale dei produttori agricoli e rendere più redditizie le loro aziende.

2.   Introduzione

2.1

Nei suoi pareri, il CESE ha illustrato alcune tra le principali sfide nel campo della produzione alimentare che la società europea deve affrontare: la sicurezza dell'approvvigionamento, la ricerca e l'innovazione in campo agricolo, il cambiamento climatico, la diminuzione delle risorse naturali o la conservazione della biodiversità. In tale contesto, è opportuno analizzare un modello di produzione che risponda alle aspettative dei produttori agricoli e dei consumatori: la produzione integrata.

2.2

L'agricoltura attuale offre nuove possibilità e presenta progressi tecnologici in grado di migliorarne il contributo a livello ambientale e arrecare, al tempo stesso, vantaggi ai produttori agricoli in quanto consente una più adeguata gestione e una più ampia redditività delle loro aziende. L'agricoltura deve far fronte ad una sfida di grandi dimensioni: fornire generi alimentari sicuri ad una popolazione mondiale che nel 2050 sarà superiore ai nove miliardi.

2.3

L'attività agricola condotta nei campi è estremamente complessa e irta di difficoltà e questo richiede, da parte dei produttori agricoli, una maggiore preparazione e una serie di conoscenze tecniche e ambientali che possano contribuire a proteggere l'ambiente, assicurare la trasparenza nella produzione e mantenere la sicurezza alimentare. L'agricoltura è un settore strategico che richiede uno sviluppo coerente e coordinato delle esigenze economiche, sociali e ambientali.

2.4

Le superfici agricole e forestali occupano l'80 % del territorio dell'UE. Nel momento in cui sfruttano le risorse naturali, i produttori agricoli sono responsabili della loro protezione e uso sostenibile. L'innovazione e la ricerca servono al raggiungimento di questo obiettivo, condiviso da agricoltori e consumatori, attraverso lo sviluppo di nuove tecniche di produzione integrata che consentano un uso più razionale delle risorse.

2.5

Il modello di produzione integrata rappresenta un tipo di agricoltura sostenibile volto a rendere più redditizia l'attività agricola rispettando al tempo stesso elevati indicatori sociali e ambientali. In ogni caso deve essere uno strumento che, in maniera pedagogica, contribuisca ad illustrare al consumatore il nuovo rapporto esistente tra la produzione di generi alimentari e l'ambiente. La distribuzione deve riconoscere e sostenere questo modello produttivo. E fondamentale è l'esistenza di un interesse commerciale che dia valore alla produzione agricola.

2.6

In diverse occasioni, l'efficacia del sistema risulta compromessa da un processo di certificazione complesso e, in taluni paesi, eccessivemente oneroso.

3.   Il concetto di produzione integrata

3.1

L'Organizzazione internazionale di lotta biologica (OLIB) definisce la produzione integrata nei seguenti termini: «Un sistema agricolo di produzione di generi alimentari che ottimizza l'uso delle risorse e i meccanismi di regolazione naturali, assicurando nel lungo termine un'agricoltura vitale e sostenibile. I metodi biologici, le tecniche di coltivazione e i processi chimici in essa utilizzati sono scelti con cura, cercando un equilibrio tra ambiente, redditività ed esigenze sociali».

3.2

Si fa essenzialmente riferimento ad un modello volontario basato sull'applicazione pratica e costante (mediante trasferimento di conoscenze e sperimentazione tra i servizi tecnici, il produttore e la sua stessa azienda) degli strumenti innovativi e tecnologici che, se usati efficacemente, permettono di raggiungere gli standard di qualità, sicurezza e rispetto dell'ambiente richiesti dalla società di oggi.

3.3

Il concetto di «produzione integrata» viene spesso utilizzato come sinonimo di «agricoltura integrata» e in numerosi paesi le due espressioni vengono utilizzate indistintamente. Tuttavia, nonostante siano sistemi paralleli che presentano numerosi elementi comuni, si tratta di due diverse realtà e rappresentano due modelli distinti a scelta del produttore. La produzione integrata presenta una visione settoriale con norme diverse a seconda dei prodotti mentre l'agricoltura integrata fa riferimento a tutti gli aspetti della gestione di un'azienda.

3.4

La produzione integrata comprende elementi ambientali, etici e sociali della produzione agricola, così come aspetti relativi alla qualità e alla sicurezza dei prodotti alimentari. Attualmente viene vista come uno degli standard internazionali più elevati di produzione di generi alimentari. L'insieme di orientamenti relativi alla produzione integrata e gli strumenti ad essa collegati hanno dato prova della loro utilità e sono stati una fonte d'ispirazione per le organizzazioni di produttori agricoli che desiderano produrre generi alimentari di qualità rispettando elevati standard ambientali e sociali.

3.5

Oltre agli obiettivi indicati, la produzione integrata promuove anche la strutturazione del settore agricolo introducendo servizi tecnici di consulenza qualificata incaricati di programmare, nelle zone coltivate, le operazioni che i produttori devono effettuare all'interno delle loro aziende conformemente ai metodi stabiliti dalle norme di produzione integrata. Si tratta di applicare in maniera costante e pratica concetti generali come l'innovazione e la tecnologia.

3.6

La produzione integrata unisce metodi tradizionali e tecnologie moderne. Introduce inoltre nuove conoscenze e nuove tecniche frutto di una revisione e di una valutazione costante e dinamica. A titolo di esempio si può citare l'agricoltura di precisione che, attraverso la tecnologia GPS più avanzata, permette al produttore agricolo di risparmiare denaro e di ridurre l'inquinamento attraverso una minore applicazione di sostanze nutrienti e di pesticidi. Prima che l'agricoltore decida quando, come e dove produrre, vengono effettuate analisi preliminari sulle condizioni del suolo, del clima, dell'acqua, delle sostanze nutrienti, ecc.

3.7

La produzione integrata facilita il trasferimento di conoscenze fra produttori agricoli, consulenti tecnici e pubbliche amministrazioni limitando l'impatto di determinati rischi nella gestione di un'azienda agricola.

3.8

Questo modello di produzione offre ai consumatori una maggiore qualità e sicurezza e consente loro di avere fiducia nei prodotti che acquistano e consumano; si tratta di garantire il massimo rispetto della flora e della fauna attraverso metodi meno aggressivi, preservando la biodiversità grazie ad una gestione adeguata delle risorse naturali.

3.9

Per i produttori agricoli, il sistema permette di ridurre i costi di produzione e di gestire in modo migliore e più moderno le aziende. Questo assicura una maggiore redditività attraverso la valorizzazione del prodotto, una migliore qualità della vita nell'ambiente rurale e il necessario mantenimento della popolazione nelle campagne.

3.10

La produzione integrata è, senza dubbio, un elemento centrale dell'applicazione del concetto di agricoltura sostenibile e può essere vista come una meta da raggiungere per il modello agricolo europeo.

4.   La produzione integrata nell'Unione europea

4.1

Al momento, contrariamente a quanto avviene per i prodotti ecologici o del commercio equo e solidale, non esiste un quadro giuridico europeo relativo alla produzione integrata né linee direttrici dell'UE che forniscano un orientamento a questo modello volontario di produzione.

4.2

Tuttavia, negli ultimi anni sono state prese diverse iniziative pubbliche nell'ambito della produzione integrata, in taluni casi dotate di un quadro normativo a livello nazionale o regionale (Portogallo, Francia, Regno Unito, Belgio o Spagna), in altri casi portate avanti da imprese private e controllate dalla grande distribuzione (1). Questa situazione eterogenea ha provocato distorsioni in termini di definizione, obiettivi e sviluppo.

4.3

Per tutti questi motivi, nel 2001 è stata creata la cosiddetta «Iniziativa europea per l'agricoltura sostenibile» (EISA) volta a promuovere e a difendere alcuni principi coerenti della produzione integrata nell'UE. Uno dei primi compiti di questa organizzazione è stato quello di definire un Codice europeo della produzione integrata (2) di cui la FAO si è servita per stabilire le pratiche sostenibili in campo agricolo. Nel 2002, l'Arefof (Assemblea delle regioni europee frutticole, ortofrutticole e floricole) si è detta favorevole ad una regolamentazione europea e nell'aprile 2013 ha pubblicato una guida delle pratiche europee sulla produzione integrata (3).

4.4

Come avviene per altri modelli di produzione, affinché i prodotti ottenuti mediante produzione integrata possano disporre di una identificazione di garanzia, un controllo e una certificazione vengono effettuati da appositi enti accreditati. L'identificazione di garanzia può essere utilizzata su quei prodotti che rispettano sia le norme generali sia i requisiti tecnici specifici per ciascuna coltura. In determinati casi (Danimarca, Paesi Bassi) le certificazione non riguarda un prodotto preciso bensì l'intera azienda che porta avanti questo modello di produzione. Per il momento, i marchi di qualità a livello nazionale convivono con quelli regionali.

5.   Questioni fondamentali relative alla produzione integrata

Il ruolo di questo modello all'interno dell'agricoltura europea solleva attualmente una serie di dubbi, problemi e interrogativi. Per il CESE vanno chiariti alcuni degli aspetti più controversi che, per mancanza di conoscenze o per informazioni non obiettive, potrebbero provocare grande confusione nella società.

5.1   Il rapporto tra agricoltura tradizionale e agricoltura integrata

5.1.1

I modelli di produzione tradizionale, ecologico e integrato sono legittimi, presentano analogie e differenze e costituiscono, ad ogni modo, opzioni rispettabili di produzione di generi alimentari.

5.1.2

L'agricoltura tradizionale include alcune delle pratiche o tecniche presenti nell'agricoltura integrata. Difatti, l'obbligo imposto a partire dal 2014 dalla direttiva sull'utilizzo sostenibile dei pesticidi (4) concernente la difesa integrata è un elemento in più che accomuna i due modelli produttivi. La produzione integrata segna la direzione verso cui si dirige passo dopo passo l'agricoltura tradizionale. Si tratta di un'influenza positiva che occorre mantenere.

5.1.3

Tuttavia, la produzione integrata apporta sempre un importante valore aggiunto dovuto alla decisione volontaria del produttore di puntare su un modello che implica una certificazione rigorosa basata su controlli severi che richiedono la consulenza di professionisti altamente qualificati, su una formazione su misura, sull'efficienza energetica e sulla riduzione dell'impronta di carbonio e infine sull'uso di sistemi tecnologici per la gestione dell'irrigazione, la fertilizzazione, la potatura, la gestione del suolo, ecc.

5.1.4

Attualmente, numerosi produttori adottano la produzione integrata per ottimizzare la capacità produttiva della loro azienda e, al tempo stesso, aumentare la fertilità del suolo, eliminare o ridurre i residui di pesticidi e migliorare le condizioni sanitarie delle zone coltivate (5).

5.1.5

L'agricoltura tradizionale e quella ecologica sono regolamentate a livello europeo, anche attraverso un marchio di qualità per l'agricolura ecologica. L'agricoltura integrata, invece, si sviluppa solo a livello nazionale o regionale ed è caratterizzata da una grande diversità di legislazioni e da un crescente caos normativo.

5.1.6

La crescente importanza dell'agricoltura integrata giustifica uno sforzo aggiuntivo volto a comunicare efficacemente tale modello di produzione ai cittadini europei.

5.2   Il ruolo dell'UE nello sviluppo della produzione integrata

5.2.1

L'Unione dovrebbe effettuare un'analisi particolareggiata della produzione integrata in Europa al fine di conoscere la situazione attuale di questo modello e le sue potenzialità di sviluppo. Tra gli strumenti a disposizione dell'UE risulta in particolar modo rilevante l'elaborazione di una comunicazione da parte della Commissione, al fine di analizzare le sfide di questo modello e il ruolo dell'Europa in tale contesto.

5.2.2

Data la diversità della regolamentazione nazionale e regionale sulla produzione integrata, è lecito domandarsi se a livello UE sia necessario procedere ad un qualunque tipo di armonizzazione della legislazione esistente. Attualmente, l'UE sostiene la produzione integrata attraverso i piani di sviluppo rurale e i programmi operativi di OCM quali, ad esempio, quella relativa al settore degli ortofrutticoli. La nuova PAC sarà elaborata in funzione della sua sostenibilità; in questo modo è logico che la produzione integrata dia il suo contributo all'attuazione pratica del nuovo pagamento ecologico attraverso gli atti delegati. Anche il nuovo Partenariato europeo per l'innovazione può fornire ulteriori opportunità a questo modello produttivo (6).

5.2.3

Nel passato si è discusso circa l'opportunità o meno di legiferare in materia di agricoltura ecologica o di commercio equo e solidale. Per identificare la produzione integrata esistono diversi marchi di qualità nazionali o regionali e per tale motivo il dibattito è aperto circa la necessità di creare un nuovo logo europeo o di semplificare quelli esistenti. L'UE dovrebbe innanzi tutto comunicare meglio ai consumatori i vari sistemi di identificazione esistenti per valorizzare la qualità o l'origine di un prodotto.

5.2.4

Il settore della produzione integrata è diversificato ed eterogeneo ma tutti sono d'accordo nel richiedere una serie di orientamenti minimi a livello UE che lo rendano coerente e che forniscano maggiori conoscenze.

5.3   Alla ricerca di una migliore comunicazione tra produttori e consumatori

5.3.1

Attualmente la produzione integrata attraversa una fase di pieno sviluppo dato che un numero sempre più grande di produttori sente la necessità di rendere le aziende più redditizie migliorando il contributo dell'agricoltura all'ambiente e alla conservazione delle risorse naturali. Nonostante il crescente interesse da parte del settore agricolo, la società non sa cosa sia la produzione integrata e quale contributo possa fornire ad un modello di agricoltura sostenibile.

5.3.2

Il CESE osserva che ci sono lacune nella diffusione di questo modello di produzione e invita a potenziare la formazione dei produttori, incoraggiandoli ad elaborare iniziative collettive a salvaguardia dell'ambiente. Il produttore agricolo deve offrire ai consumatori la massima trasparenza nelle sue forme di produzione e cercare di dimostrare in che modo l'innovazione possa essere messa al servizio dell'agricoltura sostenibile. In numerosi paesi dell'UE vengono prese iniziative con l'obiettivo di avvicinare il consumatore alla realtà di un'azienda agricola facendogli conoscere meglio un'attività essenziale come la produzione di generi alimentari.

5.4   Verso un nuovo standard di produzione?

5.4.1

La difesa integrata è un elemento della produzione integrata che diventerà obbligatorio a partire dal 2014, come stabilito all'articolo 14 della direttiva 2009/128 relativa all'utilizzo sostenibile dei pesticidi. Quest'obbligo imposto a tutti i produttori rappresenta un passo molto importante verso lo sviluppo della produzione integrata nell'UE e implica un nuovo standard di produzione europea in materia di difesa.

5.4.2

Nonostante alcuni elementi tradizionali della produzione integrata stiano poco a poco diventando obbligatori nell'ambito delle pratiche dei produttori agricoli, il carattere volontario di questo sistema deve rimanere inalterato onde facilitare l'integrazione dei produttori in funzione delle loro condizioni economiche, ambientali o geografiche. La decisione di un produttore di adottare il modello di produzione integrata comporta notevoli cambiamenti nel modo di gestire l'azienda e soprattutto richiede grandi investimenti in materia di consulenza tecnica, formazione, controlli, materiale e prodotti specifici.

Bruxelles, 26 febbraio 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  EUREP-GAP, QS, QS-GAP BRC, Nature's choice, ecc.

(2)  A Common Codex of Integrate Farming. Nel 2006 l'EISA ha pubblicato il «quadro europeo dell'agricoltura integrata», poi riveduto nel 2012.

(3)  www.areflh.org.

(4)  Direttiva 2009/128 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi.

(5)  Dai piani di sviluppo rurale si evince che in Spagna i beneficiari sono in massima parte produttori che gestiscono aziende di meno di 10 ettari, situate principalmente in zone caratterizzate da svantaggi specifici.

(6)  http://ec.europa.eu/agriculture/eip/index_en.htm.


8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/13


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le relazioni commerciali tra l'UE e il Marocco»(parere d'iniziativa)

2014/C 214/03

Relatore: NARRO

Correlatore: MORENO

Nella sessione plenaria del febbraio 2013, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Le relazioni commerciali tra l'UE e il Marocco.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 febbraio 2014.

Alla sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 179 voti favorevoli, 3 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) constata l'approfondimento delle relazioni commerciali tra l'UE e il Marocco. Chiede, tuttavia, una maggiore partecipazione della società civile nella definizione e attuazione degli accordi e punta a un'integrazione reale e su vasta scala dello sviluppo sostenibile.

1.2

Il CESE prende atto del timore del Marocco riguardo alla possibilità che nuovi accordi commerciali con l'UE continuino a incidere negativamente sulla bilancia commerciale del paese. Di fronte al crescente scetticismo della società civile marocchina, la risposta dell'Unione europea deve manifestarsi attraverso una strategia commerciale che, oltre a promuovere lo scambio di merci, getti le basi per la creazione di posti di lavoro dignitosi e qualificati, la promozione del tessuto associativo, il consolidamento dei diritti dei lavoratori (1) e il rispetto dell'ambiente.

1.3

Al fine di garantire il rispetto delle norme di sviluppo sostenibile una volta che sia entrato in vigore l'accordo di libero scambio globale e approfondito, il CESE invita la DG Commercio della Commissione europea a insistere affinché in tale accordo venga inserito un capitolo riguardante lo sviluppo sostenibile, che preveda dei meccanismi di monitoraggio da parte della società civile.

1.4

L'UE potrà sfruttare appieno il potenziale di un nuovo quadro commerciale con il Marocco soltanto se saranno compiuti progressi in materia di protezione degli investimenti e sarà garantita la certezza del diritto agli investitori. Il CESE rileva che il nuovo meccanismo di risoluzione delle controversie commerciali costituisce un incentivo per la creazione di un clima imprenditoriale più favorevole.

1.5

Il CESE ribadisce tuttavia che il monitoraggio da parte della società civile del capitolo sullo sviluppo sostenibile dell'accordo di libero scambio globale e approfondito dovrebbe essere coordinato rispettivamente dal Consiglio economico, sociale e ambientale del Marocco e dal Comitato economico e sociale europeo, dato che tali organismi dispongono della rappresentatività e dell'esperienza necessarie per svolgere tale compito.

1.6

L'UE e il Marocco dovrebbero cercare di accrescere al più presto il potenziale complessivo di tale accordo innalzando il livello di investimento in tutti i settori della formazione e in misure tese alla parità di genere. In primo luogo devono essere considerate le esigenze specifiche dei giovani, delle donne e delle persone provenienti dalle zone più svantaggiate. Il CESE ritiene che i programmi di sostegno finanziario dell'UE debbano contribuire ad approfondire i progressi nel campo dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e anche della normativa per la parità.

1.7

L'attuazione del partenariato per la mobilità tra il Marocco e l'UE, se potrà disporre di un sostegno finanziario solido per rafforzare capacità e strumenti giuridici e operativi, creerà nuove prospettive di sviluppo nelle aree più vulnerabili. La gestione dei flussi migratori e la libera circolazione delle persone possono essere migliorate attraverso una partecipazione più attiva delle organizzazioni della società civile.

1.8

Il Marocco punta sull'agricoltura quale uno dei principali elementi trainanti della sua economia. Le nuove opportunità per l'agricoltura marocchina nel mercato europeo non devono condurre il paese alla dipendenza dall'esterno per le materie prime di base, alla riduzione della biodiversità e alla scomparsa dell'attività agricola familiare (2). Il Marocco e l'UE devono cooperare per garantire la sicurezza alimentare.

1.9

I negoziati in corso per la conclusione di un accordo di libero scambio globale e approfondito devono permettere un ravvicinamento della legislazione del Marocco all'acquis dell'UE. Si tratta di un processo complesso che richiederà una stretta e costante cooperazione, con la fissazione di termini realistici su questioni chiave quali la proprietà intellettuale o le norme sanitarie e fitosanitarie.

1.10

Il CESE chiede una partecipazione più attiva degli attori economici e sociali del Marocco e dell'UE alla definizione, al monitoraggio e allo sviluppo degli accordi commerciali. In tale contesto il Comitato propone l'istituzione, sulla base dell'articolo 85 dell'accordo di associazione, di un comitato consultivo misto, formato da membri del Consiglio economico, sociale e ambientale del Marocco e da consiglieri del CESE, che consenta il monitoraggio, da parte della società civile organizzata di tutti gli accordi tra l'UE e il Marocco e dell'impatto globale degli accordi commerciali tra UE e Marocco. È altresì opportuno rafforzare le relazioni dirette tra le organizzazioni omologhe del Marocco e dell'UE mediante il sostegno alle loro iniziative sul fronte del dialogo sociale tra lavoratori e imprenditori e in altri ambiti.

2.   Introduzione

2.1

L'Unione europea e il Marocco intrattengono stretti rapporti bilaterali che hanno condotto alla conclusione di accordi importanti, in cui la promozione delle relazioni commerciali ha rappresentato uno dei principali assi portanti. L'UE non è soltanto il principale partner commerciale del Marocco, ma ha anche individuato in tale paese un partner strategico fondamentale per il raggiungimento della democrazia e della prosperità nel bacino del Mediterraneo.

2.2

Per tradizione, le relazioni commerciali tra l'UE e il Marocco sono state caratterizzate da negoziati intensi e talvolta problematici riguardanti l'accesso al mercato e la progressiva liberalizzazione delle tariffe. Tali discussioni si sono concentrate in gran parte sull'agricoltura; tuttavia, con la liberalizzazione pressoché totale del capitolo agricolo e attraverso nuovi strumenti, è stata adottata una dinamica più ampia, finalizzata a un miglioramento complessivo del clima commerciale.

2.3

Il Marocco si è avviato in un complesso processo di ravvicinamento all'acquis comunitario. Tale sforzo dovrebbe consentire un migliore utilizzo degli strumenti offerti dalla nuova politica europea di vicinato e il raggiungimento di un livello di integrazione più elevato. Il Regno del Marocco continua a essere il principale beneficiario dei fondi europei per la cooperazione tecnica e finanziaria.

2.4

La risposta dell'UE alla «primavera araba» si è concentrata sulla promozione dei rapporti commerciali con quattro paesi del Mediterraneo, segnatamente Egitto, Tunisia, Giordania e Marocco. L'Unione ha accelerato il processo negoziale con il Marocco e con altri partner mediterranei e, al tempo stesso, ha dato un diverso orientamento alla sua interpretazione delle realtà politiche e sociali della regione, rivedendo in modo approfondito la sua strategia politica per tutta l'area mediterranea.

2.5

Dal canto suo, il Marocco ha avviato una serie di riforme sfociate in una nuova Costituzione, che si propone di tenere il passo dei cambiamenti verificatisi nella regione mediterranea e di rispettare i vincoli imposti dall'UE per procedere verso una maggiore integrazione. Il CESE ritiene tuttavia che le sfide rimangano enormi e richiedano un'azione a lungo termine continua e coerente.

2.6

In questa nuova prospettiva commerciale, è essenziale riflettere su come garantire la partecipazione effettiva della società civile dell'Unione europea e del Marocco alla progettazione e all'attuazione degli accordi commerciali, secondo il principio del coinvolgimento della società civile, applicato dall'UE in altri recenti accordi commerciali. In tale riflessione congiunta devono inoltre trovare spazio le preoccupazioni sociali e ambientali di una società che progressivamente reclama il riconoscimento della sostenibilità come linea guida degli accordi commerciali futuri.

3.   Il lungo percorso delle relazioni commerciali UE-Marocco

3.1

L'UE è il principale partner commerciale del Marocco e il suo più importante investitore estero. È seguita, a notevole distanza, da Stati Uniti e Cina, che negli ultimi anni hanno compiuto degli sforzi per intensificare le relazioni commerciali con i partner mediterranei.

3.2

Il Marocco possiede un'economia basata sui servizi che negli ultimi due anni ha compiuto grandi sforzi inseguendo l'obiettivo della diversificazione settoriale. La maggior parte degli scambi commerciali tra l'UE e il Marocco riguarda il settore dei prodotti trasformati, i macchinari e le attrezzature da trasporto, i prodotti alimentari e i materiali chimici. L'economia marocchina presenta un potenziale molto elevato, ma nell'ultimo anno la crescita economica ha subito un rallentamento.

3.3

All'interno dell'Unione europea il partner commerciale più importante è la Francia, seguita da vicino da Spagna e Regno Unito, che investono prevalentemente nei settori turistico, terziario, bancario e dei trasporti. Sebbene la crisi economica internazionale non abbia infierito sul Marocco, il paese inizia ad avvertire i danni collaterali di un contesto economico incerto che si manifesta in settori quali il turismo, i trasporti o le rimesse degli emigranti. La povertà e la disoccupazione diffusa sono all'origine dei problemi economici, migratori e di sicurezza nella regione. Anche la decelerazione dell'economia europea influisce su questa situazione.

3.4

I legami commerciali con l'UE si sono consolidati negli ultimi dieci anni grazie all'entrata in vigore, nel 2000, dell'accordo di associazione e all'adozione, nel luglio 2005, del piano d'azione nell'ambito della politica europea di vicinato. Lo status avanzato concesso al paese nel 2008 ha inaugurato una nuova fase del partenariato, più ambiziosa e di ampia portata. Nel 2012 è entrato in funzione un nuovo meccanismo per la risoluzione delle controversie commerciali. Nello stesso anno, l'agricoltura e la pesca sono state oggetto di due controversi accordi commerciali. Nel 2013 l'UE ha avviato con il Marocco i negoziati per un accordo sulla protezione reciproca delle indicazioni geografiche, che le parti prevedono di concludere entro il 2014.

4.   La primavera araba e lo sviluppo di una nuova prospettiva commerciale

4.1

La primavera araba ha ridato slancio al tentativo dell'Unione europea di ristabilire il suo ruolo nella regione, mediante una revisione approfondita delle sue azioni, dei suoi strumenti e delle sue relazioni. L'UE ha tentato di fornire, attraverso nuovi strumenti, una risposta rapida e coordinata per realizzare, attraverso una liberalizzazione progressiva ed equilibrata del commercio, una zona di pace e prosperità nel bacino del Mediterraneo.

4.2

A maggio 2012 la Commissione ha pubblicato, nel quadro della nuova politica europea di vicinato, la tabella di marcia sull'attuazione di tale politica in rapporto ai paesi partner del Mediterraneo.

4.3

La promozione delle relazioni commerciali con i partner mediterranei, in particolare il Marocco, è diventata un obiettivo importante per l'Unione europea in questa nuova strategia che punta a superare una situazione politica ed economica carica di incertezze.

4.4

Il 1o marzo 2013 l'UE ha ufficialmente avviato i negoziati con il Marocco per un nuovo accordo di libero scambio globale e approfondito. Gli obiettivi, come dimostrano altri simili accordi negoziati, ma non ancora conclusi, con i partner orientali dell'UE, e in particolare Ucraina, Georgia e Moldova, sono: andare «oltre frontiera» per realizzare una maggiore coerenza normativa tra l'UE e determinati paesi limitrofi, ampliare le questioni tradizionali legate al commercio allo scopo di affrontare temi fondamentali per il miglioramento generale del clima commerciale (protezione degli investimenti, appalti pubblici, servizi ecc.), avvicinare il Marocco alle norme del mercato interno europeo e approfondire questioni specifiche rimaste in secondo piano in negoziati precedenti (quali proprietà intellettuale, misure sanitarie e fitosanitarie ecc.).

La Commissione europea ha riconosciuto l'importanza del nuovo capitolo sulla sostenibilità sociale e ambientale, sulla scorta del precedente creato con ognuno dei recenti accordi di libero scambio conclusi dall'UE. In vari pareri il CESE ha chiesto all'UE di dare la priorità anche alle considerazioni sociali e ambientali nella negoziazione degli accordi di liberalizzazione commerciale.

5.   La dimensione commerciale dello sviluppo sostenibile. Negoziati tra l'UE e il Marocco per un accordo di libero scambio globale e approfondito

5.1

La fase finale delle relazioni commerciali tra l'UE e il Marocco è contrassegnata dall'avvio di negoziati per un accordo di libero scambio globale e approfondito. Una volta completato l'abbattimento delle barriere doganali per i prodotti agricoli e industriali, l'obiettivo fondamentale consiste nel migliorare l'ambiente commerciale e ravvicinare la legislazione marocchina all'acquis dell'UE (3). Il citato accordo bilaterale è di estrema importanza poiché fungerà da modello per la stipula di accordi analoghi tra l'UE e alcuni dei suoi principali partner del Mediterraneo meridionale.

5.2

La Commissione europea ha deciso di inserire nei negoziati un capitolo specifico sullo sviluppo sostenibile. Al riguardo, la società di consulenza ECORYS ha elaborato, su incarico dell'UE, una valutazione d'impatto sul capitolo dell'accordo relativo allo sviluppo sostenibile (4).

5.3

Lo studio affronta temi di estrema importanza ai quali il CESE intende contribuire in modo costruttivo per sensibilizzare entrambe le parti negoziali alla necessità di porre il commercio al servizio dello sviluppo sostenibile. Di seguito sono riportati alcuni elementi ritenuti essenziali dal Comitato, dei quali l'Unione europea e il Marocco devono tenere conto affinché l'approfondimento delle relazioni commerciali avvenga in modo coerente con lo sviluppo economico, sociale e ambientale.

Sviluppo economico

5.4

Il disavanzo commerciale del Marocco nei confronti dell'UE è aumentato negli ultimi anni, in parte per effetto degli accordi di liberalizzazione commerciale, generando un certo scetticismo nel paese africano riguardo all'«opportunità» di un nuovo accordo. L'esperienza maturata con gli accordi precedenti siglati con gli Stati Uniti o la Turchia accresce la prudenza e il timore di un'eccessiva dipendenza da risorse esterne. Un settore faro come quello agricolo mostra una crescente dipendenza del Marocco dall'importazione di materie prime quali latte o cereali, con ripercussioni negative sulla sovranità alimentare del paese. La strategia commerciale dei due blocchi deve pertanto promuovere la diversità produttiva.

5.5

Il settore europeo continua a chiedere una maggiore protezione degli investimenti che porti alla necessaria certezza del diritto, agevolando così gli investimenti esteri diretti. I progressi registrati negli ultimi anni devono tradursi in ulteriori modifiche alla legislazione marocchina. Le imprese europee continuano a puntare sul Marocco come destinazione per il trasferimento offshore di talune fasi della produzione. I settori collegati all'industria automobilistica, aerospaziale e dell'elettronica hanno svolto in questo senso un ruolo pionieristico, ma nuove opportunità potrebbero sorgere con una regolamentazione trasparente e nuove forme di collaborazione con le imprese marocchine.

5.6

L'UE rileva un potenziale considerevole per le imprese europee in termini di nuove opportunità nel settore finanziario e in quello dei servizi. Da parte sua, il Marocco chiede all'Europa più fondi per agevolare il complesso processo di armonizzazione legislativa.

5.7

I vantaggi economici del libero scambio con il Marocco si sono spesso concentrati in determinati settori o aree del paese, contribuendo a marginalizzare i territori più svantaggiati. Le valutazioni d'impatto devono esaminare in via prioritaria i vantaggi e i rischi degli accordi a livello locale o regionale.

Sviluppo sociale

5.8

Il nuovo slancio commerciale non può tradursi in una perdita di diritti per i lavoratori. Occorre rafforzare i diritti sindacali e gettare le basi per la creazione di posti di lavoro dignitosi e di qualità, in linea con gli standard dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Uno dei tradizionali punti deboli nelle relazioni commerciali tra l'UE e il Marocco è stata proprio la limitata creazione di posti di lavoro.

5.9

L'Unione europea e il Marocco devono investire nella formazione affinché gli strati della popolazione scarsamente qualificati, i lavoratori provenienti da aree svantaggiate, i giovani e le donne possano trarre benefici dalle nuove opportunità. La promozione dell'imprenditorialità, il rafforzamento delle cooperative e lo sviluppo delle piccole e medie imprese devono essere uno dei pilastri della nuova strategia in materia di formazione. Le iniziative connesse all'economia sociale devono essere potenziate.

5.10

Il partenariato per la mobilità tra l'Unione europea e il Marocco (5) è il risultato di un intenso lavoro realizzato da entrambe le parti per facilitare la libera circolazione delle persone e la gestione dei flussi migratori. Il Comitato si rallegra per l'impegno assunto dall'UE e dal Marocco di attribuire un ruolo di maggiore rilievo alle organizzazioni della società civile nel monitoraggio dei diversi elementi concordati dalle parti.

5.11

Il suddetto partenariato dovrà consentire di migliorare gli scambi accademici, trasferire i risultati della ricerca e favorire i flussi culturali e turistici. La fuga di cervelli è un problema palese che deve essere affrontato mediante disposizioni specifiche.

5.12

Il sostegno finanziario dell'UE a favore della convergenza normativa deve agevolare l'applicazione pratica di norme volte a promuovere la parità di genere e i diritti fondamentali. La sola proliferazione di strumenti a sostegno delle donne non è sufficiente, ma i progressi compiuti devono essere verificati periodicamente sul campo e bisogna sostenere il lavoro che le organizzazioni della società civile portano avanti.

Sviluppo ambientale

5.13

La conservazione delle risorse naturali e il rispetto della biodiversità non sono in contraddizione con un maggiore dinamismo commerciale. La liberalizzazione degli scambi commerciali non può essere utilizzata per intensificare attività con potenziali risvolti negativi sull'ambiente. L'UE e il Marocco dovranno privilegiare l'armonizzazione progressiva, con termini prestabiliti, in materia ambientale, malgrado i costi finanziari che possono derivare dal ravvicinamento delle norme connesse alla protezione sanitaria e fitosanitaria, alla gestione dei rifiuti industriali o all'inquinamento idrico.

5.14

Le valutazioni d'impatto sulla sostenibilità condotte dall'UE nelle sue relazioni commerciali con il Marocco continuano a non colmare un'importante lacuna di tali accordi: il rigoroso monitoraggio del loro impatto ambientale man mano che si procede con la liberalizzazione commerciale. È indispensabile fornire alla società civile dell'Unione europea e a quella del Marocco gli strumenti per sostenere le rispettive autorità nel difficile compito di garantire la crescita economica e l'intensificazione degli scambi commerciali senza recare pregiudizio alla necessaria protezione dell'ambiente.

5.15

La negoziazione di un accordo di pesca tra l'UE e il Marocco (6) esemplifica la necessità che in qualsiasi tipo di iniziativa commerciale trovino spazio il rispetto dei diritti umani, la sostenibilità ambientale e la convenienza per le popolazioni locali interessate. Questo tipo di accordi è legittimo solo se gli stessi sono accompagnati da strumenti e indicatori che ne garantiscano la sostenibilità.

6.   La questione agricola: minaccia od opportunità?

6.1

Il settore agricolo costituisce un elemento importante del tessuto socioeconomico del Marocco. Nel 2012 esso rappresentava il 15 % del PIL ed è tuttora la principale fonte di occupazione del paese, con il 43 % della forza lavoro e oltre il 78 % dell'occupazione nelle aree rurali. Il salario orario medio va da 55 a 65 centesimi di euro (7), i lavoratori stagionali non hanno potuto avvalersi pienamente dei diritti sul lavoro e nelle aziende agricole persiste il lavoro minorile. Un ruolo importante nell'economia agricola del Marocco è ricoperto anche dal settore zootecnico, che rappresenta il 30 % del valore aggiunto agricolo e il 20 % della forza lavoro rurale.

6.2

Anche l'industria alimentare riveste un'importanza strategica per l'economia marocchina. Il settore conta oltre 1  700 imprese che rappresentano un quarto della produzione industriale totale del paese.

7.   Accordo agricolo UE-Marocco

7.1

Le intense relazioni tra l'Unione europea e il Marocco in materia di agricoltura hanno avuto origine, il 26 febbraio 1996, con la firma dell'accordo euromediterraneo di associazione tra la Comunità europea e il Marocco e le successive modifiche apportate per effetto di nuovi accordi. L'ultima fase si è conclusa nel 2012 con un nuovo accordo agricolo approvato a maggioranza dal Parlamento europeo.

7.2

Considerando il solo accordo agricolo, le relazioni tra le due parti sono state difficili, soprattutto con i paesi dell'Europa meridionale, per via della concorrenza soprattutto nel settore ortofrutticolo, delle controversie in materia di superamento dei contingenti e, in determinati periodi, di presunte violazioni sui prezzi di entrata dei pomodori marocchini, prodotto di punta dell'accordo.

7.3

Il CESE ritiene che si dovrebbero inserire nell'accordo agricolo tra UE e Marocco criteri e clausole che permettano di verificare l'impatto dell'apertura commerciale per entrambe le parti, in particolare sull'ambiente e i diritti sul lavoro.

8.   Plan Maroc Vert (Piano Marocco verde)

8.1

Il quadro dell'accordo agricolo è completato da altre due iniziative strettamente collegate con un futuro: il Plan Maroc Vert e il cosiddetto «status avanzato».

8.2

Il Plan Maroc Vert all'orizzonte 2020 punta ad aumentare il valore aggiunto del prodotto interno lordo (PIL) riconducibile all'agricoltura e a quadruplicare la produzione di olio d'oliva entro il 2020 per raggiungere così le 3 40  000 tonnellate, nonché a portare la produzione di agrumi dagli attuali 1,5 milioni a 3,7 milioni di tonnellate e quella di ortofrutticoli a 10 milioni di tonnellate a fronte degli odierni 4,45 milioni. Contemporaneamente la superficie cerealicola sarà ridotta dagli attuali 5,3 milioni di ettari complessivi a 4,2 milioni di ettari. Sebbene il governo marocchino sostenga di essere intenzionato ad aumentare la produttività, gli investimenti esteri punteranno sul settore ortofrutticolo. Il miglioramento della bilancia commerciale è una priorità per il Marocco e a tal fine il paese deve sostenere le esportazioni.

9.   Status avanzato

9.1

Il 17 aprile 2013 la Commissione ha presentato la proposta di decisione del Consiglio in merito al piano d'azione UE-Marocco per l'attuazione dello status avanzato (2013-2017), nella quale è espressamente previsto, come primo provvedimento in materia di agricoltura, l'«ammodernamento e potenziamento delle capacità del settore agricolo nel quadro della liberalizzazione degli scambi e in linea con le prospettive del Plan Maroc Vert (PMV)».

9.2

Il programma di miglioramento dell'agricoltura previsto dallo status avanzato ha già ricevuto finanziamenti dell'UE destinati in modo diretto ed esclusivo a sostenere il secondo pilastro del Plan Maroc Vert: negli ultimi dieci anni l'UE ha finanziato il Marocco, attraverso i fondi per lo sviluppo, per 1  330 milioni di euro. Tra il 2011 e il 2013 sono stati stanziati altri 565 milioni di euro, di cui 70 milioni tramite il programma di sostegno alle politiche del settore agricolo, cui seguirà un secondo programma con una dotazione di 60 milioni di euro. Questi aiuti dell'UE sono in parte utilizzati per lo sviluppo dell'arboricoltura mediterranea, in particolare degli olivi.

10.   Sicurezza alimentare

10.1

I citati interventi di sviluppo dell'economia agricola marocchina consentiranno certamente di raggiungere l'obiettivo del primo pilastro del Plan Vert, ossia l'aumento delle esportazioni di prodotti ortofrutticoli, in particolare quelli provenienti da colture irrigue. Non sorprende che dai risultati dei modelli della valutazione d'impatto pubblicata dall'ECORYS il 17 ottobre emerga una possibile espansione del settore ortofrutticolo e dei prodotti vegetali trasformati grazie alla DCFTA.

10.2

Gli encomiabili sforzi di miglioramento dell'efficienza agricola compiuti dal Marocco si scontrano con la scarsità di terreni coltivati. Il 65 % della superficie agricola è occupato dalla coltivazione di cereali, seguita con l'11 % da quella di alberi da frutto (agrumi, olivi), mentre il 4 % è rappresentato da colture industriali (barbabietola da zucchero, canna da zucchero), un altro 4 % dalla coltivazione di legumi e il 3 % dalla coltivazione di ortaggi (pomodori, fragole, meloni ecc.). I prodotti ortofrutticoli sono la punta di diamante delle esportazioni marocchine.

10.3

L'handicap per lo sviluppo del secondo pilastro del Plan Vert è significativo: soltanto il 12 % del territorio è costituito da terreni coltivabili, molti dei quali sono superfici non irrigue. Il paesaggio agricolo è dominato da aziende di piccole dimensioni (meno di 5 ettari) a conduzione familiare (oltre il 70 % delle aziende marocchine occupa meno di un terzo della superficie agricola).

10.4

In Marocco il passaggio da un'agricoltura cerealicola a una coltivazione agricola intensiva accelera la salinizzazione — fenomeno peraltro non sconosciuto alla sponda settentrionale del Mediterraneo — che interessa il 5 % della superficie del paese. L'UE deve perseguire un equilibrio tra i due pilastri del Plan Vert e promuovere un settore orientato verso i piccoli produttori agricoli, visto che attualmente esiste un totale squilibrio a favore dell'agricoltura da esportazione, settore al quale non partecipa la vasta maggioranza dei produttori marocchini. Il prossimo programma di progetti pilota per lo sviluppo rurale (ENPARD) in Marocco potrà offrire anche a questi ultimi nuove opportunità.

11.   Il ruolo della società civile

11.1   Riforme, libertà di associazione e società civile

11.1.1

Se in alcuni paesi della regione la libertà di associazione, in forma più o meno consolidata, è un fenomeno riscontrabile soltanto a partire dalle attuali transizioni democratiche, in Marocco vi erano già da prima delle attuali riforme associazioni indipendenti di lavoratori, di datori di lavoro e di altri settori della società civile che godevano di libertà di azione, benché soggette a limiti e restrizioni da parte delle autorità politiche.

11.1.2

Le riforme attuate negli ultimi anni hanno migliorato la situazione e per tale motivo la liberalizzazione politica del Marocco è spesso considerata un modello da seguire nei paesi arabi. Tuttavia si rilevano ancora settori suscettibili di miglioramento.

11.1.3

Le organizzazioni della società civile attraversano una fase di pieno sviluppo, sebbene molti attivisti denuncino il permanere di ostacoli amministrativi soprattutto per quanto riguarda il processo di registrazione delle associazioni.

11.1.4

Tra gli strumenti istituzionali adottati nel quadro della riforma politica va segnalata la creazione, a febbraio 2011, del Consiglio economico, sociale e ambientale (CESA) marocchino, organismo che svolge funzioni consultive per il governo, la Camera dei rappresentanti e la Camera dei consiglieri in materia di orientamenti economici, ambientali e di formazione professionale. Il CESA si occupa anche della promozione e del rafforzamento delle relazioni tra gli operatori economici e sociali.

11.1.5

Vi sono inoltre associazioni che, pur non essendo presenti in seno al CESA, godono di un prestigio riconosciuto nell'ambito della difesa dei diritti delle donne, dei diritti umani in generale e della lotta alla corruzione.

11.1.6

Si riporta di seguito un elenco di altri organismi consultivi disciplinati dalla Costituzione: Consiglio nazionale per i diritti umani, Corpo nazionale della prevenzione contro la corruzione, Consiglio della gioventù, Consiglio della comunità marocchina all'estero, Consiglio per la concorrenza e Consiglio superiore per la sicurezza. In attesa di insediamento sono il Supremo Consiglio di giustizia, il Consiglio superiore della famiglia, il Consiglio per la parità di genere e il Consiglio nazionale delle lingue e della cultura marocchina.

11.2   La partecipazione della società civile europea e marocchina agli accordi UE-Marocco

11.2.1

Come osservato nel precedente parere del CESE sul Marocco (8), i negoziati per l'accordo di associazione sono stati condotti senza un'adeguata concertazione preliminare tra le organizzazioni economiche e sociali.

11.2.2

Il testo dell'attuale accordo di associazione non stabilisce alcun meccanismo concreto di partecipazione della società civile al monitoraggio e allo sviluppo del medesimo.

11.2.3

L'articolo 85 dell'accordo prevede che il suo massimo organo decisionale, ossia il Consiglio di associazione, adotti misure volte ad agevolare la cooperazione tra il Comitato economico e sociale europeo e la sua controparte in Marocco.

11.2.4

Dal momento che il CESA marocchino è già operativo e collabora pienamente con il CESE, sarebbe auspicabile che entrambi gli organi consultivi chiedessero al Consiglio di associazione l'istituzione di un comitato consultivo misto con facoltà di presentare relazioni e richieste allo stesso Consiglio di associazione e al comitato di associazione.

11.2.5

Tale comitato consultivo misto sarebbe composto da sei rappresentanti del CESA marocchino e da un ugual numero di rappresentanti del CESE e si riunirebbe due volte l'anno, alternando le sedi delle riunioni tra il Marocco e l'UE.

11.2.6

Sarebbe parimenti opportuno esaminare altri meccanismi di integrazione della partecipazione nell'ambito delle relazioni UE-Marocco, ad esempio in materia di dialogo sociale tra datori di lavoro e lavoratori.

Bruxelles, 26 febbraio 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  In linea con le disposizioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).

(2)  Per la definizione di attività agricola familiare data dalla FAO, vedasi http://www.fao.org/family-farming-2014/home/en/.

(3)  Si prevede che il Marocco presenterà nel 2015 un piano di convergenza normativa con l'acquis dell'UE.

(4)  Trade sustainability impact assessment (TSIAs) in support of negotiations of DCFTAs between the EU and the kingdom of Morocco and the Republic of Tunisia (Valutazione d'impatto sulla sostenibilità commerciale a sostegno dei negoziati per un ALS globale e approfondito tra l'UE, il Regno del Marocco e la Repubblica di Tunisia).

(5)  Il 3 giugno 2013 è stata firmata a Bruxelles la dichiarazione congiunta che istituisce un partenariato per la mobilità tra il Regno del Marocco, l'Unione europea e i suoi Stati membri.

(6)  Il 24 luglio la Commissione europea e il Regno del Marocco hanno siglato un nuovo accordo di pesca inteso a porre fine alla paralisi che da un anno e mezzo caratterizza le attività della flotta peschereccia europea nelle acque marocchine. L'accordo sarà sottoposto al voto del Parlamento europeo, che dovrà vigilare sulla sua sostenibilità ambientale.

(7)  Fonte: Federazione nazionale marocchina dell'agricoltura (UMT).

(8)  Parere CESE 264/2010; relatrice: Margarita LÓPEZ ALMENDÁRIZ.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

496a sessione plenaria del CESE del 26 e 27 febbraio 2014

8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda una dichiarazione IVA standard

COM(2013) 721 final — 2013/0343 (CNS)

2014/C 214/04

Relatore: PÁLENÍK

Il Consiglio, in data 8 novembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda una dichiarazione IVA standard

COM(2013) 721 final — 2013/0343 (CNS).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 febbraio 2014.

Alla sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio 2014), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore l'introduzione di una dichiarazione IVA standard. Tale nuovo strumento, se correttamente attuato, potrebbe ridurre gli oneri amministrativi per le imprese dell'UE e quindi sfruttare meglio il potenziale del mercato unico, nonché rendere più efficaci la riscossione delle imposte e la lotta contro la frode fiscale. Al tempo stesso, il Comitato invita la Commissione europea a non lesinare gli sforzi quando si arriverà alla fase di attuazione.

1.2

Il CESE sostiene la massima standardizzazione delle modalità e della forma di presentazione della dichiarazione IVA: ciò contribuirà infatti a ridurre gli oneri burocratici, specialmente per le imprese attive a livello internazionale, rendendole così più competitive. Arginare le distorsioni della concorrenza servirà inoltre ad evitare la perdita di posti di lavoro. Tuttavia, questa proposta rappresenta soltanto un primo, piccolo passo nell'affrontare le molte differenze tra gli Stati membri riguardo alle norme e alle procedure in materia di IVA. Bisogna considerare attentamente i costi e i benefici che deriverebbero per le imprese — e specialmente per le PMI — da una modifica del sistema di dichiarazione IVA (e delle procedure interne).

1.3

Il CESE fa riferimento alla proposta Verso un sistema IVA definitivo, annunciata dalla Commissione nel programma di lavoro 2014, e sottolinea che le numerose differenze tra gli Stati membri riguardo alle norme e alle procedure in materia di IVA derivano dalle diverse opzioni offerte dalla direttiva IVA. Il CESE accoglie con favore la proposta, che costituisce un primo passo essenziale per rendere più efficace la lotta alla frode e all'evasione fiscale e ridurre gli oneri amministrativi connessi all'attuazione della direttiva. Nell'elaborare un sistema IVA definitivo, bisogna tener conto dell'impatto sui sistemi di dichiarazione e delle modifiche da apportare alle procedure interne (che comportano costi supplementari per le imprese e le amministrazioni).

1.4

Il CESE approva l'iniziativa della Commissione per quanto riguarda la previsione dei dettagli tecnici, delle definizioni e delle procedure, nonché dei metodi di presentazione elettronica della dichiarazione IVA standard. È tuttavia preoccupato dalla proposta di ricorrere alla procedura di comitato anche per stabilire le procedure atte a effettuare correzioni alla dichiarazione. Propone pertanto che i relativi dettagli siano invece stabiliti nella versione finale della direttiva.

1.5

Il CESE invita la Commissione a comunicare in modo più chiaro alcuni aspetti della proposta, e specialmente la possibilità per gli Stati membri di riscuotere acconti provvisori sull'IVA nei casi (microimprese con un volume d'affari annuo inferiore a 2 milioni di EUR) in cui il periodo d'imposta venga prolungato a tre mesi, nonché la diretta conseguenza di tale facoltà, ossia l'esigenza di minori capacità amministrative per le autorità fiscali degli Stati membri.

1.6

Il CESE approva il principio once only, in virtù del quale le imprese sono tenute a fornire le stesse informazioni «soltanto una volta». I dati dovrebbero essere raccolti in modo tale da permettere alle autorità nazionali di utilizzarli sia per i controlli (prevenzione dell'evasione e della frode fiscale) che a fini statistici. In questo modo si eviterebbe alle imprese l'obbligo di compilare due volte i vari moduli e dichiarazioni IVA.

1.7

Il Comitato raccomanda agli Stati membri di applicare in modo più efficace i meccanismi intesi a far funzionare meglio il quadro in cui le imprese devono operare, specie facendo sì che l'imposta sia dovuta soltanto dopo il pagamento della fattura da parte dell'acquirente — il che servirebbe a evitare situazioni in cui imprese oneste, in pratica, fanno credito allo Stato — e mantenendo scadenze adeguate per rimborsare i pagamenti IVA in eccesso. A giudizio del CESE, l'introduzione di tali meccanismi non deve comportare oneri amministrativi supplementari.

1.8

Il CESE ritiene assolutamente necessario che la Commissione avvii anche un'effettiva standardizzazione dei calendari e delle scadenze per tutta la serie dei pagamenti legati all'IVA (rate, pagamento dell'imposta, rimborso dei pagamenti in eccesso), nonché per le correzioni alle dichiarazioni fiscali, in modo da conseguire pienamente gli obiettivi della proposta.

2.   Contesto

2.1

Ridurre gli oneri amministrativi, prevalentemente a vantaggio delle PMI, è un obiettivo importante, soprattutto perché consente alle imprese di concentrarsi sulle attività loro proprie. Il CESE accoglie con soddisfazione la proposta di direttiva in esame, che si prefigge di favorire la competitività internazionale delle imprese europee e di migliorare il funzionamento del mercato unico. I vantaggi recati alle attività delle imprese possono tradursi, in seguito, in un aumento del gettito fiscale, in nuove entrate per il settore pubblico e i bilanci statali, in finanziamenti da destinare alla coesione sociale, in una maggiore accessibilità dei servizi pubblici e in un'amministrazione pubblica più efficiente. Si prevede che l'impatto globale sarà positivo per il cittadino europeo medio, come pure per le PMI.

2.2

Come indicato nella proposta della Commissione, l'imposta sul valore aggiunto (IVA) rappresenta, in media, il 21 % del gettito fiscale nazionale, e costituisce pertanto un'importante fonte di entrate per i bilanci degli Stati membri. Tuttavia, la Commissione stima che ogni anno il 12 % circa del potenziale gettito IVA non venga riscosso. È quindi cruciale che l'UE e gli Stati membri si adoperino per rendere più efficaci la riscossione dell'IVA e la lotta alla frode e all'evasione fiscale, sostenendo al tempo stesso ogni iniziativa atta a conservare posti di lavoro.

2.3

Ebbene, la proposta in esame, volta a introdurre una dichiarazione IVA standard, se attuata correttamente potrebbe rendere più efficace la riscossione delle imposte e la lotta alla frode fiscale. Essa può inoltre contribuire ad alleviare le difficoltà delle imprese che esportano all'interno del mercato unico dell'UE.

2.4

Attualmente il livello di armonizzazione delle dichiarazioni IVA è minimo, e gli Stati membri tengono conto delle proprie specificità quando decidono quali dati vadano inseriti in tali dichiarazioni. Per come è attualmente configurato il sistema di dichiarazione IVA, le imprese attive a livello internazionale devono sostenere costi maggiori, dovuti alla complessità degli adempimenti amministrativi e alla necessità di compilare i moduli di dichiarazione in diverse lingue. Il CESE è quindi favorevole alla massima armonizzazione delle modalità di presentazione delle dichiarazioni IVA.

2.5

L'obiettivo della proposta è introdurre una dichiarazione IVA standard per agevolare l'attività di tutte le imprese e ridurre gli oneri amministrativi. Le imprese si sono espresse a favore di tale idea, e in particolare le PMI chiedono di non dover presentare le dichiarazioni IVA con scadenze troppo ravvicinate. In base alle stime di PwC (1), per l'UE-27 ammonterebbe a 17,2 miliardi di EUR il risparmio netto ottenibile dalla riduzione degli oneri amministrativi e dall'introduzione di una dichiarazione IVA standard obbligatoria per tutti gli Stati membri.

2.6

L'armonizzazione delle dichiarazioni IVA, che comporterebbe un risparmio per le imprese, richiederebbe tuttavia, da parte delle amministrazioni tributarie nazionali, un investimento supplementare una tantum. Secondo lo studio di PwC (2013), l'importo delle spese che le amministrazioni tributarie dovrebbero sostenere per le tecnologie informatiche necessarie ad applicare la dichiarazione IVA standard si collocherebbe, all'incirca, tra 800 milioni e 1 miliardo di EUR. Nel medio e lungo termine, si stima che tale esborso verrebbe compensato dalla maggiore efficienza ottenuta nella riscossione delle imposte e nella lotta alla frode e all'evasione fiscale. Allo stesso tempo va sottolineato che l'attuazione della direttiva proposta comporterà anche dei costi inevitabili per i soggetti passivi d'imposta (sostituzione del software contabile).

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di direttiva del Consiglio relativa all'introduzione di una dichiarazione IVA standard. Quest'iniziativa migliorerebbe le condizioni per fare impresa nel mercato unico dell'UE, grazie alla riduzione degli oneri amministrativi e alla semplificazione delle procedure di presentazione delle dichiarazioni IVA nei vari paesi. L'adozione di un identico modulo di dichiarazione IVA in tutti i paesi renderà più semplice per i soggetti passivi d'imposta esercitare le loro attività su mercati diversi e contribuirà a rendere il mercato unico più competitivo.

3.2

Il CESE ritiene che si tratti di una misura opportuna al fine di evitare distorsioni di concorrenza, conservare i posti di lavoro e migliorare i meccanismi di controllo nello scambio di informazioni delle autorità fiscali tra di loro e con le imprese. L'introduzione di una dichiarazione IVA standard permetterà di conseguire tutti questi obiettivi. A giudizio del CESE, dovrebbe essere possibile richiedere informazioni supplementari — oltre a quelle previste dalla proposta — soltanto qualora esse risultino essenziali per i controlli fiscali e al fine di combattere l'evasione e la frode fiscale.

3.3

Va rilevato che la modifica proposta costituisce un cambiamento complesso, che non interesserà soltanto i soggetti passivi d'imposta, ma anche le autorità fiscali di tutti gli Stati membri, e renderà necessario modificare la sostanza e la forma delle dichiarazioni IVA attualmente in uso a livello nazionale, specialmente nella prospettiva della presentazione elettronica delle dichiarazioni. Il CESE intende richiamare l'attenzione in particolare sulla proposta Verso un sistema IVA definitivo, e fa presente alla Commissione la necessità di tenere conto degli obiettivi da essa stabiliti, specialmente nell'attuazione della proposta in esame, per evitare di dover modificare in modo sostanziale alcuni aspetti relativi alla dichiarazione IVA unica.

3.4

Il CESE segnala che, se i poteri di fissare i dettagli tecnici vengono delegati alla Commissione, in alcuni casi potrebbe risultare difficile incorporare la dichiarazione IVA standard nei sistemi adottati dalle autorità fiscali, che divergono notevolmente per quanto concerne la raccolta e il trattamento delle dichiarazioni fiscali. Il CESE approva quelle parti dell'articolo 255 bis della direttiva proposta che trasferiscono alla Commissione il potere di stabilire i dettagli tecnici (lettera a)), le definizioni e procedure (lettera b)), nonché i metodi di sicurezza elettronici (lettera d)). Il CESE segnala altresì la possibilità di ricorrere a interventi non legislativi, come misure facoltative o esempi di buone pratiche, per conseguire gli obiettivi della proposta. Nel caso in cui vengano conferiti poteri alla Commissione, il CESE vorrebbe essere consultato quando saranno stabiliti i dettagli dell'articolo 255 bis, in modo da poter prendere posizione in merito.

3.5

L'introduzione di una dichiarazione IVA standard consentirà agli Stati membri di scambiarsi informazioni in modo tempestivo e potrebbe dare un contributo alla lotta contro la frode fiscale. Potrebbe servire altresì a rendere più efficaci la riscossione delle imposte e il risanamento dei conti pubblici.

3.6

Il CESE accoglie con favore l'introduzione della presentazione elettronica delle dichiarazioni IVA, intesa a semplificare la raccolta e il trattamento dei dati delle dichiarazioni IVA, e della dichiarazione IVA standard proposta, ma segnala che ciò potrebbe creare delle complicazioni per alcuni Stati membri. Questa nuova modalità potrebbe anche far lievitare i costi per alcune imprese, per cui i soggetti passivi d'imposta dovrebbero avere la facoltà di presentare la dichiarazione su carta, purché ciò non sia di ostacolo alla prevenzione dell'evasione e della frode fiscale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Le imprese con un volume d'affari annuo inferiore a 2 milioni di EUR (o equivalente nella valuta nazionale) sono autorizzate a presentare dichiarazioni IVA trimestrali. Il CESE ritiene che questa soglia sia troppo elevata per alcuni Stati membri, e propone pertanto di abbassarla, in modo che gli Stati membri possano tenere conto delle specificità del loro ambiente imprenditoriale. Riguardo alle modifiche proposte per l'articolo 206, autorizzare la presentazione di dichiarazioni trimestrali potrebbe avere un impatto negativo sui flussi di cassa dei bilanci pubblici in alcuni Stati membri. Per questo motivo il CESE propone che la Commissione accolga l'opzione che prevede il ricorso a pagamenti IVA anticipati per compensare l'eventuale minor gettito IVA dovuto all'estensione del periodo d'imposta per un gran numero di contribuenti.

4.2

Il CESE è favorevole alla standardizzazione delle informazioni di base fornite nella dichiarazione e approva l'ampliamento delle informazioni e delle rubriche con l'aggiunta di una casella per la detrazione fiscale. Il Comitato si rallegra del tentativo della Commissione di evitare che l'attuazione della proposta determini un aumento degli oneri amministrativi nel caso in cui venga applicata unicamente la parte obbligatoria della dichiarazione IVA standard (articolo 250). Il CESE invita la Commissione a proporre che gli Stati membri siano obbligati a consentire la presentazione della dichiarazione IVA standard in una qualsiasi delle lingue dell'UE, il che permetterebbe di ridurre gli oneri burocratici.

4.3

Il CESE esprime il proprio sostegno all'introduzione di una dichiarazione IVA standard che assumerebbe la medesima forma in tutti gli Stati membri. Propone pertanto che tale dichiarazione standard sia composta di due parti, e che gli Stati membri decidano se utilizzare soltanto la parte obbligatoria, ai sensi dell'articolo 250 della direttiva proposta, oppure richiedere anche l'inserimento delle altre informazioni di cui all'articolo 251. Al tempo stesso, è cruciale consentire alle autorità fiscali di chiedere informazioni supplementari nel caso in cui queste contribuiscano a rendere più efficace la lotta all'evasione e alla frode fiscale. La possibilità di richiedere informazioni aggiuntive, per un periodo limitato e specificato in anticipo, sarebbe basata su una domanda da presentare al comitato istituito a questo scopo dalla Commissione. Il CESE ritiene che queste informazioni dovrebbero costituire una parte ulteriore della dichiarazione IVA standard, in modo che la parte obbligatoria (articolo 250) e quella facoltativa (articolo 251) possano seguire un modello standard anche nei casi in cui, a titolo straordinario, vengano richieste informazioni supplementari ai soggetti passivi d'imposta.

4.4

Il CESE approva la proposta di ridurre gli oneri amministrativi per le imprese abrogando l'articolo 261 della direttiva e quindi evitando di chiedere a queste ultime di fornire due volte le stesse informazioni di carattere fiscale. Il CESE invita la Commissione a diffondere esempi di buone pratiche per incoraggiare gli Stati membri a raccogliere e scambiare informazioni in modo efficace.

4.5

Una volta che la direttiva modificata sarà attuata nella forma definitiva, bisognerà dare ai contribuenti un tempo sufficiente per informarsi in merito alla nuova dichiarazione fiscale e familiarizzarsi con essa. Il CESE ritiene che la dichiarazione IVA standard rivesta grande importanza: è quindi essenziale trovare il giusto equilibrio tra la qualità della forma definitiva della direttiva e la rapidità della sua attuazione. Ciò detto, il Comitato auspicherebbe una scadenza più ambiziosa per l'attuazione della direttiva. Nel contempo, invita le autorità fiscali degli Stati membri a sostenere al massimo lo sforzo dei contribuenti di familiarizzarsi con i diversi elementi della direttiva, ad esempio mettendo a disposizione corsi di preparazione online.

4.6

Va sottolineato che, in materia di rimborso dell'IVA, negli Stati membri vige tutta una serie di disposizioni giuridiche (scadenze, procedure, ecc.), e che la proposta in esame non ne tiene sufficientemente conto. Inoltre, la proposta di direttiva non rispecchia in modo sufficientemente chiaro che: 1) gli Stati membri dispongono di sistemi — legati alla struttura della dichiarazione fiscale — per analizzare i rischi, selezionare le imprese da sottoporre a controllo fiscale e scoprire le frodi fiscali; 2) la struttura delle dichiarazioni fiscali nazionali è adeguata alla situazione di ogni singolo paese. Il CESE invita la Commissione a segnalare molto chiaramente agli Stati membri che ciascuno di loro dovrebbe impegnarsi al massimo per migliorare la raccolta e lo scambio di informazioni tra autorità nazionali (autorità doganali, istituti di statistica, ecc.).

4.7

Il CESE approva il principio once only, in virtù del quale le imprese sono tenute a fornire le stesse informazioni «soltanto una volta». Si possono raccogliere informazioni dettagliate in casi specifici, laddove ciò sia giustificato dall'esigenza di eseguire controlli essenziali per la lotta all'evasione e alla frode fiscale. La proposta consente di richiedere informazioni che consentano di effettuare le ispezioni nel modo più efficace possibile. Inoltre, dovrebbe essere possibile utilizzare le informazioni fornite a fini statistici, evitando così che le imprese debbano presentare le medesime informazioni a organismi diversi e in documenti e formati differenti.

4.8

A giudizio del CESE, per migliorare il funzionamento del mercato unico dell'UE sarebbe utile che le autorità fiscali rimborsassero l'IVA con cadenze ragionevoli, mantenendo al tempo stesso la lotta alla frode e all'evasione fiscale a un livello adeguato. Un effetto analogo potrebbe essere ottenuto, nel caso delle PMI, garantendo un'attuazione più efficace della norma in base alla quale il pagamento dell'imposta va effettuato solo quando la fattura è stata pagata. Questa disposizione servirebbe a prevenire il fenomeno, senz'altro indesiderato, per cui le imprese vittime di frodi finiscono di fatto per far credito allo Stato. Il CESE invita quindi la Commissione a esortare gli Stati membri ad attuare tale norma, che contribuirebbe a creare un ambiente imprenditoriale trasparente.

4.9

La direttiva proposta prevede la delega alla Commissione di poteri di esecuzione per quanto riguarda la correzione delle dichiarazioni fiscali. Nel contempo, essa sancisce il diritto degli Stati membri di permettere la correzione della dichiarazione IVA standard e di fissare i termini entro cui tali correzioni devono essere effettuate. Dato che, secondo il CESE, in tale contesto non è chiaro quale sarà l'impatto della procedura di comitato sui singoli Stati membri, tutte le norme relative alla correzione della dichiarazione IVA standard dovrebbero essere definite nella direttiva stessa, mentre la loro successiva applicazione dovrebbe rientrare nelle competenze di ciascuno Stato membro. Al tempo stesso, il CESE chiede di partecipare attivamente alla definizione degli atti di esecuzione connessi alla direttiva.

Bruxelles, 26 febbraio 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  PwC (2013): Study on the feasibility and impact of a common EU standard VAT return («Studio della fattibilità e dell'impatto di una dichiarazione IVA comune nell'UE»).


8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/25


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1215/2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale»

COM(2013) 554 final — 2013/0268 (COD)

2014/C 214/05

Relatore: PEGADO LIZ

Il Consiglio, in data 25 settembre 2013, e il Parlamento europeo, in data 8 ottobre 2013, hanno deciso, conformemente agli articoli 67 e 81 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1215/2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale

COM(2013) 554 final — 2013/0268 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 febbraio 2014.

Alla sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La proposta di regolamento in esame (1) mira a modificare il regolamento (UE) n. 1215/2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

1.2

Nel far ciò tale proposta persegue un duplice scopo: da un lato, garantire la conformità dell'«accordo su un tribunale unificato dei brevetti» o «accordo TUB», firmato il 19 febbraio 2013, con lo statuto della Corte di giustizia del Benelux, modificato il 15 ottobre 2012 (2), e il regolamento Bruxelles I (rifusione), e, dall'altro, ovviare al vuoto normativo in materia di competenza nei confronti dei convenuti domiciliati in un paese terzo.

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia l'iniziativa del Parlamento europeo (PE) e del Consiglio, perché è indispensabile alla certezza e alla sicurezza giuridiche della tutela brevettuale unitaria nell'Unione europea.

1.4

Il CESE non può che rallegrarsi per la semplicità delle quattro nuove disposizioni che dovrebbero essere inserite nel regolamento Bruxelles I, che considera necessarie, adeguate, debitamente motivate ed opportune.

1.5

Il CESE, tuttavia, si rammarica di non essere stato consultato, a tempo debito, in merito alle proposte dei regolamenti di attuazione di una cooperazione rafforzata per la creazione di una tutela brevettuale unitaria e del pacchetto istitutivo di un tribunale unificato dei brevetti, tenuto conto dei pareri che ha avuto occasione di adottare su questi temi.

1.6

Benché tardivamente, non essendo stato consultato in via preliminare, il CESE solleva ora alcune questioni riguardo alla struttura e al funzionamento della Corte di giustizia del Benelux — questioni sulle quali, a suo avviso, una riflessione approfondita non è ancora stata condotta. Più precisamente, il Comitato

insiste affinché le spese processuali da pagare per adire il TUB siano chiare, trasparenti e applicabili senza che venga pregiudicato in alcun modo il diritto di accesso alla giustizia,

raccomanda di sopprimere, o emendare in misura sostanziale, l'articolo 14, paragrafo 2, del Regolamento di procedura proposto per il TUB, e

sottolinea che i giudici selezionati devono aver seguito una formazione professionale di qualità.

2.   Gli antecedenti

2.1

La proposta presentata dalla Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio è solo l'ultimo episodio della lunga saga del «brevetto europeo con effetto unitario».

2.2

L'istituzione di un brevetto che garantisse una tutela giuridica uniforme in tutta l'Unione europea era attesa fin dagli anni sessanta. Da allora si sono susseguiti numerosi tentativi e numerosi fallimenti.

2.2.1

Questo percorso tortuoso ha comunque fatto registrare almeno un successo parziale: l'istituzione del brevetto europeo ad opera della convenzione di Monaco, firmata il 5 ottobre 1973, che ha istituito altresì la procedura comune di deposito del brevetto europeo presso l'Ufficio europeo dei brevetti (UEB).

Senonché il regime giuridico di questo «brevetto europeo» si presenta sotto le diverse forme di tanti regimi nazionali quanti sono i paesi designati dal depositante. Ciò spiega perché gli Stati, le istituzioni e gli utilizzatori invochino da tanto tempo un sistema semplice che assicuri una tutela brevettuale uniforme in tutta l'UE.

2.2.2

Hanno così visto la luce diversi tentativi volti a creare un brevetto unitario — detto dapprima «comunitario» e poi «dell'Unione europea» -, purtroppo risoltisi in altrettanti fallimenti: basti pensare, ad esempio, alla convenzione di Lussemburgo del 1975 sul brevetto comunitario, che non è mai entrata in vigore per mancanza di accordo tra gli Stati.

2.2.3

Solo nel 2000 le discussioni sul futuro brevetto comunitario sono finalmente state rilanciate dal Consiglio europeo, che, in occasione del vertice di Lisbona, ha annunciato un programma generale destinato ad accrescere la competitività delle imprese europee. Immediatamente dopo il vertice, la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento volto a «creare un nuovo titolo unitario di proprietà industriale, il brevetto comunitario» (3).

2.2.4

Nel 2003 gli Stati membri hanno concordato un approccio politico comune senza tuttavia pervenire a un accordo definitivo, in particolare riguardo al regime linguistico (4). In seguito a un'ampia consultazione svolta nel 2006, nell'aprile 2007 la Commissione ha pubblicato una comunicazione in cui ribadiva l'impegno a favore di un brevetto comunitario (5), seguita nel luglio 2008 da un'altra comunicazione, intitolata «Una strategia europea in materia di diritti di proprietà industriale» (6), che rilanciava i negoziati con gli Stati membri.

2.2.5

Non essendo stato raggiunto un consenso unanime, in seguito alla decisione del Consiglio del 10 marzo 2011 (7), il 13 aprile di quello stesso anno la Commissione ha proposto di istituire, nel quadro di una cooperazione rafforzata, un brevetto europeo con effetto unitario. Tutti gli Stati membri ad eccezione di Italia e Spagna hanno accettato tale soluzione (8).

2.3

Il «pacchetto brevetti» consta di due regolamenti — il regolamento (UE) 1257/2012 del PE e del Consiglio, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell'istituzione di una tutela brevettuale unitaria, e il regolamento (UE) 1260/2012 del Consiglio, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell'istituzione di una tutela brevettuale unitaria con riferimento al regime di traduzione applicabile (9) — e un accordo internazionale, che getta le basi per la creazione di una tutela unitaria dei brevetti nell'Unione europea.

2.4

Tale accordo internazionale, firmato il 19 febbraio 2013 da 25 Stati membri (tutti quelli dell'UE di allora, salvo la Spagna e la Polonia) a margine del Consiglio «Competitività» (10) e al di fuori del quadro istituzionale dell'UE (11), prevede l'istituzione di un tribunale unificato dei brevetti, competente a trattare le controversie relative ai futuri brevetti unitari e ai brevetti europei «classici» attualmente esistenti (12).

2.4.1

Si tratta di un organo giurisdizionale ad hoc, altamente specializzato, con uffici («divisioni») locali e regionali sul territorio dell'UE. Anziché dover seguire più procedure parallele davanti ad altrettanti giudici nazionali, le parti dovrebbero così beneficiare di una decisione rapida e altamente qualificata, valida in tutti gli Stati membri in cui vale il brevetto in questione.

2.4.2

Il Consiglio europeo del giugno 2012 ha deciso che la divisione centrale del tribunale di primo grado avrà sede a Parigi e sezioni a Londra e a Monaco (13).

2.4.3

Con questo nuovo sistema, verranno istituiti uno sportello unico per il deposito di brevetti europei con effetto unitario sul territorio degli Stati impegnati nella cooperazione rafforzata, nonché un organo giurisdizionale dotato di molteplici competenze, che andranno dalle azioni per contestare la contraffazione o far accertare la non contraffazione a quelle volte a ottenere misure provvisorie e cautelari e ingiunzioni, a far accertare la nullità di brevetti, ecc. Tale organo sarà inoltre competente a esaminare le questioni sollevate ai sensi dell'articolo 32, paragrafo 1, lettera i), in merito alle decisioni dell'UEB.

2.5

Il CESE è un sostenitore «della prima ora» dell'istituzione di un brevetto europeo, e ha sollecitato e appoggiato iniziative in tal senso sia rispondendo a consultazioni su temi di proprietà industriale e mercato interno (14) sia in pareri d'iniziativa o esplorativi (15).

2.5.1

Si è inoltre pronunciato, su specifica consultazione, in merito a due proposte di decisione del Consiglio: una che attribuiva alla Corte di giustizia dell'UE la competenza a conoscere delle controversie in materia di brevetto comunitario (16), e l'altra che istituiva il Tribunale del brevetto comunitario e disciplinava i ricorsi in appello dinanzi al Tribunale di primo grado dell'UE (17).

2.6

Per contro, non gli è stato chiesto di elaborare un parere sul «pacchetto brevetti» (ossia in merito alle proposte di regolamento poi sfociate nei regolamenti (UE) 1257/2012 e 1260/2012 del 17 dicembre 2012 (18) o al progetto di accordo relativo a un tribunale unificato dei brevetti, accordo poi firmato il 19 febbraio 2013 (19)).

3.   La proposta del Parlamento europeo e del Consiglio

3.1

Nel suo articolo 89, l'accordo su un tribunale unificato dei brevetti (TUB) dispone che la sua entrata in vigore avrà luogo:

a)

il 1o gennaio 2014,

oppure

b)

il primo giorno del quarto mese successivo al deposito del tredicesimo strumento di ratifica o di adesione conformemente all'articolo 84, inclusi i tre Stati (Germania, Francia e Regno Unito) nei quali il maggior numero di brevetti europei aveva effetto nell'anno precedente a quello in cui ha luogo la firma dell'accordo,

oppure ancora

c)

il primo giorno del quarto mese successivo alla data di entrata in vigore delle modifiche del regolamento (UE) n. 1215/2012 relative alle relazioni con l'accordo,

se questa data è posteriore.

3.2

Scopo della proposta in esame è apportare al regolamento (UE) n. 1215/2012 le modifiche necessarie, da un lato, per garantire la conformità di tale regolamento con il suddetto accordo TUB e, dall'altro lato, per ovviare al problema specifico relativo alle norme in materia di competenza nei confronti dei convenuti domiciliati in un paese terzo (20).

3.3

Nel contempo, tenuto conto delle competenze parallele della Corte di giustizia del Benelux in diversi ambiti tra cui il diritto della proprietà intellettuale, la proposta considera anche che il protocollo, adottato il 15 ottobre 2012, che modifica il testo del Trattato del 31 marzo 1965 relativo all'istituzione e allo statuto di tale Corte, renda necessario modificare il regolamento Bruxelles I (rifusione) al fine, da un lato, di garantire la compatibilità tra il Trattato così modificato e il regolamento Bruxelles I (rifusione) e, dall'altro, di ovviare all'assenza di norme comuni in materia di competenza nei confronti dei convenuti domiciliati in un paese terzo (21).

3.4

Il testo in esame propone dunque le seguenti modifiche al regolamento (UE) n. 1215/2012:

a)

disposizioni sulla relazione tra l'accordo TUB e il protocollo al Trattato del Benelux del 1965, da un lato, e il regolamento Bruxelles I, dall'altro;

b)

disposizioni che completano le norme uniformi sulla competenza in relazione ai convenuti di paesi terzi nelle controversie in materia civile e commerciale dinanzi al tribunale unificato dei brevetti e alla Corte di giustizia del Benelux nelle materie disciplinate dall'accordo TUB o dal protocollo al Trattato del Benelux del 1965.

3.5

Tali modifiche consistono in particolare nell'inserimento di una nuova frase nel considerando 14 del regolamento (UE) n. 1215/2012 e nell'aggiunta di quattro nuove disposizioni, ossia gli articoli da 71 bis a 71 quinquies, al medesimo regolamento.

4.   Osservazioni

4.1

Delle tre condizioni per l'entrata in vigore dell'accordo TUB, la sola che dipende da un'azione delle istituzioni dell'UE è quella relativa alle modifiche del regolamento (UE) n. 1215/2012 (22), che ha abrogato il regolamento (CE) n. 44/2001 (Bruxelles I) (23).

4.2

Le modifiche proposte sono necessarie, adeguate, debitamente motivate ed opportune.

Esse sono necessarie per i seguenti motivi:

a)

innanzitutto, bisognava precisare, in modo chiaro ed esplicito, che il tribunale unificato dei brevetti e la Corte di giustizia del Benelux devono essere considerati autorità giurisdizionali ai sensi del regolamento (UE) n. 1215/2012, al fine di garantire la certezza e la prevedibilità del diritto per i soggetti che potrebbero essere convenuti dinanzi a tali autorità in uno Stato membro diverso da quello designato in base alle norme del medesimo regolamento.

b)

In secondo luogo, il tribunale unificato dei brevetti e la Corte di giustizia del Benelux devono essere in grado di esercitare la loro competenza nei confronti di convenuti non domiciliati in uno Stato membro. Il regolamento (UE) n. 1215/2012 dovrebbe inoltre determinare i casi in cui il tribunale unificato dei brevetti e la Corte di giustizia del Benelux possono esercitare una competenza sussidiaria. L'obiettivo di questa proposta è evidente: evitare che le due autorità giurisdizionali adottino decisioni divergenti sul medesimo oggetto.

c)

Le disposizioni del suddetto regolamento in materia di litispendenza e connessione dovrebbero applicarsi non solo ove siano proposte domande dinanzi ai giudici degli Stati membri in cui si applicano gli accordi internazionali summenzionati, nonché davanti ai giudici degli Stati membri in cui tali accordi non trovano applicazione, ma anche quando, durante il periodo transitorio di cui all'articolo 83, paragrafo 1, dell'accordo TUB, procedimenti riguardanti determinati tipi di controversia relativi ai brevetti europei, quali definiti in tale disposizione, siano proposti dinanzi al tribunale unificato dei brevetti, da un lato, e all'autorità giurisdizionale di uno Stato membro contraente dell'accordo TUB, dall'altro.

d)

Le decisioni emesse dal tribunale unificato dei brevetti o dalla Corte di giustizia del Benelux devono essere riconosciute ed eseguite negli Stati membri che non sono parti contraenti dei rispettivi accordi internazionali, conformemente al regolamento (UE) n. 1215/2012.

e)

Infine, le decisioni emesse da autorità giurisdizionali di Stati membri che non sono parti contraenti degli accordi internazionali in questione devono continuare ad essere riconosciute ed eseguite negli altri Stati membri, conformemente al regolamento (UE) n. 1215/2012.

4.3

Le modifiche proposte sono appropriate agli obiettivi che la proposta si prefigge, ossia:

a)

specificare che il tribunale unificato dei brevetti e la Corte di giustizia del Benelux sono «autorità giurisdizionali» ai sensi del regolamento Bruxelles I;

b)

precisare il funzionamento delle norme sulla competenza del tribunale unificato dei brevetti e della Corte di giustizia del Benelux nei confronti di convenuti domiciliati negli Stati membri interessati, e introdurre norme uniformi in materia di competenza internazionale nei confronti di convenuti di paesi terzi nei procedimenti contro tali convenuti proposti dinanzi al tribunale unificato dei brevetti e alla Corte di giustizia del Benelux, per i casi in cui il regolamento Bruxelles I non detta esso stesso tali norme ma rinvia al diritto nazionale;

c)

stabilire le norme da applicare in materia di litispendenza e connessione in relazione al tribunale unificato dei brevetti e alla Corte di giustizia del Benelux, da una parte, e alle autorità giurisdizionali degli Stati membri che non sono parti contraenti dei rispettivi accordi internazionali, dall'altra, nonché stabilire il funzionamento di queste norme durante il periodo transitorio di cui all'articolo 83, paragrafo 1, dell'accordo TUB;

d)

precisare il funzionamento delle norme in materia di riconoscimento ed esecuzione nelle relazioni tra Stati membri che sono parti contraenti dei rispettivi accordi internazionali e Stati membri che non lo sono.

4.4

Le modifiche proposte sono debitamente motivate nella relazione che precede e introduce la vera e propria proposta di regolamento.

4.4.1

Tali modifiche, infine, sono tempestive, in quanto il regolamento (UE) n. 1215/2012 è applicabile a partire dal 10 gennaio 2015, l'accordo TUB entra in vigore solo il primo giorno del quarto mese successivo alla data di entrata in vigore delle modifiche del suddetto regolamento, e queste ultime devono entrare in vigore lo stesso 10 gennaio 2015 (articolo 2 del regolamento proposto).

4.5

Per questi motivi, il CESE condivide e appoggia la proposta in esame, che considera adeguata e indispensabile a garantire un'applicazione combinata e coerente dell'accordo TUB, del protocollo che estende le competenze della Corte di giustizia del Benelux, e del regolamento Bruxelles I (rifusione).

4.6

Il CESE, tuttavia, si rammarica di non essere stato consultato in merito all'adozione dei regolamenti del «pacchetto brevetti» (i regolamenti (UE) nn. 1257/2012 e 1260/2012) e al progetto di accordo internazionale che getta le basi per la creazione di una tutela unitaria dei brevetti nell'Unione europea.

4.6.1

Ciò malgrado, il CESE coglie adesso l'occasione per plaudere alla flessibilità che consente al brevetto europeo di coesistere con quello con effetto unitario. Tale sistema, infatti, offre la possibilità di scegliere la soluzione più appropriata: un brevetto europeo valido negli Stati membri designati oppure un brevetto europeo con effetto unitario nell'insieme dei 25 Stati membri impegnati nella cooperazione rafforzata.

4.6.2

La semplificazione perseguita dal «pacchetto brevetti» solleva nondimeno alcuni interrogativi, poiché determinate misure di attuazione del sistema anzidetto sono ancora in corso.

Una dichiarazione allegata all'accordo, infatti, prevede l'istituzione di un comitato di rappresentanti degli Stati membri incaricato di predisporre «le modalità pratiche per il corretto funzionamento del tribunale unificato dei brevetti», e in particolare di «approntare il regolamento di procedura» del tribunale e «organizzare (...) la formazione dei futuri giudici» (24).

4.6.2.1

A sollevare perplessità è anche il fatto che un meccanismo arbitrale di risoluzione delle controversie (25) coesista con la possibilità di ricorrere al tribunale unificato, considerato che la competenza di quest'ultimo sarà variabile durante il periodo transitorio di 7 anni.

4.6.2.2

L'entrata in vigore del «pacchetto brevetti» è inoltre contraddistinta da una notevole complessità giuridica, essendo subordinata all'entrata in vigore dell'accordo TUB secondo la formula riportata sopra al punto 3.1.

4.6.2.3

La struttura stessa del TUB, poi, è tutt'altro che semplice. Il tribunale di primo grado, infatti, avrà una divisione centrale suddivisa tra tre città: i casi dinanzi ad essa saranno distribuiti tra la sede di Parigi (tecniche industriali, trasporti, tessili, carta, costruzioni fisse, fisica, elettricità), la sezione di Londra (chimica, metallurgia e «necessità umane», in particolare farmacia) e la sezione di Monaco (meccanica, illuminazione, riscaldamento, armi ed esplosivi). Senza contare che in seguito potranno essere istituite divisioni locali all'interno di uno Stato membro e divisioni regionali per due o più Stati membri. La corte d'appello, infine, avrà sede a Lussemburgo.

4.6.2.4

Il fatto che il convenuto non possa conoscere in anticipo l'importo totale delle spese processuali da pagare può impedirgli di adire il TUB per difendere i propri diritti, il che può pregiudicare il diritto di accesso alla giustizia del convenuto.

4.6.2.5

È difficile conciliare il disposto dell'articolo 14, paragrafo 2, del Regolamento di procedura proposto per il TUB (26) con quello dell'articolo 49 dell'accordo tra gli Stati contraenti sull'istituzione del TUB, in particolare laddove la competenza della divisione dinanzi alla quale l'azione è proposta si basi sull'articolo 33, paragrafo 1), lettera a), di detto accordo. È particolarmente difficile comprendere con esattezza quale debba essere la lingua del procedimento. L'articolo 49, paragrafo 3, dell'accordo stabilisce che le parti possono convenire circa la lingua del procedimento, fatta salva l'approvazione da parte del collegio competente, mentre l'articolo 14, paragrafo 2, del Regolamento di procedura proposto per il TUB prevede che «the Statement of claim shall be drawn up in the language in which the defendant conducts its business in its Contracting Member State» («il ricorso è redatto nella lingua che il convenuto utilizza per il disbrigo dei propri affari nel proprio Stato membro contraente»). Per evitare interpretazioni errate della disposizione, il CESE raccomanda di sopprimere, o emendare in misura sostanziale, l'articolo 14, paragrafo 2, del Regolamento di procedura proposto per il TUB.

4.6.2.6

Il buon funzionamento del tribunale unificato dei brevetti dipenderà in larga misura dalla qualità dei giudici che ne faranno parte. Pur provenendo da Stati membri diversi e disponendo di esperienze assai eterogenee per via delle numerose differenze tra i sistemi procedurali in vigore nei rispettivi paesi, questi magistrati dovranno attenersi alle nuove procedure del tribunale unificato dei brevetti. La qualità e il rigore della formazione ricevuta dai giudici nominati per il TUB sono quindi di fondamentale importanza per il buon funzionamento di tale organo, non solo per quanto riguarda le nuove norme procedurali applicabili ma anche in relazione alle capacità linguistiche: queste ultime sono infatti essenziali per il tribunale.

4.7

A fronte di questa complessità, non si può non rallegrarsi della semplicità delle quattro nuove disposizioni che dovrebbero essere inserite nel regolamento «Bruxelles I».

Bruxelles, 26 febbraio 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2013) 554 final.

(2)  Cfr. il testo della decisione del Comitato dei ministri dell'Unione economica Benelux, dell'8 dicembre 2011, che stabilisce un protocollo recante modifica del Trattato del 31 marzo 1965 relativo all'istituzione e allo statuto di una Corte di giustizia del Benelux M (2011) 9, nonché il testo di tale protocollo, firmato a Lussemburgo il 15 ottobre 2012, nel Bollettino Benelux, anno 2012, n. 2, del 15.11.2012 (http://www.benelux.int/wetten/Publicatieblad/Publicatieblad_2012-2_fr.pdf). Cfr. anche il testo originale del Trattato del 31 marzo 1965, modificato dai protocolli del 10 giugno 1981 e del 23 novembre 1984, in http://www.courbeneluxhof.be/fr/basisdocumenten.asp.

(3)  GU C 337 del 28.11.2000.

(4)  Il Consiglio «Competitività», molto vicino a giungere a un accordo sulle questioni in sospeso nella sua riunione del novembre 2003 (cfr. il MEMO/03/245), non è tuttavia riuscito ad accordarsi sul termine per presentare le traduzioni delle rivendicazioni.

(5)  COM(2007) 165 final.

(6)  COM(2008) 465 final.

(7)  Decisione del Consiglio 2011/167/UE che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria.

(8)  In proposito va ricordato che il 22 marzo 2013 Spagna e Italia hanno presentato ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea per l'annullamento dei regolamenti che attuavano tale «cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria» (C-146/13 e C-147/13), ricorso respinto dalla Corte con sentenza del 16 aprile 2013.

(9)  GU L 361 del 31.12.2012.

(10)  Il giorno prima, il Parlamento europeo aveva espresso il suo consenso. Infatti, la relazione di Bernhard Rapkay sul regolamento istitutivo del brevetto unitario è stata approvata con 484 voti a favore, 164 contrari e 35 astensioni (per questo testo la procedura è quella di codecisione); la risoluzione di Raffaele Baldassarre, sul regime di traduzione è stata approvata con 481 voti a favore, 152 contrari e 49 astensioni (su questo testo il Parlamento europeo esprime solo un voto consultivo); infine, la risoluzione di Klaus-Heiner Lehne è stata approvata con 483 voti a favore, 161 contrari e 38 astensioni. Quest'ultima risoluzione, che verte sul sistema giurisdizionale per le controversie in materia di brevetti, è un testo non legislativo.

(11)  Cfr. il Doc 16351/12+COR 1 e il Doc 6590/13 PRESSE 61 del 19.2.2013 del Consiglio.

(12)  GU C 175 del 20.6.2013.

(13)  Articolo 7 dell'accordo su un tribunale unificato dei brevetti.

(14)  Cfr. i pareri GU C 155 del 29.5.2001, pag. 80; GU C 61 del 14.3.2003, pag. 154; GU C 256 del 27.10.2007, pag. 3; GU C 306 del 16.12.2009, pag. 7; GU C 18 del 19.1.2011, pag. 105; .GU C 376 del 22.12.2011, pag. 62; GU C 68 del 6.3.2012, pag. 28; GU C 234 del 30.9.2003, pag. 55; .GU C 234 del 30.9.2003, pag. 76; GU C 255 del 14.10.2005, pag. 22; GU C 93 del 27.4.2007, pag. 25; GU C 204 del 9.8.2008, pag. 1; GU C 77 del 31.3.2009, pag. 15; GU C 132 del 3.5. 2011, pag. 47; GU C 9 dell'11.1.2012, pag. 29; GU C 24 del 28.1.2012, pag. 99; GU C 76 del 14.3.2013, pag. 24.

(15)  Cfr. i pareri GU C 100 del 30.4.2009, pag. 65; GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 68; GU C 143 del 22.5.2012, pag. 17; GU C 299 del 4.10.2012, pag. 165; CESE3154/2013 (non ancora pubblicato nella GU).

(16)  GU C 112 del 30.4.2004, pag. 81 .

(17)  GU C 112 del 30.4.2004, pag. 76 .

(18)  Proposte COM(2011) 215/3 final e COM(2011) 216/3 final, del 13.4.2011.

(19)  Progetto di accordo su un tribunale unificato dei brevetti e progetto di statuto di tale tribunale — testo finale riveduto della presidenza 16074/11, dell'11.11.2011.

(20)  Il 17 settembre 2013 tale proposta è stata trasmessa a tutti i parlamenti nazionali degli Stati membri dell'UE, in ottemperanza al principio di sussidiarietà (SG-Greffe (2013)D/14401).

(21)  La Corte di giustizia del Benelux, istituita con un Trattato del 31 marzo 1965, è un organo giurisdizionale incaricato di vigilare sull'applicazione uniforme delle norme comuni ai paesi del Benelux (Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi) in tutta una serie di ambiti, compreso il diritto della proprietà intellettuale. Ebbene, il protocollo del 15 ottobre 2012 consente di ampliare le competenze giurisdizionali di detta Corte estendendole anche ad ambiti coperti dal regolamento «Bruxelles I», mentre la sua funzione iniziale consisteva essenzialmente nell'adottare decisioni pregiudiziali sull'interpretazione delle norme comuni ai paesi del Benelux.

(22)  GU L 351 del 20.12.2012, pag. 1; cfr. il parere GU C 218 del 23.7.2011, pag. 78..

(23)  GU L 12 del 16.1.2001, pag. 1; cfr. il parere GU C 117 del 26.4.2000, pag. 6..

(24)  http://www.unified-patent-court.org/.

(25)  Articolo 35 dell'accordo TUB.

(26)  Tribunale unificato dei brevetti (TUB).


8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Aprire l’istruzione: tecniche innovative di insegnamento e di apprendimento per tutti grazie alle nuove tecnologie e alle risorse didattiche aperte

COM(2013) 654 final

2014/C 214/06

Relatore: LOBO XAVIER

Correlatore: TRANTINA

La Commissione europea, in data 25 settembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Aprire l’istruzione: tecniche innovative di insegnamento e di apprendimento per tutti grazie alle nuove tecnologie e alle risorse didattiche aperte

COM(2013) 654 final.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 febbraio 2014.

Alla sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 226 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Gli strumenti delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) sono sempre più utilizzati in tutti i settori della vita delle persone. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che un approccio digitale nell’ambito dei sistemi d’istruzione possa contribuire a migliorare la qualità e la creatività dell’istruzione da offrire alla comunità, soprattutto se tale approccio è impiegato con buon senso.

1.2

Il CESE è convinto che il ruolo dei docenti sia centrale per il successo dell’iniziativa Aprire l’istruzione. Il loro coinvolgimento nella concezione e attuazione dell’iniziativa, unito ad una formazione adeguata, è essenziale per «aprire l’istruzione» in modo innovativo usufruendo delle nuove tecnologie e delle risorse didattiche aperte in un contesto di insegnamento e apprendimento per tutti.

1.3

Il CESE sottolinea che la mobilitazione di tutti i soggetti interessati e il sostegno alla creazione di «partenariati di apprendimento» nella società — con la partecipazione di scuole, imprese, comuni, parti sociali e organizzazioni della società civile, oltre che di ONG legate ai giovani, ai genitori e agli studenti, di operatori che si occupano dei giovani e di altri operatori sociali locali, nella progettazione e realizzazione dei corsi di studio — sono cruciali affinché l’iniziativa abbia successo e produca risultati concreti, in un ambiente sano di cambiamento del paradigma dell’istruzione.

1.4

Il CESE richiama l’attenzione sulla necessità di utilizzare in modo efficace sia i programmi di finanziamento europei che — soprattutto — quelli nazionali a disposizione per sostenere un utilizzo ottimale, debitamente adattato ai corsi di studio, delle nuove tecnologie e delle risorse didattiche aperte. È necessario osservare, divulgare e incoraggiare le buone pratiche esistenti in alcuni Stati membri per quel che riguarda, ad esempio, gli incentivi da offrire alle imprese che vogliano dotare le scuole delle nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione.

1.5

Il CESE ritiene fondamentale che gli strumenti di riconoscimento delle competenze acquisite attraverso l’impiego delle TIC siano noti con chiarezza a tutta la comunità e che la loro applicazione venga valutata con regolarità. Lo spazio europeo delle abilità e delle qualifiche attualmente in fase di sviluppo dovrà contribuire a questo sforzo di trasparenza e validazione delle competenze. Questo aspetto è cruciale per garantire che l’intera comunità non nutra inquietudini nei confronti del sistema.

1.6

Il CESE è fermamente convinto che un approccio generale ben pianificato sia necessario nell’applicazione delle misure tese a promuovere l’utilizzo di nuove tecnologie nei processi di apprendimento, per quanto riguarda sia i corsi online aperti e di massa (MOOC) che le risorse didattiche aperte (RDA). I docenti continueranno certamente a svolgere una funzione centrale in tutto il processo didattico grazie a una formazione e a incentivi adeguati. L’istruzione basata sulla tecnologia ha fatto sorgere nuove sfide per l’Europa. La tecnologia senza docenti perde il suo valore didattico, mentre docenti competenti a livello digitale continueranno a essere determinanti nel rendere l’istruzione attraente per i discenti.

1.7

Il CESE desidera sottolineare la necessità di una maggiore inclusione nell’utilizzo degli strumenti delle TIC nell’istruzione, soprattutto in rapporto agli studenti provenienti da ambienti svantaggiati, che non sono in grado di procurarsi gli apparecchi necessari, di ottenere un accesso adeguato a Internet e di acquistare contenuti digitali. Esistono numerosi esempi di buone pratiche in tutt’Europa sui modi per superare questi ostacoli e dotare le persone interessate degli strumenti di cui hanno bisogno. Queste buone pratiche devono essere condivise e incoraggiate.

1.8

Il CESE ritiene inoltre che le nuove tecnologie basate su Internet consentano la trasmissione transfrontaliera delle conoscenze, promuovendo quindi la convergenza dell’istruzione negli Stati membri. Questo è importante per la mobilità dei futuri lavoratori e datori di lavoro nei mercati uniti dell’Unione europea, che ne trarrà beneficio.

1.9

Il CESE reputa che la Commissione europea debba assicurare il sostegno e i meccanismi di coordinamento necessari per attuare in modo rapido ed efficiente le proposte esaminate nel presente documento, misurare i progressi compiuti e promuovere lo scambio di buone pratiche a livello dell’UE. Il Comitato è dell’avviso che un’attuazione corretta delle proposte contribuirà anche a realizzare gli obiettivi generali della strategia Europa 2020.

2.   Contesto

2.1

La Commissione europea ha lanciato l’iniziativa Aprire l’istruzione sotto forma di un piano d’azione per rispondere non solo all’impiego inefficiente o inefficace delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel processo didattico, ma anche ad altri problemi di natura digitale che impediscono alle scuole e alle università di offrire un insegnamento di qualità elevata e l’acquisizione delle competenze digitali che nel 2020 saranno richieste per il 90 % dei posti di lavoro.

2.2

Questa iniziativa congiunta, patrocinata da Androulla Vassiliou, commissaria per l’Istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, e da Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione responsabile per l’Agenda digitale, è incentrata su tre aree principali:

creare opportunità di innovazione per le organizzazioni, i docenti e i discenti;

favorire il ricorso alle risorse didattiche aperte, per garantire che il materiale didattico realizzato con finanziamenti pubblici sia accessibile a tutti; e

migliorare le infrastrutture TIC e la connettività nelle scuole.

2.3

Le iniziative connesse al piano d’azione Aprire l’istruzione verranno finanziate grazie al sostegno di Erasmus+ — il nuovo programma dell’UE per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport — e di Orizzonte 2020, il nuovo programma per la ricerca e l’innovazione, nonché con i fondi strutturali dell’UE. Il programma Erasmus+ offrirà ad esempio finanziamenti ai prestatori di servizi didattici per garantire che i modelli aziendali vengano adattati ai cambiamenti tecnologici e per sostenere lo sviluppo della formazione dei docenti mediante corsi online aperti. Tutti i materiali didattici acquistati con il sostegno di Erasmus+ saranno liberamente accessibili e disponibili al pubblico grazie a licenze aperte.

2.4

L’impatto dell’iniziativa Aprire l’istruzione verrà rafforzato dalle raccomandazioni la cui pubblicazione è prevista l’estate prossima a cura del gruppo di alto livello sulla modernizzazione dell’istruzione superiore. Il gruppo, istituito dalla commissaria Vassiliou e presieduto dall’ex presidente dell’Irlanda Mary McAleese, sta valutando come l’istruzione superiore possa utilizzare al meglio le nuove modalità di insegnamento e apprendimento.

2.5

Tale iniziativa si inquadra inoltre nell’ambito della Grande coalizione per l’occupazione in campo digitale, una piattaforma multilaterale volta a fronteggiare la carenza di competenze nel settore delle TIC e a coprire i 9 00  000 posti vacanti in questo settore.

3.   Osservazioni generali

3.1

«L’istruzione è un processo sociale» (John Dewey) e tale rimarrà con l’impiego su vasta scala delle TIC. La sua funzione non è soltanto trasmettere conoscenze, ma anche formare cittadini.

3.2

Il CESE accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione europea intitolata Aprire l’istruzione, in quanto essa rappresenta un modo per promuovere un sistema d’istruzione moderno, capace di sviluppare le capacità della comunità studentesca, dei professori e della società nel suo insieme, facilitando l’utilizzo delle nuove competenze digitali e delle nuove soluzioni offerte dalle tecnologie della comunicazione e informazione, assicurando così l’efficienza nel processo di trasmissione delle conoscenze.

3.3

L’istruzione è uno dei pilatri delle società moderne e un diritto dell’uomo. Nessun paese può sopravvivere o svilupparsi senza un buon sistema d’istruzione. Oggigiorno il successo è il risultato dell’applicazione delle TIC alla trasmissione delle conoscenze attraverso la combinazione di metodi moderni e tradizionali. L’istruzione deve seguire l’approccio giusto, prestando attenzione allo sviluppo integrato di ogni individuo e, al tempo stesso, soddisfacendo le necessità reali di competenze nel mercato del lavoro. Oltre a questo, senza trascurare le necessità dei mercati orientati al profitto, i sistemi d’istruzione dell’Unione europea devono anche venire incontro alle esigenze dei mercati non lucrativi, ad esempio quelle legate a certi tipi di ricerca, ad alcune scienze o alle arti.

3.4

Le scuole sono sempre state all’avanguardia dell’innovazione. Pertanto, secondo il CESE, l’equilibrio tra i metodi cosiddetti «tradizionali» di insegnamento e il ricorso alle nuove tecnologie e ai nuovi approcci è fondamentale per il successo dell’istruzione. Il CESE ritiene inoltre che i sistemi d’istruzione debbano essere adattati all’evolversi della società a livello globale e alle nuove sfide.

3.5

È da vari anni che il CESE affronta la questione degli approcci innovativi nell’istruzione (1). Ad esempio, il recente parere del CESE sul tema Ripensare l’istruzione ha evidenziato che l’insegnamento delle discipline legate all’area STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) deve continuare a ricevere un’attenzione particolare nei sistemi d’istruzione, visto che queste materie sono centrali per lo sviluppo della società tecnologica in cui viviamo e in cui vi sarà un’enorme richiesta di risorse umane dotate di notevoli conoscenze scientifiche e tecnologiche. Ciononostante, è essenziale che queste discipline vengano presentate alla comunità studentesca in modo più creativo e accattivante, a partire dalla scuola dell’infanzia. Questo approccio precoce ha prodotto buoni risultati e può essere considerato una buona pratica in vari Stati membri.

3.6

Per l’istruzione sono importanti sia le soluzioni digitali che quelle online. Tuttavia il CESE reputa che, con l’utilizzo di nuovi materiali, formati e competenze per assicurare la trasmissione delle conoscenze, sia vitale migliorare i contenuti, nonché l’efficienza e i risultati dell’apprendimento.

3.7

Il CESE reputa che la partecipazione sia della comunità dei docenti che delle parti sociali che rappresentano i loro interessi sia essenziale per l’efficacia del processo di apertura dell’istruzione. In quest’ottica, il CESE appoggia l’intenzione di promuovere reti di insegnanti volontari per condividere buone pratiche e lanciare nuove iniziative.

3.8

Dal punto di vista delle imprese, il CESE è consapevole che il nuovo approccio e il nuovo ambiente, entrambi digitali, offrono grandi opportunità. Il Comitato raccomanda tuttavia cautela, soprattutto nell’utilizzo delle «fonti aperte». Sebbene a giudizio del CESE i corsi aperti e le risorse aperte abbiano un ruolo da svolgere in questo processo, il mercato esige una qualche forma di classificazione e standardizzazione (su base volontaria) con cui si tenga conto della procedura di certificazione e dei diritti di proprietà intellettuale (DPI) (2). Un’analisi critica sulla qualità delle risorse didattiche è altrettanto importante e auspicabile.

3.9

Il CESE riconosce i vantaggi di una «industria» di «risorse didattiche aperte», purché tali risorse siano pertinenti per i processi didattici e capaci di promuovere l’apprendimento delle lingue. Un accesso universale e illimitato a contenuti didattici aperti e di qualità elevata non serve a nulla se questi contenuti non possono essere utilizzati dalla comunità perché sono in una lingua che la maggior parte dei membri di tale comunità non padroneggia.

3.10

Malgrado nel documento si invochino politiche a livello europeo, per il CESE è fuori discussione che l’applicazione delle soluzioni dipende da come ogni Stato membro strutturerà le sue politiche. In quest’ottica, il Comitato esorta i responsabili politici degli Stati membri a dar prova di un autentico impegno per assicurare l’applicazione delle soluzioni raccomandate a livello europeo, indipendentemente dalle differenze nel livello di avanzamento fatto segnare dagli Stati membri in questi settori.

3.11

Come tutti i grandi cambiamenti, questa rivoluzione — come si è già detto — esige l’impegno dei responsabili politici di tutti gli Stati membri. In quest’ottica, il CESE esorta a utilizzare in modo adeguato i programmi di finanziamento — sia quelli dell’UE sia, soprattutto, quelli nazionali — che sono disponibili per sostenere la «rivoluzione» didattica proposta. Anche se il programma Erasmus+ e alcune misure del programma Orizzonte 2020 non rappresentano una soluzione globale (malgrado l’aumento tanto apprezzato delle dotazioni di bilancio), un coordinamento adeguato tra i bilanci nazionali e queste misure potrà veramente promuovere i sistemi d’istruzione. Un approccio di questo tipo richiede strategie e decisioni politiche appropriate da parte di ogni Stato membro, visto che non esistono soluzioni universali.

3.12

Nonostante quel che è stato detto sull’importanza delle tecnologie digitali, l’istruzione deve inoltre aprirsi ad altre forme di apprendimento (ad esempio, l’istruzione non formale in ambienti non scolastici). In questo contesto, è d’altronde opportuno segnalare che il ruolo dei media (in quanto risorsa di didattica informale) è ancora relativamente poco sviluppato nel processo d’istruzione, malgrado l’enorme potenziale legato alla loro complementarità con l’istruzione formale e al loro contributo per la comprensione dei contenuti digitali.

3.13

La promozione dell’uso delle nuove tecnologie deve essere basata sul principio dell’accessibilità da parte di tutta la comunità di apprendimento e su quello dell’inclusione sociale di tale comunità, tenendo conto soprattutto delle origini sociali differenti dei discenti e delle differenti forme di contatto con il mondo digitale che derivano da queste origini.

3.14

Il CESE ribadisce la necessità di coinvolgere non solo la comunità di apprendimento, ma anche tutta la società nella definizione di buone pratiche e di approcci che contribuiscano in modo decisivo a risultati migliori nel settore dell’istruzione.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Ambienti di apprendimento aperto (open learning)

4.1.1

È necessario investire di più e meglio nella qualità dell’istruzione e della formazione, per migliorare le competenze e l’occupabilità negli Stati membri dell’Unione europea. Specialmente in alcuni di essi, le priorità devono essere chiare per la comunità. Non ha senso realizzare investimenti infrastrutturali se parallelamente non si investe nella formazione dei docenti. Gli investimenti devono avere una duplice dimensione: i) rafforzare la capacità logistica delle scuole e delle infrastrutture di sostegno e ii) potenziare la componente «conoscenza» del processo didattico. Questa opzione è fondamentale per avvalersi in modo corretto delle opportunità di finanziamento disponibili nei vari programmi europei e nazionali di sostegno finanziario.

4.1.2

Le buone pratiche devono essere condivise su grande scala. Malgrado le differenze — non solo strutturali, ma anche culturali — tra gli Stati membri, le idee, i processi e gli approcci possono essere adattati alla situazione sul campo di un dato paese. Il CESE plaude all’intenzione della Commissione di creare una rete a livello europeo che promuova queste buone pratiche e le metta a disposizione di tutti gli Stati membri.

4.1.3

I discenti possono avere un’attitudine naturale all’ambiente digitale ma, per garantire il successo del processo di istruzione digitale, essi hanno bisogno di assistenza per imparare a utilizzare bene le nuove tecnologie a fini d’istruzione. Certe abitudini legate all’utilizzo della tecnologia dovranno inoltre cambiare. I discenti dovranno abituarsi a eseguire compiti con l’ausilio della tecnologia, e questo all’inizio risulterà certamente difficile, ma poi sarà gratificante. Sotto molti aspetti, gli alunni e gli studenti dovranno cambiare tanto quanto i docenti e occorre compiere questo sforzo congiunto.

4.1.4

La tecnologia deve essere considerata un mezzo e non un fine. Se i docenti, gli studenti e gli alunni non ricevono un’apposita formazione, finiranno per utilizzare i nuovi strumenti in modo antiquato. È necessario che i presidi e gli altri dirigenti scolastici garantiscano che i genitori siano informati di qualsiasi nuovo metodo didattico, se vogliono che tali metodi si affermino veramente. Il settore dell’istruzione avrà bisogno di leader lungimiranti.

4.1.5

Nel processo didattico i docenti sono più importanti della grandezza dell’aula scolastica, del tempo passato in aula, della presenza o assenza di mezzi tecnologici in aula e della stessa organizzazione della scuola o delle classi. L’invasione delle scuole da parte della tecnologia può essere affrontata come un’opportunità di migliorare lo status del docente, e questo implica riconoscere e valorizzare il suo ruolo fondamentale nella comunità. Integrare i nuovi processi didattici e le nuove tecnologie di insegnamento nelle aule scolastiche non è compito facile, perché questo richiede docenti qualificati e motivati per guidare il processo di cambiamento.

4.1.6

I responsabili politici devono pertanto assicurare che la tecnologia non prevalga sull’istruzione, per non pregiudicare la professionalità e dedizione dei docenti. La tecnologia deve essere subordinata al processo didattico guidato dai docenti e non il contrario.

4.1.7

In generale, gli investimenti nella formazione dei docenti dovrebbero essere maggiori di quelli riservati alla tecnologia.

4.1.8

La tecnologia tende ad aiutare di più i discenti che meno hanno bisogno di aiuto. Le statistiche indicano che gli studenti laureati hanno più probabilità di portare a termine un MOOC rispetto ad altre persone. I MOOC non sono sufficienti a risolvere le sfide didattiche più pressanti, ma sarebbe utile introdurli nell’istruzione secondaria e nella formazione professionale.

4.1.9

La trasparenza e il riconoscimento delle abilità acquisite attraverso le TIC (sia all’interno che all’esterno degli istituti scolastici) sono di grande importanza, al pari della garanzia della qualità nei processi di riconoscimento. I discenti, gli educatori e i datori di lavoro devono essere coinvolti nella definizione dei processi di riconoscimento e venir motivati da questi stessi processi.

4.2   Risorse didattiche aperte

4.2.1

Per promuovere l’utilizzo di risorse e contenuti digitali, esiste la chiara necessità di potenziare l’insegnamento delle lingue straniere (specialmente l’inglese) non soltanto nella comunità studentesca ma anche tra i docenti.

4.2.2

Per l’allestimento di aule digitali è necessaria una solida capacità pedagogica e organizzativa da parte di chi le progetta. Le aule potranno accrescere gli effetti dell’apprendimento digitale se saranno concepite come spazi attivi di apprendimento incentrati sugli studenti e dotati delle risorse che permettano di provvedere alle necessità didattiche di tutti i tipi di discente.

4.2.3

Il CESE è d’accordo sul fatto che il sito Internet «Open Education Europa» (Istruzione aperta in Europa) rappresenti un passo importante per il monitoraggio del processo da parte della comunità. Reputa che l’utilizzo di tale strumento debba essere debitamente promosso e i suoi contenuti debbano essere costantemente controllati e valutati. Per potenziarne l’utilizzo bisognerà prestare speciale attenzione alla diversità linguistica delle risorse.

4.3   Connettività e innovazione

4.3.1

Il CESE è consapevole che la capacità delle infrastrutture nel settore delle TIC varia da uno Stato membro all’altro, e questo è un fatto importante di cui tenere conto nella fase di attuazione delle varie proposte. Tuttavia lo sviluppo delle infrastrutture a banda larga, specialmente nelle aree remote, dovrebbe almeno diventare (o rimanere) prioritario.

4.3.2

È importante assicurare un accesso alle TIC più ampio per i gruppi svantaggiati, per permettere loro di integrarsi. I centri e i servizi esistenti nelle comunità che offrono accesso all’apprendimento online e via Internet, oltre che alle biblioteche scolastiche online, racchiudono un potenziale enorme.

4.4   Sforzi concertati per cogliere le opportunità della rivoluzione digitale

4.4.1

Il CESE ritiene fondamentale valutare l’impatto di queste politiche. Come indicato in precedenza, esistono approcci differenti e livelli distinti di partecipazione delle comunità al processo didattico. La rivoluzione digitale deve poter essere misurata per mezzo di indicatori chiave che facciano riferimento non solo a questioni pratiche (percentuale di alunni e studenti nel sistema di istruzione, numero di nuovi utenti delle risorse aperte, numero di computer e di libri digitali nelle aule, ecc.), ma anche all’impatto dei nuovi metodi digitali su scuole, discenti e professori, anche in termini di miglioramento delle conoscenze linguistiche.

4.4.2

Non si sottolineerà mai abbastanza che tutta la comunità deve essere coinvolta nel processo. Si è già dato il debito rilievo ai docenti e al loro ruolo centrale, ma è anche opportuno riconoscere il ruolo importante che le famiglie e il contesto sociale devono svolgere. Nell’attuazione di politiche didattiche innovative e inclusive, la famiglia avrà sempre un peso preponderante nell’aiutare la comunità studentesca ad adattarsi a nuovi strumenti di apprendimento digitale. La famiglia dovrà quindi partecipare concretamente a questo processo di cambiamento. Il CESE riconosce inoltre il contributo straordinario degli operatori che si occupano dei giovani e degli altri operatori sociali che, nel quadro della loro attività professionale, danno a persone di ogni età la possibilità e la motivazione per usufruire di varie iniziative legate all’istruzione.

Bruxelles, 26 febbraio 2014.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 143; GU C 68 del 6.3.2012, pag. 11; GU C 68 del 6.3.2012, pag. 1.

(2)  GU C 191 del 29.6.2012, pag. 18 – capitolo 4.


8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/36


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa a un quadro di qualità per i tirocini

COM(2013) 857 final

2014/C 214/07

Relatrice: Indrė VAREIKYTĖ

La Commissione, in data 4 dicembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa a un quadro di qualità per i tirocini

COM(2013) 857 final.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 febbraio 2014.

Alla sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 27 febbraio 2014), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 196 voti favorevoli, 7 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Nel corso degli ultimi vent'anni, i tirocini sono diventati un'importante porta di accesso dei giovani verso il mondo del lavoro. Tuttavia, anche se i tirocini sono diventati un elemento standard sui mercati del lavoro europei e molte imprese hanno iniziato a contribuire attivamente al processo, la loro diffusione è stata accompagnata da crescenti preoccupazioni circa i contenuti dell'apprendimento e le condizioni di lavoro che comportano. Per facilitare l'accesso all'occupazione, i tirocini dovrebbero offrire un contenuto di apprendimento di buona qualità e condizioni di lavoro adeguate, e non dovrebbero sostituire i posti di lavoro regolari o essere considerati un prerequisito per ottenere un impiego.

1.2

Essi inoltre sono un modo importante di combattere la disoccupazione e la mancata corrispondenza fra domanda e offerta di lavoratori qualificati, nonché di garantire il passaggio dal mondo dell'istruzione a quello del lavoro, ma non dovrebbero essere percepiti come il solo modo per raggiungere tali obiettivi. Per risolvere questi problemi in maniera efficace servono politiche complesse e interconnesse a livello sia europeo sia nazionale. Misure adeguate, in particolare a livello nazionale, possono aumentare la disponibilità di opportunità di tirocinio per i giovani.

1.3

Oltre alle raccomandazioni specifiche formulate nel testo, le condizioni fondamentali per garantire sistemi di tirocinio migliori e più accessibili sono le seguenti:

1.3.1

La raccomandazione dovrebbe riguardare anche i tirocini connessi con programmi educativi e quelli collegati alle politiche attive del mercato del lavoro (concepite per i giovani disoccupati, in particolare quelli non qualificati o scarsamente qualificati), dal momento che si tratta dei tipi di tirocinio più efficaci nell'UE.

1.3.2

Ci dovrebbe essere un maggiore sostegno all'inclusione dei tirocini nei piani di studio e, ove possibile, i tirocini dovrebbero svolgersi durante gli studi, e non dopo la laurea.

1.3.3

Occorre compiere uno sforzo concertato a livello sia europeo sia nazionale per aumentare la disponibilità dei tirocini, in particolare presso le PMI.

1.3.4

Nel caso dei tirocini «nel libero mercato» occorre garantire un pacchetto di base in materia di sicurezza sociale (assicurazione malattia e infortuni e, nel caso dei tirocini retribuiti, congedo di malattia).

1.3.5

I tirocinanti devono ricevere il necessario sostegno finanziario.

1.3.6

Servono orientamenti di accompagnamento che aiutino gli Stati membri e le imprese o le organizzazioni ospitanti a capire i possibili modi di sostenere i sistemi di formazione mediante le fonti di finanziamento europee e nazionali già disponibili e che stabiliscano sistemi di tirocinio flessibili con una responsabilità finanziaria condivisa.

1.3.7

Occorre una maggiore disponibilità di opportunità di tirocinio transfrontaliere per aumentare la mobilità dei giovani all'interno dell'UE. L'estensione dei servizi di EURES ai tirocini è un elemento positivo, ma occorre prevedere ulteriori misure per incoraggiare processi aperti e trasparenti di offerta di tirocini.

1.3.8

Servono dati più solidi sui tirocini, sia a livello europeo che nazionale, e occorre valutare tutte le tipologie esistenti. A tal fine occorrono dati quantitativi e qualitativi da utilizzare per valutare la quantità, la qualità, l'impatto e l'efficacia dei tirocini stessi.

1.3.9

È fondamentale garantire che le persone con disabilità possano partecipare ai tirocini e a tal fine occorre adottare le misure adeguate per aumentare la consapevolezza e l'accessibilità.

1.3.10

È importante coinvolgere tutti i soggetti interessati (parti sociali, organizzazioni della società civile e, in particolare, organizzazioni giovanili) nella formulazione di orientamenti e nel monitoraggio e nella valutazione dell'attuazione del sistema.

2.   Osservazioni generali

2.1

Nel dicembre 2012, la Commissione europea ha lanciato il pacchetto sull'occupazione giovanile, presentando tre proposte fondamentali come la garanzia per i giovani, il quadro di qualità per i tirocini e l'alleanza europea per l'apprendistato, nonché ampliando la rete EURES. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sta seguendo da vicino il processo di attuazione di tutti questi strumenti.

2.2

Il Comitato accoglie favorevolmente la raccomandazione del Consiglio su un quadro di qualità per i tirocini, in quanto misura utile a garantire la qualità dei contenuti dell'apprendimento e condizioni di lavoro adeguate nel periodo di tirocinio, nonché in quanto strumento finalizzato ad evitare che i tirocini siano utilizzati per sostituire i posti di lavoro regolari, oppure come prerequisito per ottenere un impiego.

2.3

Il CESE riconosce che tirocini di elevata qualità sono essenziali per l'attuazione della garanzia per i giovani (1) (la quale punta a garantire «che tutti i giovani di età inferiore a 25 anni ricevano un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio entro un periodo di quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale») e per conseguire l'obiettivo prioritario della strategia Europa 2020 di raggiungere un tasso di occupazione del 75 % per le persone di età compresa fra 20 e 64 anni entro il 2020. È importante notare che un utilizzo corretto dei sistemi di tirocinio può essere utile per affrontare il problema della mancata corrispondenza fra domanda e offerta di lavoratori qualificati e può servire da ponte per il passaggio dal mondo dell'istruzione a quello del lavoro.

2.4

Malgrado i lodevoli progressi già ottenuti da molti Stati membri, il Comitato condivide il giudizio secondo cui i principali ostacoli incontrati al momento attuale dai tirocini nell'UE sono i contenuti di apprendimento insufficienti e le condizioni di lavoro inadeguate. Tale giudizio è confermato da un recente sondaggio Eurobarometro (2) secondo cui oltre il 28 % dei tirocinanti pensa che la sua esperienza non sia o non sarà utile per trovare un posto di lavoro regolare.

2.5

Il CESE ritiene che i tirocini siano soltanto uno degli strumenti che possono essere utilizzati per combattere la disoccupazione e la mancata corrispondenza fra domanda e offerta di lavoratori qualificati. Per risolvere questi problemi occorre mettere in atto politiche complesse e interconnesse a livello sia europeo che nazionale.

2.6

Inoltre, il Comitato osserva che la raccomandazione riguarda soltanto i tirocini «nel libero mercato» e quelli transnazionali, e che non rivolge un'attenzione specifica ad altre forme di tirocinio nell'Unione europea, più comuni ed efficaci (3): tirocini connessi con programmi educativi e tirocini collegati a politiche attive del mercato del lavoro per i giovani disoccupati, in particolare quelli non qualificati o scarsamente qualificati.

2.7

Il quadro dovrebbe essere abbastanza flessibile da riflettere i diversi punti di partenza degli Stati membri e le loro diverse normative e pratiche nazionali, nel rispetto del principio di sussidiarietà.

2.8

Una maggiore attenzione per i tirocini connessi con programmi educativi all'interno del quadro di qualità per i tirocini consentirebbe di instaurare un approccio più sistematico riguardo ai tirocini «nel libero mercato», in particolare in considerazione dei metodi di garanzia della qualità già esistenti nel settore educativo, che possono fornire il modello per un meccanismo efficace di controllo della qualità relativo a tutti i sistemi di tirocinio. L'istituzione di un unico strumento di garanzia della qualità per tutti i tipi di tirocinio aumenterebbe la comprensione e la trasparenza circa i requisiti in materia di qualità e aiuterebbe a indirizzare i tirocini stessi verso gli obiettivi di apprendimento desiderati. Tuttavia, è importante garantire che tale strumento non entri in conflitto con la legislazione applicabile degli Stati membri.

2.9

Tuttavia, il CESE sottolinea che l'adozione di un quadro legislativo e normativo non può garantire la qualità dei tirocini in modo automatico. È l'attuazione delle norme, accompagnata a un solido monitoraggio dell'intero processo, che potrà svolgere un ruolo decisivo nel garantire tirocini di elevata qualità. Gli Stati membri dovrebbero poter decidere come trattare al meglio i tirocini allo scopo di garantirne la qualità e di prevenire gli abusi.

2.10

Occorre una maggiore disponibilità di opportunità transfrontaliere di tirocinio per aumentare la mobilità dei giovani all'interno dell'UE. L'estensione dei servizi di EURES ai tirocini è un elemento estremamente positivo, in particolare se si tiene conto dei benefici aggiuntivi derivanti dalla promozione dei tirocini transnazionali (attualmente, solo il 9 % dei tirocini si svolge all'estero2). Occorre però adottare ulteriori misure per promuovere processi aperti e trasparenti di offerta di tirocinio, al fine di accogliere i tirocinanti in modo informato e istituzionale. A questo proposito, con la definizione di orientamenti per le eventuali organizzazioni ospitanti potrebbero essere stabiliti i principi di tali processi e i criteri di qualità per i tirocini. Inoltre i potenziali destinatari dovrebbero essere meglio informati circa i programmi e le opportunità esistenti in materia di tirocini, soprattutto attraverso i media sociali e Internet.

3.   Il ruolo degli investimenti nella formazione

3.1

Il CESE è convinto che i tirocinanti possano contribuire ai risultati dell'azienda che li ospita e dell'economia nel suo complesso acquisendo allo stesso tempo l'esperienza di cui hanno bisogno, purché l'ambiente di apprendimento sul posto di lavoro sia strutturato opportunamente.

3.2

Anche se un tirocinio rappresenta un'opportunità di apprendimento, è importante riconoscere i benefici per tutte le parti in causa: il tirocinante, il datore di lavoro, l'economia in generale e quindi la società. Per questo, occorre che garantire sistemi di tirocinio accessibili e di elevata qualità sia una responsabilità condivisa.

3.3

Il Comitato ritiene che la raccomandazione dovrebbe essere più attiva nel promuovere gli investimenti nei tirocini. Occorre rivolgere particolare attenzione alle PMI, dato che spesso non dispongono del capitale necessario per investire nei tirocinanti in assenza di un sostegno specifico che venga ad assisterle.

3.4

I motivi per cui le imprese di minori dimensioni non investono in misura sufficiente nei tirocini risiedono nelle caratteristiche specifiche delle PMI: prospettive di breve termine, impossibilità di accumulare nel tempo i benefici ottenuti dai tirocinanti nel breve periodo e la diversità di costi e benefici della formazione. Un tirocinio è un investimento i cui vantaggi non ritornano immediatamente alle imprese. Un altro problema per le piccole imprese che pensano alla possibilità di offrire dei tirocini è che il tirocinante potrebbe non rimanere il tempo necessario per consentire loro di recuperare i costi della formazione.

3.5

Il CESE è dell'avviso che la presenza di una forza lavoro altamente qualificata e formata offra vantaggi competitivi che vanno ben oltre quelli di cui godrà il singolo lavoratore o la singola impresa. Questo giustifica un intervento dello Stato nel mercato, sotto forma di un'integrazione ai fondi stanziati dai privati. Le PMI sono importanti creatrici nette di posti di lavoro e motori di crescita economica, per cui gli investimenti nei tirocini da parte delle piccole imprese possono essere giustificati in quanto correzione di una deficienza del mercato dal punto di vista di esternalità e beni pubblici (ad es. la mancata corrispondenza con le competenze acquisite durante gli studi): in questo modo, le piccole imprese possono contribuire maggiormente alla crescita economica generale e al benessere della società nel suo insieme (4).

3.6

Il Comitato pertanto raccomanda di elaborare degli orientamenti di accompagnamento rivolti sia agli Stati membri che alle imprese o organizzazioni ospitanti circa i possibili modi di sostenere i sistemi di formazione utilizzando le fonti di finanziamento europee e nazionali già disponibili. Tali orientamenti dovrebbero contenere anche esempi di buone pratiche circa l'attuazione dei sistemi di formazione presso imprese ed organizzazioni.

3.7

Il CESE considera importante garantire che i datori di lavoro sappiano cosa possono aspettarsi di ottenere in termini di benefici netti qualora offrano dei posti di formazione. Anche gli studi sull'intera gamma dei costi e dei benefici, dimostrando il reale ritorno economico, possono incoraggiare i datori di lavoro ad accogliere dei tirocinanti. Allo stesso tempo, è necessario sensibilizzare il pubblico circa il fatto che le imprese devono istituire tirocini di qualità.

4.   Indennità e sicurezza sociale

4.1

Dato che solo il 62 % (5) dei giovani con alle spalle un'esperienza in quanto tirocinanti ha beneficiato di un accordo o contratto scritto di tirocinio concluso con l'organizzazione o azienda ospitante, il Comitato sostiene l'idea di rendere obbligatori tali accordi o contratti scritti. Per quanto riguarda gli accordi di tirocinio dovrebbero essere definite norme giuridiche comuni. Va osservato che gli accordi e i contratti scritti aventi valore giuridico recano un vantaggio sia all'offerente del posto di tirocinio sia al tirocinante, dal momento che rafforzano i diritti e i doveri di entrambe le parti.

4.2

Il Comitato raccomanda però, nel caso dei tirocini «nel libero mercato», che il soggetto ospitante debba garantire un pacchetto di base in materia di sicurezza sociale (assicurazione malattia e infortuni e, nel caso dei tirocini retribuiti, congedo di malattia), da inserire per prassi nell'accordo di tirocinio. Se il tirocinio è visto come un rapporto di lavoro, in linea con le leggi e le pratiche nazionali, si applicano tutte le disposizioni di diritto del lavoro, della legislazione sociale e dei contratti collettivi (comprese le norme sulle retribuzioni) dello Stato membro. In caso di controversia, il Comitato raccomanda di considerare i tirocinanti come la parte più debole e di fornire loro l'assistenza di cui necessitano.

4.3

Fra gli Stati membri, i metodi più comuni per finanziare i vari tipi di tirocinio comprendono fondi europei e nazionali/regionali, aiuti istituzionali (ad es. borse universitarie), autofinanziamento e risorse aziendali. Ove siano disponibili dei finanziamenti pubblici, ciò spesso comporta un sostegno considerevole da parte dei fondi dell'UE, in particolare del Fondo sociale europeo (FSE). Nel caso dei tirocini «nel libero mercato» però l'autofinanziamento è particolarmente diffuso e, in molti casi, i tirocinanti non ricevono alcuna indennità, o soltanto un'indennità insufficiente. Comunque sia, è un fatto che il 59 %5 dei tirocinanti non riceve alcun compenso finanziario e deve quindi fare affidamento su altre fonti di finanziamento, come i propri risparmi o l'aiuto delle famiglie.

4.4

Il Comitato sottolinea che, mentre preparano la loro carriera futura aumentando la propria occupabilità, i tirocinanti non devono essere esposti al rischio di povertà. I tirocini devono essere accessibili a tutti, per cui l'assenza di un compenso finanziario limita la possibilità di accedere a un sistema di tirocinio (in tutta l'UE, solo il 46 % delle persone interrogate ha effettuato un tirocinio5). Il risultato è una forma di discriminazione nei confronti di alcune categorie di giovani, sulla base della loro situazione finanziaria.

4.5

Nel quadro dell'approccio di responsabilità condivisa, il Comitato incoraggia gli Stati membri a cercare una soluzione flessibile alla questione dell'indennità per i tirocinanti. Questo tipo di approccio dovrebbe garantire un'elevata qualità dei tirocini e offrire condizioni dignitose, senza scoraggiare le aziende dall'offrire posti di tirocinio. L'indennità per i tirocinanti non è da considerarsi semplicemente un guadagno, ma anche un modo di garantire pari opportunità a tutti i giovani, affinché possano partecipare ai sistemi di tirocinio.

4.6

Il CESE raccomanda di esaminare e discutere tutte le opzioni insieme alle parti sociali: sgravi fiscali per le imprese ospitanti, utilizzo dei fondi europei e nazionali, sconti per i pacchetti di sicurezza sociale, ecc., al fine di non far gravare l'onere dell'indennità solo sulle aziende e organizzazioni ospitanti.

4.7

Il CESE esorta la Commissione europea a formulare il prima possibile orientamenti in materia di buone pratiche da rivolgere agli Stati membri e alle imprese.

4.8

Le buone pratiche in materia di tirocini definite nella raccomandazione sul quadro di qualità per i tirocini devono applicarsi non solo ai tirocini «nel libero mercato», ma anche ai tirocini nel settore pubblico e presso le istituzioni dell'UE.

5.   Altri aspetti

5.1

Il CESE concorda con la raccomandazione di far durare i tirocini un massimo di sei mesi e di limitare la possibilità di ripetere i tirocini, al fine di evitare che i tirocinanti divengano sostituti dei dipendenti e che i tirocini siano usati in modo scorretto come alternative all'occupazione a durata indeterminata. Tuttavia, potrebbe essere utile che i tirocini transfrontalieri durassero più a lungo di quelli svolti nel paese d'origine del tirocinante.

5.2

Il Comitato considera fondamentale garantire che le persone con disabilità possano partecipare ai sistemi di tirocinio su un piede di parità e raccomanda di adottare le misure appropriate per aumentare l'accessibilità e la consapevolezza di questo problema.

5.3

Il CESE invita le parti sociali a continuare a lavorare al riconoscimento delle capacità e delle competenze acquisite durante i tirocini e altrove (ad esempio, nel quadro di attività di volontariato). In quest'ottica, lo spazio europeo delle abilità e delle qualifiche di cui si è discusso di recente potrebbe apportare una maggiore trasparenza.

5.4

Il Comitato incoraggia l'emissione di certificati di tirocinio, ma raccomanda che tali certificati siano rilasciati in base a un modello comune e propone di considerare la possibilità di collegarli con lo Youthpass e con il quadro europeo delle qualifiche, per conferire loro un'ampia riconoscibilità e un'utilità per i giovani e per i loro futuri datori di lavoro.

5.5

Il Comitato auspica che il dialogo a livello UE e nazionale sia sostenuto coinvolgendo tutti i soggetti interessati (parti sociali, organizzazioni della società civile e, in particolare, organizzazioni giovanili) nella formulazione di orientamenti e nel monitoraggio e nella valutazione dell'attuazione del sistema.

Bruxelles, 27 febbraio 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Raccomandazione del Consiglio sull'istituzione di una garanzia per i giovani, GU C 120 del 26.4.2013, pag. 1.

(2)  L'esperienza dei tirocini nell'UE, Eurobarometro, 2013.

(3)  Study on a comprehensive overview on traineeship arrangements in Member States («Studio sulla normativa relativa ai tirocini negli Stati membri»), Unione europea, 2012.

(4)  La formazione dei dirigenti nelle PMI, OCSE, 2002.

(5)  L'esperienza dei tirocini nell'UE, Eurobarometro, 2013.


8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio al fine di ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero

COM(2013) 761 final — 2013/0371 (COD)

2014/C 214/08

Relatore: BOLAND

Il Consiglio, in data 15 novembre 2013, e il Parlamento europeo, in data 18 novembre 2013, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 114, paragrafo 3, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio al fine di ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero

COM(2013) 761 final — 2013/0371 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 febbraio 2014.

Alla sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 227 voti favorevoli, nessun voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE approva la proposta della Commissione europea di modificare la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio al fine di ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero. Richiama l'attenzione, tuttavia, sulle numerose critiche mosse alla proposta, secondo le quali essa potrebbe non raggiungere l'obiettivo di ridurre l'uso delle borse di plastica nell'immediato futuro.

1.2

Il CESE riconosce che l'uso continuato delle borse di plastica in materiale leggero causa danni enormi all'ambiente marino, danni che presentano conseguenze di rilievo non solo per tutta una serie di specie marine ma anche per la salute umana.

1.3

Il CESE è cosciente delle numerose complessità legislative inerenti al controllo delle borse di plastica; tuttavia raccomanda con fermezza che la direttiva proposta assicuri il pieno impegno di ciascuno Stato membro all'eliminazione di questo tipo di rifiuti su base permanente.

1.4

Il CESE teme che la proposta non consenta di conseguire gli obiettivi fondamentali di riduzione a causa della mancanza di un obiettivo chiaro di prevenzione a livello UE; tale obiettivo fornirebbe un parametro per valutare l'efficacia delle misure adottate dagli Stati membri e potrebbe essere reso vincolante mediante sanzioni.

1.5

A tale proposito il CESE raccomanda quanto segue:

l'UE dovrebbe fissare un obiettivo quantitativo di riduzione dell'uso di borse di plastica in materiale leggero, basandosi sull'esperienza acquisita dal gruppo più ampio di Stati membri in cui si registra un consumo contenuto di borse di plastica in materiale leggero;

il mancato conseguimento di questo obiettivo deve comportare l'applicazione di apposite sanzioni.

1.6

Pur comprendendo che misure diverse per il controllo delle borse di plastica portano a risultati diversi nei vari Stati membri, il CESE raccomanda che ciascun paese effettui la propria analisi su come conformarsi al meglio alle disposizioni della direttiva e scelga quindi l'opzione che più delle altre si adatti alle proprie esigenze e risulti realistica in termini di ottemperanza all'obiettivo globale dell'UE.

1.7

Il CESE raccomanda agli Stati membri di valutare attentamente, al momento di definire la loro politica di attuazione, l'impatto sui consumatori, sul settore del commercio al dettaglio e sull'ambiente.

1.8

Il CESE accoglie favorevolmente i risultati della relazione sulla valutazione d'impatto condotta dalla DG Ambiente nel 2011, secondo cui la riduzione dell'uso di borse di plastica avrebbe, nel peggiore dei casi, conseguenze neutre sull'occupazione, mentre potrebbe addirittura contribuire all'aumento dei posti di lavoro legati alle borse alternative riutilizzabili, che causano meno problemi all'ambiente.

1.9

In linea con il suo precedente parere sul tema Libro verde — Una strategia europea per i rifiuti di plastica nell'ambiente (NAT/600), il Comitato raccomanda che venga chiaramente riconosciuto il contributo della società civile ad una trasformazione positiva dei comportamenti.

2.   Informazioni generali sulle iniziative legislative

2.1

Conformemente alla legislazione dell'UE, le borse di plastica sono considerate materiale da imballaggio ai sensi della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. Tuttavia, non esistono normative o politiche dell'UE che riguardino nello specifico le borse di plastica. Alcuni Stati membri hanno elaborato politiche per ridurne l'uso che si sono rivelate estremamente efficaci, ma è anche vero che molti altri non hanno intrapreso alcuna azione in materia.

2.2

La proposta mira a ridurre il consumo delle borse di plastica di spessore inferiore a 50 micron (0,05 millimetri) nell'Unione europea. Per stabilire con esattezza l'oggetto della direttiva, il testo concerne le borse di plastica sottili, in materiale leggero, che vengono distribuite alle casse dei punti vendita e usate per trasportare i prodotti acquistati nei supermercati e in altri negozi.

2.3

Le difficoltà legislative nella definizione e nel conseguimento di un obiettivo di riduzione su scala europea, applicabile a tutti gli Stati membri, hanno notevolmente contribuito a peggiorare la situazione. Invece di fissare un obiettivo comune a livello UE che riduca significativamente il numero di borse di plastica in circolazione, si preferisce introdurre nella direttiva 94/62/CE l'obbligo per tutti gli Stati membri di ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero consentendo loro, al tempo stesso, di stabilire i propri obiettivi di riduzione e di scegliere le misure da adottare per conseguirli. Tali misure, però, non dovrebbero condurre ad un aumento globale della produzione di imballaggi.

2.4

L'Unione europea non è stata granché efficace nel coordinare una politica che possa dare una risposta unica alla soluzione dei problemi causati dalla trasformazione delle borse di plastica in immondizia. L'Italia, ad esempio, intende vietarne l'uso, mentre l'Austria si oppone ad una proposta del genere per motivi giuridici. Altri paesi, quali la Danimarca, l'Irlanda e la Bulgaria, hanno introdotto una tassa sulle borse di plastica. Il Regno Unito intende applicare, nel 2015, una tassa limitata che colpirà i punti vendita al dettaglio con più di 250 dipendenti. In Francia, Germania, Portogallo, Ungheria e nei Paesi Bassi i dettaglianti hanno cominciato a far pagare le borse di plastica.

3.   Contesto e sintesi della proposta della Commissione

3.1

Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno deciso di consultare il Comitato economico e sociale europeo in base agli articoli 114, paragrafo 3, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea in merito alla proposta di modifica della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio al fine di ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero.

3.2

La Commissione ha effettuato una valutazione d'impatto al fine di preparare la proposta legislativa (1). In base a tale valutazione, nel 2010 ciascun cittadino dell'UE ha usato 198 borse di plastica, delle quali il 90 % circa era di materiale leggero; queste ultime vengono riutilizzate meno frequentemente e rischiano più facilmente di trasformarsi in immondizia.

3.3

Sempre secondo queste stime, nel 2010 nell'UE oltre 8 miliardi di borse di plastica si sono trasformate in immondizia. Si tratta di rifiuti che vanno a depositarsi prevalentemente nell'ambiente marino, e di conseguenza grandi quantità di borse di plastica si accumulano nei nostri mari. Anche nei paesi che non si affacciano sul mare, le borse di plastica vengano trasportate fino agli oceani da fiumi e corsi d'acqua. Siccome la durata di vita di una borsa di plastica può arrivare a centinaia di anni, questa situazione rappresenta un'enorme sfida globale in quanto costituisce una fonte di inquinamento e colpisce i nostri ecosistemi oceanici.

3.4

Stando all'analisi della Commissione, il consumo di queste borse di plastica varia notevolmente, passando da una media di quattro pro capite l'anno in Finlandia e Danimarca a 466 in Polonia, Portogallo e Slovacchia.

4.   Osservazioni generali e particolari

4.1

Nel suo parere sul tema Libro verde — Una strategia europea per i rifiuti di plastica nell'ambiente (NAT/600, relatore Zbořil), il CESE ha messo in evidenza il grave problema causato dai rifiuti di plastica in generale e ha raccomandato una serie di azioni chiave per combattere tutti i tipi di inquinamento dovuti alla plastica (2).

4.2

Una drastica riduzione delle borse di plastica contribuirà ad alleggerire la pressione sulla biodiversità, in particolar modo sull'ambiente marino, in linea con la strategia europea sulla biodiversità volta a mettere fine alla perdita di biodiversità e di servizi ecosistemici nell'UE entro il 2020.

4.3

Per almeno 267 specie diverse sono stati registrati casi in cui gli animali sono rimasti impigliati nei resti di borse di plastica o hanno ingerito tali rifiuti presenti nei mari. Nel mare del Nord è stata rilevata la presenza di plastica nello stomaco del 94 % degli uccelli. Le borse di plastica sono state trovate anche nello stomaco di diverse specie marine a rischio.

4.4

Tra le disfunzioni che contribuiscono ad aggravare il problema figurano le seguenti:

cattivo funzionamento del mercato e scarsa sensibilizzazione dei cittadini;

carenze nell'applicazione e nel recepimento del quadro legislativo esistente in materia di imballaggi e rifiuti di imballaggio;

mancata definizione di obiettivi concreti per ridurre in modo sensibile l'uso delle borse di plastica leggere;

mancanza della volontà politica, in numerosi Stati membri, di risolvere il problema attraverso obiettivi significativi.

4.5

D'altra parte, le enormi differenze tra gli Stati membri per quanto concerne il consumo pro capite di borse di plastica in materiale leggero sono la prova che è possibile ridurne radicalmente l'uso in un lasso di tempo relativamente breve, a condizione che vi sia la volontà politica di passare all'azione. Nel caso dell'Irlanda, ad esempio, la riduzione delle borse di plastica ha raggiunto l'80 % quando è stata introdotta una tassa ai punti vendita.

4.6

Se non verranno prese misure efficaci, si prevede che il numero delle borse di plastica sul mercato dell'UE-27 passerà da 99 miliardi nel 2010 a 111 miliardi nel 2020 (3). In assenza di un'azione immediata ed efficace che limiti l'uso delle borse di plastica e risolva il problema delle immondizie ad esso collegato, vi saranno conseguenze gravi per l'ambiente e i cittadini, tanto all'interno quanto al di fuori dell'UE, ma anche per le industrie di riciclaggio della plastica, gli enti pubblici, il settore della pesca, il turismo e le imprese locali.

4.7

Numerosi gruppi ambientalisti affermano chiaramente che la proposta della Commissione è debole, in quanto all'articolo 1, paragrafo 2 si afferma che «gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare una riduzione del consumo di borse di plastica in materiale leggero sul loro territorio entro due anni dall'entrata in vigore della presente direttiva», senza che venga fissato un chiaro obiettivo di prevenzione.

4.8

È evidente, inoltre, che le direttive basate unicamente sulla responsabilità degli Stati membri, le quali non prevedono precise sanzioni in caso di non applicazione, sono notevolmente meno efficaci.

4.9

La fissazione di un obiettivo quantitativo di prevenzione dell'uso di borse di plastica in materiale leggero permetterebbe di stabilire un obiettivo chiaro e un parametro per gli Stati membri che potrebbe essere monitorato e, se necessario, reso vincolante. D'altro canto, questo darebbe agli Stati membri un certo grado di flessibilità nella scelta dei mezzi da applicare per il raggiungimento di tale obiettivo. Tra gli strumenti a disposizione potrebbero figurare incentivi economici, come ad esempio tasse o prelievi, campagne di sensibilizzazione dei consumatori o misure regolamentari oppure una combinazione di tutti questi strumenti, in funzione delle circostanze specifiche di ciascuno Stato membro. Nella valutazione d'impatto è stato preso in considerazione un obiettivo di prevenzione di 35 borse pro capite l'anno. Tale obiettivo si baserebbe sul consumo medio di borse di plastica in materiale leggero nel 25 % degli Stati membri che hanno ottenuto i risultati migliori nel 2010 e potrebbe pertanto essere considerato un parametro ragionevole e realizzabile per altri paesi. Se questo potesse trasformarsi in un obiettivo di prevenzione a livello UE, si avrebbe una riduzione dell'80 % nel consumo di borse di plastica monouso nell'UE, il che corrisponde a quello che dovrebbe essere l'obiettivo minimo.

4.10

Dalla valutazione d'impatto condotta dalla Commissione si evince che le misure destinate a ridurre il consumo di borse di plastica monouso non avrebbero effetti inaccettabili sull'economia o sull'occupazione.

La Commissione conclude affermando che:

vi sarà una diminuzione del numero di persone occupate nella produzione di borse di plastica monouso;

tuttavia, si registrerà probabilmente un aumento nel numero delle persone addette alla fabbricazione di borse di plastica multiuso, borse in materiale cartaceo e sacchi per pattumiere;

stando alla relazione PRODCOM del 2011 cui si fa riferimento nella valutazione d'impatto, nel 2006 un terzo delle borse di plastica in materiale leggero è stato importato, principalmente dall'Asia. Nella stessa relazione si afferma che da allora una parte considerevole della produzione è stata delocalizzata in Asia. A titolo di esempio si cita il fatto che, nel Regno Unito, quasi il 98 % di queste borse viene importato dall'estremo oriente;

nella relazione si sottolinea che nei paesi dell'UE la fabbricazione tende ad orientarsi verso la produzione di «borse leggermente più spesse»;

nella valutazione d'impatto si afferma inoltre che non vi saranno effetti aggiuntivi sull'occupazione (pag. 86). Si sottolinea infine che la maggior parte dei fabbricanti producono borse di plastica di diverse dimensioni e che le azioni per ridurre il numero di borse in materiale leggero potrebbero far aumentare la domanda di borse riutilizzabili, determinando in tal mondo la creazione di nuovi posti di lavoro.

Bruxelles, 26 febbraio 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Valutazione d'impatto in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio al fine di ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero (COM(2013) 761 final — 2013/0371 (COD)).

(2)  Parere in merito al Libro verde — Una strategia europea per i rifiuti di plastica nell'ambiente, GU C 341 del 21.11.2013, pagg. 59-66.

(3)  Dati basati su PRODCOM, banca dati dell'Eurostat che fornisce statistiche sulla produzione di beni manufatti (cfr. la valutazione d'impatto della Commissione, punto 2.4).


8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 525/2013 per quanto riguarda l'attuazione tecnica del protocollo di Kyoto alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici»

COM(2013) 769 final — 2013/0377 (COD)

2014/C 214/09

Relatore: M. ADAMS

Il Parlamento europeo, in data 18 novembre 2013 e il Consiglio, in data 10 dicembre 2013, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 192, paragrafo 1, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 525/2013 per quanto riguarda l'attuazione tecnica del protocollo di Kyoto alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

COM(2013) 769 final — 2013/0377 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 febbraio 2014.

Alla sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 226 voti favorevoli, 5 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia la proposta di regolamento così come presentata dalla Commissione, nella misura in cui essa agevola e consente l'attuazione tecnica degli accordi in vigore relativi al protocollo di Kyoto.

2.   Introduzione generale

2.1

Il protocollo di Kyoto è un accordo internazionale, concluso nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, in forza del quale ciascun paese firmatario è obbligato a ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra. I paesi industrializzati si sono impegnati a ridurre le loro emissioni annue di carbonio, misurate sulla base di sei gas a effetto serra, di quantitativi differenti per arrivare ad una diminuzione media del 5,2 % entro il 2012 rispetto ai livelli del 1990. Sebbene dal 1990 ad oggi le emissioni globali di gas a effetto serra abbiano registrato un incremento del 40 %, il protocollo di Kyoto è pur sempre considerato una prima tappa, modesta ma fondamentale, dell'azione di contrasto di questo fenomeno a livello internazionale.

2.2

Il protocollo stabiliva che gli Stati membri dell'UE a 15 dovessero ridurre le loro emissioni complessive dell'8 % rispetto ai livelli del 1990 entro il periodo 2008-2012, un obiettivo, questo, che è stato probabilmente raggiunto e persino superato. Quanto ai paesi entrati a far parte dell'Unione nel 2004, sono anch'essi tenuti a rispettare obiettivi di riduzione fissati dal protocollo di Kyoto in misura del 5, 6 o 8 %, e sono oggi vicini al traguardo o lo hanno già superato. L'UE ha sottoscritto un impegno unilaterale a ridurre del 20 % rispetto ai livelli del 1990 le emissioni totali di gas a effetto serra imputabili ai suoi 28 Stati membri entro il 2020.

2.3

A fronte di una crescita del PIL del 45 % tra il 1990 e il 2011, le emissioni totali di gas a effetto serra imputabili ai 28 paesi UE — tra cui quelle generate dall'aviazione internazionale, anch'esse comprese nell'impegno unilaterale assunto dall'UE — erano diminuite del 16,9 % rispetto ai livelli del 1990 nel 2011, e di una percentuale stimata al 18 % nel 2012 rispetto allo stesso anno di riferimento. Le ultime proiezioni degli Stati membri mostrano che nel 2020 le emissioni totali, comprese quelle imputabili all'aviazione internazionale, saranno diminuite del 21 % rispetto ai livelli del 1990.

2.4

L'«emendamento di Doha» al protocollo di Kyoto alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici istituisce un secondo periodo di impegno del protocollo, che inizia il 1o gennaio 2013 e termina il 31 dicembre 2020.

2.5

Il secondo periodo di impegno del protocollo di Kyoto manterrà e rafforzerà il sistema organico esistente di contabilizzazione delle emissioni per garantire la trasparenza dell'operato delle parti e il rispetto degli obblighi loro imposti.

2.6

L'attuazione del protocollo di Kyoto dopo il 2012 richiede la redazione di una serie di norme di esecuzione tecnica per l'Unione europea, i suoi Stati membri e l'Islanda. Il recente regolamento sul meccanismo di monitoraggio non contiene la base giuridica che consentirebbe alla Commissione di adottare gli atti delegati relativi all'attuazione delle norme per il secondo periodo di impegno. Pertanto, per poter disporre della base giuridica necessaria è indispensabile modificare il regolamento (UE) n. 525/2013.

3.   Sintesi della proposta di modifica del regolamento

3.1

La proposta di regolamento costituisce la base per l'attuazione di una serie di aspetti tecnici attraverso l'adozione di atti giuridici. Questi aspetti tecnici riguardano in particolare:

le procedure di gestione delle unità, tra cui le transazioni di unità di Kyoto (rilascio, trasferimento, acquisizione, cancellazione, ritiro, riporto, sostituzione o modifica della data di scadenza) nei e tra i registri nazionali dell'Unione europea, dei suoi Stati membri e dell'Islanda;

le procedure di contabilizzazione legate al passaggio dal primo al secondo periodo di impegno, ivi compreso il riporto di unità eccedentarie dal primo al secondo periodo di impegno;

la creazione e il mantenimento di una riserva di eccedenza per il periodo precedente e di una riserva per il periodo d'impegno per ciascuna delle parti dell'accordo sull'adempimento congiunto;

il prelievo o la «quota di proventi» applicato al rilascio di ERU (unità di riduzione delle emissioni) e il primo trasferimento internazionale di AAU (unità di quantità assegnata) nel secondo periodo di impegno.

4.   Osservazioni generali

4.1

In sintesi, la proposta di regolamento darebbe all'UE la possibilità di attuare il secondo periodo di impegno del protocollo di Kyoto, consentendo il rilascio, il trasferimento e il riporto delle unità previste dal protocollo. Essa consentirebbe inoltre alla Commissione di decidere in merito all'adozione degli «atti delegati». La proposta di regolamento agevola e consente l'attuazione tecnica degli accordi in vigore, ed è sostenuta dal CESE così come presentata dalla Commissione.

Bruxelles, 26 febbraio 2014.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Analisi annuale della crescita 2014

COM(2013) 800 final

2014/C 214/10

Relatrice generale: PICHENOT

La Commissione europea, in data 13 novembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — Analisi annuale della crescita 2014

COM(2013) 800 final.

L’Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 18 novembre 2013, ha incaricato il comitato direttivo Europa 2020 di preparare i lavori in materia.

Vista l’urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della sua 496a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio 2014), ha nominato Evelyne PICHENOT relatrice generale e ha adottato il seguente parere con 187 voti favorevoli, 2 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Rafforzare il semestre europeo e migliorare la partecipazione della società civile

1.1.1

Per migliorare la titolarità a livello nazionale e la legittimità democratica, aspetti cruciali del semestre europeo, il CESE, riconoscendo nel contempo la diversità delle pratiche nazionali, raccomanda di coinvolgere maggiormente gli attori della società civile operando per:

elaborare una guida pratica sugli strumenti del semestre europeo rivolta agli attori economici e sociali e ai rappresentanti eletti a livello nazionale, regionale e locale;

sviluppare ulteriormente i contatti e le audizioni delle istituzioni europee, e in particolare della Commissione, presso i parlamenti nazionali, che sono pienamente legittimati sul piano democratico in materia di bilancio e riforme;

proseguire il dibattito con la società civile sul calendario delle riforme strutturali e sull’impatto reciproco delle politiche condotte simultaneamente dagli Stati membri;

incoraggiare maggiormente tutti gli Stati membri a coinvolgere le parti sociali e gli organi consultivi nell’elaborazione delle riforme risultanti dalle raccomandazioni specifiche per paese, nonché nell’elaborazione e nel monitoraggio del programma nazionale di riforma;

coinvolgere le parti sociali e la società civile nella valutazione delle politiche pubbliche che precedono ogni intervento di razionalizzazione o modernizzazione;

continuare a presentare al Consiglio europeo la relazione annuale integrata dei CES nazionali  (1) e istituzioni analoghe: a questo proposito, gli organismi consultivi nazionali dovrebbero essere maggiormente incoraggiati a contribuire all’elaborazione di tale relazione;

ottenere dal Consiglio e dalla Commissione una risposta formale a tali contributi scritti delle società civili nazionali, che attesti il valore della consultazione e si integri nel dibattito sulle raccomandazioni specifiche per paese;

sviluppare un metodo per garantire criteri di qualità della partecipazione delle organizzazioni della società civile e del dialogo sociale negli Stati membri, basandosi sullo studio condotto dal comitato direttivo della strategia Europa 2020 del CESE, che verrà pubblicato nel 2014.

1.1.2

Nell’analisi annuale della crescita 2014, corroborata dai documenti allegati (2), la Commissione presenta una visione della politica economica e sociale dell’Unione europea che pone l’accento sul coordinamento tra politiche europee e azioni nazionali. Questa analisi, che contiene le stesse priorità degli anni precedenti, inaugura quindi il semestre europeo.

La procedura di sorveglianza macroeconomica e di bilancio esistente continua la sua evoluzione nel 2014 e si basa su testi che seguono un filo logico di disciplina concertata, di sorveglianza e di sanzione. Essa si basa su un meccanismo di allerta inteso a prevenire la comparsa di squilibri macroeconomici, su programmi nazionali di riforma (PNR) nonché su raccomandazioni specifiche per paese elaborate in consultazione con ciascuno Stato membro. Questo semestre europeo resta inoltre strettamente collegato con la strategia Europa 2020 e con i suoi obiettivi quantitativi.

1.1.3

La crisi inizialmente finanziaria e poi anche economica che interessa l’Europa ha messo in evidenza le carenze del sistema di governance dell’Unione economica e monetaria (UEM), carenze che devono essere colmate con urgenza per non mettere in pericolo l’esistenza stessa dell’euro. Il CESE riconosce l’importanza dei progressi compiuti in materia di governance economica, ma riafferma l’assoluta necessità di assicurarne la legittimità democratica e la titolarità a livello nazionale. Il parere del 2014 mantiene un rapporto di continuità con i pareri sull’analisi annuale della crescita adottati in precedenza del Comitato, le cui raccomandazioni sono riassunte al punto 2.1 del presente parere che, oltre a completare e ad aggiornare i precedenti pareri, apre nuove prospettive per il 2015 e tiene conto delle conclusioni di numerosi pareri recenti.

1.1.4

L’analisi annuale della crescita 2014 rappresenta la prima fase della procedura che il comitato direttivo Europa 2020 seguirà durante tutto l’anno, con la partecipazione dei consigli economici e sociali nazionali e delle istituzioni analoghe, per l’attuazione delle riforme e delle politiche a livello nazionale. Il CESE accoglie con soddisfazione il nesso specifico stabilito tra il Vertice sociale tripartitico di primavera e il processo del semestre europeo. A complemento di tale azione, chiede che le posizioni delle parti sociali europee siano pubblicate in allegato ai documenti del semestre europeo. Auspica inoltre che l’analisi annuale della crescita sia corredata da una relazione sullo stato di avanzamento della strategia Europa 2020. Si tratta di una diagnosi necessaria per la preparazione della revisione intermedia.

1.1.5

Convinto che la crisi non sia stata superata, il CESE esorta le istituzioni europee e gli Stati membri a rendere compatibili uno sforzo di risanamento di bilancio modulato e un’azione risoluta e perseverante a favore della crescita, dell’occupazione e della competitività nell’insieme dell’Unione a 28. Invita la prossima Commissione ad attuare un programma di investimenti ambizioso che consenta alle piccole e le medie imprese di accedere più facilmente ai finanziamenti. I fondi strutturali e di investimento europei, che dovranno sostenere la realizzazione degli obiettivi di Europa 2020, potrebbero eventualmente accompagnare riforme definite nelle raccomandazioni specifiche per paese. Parallelamente, il CESE invita la Commissione a presentare una tabella di marcia per l’attuazione concreta del pacchetto di investimenti sociali.

1.2   Una governance più coerente verso un’autentica Unione economica e monetaria

1.2.1

In linea con la relazione Towards a genuine economic and monetary union («Verso un’autentica Unione economica e monetaria») (3), il CESE osserva con soddisfazione il progressivo passaggio da un «coordinamento» a una governance economica più coerente tra Stati membri, attraverso il processo del semestre europeo. In particolare, constata che l’analisi annuale della crescita si adatta alle nuove regole di governance, in particolare nella zona euro, con la presentazione dei progetti di bilancio a metà ottobre, affinché la Commissione possa stabilire se gli Stati membri stanno adottando le misure necessarie per conseguire gli obiettivi fissati a livello europeo. I bilanci vengono successivamente finalizzati a livello nazionale. Questa procedura deve basarsi sul pieno rispetto della legittimità democratica dei parlamenti nazionali, gli unici in grado di modificare e adottare il bilancio.

1.2.2

Il CESE prende atto del passo avanti parziale rappresentato dall’accordo raggiunto al Consiglio europeo di dicembre 2013 sulle future norme comuni in materia di vigilanza e risoluzione delle crisi delle banche. Rileva che è necessario migliorare ulteriormente le basi su cui poggiano i lavori per il completamento dell’Unione bancaria, dato che nell’immediato restano da raccogliere numerose sfide, relative soprattutto al risanamento del settore finanziario e ai termini per la creazione di un meccanismo di risoluzione unico. Il CESE si interroga profondamente sui rischi derivanti da un mancato completamente dell’Unione bancaria e dal ricorso a un processo intergovernativo (4).

1.2.3

Il CESE, pur deplorando la riduzione degli importi del quadro finanziario pluriennale 2014-2020 (QFP), esprime comunque soddisfazione per la capacità di investimento di oltre 400 miliardi di euro, che potranno essere mobilitati rapidamente per promuovere la crescita e l’occupazione a livello nazionale e regionale, attraverso i fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE), contribuendo in tal modo alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020. Il CESE giudica positivo il fatto che per la prima volta risultino collegati la decisione politica e l’impegno finanziario, che rappresentano assieme un importante fattore di sostegno della crescita.

1.2.4

Nella presente analisi annuale della crescita, la Commissione tenta di creare un quadro europeo per promuovere la crescita in Europa, combinando la governance economica, il quadro finanziario pluriennale e le politiche intese a completare i diversi aspetti del mercato interno e della politica commerciale. Il CESE sostiene l’invito della Commissione agli Stati membri a tenere conto di questo quadro europeo in sede di definizione delle loro politiche nazionali. Osserva che l’analisi annuale della crescita pone ormai tra le priorità principali la crescita e la competitività; e sottolinea che la competitività deve essere intesa nel senso più ampio del termine, includendo quindi la qualità e il posizionamento dei prodotti e dei servizi, e non deve essere limitata al solo prezzo.

1.2.5

Per preservare il modello europeo di coesione sociale, come auspicato altresì dalla relazione Towards a genuine economic and monetary union, e in conformità della clausola sociale orizzontale del Trattato, il CESE invita il Consiglio europeo a segnare un cambio di passo per conferire una dimensione sociale all’UEM. Questa dimensione sociale deve comportare l’integrazione proattiva nel semestre europeo del quadro di valutazione degli indicatori sociali  (5), con lo stesso peso degli indicatori macroeconomici e di bilancio; inoltre, deve servire a prevenire i rischi di squilibri sociali e deve essere accompagnata da meccanismi di stabilizzazione, in particolare sul modello della garanzia per i giovani o dei fondi strutturali, destinati tra l’altro alla formazione o alla riqualificazione.

Il CESE invita altresì a tenere conto in tutti questi strumenti della dimensione di genere dell’UE.

1.2.6

La profonda crisi dell’Europa e le politiche attuate per lottare contro i problemi dell’indebitamento potrebbero impedire il raggiungimento di molti degli obiettivi della strategia Europa 2020. Il CESE chiede che l’iniziativa concernente le PMI sia lanciata senza indugio già dall’inizio del 2014. Accoglie favorevolmente il nuovo mandato conferito dalla BEI al Fondo europeo per gli investimenti (FEI) destinato alle PMI e al microcredito (4 miliardi di euro) e il suo rafforzamento mediante un aumento di capitale.

1.2.7

Il CESE sottolinea che l’UE dispone di moltissime carte da giocare per uscire da questa crisi, sia in termini di infrastrutture che di qualità dei servizi o di mercato unico. Questi vantaggi devono essere sfruttati per accelerare il processo di transizione ecologica, la promozione dell’innovazione, l’accesso al credito delle PMI, e la competitività di tutte le imprese, in una prospettiva di crescita sostenibile, verde e inclusiva.

1.3   Una prospettiva dinamica e sostenibile di revisione della strategia Europa 2020

1.3.1

Il presente parere, elaborato tenendo conto delle conclusioni del Consiglio europeo di marzo 2014, intende altresì contribuire alla revisione intermedia della strategia Europa 2020. Si tratta di un ambito d’azione importante per la futura Commissione, che inizierà sotto la presidenza italiana. L’Unione dovrà dimostrare ai cittadini di possedere una volontà politica e una visione concreta favorevole a una maggiore integrazione, allo scopo di giungere a un’«Europa migliore», ossia «più Europa», in alcune politiche. Per preparare questa revisione intermedia della strategia Europa 2020, la strategia dovrà essere articolata con gli strumenti del semestre europeo per consentire di ripristinare un equilibrio tra responsabilità e solidarietà. Il CESE raccomanda di includere nel semestre europeo un quadro di valutazione di indicatori ambientali.

1.3.2

Il CESE è lieto che l’analisi annuale della crescita 2014 incoraggi gli Stati membri, malgrado situazioni di bilancio caratterizzate da tensioni, a fronteggiare le sfide del XXI secolo e a promuovere gli investimenti su obiettivi più a lungo termine, quali il clima. Il semestre europeo deve continuare a includere nei suoi obiettivi, metodi e strumenti, l’ecologizzazione dei processi industriali esistenti per filiera e l’ecologizzazione dell’insieme dell’economia, nell’interesse di un superamento della crisi sulla base di un modello di sviluppo più sostenibile. Nelle sue priorità per la crescita e la competitività, la Commissione cita nell’analisi annuale della crescita la promozione dell’uso efficiente delle risorse, migliorando la gestione dei rifiuti e dell’acqua, il riciclaggio e l’efficienza energetica.

In questa revisione, sarà opportuno inserire tematiche e pratiche emergenti come leve di sviluppo sostenibile, quali l’economia circolare, l’economia partecipativa e collaborativa, la progettazione ecocompatibile, l’ecoefficienza, l’ecomobilità o la ristrutturazione degli edifici e l’urbanizzazione sostenibile.

1.3.3

Una nuova strategia europea dovrà basarsi su una valutazione condivisa tra le istituzioni europee e gli Stati membri e inquadrarsi nella prospettiva del quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile (futuri OSS) delle Nazioni Unite post-2015. L’Unione europea ha fortemente contribuito a definire il carattere universale di questi futuri obiettivi di sviluppo sostenibile. Questa revisione si inquadrerà anche nel contesto della ricerca di una coerenza tra tutte le politiche, principio acquisito a livello europeo nella sua politica di sviluppo. È opportuno che questi futuri obiettivi comuni a tutto il pianeta siano tradotti in una dinamica di sviluppo sostenibile specifica per il continente europeo. Per tale scopo, il Comitato raccomanda che la revisione intermedia si inquadri nella prospettiva degli obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030, in stretta collaborazione con gli Stati membri.

1.3.4

Il CESE si impegna a svolgere pienamente il proprio ruolo in questo processo di costruzione di una transizione economica sostenibile e resta vigile sulla necessità di una politica ambiziosa in materia di clima/energia. Sarà necessario prendere in considerazione i risultati dei lavori del convegno del 13 e 14 febbraio 2014 (Un nouveau partenariat global: positions de la société civile européenne sur le cadre post 2015  (6)) al quale il CESE ha partecipato attivamente.

2.   Continuità e approfondimento dell’analisi annuale della crescita

2.1   Il presente parere sull’analisi annuale della crescita 2014 mantiene un rapporto di continuità con le osservazioni formulate nei precedenti pareri del Comitato sul semestre europeo e integrate con i contributi dei consigli economici e sociali nazionali o di altri sistemi consultivi analoghi. Ricorda le conclusioni raggiunte, che risultano ancora valide nel 2014:

la tempestiva messa a punto di un processo evolutivo ma complesso di coordinamento rafforzato denominato semestre europeo , in risposta alla più grave crisi pluridimensionale della storia europea, che ha rivelato le carenze inerenti al mancato completamento dell’UEM;

l’inclusione della crescita tra gli obiettivi della strategia Europa 2020; in particolare, l’importanza di istruzione, formazione e apprendimento permanente; le politiche attive per il mercato del lavoro, lo spirito imprenditoriale, il lavoro autonomo, le politiche di inclusione sociale, l’efficienza energetica;

il collegamento ineludibile tra la transizione ecologica verso un modello di produzione e di consumo sostenibile e il superamento della crisi;

l’allargarsi delle divergenze tra Stati membri, regioni e territori, tra centro e periferia; il bisogno urgente di politiche di coesione per ritrovare la strada della convergenza nell’UE;

la necessità di un’effettiva applicazione delle riforme da parte delle istituzioni europee e degli Stati membri;

l’aumento dell’indebitamento pubblico alimentato dalla crisi bancaria;

la differenziazione del risanamento di bilancio compatibile con una ripresa della crescita; necessità di un orizzonte temporale più lungo e di un mix intelligente tra entrate e spese, tra domanda e offerta per l’attuazione delle politiche di risanamento delle finanze pubbliche;

parallelamente, l’urgenza di un’iniziativa per rilanciare la crescita, l’occupazione e la competitività; l’effettiva attuazione di riforme nel mercato dei prodotti, dei servizi e del lavoro se necessario; il sostegno agli investimenti e alle politiche di solidarietà; il completamento dell’Unione bancaria;

le pesanti ripercussioni sociali delle politiche di uscita dalla crisi che sono state attuate; la necessità di tenere conto dei principi di giustizia sociale e di equità nella valutazione dei costi e dei benefici delle riforme strutturali; la necessità di un’analisi dell’impatto sociale di tali riforme;

il rispetto dell’autonomia delle parti sociali e dei contratti collettivi; la collaborazione e la stretta concertazione con le parti sociali e la società civile; il rafforzamento della legittimità democratica del semestre europeo; l’intensificazione del dialogo sociale, soprattutto in materia di riforme del mercato del lavoro.

2.2   Strumenti pertinenti per un esame della crescita

2.2.1

Il CESE osserva che è avvenuto un passaggio graduale da un coordinamento a una governance economica maggiormente vincolante per gli Stati membri attraverso il processo del semestre europeo, che si è concluso, alla fine del 2013, con una valutazione delle raccomandazioni specifiche per paese che serviranno da orientamento per le prossime proposte di raccomandazioni della primavera 2014 e per la loro integrazione nei programmi nazionali di riforma. L’articolazione tra i diversi strumenti del semestre europeo che partecipano all’analisi, in previsione di un rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche, fa parte di un meccanismo sofisticato e complesso, che è padroneggiato purtroppo solo da un numero estremamente ristretto di esperti europei e nazionali.

2.2.2

Per la prima volta durante l’autunno 2013, la Commissione ha valutato i progetti di bilancio nazionali dei paesi della zona euro prima che tali bilanci fossero discussi e adottati dai parlamenti nazionali. La Commissione non ha chiesto alcuna revisione dei progetti dei 13 Stati interessati della zona euro, evitando in tal modo, per il momento, possibili conflitti su questioni di legittimità. Tuttavia, le relazione sul meccanismo di allerta che analizza una decina di indicatori macroeconomici (7) rivela che quest’anno sedici paesi formeranno oggetto di un esame approfondito inteso a stabilire se esistono squilibri e, in tal caso, se essi sono eccessivi oppure no.

2.2.3

Secondo l’analisi della Commissione, ci troviamo attualmente di fronte a una svolta, con un prospettiva di ripresa aggregata (1,1 % per la zona euro e 1,4 % per l’UE a 28) che sarebbe quindi opportuno rafforzare. Il CESE giudica preoccupante il fatto che questo inizio di ripresa ancora tenue non si osservi in tutti gli Stati membri. Riconosce tuttavia un’evoluzione in questa analisi annuale della crescita che attribuisce una supremazia tra le priorità alla crescita e alla competitività. Il Comitato vigilerà sull’attuazione di questa priorità, assicurandosi che i 400 miliardi di euro siano orientati verso progetti finalizzati a concretizzarla. Provvederà inoltre ad assicurare che un futuro strumento di convergenza e di competitività contribuisca ad aiutare i paesi in difficoltà per quanto riguarda il ritmo e la qualità delle loro riforme.

2.3   Persistenza di incertezze?

2.3.1

L’analisi annuale della crescita evidenzia l’inizio di una timida ripresa. Il CESE esprime preoccupazione per le incertezze evidenziate dal documento della Commissione, come i collegamenti tra le crisi delle banche e i debiti sovrani o la riduzione della domanda dei paesi emergenti, la frammentazione del sistema finanziario, e gli elevati livelli di disoccupazione che indeboliscono le prospettive e ostacolano la crescita.

2.3.2

Il CESE osserva che l’analisi annuale della crescita 2014 appare nel complesso più ottimistica delle previsioni dell’FMI e dell’OCSE, secondo le quali l’andamento della ripresa economica mondiale è più lento di quanto annunciato nel maggio 2013, a causa soprattutto del peggioramento delle prospettive per le economie emergenti (8). In questi ultimi anni la Commissione ha spesso dato prova di ottimismo, annunciando riprese che non si sono poi concretizzate. Chiede alla prossima Commissione di riesaminare le previsioni economiche e, se necessario, di cambiare rotta. In ogni caso, sottolinea che una stagnazione o una ripresa troppo lenta rappresentano una minaccia per i sistemi di protezione sociale, soprattutto nei paesi in cui tali sistemi sono ancora fragili.

2.3.3

Il peggioramento della situazione del mercato del lavoro dovuto alla crisi non è accompagnato da un miglioramento proporzionale quando l’economia si stabilizza e l’analisi annuale della crescita si limita a invocare uno sfasamento temporale tra ripresa e miglioramento dell’occupazione. Se questo sfasamento persiste bisognerà correre il rischio di una disoccupazione strutturale di lunga durata. È per questo che la partecipazione al mercato del lavoro deve essere stimolata in diversi modi, con misure di qualificazione, formazione permanente, coinvolgimento delle parti sociali, ma anche con programmi di investimenti pubblici e privati creatori d’occupazione.

2.3.4

È ancora troppo presto per affermare che la crisi della zona euro è superata. Il CESE segnala l’esistenza di rischi concreti: ad esempio un’inflazione troppo bassa (inferiore all’1 %), per un periodo prolungato, potrebbe sfociare in una deflazione, che potrebbe rivelarsi disastrosa per le prospettive di ripresa. A questo proposito la politica monetaria della BCE risulta determinante. Un altro rischio riguarda il fatto che diverse banche potrebbero risultare ancora troppo deboli per adempiere i propri obblighi. Il prossimo stress test sotto la supervisione della BCE è un importante indicatore dello stato di salute del settore finanziario.

2.3.5

L’analisi annuale della crescita presenta prospettive non incoraggianti per le imprese: previsioni di crescita minima in alcuni paesi e fallimenti, a seguito del blocco del credito e delle difficoltà incontrate da numerose PMI.

2.3.6

Il CESE riconosce che in presenza di divergenze economiche e sociali risulta difficile definire priorità uniformi valide per l’insieme dell’Unione europea. Per formulare le opportune raccomandazioni specifiche per paese, il CESE propone di adottare misure concrete per garantire un dialogo tra la Commissione e le società civili e rafforzare il dialogo sociale.

2.3.7

Il CESE continua a nutrire preoccupazione per i problemi derivanti dalla crisi e ritiene allarmanti i potenziali rischi dell’esame della qualità degli attivi delle banche e degli stress test previsti per il 2014: una vigilanza che dovrà essere credibile ma per la quale l’Unione bancaria non offre soluzioni immediate.

2.3.8

Il CESE accoglie con favore l’accordo sulla direttiva relativa ai sistemi di garanzia dei depositi, e sulla direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario. Il completamento dell’Unione bancaria, per quanto riguarda i capitoli relativi alla vigilanza e alla risoluzione, sarà un elemento importante per il rilancio e il ripristino della fiducia. Per questo motivo il CESE raccomanda un’adozione rapida del meccanismo di risoluzione unico, importante strumento per la gestione di future crisi bancarie. Il CESE si dichiara profondamente deluso del fatto che il recente Consiglio non sia riuscito a ottenere un accordo sul completamento dell’Unione bancaria e abbia invece scelto di ricorrere a un processo intergovernativo.

3.   Stabilizzazione ma frammentazione

3.1

L’analisi annuale della crescita riconosce che la quota europea degli scambi mondiali contribuisce in maniera significativa alla ricchezza dell’UE, che orienta la propria ripresa verso una crescita maggiormente basata sulle esportazioni verso i paesi emergenti, praticando in alcuni Stati una svalutazione interna.

In un contesto di forte concorrenza internazionale, l’UE mantiene una posizione centrale nel commercio internazionale, malgrado una sensibile evoluzione dei flussi e delle catene di valore. L’Unione punta inoltre a garantire una maggiore apertura in materia di investimenti; in risposta a tale evoluzione, si è impegnata in negoziati bilaterali che includono scambi commerciali e investimenti, nonché nell’attuazione di accordi bilaterali. Il CESE mantiene la sua vigilanza sul rispetto delle regole, delle norme e dei valori in tutti gli accordi, ricorrendo se necessario alle misure di salvaguardia o alle procedure di risoluzione delle controversie in sede OMC, e partecipando ai meccanismi di monitoraggio degli accordi.

3.2

La priorità assoluta attribuita nelle prime analisi annuali della crescita alle politiche di austerità drastiche e generalizzate lascia oggi spazio a una politica differenziata che prevede obiettivi di risanamento di bilancio più sfumati. Il CESE sostiene l’invito rivolto agli Stati membri a migliorare la definizione dei loro programmi di risanamento e ad accordare maggiore attenzione alla qualità, alla composizione e alla modulazione di tali programmi. Il CESE prende atto del fatto che la Commissione pone espressamente in evidenza l’influenza della politica di bilancio sulla crescita, l’efficienza del settore pubblico e la giustizia sociale, e denuncia inoltre le sovvenzioni dannose per l’ambiente.

3.3

Come sottolineato nel suo parere sulla dimensione sociale dell’Unione economica e monetaria, il CESE è preoccupato per il fatto che la situazione economica e sociale presenta evoluzioni asimmetriche accentuate tra Stati o gruppi di Stati, in materia di ripresa economica e squilibri sociali, evoluzioni che compromettono di fatto la prospettiva di una prosperità condivisa tra Stati membri. All’UE incombe di evitare una frammentazione economica e sociale crescente, non solo nella zona euro ma anche nel mercato unico. Il CESE ribadisce il proprio appello ad adottare una direttiva quadro per combattere la povertà facilitando l’inclusione nel mercato del lavoro.

3.4

L’UE nel suo complesso deve inoltre impegnarsi nella promozione di riforme che le consentano di adattarsi più facilmente alle realtà economiche in evoluzione. Come già sottolineato nel suo precedente parere sull’analisi annuale della crescita 2013, i costi e i benefici di queste riforme strutturali devono essere ripartiti equamente tra tutti gli attori (lavoratori, famiglie/consumatori e imprese).

3.5

Il CESE ritiene che le priorità dell’analisi annuale della crescita 2014 non riflettano in maniera adeguata il collegamento esistente con la strategia Europa 2020 e i suoi obiettivi quantitativi. Ribadisce le proprie preoccupazioni riguardo alla mancanza di progressi verso la realizzazione degli obiettivi di questa strategia. Si interroga sull’assenza di un’analisi dei motivi di tale mancanza di progressi; attende con forte interesse la revisione intermedia; esprime preoccupazione per l’aumento delle tendenze divergenti nell’UE, a livello di attività economica, occupazione, disoccupazione, precarietà. In alcuni ambiti l’obiettivo della strategia Europa 2020 risulta sempre più distante. Il tasso di disoccupazione sembra stabilizzarsi al 10,9 % nell’Unione europea (12,1 % nella zona euro), ovvero a livelli mai raggiunti dalla creazione dell’Unione economica e monetaria.

3.6

Sebbene le istituzioni dal 2011 facciano incessantemente appello a un rafforzamento della dimensione sociale dell’UEM, il CESE deplora i deludenti risultati del Consiglio europeo di dicembre 2013, che aveva iscritto questa priorità al suo ordine del giorno. Desidera comunque ricordare che la relazione sull’occupazione gli metteva a disposizione efficienti strumenti per la diagnosi. Constata che il semestre europeo include il quadro di valutazione degli indicatori sociali nella relazione sull’occupazione e ne raccomanda l’inclusione in un quadro unico di vigilanza che dia pari importanza alla dimensione economica e a quella sociale. Accanto agli obiettivi relativi al debito e al disavanzo pubblico devono essere previsti obiettivi quantificabili in materia di occupazione e prestazioni sociali. Essi seguiranno i meccanismi simili di adeguamento e di solidarietà per correggere gli squilibri sociali e promuovere gli investimenti sociali. Il CESE ha già fatto rimarcare da molto tempo che esiste un enorme bisogno di investimenti, anche sociali, che consentirebbero di creare posti di lavoro, ridurre la povertà e combattere l’esclusione sociale. Occorrono a tal fine investimenti sia privati che pubblici e, se necessario, anche la realizzazione di riforme strutturali.

3.7

Il CESE sottolinea altresì che i problemi strutturali degli Stati membri devono essere affrontati alla fonte. La competitività strutturale, la crescita economica e una forte dimensione sociale sono gli ingredienti essenziali per far uscire l’Europa dalla crisi. Il quadro di valutazione degli indicatori sociali recentemente proposto dev’essere utilizzato per rafforzare i cambiamenti a breve e medio termine, in stretta collaborazione e concertazione con le parti sociali.

3.8

È indispensabile integrare la dimensione di genere nella nuova governance economica. Il CESE invita quindi le istituzioni europee e gli Stati membri a tenere conto di tale dimensione nelle riforme, a definire in tutti gli strumenti dati specifici relativi al genere e a precisare l’impatto delle disuguaglianze tra uomini e donne sulla crescita, soprattutto nei programmi nazionali di riforma e nelle raccomandazioni per paese.

3.9

Per via di una mancanza di un sufficiente coordinamento delle politiche nazionali, alcune politiche di uno Stato membro possono esercitare un impatto negativo su un altro Stato membro. L’analisi annuale della crescita fa riferimento a questo problema, occorre tuttavia approfondire la riflessione avviata dalla comunicazione sui progetti di grandi riforme economiche per un calendario di riforme strutturali coerente. In tale riflessione rientrano la concorrenza fiscale, la concorrenza sociale o le scelte in materia di mix energetico o di politica migratoria, che possono comportare ripercussioni negative su altri Stati membri.

3.10

La sfida più importante consiste ora nel sostenere la ripresa economica, che significa in particolare attuare correttamente queste grandi riforme economiche e rafforzare la competitività strutturale, ossia la capacità di innovare, di migliorare la qualità dei servizi e dei prodotti, di riconcepire l’organizzazione del lavoro e della gestione aziendale, e di sviluppare la ricerca e le sue applicazioni, unitamente ad altri fattori di competitività dei prezzi, quali il costo del capitale produttivo e il costo del lavoro ma anche il tasso di cambio piuttosto elevato per l’euro.

4.   Investimenti a lungo termine favorevoli alla crescita sostenibile

4.1

Il CESE si rammarica della scarsa attenzione rivolta alla questione degli investimenti e alla ripresa della domanda interna. L’Europa ha bisogno di crescita e di occupazione e per questo motivo serve un nuovo programma di investimenti europeo. Il CESE ribadisce le proprie proposte, che prevedono un piano di investimenti a favore della creazione di posti di lavoro di qualità, in particolare per i giovani, dello sviluppo sostenibile, della realizzazione di progetti innovativi, ma anche di iniziative in materia di istruzione, ricerca, infrastrutture ed ecoefficienza. Il criterio di base di tale piano deve essere la creazione di occupazione e la conseguente riduzione della povertà, nonché la riduzione degli oneri sui bilanci pubblici grazie a una più ampia partecipazione al mercato del lavoro.

4.2

Un piano di investimenti di questo tipo deve completare e intensificare gli sforzi per una maggiore competitività delle imprese e per un sostegno della ripresa economica, allo scopo di migliorare le prestazioni economiche dell’UE in ambito internazionale, assicurandole un avvenire prospero, inclusivo ed efficiente sotto il profilo delle risorse. La solidarietà e la lealtà, sia all’interno dei paesi che attraverso l’Europa, sono elementi essenziali per garantire che gli sforzi compiuti siano politicamente e socialmente accettabili e a vantaggio di tutti.

4.3

Il CESE si dichiara soddisfatto del riferimento all’impiego efficiente delle risorse naturali e all’attuazione delle politiche energetiche tra le priorità dell’analisi annuale della crescita 2014, al fine di assicurare la crescita e la competitività. Secondo il Comitato, l’economia verde e inclusiva, che rappresenterà la principale sfida dei prossimi anni, costituisce anche un elemento di mobilitazione per uscire dalla crisi. Le azioni per stimolare la crescita e l’occupazione devono essere incentrate su una transizione ecologica verso un’economia a basse emissioni di carbonio ed ecoefficiente in materia di risorse entro il 2050. L’UE dovrà imprimere un’accelerazione a questo processo.

4.4

Poiché le riduzioni di bilancio da sole non possono favorire la crescita, il CESE invita la Commissione a sviluppare ulteriormente le sue idee in materia di politiche di investimento private, accesso al credito per le PMI, rilancio dei consumi, nonché in materia di riforme strutturali nel settore delle politiche fiscali. Le misure adottate a livello nazionale nei tre settori degli investimenti, dei consumi e della fiscalità, potranno esplicare tutti i loro effetti solo se inserite in un quadro europeo chiaramente definito, coordinato e orientato verso prospettive di sviluppo sostenibile e di prosperità condivisa.

4.5

Il CESE rinnova le proprie raccomandazioni a favore degli investimenti a livello europeo, in particolare tramite l’emissione di obbligazioni della BEI o del FEI, per finanziare la crescita, attirare le eccedenze di risparmio a livello mondiale, assicurare l’uscita dal perimetro del debito pubblico per alcuni investimenti strutturali con proiezione futura, e accrescere l’attenzione rivolta alla politica industriale.

4.6

Al fine di contribuire al rilancio della domanda interna in Europa, occorre aumentare la partecipazione al mercato del lavoro, migliorare i servizi pubblici per l’impiego e rafforzare le politiche attive del mercato del lavoro. A questo proposito, la garanzia per i giovani è particolarmente apprezzata, sebbene il finanziamento previsto sia troppo modesto. È comunque necessario anche garantire ai dipendenti e ai lavoratori prospettive stabili in materia di occupazione e salari, senza le quali non sarà possibile né ripristinare la fiducia né rilanciare i consumi.

4.7

Per favorire un rilancio del mercato interno, una modernizzazione della legislazione dei contratti di lavoro intesa a promuovere una maggiore flessibilità del mercato del lavoro deve altresì tenere conto, in un equilibrio d’insieme, della dimensione di «sicurezza» del mercato del lavoro. Secondo i dati Eurostat la povertà tra le persone che lavorano riguarda già l’8,7 % dei lavoratori nell’UE (dati 2011) (9), e il fenomeno della precarietà non cessa di aumentare a causa della crisi economica.

4.8

Analogamente, l’appello della Commissione a un sistema di protezione sociale più efficiente, per sostenere il cambiamento sociale e ridurre progressivamente le disuguaglianze e la povertà, deve essere interpretato come una richiesta di qualità dei servizi per i soggetti più vulnerabili. Secondo Eurostat (10), un quarto della popolazione dell’UE (ovvero circa 125 milioni di persone) si trova a rischio di povertà o di esclusione sociale (dati 2012). Tale cifra, in aumento rispetto al 2008, non può essere attribuita a una gestione carente dei sistemi di protezione sociale, ma è invece riconducibile alla crisi economica e all’adozione di politiche che non hanno rivolto sufficiente attenzione agli aspetti di equità e di giustizia sociale.

4.9

Da questo punto di vista, il CESE ribadisce che i costi e i benefici delle riforme strutturali devono essere ripartiti equamente tra tutti gli attori; occorre quindi iniziare a riflettere già da ora sulla questione della ripartizione dei frutti della futura ripresa sostenibile auspicata. Il CESE invita nuovamente la Commissione a chiarire il suo punto di vista sui salari, sull’inflazione e sulla produttività.

5.   Miglioramento della governance ma in maniera ancora limitata e diseguale

5.1

Il CESE ritiene che, in sede di valutazione delle nuova governance economica europea, occorrerebbe procedere a una semplificazione dei processi. Come già sottolineato in alcuni pareri del Comitato, il calendario del semestre europeo è piuttosto carico di strumenti: patto di stabilità e di crescita (PSC), trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance (TSCG), pacchetto sulla governance economica (six-pack), secondo pacchetto sulla governance economica (two-pack), ecc. Il CESE constata che questa evoluzione della governance, seppur complessa, è sembrata rassicurare i mercati riguardo alla volontà dell’UE e degli Stati membri di far fronte alle sfide dell’UEM. Da ora in poi occorrerà quindi combinare credibilità, leggibilità e legittimità.

5.2

Per quanto riguarda la partecipazione delle parti sociali e della società civile, l’analisi annuale della crescita sembra soprattutto porre l’accento sulla titolarità a livello nazionale e non abbastanza su un reale coinvolgimento di tali attori nella definizione degli orientamenti e nell’attuazione delle politiche. La credibilità e l’accettabilità sociale delle riforme dipendono da una stretta collaborazione e concertazione con le parti sociali, presupposto indispensabile per la riuscita della loro attuazione.

5.3

I cittadini europei si aspettano anche dall’Europa e dagli Stati membri che questa nuova governance affronti le altre sfide con le quali devono confrontarsi: lotta al riscaldamento climatico, politica energetica, politica industriale, promozione dell’uso prudente ed efficiente delle risorse, ecc. A questo proposito, il CESE accoglie con favore le priorità definite dalla Commissione in materia di energia.

5.4

Nel quadro di una governance economica e sociale con una procedura unica di sorveglianza, potrebbe essere introdotto un sistema di incentivi per sostenere le riforme nazionali ai fini della convergenza e della competitività. L’analisi annuale della crescita 2014 fa riferimento all’intenso dibattito su un nuovo strumento di convergenza e di competitività con «accordi contrattuali» o «contratti per la competitività» che prevedono impegni di riforme negli Stati membri in cambio di un’attuazione facilitata attraverso un sostegno finanziario. Il Comitato ritiene che in attesa di maggiori precisazioni sulle modalità di finanziamento (valore aggiunto rispetto ai fondi strutturali esistenti, tipi di riforme sostenute, dimensione dello strumento finanziario, fonte di finanziamento) e sull’orientamento di tali accordi contrattuali, sia importante mantenere il dibattito aperto evitando di intervenire in maniera precipitosa. L’approccio contrattuale alla base dello strumento di convergenza e di competitività potrebbe offrire un margine di manovra a livello nazionale per migliorare il coinvolgimento delle società civili. Tale approccio sembra inoltre collocarsi a metà strada tra il coordinamento volontario e la procedura obbligatoria, in settori in cui la competenza comunitaria è attualmente limitata. Gli Stati membri ne discuteranno nuovamente al Consiglio dell’ottobre 2014.

5.5

In materia di fiscalità, il CESE teme che il riorientamento dell’imposizione fiscale dal lavoro verso, soprattutto, il consumo possa contribuire, nel contesto attuale, a indebolire la domanda interna. Inoltre esprime preoccupazione per il rischio di concorrenza salariale al ribasso tra gli Stati membri, che ridurrebbe ancora di più la domanda.

5.6

Per quanto concerne la fiscalità ambientale, il CESE rileva con interesse che la Commissione si è imposta come obiettivo prioritario di rivedere l’imposizione fiscale che incide sul lavoro, sposandola verso altri ambiti collegati, tra l’altro, all’inquinamento. Occorrono interventi volti a promuovere riforme della fiscalità ambientale negli Stati membri, in modo da poter contribuire al risanamento di bilancio, favorendo nel contempo la riduzione del consumo di risorse naturali e di combustibili fossili importati. In tal modo si avranno meno effetti negativi sulla crescita e sull’occupazione rispetto alle imposte indirette.

5.7

Per quanto riguarda infine l’imposizione sui beni immobili, che l’analisi annuale della crescita si limita a citare come un’altra fonte alternativa all’imposizione sul lavoro, il CESE invita la Commissione a chiarire le proprie idee e ad apportare elementi sostanziali nelle prossime analisi annuali della crescita.

Bruxelles, 26 febbraio 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Cfr. CESlink: http://www.eesc.europa.eu/ceslink/?i=ceslink.fr.home.

(2)  Analisi annuale della crescita COM(2013)800 final + allegati.

(3)  Van Rompuy. Towards a genuine economic and monetary union. Bruxelles 12 ottobre 2012, Consiglio europeo.

(4)  Conclusioni del Consiglio europeo, dicembre 2013.

(5)  Si tratta dei seguenti cinque indicatori: tasso di disoccupazione, giovani che non studiano e non lavorano, rischio di povertà della popolazione in età lavorativa, disuguaglianze, reddito lordo reale disponibile delle famiglie.

(6)  Un nuovo partenariato mondiale, posizioni della società civile sul quadro di azioni per il dopo 2015.

(7)  Indicatori del quadro di valutazione per la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici: saldo delle partite correnti; posizione patrimoniale netta sull'estero; tasso di cambio effettivo reale; quote del mercato alle esportazioni; costo nominale del lavoro per unità di prodotto; prezzi delle abitazioni al netto dell'inflazione; flussi di credito al settore privato; tasso di disoccupazione, media su 3 anni; debito del settore privato; debito pubblico; totale delle passività del settore finanziario.

(8)  OCSE. Perspectives économiques, analyses et projections. Zone Euro — Résumé des projections économiques («Prospettive economiche, analisi e proiezioni. Zona euro — Sintesi delle proiezioni economiche»), novembre 2013, http://www.oecd.org/fr/eco/perspectives/zoneeuroprojectionseconomiques.htm.

(9)  http://www.europarl.europa.eu/RegData/bibliotheque/briefing/2013/130424/LDM_BRI(2013)130424_REV1_FR.pdf.

(10)  http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/3-05122013-AP/FR/3-05122013-AP-FR.PDF.


8.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 214/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede una procedura d'informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione»

(codificazione)

COM(2013) 932 final — 2010/0095 (COD)

2014/C 214/11

Il Parlamento europeo, in data 13 gennaio 2014, e il Consiglio, in data 21 febbraio 2014, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 43, 114, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede una procedura d'informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione (codificazione)

COM(2013) 932 final — 2010/0095 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto del suo parere CESE 966/2010, adottato il 14 luglio 2010 (1), il Comitato, nel corso della sua 496a sessione plenaria dei giorni 26 e 27 febbraio 2014 (seduta del 26 febbraio), ha deciso, con 224 voti favorevoli, 4 voti contrari e 13 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto.

 

Bruxelles, 26 febbraio 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione (testo codificato), GU C 44 di venerdì 11 febbraio 2011, pag. 142.