ISSN 1977-0944

doi:10.3000/19770944.C_2014.067.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 67

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

57.° anno
6 marzo 2014


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

493a sessione plenaria dei giorni 16 e 17 ottobre 2013

2014/C 067/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Partecipazione del settore privato al quadro di sviluppo per il periodo post—2015 (parere esplorativo)

1

2014/C 067/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il cambiamento sostenibile nelle società in transizione (parere esplorativo)

6

2014/C 067/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Corpo volontario europeo di aiuto umanitario: preparare i cittadini di tutti gli Stati membri dell’UE e incoraggiarli a partecipare (parere esplorativo richiesto dalla presidenza lituana)

11

2014/C 067/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Una cittadinanza più inclusiva aperta agli immigrati (parere d’iniziativa)

16

2014/C 067/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Per un consumo più sostenibile: la durata di vita dei prodotti industriali e l’informazione dei consumatori per ripristinare la fiducia (parere di iniziativa)

23

2014/C 067/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Promuovere il potenziale di crescita dell’industria europea della birra (parere d’iniziativa)

27

2014/C 067/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’immigrazione irregolare via mare nella regione euromediterranea (parere d’iniziativa)

32

2014/C 067/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Garantire le importazioni di beni essenziali per l’UE mediante la politica commerciale attuale dell’UE e le politiche correlate

47

2014/C 067/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’Atto per il mercato unico: individuare i provvedimenti mancanti (supplemento di parere)

53

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

493a sessione plenaria dei giorni 16 e 17 ottobre 2013

2014/C 067/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione delle crisi degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo unico di risoluzione delle crisi e del Fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010 COM(2013) 520 final — 2013/0253 (COD)

58

2014/C 067/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sul valore aggiunto delle strategie macroregionali COM(2013) 468 final

63

2014/C 067/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale COM(2013) 348 final — 2013/0188 (CNS)

68

2014/C 067/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine COM(2013) 462 final — 2013/0214 (COD)

71

2014/C 067/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione sulla politica di concorrenza 2012 COM(2013) 257 final

74

2014/C 067/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla fatturazione elettronica negli appalti pubblici COM(2013) 449 final — 2013/0213 (COD)

79

2014/C 067/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinate norme che regolamentano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi della legislazione nazionale a seguito della violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea COM(2013) 404 final — 2013/0185 (COD) e alla Comunicazione della Commissione relativa alla quantificazione del danno nelle azioni di risarcimento fondate sulla violazione dell’articolo 101 o 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea C(2013) 3440

83

2014/C 067/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma Copernicus e abroga il regolamento (UE) n. 911/2010 COM(2013) 312 final — 2013/0164 (COD)

88

2014/C 067/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle tariffe pagabili all’Agenzia europea per i medicinali per lo svolgimento delle attività di farmacovigilanza relative ai medicinali per uso umano COM(2013) 472 final — 2013/0222 (COD)

92

2014/C 067/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Appalti elettronici end-to-end per modernizzare la pubblica amministrazione COM(2013) 453 final

96

2014/C 067/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di attrezzature a pressione (rifusione) COM(2013) 471 final — 2013/0221 (COD)

101

2014/C 067/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adatta all’articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea una serie di atti giuridici che prevedono il ricorso alla procedura di regolamentazione con controllo COM(2013) 451 final — 2013/0218 (COD) e alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adatta all’articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea una serie di atti giuridici nel settore della giustizia che prevedono il ricorso alla procedura di regolamentazione con controllo COM(2013) 452 final — 2013/0220 (COD)

104

2014/C 067/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di raccomandazione del Consiglio su misure efficaci per l’integrazione dei Rom negli Stati membri COM(2013) 460 final — 2013/0229 (NLE)

110

2014/C 067/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio su una cooperazione rafforzata tra i servizi pubblici per l’impiego (SPI) COM(2013) 430 final — 2013/0202 (COD)

116

2014/C 067/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio Potenziare la dimensione sociale dell’Unione economica e monetariaCOM(2013) 690 final

122

2014/C 067/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficienteCOM(2013) 542 final

125

2014/C 067/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Tecnologie energetiche e innovazioneCOM(2013) 253 final

132

2014/C 067/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti per le reti transeuropee di telecomunicazioni e che abroga la decisione n. 1336/97/CE COM(2013) 329 final — 2011/0299 (COD)

137

2014/C 067/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della commissione La cintura blu: uno spazio unico del trasporto marittimoCOM(2013) 510 final

141

2014/C 067/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni L’accordo internazionale del 2015 sui cambiamenti climatici: definizione della politica internazionale in materia di clima dopo il 2020COM(2013) 167 final

145

2014/C 067/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Orientamenti strategici per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura nell’UECOM(2013) 229 final

150

2014/C 067/31

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Infrastrutture verdi — Rafforzare il capitale naturale in EuropaCOM(2013) 249 final

153

2014/C 067/32

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 302/2009 del Consiglio concernente un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo COM(2013) 250 final — 2013/0133 (COD)

157

2014/C 067/33

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Strategia dell’UE di adattamento ai cambiamenti climaticiCOM(2013) 216 final

160

2014/C 067/34

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante, sul materiale riproduttivo vegetale, sui prodotti fitosanitari e recante modifica dei regolamenti (CE) n. 999/2001, (CE) n. 1829/2003, (CE) n. 1831/2003, (CE) n. 1/2005, (CE) n. 396/2005, (CE) n. 834/2007, (CE) n. 1099/2009, (CE) n. 1069/2009, (CE) n. 1107/2009, dei regolamenti (UE) 1151/2012, […]/2013, e delle direttive 98/58/CE, 1999/74/CE, 2007/43/CE, 2008/119/CE, 2008/120/CE e 2009/128/CE (regolamento sui controlli ufficiali) COM(2013) 265 final — 2013/0140 (COD) e alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale, che modifica le direttive 98/56/CE, 2000/29/CE e 2008/90/CE del Consiglio, i regolamenti (CE) n. 178/2002, (CE) n. 882/2004 e (CE) n. 396/2005, la direttiva 2009/128/CE, nonché il regolamento (CE) n. 1107/2009, e che abroga le decisioni 66/399/CEE, 76/894/CEE e 2009/470/CE del Consiglio COM(2013) 327 final — 2013/0169 (COD)

166

2014/C 067/35

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di anidride carbonica generate dal trasporto marittimo e che modifica il regolamento (UE) n. 525/2013 COM(2013) 480 final — 2013/0224 (COD)

170

2014/C 067/36

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Una strategia europea per i componenti e i sistemi micro e nanoelettroniciCOM(2013) 298 final

175

2014/C 067/37

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio che modifica le direttive 2006/112/CE e 2008/118/CE in relazione alle regioni ultraperiferiche, in particolare Mayotte COM(2013) 577 final — 2013/0280 (CNS)

181

2014/C 067/38

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio per quanto riguarda la dotazione finanziaria del Fondo sociale europeo per alcuni Stati membri COM(2013) 560 final — 2013/0271 (COD)

182

2014/C 067/39

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al progetto di proposta di regolamento del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva. Progetto presentato, per parere, al Comitato economico e sociale europeo ai sensi dell’articolo 31 del trattato Euratom COM(2013) 576 progetto

183

2014/C 067/40

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio recante apertura e modalità di gestione di contingenti tariffari autonomi dell’Unione sulle importazioni di alcuni prodotti della pesca nelle Isole Canarie dal 2014 al 2020 COM(2013) 552 final — 2013/0266 (CNS)

184

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

493a sessione plenaria dei giorni 16 e 17 ottobre 2013

6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Partecipazione del settore privato al quadro di sviluppo per il periodo post—2015» (parere esplorativo)

2014/C 67/01

Relatore: VOLEŠ

Con lettera del commissario Šefčovič datata 19 aprile 2013, la Commissione europea ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 304 del TFUE, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Partecipazione del settore privato al quadro di sviluppo per il periodo post-2015.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre 2013), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 100 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Rafforzare la posizione del settore privato nella cooperazione per lo sviluppo

1.1.1

Il settore privato può svolgere un ruolo essenziale nella lotta contro la povertà nel mondo, in quanto crea posti di lavoro, produce beni e servizi, genera redditi e benefici e contribuisce, mediante le imposte da esso versate, alla copertura delle esigenze pubbliche; a condizione, però, di rispettare i principi di cooperazione allo sviluppo riconosciuti a livello internazionale e di creare posti di lavoro dignitosi, conformemente all'Agenda dell'OIL per un lavoro dignitoso.

1.1.2

Il Comitato chiede che il settore privato partecipi in misura di gran lunga più incisiva al programma di sviluppo per il periodo post-2015 e al nuovo partenariato globale. La partecipazione di tale settore alla definizione degli obiettivi di eradicazione della povertà e creazione di uno sviluppo sostenibile e di una crescita equa e inclusiva che tenga conto sia della quantità che della qualità, farà sì che esso possa assumersi la sua parte di responsabilità nel conseguimento degli obiettivi stessi.

1.1.3

Le organizzazioni della società civile segnalano peraltro che l'intervento del settore privato comporta non solo vantaggi ma anche rischi; ragion per cui il sostegno a questo settore nei paesi in via di sviluppo (PVS) dovrebbe basarsi sui principi di trasparenza, apertura degli appalti pubblici, efficienza, efficacia delle risorse investite e responsabilità dei soggetti pubblici nei confronti di tutti gli attori interessati per l'attuazione della strategia di sviluppo adottata. L'incremento della quota complessivamente dedicata dall'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) allo sviluppo del settore privato non dovrebbe determinare una riduzione delle risorse finanziarie destinate, nel quadro dell'APS, ai paesi meno avanzati (PMA).

1.2   Orientare il settore privato verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo

1.2.1

Ai fini del presente parere, il settore privato include anche il settore sociale, ed è quindi costituito da lavoratori autonomi, microimprese, piccole e medie imprese, grandi imprese multinazionali, cooperative e altre imprese dell'economia sociale, compresi i dipendenti delle imprese private e le loro organizzazioni sindacali, nonché dalle organizzazioni non governative che partecipano a progetti privati. L'aiuto al settore privato e la cooperazione con esso dovrebbero tener conto della diversa natura dei singoli soggetti coinvolti e interessati. Nei paesi in via di sviluppo, inoltre, esiste anche un enorme settore privato informale, e la cooperazione allo sviluppo dovrebbe contribuire a combattere il lavoro informale e a eliminare le situazioni che lo favoriscono.

1.2.2

La società civile dovrebbe partecipare attivamente al processo di definizione del ruolo del settore privato e degli indicatori relativi al suo contributo alla cooperazione internazionale per lo sviluppo, e a questo fine sarebbe utile la creazione di un'ampia piattaforma a livello europeo cui partecipino tutte le parti interessate.

1.2.3

Bisognerebbe utilizzare l'APS come fattore moltiplicatore per associare il capitale privato agli investimenti nei PVS mediante il ricorso a strumenti di finanziamento innovativi. Occorre assegnare all'aiuto così fornito degli obiettivi chiaramente definiti, come ad esempio la creazione di maggiori e migliori posti di lavoro, l'aumento della qualità della produzione e il trasferimento di know-how gestionale al settore privato.

1.2.4

I partenariati tra settore pubblico e privato possono diventare uno strumento essenziale per attuare le strategie di sviluppo, a condizione che vi siano una giusta proporzione e una buona comunicazione tra le parti interessate.

1.3   Sostegno alla creazione di un contesto imprenditoriale propizio

1.3.1

Nei PVS è necessario, affinché il settore privato possa contribuire allo sviluppo, un clima imprenditoriale propizio, di cui sia parte integrante il rispetto dei principi democratici generalmente riconosciuti e che agevoli la creazione e la crescita delle imprese, limiti l'eccesso di vincoli amministrativi, accresca la trasparenza, freni una corruzione onnipresente e incoraggi gli investitori stranieri e locali.

1.3.2

La responsabilità sociale delle imprese (RSI) andrebbe intesa come il frutto di un'iniziativa volontaria delle stesse e della loro adesione a una concezione etica dell'imprenditorialità. Si dovrebbe proporre un quadro di riferimento ben preciso per la RSI nel settore dello sviluppo, nel rispetto delle "Linee guida dell'OCSE per le imprese multinazionali" e di altri principi riconosciuti a livello mondiale.

1.3.3

Nel creare nuovi posti di lavoro il settore privato dovrebbe rispettare i diritti economici e sociali fondamentali, e in particolare le principali convenzioni dell'OIL. Bisognerebbe assicurarsi che i nuovi posti di lavoro siano creati conformemente all'Agenda dell'OIL per il lavoro dignitoso.

1.4   Stimolare il potenziale innovativo dell'imprenditoria per lo sviluppo

1.4.1

I programmi di sviluppo delle capacità istituzionali dell'amministrazione statale nei paesi in via di sviluppo dovrebbero essere concepiti in stretta cooperazione con le parti sociali nonché con le ONG interessate impegnate nell'aiuto allo sviluppo; inoltre, si dovrebbero migliorare le condizioni in cui operano in particolare le piccole e medie imprese, che racchiudono il maggiore potenziale di creazione di posti di lavoro e riduzione della povertà.

1.4.2

Le organizzazioni imprenditoriali dei PVS hanno bisogno di acquisire competenze per migliorare e la loro capacità di influire positivamente sull'ambiente imprenditoriale. Occorre sostenere lo sviluppo delle loro capacità avvalendosi del contributo attivo di organizzazioni partner nei paesi sviluppati. I programmi europei di aiuto esterno, quindi, dovrebbero finanziare anche l'aiuto tecnico che le organizzazioni imprenditoriali europee forniscono ai loro partner nei paesi in via di sviluppo, e rafforzare la loro motivazione.

1.4.3

L'aiuto allo sviluppo dovrebbe potenziare ulteriormente i progetti innovativi e i modelli imprenditoriali che favoriscono l'inclusione, compreso il sostegno a una società senza barriere, il che contribuirebbe ad eliminare la povertà dei gruppi di cittadini a rischio come ad esempio le persone con disabilità, le donne e gli anziani.

1.4.4

Occorre sostenere la cooperazione del settore privato con le organizzazioni non governative, ad esempio ricorrendo a volontari per trasferire alle imprese locali le competenze gestionali e tecnologiche. I progetti imprenditoriali innovativi di successo meritano una pubblicità più vasta e sistematica.

1.4.5

Lo sviluppo del settore privato impone di sostenere maggiormente la formazione e l'acquisizione di conoscenze in materia di tecnologie chiave, soprattutto a vantaggio dei lavoratori poco qualificati.

1.4.6

Il Comitato raccomanda di estendere il programma Erasmus per i giovani imprenditori a coloro che iniziano un'attività nei paesi in via di sviluppo, oppure di istituire un programma con obiettivi analoghi, mettendo a disposizione le risorse necessarie alla sua realizzazione.

1.4.7

Un'attenzione particolare deve essere accordata al settore dell'industria estrattiva e delle materie prime, nel cui ambito occorre applicare rigorosamente i requisiti relativi alla tutela dell'ambiente, alle condizioni sociali dei lavoratori e alla sostenibilità dello sviluppo economico dello Stato.

1.4.8

I paesi in via di sviluppo mancano spesso di strategie in materia di sviluppo delle piccole e medie imprese, e la cooperazione allo sviluppo dovrebbe contribuire maggiormente a rimediare a questo handicap. L'esperienza acquisita in Europa in materia di politica di sostegno alle PMI dovrebbe essere trasmessa in modo mirato e pertinente ai paesi in via di sviluppo.

2.   Presupposti principali del parere

2.1

In una lettera inviata al Presidente del CESE, il commissario europeo Šefčovič ha comunicato che la Commissione sta elaborando proposte volte ad associare in modo più efficace il settore privato al partenariato mondiale per lo sviluppo per il periodo post-2015, e chiesto quindi al Comitato di formulare un parere esplorativo sul ruolo di tale settore al fine di accelerare, per quello stesso periodo, uno sviluppo intelligente, sostenibile e incisivo, attualmente oggetto di discussioni in sede ONU.

2.2

Nel suo parere REX/372 (1) in merito alla comunicazione della Commissione Un'esistenza dignitosa per tutti: sconfiggere la povertà e offrire al mondo un futuro sostenibile, il Comitato ha formulato una serie di raccomandazioni per associare la società civile all'elaborazione, all'attuazione e al follow-up degli obiettivi di sviluppo sostenibile per il periodo post-2015 a livello mondiale.

2.3

Come attestano i suoi pareri (2), il Comitato si occupa da tempo e con assiduità della cooperazione allo sviluppo e di cooperazione esterna, e - grazie alle proprie iniziative sulle questioni concernenti i paesi ACP, Euromed, il partenariato orientale, i negoziati commerciali internazionali e altri ambiti legati alla problematica dello sviluppo - ha acquisito una serie di esperienze e conoscenze concrete cui ha pienamente attinto per elaborare il presente parere.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il settore privato può svolgere un ruolo essenziale nella lotta contro la povertà nel mondo, in quanto crea posti di lavoro, produce beni e servizi, genera redditi e benefici e contribuisce, mediante le imposte da esso versate, alla copertura delle esigenze pubbliche; a condizione, però, di rispettare i principi di cooperazione allo sviluppo riconosciuti a livello internazionale. Anche dopo il 2015, l'APS continuerà ad essere un catalizzatore importante dello sviluppo; da solo, tuttavia, esso non potrà essere sufficiente a permettere di eradicare la povertà (3).

3.2

Gli obiettivi di sviluppo del millennio rivolti a eliminare la povertà non erano accompagnati da una definizione sufficientemente chiara dei modi per conseguirli e dalle necessarie correlazioni reciproche, e trascuravano il ruolo del settore privato nello sviluppo (4). Occorre associare molto più strettamente il settore privato al futuro quadro di cooperazione per il dopo 2015, in quanto rappresenta un partner strategico e un vettore di crescita sostenibile in tutti e tre i relativi pilastri - economico, sociale e ambientale -, fondati su indicatori non solo quantitativi ma anche qualitativi.

3.3

Le organizzazioni della società civile (5) segnalano sia i vantaggi che i rischi della partecipazione del settore privato alla cooperazione allo sviluppo. Per eliminare questi rischi, l'aiuto al settore privato grazie alle risorse destinate allo sviluppo dovrebbe rispettare i principi di trasparenza, efficienza, efficacia delle risorse investite, apertura degli appalti pubblici e responsabilità dei soggetti pubblici nei confronti di tutti gli attori interessati per l'attuazione della strategia di sviluppo adottata.

3.4

Il settore privato comprende lavoratori autonomi, microimprese, piccole e medie imprese, grandi imprese multinazionali, cooperative e altre imprese dell'economia sociale, istituzioni finanziarie. In senso lato fanno parte di tale settore anche i dipendenti delle imprese private e le loro organizzazioni sindacali, così come le organizzazioni non governative che partecipano a progetti privati. Oltre alle imprese private che esercitano legalmente le loro attività, esiste poi, in particolare nei paesi in via di sviluppo, un vasto settore privato informale. Nell'assegnare gli aiuti allo sviluppo occorre operare una distinzione tra queste diverse entità private, nonché distinguere le diverse ricadute che le loro attività hanno sullo sviluppo, in funzione delle loro dimensioni, del settore di attività e del livello di sviluppo del paese in questione (Stato meno sviluppato, mediamente sviluppato, in via di sviluppo o ancora vulnerabile).

3.5

Il settore privato, insieme con i rappresentanti della società civile, dovrebbe essere associato alla definizione delle esigenze di sviluppo in ciascun paese e partecipare alla fissazione dei nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile per il post-2015, affinché condivida la responsabilità del loro conseguimento. Questi obiettivi dovrebbero inserirsi nella scia degli OSM, essere concreti e misurabili, e riguardare le risorse idriche, l'agricoltura, la sicurezza alimentare, l'energia, le infrastrutture di trasporto, l'istruzione, la sanità, l'economia digitale, l'uguaglianza di genere e l'uguaglianza sociale.

3.6

Bisognerebbe riconoscere nel settore privato un elemento costitutivo essenziale del nuovo partenariato mondiale per lo sviluppo. Sarebbe opportuno creare una piattaforma che comprendesse i rappresentanti degli imprenditori e dei datori di lavoro europei, e fosse aperta anche ad altri soggetti interessati, tra cui i rappresentanti della società civile, per dialogare con i rappresentanti delle istituzioni europee e finanziarie sulla partecipazione del settore privato alla cooperazione internazionale allo sviluppo.

3.7

Il settore privato degli Stati donatori partecipa alla cooperazione allo sviluppo in quanto fornitore di servizi e attrezzature pagati dall'APS, in quanto fornitore diretto di aiuto allo sviluppo per motivi filantropici, nel quadro di progetti comuni con il settore pubblico e le ONG, e in quanto investitore in progetti che, oltre a rivestire un loro interesse per le imprese coinvolte, hanno ricadute significative anche per lo sviluppo. Bisognerebbe dare la precedenza ai progetti orientati verso l'innovazione grazie allo sviluppo delle capacità di innovare, ai servizi di consulenza, agli incubatori aziendali e ai distretti industriali nei paesi beneficiari. Gli appalti pubblici per i progetti di sviluppo devono essere trasparenti e aperti.

3.8

Nel contributo del settore privato allo sviluppo dovrebbe rientrare anche il sostegno a una società senza barriere, che contribuisca a eliminare la povertà dei cittadini appartenenti a gruppi a rischio come le persone con disabilità, le donne, gli anziani o coloro che attraversano una fase di particolare vulnerabilità. Al riguardo, l'accordo quadro sul mercato del lavoro inclusivo, concluso dalle parti sociali europee nel marzo 2010, può fungere da modello cui ispirarsi per inserire il predetto requisito nel futuro quadro di sviluppo.

3.9

Nei PVS il settore privato richiede un aiuto sistematico per essere in grado di svolgere il suo ruolo nello sviluppo, e ciò spiega perché aumenta la quota di APS destinata allo sviluppo di tale settore. Tale aumento, però, non può realizzarsi a scapito dell'APS fornito ai PMA, del quale questi ultimi non possono fare a meno per risolvere i loro problemi più gravi.

3.10

Gli investimenti privati orientati allo sviluppo effettuati da grandi imprese multinazionali costituiscono per le PMI locali, già attive o appena avviate, un'occasione per essere associate alla loro realizzazione, il che permette loro, grazie alla cooperazione con partner dei paesi sviluppati, di acquisire un know-how tecnico e di accedere alle tecnologie avanzate appropriate. Le imprese multinazionali dovrebbero rispettare i principi riconosciuti dell'ONU, dell'OCSE e delle altre organizzazioni internazionali (6).

3.11

Le piccole e medie imprese racchiudono, nei paesi in via di sviluppo così come altrove nel mondo, il principale potenziale di sviluppo, e ad aiutarle a realizzarlo dovrebbero contribuire in particolare i microcrediti e i prestiti agevolati (con abbuono di interessi) concessi dalle istituzioni europee e internazionali di finanziamento allo sviluppo. Una fonte importante di investimenti è poi costituita dalle rimesse (trasferimenti di risparmi e di altre risorse finanziarie) degli emigranti, che è necessario orientare maggiormente, grazie a incentivi, verso le esigenze di sviluppo del loro paese.

3.12

Il Comitato approva le idee espresse dalla Commissione nella comunicazione Oltre il 2015: verso un'impostazione globale e integrata al finanziamento dell'eliminazione della povertà e dello sviluppo sostenibile  (7), e chiede che il settore privato e le società civile organizzata siano coinvolti nel dibattito proposto sull'approccio integrato al finanziamento.

3.13

Bisognerebbe utilizzare l'APS come principale fattore moltiplicatore per associare il capitale privato agli investimenti nei paesi in via di sviluppo. A tal fine bisognerebbe impiegare strumenti innovativi quali il blending (combinazione di risorse), i diversi meccanismi di garanzia e i tassi d'interesse ridotti. Nel calcolo dell'importo dell'APS bisognerebbe imputare anche le garanzie di Stato per gli investimenti nei paesi in via di sviluppo. Occorre subordinare l'aiuto così fornito al capitale privato a delle condizioni e a indicatori chiaramente definiti, che tengano conto della sostenibilità dello sviluppo, della tutela dell'ambiente, dell'economia verde, dei posti di lavoro creati, del miglioramento della qualità della produzione, del trasferimento di know-how gestionale per il settore privato, ecc.

3.14

Occorre orientare maggiormente gli investimenti al rafforzamento del settore dei servizi, come quelli bancari, assicurativi, delle telecomunicazioni, dei trasporti nonché gli altri servizi di aiuto alle imprese, senza i quali l'industria e l'agricoltura non possono svilupparsi in modo sano. In tale contesto, lo Stato deve vigilare sul rispetto della concorrenza e provvedere a garantire una tutela adeguata degli investimenti.

3.15

I partenariati tra i settori pubblico e privato possono diventare uno strumento essenziale per attuare le strategie di sviluppo, poiché coniugano il meccanismo della sovvenzione ad opera di fondi pubblici con le iniziative d'investimento private per rispondere alle esigenze di sviluppo dei beneficiari finali. Il successo di questi progetti richiede un'informazione trasparente e una comunicazione aperta con le parti interessate.

4.   Sostegno alla creazione di un contesto imprenditoriale propizio

4.1

Affinché nei paesi in via di sviluppo beneficiari il settore privato possa esistere e prosperare, in modo da poter svolgere il suo ruolo nello sviluppo, è necessario che ricorra un certo numero di condizioni fondamentali. Per questo motivo la cooperazione allo sviluppo dovrebbe puntare maggiormente a migliorare in modo permanente il contesto imprenditoriale, facilitando la creazione e lo sviluppo delle imprese, limitando le pastoie amministrative, aumentando la trasparenza e ponendo così un freno alla corruzione dilagante. L'affermarsi dello Stato di diritto stimola gli investimenti esteri e interni e contribuisce alla diversificazione delle economie locali.

4.2

La creazione di un ambiente imprenditoriale sano deve fondarsi sui meccanismi del mercato, tra i quali la concorrenza economica, l'efficienza dei mercati finanziari, l'indipendenza del potere giudiziario, l'applicazione generalizzata delle leggi in vigore, segnatamente in materia commerciale, il rispetto delle regole del commercio internazionale e dei diritti di proprietà intellettuale. Gli usi culturali locali andrebbero rispettati, nella misura in cui non mettano in discussione la concorrenza economica, non fomentino la corruzione e non portino a una ridistribuzione sterile dei fondi.

4.3

Nel campo della cooperazione allo sviluppo, bisognerebbe intendere la responsabilità sociale delle imprese come il frutto di un'iniziativa volontaria delle stesse e di una loro adesione a un concetto etico di imprenditorialità. Le imprese scelgono esse stesse, nel rispetto della disciplina di base e fra i principi universalmente riconosciuti (8), le disposizioni adatte alla loro attività economica. La definizione di tale quadro permette peraltro di garantire una concorrenza equa con le altre imprese del settore.

4.4

Poiché crea posti di lavoro, il settore privato può contribuire a eliminare la povertà; ma resta nondimeno essenziale che, nel far ciò, esso rispetti i diritti economici e sociali fondamentali. È necessario che siano rigorosamente applicate le convenzioni principali dell'OIL (libertà sindacale e contrattazioni collettive, divieto del lavoro forzato, del lavoro minorile e di qualsiasi discriminazione in materia d'impiego).

4.5

Bisognerebbe assicurarsi che i nuovi posti di lavoro creati siano conformi all'Agenda dell'OIL per il lavoro dignitoso, la quale prevede che l'impiego sia scelto liberamente, che il lavoratore benefici di una protezione sociale, che il datore di lavoro rispetti i diritti fondamentali dei lavoratori e che venga instaurato un dialogo sociale. È importante che tutti gli investitori, e in particolare quelli che si avvalgono di aiuti pubblici allo sviluppo, rispettino scrupolosamente questi principi nell'attuazione dei loro progetti ed esercitino, sui loro partner, un'influenza positiva in questo senso.

4.6

I programmi di sviluppo delle capacità istituzionali dell'amministrazione statale nei paesi in via di sviluppo dovrebbero rafforzare i principi dello Stato di diritto e contribuire al miglioramento delle condizioni per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale e all'aumento delle capacità di assorbimento delle imprese locali. Questi programmi dovrebbero essere concepiti in stretta cooperazione con le parti sociali, nonché con le ONG interessate.

5.   Come coinvolgere in modo più efficace il settore privato nello sviluppo

5.1

Le organizzazioni di imprenditori, come le camere di commercio, le associazioni di categoria, le federazioni datoriali e le organizzazioni dell'economia sociale dei paesi donatori, dovrebbero essere coinvolte attivamente nei programmi di aiuto al settore privato dei paesi in via di sviluppo, nel corso di tutte le fasi del ciclo di progetto. A questo scopo, occorre istituire un programma di sostegno alle organizzazioni locali incaricate di rappresentare le PMI che consenta a queste ultime di acquisire esperienza soprattutto in campi come il marketing, l'integrazione nelle catene di fornitura, la certificazione e la logistica.

5.2

Nei PVS le organizzazioni imprenditoriali hanno bisogno di acquisire competenze per migliorare l'ambiente imprenditoriale, rafforzare l'impostazione democratica dei loro organi, attrarre nuovi aderenti e comunicare attivamente con questi ultimi. Occorre sostenere lo sviluppo delle loro capacità avvalendosi del contributo attivo di organizzazioni partner analoghe dell'UE. I programmi europei di aiuto esterno, quindi, dovrebbero finanziare anche l'aiuto tecnico che le organizzazioni imprenditoriali europee forniscono ai loro partner.

5.3

Tra le misure volte a sviluppare il settore privato dovrebbero esservi inoltre dei moduli di formazione rivolti agli imprenditori che offrano loro anche la possibilità di effettuare tirocini in un paese sviluppato. Il Comitato raccomanda di studiare la possibilità di estendere il programma Erasmus ai giovani imprenditori e a coloro che iniziano un'attività nei paesi in via di sviluppo, oppure di istituire un programma con obiettivi analoghi, mettendo a disposizione le risorse necessarie alla sua realizzazione.

5.4

Occorrerebbe sostenere in misura maggiore l'istruzione e lo sviluppo delle conoscenze in materia di tecnologie chiave, soprattutto presso i lavoratori poco qualificati. Nei PVS, infatti, si registra da tempo la mancanza di programmi di formazione professionale, dato che i paesi donatori accordano principalmente borse di studio per l'istruzione superiore. Nell'industria e in altri settori, tuttavia, il settore privato ha bisogno che i lavoratori possiedano competenze professionali correnti acquisite nel quadro di apprendistati tradizionali, nonché determinate abitudini di lavoro che è necessario adottare quando si è alle dipendenze di un investitore straniero o di un'impresa mista.

5.5

L'aiuto allo sviluppo dovrebbe sostenere maggiormente i progetti innovativi e i nuovi modelli imprenditoriali che favoriscono l'inclusione, offrendo ampio spazio alla cooperazione del settore privato con le organizzazioni non governative. Si pensi, ad esempio, al distacco di volontari esperti (9), i quali forniscono assistenza allo sviluppo dell'imprenditorialità nei PVS. Una maggiore pubblicità ai progetti imprenditoriali innovativi a favore dello sviluppo coronati da successo contribuirebbe alla condivisione di esperienze in materia tra gli Stati membri.

5.6

Un'attenzione particolare dev'essere accordata al settore dell'industria estrattiva e delle materie prime. I progetti di investimento devono tener conto di sfide quali la tutela dell'ambiente, le condizioni sociali dei lavoratori, la sostenibilità dello sviluppo. I servizi dello Stato e degli altri enti territoriali del paese beneficiario devono definire un quadro normativo adeguato per ciascun settore di attività ed assicurarne il rispetto, anche per quanto riguarda l'adempimento degli obblighi fiscali. L'aiuto apportato dovrebbe permettere di adottare questo approccio sistemico, definendo peraltro le regole più appropriate per limitare gli oneri amministrativi eccessivi e prevenire il diffondersi della corruzione.

5.7

L'aiuto allo sviluppo dovrebbe promuovere l'agricoltura sostenibile e l'industria locale di trasformazione, in modo da migliorare la trasformazione di derrate alimentari e materie prime. Esso dovrebbe sostenere la creazione di associazioni di agricoltori e di piccoli produttori che trasformano i prodotti agricoli, nonché la loro integrazione nelle catene di approvvigionamento.

Bruxelles, 16 ottobre 2013.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Parere del CESE sul tema Un'esistenza dignitosa per tutti: sconfiggere la povertà e offrire al mondo un futuro sostenibile, GU C 271, del 19.9.2013, pag. 144.

(2)  Cfr., tra gli altri, i pareri del CESE sui seguenti temi: Strategia UE-Africa (2009), GU C 77, del 31.3.2009, pagg. 148–156, Commercio e sicurezza alimentare (2010), GU C 255, del 22.9.2010, pagg. 1–9, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate (2012), GU C 43, del 15.2.2012, pagg. 82–88, Potenziare l'impatto della politica di sviluppo dell'UE: un programma di cambiamento - Il futuro approccio al sostegno dell'Unione europea al bilancio di paesi terzi (2012), GU C 229, del 31.7.2012, pagg. 133–139, Partecipazione della società civile alle politiche di sviluppo dell'UE e alla cooperazione allo sviluppo (2012), GU C 181, del 21.6.2012, pagg. 28–34, Protezione sociale nella politica di sviluppo (2013), non ancora pubblicata sulla GU.

(3)  Solo alcuni paesi sviluppati hanno raggiunto o superato l'obiettivo convenuto di dedicare all'APS una quota pari allo 0,7 % del loro prodotto interno lordo.

(4)  Preliminary BIAC Perspectives for the Post-2015 Development Agenda, febbraio 2013.

(5)  ITUC www.ituc-csi.org, Concord www.concordeurope.org, DCED (Donnors Committee of Economic Development) www.enterprise-development.org.

(6)  Principi fondamentali dell'ONU relativi alle imprese e ai diritti umani, i principi direttivi dell'OCSE per le imprese multinazionali, l'iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive, la guida dell'OCSE sulla necessaria diligenza per catene di approvvigionamento responsabili dei minerali provenienti da zone di conflitto e ad alto rischio.

(7)  COM(2013) 531 final del 16 luglio 2013.

(8)  Ad esempio ISO 26000, Iniziativa ONU - Sei principi di investimento responsabile.

(9)  Come quelli inviati, ad esempio, dall'associazione belga senza scopo di lucro Ex-Change, www.ex-change.be.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/6


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il cambiamento sostenibile nelle società in transizione» (parere esplorativo)

2014/C 67/02

Relatore: GOBIŅŠ

La presidenza lituana, in data 15 aprile 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale sul tema:

Il cambiamento sostenibile nelle società in transizione

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 70 voti favorevoli, un voto contrario e 6 astensioni.

Il cambiamento è l'unica costante - Eraclito

1.   Raccomandazioni

1.1

L'UE, ciascuno dei suoi Stati membri e la società civile sono una fonte incredibilmente ricca di esperienze in materia di transizione. Quest'esperienza dev'essere meglio utilizzata per ottenere stabilità nel cambiamento all'interno dell'Europa, nei paesi confinanti con l'UE e nel mondo intero.

1.2

L'UE sta assumendo un ruolo guida nei dibattiti in corso in sede ONU sull'agenda dello sviluppo per il periodo successivo al 2015, e deve suggerire azioni concrete per la sua attuazione in un contesto di solidarietà e politiche coerenti. A tale proposito occorre tenere conto del presente parere e dei precedenti pareri del CESE sull'argomento (1).

1.3

Le esperienze in materia di transizione disponibili all'interno dell'UE e accessibili a quest'ultima vanno utilizzate in termini concreti. L'UE deve procedere a una sistematizzazione più completa delle sue esperienze in materia, siano esse positive o negative, degli strumenti di sostegno e dei dati disponibili riguardo alle parti interessate. Dovrà essere messo a punto un piano d'azione sull'utilizzo delle esperienze di transizione nel processo di programmazione. Dovranno essere resi operativi quanto prima il Compendio europeo in materia di transizione e altre soluzioni proposte in recenti documenti UE.

1.4

La politica estera dell'UE deve risultare più forte, partecipativa e aperta, nonché più efficace e coerente. Gli interventi devono essere orientati alla promozione dei diritti dell'uomo, delle libertà fondamentali (compresa la libertà di associazione e di riunione pacifica) e dello Stato di diritto, e contribuire a creare un contesto favorevole e un ambiente democratico, che consentano ai singoli e alle OSC di partecipare alla formulazione delle politiche e al monitoraggio della loro attuazione. È necessario un approccio a lungo termine.

1.5

La società civile e politica dell'UE e dei paesi partner deve svolgere un ruolo chiave. Fra l'altro, accordi di associazione, programmi di sostegno e sovvenzioni non dovrebbero essere approvati senza un dialogo strutturato con la società civile, in particolare con la società civile organizzata, in linea con il principio di partenariato seguito dall'UE. Occorre rivolgere un'attenzione particolare al dialogo con le diverse categorie sociali dei paesi partner, comprese le minoranze e gli abitanti delle zone remote: tali categorie vanno associate ai diversi processi.

1.6

Attualmente, molti potenziali promotori dello sviluppo sostenibile non possono ricevere il sostegno dell'UE a causa di norme amministrative e di altro genere discriminatorie. È necessario introdurre la discriminazione positiva (che non permetta alcuna forma di manipolazione) e un requisito per cui i partner con un'esperienza recente in materia di transizione dovrebbero essere coinvolti nei progetti di sviluppo, per far partire su un piede di parità i soggetti appartenenti a categorie che al momento ottengono i risultati più modesti nelle valutazioni. La qualità dei progetti e dei risultati deve avere la priorità.

1.7

È essenziale lanciare nuovi meccanismi di cooperazione e ampliare quelli esistenti (cfr. a questo proposito i punti 3.3.4, 3.3.6, 3.3.7 e 3.3.8 del presente parere, ad es. dare una dimensione globale ai programmi Twinning, TAIEX, Erasmus+, creare una nuova piattaforma di scambio, ecc.).

1.8

I soggetti che dipendono da regimi autoritari e/o che seguono prassi non democratiche (ad esempio GoNGO, sindacati di comodo, ecc.) dovrebbero essere esclusi da ogni sostegno.

1.9

In generale, è opportuno fornire largo sostegno a un ampio campione rappresentativo della società dei paesi partner.

1.10

Il cambiamento democratico, lo sviluppo sostenibile, la crescita economica inclusiva e un mercato stabile, insieme a un migliore sistema occupazionale e di welfare, possono essere sostenuti da una buona governance e da un solido approccio basato sui diritti. L'esperienza dimostra che una società civile forte, in particolare quando è organizzata, costituisce la migliore garanzia di successo.

2.   Contesto generale

2.1

Il CESE apprezza l'ampia visione che viene data dello sviluppo sostenibile. Il Consiglio dell'UE ha osservato che fanno parte di questa visione aspetti come «la governance democratica, i diritti dell’uomo e lo Stato di diritto, il benessere economico e sociale, nonché la pace e la stabilità» (2).

2.2

In breve, la transizione può essere definita come la stabilizzazione, il sostegno alla democrazia, la creazione di istituzioni e di capacità, lo scambio di migliori pratiche e il consolidamento delle riforme per rendere sostenibile il cambiamento. Essa si fonda sulla solidarietà e sull'azione da parte di individui, organizzazioni della società civile, governi e altri soggetti.

2.3

Diversi aspetti della cooperazione con le società in transizione sono già stati iscritti all'ordine del giorno del CESE (3). Il presente parere cerca di andare al di là delle fonti esistenti e di riflettere gli interessi particolari della presidenza lituana del Consiglio dell'UE e l'interesse generale della società civile europea (anche come contributo al Vertice del partenariato orientale che si terrà a Vilnius nel novembre 2013 e alle Giornate europee dello sviluppo).

2.4

La politica attuale va aggiornata anche alla luce dei recenti sviluppi nei paesi partner dell'Unione. Il CESE continua a nutrire preoccupazioni circa la sostenibilità degli sviluppi in diversi vicini orientali dell'UE, paesi euromediterranei e paesi partner. Si osservano numerosi cambiamenti positivi nella regione dei Balcani occidentali (tenendo conto dell'importanza dell'adesione della Croazia all'UE).

3.   Permettere all'UE di condividere meglio le sue esperienze

La motivazione e la domanda interna potrebbero essere due dei principali stimoli allo sviluppo sostenibile e al cambiamento democratico, con il sostegno di una chiara politica della "porta aperta" nei confronti di tutti gli Stati europei e prevedendo altri privilegi per paesi e società al di fuori dei confini dell'UE.

3.1   Un migliore coordinamento delle politiche dell'UE a favore della transizione

3.1.1

Per promuovere un cambiamento sostenibile è necessario coordinare in maniera più efficace diverse politiche, programmi e attività dell'UE destinati alle stesse regioni o agli stessi settori d'intervento allo scopo di creare maggiori sinergie e salvaguardare la coerenza. La capacità dell'UE in materia di azioni esterne va ulteriormente sviluppata, fino a poter sostenere efficacemente i valori e gli obiettivi europei comuni su scala realmente europea (4).

3.1.2

La "coerenza delle politiche di sviluppo" deve essere assicurata e controllata in modo più accurato. L'obbligo di coerenza delle politiche di sviluppo, sancito all'articolo 208 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (come modificato dal Trattato di Lisbona), dovrebbe essere al centro della definizione delle politiche e dell'attuazione in tutta la regolamentazione degli strumenti dell'azione esterna e dovrebbe perciò essere applicato espressamente in tutte le politiche, i programmi e le attività dell'UE. La compatibilità delle nuove iniziative dell'UE deve essere valutata in tutti i casi che si presentano. Tutti i programmi (compresa la loro valutazione e le relative linee di bilancio) dovrebbero rispecchiare gli impegni e gli obblighi internazionali dell'UE in materia di diritti dell'uomo e di sviluppo (compresa l'intesa comune dell'ONU su un approccio allo sviluppo basato sui diritti umani) e concentrarsi sulle persone più emarginate e vulnerabili. È importante anche seguire da vicino gli sviluppi per verificare se, nel processo di transizione e di integrazione nell'UE, a sviluppi positivi in un settore d'intervento non corrispondano sviluppi negativi in altri.

3.1.3

Per offrire un prospetto di facile lettura degli strumenti disponibili gestiti dall'UE o dagli Stati membri (tra cui sovvenzioni, appalti e programmi, ecc.) che hanno un impatto esterno diretto o indiretto, è indispensabile istituire una piattaforma comune. Sarebbe opportuno prevedere corrispondenze e un certo grado di cooperazione con il portale «La tua Europa». Occorre intensificare gli sforzi per fornire informazioni alle organizzazioni minori (anche subregionali), includendo fra i destinatari anche le istituzioni degli Stati membri dell'UE e delle società in transizione. Inoltre, la piattaforma dovrebbe avvalersi, ad esempio, di una newsletter o di un notiziario Twitter.

3.1.4

L'UE dovrebbe prefiggersi di riunire, coordinare e creare sinergie tra le proprie attività e quelle degli Stati membri nei paesi partner, nonché di evitare una concorrenza interna eccessiva. Gli Stati membri potrebbero considerare la possibilità di condividere le responsabilità nello sviluppo di forme di cooperazione esterna comune (coordinatori della transizione, centri di traduzione, centri di assistenza giudiziaria, istituti di insegnamento, ecc.) sul loro territorio o nei paesi partner.

3.2   Partecipazione di tutti i soggetti interessati come condizione preliminare per la sostenibilità del cambiamento

3.2.1

Per assicurare la titolarità condivisa dello sviluppo e della cooperazione è indispensabile far sì che i meccanismi dell'azione esterna dell'UE siano più inclusivi, trasparenti e partecipativi possibile. Attualmente si possono rilevare diverse carenze. È necessario esaminare la possibilità che il principio di partenariato riesca ad unire la società civile e le autorità pubbliche, ad esempio come condizione preliminare per l'assegnazione di sovvenzioni.

3.2.2

Uno stretto - e preferibilmente strutturato - coinvolgimento dei rappresentanti della società civile e politica costituisce un presupposto per un impegno a lungo termine a realizzare le riforme. A questo proposito cfr. anche punto 1.5. L'impegno delle organizzazioni della società civile, comprese le parti sociali degli Stati membri dell'UE e dei paesi partner, è indispensabile per la programmazione e la realizzazione di tutte le attività di sviluppo e cooperazione. I partenariati attuali dovranno essere rafforzati, e ne dovranno essere creati di nuovi.

3.2.3

Il CESE è pronto a contribuire a tale progetto: i suoi partner nel mondo costituiscono una fonte preziosa come potrebbero esserlo anche i forum organizzati a cadenza regolare.

3.2.4

L'UE dovrà dar prova del massimo impegno per sviluppare le capacità dei soggetti interessati tanto nell'UE che nei paesi partner. Ciò sarà possibile grazie al sostegno finanziario, allo scambio di esperienze, ai corsi di istruzione e formazione e ad altri mezzi e programmi.

3.2.5

Occorre garantire pari opportunità ai diversi soggetti governativi e non governativi, tanto all'interno dell'UE che nei paesi partner. È essenziale eliminare ogni forma di discriminazione ancora esistente, diretta o indiretta che sia, tra cui norme eccessivamente restrittive in materia di ammissibilità, dimensioni del progetto e requisiti tecnici, norme amministrative discriminatorie (ad esempio disparità di retribuzione e/o imposte a carico degli esperti che seguono gli stessi progetti), obblighi in materia di cofinanziamento (problemi di accettabilità dei contributi in natura), azioni di lobbying nazionale che determinano risultati falsati, ecc. (5). A questo proposito si veda il punto 1.6 del presente parere.

3.2.6

Per incrementare il dialogo e la partecipazione si dovrebbero sfruttare e promuovere più ampiamente le opportunità tecnologiche del XXI secolo, tra cui l'e-government. A tal fine si potrebbe elaborare un particolare programma 2.0 a favore della democrazia.

3.3   Ulteriori suggerimenti riguardo a programmi e azioni dell'UE

3.3.1

Il sistema attuale di opportunità di finanziamento e sostegno dell'UE e con la partecipazione dell'UE è spesso accusato di essere inutilmente complicato. Il CESE accoglie con favore i progetti intesi a semplificare e razionalizzare gli strumenti dell'UE per il finanziamento dell'azione esterna, compreso lo strumento europeo di vicinato a partire dal 2014, e sostiene la messa in comune dei fondi.

3.3.2

La qualità prima di tutto. Le particolari competenze in materia di transizione e l'abilità di comprendere e adattarsi alle necessità del paese partner dovrebbero essere al centro di una valutazione oggettiva e dovrebbero avere la precedenza rispetto alle passate esperienze in materia di attuazione di progetti UE.

3.3.3

L'esperienza maturata dall'UE in materia di transizione deve essere usata meglio nel quadro dell'elaborazione delle politiche esterne dell'Unione (compresa la politica di sviluppo) (6). I successi conseguiti e gli insegnamenti tratti andrebbero sistematizzati in modo completo e analizzati a fondo. Le conclusioni debbono essere utilizzate, trasposte pienamente sul piano operativo e incorporate nel ciclo di programmazione. Occorre garantire un seguito concreto ricorrendo, ad esempio, alle conoscenze acquisite al momento di elaborare programmi operativi, valutare e assegnare sovvenzioni ai progetti e definire la dimensione degli stessi.

3.3.4

È necessario rendere operativo un Compendio europeo in materia di transizione, anche a fini di programmazione, completandolo con una banca dati di esperti in questo campo provenienti dal settore sia governativo che non governativo. I partner dovrebbero essere incentivati a ricorrere all'assistenza di esperti, che andrebbe promossa su vasta scala, specialmente nei paesi partner. La Commissione europea e il SEAE dovrebbero predisporre una lista di controllo per le delegazioni UE su come utilizzare il Compendio nella programmazione (si potrebbe, fra l'altro, stabilire che esso sia una fonte d'informazione vincolante per gli esperti che partecipano alle attività UE).

3.3.5

La Commissione europea dovrebbe predisporre un piano d'azione su come applicare meglio alla programmazione la ricca esperienza dell'UE in fatto di transizione. Sarebbe utile fare in modo che l'esperienza venga utilizzata sistematicamente negli ambiti di pertinenza. La Commissione europea dovrebbe altresì dedicare sufficienti risorse amministrative all'attuazione di tale piano.

3.3.6

Tenuto conto della grande quantità di strumenti già esistenti in materia di condivisione delle esperienze di transizione, sarebbe auspicabile che la Commissione operi una gestione trasversale per raccoglierli e presentarli tutti in una sede unica, ad es. attraverso una piattaforma o struttura centrale.

3.3.7

Bisognerebbe considerare l'opportunità di ampliare ulteriormente le strutture esperte dell'UE che intervengono in risposta alla domanda, come SOCIEUX e MIEUX. Tali strutture sono un eccellente strumento per rispondere rapidamente alle esigenze dei paesi partner. Occorre ampliare a livello mondiale (in particolare ai paesi ACP) l'area geografica degli attuali meccanismi fondati sulle esigenze in materia di scambio di esperienze e altri programmi, tra cui TAIEX, Twinning ed Erasmus, pur non riducendo i fondi previsti per i progetti provenienti dai paesi attualmente coinvolti.

3.3.8

Bisognerebbe lanciare un concetto di "gemellaggio o trigemellaggio di ONG" che preveda la partecipazione di almeno un partner dell'UE-15, uno dell'UE-13 e uno proveniente da un paese in via di sviluppo o in transizione (7). Va inoltre sostenuto lo scambio di esperienze tra i rappresentanti del settore privato.

3.3.9

Il Fondo europeo di sviluppo dovrebbe assumere un atteggiamento più favorevole nei confronti della condivisione delle più recenti esperienze degli Stati membri dell'UE in materia di transizione.

3.3.10

Per trasformare la loro esperienza in un sostegno efficiente alla transizione, l'UE e gli Stati membri devono garantire finanziamenti adeguati e sostegno pubblico. Inoltre, il CESE ribadisce che la transizione e il ruolo svolto dagli individui, dalla società civile e dallo Stato devono costituire uno dei temi dell’Anno europeo dello sviluppo, che si terrà nel 2015.

4.   Il sostegno alle riforme e allo sviluppo democratico sostenibile

Le preziose esperienze recentemente acquisite dall'UE e dagli Stati membri in materia di transizione stanno assumendo sempre maggiore importanza ed entrando nell'uso di paesi terzi diversi dai vicini dell'Unione che ricorrono sempre di più a un "approccio fondato sulla domanda". Il sostegno alla democrazia dovrebbe costituire una delle priorità dell'UE.

4.1   Il ruolo speciale dell'UE nelle diverse fasi della transizione

4.1.1

Lo sviluppo sostenibile è subordinato al raggiungimento del consenso più ampio possibile nelle società dei paesi partner. A tal fine il sostegno alla democrazia, alla buona gestione della cosa pubblica, alle libertà fondamentali (comprese la libertà di associazione, di riunione pacifica e di espressione, l'indipendenza dei media, ecc.), all'educazione civica e all'istruzione non formale e informale, alla giustizia e alla giustizia sociale in tutti gli ambiti e a tutti i livelli riveste un'importanza cruciale.

4.1.2

Occorre dedicare maggiore attenzione all'efficacia e ai risultati delle politiche e dei progetti. Questi ultimi devono essere accompagnati da programmi amministrativi e operativi e da misure di sostegno destinate ai singoli. L'efficacia non può essere raggiunta senza un migliore coordinamento all'interno dei paesi partner; inoltre, occorre offrire sostegno e consulenza ai fini della pianificazione.

4.1.3

La non discriminazione, la parità di trattamento e l'impegno attivo dei partner dell'UE e dei singoli membri delle loro società (comprese categorie come le donne, le minoranze, ecc.) sono fondamentali come principio generale e presupposto per la credibilità dell'UE. La differenziazione delle politiche a seconda dei requisiti del paese partner è naturalmente un altro elemento indispensabile, e va migliorata. Allo stesso tempo, l'UE non dovrebbe essere più indulgente verso i paesi "strategicamente importanti" solo perché coltiva obiettivi immediati non connessi con lo sviluppo sostenibile. Il rispetto per i diritti umani è un settore in cui l'UE e i suoi partner devono lavorare insieme.

4.1.4

I rappresentanti dell'Unione europea devono agire in qualità di "moderatori/facilitatori" (analizzando le esigenze locali e sostenendo/promuovendo il dialogo fra le parti interessate del posto) e di "esperti" (mettendo a disposizione l'esperienza accumulata e facendo tesoro delle lezioni apprese dal lavoro relativo alla transizione).

4.1.5

È opportuno fornire largo sostegno a un ampio campione rappresentativo della società dei paesi partner. Al momento, le istituzioni governative, e in alcuni casi le organizzazioni della società civile (comprese le parti sociali), i giovani e i ricercatori, sono considerati i soggetti fondamentali cui rivolgere l'assistenza europea. Lo sviluppo sostenibile e il cambiamento democratico richiedono un largo sostegno e una stretta cooperazione con gli "ambasciatori", i "motori/manager" o i "campioni di un cambiamento duraturo" della società civile e dei rispettivi leader e reti, ma bisogna anche andare oltre. Serve infatti un sostegno universale, largamente accessibile e ampiamente visibile ai partner e alle loro società. L'integrazione nell'UE e il sostegno ai paesi confinanti non dovrebbero essere percepiti come un beneficio a favore di pochi eletti. Miglioramenti visibili in ambiti come l'istruzione e la scienza (riforme dell'istruzione e della formazione professionale, attività rivolte ai minori, ecc. (8)), l'economia a emissioni ridotte, le infrastrutture e i servizi pubblici e sociali (TIC, sanità, campi da gioco, ecc.), il lavoro dignitoso e le opportunità occupazionali di qualità, la parità fra i sessi, il sostegno alle categorie socialmente ed economicamente vulnerabili e ai popoli indigeni, i movimenti sociali e le condizioni propizie allo sviluppo delle imprese (rafforzamento e partecipazione delle parti sociali (9)), ecc. favoriranno il cambiamento e un maggiore consenso su un orientamento pro-europeo.

4.1.6

Nei paesi che presentano un deficit democratico è possibile che i fondi assegnati alle istituzioni ufficiali o messi a disposizione tramite queste ultime siano destinati non a fini sociali bensì a sostenere il regime, e che le organizzazioni della società civile a carattere locale che rappresentano davvero i valori democratici non abbiano modo di accedervi. La creazione del Fondo europeo per la democrazia costituisce senza alcun dubbio un passo importante e auspicato da tempo. Tuttavia, tale Fondo non è in grado di risolvere da solo i problemi di vasta portata cui ci troviamo a far fronte. Una risposta parziale al problema la può dare "una mappatura completa delle organizzazioni della società civile" e di altri beneficiari degli aiuti nella regione (10). Anche le organizzazioni della società civile attive sul campo e quelle informali, nonché le loro iniziative, devono essere sostenute maggiormente: diversi Stati membri dell'UE hanno esperienza nel settore del finanziamento flessibile dei progetti. Nel contempo, occorre aumentare la percentuale degli aiuti erogati mediante la società civile, in particolare nel caso dei regimi autoritari.

4.1.7

Occorre inoltre dedicare un'attenzione particolare alle situazioni di transizione nei paesi del Mediterraneo meridionale e orientale, nei quali la democrazia, i diritti umani e i diritti delle donne sono esposti a gravi minacce, nonché alla necessità di garantire un più forte sostegno dell'UE alla società civile e alle organizzazioni delle donne.

4.1.8

In generale, l'UE deve analizzare attentamente e tener conto delle diverse capacità di assorbimento e delle caratteristiche particolari dei paesi partner.

4.1.9

L'UE deve condividere le esperienze su come garantire un sostegno rafforzato esterno ed interno allo sviluppo, fra l'altro per la società civile, dopo che le prime fasi della transizione sono passate e che è stato raggiunto un relativo benessere.

4.2   Crescita inclusiva - il ruolo delle attività economiche e dell'occupazione nelle società in transizione

4.2.1

La crescita economica inclusiva e un mercato stabile, accompagnati da un aumento del benessere e dell'occupazione e da una liberalizzazione economica intelligente, devono svolgere un ruolo chiave nello sviluppo delle società in transizione (in linea con il concetto di "trasformazione economica" nei dibattiti sul periodo successivo al 2015). Occorre concludere accordi internazionali al fine di promuovere e proteggere un ambiente sicuro e favorevole per gli investimenti, in quadri multilaterali come l'OMC, l'OCSE ecc.

4.2.2

Alla base della sostenibilità vi sono elementi essenziali come lo Stato di diritto e un sistema giudiziario indipendente che non può essere sovvertito dalla corruzione o dalla dittatura. A questo si aggiungono altri fattori cruciali come: organizzazioni della società civile che non subiscono intimidazioni, l'accesso all'informazione, la protezione sociale, la possibilità di accesso a un'occupazione dignitosa, la cooperazione scientifica e tecnica, l'efficienza e l'indipendenza energetica, e la conservazione ambientale.

4.2.3

Occorre migliorare le condizioni per il commercio e ricorrere, laddove opportuno, ad accordi di libero scambio globali e approfonditi che si prefiggano di andare "al di là dei confini" per incoraggiare un ravvicinamento costante alle regole, ai principi e alle norme dell'UE nei regolamenti tecnici e nella relativa attuazione. L'obiettivo dei partner dell'UE dovrebbe essere realizzare economie forti e inclusive, riducendo costantemente la loro dipendenza dall'aiuto esterno, e anche questo è un settore in cui lo scambio di esperienze ha un ruolo cruciale.

4.2.4

Il dialogo con le imprese indipendenti e l'assistenza alle stesse (nonché ai sindacati e ad altre organizzazioni della società civile) deve essere un elemento prioritario nel rapporto con i regimi totalitari. In ogni caso, è necessario garantire che le PMI svolgano un ruolo più importante in quanto promotrici della sostenibilità, dello Stato di diritto e dello sviluppo economico. Anche i consigli d'investitori stranieri o di altre organizzazioni della società civile possono svolgere un ruolo "supplementare".

4.3   Osservazioni aggiuntive sui partenariati internazionali per lo sviluppo

4.3.1

Il CESE e altri enti hanno già sottolineato la necessità di una cooperazione stretta ed efficiente tra l'UE, le Nazioni Unite e altri organismi internazionali sull'agenda dello sviluppo per il periodo successivo al 2015.

4.3.2

L'UE deve anche tener conto di altri recenti sviluppi, come l'istituzione dell'Open Government Partnership (un'iniziativa di particolare rilevanza per il CESE, che riflette il succitato principio di partenariato). L'impatto del Partenariato transatlantico su commercio e investimenti e di altri accordi analoghi va programmato e seguito accuratamente, con particolare attenzione per le ripercussioni sulla cooperazione allo sviluppo e sulla transizione.

4.3.3

Il ruolo e il potenziale delle imprese private e degli investitori stranieri nel mondo che condividono i valori dell'UE dovrebbero essere meglio sfruttati e sostenuti, specie per quanto concerne il rispetto dei diritti economici e sociali fondamentali.

4.3.4

Occorre prevedere uno studio approfondito delle migliori pratiche seguite dalle fondazioni e dalle organizzazioni della società civile globali, nonché degli strumenti ai quali ricorrono nei paesi in transizione.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  In particolare del parere del CESE sul tema Un'esistenza dignitosa per tutti: sconfiggere la povertà e offrire al mondo un futuro sostenibile del 23 maggio 2013, e di altri pareri su argomenti connessi.

(2)  Conclusioni della 3218a riunione del Consiglio Affari esteri (31 gennaio 2013), Art. 19.

(3)  http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.eesc-opinions-highlights.

(4)  Cfr. anche il parere del CESE sul tema Il ruolo dell'UE e le sue relazioni con l'Asia centrale, e il contributo della società civile, GU C 248 del 28.8.2011.

(5)  Si raccomanda di consultare lo studio del Parlamento europeo EXPO/B/AFET/2012/32 (2012).

(6)  Conclusioni della 3218a riunione del Consiglio Affari esteri (31 gennaio 2013), Art. 19.

(7)  Parere del CESE sul tema Una risposta nuova ad un vicinato in mutamento, GU C 43 del 15.2.2012.

(8)  A questo proposito si veda il parere del CESE sul tema Il ruolo dell'UE e le sue relazioni con l'Asia centrale, e il contributo della società civile, GU C 248 del 28.8.2011.

(9)  A questo proposito si veda il parere del CESE sul tema Una risposta nuova ad un vicinato in mutamento, GU C 43 del 15.2.2012.

(10)  Cfr. ad esempio il parere del CESE in merito alle seguenti proposte: Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente lo strumento di assistenza preadesione (IPA II) e Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento europeo di vicinato, GU C 11 del 15.1.2013, pag. 80, e la relazione informativa sul tema Il ruolo della società civile nell'attuazione del partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa nella regione euromediterranea (REX/356).


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Corpo volontario europeo di aiuto umanitario: preparare i cittadini di tutti gli Stati membri dell’UE e incoraggiarli a partecipare» (parere esplorativo richiesto dalla presidenza lituana)

2014/C 67/03

Relatore: IULIANO

La presidenza lituana dell'UE in data 15 aprile 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Corpo volontario europeo di aiuto umanitario: preparare i cittadini di tutti gli Stati membri dell'UE e incoraggiarli a partecipare

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza lituana).

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli e 2 astensioni.

Introduzione

Fin dalle sue origini il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha dedicato un'attenzione particolare al volontariato, che costituisce un'espressione concreta dell'azione dei cittadini per la solidarietà, la coesione sociale e il miglioramento delle società nelle quali svolgono il loro compito. Il volontariato, come è già stato osservato, è la dimostrazione dell'eccedenza di buona volontà di una società, ed è un riflesso tangibile dei valori su cui si fonda l'Unione europea.

Il CESE ha affrontato in diversi pareri questioni relative al volontariato sia a livello nazionale che a livello di azioni transfrontaliere nell'ambito dell'UE, ed è stato in effetti la prima istituzione europea a proporre la proclamazione dell'Anno europeo del volontariato. Il Comitato ha inoltre elaborato dei pareri sul ruolo della società civile nell'azione esterna dell'UE e nella cooperazione allo sviluppo.

L'inclusione nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea di un riferimento specifico (articolo 214, paragrafo 5) all'istituzione del Corpo volontario europeo di aiuto umanitario, successivamente denominato iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario, e il processo che dovrebbe portare quanto prima all'adozione di un regolamento sull'attuazione di detta iniziativa, rendono opportuna una presa di posizione del CESE che consenta di integrare nel suddetto regolamento e nella successiva attuazione i punti di vista della società civile europea.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la creazione del Corpo volontario europeo di aiuto umanitario, e ritiene che esso possa servire a promuovere la partecipazione della cittadinanza europea nel settore umanitario, specialmente attraverso le organizzazioni della società civile, tra le quali figurano le organizzazioni non governative specializzate.

1.2

Il corpo volontario europeo di aiuto umanitario deve essere uno strumento atto a favorire il coinvolgimento degli Stati membri la cui tradizione nel campo delle missioni umanitarie è meno radicata. A tal fine, il CESE propone di prendere in considerazione l'avvio di azioni specifiche dirette a rafforzare la partecipazione di volontari di tali paesi e a sostenere le organizzazioni sociali e umanitarie che vi operano.

1.3

Per promuovere il sostegno della società civile all'azione umanitaria e favorire il riconoscimento del ruolo del volontariato, il Comitato raccomanda anche di prendere in considerazione azioni di divulgazione e di sensibilizzazione su questi temi destinate all'opinione pubblica.

1.4

Il CESE condivide e fa proprie le osservazioni contenute nel Consenso europeo sull'aiuto umanitario in merito agli obiettivi e agli strumenti dell'azione umanitaria, ed è convinto che l'aiuto umanitario comprenda la protezione delle vittime delle crisi umanitarie, la salvaguardia della loro dignità e il rispetto dei loro diritti.

1.5

Il Comitato sottolinea questa concezione ampia dell'intervento umanitario, che va al di là della semplice assistenza, e ricorda la fondamentale esigenza di osservare i principi di umanità, imparzialità, neutralità e indipendenza e le norme giuridiche che guidano l'azione umanitaria.

1.6

Il Comitato sottolinea il carattere spontaneo dell'azione volontaria e i rischi di confusione con altri tipi di azione di carattere lavorativo. In momenti di crisi economica come quello attuale, questo aspetto riveste particolare importanza, sia all'interno dell'UE che nella sua azione esterna.

1.7

Il CESE sottolinea che le differenti legislazioni nazionali degli Stati membri in materia di volontariato possono ripercuotersi negativamente sull'iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario.

1.8

L'inclusione dei volontari deve avvenire sempre sulla base delle esigenze e dopo che sono state analizzate e valutate la situazione e le necessità delle popolazioni colpite da disastri o crisi complesse.

1.9

La proposta di regolamento (1) sottolinea l'esigenza di stabilire norme valide per tutte le fasi del processo di partecipazione dei volontari. Il CESE condivide questa preoccupazione e auspica che le suddette norme siano basate sulle buone pratiche del settore dell'aiuto umanitario e sulle iniziative di qualità già esistenti.

1.10

Il volontariato consiste in una collaborazione prestata attraverso organizzazioni sociali e, in minor misura, istituzioni pubbliche di carattere civile. La qualità delle suddette istituzioni è particolarmente importante per il successo dell'attività. Il CESE concorda sulla necessità di fare progressi verso meccanismi di certificazione delle organizzazioni fondati sull'esperienza e sull'acquis esistente nel settore umanitario. I criteri di certificazione devono essere applicabili – seppur con i necessari adeguamenti – anche alle organizzazioni beneficiarie dei paesi colpiti.

1.11

Il CESE esprime la convinzione che il meccanismo di certificazione debba essere messo a punto basandosi su tutte le suddette esperienze e tenendo conto dei principali criteri di trasparenza, libera concorrenza, pari opportunità e rendicontazione. L'iniziativa deve essere tale da incoraggiare la partecipazione delle ONG dei paesi con meno tradizione in materia.

1.12

Il CESE è convinto che, accanto alla formazione di carattere tecnico-professionale, ovviamente importante, occorra includere e tenere in maggiore considerazione elementi quali la formazione ai valori e al rispetto delle popolazioni colpite, la dimensione interculturale, il rispetto, gli aspetti psicosociali dell'aiuto, ecc., ossia, in definitiva, molti degli aspetti che caratterizzano l'attività umanitaria al di là di quelli tecnici.

1.13

Per quanto riguarda la partecipazione di imprese che hanno a loro volta esperienza di volontariato d'impresa o di altro tipo, il CESE ritiene che tale questione debba essere studiata approfonditamente, valutando anche il ruolo delle piccole e medie imprese.

2.   Aspetti generali

2.1

Sebbene il volontariato e l'azione volontaria facciano parte dell'acquis europeo, e le istituzioni dell'UE eseguano già da decenni progetti e programmi in questo campo, il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea contiene solo un riferimento specifico al volontariato, nel capo che riguarda l'aiuto umanitario, (articolo 214, paragrafo 5). Nel suddetto articolo si propone la creazione di un corpo volontario europeo di aiuto umanitario per inquadrare la partecipazione dei giovani alle azioni di aiuto umanitario.

2.2

Questo inserimento ha destato sorpresa per diversi motivi: si trattava dell'unico riferimento al volontariato nell'intero Trattato; il settore degli aiuti umanitari è forse uno dei più professionalizzati della cooperazione; e non vi sono riferimenti al volontariato in altri settori nei quali esiste un'esperienza europea, come la gioventù, il sociale, ecc. Nonostante ciò, dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona le istituzioni dell'UE si sono apprestate a realizzare questo progetto. La Commissione ha fatto eseguire vari studi sulla fattibilità e il possibile impatto dell'iniziativa, e sono stati avviati diversi progetti pilota per trarre conclusioni e procedere alla realizzazione pratica (2). Sono stati introdotti vari elementi nuovi, tra i quali l'adozione di una nuova denominazione (Volontari europei per l'aiuto umanitario) e la discussione di un regolamento inteso a disciplinare l'attuazione dell'iniziativa.

2.3

Il CESE desidera ricordare che il volontariato fa da sempre parte dell'attività di molte organizzazioni sociali europee e che, pertanto, nell'ambito dei lavori del Comitato si è prestata un'attenzione sempre maggiore al suo sviluppo, alla sua promozione, ecc.

2.4

Nel contempo, il CESE ha preso più volte posizione attraverso diversi pareri dedicati ad aspetti della cooperazione allo sviluppo e all'azione esterna dell'UE, insistendo in particolare sugli elementi più strettamente legati al proprio mandato, tra i quali il ruolo della società civile e i diritti lavorativi e sociali.

2.5

L'aiuto umanitario è una delle componenti dell'azione esterna dell'Unione ed è, per l'appunto, uno degli ambiti nei quali sono più evidenti la partecipazione e il ruolo centrale della società civile europea. Oltre il 47 % degli aiuti umanitari della Commissione europea fluisce attraverso le ONG (3), analogamente a quanto avviene nella maggior parte degli Stati membri. Inoltre, come risulta dalle indagini Eurobarometro, si tratta di una delle politiche dell'UE con il maggiore sostegno della cittadinanza (4).

2.6

L'adozione del regolamento (CE) n. 1275/96, nel 1996, ha offerto al lavoro umanitario della Commissione europea una solida base, che è stata in seguito integrata dal Consenso europeo sull'aiuto umanitario, sottoscritto dal Consiglio, dalla Commissione e dal Parlamento europeo nel 2007, e contenente il quadro generale della politica in materia di aiuti umanitari. Il testo definisce la visione comune, gli obiettivi politici e i principi dell'aiuto umanitario dell'UE, e propone la concezione di un'UE che risponde con una sola voce, e con maggiore efficacia, alle necessità umanitarie. Esso definisce inoltre il ruolo degli Stati membri e delle istituzioni comuni. Infine, l'articolo 214 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea sancisce l'aiuto umanitario come politica indipendente.

2.7

Il CESE condivide e fa propria la concezione espressa nel Consenso europeo sull'aiuto umanitario, secondo cui "l'obiettivo dell'aiuto umanitario dell'UE è fornire una risposta di emergenza fondata sulle esigenze volta a tutelare la vita, a prevenire e alleviare la sofferenza e a mantenere la dignità umana in ogni evenienza laddove governi e operatori locali siano travolti dagli eventi e non vogliano o non possano intervenire. L'aiuto umanitario dell'UE comprende l'esecuzione di interventi di assistenza, di soccorso e di protezione finalizzati a salvare e proteggere vite umane in crisi umanitarie o in situazioni di post-crisi, ma anche l'attuazione di tutte le misure intese ad agevolare o a consentire l'accesso alle popolazioni bisognose e il libero transito dell'aiuto. L'assistenza umanitaria dell'UE è fornita in risposta agli eventi di origine umana (comprese le emergenze complesse) e alle catastrofi naturali, secondo necessità" (5). Il CESE apprezza in modo particolare i riferimenti alla protezione delle vittime e alla salvaguardia della dignità umana, e ritiene che essi vadano oltre la concezione dell'aiuto come una mera attività di assistenza.

2.8

Il CESE sottolinea pertanto che, al di là delle definizioni del diritto umanitario internazionale, che sanciscono i diritti delle vittime, o degli stessi strumenti giuridici europei citati più sopra, per alcune organizzazioni umanitarie riconosciute, come Medici senza frontiere, l'azione umanitaria è un atto di solidarietà da società civile a società civile, da persona a persona, la cui finalità è preservare la vita e alleviare la sofferenza. A differenza di altri tipi di aiuto, non aspira a trasformare una società ma a superare un periodo critico. Si tratta di un impegno nei confronti delle persone e non degli Stati. Il ruolo della società civile in campo umanitario è fondamentale.

2.9

Il CESE desidera sottolineare che il concetto di aiuto umanitario si è andato evolvendo negli ultimi decenni fino a includere aspetti connessi alla prevenzione e alla riduzione del rischio, all'assistenza, alla protezione e alla riabilitazione in seguito a catastrofi o a conflitti. La stessa Unione europea, attraverso il consenso europeo sull'aiuto umanitario, si è assunta un ruolo guida in questa materia. Nel contempo, l'aiuto umanitario non riguarda soltanto il soddisfacimento dei bisogni, ma include elementi del cosiddetto approccio basato sui diritti e punta a ridare dignità alle persone. Nell'ambito di questa concezione di approcci basati sui diritti umani, il CESE può apportare elementi originali.

2.10

Il Comitato sottolinea inoltre che il Consenso europeo sull'aiuto umanitario o l'iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario possono contribuire a coinvolgere nel settore alcuni Stati membri che hanno meno tradizione ma un notevole potenziale per apportare nuove idee, un nuovo dinamismo e nuovi volontari. Una delle potenzialità dell'iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario dev'essere promuovere il volontariato in campo umanitario di cittadini di tutta l'UE.

2.11

Il CESE si compiace pertanto dell'iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario e desidera apportare il suo contributo al processo di elaborazione del relativo regolamento, trattando in particolare gli aspetti più direttamente connessi alla propria missione ed esperienza di organo dell'UE per la consultazione della società civile.

3.   Il volontariato nell'aiuto europeo

3.1

Il CESE concorda con le definizioni di volontariato fornite nella proposta di regolamento e già trattate in altri pareri. Il Comitato sottolinea il carattere spontaneo dell'azione volontaria e i rischi di confusione con altri tipi di azione di carattere lavorativo. In momenti di crisi economica come quello attuale, questo aspetto riveste particolare importanza, sia all'interno dell'UE che nella sua azione esterna. Per tale ragione, il CESE propone di valutare, in determinati casi, il possibile impatto economico del volontariato europeo nei paesi di destinazione.

3.2

Il CESE ricorda la necessità di coerenza tra le legislazioni vigenti nell'Unione europea in materia di volontariato e, soprattutto, di azioni internazionali di volontariato. Il CESE sottolinea che i differenti quadri giuridici in materia di volontariato possono ripercuotersi negativamente sull'iniziativa in oggetto (6).

3.3

Nel contempo, il CESE è persuaso che un'iniziativa come questa debba servire a favorire l'appropriazione delle tematiche del volontariato e dell'aiuto umanitario da parte degli Stati membri che hanno meno tradizione in quest'ambito. Si dovrà quindi provvedere ad agevolare la partecipazione delle organizzazioni di questi paesi e a promuovere l'inclusione di volontari e volontarie da tutta l'Unione, nel rispetto del principio delle pari opportunità. Il CESE propone di eseguire azioni specifiche per promuovere il coinvolgimento sia delle organizzazioni che dei volontari degli Stati membri in cui sinora si è registrata una minore partecipazione a missioni umanitarie.

3.4

Benché originariamente la proposta inclusa nel TFUE limitasse le attività all'aiuto umanitario, di fatto gran parte dei progetti pilota finanziati e buona parte dei compiti assegnati ai volontari rientrano piuttosto in ambiti quali la cooperazione allo sviluppo, la riduzione dei rischi di disastro, la riabilitazione e ricostruzione, la mitigazione, la resilienza, ecc. Il CESE considera logico questo adeguamento e propone di studiare in che modo possa evolversi in futuro l'azione umanitaria nell'ambito della cooperazione allo sviluppo da parte dell'UE.

3.5

Le attività di volontariato nell'aiuto umanitario europeo e, in generale, nelle azioni di cooperazione allo sviluppo, devono essere coerenti con le altre azioni delle istituzioni UE, completarle e integrarsi in esse. A giudizio del CESE, il volontariato può essere utile anche in altri ambiti della cooperazione internazionale allo sviluppo, ma il contributo da esso offerto va gestito con criteri di prudenza, ispirati al principio "non causare alcun danno" o di precauzione, limitando i contesti nei quali operano i volontari.

3.6

Il CESE approva, pertanto, che il Parlamento europeo abbia limitato le possibilità di partecipazione di volontari in situazioni di conflitto, in presenza di minacce alla sicurezza o in generale nei casi di emergenze complesse. Occorre in primis garantire la sicurezza dei beneficiari, dei volontari e del personale in genere, specialmente negli scenari in cui si svolgono le attività di volontariato.

3.7

A questo proposito, il CESE propone di avanzare nella definizione delle tipologie di progetto più adeguate al coinvolgimento dei volontari o, per lo meno, di fissare con maggior rigore i tipi di azioni che non dovrebbero contemplare la partecipazione dei volontari dell'iniziativa. Nel settore ampio e variegato dell'intervento umanitario occorre cercare i contesti che meglio si prestano al lavoro volontario.

3.8

Il CESE si rallegra altresì che si sia superato l'approccio basato esclusivamente sul volontariato dei giovani, previsto dal Trattato, per adottarne uno più realistico, che includa le diverse tipologie di volontariato, le capacità che richiedono, i valori che le differenziano, ecc. Il CESE ritiene che occorra adoperarsi per realizzare un adeguato equilibrio di genere nel progetto.

4.   Sfide relative all'attuazione dell'iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario

4.1

Le istituzioni europee hanno adottato un approccio prudente per l'attuazione dell'iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario. Per individuare alcune sfide future dovrebbe essere fondamentale la valutazione dei progetti pilota e delle iniziative realizzate finora. I risultati di tale valutazione dovrebbero essere condivisi con tutte le parti interessate, ed occorrerebbe discutere gli insegnamenti acquisiti.

4.2

L'inclusione di volontari deve avvenire sempre sulla base delle esigenze e delle richieste, e dopo che sono state analizzate e valutate la situazione e le necessità delle popolazioni colpite da disastri o crisi complesse. È fondamentale il legame con i meccanismi di coordinamento a livello sia europeo (Cohafa, meccanismi della DG ECHO…) che internazionale, attraverso l'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA).

4.3

Analogamente, vanno creati meccanismi chiari con le reti specializzate nel settore umanitario (per il momento) quali, tra le altre, la Federazione internazionale delle Società di Croce rossa e Mezzaluna rossa, le Organizzazioni di volontariato che cooperano nelle emergenze (VOICE) o il Consiglio internazionale delle agenzie di volontariato (ICVA).

4.4

La proposta di regolamento sottolinea l'esigenza di stabilire norme valide per tutte le fasi della mobilitazione di volontari in paesi terzi. Il CESE condivide questa preoccupazione e suggerisce che le suddette norme siano basate sulle buone pratiche del settore dell'aiuto umanitario e sulle iniziative rilevanti di qualità già esistenti (7).

4.5

Nel quadro di queste norme va attribuita un'importanza particolare alle questioni legate alla sicurezza e alla necessità di garantire condizioni sufficienti a consentire ai volontari di svolgere la loro attività e di apportare un valore aggiunto ai progetti umanitari.

4.6

Il volontariato consiste in una collaborazione prestata attraverso organizzazioni sociali e, in minor misura, istituzioni pubbliche di carattere civile. La qualità delle suddette istituzioni è particolarmente importante per il successo delle attività. Il CESE concorda sulla necessità di fare progressi verso meccanismi di certificazione delle organizzazioni fondati sull'esperienza e sull'acquis esistente nel settore umanitario. Propone pertanto di analizzare e valutare l'esperienza acquisita dalla DG ECHO circa il contratto quadro di associazione con le organizzazioni non governative e con le agenzie dell'ONU (8).

4.7

Il CESE esprime la convinzione che il meccanismo di certificazione debba essere messo a punto basandosi su tutte le suddette esperienze e tenendo conto dei principali criteri di trasparenza, libera concorrenza, pari opportunità e rendicontazione. L'iniziativa deve essere tale da incoraggiare la partecipazione delle ONG dei paesi con meno tradizione in materia. A tal fine il CESE propone di predisporre azioni specifiche volte a diffondere in tali Stati membri l'iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario e l'azione umanitaria in generale.

4.8

I criteri di certificazione devono essere applicabili – seppur con i necessari adeguamenti – anche alle organizzazioni beneficiarie dei paesi colpiti. Le azioni di rafforzamento delle capacità di dette organizzazioni devono costituire una priorità, occorre inoltre garantire il sostegno tecnico, logistico e finanziario del progetto. L'iniziativa può rappresentare uno strumento per appoggiare i partner del Sud e contribuire al rafforzamento delle società beneficiarie. Il CESE è stato particolarmente sensibile a questo tema e ha adottato diversi pareri in materia (9).

4.9

Il CESE sottolinea la necessità che le istituzioni che inviano e accolgono i volontari siano di carattere civile, al fine di garantire il rispetto dei principi e dei valori umanitari, nonché la loro accettazione da parte delle comunità interessate.

4.10

Per quanto riguarda la partecipazione di imprese che hanno a loro volta esperienza di volontariato d'impresa o di altro genere, il CESE ritiene opportuno studiare approfonditamente questo aspetto al fine di proporre alcuni meccanismi per detta partecipazione. Ritiene che si debba comunque promuovere il ruolo delle piccole e medie imprese e non soltanto, come è avvenuto talvolta, quello delle grandi corporazioni che dispongono di reparti competenti per la responsabilità sociale delle imprese o simili.

4.11

La formazione dei candidati a partecipare all'iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario è essenziale per garantire il successo delle azioni. Il CESE è convinto che, accanto alla formazione di carattere tecnico-professionale, ovviamente importante, occorra includere e tenere in maggiore considerazione elementi quali la formazione ai valori e al rispetto delle popolazioni colpite, la dimensione interculturale, il rispetto, gli aspetti psicosociali dell'aiuto, ecc., ossia, in definitiva, molti degli aspetti che caratterizzano l'attività umanitaria al di là di quelli tecnici. È precisamente questa attenzione per i principi e i valori che distingue l'azione umanitaria e che deve avere un ruolo primario nella formazione dei volontari.

4.12

A tal fine, è bene poter fare affidamento su soggetti che già hanno esperienza in materia nei diversi Stati membri e sulle reti di formazione di livello europeo, non soltanto quelle tra università ma anche quelle create da istituzioni senza scopo di lucro. Va tenuto conto, in particolare, della valutazione delle azioni di formazione facenti parte dei progetti pilota già realizzati. Il CESE invita a raccogliere quanto prima le buone pratiche in questo campo, per utilizzarle come valori di riferimento (benchmark) per proposte future.

4.13

La proposta di regolamento prevede la creazione di una banca dati di tutti i potenziali volontari da mobilitare successivamente attraverso le organizzazioni accreditate o, eventualmente, i servizi della Commissione. Il CESE osserva che l'adesione di un volontario a un'organizzazione non dipende soltanto dai requisiti tecnici, ma anche, tra l'altro, da una certa affinità sul piano dei valori comuni e dall'accettazione del mandato e della missione dell'organizzazione stessa. Pertanto, indipendentemente dalla modalità finale della banca dati dei volontari predisposta dalla Commissione europea, il CESE chiede che venga considerato questo aspetto.

4.14

L'attuazione dell'iniziativa Volontari europei per l'aiuto umanitario rappresenta un'opportunità per ampliare le azioni di sensibilizzazione e di educazione dei cittadini europei alla solidarietà, alla necessità di mantenere il livello degli aiuti anche in tempo di crisi e alla promozione dei valori universali. Al di là della mera visibilità delle azioni, il CESE, come già in altri pareri, sottolinea la necessità di creare un legame più stretto con i cittadini. In questo ambito svolgono un ruolo fondamentale le organizzazioni della società civile, molte delle quali sono rappresentate nel Comitato stesso. Il CESE è favorevole a concentrare le azioni di diffusione pubblica negli Stati membri che hanno tradizioni meno consolidate in materia di aiuto umanitario.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente sdel Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Corpo volontario europeo di aiuto umanitario, COM(2012) 514 final.

(2)  La DG ECHO ha fatto eseguire tre studi di prospettiva sul tema, nel 2006, nel 2010 e nel 2012. Review concerning the establishment of a European Voluntary Humanitarian Aid Corps (Valutazione della creazione di un corpo europeo volontario di aiuto umanitario), 2006. Review concerning the establishment of a European Voluntary Humanitarian Aid Corps. Final report (Valutazione della creazione di un corpo europeo volontario di aiuto umanitario. Relazione conclusiva), 2010. Impact assessment on the establishment of a European Voluntary Humanitarian Aid Corps (Valutazione d'impatto della creazione di un corpo europeo volontario di aiuto umanitario), 2012, con conclusioni differenti.

(3)  Dati ECHO per il 2012 http://ec.europa.eu/echo/files/funding/figures/budget_implementation/AnnexV.pdf.

(4)  Dall'indagine Eurobarometro del marzo 2012, dedicata a questo tema, risulta che l'88 % dei cittadini europei è favorevole all'impiego di fondi dell'UE per questi compiti, http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_383-384_fact_it_it.pdf.

(5)  Articolo 8 del Consenso. GU C 25 del 30.1.2008, pagg. 1-12. Il Consenso menziona anche iniziative che definiscono i diritti delle vittime di crisi umanitarie e ne prevedono la protezione, come il progetto Sphère, "Carta umanitaria" e standard minimi SPHERE.

(6)  Cfr. il parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Comunicazione sulle politiche dell'UE e il volontariato: riconoscere e promuovere le attività di volontariato transfrontaliero nell'UE, COM(2011) 568 final, GU C 181, del 21.6.2012, pagg. 150-153.

(7)  Il CESE propone dedicare particolare attenzione alla Joint Standards Initiative (Iniziativa per norme comuni - JSI) messa in atto da tre delle più importanti iniziative per il miglioramento dell'azione umanitaria: il progetto SPHERE, la Humanitarian Accountability Partnership Initiative (Iniziativa di partenariato per la rendicontazione in ambito umanitario - HAP) e il codice di People in Aid.

(8)  Occorrerebbe anche monitorare le proposte del Comitato direttivo per la risposta umanitaria, attualmente in discussione e studiare i meccanismi di accreditamento introdotti in alcuni Stati membri, per cercare impostazioni coerenti ed evitare duplicazioni.

(9)  Cfr. il parere CESE sul tema Partecipazione della società civile alle politiche di sviluppo dell'UE e alla cooperazione allo sviluppo, GU C 181, del 21.6.2012, pagg. 28-34.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/16


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Una cittadinanza più inclusiva aperta agli immigrati» (parere d’iniziativa)

2014/C 67/04

Relatore: PARIZA CASTAÑOS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 febbraio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Una cittadinanza più inclusiva aperta agli immigrati.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 176 voti favorevoli, 10 voti contrari e 14 astensioni.

1.   Raccomandazioni e proposte

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea che negli ultimi dieci anni nell'UE sono stati fatti passi avanti particolarmente significativi volti all'equiparazione dei diritti, delle libertà e delle garanzie legate allo status di cittadinanza europea, rafforzando il criterio di soggiorno rispetto a quello di nazionalità. La cittadinanza europea si sta evolvendo nella direzione di una cittadinanza di soggiorno, legata alla Carta dei diritti fondamentali e ai valori e principi del Trattato (TFUE).

1.2

Il CESE ritiene che sia giunto il momento di valutare ed analizzare quale siano i compiti non ancora portati a termine e gli ostacoli che ancora sussistono affinché una cittadinanza europea più inclusiva, partecipativa e civica sia aperta all'integrazione di tutte le persone che soggiornano stabilmente nell'UE.

1.3

In questo 21° secolo, noi europei dobbiamo affrontare una grande sfida: ampliare le basi delle nostre democrazie, includendo nuovi cittadini che siano uguali per diritti e doveri; a tal fine il diritto alla nazionalità degli Stati membri e alla cittadinanza europea deve includere tutte le persone che provengono da un contesto d'immigrazione, le quali apportano una grande diversità nazionale, etnica, religiosa e culturale. Il Comitato ritiene che le democrazie europee siano società libere e aperte, e che debbano fondarsi sull'inclusione di tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro origini e dai loro punti di riferimento.

1.4

Il CESE propone di aprire una riflessione sulla questione se le attuali basi normative e politiche su cui si fonda la politica europea in materia di immigrazione, cittadinanza e integrazione siano sufficienti per le odierne società europee, sempre più pluralistiche e ricche in termini di diversità.

1.5

La crisi economica ha fatto sparire dall'agenda politica la protezione dei diritti fondamentali, l'integrazione e la lotta alla discriminazione. Il CESE mette in guardia contro i rischi legati all'aumento dell'intolleranza, del razzismo e della xenofobia nei confronti degli immigrati e delle minoranze. È necessario che i dirigenti politici e sociali e i mezzi di comunicazione agiscano con un alto senso di responsabilità e con grande pedagogia politica e sociale per prevenire questi comportamenti, e che le istituzioni dell'UE agiscano con decisione per proteggere i diritti fondamentali.

1.6

Il Comitato intende inviare un messaggio chiaro a coloro che, sulla base di un nazionalismo escludente, definiscono l'identità nazionale e quella europea in modo da negare i diritti di cittadinanza a milioni di persone con uno status giuridico debole, a causa della loro origine nazionale. Occorre migliorare la qualità della democrazia in Europa ampliando l'accesso alla nazionalità degli Stati membri e alla cittadinanza europea.

Raccomandazioni agli Stati membri:

1.7

Numerosi Stati membri hanno legislazioni restrittive in materia di accesso alla nazionalità; il CESE raccomanda pertanto che tali Stati adottino legislazioni e procedure amministrative più flessibili affinché i cittadini di paesi terzi che abbiano lo status di soggiornante di lungo periodo (1) possano accedere alla nazionalità.

1.8

Il Comitato esorta gli Stati membri a sottoscrivere convenzioni con i paesi di origine degli immigrati affinché essi possano ottenere la doppia nazionalità.

1.9

Gli Stati membri devono sottoscrivere e ratificare la Convenzione europea sulla nazionalità del 1997 e la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale del 1992, nonché rispettare, nelle loro politiche in materia di accesso e perdita della nazionalità, i principi di proporzionalità, diritto a un ricorso legale effettivo e non discriminazione.

1.10

Il CESE prende atto delle barriere che diversi Stati membri mantengono in materia di diritti politici (di voto, di associazione, di partecipazione politica) e raccomanda loro di modificare le rispettive legislazioni affinché i cittadini di paesi terzi che risiedono stabilmente sul loro territorio possano godere dei suddetti diritti politici.

Proposta per la riforma del Trattato:

1.11

Il Comitato propone all'Unione europea di modificare in futuro, quando si aprirà un nuovo processo di riforma del TFUE, l'articolo 20 di tale Trattato, affinché siano cittadini dell'Unione anche i cittadini di paesi terzi che risiedano stabilmente nell'UE e godano dello status di soggiornante di lungo periodo.

1.12

Per concedere la cittadinanza dell'Unione deve essere utilizzato il criterio del soggiorno delle persone. Come il CESE ha già affermato in un parere precedente (2), il soggiorno costituisce già, nel diritto europeo, un criterio per l'attribuzione, ai cittadini di paesi terzi, di diversi diritti e libertà di natura economica, sociale, culturale e civile. Molti di questi diritti sono di natura analoga a quelli garantiti dalla cittadinanza europea. Attualmente, tuttavia, sono esclusi alcuni diritti politici, come quello di voto. Il CESE ribadisce pertanto che "la residenza legale stabile deve diventare anche un mezzo per accedere alla cittadinanza dell'Unione europea" (3).

Proposte alle istituzioni europee

1.13

La Carta dei diritti fondamentali dell'UE ha carattere vincolante e crea un nuovo quadro per le politiche europee in materia di immigrazione, integrazione e cittadinanza. La Commissione deve analizzare le modalità con cui la Carta incide sullo status e sui diritti dei cittadini di paesi terzi, al fine di lanciare nuove iniziative volte ad adattare la legislazione in materia di immigrazione alle garanzie sancite dalla Carta.

1.14

La Carta stabilisce i fondamenti generali di un nuovo concetto di cittadinanza civica (insieme comune di diritti e doveri fondamentali) per i cittadini di paesi terzi. Il Comitato propone che lo sviluppo di questa cittadinanza civica divenga una delle priorità del nuovo programma politico che sostituirà il programma di Stoccolma a partire dal 2014.

1.15

L'UE deve adottare un Codice dell'immigrazione che apporti maggior trasparenza e chiarezza giuridica sui diritti e sulle libertà dei cittadini di paesi terzi che risiedono nell'UE. A giudizio del CESE, la legislazione europea in materia di immigrazione deve garantire la parità di trattamento e il principio di non discriminazione.

1.16

La Commissione deve valutare i problemi che sussistono a livello pratico, negli Stati membri, nell'ambito della protezione dei diritti fondamentali dei cittadini di paesi terzi, in particolare per quanto riguarda i diritti sociali, la mobilità e l'accesso a un ricorso legale effettivo.

1.17

La Commissione deve esaminare gli ostacoli che alcuni Stati membri frappongono all'applicazione dello status di soggiornante di lungo periodo e della carta blu (4), e concludere in via definitiva le procedure di infrazione contro gli Stati membri che non applicano la normativa UE.

1.18

Nel quadro dell'agenda per l'integrazione, la Commissione deve procedere a una valutazione delle procedure e degli ostacoli esistenti negli Stati membri per l'ottenimento e la perdita della nazionalità, e del loro impatto sulla cittadinanza dell'Unione.

1.19

Il Comitato invita la Commissione europea a elaborare una relazione sullo stato dei dibattiti in seno all'UE a proposito della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie (5). La Commissione dovrebbe inoltre preparare le condizioni per la ratifica di detta convenzione.

2.   La cittadinanza europea

2.1

Il 2013 è stato proclamato Anno europeo dei cittadini. La cittadinanza dell'Unione europea rappresenta uno degli strumenti più efficaci per costruire un'identità comune a tutti gli europei. Il Comitato considera di grande attualità la filosofia politica che presente già alle origini dell'Unione europea, quando Jean Monnet affermava: "Noi non coalizziamo Stati, ma uniamo uomini".

2.2

La cittadinanza europea non è un concetto privo di contenuti, ma rappresenta uno statuto giuridico e politico concreto composto di diritti e libertà. Ai sensi dell'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea (TUE), la democrazia, la libertà, lo Stato di diritto, l'uguaglianza e i diritti umani sono i valori fondamentali dell'Unione europea.

2.3

Il CESE ritiene che in momenti difficili com'è quello attuale, con la grave crisi economica, sociale e politica che affligge l'Europa, sia necessario mettere in moto strategie innovative per promuovere una cittadinanza più aperta e inclusiva e rafforzare la fiducia di tutte le persone che risiedono nell'Unione europea.

2.4

La Commissione europea ha pubblicato la seconda relazione sulla cittadinanza europea, dal titolo Cittadini dell’Unione: i vostri diritti, il vostro futuro, nella quale si analizzano alcuni degli ostacoli e dei problemi esistenti. Il CESE accoglie con favore la relazione della Commissione, ma mette in risalto l'assenza di un'azione politica riguardante i cittadini di paesi terzi che godono di diritti e libertà analoghi a quelli dei cittadini europei senza avere però pieni diritti di cittadinanza.

2.5

Il Comitato ha lanciato numerose iniziative per promuovere una cittadinanza europea più attiva, ma richiama l'attenzione sulla gravità del problema costituito dal fatto che molti giovani, discendenti di immigrati di seconda o terza generazione, subiscono gravi situazioni di discriminazione e di esclusione, che indeboliscono sensibilmente il loro senso di appartenenza a una società che li considera "cittadini di seconda classe".

3.   L'agenda europea per l'integrazione: la partecipazione dei migranti al processo democratico

3.1

Già 10 anni or sono il CESE aveva proposto di fare dell'integrazione una parte fondamentale della politica comune in materia di immigrazione, e aveva invocato la creazione di un'agenda europea. Nel 2004 il Consiglio ha approvato i principi fondamentali comuni per l'integrazione, tra i quali figurano i seguenti: "l'accesso degli immigrati alle istituzioni nonché a beni e servizi pubblici e privati, su un piede di parità con i cittadini nazionali e in modo non discriminatorio, costituisce la base essenziale di una migliore integrazione"; e "la partecipazione degli immigrati al processo democratico e alla formulazione delle politiche e delle misure di integrazione, specialmente a livello locale, favorisce l'integrazione dei medesimi".

3.2

La Commissione europea, in collaborazione con il CESE, sta mettendo a punto l'agenda europea per l'integrazione e promuove l'organizzazione di numerose attività di sostegno agli Stati membri. Il CESE e la Commissione hanno creato il Forum europeo dell'integrazione (6) per agevolare la partecipazione degli immigrati e delle organizzazioni della società civile.

3.3

Il Comitato ha contribuito all'agenda per l'integrazione attraverso l'elaborazione di diversi pareri (7).

3.4

Il Forum ha valutato l'importanza della partecipazione degli immigrati al processo democratico ai fini della loro integrazione, giungendo alla conclusione che l'integrazione è migliore negli Stati membri che facilitano l'accesso degli immigrati ai diritti di cittadinanza. Il CESE raccomanda pertanto agli Stati membri di adottare, nell'ambito delle loro legislazioni nazionali, norme più flessibili affinché i cittadini di paesi terzi che abbiano lo status di soggiornante di lungo periodo possano accedere alla nazionalità.

3.5

Il Comitato apprezza che i sindacati, i datori di lavoro e le ONG abbiano un atteggiamento favorevole all'integrazione e agevolino la partecipazione degli immigrati alla vita democratica delle rispettive organizzazioni. La società civile si rivolge ai cittadini di paesi terzi affinché siano membri attivi di tali organizzazioni.

3.6

L'integrazione è un processo bidirezionale di reciproco adattamento tra gli immigrati e la società di accoglienza, che dev'essere favorito nell'Unione europea attraverso una buona governance a livello nazionale, regionale e locale. Un approccio comune europeo presenta un grande valore aggiunto in quanto collega l'integrazione ai valori e ai principi del Trattato, alla parità di trattamento e alla non discriminazione, alla Carta dei diritti fondamentali, alla Convenzione europea dei diritti umani e alla strategia Europa 2020.

3.7

La legislazione europea in materia di immigrazione deve garantire la parità di trattamento e il principio di non discriminazione. A tale proposito va ricordata la questione dei diritti e delle possibilità in materia di uso della lingua e di pratica del culto. Il Comitato giudica molto positivamente l'iniziativa lanciata dalla Commissione con la proposta di direttiva (8) volta ad agevolare l'esercizio dei diritti dei lavoratori europei nel quadro della libera circolazione.

3.8

Il CESE ha tuttavia proposto che tutte le persone che risiedono nell'UE siano trattate in modo equo, indipendentemente dal loro status di migranti o dalla loro nazionalità. A tal fine occorre superare alcuni dei limiti che caratterizzano attualmente lo status di cittadinanza dell'Unione.

4.   Nazionalità, soggiorno e cittadinanza dell'Unione europea

4.1

Il Comitato intende aggiornare la riflessione sulla natura della cittadinanza europea, per quanto riguarda le persone che sono cittadini di paesi terzi e risiedono legalmente nell'UE. È necessario tornare all'impostazione originariamente stabilita nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere (9). La parità ed equità di trattamento tra cittadini europei e cittadini di paesi terzi definita a Tampere (10) costituisce tuttora una priorità politica, perché gli obiettivi stabiliti non sono ancora stati raggiunti dopo 14 anni di sviluppo della politica comune di immigrazione.

4.2

La concessione della nazionalità è di competenza degli Stati membri, ciascuno secondo la propria legislazione. Attualmente, infatti, il Trattato non conferisce all'UE alcuna competenza di armonizzazione legislativa, e la concessione di detto diritto è una questione di sovranità nazionale.

4.3

In tutti gli Stati membri, tuttavia, le organizzazioni degli immigrati, i sindacati e altre ONG promuovono iniziative e dibattiti per ridurre i termini, rendere più flessibili le procedure di naturalizzazione e di accesso alla nazionalità per gli immigrati e facilitare l'integrazione, tenendo conto che non è possibile integrarsi in una società o in uno Stato che escludono dalla parità di trattamento e dai diritti di partecipazione le persone che risiedono stabilmente nello Stato stesso.

4.4

Il concetto di cittadinanza europea è saldamente radicato nei Trattati, nel diritto dell'Unione e nella Carta dei diritti fondamentali. Il Trattato (TFUE), in particolare all'articolo 20, afferma che "è cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce". La nazionalità, con le modalità per la sua acquisizione e perdita stabilite da ciascun ordinamento legislativo nazionale, costituisce in questo senso la "chiave di volta" per avere accesso alla cittadinanza dell'UE (11).

4.5

Lo stretto legame esistente tra lo status di cittadino europeo e di cittadino di uno Stato membro è stato oggetto di numerosi dibattiti e critiche fin dall'introduzione della cittadinanza europea nel 1992 con il Trattato di Maastricht. Detto legame comporta, in linea di principio, l'esclusione formale dalla cittadinanza dell'Unione dei cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nell'UE, ragion per cui queste persone sono rimaste "invisibili" nei dibattiti europei sulla cittadinanza, nonché escluse dalla partecipazione alla politica e alla vita democratica.

4.6

Una lettura restrittiva della cittadinanza dell'Unione afferma l'esistenza di un gruppo omogeneo e chiaramente identificabile di persone denominate "cittadini europei" e di un altro gruppo di persone qualificate come "cittadini di paesi terzi", che non sono considerati cittadini dell'Europa.

4.7

Chi sono, però, questi "cittadini europei"? È corretto limitare l'ambito della cittadinanza dell'Unione alle persone che hanno la nazionalità di uno Stato membro? I cittadini di paesi terzi hanno già alcuni diritti e libertà simili e comparabili a quelli dei cittadini europei? Quali sono i limiti e le sfide che deve affrontare oggi la cittadinanza dell'Unione? Qual è il ruolo della partecipazione politica e del diritto di voto in questo contesto? Perché molti giovani discendenti di immigrati continuano a essere "cittadini di seconda classe"? Se la partecipazione degli immigrati al processo democratico ne facilita l'integrazione, perché ne sono esclusi?

4.8

Fino a oggi, a decidere chi sia o non sia cittadino dell'Unione sono stati, in modo indiretto, gli Stati membri. Questa situazione deve cambiare affinché la cittadinanza dell'Unione sia l'anima dell'integrazione europea.

5.   Una cittadinanza europea "civica"

5.1

La Carta dei diritti fondamentali stabilisce le basi generali di un nuovo concetto di cittadinanza civica, inclusiva e partecipativa che a giudizio del CESE è necessario sviluppare.

5.2

Secondo la Commissione, la Carta può costituire un punto di riferimento per lo sviluppo del concetto di cittadinanza civica (con un insieme comune di diritti e doveri di base) per i cittadini di paesi terzi.

5.3

La Carta dei diritti fondamentali dell'UE ha carattere vincolante, con un valore giuridico simile a quello dei Trattati. La Carta ha trasformato e consolidato i componenti dello status di cittadinanza dell'Unione. Il suo ambito di applicazione in riferimento alle persone include tanto i cittadini europei quanto quelli dei paesi terzi. Il Capo V "Cittadinanza" è dedicato ai "diritti dei cittadini", ma l'articolo 41 (diritto ad una buona amministrazione) e l'articolo 45, paragrafo 2 (libertà di circolazione e di soggiorno), includono anche i cittadini dei paesi terzi.

5.4

Il CESE sottolinea che le altre disposizioni della Carta si applicano a tutte le persone indipendentemente dalla loro nazionalità. La Carta limita la discrezionalità degli Stati membri per quanto riguarda le questioni connesse con la sicurezza del soggiorno la riunificazione familiare, l'espulsione e persino l'acquisizione e la perdita della nazionalità. Uno degli aspetti fondamentali è il Capo VI "Giustizia", che include il diritto a una giustizia efficace e a un ricorso legale effettivo in caso di violazione dei diritti fondamentali e di cittadinanza.

5.5

Il CESE ritiene che la combinazione tra la cittadinanza dell'UE e la Carta possa avere effetti profondi al momento di ampliare l'ambito di applicazione dello status di cittadino europeo. Una delle sfide più importanti ancora da affrontare consiste nel garantire l'accesso a una protezione giuridica efficace dei cittadini dei paesi terzi i cui diritti e libertà fondamentali siano stati oggetto di deroghe o di violazione da parte degli Stati membri e dalle loro autorità nell'ambito del diritto europeo (12).

5.6

Durante i lavori di preparazione della Convenzione europea, il CESE ha adottato una risoluzione nella quale affermava: "Occorre migliorare le politiche d'integrazione degli immigranti. Il Comitato chiede che la Convenzione europea studi la possibilità di concedere la cittadinanza dell'Unione ai cittadini dei paesi terzi che hanno lo status di residenti di lunga durata" (13).

5.7

Nella sua comunicazione su una politica comunitaria in materia di immigrazione (14), la Commissione si è posta l'obiettivo di mettere a punto un quadro legislativo europeo per l'ammissione e il soggiorno di cittadini di paesi terzi e di introdurre uno status giuridico comune fondato sul principio dell'attribuzione di diritti e responsabilità su un piano di parità con i cittadini europei, differenziati però in funzione della durata del soggiorno.

5.8

Consentire agli immigrati di acquisire la cittadinanza una volta trascorso un periodo minimo di anni, potrebbe rappresentare una garanzia sufficiente affinché molti immigrati si inseriscano con successo nella società, o potrebbe costituire il primo passo verso l'ottenimento della cittadinanza dello Stato membro di soggiorno.

5.9

Nel suo parere sul tema Integrazione nella cittadinanza dell'Unione europea, il Comitato ha affermato che la nozione estesa di cittadinanza europea corrisponde a quella adottata dalla Commissione sotto la denominazione di "cittadinanza civica".

5.10

Il CESE ha affermato che una "cittadinanza civica" a livello europeo dovrebbe essere intesa come una "cittadinanza partecipativa e inclusiva" che valga per tutte le persone che soggiornano stabilmente nel territorio dell'Unione che abbia come asse centrale il principio di uguaglianza di tutte le persone di fronte alla legge. Nel già citato parere sul tema Integrazione alla cittadinanza dell'Unione europea, il CESE ha già sottolineato che in questo modo si sancirebbe "l'impegno di dare un trattamento equo allo scopo di incentivare e agevolare l'integrazione civica dei cittadini dei paesi terzi stabilmente e regolarmente residenti in uno degli Stati membri dell'Unione (uguaglianza davanti alla legge)", e si potrebbe combattere la discriminazione di cui sono vittime, oggi, i cittadini di paesi terzi.

6.   A dieci anni di distanza, rimangono problemi da risolvere

6.1

Nel corso dell'ultimo decennio l'Europa ha lanciato politiche, ha adottato atti legislativi e ha emanato giurisprudenza di grande rilevanza tanto per la cittadinanza dell'Unione quanto per lo status dei cittadini di paesi terzi. Questi processi hanno comportato una graduale estensione, sulla base del soggiorno, dei diritti, delle libertà e delle garanzie propri della cittadinanza europea. Il CESE ritiene tuttavia che detta estensione sia incompleta e tuttora soggetta a limiti eccessivi.

6.2

Uno dei passi più importanti in ambito legislativo è stata l'adozione della direttiva 2004/38 sulla cittadinanza, che ha armonizzato in un unico strumento giuridico il quadro normativo europeo in materia di circolazione e soggiorno, precedentemente disperso e frammentato. L'UE è stata particolarmente attiva nel riconoscimento di diritti e nell'adozione di disposizioni per eliminare la discriminazione nei confronti dei cittadini di paesi terzi che sono familiari di cittadini europei. La direttiva riconosce esplicitamente a questi familiari, che sono cittadini di paesi terzi, diversi diritti e libertà di natura molto simile a quelli di cui godono i cittadini europei.

6.2.1

Il CESE condivide la posizione della Commissione quando afferma che una delle sfide più importanti consiste nel rendere accessibili i diritti stabiliti dalla direttiva a tutte le persone, nella loro vita quotidiana, eliminando alcune cattive pratiche nazionali e nell'offrire una protezione giuridica efficace a coloro le cui libertà di cittadinanza siano state lese.

6.2.2

Mentre questi "diritti di cittadinanza" derivano direttamente dall'esistenza di rapporti familiari, essi sono accessibili solo nel momento in cui i cittadini europei e i loro familiari esercitano il diritto alla libera circolazione o emigrano in un secondo Stato membro. L'atto di mobilità intraeuropea continua a essere una delle condizioni da soddisfare affinché sia garantita la protezione conferita dalla cittadinanza europea ai familiari (15). La direttiva riconosce inoltre un diritto permanente di soggiorno dopo un periodo di soggiorno di cinque anni.

6.2.3

Il CESE ritiene tuttavia che le autorità nazionali continuino ad applicare leggi e pratiche che ostacolano la libertà di circolazione e di soggiorno dei familiari dei cittadini europei. Persistono inoltre situazioni di discriminazione "a rovescio" nei confronti di familiari stranieri di cittadini europei alle quali si deve porre rimedio (16).

6.3

La Corte di giustizia dell'UE è stata molto attiva e ha svolto un ruolo positivo nel proteggere e interpretare in modo proattivo i riferimenti normativi e i diritti individuali della cittadinanza europea (17). La Corte ha affermato che la cittadinanza europea è destinata a essere lo status fondamentale dei cittadini europei (18).

6.3.1

Il CESE si compiace della giurisprudenza della Corte in materia di cittadinanza e sottolinea che, con l'adozione della direttiva, se ne è recepita la maggior parte, in quanto ne sono state riprese le sentenze più pertinenti per quanto riguarda i temi connessi con la libera circolazione e la cittadinanza europea emesse fino al 2004.

6.3.2

La Corte ha anche elaborato un'ampia giurisprudenza riguardo ai principi generali del diritto europeo (19), come la proporzionalità e la non discriminazione, che si applicano a tutte le persone che siano interessate dalle azioni o dal diritto dell'UE, indipendentemente dalla loro nazionalità o dal loro status di immigrati. La giurisprudenza riguarda anche le competenze degli Stati membri in materia di acquisizione e perdita della nazionalità e le loro implicazioni per la cittadinanza europea e i diritti a essa connessi.

6.3.3

La Corte ha affermato a più riprese che, nell'esercizio delle loro competenze in materia di nazionalità, gli Stati membri hanno l'obbligo di dedicare un'attenzione speciale alle conseguenze della loro legislazione e delle loro decisioni nell'ambito del diritto europeo riguardante la cittadinanza e la libera circolazione, e in particolare il pieno esercizio dei diritti e delle libertà inerenti alla cittadinanza dell'Unione (20).

6.4

Dal 2003 è in vigore un pacchetto di diritto europeo in materia di immigrazione, con strumenti giuridici relativi alle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che offrono diritti e garanzie; alcuni di questi strumenti sono simili a quelli garantiti dalla cittadinanza europea. La direttiva 2003/109  (21) relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo ha istituito uno status giuridico comune per i cittadini di paesi terzi che soggiornino legalmente e in modo ininterrotto per un periodo di cinque anni nel territorio di uno Stato membro.

6.4.1

Il CESE sottolinea che la filosofia alla base della direttiva era quella di ridurre la distanza tra lo status dei cittadini europei e quello dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e di proteggere la sicurezza del loro soggiorno nell'UE. Lo status comune, tuttavia, non offre ancora né l'uguaglianza, né la piena cittadinanza, a queste persone, ma rappresenta una "quasi uguaglianza" o "quasi cittadinanza di terza classe", sottoposta a numerose condizioni (22). Come ha fatto notare la Commissione europea nella sua relazione sull'attuazione della direttiva (23), se è vero che l'articolo 11 della stessa prevede una quasi parità di trattamento tra i soggiornanti di lungo periodo e i cittadini europei, esiste una grave carenza di informazioni circa le modalità di applicazione, fatto che provoca problemi sul piano della sua effettiva attuazione.

6.4.2

D'altro canto, la direttiva prevede, come uno degli elementi che le conferiscono il suo valore aggiunto, la possibilità di esercitare la "libera circolazione" o mobilità verso un secondo Stato membro e di godere di un trattamento "quasi paritario". L'inclusione di una dimensione di mobilità intraeuropea o di libera circolazione ci ricorda lo stesso modello di cittadinanza dell'Unione che ha seguito il diritto europeo di cittadinanza per promuovere la mobilità intraeuropea.

6.5

Anche altre direttive che formano parte del diritto europeo dell'immigrazione includono un approccio e una dimensione di "mobilità intraeuropea" simile a quella dello status di soggiornante di lungo periodo, volti a rendere più attraenti i mercati del lavoro europei, come fa per esempio la direttiva 2009/50 sulla Carta blu per gli immigrati altamente qualificati.

6.6

Tuttavia il CESE ritiene che, per effetto di un'attuazione imperfetta delle direttive da parte di alcuni Stati membri, le condizioni e i criteri applicabili ai cittadini di paesi terzi e alle loro famiglie per soggiornare e lavorare in un secondo Stato membro, diverso da quello che ha concesso loro il permesso di soggiorno europeo, siano lungi da essere equiparabili alla libertà di circolazione transfrontaliera di cui godono i cittadini europei.

6.7

Inoltre, il carattere frammentario e settoriale del quadro legislativo in materia di immigrazione legale non favorisce una parità di trattamento e un quadro uniforme di diritti per i cittadini di paesi terzi che soggiornano e intendono esercitare la libertà di circolazione nell'UE (24).

7.   Il dialogo con i paesi d'origine

7.1

Il Comitato ha proposto in altri pareri di migliorare il dialogo politico e sociale con i paesi d'origine degli immigrati trasferitisi in Europa, e si rallegra della conclusione di diversi accordi.

7.2

Il dialogo deve riguardare anche i diritti di cittadinanza. Il Comitato ritiene che gli accordi tra Stati che consentono la doppia nazionalità siano particolarmente utili per garantire ai cittadini di paesi terzi il godimento dei diritti civili, sociali e politici.

7.3

Alcuni Stati membri, tuttavia, condizionano i diritti politici alla reciprocità. Il Comitato fa presente che, pur trattandosi di uno strumento positivo, la reciprocità in alcuni casi comporta una limitazione dei diritti delle persone qualora i paesi d'origine non condividano tale criterio.

7.4

Il CESE auspica che l'UE, attraverso la sua politica estera, si impegni a fondo per la promozione di una governance mondiale delle migrazioni internazionali nel quadro delle Nazioni Unite, che si basi, tra gli altri strumenti giuridici internazionali di applicazione, sulla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, sulla Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie (il CESE ha proposto (25) all'UE di ratificarla), sul Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, sul Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e sulle Convenzioni dell'OIL.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Direttiva 2003/109.

(2)  GU C 208, 3.9.2003, pag. 76.

(3)  GU C 208 del 3.9.2003, punto 4.3.

(4)  Direttiva 2009/50.

(5)  Risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite 18.12.1990.

(6)  http://ec.europa.eu/ewsi/en/policy/legal.cfm

(7)  GU C 318 del 29.10.2011, pagg. 69–75; GU C 48 del 15.2.2011, pagg. 6–13; GU C 354 del 28.12.2010, pagg. 16–22; GU C 347 del 18.12.2010, pagg. 19–27; GU C 128 del 18.5.2010, pagg. 29–35; GU C 27 del 3.2.2009, pagg. 95–98; GU C 318 del 23.12.2006, pagg. 128-136; GU C 125 del 27.5.2002, pagg. 112-122.

(8)  COM(2013) 236 final.

(9)  Conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, Presidenza, 15 e 16 ottobre 1999.

(10)  Cfr. il punto 18, che recita:

"L'Unione europea deve garantire l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri. Una politica di integrazione più incisiva dovrebbe mirare a garantire loro diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'UE. Essa dovrebbe inoltre rafforzare la non discriminazione nella vita economica, sociale e culturale e prevedere l'elaborazione di misure contro il razzismo e la xenofobia";

e il punto 21, in cui si indica la seguente priorità:

"Occorre ravvicinare lo status giuridico dei cittadini dei paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri. Il Consiglio europeo approva l'obiettivo di offrire ai cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente in maniera prolungata l'opportunità di ottenere la cittadinanza dello Stato membro in cui risiedono."

(11)  De Groot, G.R. (1998), The relationship between the nationality legislation of the Member States of the European Union and European Citizenship, capitolo VI, in M. La Torre (ed.), European Citizenship: An Institutional Challenge, L'Aia: Kluwer International Law.

(12)  S. Carrera, M. De Somer and B. Petkova (2012), The Court of Justice of the European Union as a Fundamental Rights Tribunal: Challenges for the Effective Delivery of Fundamental Rights in the Area of Freedom, Security and Justice, CEPS Policy Brief, Centro per gli studi politici europei, Bruxelles.

(13)  GU C 61 del 14.3.2003, pag. 170, punto 2.11.

(14)  COM(2000) 757 final.

(15)  Guild, E. (2004), The Legal Elements of European Identity: EU Citizenship and Migration Law, The Hague: Kluwer Law International, European Law Library.

(16)  Relazione annuale europea sulla libera circolazione dei lavoratori in Europa 2010-2011, K. Groenendijk et al., gennaio 2012, Commissione europea, DG Occupazione. Cfr. http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=475&langId=en.

(17)  Kostakopoulou, T. (2007), "European Citizenship: Writing the Future", European Law Journal, Special Issue on EU Citizenship, Vol. 13, Issue 5, pagg. 623-646.

(18)  C-184/99, Grzelczyk.

(19)  De Groot, G.R. (2005), "Towards a European Nationality Law", in H. Schneider (ed.), Migration, Integration and Citizenship: A Challenge for Europe’s Future, Vol. I, pagg. 13-53.

(20)  Cfr., a titolo di esempio, le cause C-369/90,Micheletti, C-192/99, Kaur o C-135/08, Rottmann. Cfr. J. Shaw (ed.) (2012), Has the European Court of Justice Challenged Member States Sovereignty in Nationality Law?, EUI Working Paper RSCAS 2011/62, Osservatorio EUDO sulla cittadinanza, Firenze.

(21)  Per un'analisi della direttiva e delle sue origini, cfr. S. Carrera (2009), In Search of the Perfect Citizen? The intersection between integration, immigration and nationality in the EU, Martinus Nijhoff Publishers: Leiden.

(22)  Cfr. l'articolo 11 della direttiva. Groenendijk, K. (2006), "The Legal Integration of Potential Citizens: Denizens in the EU in the final years before the implementation of the 2003 directive on long-term resident third country nationals", in R. Bauböck, E. Ersboll, K. Groenendijk and H. Waldrauch (eds.), Acquisition and Loss of Nationality, Volume I: Comparative Analyses: Policies and Trends in 15 European Countries, Amsterdam: Amsterdam University Press, pagg. 385-410.

(23)  COM(2011) 585: Relazione sull'attuazione della direttiva 2003/109.

(24)  S. Carrera et al. (2011), Labour Immigration Policy in the EU: A Renewed Agenda for Europe 2020, CEPS Policy Brief, Centro per gli studi politici europei, Bruxelles.

(25)  GU C 302 del 7.12.2004, pag. 49.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Per un consumo più sostenibile: la durata di vita dei prodotti industriali e l’informazione dei consumatori per ripristinare la fiducia» (parere di iniziativa)

2014/C 67/05

Relatore: LIBAERT

Correlatore: HABER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 febbraio 2013, ha deciso conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Per un consumo più sostenibile: la durata di vita dei prodotti industriali e l'informazione dei consumatori per ripristinare la fiducia.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 17 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 178 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'obsolescenza programmata appare legata al modo di produzione industriale, che ha bisogno di un tasso minimo di rinnovo dei prodotti. Malgrado un certo rinnovo dei prodotti possa apparire necessario, bisogna tuttavia combattere alcune derive. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) fa una netta distinzione tra la difettosità programmata e l'accelerazione dei consumi che caratterizza la nostra società. Se è lecito mettere in discussione le pratiche di marketing che presentano come grandi innovazioni delle modifiche marginali, il nostro intento, con il presente parere, è piuttosto quello di esaminare i casi più flagranti e rafforzare le garanzie per i consumatori. L'obiettivo è quello di contribuire a migliorare la fiducia di questi ultimi nei confronti delle imprese europee. Le proposte avanzate sono di ordine tecnico, commerciale, normativo, educativo e informativo e si iscrivono nel quadro strategico volto a creare un migliore equilibrio, che sia giusto e leale, nella catena costituita da produzione, distribuzione e consumo.

1.2

Il CESE esprime l'auspicio che siano vietati i prodotti che presentano una difettosità calcolata volta a porre fine alla vita dell'apparecchio. Questi casi, rari ma flagranti - come quello, che ha avuto grande eco nei media, delle stampanti costruite in modo tale da smettere di funzionare dopo un certo numero di utilizzi - non possono che generare diffidenza da parte dei cittadini nei confronti delle imprese.

1.3

Il CESE raccomanda alle imprese di facilitare la riparazione dei loro prodotti. Per far ciò, bisognerà intervenire a tre livelli: a livello della fattibilità tecnica (ad esempio nel caso dei tablet, le cui batterie sono fissate all'apparecchio per impedirne la riparazione e costringere ad acquistarne uno nuovo), poi dando la possibilità ai consumatori di acquistare i pezzi di ricambio per cinque anni dopo l'acquisto, e infine facendo in modo che all'acquisto il prodotto sia accompagnato da indicazioni dettagliate sulle possibilità di ripararlo e sul come procedere per la riparazione. Più in generale con il presente parere il CESE esorta a sostenere vigorosamente la dimensione sociale e le imprese di riparazione. L'approccio inteso a migliorare la fiducia dei cittadini nelle imprese deve essere considerato più in particolare alla luce delle possibilità di sostegno all'occupazione che può generare.

1.4

Escludendo la via della regolamentazione vincolante, il CESE incoraggia le iniziative di certificazione volontaria. A titolo esemplificativo, nel settore degli elettrodomestici la garanzia di poter riacquistare i pezzi di ricambio per 10 o 20 anni era un argomento di vendita vincente. Questa garanzia potrebbe essere normalizzata a livello europeo per la totalità dei prodotti consumati sul territorio dei 28 Stati membri dell'Unione in modo da non penalizzare le imprese europee. Analogamente, i fabbricanti potrebbero impegnarsi a pubblicare dati sui guasti più frequenti, visto che sanno quali sono. Potrebbero tenere a magazzino soltanto i pezzi in questione, o impegnarsi a produrli su richiesta o a trovare dei fornitori nella loro catena di approvvigionamento che siano disposti a fabbricarli. Questo potrebbe costituire un impegno forte, da parte di talune imprese, a garantire l'affidabilità del loro prodotto. Inoltre, al di là del rapporto dell'impresa con il consumatore, questo tipo di iniziativa sarebbe in linea con l'idea di certificazione volontaria finalizzata a fornire ai consumatori gli strumenti per la manutenzione dei prodotti e per farli durare nel tempo.

1.5

Il CESE incoraggia gli Stati a tenere conto dei parametri di lotta all'obsolescenza programmata nelle loro politiche in materia di acquisti pubblici. Data l'importanza delle commesse pubbliche nei paesi dell'Unione europea (16 % del PIL), i poteri pubblici hanno un importante ruolo da svolgere. Hanno inoltre il dovere di essere esemplari.

1.6

Il CESE ritiene che il miglioramento della qualità e della sostenibilità dei prodotti aiuterà a creare posti di lavoro duraturi in Europa e va perciò incoraggiato. Associato a formazioni adeguate, esso contribuirà al superamento della crisi che colpisce duramente i lavoratori europei.

1.7

Il CESE raccomanda di indicare la durata di vita o il numero di utilizzazioni stimate dei prodotti, in modo che il consumatore possa decidere del suo acquisto con piena cognizione di causa. Per incitare all'acquisto di prodotti duraturi, esso raccomanda di sperimentare, su base volontaria, l'uso di prezzi espressi in termini di costo annuo in funzione della durata di vita stimata. La speranza di vita indicata andrebbe in questo caso controllata per evitare che il consumatore sia vittima di abusi. Il consumatore potrebbe così acquistare prodotti più cari, ma più ammortizzabili nel tempo e le imprese europee non potrebbero che essere incitate a produrre oggetti più duraturi. Le indicazioni sui prodotti dovrebbero privilegiare le informazioni pertinenti necessarie al consumatore ed essere differenziate in base alla categoria di prodotto, onde evitare l'eccesso di informazione su taluni imballaggi.

1.8

Il CESE ritiene utile mettere a punto un sistema che garantisca una durata di vita minima dei prodotti acquistati. Non esiste attualmente né una legislazione sulla durata di vita minima dei prodotti né una normativa europea che consenta di misurarla. Cominciano tuttavia a prendere forma iniziative in questo senso nel contesto dell'etichettatura ambientale. Le imprese che producono o commercializzano prodotti devono internalizzare i costi esterni legati al riciclaggio dei prodotti con durata di vita inferiore ai 5 anni, in particolare quando si tratta di prodotti contenenti sostanze nocive per l'ambiente.

1.9

Il CESE propone di integrare le garanzie sull'acquisto con una garanzia di durata minima di funzionamento. Le riparazioni effettuate durante questo periodo sarebbero a carico del produttore.

1.10

Gran parte del costo legato alla riduzione del ciclo di vita dei prodotti e delle difficoltà legate alle scarse possibilità di ripararli è sostenuto dal consumatore. Ed è sempre il consumatore a subire i maggiori effetti della politica delle imprese e di taluni distributori, che cercano talvolta di far pagare il prolungamento della garanzia oltre il primo anno, mentre in realtà è prevista obbligatoriamente una garanzia di due anni. I consumatori appaiono spesso poco consapevoli dei loro diritti. Una comunicazione migliore, specialmente tramite i siti Internet e le reti sociali, potrebbe contribuire a migliorare la loro consapevolezza. Un Osservatorio europeo dell'obsolescenza programmata permetterebbe ai consumatori di avere una migliore visione delle pratiche in uso e quindi di orientare meglio le loro scelte.

1.11

La consapevolezza dei consumatori è una condizione indispensabile per un uso corretto e sostenibile dei prodotti. Inoltre, è importante che i consumatori siano adeguatamente informati sulla durata di vita minima dei prodotti, in quanto criterio rivelante nella scelta di acquisto. In questo contesto, sono da considerarsi positive le iniziative e attività volontarie da parte di commercianti e imprese.

1.12

Il consumatore ha spesso l'impressione di dover affrontare una vera e propria giungla legislativa. Se è vero che esistono numerose direttive in materia di obsolescenza programmata (pratiche commerciali, rifiuti, ecc.), va detto tuttavia che i testi sull'argomento appaiono poco coordinati nel loro insieme e che sarebbe necessario armonizzarli nel quadro di un pacchetto legislativo.

1.13

Il CESE raccomanda che gli Stati membri incoraggino, soprattutto in sede educativa, il consumo responsabile, affinché i consumatori considerino l'impatto ambientale del prodotto in termini di ciclo di vita, impronta ecologica e qualità. Raccomanda inoltre vivamente un maggiore coinvolgimento dei rappresentanti dei consumatori nel dibattito in corso su questo tema importante e delicato, così da assicurare un approccio più globale.

1.14

Il CESE raccomanda alla Commissione europea di avviare degli studi per chiarire i numerosi dati, spesso contradditori, che circolano sull'argomento. Ciò consentirà di ottenere un quadro obiettivo dell'impatto, specialmente economico e sociale, dell'obsolescenza programmata dei prodotti non soltanto dal punto di vista dei dichiarati vantaggi in termini di rotazione delle vendite, ma anche dal punto di vista dell'occupazione e della bilancia commerciale.

1.15

Il CESE propone di organizzare una grande tavola rotonda europea sull'argomento nel 2014 che riunisca tutti i soggetti interessati: industriali, finanza, distributori, sindacati, associazioni dei consumatori, ONG, agenzie di normalizzazione, esperti. ecc. Essa dovrà inoltre essere multisettoriale e non concentrarsi su alcuni settori industriali. Dovrà infine essere accompagnata da un forum aperto ai cittadini dell'Unione europea, in un'ottica che incoraggi la partecipazione pubblica più ampia possibile. Uno dei canali di partecipazione pubblica da incoraggiare sarà quello delle reti sociali.

1.16

Più in generale, il CESE raccomanda di accelerare le ricerche e gli interventi intorno a tre assi, che costituiscono altrettanti freni all'obsolescenza programmata:

la progettazione ecocompatibile dei prodotti: questo approccio consente di assicurare fin dall'origine la sostenibilità nell'utilizzo delle risorse tenendo conto dell'impatto ambientale dei beni prodotti e del loro ciclo di vita complessivo;

l'economia circolare, che punta a un approccio cradle to cradle (dalla culla alla culla), in cui i rifiuti di una impresa diventano le risorse di un'altra;

l'economia della funzionalità mira a privilegiare l'utilizzo dei prodotti anziché il loro possesso. In quest'ottica, le imprese non vendono prodotti, ma piuttosto funzioni, che vengono fatturate a seconda dell'utilizzazione. Gli industriali hanno quindi interesse a sviluppare oggetti solidi, riparabili e di facile manutenzione e ad assicurare una catena di produzione e una logistica adatta, che sia posta al centro del loro modello economico.

1.17

Lanciando questo messaggio a livello europeo, il CESE esprime l'auspicio che l'Europa entri in una fase di transizione economica, passando da una società dello spreco a una società sostenibile, e che la crescita sia orientata ai bisogni dei consumatori in una prospettiva civica, e mai perseguita come obiettivo fine a sé stesso.

2.   Introduzione e contenuto

2.1

L'obsolescenza programmata è un tema preoccupante per diversi motivi: la minor durata di vita dei prodotti di consumo comporta infatti un maggiore consumo di risorse e una maggiore quantità di rifiuti da smaltire una volta che i prodotti giungono al termine del loro ciclo di vita. Essa assume molteplici forme e viene utilizzata per stimolare le vendite e sostenere la crescita economica creando bisogni continui e producendo beni di consumo volutamente non riparabili.

2.2

La conseguenza di questo fenomeno è lo spreco di risorse e la genesi di forme aberranti di inquinamento, che assumono proporzioni tali da spingere la società civile e alcuni rappresentanti politici critici nei confronti di queste pratiche a organizzarsi per portare alla luce e combattere le incoerenze del sistema (si vedano le azioni collettive mosse negli Stati Uniti contro la Apple, la denuncia presentata in Brasile, le proposte di legge avanzate in Belgio e in Francia all'inizio del 2013).

2.3

Comunemente si fa distinzione tra diversi tipi di "desuetudine pianificata". L'obsolescenza può essere definita come "il deprezzamento di un materiale o di un'attrezzatura prima che intervenga l'usura materiale" (Dizionario: Le Petit Larousse), in quanto deprezzamento e scadenza sono indipendenti dall'usura fisica e sono invece legati al progresso tecnico, all'evoluzione dei comportamenti, alla moda, ecc.

2.4

Si possono distinguere diverse forme d'obsolescenza:

l'obsolescenza programmata in senso stretto, che consiste nel prevedere una durata di vita ridotta del prodotto, all'occorrenza introducendovi un dispositivo interno finalizzato a mettere fine al suo funzionamento dopo un certo numero di utilizzi;

l'obsolescenza indiretta, dovuta in generale all'impossibilità di riparare i prodotti per mancanza di adeguati pezzi di ricambio o per altre ragioni (ad esempio nel caso delle pile fissate all'apparecchio elettronico);

l'obsolescenza per incompatibilità, ad esempio nel caso dei programmi informatici che non funzionano più quando viene aggiornato il sistema operativo; questo tipo di obsolescenza è legato all'obsolescenza del servizio di assistenza, che induce il consumatore a sostituire un prodotto piuttosto che a ripararlo, anche a causa dei ritardi e dei costi della riparazione;

l'obsolescenza psicologica dovuta alle campagne di marketing delle imprese, che inducono i consumatori a percepire come obsoleti i prodotti esistenti. Non serve a nulla costringere un fabbricante di tablet a produrre oggetti che durino 10 anni se le nostre modalità di consumo ci spingono a cambiarli dopo due anni. Ad esempio, un telefono cellulare si cambia in media ogni 20 mesi (ogni 10 mesi nella fascia di età compresa tra i 12 e i 17 anni). Malgrado l'importanza di quest'ultimo tipo di obsolescenza, nel presente parere vengono affrontate solo le prime tre, in quanto si ritiene che il quarto richieda un approccio specifico, incentrato sulle modalità di consumo.

2.5

In proposito non esiste un consenso unanime. Le diverse sfumature presenti nelle varie definizioni dimostrano quanto sia necessario pervenire a una definizione generale del concetto e adottare misure differenziate a seconda dei fattori oggettivi (tecnici) e soggettivi (moda, commercializzazione di nuovi prodotti) dell'obsolescenza. In alcuni casi, il carattere effimero di un prodotto può essere un vantaggio per l'ambiente. Inoltre, l'obsolescenza dipende anche dal comportamento del consumatore.

2.6

Il CESE raccomanda l'adozione di un approccio modulato. L'idea non è quella di aumentare uniformemente la durata di vita di tutti i prodotti, ma di ragionare in termini di utilizzo. Analogamente, il CESE esprime la sua preferenza per una strategia basata sull'ottimizzazione degli usi, fermo restando che l'ottimizzazione non comporta necessariamente un allungamento della durata di vita. L'intenzione del CESE è quella di contribuire a migliorare la percezione dell'affidabilità dei beni prodotti dalle imprese europee.

2.7

Le ragioni per cui l'Unione europea deve affrontare il tema dell'obsolescenza programmata sono numerose: esse sono di natura ambientale, sociale, sanitaria, culturale ma anche economica. Secondo il CESE, inoltre, bisogna anche tenere conto di aspetti meno tangibili ma altrettanto importanti, ossia quello simbolico e quello etico.

2.8

Sul piano ambientale, il consumo annuo attuale di materie prime è di circa 60 miliardi di tonnellate, ossia il 50 % in più rispetto a 30 anni fa. Un europeo, ad esempio, consuma 43 kg di risorse al giorno, mentre un africano ne consuma 10 kg. L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) stima che, a partire dai livelli noti del 1999, "le riserve di rame, piombo, nickel, argento, stagno e zinco, con un tasso di aumento annuo della produzione primaria di questi metalli pari al 2 %, non durerebbero più di 30 anni, mentre quelle di alluminio e ferro durerebbero tra i 60 e gli 80 anni. Peraltro, ogni anno in Europa vengono generati 10 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e nel 2020 il volume di questi rifiuti dovrebbe raggiungere i 12 milioni di tonnellate (cifre relative al 2012). Accanto alle politiche di riciclaggio e d'innovazione occorre sostenere le politiche di recupero perseguite dalla nuova direttiva europea entrata in vigore il 13 agosto 2012 parallelamente alla lotta contro l'obsolescenza programmata.

2.9

Sul piano sociale, l'obsolescenza programmata pone tre tipi di problemi. Innanzitutto, nel contesto della crisi, la logica indotta dall'obsolescenza programmata dei beni di consumo partecipa alla dinamica dell'acquisto a credito e contribuisce a tassi di indebitamento senza precedenti. Le persone più colpite dall'obsolescenza sono gli individui appartenenti alle categorie sociali svantaggiate, che non possono permettersi di acquistare prodotti duraturi a prezzo elevato e devono accontentarsi di prodotti di qualità inferiore, più fragili. Secondariamente, le conseguenze negative dell'obsolescenza programmata possono interessare tutta la filiera occupazionale delle imprese di riparazione. Le cifre della relazione ADEME (1) (2007) confermano questa tendenza: soltanto il 44 % delle apparecchiature che subiscono un guasto viene riparato. Per gli apparecchi fuori garanzia, i distributori stimano gli interventi di riparazione al 20 %. Lo studio dell'ADEME (2010) indica inoltre che tra il 2006 e il 2009 in Francia le attività di riparazione sono diminuite in modo significativo, in particolare per quanto riguarda gli elettrodomestici. La filiera della riparazione offre il vantaggio di non essere delocalizzabile e di essere principalmente composta da posti di lavoro stabili.

2.10

Le conseguenze sanitarie, che non sono trascurabili, sono duplici: quelle dirette legate all'incenerimento, che interessano le popolazioni locali data la tossicità dei componenti elettronici, e quelle internazionali. Le infrastrutture per il trattamento dei rifiuti elettronici sono infatti così carenti che molti prodotti fuori uso vengono esportati illegalmente in zone geografiche in cui il costo del collocamento a discarica è minimo, ma comporta numerose conseguenze per la popolazione locale (come nel caso del Ghana, in cui i rottami di ferro contenuti nei rifiuti vengono estratti e inviati a Dubai o in Cina. Molti di questi rifiuti hanno come destinazione i paesi del Sud, in cui pongono problemi di salute ambientale).

2.11

Vi sono anche conseguenze culturali. Secondo alcuni studi, la durata di vita media di un elettrodomestico sarebbe di 6-8 anni, mentre 20 anni fa era di 10-12 anni. È legittimo che i consumatori si chiedano come mai, malgrado l'insistenza sull'innovazione, la durata di vita dei prodotti sia diminuita. La fiducia dei cittadini europei nella loro industria va costruita sulla durata e viene erosa dall'obsolescenza. In un momento in cui, stando alla quasi totalità dei sondaggi d'opinione, gli europei accusano un atteggiamento di massima distanza rispetto alla loro industria, è evidente che i guasti precoci e l'impossibilità di riparare i prodotti acquistati non li aiuta a riconciliarsi con le loro imprese. Ciò contribuisce a spiegare il fatto che il 92 % degli europei (2) vorrebbe che la durata di vita (o di utilizzo) dei prodotti fosse indicata esplicitamente. La competitività delle imprese europee passa anche per il miglioramento della fiducia dei consumatori nelle imprese.

2.12

Vi sono infine conseguenze economiche. La maggior parte delle imprese sotto accusa appartiene ai settori dell'alta tecnologia, i cui prodotti vengono spesso importati in Europa. Affrontando questo tema, l'UE offre alle imprese europee la possibilità di distinguersi grazie alla pratica effettiva della sostenibilità.

2.13

Il CESE non dimentica inoltre alcuni aspetti meno tangibili, ma forse altrettanto importanti. Sul piano simbolico, sebbene tutti i lavori da noi realizzati nell'ottica di Rio+20 siano contrassegnati dall'importanza accordata allo sviluppo sostenibile, riconosciamo che l'obsolescenza programmata è per definizione il capitolo dello sviluppo sostenibile che vogliamo promuovere. Quanto alla nostra visione del ruolo dell'etica nelle nostre società, riteniamo problematico il fatto che un ingegnere possa occuparsi della messa a punto di prodotti a invecchiamento accelerato o che si lancino campagne pubblicitarie per incitare i consumatori ad acquistare prodotti che non aumenteranno il loro grado di soddisfazione.

Bruxelles, 17 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Agenzia francese dell'Ambiente e della gestione dell'energia.

(2)  Sondaggio di Eurobarometro Attitudes of Europeans towards Building the Single Market for Green Products (Atteggiamento degli europei verso la costruzione del mercato unico dei prodotti "verdi"), Commissione europea, Flash 367, luglio 2013.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Promuovere il potenziale di crescita dell’industria europea della birra» (parere d’iniziativa)

2014/C 67/06

Relatore: JÍROVEC

Correlatore: CALLEJA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 febbraio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Promuovere il potenziale di crescita dell'industria europea della birra.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 47 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La birra è una bevanda apprezzata in Europa da migliaia di anni. Sebbene le culture della birra varino considerevolmente da una parte all'altra dell'Europa, con stili e abitudini di consumo differenti, questa bevanda svolge un ruolo importante in ognuno dei paesi dell'Unione europea e costituisce parte integrante della cultura, della tradizione e dell'alimentazione. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea la costante evoluzione del settore, nonché la sua capacità di adattamento e la sua resilienza, anche nelle attuali, non facili, circostanze. Osserva che il settore si conforma agli obiettivi della strategia Europa 2020 nei campi prioritari dell'occupazione, della sostenibilità, dell'innovazione, dell'istruzione e dell'inclusione sociale.

1.2

Il CESE richiama l'attenzione della Commissione europea, del Parlamento europeo, del Consiglio e degli Stati membri su alcune fondamentali politiche che dovrebbero essere seriamente prese in considerazione per fare in modo che il settore birraio europeo realizzi pienamente il suo potenziale: in particolare, il CESE chiede ai responsabili decisionali di:

realizzare dei progressi nella creazione di un quadro normativo equilibrato, che consenta ai birrai europei, indipendentemente dalle loro dimensioni, di produrre e commercializzare la birra in Europa e nei paesi terzi;

inserire la birra negli accordi di libero scambio in discussione con altri partner commerciali dell'UE in quanto settore prioritario che richiede un trattamento preferenziale reciproco;

favorire e pubblicizzare maggiormente il coinvolgimento delle imprese produttrici e delle loro associazioni nei programmi di responsabilità sociale, salute e educazione attuati a livello dell'UE e nazionale;

tenere in maggiore considerazione le implicazioni per il settore birraio degli sviluppi nella politica di innovazione, industriale e agricola.

1.3

Il CESE auspica inoltre interventi a livello di Stati membri, anche a livello regionale o locale, nell'ottica di:

proseguire lo sviluppo di partenariati con il settore birraio e le organizzazioni della società civile, volti a promuovere un consumo responsabile e a ridurre le conseguenze nocive dell'alcol, tra l'altro cooperando per promuovere la responsabilizzazione e per prevenire un'attività commerciale e una vendita irresponsabili;

sostenere, lungo l'intera catena di fornitura e di approvvigionamento a livello europeo e locale, le iniziative del settore della produzione riguardanti la sostenibilità ambientale;

utilizzare le dinamiche del settore birraio per creare occupazione, eliminando gli ostacoli alla crescita garantendo un regime fiscale prevedibile e stabile a livello degli Stati membri per il settore e la sua catena di distribuzione, e rimediando alle distorsioni del mercato causate dalla fluttuazione delle aliquote d'imposta. Un miglioramento al riguardo sarebbe in linea con l'obiettivo di proseguire il completamento del mercato unico;

esplorare e sviluppare ulteriormente la cooperazione con gli enti locali in vari aspetti dei progetti di coinvolgimento a livello di comunità locali, e le opportunità di turismo finalizzato alla degustazione della birra.

1.4

Il CESE ritiene che le imprese produttrici dovrebbero:

partecipare in modo più attivo e responsabile alle varie attività di promozione di prodotti alimentari volte a incoraggiare sane abitudini alimentari, che vengono organizzate nell'UE e nei paesi terzi con il sostegno delle camere di commercio, delle amministrazioni regionali, degli Stati membri e della Commissione europea;

proseguire gli sforzi rivolti a fare del settore della birra un'attraente fonte di lavoro stabile e correttamente retribuito per le giovani generazioni, grazie alla promozione di programmi di tirocinio e di regimi di formazione professionale;

continuare a estendere la cooperazione con istituti di ricerca e di istruzione, partecipando maggiormente, insieme ai loro partner, ai programmi di innovazione e di ricerca e sviluppo dell'Unione europea, nonché a programmi di istruzione e formazione;

accrescere la loro partecipazione a varie attività sviluppate mediante fondi regionali, fondi strutturali e fondi destinati alle piccole e medie imprese;

ampliare la cooperazione esistente di medio e lungo termine con i produttori locali di luppolo, cereali e altri prodotti essenziali per la produzione della birra;

incoraggiare il ricorso più vasto possibile alle valutazioni del ciclo di vita nel settore birraio come strumento di autoanalisi, tenendo peraltro conto dei limiti per i piccoli birrifici a conduzione familiare che non dispongono delle capacità necessarie.

2.   Il settore europeo della birra

2.1

L'Unione europea è una delle principali aree mondiali di produzione della birra. Nel 2011 i circa 4 000 stabilimenti produttivi presenti in tutta Europa hanno prodotto oltre 380 milioni di ettolitri di birra (1). I loro prodotti sono distribuiti in tutto il mondo. In termini di volume l'UE è un soggetto di primo piano, con oltre un quarto della produzione mondiale, superato solo recentemente dalla Cina, ma tuttora più forte di Stati Uniti, Russia, Brasile e Messico (2).

2.2

Il settore birraio europeo è estremamente differenziato in termini strutturali. Esso è composto principalmente da PMI, con una gamma di produttori che spazia dalle microimprese, alle imprese operanti a livello locale, regionale o nazionale, fino ai quattro principali produttori con sede in Europa (3), leader mondiali del settore. La comparsa di nuovi microbirrifici in quest'ultimo decennio rappresenta un segno notevole del potenziale innovativo del settore e un punto di forza per l'obiettivo della sostenibilità.

2.3

La catena di approvvigionamento del settore comprende operatori locali, ma anche leader mondiali che figurano tra i produttori di malto e di macchinari per la produzione e tra i fornitori di servizi tecnici. Gli stabilimenti europei di produzione della birra diffondono inoltre la loro conoscenza a livello mondiale. Eventi come il congresso dell'associazione europea dei birrai o singoli convegni sulla birra attirano partecipanti da tutto il mondo.

2.4

La birra è un essenziale prodotto agricolo lavorato, le cui esportazioni ammontano a oltre 2 miliardi di euro (4). Tale prodotto è inoltre tutelato dalla politica di qualità dei prodotti agricoli dell'UE (5), attraverso i regimi di DOP/IGP (6), che garantiscono un fatturato di oltre 2,3 miliardi di euro attraverso 23 indicazioni geografiche (7). Nondimeno la diversità geografica delle birre che partecipano a tali regimi è limitata, dato che esse provengono da meno di un terzo degli Stati UE.

2.5

I componenti principali della birra sono di origine naturale e comprendono acqua, cereali, luppolo e lievito. L'acqua è la principale materia prima utilizzata nella produzione, e costituisce mediamente circa il 92 % del prodotto finito. La protezione delle acque freatiche è pertanto di importanza fondamentale. A causa dell'esigenza di cereali, come l'orzo, il grano e altri, che costituiscono la fonte essenziale di amido per la birra, la relazione con la comunità agricola è fondamentale per i birrai e i maltatori.

2.6

L'UE è inoltre il primo produttore mondiale di luppolo, coltivato in 14 Stati membri (8), su una superficie che ammonta a un terzo del totale globale adibito a tale coltura (9). Il settore della birra è il principale cliente dei coltivatori europei di luppolo. Se si vogliono evitare distorsioni del mercato che potrebbero alla lunga danneggiare l'industria birraia, potrebbe essere necessario riesaminare la situazione della concorrenza tra i produttori di luppolo e le differenze nel trattamento di tali produttori in funzione delle politiche agricole attuate nei vari Stati membri.

2.7

Negli ultimi anni la dipendenza dei produttori di birra dal settore agricolo per la fornitura delle materie prime, in un contesto di qualità variabile dei raccolti e di volatilità dei prezzi, ha comportato per il settore prezzi più elevati delle materie prime agricole necessarie per la produzione di birra. Quando sia possibile e necessario, la relazione tra birrai e fornitori di materie prime dovrebbe essere improntata a un approccio sostenibile e a lungo termine.

2.8

Nel 2010 è stata venduta birra per 106 miliardi di euro, IVA compresa, il che rappresenta lo 0,42 % del prodotto interno lordo dell'UE. Si ritiene che oltre il 63 % della produzione europea venga smerciato in supermercati e altri negozi al dettaglio (vendita per consumo esterno). Il rimanente 37 % è consumato in pubblici esercizi (bar, pub e ristoranti: vendita per consumo interno).

3.   Gestire le sfide economiche del 21o secolo

Tendenze del mercato e tendenze strutturali

3.1

Negli ultimi 15 anni il mercato europeo della birra ha subito una serie di evoluzioni in termini di sviluppo tecnico, investimenti, fusioni, costituzione di nuove imprese e atteggiamento dei consumatori. Il forte declino del consumo in atto dal 2007 sta ripercuotendosi direttamente sulle attività dei produttori. Dopo anni di espansione, la produzione di birra nell'UE è scesa bruscamente da 420 a 377 milioni di ettolitri nel 2011. Tuttavia per i prossimi anni si prevede un recupero e la possibilità di una crescita, a condizione che il contesto economico e normativo divenga più favorevole.

3.2

La crisi economica e la diminuzione del consumo hanno condotto alla ristrutturazione del settore in Europa, sulla scia di una consolidamento delle attività sul continente e di una serie di investimenti in paesi terzi da parte dei grandi gruppi internazionali e nazionali. Al tempo stesso, il numero di produttori di piccole dimensioni è cresciuto in tutti paesi, contribuendo alla diversificazione dell'offerta per i consumatori e confermando l'atteggiamento imprenditoriale dei produttori in linea col Piano d'azione imprenditorialità 2020 (10). Si tratta inoltre di un'evoluzione positiva nell'ottica della sostenibilità, poiché ha in genere ricadute sul turismo regionale e in termini di circuiti spesso più brevi di produzione e consumo, il che è di giovamento per l'ambiente.

3.3

Le circostanze economiche hanno inoltre condotto a un aumento del consumo di birra in casa piuttosto che nei bar o nei ristoranti, con il risultato che l'occupazione si è ridotta, il valore aggiunto è sceso e il gettito fiscale derivante da ogni litro di birra consumato nell'UE è diminuito (11). Questa tendenza ha risentito anche dell'aumentata pressione sui prezzi nel settore del dettaglio.

3.4

L'aumento del numero di produttori e l'innovazione dei prodotti hanno anche comportato la nascita di nuovi prodotti, cosa che ha avvantaggiato i consumatori, la società e l'ambiente. La diversificazione verso birre a bassa gradazione o analcoliche, generando un aumento delle vendite, ha creato opportunità per imprese produttrici di ogni dimensione. Inoltre vi è una crescente disponibilità di birre biologiche.

Aspetti fiscali

3.5

Il settore della produzione della birra garantisce ai governi nazionali importanti entrate fiscali. Grazie alla produzione e alla vendita di birra, i governi realizzano un gettito significativo dalle accise, dall'imposta sul valore aggiunto, dalla tassazione dei redditi e dai contributi sociali versati dai lavoratori e dai loro datori di lavoro nel settore della produzione della birra nonché in altri settori collegati, i cui posti di lavoro possono essere indirettamente attribuiti alle attività del settore della birra. Nel 2010 tale gettito è ammontato a circa 50,6 miliardi di euro (12).

3.6

La resilienza del settore della birra alle attuali difficoltà economiche ha risentito dell'aumento del carico fiscale, anzitutto le accise, ma anche l'IVA, specie negli alberghi e nella ristorazione. Tali aumenti hanno aggravato la situazione economica già critica dei birrai, in particolare in paesi quali l'Ungheria, la Finlandia, la Francia, i Paesi Bassi e il Regno Unito (13). Nell'UE, nel periodo 2008-2010, il valore aggiunto totale della produzione e della vendita di birra è sceso del 10 % (14) e il prelievo fiscale sul settore birraio si è ridotto di 3,4 miliardi di euro.

3.7

Il sistema delle accise, a livello europeo e nazionale, dovrebbe tenere conto delle caratteristiche uniche della birra, tra cui il suo tenore alcolico generalmente basso, i processi di produzione e il contributo locale del settore birraio alla società, alla creazione di posti di lavoro e all'economia in genere. A tal fine, la legislazione dell'UE in materia di accise dovrebbe applicare alla birra, in quanto bevanda fermentata, condizioni uguali a quelle in vigore per il vino e ad altre bevande fermentate, ossia un'aliquota minima pari a zero (15).

3.8

Grazie a una politica di accise equilibrate a livello nazionale e a un uso migliore dei meccanismi di cooperazione vigenti nell'amministrazione fiscale si potrebbe evitare che il commercio venga influenzato dalla tassazione e che si sviluppino di conseguenza pratiche dannose. Ciò contribuirebbe a mantenere la competitività del settore birraio, specie nelle aree di frontiera.

3.9

Data l'importanza delle vendite in bar e ristoranti (16), la politica fiscale può svolgere un ruolo anche come strumento di promozione della crescita nel settore dei pubblici esercizi e in quello della produzione di birra, con un impatto positivo sull'occupazione a livello locale.

Commercio internazionale

3.10

Malgrado le condizioni avverse, l'industria birraia europea continua a essere resiliente e competitiva, e i produttori locali mantengono le loro quote di mercato al di là dei confini nazionali e dell'UE. Sebbene la maggior parte della produzione europea di birra sia smerciata nel mercato unico, le esportazioni verso differenti parti del mondo sono in crescita costante dal 2000, con un aumento del 30 % dal 2007 a oggi. Tra i principali mercati di esportazioni figurano gli Stati Uniti, il Canada, l'Angola, la Cina, la Svizzera, Taiwan, la Russia e l'Australia (17). Inoltre i produttori europei sono anche grandi investitori in tutti i continenti e partecipano a numerose iniziative di cooperazione con produttori e distributori locali.

3.11

Tuttavia la capacità della birra europea di mantenere ed espandere la propria presenza nei paesi terzi potrebbe essere compromessa da regolamentazioni locali che costituiscono una barriera commerciale e ostacolano l'esportazione e gli investimenti. A parte le tariffe, tali ostacoli possono consistere in misure connesse alla legislazione, come la definizione del prodotto (per esempio in Russia) o le procedure amministrative fiscali (per esempio in Albania e in Turchia). La Commissione e gli Stati membri, in cooperazione con il settore birraio, hanno un ruolo importante nel far fronte a queste e ad altre difficoltà che si producono talvolta sui mercati esteri.

3.12

Laddove l'UE applica negli accordi commerciali una tariffa doganale pari a zero per le importazioni di birra, vari paesi mantengono diritti doganali come strumento per scoraggiare importazioni concorrenziali provenienti dagli Stati membri dell'UE. I negoziati in corso in materia di accordi di libero scambio coprono anche questo aspetto, e gli accordi più recenti, come per esempio quello tra UE e Corea del Sud, prevedono una progressiva riduzione delle tariffe, mediante un regime che dovrebbe essere esteso ulteriormente in seguito.

3,13

La penetrazione dei marchi di birra europei sui mercati esteri viene favorita anche attraverso eventi promozionali, come mostre e fiere, e regimi di consultazione predisposti dalla Commissione europea in paesi terzi. La partecipazione dei birrai alle attività svolte in loco è stata sinora relativamente modesta, a causa di una scarsa consapevolezza dei possibili vantaggi e all'insufficiente pubblicità data a tali iniziative.

4.   Offrire occupazione a tutti i livelli

4.1

L'attività del settore va al di là della produzione della birra e si estende alla produzione delle materie prime agricole che costituiscono l'essenza della produzione della birra, fino al settore alberghiero e della ristorazione e a quello della distribuzione. La produzione di birra nell'UE occupa direttamente oltre 128 800 persone, in più altri 2 milioni di posti di lavoro, vale a dire l'1 % dell'occupazione complessiva dell'Unione europea, sono riconducibili in un modo o nell'altro alla produzione e alla vendita di birra (18).

4.2

Gli obiettivi della strategia Europa 2020, ossia una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, si riflettono nelle caratteristiche del settore birraio. I produttori sono presenti in tutti i paesi europei, e sostengono oltre 2 milioni di posti di lavoro grazie alle loro elevate spese per beni e servizi e all'importante giro d'affari creato nel settore alberghiero e della ristorazione, nel quale si concentra oltre il 73 % dei posti di lavoro creati dal settore birraio.

4.3

Dal momento che tale settore svolge un ruolo fondamentale anche nel garantire la crescita e l'occupazione, non soltanto direttamente all'interno delle imprese partecipanti, ma anche indirettamente per grandi parti dell'economia europea, le misure rivolte a favorirne lo sviluppo sono essenziali per l'occupazione, in particolare di giovani e di lavoratori a bassa qualificazione, senza ricorrere al lavoro precario e alla pratica dei bassi salari.

4.4

Tale inimitabile varietà combina un patrimonio di tradizioni, di cultura e di modernità, offrendo varie possibilità di utilizzare le qualifiche della forza lavoro negli stabilimenti di produzione e intorno ad essi. Oltre al lavoro offerto nella filiera di approvvigionamento e fornitura, occorrerebbe sviluppare il potenziale degli eventi gastronomici e del turismo, in modo da accrescere l'occupazione grazie alle attività dei birrai e grazie ai regimi di finanziamento dell'UE e nazionali.

4.5

L'industria birraia ha risentito della situazione economica globale, con una riduzione dell'occupazione diretta pari al 9 % tra il 2008 e il 2010, dovuta al calo del consumo. In Europa, malgrado la riduzione del consumo dovuta alla crisi, c'erano più birrifici, anche piccolissimi, nel 2010 (3 638) che nel 2008 (3 071), e il loro numero cresce costantemente, offrendo quindi un ulteriore potenziale occupazionale. Tale potenziale non dovrebbe essere compromesso da misure volte a limitare il giro d'affari o provvedimenti fiscali dannosi, e andrebbe invece rafforzato con interventi di formazione e anche a livelli più elevati, per creare posti di lavoro di maggiore qualità nel settore.

5.   Contribuire agli obiettivi di sostenibilità ambientale

5.1

Il settore birraio europeo deve rispondere a vari obiettivi connessi all'efficienza energetica, alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e all'uso delle risorse nel quadro dei suoi impegni in materia di sostenibilità. Gli investimenti compiuti negli ultimi anni consentono di limitare l'uso di risorse naturali, di produrre meno rifiuti e di riutilizzare regolarmente i prodotti secondari.

5.2

I birrai hanno dato prova di impegno in favore dell'ambiente con misure e investimenti che hanno ridotto il consumo energetico, le emissioni di CO2 e la produzione di acque reflue, e con modifiche delle confezioni. Il settore ha anche elaborato orientamenti sulle migliori tecniche disponibili, che sottolineano il ruolo della gestione sostenibile e potrebbero servire da riferimento per impegni relativi agli obiettivi ambientali. Il ricorso alle valutazioni del ciclo di vita come strumento di autoanalisi dovrebbe essere incoraggiato in modo da comprendere lo spettro più ampio possibile all'interno del settore birraio, tenendo peraltro conto dei limiti per i piccoli birrifici a conduzione familiare che non dispongono delle capacità necessarie.

5.3

Tra il 2008 e il 2010 il settore ha proseguito gli sforzi, malgrado il deterioramento degli affari, riducendo il consumo di acqua del 4,5 % e il consumo energetico del 3,8 % per ettolitro di birra prodotto. Si calcola che anche le emissioni di anidride carbonica siano state ridotte, nella misura del 7,1 % (19).

5.4

La qualità e l'utilizzazione di acqua sono fattori importanti del processo di produzione della birra. Pertanto un'adeguata gestione delle risorse idriche da parte degli enti di fornitura e dei birrai è essenziale per garantire la sostenibilità della produzione di birra. In questo contesto, occorre adottare le precauzioni opportune per garantire che la prospezione del gas di scisto non contamini l'approvvigionamento di acque freatiche per i consumatori, compresi gli utilizzatori industriali. Per quanto concerne nello specifico il settore birraio, il CESE sottolinea che i birrai olandesi e tedeschi stanno già seguendo gli sviluppi del settore con estrema preoccupazione.

5.5

Vari altri prodotti di grande utilità, i prodotti secondari, vengono generati nel processo produttivo a partire dalle materie prime usate nella fermentazione. Essi sono particolarmente utili come fattori produttivi in altri processi industriali o come materiali per specifiche utilizzazioni finali, per esempio nel settore dei farmaceutici, dell'alimentazione per la salute, come fonti rinnovabili di energia, per applicazioni industriali, come mangimi animali, come prodotti agricoli (20), come cosmetici o come prodotti per le cure termali. Tali materiali rispondono a rigorosi standard qualitativi e soddisfano severe norme di sicurezza dei prodotti alimentari e dei mangimi e altre norme. L'importanza e il valore dei prodotti secondari ha indotto già da lungo tempo gli stabilimenti di produzione di birra a creare dei regimi di fornitura con commercianti e utilizzatori finali.

6.   Essere un soggetto responsabile della comunità

6.1

Già da anni le imprese e le associazioni del settore birraio hanno attuato in tutti i paesi europei iniziative volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in merito al consumo responsabile, a diffondere maggiori conoscenze presso i consumatori, a garantire una pubblicità e una commercializzazione responsabili, a diffondere messaggi volti alla prevenzione e a dissuadere i consumatori da un comportamento irresponsabile. Molte di queste iniziative locali sono state realizzate nell'ambito di partenariati, sono state riconosciute dalle autorità nazionali come un importante contributo alla società e sono state prese in considerazione a livello europeo nel quadro del forum europeo sull'alcol e la salute (21).

6.2

Sulla base di tali attività, i governi, i produttori di birra, altri operatori economici e gruppi della società civile dovrebbero collaborare a delle campagne rivolte a promuovere un consumo responsabile, che può essere perfettamente compatibile con uno stile di vita sano per gli adulti, nonché a scoraggiare l'abuso di alcol.

6.3

A causa del carattere locale della produzione di birra, i produttori europei sono anche ben radicati nelle rispettive comunità locali, e sostengono una vasta gamma di attività. Ogni anno nell'UE il settore birraio spende oltre 900 milioni per un vasto spettro di attività promosse al livello locale e regionale a sostegno della comunità (22).

6.4

L'industria e le parti in causa del settore si sono fortemente impegnate nel sostenere iniziative di responsabilità delle imprese e delle istituzioni, rivolte a contrastare gli effetti negativi di un consumo dannoso. Tale impegno dovrebbe essere riconosciuto in un quadro più equilibrato, riguardante la commercializzazione e la comunicazione commerciale da parte dei produttori (23).

6.5

Considerato l'importante ruolo svolto dalla birra nei campi della cultura, del patrimonio e del consumo, occorre considerare la possibilità di un'iniziativa dell'UE che finanzi l'organizzazione di formazioni specialistiche, rivolte a insegnanti ed educatori delle scuole di ogni ordine e grado, dedicate agli aspetti sanitari, ma anche sociali e culturali, del consumo di bevande fermentate.

7.   Mantenere un ruolo nella ricerca, nell'istruzione e nell'innovazione

7.1

Il ruolo dell'istruzione e della ricerca è essenziale per l'ulteriore mantenimento dell'impegno del settore. Le attività di istruzione e di ricerca sono eseguite da università, da scuole di produzione della birra, da istituti di tecnologia alimentare ed attraverso altre reti. I forum per gli scambi di conoscenze dovrebbero essere proseguiti al fine di fare dell'Europa un centro primario per la ricerca eseguita dai produttori, dai loro partner, dai ricercatori e dalle persone interessate a questo settore.

7.2

Occorre promuovere le capacità e il potenziale di ricerca, dal momento che i produttori di birra svolgono un ruolo importante in quanto partner industriali in vari settori connessi alle tecnologie alimentari, alla produzione della birra, agli aspetti riguardanti la salute e alle prestazioni ambientali. Per accrescere il potenziale attuale si potrebbe intensificare la partecipazione allo Spazio europeo della ricerca, al quadro d'azione Orizzonte 2020 e ad altre piattaforme tecnologiche (24).

7.3

Anche sostenendo gli sforzi compiuti dal settore birraio per promuovere, in base ai più elevati standard scientifici, l'eccellenza nelle caratteristiche della birra e controllarne gli effetti sulla salute e il comportamento, si può contribuire ad accrescere l'informazione e l'istruzione in questo importante settore. Tutte le parti in causa potrebbero considerare un aumento della partecipazione ai regimi di finanziamento e di cooperazione dell'UE.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Statistiche dell'associazione europea dei birrai, edizione 2012, ottobre 2012.

(2)  Canadian Global beer trends 2012.

(3)  ABInbev, Carlsberg, Heineken, SABMiller (2013).

(4)  Commissione europea, Direzione generale Imprese e industria

(5)  http://ec.europa.eu/agriculture/quality/index_en.htm.

(6)  DOP, denominazione di origine protetta; IGP, indicazione geografica protetta.

(7)  Commissione europea, Direzione generale Agricoltura e sviluppo rurale

(8)  Commissione europea, DG Agricoltura e sviluppo rurale, dicembre 2009; Pavlovic M, febbraio 2012.

(9)  Commissione europea, Direzione generale Agricoltura e sviluppo rurale.

(10)  COM(2012) 795 final.

(11)  Ernst Young, The Contribution made by Beer to the European Economy , settembre 2011.

(12)  Ernst Young, settembre 2011.

(13)  Commissione europea, Excise duty tables, 2013.

(14)  Ernst Young, settembre 2011.

(15)  GU C 69 del 21.7.2006.

(16)  Ernst Young, The Hospitality Sector in Europe, settembre 2013.

(17)  Commissione europea DG Commercio.

(18)  Ernst & Young, settembre 2011.

(19)  CampdenBRI / KWA, The Environmental Performance of the European Brewing Sector, maggio 2012.

(20)  Bamforth, C. (2009) Contraception, Charcoal and Cows: The World of Brewery Co-Products, Brew. Guardian, 138(1), pagg. 24-27.

(21)  The Brewers of Europe, European beer pledge: 1st year report, aprile 2013.

(22)  Proposte di patrocinio Supporting local communities: Assessing the contribution of local brewers, maggio 2011.

(23)  GU C 48 del 21.2.2002.

(24)  GU C 327 del 12.11.2013, pag. 82.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/32


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’immigrazione irregolare via mare nella regione euromediterranea» (parere d’iniziativa)

2014/C 67/07

Relatore: GKOFAS

Correlatore: MALLIA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2012, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

L'immigrazione irregolare via mare nella regione euromediterranea.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 183 voti favorevoli, 3 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il tema dell'immigrazione irregolare è stato esaminato dal Comitato economico e sociale (CESE) più volte e da diversi punti di vista (1). Si tratta di un fenomeno molto complesso e sfaccettato che richiede misure a breve e lungo termine. Nel presente parere saranno privilegiati gli aspetti sotto elencati.

1.2

In questo contesto, il Comitato esprime profondo cordoglio per la morte di almeno 311 migranti – ma è probabile che il numero delle vittime sia molto maggiore – provenienti dall'Africa in due recenti naufragi avvenuti al largo dell'isola di Lampedusa. Se è vero che simili tragedie non possono essere fatte risalire ad un'unica causa, il CESE le ritiene tuttavia emblematiche del più vasto problema dell'immigrazione irregolare via mare verso i paesi dell'UE, e vede inoltre un nesso causale tra questi due incidenti e la palese incapacità dell'Unione di attuare, in materia di immigrazione irregolare, politiche soddisfacenti e coerenti fondate sulla solidarietà, in particolare per quel che riguarda la ricerca e il salvataggio o lo sbarco dei migranti. Invita perciò l'UE e gli Stati membri a considerare questi episodi un campanello d'allarme che deve spingerli a mettere subito concretamente in azione le raccomandazioni formulate nel presente parere, prima che un altro evento del genere possa ripetersi. Le tragedie di Lampedusa non fanno che confermare l'assoluta necessità per l'Unione di affrontare l'immigrazione irregolare e il controllo delle frontiere come questioni di portata europea.

1.3

Diritti dell'uomo: il Comitato osserva con preoccupazione che in Europa crescono l'intolleranza, il razzismo, la xenofobia contro gli immigranti, contro i "diversi", ed esprime il timore che gli effetti sociali della crisi finanziaria rafforzino tali fenomeni. I responsabili politici, i leader sociali e i mezzi di comunicazione devono agire con un alto senso di responsabilità e con acuta pedagogia politica e sociale per evitare tali atteggiamenti. I diritti degli immigrati irregolari devono essere rispettati in ogni fase, dal salvataggio o detenzione fino alla concessione dello status di protezione, quando si trovino in una situazione irregolare "senza documenti" o siano rimpatriati.

1.4

Salvataggio di vite in mare: qualunque persona si trovi in pericolo in mare o in situazione di rischio dovrà essere soccorsa. Ciò vale anche per gli immigrati irregolari.

1.5

Sbarchi: l'UE deve adottare una politica degli sbarchi che non aggravi gli oneri a carico degli Stati membri del Mediterraneo che già sono alle prese con afflussi sproporzionati. La questione dello sbarco dovrà essere regolata in base al principio dello sbarco nel luogo sicuro più vicino, a condizione che il paese in questione aderisca pienamente a tutte le convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo e sia monitorato da organizzazioni attive nella difesa dei diritti umani.

1.6

Diritto d'asilo e sua concessione: va garantito il principio del non respingimento alle frontiere e si deve assicurare che tutte le persone che necessitano di protezione internazionale possano presentare domanda nell'UE e che questa sia esaminata dalle autorità nazionali competenti. Il CESE sostiene la collaborazione con i paesi terzi affinché questi rafforzino i loro sistemi d'asilo e il rispetto delle norme internazionali.

1.7

Rimpatrio degli immigrati entrati clandestinamente e in soggiorno irregolare: la direttiva sul rimpatrio (2) definisce un quadro europeo di garanzie giuridiche procedurali (3) che il CESE apprezza, come ad esempio il diritto effettivo di presentare ricorso contro le decisioni di rimpatrio dinanzi a un'autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un altro organo indipendente competente, la rappresentanza e l'assistenza legale gratuita e, in attesa del rimpatrio, talune garanzie e determinate condizioni di detenzione. Il Comitato propone che la politica europea di rimpatrio promuova un approccio volontario e sia basata sulla massima considerazione possibile per i valori umanitari. Da ciò dipende infatti la legittimità e la credibilità della politica europea d'immigrazione all'esterno dell'UE. L'articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali vieta espressamente le espulsioni collettive e garantisce che nessuno possa essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato quando vi sia il serio rischio che sia sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti o punizioni inumani o degradanti – principio del non respingimento (articoli 4 e 19).

1.8

Politica europea integrata sull'immigrazione irregolare basata sulla solidarietà: il CESE ritiene che per garantire il rispetto dei diritti fondamentali si debba rafforzare la solidarietà dell'UE nei confronti di quegli Stati membri che, a causa della loro posizione geografica, devono assistere un elevato numero di persone che arrivano seguendo procedure irregolari e che sono vittime delle reti criminali del traffico illegale/tratta di esseri umani. Le frontiere dell'UE, comprese le frontiere marittime degli Stati membri che si affacciano sul Mediterraneo, sono frontiere comuni a tutti gli Stati membri dell'UE e la responsabilità di sorvegliarle adeguatamente deve essere condivisa da tutti in conformità ai Trattati. Non è soltanto una questione di solidarietà, ma anche di assunzione degli obblighi da parte dell'insieme degli Stati membri, tramite meccanismi di ripartizione degli oneri derivanti dal fenomeno dell'immigrazione irregolare. Bisogna quindi dimostrare solidarietà anche verso gli Stati membri situati alle frontiere esterne dell'UE tramite meccanismi di condivisione che consentano il reinsediamento dei richiedenti asilo all'interno dell'UE. Il CESE sostiene vivamente l'attuazione di un criterio di ripartizione unionale quale quello descritto nella relazione del Parlamento europeo sul rafforzamento della solidarietà all'interno dell'UE in materia di asilo (2012/2032 INI).

1.9

Conclusione di accordi con paesi terzi: i dialoghi dell'UE con i paesi terzi sulla migrazione e la mobilità devono avere i seguenti obiettivi principali: fare sì che sia più semplice migrare in modo legale e ordinato, garantire il diritto internazionale all'asilo, ridurre l'immigrazione irregolare e combattere le reti criminali della tratta degli esseri umani. Molto spesso, la cooperazione con i paesi terzi rappresenta un presupposto indispensabile per un'efficace attuazione delle procedure di respingimento degli immigrati irregolari. Tale cooperazione dovrà essere intensificata per produrre risultati migliori. Allo stesso tempo, sarebbe opportuno fornire assistenza a taluni paesi di transito per consentire loro di gestire meglio le loro frontiere e costruire le capacità necessarie per fornire protezione a chi ne ha bisogno.

1.10

Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (Frontex): bisognerà proseguire la trasformazione di Frontex in una vera e propria Agenzia europea delle frontiere esterne, con più ampi compiti di coordinamento dell'azione comune dell'UE in relazione alle frontiere esterne dei suoi Stati membri. A questo proposito, bisogna approfondire i lavori sul concetto di squadre di guardie di frontiera, come sottolineato dal Parlamento europeo nella sua relazione su Frontex (A7-0278/2011). Inoltre, bisognerà ampliare il campo d'azione di quest'ultima per consentirle di svolgere un ruolo più attivo nella prevenzione. Per essere più efficace in questo ruolo, l'Agenzia avrà chiaramente bisogno di risorse maggiori, non minori. Le operazioni congiunte effettuate sotto il coordinamento dell'Agenzia (e le loro ripercussioni sui diritti fondamentali e sulle garanzie amministrative previste nel Codice frontiere) devono essere oggetto di un controllo democratico da parte del Parlamento e dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali.

1.11

Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO): l'EASO ha iniziato a funzionare abbastanza recentemente. Ci aspettiamo quindi che assuma quanto prima i suoi compiti, arrivando ad operare a pieno regime, in particolare per quanto riguarda il suo ruolo nella ricerca di soluzioni sostenibili, e che agisca in modo proattivo in materia di solidarietà all'interno dell'UE, in linea con gli obblighi fissati nel relativo regolamento. L'EASO dovrà disporre delle capacità richieste per individuare in modo chiaro le differenze che si verificano nelle pratiche degli Stati membri relative all'asilo, oltre alle differenze legislative, e proporre le modifiche necessarie.

1.12

Prevenzione e lotta alla tratta di esseri umani: il CESE sottolinea altresì che occorrerà adoperarsi in ogni modo per contrastare con forza la criminalità organizzata. Non bisogna lesinare le risorse necessarie per individuare e perseguire i "facilitatori" del traffico di esseri umani. A questo proposito è essenziale chiedere l'aiuto dei governi dei paesi terzi.

1.13

Finanziamento: il CESE sottolinea che il processo complessivo di intercettazione e gestione dei flussi migratori fa parte delle competenze dell'Unione europea, e che questo fatto dovrà trovare riscontro anche nella ripartizione degli oneri finanziari legati agli strumenti destinati all'attuazione di una politica efficace. Il Comitato ha appoggiato la proposta della Commissione di una gestione più flessibile, a partire dal 2014, del Fondo Asilo e migrazione e del Fondo Sicurezza interna.

2.   Introduzione

2.1

La politica comune d'immigrazione deve avere un approccio globale che tenga conto di diversi aspetti, ad esempio: la situazione demografica e dei mercati del lavoro, il rispetto dei diritti umani, la parità di trattamento e la non discriminazione, le norme relative all'ingresso di nuovi immigrati, la condizione degli immigrati in situazione irregolare, l'accoglienza e la protezione dei richiedenti asilo, la lotta alle reti criminali dedite al traffico illegale di esseri umani, la collaborazione con i paesi terzi, la solidarietà europea, la politica sociale e l'integrazione.

2.2

Negli ultimi anni si sono succeduti eventi, dichiarazioni e decisioni politiche che il Comitato osserva con grande preoccupazione, perché vede tornare a diffondersi una vecchia e tristemente nota malattia degli europei: la xenofobia unita al nazionalismo basato sulla discriminazione. Le minoranze e gli immigranti sono oggetto di disprezzo, d'insulti e di politiche aggressive e discriminatorie.

2.3

Il tema dell'immigrazione irregolare è molto serio e complesso, come si evince anche dalle tabelle allegate al presente documento. È inoltre un problema che riguarda tutta l'UE, e come tale va affrontato. I migranti irregolari che attraversano le frontiere meridionali puntano invariabilmente a stabilirsi in altri paesi dell'UE.

2.4

Dato che nello spazio Schengen non esistono frontiere interne, la questione dell'immigrazione irregolare ha ricadute in tutta Europa e deve essere affrontata mediante un'efficace politica europea comune.

2.5

Il CESE ha esaminato il tema dell'immigrazione irregolare nella sua globalità, assumendo varie posizioni in materia in una serie di pareri adottati a larga maggioranza.

2.6

Tali pareri comprendono un'analisi delle cause dell'immigrazione irregolare verso l'UE, e parallelamente rilevano l'assenza di una politica europea globale sull'immigrazione irregolare, l'estrema lentezza dei progressi verso la definizione di una politica comune in materia di immigrazione e asilo e verso un'elevata armonizzazione legislativa. Inoltre, trattano ampiamente le conseguenze del problema e propongono una serie di soluzioni.

2.7

Poiché migliaia di immigrati irregolari entrano nell'Unione europea dai confini marittimi, si rende necessario affrontare in modo specifico la questione dell'immigrazione irregolare via mare, la quale, secondo Frontex, si localizza principalmente nella regione euromediterranea.

2.8

Il presente parere si concentra principalmente sull'immigrazione irregolare via mare, accennando però anche ad alcuni degli aspetti più importanti del fenomeno dell'immigrazione irregolare in generale, al fine di proporre soluzioni organiche che garantiscano una politica dell'immigrazione efficace, umana e accessibile.

3.   Analisi del problema

3.1   Diritti umani

3.1.1

I diritti degli immigrati irregolari devono essere rispettati in ogni fase, dal salvataggio o detenzione fino alla concessione dello status di protezione, quando si trovino in una situazione irregolare "senza documenti" o debbano essere rimpatriati. La migrazione irregolare via mare comporta spesso la perdita di vite umane. In questo contesto, il CESE evidenzia l'importanza di rispettare in ogni momento i diritti fondamentali della persona. Il CESE ha proposto che l'Agenzia dei diritti fondamentali effettui anche un monitoraggio delle azioni di controllo alle frontiere e delle operazioni di Frontex. Il Comitato inoltre sostiene le attività del Forum consultivo di Frontex ed esprime la propria volontà di collaborare a tali attività.

3.2   Salvataggio di vite in mare

3.2.1

Gli Stati membri e le imbarcazioni private sono obbligati a salvare qualunque persona si trovi in pericolo in mare. Ciò vale anche per gli immigrati o i trafficanti/autori della tratta di esseri umani che abbiano assunto rischi intenzionalmente. In molti casi, le persone alla ricerca di asilo e i migranti irregolari sono messe in situazioni di grave pericolo dalle reti criminali cui si affidano. Le agenzie e le ONG hanno segnalato che nel Mediterraneo muoiono ogni anno migliaia di persone in queste circostanze, e che in taluni casi le vittime non hanno né ricevuto assistenza né sono state tratte in salvo dalle imbarcazioni che transitavano nelle vicinanze.

3.3   Sbarco (Disembarkation)

3.3.1

Negli ultimi anni, i salvataggi avvenuti in acque internazionali nel Mediterraneo hanno dato luogo ad alcune controversie giuridiche e politiche che hanno messo inutilmente a repentaglio la vita di molte persone. Il CESE sottolinea che la questione dello sbarco dovrà essere regolamentata in base al criterio dello sbarco nel luogo sicuro più vicino, purché il paese in questione aderisca a tutte le convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo e sia monitorato dalle organizzazioni attive nella difesa di tali diritti. Nel caso delle missioni di Frontex, il CESE non condivide affatto l'idea che i migranti dovrebbero essere ricondotti obbligatoriamente negli Stati membri che ospitano le missioni. Una politica di questo tipo provoca almeno due problemi: (i) accentua ancor più le pressioni migratorie sugli Stati membri già sottoposti a pesanti oneri, al punto da rendere insostenibile il fatto di ospitare una missione Frontex proprio negli Stati che ne hanno più bisogno; (ii) nuoce alle persone tratte in salvo, le quali verrebbero trasportate nello Stato membro che ospita la missione Frontex, anziché nel posto più adatto date le circostanze (generalmente il luogo sicuro più vicino).

3.4   Diritto d'asilo e sua concessione

3.4.1

Il CESE insiste affinché l'UE prosegua verso l'adozione di un sistema comune di asilo che presenti un livello elevato di armonizzazione legislativa. Il regolamento di Dublino stabilisce la competenza di ciascuno Stato membro incaricato dell'esame delle richieste di asilo. Il Comitato ha già segnalato che questo sistema comporta diversi problemi. Sarebbe opportuno chiedere al richiedente in quale Stato membro desidera che venga valutata la sua richiesta. Nel parere in merito al Libro verde (4), il CESE ha proposto che "venga concessa al richiedente asilo la libertà di scelta del paese al quale presentare la domanda e che, in questa prospettiva, si esortino fin d'ora gli Stati membri ad applicare la clausola umanitaria prevista dall'articolo 15, paragrafo 1, del regolamento di Dublino".

3.4.2

Nell'ambito della cooperazione tra gli Stati membri sono state avviate diverse attività realizzate da Eurasil, un gruppo di esperti nazionali presieduto dalla Commissione. È stato altresì creato uno strumento di solidarietà finanziaria, rappresentato dal Fondo europeo per i rifugiati. A partire dal 2014, il Fondo di immigrazione e asilo disporrà di più ampie risorse e godrà anche di maggiore flessibilità per le situazioni di emergenza.

3.4.3

Le domande di asilo per ottenere protezione dovranno essere trattate conformemente alla legislazione europea in materia e alle norme per la concessione della protezione internazionale. Tale protezione andrà accordata ai richiedenti che ne hanno veramente bisogno.

3.4.4

Il CESE ribadisce che il trattamento e le garanzie riservati ai richiedenti asilo alle frontiere devono essere identici a quelli riservati a chi presenta la richiesta nel territorio di uno Stato membro.

3.4.5

Il CESE richiede un maggior impegno dell'UE nella lotta contro le reti criminali di tratta degli esseri umani, ma ritiene che alcune politiche volte a "combattere l'immigrazione irregolare" stiano dando vita a una grave crisi del regime di asilo in Europa. Il CESE ha affermato in diversi pareri (5) che la lotta all'immigrazione illegale non dovrebbe creare nuovi problemi in relazione all'asilo e che i funzionari responsabili dei controlli alle frontiere dovrebbero ricevere una formazione adeguata per poter garantire il diritto di asilo.

3.4.6

Il CESE sostiene le proposte dell'UNHCR di istituire gruppi di esperti in materia di asilo per fornire sostegno in tutte le operazioni di controllo delle frontiere nell'UE.

3.4.7

È particolarmente importante essere consapevoli del fatto che più di migliaia delle persone che entrano nell'UE non fanno domanda di asilo, in quanto si tratta di immigrati economici, e il motivo principale del loro ingresso nell'UE non è tanto quello di rimanere nel paese d'ingresso, quanto piuttosto di proseguire verso altri paesi europei.

3.4.8

I partenariati per la mobilità non devono presupporre che i paesi partner sostengano interamente il costo delle procedure di asilo di quanti transitano sul loro territorio. L'UE deve mostrarsi disposta a collaborare su questo punto tramite il Fondo asilo e migrazione, che dovrà contribuire alla creazione di meccanismi e infrastrutture che consentano di esaminare le domande di asilo e di decidere entro termini ragionevoli nell'ambito delle garanzie previste dal diritto internazionale.

3.4.9

Il CESE chiede che l'UE prosegua verso l'adozione di un sistema comune di asilo caratterizzato da un elevato livello di armonizzazione legislativa. Le domande d'asilo dovrebbero essere vagliate non soltanto dai paesi di ingresso, ma anche dagli altri Stati membri. Si dovrebbe chiedere al richiedente in quale Stato membro desidera che venga valutata la sua richiesta. Nel parere in merito al Libro verde (6), il CESE ha proposto che "venga concessa al richiedente asilo la libertà di scelta del paese al quale presentare la domanda e che, in questa prospettiva, si esortino fin d'ora gli Stati membri ad applicare la clausola umanitaria prevista dall'articolo 15, paragrafo 1, del regolamento di Dublino", in modo da accelerare il trattamento delle domande e contribuire a ridurre la congestione amministrativa nei paesi d'ingresso. Il CESE appoggia l'idea che l'UE collabori con i paesi terzi affinché questi ultimi migliorino i loro sistemi di asilo e si conformino alle norme internazionali. Per quanto attiene alla dimensione esterna dell'asilo, sono stati compiuti progressi in ambiti quali il sostegno ai paesi terzi con un numero ingente di rifugiati (i programmi di protezione regionale in corso sono particolarmente importanti in tal senso) o il reinsediamento dei rifugiati nell'UE.

3.5   Rimpatrio delle persone entrate clandestinamente e/o in soggiorno irregolare

3.5.1

Il rimpatrio dei migranti entrati nell'UE clandestinamente va gestito con molta cautela. A questo proposito è essenziale concludere accordi di rimpatrio con i paesi terzi per garantire il pieno rispetto dei diritti dei migranti che rientrano nel paese d'origine.

3.5.2

I partenariati di mobilità dovranno prevedere procedure di rimpatrio basate principalmente sul rimpatrio volontario, accompagnato da sistemi di sostegno (7). Nel caso in cui si applichino procedure di rimpatrio forzato, è necessario rispettare pienamente i diritti umani dei soggetti interessati e tenere conto delle raccomandazioni del Consiglio d'Europa in materia (8).

3.5.3

Il Comitato chiede una maggiore trasparenza in relazione ai centri di custodia temporanea sia all'interno che all'esterno dell'UE, e che l'UNHCR sia informato della situazione delle persone che vi si trovano, le quali devono poter essere assistite dalle ONG. Il CESE ritiene che le donne in stato di gravidanza e i minori debbano essere oggetto di una protezione particolare e che debbano essere ospitati in strutture idonee, da creare con il sostegno finanziario dell'UE.

3.6   Una politica europea integrata sull'immigrazione irregolare basata sulla solidarietà

3.6.1

Il CESE sottolinea che il problema riguarda tutta l'Europa, e non soltanto i paesi mediterranei. Data oltretutto l'esistenza dell'accordo di Schengen, la migrazione nella regione del Mediterraneo dovrà essere affrontata nel quadro di uno sforzo europeo comune. Non è solo una questione di solidarietà europea, ma anche di assunzione degli obblighi da parte dell'insieme degli Stati membri dell'UE, con una politica europea comune proposta dalla Commissione europea e approvata dal Consiglio e dal Parlamento.

3.6.2

Le frontiere dell'UE, comprese le frontiere marittime degli Stati membri che si affacciano sul Mediterraneo, sono frontiere comuni a tutti gli Stati membri dell'UE e, per questa ragione, la loro adeguata gestione dovrebbe essere una responsabilità condivisa da tutti.

3.6.3

A questo proposito, tutti gli Stati membri dovrebbero contribuire e partecipare: (i) alla fornitura delle risorse necessarie per effettuare il controllo delle frontiere e i salvataggi in mare; (ii) all'esame delle domande di asilo nell'ambito delle loro competenze; (iii) in casi straordinari, all'attuazione delle procedure di rimpatrio ed espulsione; (iv) alla ricollocazione all'interno dell'UE dei migranti entrati dai piccoli Stati membri dell'area mediterranea, e (v) al contrasto della criminalità organizzata e dei trafficanti.

3.6.4

La ricollocazione dovrebbe avvenire sulla base di un ben definito meccanismo permanente. La Commissione dovrebbe presentare una proposta legislativa in questo senso, che preveda un meccanismo permanente ed efficace di ricollocazione dei richiedenti asilo all'interno dell'UE in base a un criterio europeo di ripartizione quale viene descritto nella relazione del Parlamento europeo sul rafforzamento della solidarietà all'interno dell'UE in materia di asilo (2012/2032 INI). Per garantire a questo meccanismo una funzionalità ottimale, sarebbe bene che la proposta legislativa tenesse tra l'altro conto delle esperienze pratiche acquisite a Malta con il progetto pilota Eurema (9).

3.7   Conclusione di accordi con paesi terzi che confinano con l'UE

3.7.1

L'UE dovrà esercitare tutta la sua influenza politica ed economica, in special modo nei confronti dei paesi che ricevono dall'Unione consistenti finanziamenti, in modo da obbligarli a collaborare sulle questioni dell'immigrazione. Secondo il Comitato, i partenariati di mobilità dovrebbero includere i quattro pilastri dell'approccio globale: agevolare e organizzare la migrazione legale e la mobilità; prevenire e ridurre la migrazione irregolare e la tratta degli esseri umani; promuovere la protezione internazionale e rafforzare la dimensione esterna della politica di asilo; aumentare l'incidenza della migrazione e della mobilità sullo sviluppo.

3.7.2

La soluzione del problema dovrà andare oltre le misure di polizia, prevedendo azioni preventive a livello dei paesi terzi che pongano l'accento sullo sviluppo di programmi di cooperazione per il sostegno all'agricoltura, all'allevamento, alle PMI, ecc. L'UE deve dimostrare di possedere la forza politica per fare in modo che i paesi cui è teoricamente legata da rapporti di cooperazione e che ricevono lauti finanziamenti cooperino sui temi della sicurezza, della criminalità organizzata e dell'immigrazione irregolare. Il CESE accoglie con favore il recente accordo con il Regno del Marocco e l'iniziativa di stabilire partenariati di mobilità tra l'UE e la Tunisia, l'Egitto e la Libia. Sarebbe tuttavia necessario realizzare una valutazione dell'efficacia e dell'impatto dei partenariati di mobilità attualmente operativi. Il CESE appoggia l'iniziativa della Commissione diretta a garantire che i partenariati di mobilità siano dotati di un efficiente meccanismo di valutazione. Inoltre poiché tali partenariati sono dichiarazioni politiche congiunte giuridicamente non vincolanti per gli Stati partecipanti, sarebbe bene trasformarli in accordi internazionali. Il Comitato ritiene che l'UE e gli Stati membri debbano sottoscrivere nuovi accordi con altri paesi della regione. Tenendo conto delle relazioni speciali che l'UE intrattiene con la Turchia, entrambe le parti dovrebbero attribuire maggiore importanza alle questioni connesse alla migrazione, in particolare per quanto riguarda la lotta contro le reti criminali.

3.7.3

Al fine di garantire il corretto funzionamento delle procedure amministrative e giudiziarie, è particolarmente importante che l'UE chieda ai paesi da cui provengono gli immigrati irregolari il rapido rilascio dei documenti di viaggio.

3.7.4

Questo tema dovrà essere affrontato anche in seno alla conferenza euromediterranea, dato che un numero consistente di immigrati irregolari entra nell'UE passando per paesi terzi che si affacciano sul Mediterraneo.

3.7.5

Sarebbe opportuno fornire assistenza a taluni paesi di transito per consentire loro di gestire meglio le frontiere, creare strutture di asilo ed anche costituire le capacità necessarie per fornire essi stessi protezione a chi ne ha bisogno.

3.8   Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (Frontex)

3.8.1

Bisognerà proseguire la trasformazione di Frontex in una vera e propria Agenzia europea delle frontiere esterne, con più ampi poteri di coordinamento ed eventualmente con compiti di prevenzione. A questo fine, l'Agenzia dovrà essere dotata di mezzi finanziari adeguati per fornire l'assistenza necessaria agli Stati membri meridionali in difficoltà di fronte ai flussi migratori. Parallelamente, dovranno essere rafforzate le risorse umane (in particolare le guardie di frontiera) e la strumentazione elettronica di osservazione e rilevamento a disposizione. A questo proposito, bisogna promuovere l'applicazione del concetto di squadre di guardie di frontiera, come sottolineato dal Parlamento europeo nella sua relazione su Frontex (A7-0278/2011). Bisognerà inoltre cominciare a prendere in seria considerazione l'uso delle nuove capacità di Frontex (ad esempio, l'acquisto di equipaggiamento).

3.8.2

Dovrà essere rafforzata la rete europea di pattuglie (European Patrols Network), che consente di sincronizzare i mezzi nazionali e le attività europee rafforzando la cooperazione a livello nazionale ed europeo.

3.9   L'EASO

3.9.1

L'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (European Asylum Support Office, EASO) dovrà essere in grado di individuare con chiarezza le differenze nelle pratiche relative all'asilo esistenti tra gli Stati membri, come pure le differenze nelle loro legislazioni, e proporre i necessari cambiamenti. Dovrà inoltre disporre dell'autorità necessaria per redigere linee guida congiunte sull'interpretazione e l'applicazione dei diversi aspetti, procedurali e sostanziali, dell'acquis comunitario in materia di asilo, come proposto dalla Commissione nel suo Libro verde.

3.9.2

L'Ufficio potrebbe diventare un importante centro di scambio di buone pratiche e di sviluppo di attività di formazione in materia di asilo, in special modo per i funzionari preposti al controllo delle frontiere. Inoltre, potrebbe occuparsi del monitoraggio e dell'analisi dei risultati delle nuove misure di asilo sviluppate dall'UE. Nell'ambito di tale ufficio potrebbero poi essere istituiti e gestiti i gruppi congiunti di esperti in materia di asilo.

3.9.3

L'Ufficio dovrà partecipare alla creazione di reti, collaborare con l'Eurasil e mantenere stretti legami con l'UNHCR e le ONG specializzate.

3.9.4

L'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo ha iniziato a funzionare abbastanza recentemente. Ci aspettiamo che assuma i suoi compiti senza ulteriori ritardi, arrivando così ad operare a pieno regime, soprattutto per quanto riguarda il suo ruolo nella ricerca di soluzioni sostenibili e nell'assicurare la ripartizione degli oneri tra gli Stati membri, come descritto nel relativo regolamento. Al tempo stesso, l'EASO deve anche essere proattivo in fatto di solidarietà all'interno dell'UE, conformemente agli obblighi fissati nel relativo regolamento.

3.10   Prevenzione e lotta alla tratta di esseri umani e alla criminalità organizzata

3.10.1

L'immigrazione irregolare via mare è pericolosa e mette a rischio delle vite umane. Migliaia di persone hanno perso la vita nel corso di traversate su imbarcazioni che non erano in grado di affrontare il mare. Questi viaggi pericolosi sono organizzati da reti criminali, che stipano centinaia di persone (comprese donne e bambini) in imbarcazioni sprovviste di adeguati equipaggiamenti (compresa l'attrezzatura di salvataggio) e rifornimenti e per la maggior parte non in grado di reggere il mare. La risoluzione adottata dall'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (risoluzione 1872/2012), intitolata Lives Lost in the Mediterranean Sea – Who is Responsible? ("Vite perdute nel Mediterraneo: di chi è la responsabilità?") descrive in modo molto particolareggiato il ruolo svolto dai trafficanti nell'organizzazione di queste pericolose traversate del Mediterraneo e va considerata con grande attenzione per comprendere la gravità del fenomeno.

3.10.2

Occorrerà che gli Stati membri inaspriscano i procedimenti penali e le sanzioni a carico dei trafficanti di esseri umani, con sanzioni che vadano fino all'ergastolo. Le persone sfruttate dai trafficanti devono essere sempre considerate vittime innocenti.

3.10.3

La tratta di esseri umani alimenta la criminalità, dato che sono le reti criminali a organizzare questi viaggi e a riscuotere, spesso in modo ricattatorio e disumano, il prezzo pagato da ciascun migrante. Il CESE sottolinea che, rispetto sia ai paesi di partenza che ai paesi di transito, l'UE deve collaborare a smantellare i circuiti criminali coinvolti. Sottolinea inoltre che l'UE deve adoperarsi con tutta la forza possibile per impedire a quanti favoreggiano l'immigrazione clandestina di praticare questa attività e di mettere in pericolo vite umane.

3.10.4

L'UE deve inoltre considerare l'ipotesi di concludere accordi con i paesi terzi per la creazione di centri di permanenza temporanea degli immigrati e sostenere economicamente la creazione e il funzionamento di questi ultimi. I centri creati in questi paesi potrebbero operare in collegamento con adeguati spazi di accoglienza per l'identificazione e l'assistenza ai migranti. L'OIM, l'UNHCR e l'Agenzia dei diritti fondamentali, nonché le ONG specializzate dovranno vigilare sul funzionamento di questi centri.

3.10.5

L'UE, inoltre, dovrà impegnarsi in iniziative d'informazione volte a dissuadere i potenziali immigrati irregolari dall'entrare clandestinamente nell'UE, mettendoli al corrente dei pericoli e delle difficoltà derivanti dall'immigrazione clandestina. I potenziali immigrati irregolari dovranno anche essere informati in merito alle enormi difficoltà di trovare un lavoro una volta entrati in Europa senza documenti.

3.10.6

Occorrerà sostenere sia moralmente sia economicamente, nei paesi di provenienza, gli organismi che con la loro azione promuovono l'informazione dell'opinione pubblica sui temi di cui sopra al fine di dissuadere i potenziali immigrati dal tentare questi pericolosi viaggi.

3.10.7

Inoltre, il CESE chiede che si provveda ad affrontare le cause profonde del problema, che è legato al tenore di vita dei paesi d'origine. A questo fine occorrerà attivare appositi programmi. Bisognerà inoltre affrontare il tema nella sua globalità anche in seno alla conferenza euromediterranea.

3.11   Finanziamento

3.11.1

Si dovranno garantire i finanziamenti necessari sia per la prevenzione che per l'intercettazione dei flussi migratori. Nella progettazione dei centri di trattenimento bisognerà assicurare la separazione tra immigrati irregolari e richiedenti asilo. Nei centri di permanenza temporanea bisognerà inoltre separare i minori e i gruppi vulnerabili, come già previsto, entro 15 giorni dall'arrivo. Stando a una ricerca italiana segnalataci da Frontex, il costo giornaliero di un immigrato irregolare è di 48 euro. Se si moltiplica questa cifra per 100 000 immigrati all'anno (stando ai dati Frontex (10)) e per 365 giorni, si ottiene un totale di 1 752 milioni di euro per ogni anno che passa.

3.11.2

Il CESE plaude agli sforzi della Commissione europea volti a semplificare gli strumenti finanziari mediante la creazione di due fondi, il Fondo Asilo e migrazione (11) e il Fondo Sicurezza interna (12), i quali sono accompagnati da un regolamento orizzontale e da una serie di norme comuni in materia di programmazione, informazione, gestione finanziaria, controllo e valutazione (13). Il CESE sostiene la proposta della Commissione di istituire un importo di base e un altro importo di natura variabile o flessibile al momento di distribuire le risorse finanziarie tra gli Stati membri. Per quanto attiene all'importo flessibile, il CESE ritiene essenziale che ciascuno Stato membro elabori il proprio programma annuale in rapporto alle priorità dell'UE, comprendendo la cooperazione con altri Stati membri. Il Comitato si compiace inoltre del fatto che a partire dal 2014 il Fondo Asilo e migrazione sarà dotato di risorse più consistenti e di maggiore flessibilità per fronteggiare le situazioni di emergenza.

3.11.3

I cambiamenti previsti consentiranno di superare i problemi attuali, poiché i programmi dell'UE per la gestione dell'immigrazione e la creazione di centri di trattenimento hanno cadenza annuale. Lo stesso vale per i finanziamenti e le azioni. È però quasi impossibile completare strutture di accoglienza e di permanenza temporanea in base a un calendario annuale. Per questo motivo i programmi di questo genere devono organizzarsi in una prospettiva di maggiore flessibilità.

3.11.4

Bisognerà assicurare il finanziamento della costruzione di analoghi centri di permanenza temporanea e di accoglienza anche nei paesi terzi che costituiscono tappe intermedie sulla via di ritorno dei migranti verso i paesi di partenza iniziale.

Tenendo presente l'esempio economico citato sopra, bisognerà infine ricorrere al bilancio dell'UE per finanziare e rafforzare gli strumenti di sorveglianza e di prevenzione (navi pattuglia, guardacoste, elicotteri) e dotare Frontex e l'EASO di bilanci annuali adeguati per svolgere appieno i loro compiti. Bisognerà garantire che i paesi di ingresso dispongano di finanziamenti per contrastare con successo le reti criminali coinvolte, offrendo al contempo le condizioni giuste agli immigrati in arrivo.

Bruxelles, 16 ottobre 2013.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2011) 248 final, PARIZA CASTAÑOS;

COM(2011) 743 final, PARIZA CASTAÑOS, KING;

COM(2011) 750 final, 751 final, 752 final, 753 final, PARIZA CASTANOS;

COM(2008) 359 final, PARIZA CASTAÑOS, BONTEA.

(2)  Direttiva 2008/115/CE

(3)  Per es. gli articoli 12.1, 12.2, 13.1, 13.2,13.3,13.4,14.1 e 14.2 della direttiva.

(4)  Cfr. il parere del CESE del 12 marzo 2008 in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo (relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE), GU C 204 del 9.8.2008, pag. 77-84.

(5)  Cfr. i seguenti pareri del CESE:

parere del 25 aprile 2002 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comune in materia di immigrazione illegale, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 221 del 17.9.2002);

parere del 29 gennaio 2004 in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, relatore generale: PARIZA CASTAÑOS (GU C 108 del 30.4.2004);

parere del 27 ottobre 2004 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio recante modifica alla decisione 2002/463/CE che istituisce un programma d'azione finalizzato alla cooperazione amministrativa nel settore delle frontiere esterne, dei visti, dell'asilo e dell'immigrazione (programma ARGO), relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 120 del 20.5.2005);

parere del 12 marzo 2008 in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 204 del 9.8.2008).

(6)  Si veda il parere del CESE in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo (relatrice: LE NOUAIL-MARLIÈRE), del 12 marzo 2008, GU C 204 del 9.8.2008, pag. 77-84.

(7)  In collaborazione con l'Organizzazione internazionale per le migrazioni.

(8)  Twenty guidelines on forced return (Venti orientamenti sul rimpatrio forzato), CM(2005) 40.

(9)  Eurema è un progetto pilota dell'UE per la ricollocazione dei beneficiari di protezione internazionale provenienti da Malta, avallato dalle conclusioni del Consiglio europeo del 18 e 19 giugno 2009 (doc 11225/2/09 CONCL 2).

(10)  Si rimanda alle tabelle che figurano negli allegati al presente parere.

(11)  COM(2011) 751 final.

(12)  COM(2011) 750 final, COM(2011) 753 final.

(13)  COM(2011) 752 final.


Appendix

YEAR

Irregular immigrants arrested for irregular entry and residence by police authorities and the coastguard

Deported

Refoulements

(across the northern borders of our country)

Smugglers arrested by Police authorities and the coastguard

2002

58 230

11 778

37 220

612

2003

51 031

14 993

31 067

525

2004

44 987

15 720

25 831

679

2005

66 351

21 238

40 284

799

2006

95 239

17 650

42 041

994

2007

112 364

17 077

51 114

1 421

2008

146 337

20 555

48 252

2 211

2009

126 145

20 342

43 977

1 716

2010

132 524

17 340

35 127

1 150

2011

99 368

11 357

5 922

848

2012

76 878

17 358

4 759

726

4 MONTHS 2013

11 874

6 370

1 858

248

Source: Ministry of Public Order. Hellenic Police Statistics


IMMIGRANTS ARRESTED

2011

Main Nationalities

2012

Main Nationalities

1.

Afghanistan

28 528

1.

Afghanistan

16 584

2.

Pakistan

19 975

2.

Pakistan

11 136

3.

Albania

11 733

3.

Albania

10 602

4.

Bangladesh

5 416

4.

Syria

7 927

5.

Algeria

5 398

5.

Bangladesh

7 863

6.

Morocco

3 405

6.

Algeria

4 606

7.

Iraq

2 863

7.

Iraq

2 212

8.

Somalia

2 238

8.

Morocco

2 207

9.

Palestine

2 065

9.

Somalia

1 765

10.

Congo

1 855

10.

Palestine

1 718

Source: Ministry of Public Order. Hellenic Police Statistics


DETENTION CENTRES' CAPACITY IN RELATION TO THE NUMBER OF DETAINED IMMIGRANTS

PRE-REMOVAL CENTRES

CAPACITY

DETAINED IMMIGRANTS

COMPLETENESS PERCENTAGE

AMIGDALEZA

2 000

1 787

89 %

KOMOTINI

540

422

78 %

XANTHI

480

428

89 %

DRAMA (PARANESTI)

557

296

53 %

KORINTHOS

374

1 016

99 %

DETENTION CENTRES

CAPACITY

DETAINED IMMIGRANTS

COMPLETENESS PERCENTAGE

ORESTIADA (FILAKIO)

374

273

73 %

SAMOS

285

100

35 %

HIOS

108

95

88 %

TOTAL DETAINED

5 368

4 417

82 %

Source: Ministry of Public Order. Hellenic Police Statistics


HELLENIC READMISSION REQUESTS TO TURKEY

YEAR

READMISSION REQUESTS

NUMBER OF IRREGULAR IMMIGRANTS

ACCEPTED

DELIVERED

2006

239

2 251

456

127

2007

491

7 728

1 452

423

2008

1 527

26 516

3 020

230

2009

879

16 123

974

283

2010

295

10 198

1 457

501

2011

276

18 758

1 552

730

2012

292

20 464

823

113

2013

44

795

84

8

TOTAL

5 706

122 796

12 332

3 805

Source: Ministry of Public Order. Hellenic Police Statistics

Results of 2012 from FRONTEX:

In total, during the joint maritime operations 258 suspected facilitators were apprehended.

Across all the sea operations in 2012, there were 169 SAR cases and 5 757 migrants in distress were saved.

In addition, 382 suspected drug smugglers were apprehended. The amount of drugs seized was over 46 tonnes, worth EUR 72,6 million. The predominant part of this was hashish – almost 44 tonnes of drugs worth EUR 68 million.

Beside this, 38 cases of smuggled cigarettes/tobacco were detected during sea operations. The 2,4 million packets of contraband cigarettes intercepted were worth EUR 5,6 million.

ALL BELOW source: FRONTEX ANNUAL RISK ANALYSIS

Indicator 1A — Detections of illegal border-crossing between border-crossing points:

The number of third -country nationals detected by Member State authorities when illegally entering or attempting to enter the territory between border-crossing points (BCPs) at external borders only. Detections during hot pursuits at the immediate vicinity of the border are included. This indicator should not include EU or Schengen Associated Country (SAC) nationals.

Detections of illegal border-crossing between BCPs

Routes

2010

2011

2012

Share of total

% change on prev. year

Eastern Mediterranean route (Greece, Bulgaria and Cyprus)

55 688

57 025

37 224

51

–35

Land

49 513

55 558

32 854

 

–41

Afghanistan

21 389

19 308

7 973

 

–59

Syria

495

1 216

6 216

 

411

Bangladesh

1 496

3 541

4 598

 

30

Sea

6 175

1 467

4 370

 

198

Afghanistan

1 373

310

1 593

 

414

Syria

139

76

906

 

1 092

Palestine

1 500

128

408

 

219

Central Mediterranean route (Italy and Malta)

1 662

59 002

10 379

14

–82

Somalia

82

1 400

3 394

 

142

Tunisia

650

27 964

2 244

 

–92

Eritrea

55

641

1 889

 

195

Western Mediterranean route

5 003

8 448

6 397

8,8

–24

Sea

3 436

5 103

3 558

 

–30

Algeria

1 242

1 037

1 048

 

1,1

Morocco

300

775

364

 

–53

Chad

46

230

262

 

14

Land

1 567

3 345

2 839

 

–15

Not specified

1 108

2 610

1 410

 

–46

Algeria

459

735

967

 

32

Morocco

0

0

144

 

n.a.

Western Balkan route

2 371

4 658

6 391

8,8

37

Afghanistan

469

983

1 665

 

69

Kosovo (1)

372

498

942

 

89

Pakistan

39

604

861

 

43

Circular route frora Albania to Greece

35 297

5 269

5 502

7,6

4,4

Albania

32 451

5 022

5 398

 

7,5

fYROM

49

23

36

 

57

Kosovo (1)

21

37

34

 

–8,1

Apulia and Calabria (Italy)

2 788

5 259

4 772

6,6

–9,3

Afghanistan

1 664

2 274

1 705

 

–25

Pakistan

52

992

1 156

 

17

Bangladesh

12

209

497

 

138

Eastern borders route

1 052

1 049

1 597

2,2

52

Georgia

144

209

328

 

57

Somalia

48

120

263

 

119

Afghanistan

132

105

200

 

90

Western African route

196

340

174

0,2

–49

Morocco

179

321

104

 

–68

Gambia

1

2

39

 

1 850

Senegal

2

4

15

 

275

Other

3

1

1

0

0

Iran

0

0

1

 

n.a

Russian Federation

2

0

0

 

n.a

Somalia

0

1

0

 

– 100

Total

104 060

141 051

72 437

 

–49


Illegal border-crossing between BCPs

Detections by border type and top ten nationalities at the external borders

 

2009

2010

2012

2012

Share of total

% change on prev. year

All Borders

Afghanistan

14 539

25 918

22 994

13 169

18

–43

Syria

613

861

1 616

7 903

11

389

Albania

38 905

33 260

5 138

5 651

7,8

10

Algeria

4 487

8 763

6 157

5 479

7,6

–11

Bangladesh

551

1 647

4 923

5 417

7,5

10

Somalia

9 115

4 619

3 011

5 038

7,0

67

Pakistan

1 592

3 878

15 375

4 877

6,7

–68

Tunisia

1 701

1 498

28 829

2 717

3,8

–91

Eritrea

2 228

1 439

1 572

2 604

3,6

66

Morocco

1 710

1 959

3 780

2 122

2,9

–44

Others

29 158

20 218

47 656

17 460

24

–63

Total all borders

104 599

104 060

141 051

72 437

 

–49

Land Border

Afghanistan

2 410

22 844

20 396

9 838

20

–52

Syria

389

530

1 254

6 416

13

412

Albania

38 088

32 592

5 076

5 460

11

7,6

Bangladesh

305

1 506

3 575

4 751

9,7

33

Algeria

676

6 961

4 671

4 081

8,3

–13

Pakistan

1 328

3 675

13 781

3 344

6,8

–76

Not specified

565

1 304

2 747

1 817

3,7

–34

Somalia

259

4 102

1 498

1 558

3,2

4,0

Morocco

737

1 319

2 236

1 422

2,9

–36

Palestine

2 791

2 661

652

1 195

2,4

83

Others

9 892

12 306

13 993

9 301

19

–34

Total land borders

57 440

89 800

69 879

49 183

 

–30

Sea Border

Somalia

8 856

517

1 513

3 480

15

130

Afghanistan

12 129

3 074

2 598

3 331

14

28

Tunisia

1 643

711

28 013

2 283

9,8

–92

Eritrea

2 195

507

680

1 942

8,4

186

Pakistan

264

203

1 594

1 533

6,6

–3,8

Syria

224

331

362

1 487

6,4

311

Algeria

3 811

1 802

1 486

1 398

6,0

–5,9

Egypt

545

713

1 948

1 283

5,5

–34

Morocco

973

640

1 544

700

3,0

–55

Bangladesh

246

141

1 348

666

2,9

–51

Others

16 273

5 621

30 086

5 151

22

–83

Total sea borders

47 159

14 260

71 172

23 254

100

–67

Indicator 1B — Detections of illegal border-crossing at border-crossing points:

The number of third-country nationals detected by Member State authorities when entering clandestinely or attempting to enter illegally (such as hiding in transport means or in another physical way to avoid border checks at BCPs) the territory at border-crossing points (BCPs) at external borders only, whether they result in a refusal of entry or not. This indicator should not include EU or Schengen Associated Country (SAC) nationals.

Clandestine entries at BCPs

Detections reported by Member State and top ten nationalities at the external borders

 

2009

2010

2011

2012

Share of total

% change on prev. year

Border Type

Land

137

168

159

486

81

208

Sea

159

74

123

115

19

–6,5

Top Ten Nationalities

Afghanistan

18

8

58

190

31

228

Algeria

30

35

55

61

10

11

Turkey

73

93

24

41

6,8

71

Syria

2

3

6

36

6,0

500

Albania

3

7

9

35

5,8

289

Morocco

20

14

15

24

4,0

60

Pakistan

2

12

10

24

4,0

140

Palestine

14

4

17

24

4,0

41

Serbia

4

2

4

23

3,8

475

Philippines

0

8

1

17

2,8

1 600

Others

130

56

83

126

21

62

Total

296

242

282

601

 

115

FRONTEX · ANNUAL RISK ANALYSIS 2013

Indicator 2 — Detections of facilitators:

The number of facilitators intercepted by Member State authorities who have intentionally assisted third-country nationals in the illegal entry to, or exit from, the territory across external borders. The indicator concerns detections of facilitators at the following locations: (1) at the external border (both at and between BCPs, for land air and sea) and (2) inside the territory and at internal borders between two Schengen Member States provided that the activities concerned the facilitation of third-country nationals for illegal entry or exit at external borders. This indicator should include third-country nationals as well as EU and/or Schengen Associated Country (SAC) nationals.

Facilitators

Detections reported by Member State, place of detection and top ten nationalities (2)

 

2009

2010

2011

2012

Share of total

% change on prev. year

Border Type

Inland

5 901

5 918

5 146

5 186

67

0,8

Land

1 160

1 171

625

887

11

42

Land Intra EU

618

616

365

498

6,5

36

Sea

997

503

324

471

6,1

45

Air

277

300

367

358

4,6

–2,5

Not specified

218

121

130

320

4,1

146

Top Ten Nationalities

Italy

875

1 367

568

543

7,0

–4,4

Spain

286

285

320

498

6,5

56

Not specified

322

261

255

479

6,2

88

Morocco

475

413

390

461

6,0

18

Romania

292

398

268

364

4,7

36

France

230

365

404

352

4,6

–13

China

731

554

375

316

4,1

–16

Pakistan

245

245

237

286

3,7

21

Albania

670

430

221

243

3,1

10

Turkey

405

305

204

238

3,1

17

Others

4 640

4 006

3 715

3 940

51

6,1

Total

9 171

8 629

6 957

7 720

 

11

Indicator 3 — Detections of illegal stay:

The number of third-country nationals detected by Member State authorities while not fulfilling, or no longer fulfilling, the conditions for stay or residence in the Member State during the reference month, irrespective of whether they were detected inland or while trying to exit the territory. The category should include third-country nationals who are not in the possession of a valid visa, residence permit, travel document, etc or in breach of a decision to leave the country. It also includes third-country nationals who initially entered legally but then overstayed their permission to stay. This indicator should not include EU or Schengen Associated Country (SAC) nationals.

Illegal stay

Detections reported by Member State, place of detection and top ten nationalities

 

2009

2010

2011

2012

Share of total

% change on prev. year

Place of Detection

Inland

340 180

295 274

283 308

278 438

81

–1,7

Air

28 624

29 322

33 126

35 410

10

6,9

Land

6 351

7 011

17 640

19 883

5,8

13

Land Intra EU

17 594

12 996

9 230

5 832

1,7

–37

Sea

19 156

7 232

6 593

4 585

1,3

–30

Between BCPs

198

1 233

1 049

724

0,2

–31

Not specified

22

9

2

56

 

2 700

Top Ten Nationalities

Afghanistan

38 637

21 104

25 296

24 395

7,1

–3,6

Morocco

25 816

22 183

21 887

21 268

6,2

–2,8

Pakistan

9 058

10 508

12 621

18 334

5,3

45

Algeria

12 286

14 261

15 398

15 776

4,6

2,5

Tunisia

10 569

8 350

22 864

15 211

4,4

–33

Albania

28 810

20 862

10 207

13 264

3,8

30

Ukraine

10 021

8 835

12 847

13 081

3,8

1,8

Syria

3 838

3 160

3 746

11 967

3,5

219

Serbia

7 028

12 477

10 397

11 503

3,3

11

Russian Federation

9 526

9 471

10 314

11 486

3,3

11

Others

256 536

221 866

205 371

188 643

55

–8,1

Total

412 125

353 077

350 948

344 928

 

–1,7


(1)  This designation is without prejudice to positions on status, and is in line with UNSCR1244 and the ICJ Opinion on the Kosovo declaration of independence.

(2)  

®

Italy does not distinguish between facilitators of illegal border-crossing and facilitators of illegal stay.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Garantire le importazioni di beni essenziali per l’UE mediante la politica commerciale attuale dell’UE e le politiche correlate»

2014/C 67/08

Relatore: PEEL

Nel corso della sessione plenaria del 16 e 17 gennaio 2013, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Garantire le importazioni di beni essenziali per l'UE mediante la politica commerciale attuale dell'UE e le politiche correlate.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre 2013), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 105 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La competitività dell'UE, se non il mantenimento del nostro tenore di vita generale e della nostra qualità di vita, dipende da importazioni sicure e regolari di materie essenziali. "Poche economie possono dirsi autosufficienti nell'approvvigionamento di materie prime, per via della vasta gamma di fattori produttivi necessari alla maggior parte dei paesi": recita la seconda relazione sulle attività della DG Commercio (1), facendo rilevare che "l'interdipendenza è una realtà inevitabile per tutte le economie". Ottenere questi materiali a prezzi accessibili è essenziale per il funzionamento sostenibile dell'economia dell'UE e della società contemporanea nel suo insieme.

1.1.1

Queste risorse naturali mondiali fondamentali, ossia terreni agricoli/alimenti, acqua, energia nonché taluni metalli e minerali essenziali, sono limitate e rischiano di diventare sempre più scarse. Tuttavia, la domanda di tali risorse non è mai stata più elevata né ha registrato aumenti così marcati come oggi. Una risposta inadeguata ai cambiamenti climatici potrebbe aggravare ulteriormente la situazione. L'UE gode di un clima relativamente temperato e favorevole per gli alimenti, le risorse idriche e l'agricoltura, ma non è autosufficiente né in materia di energia né per quanto riguarda numerosi metalli e minerali strategici essenziali.

1.2

È pertanto fondamentale che l'UE ponga un accento molto forte sull'utilizzo razionale e sull'efficienza delle risorse, sull'innovazione e sulla sostituzione, grazie soprattutto all'uso sostenibile, al riutilizzo e al riciclaggio dell'energia, dei metalli e dei minerali strategici essenziali e di altre risorse naturali. Il Comitato accoglie con particolare favore l'accento che pongono su questi aspetti il Partenariato europeo per l'innovazione (PEI) e la recente revisione dell'iniziativa "materie prime" della Commissione (2). Anche la società civile deve partecipare a pieno titolo e in forma attiva, tanto più che le parti interessate e i consumatori hanno un ruolo centrale e responsabile da svolgere nel garantire i massimi tassi di riutilizzo e riciclaggio, come anche la riduzione al minimo dei rifiuti.

1.3

Tuttavia, l'obiettivo del presente parere è quello di esaminare le modalità per garantire le importazioni essenziali attraverso la politica commerciale e le politiche collegate.

1.4

L'approccio adottato dall'UE in materia di commercio sostenibile è più avanzato di quello di qualsiasi suo concorrente principale, ma la sostenibilità deve essere un elemento fondamentale di qualsiasi strategia dell'UE tesa a garantire le importazioni essenziali. Tale strategia deve anche essere in piena sintonia con il programma dell'UE in materia di sviluppo, con particolare riferimento ai paesi ACP, ai paesi meno sviluppati, all'evoluzione dei sistemi di preferenze tariffarie generalizzate SPG e SPG+, nonché ai negoziati - ancora in corso - sugli accordi di partenariato economico (APE), come la Commissione riconosce appieno.

1.5

Il Comitato ha ricordato a più riprese che è essenziale garantire la coerenza tra la conservazione delle risorse naturali, la lotta contro la povertà, la produzione sostenibile e il consumo. Occorre inoltre instaurare dei processi pienamente partecipativi che coinvolgano la società civile, poiché essi rappresentano, insieme al dialogo sociale, dei fattori fondamentali per garantire una buona governance e per lottare contro la corruzione.

1.6

Il Comitato esprime apprezzamento per il fatto che la "gestione sostenibile delle risorse naturali" figuri tra i 12 "obiettivi indicativi" individuati nella relazione presentata il 30 maggio 2013 dal gruppo di personalità ad alto livello delle Nazioni Unite. La Commissione, per parte sua, ha pubblicato l'importante comunicazione Un'esistenza dignitosa per tutti  (3), che verte su questa iniziativa dell'ONU intesa a collegare i progressi compiuti nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio ai risultati di Rio+20, al fine di definire nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) dal 2015. Come rammenta tale comunicazione, "eliminare la povertà e garantire prosperità e benessere duraturi sono tra le sfide più pressanti che il mondo si trova ad affrontare". Questi obiettivi, tuttavia, saranno ancora più difficili da realizzare se il mondo dovrà affrontare gravi carenze di risorse strategiche essenziali.

1.6.1

La Commissione sottolinea altresì che "i due terzi dei servizi offerti dalla natura – terreni fertili, acqua potabile, aria pulita – sono in declino e i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità si approssimano a soglie oltre le quali le ricadute per la società e l'ambiente naturale sono irreversibili". Il Comitato, a sua volta, ha definito questa comunicazione "un elemento importante", mettendo in evidenza che "data l'estensione fisicamente limitata [… di] molte altre risorse naturali […], gli OSS devono includere obiettivi volti a garantire un uso più efficiente di tali risorse e una loro più giusta condivisione".

1.7

Il Comitato esprime apprezzamento per i progressi compiuti dall'iniziativa "materie prime" della Commissione. La gestione efficace delle risorse mondiali essenziali è tuttavia una questione che va affrontata in primo luogo a livello mondiale. Come ha riconosciuto la Commissione stessa, "per garantire un approvvigionamento sostenibile di materie prime, è necessario sviluppare una risposta coordinata, a livello UE o anche internazionale, per promuovere la creazione di un migliore quadro internazionale e una più stretta cooperazione" (4). I problemi attuali sono più di natura geopolitica che geologica, ma il Comitato esprime rammarico per il fatto che la risposta dell'UE sembra essere più un mosaico di iniziative specifiche che una strategia globale generale. Il Comitato si compiace tuttavia per la stretta cooperazione che l'UE ha instaurato con gli Stati Uniti e il Giappone, attraverso il partenariato strategico cui si fa riferimento nella comunicazione della Commissione dal titolo Affrontare le sfide relative ai mercati dei prodotti di base e alle materie prime  (5), e con i paesi menzionati nella revisione dell'iniziativa "materie prime". Questo mette giustamente in evidenza l'importanza della cooperazione con la Commissione dell'Unione africana e con l'Africa in generale.

1.7.1

Il Comitato incoraggia il perseguimento attivo di una diplomazia dell'UE sul fronte delle materie prime. Ritiene soprattutto che occorra intensificare e coordinare maggiormente gli sforzi a livello mondiale, in primo luogo attraverso il G20 (che raggruppa numerosi paesi nei quali si concentra la domanda di importazioni strategiche), nel cui ambito il dibattito sulla questione è stato finora meno proficuo, ma anche attraverso l'OCSE e le Nazioni Unite e le relative agenzie. Un "livellamento verso il basso" non servirebbe a nessuno.

1.7.2

Il principale inconveniente di un approccio globale integrato è rappresentato dalla mancanza di un meccanismo efficace che garantisca l'applicazione. Il Comitato raccomanda pertanto che, nel quadro della revisione, attesa ormai da tempo, dell'OMC, che si fonda sul diritto internazionale, sia aggiunta una competenza specifica riguardante l'energia, le materie prime e il loro utilizzo sostenibile. Andrebbe inoltre attribuita maggiore importanza al Forum mondiale annuale delle materie prime (Global Commodities Forum) dell'UNCTAD. Una questione fondamentale in questo contesto è rappresentata dalla vulnerabilità dei paesi in via di sviluppo. Per gli Stati dipendenti dalle materie prime, i settori dei prodotti di base costituiscono spesso la fonte più importante di introiti e di occupazione. Tuttavia, la loro incapacità di trasformare la crescita trainata da questi prodotti in una crescita economica più duratura e generalizzata e in maggiori benefici per i poveri ne mette in discussione il modello di sviluppo. Occorre riservare la massima attenzione, coinvolgendo appieno la società civile, ai cambiamenti da apportare alle politiche, alle istituzioni e alle infrastrutture di questi paesi per instaurare un legame tra i profitti generati dalle materie prime e il conseguimento di risultati in termini di sviluppo, per quanto riguarda in particolare gli obiettivi di sviluppo del millennio e i futuri obiettivi di sviluppo sostenibile.

1.8

Anche il ruolo del settore privato è di fondamentale importanza, poiché la maggior parte dell'estrazione mineraria e della produzione di energia è ormai oggetto di transazioni di mercato. L'estrazione e la lavorazione sono processi ad altissima intensità di capitale e dipendono pertanto in forte misura da grandi gruppi multinazionali. È quindi essenziale che le convenzioni fondamentali dell'OIL, gli orientamenti dell'OCSE per le imprese multinazionali e le linee guida dell'OCSE specifiche sul dovere di diligenza delle catene di approvvigionamento (6) siano messi in pratica e rispettati pienamente, anche con la cooperazione attiva delle parti sociali. Come afferma la Commissione nella comunicazione intitolata Europa globale, è essenziale garantire che i benefici derivanti dalla liberalizzazione degli scambi "arrivino sino ai cittadini. Siccome perseguiamo la giustizia sociale e la coesione all'interno dell'UE, dovremmo adoperarci anche per promuovere i nostri valori, compresi gli standard in materia sociale e ambientale e la diversità culturale, in tutto il mondo" (7).

1.9

Nell'UE le importazioni di energia e materie prime equivalgono a un terzo della totalità delle importazioni (528 miliardi di euro nel 2010) (8). L'UE è attualmente impegnata a rimuovere le barriere che ostacolano questo tipo di importazioni (come divieti alle esportazioni, nuove restrizioni, dazi supplementari sulle importazioni o doppia tariffazione) attraverso i suoi negoziati commerciali (relativi agli accordi di libero scambio, agli accordi di partenariato economico, agli accordi di partenariato e cooperazione nonché all'adesione all'OMC), con la possibilità di ricorrere, in ultima istanza, a un sistema di risoluzione delle controversie.

1.9.1

Il Comitato esprime però profonda preoccupazione per il fatto che si tratta soltanto di strumenti tattici di politica commerciale, che non pongono in essere una strategia globale, né sarebbero efficaci in caso di crisi. I meccanismi di risoluzione delle controversie richiedono tempo prima di portare a dei risultati e, come si è visto nel caso delle terre rare, possono protrarsi a lungo. Il Comitato chiede che l'UE istituisca una chiara procedura di risposta da applicare nelle situazioni di emergenza o di crisi dovute all'improvvisa indisponibilità, per qualunque motivo, di un'importazione importante.

1.10

Per quanto concerne specificamente le questioni energetiche, la Russia, la Norvegia e l'Algeria forniscono complessivamente l'85 % delle importazioni di gas naturale e quasi il 50 % delle importazioni di greggio. Fino a poco tempo fa i grandi produttori di energia sono stati lenti nell'aderire all'OMC, la quale essendo un'organizzazione basata su regole consente una maggiore stabilità e prevedibilità. Il Comitato raccomanda pertanto all'UE di cogliere l'occasione offerta dall'adesione della Russia all'OMC nel 2012 per dare al più presto nuovo impulso ai negoziati per un nuovo accordo UE-Russia in materia di scambi commerciali e investimenti e sviluppare relazioni più profonde e appropriate.

1.10.1

Il Comitato chiede altresì alla Commissione di fare tutto il possibile per incoraggiare la finalizzazione dell'adesione del Kazakhstan all'OMC e per sostenere l'accelerazione impressa di recente ai negoziati per l'adesione dell'Algeria e dell'Azerbaigian. Occorre inoltre dare nuovo slancio ai negoziati per l'adesione all'UE della Turchia, nodo e paese di transito fondamentale per l'approvvigionamento di energia.

1.11

Il Comitato esorta inoltre la Commissione ad adoperarsi per contribuire a garantire, in occasione della prossima riunione interministeriale dell'OMC, la proposta applicazione anticipata (early harvest) dell'accordo OMC in merito all'agevolazione degli scambi commerciali e ad altre questioni legate all'agricoltura non direttamente trattabili negli accordi bilaterali. Lo stallo nei negoziati di Doha sta rallentando notevolmente i progressi anche su questo fronte. L'incapacità di raggiungere anche solo un obiettivo circoscritto come questo potrebbe ripercuotersi in maniera molto grave sul ruolo negoziale generale dell'OMC, e il fallimento definitivo a livello multilaterale potrebbe avere conseguenze disastrose sulla sicurezza alimentare mondiale.

1.12

Il Comitato sostiene fortemente l'iniziativa promossa dalla Commissione volta a garantire l'approvvigionamento responsabile dei "minerali dei conflitti" (ossia, provenienti da zone di conflitto oppure ad alto rischio) e altre opzioni per "assistere i paesi in via di sviluppo ricchi di risorse (e concentrarsi sulla) trasparenza della catena di approvvigionamento dei minerali". Il Comitato teme tuttavia che, essendo spesso impossibile garantire una tracciabilità completa, il commercio venga "dirottato" verso i paesi vicini o che alcune imprese possano ritirarsi piuttosto che dover affrontare accuse inconsuete. Andrebbe anche preso in considerazione un approccio volontaristico basato sugli orientamenti dell'OCSE per le società multinazionali, mentre dovrebbero essere incoraggiate e pienamente sostenute iniziative come quella per la trasparenza delle industrie estrattive (EITI (9)), intese a favorire la trasparenza dei pagamenti. Anche in questo contesto è essenziale garantire l'avvio di un processo partecipativo a pieno titolo che coinvolga la società civile.

2.   Importazioni essenziali – contesto generale

2.1   La domanda di risorse naturali è in incremento esponenziale in seguito alla combinazione di numerosi fattori: le stime di una crescita della popolazione mondiale fino a 9 miliardi, un rapido processo di industrializzazione e urbanizzazione che ha portato a vivere, per la prima volta nella storia, oltre metà della popolazione mondiale nelle città e la previsione che, entro il 2030, almeno altri 2 miliardi di persone della classe media chiederanno (e saranno in grado di permettersi) una diversità e una scelta molto maggiori in termini di beni di consumo. Nessun paese può rivendicare un diritto di priorità su queste risorse: già oggi si assiste a un aumento esponenziale dell'uso dei telefoni cellulari in tutto il mondo.

2.1.1   Il problema è spesso reso più grave dal fatto che molti giacimenti di minerali essenziali sono situati in zone di conflitto, mentre spesso molte fonti essenziali di energia si trovano in paesi con problemi di carattere politico. Prima ancora che la domanda superi l'offerta di materie prime essenziali è pertanto fondamentale adottare un'azione preventiva a livello mondiale per contrastare una crescita esponenziale dei prezzi, che da sola potrebbe avere un effetto devastante sulla disponibilità immediata di questi materiali (per non parlare delle conseguenze in termini di povertà), o impedire il ricorso alla guerra e ai conflitti.

2.2   Energia

2.2.1

L'energia è un fattore primario e strategico in qualsiasi considerazione sulle importazioni essenziali dell'UE in quanto rappresenta una componente fondamentale per conservare il nostro tenore di vita e la nostra qualità di vita, ma il mercato energetico internazionale è altamente competitivo e volatile. Mentre le importazioni rappresentano il 55 % del mix energetico dell'UE (10), l'Unione nel suo complesso importa il 60 % del gas e oltre l'80 % del petrolio che consuma (11), e la concorrenza della domanda proveniente da altri paesi, in particolare dalle economie emergenti, è in rapida crescita.

2.2.2

La domanda di energia a livello mondiale potrebbe aumentare del 40 % nei prossimi 20 anni e il quadro generale potrebbe complicarsi ulteriormente in seguito a una risposta inadeguata ai cambiamenti climatici. Un approvvigionamento sicuro e affidabile di energia è cruciale, ma molti Stati membri possono contare soltanto su un numero limitato di fornitori energetici e sono pertanto esposti alle strozzature e alla volatilità dei prezzi, specialmente del gas e del petrolio. La diversificazione dell'approvvigionamento energetico è particolarmente urgente per i tre Stati baltici.

2.2.3

L'energia è un settore di competenza condivisa tra l'UE e gli Stati membri, complicato da questioni di riservatezza delle informazioni commerciali e di sovranità nazionale. Al riguardo, la Commissione ha adottato una strategia basata su due pilastri. In primo luogo, l'istituzione di un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi tra gli Stati membri e i paesi terzi nel settore dell'energia. Il Comitato ha espresso apprezzamento per questa iniziativa, definendola "un buon passo avanti verso l'attuazione efficace di una politica esterna comune dell'UE in materia energetica", in linea con la strategia Energia 2020 e sottolineando che "è essenziale che l'Europa agisca con una sola voce per garantire un approvvigionamento energetico adeguato, stabile e sicuro nel prossimo futuro".

2.2.3.1

Finora nessuno nell'UE potrebbe tracciare un quadro generale della situazione riguardante un determinato partner commerciale, ma non è così per questi partner commerciali. Sono in vigore una trentina di accordi intergovernativi tra gli Stati membri e i paesi terzi in materia di petrolio, e una sessantina in materia di gas, mentre meno numerosi sono quelli nel campo dell'energia elettrica.

2.2.4

Il secondo pilastro della strategia della Commissione è rappresentato dalla tabella di marcia per l'energia 2050, anche questa accolta con favore dal Comitato. Tale iniziativa sottolinea l'urgente necessità di sviluppare strategie energetiche oltre il 2020 e prefigura una serie di scenari, in particolare misure molto rigorose di efficienza energetica, la fissazione del prezzo del carbonio, lo sviluppo di energie rinnovabili, la cattura del carbonio e il nucleare.

2.2.5

Per quanto riguarda la sicurezza delle importazioni di beni essenziali, il Comitato ha invocato una strategia energetica esterna globale (12) e un rapido e progressivo rafforzamento di una politica estera comune dell'UE in materia energetica (13). Queste preoccupazioni sono tuttora presenti. Tuttavia, dal punto di vista specifico della politica commerciale, la soluzione sta sia nell'individuare le strozzature potenziali a livello di approvvigionamento e di infrastruttura che nell'allargare l'OMC ai nostri principali fornitori di energia, se non altro per favorire una maggiore stabilità e prevedibilità.

2.3   Alimenti, terreni agricoli e acqua

2.3.1

Il secondo gruppo fondamentale di risorse naturali che concorrono a mantenere un livello e una qualità di vita dignitosi comprende i terreni agricoli, gli alimenti e l'acqua, minacciati allo stesso modo da una risposta inadeguata ai cambiamenti climatici.

2.3.2

L'UE gode di un clima temperato, tuttavia nonostante l'elevata densità della popolazione soltanto un ottavo del suo territorio è adatto alla produzione agricola. L'aumento dell'aridità è una minaccia che si trovano ad affrontare gli Stati membri più meridionali, ma qualsiasi importazione d'acqua proverrebbe inevitabilmente da altri paesi dell'UE.

2.3.3

Il Comitato ha già esaminato la questione della sicurezza alimentare (14), inquadrando in particolare il problema in un'ottica più ampia, su scala mondiale, e come una delle principali ragioni alla base della riforma della PAC.

2.3.4

L'UE importa più alimenti dai paesi meno sviluppati di quanti non ne importino Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia messi insieme. Sebbene l'organizzazione degli agricoltori europei Copa-Cogeca segnali un disavanzo della bilancia commerciale per i prodotti agricoli, nel 2012 la Commissione ha registrato un avanzo complessivo pari a 12,6 miliardi di euro, includendo la trasformazione dei prodotti alimentari. Il principale prodotto agricolo d'importazione per l'UE è la soia per alimentazione animale, la cui indisponibilità metterebbe seriamente a rischio la produzione di carni e latticini (a tale riguardo, le soglie di tolleranza di OGM rappresentano un fattore importante). Altri generi sono prodotti in quantità sufficienti soltanto nei paesi terzi, compresi alcuni semi oleosi e alcuni tipi di frutta, caffè, cacao e tè.

2.3.5

Senza una minaccia reale di restrizione delle importazioni verso l'UE, le questioni commerciali di maggior rilievo in questo ambito riguardano le differenze nelle norme sociali e ambientali, con particolare riferimento alle preoccupazioni in materia di tracciabilità, di misure sanitarie e fitosanitarie, di benessere animale e di proprietà intellettuale. Per molti paesi in via di sviluppo, i prodotti agricoli sono una – se non la – voce di esportazione fondamentale, e l'UE è considerata un mercato basilare, il cui accesso è ritenuto da molti indebitamente limitato dalle norme in materia di sicurezza alimentare e di altra natura applicate dall'Unione.

2.3.6

L'agricoltura costituisce una parte fondamentale dei negoziati di Doha dell'OMC (i quali anzi dovevano in origine iniziare già nel 1999, prima che fosse avviato il ciclo stesso di Doha), ma questi sono entrati in una situazione di stallo. Il Comitato teme seriamente che l'incapacità di giungere almeno a un'applicazione anticipata dell'accordo in merito all'agevolazione degli scambi commerciali e ad altre questioni legate all'agricoltura, in occasione della prossima riunione interministeriale dell'OMC, possa avere conseguenze molto gravi sulla stessa OMC, ma ancora più gravi sulla sicurezza alimentare mondiale.

2.4   Minerali strategici e materie prime fondamentali

2.4.1

L'accesso a minerali strategici e a materie prime fondamentali rappresenta il terzo ambito centrale e strategico da considerare nelle importazioni essenziali per l'UE.

2.4.2

Tra queste materie prime essenziali figurano i minerali metallici e industriali, i materiali da costruzione e i metalli di base, come il cobalto, il gallio, l'indio e tutta una serie di terre rare. Questi materiali interessano in molti modi diversi la nostra vita quotidiana, soprattutto per quanto riguarda la costruzione di autoveicoli, aeroplani e attrezzature informatiche. Nella sua comunicazione del 2011, la Commissione ha fornito un elenco di 14 "materie prime essenziali", indicandone i tassi di riciclaggio e sostituzione, e lo sta attualmente aggiornando per tenere conto dell'evoluzione del mercato ma anche degli sviluppi tecnologici e di altro tipo. Alcuni componenti di base saranno certamente già contenuti in molti prodotti prelavorati importati, e la situazione di altri materiali strategici non è attualmente critica, ma le attrezzature informatiche e di altro tipo possono diventare obsolete nel giro di poco tempo ed essere prontamente eliminate.

2.4.3

La Borsa londinese dei metalli calcola che al settore automobilistico sia riconducibile il 7 % circa del consumo globale di rame, ma le automobili contengono anche acciaio, alluminio, platino (il 60 % dell'utilizzo totale), palladio, rodio, piombo, stagno, cobalto e zinco. Allo stesso modo, i telefoni cellulari e i tablet contengono rame, argento, oro, palladio e platino. La sostituzione regolare di questi articoli, ogni due anni circa, rappresenta già un problema importante, ma la loro diffusione a livello mondiale è in crescita esponenziale: si stima che circa 2 miliardi di telefoni cellulari siano già in uso soltanto in Cina e India. Si valuta che la quota della Cina nel consumo mondiale di rame sia passata dal 12 al 40 % in dieci anni.

2.4.4

Per effetto del progresso tecnologico, alcuni dei minerali più cruciali e richiesti oggi non saranno più essenziali domani, ma altri, come le terre rare (che ora, ad esempio, costituiscono una componente fondamentale dei telefoni cellulari più recenti), raggiungono improvvisamente una soglia critica della domanda. Ad esempio la Cina, che si stima possegga il 97 % dei giacimenti di terre rare, ha imposto delle restrizioni alla loro esportazione mentre, ad oggi, non ne è ancora possibile il riciclaggio o la sostituzione; l'UE ha dovuto però presentare un secondo ricorso al collegio per la risoluzione delle controversie dell'OMC, anche se la Cina ha perso il primo.

3.   La sfida strategica e della sostenibilità per l'UE

3.1

Da sempre, assicurarsi la fornitura delle materie prime strategiche è stato un obiettivo fondamentale della politica estera di Stati e imperi, e lo stesso vale oggi per le grandi imprese e società. Come si è affermato, nessuna economia può dirsi autosufficiente nell'approvvigionamento di materie prime.

3.2

Persiste il rischio costante di shock congiunturali imprevisti e di breve termine, determinati dai prezzi o da altre cause, che possono andare da carenze dei trasporti o delle infrastrutture, a interruzioni deliberate, o a crisi ambientali o di altro tipo come quella di Fukushima. Recenti esempi di tali shock comprendono situazioni di forte carenza energetica (verificatesi nel 2006 e nel 2009) dovuta all'interruzione delle forniture provenienti dalla Russia, e le crisi petrolifere dei primi anni 70.

3.2.1

La maggior parte delle misure correttive a disposizione della Commissione è pensata per il lungo termine. La Commissione si è infatti resa conto del problema ormai da anni, adoperandosi per rimuovere le barriere attraverso i suoi negoziati commerciali ma, sebbene il Comitato sia certo che siano state previste delle disposizioni in ciascun caso, sembra che venga dedicata scarsa attenzione ad assicurare le importazioni essenziali nelle situazioni di emergenza.

3.3

La competenza in questo ambito è tra le numerose sfide cui l'UE deve far fronte. Anche se le questioni commerciali rientrano infatti tra le sue competenze, a differenza degli Stati Uniti, dei singoli Stati membri, delle organizzazioni militari o anche delle imprese, l'Unione non è in grado di costituire essa stessa delle riserve strategiche di petrolio o di altre materie prime essenziali. Come sottolinea la revisione dell'iniziativa "materie prime", "nessuno Stato membro sarebbe disposto a sostenere un programma di stoccaggio come opzione strategica".

3.3.1

L'UE non può far altro che ricorrere al "potere di persuasione" (soft power). La sfida per l'Unione consiste nell'elaborare un quadro strategico globale. In questo contesto, l'UE si trova in una posizione privilegiata per assumere un ruolo guida in tre settori chiave: favorire la creazione di un quadro globale, promuovere la sostenibilità e garantire la partecipazione piena e attiva della società civile. Essendo già state formulate numerose raccomandazioni a tale riguardo, non è necessario ricordare le argomentazioni in questa sede, ma il Comitato si compiace che la Commissione abbia sottolineato in due diverse occasioni (15) che "un'attività mineraria sostenibile può e deve contribuire allo sviluppo sostenibile". La sostenibilità deve essere un elemento fondamentale di qualsiasi strategia dell'UE volta a garantire l'approvvigionamento delle importazioni essenziali.

3.4

Il ruolo del settore privato è di fondamentale importanza: la maggior parte dell'estrazione mineraria è ormai oggetto di transazioni di mercato. Ciò si vede chiaramente nelle parti più aperte del mondo, tra cui UE, Stati Uniti, Australia, Sudafrica, Brasile e India, nonché in qualche misura con le grandi imprese russe del settore energetico. A questo riguardo, il Comitato accoglie con particolare favore l'impegno assunto dall'Associazione europea dei minerali industriali ad "adoperarsi attivamente per il continuo miglioramento delle prestazioni economiche, ambientali e sociali".

3.4.1

Come dichiara la Commissione nella sua comunicazione del 2011, "assicurare l'approvvigionamento di materie prime è un compito che spetta essenzialmente alle imprese", aggiungendo che "le autorità pubbliche devono, da parte loro, garantire un contesto che consenta alle imprese di svolgere tale compito".

3.5

A questa visione si oppone quella di un'economia pianificata a livello centrale come quella cinese, nella quale la maggior parte degli attori e dei soggetti economici sono sottoposti a gradi diversi di controllo centralizzato. Per soddisfare il proprio fabbisogno futuro di cibo, mangimi, acqua, minerali ed energia, la Cina ha adottato un approccio strategico più chiaro e completo di qualsiasi altro paese, e tale approccio è fonte di preoccupazione generale, in particolare per quanto riguarda l'Africa. Come il Comitato ha evidenziato, "nella sua ricerca di nuove fonti di materie prime e di investimenti esteri, questo paese ha avviato con diversi paesi africani dei partenariati concentrati sugli investimenti come attività commerciale piuttosto che come aiuto allo sviluppo" (16).

3.5.1

Tuttavia, altri osservatori affermano che la Cina ha fatto dei "cattivi" affari e sta pagando di gran lunga più del necessario le sue materie prime e, trattando con paesi che potrebbero causare difficoltà politiche ad altri, sta in realtà ampliando la disponibilità di tali minerali.

3.6

Per numerosi paesi in via di sviluppo poveri di risorse, l'accesso alle materie prime rappresenta un problema. Anche i paesi esportatori ricchi di risorse devono eliminare la povertà. Essi devono ricavare un valore aggiunto maggiore dal processo di trasformazione e instaurare un partenariato funzionante con il settore privato.

3.6.1

Le preoccupazioni in merito ai "minerali dei conflitti" sono già state menzionate. L'iniziativa della Commissione riguarda soltanto le zone di conflitto o post belliche, ma come essa stessa ha dichiarato, "l'estrazione, il trattamento, il commercio e la trasformazione dei minerali sono stati associati all'impiego illegale dei proventi, a crisi economiche, conflitti politici e fragilità degli Stati", accentuati dall'abuso di tali proventi da parte dei belligeranti, la cosiddetta "maledizione delle risorse".

3.6.2

Occorre incoraggiare e sostenere pienamente iniziative come l'EITI, e bisogna instaurare dei processi pienamente partecipativi che coinvolgano la società civile. Queste misure rappresentano, insieme al dialogo sociale, dei fattori fondamentali per garantire una buona governance e per combattere la corruzione. In questa ottica, il ruolo di controllo assegnato alla società civile nei recenti accordi commerciali dell'UE rappresenta un ottimo precedente. Tuttavia, in una doverosa ottica di trasparenza, anche la società civile dovrebbe essere coinvolta a pieno titolo e in forma attiva in ogni fase dei negoziati per gli accordi di libero scambio, di partenariato economico e di partenariato e cooperazione, prima che questi siano conclusi. Poiché il settore privato svolge un ruolo centrale, anche il punto di vista delle parti sociali riveste un'importanza cruciale.

4.   Politica attuale della Commissione in materia di minerali e materie prime strategici

4.1

Nel 2008 la Commissione (DG Imprese) ha varato l'iniziativa "materie prime"; essa si basa su tre pilastri: in primo luogo, assicurare condizioni eque per l'accesso alle risorse nei paesi terzi, in secondo luogo, favorire un approvvigionamento sostenibile di materie prime provenienti da fonti europee e, in terzo luogo, promuovere l'uso efficiente delle risorse e il riciclaggio.

4.1.1

Questi pilastri sono di fondamentale importanza, ma esulano dal tema del presente parere. Tuttavia, il Comitato si chiede perché una percentuale così elevata di rifiuti metallici riciclabili dell'UE venga esportata al di fuori dell'Unione, quando i rottami riciclati sono spesso molto più preziosi e più convenienti delle materie prime originarie: in questo modo stiamo in realtà finanziando la Cina.

4.2

Nella sua comunicazione del 2011, la Commissione ha adottato la relazione elaborata dal suo gruppo di lavoro ad hoc per la definizione delle materie prime essenziali. Il Comitato ha trattato la questione nel parere sul tema Affrontare le sfide relative ai mercati dei prodotti di base e alle materie prime  (17), che prendeva in esame anche il ruolo dei mercati finanziari.

4.2.1

Come menzionato, la comunicazione elencava 14 materie prime essenziali, indicandone i tassi di riciclaggio e sostituzione. Il Comitato si compiace che l'attuale revisione sia realizzata in piena consultazione con le parti interessate, anche se non prende in considerazione opzioni politiche che, in paesi come gli Stati Uniti o il Regno Unito, verrebbero molto probabilmente considerare parte integrante del processo di revisione.

4.2.2

Il Comitato accoglie con favore la metodologia generale, molto accurata, che è stata applicata. Tra i vari aspetti, lo studio prende in esame i minerali (e sottoprodotti) che sono di particolare rilevanza economica (mettendo a confronto minerali con proprietà molto diverse e utilizzati da una vasta gamma di settori), quelli che presentano un più elevato rischio di carenza di approvvigionamento e quelli per i quali non esistono materiali sostitutivi. Utilizzando gli indicatori della Banca Mondiale, esso individua i paesi di origine caratterizzati da malgoverno o da un elevato rischio di eventi perturbatori (che possono andare dal contingentamento arbitrario delle esportazioni alla guerra civile), o nei quali le norme ambientali sono lassiste. Sono inoltre esaminati i tassi potenziali di riciclaggio, così come qualità del minerale, la volatilità dei prezzi e la continuità della disponibilità geografica. Questo studio approfondito rimane essenziale.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  EU Trade Policy for Raw Materials – Second Activity Report (La politica commerciale dell'UE nel settore delle materie prime – Seconda relazione sulle attività), maggio 2012.

(2)  COM(2008) 699 final e COM(2013) 442 final.

(3)  Comunicazione della Commissione Un'esistenza dignitosa per tutti: sconfiggere la povertà e offrire al mondo un futuro sostenibile (COM(2013) 92 final, 27 febbraio 2013); GU C 271, del 19.9.2013, pag. 144.

(4)  Cfr. nota 1.

(5)  COM(2011) 25 final.

(6)  Guida dell'OCSE sul dovere di diligenza per una catena di approvvigionamento responsabile dei minerali provenienti da zone di conflitto e ad alto rischio; seconda edizione 2012.

(7)  COM(2006) 567 final, 4 ottobre 2006, paragrafo 3.1,.iii.

(8)  Cfr. nota 1.

(9)  Extractive Industries Transparency Initiative.

(10)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Tabella di marcia per l'energia 2050, COM(2011) 885 final, GU C 229 del 31.7.2012, pag. 126.

(11)  Comunicazione della Commissione COM(2011) 540 final, citata nel parere del Comitato sul tema Accordi intergovernativi fra gli Stati membri e i paesi terzi nel settore dell'energia, GU C 68 del 6.3.2012, pag. 65.

(12)  Parere del CESE sul tema La dimensione esterna della politica energetica europea, GU C 182 del 4.8.2009, pag. 8.

(13)  Parere del CESE sul tema Approvvigionamento energetico: di quale politica di vicinato abbiamo bisogno per garantire all'UE la sicurezza dell'approvvigionamento?, GU C 132 del 3.5.2011, pag. 15.

(14)  Parere del CESE sul tema Commercio e sicurezza alimentare, GU C 255 del 2.9.2010, pag. 1.

(15)  Cfr. note 2 e 5.

(16)  Parere del CESE sul tema Verso una politica globale europea degli investimenti internazionali, GU C 318 del 29.10.2011, pag. 150.

(17)  GU C 318 del 29.10.2011, pag. 76.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’Atto per il mercato unico: individuare i provvedimenti mancanti» (supplemento di parere)

2014/C 67/09

Relatrice: FEDERSPIEL

Correlatori: SIECKER e VOLEŠ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 febbraio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

L'Atto per il mercato unico: individuare i provvedimenti mancanti

(supplemento di parere).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre 2013), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli, 4 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) segue sin dall'inizio (2010) le iniziative della Commissione tese a rilanciare il mercato unico. Nel suo parere sull'Atto per il mercato unico I  (1), il Comitato ha elencato una serie di misure che considera mancanti nelle proposte della Commissione (2). Bisognerebbe prendere in considerazione le osservazioni e le conclusioni della relazione 2010 sulla cittadinanza dell'Unione intitolata Eliminare gli ostacoli all'esercizio dei diritti dei cittadini dell'Unione  (3). Il CESE richiama l'attenzione della Commissione sul fatto che gli ostacoli al mercato unico sono più numerosi oggi che al momento della sua creazione (4).

1.2

Il CESE è uno dei partner più importanti nell'organizzazione del Mese del mercato unico. Il contributo delle organizzazioni della società civile è cruciale per calibrare adeguatamente le misure necessarie per rilanciare il mercato unico, dato che queste organizzazioni sono interessate da tali misure.

1.3

Dopo circa 30 anni, bisogna riorientare l'indirizzo economico dell'UE e occorre abbandonare la convinzione che il libero mercato abbia sempre la capacità di correggere un suo comportamento disfunzionale. La recente crisi economica e finanziaria ha avuto ripercussioni pesanti sui cittadini: i loro sacrifici devono avere per risultato nuove prospettive, altrimenti il sostegno all'integrazione europea diminuirà ulteriormente. A questo riguardo, l'adozione e l'attuazione delle iniziative nel quadro degli Atti per il mercato unico I e II sono considerate troppo lente.

1.4

Bisogna adottare misure concrete per combattere ogni forma di povertà (ad esempio, in termini di energia, consumi, sovraindebitamento, ecc.) causata dalla crisi finanziaria e che comprometta la crescita e la realizzazione del mercato unico.

1.5

Il CESE ha insistito a più riprese affinché gli Stati membri facessero proprie tali iniziative attraverso un'attuazione e un'applicazione corrette, allo scopo di realizzare un mercato unico funzionante in modo adeguato. L'applicazione deve avere una nuova dimensione transfrontaliera che preveda la cooperazione. Un mercato unico adeguato alle esigenze future deve essere costruito su un'economia sostenibile e altamente competitiva, basata su processi e prodotti sostenibili, su un ambiente di lavoro dignitoso e sull'innovazione. È importante che la Commissione ponga i 500 milioni di cittadini dell'UE al centro del mercato unico. Essi rappresentano una forza economica importante, la cui spesa equivale al 56 % del PIL dell'UE, come indicato nell'agenda europea dei consumatori adottata dalla Commissione (5).

1.6

Il mercato unico deve essere uno strumento dai risultati tangibili, in linea con l'acquis sociale e ambientale. Le iniziative nel quadro degli Atti per il mercato unico I e II devono essere coordinate con le misure e i passi intrapresi per rafforzare l'UEM (il patto di bilancio, il meccanismo europeo di stabilità, il patto Euro Plus, ecc.).

1.7

Bisognerebbe servirsi dei negoziati sugli accordi di libero scambio per applicare condizioni di concorrenza uniformi - ad esempio, la reciprocità delle tariffe - e, al tempo stesso, per mantenere standard elevati in materia di protezione sociale, dell'ambiente e dei consumatori. Quando compete con soggetti a livello mondiale, l'UE deve assicurarsi i fattori che rafforzeranno la sua competitività, come risorse accessibili di energia, una forza lavoro qualificata e un mercato del lavoro flessibile.

2.   Il mercato unico digitale

2.1   Il regolamento adottato di recente in materia di distribuzione selettiva ha mantenuto la distinzione tra canali di distribuzione online e offline permettendo che certi distributori siano obbligati ad avere un punto vendita tradizionale (non virtuale) prima di poter intraprendere vendite online. Il nuovo regolamento non impedirà la distribuzione selettiva di prodotti di uso quotidiano, cosa che può essere dannosa per la concorrenza e limitare la scelta dei consumatori.

2.2   La Commissione europea dovrebbe essere irremovibile e confermare il principio di neutralità dei motori di ricerca, in base al quale i motori non dovrebbero manipolare i risultati originali (detti "risultati naturali") per interessi commerciali. Le misure correttive basate sulla "etichettatura" dei risultati della ricerca non sono sufficienti per ripristinare la concorrenza, bloccare i comportamenti anticoncorrenziali e promuovere il benessere del consumatore.

2.3   Protezione dei dati

2.3.1

Dopo l'adozione del regolamento riveduto sulla protezione dei dati, sarà importante fornire agli Stati membri degli orientamenti per le disposizioni specifiche, garantendo in tal modo che siano attuate coerentemente.

2.3.2

Bisognerebbe prestare un'attenzione particolare all'elaborazione di informative standard sulla privacy. Il nuovo regolamento comprende una disposizione che obbliga a redigere le informative sulla privacy in modo trasparente e comprensibile ai consumatori. L'elaborazione di informative standard contribuirà a garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sul trattamento delle loro informazioni personali e che le informative sulla privacy non siano più testi giuridici complessi. Bisognerebbe garantire che le imprese, specialmente le PMI, non debbano sostenere spese e oneri amministrativi sproporzionati.

2.4   Diritto d'autore

2.4.1

Seguendo le raccomandazioni dell'ex commissario Vitorino, la Commissione europea deve adottare una misura volta a garantire che gli attuali sistemi di riscossione dei diritti d'autore siano gradualmente soppressi. Nel breve termine, l'attuale sistema andrebbe riformato e bisognerebbe chiarire che il contenuto digitale soggetto a un accordo di licenza non sarà ulteriormente tassato quando è esportato sul cloud o memorizzato nel cloud da un fornitore di servizi. È anche importante che la tassa sul diritto d'autore sia resa visibile all'utente finale, oltre a calcolare le tasse sulla base del danno economico causato dalle copie private.

2.4.2

La direttiva del 2001 sul diritto d'autore non è riuscita a centrare l'obiettivo di armonizzare le leggi in materia emanate dagli Stati membri dell'UE. Esistono differenze significative in rapporto alle eccezioni e limitazioni che creano incertezza giuridica sia per i consumatori che per i creatori. La revisione di questa direttiva dovrebbe costituire una priorità.

2.4.3

L'attuale sistema di diffusione dei contenuti audiovisivi, basato sulla distribuzione attraverso determinate piattaforme e per determinati territori, deve essere adattato all'ambiente digitale e rispondere alle aspettative dei consumatori. Lo sfasamento cronologico nella distribuzione dei film su piattaforme mediali (cinema, DVD, video a richiesta) e territori differenti dovrebbe essere ridotto e consentire una certa flessibilità. Esiste un margine per sperimentare modelli commerciali innovativi che permettono un'unica data di distribuzione dei contenuti audiovisivi nei paesi con tradizioni culturali e linguistiche comuni.

2.5   Prodotti digitali

2.5.1

È necessario proseguire il processo di armonizzazione avviato con la direttiva del 2011 sui diritti dei consumatori attraverso una revisione e un aggiornamento della direttiva del 1999 sulla vendita di beni di consumo, allo scopo di affrontare le sfide dell'economia digitale: sono urgentemente necessarie misure correttive per il caso dei prodotti digitali difettosi.

2.5.2

La Commissione dovrebbe formulare degli orientamenti per l'applicazione della legislazione sulle clausole abusive (direttiva 1993/13/CEE) ai contratti con consumatori per la fornitura di contenuti digitali.

3.   Beni e servizi

3.1

Nel settembre 2013 la Commissione ha presentato un pacchetto legislativo volto a completare il mercato unico delle telecomunicazioni. Il CESE si rammarica che con questa proposta la Commissione non abbia colto l'opportunità di ridurre ulteriormente le tariffe di roaming e di migliorare quindi il mercato unico per i cittadini europei. Il CESE accoglie con favore le norme proposte intese a facilitare il passaggio da un operatore all'altro, a garantire clausole contrattuali più eque e pratiche commerciali più leali, nonché a consentire una migliore applicazione delle norme e migliori possibilità di ricorso. Le disposizioni in merito alla neutralità della rete rappresentano un passo nella giusta direzione ma devono essere ulteriormente rafforzate.

3.2

Il rapporto tra i settori armonizzati e quelli non armonizzati soddisfa le esigenze elementari dell'economia. Ogni ulteriore passaggio all'armonizzazione di altri settori relativi a beni deve essere basato su un'analisi approfondita. Per i settori non armonizzati che rientrano nel principio di mutuo riconoscimento, la Commissione dovrebbe pubblicare degli orientamenti sul ruolo e sullo statuto giuridico degli enti di prova privati che non accettano certificati rilasciati da enti di prova di altri paesi. Bisognerebbe completare l'elenco bilingue dei prodotti non armonizzati presente sul sito web della Commissione europea.

3.3

Per i consumatori non esiste ancora un mercato unico dei servizi finanziari al dettaglio. A causa di ostacoli di natura imprenditoriale e commerciale, è sostanzialmente impossibile per i consumatori acquistare servizi finanziari all'estero. Viste le attuali grandi differenze in termini di qualità e prezzo dei conti bancari, dei conti di risparmio, delle ipoteche, ecc., tra Stati membri, i consumatori potrebbero trovare interessante ottenere prodotti finanziari da altri paesi. Il CESE invita la Commissione europea a esaminare questa situazione e a proporre iniziative in proposito. I consumatori spesso non ricevono consigli obiettivi e indipendenti per le decisioni finanziarie più importanti connesse al risparmio per fini pensionistici, ad altri investimenti o ai crediti a lungo termine. In tutta l'Europa andrebbero promossi modelli di consulenza finanziaria indipendente e a prezzi ragionevoli.

3.4

L'applicazione delle norme in rapporto ai servizi finanziari non è ancora soddisfacente: in alcuni Stati membri non esiste alcun ente pubblico incaricato della protezione dei consumatori e, se esiste, i suoi poteri giuridici sono spesso troppo limitati. Anche le autorità di vigilanza europee (l'Autorità bancaria europea (ABE), l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) e l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA)) create due anni fa non hanno competenze sufficientemente ampie nel campo della protezione dei consumatori. Le loro competenze in questo settore dovrebbero essere estese e le autorità europee devono poter coordinarsi con le autorità nazionali.

3.5

Il mercato unico dei servizi, compresi i servizi delle infrastrutture di rete (telecomunicazioni, elettricità, gas, trasporti e assicurazioni) presenta il potenziale maggiore per un ulteriore miglioramento. Il miglioramento delle prestazioni degli sportelli informativi unici in tutti gli Stati membri rappresenta una premessa indispensabile affinché la direttiva contribuisca alla crescita e alla creazione di posti di lavoro. La Commissione dovrebbe formulare raccomandazioni regolamentari per l'eliminazione degli ostacoli emersi con l'esame inter pares dell'attuazione della direttiva (6). Il CESE chiede che sia creato un database completo di tutti i regimi di licenze per poter identificare le pratiche migliori e individuare le condizioni inutili e inaccettabili imposte dalle autorità incaricate del rilascio delle licenze.

4.   Libera circolazione dei lavoratori

4.1

Il CESE appoggia le misure tese a migliorare la libera circolazione della manodopera, compresa l'eliminazione di barriere quali il riconoscimento delle qualifiche. È soprattutto necessario modernizzare e liberalizzare questo sistema, potenziare il coordinamento nel settore sanitario per evitare carenze di manodopera nei paesi d'invio, approfondire il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e creare uno sportello unico che faciliti le procedure di registrazione (7).

4.2

La direttiva quadro generale, le direttive collegate e il monitoraggio permanente attraverso i piani strategici pluriennali hanno portato alla convergenza delle norme di sicurezza (tra cui le prescrizioni minime) che sono riconosciute dai lavoratori, compresi quelli in situazioni transfrontaliere (temporanee e mobili). Dal 1978 questo processo è stato ininterrottamente portato avanti attraverso successivi piani d'azione. Quando l'ultimo è terminato nel dicembre 2012, la Commissione non ne ha avviato un altro. Per proseguire questo processo di convergenza, la Commissione europea dovrebbe quindi adottare con urgenza, in stretta concertazione con le parti sociali, un nuovo piano d'azione strategico dell'UE teso alla promozione di standard di sicurezza elevati (come sottolineato dal comitato consultivo per la sicurezza e la salute sul lavoro).

4.3

Il ritiro della proposta di regolamento "Monti II" non risolve i problemi sollevati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con le sue sentenze basate su una legislazione inadeguata in materia di distacco di lavoratori (8) e sulla relativa applicazione. Le parti sociali europee non sono riuscite a raggiungere un accordo su questo argomento. Ciononostante, la Commissione dovrebbe prendere in considerazione di proporre agli Stati membri di allegare ai Trattati un protocollo sul progresso sociale in cui si affermi che i diritti sociali non sono subordinati alle libertà economiche. Questo chiarirebbe che il mercato unico non è un fine in sé, ma è stato creato anche per realizzare il progresso sociale e dare prosperità a tutti i cittadini dell'UE (9).

4.4

Qualora vengano violati diritti sostanziali dell'UE, i lavoratori, i consumatori e le imprese devono poter far rispettare i diritti che la legislazione dell'UE ha loro accordato. In tale contesto, tuttavia, l'UE fa solo riferimento ai diritti dei consumatori e delle imprese. È necessario che i lavoratori abbiano la stessa possibilità di far rispettare i diritti derivanti dalla legislazione dell'UE nelle controversie di lavoro transfrontaliere. Sebbene si affermi di frequente che i lavoratori hanno accesso alla giustizia e possono chiedere un indennizzo - oltre al rispetto delle condizioni di lavoro e delle disposizioni di legge - rivolgendosi ai tribunali locali del paese ospitante, in pratica vengono indirizzati ai tribunali del loro paese di origine (10).

5.   Recepimento, attuazione e applicazione

5.1

Una nuova sfida per l'applicazione dei diritti dei consumatori sorge con le grandi imprese o associazioni internazionali che applicano strategie di commercializzazione paneuropee che non possono più essere affrontate con approcci di applicazione a livello nazionale. Bisognerebbe puntare a una migliore cooperazione tra le autorità nazionali incaricate dell'applicazione delle norme e a un ruolo più incisivo della Commissione europea nel coordinamento congiunto delle azioni in materia. Andrebbero utilizzate meglio le sinergie tra soggetti pubblici e privati incaricati dell'applicazione, come le organizzazioni dei consumatori.

5.2

La cooperazione tra le autorità nazionali incaricate dell'applicazione delle norme è diventata una questione centrale, ma finora non è stata molto proficua. La Commissione europea dovrebbe avere un ruolo più energico nel coordinamento delle attività nazionali di applicazione per i casi con una dimensione paneuropea della violazione della normativa sui consumatori. Inoltre, andrebbe ulteriormente dibattuto il conferimento alla Commissione europea di poteri in materia di applicazione della normativa dell'UE sui consumatori (come nel caso della normativa sulla concorrenza (11)).

6.   Questioni specifiche dei consumatori

6.1   Il CESE si rammarica che, in tutti questi anni e malgrado lo svolgimento di quattro consultazioni, sia stata proposta soltanto un'iniziativa non vincolante sul ricorso collettivo. Inoltre i principi definiti nella raccomandazione della Commissione europea non soddisfano le necessità dei consumatori e sono persino inferiori alla situazione vigente in alcuni Stati membri.

6.2   Pratiche commerciali sleali

6.2.1

Bisognerebbe puntare a una migliore applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, soprattutto nell'ambiente digitale: in particolare nel commercio elettronico (ad esempio, le pratiche che inducono in errore i consumatori sui loro diritti di garanzia legale, le clausole contrattuali non trasparenti e abusive) e nel settore del trasporto aereo per quel che concerne le prenotazioni online, ecc.

6.3   Standardizzazione dell'informazione precontrattuale ai consumatori

6.3.1

Il CESE accoglie con favore l'iniziativa proposta nell'agenda dei consumatori 2012 sulla standardizzazione dell'informazione precontrattuale, stabilita negli articoli 5 e 6 della direttiva sui diritti dei consumatori. Tale iniziativa dovrebbe contribuire a rendere le informazioni precontrattuali complete, trasparenti, di facile accesso e comprensibili. A questo scopo sarebbero necessari l'aiuto e il sostegno delle associazioni dei consumatori e bisognerebbe tener conto delle ricerche sul comportamento dei consumatori in rapporto al carico di informazioni (ad esempio, SWD(2012) 235 final, 19 luglio).

6.4   Commercio elettronico e fornitura transfrontaliera

6.4.1

È necessario affrontare i problemi dei prezzi (più) elevati per una fornitura transfrontaliera rispetto a una fornitura nazionale e creare mercati online più concorrenziali. Il prezzo di una fornitura transfrontaliera è spesso così elevato che l'acquisto all'estero non rappresenta un vantaggio reale per i consumatori, anche se la merce è più conveniente. Uno studio realizzato per la Commissione europea nel 2011 (12) ha confermato che i prezzi transfrontalieri pubblicati per l'invio di pacchi sono mediamente il doppio rispetto ai prezzi di riferimento nazionali.

6.5   Informazione dei consumatori

6.5.1

Gran parte della legislazione europea e di quella nazionale è basata sull'idea che i consumatori informati sono consumatori più forti, capaci di scegliere i prodotti e i servizi disponibili migliori. L'informazione ai consumatori rappresenta tuttora uno degli strumenti normativi primari, ma i suoi limiti sono ben noti, in quanto i consumatori spesso non leggono oppure non comprendono le informazioni relative al contratto, che spesso sono scritte e presentate in modo inintelligibile. La Commissione dovrebbe studiare e varare misure strategiche tese a migliorare l'informativa ai consumatori e coinvolgere imprese, autorità di regolamentazione e organizzazioni dei consumatori.

6.5.2

I lavori avviati dalla Commissione sui principi per gli strumenti di raffronto - come l'indipendenza e l'imparzialità - dovrebbero urgentemente produrre misure strategiche concrete, compresi degli orientamenti per le autorità di regolamentazione e le imprese.

6.6   Prodotti sostenibili

6.6.1

La sostenibilità e la sicurezza dei prodotti, da un lato, e la fiducia dei consumatori, dall'altro, sono le due facce della stessa medaglia. L'obsolescenza pianificata dei prodotti (ossia la limitazione strutturale della durabilità) concepita come strategia commerciale è in contraddizione con i principi della produzione e del consumo sostenibili. La Commissione europea dovrebbe valutare la possibile necessità di legare le aspettative dei consumatori in rapporto alla durabilità del prodotto al periodo di garanzia legale. Il Comitato sottolinea che le misure sulla durabilità, la vita utile, l'assistenza post-vendita e gli inventari dei pezzi di ricambio contribuirebbero a promuovere il consumo e la produzione sostenibili (13).

7.   Contesto imprenditoriale

7.1

Il CESE chiede una riduzione dell'onere amministrativo, specialmente per le PMI, e al tempo stesso sottolinea la necessità di applicare la normativa "intelligente" a livello europeo e nazionale (14). Gli Stati membri dovrebbero mostrare il recepimento della legislazione dell'UE online e in tempo reale, coinvolgendo la società civile nel processo di recepimento e svolgendo attività di sensibilizzazione alle nuove regole.

7.2

Il CESE invita la Commissione a tener conto delle caratteristiche specifiche delle piccole imprese e delle microimprese nel quadro del gruppo delle PMI quando prepara le valutazioni di impatto ed elabora i testi legislativi; inoltre le microimprese, le piccole imprese e le imprese di medie dimensioni dovrebbero essere trattate come tre gruppi distinti e non come un unico gruppo chiamato PMI (15).

7.3

L'accesso ai finanziamenti è cruciale, in particolare per le PMI. L'UE deve sostenere il passaggio da finanziamenti (per la maggior parte) di origine bancaria ad altri prodotti di capitale, come il capitale di rischio e i mercati finanziari. Perché ciò funzioni, gli investitori devono percepire l'esistenza di un ambiente stabile per gli investimenti con strategie di lungo termine.

7.4

Il CESE raccomanda di valutare la possibilità di istituire un fondo finanziario garantito che fornisca alle PMI europee che soddisfano certi criteri basilari le risorse finanziarie richieste attraverso un sistema che consenta all'impresa con i requisiti necessari di accedere facilmente al credito senza garanzie o altre condizioni generalmente richieste dalle banche. La gestione di questo sistema dovrebbe coinvolgere le organizzazioni rappresentative del settore di attività di tale impresa (16).

7.5

Il rafforzamento della trasparenza e dell'assunzione di responsabilità dovrebbe essere l'obiettivo prioritario, in modo che il mercato unico contribuisca efficacemente allo sviluppo di un contesto giuridico rispettoso dei legittimi interessi di tutte le parti in causa. Le iniziative sulla responsabilità sociale delle imprese dovrebbe comprendere gli abusi relativi ai subappalti e alle esternalizzazioni, specialmente in rapporto alla prestazione di servizi e/o all'assunzione di manodopera a livello transfrontaliero. Bisogna prendere in considerazione uno strumento giuridico dell'UE che combatta gli abusi commessi dalle società fittizie, che causano distorsioni della concorrenza per le PMI ed eludono le norme sul lavoro e i pagamenti previsti dalla legge. Le azioni legali contro le imprese fittizie attive a livello paneuropeo devono essere agevolate non solo nel paese di origine, ma anche negli altri Stati membri.

8.   Fiscalità

8.1

Per combattere l'evasione fiscale, che nell'UE ammonta a mille miliardi di euro, è necessario migliorare la cooperazione, sia tra gli Stati membri che a livello mondiale, in materia di trasparenza e informazioni sui conti bancari. Il CESE chiede che venga rapidamente raggiunto un accordo sulla direttiva sul risparmio e sui mandati per negoziare accordi fiscali più rigidi con la Svizzera e con altri paesi.

9.   Reti

9.1   Energia

9.1.1

La comunicazione della Commissione intitolata Rendere efficace il mercato interno dell'energia, del novembre 2012, rappresenta un importante passo avanti verso la creazione di un mercato interno dell'energia entro il 2014. Bisognerebbe compiere progressi maggiori tenendo conto delle realtà cui vanno incontro i consumatori europei di energia. Occorre facilitare il cambio di fornitore e i consumatori devono ottenere una consulenza indipendente in modo da poter decidere cosa sia meglio per loro. Per il mercato unico sono essenziali autorità nazionali di regolamentazione intraprendenti, dotate dei poteri sufficienti per monitorare fatturazione, cambiamento di fornitore e reclami degli utenti.

9.1.2

L'UE deve diversificare le sue fonti d'importazioni energetiche, trovare soluzioni alternative e creare reti. Gli incentivi ad alcune fonti rinnovabili di energia potrebbero portare a una distorsione del mercato, pertanto questo tipo di sostegno andrebbe progressivamente ridotto. Andrebbero creati sportelli unici allo scopo di rendere le procedure per il rilascio delle autorizzazioni più veloci, trasparenti e semplici. Verrebbe così fortemente ridotto l'onere amministrativo a carico dei finanziatori che desiderano investire nelle infrastrutture energetiche.

9.2   Trasporti

9.2.1

La proliferazione di clausole abusive nei contratti di trasporto aereo è fonte di crescente preoccupazione in tutta l'UE. Negli ultimi anni varie organizzazioni di consumatori hanno intentato azioni legali contro grandi compagnie aeree europee, con il risultato che molte clausole e condizioni applicate comunemente dalle compagnie aeree sono state dichiarate abusive dai tribunali nazionali. La Commissione europea ha perso l'occasione di affrontare questo tema durante la revisione del regolamento (CE) n. 261/2004 sui diritti dei passeggeri del trasporto aereo. Essa dovrebbe compilare un elenco vincolante di clausole abusive per i contratti di trasporto aereo di passeggeri.

9.2.2

Per un funzionamento migliore del mercato unico è necessario promuovere il trasporto merci su rotaia e il trasporto multimodale (17). Bisogna impegnarsi di più per adottare le specifiche tecniche di interoperabilità (18).

9.2.3

Gli autotrasportatori di merci sono tuttora limitati nelle operazioni transfrontaliere. Non sussistono le condizioni per consentire un'ulteriore apertura del trasporto merci all'interno dell'UE. Le modifiche alle norme dell'UE sull'accesso al mercato dei trasporti (compreso il cabotaggio) dovrebbero essere legate all'armonizzazione a livello di applicazione e in campo sociale e fiscale. Senza questi presupposti, le modifiche alle norme sul cabotaggio rischiano di avere un impatto negativo sulla concorrenza leale e la sostenibilità del settore. Nel frattempo, vanno applicate le norme vigenti (19).

Bruxelles, 16 ottobre 2013.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 24 del 28.1.2012, pag. 99.

(2)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 47; GU C 24 del 28.1.2012, pag. 99; GU C 299 del 4.10.2012, pag. 165.

(3)  COM(2010) 603 final.

(4)  Cfr. l'elenco degli ostacoli al mercato unico pubblicato dall'Osservatorio del mercato unico: http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.publications.24626.

(5)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 54.

(6)  L'Osservatorio del mercato unico del CESE valuterà l'impatto della direttiva Servizi sull'economia di un certo numero di Stati membri dal punto di vista della società civile.

(7)  C. Dhéret; A. Lazarowicz; F. Nicoli; Y. Pascouau; F. Zuleeg. Making progress towards the completion of the Single European Labour Market ("Compiere passi avanti verso il completamento del mercato unico del lavoro in Europa"), EPC Study n. 75, maggio 2013.

(8)  Cfr. parere del CESE - GU C 76 del 14.3.2013, pag. 24.

(9)  Articolo 3, punto 3, del TFUE.

(10)  http://www.uva-aias.net/uploaded_files/publications/WP118-Cremers,Bulla.pdf.

(11)  http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-228_en.htm.

(12)  Intracommunity cross-border parcel delivery ("Il recapito transfrontaliero di pacchi all'interno dell'UE"), studio per la Commissione europea, FTI Consulting, Londra 2011.

(13)  GU C 66 del 3.3.1997, pag. 5.

(14)  Una possibilità potrebbe essere il principio britannico one-in/one-ou" (in sostanza, se viene introdotta una nuova regolamentazione, un'altra deve essere eliminata).

(15)  Parere del CESE sul tema Legiferare con intelligenza – Rispondere alle esigenze delle piccole e medie imprese GU C 327 del 12.11.2013, p. 33.

(16)  Vedasi l'esperienza con la cosiddetta Seczenyi card ungherese.

(17)  Cfr. i pareri del CESE pubblicati in GU C 143 del 22.5.2012, pag. 130 e GU C 24 del 28.1.2012, pag. 146.

(18)  Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui progressi compiuti verso l'interoperabilità del sistema ferroviario, COM(2013) 32 final.

(19)  Come stabilito dalle parti sociali europee nel dialogo sociale settoriale,

http://www.iru.org/cms-filesystem-action/Webnews2012/CabotageStatement.E.pdf.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

493a sessione plenaria dei giorni 16 e 17 ottobre 2013

6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione delle crisi degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo unico di risoluzione delle crisi e del Fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010

COM(2013) 520 final — 2013/0253 (COD)

2014/C 67/10

Relatore: MAREELS

Il Consiglio, in data 3 settembre 2013, e il Parlamento europeo, in data 10 settembre 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione delle crisi degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo unico di risoluzione delle crisi e del Fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010

COM(2013) 520 final — 2013/0253 (COD).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 17 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore le proposte di istituire un meccanismo unico di risoluzione delle crisi sostenuto da adeguate modalità di finanziamento le quali, insieme a quelle relative alla creazione del meccanismo di vigilanza unico, del meccanismo europeo di stabilità e del sistema di risanamento e risoluzione delle crisi bancarie, costituiscono un nuovo elemento portante nella realizzazione dell'Unione bancaria.

Il meccanismo unico di risoluzione offre un sistema di risoluzione delle crisi agli Stati membri della zona euro e a quelli che vi aderiscono volontariamente, volto a consentire alle autorità di procedere a una radicale ristrutturazione delle banche in dissesto e alla loro risoluzione, senza che venga pregiudicata la stabilità economica. Il Fondo di risoluzione delle crisi collegato a tale meccanismo deve essere dotato delle risorse necessarie affinché tale operazione non debba essere finanziata con fondi pubblici e non vada a gravare sul contribuente.

1.2

Da quando è iniziata la crisi e in risposta ad essa è stato proposto di progredire verso un'Unione economica e monetaria più forte, basata su quadri integrati per il settore finanziario, le questioni di bilancio e la politica economica. La creazione di un quadro finanziario integrato, ossia di un'Unione bancaria, costituisce quindi una parte essenziale delle misure adottate nell'ambito delle politiche volte a riportare l'Europa sulla via della ripresa economica e della crescita.

1.3

Il CESE reputa che l'Unione bancaria sia un elemento prioritario e indispensabile in virtù del contributo che può fornire al necessario ripristino della fiducia dei consumatori e delle imprese e ai fini del buon finanziamento dell'economia. L'Unione bancaria diminuirà l'attuale frammentazione del mercato interno, contribuendo così a creare parità di condizioni all'interno dell'Unione, rafforzerà al tempo stesso il sistema bancario europeo e ridurrà i rischi di contagio.

1.4

Il Comitato reputa che occorra utilizzare i diversi elementi (meccanismo di vigilanza unico, meccanismo europeo di stabilità, direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e meccanismo unico di risoluzione) dell'Unione bancaria e che nella loro attuazione sia necessario rispettare la sequenza logica e la coerenza interna delle proposte. Il Comitato chiede inoltre che sia tenuto conto del sistema di protezione dei piccoli risparmiatori, ora riveduto attraverso il regime di garanzia dei depositi.

1.5

Le attuali proposte in relazione al meccanismo unico di risoluzione non possono essere scollegate dalle precedenti proposte in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi (direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario) e dall'accordo recentemente raggiunto in sede di Consiglio, di cui del resto si è già tenuto conto. La direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario fungerà da codice comune sulla risoluzione delle crisi bancarie in tutto il mercato interno sostenendo in ampia misura il meccanismo unico di risoluzione. Il Comitato chiede che questi due regimi siano coordinati il più possibile tra loro al fine di realizzare in questo settore una parità di condizioni quanto più estesa possibile in tutta l'Unione europea. Il meccanismo unico di risoluzione deve in effetti essere sostenuto da un quadro completamente armonizzato per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie e inserirsi in tale contesto.

1.6

Il Comitato si compiace che il meccanismo unico di risoluzione vada oltre la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e che sia prevista la creazione di un organo e di un fondo (di risoluzione) a livello europeo. Dopo la sorveglianza bancaria (meccanismo di vigilanza unico), la proposta in esame colloca ora la risoluzione delle crisi degli enti creditizi allo stesso livello di autorità, il che consente l'adozione di un approccio uniforme e coerente. Il Comitato accoglie parimenti con favore il fatto che sia previsto di dotare il meccanismo unico di risoluzione di finanziamenti reperiti a livello di Unione europea.

1.7

Le procedure previste nel meccanismo unico di risoluzione devono essere in ogni caso efficienti ed efficaci, e gli strumenti previsti devono poter essere applicati, se del caso, specie nelle situazioni di emergenza, con la necessaria rapidità, sia a livello nazionale che transnazionale. Occorrerà assicurarsi che formino un insieme compiuto ed efficace con le misure previste nella direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e che, all'occorrenza, vi sia un'applicazione coerente delle relative regole. Dove possibile, dovrà essere perseguito l'obiettivo della semplicità. Inoltre, tutte le questioni giuridiche e di altra natura dovranno trovare una risposta adeguata.

1.8

Per quanto riguarda il comitato unico di risoluzione delle crisi, il quale svolge un ruolo chiave nel quadro del meccanismo unico di risoluzione, è fondamentale che i membri che lo compongono dispongano della massima indipendenza e competenza possibili, e che sia previsto un controllo democratico delle loro decisioni. Nella scelta della composizione occorre procedere con la massima cura e le competenze di questo comitato devono essere chiare e ben definite.

1.9

Il Comitato accoglie con favore la creazione del fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie inteso a garantire in primo luogo la stabilità finanziaria, ad assicurare l'efficacia delle decisioni di risoluzione e a recidere il legame tra governi e settore bancario. Il Comitato chiede che la base giuridica di tale fondo sia precisata rapidamente e che tutte le sfide insite nella sua creazione (ad es. il rischio morale) siano affrontate in via preliminare in maniera da evitare eventuali conseguenze indesiderate.

1.10

Se è vero che il ricorso al fondo di risoluzione è previsto soltanto in una fase successiva della procedura e che le relative risorse possono essere impiegate soltanto per finalità specifiche, ossia garantire l'efficacia delle misure di risoluzione, il Comitato ritiene nondimeno importante che esso disponga di una dotazione finanziaria necessaria e sufficiente a svolgere i suoi compiti in maniera appropriata. Nella definizione del livello di dotazione che il fondo dovrà raggiungere, attraverso i contributi erogati dalle banche, sarà possibile tenere conto delle diverse misure applicabili in vari ambiti per il risanamento del settore finanziario. A questo riguardo il Comitato riprende la posizione adottata in merito alla direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario, ribadendo che i criteri previsti per i contributi "ex ante" delle banche devono potere essere riveduti periodicamente. Inoltre, occorre prestare attenzione a potenziali duplicazioni dei costi prodotte dalla sovrapposizione dei sistemi nazionali e di quello UE.

2.   Contesto

2.1

La proposta presentata dalla Commissione europea per l'istituzione di un meccanismo unico di risoluzione e un fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie  (1) rientra nel quadro dell'evoluzione verso un'Unione economica e monetaria, ivi compresa l'Unione bancaria. Essa si fonda sull'articolo 114 del TFUE, che consente di adottare misure relative all'instaurazione e al funzionamento del mercato interno.

2.2

Tale Unione bancaria, che comprende tutti gli Stati membri della zona euro più quelli che desiderano aderirvi pur non appartenendo a quest'area, sarà completata secondo le seguenti fasi:

2.2.1

In primo luogo, occorre portare a termine l'iter legislativo ancora in corso per l'istituzione del meccanismo di vigilanza unico che attribuisce alla Banca centrale europea (BCE) poteri di vigilanza sulle banche della zona euro.

2.2.2

In secondo luogo vi è il meccanismo europeo di stabilità, il quale, una volta istituito il meccanismo di vigilanza unico, riveduti i bilanci delle banche e definite le "attività preesistenti", consente di ricapitalizzarle direttamente (2).

2.2.3

Vi è poi la proposta di direttiva del 6 giugno 2012 presentata dalla Commissione che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento (di seguito "direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario"). Nel frattempo, in merito a queste proposte è stato raggiunto, in sede di Consiglio, un accordo su un approccio comune sul quale si basa la proposta di regolamento all'esame.

Quest'ultima mira a creare un quadro strategico efficace per gestire i fallimenti bancari in modo ordinato ed evitare il contagio ad altri enti, dotando le autorità pertinenti di strumenti e poteri efficaci per prevenire le crisi bancarie, salvaguardando la stabilità finanziaria e riducendo al minimo le perdite a carico dei contribuenti in caso di insolvenza (3).

2.2.4

L'ultima delle proposte avanzate in materia è costituita dalla proposta, presentata il 10 luglio 2013, di regolamento che istituisce un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie con adeguate ed efficaci misure di sostegno.

2.3

Si possono ricordare inoltre le proposte presentate dalla Commissione nel 2010 relative all'armonizzazione dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi volti a tutelare i piccoli risparmiatori neutralizzando gli effetti di un fallimento sui depositi fino a 100 000 euro.

2.4

Il meccanismo unico di risoluzione dovrebbe funzionare come segue:

2.4.1

La Banca centrale europea (BCE), in quanto autorità di vigilanza, segnala quando una banca viene a trovarsi in gravi difficoltà finanziarie.

2.4.2

Un comitato unico di risoluzione delle crisi, composto di rappresentanti della BCE, della Commissione europea e delle autorità nazionali pertinenti, preparerà quindi la risoluzione della banca in questione.

2.4.3

La Commissione, sulla base di una raccomandazione del comitato o di propria iniziativa, deciderà se e quando la banca in questione debba essere sottoposta a risoluzione e traccerà il quadro per l'applicazione degli strumenti di risoluzione e per il ricorso al fondo.

Tali strumenti, previsti nella direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e ripresi nel meccanismo unico di risoluzione, comprendono:

la vendita dell'impresa,

l'ente ponte,

la separazione delle attività,

la partecipazione del settore privato (strumento di bail-in).

2.4.4

Saranno poi le autorità nazionali di risoluzione delle crisi che, sotto la vigilanza del comitato unico di risoluzione, daranno esecuzione al piano di risoluzione. Se un'autorità nazionale di risoluzione delle crisi non si atterrà alla decisione del comitato unico di risoluzione, quest'ultimo potrà imporre direttamente alle banche in difficoltà una serie di misure amministrative.

2.5

Il fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie sarà sotto il controllo del comitato unico di risoluzione delle crisi. Tale fondo servirà a garantire la disponibilità di sostegno finanziario nel periodo in cui la banca in questione verrà ristrutturata.

2.5.1

Il fondo sarà unico per tutti i paesi aderenti al meccanismo di risoluzione e sarà finanziato da tutti gli enti finanziari dei paesi partecipanti, i quali verseranno un contributo annuo su base ex ante e indipendente da qualsiasi operazione di risoluzione.

2.5.2

Il fondo mirerà in primo luogo a garantire la stabilità finanziaria e non servirà ad assorbire le perdite o a fornire capitali all'ente sottoposto a risoluzione; esso non andrà quindi considerato un fondo di salvataggio e non sarà nemmeno un fondo di garanzia dei depositi né lo sostituirà. Il fondo sarà volto invece ad assicurare l'efficacia delle azioni di risoluzione delle crisi.

3.   Osservazioni generali

3.1

Come indicato a più riprese nel 2012, la creazione di un quadro finanziario integrato, ossia di un'Unione bancaria, costituisce una parte essenziale delle misure adottate nell'ambito delle politiche volte a riportare l'Europa sulla via della ripresa economica e della crescita (4). Un contributo in questo senso deve venire anche da altre misure come, ad esempio, un più stretto coordinamento economico.

3.2

In un precedente parere, il CESE ha richiamato l'attenzione sull'importanza dell'Unione bancaria facendo presente che è impossibile mantenere a lungo un'area con un'unica moneta e 17 mercati finanziari e del debito, soprattutto dopo che la crisi ha accentuato la segmentazione nazionale. L'Unione bancaria diventa perciò un elemento indispensabile e prioritario per la condivisione del rischio, per tutelare i depositanti (anche attraverso la "procedura di liquidazione"), per ridare fiducia al sistema e per rimettere in circolo i finanziamenti alle imprese in tutti i paesi (5).

3.3

In maniera analoga, in un altro precedente parere il CESE ha sollecitato la Commissione a proporre al più presto un calendario e a definire gli aspetti più particolareggiati del meccanismo unico di risoluzione e di altre tappe fondamentali ancora da realizzare, come ad esempio la gestione di eventuali situazioni di crisi attraverso le azioni comuni di vigilanza. In tal modo, l'Unione bancaria acquisterebbe credibilità e si trasformerebbe in una base comune di tutto il mercato unico.

Nel frattempo è stato chiarito che il meccanismo di vigilanza unico come anche la direttiva e il regolamento sui requisiti patrimoniali (CRD IV/CRR) dovrebbero entrare in vigore nel 2014, mentre la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e il meccanismo unico di risoluzione dovrebbero divenire effettivi a partire dal 2015. È quindi opportuno che il Consiglio adotti in tempo utile l'intero pacchetto di misure.

3.4

Il CESE si è detto inoltre convinto che in futuro il meccanismo unico di risoluzione possa assumere compiti aggiuntivi di coordinamento nella gestione di situazioni di crisi. La vigilanza e la risoluzione dovrebbero tuttavia andare di pari passo onde evitare che le eventuali decisioni di chiudere una banca assunte a livello europeo e l'obbligo di pagare i depositi ricadano sullo Stato membro (6).

3.5

La proposta di direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario, presentata a metà 2012, mira a introdurre un quadro inteso a prevenire le crisi bancarie negli Stati membri, salvaguardare la stabilità finanziaria e ridurre i costi per le finanze pubbliche.

3.6

Una volta entrata in vigore, la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario realizzerà una certa armonizzazione delle norme nazionali in materia di risoluzione delle crisi bancarie e per quanto riguarda la cooperazione tra le autorità chiamate a intervenire in caso di dissesto di banche, in particolare quelle transfrontaliere.

3.7

Il meccanismo unico di risoluzione va più in là. Se con la direttiva non si giungerà a un'uniformità effettiva delle decisioni di risoluzione delle crisi, anche relativamente all'impiego dei finanziamenti reperiti a livello di Unione, sarà il meccanismo unico di risoluzione a consentire tale uniformità agli Stati membri della zona euro e a quelli che sceglieranno di aderirvi pur non appartenendo a quest'area.

3.8

Il CESE valuta positivamente che il meccanismo unico di risoluzione preveda un organo e un fondo europei, i quali rappresentano un completamento logico e adeguato della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e del meccanismo di vigilanza unico. In questo modo, sia l'attività di vigilanza che le operazioni di risoluzione avverranno allo stesso livello di autorità.

3.9

La direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario fungerà da corpus unico di norme sulla risoluzione delle crisi bancarie in tutto il mercato interno sostenendo in ampia misura il regolamento. Visto che quest'ultimo costituisce l'estensione della direttiva stessa, deve essere garantita un'adeguata coerenza tra i due atti normativi, evitando discrepanze.

3.10

Il CESE è altresì dell'avviso che per il completamento del mercato interno sia fondamentale che la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario, da un lato, e il regolamento sul meccanismo unico di risoluzione delle crisi, dall'altro, siano coordinati il più possibile. Occorre cercare di armonizzare al massimo tale direttiva. Onde garantire il più possibile condizioni di parità e un'applicazione coerente delle norme, bisogna assicurare che la direttiva sia recepita in maniera uniforme nei diversi Stati membri. Nell'ulteriore fase di attuazione del meccanismo unico di risoluzione occorrerà pertanto tenere conto il più possibile dei risultati dei negoziati riguardanti la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario.

3.11

In relazione alla coerenza tra le proposte in merito al meccanismo unico di risoluzione e la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario, si ricordano le questioni sollevate dal CESE in questo contesto, tra cui in particolare la richiesta di una maggiore chiarezza riguardo ad alcuni nuovi strumenti che non sono stati finora mai messi alla prova in occasione di crisi sistemiche (7). Occorre inoltre prestare attenzione alla coerenza tra il regolamento e la normativa esistente garantendo la chiarezza giuridica.

4.   Osservazioni specifiche in merito al meccanismo unico di risoluzione delle crisi

4.1

Sarebbe opportuno far avanzare rapidamente il quadro generale per l'Unione bancaria al fine di superare l'attuale frammentazione dei mercati finanziari e per contribuire a spezzare il legame esistente tra le finanze pubbliche e il settore bancario.

4.2

Il CESE ribadisce che occorre giungere al più presto a un quadro armonizzato per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie. Tale quadro dovrebbe essere dotato di solidi dispositivi transfrontalieri atti a garantire l'integrità del mercato unico. Il meccanismo unico di risoluzione delle crisi ne costituisce un necessario completamento, per cui il CESE accoglie con favore i testi in esame.

4.3

A sua volta, la realizzazione del meccanismo unico di risoluzione deve essere sostenuta da, e inserita in, un quadro pienamente armonizzato di risanamento e di risoluzione delle crisi delle banche che serva da riferimento per la risoluzione di tali crisi in tutta l'Unione.

4.4

Il meccanismo unico di risoluzione non deve soltanto fornire un quadro comune per la risoluzione delle banche in dissesto all'interno dell'Unione bancaria, promuovendo quindi la realizzazione di condizioni di parità in questo ambito, ma deve costituire anche uno strumento efficiente ed efficace il più semplice possibile, applicabile all'occorrenza con tutta la necessaria rapidità, sia a livello nazionale che transnazionale.

4.5

In relazione al comitato unico di risoluzione delle crisi, sono di fondamentale importanza in particolare l'indipendenza, la competenza e il controllo democratico. Esso deve fondarsi su una base giuridica solida, e deve essere tenuto a rispondere delle sue decisioni, al fine di garantire la trasparenza e il controllo democratico e di tutelare i diritti degli enti dell'Unione. La delimitazione delle competenze nei confronti degli organi di vigilanza deve essere chiara e la composizione del comitato deve essere espressione di un attento equilibrio della rappresentanza tra partecipanti nazionali e soggetti interessati europei. Il comitato e i suoi membri devono disporre della necessaria competenza nei settori di riferimento.

4.6

La costituzione di tale comitato rappresenterebbe un passo avanti fondamentale verso la realizzazione dell'Unione bancaria e del meccanismo unico di risoluzione. Va tuttavia tenuto conto anche del quadro più ampio di attuazione del meccanismo di vigilanza unico e della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario, e sarebbe probabilmente meglio aspettare di vedere ciò che sarà realizzato su questo piano.

5.   Osservazioni specifiche in merito ai meccanismi di finanziamento

5.1

Il fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie serve a garantire la disponibilità di sostegno finanziario nel periodo in cui la banca in questione viene ristrutturata. Il CESE esprime ancora una volta apprezzamento per l'impegno della Commissione nell'instaurare un sistema europeo di meccanismi di finanziamento, anche attraverso il meccanismo unico di risoluzione. Tale sistema garantirà che tutti gli enti creditizi siano soggetti a regole di finanziamento della risoluzione delle crisi di pari efficacia. Assicurare un finanziamento efficace della risoluzione delle crisi con parità di condizioni per tutti gli Stati membri è nel massimo interesse di ciascuno di essi, nonché del mercato interno finanziario, poiché contribuisce a garantire stabilità e condizioni uniformi di concorrenza (8). In maniera analoga, merita probabilmente attenzione la tutela dei piccoli risparmiatori attraverso i sistemi di garanzia dei depositi.

5.2

Il CESE si compiace pertanto che il meccanismo unico di risoluzione sia sostenuto da un meccanismo specifico di finanziamento. Se il finanziamento della risoluzione delle crisi deve avvenire in primo luogo attraverso lo strumento di bail-in (per far assorbire le prime perdite agli azionisti e agli altri creditori) e gli altri strumenti previsti dal regolamento, è opportuno che il meccanismo unico di risoluzione sia completato da un fondo unico, allo scopo di rompere il legame esistente tra governi e settore bancario.

5.3

Il CESE chiede che si faccia presto chiarezza in merito alla base giuridica del fondo, comprese le questioni riguardanti la necessità o meno di modificare il Trattato.

5.4

Non appena saranno forniti i necessari chiarimenti, occorrerà lavorare all'istituzione del fondo, senza però aspettare di vedere gli sviluppi e i risultati conseguiti sul piano del meccanismo di vigilanza unico e della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario.

5.5

L'introduzione di un sistema comune comporta anche sfide notevoli, e fin dall'inizio occorrerà fare in modo di prevenire o limitare il più possibile eventuali effetti indesiderati e di risolvere preventivamente tutti i problemi, quali ad esempio i comportamenti negligenti (ossia di "rischio morale").

5.6

Anche se il fondo interviene soltanto in una fase successiva, tra i due dispositivi e, in particolare, dopo le misure di bail-in, e l'impiego delle risorse è limitato a finalità specifiche, è comunque importante che il fondo disponga di una dotazione sufficiente e che tutti gli enti finanziari siano tenuti a contribuirvi.

5.7

Nella definizione del livello di dotazione che il fondo dovrà raggiungere occorrerà tenere conto del quadro spiccatamente prudenziale già esistente, delle misure preventive e del ruolo dei piani di risanamento e di risoluzione per evitare le crisi, dell'innalzamento delle riserve di capitale e dei nuovi meccanismi di risoluzione, tra cui lo strumento di bail-in, nonché di altre misure di risanamento del settore finanziario. Queste misure e questi strumenti sono già ora intesi a limitare la probabilità di fallimento di una banca. In relazione al meccanismo unico di risoluzione e alla direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario, il CESE ribadisce pertanto che i criteri di contribuzione ex ante devono poter essere riveduti periodicamente (9).

5.8

Per le stesse ragioni e per evitare conseguenze negative sui cittadini e sulle imprese, occorre prestare particolare attenzione a potenziali duplicazioni dei costi a carico delle banche in seguito alla duplice struttura costituita dalle autorità nazionali e dall'autorità europea competenti in materia di risoluzione delle crisi.

Bruxelles, 17 ottobre 2013.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2013) 520 final.

(2)  Cfr. Consiglio Ecofin del 21 giugno 2013 e Consiglio europeo del 27 giugno 2013.

(3)  GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68.

(4)  Ciò è sottolineato in particolare nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio Una tabella di marcia verso l'Unione bancaria, nella comunicazione della Commissione Un piano per un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita. Avvio del dibattito europeo e nella relazione dei quattro presidenti dal titolo Verso un'autentica Unione economica e monetaria.

(5)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 8.

(6)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 34.

(7)  GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68.

(8)  GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68.

(9)  GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sul valore aggiunto delle strategie macroregionali

COM(2013) 468 final

2014/C 67/11

Relatore: BARÁTH

Correlatore: MALLIA

La Commissione europea, in data 3 luglio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sul valore aggiunto delle strategie macroregionali

COM(2013) 468 final.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Introduzione

1.1

Nell'aprile 2011 il Consiglio ha invitato la Commissione a chiarire i principi alla base delle strategie per la regione del Mar Baltico e per la regione danubiana, a valutare il valore aggiunto di tali strategie e a presentare una relazione al Consiglio e al Parlamento entro il giugno 2013. Nel dicembre 2012 il Consiglio europeo ha invitato la Commissione europea a presentare una strategia dell'UE per la regione adriatica e ionica entro la fine del 2014, tenendo conto dei risultati di tale valutazione.

1.2

Su richiesta della Commissione, il CESE ha formulato un parere in merito alla relazione sul valore aggiunto delle strategie macroregionali nel quadro del processo sopra descritto.

1.3

Per ovvi motivi non rientrano nel presente parere né l'elaborazione delle strategie macroregionali per la regione atlantica (1) e per la regione del Mediterraneo (2), né le relative proposte del CESE.

2.   Considerazioni e conclusioni

2.1

Il CESE condivide le principali considerazioni contenute nella relazione.

2.1.1

Il principio macroregionale, basato su un approccio dal basso verso l'alto, può fornire un'autentica risposta alle sfide incontrate dalle regioni. I principi applicati nei due precedenti esperimenti macroregionali europei hanno dato buoni risultati come strumenti per il rafforzamento della coesione e della convergenza sociale, economica e territoriale.

2.1.2

L'impostazione macroregionale potrebbe costituire, dal punto di vista politico, ambientale e socioeconomico, uno strumento appropriato per il rafforzamento della cooperazione tra Stati o regioni d'Europa, l'attenuazione delle aspirazioni nazionaliste in favore del consenso sociale e il rispetto e l'accettazione reciproci. Potrebbe inoltre contribuire, grazie alla creazione di un valore aggiunto europeo per le comunità di interessi, alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020.

2.1.3

Le strategie macroregionali possono essere dei buoni strumenti per combattere la mancanza di comunicazione e favorire l'informazione della popolazione. È indispensabile che gli abitanti delle località e delle aree interessate e le imprese siano meglio informati sui programmi e progetti in corso.

2.1.4

La riflessione strategica comune che emerge nelle due macroregioni, le relazioni istituzionali che vi si sono stabilite e la maggiore creatività dimostrata nella pianificazione sono buoni esempi dei primi successi di questa cooperazione macroregionale su un piano di parità, che costituisce la nuova tendenza della politica europea. Il lancio di nuovi progetti e iniziative e i successi riportati, al di là delle mere impressioni, dall'azione comune giustificano gli sforzi congiunti compiuti nelle regioni dagli attori socioeconomici.

2.1.5

Il CESE concorda con le principali considerazioni contenute nella relazione:

sarebbe preferibile ridurre il numero delle priorità,

occorre un forte impegno politico,

serve un maggior numero di fonti di finanziamento,

è essenziale rafforzare le competenze amministrative (gestionali, organizzative),

è assolutamente indispensabile misurare e valutare i risultati in termini sia quantitativi che qualitativi,

occorre ridurre gli oneri amministrativi.

2.2

Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che la cooperazione macroregionale rientra nel quadro del consolidamento della democrazia dell'UE e del rafforzamento delle iniziative dal basso. Si tratta di un catalizzatore positivo, che difende e integra i valori fondamentali dell'UE.

2.3

Il CESE constata l'accuratezza della metodologia utilizzata nella relazione e la fondatezza dell'ampia inchiesta, in particolare considerando che la metodologia di analisi delle strategie macroregionali non è ancora matura e che mancano riferimenti statistici specifici.

2.4

Il CESE si compiace delle indicazioni contenute nelle conclusioni del Consiglio europeo del giugno 2012, secondo cui occorre impegnarsi per rafforzare il mercato unico e promuovere la competitività. Si rammarica tuttavia del fatto che, al di là dei principi generali - integrazione, coordinamento, cooperazione, governance multilivello, partenariato - il Consiglio non contribuisca all'attuazione delle strategie macroregionali con strumenti aggiuntivi sostanziali.

2.5

Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che, a giudizio degli esperti, il problema principale consiste nella mancanza di coerenza tra volontà politica decentrata e finanziamento.

2.6

La priorità data alla sostenibilità (cfr. la crescita blu e verde) e allo sviluppo delle infrastrutture è una conseguenza naturale della riflessione macroregionale. Essa è fonte di valore aggiunto europeo.

2.7

Tuttavia, nell'immediato e a breve termine, è dall'attività economica che ci si può attendere un aumento del valore aggiunto europeo, attraverso una crescita del PIL e dell'occupazione.

2.8

A giudizio del CESE l'approccio dei tre no è già superato: nel quadro finanziario a medio termine 2014-2020 sono previste delle risorse, il sistema amministrativo istituzionale inteso a favorire la gestione è in fase di realizzazione e il quadro strategico comune contiene la necessaria regolamentazione. Nell'interesse del rafforzamento dell'innovazione, del sostegno alle piccole e medie imprese, della creazione di reti e della promozione dell'occupazione, bisognerebbe dimostrare maggiore comprensione, nella valutazione della politica di sostegno alle strategie macroregionali, per il passaggio a un approccio basato su tre sì.

2.9

La strategia macroregionale dev'essere una priorità nel periodo europeo di programmazione 2014-2020, e integrare il nuovo modello di cooperazione territoriale con l'accordo di partenariato e i programmi operativi (FESR, FSE, FEASR, FEAMP), mettendo in rilievo in particolare il concetto di sviluppo macroregionale di tipo partecipativo, che ha le seguenti caratteristiche:

si concentra su settori specifici;

è guidato dalla comunità, a livello di gruppi di azione macroregionali composti da rappresentanti degli interessi socioeconomici pubblici e privati;

è attuato sulla base di strategie territoriali di sviluppo locale integrate e multisettoriali;

è concepito tenendo conto delle esigenze e del potenziale macroregionali.

2.10

Lo sviluppo macroregionale di tipo partecipativo:

incoraggerà le comunità macroregionali a sviluppare approcci dal basso laddove vi sia l'esigenza di rispondere a sfide che richiedono cambiamenti strutturali;

rafforzerà le capacità locali e stimolerà l'innovazione (anche socioculturale), l'imprenditorialità e la capacità di cambiamento incoraggiando lo sviluppo e la scoperta del potenziale non sfruttato presente nelle comunità e nei territori;

contribuirà alla governance multilivello offrendo alle comunità macroregionali la possibilità di partecipare pienamente all'attuazione degli obiettivi dell'UE in tutti i settori.

2.11

Il CESE sta elaborando di propria iniziativa un'analisi globale dell'importanza che rivestiranno in futuro le strategie macroregionali per l'Europa e formulerà una proposta su come adeguare tali strategie per arrivare a una prassi di sviluppo europea uniforme.

3.   Risultati

3.1

Secondo la relazione in esame, i rapporti di esecuzione delle strategie macroregionali per il Baltico e la regione danubiana indicano che queste ultime hanno contribuito allo sviluppo di nuovi progetti e ridato slancio a progetti transnazionali in corso. Le strategie hanno favorito la creazione di reti e l'avvio di iniziative comuni nelle regioni interessate. I progetti faro possono essere ottimi elementi propulsivi e al tempo stesso avere un valore esemplare per le macroregioni.

3.1.1

La strategia macroregionale per la regione del Mar Baltico è stata il primo esempio di tale tipo di strategia. Con i suoi tre obiettivi principali e le sue 15 priorità, essa ha delimitato chiaramente già dalle prime fasi gli ambiti su cui si poteva concentrare la cooperazione nella regione, facendone degli efficaci strumenti per l'attuazione delle politiche settoriali e delle politiche orizzontali europee.

3.1.2

Lo sviluppo del settore marittimo, il rafforzamento delle relazioni regionali, l'investimento nel futuro delle persone e nella crescita economica sono gli ambiti di intervento che hanno finora fornito un input per l'elaborazione di altri approcci macroregionali.

3.2

Dal canto suo, la strategia macroregionale danubiana - la seconda a essere adottata -, con i suoi quattro obiettivi principali e le sue 11 priorità, ha ben concentrato la riflessione regionale e i settori di azione comune migliorandoli al tempo stesso.

3.2.1

Analogamente a quanto avviene per la strategia per la regione baltica, tra le sue tematiche prevalgono le priorità ambientali e infrastrutturali (collegamenti tra le regioni, difesa dell'ambiente, rafforzamento delle regioni), ma le proposte e i progetti concernenti l'aumento del benessere economico e sociale rispecchiano l'intenzione politica di conformarsi alla strategia Europa 2020.

3.3

In vari studi il CESE ha appoggiato gli sforzi dell'UE per fare in modo che le risorse disponibili siano impiegate nella maniera più efficiente ed efficace possibile. A tal fine occorre armonizzare gli strumenti e rafforzare le azioni comuni. Un ovvio requisito consiste nel ricorso a risorse esterne. Anche in questo campo le iniziative macroregionali hanno realizzato nuovi risultati (come nei casi del Land Baden-Württemberg o del coordinamento dei capitali di rischio, menzionati nella relazione).

3.4

Tanto le due strategie in esame, quanto i precedenti pareri di iniziativa del CESE, in particolare quelli sulle strategie macroregionali per la regione del Mediterraneo e per la regione dell'Atlantico, hanno segnalato l'importanza della cooperazione politica ed economica con paesi terzi e hanno richiamato l'attenzione sulla possibilità di ridurre vari rischi nel campo della politica della sicurezza, sulla gestione dei problemi dell'immigrazione irregolare, ecc.

3.5

Il CESE insiste con forza sull'importanza cruciale degli accordi di partenariato in preparazione e in fase di negoziazione. Bisogna esigere la rappresentanza del contesto macroregionale, un adeguato coordinamento con le parti sociali, un'armonizzazione "orizzontale" tra Stati e regioni, proposte e progetti nei singoli programmi operativi e la partecipazione attiva degli ambienti socioeconomici e della società civile a tali programmi operativi.

4.   Proposte

4.1

Il CESE ritiene possibile e auspicabile sviluppare ed estendere ulteriormente i principi qui esposti.

4.2

Sarebbe un errore trattare le macroregioni soltanto come un fenomeno geografico, occorre anche tenere conto delle complesse relazioni sociali, economiche e storiche esistenti fra i suoi componenti.

4.3

La formula delle "sfide comuni" o della "cooperazione rafforzata" per la coesione riduce la possibilità di un'interpretazione funzionale della macroregione al di là delle frontiere, nonché il suo impatto sui processi di sviluppo e di coesione paneuropei.

4.4

Nella relazione non viene definito il concetto di valore aggiunto europeo delle macroregioni. A giudizio del CESE il valore aggiunto, nel caso delle strategie macroregionali, non può riferirsi ad altro che al valore che l'azione indipendente di singole regioni o Stati membri non potrebbe creare, se non a costo di investimenti maggiori o di una minore efficacia.

4.5

Il principio dei tre no era comprensibile a suo tempo, ma adesso è chiaro che esso comporterebbe probabilmente la rinuncia a un valore aggiunto europeo in un momento in cui la ripresa è ancora fragile e ha bisogno di essere rafforzata.

4.6

Allo stato attuale, le strategie macroregionali riflettono l'approccio europeo secondo cui gli strumenti e le risorse a disposizione delle singole regioni potrebbero essere utilizzati con maggiore efficacia grazie a una cooperazione e a un coordinamento adeguati sul territorio degli Stati membri e delle regioni partecipanti (la Commissione europea svolge, in proposito, un ruolo di secondo piano). Il valore aggiunto europeo creato a livello macroregionale risulta così maggiore.

4.7

A giudizio del CESE è probabile che se si adottassero strumenti aggiuntivi, si migliorasse la capacità giuridica e istituzionale e si stanziassero ulteriori risorse il valore aggiunto europeo generabile a livello macroregionale sarebbe significativamente più elevato.

4.8

Nel valutare gli scenari di sviluppo dell'UE all'orizzonte 2020 e le proposte in essi contenute per l'Europa nel suo insieme, come per esempio gli obiettivi e le basi finanziarie separate del Meccanismo per collegare l'Europa, occorre verificare a ogni livello il valore aggiunto delle iniziative e dei progetti realizzati con il contributo di risorse europee.

4.9

L'estensione di tali strumenti al livello macroregionale è una condizione imprescindibile per l'attuazione della strategia Europa 2020.

4.10

A giudizio del CESE l'estensione del quadro politico, istituzionale, giuridico e finanziario, accanto alla verifica del valore aggiunto europeo:

contribuirebbe ad accelerare l'uscita dalla crisi,

per quanto riguarda il futuro dell'Europa, nel quadro del monitoraggio delle riforme istituzionali e della regolamentazione, consentirebbe di verificare in che misura i provvedimenti dei singoli Stati membri seguano la logica europea e si allineino ai principi del valore aggiunto europeo, anche quando non vengano utilizzate direttamente risorse europee nei relativi sviluppi e investimenti,

potrebbe generare un significativo valore aggiunto ai fini della creazione di posti di lavoro e della crescita.

4.11

Il CESE ritiene che il rafforzamento della governance politica e orientata allo sviluppo nei campi d'azione delle strategie macroregionali offra un considerevole valore aggiunto europeo, e che si possa presumere che le tensioni politiche più o meno forti tra federalisti e "nazionalisti", che hanno percorso, a ondate successive, l'intera storia dell'UE, potrebbero essere attenuate mediante il rafforzamento di un livello intermedio di coordinamento e di cooperazione.

4.12

A giudizio del CESE è possibile un'interpretazione funzionale delle macroregioni, secondo cui gli sviluppi di interesse europeo che si producono al di là delle loro frontiere e altre misure che implicano la formazione di nuove reti rafforzano la crescita dell'Unione e con essa la coesione.

4.13

Il CESE raccomanda di fare un passo in avanti a livello politico nella gestione delle macroregioni; in linea di massima, spetta al Consiglio decidere del sostegno alle iniziative "dal basso", e dei futuri aiuti "laterali" e "dall'alto" da parte di tutte le istituzioni. In linea generale, in base alle esperienze fatte sinora, i settori (funzioni) che si possono considerare sono:

a)

ricerca, istruzione, insegnamento delle lingue, cooperazione culturale e nel settore della salute;

b)

cooperazione in materia di energia, difesa dell'ambiente, logistica, trasporti e servizi pubblici (risorse idriche, acque reflue, rifiuti);

c)

pianificazione comune degli organismi pubblici, delle istituzioni regionali e degli enti locali;

d)

rafforzamento della partecipazione della società civile e delle organizzazioni non governative;

e)

cooperazione in materia di sicurezza e di immigrazione;

f)

misure pratiche per il rafforzamento della concorrenza sul mercato (cooperazione concreta sul mercato del lavoro, per sostenere le PMI o per generare i fondi per lo sviluppo);

g)

cooperazione nel settore statistico.

4.14

Le strategie macroregionali possono essere degli ottimi strumenti per le cooperazioni transfrontaliere tra città, per la formazione di reti di centri tecnologici e per la più rapida diffusione dell'innovazione.

4.15

Si tratta in maggioranza di campi nei quali è giustificato intervenire con iniziative di integrazione provenienti per lo più dal basso e dove può crescere significativamente il ruolo del consigli economici e sociali nazionali. La relazione non menziona l'importanza della partecipazione degli ambienti economici e sociali e della concertazione.

5.   Lavori futuri

5.1

Il CESE condivide il giudizio secondo cui i partecipanti alle strategie macroregionali devono considerare queste ultime come una responsabilità orizzontale dei loro governi.

5.2

Il CESE ritiene che occorra ridurre al minimo le attività di carattere amministrativo, e che la Commissione europea debba elaborare e proporre nuove modalità di coinvolgimento dell'opinione pubblica, come per esempio gli strumenti della e-democrazia. È indispensabile aumentare la partecipazione sia nella fase preparatoria che nella realizzazione.

5.3

Merita sostegno il principio secondo cui gli obiettivi macroregionali devono essere integrati nei singoli accordi di partenariato e programmi operativi.

5.4

La Commissione europea dovrebbe promuovere l'applicazione delle buone pratiche nell'uso degli attuali strumenti di programmazione anche nel caso delle regioni in discussione o in fase di preparazione.

5.5

A giudizio del CESE le carenze di capacità amministrativa possono essere colmate solo qualora sia dimostrabile che ciò contribuisce all'uso efficiente delle risorse.

5.6

Il CESE considera necessario il principio dell'introduzione di indici e indicatori realistici per monitorare i progressi, ma ritiene che a tal fine sia indispensabile la partecipazione attiva della Commissione e di altre istituzioni europee, specie per l'elaborazione dell'indicatore relativo al valore aggiunto, in considerazione del suo carattere multilivello.

5.7

Concorda con il rafforzamento della prassi della costruzione dal basso, praticata sin qui con successo, ma ritiene auspicabile un maggiore coinvolgimento dei soggetti economici, ambientali, sociali e locali, e la costituzione di relazioni orizzontali con le macroregioni di recente formazione.

5.8

Il CESE ritiene che si debba accelerare e ampliare l'attuazione di sistemi di governance delle strategie, sforzandosi di preservare le loro specificità.

5.9

Il CESE raccomanda che, nell'elaborare nuove forme di governance, si esamini la possibilità che la Commissione sostenga anche un'opzione in grado che potrebbe portare all'emergere, in Europa, di un tipo di governance macroregionale, di livello intermedio e orientata allo sviluppo.

5.10

Le iniziative macroregionali hanno essenzialmente due dimensioni, quella transnazionale e quella europea. Il CESE ritiene che sinora l'obiettivo perseguito fosse esclusivamente la collaborazione e il coordinamento tra singoli paesi. Una delle principali conclusioni della relazione è che è altamente auspicabile che le azioni comuni abbiano una dimensione, e quindi un valore aggiunto, europei.

5.11

Il CESE ritiene che gli interventi macroregionali che hanno una dimensione europea, ove ricevano un adeguato sostegno, offrano un'occasione di rafforzamento della credibilità politica unionale e una base per realizzare una nuova pratica di sviluppo grazie al consolidamento della partecipazione sociale.

5.12

Si pone nuovamente la questione di stabilire se gli impegni politici assunti a livello dell'UE e a cui bisogna far fronte a livello locale non possano essere completati da impegni macroregionali da attuarsi a livello europeo. La cooperazione rafforzata cui fa riferimento la Commissione può implicare anche questo.

5.13

La Commissione europea osserva giustamente che gli approcci macroregionali e quelli per i bacini marittimi rispondono ad ambizioni simili, ma questo punto rispecchia chiaramente la divisione interna alla Commissione e i rischi di frammentazione della strategia. Non si possono presentare come elementi macroregionali degli elementi di strategia marittima se non vi sono collegamenti reali o potenziali tra le infrastrutture, l'urbanizzazione, la produzione e i fattori umani delle zone marittime/costiere da un lato e, dall'altro, la capacità e i compiti connessi ai rischi marittimi/oceanici che rivestono importanza in termini di produzione e protezione.

5.14

È da condividere incondizionatamente l'affermazione, contenuta nella relazione, secondo cui vi sono ulteriori possibilità non individuate. Non si può invece accettare il giudizio secondo cui l'ulteriore espansione e intensificazione delle attività potrebbe essere realizzata "senza il coinvolgimento della Commissione, o basata quasi esclusivamente su un programma transnazionale".

5.14.1

Si tratta dell'unico punto della valutazione in cui si afferma espressamente che la Commissione non intende assumere una parte o un ruolo nell'elaborazione e nell'esecuzione delle strategie macroregionali, malgrado altrove essa indichi che possono ancora essere definiti e attuati numerosi altri paradigmi. Non vi sono tuttavia risposte circa le caratteristiche di questi ultimi.

5.15

Il CESE invita la Commissione a continuare a ricoprire un ruolo centrale nell'elaborazione e nell'attuazione delle strategie macroregionali. Invita inoltre il Consiglio a fornire alla Commissione gli strumenti e le risorse necessarie per svolgere questo ruolo in modo adeguato.

5.16

Il concetto di programma transnazionale implica che i programmi che dimostrano un valore aggiunto europeo possono ricevere un certo sostegno, rimanendo nel quadro dei tre no, ad esempio quelli per una migliore applicazione della legislazione in materia ambientale, un'intensificazione degli investimenti specifici nella connettività dell'UE o la creazione di una massa critica per l'innovazione.

5.17

Mancano indicazioni in merito alla modalità di creazione del valore aggiunto europeo, alla sua valutazione, all'utilizzazione dei risultati e alla sua ulteriore promozione.

5.18

Le conclusioni, sorprendentemente concise, dovrebbero essere, a giudizio del CESE, integrate in misura significativa per corrispondere a quanto annunciato nel titolo. La questione della governance è ovviamente importante, perché in fin dei conti compete all'UE decidere in merito alle questioni generali di gestione.

5.19

L'impostazione macroregionale potrebbe costituire, dal punto di vista politico, ambientale e socioeconomico, uno strumento appropriato per il rafforzamento della cooperazione tra Stati o regioni d'Europa, l'attenuazione delle aspirazioni nazionaliste in favore del consenso sociale e il rispetto e l'accettazione reciproci. Potrebbe inoltre contribuire, grazie alla creazione di un valore aggiunto europeo per le comunità di interessi, alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020.

5.20

Le strategie macroregionali possono essere dei buoni strumenti per combattere la mancanza di comunicazione e favorire l'informazione della popolazione. È indispensabile che gli abitanti delle località e delle aree interessate e le imprese siano meglio informati sui programmi e progetti in corso.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Parere del CESE Sviluppare una strategia marittima per la regione dell'Oceano Atlantico, GU C 229 del 31.7.2012, pag. 24.

(2)  Parere del CESE Verso una strategia per lo sviluppo della coesione nel Mediterraneo (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea).


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale

COM(2013) 348 final — 2013/0188 (CNS)

2014/C 67/12

Relatore: DANDEA

Il Consiglio, in data 27 giugno 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 115 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale

COM(2013) 348 final — 2013/0188 (CNS).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di direttiva (1) recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni ("SAI") nel settore fiscale, poiché la considera un importante passo avanti nell'attuazione del Piano d'azione per rafforzare la lotta alla frode fiscale e all'evasione fiscale (2).

1.2

Il Comitato ritiene che questa proposta non possa essere scollegata da altre iniziative e sviluppi europei e internazionali che hanno come oggetto un più ampio scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali, come ad esempio l'estensione del campo di applicazione della direttiva europea sul risparmio del 2005, la normativa statunitense FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act - Adempimenti fiscali dei conti esteri) - per la quale diversi Stati europei stanno cercando di giungere a un accordo bilaterale con gli Stati Uniti, in particolare per la tutela dei propri diritti -, nonché la direttiva già in vigore sullo scambio automatico di dati di cui si vuole ora estendere il campo di applicazione.

1.3

Considerando che le perdite degli Stati membri dovute all'evasione e alle frodi fiscali ammontano ogni anno a diversi miliardi di euro, il CESE ritiene giustificata la proposta della Commissione che accelera l'attuazione di una delle disposizioni della direttiva 2011/16/UE relativa allo scambio automatico obbligatorio di informazioni.

1.4

La Commissione propone di aggiungere altre cinque categorie all'elenco di categorie di reddito che formano già oggetto di SAI. Il CESE concorda con la proposta di inserire queste nuove categorie di reddito, poiché le ritiene maggiormente esposte al rischio di frodi fiscali rispetto alle categorie già previste dalla direttiva.

1.5

Dal momento che le frodi fiscali e l'evasione fiscale sono fenomeni di portata mondiale, contrastarli solamente all'interno delle frontiere dell'Unione diventa impossibile. Per questo motivo, il CESE esorta la Commissione e gli Stati membri a intensificare l'azione negoziale, in sede OCSE o nell'ambito di altri organismi a livello mondiale, tesa a promuovere lo scambio automatico obbligatorio di informazioni in quanto standard internazionale.

1.6

Il CESE raccomanda in particolare agli Stati membri di garantire che il futuro standard per lo scambio automatico obbligatorio di informazioni tenga conto dei requisiti giuridici, delle esperienze e delle competenze dell'UE in questo campo e invita gli Stati membri ad adottare una posizione coordinata a questo scopo in modo che la posizione europea possa avere maggior peso nelle discussioni internazionali.

1.7

In relazione alle iniziative internazionali ed europee, il Comitato ritiene inoltre che occorra perseguire il più possibile condizioni di parità con il maggior numero di paesi possibile, onde prevenire potenziali svantaggi economici e di altra natura a carico dell'Unione.

1.8

Per ragioni di semplicità ed efficienza, nonché in un'ottica di risparmio dei costi e nell'interesse di tutti coloro che sono coinvolti, il CESE ritiene che occorra adoperarsi per uniformare i diversi sistemi di scambio delle informazioni propri di ciascuna iniziativa riconducendoli a un unico sistema. Ciò dovrebbe avvenire almeno a livello europeo. Inoltre, le regole di riferimento vigenti in materia devono essere chiare, precise e commisurate agli obiettivi perseguiti.

1.9

Il CESE invita gli Stati membri a garantire le risorse umane, tecnologiche e finanziarie necessarie per attuare con successo il SAI, tenuto conto del volume e della complessità delle informazioni che verranno scambiate tra i paesi dell'Unione a partire dal 2015. Di conseguenza, la formazione dei funzionari cui verrà affidato il compito dello scambio di informazioni va considerata un obiettivo prioritario.

1.10

A giudizio del CESE, perché i nuovi strumenti di lotta ai reati fiscali siano efficaci, tanto la Commissione quanto gli Stati membri devono adoperarsi di più per semplificare e armonizzare la legislazione fiscale.

2.   Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE

2.1

Dal momento che le frodi fiscali e l'evasione fiscale hanno assunto dimensioni sempre più vaste negli ultimi anni, con gravi ripercussioni sul gettito fiscale degli Stati membri, che ogni anno registrano perdite per svariati miliardi di euro, la Commissione ha presentato la proposta di direttiva in esame che modifica alcune disposizioni della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale.

2.2

L'obiettivo della proposta è ampliare il campo di applicazione dello scambio automatico di informazioni nell'Unione al di là di quanto previsto negli accordi vigenti in materia.

2.3

La Commissione propone di modificare l'articolo 8 della direttiva introducendo una serie di nuove categorie di reddito che formino oggetto di SAI, eliminando la condizione di un importo minimo al di sotto del quale uno Stato membro può non desiderare di ricevere informazioni da un altro paese UE, e infine accelerando l'applicazione di talune disposizioni della direttiva vigente relativa allo scambio automatico obbligatorio di informazioni.

2.4

Le nuove categorie di reddito che formeranno oggetto di SAI sono: dividendi, plusvalenze, qualsiasi reddito generato da attività detenute in un conto finanziario e qualsiasi importo in relazione al quale l'istituto finanziario sia l'obbligato o il debitore, inclusi eventuali pagamenti di rimborso e saldi dei conti. Gli Stati membri dovrebbero trasmettere informazioni relative a queste categorie di reddito a partire dal 2015.

2.5

Alla luce delle consultazioni condotte con gli Stati membri, la Commissione propone di eliminare l'importo minimo al di sotto del quale oggi i paesi UE possono scegliere di non ricevere un determinato tipo di informazioni, poiché da dette consultazioni è emerso che l'applicazione di questa condizione non è pratica e vi è un consenso generale tra gli Stati membri sulla sua abolizione.

2.6

Per quanto riguarda le nuove categorie di reddito che dovrebbero essere oggetto di SAI, la Commissione non mantiene la condizione di disponibilità delle informazioni prevista attualmente per le categorie di reddito di cui all'articolo 8, paragrafo 1. Un simile approccio accelera l'estensione e l'applicazione del sistema di scambio automatico obbligatorio di informazioni.

2.7

La proposta della Commissione viene incontro all'iniziativa di alcuni paesi UE che intendono concludere accordi con gli Stati Uniti riguardo alla legislazione statunitense sugli adempimenti fiscali dei conti esteri (Foreign Account Tax Compliance Act o FATCA); questo significa che essi saranno tenuti a prestare una cooperazione più estesa a norma dell'articolo 19 della direttiva 2011/16/UE relativo alla cooperazione amministrativa anche con altri Stati membri.

3.   Osservazioni generali

3.1

La proposta di direttiva in esame è una delle misure contemplate dal Piano d'azione per rafforzare la lotta alla frode fiscale e all'evasione fiscale (3), presentato dalla Commissione alla fine del 2012 su richiesta del Consiglio europeo. In un precedente parere (4) il CESE ha accolto con grande favore il Piano d'azione e ha espresso il proprio sostegno alla Commissione nella lotta a questi fenomeni che influiscono sul mercato interno.

3.2

Ogni anno le perdite degli Stati membri dovute a frodi fiscali e all'evasione fiscale ammontano a diversi miliardi di euro. Il CESE ritiene che la frode (5) e l'evasione (6) fiscali, dato che erodono le basi impositive obbligando quindi gli Stati membri ad aumentare il livello delle tasse, oltre ad essere illegali rappresentino anche delle pratiche immorali che influiscono pesantemente sul funzionamento del mercato interno e distorcono l'equità dei sistemi fiscali in rapporto ai contribuenti.

3.3

Dal momento che le frodi fiscali e l'evasione fiscale sono fenomeni di portata mondiale, le misure di lotta a questi fenomeni a livello di mercato interno vanno completate da accordi, conclusi in sede OCSE, di G8, di G20 o di altri organismi, che portino allo sviluppo dello scambio automatico obbligatorio di informazioni in quanto standard internazionale. Il CESE plaude agli sforzi compiuti da alcuni Stati membri che hanno già concluso accordi con gli Stati Uniti riguardo alla legislazione statunitense sugli adempimenti fiscali dei conti esteri (FATCA). Sostenuti dalle disposizioni dell'articolo 19 della direttiva 2011/16/UE relativo alla cooperazione amministrativa, tali accordi offriranno agli Stati membri la possibilità di una cooperazione più estesa in materia di scambio automatico di informazioni. Il CESE si rallegra tuttavia che la proposta di estendere lo scambio obbligatorio di informazioni offra agli Stati membri una base giuridica uniforme dell'UE che garantirà certezza giuridica e parità di condizioni sia alle autorità competenti che agli operatori economici. Il Comitato ritiene inoltre importante che il futuro standard mondiale per lo scambio automatico di informazioni tenga conto dei requisiti giuridici, delle esperienze e delle competenze dell'UE in questo campo.

3.4

L'elevata complessità dei sistemi fiscali dei paesi UE, come pure le notevoli differenze esistenti tra di essi, possono rivelarsi ostacoli considerevoli all'attuazione del SAI. Il CESE ritiene che, per far sì che i nuovi strumenti di lotta alla frode e all'evasione fiscali funzionino in modo efficace ed efficiente, sia la Commissione che gli Stati membri debbano adoperarsi di più per semplificare e armonizzare la legislazione fiscale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Con la proposta di direttiva la Commissione intende assoggettare al SAI cinque nuove categorie di reddito, ossia: dividendi, plusvalenze, qualsiasi reddito generato da attività detenute in un conto finanziario e qualsiasi importo in relazione al quale l'istituto finanziario sia l'obbligato o il debitore, inclusi eventuali pagamenti di rimborso e saldi dei conti. Il CESE concorda con la proposta di inserire queste nuove categorie di reddito, poiché le ritiene maggiormente esposte - per via della loro natura ed entità - al rischio di frodi fiscali rispetto alle categorie già previste dalla direttiva.

4.2

Per quanto riguarda le nuove categorie di reddito che formeranno oggetto di scambio automatico di informazioni, la Commissione non mantiene la condizione della disponibilità delle informazioni. Gli Stati membri dovranno trasmettere i dati registrati relativi a queste categorie di reddito a partire dall'anno fiscale 2014. Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione che, in questo modo, accelera l'applicazione del SAI prevista dalla direttiva 2011/16/UE.

4.3

Lo scambio automatico di informazioni nel settore fiscale presuppone che ciascuno Stato membro riceva un volume considerevole di dati da parte di tutti gli altri paesi UE. Il CESE raccomanda agli Stati membri di dotarsi delle risorse umane, finanziarie e informatiche necessarie per attuare il SAI a partire dal 2015.

4.4

Tenuto conto della complessità dei dati che formeranno oggetto del sistema di SAI, il CESE esorta gli Stati membri a provvedere alla formazione dei funzionari che lavoreranno nel quadro di tale sistema al fine di garantirne un funzionamento efficiente.

4.5

Nella proposta di direttiva la Commissione non ha presentato proposte di modifica in merito alla condizione di disponibilità delle informazioni relative alle categorie di reddito previste all'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2011/16/UE. Il Comitato raccomanda agli Stati membri di fare il possibile affinché questi dati possano essere raccolti a partire dal 2017, anno in cui - in conformità delle vigenti disposizioni della direttiva - essi dovrebbero entrare a far parte del sistema di SAI.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2013) 348 final.

(2)  COM(2012) 722 final.

(3)  Ibidem.

(4)  GU C 198 del 10.7.2013, pag. 34.

(5)  La frode fiscale è una forma di evasione deliberata dalle tasse, generalmente perseguibile penalmente. Questo termine indica la presentazione di dichiarazioni deliberatamente false o di documenti falsi (definizione tratta dal COM(2012) 351 final).

(6)  Per evasione fiscale si intendono in generale sistemi illeciti per i quali l'assoggettamento all'imposta è occultato o ignorato, ossia il contribuente paga meno di quanto sia tenuto a fare per legge occultando redditi o informazioni alle amministrazioni fiscali (definizione tratta dal COM(2012) 351 final).


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine

COM(2013) 462 final — 2013/0214 (COD)

2014/C 67/13

Relatore: SMYTH

Il Parlamento europeo, in data 4 luglio 2013, e il Consiglio, in data 17 luglio 2013, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 114 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine

COM(2013) 462 final — 2013/0214 (COD).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di regolamento della Commissione volta a istituire un quadro transfrontaliero per i prodotti di investimento a lungo termine. L'introduzione di fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF) aiuterà a stimolare la domanda degli investitori di attività importanti a lungo termine.

1.2

Il fatto che gli ELTIF possano essere offerti solo in conformità della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi e debbano investire almeno il 70 % dei fondi in progetti ammissibili a lungo termine come quelli riguardanti le infrastrutture fisiche e sociali e le PMI dovrebbe garantire l'emergere di prodotti d'investimento stabili.

1.3

Il CESE accoglie gran parte dell'analisi della Commissione circa la domanda di ELTIF che ci si può aspettare, nonché a proposito degli ostacoli normativi che attualmente frenano gli investimenti istituzionali e al dettaglio nei nuovi progetti infrastrutturali transfrontalieri. La proposta di regolamento ha il potenziale di stimolare un mercato unico significativo degli investimenti in progetti a lungo termine.

1.4

La proposta della Commissione di introdurre fondi chiusi rivolti sia agli investitori istituzionali che a quelli al dettaglio è probabilmente il miglior approccio, in particolare se si considera il probabile emergere del mercato secondario di quote o azioni di ELTIF.

1.5

Poiché la proposta di regolamento apre nuovi spazi sui mercati europei degli investimenti, occorre monitorarne attentamente l'attuazione. Il CESE accoglie la proposta di monitorare lo sviluppo del mercato degli ELTIF. Nel caso che l'iniziativa non riesca a sviluppare un mercato transfrontaliero degli investimenti a lungo termine, si procederà a una nuova valutazione e ad una riforma per risolvere i problemi incontrati e aumentare l'attrattiva degli ELTIF.

2.   Contesto della proposta di regolamento

2.1

Il 26 giugno 2013, la Commissione europea ha pubblicato una proposta di regolamento relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF), corredata da una lunga valutazione d'impatto (1). La Commissione afferma che l'obiettivo principale della creazione di fondi a livello transfrontaliero di questa natura consiste nell'aumentare l'importo dei finanziamenti non bancari a disposizione delle imprese dell'UE che chiedono di accedere al capitale di lungo termine per progetti riguardanti:

le infrastrutture, ad esempio nel settore dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia o dell'istruzione;

gli investimenti in società non quotate, soprattutto PMI;

gli investimenti in attività immobiliari, ad esempio edifici o l'acquisto diretto di un'attività infrastrutturale.

gli investimenti in infrastrutture sociali, per l'innovazione e per la protezione del clima.

2.2

Le proposte della Commissione sono coerenti con l'approccio adottato dal Libro verde sul finanziamento a lungo termine dell'economia europea (2), approccio accolto favorevolmente dal CESE nel luglio 2013 (3). Come suggerisce il titolo del regolamento, il tema centrale è come stimolare e agevolare volumi maggiori di investimenti a lungo termine in Europa. È necessario far sì che gli investimenti a lungo termine siano più ampiamente accessibili e risultino più attraenti per gli investitori.

2.3

Occorre agire a livello europeo, perché la ricerca della Commissione ha evidenziato alcune anomalie e incoerenze, nonché un certo grado di frammentazione, nella messa a disposizione di investimenti a lungo termine all'interno dell'Unione europea. L'allegato 2 della valutazione d'impatto che accompagna il documento illustra in modo molto dettagliato queste incoerenze nei sistemi di fondi a lungo termine vigenti in Germania, Regno Unito, Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Italia e Lussemburgo. Secondo la Commissione, manca un complesso condiviso di standard transfrontalieri per definire cosa sono le attività e gli investimenti a lungo termine, chi siano i loro possibili destinatari e come debbano funzionare.

2.4

L'attuale quadro transfrontaliero per gli investimenti, OICVM ("organismi di investimento collettivo in valori mobiliari"), riguarda portafogli di valori mobiliari liquidi come obbligazioni e azioni. Le categorie di attività escluse dagli OICVM, ossia le attività reali a lungo termine come le infrastrutture e i beni immobiliari, sono essenziali per garantire una crescita sostenibile. Gli strumenti d'investimento a lungo termine in genere sono non trasferibili e illiquidi, non hanno mercati secondari a disposizione e spesso richiedono cospicui impegni di capitale iniziale. Questi fattori possono scoraggiare persino i maggiori investitori professionali.

2.5

La Commissione individua tre tipi di rischi comunemente associati agli investimenti in attività a lungo termine:

il rischio di trarre in inganno gli investitori circa la natura dei rischi delle attività a lungo termine;

il rischio connesso con l'illiquidità delle attività a lungo termine;

il rischio che i fondi a lungo termine esistenti non abbiano sufficiente esperienza quanto alla selezione delle attività, al monitoraggio dei progetti e alla capacità di far corrispondere i profili di rendimento con le esigenze dei clienti potenziali.

2.5.1

È in particolare a causa di questi rischi che i fondi d'investimento a lungo termine hanno riscosso finora soltanto un successo parziale. Essi non sono sempre stati all'altezza delle previsioni di rendimento e gli investitori sono stati tratti in inganno circa i guadagni sperati, inoltre ci sono alcuni indizi di vendite di fondi improprie. La Commissione riconosce la necessità di esercitare l'opportuna diligenza dovuta e di gestire in modo professionale i fondi d'investimento a lungo termine. È posta un'enfasi particolare nella regolamentazione sulla stesura di materiali di informazione e commercializzazione adeguati. Gli ELTIF al dettaglio saranno un prodotto d'investimento al dettaglio preassemblato e dovranno essere accompagnati da un documento contenente le informazioni chiave (PRIP KID) per la commercializzazione agli investitori al dettaglio. Serviranno avvertenze ben visibili e chiare per gli investitori al dettaglio circa la natura chiusa del fondo, l'orizzonte temporale dell'investimento e l'assenza di eventuali diritti di rimborso anticipati.

2.6

La Commissione ritiene che vi siano in Europa richieste di finanziamenti per progetti infrastrutturali per un totale compreso fra i 1 500 e i 2 000 miliardi di euro fino al 2020, il che dimostra la necessità di un finanziamento su vasta scala. L'esercizio di consultazione svoltosi per redigere la valutazione d'impatto della Commissione ha raccolto elementi concreti per concludere che gli investitori (sia quelli istituzionali che quelli al dettaglio) hanno un vivo interesse per gli ELTIF.

3.   Caratteristiche chiave della proposta

3.1

Tutta questa situazione è risultata in uno sviluppo e un rendimento del mercato degli investimenti a lungo termine nell'UE tutt'altro che ottimali. Nello specifico, si lamenta che i fondi siano minori di quel che potrebbero, che i costi di gestione siano maggiori di quel che dovrebbero e che gli investitori al dettaglio abbiano una scelta molto ristretta nei vari Stati membri. Occorre un'azione a livello europeo per affrontare la situazione: la Commissione pertanto propone di creare un mercato unico dei fondi d'investimento a lungo termine.

3.2

Essa inoltre individua sette opzioni strategiche, in base alla loro capacità di rispondere agli obiettivi operativi. Tali opzioni contemplano il mantenimento dello status quo, l'assegnazione volontaria di un'etichetta e di un codice ai prodotti, l'integrazione delle categorie di attività a lungo termine nell'attuale quadro normativo sugli OICVM, il lancio di un prodotto d'investimento chiuso a lungo termine modellato sugli OICVM e riservato agli investitori professionali o lo stesso prodotto ma aperto anche agli investitori con ampie disponibilità patrimoniali, un nuovo fondo con regole più severe per la protezione degli investitori e senza diritti di rimborso aperto a tutti gli investitori compresi quelli al dettaglio e, infine, lo stesso fondo ma con diritti di rimborso dopo un periodo iniziale di immobilizzo.

3.3

Di queste sette opzioni, la sesta, ossia un nuovo fondo europeo d'investimento a lungo termine (ELTIF) aperto a tutti gli investitori e senza diritti di rimborso risulta essere l'opzione preferibile. Quest'opzione somiglia ai modelli in funzione negli Stati membri che consentono gli investimenti degli investitori al dettaglio.

3.4

Secondo le proposte della Commissione, gli ELTIF funzioneranno in base al regime della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) in qualità di nuova categoria di fondi chiusi autorizzati. Poiché il quadro legislativo per gli ELTIF assume la forma di un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, sarà direttamente applicabile in tutti gli Stati membri senza bisogno di ulteriori interventi di recepimento. Ci sono anche diversi aspetti del regime sui quali l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFEM) produrrà norme tecniche di regolamentazione.

3.5

Gli ELTIF sono destinati agli investimenti in attività a lungo termine adeguate al ciclo di vita del fondo. La concezione e l'orientamento complessivi della struttura saranno a favore di attività a lungo termine come i progetti infrastrutturali. La Commissione stabilisce norme sul modo in cui può essere investito il portafoglio di un ELTIF. Almeno il 70 % deve essere investito in attività a lungo termine e non oltre il 30 % in attività ammissibili per investimenti da parte di un OICVM. Il limite del 70 % relativo alla composizione del portafoglio non si applica nei primi 5 anni dell'ELTIF e, nell'intera vita dell'ELTIF, per 12 mesi se il sistema cerca di rastrellare capitali nuovi nonché, verso la fine del suo ciclo di vita, quando comincia a vendere attività in conformità della propria politica di rimborso.

3.6

Gli ELTIF devono essere chiusi e avere una durata prestabilita, e gli investitori non potranno chiedere il rimborso prima che questa sia giunta al termine. L'arco della durata prestabilita sarà determinato dalla natura delle attività che l'ELTIF punta ad acquisire e detenere. Vi è quindi una correlazione tra l'orizzonte temporale d'investimento delle attività a lungo termine da acquisire e l'orizzonte di rimborso dell'ELTIF. L'AESFEM dovrà elaborare norme tecniche di regolamentazione per delineare meglio le circostanze riguardanti la corrispondenza fra il ciclo di vita dell'ELTIF e il ciclo di vita di ciascuna delle sue singole attività.

3.7

L'articolo 17 della proposta di regolamento prevede l'emergere di un mercato secondario per azioni o quote di un ELTIF. Sarebbe un modo di garantire liquidità agli investitori che potrebbero voler riscattare tutte o parte delle loro partecipazioni e, in quanto tale, non comprometterebbe il finanziamento dei progetti all'interno dell'ELTIF stesso.

3.8

Gli ELTIF saranno prodotti di investimento ai sensi della direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID) e quindi soggetti a tutti gli obblighi previsti da tale direttiva in relazione alla commercializzazione, alla vendita e all'informativa.

3.9

Gli ELTIF possono essere considerati uno sviluppo positivo in termini di creazione di un'etichetta di prodotto e di un passaporto al dettaglio per il settore delle attività a lungo termine / dei fondi chiusi e in quanto fonte potenziale di finanziamenti per le società non quotate dell'UE. Secondo il parere della Commissione, da parte dei gestori e degli investitori vi è un vivo interesse nei confronti di un simile prodotto, che sarà utile agli operatori del settore infrastrutturale nella funzione di fonte alternativa di finanziamenti.

3.10

Data la natura innovativa della proposta di regolamento, le questioni relative al monitoraggio e alla valutazione assumono un'importanza particolare. La Commissione ammette questo fatto e propone di monitorare la crescita o mancata crescita del mercato degli ELTIF per un periodo iniziale della possibile durata di quattro anni. Indicatori fondamentali di rendimento come il numero dei fondi istituiti che operano a livello transfrontaliero, le dimensioni medie degli ELTIF, i pareri degli investitori e le proporzioni relative dei finanziamenti rispetto alle infrastrutture, gli aspetti legati alla proprietà, alle PMI ecc. consentiranno di valutare il successo o meno dell'iniziativa. Nel caso che l'iniziativa non riesca a sviluppare un mercato transfrontaliero degli investimenti a lungo termine, si procederà a una nuova valutazione e ad una riforma per risolvere i problemi incontrati e aumentare l'attrattiva degli ELTIF.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  SWD(2013) 231 final.

(2)  COM(2013) 150 final/2.

(3)  GU C 327 del 12.11.2013; p. 11-14


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/74


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione sulla politica di concorrenza 2012

COM(2013) 257 final

2014/C 67/14

Relatore: MENDOZA CASTRO

La Commissione europea, in data 3 luglio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Relazione della Commissione sulla politica di concorrenza 2012

COM(2013) 257 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

A un decennio dalla sua entrata in vigore, il CESE sottolinea la grande riuscita del regolamento (CE) n. 1/2003, che ha comportato un profondo cambiamento nella politica di concorrenza dell'UE.

1.2

Il CESE valuta positivamente la relazione 2012 che descrive nei particolari, tra gli altri aspetti, l'attività svolta dalla Commissione e dalla Corte di giustizia dell'UE nel settore dell'antitrust e della lotta ai cartelli.

1.3

Il CESE ha invocato a più riprese l'introduzione di un quadro per la tutela giuridica dei consumatori, ragion per cui mette in risalto la presentazione della proposta di direttiva sulle azioni per il risarcimento del danno derivante da violazioni del diritto della concorrenza.

1.4

La politica del "business as usual" in materia di concorrenza nonostante la crisi economica costituisce, a giudizio del Comitato, la scelta corretta. Non si può tuttavia ignorare il fatto che le potenze economiche che competono con l'UE sui mercati mondiali utilizzano apertamente aiuti di Stato e pratiche che limitano la libera concorrenza.

1.5

Gli aiuti pubblici erogati per salvare il settore finanziario dal collasso hanno richiesto grandi quantità di denaro pubblico che comporteranno per i contribuenti un onere che durerà anni, e tali aiuti saranno giustificati soltanto se la riforma del sistema finanziario riuscirà a impedire che si ripetano in futuro i comportamenti irresponsabili che hanno provocato la crisi finanziaria. Data la necessità di ripristinare la credibilità del sistema finanziario, il CESE plaude alla decisione della Commissione di attribuire "la massima priorità" all'indagine sugli indici EURIBOR e TIBOR.

1.6

Il CESE si rallegra per il pacchetto sui mezzi di pagamento presentato dalla Commissione nel luglio 2013, che considera un passo nella direzione giusta.

1.7

L'applicazione dei principi generali ai casi concreti permetterà di comprendere se la modernizzazione degli aiuti di Stato e il nuovo quadro di aiuti ai SIEG portano a un'attuazione più efficacie e più equa del TFUE. Per le loro particolari caratteristiche, i servizi postali meritano un trattamento speciale in materia di aiuti di Stato.

La politica degli aiuti di Stato deve consentire alle autorità pubbliche di erogare aiuti alle imprese che contribuiscono agli obiettivi di crescita dell'UE, e nel contempo limitare le distorsioni della concorrenza.

1.8

È legittimo dubitare che la liberalizzazione - obiettivo centrale della politica energetica dell'UE - abbia portato a una maggiore concorrenza, a mercati più trasparenti e a prezzi più bassi per gli utenti, e la Commissione sembra riconoscerlo.

1.9

Per quanto concerne il mercato delle telecomunicazioni, il CESE ritiene che gli obiettivi centrali debbano essere: pervenire a un'effettiva riduzione delle tariffe telefoniche per le famiglie e per le imprese; introdurre una connessione a banda larga universale di qualità; eliminare le tariffe di roaming; stabilire un regolatore unico in tutta l'UE.

1.10

Nel settore dell'alta tecnologia, le cui imprese sono soggette a una costante innovazione, la lunghezza dei tempi che intercorrono tra l'inizio delle azioni e l'adozione delle decisioni può portare alla scomparsa delle imprese danneggiate dalle pratiche anticoncorrenziali.

1.11

Il CESE propone di prendere in considerazione un grado più elevato di armonizzazione nel mercato degli e-book per evitare l'arbitrato e progredire nell'integrazione del mercato stesso.

1.12

Il CESE apprezza e sostiene le iniziative della Commissione volte a sanzionare l'abuso dei brevetti da parte delle grandi imprese farmaceutiche per impedire l'accesso dei medicinali generici al relativo mercato. Visti gli ingenti utili di queste imprese, tuttavia, è difficile che le sanzioni pecuniarie abbiano potere dissuasivo. È pertanto opportuno prendere in considerazione misure giuridiche più severe in caso di violazione dei principi della concorrenza nel mercato dei medicinali.

2.   Contenuto della relazione 2012

2.1

Nel 2012 si è conferito alla politica di concorrenza un ruolo nel consolidamento del mercato unico. A tal fine, la Commissione ha collaborato con le autorità nazionali garanti della concorrenza (ANC) e con la rete europea della concorrenza (REC) per coordinare le azioni di attuazione delle norme in materia di antitrust. L'attuazione delle norme a tutela della concorrenza si è concentrata in particolare su settori di "importanza sistemica e trasversale per l'economia", per gettare le basi di una crescita sostenuta.

2.2

La relazione analizza la politica di concorrenza applicata a quattro aspetti chiave: il settore finanziario, gli aiuti di Stato, le industrie di rete (energia, telecomunicazioni, servizi postali) e l'economia della conoscenza.

2.3

Il documento contiene inoltre un resoconto del dialogo intrattenuto con altre istituzioni dell'UE, in particolare il PE, ma anche il CESE e il CdR.

3.   Osservazioni generali

3.1   La politica di concorrenza dell'UE a dieci anni dall'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1/2003

3.1.1

Il regolamento (CE) n. 1/2003 (in appresso "il regolamento") ha impresso un cambiamento radicale nella politica di concorrenza dell'UE. Dalla sua entrata in vigore, le azioni realizzate in materia di concorrenza sono andate aumentando, fino a raggiungere un numero complessivo otto volte maggiore rispetto al periodo precedente. Risalta il notevole incremento dell'attività degli Stati membri, che sono diventati i principali promotori dei principi di concorrenza e hanno adottato l'88 % delle decisioni in materia.

3.1.2

Merita menzione inoltre l'operato della rete europea della concorrenza (REC), i cui effetti si sono fatti sentire in due ambiti distinti. Da un lato, e in termini generali, la collaborazione tra le diverse autorità nazionali si è svolta senza problemi, e i meccanismi di cooperazione e coordinamento previsti dal regolamento hanno funzionato egregiamente. Dall'altro, con il sostegno dell'azione politica della REC, l'attuazione del regolamento ha consentito anche di conseguire un elevato grado di convergenza volontaria delle normative degli Stati membri in materia di procedure e competenze sanzionatorie.

3.1.3

Benché non si sia verificato un aumento significativo nel numero delle decisioni adottate dalla Commissione (che è stato inferiore rispetto alle attese generate dalla riforma), queste ultime si distinguono sul piano qualitativo data l'importanza dei casi trattati. Tutti questi aspetti consentono di affermare, in conclusione, che il regolamento ha avuto un elevato grado di successo nel conseguimento degli obiettivi prefissati.

3.2   La relazione 2012

3.2.1

Il CESE valuta positivamente la relazione 2012, che descrive le attività svolte nell'ambito di una delle politiche fondamentali dell'UE.

3.2.2

Il Comitato ha espresso a più riprese il proprio appoggio alle decisioni in materia di antitrust e alla lotta contro i cartelli, aspetto essenziale della politica di concorrenza. In questa materia vi sono state, nel 2012, azioni importanti della Commissione e sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea.

3.2.3

La Commissione afferma di aver continuato durante l'attuale crisi a garantire il buon funzionamento del mercato unico "nonostante le occasionali esortazioni di imprese o Stati membri ad assumere una posizione più morbida nei confronti dei comportamenti anticoncorrenziali tenuto conto della crisi economica". A giudizio del CESE si tratta di una decisione corretta.

3.2.4

Il CESE ha sempre considerato la politica di concorrenza come un elemento essenziale del mercato interno, e deve riaffermarlo in un momento in cui le turbolenze che colpiscono l'economia europea dal 2008 mettono alla prova la determinazione dell'UE di continuare detta politica. Le autorità pubbliche, infatti, possono essere più inclini ad accettare che la ripresa debba avere la precedenza sul rispetto dei trattati. C'è inoltre la possibilità che cedano alla tentazione di proteggere determinati settori in difficoltà o di ignorare i principi fondamentali che vietano l'abuso di posizione dominante o gli accordi tra imprese per la spartizione del mercato.

3.2.5

Il pieno rispetto della politica di concorrenza rappresenta tuttavia una sfida quando si tratta di gettare le basi della ripresa e consolidare un'economia forte e competitiva e determinati paesi o blocchi economici che concorrono con l'UE sugli stessi mercati mondiali non rispettano gli stessi principi. Gli aiuti di Stato della Cina all'industria siderurgica (oltre ad altri vantaggi come i bassi salari) rappresentano uno dei molti esempi che si possono citare.

3.2.6

Il CESE ha segnalato a più riprese la necessità che l'UE introduca strumenti di tutela giuridica dei consumatori che consentano a questi ultimi di chiedere un risarcimento per i danni causati per violazione delle norme in materia di concorrenza. Oltre a stabilire una procedura per la tutela dei diritti patrimoniali dei cittadini e delle imprese, queste azioni giudiziali possono contribuire all'opera di contrasto dei trust e dei cartelli condotta dalle autorità pubbliche nazionali ed europee. A tal proposito sottolinea il fatto che l'11 giugno 2013 è stata presentata la proposta di direttiva relativa a "determinate norme che regolamentano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi della legislazione nazionale a seguito della violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea" (1).

4.   La concorrenza nel settore finanziario

4.1

Nel contesto della crisi, la Commissione ha dato l'approvazione alle fusioni bancarie in tempi più brevi rispetto alla norma e, tra il 1o ottobre 2008 e il 1o ottobre 2012, ha dato il via libera ad aiuti al settore finanziario per 5 058,9 miliardi di euro (pari al 40,3 % del PIL dell'UE), dei quali 1 615,9 miliardi (il 12,8 % del PIL) sono stati effettivamente utilizzati. In un lasso di tempo più o meno simile, gli aiuti di Stato all'economia reale sono stati pari a 82,9 miliardi di euro (lo 0,7 % del PIL).

4.2

Gli aiuti di Stato temporanei - previsti dal TFUE - hanno salvato dal collasso il settore finanziario e sono risultati imprescindibili per evitare un grave danno all'economia. Negli Stati membri beneficiari, tali aiuti sono stati condizionati al risanamento e alla ristrutturazione delle banche. In ultima analisi, tuttavia, l'impiego di grandi somme di denaro a carico del contribuente europeo per salvare il settore finanziario sarà giustificato soltanto se una profonda riforma di quest'ultimo consentirà di evitare il ripetersi dei comportamenti irresponsabili all'origine dell'attuale crisi.

4.3

La trasparenza, l'efficacia e la solidità dei mercati finanziari sono state messe seriamente in discussione da alcuni scandali che hanno interessato grandi istituti bancari. Le pesanti sanzioni pecuniarie comminate in certi casi non incidono in modo sostanziale sui conti economici dei giganti del mondo finanziario i quali, in alcuni casi, sono stati salvati dalla bancarotta con fondi pubblici. Dopo lo "scandalo LIBOR", il sospetto si è esteso toccando l'elaborazione di altri indici, come EURIBOR e TIBOR. Il Comitato si rallegra della decisione della Commissione di attribuire la massima priorità all'indagine su questo caso, date le grandi ripercussioni dello stesso sull'economia.

4.4

Il CESE prende atto della decisione della Commissione di avviare procedure di indagine riguardanti il mercato dei credit default swap (CDS) per determinare se alcune grandi banche (JP Morgan, Bank of America Merrill Lynch, Barclays, BNP Paribas, Citigroup, Commerzbank, Crédit Suisse First Boston, Deutsche Bank, Goldman Sachs, HSBC, Morgan Stanley, Royal Bank of Scotland, UBS, Wells Fargo Bank/Wachovia, Crédit Agricole e Société Générale) abbiano utilizzato pratiche restrittive della concorrenza nell'informazione finanziaria imprescindibile per operare su quel mercato (fornendo le informazioni solo a Markit) o nel sistema di clearing (favorendo, nel caso di 9 delle suddette banche, ICE Clear Europe).

4.5

Il sistema di pagamento elettronico nello spazio economico europeo è dominato da due grandi imprese, MasterCard e Visa, che stabiliscono commissioni interbancarie multilaterali (multilateral interchange fee, o MIF) mediante accordi con le banche. Le carte di credito e di debito Visa costituiscono il 41 % del totale di quelle esistenti nel SEE, il che conferisce all'impresa un controllo praticamente incontrastato di un mercato che, nel 2010, ha visto 35 miliardi di operazioni per un valore di 1 800 miliardi di euro. Si tratta di un sistema contrario ai principi della concorrenza e dannoso per i consumatori, nonché inadeguato ai cambiamenti tecnologici e sfavorevole al commercio transfrontaliero. La sentenza del Tribunale generale dell'UE che ha confermato il divieto di ricorrere alle MIF imposto a MasterCard (2) dovrebbe diventare il criterio generale in materia di mezzi di pagamento.

4.6

Il CESE accoglie positivamente il pacchetto di misure sui sistemi di pagamento presentato dalla Commissione il 24 luglio 2013, nel quale, tra l'altro, si fissano massimali per le commissioni delle carte di credito (0,3 %) e di debito (0,2 %). Si tratta di un passo nella direzione giusta, ma sarebbe auspicabile una più marcata riduzione di dette commissioni nel primo caso e una loro totale eliminazione nel secondo.

5.   Riforme degli aiuti di Stato

5.1

L'applicazione ai casi concreti permetterà di valutare se le riforme delle norme in materia di aiuti di Stato garantiscano una maggiore equità ed efficacia nell'attuazione dei principi generali del TFUE. Il CESE ha appoggiato, in termini generali, il nuovo quadro in materia di aiuti di Stato ai servizi di interesse economico generale (SIEG) (3) approvato nel 2011, considerandolo più diversificato e proporzionato ai diversi tipi di servizi pubblici. Il Comitato ha tuttavia precisato che l'efficienza non deve avere il sopravvento sulla qualità, sui risultati e sulla sostenibilità dei servizi, in particolare nella prestazione di servizi sociali e sanitari. Bisognerebbe inoltre tenere conto delle specificità delle imprese dell'economia sociale (società cooperative, mutue, associazioni e fondazioni) (4).

5.1.1

Ai fini di una corretta applicazione delle norme generali ai casi concreti, il CESE ricorda le caratteristiche particolari dei SIEG, che rivestono un'importanza particolare tra i valori comuni dell'UE e promuovono i diritti fondamentali e la coesione sociale, economica e territoriale, e pertanto sono essenziali per la lotta alle disuguaglianze della società e, in modo sempre più marcato, anche per lo sviluppo sostenibile.

5.2

Il CESE ha espresso il suo sostegno anche alla modernizzazione degli aiuti di Stato (5), ma ha suggerito di incrementare, a titolo permanente, il massimale degli aiuti de minimis da 200 000 a 500 000 euro, analogamente a quanto fatto per i SIEG (6). La piena attuazione del processo di modernizzazione richiede la realizzazione di riforme in numerose norme settoriali. I nuovi orientamenti in materia di banda larga - approvati verso la fine del 2012 (7) - sono, a giudizio del CESE, adeguati in quanto agevolano il finanziamento pubblico di infrastrutture indispensabili al conseguimento degli obiettivi dell'agenda digitale.

5.3

A giudizio del CESE, la politica degli aiuti di Stato, tra gli altri obiettivi, deve consentire alle autorità pubbliche di erogare aiuti alle imprese che contribuiscono agli obiettivi di crescita dell'UE, e nel contempo limitare le distorsioni della concorrenza.

5.4

Il CESE esprime preoccupazione riguardo alla proposta di regolamento (UE) della Commissione che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno, in applicazione degli articoli 107 e 108 del TFUE (8), poiché in taluni Stati membri detti aiuti costituiscono una grave minaccia per l'occupazione delle persone con disabilità. Il Comitato raccomanda, in particolare, che gli aiuti di Stato destinati all'occupazione e alla formazione di gruppi vulnerabili come le persone con disabilità siano esclusi dall'applicazione del massimale basato sul PIL nazionale e su un valore assoluto, in quanto detto massimale non avrebbe alcun effetto di prevenzione di distorsioni della concorrenza.

6.   Stimolare la concorrenza nelle industrie di rete, spina dorsale del mercato unico

6.1   Energia

6.1.1

Fin dagli anni '90 l'UE ha realizzato un'intensa attività legislativa volta a liberalizzare i mercati dell'energia. Il terzo pacchetto (2011) rappresenta lo sforzo più recente e significativo per stabilire un mercato unico dell'energia a partire dal 2014. Le politiche europee, tuttavia, non sono state applicate con sufficiente determinazione negli Stati membri, nei quali si registrano situazioni di oligopolio da parte di imprese private, dannose per i consumatori e gli utenti.

6.1.2

È legittimo dubitare che la liberalizzazione - obiettivo centrale della politica energetica dell'UE - abbia portato a una maggiore concorrenza, a mercati più trasparenti e a prezzi più bassi per gli utenti. Attualmente, gli elevati prezzi dell'energia comportano gravi problemi per le famiglie meno fortunate (rischio di povertà energetica) e, nel caso delle imprese, il fatto che siano in molti casi più alti di quelli dei loro concorrenti sui mercati mondiali (Giappone, USA) rappresenta uno svantaggio, in particolare per le industrie a elevato consumo di elettricità, come - ad esempio - quella siderurgica. La Commissione afferma che la politica di concorrenza "non può da sola garantire l'integrazione dei mercati del gas e dell'elettricità dell'UE, assicurare prezzi competitivi e la sicurezza dell'approvvigionamento". Detta affermazione può costituire il riconoscimento implicito della necessità di apportare cambiamenti alla politica dell'energia.

6.2   Telecomunicazioni. La relazione 2012 riferisce che negli ultimi 15 anni si sono fatti grandi progressi sul piano dell'introduzione della concorrenza nel mercato delle telecomunicazioni. Il CESE concorda con questa affermazione, ma osserva che l'elemento dominante continua a essere la frammentazione e l'insufficiente concorrenza reale tra le imprese. Ne consegue che in alcuni Stati membri le tariffe telefoniche e quelle per la banda larga sono notevolmente elevate. A giudizio del Comitato, una politica europea nel settore delle telecomunicazioni dovrebbe perseguire quattro obiettivi centrali:

conseguire un'effettiva riduzione delle tariffe telefoniche per le famiglie e per le imprese;

stabilire un collegamento a banda larga universale e di qualità;

eliminare le tariffe di roaming;

stabilire un regolatore unico per tutta l'UE.

6.3   Servizi postali. La Commissione ha adottato decisioni favorevoli agli aiuti di Stato ai servizi postali del Regno Unito, della Francia e della Grecia, e ha invece disposto il recupero di determinati importi nel caso di Bpost (417 milioni di euro) e Deutsche Post (tra 500 milioni e 1 miliardo di euro) - quest'ultimo caso è ancora in attesa di soluzione giudiziaria. Data la consistenza degli importi da recuperare e ricordando la necessità che il servizio postale liberalizzato sia, nel contempo, efficiente, competitivo e in grado di fornire un servizio universale di qualità a prezzi accessibili (9), il CESE nutre qualche perplessità sull'effetto che eventuali sentenze confermative potrebbero avere sull'occupazione e sulla qualità del servizio delle imprese in questione.

6.3.1   Imprese di trasporto pacchi. Per quanto riguarda la decisione di bloccare l'acquisto di TNT Express da parte di UPS, il Comitato prende atto delle argomentazioni addotte dalla Commissione, ossia che nell'UE il numero di imprese è ridotto e l'eliminazione di un concorrente avrebbe danneggiato i consumatori.

7.   Economia della conoscenza

7.1   Nella sezione intitolata Prevenzione dell'uso improprio nei settori digitali di nuova creazione e in rapido sviluppo, la Commissione fa riferimento a diverse azioni riguardanti comportamenti contrari alla concorrenza tenuti da grandi imprese che controllano importanti quote di mercato nell'ambito della telefonia (Samsung, Motorola), portali di ricerca e altre attività (Google) e informatica (Microsoft). Quest'ultimo caso è particolarmente significativo nel settore dei mezzi di comunicazione, dato che è stata comminata una sanzione di ben 561 milioni di euro, ossia una delle più elevate della storia (gli utili lordi di Microsoft nel 2012 ammontavano a 59,16 miliardi di dollari USA). Il CESE appoggia pienamente le decisioni adottate e a questo proposito formula, in termini generali, le considerazioni contenute nei punti che seguono.

7.1.1   In alcuni casi, trascorre un periodo di tempo piuttosto lungo tra l'avvio delle azioni e la decisione finale (9 anni nel caso della multa di 497 milioni di euro comminata a Microsoft nel marzo 2004), a causa dell'elevata complessità dei casi, della necessità di rispettare le procedure amministrative e giudiziarie e della solidità finanziaria delle imprese oggetto di indagine. In settori tecnologici in rapida evoluzione ciò comporta spesso la scomparsa delle imprese danneggiate dalle pratiche scorrette.

7.1.2   D'altro canto, la possibile eliminazione dei concorrenti attraverso pratiche contrarie alla concorrenza è più evidente nei casi di abuso di posizione dominante che in quelli di veto alle fusioni o alla presa di controllo di imprese, che si riferiscono a scenari futuri. In questi ultimi casi, la Commissione è stata a volte criticata per aver adottato decisioni per ragioni "speculative", ma il CESE non condivide questo giudizio: si tratta della soluzione abituale nell'ambito della politica di concorrenza, e la motivazione delle decisioni è avallata dal rigore e dalla serietà dell'indagine, che prevede la partecipazione della parte interessata.

7.1.3   Le decisioni di impegno adottate a norma del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio evitano, come afferma la Commissione, procedure lunghe e costose, e una volta approvate sono giuridicamente vincolanti. Tuttavia, essendo il risultato di una transazione con le imprese oggetto di indagine, garantiscono a queste ultime condizioni favorevoli o meno gravose. In ogni caso, l'eventuale inosservanza può dar luogo a sanzioni.

7.2   Il mercato dei libri

7.2.1

Libri elettronici. La decisione di impegno adottata nel dicembre 2012 nei confronti di Apple e di quattro case editrici era intesa a evitare le pratiche predatorie dannose per gli editori e i commercianti. Attraverso l'impegno, tra gli altri aspetti, si pongono limiti all'applicazione della clausola di "nazione più favorita" alle vendite al dettaglio. Va sottolineato il fatto che la Commissione, date le caratteristiche globali del mercato, ha operato in stretta collaborazione con il dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti. Il divieto di ricorrere a pratiche anticoncorrenziali nell'UE comporta la difficoltà addizionale legata all'esistenza, negli Stati membri, di politiche diverse in materia di prezzi e di imposte sulla vendita dei libri in generale e degli e-book in particolare. Il CESE propone pertanto di prendere in considerazione un grado più elevato di armonizzazione per evitare l'arbitrato e progredire nell'integrazione del mercato. Va sottolineato che il mercato degli e-book è sorto di recente e le informazioni disponibili in merito sono insufficienti, e che occorre pertanto approfondire la conoscenza del suo funzionamento.

7.2.2

Vendita di libri via Internet. Il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che in Francia e nel Regno Unito associazioni di venditori hanno denunciato la possibile concorrenza sleale da parte di Amazon nell'offerta di sconti.

7.3   Settore farmaceutico

7.3.1

Il CESE apprezza e sostiene le iniziative della Commissione volte a sanzionare l'abuso dei brevetti per impedire l'accesso dei medicinali generici al relativo mercato. La sentenza della Corte di giustizia dell'UE nel caso AstraZeneca (10) ha confermato la sanzione di 60 milioni di euro inflitta dalla Commissione. Anche la Corte suprema degli USA si è pronunciata contro accordi simili e accordi "pay to play". Gli addebiti trasmessi dalla Commissione a oltre 14 imprese nel luglio 2012 nell'ambito di due casi importanti mettono in risalto il fatto che si tratta di comportamenti frequenti che causano gravi danni per i consumatori e per le finanze pubbliche.

7.3.2

Tra il 2003 e il 2012, le 11 imprese leader mondiali del settore farmaceutico hanno totalizzato utili netti pari a 711,4 miliardi di dollari, per cui è difficile che le multe inflitte dalle autorità della concorrenza abbiano carattere dissuasivo. In realtà non si tratta di una mera questione di concorrenza, poiché riguarda un ambito particolarmente sensibile com'è quello della salute delle persone, oltre a danneggiare finanziariamente le famiglie e i sistemi di sicurezza sociale. Il CESE propone pertanto di prendere in considerazione misure giuridiche più efficaci al livello dell'UE al fine di prevenire questo tipo di comportamenti.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2013) 404 final.

(2)  Causa T-111/08.

(3)  Risoluzione del Parlamento europeo del 15 novembre 2011. GU C 153 del 31.5.2013.

(4)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 149.

(5)  COM(2012) 209 final.

(6)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 49.

(7)  IP/12/1424.

(8)  http://ec.europa.eu/competition/consultations/2013_gber/draft_regulation_it.docx.

(9)  GU C 168 del 20.7.2007, pag. 74.

(10)  Causa T-321/05.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/79


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla fatturazione elettronica negli appalti pubblici

COM(2013) 449 final — 2013/0213 (COD)

2014/C 67/15

Relatore: BARROS VALE

Il Parlamento europeo, in data 4 luglio 2013, e il Consiglio, in data 30 settembre 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del parlamento europeo e del Consiglio relativa alla fatturazione elettronica negli appalti pubblici

COM(2013) 449 final — 2013/0213 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la proposta di direttiva all'esame intesa a standardizzare i dati della fattura elettronica e approva la definizione di un modello di dati da parte del CEN (Comitato europeo di normazione).

1.2

Nell'attuale situazione che vede un mercato frammentato, nel quale le iniziative volte all'utilizzazione generalizzata della fatturazione elettronica sono state condotte in maniera individuale, utilizzando criteri diversi tra loro che rendono impossibile lo scambio di fatture elettroniche nei mercati transfrontalieri, la creazione di una norma europea costituisce uno strumento essenziale per lo sviluppo del mercato unico e un passo importante per eliminare le barriere esistenti alla partecipazione al mercato.

1.3

Nel dicembre 2010, la Commissione ha presentato al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni una comunicazione intitolata Sfruttare i vantaggi della fatturazione elettronica in Europa (1), in merito alla quale il CESE ha avuto l'opportunità di esprimere il proprio punto di vista (2).

1.4

Tra le raccomandazioni del gruppo di esperti sulla fatturazione elettronica, creato dalla Commissione per esaminare gli ostacoli che ne impediscono una più veloce adozione all'interno dell'UE figurava l'adozione da parte di tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati, di una norma comune per il contenuto della fattura e di un modello di dati comuni, ovvero l'UN/CEFACT Cross-Industry Invoice (CII) versione 2. Va sottolineato che la maggior parte dei partecipanti alla consultazione pubblica condotta si è detto d'accordo con questa e con altre raccomandazioni contenute nella relazione. Questo dato e altre specifiche (CWA 16356 e CWA 16562 e la fattura finanziaria basata sulla metodologia della norma ISO 20022) sono integrati nella proposta di direttiva all'esame. Il CESE approva l'inclusione di tali specifiche, che sono il risultato di un lungo lavoro di specialisti in materia.

1.5

Ciononostante, il CESE non può non esprimere la propria sorpresa e il proprio disaccordo rispetto al fatto che non vi sia menzione alcuna della scadenza entro la quale il CEN dovrà presentare la proposta di norma europea per il modello di dati semantici della fattura elettronica di base. La fissazione di un termine è prevista all'articolo 10, paragrafo 1 del regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio. La proposta di direttiva all'esame ignora completamente questo aspetto, fatto che non è coerente con l'importanza e l'urgenza di definire una norma in materia.

1.6

Inoltre, sempre per quanto concerne i termini, il CESE esprime la propria preoccupazione per il periodo di recepimento di 48 mesi previsto dalla proposta di direttiva. Questo termine, troppo lungo, oltre ad essere contrario all'obiettivo stabilito che è quello di passare agli appalti pubblici elettronici entro il 2016, risulta non allineato alla realtà e ai progressi tecnologici attuali, e persino alla volontà degli operatori economici, con la conseguenza di un ampliamento in prospettiva del divario tra i diversi Stati-membri in una UE a due velocità. Esso potrà addirittura provocare un aumento degli ostacoli di accesso ai mercati fino al momento in cui la direttiva sarà pienamente adottata da tutti gli Stati membri. Passi avanti significativi nell'ambito della fatturazione elettronica sono stati compiuti anche in paesi che attraversano una grave crisi economica, come l'Italia e il Portogallo, dimostrazione del fatto che è possibile realizzare questo importante progetto in tempi più brevi. La riduzione dei termini è dunque possibile ed auspicabile.

1.7

Come già sostenuto in precedenza dal CESE (3) la standardizzazione e l'interoperabilità dei sistemi sono essenziali per il successo del progetto di fatturazione elettronica e per lo sviluppo del mercato interno che con esso si vuole conseguire. Per tale motivo, la lotta contro l'attuale frammentazione del mercato risulta sempre più urgente. Anche il termine di dieci anni previsto per analizzare i risultati dell'applicazione della direttiva sul mercato interno e sull'adozione della fatturazione elettronica si rivela inadeguato o addirittura incompatibile con la velocità con cui si verificano gli sviluppi tecnologici in un mercato dove l'obsolescenza è la norma.

1.8

La proposta di direttiva all'esame si limita ad assicurare che "le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori non rifiutino le fatture elettroniche conformi alla norma europea" definita dal CEN. Il CESE si chiede se tutto il lavoro sinora effettuato, con investimenti notevoli in termini di risorse umane e finanziarie, non giustificherebbe un obiettivo più ampio, vale a dire la vera e propria uniformazione delle procedure e l'accettazione generalizzata del modello definito di fatturazione elettronica da parte di tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati, obiettivo questo che sì è effettivamente utile alle ambizioni di costruzione del mercato unico e di approdo a un'amministrazione pubblica non cartacea.

1.9

Il CESE è favorevole ad un uso generalizzato della fattura elettronica, di cui tuttavia sarà possibile sfruttare le potenzialità solo se i sistemi sono interoperabili, permettendo lo scambio di documenti. Il mercato degli appalti pubblici, per il livello di trasparenza e di rigore che gli è richiesto, superiore a quello degli altri mercati, deve servire da esempio di buone pratiche, creando un effetto a catena per gli altri settori. L'applicazione della fatturazione elettronica negli appalti pubblici e l'adozione di procedure di appalto pubblico integrate risultano urgenti ed auspicabili A tale proposito, il CESE ribadisce in questa sede il proprio sostegno agli appalti pubblici elettronici dal principio alla fine e il proprio auspicio della loro rapida messa in opera, come ha l'opportunità di affermare nel parere in materia (4).

1.10

Le norme di base della fattura elettronica sono già state analizzate, in particolare nell'ambito del progetto, finanziato dalla Commissione, del gruppo PEPPOL - Pan-European Public Procurement Online  (5), il quale ha pubblicato la sua relazione finale nel novembre 2012. Il progetto PEPPOL ha già definito, basandosi sul lavoro svolto nell'ambito del workshop CEN BII (Business Interoperability Interfaces for Public Procurement in Europe – Interfacce d'interoperabilità imprenditoriale per gli appalti pubblici in Europa), diverse specifiche in materia d'interoperabilità (Business Interoperability Specifications – BIS), segnatamente quelle relative alla fattura elettronica, un modello che ha raccolto un ampio consenso tra i membri del gruppo PEPPOL. Il CESE invita ad avvalersi del lavoro già svolto, che va al di là della definizione dei dati della fattura elettronica. Questa sembra essere del resto anche la volontà dei partecipanti al gruppo. Saranno così evitati, o ridotti al minimo, i rischi di sovrapposizione dei lavori o di spreco di risorse a causa di nuovi studi, o addirittura di duplicazione degli investimenti da parte degli Stati membri e degli agenti economici che poi devono constatare come le loro soluzioni, definite alla luce dei risultati conseguiti siano diventate obsolete.

1.11

La maggior parte del mercato europeo è costituito da piccole e medie imprese (PMI), e per tale motivo il CESE raccomanda che se ne salvaguardino gli interessi, adottando una soluzione accessibile e di facile generalizzazione in termini sia di costi sia di tecnologia impiegata, contribuendo di fatto ad eliminare gli ostacoli esistenti alla partecipazione delle PMI al mercato. Solo in questo modo, l'effetto cascata voluto avrà un impatto reale in quanto l'iniziativa proposta potrà costituire un quadro importante per effettuare risparmi significativi in termini di risorse finanziarie ed umane, per lottare contro la frode e l'evasione fiscale e per accorciare le scadenze di pagamento.

1.12

Il CESE inoltre raccomanda, come già ha avuto occasione di fare (6), di tener conto delle esigenze e degli interessi dei consumatori, dato che solo le persone con conoscenze delle tecnologie informatiche sono in grado di usufruire dei vantaggi effettivi degli appalti elettronici. Ricorda altresì la necessità di avviare un processo di formazione su vasta scala nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC).

1.13

Inoltre, sempre per quanto concerne i consumatori, il CESE ribadisce il suo interesse alla difesa degli interessi delle persone con disabilità. Occorre assicurare che il documento venga concepito in modo da consentire un accesso universale e tenga conto delle speciali esigenze delle persone con disabilità, in linea con le norme antidiscriminazione per motivi di disabilità sancite dall'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall'Unione europea.

2.   Contesto della proposta

2.1

La proposta di direttiva all'esame intende rispondere ad un vuoto normativo per conseguire l'obiettivo di una pubblica amministrazione senza carta, una delle priorità dell'Agenda digitale, iniziativa faro della strategia Europa 2020.

2.2

La proposta è una direttiva, forma che, secondo la Commissione, si rivela adeguata e proporzionale all'obiettivo prefissato. Gli Stati-membri sono infatti obbligati a conseguire un obiettivo ma hanno libertà di scelta quanto alle modalità per realizzarlo.

2.3

La modernizzazione della pubblica amministrazione figura tra le cinque priorità stabilite dall'Analisi annuale della crescita della Commissione sia nel 2012 che nel 2013. La riforma del regime degli appalti pubblici, l'informatizzazione della pubblica amministrazione, la riduzione degli oneri amministrativi e l'aumento della trasparenza rappresentano fattori di crescita, introducendo elementi di modernità e di efficienza nelle pubbliche amministrazioni, con benefici ambientali ed economici stimati a 2,3 miliardi di euro.

2.4

Nonostante esistano diversi metodi di fatturazione elettronica e diverse piattaforme di appalti pubblici online, il loro uso non è ancora generalizzato nella maggior parte degli Stati membri. La fatturazione elettronica rappresenta solo dal 4 al 15 % del totale delle fatture emesse o ricevute. Si può dunque affermare che il mercato interno elettronico non è ancora operativo.

2.5

Inoltre, sia i vari formati utilizzati per la fatturazione elettronica sia le singole piattaforme di appalto pubblico differiscono tra loro, e spesso sono addirittura incompatibili, fatto che costringe l'operatore economico a conformarsi a nuovi requisiti di fatturazione nei diversi Stati membri in cui intende partecipare alle gare d'appalto pubblico, con elevati costi di adeguamento. Si tratta di un ostacolo al libero mercato in quanto scoraggia la partecipazione di alcuni soggetti economici alle gare per appalti pubblici

2.6

L'elaborazione di una normativa europea sulla fatturazione elettronica e sulla conseguente interoperabilità dei sistemi di fatturazione, e l'armonizzazione delle procedure di appalto elettronico dal principio alla fine ("end-to-end") sono misure importanti volte ad eliminare gli attuali ostacoli alla concorrenza.

2.7

Nella relazione del 2010 sulla valutazione del Piano d'azione in materia di appalti pubblici elettronici del 2004 (7), che accompagna il Libro verde sull'estensione dell'uso degli appalti elettronici nell'UE (8), la Commissione è invitata ad operare al fine di ridurre al minimo i rischi di un approccio decentrato e frammentario. Vengono altresì sottolineate alcuni importanti aspetti da prendere in considerazione:

garantire un ambiente giuridico favorevole; a tal fine potrebbero risultare necessarie ulteriori modifiche di carattere giuridico destinate a chiarire e a definire gli obblighi legati alla creazione e all'utilizzo delle piattaforme, ad esempio norme relative alla firma elettronica, alla fatturazione elettronica e all'IVA;

adottare, laddove necessario, un approccio più pragmatico per quanto concerne le questioni di carattere tecnico; a tal fine è necessario garantire l'equilibrio tra i costi operativi, la sofisticazione delle piattaforme e la sicurezza offerta. Sono stati individuati alcuni limiti ad una procedura di appalti elettronici, dal principio alla fine, quali ad esempio le difficoltà di utilizzo dei sistemi di valutazione automatica nel caso di acquisti complessi o l'assenza di un sistema di validazione temporale accettato in tutta l'UE;

garantire un maggiore sostegno alla semplificazione amministrativa e ai mutamenti organizzativi, aiutando gli Stati membri a combattere l'inerzia riscontrabile negli operatori economici e nelle autorità aggiudicatrici. Nell'ambito di questo aspetto, occorrerà agire per introdurre sistemi migliori di monitoraggio a livello nazionale ed europeo;

prendere atto della mancanza di uniformità delle procedure di appalto pubblico elettronico. Attualmente le varie procedure vengono elaborate individualmente dai singoli paesi e pertanto gli agenti economici si troveranno di fronte, ora e in un prossimo futuro, a piattaforme diverse dotate di caratteristiche tecniche distinte; ostacoli all'accesso e ulteriori difficoltà nello svolgimento delle funzioni di ciascuno sono inerenti a questa situazione. Sebbene non si preveda né risulti auspicabile un sistema unico, sarebbe importante che vi fossero funzionalità essenziali comuni perché agevolerebbero l'interoperabilità e l'universalità dell'accesso;

migliorare l'accessibilità ed estendere l'inclusione. A tale proposito, potranno rivelarsi necessarie misure aggiuntive per assicurare l'accesso agli appalti pubblici elettronici a tutti i soggetti interessati, incluse le piccole e medie imprese (PMI).

3.   Contenuto della proposta

3.1

La Commissione chiede che la norma europea per il modello semantico (9) dei dati della fattura elettronica di base (10)sia tecnologicamente neutrale e garantisca la tutela dei dati personali in conformità della direttiva 95/46/CE.

3.2

Il modello dovrà essere studiato dal competente organismo europeo di normazione, vale a dire il CEN (Comitato europeo di normazione).

3.3

La proposta di direttiva non stabilisce un termine né per la richiesta della Commissione all'organismo di normazione né per la presentazione delle proposte di quest'ultimo. Il CESE invece giudica questo aspetto importante ed auspicabile.

3.4

Si chiede agli Stati membri di garantire che sia le amministrazioni aggiudicatrici sia gli enti aggiudicatari accettino le fatture elettroniche qualora siano conformi alla norma europea definita.

3.5

Gli Stati membri devono recepire la direttiva entro un termine massimo di 48 mesi, procedendo alla pubblicazione della legislazione e della regolamentazione nazionale necessaria a tale proposito.

3.6

È stabilito che entro il 30 giugno 2023 la Commissione presenterà una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio in cui riesamina gli effetti della direttiva sul mercato interno e la diffusione della fatturazione elettronica nel settore degli appalti pubblici. Questo studio di accompagnamento è di capitale importanza e occorre elaborare strumenti di monitoraggio che consentano di misurare l'impatto dell'adozione delle misure in termini sia di costi sostenuti ai fini della sua attuazione sia di risparmio generato dalla sua utilizzazione.

4.   Osservazioni

4.1

Alcuni Stati membri hanno già adottato o prevedono di adottare il sistema di fatturazione elettronica, stabilendo l'obbligo di emettere fattura mediante sistemi informatici. In Portogallo, ad esempio, l'emissione di fatture mediante sistemi informatici di fatturazione debitamente certificati dall'autorità tributaria, è obbligatoria per tutti gli operatori economici, tranne quelli il cui fatturato è inferiore ai 150 000 euro o che emettono meno di mille fatture all'anno.

In Portogallo, gli appalti pubblici online sono obbligatori dal 2009. Anche in Svezia, Danimarca e Finlandia è obbligatorio, in alcune procedure di appalto pubblico, emettere fattura elettronica. In Austria e in Italia la fatturazione elettronica è in corso d'introduzione e in Italia diventerà obbligatoria a partire dal 2014.

4.2

Un'indagine condotta dalla Associazione portoghese degli appalti pubblici per l'INCI – Instituto da Construção e do Imobiliário (Istituto per l'edilizia e il settore immobiliare) e pubblicata nel gennaio 2011 contiene una serie di proposte per migliorare il processo di appalto elettronico. Sarebbe utile analizzare tali proposte ai fini della creazione del modello europeo di appalto pubblico e del modello di fattura elettronica. L'indagine sottolinea l'importanza di uniformare il funzionamento delle piattaforme, di garantire la massima interoperabilità tra le piattaforme e gli altri servizi e di semplificare i meccanismi e i requisiti relativi alla firma elettronica.

4.3

I vantaggi di una fatturazione elettronica nell'ambito di un appalto pubblico per un ente aggiudicatario sono i seguenti:

dematerializzazione del documento, con conseguente diminuzione dell'impatto ambientale (a livello sia di consumo di carta sia di impronta ecologica causata dalla distribuzione della posta), dei costi di opportunità e di quelli operativi;

facilità di accesso alle gare d'appalto nazionali e transfrontaliere grazie alle piattaforme elettroniche create a tal fine, in quanto si attenuano le difficoltà legate alla distanza dal luogo in cui la gara d'appalto si svolge, sia quest'ultimo all'interno del paese o in un altro Stato. Da questo punto di vista, la normazione a livello UE rende ancor più facile l'accesso, eliminando le barriere alla partecipazione alle gare, grazie alla riduzione delle difficoltà dovute alla distanza;

riduzione dei costi di partecipazione, fatto che permette di aprire il mercato ad un maggior numero di imprese, principalmente alle PMI.

4.4

I vantaggi di una fatturazione elettronica nell'ambito di un appalto pubblico per un ente aggiudicatore sono i seguenti:

riduzione degli oneri amministrativi, dei costi di opportunità e dell'impatto ambientale;

rapidità delle procedure di ordine, trattamento della fattura e di pagamento;

aumento della trasparenza e del rigore nell'aggiudicazione di appalti pubblici;

semplificazione dell'audit della procedura;

maggiore efficienza della pubblica amministrazione, grazie all'innescarsi di un effetto a cascata su altri settori le cui procedure saranno dematerializzate;

promozione di un uso ottimale delle risorse finanziarie indispensabili nel periodo di crisi che attraversa l'Europa.

4.5

Per quanto concerne invece gli svantaggi, si possono segnalare gli elementi seguenti:

sono stati già effettuati ingenti investimenti, sia da parte degli Stati membri sia da parte degli operatori economici, nei diversi sistemi esistenti. Gran parte del software e anche dello stesso hardware dovrà, probabilmente, subire degli adeguamenti i cui costi potranno rivelarsi significativi. Da questo punto di vista, la normazione ora perseguita ha l'unico difetto di arrivare in ritardo, essendo stato permesso a ciascuno Stato membro di avanzare al proprio ritmo in questo campo;

la sicurezza dei dati oggetto di scambio, dato che sembra persistere la possibilità di fughe d'informazione, nonostante l'enorme incremento dell'affidabilità delle piattaforme;

la dipendenza, in alcuni casi, da servizi prestati da terzi: operatori di telecomunicazioni e gestori delle piattaforme elettroniche;

tra gli svantaggi potenziali della fatturazione elettronica possiamo segnalare il fatto che la sua generalizzazione può tradursi in un aumento dei problemi di accesso per le persone con disabilità, a meno che non si tenga conto delle loro particolari esigenze, garantendo l'accesso universale, le pari opportunità e la non discriminazione delle persone con disabilità.

Bruxelles, 16 ottobre 2013.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2010) 712 final.

(2)  GU C 318, del 29.10.2011, pag. 105.

(3)  GU C 318, del 29.10.2011, pag. 105.

(4)  Appalti elettronici. (Cfr. pagina 96della presente Gazzetta ufficiale).

(5)  Grant Agreement number: 224974.

(6)  GU C 318, del 29.10.2011, pag. 105.

(7)  SEC(2010) 1214 final.

(8)  COM(2010) 571 final.

(9)  Per modello di dati semantici si intende una serie strutturata e logicamente intercorrelata di termini e significati che specificano il contenuto scambiato nelle fatture elettroniche.

(10)  Per "fattura elettronica di base" si intende una sottoserie di informazioni contenute in una fattura elettronica che sono essenziali per realizzare l’interoperabilità transfrontaliera; sono comprese le informazioni necessarie per garantire la conformità giuridica.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/83


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinate norme che regolamentano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi della legislazione nazionale a seguito della violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea

COM(2013) 404 final — 2013/0185 (COD)

e alla Comunicazione della Commissione relativa alla quantificazione del danno nelle azioni di risarcimento fondate sulla violazione dell’articolo 101 o 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea C(2013) 3440

2014/C 67/16

Relatrice: MADER

Il Parlamento europeo, in data 1o luglio 2013, e il Consiglio, in data 8 luglio 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinate norme che regolamentano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi della legislazione nazionale a seguito della violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea

COM(2013) 404 final — 2013/0185 (COD).

La Commissione europea, in data 8 maggio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione relativa alla quantificazione del danno nelle azioni di risarcimento fondate sulla violazione dell'articolo 101 o 102 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea

C(2013) 3440

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Conclusioni generali

1.1.1

L'assenza di norme nazionali che disciplinino in maniera adeguata le azioni per il risarcimento del danno, o, all'inverso, la disparità tra le legislazioni nazionali in materia, pongono chi ha subito un danno, così come gli autori di infrazioni al diritto della concorrenza, in condizione di disuguaglianza.

1.1.2

Questa situazione può inoltre tradursi in un vantaggio concorrenziale per le imprese che hanno violato gli articoli 101 o 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), ma che non sono stabilite o non operano in uno Stato membro con una legislazione favorevole.

1.1.3

Tali differenze nei regimi di responsabilità pregiudicano la concorrenza e ostacolano il corretto funzionamento del mercato interno.

1.1.4

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) apprezza che la Commissione proponga di facilitare l'accesso alla giustizia e di permettere ai soggetti che hanno subito un danno di ottenere risarcimento.

1.1.5

Il CESE ritiene tuttavia che la proposta di direttiva tuteli eccessivamente gli interessi delle imprese che beneficiano di programmi di trattamento favorevole, a scapito dei soggetti danneggiati. Talune delle disposizioni in essa contenute ostacolano le azioni di questi ultimi, in quanto si basano sull'idea che chi chiede di partecipare a un programma di trattamento favorevole debba essere fortemente protetto contro le azioni di risarcimento.

1.1.6

Infine, occorre ravvicinare la proposta di direttiva in esame alla raccomandazione della Commissione relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri che riguardano violazioni di diritti conferiti dalle norme dell’Unione (1), in quanto entrambi i testi prevedono che tutti gli Stati membri dispongano, in particolare per le azioni di natura risarcitoria, di meccanismi nazionali di ricorso collettivo.

1.2   Raccomandazioni in merito alla proposta di direttiva

1.2.1

Il CESE accoglie con favore la proposta di direttiva relativa alle azioni di risarcimento nel campo della concorrenza.

1.2.2

Esso ritiene che l'accesso alle prove sia una questione essenziale per l'esercizio del diritto di ricorso e giudica positivamente le disposizioni proposte dalla Commissione per permettere, sotto un controllo giurisdizionale, un accesso proporzionato alle informazioni pertinenti e necessarie per l'azione.

1.2.3

Al pari della Commissione, sostiene i programmi di trattamento favorevole, che consentono di identificare numerose infrazioni, e reputa che non si debbano dissuadere le imprese dal cooperare; al tempo stesso però, questi programmi non devono proteggere le imprese oltre lo stretto necessario. In particolare, non devono dispensare dal pagamento dei danni a chi li ha subiti.

1.2.4

Il CESE sostiene la disposizione intesa a garantire che una decisione adottata da un'autorità nazionale garante della concorrenza o un'istanza di ricorso diventata definitiva non possa essere rimessa in discussione dall'autorità giudiziaria competente a trattare la richiesta di azione risarcitoria.

1.2.5

Allo stesso modo, il CESE condivide le proposte della Commissione riguardo al punto di partenza della prescrizione, che seguono le raccomandazioni da esso stesso formulate nel suo parere sul Libro bianco, e sostiene le disposizioni relative alla sospensione dei termini in caso di consultazione di un'autorità nazionale garante della concorrenza.

1.2.6

Il CESE prende atto del principio di responsabilità in solido e delle modalità previste in caso di applicazione di programmi di trattamento favorevole. Nutre tuttavia qualche riserva sulla loro applicazione pratica, soprattutto alla luce della difficoltà di stabilire il grado di responsabilità di ciascuna impresa.

1.2.7

Il CESE ritiene indispensabile evitare situazioni che possano comportare un arricchimento senza causa. Accoglie quindi con favore le disposizioni relative al trasferimento del sovrapprezzo, le quali consentono di garantire che la compensazione sia versata alla persona che ha effettivamente subito un danno, e di migliorare in modo significativo le possibilità dei consumatori e delle piccole imprese di ottenere risarcimento per il danno subito.

1.2.8

Il CESE condivide l'analisi della Commissione sui potenziali vantaggi delle transazioni extragiudiziali, a condizione tuttavia che queste siano di qualità, indipendenti e comunque facoltative. Ritiene peraltro che i meccanismi alternativi di composizione delle controversie possano costituire una soluzione credibile per chi ha subito un danno soltanto se esistono meccanismi di ricorso giudiziale efficaci, nella fattispecie l'azione collettiva.

1.2.9

Occorre ravvicinare la proposta di direttiva in esame alla raccomandazione sui ricorsi collettivi, in quanto entrambi i testi prevedono che gli Stati membri dispongano, in particolare per le azioni di natura risarcitoria, di meccanismi nazionali di ricorso collettivo.

In proposito, il CESE deplora il fatto che l'introduzione di un'azione collettiva in materia di concorrenza, che avrebbe dovuto essere il dispositivo effettivo per i consumatori, sia stata stralciata e demandata a una raccomandazione che incoraggia gli Stati membri a dotarsi di meccanismi di ricorso collettivo, la quale non ha carattere vincolante.

1.3   Raccomandazioni in merito alla comunicazione

1.3.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione relativa alla quantificazione del danno subito dai soggetti danneggiati da infrazioni al diritto della concorrenza.

1.3.2

Ritiene che il diritto ad essere risarciti pienamente per il pregiudizio subito a causa di una violazione delle norme sulla concorrenza sia un diritto fondamentale e che l'azione risarcitoria costituisca un utile completamento dell'azione condotta dai poteri pubblici e dalle autorità nazionali garanti della concorrenza.

1.3.3

Infine, il CESE condivide l'analisi della Commissione sulla difficoltà di valutare il danno. Esso ritiene che gli orientamenti contenuti nella "guida pratica" acclusa alla comunicazione debbano apportare un utile ausilio ai tribunali e alle parti. preservando al tempo stesso l'indipendenza del giudice nazionale per quanto riguarda le norme nazionali vigenti.

2.   Proposte della Commissione

2.1   La proposta di direttiva

2.1.1

Al termine di un processo di consultazione molto ampio (2), l'11 giugno 2013 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinate norme che regolamentano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi della legislazione nazionale, a seguito della violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea.

2.1.2

L'obiettivo della Commissione è quello di garantire la piena efficacia degli articoli 101 e 102 e delle norme nazionali sulla concorrenza consentendo a chiunque, compresi consumatori e imprese o autorità pubbliche, di chiedere il risarcimento del danno subito a causa della violazione delle norme antitrust, a prescindere dalla natura del danno.

2.1.3

La Commissione osserva che per l'attuazione delle regole di concorrenza è necessaria l'azione combinata e complementare dei poteri pubblici e della sfera privata.

2.1.4

Essa sottolinea che attualmente sussistono numerosi ostacoli e un certo grado di insicurezza giuridica, dovuta in particolare alla divergenza tra le regole dei diversi Stati membri, che pregiudica l'efficacia del diritto e il buon funzionamento del mercato.

2.1.5

Per rimediare alle disparità tra gli Stati membri in fatto di tutela giurisdizionale dei diritti individuali garantiti dal Trattato e all'assenza, in taluni paesi, di un quadro efficace per il risarcimento dei soggetti danneggiati da violazioni degli articoli 101 e 102, la Commissione propone di fissare norme comuni intese a:

migliorare l'accesso alle prove nel rispetto della proporzionalità, tenendo conto delle specificità legate ai programmi di trattamento favorevole e alle transazioni, di cui sottolinea l'importanza;

fare in modo che le decisioni delle autorità nazionali garanti della concorrenza che constatano un'infrazione costituiscano automaticamente delle prove dell'esistenza di infrazione per i giudici degli Stati membri;

stabilire delle norme in materia di prescrizione, onde evitare che i termini scadano senza che i soggetti che hanno subito il danno abbiano avuto la possibilità di difendere il proprio diritto;

sancire il principio della solidarietà tra imprese pur mantenendo regole più vantaggiose in caso di trattamento favorevole, onde mantenere gli effetti positivi della cooperazione;

fissare delle regole per la presa in considerazione del trasferimento del sovrapprezzo;

stabilire una presunzione semplice di pregiudizio nel caso dei cartelli;

incoraggiare il ricorso a meccanismi consensuali di composizione delle controversie prevedendo la sospensione dei termini di prescrizione per la durata del procedimento.

2.2   La comunicazione

2.2.1

Nel testo si constata che gli articoli 101 e 102 del TFUE costituiscono disposizioni di ordine pubblico volte a garantire che la concorrenza non sia falsata nell'ambito del mercato interno, introducendo così diritti e obblighi per le imprese e i consumatori, protetti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

2.2.2

Successivamente la comunicazione si concentra sulla difficoltà di quantificare il danno nelle questioni di concorrenza, e sul fatto che questa responsabilità è devoluta alle giurisdizioni nazionali, che possono tuttavia fare riferimento a una guida pratica elaborata dai servizi della Commissione.

2.2.3

Per completare la proposta di direttiva, la Commissione inserisce nella comunicazione una guida pratica per la quantificazione del danno.

2.2.4

Tale guida, che ha carattere puramente informativo e non è vincolante per i giudici degli Stati membri e per le parti, è intesa a mettere a disposizione delle giurisdizioni nazionali e delle parti informazioni sui metodi e sulle tecniche utilizzabili per quantificare il pregiudizio.

3.   Osservazioni generali sulla proposta di direttiva

3.1

Nel suo parere sul Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, il CESE aveva sottolineato la necessità di adottare misure per migliorare le condizioni giuridiche per l'esercizio del diritto dei danneggiati di chiedere il risarcimento del danno subito a seguito della violazione delle norme antitrust. Accoglie quindi con favore la proposta in questione, che contribuirà a rimuovere gli ostacoli osservati.

3.2

Esso ritiene che l'azione di risarcimento debba completare l'azione dei poteri pubblici e delle autorità nazionali della concorrenza, e che avrà un effetto benefico in quanto agirà da deterrente.

3.3

Il CESE ritiene che l'azione per il risarcimento di un danno sia un diritto fondamentale per quanti subiscono danni di questo tipo, che possono essere consumatori e/o imprese, e deve portare al pieno risarcimento del pregiudizio subito a causa di pratiche anticoncorrenziali.

3.4

In effetti, il diritto di chiedere il risarcimento di un pregiudizio subito è stato affermato a più riprese sin dal 2001, e la Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito che chiunque deve poter chiedere il risarcimento di tali danni (3). L'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali riconosce inoltre il diritto a un ricorso effettivo in caso di violazione dei diritti garantiti dalla legislazione dell'Unione.

3.5

Il CESE, al pari della Commissione, ritiene che i programmi di trattamento favorevole contribuiscano all'identificazione di numerose infrazioni, e reputa che non si debbano dissuadere le imprese dal cooperare. È però dell'avviso che questi programmi non debbano proteggere le imprese in modo assoluto né ostacolare l'esercizio, da parte di chi ha subito la violazione, del proprio diritto a ottenere un risarcimento.

3.6

Il CESE prende nota del fatto che la proposta di direttiva è completata da una raccomandazione che incoraggia gli Stati membri a dotarsi di meccanismi di ricorso collettivo che garantiscano ai loro cittadini un accesso effettivo alla giustizia. Il CESE deplora che la proposta non tratti l'aspetto della creazione di un procedimento d'azione collettiva, unico meccanismo in grado di garantire la piena effettività dei ricorsi, e che l'accesso a un ricorso collettivo venga demandato a una raccomandazione, che non ha valore vincolante. Il CESE invita la Commissione a legiferare sull'argomento.

3.7

Infine, il CESE condivide l'analisi della Commissione sulla difficoltà di valutare il danno. Esso ritiene che gli orientamenti contenuti nella guida pratica apporteranno un utile ausilio ai tribunali e alle parti, lasciando al tempo stesso una certa libertà di apprezzamento alla luce delle norme nazionali esistenti.

4.   Osservazioni particolari sulla proposta di direttiva

4.1   Accesso alle prove

4.1.1

Il CESE ritiene che l'accesso alle prove sia un aspetto fondamentale per consentire l'istruzione dei fascicoli.

4.1.2

Allo stesso modo, reputa necessario prevedere un accesso alle prove che consenta ai soggetti danneggiati di ottenere le informazioni pertinenti di cui hanno bisogno per intentare l'azione di risarcimento danni.

4.1.3

È tuttavia del parere che tale accesso debba rimanere sotto il controllo delle giurisdizioni e che la divulgazione debba essere proporzionata, in modo da preservare i diritti delle parti.

4.1.4

Sul modello della direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (4), la proposta in esame stabilisce le norme generali per la divulgazione delle prove garantendo che in tutti gli Stati membri vi sia un livello minimo di accesso effettivo agli elementi di prova necessari agli attori e/o ai convenuti per dimostrare la fondatezza della loro richiesta di risarcimento danni e/o come mezzo di difesa.

4.1.5

Queste norme generali contribuiscono a diminuire l'incertezza giuridica creata dalla sentenza Pfeiderer (5), la quale aveva stabilito che, in assenza di una legislazione europea in materia di accesso alle informazioni ottenute da un'autorità nazionale nel quadro di un programma di trattamento favorevole, spetta al giudice dello Stato membro determinare caso per caso e in conformità al diritto nazionale le condizioni in base alle quali la divulgazione di documenti legati ai programmi di trattamento favorevole a soggetti danneggiati da infrazioni al diritto della concorrenza debba essere autorizzata o rifiutata.

4.1.6

Infine, l'articolo 6 della proposta di direttiva prevede una protezione assoluta per le dichiarazioni ufficiali di imprese legate a una richiesta di trattamento favorevole e per le proposte di transazione.

4.1.7

Prevede inoltre una protezione temporanea, fino alla chiusura del procedimento, dei documenti preparati dalle parti specificamente ai fini dell'applicazione del diritto da parte della sfera pubblica (risposte a una richiesta di informazioni dell'autorità garante della concorrenza, comunicazione degli addebiti).

4.1.8

Il CESE approva il fatto che il mancato rispetto o rifiuto di rispettare l’ordine di divulgazione di un giudice e la distruzione di prove siano sanzionati in modo efficace, proporzionato e dissuasivo.

4.1.9

La fattispecie riguarda più precisamente le imprese che sono state parte di un procedimento avviato da un'autorità garante della concorrenza in merito ai fatti alla base dell'azione per il risarcimento del danno (elemento oggettivo) e/o che sapevano, o avrebbero dovuto ragionevolmente sapere, che il giudice nazionale era o sarebbe stato adito.

4.2   Effetto delle decisioni nazionali: il CESE sostiene la disposizione intesa a garantire che una decisione adottata da un'autorità nazionale garante della concorrenza o un'istanza di ricorso diventata definitiva non possa essere rimessa in discussione dall'autorità giudiziaria competente a trattare la richiesta di azione risarcitoria.

4.3   Termini di prescrizione

4.3.1

Il CESE ritiene imperativo fissare regole per quanto riguarda il calcolo dei termini di prescrizione al fine di salvaguardare i diritti dei soggetti danneggiati.

4.3.2

Il CESE condivide le proposte della Commissione sul punto di partenza della prescrizione, che seguono le raccomandazioni da esso stesso formulate nel suo parere sul Libro bianco, e sostiene le disposizioni relative alla sospensione dei termini in caso di apertura di un procedimento presso un'autorità nazionale garante della concorrenza. Tali disposizioni garantiscono infatti alle vittime un diritto di ricorso effettivo. Il CESE è tuttavia dell'avviso che il termine della sospensione potrebbe essere portato a 2 anni dalla data in cui la decisione relativa a un'infrazione è divenuta definitiva.

4.4   Responsabilità

4.4.1

Il CESE prende atto del principio di solidarietà, che non può essere contestato.

4.4.2

Nutre riserve sulle modalità previste nell'ipotesi in cui una delle imprese abbia partecipato a un programma di trattamento favorevole, e in particolare per quanto riguarda la difficoltà di dimostrare, stabilire la responsabilità di ciascuna di esse e di valutare il loro contributo alla luce delle loro capacità finanziarie.

4.5   Trasferimento del sovrapprezzo

4.5.1

Il CESE apprezza che nella proposta di direttiva siano previste disposizioni per il trasferimento del sovrapprezzo causato dalle pratiche fraudolente, in quanto ritiene indispensabile evitare situazioni che possano comportare un arricchimento senza causa.

4.5.2

Il CESE reputa che la presunzione di cui all'articolo 13, relativo agli acquirenti indiretti, sia un mezzo importante per garantire che la compensazione sia versata alla persona che ha effettivamente subito un danno, e che essa migliori in modo significativo le possibilità dei consumatori e delle piccole imprese di ottenere risarcimento per il danno subito.

4.5.3

Il CESE sostiene il principio del pieno risarcimento del danno così come definito all'articolo 2 e ribadito all'articolo 14.

4.6   Quantificazione del danno

4.6.1

Il CESE sostiene il principio di presunzione di danno in caso di formazione di cartelli nella misura in cui tale presunzione rimuove un ostacolo alle azioni risarcitorie, preservando al tempo stesso i diritti dell'impresa autrice dell'infrazione.

4.6.2

Il CESE ritiene che la semplificazione dei mezzi di prova debba essere sufficiente in modo tale da non costituire un freno alle azioni di risarcimento danni, essendo sempre difficile determinare la prova in materia di concorrenza.

4.6.3

Il CESE ritiene positiva la disponibilità di una guida pratica come quella inserita nella comunicazione, in quanto essa apporta soprattutto alle parti una certa sicurezza in materia di quantificazione dei danni.

4.7   Composizione consensuale delle controversie

4.7.1

Il CESE prende atto dell'analisi della Commissione sui potenziali vantaggi delle transazioni consensuali, che consentono di pervenire a una soluzione equa a un costo minimo, e approva le disposizioni proposte in materia di sospensione dei termini di prescrizione e gli effetti delle transazioni consensuali sulle azioni giudiziarie, che incoraggeranno il ricorso a questi sistemi.

4.7.2

Ricorda tuttavia che il suo sostegno a questi meccanismi è subordinato al fatto che siano di qualità, indipendenti e comunque facoltativi, in modo da non limitare in alcun caso il ricorso ai mezzi giudiziari.

4.7.3

Inoltre, come ha già sottolineato nel suo parere sul Libro bianco, ritiene che i meccanismi alternativi di composizione delle controversie possano costituire una soluzione credibile per le vittime soltanto se esistono meccanismi di ricorso giudiziale efficaci, nella fattispecie l'azione collettiva.

4.8   Valutazione: il Comitato sostiene la politica di valutazione seguita dalla Commissione così da poter trarre insegnamenti dall'esperienza e, se del caso, adottare le misure necessarie.

5.   Osservazioni sulla comunicazione

5.1

La persona che subisce un danno in seguito a violazione del diritto della concorrenza e che chiede un risarcimento del danno subito può incontrare numerosi ostacoli, dovuti alla disparità delle regole e delle procedure nazionali relative alla quantificazione del danno.

5.2

Il diritto a un ricorso effettivo non deve essere intralciato da ostacoli sproporzionati, che vadano ad aggiungersi alla difficoltà intrinseca di quantificare il danno nelle cause relative alla concorrenza. È infatti impossibile stabilire con esattezza quali sarebbero state le condizioni e il comportamento degli attori del mercato se l'infrazione non fosse stata commessa. Si può soltanto tracciare uno scenario possibile.

5.3

Il CESE ritiene inoltre che la guida pratica possa essere un utile strumento per i giudici nazionali, in quanto, essendo di carattere puramente informativo e giuridicamente non vincolante, essa rispetta la loro indipendenza.

5.4

In ogni caso, sarà il diritto applicabile a stabilire il metodo di quantificazione del danno alla luce delle specifiche circostanze del caso.

5.5

Il giudice adito dovrà inoltre prendere in considerazione i dati disponibili e le risorse di cui dispone in termini di costi e tempi, e valutarne la proporzionalità rispetto al valore della richiesta di risarcimento presentata dal soggetto che ha subito il danno.

Bruxelles, 16 ottobre 2013.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU L 201 del 26.7.2013, pag. 60.

(2)  Consultazione sul Libro verde del 2005 e sul Libro bianco del 2008.

(3)  Causa C-453/99 (Courage e Crehan) e cause riunite C-295-298/04 (Manfredi, Cannito, Tricarico e Murgolo).

(4)  GU L 195 del 2.6.2004, pag. 16.

(5)  Causa C-360/09.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma Copernicus e abroga il regolamento (UE) n. 911/2010

COM(2013) 312 final — 2013/0164 (COD)

2014/C 67/17

Relatore: IOZIA

Il Parlamento europeo, in data 1o luglio 2013, e il Consiglio, in data 6 settembre 2013 hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma Copernicus e abroga il regolamento (UE) n. 911/2010

COM(2013) 312 final — 2013/0164 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con soddisfazione la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma Copernicus e abroga il regolamento (UE) n. 911/2010, forse giunta con un anno di ritardo rispetto alla tabella di marcia ottimale relativa al programma definito nel 2011.

1.2

Il CESE si compiace soprattutto che la sua ferma posizione a favore di un inserimento nel quadro finanziario pluriennale del finanziamento del programma GMES, ora ribattezzato Copernicus, sia stata accolta dagli Stati membri e dal Parlamento europeo, consentendo al programma di potersi effettivamente realizzare, pur dovendo registrare una riduzione di ben 2 miliardi di euro dalle previsioni iniziali. Una riduzione che potrebbe mettere a rischio l'intero programma. La Commissione ha dato dimostrazione di flessibilità nel cambiare così radicalmente il proprio convincimento.

1.3

Il CESE ribadisce il forte e convinto sostegno ai programmi spaziali dell'Unione europea Galileo e Copernicus, programmi faro inseriti nel progetto Orizzonte 2020, che qualificano le capacità d'innovazione e lo sviluppo della tecnologia, consentono di mantenere il primato dell'industria spaziale europea rispetto ai competitor internazionali e contribuiscono a creare un ambiente favorevole allo sviluppo di una occupazione di qualità, legata alla conoscenza e alla ricerca.

1.4

Il CESE raccomanda alla Commissione, a pochi mesi dal lancio del primo satellite della costellazione Sentinel, di definire con chiarezza la governance del programma Copernicus, che, allo stato, appare poco comprensibile. A parere del CESE i due attori primari delle politiche spaziali europee, l'ESA ed Eumetsat, devono essere chiaramente associati al processo di gestione dei programmi spaziali e meteorologici e alla gestione complessiva del programma. Ciò non si evince chiaramente nei considerando della Commissione. L'articolo 12, paragrafi 4 e 5, della proposta di regolamento dovrà essere modificato passando da una formula dubitativa ("potrà delegare") ad una assertiva ("delegherà").

1.5

Il CESE esprime le sue perplessità, come già fatto in moltissime precedenti occasioni, sul ricorso ad atti delegati che non rispecchino alla lettera le disposizioni del TFUE circa la facoltà di esercitare la delega per un periodo limitato e per attività non essenziali. Tali atti delegati dovranno essere circostanziati in modo da fornire un quadro di riferimento chiaro a tutti gli interessati.

1.6

Il CESE raccomanda di dettagliare le regole di appalto che definiranno le condizioni di partecipazione delle imprese alle attività previste dal programma Copernicus. Tali regole dovranno tenere in debito conto le esigenze delle piccole e medie imprese, in base agli impegni assunti con l'atto delle piccole imprese (SBA) e con le previsioni di sviluppo del mercato interno assunte con l'Atto del mercato unico (SMA). Sarà estremamente importante avere un quadro normativo chiaro e stabile circa gli investimenti privati.

1.7

Il CESE condivide la valutazione del potenziale economico che il programma Copernicus può sviluppare e la sua coerenza con gli obiettivi del progetto Europa 2020, auspicando una rapida approvazione del regolamento in esame, per poter avviare a partire dal gennaio 2014 le attività previste dal quadro finanziario pluriennale. Auspica un significativo rafforzamento delle attività di sostegno al downstreaming del programma Copernicus, attualmente ben definito negli obiettivi, ma non chiaro negli strumenti che dovrebbero essere inseriti nel regolamento, affidando specifiche responsabilità alla Commissione.

1.8

Il CESE considera fondamentale, per coinvolgere il maggior numero di imprese, offrire una piattaforma che consenta effettivamente di sviluppare investimenti, occupazione e sviluppo. A questo proposito, ritiene indispensabile che i dati messi a disposizione siano liberi e gratuiti per tutti gli operatori europei e sostiene con convinzione la necessità di aprire negoziati con i paesi terzi per definire un regime di reciprocità assoluta con le industrie di quei paesi che dispongono di dati. In mancanza di questi accordi il CESE ritiene opportuno prevedere per le industrie di quei paesi un regime di licenze, che limiti all'essenziale l'accesso ai dati del programma Copernicus. Il regime di libero accesso dovrebbe essere garantito a tutti i paesi in via di sviluppo e ovunque in situazioni di emergenza.

1.9

Il CESE condivide l'idea, visto l'impegno finanziario consistente e la sensibilità dei dati, che l'Unione europea diventi proprietaria del sistema. Rileva che la proposta di regolamento non specifica modalità, costi e responsabilità future nella gestione di tale proprietà e nel trasferimento della stessa. Auspica maggiore chiarezza su questo punto.

1.10

Il CESE raccomanda vivamente a tutte le istituzioni europee, e in particolare al Parlamento europeo, che ha ancora poche sessioni utili prima dello scioglimento per le prossime elezioni, di approvare rapidamente il regolamento assumendo i miglioramenti suggeriti per consentire la prosecuzione del programma Copernicus. Il rischio che il programma possa essere definanziato è reale e concreto in caso di non approvazione in tempo utile.

2.   Introduzione

2.1

Il regolamento in esame istituisce il quadro giuridico appropriato alla governance e al finanziamento del programma europeo di osservazione della Terra GMES (monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza) nella sua nuova fase operativa, dal 2014 in poi. Per fare questo, abroga il regolamento (UE) n. 911/2010, che ha istituito il programma e che è in vigore fino al termine del 2013.

2.2

Il programma GMES viene anche ufficialmente, tramite questo regolamento, rinominato Copernicus.

2.3

Visto il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in particolare l'articolo 189, la proposta di nuovo regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, riguarda i seguenti punti:

1)

modifica del nome in Copernicus;

2)

governance della fase operativa del GMES, con la possibilità per la Commissione di delegare attività a determinati operatori;

3)

finanziamento per il periodo 2014-2020.

2.4

Come riassunto nella comunicazione, "il programma Copernicus si articola in sei servizi: monitoraggio dei mari, dell'atmosfera, del territorio e dei cambiamenti climatici nonché supporto ai servizi di emergenza e di sicurezza. Copernicus utilizza i dati dei satelliti e dei sensori in situ quali boe, palloni o sensori aerei per fornire in modo tempestivo e affidabile informazioni e previsioni a sostegno, ad esempio, dell'agricoltura e della pesca, dell'utilizzo del suolo e della pianificazione urbana, della lotta agli incendi boschivi, della risposta alle catastrofi, del trasporto marittimo o del monitoraggio dell'inquinamento atmosferico. Copernicus inoltre contribuisce alla stabilità e alla crescita economiche promuovendo le applicazioni commerciali (i cosiddetti servizi a valle) in molti settori mediante un accesso pieno e aperto ai dati e grazie ai prodotti informatici. Si tratta inoltre di uno dei programmi da realizzare nell'ambito della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e, dati i vantaggi che comporta per molte delle politiche dell'Unione, è stato incluso nell'iniziativa 'politica industriale' della strategia Europa 2020".

2.5

La struttura spaziale è stata finanziata fino ad oggi per una cifra attorno ai 3,2 miliardi di euro, in maggior parte tramite l'ESA (oltre il 60 %), e con fondi UE (circa il 30 %), tramite il Settimo programma quadro (FP7).

2.6

Il finanziamento della fase operativa, che prevede sia lo sfruttamento dei dati che il rinnovo dell'infrastruttura spaziale, non può essere assunto dai singoli Stati membri a causa dei costi da sostenere. L'UE assume dunque, tramite questo regolamento, la responsabilità della fase operativa di Copernicus/GMES e l'onere del suo finanziamento per 3 786 milioni di EUR (ai prezzi 2011).

2.7

Nella comunicazione Un bilancio per la strategia 2020 [COM(2011) 500 final del 29 giugno 2011], la Commissione proponeva di escludere il finanziamento del GMES dal quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo 2014-2020.

2.8

Il CESE espresse la sua netta contrarietà a tale proposta della Commissione, di relegare cioè all'esterno, in un fondo ad hoc, i finanziamenti necessari allo sviluppo e al completamento del programma GMES (1).

2.9

Quella prima proposta di finanziamento esterno fu dunque respinta dal Parlamento, con la risoluzione P7_TA(2012)0062 del 16 febbraio 2012. Nelle conclusioni del Consiglio europeo del 7-8 febbraio 2013 sul QFP si prevede di finanziare il programma a titolo della sottorubrica 1a con un livello massimo di impegni di 3 786 milioni di EUR (ai prezzi 2011), da stabilirsi nel regolamento QFP.

2.10

Anche le agenzie spaziali nazionali si sono dotate di propri sistemi di osservazione della Terra. La Commissione nota nella sua comunicazione che esse non hanno potuto, tuttavia, trovare un modo per cooperare in termini di finanziamento dei programmi operativi duraturi nel settore del monitoraggio ambientale. La necessità di proseguire tali osservazioni è cruciale, in considerazione sia della crescente pressione politica esercitata sulle autorità pubbliche affinché adottino decisioni informate nei settori dell'ambiente, della sicurezza e dei cambiamenti climatici sia della necessità di rispettare gli accordi internazionali.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

La struttura spaziale di Copernicus/GMES è stata sviluppata, dal 2005 ad oggi, dall'ESA, con finanziamenti autonomi per quasi 2 miliardi di euro, e appoggiata dai fondi UE del tema "Spazio" del Settimo programma quadro e dai fondi per l'operatività iniziale per un altro miliardo di euro circa, per un totale di 3, 2 miliardi di euro spesi ad oggi e pianificati fino alla fine del 2013.

3.2

Nel considerando (17) si osserva che, data la dimensione del programma, occorre delegare l'attuazione dello stesso a organismi dotati dell'opportuna capacità tecnica e professionale, alcuni dei quali vengono menzionati nel considerando successivo (18). È necessario dunque che per il successo della fase operativa, si tenga conto, negli accordi di governance sottesi da questo regolamento, delle effettive capacità presenti in Europa nel settore dei satelliti e dello sfruttamento dei relativi dati. Il considerando (18) manca di nominare i due attori principali dotati di capacità progettuale, operativa e gestionale in materia di satelliti in Europa, ossia l'ESA ed Eumetsat.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Nel settore spaziale, alcuni Stati europei sono riuniti in due grandi organizzazioni, l'ESA e Eumetsat. L'ESA, cha ha un budget di oltre 4 miliardi di euro l'anno e uno staff di circa 2 250 persone (2011), ha sviluppato e gestito una serie importante di satelliti ambientali (ERS, Envisat, Cryosat, SMOS, GOCE, SWARM), e ha sviluppato i satelliti meteorologici europei Meteosast, Meteosat Second Generation e Met-OP. L'ESA archivia e distribuisce anche i dati di una lunga serie di missioni di altri partner (third party missions). Eumetsat, l'organizzazione europea per lo sfruttamento dei satelliti meteorologici, con un budget annuo di circa 300 milioni di euro e uno staff di 280 persone (2011), specificamente elabora e distribuisce i dati meteorologici.

4.2

Accanto a queste due grandi organizzazioni, vi sono altre agenzie dell'Unione europea che sono coinvolte nella politica spaziale europea, come indicato nella tabella (2).

Agenzia

Principali attività

Bilancio e organico (2007)

Agenzia del GNSS europeo (GSA)

Gestione dei programmi europei di navigazione satellitare (es. Galileo)

5,4 milioni (2009) – 50 persone.

Centro satellitare dell'Unione europea (CSUE)

Supporto all'UE nell'analisi delle immagini satellitari

16 milioni (2011) – 100 persone

Agenzia europea dell'ambiente (AEA)

Integrazione delle questioni ambientali nelle politiche economiche

41 milioni (2012) – 220 persone

Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA)

Assistenza tecnica e scientifica nell'elaborazione della legislazione UE sulla sicurezza e l'inquinamento marittimi

54 milioni (2010) – 200 persone

FRONTEX

Coordinamento operativo degli Stati membri per la sicurezza delle frontiere

22 milioni (+13 di riserva) – 170 persone

Agenzia europea per la difesa (AED)

Cooperazione in materia di capacità di difesa e armamenti

31 milioni (2010) – 100 persone

Consiglio europeo della ricerca (CER)

Parte dell'FP7. Supporto alla ricerca scientifica e all'eccellenza in Europa

32 milioni (2009) – 220 persone

Agenzia esecutiva per la ricerca (REA)

Valutazione e gestione di molti programmi FP7

31 milioni (2009) – 349 persone

4.3

I numeri espressi sopra riassumono le capacità operative in campo satellitare esistenti nelle agenzie dell'Unione europea, all'ESA e ad Eumetsat. In relazione alle esigenze del programma, la Commissione dovrebbe tenere conto di tutte le risorse e professionalità disponibili.

4.4

Nel considerando (18) non vengono espressamente identificate l'ESA ed Eumetsat tra gli attori che implementeranno Copernicus. Si ritiene necessario inserirle, in vista del successivo articolo 11.

4.5

L'articolo 12, paragrafi 4 e 5, della proposta di regolamento dovrà essere modificato passando da una formula dubitativa ("potrà delegare") ad una assertiva ("delegherà").

4.6

La Commissione nell'articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 4, lettera b), individua gli obiettivi della crescita economica e dell'occupazione tra i principali obiettivi del programma Copernicus.

4.7

Il CESE condivide questo, ma richiede che siano previste specifiche e congrue iniziative perché ciò accada. In particolare, per le misure concrete da intraprendere (downstreaming) che determinino il valore aggiunto per le attività produttive. Azioni di diffusione, di incoraggiamento allo sviluppo di possibili applicazioni dei dati forniti dal sistema, di diffusione della conoscenza del potenziale di Copernicus, sono atti essenziali che dovrebbero essere inseriti nel regolamento, con un esplicito riferimento alle attività che si dovranno intraprendere per conseguire gli obiettivi richiamati.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 299 del 14.10.2012, pag. 72.

(2)  Fonte: PACT-European Affairs.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/92


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle tariffe pagabili all’Agenzia europea per i medicinali per lo svolgimento delle attività di farmacovigilanza relative ai medicinali per uso umano

COM(2013) 472 final — 2013/0222 (COD)

2014/C 67/18

Relatrice: HEINISCH

Il Consiglio dell'Unione europea in data 12 luglio 2013, e il Parlamento europeo, in data 1o luglio 2013, hanno deciso, conformemente agli articoli 114 e 168 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle tariffe pagabili all'Agenzia europea per i medicinali per lo svolgimento delle attività di farmacovigilanza relative ai medicinali per uso umano

COM(2013) 472 final — 2013/0222 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta in esame, che contribuisce in misura rilevante ad accrescere ulteriormente la sicurezza dei farmaci e la trasparenza dei relativi processi di valutazione. Il Comitato apprezza in particolar modo i miglioramenti apportati dalla proposta in oggetto rispetto alla prima formulata dalla Commissione, e tra questi anche e soprattutto le disposizioni specifiche per le piccole e medie imprese (PMI).

1.2

Esso accoglie con favore il principio secondo cui il titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio non deve pagare due volte per la stessa attività di farmacovigilanza, e chiede quindi alla Commissione di assicurarsi che, contestualmente all'introduzione delle nuove tariffe, siano abrogate le tariffe nazionali previste per la medesima attività.

1.3

Il CESE accoglie inoltre con favore le proposte della Commissione concernenti le tariffe relative alle valutazioni dei rapporti periodici di aggiornamento sulla sicurezza (PSUR) e degli studi sulla sicurezza dei medicinali dopo l'autorizzazione (PASS). Tuttavia, esso chiede alla Commissione di prevedere ulteriori riduzioni tariffarie riguardo ai farmaci il cui profilo di sicurezza è ben noto.

1.4

Il CESE è dell'avviso che il compito di espletare procedure di valutazione su scala europea sulla base dei dati di farmacovigilanza (referrals) spetti alla pubblica autorità, e che i relativi costi non debbano essere coperti esclusivamente con le tariffe pagate dai titolari di autorizzazioni all'immissione in commercio. L'esecuzione di tali procedure di valutazione rappresenta un compito importante delle autorità competenti a livello sia nazionale che europeo, e, ad avviso del Comitato, dovrebbe essere finanziata con risorse dell'Unione europea, anche a garanzia dell'indipendenza della valutazione.

1.5

Il CESE accoglie con favore la proposta di attribuire all'EMA una tariffa forfettaria annua per le attività di farmacovigilanza svolte nei confronti dei titolari di autorizzazioni all'immissione in commercio. Tuttavia, esso constata anche che ad oggi le suddette attività di farmacovigilanza non sono ancora state rese disponibili, o sono disponibili soltanto in misura limitata. Il Comitato propone pertanto che l'imposizione della tariffa forfettaria in questione venga sospesa fino a quando non verranno rese disponibili le prestazioni summenzionate.

1.6

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione di ripartire il più equamente possibile gli obblighi tariffari su tutti i titolari di autorizzazioni all'immissione in commercio interessati. Il CESE invita infine la Commissione a ripensare l'impostazione imperniata sulla nozione di "unità imponibile" da essa proposta.

2.   Introduzione

2.1

Il mantenimento o il recupero di una "buona salute" rappresenta per la maggior parte dei cittadini un bene prezioso, e per alcuni di loro addirittura il più importante.

2.2

E i farmaci rivestono, insieme ai consigli e ai trattamenti forniti dai professionisti sanitari, un'importanza cruciale ai fini del mantenimento o nel recupero della salute. In quanto cittadini dell'Unione, i pazienti europei si aspettano giustamente di disporre, in tutti gli Stati membri, di un accesso ottimale a medicinali efficaci e sicuri. L'interesse dei pazienti deve essere al centro di qualsiasi regolamentazione nel campo dei prodotti farmaceutici.

2.3

Nell'utilizzo dei farmaci occorre, nella misura del possibile, escludere o ridurre al minimo i rischi. La sicurezza deve figurare al primo posto. Tutto ciò rende necessario procedere a una verifica prima di autorizzare l'immissione in commercio di un farmaco, come pure ad un controllo costante nella fase successiva all'autorizzazione. Di questa attività, denominata farmacovigilanza, sono responsabili tutte le parti interessate: il titolare dell'autorizzazione alla messa in commercio del farmaco così come i professionisti sanitari e i pazienti, ma anche le autorità competenti degli Stati membri e dell'Unione europea nel suo insieme.

2.4

Per i medicinali autorizzati in più Stati membri, i pazienti si aspettano che vengano adottate decisioni comuni valide in tutta l'UE, fondate su solide basi scientifiche e comunicate in modo uniforme e in un linguaggio comprensibile. Assicurare il coordinamento della valutazione scientifica e l'uniformità della comunicazione sono compiti fondamentali dell'EMA e dei suoi organi specializzati.

2.5

Per poter svolgere questi importanti compiti, l'Agenzia deve beneficiare di finanziamenti adeguati. Attualmente, per molte attività connesse con la farmacovigilanza l'EMA non può esigere alcuna tariffa. Adesso la proposta in esame introduce questa possibilità.

2.6

Nell'introdurre nuove fattispecie impositive, occorre fare attenzione a che i produttori dei farmaci paghino un contributo finanziario adeguato per le prestazioni fornite loro dall'Agenzia.

2.7

Il contributo di tali produttori deve essere configurato in modo tale da assicurarsi che nell'Unione europea i pazienti continuino ad avere a disposizione tutti i farmaci, evitando cioè che l'imposizione tariffaria ne comprometta la commercializzazione per ragioni economiche e i pazienti non possano quindi beneficiare dei trattamenti appropriati.

2.8

I pazienti si aspettano che in tutta l'UE le procedure di valutazione dei dati di farmacovigilanza vengano eseguite in un'ottica esclusivamente scientifica e indipendentemente dalle tariffe pagate dalle case farmaceutiche.

3.   Contesto

3.1

Il Comitato non ha mai cessato di porre in evidenza, nei suoi pareri precedenti, quanto sia importante per l'Europa disporre di un'industria farmaceutica competitiva e innovativa. Da 50 anni a questa parte, tale industria figura tra i settori industriali più moderni, con un livello tecnologico e un tasso d'innovazione tra i più elevati. In questo campo sono occupati, in tutta Europa, centinaia di migliaia di lavoratori, perlopiù altamente qualificati, e si realizza un elevato valore aggiunto.

3.2

Gli effetti positivi dei farmaci, tuttavia, possono essere accompagnati da effetti negativi indesiderati ("reazioni avverse"), causati da errori di assunzione o di indicazione terapeutica quando non addirittura da un uso improprio e/o un abuso del medicinale.

3.3

I farmaci, quindi, comportano grandi responsabilità e meritano grande attenzione - si tratta qui di garantire la salute dei cittadini -, in particolare ove si consideri che molte reazioni avverse ai nuovi farmaci possono essere individuate soltanto dopo l'autorizzazione alla messa in commercio e conseguente commercializzazione dei farmaci stessi.

3.4

Con la modifica della direttiva 2001/83/CE, pubblicata il 15 dicembre 2010, e prima ancora col regolamento (CE) n. 726/2004, sono stati assegnati all'EMA nuovi compiti in materia di vigilanza sui farmaci, tra cui l'espletamento di procedure di farmacovigilanza a livello europeo, il monitoraggio della letteratura medica, l'uso appropriato di strumenti di tecnologia dell'informazione e la fornitura di maggiori informazioni al pubblico in generale. Inoltre, la normativa in materia di farmacovigilanza dispone che l'Agenzia debba poter finanziare tali attività mediante le tariffe pagate dai titolari di autorizzazioni all'immissione in commercio. È dunque opportuno istituire nuove categorie di tariffe per coprire i costi di questi nuovi compiti specifici dell'Agenzia.

3.5

Per finanziare tali attività, la legislazione riveduta in materia di farmacovigilanza prevede una serie di tariffe a carico dei titolari di autorizzazioni all'immissione in commercio. Tali tariffe dovrebbero essere connesse alle attività di farmacovigilanza svolte a livello di UE, in particolare nel quadro delle procedure di valutazione a tale livello; e tra queste procedure rientra altresì la valutazione scientifica effettuata dai relatori delle autorità nazionali competenti degli Stati membri. Le tariffe in questione, quindi, non sono destinate a coprire i costi delle attività di farmacovigilanza delle autorità nazionali competenti svolte a livello nazionale. Gli Stati membri possono pertanto continuare a riscuotere tariffe per le attività svolte a livello nazionale - tariffe, queste, che tuttavia non dovrebbero sovrapporsi a quelle introdotte dalla proposta in esame.

4.   Definizioni

4.1

Secondo la definizione fornita dalla Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il termine farmacovigilanza designa l'analisi e la prevenzione dei rischi dei medicinali, le attività rivolte all'individuazione, valutazione, comprensione e prevenzione degli effetti indesiderati o degli altri problemi connessi con i farmaci, la gestione dei rischi, la prevenzione degli errori terapeutici, la comunicazione di informazioni sui medicinali e la promozione di un uso razionale dei farmaci.

4.2

Con l'espressione reazioni avverse (o effetti indesiderati dei farmaci) si indicano gli effetti nocivi e non voluti di un trattamento farmacologico.

4.3

Per rapporto periodico di aggiornamento sulla sicurezza ( Periodic Safety Update Report - PSUR) si intende una raccolta di dati aggregati sull'uso di uno o più farmaci, nonché sui relativi rischi, in un arco di tempo relativamente lungo, di regola superiore a tre anni, che deve essere sottoposta dal titolare di un'autorizzazione all'immissione in commercio alle autorità competenti dei paesi per i quali l'autorizzazione è stata rilasciata.

4.4

Per procedura di valutazione dei dati di farmacovigilanza su scala europea ( referral ) si intende una procedura regolatoria a livello europeo intesa a conciliare posizioni scientifiche divergenti, o a sciogliere riserve, riguardo all'autorizzazione di determinati farmaci.

4.5

Per studio sulla sicurezza dei medicinali dopo l'autorizzazione (Post-Authorisation Safety Study - PASS) si intende invece uno studio scientifico che mira a garantire la sicurezza dei farmaci. Esso può essere avviato di sua iniziativa dal titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio di un farmaco, oppure essergli imposto dall'autorità competente dopo il rilascio di tale autorizzazione. Gli scopi principali di tali studi consistono nel determinare la frequenza, in condizioni normali, delle reazioni avverse al farmaco già note, nell'individuare quelle rare e fino ad allora sconosciute, non individuate dagli studi clinici a causa della rarità della loro occorrenza, e nello studiare i possibili rischi di un uso quotidiano del farmaco per determinate categorie di pazienti (ad esempio persone in età molto avanzata, gestanti, pazienti con ridotta funzionalità epatica, ecc.).

4.6

EudraVigilance ( European Union Drug Regulating Authorities Pharmacovigilance ) è una rete informativa e un sistema di gestione centralizzato affidato all'EMA allo scopo di garantire un uso sicuro dei farmaci nello spazio economico europeo. EudraVigilance consente in particolare la trasmissione elettronica delle segnalazioni relative a reazioni avverse ai farmaci, prima e dopo il rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio dei farmaci stessi (anche nei casi in fase di accertamento), e la raccolta sistematica di tali segnalazioni, nonché il rilevamento precoce dei rischi legati ai farmaci e l'adozione di misure appropriate per ridurre al minimo tali rischi.

4.7

L'eXtended EudraVigilance Medicinal Product Dictionary (XEVMPD) è una versione ampliata del prontuario farmaceutico EVMPD, chiuso nel luglio 2011. L'XEVMPD è alimentato, per tutti i farmaci autorizzati nei paesi dello spazio economico europeo dai titolari delle rispettive autorizzazioni all'immissione in commercio, con le informazioni relative ai prodotti, tra cui la denominazione del prodotto e del titolare dell'autorizzazione e il sistema di farmacovigilanza utilizzato, il tipo e lo status dell'autorizzazione, la forma farmaceutica e il dosaggio, la via di somministrazione e le indicazioni terapeutiche, nonché il principio attivo e gli eccipienti. Il prontuario dei farmaci dell'UE doveva essere completato entro il 2 luglio 2012, ma è tuttora disponibile soltanto in misura limitata.

4.8

Per "unità imponibile", infine, si intende ciascuna singola voce nella banca dati di cui all'articolo 57, paragrafo 1, lettera l), del regolamento (CE) n. 726/2004, in base alle informazioni tratte dall'elenco di tutti i medicinali per uso umano autorizzati nell'Unione di cui all'articolo 57, paragrafo 2, di tale regolamento.

5.   Base giuridica

5.1

La proposta in esame si fonda sugli articoli 114 e 168, paragrafo 4, lettera c), del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Sull'articolo 114 del TFUE, in quanto le disparità tra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali in materia di farmaci possono ostacolare il commercio in seno all'Unione europea e hanno quindi un impatto diretto sul funzionamento del mercato interno.

5.2

Inoltre, la proposta di regolamento si basa sull'articolo 168, paragrafo 4, lettera c), del TFUE, in quanto mira a raggiungere l'obiettivo di fissare parametri elevati di qualità e sicurezza dei medicinali.

6.   Principi di sussidiarietà e di proporzionalità

6.1

L'EMA è un'agenzia europea decentrata istituita dal regolamento (UE) n. 726/2004, per cui la decisione in merito al suo finanziamento e all'imposizione di tariffe va adottata a livello di Unione europea. La nuova normativa in materia di farmacovigilanza costituisce una base giuridica che consente all'Agenzia di riscuotere tariffe per le relative attività. Di conseguenza, soltanto l'Unione europea può intervenire per consentire all'Agenzia di percepire le tariffe in questione. Il regolamento proposto riguarda unicamente le attività di farmacovigilanza svolte a livello di Unione europea e con la partecipazione dell'Agenzia. Per quanto riguarda, invece, le attività di farmacovigilanza svolte soltanto a livello nazionale, l'UE non ha competenza e gli Stati membri possono dunque continuare a imporre le relative tariffe nazionali.

6.2

Ad avviso della Commissione, la proposta in esame rispetta il principio di proporzionalità, in quanto non va al di là di quanto necessario a raggiungere l'obiettivo generale perseguito, ossia l'introduzione di tariffe che consentano la corretta attuazione della normativa in materia di farmacovigilanza, in vigore dal luglio 2012.

7.   Osservazioni generali

7.1

Il CESE riconosce il contributo positivo e importante dei medicinali alla qualità della vita dei cittadini, e ha sempre appoggiato tutte le iniziative volte a migliorare la sicurezza dell'uso dei farmaci, che è un aspetto fondamentale della tutela della salute.

7.2

Esso apprezza gli sforzi compiuti dalla Commissione per migliorare e semplificare, nell'interesse dei pazienti e dei produttori di farmaci, il quadro normativo in materia di farmacovigilanza, modificando la direttiva 2001/83/CE e il regolamento (UE) n. 726/2004. Così facendo, la Commissione reca un contributo importante al proseguimento della realizzazione del mercato interno e al suo ulteriore approfondimento, in un settore complesso e importante come quello dei farmaci.

7.3

Il Comitato riconosce altresì il prezioso contributo fornito in tal senso dall'EMA, in particolare in quanto istanza di coordinamento di una comunicazione comune e scientificamente fondata riguardo ai rischi dei farmaci all'indirizzo dei pazienti nell'Unione europea.

7.4

Il CESE appoggia quindi la Commissione nel suo intento di dare all'EMA, con il regolamento proposto, la possibilità di percepire tariffe adeguate per le sue attività nel campo della farmacovigilanza.

8.   Osservazioni particolari

8.1

Tutto ciò premesso, il CESE accoglie sostanzialmente con favore le fattispecie impositive di cui agli articoli 4 e 5 del regolamento proposto. Sia gli PSUR di cui all'articolo 4 che i PASS di cui all'articolo 5 recano un contributo straordinariamente importante al rilevamento precoce dei rischi e vanno quindi accolti senza riserve nell'ottica dell'interesse dei pazienti.

8.2

Il Comitato parte dal presupposto che, per i medicinali il cui profilo di sicurezza è ormai ben noto, la documentazione da fornire sia nel quadro degli PSUR che dei PASS debba essere meno ampia rispetto a quella richiesta per i farmaci nuovi e innovativi. Di conseguenza, rispetto a questi ultimi, i primi medicinali comporteranno presumibilmente anche meno lavoro e meno controlli, da parte dell'EMA e dei relatori interessati. Il Comitato chiede pertanto alla Commissione di prevedere, per i farmaci con un profilo di sicurezza ben conosciuto, un'ulteriore riduzione delle tariffe per i documenti di cui agli articoli 4 e 5.

8.3

Il CESE reputa invece del tutto inappropriate le tariffe previste per i referrals dall'articolo 6 del regolamento proposto. È infatti dell'avviso che queste procedure di valutazione dovrebbero essere espletate indipendentemente dalle tariffe pagate dalle case farmaceutiche e nell'esclusivo interesse dei pazienti. Le relative spese dovrebbero essere coperte dal bilancio dell'Unione.

8.4

Il CESE accoglie sostanzialmente con favore anche la tariffa forfettaria annuale di cui all'articolo 7 del regolamento proposto. Tuttavia, esso parte del presupposto che questa tariffa venga applicata soltanto quando le attività di farmacovigilanza dell'Agenzia che essa dovrebbe finanziare saranno pienamente accessibili alle imprese tenute al suo pagamento. Il proposto collegamento con un'"unità impositiva" non è, ad avviso del CESE, affatto pertinente.

8.5

Il CESE accoglie peraltro con favore le riduzioni ed esenzioni tariffarie proposte per le piccole e le micro-imprese.

8.6

Allo stato attuale, tuttavia, la tariffa forfettaria annuale proposta corrisponde di fatto soltanto in parte a un servizio reso dall'EMA; ad oggi, quindi, essa non è ancora pienamente giustificata. Il Comitato propone pertanto che l'imposizione della tariffa forfettaria in questione venga sospesa fino a quando non saranno disponibili le prestazioni di cui si è detto. La data dalla quale tali servizi vengono resi disponibili può essere fissata con una "conferma" da parte del consiglio di amministrazione dell'EMA ai sensi dell'articolo 24, paragrafo 2, terzo comma, del regolamento (UE) n. 1235/2010. Tale norma, infatti, dispone che "il consiglio di amministrazione dell'agenzia, sulla base di una relazione di revisione contabile indipendente che tiene conto della raccomandazione del comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza, conferma e rende pubblico il momento in cui è conseguita la piena funzionalità della banca dati EudraVigilance".

8.7

Quanto all'"unità imponibile", può ad esempio accadere che, data la diversità delle situazioni nazionali, in uno stesso paese la medesima autorizzazione sia indicata ai fini commerciali in lingue diverse, e quindi venga inserita nella banca dati sotto più voci. La maggior parte delle attività di farmacovigilanza viene svolta in relazione a un determinato principio attivo e non sulla base di "unità imponibili", e dovrebbe essere anche remunerata di conseguenza. Il Comitato propone pertanto che l'unità imponibile si riferisca a un numero di procedura europeo. Le autorizzazioni nazionali non dovrebbero essere computate più di una volta.

Bruxelles, 16 ottobre 2013.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Appalti elettronici end-to-end per modernizzare la pubblica amministrazione

COM(2013) 453 final

2014/C 67/19

Relatore: BARROS VALE

La Commissione, in data 26 giugno 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 314 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Appalti elettronici end-to-end per modernizzare la pubblica amministrazione

COM(2013) 453 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli, 3 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha già avuto l'opportunità di esprimere un parere favorevole in merito alla rapida introduzione degli appalti elettronici (1) "end-to-end" (2) e ribadisce in questa sede il proprio sostegno alla diffusione generalizzata di questa pratica, che favorisce l'utilizzo ottimale delle risorse.

1.2

Gli appalti elettronici "end-to-end" devono essere considerati come un'opportunità di modernizzare la pubblica amministrazione, rendendola più efficiente attraverso il maggior rigore e la trasparenza che questa pratica ispira.

1.3

È un'opportunità anche per le imprese, specialmente per le piccole e medie imprese (PMI) che si trovano facilitato l'accesso a nuove opportunità, in un mercato più aperto e trasparente.

1.4

Il CESE tuttavia non può astenersi dal manifestare la propria preoccupazione per i magri risultati ottenuti finora, che sembrano lontani dall'ambizione iniziale di concludere il passaggio agli appalti elettronici entro il 2016.

1.5

Il debole coinvolgimento degli Stati membri è preoccupante, in quanto persiste la resistenza ad adottare pratiche di cui si conoscono i vantaggi per le pubbliche amministrazioni e gli operatori economici. La Commissione dovrà in questo caso continuare a svolgere il suo ruolo persuasivo affinché gli appalti elettronici siano adottati in tutte le loro fasi, sia mediante l'introduzione del sistema degli appalti elettronici "end-to-end" nelle sue procedure che attraverso l'adozione di misure legislative e la diffusione di buone pratiche. Il Comitato si rallegra inoltre che la Commissione abbia messo le sue soluzioni in materia di appalti elettronici a disposizione degli Stati membri che le vogliano utilizzare.

1.6

Il mercato degli appalti pubblici è un mercato frammentato in cui coesistono molteplici soluzioni e piattaforme che, per la maggior parte, non sono concepite per essere interoperabili. L'assenza di orientamenti strategici - o persino la mancanza di volontà degli Stati membri di unirsi per attuare soluzioni comuni di accesso universale - ostacola l'accesso agli operatori economici - siano essi nazionali o transfrontalieri - e, di conseguenza, la libera concorrenza. Spetta alla Commissione esercitare il potere di standardizzazione armonizzando i requisiti tecnici sulla base di lavori già svolti e convalidati, in particolare nel quadro del progetto PEPPOL (Pan-European Public Procurement OnLine), che meritano un sostegno generale. L'armonizzazione rappresenta un passo importante nella democratizzazione di un mercato che vuole essere trasparente e accessibile, per il bene del rigoroso impiego dei fondi pubblici.

1.7

Secondo il CESE, inoltre, le soluzioni trovate dovranno essere accessibili universalmente, oltrepassando le barriere linguistiche, ed essere praticabili dalle persone con disabilità. Al tempo stesso, è importante mantenere bassi sia i costi relativi alla creazione delle piattaforme che quelli riguardanti l'adeguamento e la manutenzione delle piattaforme già esistenti. La standardizzazione è, quindi, d'importanza fondamentale.

1.8

Il mercato degli appalti pubblici è ancora difficilmente accessibile per le PMI che non hanno né le dimensioni, né le risorse umane e finanziarie sufficienti. Il CESE ribadisce la propria posizione secondo cui la legislazione dell'UE in materia di appalti pubblici deve assistere le PMI a soddisfare le condizioni necessarie in termini di capitale ed esperienza, in particolare attraverso la costituzione di consorzi o di associazioni temporanee di imprese (3).

1.9

La proposta di direttiva sulla fatturazione elettronica negli appalti pubblici, attualmente in fase di discussione, rappresenta un altro passo importante, nel senso di completare il ciclo degli appalti elettronici "end-to end". La standardizzazione del contenuto della fattura, che renderà possibile l'interoperabilità, apporterà benefici considerevoli. Secondo il CESE, tuttavia, malgrado i benefici che ne deriveranno, i termini previsti per l'adozione e la diffusione generalizzata sono troppo lunghi. In un'epoca in cui l'evoluzione tecnologica è una costante, gli sforzi di standardizzazione sono indifferibili e auspicabili, per evitare che la soluzione venga trovata fuori tempo utile.

1.10

Il finanziamento della Commissione allo sviluppo di infrastrutture per gli appalti elettronici in tutta l'Europa attraverso il Meccanismo per collegare l'Europa (CEF) è un'iniziativa di cui rallegrarsi, ma adesso è stata messa in forse dalla drastica diminuzione degli importi che il Consiglio aveva stanziato. Il CESE deplora questa diminuzione che implica grandi cambiamenti nei progetti d'interesse comune promossi dalla Commissione, in particolare per quel che riguarda il sostegno allo sviluppo e all'attuazione degli appalti elettronici.

1.11

Il CESE sottolinea che, al pari di qualsiasi iniziativa che implichi un cambiamento, la formazione delle persone è d'importanza fondamentale. La possibilità di finanziare i programmi di formazione attraverso i fondi strutturali per il periodo 2014-2020 è un'iniziativa lodevole, ma non bisogna dimenticare la formazione del settore pubblico, in quanto è essenziale sviluppare nuovi ruoli tecnici e sensibilizzare alla nuova realtà dei metodi di lavoro dematerializzati.

1.12

Il CESE coglie questa opportunità per esortare il Consiglio a invitare gli Stati membri a mettere in pratica le idee esposte nei documenti prodotti dalla Commissione e dagli organi consultivi in rapporto a questo argomento, per potenziare l'impatto dei lavori realizzati.

2.   Sintesi del documento

2.1

La comunicazione in esame fa il punto della situazione in rapporto agli appalti elettronici "end-to-end", presentando lo stato di attuazione delle azioni indicate nella comunicazione Una strategia per gli appalti elettronici  (4).

2.2

La riforma degli appalti pubblici, la digitalizzazione dell'amministrazione pubblica, la riduzione dell'onere amministrativo e il rafforzamento della trasparenza sono fattori di crescita economica, mentre la modernizzazione dell'amministrazione pubblica è una delle cinque priorità indicate dalla Commissione nella sua Analisi annuale della crescita del 2012 e 2013. Il 19 % del PIL dell'UE (dati del 2011) è assorbito dalla spesa pubblica in beni, servizi e opere pubbliche, una percentuale che rispecchia l'importanza di una riforma degli appalti pubblici che permetta di ridurre la spesa pubblica liberando risorse importanti che possano essere mobilitate per investimenti che potenzino la crescita.

2.3

La riforma degli appalti pubblici e l'introduzione del modello di appalti elettronici "end-to-end" si presentano anche come un'occasione per apportare innovazioni nel modello organizzativo dell'amministrazione pubblica, conferendo a quest'ultima una trasparenza e un rigore maggiori e dando un contributo agli obiettivi della crescita sostenibile stabiliti nella strategia Europa 2020.

2.4

Attualmente l'accesso a Internet da parte delle PMI è generalizzato (nel 2012 soltanto il 4,6 % delle PMI non vi aveva accesso (5)). Pertanto, la maggior parte delle PMI è in grado di utilizzare gli appalti elettronici "end-to-end", in quanto le imprese dei paesi in cui gli appalti elettronici sono una pratica comune riferiscono esperienze positive. Ciononostante, occorre prestare un'attenzione speciale alla promozione dei servizi di fatturazione elettronica e agli appalti elettronici a basso costo e di facile utilizzo.

2.5

Malgrado l'uso generalizzato di Internet, gli appalti elettronici sono ancora in una fase embrionale, e l'ambizione della Commissione è di renderli obbligatori entro la metà del 2016. Ad esempio, il livello di utilizzo della presentazione elettronica delle offerte continua ad essere molto basso (è stimato attorno al 10 %) e nella maggior parte degli Stati membri è facoltativo presentare le offerte per via elettronica, eccezion fatta per il Portogallo in cui, oltre una certa soglia, questa procedura è obbligatoria. Anche la fatturazione elettronica è già una realtà per alcuni Stati membri a partire da una certa soglia, ma si stima che soltanto il 12 % delle imprese utilizzi mezzi elettronici per emettere o ricevere fatture nei rapporti con enti pubblici.

2.6

La strada da seguire richiede di standardizzare gli appalti elettronici - per fare in modo che la fatturazione elettronica costituisca la norma e non l'eccezione negli appalti pubblici -, di stimolare gli Stati membri a definire strategie nazionali tese all'attuazione degli appalti elettronici e della fatturazione elettronica, nonché di condividere le buone pratiche.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE ribadisce la propria posizione, secondo cui riconosce l'importanza di una revisione del quadro giuridico in materia di appalti pubblici che permetta la dematerializzazione delle procedure e renda progressivamente obbligatori gli appalti elettronici. Malgrado ciò, rileva che i progressi compiuti hanno avuto effetti inferiori a quanto auspicabile, come dimostrano i risultati dell'utilizzo degli appalti elettronici.

3.2

La frammentazione del mercato degli appalti elettronici si è acuita in quanto gli Stati membri hanno proceduto autonomamente, con soluzioni e piattaforme differenti che - in assenza di orientamenti strategici - non sono state concepite in modo da permetterne l'interoperabilità, che è la condizione essenziale per rendere possibile l'accesso universale. Se a livello locale viene riferito un aumento del numero di partecipanti alle gare - un segnale positivo del miglioramento nell'accesso al mercato -, lo stesso non vale per la partecipazione alle gare transfrontaliere, in cui le PMI si trovano l'accesso ostacolato da questioni non soltanto tecniche ma anche economiche. Le PMI possono accedere alle gare transfrontaliere agendo in consorzio, e questa soluzione può e deve essere fatta conoscere e incentivata a livello nazionale.

3.3

Il CESE considera essenziale la questione dell'interoperabilità ed esorta a compiere passi più decisi in questa direzione, sostenendo i lavori di standardizzazione che sono stati realizzati e mettendo a profitto le esperienze maturate nei paesi in cui il sistema è più sviluppato.

3.4

Gli appalti pubblici "end-to end" rappresentano uno strumento importante per introdurre un rigore e una trasparenza maggiori in un settore che, appartenendo a noi tutti, deve servire da esempio fissando modelli di onestà e serietà incrollabili.

3.5

Il processo potrà apportare vari benefici, ad esempio:

la lotta contro la frode e l'evasione fiscale;

una maggiore efficienza del mercato, con una riduzione significativa dei costi operativi e di opportunità nelle diverse fasi della gara sia per l’ente aggiudicatore che per l'ente incaricato;

un impatto positivo in termini ambientali dovuto alla dematerializzazione dei documenti, sia per il minor consumo di carta che per la diminuzione dell'impronta ecologia relativa alla distribuzione dei documenti;

una diminuzione dei termini per l'aggiudicazione e il pagamento;

la facilità nell'audit delle procedure;

l'integrazione e lo sviluppo del mercato interno;

l'allargamento del mercato degli appalti pubblici alle PMI, siano esse nazionali o transfrontaliere, in quanto vengono attenuate le difficoltà legate alla distanza dal luogo della gara, e questo facilita l'accesso a gare nazionali e transfrontaliere;

visto che la gara è realizzata con formulari elettronici che prevedono delle validazioni, è minore il margine di errore nella compilazione dei formulari e, quindi, la conseguente estromissione dalla gara per mancanza di conformità;

le piattaforme possono inviare segnalazioni ai fornitori in merito alla pubblicazione di gare;

l'opportunità di modernizzare l'amministrazione pubblica che, attraverso una reazione a catena, porterà alla dematerializzazione di altri processi, diminuendo l'onere amministrativo;

la riduzione dei costi sulla base delle dichiarazioni negoziali;

le opportunità per le imprese di servizi tecnologici e di telecomunicazioni;

la creazione di nuovi ruoli per i funzionari delle amministrazioni pubbliche e delle imprese.

3.6

Per quanto riguarda i potenziali svantaggi, bisogna indicare:

i costi elevati per la creazione e la manutenzione delle piattaforme di appalti elettronici, che richiedono investimenti ingenti sebbene ne derivino benefici che sono superiori ai fondi investiti;

per quei paesi in cui gli investimenti nelle piattaforme sono già a uno stadio avanzato, i costi di adattamento del software o persino dell'hardware potranno essere notevoli, sia per le amministrazioni pubbliche che per gli operatori economici;

la sicurezza dei dati presenti nelle piattaforme elettroniche;

la dipendenza dai servizi prestati da terzi, ad esempio, operatori di telecomunicazioni e gestori delle piattaforme di appalti;

l'aumento della regolamentazione per gli atti necessari al processo di aggiudicazione (presentazione delle offerte, pezze d'appoggio e compilazione dei formulari) potrà generare una maggiore non conformità procedurale che porterà a casi di nullità al momento dell'aggiudicazione o della gara.

4.   Osservazioni particolari

4.1

La proposta di direttiva sulla fatturazione elettronica negli appalti pubblici, che è attualmente in fase di discussione e istituisce una normativa europea per questa materia, rappresenta un'iniziativa da accogliere favorevolmente nel cammino verso l'introduzione degli appalti elettronici "end-to-end", in una realtà in cui l'emissione e lo scambio di fatture elettroniche continua a rimanere in uno stadio embrionale. La standardizzazione delle informazioni contenute nelle fatture renderà possibile la tanto auspicata interoperabilità transfrontaliera. Secondo il CESE, tuttavia, i termini considerati sono troppo lunghi e, quindi, non sono utili all'obiettivo di una rapida generalizzazione dell'uso della fatturazione elettronica negli appalti pubblici, una pratica che avrà un effetto a cascata sugli altri mercati.

4.2

La proposta di direttiva è inoltre poco ambiziosa, perché si limita a stabilire che gli enti pubblici non possono rifiutare i documenti elaborati secondo la normativa europea.

4.3

Gli investimenti infrastrutturali realizzati negli Stati membri sono stati considerevoli ed è auspicabile che la standardizzazione venga conclusa senza indugi, in modo da mettere a profitto gli investimenti già compiuti ed evitare di ripetere quelli che nel frattempo si sono mostrati inadeguati alla nuova normativa.

4.4

La Commissione incaricherà il Comitato europeo di normalizzazione (CEN) di realizzare i lavori di standardizzazione. Secondo il CESE, questi lavori devono capitalizzare i risultati ottenuti nel frattempo dal CEN nel quadro del BII (Business Interoperability Interfaces), che ha prodotto i "profili standardizzati interoperabili", e le esperienze maturate col progetto PEPPOL (Pan-European Public Procurement Online), che ha definito i ponti di interoperabilità necessari per collegare le piattaforme già esistenti negli Stati membri.

4.5

Nel contesto attuale di scarsità di risorse finanziarie, il CESE accoglie positivamente il piano della Commissione di finanziare e appoggiare lo sviluppo di infrastrutture per gli appalti elettronici "end-to-end" attraverso il Meccanismo per collegare l'Europa (CEF) (6). Tuttavia, alla luce degli importi noti, che implicano una riduzione delle risorse disponibili da 9,2 miliardi di euro ad appena 1 miliardo di euro, il CESE raccomanda che nell'utilizzo di queste scarse risorse non vengano dimenticati gli investimenti nello sviluppo dei meccanismi per gli appalti elettronici.

4.6

Poiché il buon esito dell'introduzione degli appalti elettronici "end-to-end" è una responsabilità che non ricade soltanto sulla Commissione, gli Stati membri devono essere richiamati al loro compito affinché trasformino questa pratica in una realtà concreta. La Commissione dovrà non solo fungere da esempio, facendo diventare elettroniche le sue procedure di appalto, ma anche adoperarsi per sostenere gli Stati membri nel loro percorso, esercitando il suo potere di standardizzazione, diffondendo le buone pratiche e appoggiando la definizione delle strategie nazionali che portino all'attuazione di un sistema di appalti pubblici senza ostacoli a qualsiasi tipo di partecipazione, un sistema in cui coesistano interoperabilità e accesso universale. Per quel che riguarda il ruolo della Commissione, è inoltre importante mettere a disposizione le soluzioni open source che venissero sviluppate.

4.7

La Commissione annuncia l'avvio di uno studio che punta a individuare le strategie più riuscite in materia di appalti elettronici e di fatturazione elettronica in Europa, in modo da sostenere gli Stati membri nella valutazione delle loro politiche. La divulgazione delle buone pratiche è importante e auspicabile. Sono già stati realizzati diversi studi - e i relativi risultati pubblicati -, come le raccomandazioni del gruppo di esperti sui sistemi di aggiudicazione elettronici (eTendering Expert Group o e-TEG), il Golden Book of e-procurement (che giungono a risultati uniformi pur essendo indipendenti) e persino la relazione finale del progetto PEPPOL. La realtà di ogni paese è unica e per questo motivo è opportuno, ma non necessario, che la definizione delle strategie sia coadiuvata dalla pubblicazione di più di uno studio, anche se può sembrare controproducente o superfluo.

4.8

Il CESE si compiace per l'impegno della Commissione nel promuovere lo sviluppo e l'utilizzo di certificati elettronici attraverso lo strumento DVE (Virtual Company Dossier), sviluppato nel quadro del progetto PEPPOL, che permette agli operatori economici di presentare la documentazione necessaria a qualsiasi ente aggiudicatore in Europa, che può quindi interpretare e accettare i documenti presentati.

4.9

Occorre inoltre appoggiare l'intenzione di controllare, a livello nazionale, le spese legate agli appalti pubblici e i relativi indicatori di efficienza. A questo fine si potrà dare come esempio il portale portoghese Base (7), che permette già di controllare le spese legate agli appalti pubblici e di ottenere vari tipi di statistiche.

4.10

Il CESE accoglie positivamente la possibilità che venga finanziata, attraverso i fondi strutturali per il periodo 2014-2020, la creazione di programmi di formazione per le imprese, in cui l'attenzione va concentrata sulle PMI. Ciononostante, non bisogna trascurare neanche la formazione del settore pubblico, in quanto vanno sviluppati programmi di formazione che promuovano l'utilizzo efficiente di nuovi metodi, dematerializzati e meno dispendiosi. È inoltre importante la possibilità di finanziamento delle infrastrutture, che dovrà essere aperta non solo alle amministrazioni pubbliche ma anche agli operatori economici.

4.11

Come è stato già indicato, la questione dell'interoperabilità e dell'accesso universale è di preminente importanza per il CESE, che accoglie favorevolmente la pubblicazione - da parte della Commissione - dei principi fondamentali che devono disciplinare i sistemi di appalti elettronici. Oltre a preoccuparsi per le facilità di accesso dei fornitori transfrontalieri e delle PMI, il CESE esorta a tener presente le barriere linguistiche e le difficoltà di accesso delle persone con disabilità, tenuto conto del principio della non discriminazione per motivi di disabilità sancito sia nell'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità che l'Unione europea ha ratificato.

Bruxelles, 16 ottobre 2013.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 44.

(2)  Gli appalti elettronici "end-to-end" riguardano l'utilizzo di comunicazioni elettroniche e l'elaborazione elettronica delle operazioni negli acquisti di beni e servizi, da parte di enti del settore pubblico, in tutte le fasi della gara, dalla fase che precede l'aggiudicazione (pubblicazione di avvisi, accesso ai documenti di gara, presentazione delle offerte e loro valutazione, aggiudicazione dell'appalto) sino alla fase successiva all'aggiudicazione (ordine, fatturazione e pagamento).

(3)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 44.

(4)  COM(2012) 179 final.

(5)  Dati Eurostat del 2013.

(6)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 116-119.

(7)  www.base.gov.pt.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/101


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di attrezzature a pressione (rifusione)

COM(2013) 471 final — 2013/0221 (COD)

2014/C 67/20

Relatore unico: PEZZINI

Il Parlamento europeo, in data 4 luglio 2013 e il Consiglio, in data 16 luglio 2013, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 114 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di attrezzature a pressione (rifusione)

COM(2013) 471 final — 2013/0221 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) apprezza il lavoro fatto dalla Commissione per adeguare la normativa europea, relativa alle attrezzature a pressione, all'evoluzione internazionale e al nuovo quadro normativo interno, ai fini di rafforzare l'efficacia e l'efficienza del mercato e di semplificare le procedure, stabilendo i requisiti essenziali di sicurezza, ai quali le attrezzature a pressione devono conformarsi, ai fini della loro immissione nel mercato interno.

1.2

Il Comitato condivide l'opzione di procedere attraverso la tecnica legislativa della rifusione, cioè attraverso "l'adozione di un nuovo atto normativo che integra in un unico testo le modificazioni sostanziali", ai fini di assicurare l'adeguamento della direttiva 97/23/CE (PED) al nuovo quadro normativo.

1.3

Il CESE ribadisce ancora una volta l'importanza di assicurare la piena operatività del principio della libera circolazione delle merci, sicure e conformi, affinché i prodotti legalmente commercializzati in uno Stato membro possano esserlo, senza difficoltà, in tutto il territorio dell'UE, assicurando la piena tracciabilità dei prodotti, e una sorveglianza del mercato: uniforme, efficace e efficiente.

1.4

Secondo il Comitato tutti gli obblighi e le procedure della nuova direttiva PED devono trovare applicazione, rispettando il principio di proporzionalità delle procedure e degli oneri di certificazione, specie per le imprese minori e per i prodotti non di serie o a serie limitata.

1.5

Il CESE ritiene parimenti importante una più efficiente e generalizzata sorveglianza del mercato, e una maggiore equivalenza dei livelli di competenza degli organismi notificati di valutazione di conformità, che devono rispondere a criteri obbligatori e di elevato livello, e beneficiare di sostegni formativi.

1.6

L'applicazione della nuova direttiva PED deve essere sottoposta a monitoraggio, e una relazione biennale dovrebbe essere presentata da esperti indipendenti al Consiglio, al Parlamento ed al Comitato.

1.7

Secondo il Comitato, devono essere potenziati gli indicatori, raccolti da RAPEX, che consentano di monitorare la riduzione del numero di prodotti non conformi sul mercato e il miglioramento della qualità dei servizi di valutazione della conformità, forniti dagli organismi notificati.

1.8

Le competenze di esecuzione della nuova direttiva, conferite alla Commissione, devono trovare un ambito applicativo chiaro e trasparente e, soprattutto, rispettoso delle prerogative informative e, se del caso, consultive, del Parlamento, del Consiglio e di ogni Stato membro.

2.   Principali questioni della commercializzazione delle attrezzature a pressione

2.1   L'armonizzazione normativa e gli apparecchi a pressione

2.1.1

Gli scambi intra-comunitari di prodotti di consumo hanno rappresentato circa mille miliardi di euro, tra il 2008 e il 2010, e il valore dei settori armonizzati nell'UE, sia per i prodotti di consumo, che per quelli d'uso professionale, è stato stimato ad oltre 2 100 miliardi.

2.1.2

La libera circolazione di prodotti sicuri e conformi è uno dei pilastri fondamentali dell'Unione e la sorveglianza del mercato è uno strumento essenziale per proteggere i consumatori e gli utilizzatori contro l'immissione nel mercato di prodotti pericolosi e non conformi.

2.1.3

L'introduzione della direttiva 97/23/CE sulle attrezzature a pressione – denominata "direttiva PED" – si è rivelata molto importante:

per il funzionamento del mercato interno del settore, sia per l'efficacia sia per l'efficienza,

per rimuovere varie barriere commerciali,

per assicurare livelli elevati di sicurezza del prodotto.

2.1.4

Il Comitato ha accolto con favore l'adeguamento del quadro normativo alle nuove regolamentazioni sul funzionamento della commercializzazione delle merci nel mercato interno (1), approvando il regolamento CE 765/2008 (2) in materia di accreditamento e vigilanza – denominato "regolamento NQN" - e la decisione 768/2008/CE, che stabilisce un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti – denominata "decisione NQN", come indicato nel "Pacchetto Merci" sul quale il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi positivamente (3).

2.1.5

La Commissione intende inoltre adeguare la direttiva 97/23/CE al regolamento (CE) n. 1272/2008, del 16 dicembre 2008 – denominato "regolamento CLP" - relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele (4), secondo la nuova classificazione ivi prevista, per tener conto dei pericoli dovuti alla pressione associata ai fluidi pericolosi.

2.2   Adeguamento al nuovo quadro normativo e coerenza giuridica

2.2.1

Il problema della non conformità ai requisiti della direttiva PED è percepito, in modo generalizzato, da tutti gli operatori economici del settore, come un fattore che pregiudica la competitività delle imprese che rispettano le norme.

2.2.2

Si tratta di una concorrenza sleale, che deriva, in gran parte, dalla carenza e dall'inefficacia dei meccanismi di sorveglianza del mercato: inefficiente tracciabilità dei prodotti provenienti da paesi terzi, mancanza di competenza degli organismi notificati (5), anche in relazione alla non applicazione diretta della decisione NQN.

2.2.3

Inoltre, le analisi d'impatto hanno rilevato che gli operatori economici hanno difficoltà a confrontarsi con un contesto regolamentare diventato progressivamente più complesso.

2.2.4

Sempre più frequentemente a uno stesso prodotto si applicano numerosi atti normativi, come nel caso del regolamento CLP, relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele, che introduce nuove classi e categorie di pericolo, che corrispondono solo parzialmente a quelle attualmente utilizzate e che diventeranno operative per il settore, dal 1o giugno 2015.

2.2.5

Il CESE, nel suo parere (6) riguardante il regolamento e la decisione NQN, aveva già messo in rilievo che "il rafforzamento e la modernizzazione delle condizioni di commercializzazione di prodotti sicuri e di qualità costituiscono elementi fondamentali per i consumatori, per le imprese e per i cittadini europei".

2.2.6

In tale contesto, il CESE si esprime favorevolmente all'adeguamento della direttiva PED alla decisione NQN, per ottenere la massima qualità giuridica mediante la tecnica legislativa della rifusione, attraverso "l'adozione di un nuovo atto normativo che integra, in un unico testo, le modificazioni sostanziali che introduce in un atto precedente e le disposizioni immutate di quest'ultimo. Il nuovo atto normativo sostituisce ed abroga il precedente" (7).

2.2.7

Parimenti, il Comitato valuta positivamente l'adeguamento della direttiva 97/23/CE al regolamento CLP, per garantire coerenza giuridica, per quanto concerne la classificazione delle attrezzature a pressione, in base al fluido in esse contenuto, a decorrere dal 1o giugno 2015, quando la direttiva 67/548/CEE sarà abrogata. Tale allineamento attua all'interno dell'UE il sistema generale armonizzato di classificazione ed etichettatura dei prodotti chimici, adottato a livello internazionale nell'ambito della struttura delle Nazioni Unite (ONU).

2.3   Gli obblighi degli operatori economici e prescrizioni in materia di tracciabilità

2.3.1

Di particolare rilevanza sono per il Comitato, le prescrizioni in termini di tracciabilità dei prodotti e degli obblighi degli operatori economici con particolare riferimento a:

obbligo per importatori, rappresentanti autorizzati e distributori di verifica della marcatura CE dei prodotti, accompagnato dai documenti richiesti e da informazioni sulla tracciabilità,

obbligo per i fabbricanti di fornire istruzioni e informazioni sulla sicurezza in una lingua facilmente comprensibile per consumatori e utilizzatori finali,

tracciabilità in tutta la catena di distribuzione: fabbricanti, rappresentanti autorizzati e importatori,

per ogni operatore economico, obbligo di indicare, alle autorità, da chi ha acquistato il prodotto e a chi l'ha fornito.

2.3.2

Tali garanzie di tracciabilità, per qualsivoglia attrezzatura a pressione immessa sul mercato, dovrebbero trovare piena applicazione, nel principio di proporzionalità delle procedure e degli oneri di certificazione, specie per le imprese minori e per i prodotti non di serie o a serie limitata.

2.3.3

Parimenti importante risulta essere una più efficiente sorveglianza del mercato ed una maggiore equivalenza dei livelli di competenza degli organismi notificati di valutazione di conformità, con adeguate prescrizioni obbligatorie per tutti, ai fini di garantire la massima imparzialità ed efficacia in tutta l'Unione e parità di concorrenza tra tutti i produttori.

2.3.4

Gli indicatori, che consentono di monitorare la riduzione del numero di prodotti non conformi sul mercato ed il miglioramento della qualità dei servizi di valutazione devono basarsi sulle informazioni ottenute attraverso il sistema RAPEX e le procedure di notifica della clausola di salvaguardia, istituite a norma della direttiva, e sulla base dati NANDO (8).

2.3.5

Il Comitato ritiene che, in caso vengano conferite competenze di esecuzione della nuova direttiva rifusa alla Commissione, conformemente al regolamento (UE) n. 182/2011 del 16 febbraio 2011, questo avvenga nel pieno rispetto delle garanzie d'informazione del Consiglio e del Parlamento e, se del caso, dello Stato membro interessato.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato accoglie con favore la rifusione della direttiva PED del 1997 ed apprezza il lavoro fatto dalla Commissione, per adeguare la normativa europea relativa alle attrezzature a pressione all'evoluzione internazionale ed al nuovo quadro normativo interno.

3.2

Il CESE ribadisce l'importanza di assicurare la piena operatività del principio della libera circolazione delle merci, sicure e conformi, affinché i prodotti legalmente commercializzati in uno Stato membro possano esserlo, senza difficoltà, in tutto il territorio dell'UE assicurando la piena tracciabilità dei prodotti, insieme ad una sorveglianza del mercato, applicata in modo uniforme, efficace ed efficiente.

3.3

Il principio di proporzionalità delle procedure e degli oneri di certificazione, specie per le imprese minori e per i prodotti non di serie o a serie limitata, deve essere presa maggiormente in considerazione: il CESE ritiene che una revisione normativa, come quella proposta, avrebbe avuto bisogno di una scheda d'impatto esplicita per le PMI, al di là delle analisi d'impatto e delle consultazioni realizzate.

3.4

Una più efficiente generalizzata sorveglianza del mercato ed una maggiore equivalenza dei livelli di competenza degli organismi notificati di valutazione di conformità, non dovrebbe essere realizzata solo attraverso meccanismi sanzionatori, ma anche, e soprattutto, con il sostegno di azioni europee di formazione, mirate.

3.5

La nuova normativa rivista dovrebbe essere oggetto di verifiche e rapporti periodici alle istituzioni comunitarie, corroborati da indicatori RAPEX sugli andamenti delle infrazioni alla formazione di conformità e alla sicurezza generale delle attrezzature a pressione, immesse sul mercato.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 1.

(2)  GU L 218 del 13.8.2008, pag. 30; GU C 120 del 16.5.2008, pag. 1.

(3)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 105.

(4)  GU L 353 del 31.12.2008, pag. 1.

(5)  Organismi notificati = organismi (notificati dagli Stati membri alla Commissione) responsabili della valutazione della conformità che effettuano prove sui prodotti, li esaminano e li certificano.

(6)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 1.

(7)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 105.

(8)  Cfr. http://ec.europa.eu/enterprise/newapproach/nando/.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/104


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adatta all’articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea una serie di atti giuridici che prevedono il ricorso alla procedura di regolamentazione con controllo

COM(2013) 451 final — 2013/0218 (COD)

e alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adatta all’articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea una serie di atti giuridici nel settore della giustizia che prevedono il ricorso alla procedura di regolamentazione con controllo

COM(2013) 452 final — 2013/0220 (COD)

2014/C 67/21

Relatore generale: PEGADO LIZ

Il Consiglio dell'Unione europea e il Parlamento europeo hanno deciso, rispettivamente il 16 settembre 2013 e il 4 luglio 2013, conformemente all'articolo 33, all'articolo 43, paragrafo 2, all'articolo 53, paragrafo 1, all'articolo 62, all'articolo 64, paragrafo 2, all'articolo 91, all'articolo 100, paragrafo 2, all'articolo 114, all'articolo 153, paragrafo 2, lettera b), all'articolo 168, paragrafo 4, lettera b), all'articolo 172, all'articolo 192, paragrafo 1, all'articolo 207 e all'articolo 338, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo (CESE) in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adatta all'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea una serie di atti giuridici che prevedono il ricorso alla procedura di regolamentazione con controllo

COM(2013) 451 final — 2013/0218 (COD).

Il Parlamento europeo, in data 4 luglio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 81, paragrafo 2, del TFUE, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adatta all'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea una serie di atti giuridici nel settore della giustizia che prevedono il ricorso alla procedura di regolamentazione con controllo

COM(2013) 452 final — 2013/0220 (COD).

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 493a sessione plenaria del 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), ha nominato relatore generale PEGADO LIZ e ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Le due proposte di regolamento sulle quali il CESE è chiamato a pronunciarsi hanno lo scopo di procedere all'"allineamento in blocco" di 165 atti legislativi, inizialmente soggetti al regime della procedura di regolamentazione con controllo, al nuovo regime degli atti delegati.

1.2

Con tale iniziativa, la Commissione dà seguito alla richiesta del Parlamento europeo, appoggiata dal Consiglio, di allineare le vecchie prassi della "procedura di comitato" (o "comitatologia") alla procedura di delega prevista dall'articolo 290 del TFUE.

1.3

Il CESE appoggia l'iniziativa della Commissione in quanto è necessaria per la certezza delle fonti del diritto dell'Unione e persegue una finalità di semplificazione e di aumento dell'efficienza.

1.4

Il CESE rammenta di avere recentemente adottato una relazione particolareggiata sulla procedura di delega, e raccomanda di tener presente tale relazione ai fini della comprensione di questo parere.

1.5

Infatti, questo allineamento in blocco di 165 atti legislativi (regolamenti, direttive e decisioni) riguardanti dodici settori diversi solleva numerose questioni di ordine giuridico e pratico.

1.6

Innanzitutto, taluni elementi della procedura di delega restano ancora oscuri. Così, ad esempio, la nozione di "elementi non essenziali" deve ancora essere definita. Inoltre, andrebbe effettuata una valutazione precisa del funzionamento di tale meccanismo.

1.7

Alcune proposte di regolamento contengono opzioni che non tengono conto della disciplina quadro dettata dagli atti legislativi di base e si spingono fino a prevedere che la delega sia esercitata per un periodo indeterminato oppure fissano termini molto brevi per il controllo del Parlamento e del Consiglio.

1.8

Alla luce delle proprie osservazioni generali e specifiche, il CESE raccomanda alla Commissione di adeguare la sua iniziativa di "allineamento in blocco" in modo che essa tenga maggiormente conto delle specificità di alcuni atti legislativi di base.

1.9

Il CESE raccomanda inoltre al Consiglio e al Parlamento di dar prova della massima vigilanza e di esaminare nei dettagli tutti gli atti compresi in questa iniziativa di "allineamento".

2.   Introduzione

2.1

Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1o dicembre 2009, traccia una distinzione tra il potere conferito alla Commissione di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali di un atto legislativo, previsto all'articolo 290 del TFUE (procedura di delega), e il potere di adottare atti di esecuzione, previsto all'articolo 291 del TFUE (procedura di esecuzione).

2.2

Questi due poteri sono soggetti a regimi giuridici distinti.

2.2.1

Le modalità di esercizio del potere di delega sono precisate da atti giuridici privi di forza vincolante:

la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio Attuazione dell'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea  (1);

l'"intesa comune sugli atti delegati" (common understanding on delegated acts) conclusa tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione;

gli articoli 87 bis e 88 del regolamento del Parlamento europeo, modificato con decisione del 10 maggio 2012 (2).

2.2.1.1

Il Comitato ha adottato una relazione informativa particolareggiata sulla procedura di delega, relazione la cui lettura è vivamente consigliata ai fini della comprensione del presente parere (3).

2.2.2

L'esercizio del potere di esecuzione previsto all'articolo 291 del TFUE è invece disciplinato da atti giuridicamente vincolanti:

il regolamento (UE) n. 182/2011 (4) (in prosieguo il "regolamento comitatologia"), che prevede due procedure: la procedura consultiva e la procedura di esame;

la decisione 1999/468/CE (5) (in prosieguo "decisione sulla comitatologia"), modificata nel 2006 al fine di rafforzare il potere di controllo del Parlamento e del Consiglio, che prevede la procedura di regolamentazione con controllo (in prosieguo "PRCC").

2.2.3

La PRCC è stata utilizzata per adottare misure di esecuzione intese a modificare elementi non essenziali degli atti legislativi di base. Questa formulazione, che figura all'articolo 5 bis della decisione sulla comitatologia (6), è molto vicina alla definizione degli atti delegati. Infatti, un atto delegato come definito all'articolo 290 del TFUE è un atto quasi legislativo adottato dalla Commissione allo scopo di integrare o modificare "elementi non essenziali dell'atto legislativo".

2.2.4

Ed è proprio in ragione di questa somiglianza che, tra il 2009 e il 2014, l'articolo 5 bis della decisione sulla comitatologia e la PRCC restano provvisoriamente validi, dato che l'obiettivo della Commissione è utilizzare questo limitato lasso di tempo per adattare al regime degli atti delegati le disposizioni esistenti che prevedono una PRCC.

2.2.5

Su "richiesta" del Parlamento europeo (7), appoggiata dal Consiglio (8), la Commissione ha dunque intrapreso, un'operazione di "allineamento" di una serie di regolamenti, direttive e decisioni.

Scopo delle proposte di "regolamenti omnibus" sulle quali il CESE è chiamato a pronunciarsi è appunto quello di procedere in blocco a tale allineamento.

3.   Le proposte della Commissione

3.1

La Commissione ha già pubblicato due proposte di regolamento:

una relativa ad "una serie di atti giuridici" (COM(2013) 451 final),

l'altra riguardante "una serie di atti giuridici nel settore della giustizia" (COM(2013) 452 final).

Un terzo pacchetto di proposte è ancora allo studio e dovrebbe essere pubblicato in tempi brevi.

3.2

La proposta relativa a "una serie di atti giuridici" mira a far passare dalla PRCC alla procedura di delega 160 atti legislativi (regolamenti, direttive e decisioni) riguardanti undici settori diversi:

reti di comunicazione, contenuti e tecnologie;

occupazione, affari sociali e inclusione;

azione per il clima;

energia;

imprese e industria;

ambiente;

statistiche;

mercato interno e servizi;

mobilità e trasporti;

salute e consumatori;

fiscalità e unione doganale.

3.2.1

Essa consta di una relazione, della vera e propria proposta di regolamento e di un semplice allegato che elenca gli atti interessati dal passaggio dalla PRCC alla procedura di delega.

3.3

La proposta riguardante "una serie di atti giuridici nel settore della giustizia" è contenuta in un testo separato, in quanto tali atti hanno la loro base giuridica nel Titolo V della Parte terza del TFUE e non riguardano tutti gli Stati membri. Infatti, conformemente agli articoli 1 e 2 del protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca allegato al TFUE, questo Stato membro non sarà soggetto al regolamento proposto.

3.3.1

La proposta di regolamento intesa ad adattare all'articolo 290 del TFUE una serie di atti giuridici nel settore della giustizia concerne cinque regolamenti, riguardanti rispettivamente:

l'assunzione delle prove in materia civile o commerciale;

il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati;

il procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento;

il procedimento europeo per le controversie di modesta entità;

la notificazione e la comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale.

4.   Osservazioni generali

4.1

La Commissione propone dei "regolamenti omnibus" volti ad allineare in blocco una serie di regolamenti, direttive e decisioni, anziché presentare una proposta di regolamento per ciascuno degli atti legislativi interessati.

4.1.1

La Commissione aveva già utilizzato questo metodo nel 2006 per introdurre la PRCC. Aveva infatti fatto ricorso a una comunicazione per adattare con urgenza 25 regolamenti e direttive, tra cui in particolare la direttiva 2005/1/CE del 9 marzo 2005 volta a "istituire una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari" (9). Merita citare altresì la comunicazione della Commissione del 2007 relativa all'adattamento alla PRCC di un'altra serie di atti, elencati in 4 allegati (10). In tale occasione il CESE aveva formulato alcune osservazioni e raccomandazioni (11).

4.1.2

La Commissione non aveva mai realizzato un allineamento di tale ampiezza.

4.1.3

Il Comitato constata che le proposte di regolamento in esame delimitano l'ampiezza dei poteri della Commissione, poiché ne definiscono la portata e l'estensione e fissano il termine di cui dispongono il Consiglio e il Parlamento per sollevare un'obiezione.

4.1.4

Questa scelta è comprensibile in un'ottica di semplificazione e accelerazione procedurali, ma pone nondimeno numerose questioni.

a)   Delega di durata indeterminata

4.2

In entrambi i regolamenti proposti, l'articolo 2 dispone che "il potere di adottare atti delegati è conferito alla Commissione per un periodo indeterminato".

4.2.1

Il Comitato rammenta che, ai sensi dell'articolo 290 del TFUE, la durata del potere di delega deve essere espressamente prevista dall'atto legislativo di base, e che finora, salvo qualche rara eccezione, le deleghe sono in linea di massima conferite per un periodo determinato, eventualmente rinnovabile, e comportano l'obbligo di presentare una relazione sull'esecuzione delle stesse.

4.2.2

Ebbene, il Comitato fa notare che la preferenza della Commissione per deleghe a tempo indeterminato (12) non è condivisa dal Parlamento europeo (13). Inoltre, la proposta di "regolamento omnibus" sopprime l'obbligo di presentare relazioni periodiche sull'applicazione delle misure previste negli atti di base (14).

4.2.3

Il CESE si chiede quindi se i regolamenti "di allineamento" proposti dalla Commissione possano spingersi fino a prevedere che il potere di delega sia esercitato per un periodo indeterminato in tutti i casi, quale che sia il settore interessato.

b)   Controllo da parte del Parlamento europeo e del Consiglio

4.3

Inoltre, come indicato dal CESE nella sua relazione informativa sugli atti delegati, il potere delegato è soggetto al controllo del Consiglio e del Parlamento europeo, i quali possono revocarlo in qualsiasi momento, sollevare un'obiezione nei confronti dell'atto delegato della Commissione, di regola entro due mesi dalla data in cui l'atto è stato loro notificato, o comunicare alla Commissione, entro questo stesso termine bimestrale, la loro intenzione di non sollevare alcuna obiezione. Il suddetto termine di due mesi può essere prorogato su richiesta del Parlamento europeo o del Consiglio.

4.3.1

L'articolo 5, paragrafi da 3 a 6, della decisione sulla comitatologia prevedeva un regime complesso, con termini diversi a seconda che le misure previste dalla Commissione fossero o meno conformi al parere del comitato, termini che potevano andare da 4 a 2 mesi a seconda che si trattasse del Consiglio o del Parlamento europeo.

In deroga a questo regime "normale", l'articolo 5 bis, paragrafo 5, punto b), della decisione disponeva che questi termini potessero essere abbreviati, "in casi eccezionali debitamente motivati", per "ragioni di efficienza", senza peraltro fissare alcun termine preciso.

Inoltre, il paragrafo 6 di quello stesso articolo prevedeva un regime speciale, con un termine di un mese obbligatoriamente previsto già nell'atto di base, per casi ben precisi in cui il regime normale non poteva essere applicato "per imperativi motivi di urgenza".

4.3.2

L'articolo 2, paragrafo 6, della proposta di regolamento relativo all'adattamento all'articolo 290 del TFUE di una serie di atti giuridici, fa riferimento a questa possibilità di deroga, ma si limita a disporre che, "in casi eccezionali debitamente motivati", il termine normale entro cui Consiglio e Parlamento europeo possono opporsi all'atto delegato possa essere riportato a un mese (15).

4.3.3

Il nuovo regime proposto sembra restringere il margine di manovra di cui dispongono il Consiglio e il Parlamento europeo per esercitare i loro poteri di controllo.

4.3.4

Il Comitato si chiede in particolare se il Consiglio e il Parlamento europeo possano esercitare effettivamente tali poteri di controllo su 165 atti delegati entro dei termini così brevi.

c)   Elementi non essenziali

4.4

Il Comitato rammenta, come ha già fatto nella sua relazione informativa, che la procedura di delega mira all'adozione di atti delegati riguardanti elementi "non essenziali" previsti in atti legislativi adottati congiuntamente dal Consiglio e dal Parlamento europeo.

4.4.1

Le proposte di regolamento in esame riguardano dodici settori diversi.

4.4.2

Poiché la natura giuridica esatta degli atti delegati è piuttosto vaga e i settori interessati da queste proposte di regolamento sono tanto estesi quanto sensibili, ci si può chiedere, come meglio si chiarirà più avanti, se determinate misure abbiano effettivamente carattere "non essenziale".

4.4.3

Inoltre, la nozione di "misura non essenziale" viene interpretata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in maniera variabile a seconda dei settori interessati. Così, il 5 settembre 2012 la grande sezione della Corte ha riconosciuto che la materia dei diritti fondamentali delle persone rientra tra le prerogative del legislatore e non può quindi mai essere delegata alla Commissione (16).

4.4.4

Peraltro, la Corte non ha ancora avuto occasione di pronunciarsi sull'attuazione in quanto tale della competenza delegata della Commissione. Essa è soltanto stata investita, per la prima volta, in una causa detta "dei biocidi", di un ricorso per annullamento proposto dalla Commissione contro l'articolo 80, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 528/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012 (17).

Dato che il ricorso è stato introdotto il 19 settembre 2012, la Corte dovrebbe pronunciarsi non prima della fine del 2013 o dell'inizio del 2014, udite le conclusioni dell'Avvocato generale.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Nella maggior parte delle proposte in esame in questo parere, la Commissione adatta in modo appropriato e ragionevole la PRCC al regime degli atti delegati previsto dall'articolo 290 del TFUE. Alcune fattispecie, tuttavia, sollevano dei dubbi e delle difficoltà particolari.

a)   Imprecisioni quanto al regime previsto

5.2

La maggior parte degli atti giuridici interessati dall'allineamento contiene un espresso riferimento all'articolo 5 bis della decisione sulla comitatologia modificata dalla decisione del Consiglio del 17 luglio 2006 (18), che "ha introdotto la procedura di regolamentazione con controllo per l'adozione di misure di portata generale e intese a modificare elementi non essenziali di un atto di base". Tuttavia, questa modifica del regime stabilito con la decisione del 28 giugno 1999 è entrata in vigore solo il 24 luglio 2006.

5.2.1

Così, nessuno degli atti legislativi oggetto dell'"allineamento" adottati prima di quella data indica con precisione quali misure siano soggette alla PRCC. Infatti, è solo con la decisione del luglio 2006 che all'articolo 2 della decisione del giugno 1999 è stato aggiunto un paragrafo 2, il quale prevede, per la prima volta, l'adozione di misure di portata generale intese a modificare elementi non essenziali di un atto di base.

5.2.2

Tutti questi atti legislativi, dunque, contengono tutt'al più formule (19) quali: "le misure necessarie per l'attuazione della presente direttiva devono essere adottate conformemente alle disposizioni della decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999", "la Commissione è assistita da un comitato" o "nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 8 della stessa".

5.2.3

Il Comitato rammenta poi che, con il passaggio dalla PRCC al regime di delega, viene abolita la consultazione dei comitati richiesta dalla procedura di regolamentazione con controllo. Il requisito del parere del comitato è invece mantenuto per le misure di esecuzione previste dall'articolo 291 del TFUE.

5.2.4

Viene quindi soppressa una fase del controllo del carattere "non essenziale" di determinati elementi dell'atto legislativo di base.

5.2.5

Nell'elenco allegato al regolamento proposto dalla Commissione figurano atti giuridici anteriori alla decisione sulla comitatologia. Tali atti erano stati pubblicati prima che la procedura di comitatologia venisse sistematizzata, per cui i riferimenti alle relative misure in essi contenuti sono estremamente vaghi: ad esempio, nella direttiva del 20 maggio 1975 relativa agli aerosol (20) si parla di "adeguare al progresso tecnico".

b)   Individuazione del campo d'applicazione

5.3

L'individuazione del campo d'applicazione dell'articolo 5 bis agli "elementi non essenziali" di taluni atti legislativi di base lascia talvolta a desiderare. Ad esempio, una formula generica, priva di ulteriori precisazioni, come quella che figura nel regolamento (CE) n. 661/2009 sulla sicurezza generale dei veicoli a motore - "le misure (…) intese a modificare elementi non essenziali del presente regolamento" - non è affatto soddisfacente.

5.3.1

In certi casi, poi, l'articolo 5 bis si applica ad elementi il cui carattere "non essenziale" è quantomeno dubbio. È il caso, ad esempio:

del regolamento (CE) n. 715/2009, per quanto attiene agli orientamenti sulle condizioni di accesso alle reti di trasporto di gas naturale (articolo 23);

del regolamento (CE) n. 714/2009, per quanto attiene agli orientamenti relativi al meccanismo di compensazione fra gestori di reti di trasmissione transfrontaliera di energia elettrica;

degli articoli 23, paragrafi 1 e 4, e 40, paragrafo 3, della direttiva 2006/123/CE, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, per quanto attiene all'idoneità, considerate la natura e la portata del rischio, dell'assicurazione contro la responsabilità professionale;

degli articoli 12, 34, paragrafo 1, e 35, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1371/2007, del 23 ottobre 2007, per quanto attiene all'assicurazione contro la responsabilità per i danni subiti dai passeggeri nel trasporto ferroviario;

c)   Settori connessi con diritti fondamentali

5.4

Misure apparentemente "non essenziali", come l'adattamento degli allegati di talune direttive, possono nondimeno suscitare dubbi quanto alle loro conseguenze sulla tutela di determinati diritti fondamentali.

5.4.1

In proposito si possono citare, a titolo di esempio:

gli allegati al regolamento (CE) n. 1338/2008, del 16 dicembre 2008, relativo alle statistiche comunitarie in materia di sanità pubblica e di salute e sicurezza sul luogo di lavoro (articoli 9 e 10, paragrafo 2);

i temi da coprire nel censimento della popolazione e delle abitazioni (regolamento (CE) n. 763/2008 del 9 luglio 2008);

gli allegati alla direttiva 2006/126/CE, del 20 dicembre 2006, concernente la patente di guida;

le deroghe agli allegati al regolamento (CE) n. 183/2005, del 12 gennaio 2005, che stabilisce requisiti per l'igiene dei mangimi (articolo 28 e articolo 31, paragrafo 2);

gli allegati al regolamento (CE) n. 852/2004, del 29 aprile 2004, sull'igiene dei prodotti alimentari (articolo 13, paragrafo 2, e articolo 14);

la modifica degli allegati contenenti i moduli da utilizzare per l'esercizio di determinati diritti, ad esempio riguardo al titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati (regolamento (CE) n. 805/2004, del 21 aprile 2004), nell'ambito del procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento (regolamento (CE) n. 1896/2006, del 12 dicembre 2006) o del procedimento europeo per le controversie di modesta entità (regolamento (CE) n. 861/2007, dell'11 luglio 2007), oppure ancora in materia di notificazione e comunicazione degli atti giudiziari ed extragiudiziali (regolamento (CE) n. 1393/2007, del 13 novembre 2007).

5.4.2

Vale infine la pena di segnalare anche dei casi più sensibili, come quelli in cui una parte fondamentale della normativa su una certa materia sarà prevista da atti delegati. Rientrano tra questi casi, ad esempio:

la procedura stabilita dal regolamento (CE) n. 868/2004, del 21 aprile 2004, per assicurare "la protezione contro le sovvenzioni e le pratiche tariffarie sleali che recano pregiudizio ai vettori aerei comunitari nella prestazione di servizi di trasporto aereo da parte di paesi non membri della Comunità europea";

o la definizione degli elementi costitutivi del TAEG nel quadro del credito al consumo (articolo 19, paragrafo 5, e articolo 25, paragrafo 2, della direttiva 2008/48/CE, del 23 aprile 2008).

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2009) 673 final del 9 dicembre 2009.

(2)  Doc. A7-0072/2012.

(3)  Relazione informativa sul tema Legiferare meglio: atti di esecuzione e atti delegati http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.fr.int-opinions&itemCode=24245.

(4)  GU L 55 del 28.2.2011, pag. 13.

(5)  GU L 184 del 17.7.1999, pag. 23.

(6)  Introdotto con decisione del Consiglio del 17 luglio 2006 (GU L 200 del 22.7.2006, pag. 11).

(7)  Risoluzione del PE del 5 maggio 2010 (P7-TA (2010) 0127), punto 18.

(8)  Dichiarazioni della Commissione GU L 55 del 28.2.2011, pag. 19.

(9)  COM(2006) 900 a 926 final.

(10)  COM(2007) 740 final, COM(2007) 741 final, COM(2007) 824 final, COM(2007) 822 final e COM(2008) 71 final.

(11)  GU C 161 del 13.7.2007, pag. 45 e GU C 224 del 30.8.2008, pag. 35.

(12)  COM(2009) 673 final del 9 dicembre 2009, punto 3.2.

(13)  Intesa comune, punto IV.

(14)  Ad esempio 3 anni nella direttiva 2006/21/CE, del 15 marzo 2006, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive.

(15)  Al contrario, la proposta di regolamento intesa ad adattare all'articolo 290 del TFUE una serie di atti giuridici nel settore della giustizia non prevede affatto questa possibilità.

(16)  Causa C-355/10, Parlamento europeo/Consiglio dell'UE, relativa alla sorveglianza delle frontiere marittime esterne dell'Unione e segnatamente al potere delle guardie di frontiera di sbarcare persone immigrate nel paese terzo da cui era partita la nave posta in stato di fermo.

(17)  Causa C 427/12, Commissione/Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea. La norma impugnata del regolamento (UE) n. 528/2012 relativo alla messa a disposizione sul mercato e all'uso dei biocidi prevede, al fine di stabilire le tariffe dovute all’Agenzia europea per le sostanze chimiche, l'adozione di un atto di esecuzione ai sensi dell'articolo 291 del TFUE anziché di un atto delegato conformemente all'articolo 290 del TFUE. Secondo la Commissione, invece, l'atto che le viene richiesto di adottare sulla base dell'articolo 80, paragrafo 1, del suddetto regolamento si configurerebbe piuttosto come un atto delegato ai sensi dell'articolo 290 del TFUE, in quanto è diretto a completare taluni elementi non essenziali dell'atto legislativo.

(18)  GU L 200 del 22.7.2006, pag. 11.

(19)  Si veda ad esempio la direttiva 2006/25/CE, la direttiva 89/391/CEE o la direttiva 2003/10/CE.

(20)  Un modo corretto di far riferimento al "progresso tecnico e scientifico" può riscontrarsi invece nel regolamento CE 1272/2008, del 16 dicembre 2008, relativo all'etichettatura e all'imballaggio, oppure nella direttiva 2008/56/CE, del 17 giugno 2008, sulla strategia per l'ambiente marino.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di raccomandazione del Consiglio su misure efficaci per l’integrazione dei Rom negli Stati membri

COM(2013) 460 final — 2013/0229 (NLE)

2014/C 67/22

Relatore: TOPOLÁNSZKY

La Commissione europea, in data 26 giugno 2013, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 19, paragrafo 1, e 22 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di raccomandazione del Consiglio su misure efficaci per l'integrazione dei Rom negli Stati membri

COM(2013) 460 final — 2013/0229 (NLE).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 17 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, 4 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di raccomandazione del Consiglio presentata dalla Commissione europea, e riconosce suo malgrado l'esigenza del pacchetto di misure che la accompagna, che può essere considerato anche come una sorta di programma minimo di attuazione.

1.2

Il CESE si rammarica del fatto che, come indicato anche nella relazione introduttiva alla raccomandazione, la realizzazione degli obiettivi della strategia quadro a livello europeo incontra costantemente serie difficoltà in termini di attuazione e di impegno politico a livello nazionale, regionale e locale.

1.3

Il CESE richiama l'attenzione riguardo alle lacune segnalate nei documenti di analisi delle organizzazioni della società civile sulla strategia quadro e sui programmi strategici nazionali. È indispensabile prendere sul serio e rimediare a tali lacune, sulla base delle indicazioni fornite dalle parti in causa, definendo e attuando entro una scadenza determinata delle risposte efficaci e organiche a livello di politiche pubbliche.

1.4

Il CESE reputa troppo generica la parte della proposta dedicata alle misure politiche orizzontali, e invita il Consiglio a svilupparla ulteriormente e a definire requisiti molto più concreti per i quattro settori che vi sono delineati, sostenendone l'attuazione con una presentazione delle migliori pratiche richieste.

1.5

Il CESE ritiene, in considerazione delle conclusioni esposte nella relazione introduttiva alla proposta di raccomandazione (1) e del deterioramento della situazione socioeconomica dovuto alla crisi, che il Consiglio dovrebbe avvalersi della propria facoltà di adottare degli atti giuridici vincolanti per rimediare in particolare alle situazioni di disagio e di povertà estrema, pericolose per la vita dei cittadini, e per lottare contro gli effetti più estremi della discriminazione, del razzismo e dell'antiziganismo.

1.6

Specie in presenza di condizioni di vita estremamente sfavorite, il CESE auspica che vengano definiti quadri chiari di applicazione dei diritti umani e che si proceda all'elaborazione, da tempo necessaria, di indicatori e di riferimenti che consentano di valutare tali condizioni.

1.7

Il CESE raccomanda che l'attuazione della strategia sia valutata da gruppi di ricercatori indipendenti, che abbiano i necessari strumenti giuridici ed offrano le garanzie necessarie in materia di etica della ricerca, al fine di assicurare il finanziamento e la trasparenza nell'uso dei fondi.

1.8

Occorre rafforzare, mediante garanzie giuridiche e di altro tipo, il funzionamento delle autorità responsabili della parità di trattamento, in quanto attori essenziali della politica di lotta contro la discriminazione, nonché il funzionamento dei punti di contatto nazionali, che svolgono un ruolo essenziale nell'attuazione delle strategie, e la collaborazione di tali organi diversi con i gruppi interessati.

1.9

Per accrescere l'efficacia dell'attuazione delle strategie e rimediare alla perdita di fiducia constatata negli ambienti interessati, è fondamentale garantire il reale coinvolgimento e l'effettiva mobilitazione dei Rom in tutti i settori di intervento. Il CESE raccomanda e attende un ampliamento del quadro concettuale della cooperazione, nonché una cultura del consenso che vada al di là della semplice consultazione, e formula proposte in tal senso.

1.10

Il CESE ribadisce che i soggetti decisionali devono distanziarsi chiaramente dalle preoccupanti dichiarazioni contro i Rom, venate di razzismo, violenza e gravemente discriminatorie. Occorre inoltre denunciare e sorvegliare apertamente e in modo coerente i fenomeni di violenza razzista e i discorsi di incitamento all'odio, ed elaborare strumenti giuridici, amministrativi, regolamentari e di comunicazione che permettano di lottare efficacemente contro tali fenomeni.

2.   Contesto

2.1

Il 5 aprile 2011 la Commissione ha adottato un Quadro dell'UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020 (2), creando finalmente, dopo una lunga attesa, la possibilità di procedere a un'azione concertata per ridurre la povertà estrema e l'esclusione sociale che riguardano anche i Rom. Nel giugno 2011 il Consiglio europeo ha approvato tale documento (3) e ha invitato gli Stati membri ad adottare entro la fine del 2011 delle strategie nazionali di integrazione dei Rom.

2.2

Il Quadro prevede che la Commissione europea riferisca ogni anno sui progressi conseguiti nell'attuazione delle strategie. Nel 2012 la Commissione ha valutato per la prima volta (4) le strategie nazionali presentate dagli Stati membri, adottando conclusioni orizzontali e, in un documento allegato, indicazioni specifiche sui punti di forza e sulle carenze di ciascuna strategia nazionale (5).

2.3

Le associazioni rappresentative dei Rom hanno seguito con grande attenzione l'elaborazione di tali strategie, hanno espresso i loro giudizi o riserve in vari documenti, e hanno effettuato una propria valutazione delle strategie (6).

2.4

Tutte queste analisi hanno rivelato importanti lacune nelle strategie degli Stati membri. Secondo le organizzazioni della società civile, i contenuti orizzontali e i loro difetti costituiscono un problema importante. Tra le suddette lacune si citano le seguenti:

a)

insufficienza delle misure di lotta contro la discriminazione;

b)

mancanza di misure intese a promuovere il "pieno accesso";

c)

mancanza di misure intese a riconoscere e rafforzare la dignità umana dei Rom e della loro comunità;

d)

mancanza di misure intese ad attenuare le disparità e gli svantaggi particolarmente gravi osservati nella società Rom (in particolare le difficoltà specifiche incontrate da donne e bambini Rom);

e)

mancanza di misure rivolte a mobilitare ed a incoraggiare i Rom, le loro comunità e le loro organizzazioni della società civile in vista dell'attuazione delle strategie.

2.5

I suddetti documenti di analisi della Commissione europea non menzionano le fondamentali lacune riscontrate nelle strategie degli Stati membri. Non vi figura una condanna o un appello a mettere un freno o a porre fine alle molteplici e, per giunta, tra le più gravi manifestazioni di handicap socioculturali che a volte ledono i diritti umani. Non si insiste per esempio a sufficienza su violazioni dei diritti umani come:

a)

la tratta di esseri umani che si sviluppa di pari passo con la prostituzione e il problema dell'occupazione in condizioni di schiavitù;

b)

il diritto fondamentale delle donne Rom di disporre del proprio corpo e di accedere liberamente alla pianificazione familiare, come pure i casi di sterilizzazione forzata, praticata senza il consenso dell'interessata;

c)

le forme estreme di miseria e di povertà che costituiscono una violazione dei diritti umani, la mancata soddisfazione delle esigenze vitali (per esempio l'accesso all'acqua potabile, alle prestazioni sanitarie o alle infrastrutture igieniche per coloro che vivono in periferia o in accampamenti, ecc.);

d)

infine le lacune riscontrate negli obiettivi e nelle misure di lotta contro il razzismo, intesi a garantire la sicurezza della vita e dei beni dei Rom e delle loro comunità, come pure i loro diritti, e a rafforzare la protezione contro le aggressioni razziste.

2.6

Il CESE ha dedicato due pareri alla strategia quadro e alle strategie nazionali di integrazione dei Rom. Il parere precedente (7), che verte sul rafforzamento dell'autonomia sociale e sull'integrazione dei Rom, esprime un giudizio positivo sulla strategia quadro; per quanto riguarda la concezione e l'attuazione successive, menziona l'esigenza di un approccio triplo (politica di integrazione neutrale sotto il profilo razziale ed etnico, politica volta a sostenere l'autonomizzazione di coloro che si considerano membri di una comunità Rom e a sancire l'integrazione sociale che hanno raggiunto, politica generale e pubblicità antirazziste), e formula ulteriori proposte.

2.7

Nel supplemento di parere, il CESE (8), facendo riferimento a uno studio realizzato nel 2012, richiama l'attenzione sulla perdita di fiducia osservata tra gli esponenti più autorevoli della società Rom, e presenta di conseguenza delle proposte riguardanti in particolare l'integrazione dei Rom e la promozione della loro partecipazione.

3.   Considerazioni generali

3.1

In considerazione della situazione dei Rom, degli effetti della crisi e dei livelli estremamente variabili di impegno degli Stati membri, il CESE riconosce, pur deplorandola, la necessità della raccomandazione del Consiglio e ne approva gli obiettivi. Ritiene d'altro canto che il pacchetto di misure derivanti da tale raccomandazione possa essere percepito come una sorta di programma minimo di attuazione, in certi casi troppo generico e troppo poco operativo per poter realizzare gli obiettivi menzionati nel documento.

3.2

Secondo la relazione introduttiva alla proposta della Commissione, tale documento è inteso "ad accelerare i progressi, richiamando l'attenzione degli Stati membri su una serie di misure concrete indispensabili per un'attuazione più efficace delle rispettive strategie". Il CESE si rammarica del fatto che tale finalità faccia al tempo stesso intendere che la realizzazione degli obiettivi della strategia quadro a livello europeo incontra costantemente serie difficoltà in termini di attuazione e di impegno politico a livello nazionale, regionale e locale.

3.3

Il CESE fa osservare che se non si vuole mancare ancora una volta il momento politico favorevole per quanto riguarda l'integrazione dei Rom, cosa che rappresenterebbe un rischio grave sia per gli obiettivi dell'Unione europea che per l'evoluzione delle condizioni di vita delle persone in questione, occorrerebbe adottare, con la partecipazione delle organizzazioni Rom e della società civile interessate e pertinenti, e nel quadro di un'ampia consultazione, un elenco di raccomandazioni corredato da un sistema di analisi fattuale, veramente ambiziosa e controllabile, composta da elementi sufficientemente concreti ed operativi ed aperta a una valutazione.

3.4

Il CESE ritiene che le raccomandazioni politiche che figurano nella proposta siano utili e debbano essere ampiamente sostenute come elenco ristretto di interventi da attuare in modo incondizionato. Constata d'altro canto che tali raccomandazioni definiscono un quadro d'azione troppo ristretto e non sono sempre abbastanza ambiziose; propone quindi con insistenza che l'elenco delle raccomandazioni venga ampliato e integrato mediante strumenti di controllo e di monitoraggio.

3.5

Il CESE ritiene che la parte della proposta vertente sulle misure politiche orizzontali sia debole, e invita il Consiglio a sviluppare ulteriormente i quattro settori che vi sono trattati (lotta contro le discriminazioni, protezione delle donne e dei bambini Rom, riduzione della povertà e inclusione sociale, autonomizzazione sociale dei Rom) e a definire requisiti ben più concreti, offrendo al tempo stesso in tale contesto alcune indicazioni sulle migliori pratiche previste.

3.6

Il CESE non ritiene soddisfacente l'argomentazione esposta nel documento, secondo cui "la scelta di uno strumento [giuridico] non vincolante mira a fornire agli Stati membri orientamenti pratici sul problema dell'integrazione sociale dei Rom, ma senza stabilire regole vincolanti", perché, "secondo i dati di cui dispone la Commissione, non esistono ancora misure forti e proporzionate per affrontare i problemi sociali ed economici che affliggono gran parte della popolazione Rom". Nell'attuale periodo di crisi, se questa non viene gestita in maniera appropriata e mirata, i gruppi Rom, che sono particolarmente esposti anche alla segregazione, alla discriminazione e alla povertà estrema, soffriranno in maniera sproporzionata degli effetti di tale crisi, quando questa già rappresenta per essi un problema insopportabile e intollerabile. Il CESE ritiene pertanto che la situazione richieda da parte dei soggetti decisionali delle soluzioni e degli interventi immediati ed efficaci, anche in termini di opponibilità dei diritti.

3.7

Il CESE ritiene quindi, in considerazione delle conclusioni esposte nella relazione introduttiva alla proposta di raccomandazione (9), che il Consiglio dovrebbe avvalersi della propria facoltà di adottare degli atti giuridici vincolanti per rimediare in particolare alle situazioni di disagio e di povertà estrema, pericolose per la vita dei cittadini, e per lottare contro gli effetti più estremi della discriminazione, del razzismo e dell'antiziganismo. La necessità di tali misure è dovuta proprio alle evidenti mancanze in termini di legislazione e di giurisprudenza che si constatano al livello degli Stati membri (10).

4.   Raccomandazioni specifiche

4.1

Il CESE raccomanda ai servizi competenti dell'Unione europea di riconsiderare i loro compiti direttamente connessi all'applicazione dei diritti fondamentali dei Rom e dei diritti delle minoranze, al di fuori del metodo aperto di coordinamento, in particolare per quanto riguarda le questioni menzionate più in alto. A questo proposito, il CESE ritiene necessario:

a)

che l'Unione definisca esattamente e con precisione quali sono, nel quadro delle sue competenze, i criteri sui quali si basa per stabilire che vi è stata una violazione dei diritti umani di seconda e terza generazione stabiliti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, e verifichi nella stessa occasione in quali casi, allorché sospetti una violazione di tali diritti, essa intraprenda un'azione in giustizia nel proprio settore di competenza;

b)

che l'Unione interpreti e adatti tali diritti fondamentali e delle minoranze in funzione della situazione e degli handicap sociali che potrebbero colpire i Rom in misura superiore alla media;

c)

che essa definisca, con la partecipazione di Eurostat e grazie all'interpretazione delle statistiche dell'Unione europea sui redditi e sulle condizioni di vita (EU-SILC), degli indicatori di reddito e di privazione che non evidenzino soltanto le soglie di povertà estrema e di miseria, ma anche l'esistenza di condizioni che compromettono i diritti umani e costituiscono un quadro indegno di un essere umano;

d)

che vengano estese a tale settore le tecniche applicate sinora solo eccezionalmente, per esempio, oltre all'analisi della situazione della popolazione povera, avente redditi inferiori al 50 e al 60 % del reddito mediano, analizzare anche la situazione della popolazione il cui livello di reddito si colloca intorno al 30 % (25 %), oppure utilizzare, oltre agli indici di discriminazione "aggregati" applicati attualmente, gli indicatori della "discriminazione marginale", che rivelano un'esclusione particolarmente grave sotto forma di privazione grazie a indicatori molto sensibili (come quelli relativi al comfort o al sovraffollamento dell'alloggio).

4.2

Il CESE propone che, in seguito al riesame delle strategie, sia data la priorità alla preservazione delle tradizioni linguistiche e culturali che costituiscono il fondamento dell'identità Rom, nonché al sostegno sociale e di bilancio.

4.3

A giudizio del CESE è indispensabile, ai fini della realizzazione delle strategie nazionali di integrazione dei Rom, che gli Stati membri dedichino particolare attenzione al controllo legislativo e giurisprudenziale delle politiche connesse e procedano a correzioni dei loro eventuali sforzi di lotta contro la discriminazione, attuando a tal fine meccanismi efficaci.

4.4

Al fine di promuovere l'integrazione dei Rom e la loro indipendenza materiale, il CESE attende in particolare dagli Stati membri una risposta all'altezza delle esigenze e l'attuazione dei programmi in favore dell'occupazione e dell'imprenditorialità, e dei programmi di formazione professionale. Il CESE li invita con insistenza a rafforzare gli strumenti giuridici in grado di motivare efficacemente le imprese ad assumere dei Rom. Per le comunità Rom che vivono in condizioni di isolamento, il cui tasso di occupazione è da tempo estremamente basso, e che risentono di una discriminazione molto forte sul mercato del lavoro, bisogna introdurre forme innovative di politiche occupazionali, ad esempio un numero sufficiente di posti di lavoro adatti sovvenzionati con fondi pubblici.

Seguito e valutazione

4.5

Il CESE si rammarica del fatto che l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali e gli Stati membri non abbiano ancora potuto definire gli indicatori e i punti di riferimento che costituiscono la prima condizione per la valutazione delle strategie e dei programmi di intervento, né le metodologie e i requisiti in questo campo, che condizionano una raccolta di dati e una mappatura della situazione adeguati e indipendenti (11). Le attuali pratiche di monitoraggio e di valutazione degli Stati membri si limitano spesso a rapporti eseguiti senza un vero e proprio metodo di valutazione, fondati eventualmente su dati, e non di rado i risultati prodotti sono privi di qualsiasi fondamento.

4.6

Il CESE propone di affidare le missioni di valutazione a gruppi di ricercatori e istituti selezionati mediante gare d'appalto aperte, professionali e senza affiliazioni politiche, la cui indipendenza possa essere rafforzata anche mediante strumenti giuridici diversi (ad esempio mediante l'introduzione di una dichiarazione di assenza di conflitti di interesse, regole di trasparenza finanziaria e in materia di utilizzazione dei fondi, controllo da parte della comunità scientifica, sorveglianza del metodo di ricerca, ecc.) (12).

Raccomandazioni politiche

4.7

La situazione giuridica delle autorità per la parità di trattamento dev'essere rafforzata, al di là del loro finanziamento programmabile, trasparente e adeguato, affinché i poteri politici non siano per quanto possibile in grado di influenzarne il funzionamento, ma vigilino nondimeno sul mantenimento delle necessarie condizioni di attività. Le autorità incaricate di garantire la parità di trattamento dovranno anche avere legami ravvicinati e permanenti con le pertinenti associazioni di rappresentanza dei Rom, al di là degli appositi punti di contatto.

4.8

I punti di contatto nazionali per i Rom devono svolgere le loro funzioni in totale trasparenza sia in teoria che in pratica. La loro attività è essenziale ai fini della realizzazione della strategia quadro. Occorre garantire per via giuridica i diritti dei punti di contatto, come quelli degli organismi nazionali incaricati della programmazione e dell'attuazione delle politiche sociali riguardanti i Rom, affinché questi possano esercitare una funzione di sorveglianza e dare il loro parere sulle procedure legislative legate alle politiche governative che riguardano anche i Rom, nonché influire su tali politiche, per fare in modo che i relativi effetti non si indeboliscono a vicenda. I punti di contatto per i Rom hanno l'obbligo di informare le associazioni rappresentative della società civile Rom, pubblicando ad esempio i rapporti annuali dei valutatori indipendenti, il cui contenuto non è assoggettato ad alcuna influenza politica, oppure organizzando convegni specializzati.

4.9

Il CESE considera difficilmente realizzabile l'obiettivo menzionato nel punto 5.1 della proposta di raccomandazione, in base al quale "gli Stati membri dovrebbero adottare le misure necessarie per assicurare che la presente raccomandazione sia applicata al più tardi [24 mesi dopo la sua pubblicazione] e notificare alla Commissione le misure adottate in conformità della stessa"; a tal fine occorrerebbe evitare che gli Stati membri possano essere esentati dall'obbligo di attuare la strategia quadro dell'Unione europea e i propri impegni. Infatti, la proposta attuale, in termini di contenuto, non rappresenta che una parte di un più esteso sistema di requisiti definiti dalla strategia quadro in un ampio contesto e soggetti a valutazione annuale da parte della Commissione.

Integrazione e partecipazione dei Rom

4.10

A giudizio di vari esperti e di diverse organizzazioni della società civile Rom, che condividono in parte la valutazione della Commissione europea in materia, le politiche e i meccanismi attuali di aiuto degli Stati membri non permettono, in taluni casi, di trattare la questione dell'integrazione dei Rom con sufficiente efficacia e non hanno sempre come punto di partenza e filo conduttore un approccio basato sui diritti umani (13). Nel frattempo, purtroppo, si constata in vari paesi un aumento dell'esclusione dei Rom. Tale situazione è dovuta principalmente alla costante discriminazione contro i Rom, all'antiziganismo profondamente radicato, cui i soggetti incaricati di applicare la legge non dedicano la necessaria attenzione. Come è indicato nella relazione introduttiva alla proposta di raccomandazione "al cuore del problema è la stretta connessione tra la discriminazione e l'esclusione sociale subite dai Rom" (14).

4.11

A giudizio del CESE, qualsiasi politica di inclusione dovrebbe mirare principalmente ad eliminare gli effetti negativi reciproci esercitati da tali meccanismi. In tale contesto gli strumenti principali sono in particolare l'integrazione dei Rom e la promozione della loro partecipazione, l'autonomizzazione sociale delle organizzazioni Rom e lo sviluppo delle loro capacità. Ciò è possibile solo nel quadro di un'autentica cultura dell'accettazione, in cui la politica nei confronti dei Rom si basi effettivamente sui veri interessati, e nella quale i Rom non siano considerati esclusivamente come beneficiari, ma anche come soggetti di pari valore, la cui partecipazione è indispensabile. Occorre modificare l'approccio paternalista del passato, i cui processi erano definiti dai leader d'opinione e dai principali soggetti decisionali della società, e riconoscere e accettare i Rom come membri responsabili della società, in grado di influire attivamente sul proprio destino e pronti a farlo.

4.12

Il CESE rinvia a un precedente parere (15) nel quale affermava, sulla base di uno studio, l'esistenza di un livello elevato di insoddisfazione, di una frustrazione e sfiducia diffuse presso gli esponenti più autorevoli della società Rom, le organizzazioni della società civile e i loro rappresentanti. Secondo tale parere del CESE "malgrado le intenzioni annunciate, le organizzazioni interessate non sono state coinvolte adeguatamente nell'elaborazione delle strategie, non sono stati messi a punto meccanismi validi di coinvolgimento o, a causa di un'esperienza spesso secolare di discriminazione e di segregazione, non si è riusciti a ispirare nei rappresentanti delle comunità interessate un livello adeguato di fiducia nei processi attuali". Uno studio condotto nello stesso periodo dall'ERPC è pervenuto alle stesse conclusioni (16).

4.13

Per quanto riguarda i cambiamenti di approccio sociale e decisionale, il CESE osserva che tale processo non è pensabile senza la partecipazione dei Rom e delle organizzazioni della società civile che lavorano con essi alla concezione, all'attuazione e alla valutazione delle politiche a tutti i livelli. Il CESE ritiene necessario definire indicatori che consentano di misurare adeguatamente il grado di integrazione e di partecipazione dei Rom (per esempio amministrazione locale o centrale, dati relativi alla scolarizzazione, tasso di partecipazione all'attuazione dei programmi, ecc.).

4.14

Il CESE auspica e attende l'ampliamento del quadro concettuale della cooperazione, una cultura del consenso che vada al di là della semplice consultazione, l'attuazione delle piattaforme di dialogo permanente (anche a livello locale), la creazione di meccanismi organizzativi adeguati per la partecipazione, una maggiore trasparenza delle decisioni dei poteri pubblici (a livello locale), e una giustificazione delle decisioni (che tenga conto anche delle divergenze di opinioni e dei risultati del voto).

4.15

Il CESE propone che venga garantito, come si è detto in precedenza, un fondo di aiuti (ad esempio come sezione del programma Europa per i cittadini) in favore dell'integrazione e dell'autonomizzazione sociale dei Rom, nonché dello sviluppo delle capacità delle loro organizzazioni non governative. Il programma operativo del Fondo sociale europeo, o più esattamente la garanzia dei programmi di sostegno che prevedono un'assistenza tecnica, sarebbero altrettanto importanti per lo sviluppo delle capacità istituzionali delle organizzazioni Rom.

4.16

I soggetti decisionali devono distanziarsi chiaramente dalle preoccupanti dichiarazioni contro i Rom, venate di razzismo, violenza e gravemente discriminatorie. Occorre denunciare e sorvegliare apertamente e in modo coerente i fenomeni di violenza razzista e i discorsi di incitamento all'odio, ed elaborare strumenti giuridici, amministrativi, regolamentari e di comunicazione che permettano di lottare efficacemente contro tali fenomeni. In tale contesto, i creatori d'opinione, e in particolare l'élite politica e mediatica, hanno una responsabilità particolare. Il CESE propone di eseguire, con metodologie uniformi, ricerche sistematiche sui pregiudizi, e di creare strumenti adatti a incoraggiare le politiche in questo campo, la relativa attuazione e l'intensificazione degli sforzi, qualora i risultati evidenzino una tendenza negativa.

4.17

Il CESE richiama con particolare enfasi l'attenzione degli Stati membri sul fatto che, per affrontare una situazione di segregazione e di discriminazione che risale a varie generazioni fa e si ripercuote su tutte le dimensioni della vita degli interessati, non basta attuare dei programmi sotto forma di progetti incentrati su una particolare problematica, bensì è indispensabile, oggi, optare per un approccio sistematico nel perseguimento degli obiettivi della strategia.

Bruxelles, 17 ottobre 2013

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  "[…] sebbene alcuni Stati membri abbiano avuto la possibilità giuridica di prendere provvedimenti per affrontare la questione dell'integrazione dei Rom, le misure finora pianificate non sono sufficienti. In mancanza di un'impostazione coordinata per l'integrazione dei Rom, le discrepanze tra gli Stati membri aumentano."

(2)  COM(2011) 173 final.

(3)  Conclusioni del Consiglio su un quadro UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020.

(4)  COM(2012) 226 final.

(5)  SWD(2012) 133 final.

(6)  Analysis of National Roma Integration Strategies (Analisi delle strategie nazionali di integrazione dei Rom), ERPC, marzo 2012.

(7)  GU C 248 del 25.8.2011, pagg. 16-21.

(8)  GU C 11 del 15.1.2013, pagg. 21-26.

(9)  "[…] sebbene alcuni Stati membri abbiano avuto la possibilità giuridica di prendere provvedimenti per affrontare la questione dell'integrazione dei Rom, le misure finora pianificate non sono sufficienti. In mancanza di un'impostazione coordinata per l'integrazione dei Rom, le discrepanze tra gli Stati membri aumentano."

(10)  "Gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere raggiunti in modo sufficiente dai singoli Stati membri e possono essere realizzati meglio attraverso un'azione coordinata a livello dell'UE, piuttosto che con iniziative nazionali di portata, ambizione ed efficacia variabili." 2013/0229 (NLE), relazione.

(11)  Punto 4.4 della proposta di raccomandazione.

(12)  Il valutatore dovrà redigere una dichiarazione di assenza di conflitti di interesse, in cui indica di non essere dipendente di un governo e di non utilizzare fondi pubblici, cosa che potrebbe nuocere all'indipendenza della valutazione.

(13)  COM(2012) 226 final, SWD(2012) 133 final, Analysis of National Roma Integration Strategies (Analisi delle strategie nazionali di integrazione dei Rom), ERPC, marzo 2012.

(14)  La Coalizione per una politica europea sui Rom (ERPC) raccomanda di basare le strategie nazionali di integrazione dei Rom su un elemento centrale che consiste nella lotta all'antiziganismo. Sebbene l'eliminazione dei divari di reddito, di salute e di istruzione sia importante, non si potrà fare alcun progresso se l'eliminazione dell'antiziganismo non diverrà una priorità delle strategie nazionali di integrazione dei Rom. Analisi finale dell'ERPC.

(15)  GU C 11 del 15.1.2013, pagg. 21-26.

(16)  Una grande maggioranza di intervistati in tutti gli Stati membri ha descritto come poco trasparente il processo di elaborazione delle strategie nazionali per l'integrazione dei Rom. Nella maggior parte dei casi la partecipazione dei soggetti interessati, e in particolare il coinvolgimento dei Rom, nell'attuazione delle strategie nazionali sono poco chiari. Analysis of National Roma Integration Strategies (Analisi delle strategie nazionali di integrazione dei Rom), ERPC, marzo 2012.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/116


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio su una cooperazione rafforzata tra i servizi pubblici per l’impiego (SPI)

COM(2013) 430 final — 2013/0202 (COD)

2014/C 67/23

Relatrice: DRBALOVÁ

Il Parlamento europeo, in data 1o luglio 2013, e il Consiglio, in data 8 luglio 2013, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 149 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio su una cooperazione rafforzata tra i servizi pubblici per l'impiego (SPI)

COM(2013) 430 final — 2013/0202 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 17 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 174 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva la proposta della Commissione di istituire una rete europea dei servizi pubblici per l'impiego (SPI) che servirà da punto di partenza per comparare le rispettive prestazioni su scala europea, individuare le buone pratiche e favorire l'apprendimento reciproco allo scopo di rafforzare la capacità di fornire servizi, oltre a migliorare l'efficienza dei servizi prestati. Questa rete dovrebbe innanzitutto svolgere una funzione consultiva e di coordinamento.

1.2

Il CESE constata che a livello regionale esistono già strutture funzionanti, comprese le reti di osservatori del mercato del lavoro, che contribuiscono efficacemente alla realizzazione degli obiettivi comuni dell'UE in materia di occupazione previsti dalla strategia Europa 2020. Raccomanda alla Commissione e agli Stati membri, nel rispetto della sussidiarietà e della diversità nell'insieme dell'UE, di dare maggiore organicità al rapporto tra gli SPI e gli osservatori regionali.

1.3

Nel quadro delle misure previste dall'agenda per nuove competenze e per l'occupazione, il CESE riconosce il ruolo importante degli SPI nell'attuare le priorità tese a rafforzare ciascuna delle quattro componenti della flessicurezza.

1.4

Il CESE raccomanda alla Commissione di specificare chiaramente nel testo del documento i legami tra la rete europea, recentemente istituita, degli SPI e il comitato per l'occupazione (EMCO) e di indicare con precisione la natura e lo scopo degli interventi di modernizzazione concepiti dagli SPI, che non dovrebbero avere un carattere obbligatorio.

1.5

Il CESE ritiene che la definizione dei parametri di riferimento dei servizi pubblici per l'impiego, essendo basata su indicatori quantitativi e qualitativi tesi a misurare le prestazioni degli SPI, rappresenti una forma utile di cooperazione. Il CESE approva innanzitutto l'utilizzo di indicatori statistici per valutare le prestazioni e l'efficacia dei servizi per l'impiego e delle politiche attive a favore dell'occupazione. Il CESE sottolinea tuttavia che ciò potrebbe avere l'effetto di migliorare l'adattabilità e la reattività dei lavoratori in vista di un rientro duraturo nel mercato del lavoro e di trasferimenti armoniosi all'interno di tale mercato.

1.6

Quanto all'adozione del quadro generale e degli atti delegati, il CESE raccomanda alla Commissione di stabilire chiaramente nel suo documento il tenore futuro di tali atti. Il CESE propone di precisare in modo più concreto il contenuto della proposta in modo tale che questo elenchi gli indicatori di base del quadro generale. Gli atti delegati dovrebbero poi completare gli aspetti meno importanti di questi indicatori di base, in conformità dell'articolo 290 del TFUE.

1.7

Il CESE chiede alla Commissione di delimitare con precisione la funzione di ciascuna delle parti di cui all'articolo 4 relativo alla cooperazione. La proposta in esame non dovrebbe ridurre il ruolo delle parti sociali a quello di "parti associate" ma dovrebbe, al contrario, rafforzarne l'influenza nel quadro del processo di modernizzazione degli SPI. La proposta in esame dovrebbe inoltre tener conto del ruolo della società civile in base al principio del partenariato.

1.8

Il CESE raccomanda altresì che i soggetti interessati contribuiscano tutti alle conclusioni e alle raccomandazioni della rete europea degli SPI.

1.9

Il CESE raccomanda alla Commissione di invitare gli Stati membri - nella misura in cui questi ultimi intendano adattare con successo i modelli organizzativi, gli obiettivi strategici e le procedure degli SPI a un contesto in rapida evoluzione - a creare il quadro tecnico, umano e finanziario allo scopo di rafforzare le capacità degli SPI e di metterli in grado di svolgere il loro nuovo ruolo multifunzionale.

1.10

Il CESE è convinto che le nuove competenze degli SPI, in particolare nel settore delle politiche attive a favore dell'occupazione, debbano trovare riscontro in capacità e in un sostegno finanziario adeguati. I fondi stanziati per il programma EaSI (1) andrebbero mantenuti e il finanziamento dovrebbe essere duraturo.

1.11

Il CESE si rallegra per le conclusioni raggiunte e per gli impegni sottoscritti da tutti i soggetti interessati che hanno partecipato alla conferenza sull'occupazione giovanile svoltasi a Berlino il 3 luglio 2013.

2.   Introduzione

2.1

La strategia Europa 2020 (2) ha stabilito per tutti gli Stati membri l'obiettivo comune e ambizioso di portare, entro il 2020, al 75 % il tasso di occupazione per le donne e gli uomini di età compresa tra i 20 e i 64 anni. Per il raggiungimento di questo obiettivo, i servizi pubblici per l'impiego (SPI) hanno un ruolo centrale da svolgere.

2.2

Gli orientamenti per le politiche occupazionali per il 2020 (3) vedono negli SPI degli attori centrali che rivestono una funzione cruciale per l'attuazione delle raccomandazioni n. 7 "incrementare la partecipazione al mercato del lavoro" e n. 8 "sviluppare una forza lavoro qualificata". Le conclusioni che i direttori degli SPI hanno adottato con il titolo Making the employment guidelines work (Far funzionare gli orientamenti in materia di occupazione) nella riunione tenutasi a Budapest il 23 e 24 giugno 2011 definiscono proprio il contributo degli SPI alla realizzazione della strategia Europa 2020.

2.3

La politica dell'occupazione e del mercato del lavoro è tuttora di competenza degli Stati membri, che sono anche responsabili dell'organizzazione, della dotazione in termini di risorse umane e del funzionamento dei loro SPI. Tuttavia, le attuali modalità di cooperazione volontaria degli Stati membri, introdotte nel 1997 con la creazione di un gruppo consultivo informale (4) degli SPI, hanno raggiunto i loro limiti e non corrispondono più alle necessità e sfide odierne. Manca un dispositivo che permetta di individuare rapidamente le prestazioni scarse e gli eventuali problemi strutturali collegati; è inoltre assente un'informazione sistematica sui risultati degli attuali metodi di definizione dei parametri di riferimento e di apprendimento reciproco.

2.4

Inoltre, nelle discussioni informali tenutesi a Dublino il 7 e 8 febbraio 2013 (5) in sede di Consiglio Occupazione e politica sociale (EPSCO), i ministri sono giunti alla conclusione che una cooperazione più stretta e mirata tra gli SPI consentirebbe di condividere in modo più proficuo le pratiche ottimali ed hanno quindi chiesto alla Commissione di elaborare una proposta dettagliata in merito a un'iniziativa "sull'apprendimento comparativo".

2.5

Il 17 giugno 2013 la Commissione europea ha pubblicato una proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che si colloca sulla scia dell'iniziativa faro Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione  (6) e del pacchetto Occupazione (7) del 2012. La Commissione ha così proposto di dare una veste ufficiale alla cooperazione dei servizi pubblici per l'impiego e di istituire una rete europea di questi servizi.

2.6

Questa rete dovrebbe funzionare per il periodo 2014-2020 in collegamento con la strategia Europa 2020. Il suo funzionamento sarà valutato e riesaminato dopo quattro anni. Il suo finanziamento sarà garantito tramite gli stanziamenti del programma per l'occupazione e l'innovazione sociale (EaSI) e la sua segreteria sarà assicurata dalla Commissione europea con le risorse umane di cui essa dispone attualmente.

2.7

L'azione di incentivazione compiuta attraverso questa rete dovrebbe contribuire a:

realizzare la strategia Europa 2020 e i suoi principali obiettivi in materia di occupazione;

migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro nell'UE;

migliorare l'integrazione dei mercati del lavoro;

aumentare la mobilità geografica e professionale;

lottare contro l'esclusione sociale e integrare le persone che sono escluse dal mercato del lavoro.

2.8

Nel quadro delle prime discussioni tenutesi in seno al Consiglio nel luglio 2013, la maggior parte degli Stati membri si è rallegrata per la proposta della Commissione e ha esaminato gli obiettivi fissati con un atteggiamento positivo. Sono stati sollevati dubbi innanzitutto riguardo ai legami reciproci con i lavori del comitato per l'occupazione (EMCO) e alle possibili sovrapposizioni, alle competenze troppo numerose della Commissione, al tenore degli atti delegati e alle imprecisioni in termini di finanziamento.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE si rallegra in linea generale per tutte le iniziative che la Commissione europea prende per realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020 nel settore dell'occupazione e del mercato del lavoro, rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri, sviluppare le competenze e adattarle alle necessità delle imprese e dei lavoratori, nonché sostenere la mobilità geografica e professionale.

3.2

Tenuto conto dell'emergenza della situazione, soprattutto in certi Stati membri, e dell'aumento della disoccupazione - specialmente giovanile e di lunga durata -, il CESE approva la proposta della Commissione di istituire una rete europea dei servizi pubblici per l'impiego (SPI), che fungerà da punto di partenza per comparare le rispettive prestazioni su scala europea, individuare le buone pratiche e favorire l'apprendimento reciproco allo scopo di rafforzare la capacità di fornire servizi, oltre a migliorare l'efficienza dei servizi prestati.

3.3

Numerosi Stati membri - sollecitati non solo dalle sfide a lungo termine legate ai cambiamenti a livello mondiale e tecnologico e all'invecchiamento della forza lavoro, ma anche dalle misure di emergenza a breve termine volte ad attenuare le conseguenze del rallentamento dell'economia - stanno già modernizzando i loro SPI, con esiti alterni, attraverso una ristrutturazione che può implicare un accentramento oppure - al contrario - un decentramento, ampliandone il campo di attività e cercando di realizzarne pienamente il potenziale.

3.4

Il CESE ritiene che gli SPI debbano assolutamente adattarsi alle nuove esigenze del mercato del lavoro, ossia l'invecchiamento della forza lavoro, la crescita dell'economia della terza età e dell'economia verde, le nuove competenze ed esigenze delle nuove generazioni, lo sviluppo delle TIC e delle innovazioni tecnologiche, e anche il maggior disallineamento tra offerta e domanda di competenze.

3.5

Gli SPI devono affrontare contemporaneamente le sfide a breve e a lungo termine. Devono reagire in modo immediato, flessibile e creativo ai cambiamenti del loro contesto in generale, combinare interventi a breve termine con soluzioni durature e prevedere i rischi sociali.

3.6

Il CESE è convinto che queste nuove competenze degli SPI, in particolare nel quadro delle politiche attive a favore dell'occupazione, debbano trovare riscontro in capacità e in un sostegno finanziario adeguati. In numerosi Stati membri la situazione non sembra tuttavia orientarsi in tal senso, soprattutto in un periodo di tagli di bilancio e di misure di risparmio. Attualmente, le risorse previste per il funzionamento degli SPI dovrebbero, invece, essere rafforzate, soprattutto per quel che concerne il personale, in modo da garantire un seguito di qualità che conduca a nuove opportunità di occupazione. Gli SPI che possono vantare un buon funzionamento potrebbero, in futuro, essere trasformati in centri di competenze.

3.7

Nel 2010 Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ha elaborato su richiesta del CESE una nota informativa intitolata Finanziare e applicare programmi attivi a favore del mercato del lavoro durante la crisi  (8) che descrive - sulla base di esempi provenienti da dieci Stati membri - i mutamenti delle interazioni tra politiche attive e passive a favore dell'occupazione e il deteriorarsi dell'andamento delle spese, in rapporto al PIL, a favore di misure di attivazione, in particolare negli Stati membri in cui la disoccupazione è in rapido aumento.

3.8

L'obiettivo della proposta della Commissione è favorire, attraverso misure di incentivazione (ai sensi dell'art. 149 del TFUE), la cooperazione tra gli Stati membri, assicurare una migliore integrazione e un miglior funzionamento dei mercati del lavoro nell'UE, contribuire a migliorare la mobilità geografica e professionale e lottare contro l'esclusione sociale.

3.9

La rete da poco creata attuerà in particolare le seguenti iniziative: elaborare e introdurre, su scala europea, i sistemi di definizione dei parametri di riferimento dei servizi pubblici per l'impiego; organizzare l'assistenza reciproca; adottare e applicare interventi di modernizzazione e rafforzamento degli SPI nei settori chiave; preparare relazioni sull'occupazione.

3.10

La proposta della Commissione si colloca sulla scia di attività precedenti e di studi sul modello economico degli SPI, sui sistemi di misurazione delle loro prestazioni e sul loro ruolo in materia di flessicurezza, previsione delle qualifiche richieste e adattabilità dei cittadini alle nuove professioni.

3.11

Il CESE è convinto che, in futuro, l'attività degli SPI non potrà mai più essere una semplice routine (9). Gli SPI devono progressivamente trasformarsi in agenzie multifunzionali che facilitano tipologie di transizione diverse, sul mercato del lavoro, tra il periodo degli studi e il primo lavoro, o tra carriere, all'interno dell'UE. Devono assicurare l'interazione tra gli operatori del mercato del lavoro e incoraggiarli a cooperare e a innovare, devono agire in stretta cooperazione con i loro partner pubblici e privati (10) e garantire che gli operatori del mercato del lavoro si uniformino alle politiche condotte in questo settore.

3.12

Il CESE ritiene che gli SPI dovrebbero concentrarsi in modo più netto sulla questione dell'offerta di lavoro, senza però rimettere in discussione il loro ruolo in rapporto al pagamento dei sussidi, in quanto i datori di lavoro incontrano problemi crescenti al momento di selezionare e assumere i lavoratori di cui necessitano. Specialmente le piccole e medie imprese hanno spesso bisogno di un sostegno maggiore da parte degli SPI e per questo motivo è opportuno rafforzare la cooperazione tra questi servizi e le imprese.

3.13

Anche in un periodo di forte disoccupazione persiste un disallineamento tra l'offerta di competenze e le necessità del mercato del lavoro. Attraverso la rete HoPES (11), gli SPI partecipano ai dibattiti e alle consultazioni sulla funzione delle competenze nel contesto economico e sociale. Si tratta di collegare il mondo del lavoro e quello dell'istruzione, e di stabilire una comprensione comune delle qualifiche e delle competenze. Per gli SPI, questo implica attuare partenariati con le diverse parti interessate e assicurare l'equilibrio tra l'offerta e la domanda di qualifiche, di fronte a una maggiore complessità dei mercati locali del lavoro (12).

3.14

Il CESE riconosce il ruolo unico svolto dagli SPI per attuare ogni componente della flessicurezza. Lo studio sul ruolo degli SPI in rapporto alla flessicurezza sui mercati del lavoro europei  (13) ha mostrato, grazie ad esempi di buone pratiche, che gli SPI sono consapevoli della necessità di un nuovo approccio nei loro servizi e hanno adottato un ampio ventaglio di strategie e misure per sostenere la flessicurezza. Gli SPI dovrebbero continuare a impegnarsi per rafforzare le loro capacità, e riuscire così a svolgere la loro funzione di intermediari e di misuratori della flessicurezza.

3.15

Il CESE ritiene che gli SPI debbano innanzitutto occuparsi delle persone o delle categorie di lavoratori più difficili da collocare sul mercato del lavoro e con esigenze specifiche. Si tratta in questo caso di disoccupati da lungo tempo, lavoratori anziani, donne, giovani, persone con disabilità e migranti. In quest'ottica, è opportuno applicare pienamente le disposizioni volte a lottare contro ogni forma di discriminazione, e garantirne il seguito.

3.16

Nel quadro della lotta condotta in tutta l'Europa contro la forte disoccupazione giovanile, il CESE evidenzia peraltro il ruolo importante degli SPI nel realizzare l'iniziativa Garanzia per i giovani; si rallegra inoltre che i direttori di tali servizi abbiano assunto l'impegno, alla conferenza sull'occupazione giovanile tenutasi il 3 luglio 2013 a Berlino, di svolgere un ruolo cruciale per favorire l'occupazione dei giovani in Europa, aumentare l'efficacia della loro azione e rafforzare la cooperazione con le altri parti interessate (14).

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Secondo la proposta di decisione in esame, la rete europea dei servizi pubblici per l'impiego dovrebbe agire in stretta cooperazione con il comitato per l'occupazione (EMCO) e apportare un contributo ai suoi lavori trasmettendo informazioni e relazioni sull'attuazione delle politiche a favore dell'occupazione. Il CESE ritiene opportuno che nel testo della decisione vengano enunciati chiaramente le funzioni consultive di questa rete e i suoi rapporti con il comitato per l'occupazione. La rete avrà una funzione consultiva e di coordinamento, e la sua creazione non può essere considerata una semplice misura di armonizzazione delle strutture degli SPI o dei sistemi sociali.

4.2

Il CESE non può ignorare che a livello regionale esistono già strutture funzionanti, comprese le reti di osservatori regionali del mercato del lavoro, che contribuiscono efficacemente alla realizzazione degli obiettivi comuni dell'UE in materia di occupazione previsti dalla strategia Europa 2020.

Al fine di dare maggiore organicità al rapporto tra gli SPI e gli osservatori regionali, il CESE richiama l'attenzione sulla necessità di definire:

a)

le modalità di adesione alla rete europea da parte degli osservatori regionali del mercato del lavoro, di natura pubblica, costituiti direttamente dalle regioni;

b)

un migliore raccordo tra la rete europea degli osservatori regionali del mercato del lavoro e la rete europea degli SPI;

c)

le modalità di adesione e accesso a tale rete europea da parte degli osservatori regionali del mercato del lavoro, sia di quelli di natura privata, sia di quelli di natura pubblica non gestiti direttamente dalle regioni, ma operanti sotto le loro direttive in modo funzionale ai loro obbiettivi;

d)

ogni altro atto necessario al miglior funzionamento e collegamento di tutte le strutture esistenti, allo scopo di utilizzare tutti gli strumenti disponibili, in modo da coinvolgere tutti i livelli di governo e intervenire a tutti i livelli: nazionale, regionale e locale.

4.3

Tra il 2014 e il 2020 il finanziamento destinato ad ampliare la cooperazione tra gli SPI verrà dalla sezione Progress di EaSI). La proposta legislativa in esame non incide sul bilancio e non richiede risorse umane supplementari. Per quel che concerne i progetti sviluppati dalla rete o destinati alle attività di apprendimento reciproco che sono poi realizzati all'interno dei diversi SPI, gli Stati membri possono beneficiare di un finanziamento proveniente dal Fondo sociale europeo (FSE), dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e dal programma quadro Orizzonte 2020. Per il CESE, conta soprattutto che le risorse assegnate a titolo dei fondi strutturali vengano mantenute e che il finanziamento sia duraturo. Le nuove competenze degli SPI, in particolare nel quadro delle politiche attive a favore dell'occupazione, devono trovare riscontro in capacità e in un sostegno finanziario adeguati.

4.4

L'articolo 3 della proposta definisce le iniziative della rete.

L'articolo 3, paragrafo 1, lettera a), prevede che la rete sviluppi e attui, tra i servizi pubblici per l'impiego a livello europeo, sistemi per la definizione di parametri di riferimento basati su elementi concreti, che si fondino sull'uso di indicatori quantitativi e qualitativi per valutare le prestazioni degli SPI e raccogliere dati per individuare un idoneo veicolo di apprendimento reciproco.

Il CESE approva il principio alla base di questa formulazione. Ritiene che la definizione dei parametri di riferimento dei servizi pubblici per l'impiego, essendo basata su indicatori quantitativi e qualitativi tesi a misurare le prestazioni degli SPI, rappresenti una forma utile di cooperazione. Il CESE approva innanzitutto l'utilizzo di indicatori statistici per valutare le prestazioni e l'efficacia dei servizi per l'impiego e delle politiche attive a favore dell'occupazione. Sarebbe opportuno utilizzare gli indicatori di input (ad esempio, la dotazione finanziaria) più come indicatori di contesto. Tra gli altri indicatori che il CESE considera appropriati figurano ad esempio il numero di persone registrate (per Stato), il numero totale di intermediari e il loro numero per candidato, i tassi di rientro e di rientro duraturo nel mercato del lavoro, l'occupazione dopo tre e sei mesi, la durata media della disoccupazione, il tasso di allineamento tra offerta e domanda di lavoro, la durata di un'occupazione e il tipo di lavoro ottenuto alla fine di un programma organizzato nel quadro di una politica attiva a favore dell'occupazione, la percentuale di lavoratori che partecipano ad azioni di formazione, le spese sostenute o - ancora - il numero di lavoratori provenienti da Stati membri o da paesi terzi.

Occorre dare la priorità a chi è più distante dal mercato del lavoro, bisogna esaminare e comparare i risultati ottenuti dagli SPI delle regioni i cui contesti sono simili dal punto di vista del tasso di disoccupazione e dell'andamento economico.

L'articolo 3, paragrafo 1, lettera c) prevede che la rete adotti e attui un piano per modernizzare e rafforzare gli SPI in settori di importanza cruciale.

Il CESE raccomanda di precisare questa formulazione affinché risulti manifesto che la rete degli SPI avrà, nei fatti, soltanto una funzione consultiva. Il CESE ritiene necessario precisare in questa disposizione quali dovrebbero essere la natura e la finalità dei piani di modernizzazione elaborati dagli SPI. Secondo il Comitato, questi piani non possono in alcun caso avere un carattere obbligatorio.

4.5

L'articolo 4 relativo alla cooperazione si sofferma sulla cooperazione e sugli scambi d'informazione con le parti sociali, compresi altri prestatori di servizi per l'impiego. Il CESE ritiene opportuno che in queste disposizioni il ruolo di ogni parte interessata venga definito in modo più chiaro.

4.5.1

Il CESE insiste sul fatto che le parti sociali sono gli attori principali del mercato del lavoro e svolgono un ruolo indispensabile nel processo di modernizzazione degli SPI, e per questo motivo dovrebbero disporre di una collocazione adeguata all'interno della nuova struttura. Nel suo documento di lavoro sul ruolo delle parti sociali nel processo di gestione degli SPI, in particolare nei periodi di crisi, l'Organizzazione internazionale del lavoro mostra chiaramente, basandosi sull'esempio di quattro Stati membri dell'UE, che la modifica delle strutture degli SPI porta a una modifica del ruolo, della partecipazione e dell'influenza delle parti sociali. Mentre in Austria le modalità di azione si ampliano, specie a livello regionale, in Germania e in Danimarca la loro influenza si riduce e il loro ruolo è più consultivo che codecisionale. Nel Regno Unito, per ragioni storiche, è assente la partecipazione istituzionale delle parti sociali (15). Per questo motivo il CESE apprezza tutta una serie di iniziative delle parti sociali europee lanciate nel quadro del loro programma di lavoro congiunto (16).

4.5.2

In tale contesto il CESE segnala un'evoluzione sfavorevole, vale a dire la nuova decisione 2012/733/UE della Commissione in merito a EURES. Nella riunione di aprile del comitato consultivo per la libera circolazione dei lavoratori (17), i rappresentanti delle parti sociali hanno espresso la loro profonda inquietudine per il timore che il ruolo delle parti sociali possa essere ridotto a quello di parti associate.

4.5.3

In numerosi pareri il CESE ha mostrato di approvare l'invito della Commissione a favore della creazione di partenariati tra tutte le parti interessate volti a sostenere la creazione di posti di lavoro, ad aumentare l'occupazione, a sviluppare le competenze e a lottare contro l'esclusione sociale. Per quanto concerne in particolare la lotta contro la forte disoccupazione dei giovani in Europa, il CESE ha evidenziato il ruolo degli istituti d'istruzione, delle agenzie consultive, delle organizzazioni della società civile (organizzazioni giovanili, movimenti femminili, organizzazioni di sostegno alle persone con disabilità, ecc.), delle famiglie e dei cittadini, in quanto si tratta dell'unico mezzo per risollevare assieme e completamente la situazione sui mercati europei del lavoro.

4.5.4

Il CESE si rallegra inoltre dello sviluppo del partenariato tra i servizi per l'impiego (PARES) (18) teso a favorire il dialogo su scala europea per facilitare i passaggi nel mercato del lavoro. La complessità dei mercati del lavoro non accenna a diminuire e tutti gli attori dei servizi per l'impiego devono cooperare. Il CESE approva inoltre il programma della Commissione europea per un dialogo tra i servizi pubblici per l'impiego, che punta a sostenere l'apprendimento reciproco.

4.6

Ai sensi dell'articolo 7 relativo all'adozione di un quadro generale, la Commissione è autorizzata ad adottare atti delegati, in conformità dell'articolo 8 della proposta in esame, che definiranno un approccio generale per l'attuazione delle iniziative per la definizione di parametri di riferimento e per l'apprendimento reciproco di cui all'articolo 3, paragrafo 1. In via generale, il CESE è favorevole al ricorso ad atti delegati allo scopo di modificare certe disposizioni relative all'approccio generale appena citato. Sarà tuttavia necessario disporre di altre informazioni per poter determinare gli argomenti che questi atti delegati potrebbero concretamente modificare. Il CESE propone di precisare in modo più concreto il contenuto della proposta allo scopo di affinare gli indicatori di base del quadro generale. Gli atti delegati dovrebbero poi completare gli aspetti meno importanti di questi indicatori di base, in conformità dell'articolo 290 del TFUE.

4.7

La proposta in esame segnala che queste nuove iniziative della Commissione verranno ad aggiungersi alla cooperazione tra gli SPI nel quadro di EURES, ai sensi degli articoli 45 e 46 del Trattato. Il CESE ritiene che il testo dovrebbe esplicitare le sinergie tra la rete da poco creata degli SPI ed EURES (19). Tale rete dovrebbe sostenere un mandato più ampio per EURES e il suo ruolo di strumento chiave per assicurare l'allineamento tra competenze e necessità del mercato europeo del lavoro, e per migliorare la mobilità all'interno dell'UE. La rete può inoltre cooperare con altre organizzazioni, come le agenzie per l'orientamento professionale.

Bruxelles, 17 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Programma per l'occupazione e l'innovazione sociale (EaSI), che integra e amplia la copertura dei tre programmi esistenti, vale a dire Progress (Programma per l’occupazione e la solidarietà sociale), EURES (Servizi per l’occupazione in Europa) e European Progress Microfinance Facility (Strumento europeo Progress di microfinanza).

(2)  COM(2010) 2020 final.

(3)  Decisione 2010/707/UE del Consiglio, del 21 ottobre 2010, sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione.

(4)  Si tratta del gruppo consultivo informale della Commissione europea chiamato HoPES (Heads of Public Employment Services - direttori dei servizi pubblici per l'impiego).

(5)  Riunione informale EPSCO tenutasi a Dublino il 7 e 8 febbraio 2013.

(6)  COM(2010) 682 final.

(7)  COM(2012) 173 final.

(8)  Cfr. John Hurly, Finanziare e applicare programmi attivi a favore del mercato del lavoro durante la crisi, Eurofound, 2010.

(9)  Cfr. Contributo dei servizi pubblici dell'occupazione alla strategia Europa 2020 - Documento finale sulla strategia per SPO 2020, 2012.

(10)  La Commissione europea ha lanciato l'iniziativa PARES, il partenariato tra i servizi pubblici e privati per l'impiego dell'UE, che rappresenta un asse prioritario d'azione nel quadro della comunicazione che la stessa Commissione ha pubblicato nel 2011 sul tema Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione.

(11)  Cfr. The Case for Skills: A Response to the Recommendations regarding the Future Role of Public Employment Services under the New Skills for New Jobs Agenda (La questione delle competenze: una risposta alle raccomandazioni sul ruolo futuro dei servizi pubblici per l'impiego nel quadro dell'agenda per nuove competenze e per l'occupazione), Rete europea dei direttori dei servizi pubblici per l'impiego, settembre 2011.

(12)  Cfr. R.A. Wilson, Anticipating skills needs of the labour force and equipping people for new jobs: which role for public employment services in early identification of skill needs and labour up-skilling? (Prevedere le qualifiche necessarie della forza lavoro e attrezzare i lavoratori per i nuovi posti di lavoro: il ruolo degli SPI nell'individuazione tempestiva dei bisogni in termini di qualifiche e nella riqualificazione della forza lavoro), relazione per la Commissione europea. Danish Technological Institute/ÖSB Consulting/Warwick Institute for Employment Research, 2010.

(13)  The role of the Public Employment Services related to ‘Flexicurity’ in the European Labour Markets (Il ruolo degli SPI in rapporto alla flessicurezza sui mercati del lavoro europei) Relazione finale, Policy and Business Analysis, Danish Technological Institute/ ÖSB Consulting/Tilburg University/Leeds Metropolitan University, marzo 2009.

(14)  Conferenza sull'occupazione giovanile (Konferenz zur Jugendbeschäftigung), tenutasi il 3 luglio 2013 a Berlino, contributo della rete HoPES.

(15)  J. Timo Weishaupt, Labour Administration and Inspection Programme: Social Partners and the Governance of Public Employment Services: Trends and Experiences from Western Europe, (Programma sull'amministrazione e l'ispezione del lavoro: le parti sociali e la governance degli SPI: tendenze ed esperienze nell'Europa occidentale), 2011.

(16)  L'accordo autonomo sui mercati del lavoro inclusivi (2010) è basato sull'analisi congiunta dei principali fattori del mercato del lavoro (2009).

(17)  Cfr. il verbale della riunione del comitato consultivo per la libera circolazione dei lavoratori, tenutasi il 12 aprile 2013 a Bruxelles.

(18)  PARES rappresenta una delle misure di accompagnamento della Commissione, nel quadro dell'agenda per nuove competenze e per l'occupazione, volta a sostenere la flessicurezza.

(19)  Cfr. GU L 328 del 28.11.2012, pagg. 21-26.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/122


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio «Potenziare la dimensione sociale dell’Unione economica e monetaria»

COM(2013) 690 final

2014/C 67/24

Relatore generale: Georgios DASSIS

La Commissione europea, in data 4 ottobre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio Potenziare la dimensione sociale dell'Unione economica e monetaria

COM(2013) 690 final.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato, in data 17 settembre 2013, la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 493a sessione plenaria del 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 17 ottobre 2013), ha nominato Georgios DASSIS relatore generale e ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli, 3 voti contrari e 19 astensioni.

1.   Osservazioni generali

1.1

La crisi economica e finanziaria senza precedenti che ha colpito in modo particolarmente forte gli Stati membri dell'area dell'euro ha anche messo a nudo la debolezza strutturale dell'Europa in generale, dimostrando chiaramente l'esistenza di un nesso tra gli elevati tassi di disoccupazione, la pressione sui bilanci nazionali, il declino sociale e le tensioni che agitano la società. Pur riconoscendo la necessità di risanare i bilanci nazionali, si deve constatare che i tagli alla spesa hanno avuto effetti negativi sull'istruzione, sulle politiche attive per il mercato del lavoro e sulla protezione sociale. L'aumento della disoccupazione e della povertà incide negativamente sulle competenze e sull'occupabilità della forza lavoro, e limita la capacità delle imprese di crescere e creare posti di lavoro, il che a sua volta ostacola la ripresa.

1.2

Gli avvenimenti che si verificano in alcuni dei paesi più colpiti dimostrano all'Unione europea che la crisi economica e sociale è diventata anche una crisi politica, caratterizzata dall'affermazione di movimenti politici estremisti e antidemocratici. La necessità di contrastare questa tendenza attraverso azioni concrete a livello europeo, nazionale e locale è una questione della massima urgenza.

1.3

Il mercato interno dovrebbe costituire un progetto economico e sociale. Finora ha contribuito a generare occupazione e prosperità in tutti gli Stati membri dell'UE. Affinché l'Europa possa uscire più rapidamente dalla crisi, è essenziale completare il mercato interno e rafforzare l'efficienza e la coesione sociale nel quadro della strategia Europa 2020.

1.4

È in tale contesto che il Comitato ha esaminato con notevole interesse la comunicazione della Commissione, che costituisce un primo contributo alle imminenti discussioni e decisioni, in sede di Consiglio europeo, in merito al rafforzamento della dimensione sociale dell'Unione economica e monetaria europea.

1.5

Il CESE invita la Commissione ad aggiornare e a rafforzare la sua politica alla luce delle suddette discussioni, al fine di compiere ulteriori progressi in particolare nell'uso proattivo degli indicatori di occupazione e di inclusione sociale.

1.6

Il Comitato ha sempre sostenuto le misure volte a incrementare gli investimenti sociali, una maggiore concentrazione dei fondi europei sulle politiche occupazionali e sociali più efficaci, un'iniziativa mirata per l'occupazione giovanile che includa un sistema di garanzia per i giovani e infine una migliore mobilità transfrontaliera. Non può quindi che rallegrarsi della maggiore attenzione dedicata a questi ambiti politici, così come del previsto rafforzamento del dialogo sociale nel quadro del semestre europeo.

1.7

Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che un rafforzamento della dimensione sociale aiuterebbe gli Stati membri a realizzare il loro potenziale in termini di crescita dell'occupazione, miglioramento della coesione sociale e prevenzione di ulteriori, più gravi, disuguaglianze. Il Comitato è particolarmente favorevole all'idea di intensificare la vigilanza sulla disoccupazione e gli squilibri sociali nell'UEM attraverso un monitoraggio sistematico dei tassi di disoccupazione, dei giovani senza lavoro o che non seguono alcuna formazione, del reddito delle famiglie, della povertà e della disuguaglianza.

1.8

Il proposto quadro di valutazione dell'occupazione e degli squilibri sociali, basato su indicatori e soglie chiave, dovrebbe quindi essere utilizzato in modo proattivo per individuare gli sviluppi asimmetrici e i loro effetti sui risultati economici globali. Questo sistema di monitoraggio dovrebbe scattare qualora occorrano un meccanismo di adeguamento e una risposta politica tempestivi ed efficaci, come nel caso di squilibri economici e finanziari analoghi. Il CESE condivide pertanto quanto affermato dal Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, ossia che il quadro di indicatori sociali e occupazionali proposto costituisce "un primo passo" verso una più completa dimensione sociale dell'UEM (1).

1.9

Il Comitato ha svolto il suo ruolo consultivo nel periodo precedente l'imminente dibattito in sede di Consiglio europeo attraverso il parere adottato il 22 maggio 2013 (2), e ripete il proprio appello per un ulteriore rafforzamento della dimensione sociale dell'UEM.

2.   Osservazioni specifiche

2.1

Nella sua comunicazione, la Commissione europea propone una serie di iniziative volte a rafforzare la dimensione sociale dell'UEM, con particolare attenzione a tre aspetti:

intensificazione della vigilanza sull'occupazione e le sfide sociali e coordinamento delle politiche;

rafforzamento della solidarietà e azione in materia di occupazione e mobilità dei lavoratori;

rafforzamento del dialogo sociale.

2.2

Il Comitato concorda sulla necessità di rafforzare la dimensione sociale dell'UEM e mette in risalto i seguenti elementi:

Intensificazione della vigilanza sull'occupazione e le sfide sociali e coordinamento delle politiche

2.3

Le misure di consolidamento dei bilanci e la governance economica dell'UE non sono sostenibili senza forme equivalenti di consolidamento sociale e di governance sociale. Lo "spread" attuale degli squilibri sociali europei mina alla base la ripresa, la crescita e la coesione. A giudizio del CESE, il semestre europeo deve prevedere anche parametri relativi all'occupazione e all'inclusione sociale nello stesso quadro di vigilanza previsto per il coordinamento delle politiche economiche e le riforme strutturali. Obiettivi quantificabili in campo occupazionale e sociale devono accompagnare quelli in materia di debito e deficit, con meccanismi di aggiustamento e solidarietà analoghi per ridurre gli squilibri sociali e promuovere gli investimenti sociali.

2.4

Il CESE riconosce che la ristrutturazione dell'economia e gli investimenti sociali dell'UE e degli Stati membri richiedono ben più di strutture formali di governance e meccanismi regolamentari. È per questo che la società civile organizzata e i singoli cittadini europei sono direttamente interessati e hanno un loro ruolo da svolgere. La titolarità partecipativa del progetto europeo assume un'importanza fondamentale.

2.5

Il Comitato, tuttavia, sottolinea anche che un miglioramento sostenibile della situazione sociale presuppone che i problemi strutturali degli Stati membri siano affrontati alla radice. La competitività a livello mondiale, la crescita economica e una forte dimensione sociale sono fattori decisivi perché l'Europa possa uscire dalla crisi. Gli indicatori di politica sociale recentemente proposti devono essere impiegati per consolidare le riforme tanto a breve quanto a lungo termine.

Rafforzamento della solidarietà e azione in materia di occupazione e mobilità dei lavoratori

2.6

Come afferma la Commissione nella sua comunicazione, la mobilità transfrontaliera dei lavoratori è un elemento importante per il mantenimento dell'occupazione e della competitività e per la creazione di nuovi posti di lavoro in sostituzione di quelli persi per effetto delle ristrutturazioni economiche.

2.7

Per dare ulteriore impulso alla riduzione delle attuali limitazioni alla mobilità dei lavoratori, occorre adottare misure aggiuntive, allo scopo di mettere a disposizione dei lavoratori mobili, nelle lingue rispettive, informazioni comprensibili concernenti la legislazione sociale e del lavoro. Si dovrebbe poi prevedere un diritto autonomo dei lavoratori a un servizio di consulenza. Le relative strutture di consulenza dovrebbero operare in stretto coordinamento con le parti sociali e con il portale EURES, e garantire che i lavoratori mobili siano informati, già nel loro paese di provenienza, in merito alle condizioni sociali e giuridiche vigenti nel paese in cui vogliono trasferirsi.

2.8

Gli investimenti sociali aiutano i cittadini, accrescendone le capacità e le qualifiche e promuovendone la partecipazione alla società e al mercato del lavoro. Ciò aumenta il livello di benessere, fa crescere l'economia e aiuta l'UE a uscire dalla crisi più forte, più coesa e più competitiva.

2.9

Oltre a contribuire al progresso sociale, gli investimenti sociali mirati accrescono la competitività. Inoltre, proprio in un periodo di disoccupazione drammatica senza precedenti, nonché di crescente povertà, tali investimenti svolgono un ruolo cruciale nel rafforzamento della coesione e dell'integrazione sociali e nella lotta contro la povertà e l'emarginazione sociale. Tale spesa per gli investimenti deve garantire l'efficienza.

2.10

Il CESE afferma chiaramente che la dimensione sociale dell'UEM richiede strumenti, indicatori e obiettivi qualitativi e quantitativi ben precisi, che siano altrettanto efficaci degli obblighi economici e finanziari dell'UEM. Raccomanda altresì al Consiglio europeo, nel caso in cui il consenso o la volontà politica non fossero sufficienti per rivitalizzare la dimensione sociale dell'UE nella sua interezza, di considerare la possibilità di una cooperazione rafforzata all'interno dell'UEM, dotata di risorse finanziarie proprie, di un fondo sociale aggiuntivo e di un Patto di progresso sociale, nonché di norme, obiettivi e meccanismi di stabilizzazione sociali che si affianchino ai meccanismi di stabilizzazione fiscale, finanziaria e monetaria.

Il rafforzamento del dialogo sociale

2.11

Il Comitato accoglie favorevolmente le proposte della Commissione volte a migliorare il coinvolgimento delle parti sociali nel coordinamento delle politiche economiche e occupazionali a livello europeo. Il dialogo sociale svolge un ruolo importante a tutti i livelli, contribuendo a trovare soluzioni che rispecchino il punto di vista sia degli imprenditori che dei lavoratori e a creare l'intesa e la fiducia essenziali per riformare i mercati del lavoro europei e rafforzare il tessuto sociale.

2.12

Il Comitato prende atto infine che il futuro del dialogo sociale, che include la questione del dialogo tripartito, è già oggetto di discussione tra le parti sociali a livello europeo.

Bruxelles, 17 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Conclusioni del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, EUCO 104/13, punto 14, lettera c).

(2)  Parere del CESE 1566/2013 del 22.5.2013, adottato con 159 voti favorevoli, 50 voti contrari e 47 astensioni, relatore JAHIER, correlatore DASSIS, GU C 271 del 19.9.2013, pag. 1.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/125


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente»

COM(2013) 542 final

2014/C 67/25

Relatore: VAN IERSEL

Correlatrice: HRUŠECKÁ

La Commissione europea, in data 3 luglio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente

COM(2013) 542 final.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 17 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 172 voti favorevoli, 23 voti contrari e 24 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con grande favore il Consiglio europeo sulla difesa previsto nel dicembre prossimo, che verterà sulla comunicazione della Commissione europea (1) e sulla relazione elaborata dall'Alto rappresentante/capo dell'Agenzia europea per la difesa (AED) (2). Queste iniziative costituiscono una risposta molto attesa e tempestiva alle sfide sia interne che esterne, e puntano a rafforzare la prevedibilità e la credibilità di lungo periodo della difesa europea.

1.2

Superando i tradizionali tabù, la comunicazione e la posizione (provvisoria) dell'Alto rappresentante collocano l'attuale situazione e le azioni da intraprendere nella giusta prospettiva.

1.3

Nella relazione dell'Alto rappresentante, in particolare, si sostiene in modo convincente che un'ampia strategia in fatto di Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) è indispensabile per poter soddisfare i requisiti in materia. Il CESE conviene sul fatto che la PSDC fornirà il quadro più appropriato per una cooperazione efficace in termini di capacità militare, ma sottolinea che questa cooperazione sarà anche una premessa essenziale per dare credibilità a tale politica.

1.4

Perché questa iniziativa sia coronata da successo, vanno introdotte condizioni politiche favorevoli. Dal momento che il cammino necessario per riuscire ad effettuare adeguamenti sostanziali alle strutture (industriali) della difesa europea sarà lungo e accidentato, e coinvolgerà politiche tra loro correlate, il CESE ritiene che il presupposto essenziale per realizzare i progressi di cui l'Europa ha estremo bisogno sarà l'impegno costante dei governanti dell'UE.

1.5

Il CESE esorta il Consiglio ad adottare una serie di misure e azioni concrete per rafforzare la competitività e la cooperazione nel settore della difesa europea, misure e azioni che servano da segnale chiaro per il futuro.

1.6

Il CESE concorda con l'obiettivo di sostenere una difesa europea indipendente, commisurata al peso economico e ad altri interessi dell'UE a livello globale. L'obiettivo a lungo termine dovrebbe essere la protezione autonoma dei cittadini europei, assicurando al settore militare attrezzature al passo con i tempi e garantendo valori europei (diritti dell'uomo, democrazia) (3).

1.7

La nuova fase di transizione ha delle ripercussioni anche sulla difesa e la sicurezza in Europa. I mutamenti geopolitici si profilano in un periodo di grave stagnazione economica e di disoccupazione di lunga durata in gran parte d'Europa. Nel contempo nuovi attori si affermano sulla scena mondiale, e l'Europa non riesce a tenere il passo con gli sviluppi su scala mondiale. Il ritardo non fa che aumentare. L'Europa deve adeguarsi più in fretta se vuole mantenere il passo con altre regioni del pianeta.

1.8

Inoltre, la necessità di un'industria competitiva, associata a risorse di bilancio sempre più esigue, impone di attenersi al principio dell'efficacia rispetto ai costi. Le strategie messe in atto dall'Europa, eliminando le sovrapposizioni controproducenti, le politiche scarsamente coordinate e le lacune, devono promuovere invece il rapporto costi-benefici, consentendo così di ridurre gli sprechi di denaro e di ottenere migliori risultati a vantaggio dei contribuenti.

1.9

Il CESE plaude all'acuta e dettagliata analisi della posizione relativa dell'Europa condotta dalla Commissione nella comunicazione in oggetto. Un esame altrettanto accurato ha indotto il Comitato lo scorso anno a invocare un cambiamento radicale di mentalità in Europa riguardo alle questioni di difesa comune (4).

1.10

Il CESE approva in particolare il contenuto del capitolo 9 della comunicazione, che affronta una serie di elementi essenziali per il programma di lavoro del Consiglio, quali lo sviluppo di una concezione strategica europea, la PSDC (5) e una strategia industriale per la difesa europea.

1.11

L'Europa deve assolutamente adottare una lingua comune in materia di difesa, cosa che in effetti richiede il passaggio da un modo di pensare nazionale a una mentalità europea condivisa riguardo alle esigenze strategiche, che consenta di soddisfare gli interessi nazionali tramite il conseguimento degli obiettivi strategici dell'UE.

1.12

Occorre altresì un impegno politico e civile per garantire la corretta informazione del pubblico riguardo all'importanza degli interessi industriali e globali strategici allo scopo di alimentare il sostegno attivo di cittadini e contribuenti. Al pari della Commissione, il CESE ritiene che un'industria della difesa sana, basata in Europa, fornirà altresì un contributo vitale all'industria manifatturiera europea in senso lato (6).

1.13

Per raggiungere questo obiettivo lungimirante occorre l'impegno del maggior numero possibile di Stati membri. Se non tutti gli Stati membri mostrano di voler partecipare, il processo andrebbe comunque avviato con coloro che invece vogliono farlo.

1.14

Il CESE sottolinea il ruolo della Commissione e dell'AED, che dovranno lavorare a stretto contatto all'applicazione della comunicazione. Il CESE appoggia in larga misura le azioni proposte dalla Commissione. Nella sezione 6 del presente parere, il CESE espone ulteriori considerazioni e raccomandazioni in merito a tali proposte.

1.15

La comunicazione della Commissione non prende in considerazione una politica industriale proattiva. Il CESE, al contrario, sottolinea la posizione unica del settore della difesa sulla totalità dei mercati istituzionali di tutto il mondo. Una politica industriale proattiva, condotta dagli Stati membri e/o dalla Commissione in una serie di comparti ben selezionati, è indispensabile per ottenere una produzione al passo con i tempi e l'efficienza rispetto ai costi. Competenze UE e nazionali condivise, al pari di un'interazione e di sinergie efficaci tra progetti civili e militari e tecnologia, risulteranno estremamente vantaggiose ed efficienti rispetto ai costi.

1.16

Occorre individuare, in un quadro europeo multilaterale, nuovi progetti a partire dalla fase di concezione, avvalendosi dell'AED, anche se il passaggio alla loro piena operatività potrà richiedere alcuni decenni. Quanto prima questi progetti verranno avviati, tanto meglio sarà.

1.17

Le attività di ricerca e sviluppo (R&S) pubbliche e private occupano una posizione centrale. In questo campo, gli investimenti a favore della difesa hanno raggiunto il loro livello minimo dal 2006 a questa parte (7). Nel concetto generale si dovrebbero prevedere delle modalità per migliorare le condizioni d'investimento e consentirne l'applicazione in progetti concreti.

1.18

La maggiore responsabilità ricade sui principali paesi produttori che guidano il processo. Occorre quindi assicurare relazioni armoniose tra questi e gli altri Stati membri. Le PMI e le strutture di ricerca di tutti i paesi dovranno essere in larga misura connesse tra loro per assicurare il coinvolgimento del maggior numero possibile di paesi dell'UE in una strategia europea.

1.19

Considerato il malcontento dei lavoratori del settore di fronte a ristrutturazioni improvvisate, è ancora più necessario mettere in campo politiche prevedibili. È anche indispensabile un coordinamento nell'anticipare i cambiamenti al fine di assicurare contratti e prospettive di lavoro dignitosi. Va garantita l'attuazione dei dialoghi sociali.

1.20

Il presente parere si concentra in primo luogo sui principi politici, contemplando la necessità di sviluppi ormai urgenti in un'area strategica che non ammette ritardi. I primi passi da compiere in dicembre dovrebbero preparare la strada per una continuazione riuscita. Il Consiglio europeo, i governi, la Commissione, l'AED, i parlamenti e l'industria (compresi i rappresentanti dei lavoratori) dovrebbero essere tutti coinvolti nell'elaborazione di orientamenti strategici e progetti concreti.

2.   Le sfide per l'Europa

2.1

La Commissione mette giustamente in evidenza un mutamento "dei rapporti di forza nel mondo, dal momento che emergono nuovi centri di gravità e gli Stati Uniti stanno ripensando la loro strategia spostandone l'asse centrale verso l'Asia". I BRIC incrementano la loro spesa militare. Cina e Russia in particolare stanno aumentando sensibilmente le loro dotazioni di bilancio di qui al 2015.

2.2

Si fanno sempre più pressanti le insistenze da parte degli USA affinché l'Europa si faccia pienamente carico della spesa militare complessiva dell'Occidente. I vincoli di bilancio costringono gli stessi Stati Uniti a razionalizzare il loro settore della difesa, con conseguenti ripercussioni anche sugli accordi conclusi con l'Europa.

2.3

Il divario tra gli Stati Uniti e l'Europa è enorme: basti pensare che nel 2010 il bilancio totale dell'UE per la difesa (ad eccezione della Danimarca) ammontava a 196 miliardi di euro, a fronte di 520 miliardi della dotazione USA per lo stesso settore (8). Ancora più rilevante è il fatto che il bilancio europeo totale destinato alle attività di R&S equivalga ad un settimo di quello degli Stati Uniti, con conseguenze in termini di equipaggiamento e di dispiegamento delle persone sotto le armi.

2.4

Nel frattempo si profilano molteplici minacce: le tensioni sul fronte politico e militare non diminuiscono e ne emergono di nuove, alcune delle quali alle frontiere dell'Europa. I nuovi e ambiziosi attori a livello mondiale, per essere allo stesso livello delle potenze tradizionali, vogliono garantire che il loro settore della difesa nazionale corrisponda ai loro interessi non soltanto economici.

3.   Le strategie dell'Europa

A.   In campo politico

3.1

I paesi europei devono affrontare due ordini di problemi tra loro collegati:

una considerevole riduzione degli stanziamenti per la difesa che determina delle carenze e danneggia le capacità e l'efficienza del settore della difesa nazionale, soprattutto a causa della costante erosione della spesa per la R&S;

i mutamenti geopolitici, che dovrebbero condurre a una cooperazione europea molto più stretta e ad una maggiore indipendenza nel settore della difesa e della sicurezza.

Tuttavia, il dibattito europeo su questi due problemi tra loro collegati muove ancora i suoi primi passi.

3.2

Tutti i documenti elaborati da governi dell'UE (9) danno conto di una sostanziale riduzione della spesa per la difesa (10), ma si concentrano prevalentemente sugli aggiustamenti da operare nel contesto dei rispettivi paesi, ossia su come ottenere la migliore efficienza rispetto ai costi pur mantenendo un sufficiente rendimento delle capacità. Gli Stati membri sono ancora ben lontani dall'aver sviluppato una mentalità che collochi naturalmente le capacità nazionali di difesa in una prospettiva europea.

3.3

Nel parere adottato nel 2012 il CESE era giunto alla seguente conclusione: "[l]a politica di difesa viene declinata in funzione degli interessi strategici dei paesi, […] che in Europa sono definiti soprattutto in termini nazionali. Approcci obsoleti contribuiscono manifestamente ad accrescere la frammentazione, le lacune, la sovraccapacità e la mancanza di interoperabilità nelle capacità di difesa europee" (11).

3.4

Sessant'anni di integrazione europea e il mercato unico hanno creato strutture economiche e imprenditoriali solide, che generano un modello forte di attività economiche basate sul mercato interno europeo. Eppure, quanto a modo di pensare sul piano militare e della difesa, per non parlare dell'organizzazione di tale settore, l'Europa è ancora agli inizi.

3.5

La difesa in quanto funzione della politica estera, che rimane l'espressione per eccellenza della sovranità nazionale, è ancora concepita, sviluppata e gestita a livello dei singoli paesi, e qualsiasi cooperazione multinazionale, vuoi con i partner europei vuoi con altri interlocutori, viene considerata da questa angolazione.

3.6

Gli sforzi profusi per superare questi ostacoli intrinseci si sono finora rivelati in gran parte inutili. Il patto o accordo militare di cooperazione nel settore della difesa sottoscritto dai governi britannico e francese in occasione del vertice di Saint-Malo del 1998 avrebbe dovuto segnare significativi passi avanti nel campo della cooperazione militare, eppure a distanza di 15 anni e malgrado ulteriori negoziati, ha prodotto risultati modesti.

3.7

Un'iniziativa assunta nel 1998 da sei Stati ha portato alla stesura, nel 2000, di una lettera di intenti firmata dai sei maggiori paesi produttori – Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Spagna e Svezia (i "paesi firmatari della lettera d'intenti") – a seguito della quale è stato concluso un accordo quadro sulle misure per facilitare la ristrutturazione e il funzionamento dell'industria europea della difesa. Questo accordo sulla pianificazione e la cooperazione con l'industria, nonché sulle capacità e la ricerca, non ha prodotto, sul lungo periodo, alcun risultato tangibile.

3.8

Esistono anche altre forme di cooperazione tra Stati membri, ad esempio tra la Marina militare dei Paesi Bassi e quella belga, la Cooperazione nordica per la difesa (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) e tra le forze terrestri della Germania e dei Paesi Bassi. Queste non andrebbero però confuse con la cooperazione industriale, che è ancora fortemente carente.

3.9

Nel 2004 è stata istituita l'Agenzia europea per la difesa (AED) nella prospettiva di una cooperazione strutturale nel settore della difesa, sostenuta anche da iniziative della Commissione. Malgrado alcuni progressi, la cooperazione strutturale finora non è decollata a causa dello scarso impegno da parte degli Stati membri.

3.10

In conclusione, il CESE rileva che, nonostante vi sia maggiore consapevolezza riguardo alla necessità di una cooperazione rafforzata e di una visione europea nel settore della difesa, la mancanza di una volontà politica, una certa mentalità conservatrice e interessi personali hanno ostacolato qualsiasi progresso sostanziale.

B.   Industria

3.11

L'industria europea della difesa ha reagito in modo piuttosto diverso agli sviluppi a livello internazionale, poiché:

opera in un contesto mondiale. Ha necessariamente dei collegamenti con i governi nazionali, ma è anche molto presente sui mercati internazionali, che sempre di più servono da base per conseguire risultati positivi;

inoltre, le industrie principali sono attive tanto nel settore militare quanto in quello civile. Oggi il comparto civile, più dinamico, è in espansione a seguito della contrazione delle vendite e dei ricavi in quello militare, soprattutto in Europa.

3.12

L'industria ha manifestato a lungo preoccupazione circa la sua posizione concorrenziale. Quanto alla sua posizione istituzionale, essa differisce notevolmente da paese a paese: dalle società interamente di proprietà dello Stato alle imprese private, con tutta una serie di variazioni intermedie. Il denominatore comune è rappresentato dal ruolo preponderante del governo in tutti questi paesi. Malgrado la (parziale) privatizzazione, il legame tra l'industria della difesa e i governi nazionali rimane saldissimo, poiché il settore dipende dalla domanda (in regime di monopolio) e dalla regolamentazione dei governi, oltre che dalle licenze di esportazione.

3.13

L'industria preferirebbe veder realizzato un consolidamento su scala europea, ma il mercato è troppo ristretto. BAE-Systems, Finmeccanica e, in misura minore, Thales e EADS, sono molto attive sul mercato statunitense, ma non possono operare liberamente in Europa poiché, data la specifica relazione tra l'industria europea e i governi nazionali, sono pur sempre questi ultimi a orientare qualsiasi decisione strategica nel settore della difesa.

3.14

Le dinamiche di mercato rafforzano la concorrenza in tutto il mondo. L'industria statunitense sta intensificando la sua attività di esportazione per compensare la contrazione di alcuni mercati interni. I nuovi attori emergenti a livello globale riusciranno in misura crescente a soddisfare da soli i propri bisogni; non solo, ma inizieranno anche ad esportare e, quindi, a competere con l'industria europea sui mercati dei paesi terzi.

3.15

Infine, l'industria sottoscrive la posizione sostenuta con forza dal CESE lo scorso anno, secondo cui un'industria della difesa matura non potrà mai mantenere una posizione credibile sul piano internazionale se non dispone di una solida base nel proprio mercato interno. Considerato l'elemento "alta tecnologia" delle attrezzature militari, nessun mercato o bilancio della difesa di un singolo paese rappresenta più, da solo, un volume sufficiente. Questo processo è in atto ormai da vent'anni e i suoi effetti si fanno oggi sempre più evidenti.

3.16

Nel cammino verso una difesa europea indipendente il CESE considera altamente prioritari le capacità nazionali e gli investimenti ad elevato valore aggiunto, che sono essenziali perché l'Europa ricopra un ruolo di spicco a livello mondiale e contribuiranno al diffondersi di una nuova mentalità tra i paesi europei.

3.17

Di recente l'industria ha ripetuto tutte le argomentazioni ormai note a favore della presenza - in tutti i comparti importanti - di sistemi tecnologici e produttivi di lungo periodo, stabili e prevedibili nonché guidati dall'Europa.

3.18

L'industria sta lanciando l'allarme. Per poter sopravvivere e conservare la propria capacità di reddito e il livello di occupazione attuali, una soluzione alternativa consiste nell'aumentare la produzione del settore civile. Così facendo, però, all'UE verrebbe a mancare - in misura sempre maggiore - un'industria della difesa basata sul mercato interno, con ripercussioni anche sulla sua politica estera.

3.19

I sindacati, rappresentati da IndustriAll (Federazione europea dei sindacati del personale dell'industria), nutrono anch'essi forti preoccupazioni di natura analoga. Nel 2011 7330 00 lavoratori qualificati in Europa (12) erano impiegati in via diretta dall'industria aerospaziale, e da questo settore dipendevano altri 2 milioni di persone. Nell'ultimo decennio la forza lavoro è già stata notevolmente ridotta, e ulteriori tagli di bilancio minacciano l'occupazione. L'industria della difesa non risulta sufficientemente attraente per i giovani lavoratori a causa del suo destino imprevedibile.

3.20

Il CESE evidenzia il fatto che i dipendenti scontano in gran parte l'incapacità dei governi di ristrutturare il loro settore militare. Scegliendo di rimandare il processo di razionalizzazione della base militare, i governi si lasciano sfuggire l'occasione di investire in un rinnovamento efficiente delle capacità, con conseguenti ripercussioni negative sulla forza lavoro.

3.21

Finché continueranno a susseguirsi ristrutturazioni non pianificate e improvvisate, la situazione attuale non potrà che generare una sempre maggiore resistenza. Al momento di introdurre cambiamenti politici proattivi, sarà necessaria la partecipazione dei rappresentanti della forza lavoro a livello aziendale e territoriale onde evitare adeguamenti bruschi.

3.22

L'occupazione, forse su scala minore, richiederà un coordinamento ben maggiore in termini di tecnologie e di produzione a livello europeo. In questo processo occorre evitare l'occupazione precaria ricorrendo a nuove qualifiche e competenze al fine di garantire per quanto possibile contratti e prospettive di lavoro dignitose. Occorre attuare un dialogo sociale efficace a diversi livelli.

3.23

Il ridimensionamento della produzione europea causato dai tagli di bilancio va gestito in modo strutturato, ricorrendo tra l'altro a un dialogo sociale accettabile volto a salvaguardare l'occupazione e a contribuire al nuovo inquadramento del personale in esubero. Sia l'industria che i lavoratori trarranno maggiori vantaggi da un contesto europeo prevedibile e orientato dal mercato, che non da ristrutturazioni pianificate male e in una prospettiva di breve periodo, concepite unicamente su scala nazionale senza obiettivi precisi (13).

4.   Condizioni politiche e possibili prospettive

4.1

Le prospettive dell'industria europea della difesa diverranno gradualmente così incerte da rendere necessario l'avvio, tra i paesi europei, di un dibattito di fondo sul futuro del settore – se non tra tutti, quantomeno tra quelli disponibili a farlo.

4.2

Occorrono una mentalità nuova e l'elaborazione di un "linguaggio comune" agli Stati membri e all'Unione, a partire da tre presupposti di base:

un'economia europea integrata necessita di un approccio comune in materia di difesa e di sicurezza per salvaguardare e tutelare i suoi interessi, i suoi cittadini e le sue posizioni a livello internazionale;

occorre un'analisi condivisa degli scenari mondiali attuali e di quelli previsti (a lungo termine) quale punto di avvio per l'elaborazione di idee e di strategie concrete volte a sostenere la posizione globale dell'UE sulla scena internazionale;

occorre effettuare un collegamento tra la politica estera, le minacce, la difesa e la sicurezza, le prospettive di lungo periodo e un'industria della difesa sostenibile, anche sotto il profilo occupazionale.

4.3

Il CESE è pienamente consapevole del forte impatto di questi tre presupposti tra loro correlati, che sinora non sono stati oggetto di una disamina adeguata. Parecchie iniziative avviate in buona fede negli ultimi 15 anni non sono andate a buon fine perché il concetto di sovranità nazionale – in altre parole, la percezione a livello nazionale delle varie minacce e posizioni, espressa dalla politica estera del singolo Stato – non è mai stato messo in discussione. Di conseguenza, in Europa coesistono attualmente numerose posizioni, in certa misura, incompatibili. A giudizio del CESE, la realizzazione di autentici progressi sarà solo un'illusione se non si accetta l'idea di una sovranità condivisa nel quadro dell'Unione europea.

Il dibattito deve pertanto ripartire su nuove basi per dare il via a processi nuovi e più promettenti.

4.4

Dal momento che sono molti gli ambiti d'intervento interessati, il CESE accoglie con grande favore il Consiglio europeo sulla difesa del prossimo dicembre. Sino ad oggi la difesa e la sicurezza sono rimasti settori principalmente di competenza dei ministri della Difesa, che sono solitamente allineati sugli orientamenti generali formulati dai ministri degli Esteri e sotto la stretta sorveglianza dei ministri delle Finanze.

4.5

Nel frattempo, però, il contesto sta cambiando completamente a seguito dell'introduzione di severi vincoli di bilancio e della necessità di razionalizzazione, nonché dell'affermarsi di nuovi paradigmi e, di conseguenza, di nuove minacce. Considerando, tra l'altro, l'interrelazione tra tecnologia civile e militare e innovazione, come pure il collegamento tra la difesa e la sicurezza pubblica, sono ugualmente coinvolti altri ambiti d'intervento delle politiche di governo. L'insieme di questi diversi fattori richiede un approccio olistico e globale.

4.6

Numerosi soggetti, in particolare industriali e dipendenti, contano sul pensiero e l'azione strutturale che si affermeranno da dicembre in poi. Se l'UE perde quest'occasione, potrebbero passare anni prima di riavviare un processo positivo.

4.7

Il Consiglio europeo di dicembre sarà il primo Consiglio dell'UE ad affrontare la questione della difesa in termini generali. Di fronte alle enormi complicazioni derivanti da un cambiamento di rotta, il CESE ritiene che altri Consigli europei saranno indispensabili per tracciare un percorso visibile, oltre che per offrire credibilità e prevedibilità.

5.   La politica industriale

5.1

Il CESE accoglie con estremo favore la comunicazione della Commissione europea sulla politica industriale (14) volta a favorire condizioni, politiche e programmi vantaggiosi in grado di avviare, incrementare e potenziare le attività industriali in Europa. Quest'ultima deve garantire il proprio futuro industriale in un ambiente aperto.

5.2

Quello della difesa è un settore predominante e con caratteristiche del tutto particolari, che opera, per sua stessa natura, sulla totalità dei mercati istituzionali di tutto il mondo. Tanto il settore quanto le strutture di ricerca sono sviluppati e organizzati prevalentemente a livello nazionale. I paesi più piccoli, privi di una propria produzione industriale, acquistano prodotti già disponibili sui mercati, e ciò si riduce, in definitiva, ad acquistare dagli Stati Uniti.

5.3

Il processo di consolidamento del settore, tramite fusioni e acquisizioni transfrontaliere, e quello di internazionalizzazione, in particolare con il tessuto industriale degli Stati Uniti, determinano interconnessioni tra grandi aziende e PMI di tutta Europa. Il ritmo delle esportazioni è tuttora positivo; il principale ostacolo è la difficile relazione del settore con i governi degli Stati membri, dovuta all'assenza di prospettive comuni.

5.4

Oltre che con le iniziative dell'AED, l'UE ha avviato il processo con due direttive che prevedono l'apertura di mercati intraeuropei (15). La scadenza per il recepimento delle direttive da parte degli Stati membri era l'estate del 2011 (16), ma la loro attuazione procede in realtà lentamente.

5.5

Il CESE accoglie con grande favore la comunicazione della Commissione (17) da cui emergono notevoli progressi in termini di analisi e di proposte. La Commissione a buon diritto sottolinea, nel quadro di una politica industriale per il settore della difesa, l'importanza del mercato interno per i prodotti della difesa, le attività di R&S, il ruolo delle PMI, il potenziale contributo della politica regionale e lo sviluppo di qualifiche appropriate.

5.6

Tuttavia, una critica che il CESE muove al documento della Commissione è che esso non mette sufficientemente in rilievo la posizione unica del settore della difesa e la necessità di una politica industriale proattiva. Non si tratta solo dell'apertura dei mercati, che va definita correttamente a causa delle caratteristiche specifiche del settore della difesa, comprese quelle individuate dall'articolo 346 del TFUE.

5.7

Si tratta infatti anche di creare una base politica in Europa che consenta ai governi di lavorare insieme al loro destino comune in una prospettiva a lungo termine. Solo così saranno realizzate le condizioni per lanciare programmi congiunti seri, dalla concezione fino alle fasi - mirate - della ricerca, dell'innovazione e della produzione nel mercato interno europeo in una prospettiva a lungo termine.

5.8

La R&S è l'elemento chiave per l'inizio della catena di valore, che dovrebbe essere "europeizzata" (18). Per questo motivo si è molto insistito sulla cooperazione in materia di ricerca e tecnologia (R&T) e di R&S all'atto della creazione dell'AED, così come nell'ambito degli organi che l'hanno preceduta (GAEO = Gruppo per gli armamenti dell'Europa occidentale e IEPG = Gruppo europeo indipendente per i programmi) e della NATO. Ancora una volta, però, l'attuazione risulta carente.

5.9

Nell'arco di oltre trent'anni l'insuccesso della cooperazione è stato più la regola che l'eccezione. Se è vero che sono stati avviati alcuni progetti comuni, come gli elicotteri NH-90 e gli aeromobili militari da trasporto A400M, gli esempi dimostrano anche che, troppo spesso, i requisiti di sistema non sono altro che la sommatoria di quelli stabiliti a livello nazionale; inoltre, le fasi di sviluppo sono state eccessivamente lunghe e i prodotti finali hanno avuto un costo troppo elevato.

5.10

Se si escludono alcuni successi relativi, altre iniziative di cooperazione sono fallite, come nel caso di NF-90, e diversi programmi di aeromobili da combattimento (Typhoon, Rafale, Gripen) tra loro concorrenti sono stati attuati in parallelo, mentre molti paesi hanno aderito al programma statunitense dei cacciabombardieri F-35, oltre che ad un gran numero di programmi missilistici.

5.11

Allo stato attuale non risultano in corso programmi importanti su vasta scala, mentre i sistemi esistenti mostrano i segni dell'età e diventano via via obsoleti. A dimostrazione di quanto sopra, il CESE punta il dito sui veicoli corazzati, sottomarini, elicotteri da trasporto, sistemi di difesa antiaerea portatili, ecc. I nuovi sistemi automatizzati sembrerebbero infatti offrire l'occasione ideale per iniziative comuni, mentre in pratica non sono ancora comparsi obiettivi di questo genere. Un'altra possibilità sarebbe una cooperazione meno ambiziosa ad esempio in materia di standardizzazione delle capacità di rifornimento di carburante in volo.

5.12

Il CESE chiede che vengano avviati programmi europei incentrati in particolare sulla nuova generazione di sistemi di pilotaggio remoto, avvalendosi di sinergie con la Commissione, e sulle comunicazioni satellitari sicure. Si potrebbero altresì considerare possibilità di cooperazione (con gli Stati Uniti) riguardo ad esempio alle capacità di rifornimento in volo, che costituiscono un ambito particolarmente carente, per il quale, oltretutto, l'AED è alla ricerca di soluzioni europee.

5.13

La comunicazione della Commissione fa riferimento ad una serie di opportunità che necessitano di un pieno sostegno politico. A questo proposito, un'iniziativa fondamentale sembrerebbe l'avvio dello sviluppo di una capacità europea di sorveglianza dallo spazio ad alta risoluzione, che consenta di creare sistemi in grado di sostituire degnamente Helios, RadarSat, ecc. In questo caso, una questione essenziale è riuscire a combinare insieme le competenze disponibili negli Stati membri, presso l'Agenzia spaziale europea (ESA) e il Centro comune di ricerca (CCR) dell'UE, anche sotto il profilo delle risorse finanziarie. Nessun paese europeo è in grado di fare tutto ciò da solo.

5.14

I progetti nel settore della difesa devono essere collegati ai programmi europei di R&S ogniqualvolta ciò risulti opportuno. Il Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico prevede già progetti relativi alle tecnologie a duplice uso, il cui valore aggiunto è tra l'altro la promozione di progetti transfrontalieri. Il CESE chiede di considerare in modo più sistematico le tecnologie a duplice uso nell'ambito di Orizzonte 2020.

5.15

È fondamentale che la politica industriale consideri anche il divario esistente tra i principali paesi produttori ed altri paesi. È necessario promuovere attivamente la partecipazione delle industrie di tutti i paesi per ottenere l'adesione politica ed economica del maggior numero possibile di Stati membri. Potrebbe così scomparire gradualmente la questione delle compensazioni che solitamente suscita accese discussioni e forti critiche. Questi elementi dovrebbero diventare parte integrante di una strategia europea globale in materia di difesa.

5.16

Il CESE solleva la spinosa questione degli acquisti di prodotti già disponibili sui mercati non UE. Nel quadro di una strategia europea di difesa simili politiche devono essere oggetto di un riesame. Questa questione essenziale e molto complicata va affrontata al più alto livello.

5.17

Un settore europeo della difesa ben gestito offre opportunità di gran lunga migliori per una cooperazione internazionale equilibrata, soprattutto con gli Stati Uniti. Dal momento che l'America protegge i suoi interessi strategici, il CESE chiede che venga esaminata con attenzione la natura eccezionale del settore della difesa su entrambe le sponde dell'Atlantico nel corso dei prossimi negoziati sull'accordo di libero scambio.

5.18

In questo stesso contesto, occorre garantire nei modi più opportuni una continuità nelle forniture di componenti sensibili e fondamentali di provenienza americana nella catena di valore europea. Una posizione europea comune agevolerà altresì i negoziati con i paesi terzi in materia di forniture di materie prime di importanza fondamentale.

5.19

Analogamente, i diritti europei di proprietà intellettuale vanno opportunamente garantiti nelle esportazioni verso i paesi terzi.

5.20

Una collaborazione riuscita tra le industrie dei diversi paesi non dovrebbe essere compromessa da decisioni unilaterali dei singoli Stati membri in materia di controllo delle esportazioni; queste porterebbero infatti a disparità nell'applicazione dei criteri per i controlli all'esportazione rispetto alla posizione comune (19) e a divergenze tra i criteri nazionali degli Stati membri.

6.   Azioni proposte dalla Commissione

6.1

Il CESE concorda in larga misura con le proposte di azione della Commissione e le considera dei notevoli passi avanti, ma intende integrare alcuni punti con le considerazioni esposte di seguito.

6.2

Un nodo essenziale è la cooperazione con l'AED: a giudizio del CESE, coordinamento e articolazione tra la Commissione e l'Agenzia, come raccomandato in diverse azioni proposte dalla comunicazione, sono un presupposto indispensabile per progredire e ottenere risultati positivi. Il CESE pone inoltre l'accento sulla promozione delle capacità a duplice uso, come quelle del trasporto aereo.

6.3

Il CESE sottolinea che, per realizzare il suo pieno potenziale, l'AED deve disporre di una base finanziaria più solida e del pieno impegno degli Stati membri. All'Agenzia andrebbe assegnato un ruolo di maggior spicco nella pianificazione della difesa, a supporto degli Stati membri.

6.4

Il CESE appoggia risolutamente le proposte della Commissione sugli standard e la certificazione, che rafforzeranno la cooperazione transfrontaliera nell'industria, oltre a contribuire alla specializzazione regionale e alle reti di eccellenza. Incoraggia le sinergie tra l'AED e l'Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA), soprattutto in materia di certificazione.

6.5

Le PMI, interconnesse anche con le grandi imprese, sono molto importanti per l'innovazione e la produzione del settore europeo della difesa. A sostegno delle proposte di azione, il CESE insiste sulla necessità di reti aperte. Un numero minore di progetti (europei), con obiettivi, però, meglio mirati, può far emergere nuove opportunità.

6.6

Il coinvolgimento di un ampio spettro di PMI di tutta Europa servirà anche ad impegnare il maggior numero possibile di paesi nel processo, e costituirà peraltro un'occasione di compensare gli Stati che decidano di abbandonare gli acquisti di prodotti già disponibili sui mercati non UE per orientarsi verso prodotti europei.

6.7

Il CESE appoggia risolutamente le proposte di azione della Commissione in materia di competenze, che giudica di importanza fondamentale. Accoglie con grande favore un contributo positivo del Fondo sociale europeo e dei fondi strutturali, e plaude al lavoro compiuto dall'AED per sensibilizzare gli Stati membri e sostenere l'elaborazione di progetti concreti in questi campi.

6.8

Il CESE ribadisce il proprio convinto sostegno all'iniziativa della Commissione che punta a sfruttare attivamente le tecnologie a duplice impiego.

6.9

Il CESE mette l'accento sul legame potenzialmente positivo tra le politiche nel settore spaziale e la difesa, tanto per i progetti in corso quanto per quelli elaborati solo di recente (20).

6.10

Il CESE approva le proposte di azione nel settore dell'energia, che tra l'altro coinvolgeranno un numero crescente di PMI.

6.11

La dimensione internazionale è della massima importanza, al pari della prevista comunicazione su una prospettiva di lungo periodo per i controlli delle esportazioni strategiche dell'UE. Il CESE osserva che le relazioni industriali esterne possono dare buoni risultati soltanto in presenza di un autentico mercato interno.

6.12

Per finire, il CESE condivide appieno l'insieme delle considerazioni strategiche esposte nella sezione 9.2 della comunicazione.

Bruxelles, 17 ottobre 2013

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente, COM(2013) 542 final.

(2)  Si tratta di un documento non ancora pubblicato. È disponibile la posizione provvisoria dell'Alto rappresentante.

(3)  GU C 299 del 4.10.2012, pag. 17.

(4)  GU C 299 del 4.10.2012, pag. 17.

(5)  Cfr. l'articolo 42 del TUE.

(6)  Un esempio molto eloquente, nel campo dell'aviazione civile, è costituito dal successo e dallo sviluppo dinamico di Airbus.

(7)  Cfr. dati AED 2011 relativi alla difesa.

(8)  Fonte: AED, gennaio 2012.

(9)  Strategic Defence and Security Review (riesame della sicurezza e della difesa strategica), Regno Unito, ottobre 2010. Livre blanc sur la défense et la sécurité nationale (Libro bianco sulla difesa e la sicurezza nazionale), Francia, maggio 2013.

(10)  In un intervento pronunciato lo scorso 29 aprile all'École militaire di Parigi, il ministro francese della Difesa Jean-Yves Le Drian ha dimostrato grande apertura quanto alle conseguenze di questa riduzione, formulando una serie di considerazioni molto puntuali.

(11)  Idem, punto 1.2.

(12)  Relazione annuale della Aerospace and Defence Association (AED) 2012.

(13)  Cfr. anche Twelve demands for a sustainable industrial policy (Dodici richieste per una politica industriale sostenibile), Comitato esecutivo di IndustriAll Europe, 12-13 giugno 2013.

(14)  Cfr. la comunicazione della Commissione europea Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica - Aggiornamento della comunicazione sulla politica industriale (COM(2012) 582 final) e il parere del CESE in merito a tale comunicazione.

(15)  Pacchetto UE per la difesa del 2007.

(16)  Direttiva 2009/43/CE, che semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa (GU L 146 del 10.06.2009), e direttiva 2009/81/CE (GU L 216 del 20.08.2009) relativa al coordinamento delle procedure per l’aggiudicazione di taluni appalti di lavori, di forniture e di servizi nei settori della difesa e della sicurezza da parte delle amministrazioni aggiudicatrici/degli enti aggiudicatori. Il pacchetto UE per la difesa conteneva inoltre una comunicazione dal titolo Una strategia per un’industria europea della difesa più forte e competitiva, COM(2007) 764 final, del 5.12.2007.

(17)  Cfr. nota 1.

(18)  Conformemente alle raccomandazioni formulate in numerosi documenti. Cfr. anche GU C 299 del 4.10.2012, pag. 17.

(19)  2008/944/CFSP.

(20)  Cfr. il parere del CESE sul settore spaziale, settembre 2013.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/132


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Tecnologie energetiche e innovazione»

COM(2013) 253 final

2014/C 67/26

Relatore: WOLF

Correlatore: COULON

La Commissione europea, in data 2 maggio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Tecnologie energetiche e innovazione

COM(2013) 253 final.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 30 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Sintesi del parere

1.1

Il Comitato economico sociale europeo (CESE) accoglie con favore le misure previste dalla Commissione.

1.2

Il CESE ribadisce il suo impegno in favore di una comunità europea dell'energia e di un dialogo europeo in materia di energia.

1.3

Il Comitato sostiene l'obiettivo di un'azione comune, concordata, coerente e cooperativa dei soggetti che partecipano alla politica energetica.

1.4

Raccomanda di evitare assolutamente, nell'attuazione delle misure, ogni genere di fattori che ostacolano l'innovazione: rigidità burocratica, timore del rischio, distorsioni del mercato. Occorre semmai incoraggiare i promotori di nuove idee e di nuovi progetti.

1.5

Il compito principale consiste nello sviluppo tecnico-scientifico di tecnologie e innovazioni nel settore energetico. Ciò riguarda in particolare la prosecuzione e lo sviluppo del piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET) nel periodo di eleggibilità 2014-2020.

1.6

Occorre garantire mediante strumenti adeguati l'equilibrio tra, da un lato, lo sviluppo dei progetti già pianificati e, dall'altro, l'apertura verso nuovi molteplici approcci e la competizione fra essi.

1.7

Soltanto le esperienze con una vasta gamma di opzioni e di progetti, e l'interazione di questi con un altrettanto vasto mix energetico, consentiranno nel lungo periodo di assolvere l'arduo compito che abbiamo di fronte.

1.8

Data la prevedibile insufficienza delle risorse finanziarie destinate a ricerca e sviluppo (R&S) nel programma europeo Orizzonte 2020 e nei bilanci degli Stati membri, diviene ancor più importante utilizzare, per far fronte a questa enorme sfida, i fondi strutturali dell'UE, il Fondo europeo di investimento, il gettito del Sistema europeo di scambio di emissioni, ma anche e soprattutto il potenziale di investimento dell'economia di mercato.

1.9

Occorrerà utilizzare le risorse pubbliche destinate a R&S laddove sia necessario destinare risorse agli obiettivi di ricerca, ma l'onere dei relativi investimenti non possa essere fatto ricadere sull'industria.

2.   Sintesi della comunicazione della Commissione

2.1

Nel contesto delle sfide per il 2020 e oltre, la Commissione presenta, come parte integrante della sua politica energetica, una strategia intesa a mettere a punto nuove tecnologie e innovazioni.

2.2

La Commissione si propone di:

mettere a punto entro la fine del 2013, nel quadro del piano SET, una tabella di marcia integrata,

definire, insieme agli Stati membri, un piano di azione per gli investimenti,

rafforzare, insieme con gli Stati membri, il sistema di notifica,

invitare le piattaforme energetiche europee ad adeguare il loro mandato, la loro struttura e la loro composizione alla tabella di marcia integrata,

istituire una struttura di coordinamento nell'ambito del gruppo direttivo del piano SET.

2.3

A tal fine la Commissione invita il Parlamento europeo e il Consiglio a:

riaffermare il loro sostegno al piano SET,

approvare i principi e gli sviluppi proposti,

sostenere l'impiego a tal fine dei fondi dell'UE e delle risorse nazionali, regionali e private.

2.4

In quest'ottica, la Commissione invita gli Stati membri e le regioni a:

rafforzare il coordinamento tra i loro programmi di ricerca e di innovazione nel settore energetico, anche attraverso i fondi strutturali e di investimento dell'UE e i proventi del Sistema di scambio dei diritti di emissione dell'UE, rafforzare il coordinamento dei singoli programmi nazionali e regionali grazie all'Alleanza europea per la ricerca nel settore dell'energia,

rafforzare la collaborazione nel quadro di azioni congiunte e cluster,

promuovere una rapida immissione sul mercato delle tecnologie energetiche sostenibili.

3.   Osservazioni generali

3.1

In molti dei suoi precedenti pareri, il CESE ha menzionato l'immane compito di garantire all'Europa un approvvigionamento energetico sostenibile, sicuro, compatibile con il clima ed economico, in un contesto caratterizzato da una crescente domanda energetica mondiale, da una situazione critica delle risorse e da problemi climatici.

3.2

Il CESE ravvisa nella comunicazione in esame un ulteriore, importante approccio destinato a favorire il progresso verso l'obiettivo di cui sopra. Sostiene pertanto con forza le misure previste dalla Commissione.

3.3

L'obiettivo potrà essere raggiunto, a costi accettabili, solo grazie a un'azione comune, concordata e cooperativa di tutte le parti in causa, e in particolare

del Consiglio europeo,

del Parlamento europeo,

della Commissione europea e delle sue diverse politiche,

degli Stati membri e dei loro organi,

degli enti regionali e locali,

del settore industriale, comprese le PMI,

degli istituti di ricerca e delle università,

dei partiti politici, dei rappresentanti della società civile, delle parti sociali e dei cittadini.

3.4

Il CESE ritiene che le misure annunciate dalla Commissione vadano in questa direzione e meritino pertanto pieno sostegno. Al tempo stesso raccomanda di procedere sempre tenendo conto anche della situazione internazionale e in cooperazione con i pertinenti programmi degli Stati.

3.5

Il CESE ribadisce il suo impegno in favore di una comunità europea dell'energia (1), come quadro indispensabile per realizzare questi obiettivi nella maniera più efficiente. Ribadisce inoltre il proprio sostegno al dialogo energetico europeo (2), che permette di coinvolgere i cittadini, in quanto parti interessate e soggetti attivi della società civile, nel processo decisionale e nei settori di intervento.

3.6

Ciò richiede anche il massimo grado possibile di informazione e di trasparenza per quanto riguarda il grado di sviluppo, le opportunità, i rischi, i costi e le ripercussioni delle varie opzioni in campo (3).

3.7

Tuttavia, per quanto necessari, le misure e i requisiti proposti dalla Commissione e sostenuti dal CESE possono comportare, a livello applicativo, aspetti problematici o conflittuali che vanno assolutamente evitati.

3.8

Ciò vale tra l'altro per la tendenza al centralismo, alla lentezza e ad impostazioni di economia pianificata, elementi tipici di un eccesso di regolamentazione e di un'amministrazione troppo pervasiva e formale.

3.9

Nel mettere in guardia dal rischio di lentezza, inefficienza e ipertrofia amministrativa, il CESE rinvia tra l'altro al proprio parere sul tema Semplificare l'attuazione dei programmi quadro di ricerca  (4). Il CESE accoglie con favore gli sforzi della Commissione in questo campo, e raccomanda vivamente di applicare tale approccio anche al tema in oggetto.

3.10

Si può verificare anche un altro fenomeno indesiderato, poiché le istituzioni che erogano gli aiuti, quelle che li ricevono, e i loro responsabili, tendono a evitare rischi. Ciò può condurre a sostenere in via preferenziale tecnologie già conosciute. Contribuisce a tale tendenza il fatto che spesso gli organi decisionali mancano di esperti competenti e riconosciuti nei settori pertinenti.

3.11

Tuttavia, procedere secondo modalità pianificate in partenza è tutt'al più opportuno quando vi sia già un'adeguata base scientifica e tecnica che consenta di definire chiaramente le misure ulteriori e di valutare appieno il percorso da seguire, di modo che ulteriori modifiche o innovazioni risultino non soltanto inutili ma addirittura indesiderate.

3.12

Nel settore delle tecnologie energetiche, però, la situazione è ben diversa, come risulta dall'affermazione della Commissione, che il CESE condivide pienamente, secondo cui l'UE deve dotarsi di una strategia forte e dinamica in materia di tecnologie e innovazione. Tale strategia dovrà sostenere con impegno le tecnologie che evidenziano un potenziale promettente, anche quando siano caratterizzate da elevati rischi di sviluppo.

3.13

Occorre, quindi, da un lato attivare gli approcci e le politiche di cooperazione di cui si è detto al punto 3.3, allo scopo di liberare e unire le energie comuni, e dall'altro adottare una vasta gamma di approcci e di piani sistemici, nonché un atteggiamento di apertura verso progetti innovativi e specificità regionali, fornendo uno stimolo attraverso idee basate sul meccanismo di prova ed errore e consentendo e incoraggiando la concorrenza.

3.14

Un requisito, questo, che deve applicarsi anche alle misure di armonizzazione e coordinamento. A tal fine, occorre garantire esplicitamente, attraverso strumenti adeguati, un equilibrio tra lo sviluppo pianificato dei progetti e l'apertura a nuovi, molteplici approcci. Il CESE concorda pertanto con la Commissione nel ritenere che occorra creare le condizioni necessarie per garantire flessibilità, innovazione, propensione al rischio e nuovi temi di ricerca. A tal fine occorrono strumenti e strutture gestionali specifiche.

3.15

Questo riguarda anche e soprattutto la promozione di progetti innovativi nell'industria. Vi sono infatti numerosi esempi del fatto che le innovazioni più significative non sono nate nei settori predominanti sul mercato, ma sono invece opera di soggetti collocati ai margini, ad esempio nel settore delle PMI. La politica statale di innovazione, che si concentrerebbe soprattutto sul sostegno ai "campioni nazionali", correrebbe il rischio di valutare erroneamente gli sviluppi tecnici e di sottostimarne l'importanza. L'aeroplano non è stato inventato dall'industria ferroviaria o da quella navale. E, come già altri autori hanno sottolineato, la luce elettrica non costituisce uno sviluppo lineare della candela. Non occorre quindi sostenere in via prioritaria i "fabbricanti di candele", bensì cercare i promotori di idee e progetti radicalmente nuovi e sostenerli in modo particolare.

3.16

Ma le proposte della Commissione contengono un ulteriore potenziale terreno di scontro: quello tra innovazione e immissione sul mercato. Da un lato, un'innovazione ha successo quando dà buona prova di sé sul mercato e supera le consuete difficoltà iniziali. Gli aiuti all'immissione sul mercato (cfr. anche il punto 3.26), o addirittura le tariffe amministrate (come ad esempio la normativa sull'immissione in rete), possono essere molto efficaci ma anche condurre a lungo termine a distorsioni del mercato, a scapito di soluzioni migliori. Proprio l'esperienza maturata con la normativa in materia di immissione in rete mostra quanto sia difficile correggere per tempo gli sviluppi erronei una volta che si siano prodotti. In tal modo vengono ostacolate le soluzioni migliori o le misure più importanti. Per questo, in linea di principio, gli aiuti all'immissione sul mercato di nuove tecnologie dovrebbero tutt'al più essere mantenuti finché queste non abbiano raggiunto un'adeguata quota di mercato.

3.17

Il CESE raccomanda pertanto di analizzare attentamente questa problematica. I possibili strumenti di sostegno dell'immissione sul mercato dovrebbero senz'altro offrire un quadro prevedibile e affidabile per gli investimenti, ma anche garantire, ad esempio attraverso una sufficiente degressività predisposta sin dall'inizio, che vengano evitati gli svantaggi menzionati altrove in termini di opposizione al mercato e all'innovazione (cfr. anche i punti 3.25 e 3.26).

3.18

Tuttavia, a giudizio della Commissione e del CESE, il compito più importante nel settore energetico consiste nello sviluppo tecnico-scientifico di tecnologie e innovazioni. Si tratta quindi dell'interazione e delle tensioni reciproche tra ricerca di base, sviluppo, dimostrazione e innovazione rivolta a immettere con successo sul mercato le tecniche, le procedure e le forme organizzative che saranno necessarie per convertire il nostro attuale approvvigionamento energetico conformemente alla tabella di marcia per l'energia 2050 e oltre, ma che per lo più non sono ancora prevedibili.

3.19

Ciò riguarda in particolare il proseguimento e lo sviluppo ulteriore, nel periodo di eleggibilità 2014-2000, del piano SET (5), caratterizzato sinora da grande successo.

3.20

In tale contesto si pone la questione di principio dell'impiego di fondi pubblici, ossia provenienti da imposte (o da contributi obbligatori) a carico dei cittadini o delle imprese: per quali obiettivi di sostegno devono o possono essere impiegati, e quali risorse debbano provenire dall'economia privata. Senza affrontare qui i profili giuridici di tale questione, il CESE intende valutarne i contenuti e gli aspetti connessi con il tema del parere. Esso ritiene che qualsiasi sovvenzione proveniente dalla Commissione (e quindi da risorse pubbliche) debba concentrarsi sui compiti che con risorse private possono essere sostenuti soltanto in misura minore, in quanto, per esempio:

il rischio di sviluppo è elevato, ma anche l'utilità in caso di successo;

i costi sono molto elevati (e possono quindi essere sostenuti solo congiuntamente da una serie di fonti pubbliche diverse);

il tempo necessario per trarne dei benefici utilizzabili è troppo lungo;

si tratta di tecnologie trasversali o di tecnologie chiave (ad esempio nuovi materiali);

i risultati non sono direttamente commerciabili, ma si tratta di una esigenza sociale o ambientale generale.

3.21

Ferme restando le osservazioni di cui sopra, il CESE sostiene anche la proposta della Commissione secondo cui "il piano SET dovrebbe essere maggiormente incentrato sull'integrazione dei sistemi energetici e delle attività lungo la catena dell'innovazione. Risulta chiaro che, a tal fine, occorre un maggior coordinamento delle IEI (iniziative industriali europee) e dell'EERA (alleanza europea per la ricerca nel settore dell'energia)" (6).

3.22

Il CESE ravvisa in un adeguato sviluppo ulteriore dell'alleanza europea per la ricerca nel settore dell'energia (EERA) una forma di organizzazione importante per raggiungere in tutti i settori energetici quell'unità ed efficacia europea che sinora ha costituito, per esempio, il segreto del successo della ricerca europea nel campo della fusione nucleare nel quadro del precedente programma EURATOM. È quindi importante che l'EERA abbia un'adeguata struttura gestionale nel campo della R&S, in grado ad esempio di affrontare tutte insieme le singole questioni pertinenti in materia di R&S, e di riunire le competenze settoriali europee. Il CESE rinnova pertanto l'invito a prevedere ogni volta una partecipazione qualificata, competente e determinante della Commissione alle decisioni e alla ripartizione delle sovvenzioni.

3.23

Per quanto riguarda i costi effettivi e il bilancio messo a disposizione dalla Commissione per farvi fronte, il CESE ribadisce la delusione già espressa più volte per il fatto che, nel quadro finanziario 2014-2020, la dotazione prevista per il programma Orizzonte 2020 non corrisponda in alcun modo ai compiti e all'importanza della problematica.

3.23.1

È quindi tanto più importante, da un lato, utilizzare nel miglior modo possibile gli scarsi finanziamenti per R&S di Orizzonte 2020 (direttive sugli appalti pubblici!), in modo che servano da leva e da stimolo per indurre gli Stati membri e l'economia privata a investimenti in R&S sensibilmente maggiori;

3.24

e, dall'altro lato, reperire, come suggerito dalla Commissione, ulteriori fonti di finanziamento: dunque utilizzare i fondi strutturali dell'UE, il Fondo europeo di investimento e i proventi (ormai molto modesti) del sistema europeo di Scambio di emissioni, ma soprattutto attivare il potenziale di investimento della libera economia e della sua industria, orientandolo verso questi difficili compiti.

3.25

Come il CESE ha già più volte segnalato, a tal fine occorre anche abbandonare gli interventi sul mercato, di orientamento nazionale, che contrastano tra di loro danneggiando la concorrenza, e adottare invece una normativa valida su scala europea ed affidabile (7), onde offrire agli investitori sicurezza nella programmazione e i necessari incentivi.

3.26

Come esempio particolarmente lampante di regolamentazioni che ostacolano l'innovazione, si ricordino ancora una volta gli effetti delle cosiddette disposizioni sull'immissione in rete, in vigore in alcuni Stati membri, con il loro eccessivo sovvenzionamento di fonti energetiche intermittenti. Dimostratosi inizialmente uno strumento estremamente efficace di sostegno iniziale e di immissione sul mercato, tale meccanismo si è poi rivelato un finanziamento eccessivo e sproporzionato, che talvolta ha causato sul mercato dell'elettricità una caduta dei prezzi tale da far sì che per le imprese non risultasse conveniente né costituire capacità di riserva e sviluppare ulteriormente le relative tecnologie, né predisporre le indispensabili tecnologie di stoccaggio ed investire in esse.

3.26.1

Ciò conduce perdipiù a situazioni paradossali e grottesche, come il fatto che i consumatori finali di elettricità debbano coprire la cospicua differenza tra i prezzi di mercato, bassi e talora persino negativi, e il compenso per l'immissione in rete, ben superiore al livello medio di mercato.

3.26.2

Le eccessive tariffe energetiche che ne derivano per i consumatori, oltre a costituire un problema generale per l'economia europea, sono anche una causa di quella povertà energetica di cui il CESE si occupa attualmente nel parere TEN/516.

3.27

Questo esempio dovrebbe dimostrare ancora una volta la complessa interconnessione tra innovazione e condizioni di mercato. Il CESE raccomanda quindi, ancora una volta, di intervenire al più presto in questo campo, al fine di offrire incentivi sufficienti e opportunità di riuscita economica agli indispensabili investimenti privati nello sviluppo di tecniche e procedimenti innovativi. In caso contrario, tali investimenti verranno a mancare, poiché anche le imprese più innovative, qualora subiscano perdite a causa della concorrenza di tecnologie favorite e altamente sovvenzionate dallo Stato, sono destinate a fallire e a sparire dal mercato.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Alla luce delle suddette considerazioni, il CESE accoglie con favore anche i principi fondamentali esposti dalla Commissione, e in particolare:

la creazione di valore aggiunto a livello dell'UE,

la definizione delle priorità (generazione, infrastrutture, servizi, ecc.) in funzione del sistema energetico nel suo insieme,

il raggruppamento delle risorse e l'uso di un portafoglio di strumenti finanziari,

la considerazione di ogni opzione, pur concentrandosi sulle tecnologie più promettenti per il post-2020.

Infatti, soltanto le esperienze con una vasta gamma di opzioni e di progetti, e l'interazione di questi con un altrettanto vasto mix energetico, consentiranno nel lungo periodo di assolvere l'arduo compito che abbiamo di fronte. A tal fine si richiedono pragmatismo, senso della realtà e una prospettiva a lungo termine.

4.2

In considerazione delle osservazioni formulate sopra, il CESE accoglie con favore anche gli obiettivi esposti nella comunicazione:

sfruttare appieno il potenziale dell'efficienza energetica,

offrire soluzioni competitive,

promuovere l'innovazione in ambienti reali nell'ambito di un quadro fondato sul mercato.

4.3

In considerazione dei punti deboli delle energie rinnovabili intermittenti, evidenziati nell'ultimo parere di prospettiva su tale argomento (8), il CESE apprezza il proposito della Commissione di dare maggior peso allo sviluppo di un sistema compatibile con l'ambiente per la copertura del carico di base, nonché a un'offerta energetica orientata alle esigenze degli utenti, offerta nella quale, accanto a energie rinnovabili come quella geotermica, figuri tra l'altro l'energia nucleare da fusione con il progetto ITER e il programma di ricerca complementare.

4.4

Il CESE sostiene pienamente anche i lavori di R&S concernenti l'impiego della fissione nucleare, ma non ne tratta nel presente parere, avendo già partecipato attivamente ad un convegno (Convegno: Benefits and limitations of nuclear fission for a low-carbon economy – febbraio 2013) su questo tema.

4.5

Altrettanto vale, evidentemente, anche per lo sviluppo di tecniche e procedimenti adeguati per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (sebbene ciò contribuisca ulteriormente all'esaurimento delle limitate risorse fossili) per pervenire quanto prima possibile a una riduzione delle emissioni di anidride carbonica.

4.6

Il CESE raccomanda inoltre, ancora una volta, di affrontare più energicamente e in maniera prioritaria, nel quadro dello sviluppo delle energie rinnovabili intermittenti, i compiti concernenti gli elementi tuttora mancanti del sistema complessivo, e che servono a consentire un approvvigionamento energetico maggiormente orientato agli utenti e più utile.

4.7

Ciò comprende innanzitutto lo sviluppo di una sufficiente capacità di stoccaggio dell'energia, che sia quanto più possibile efficiente e conveniente. In tale contesto il Comitato ravvisa una particolare esigenza di recupero nello sviluppo adeguato e nella applicazione tecnica su vasta scala della tecnologia elettrolitica/elettrochimica e dei relativi materiali. Ciò consentirebbe inoltre, al pari dei progetti relativi alla mobilità elettrica alimentata a batteria, di creare un'interconnessione sistemica con le energie rinnovabili intermittenti anche nel caso della mobilità alimentata da carburante (gassoso o liquido), mediante motori a combustione o a cellula di combustibile.

4.8

In tale contesto, il CESE rinvia al parere elaborato su richiesta della presidenza irlandese (9), nel quale esprime preoccupazione per l'aumento dei prezzi energetici e le relative ripercussioni sui consumatori e sulla competitività. Per consentire in tale contesto una maggiore concorrenza basata sul mercato, il CESE ha proposto, a titolo di unica misura di sostegno delle energie rinnovabili, l'introduzione di un prezzo adeguato (attraverso interventi opportuni in materia di scambio dei diritti, di tassazione o altro) delle emissioni di carbonio. Ciò condurrebbe, certo, a un rincaro delle energie fossili e pertanto anche dell'elettricità generata in centrali a carbone, petrolio o gas, ma consentirebbe al tempo stesso di rinunciare alle varie altre sovvenzioni o misure obbligatorie per le energie rinnovabili che fanno aumentare i costi e distorcono il mercato. Pertanto, i proventi dell'assegnazione di diritti di emissione dovrebbero non già confluire nei bilanci degli Stati membri come entrata generale, bensì essere destinati esclusivamente allo sviluppo e all'applicazione di sistemi energetici efficienti per il futuro. La proposta della Commissione in materia va dunque nella giusta direzione e merita pieno sostegno.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 68 del 6.3.2012, pag. 15.

(2)  GU C 161 del 6.6.2013, pagg. 1-7.

(3)  GU C 198 del 10.7.2013, pagg. 1-8.

(4)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 129.

(5)  GU C 21 del 21.1.2011, pag. 49.

(6)  COM(2013) 253 final, punto 2.8.

(7)  GU C 198 del 10.7.2013, pagg. 1-8.

(8)  GU C 198 del 10.7.2013, pagg. 1-8.

(9)  GU C 198 del 10.7.2013, pagg. 1-8.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/137


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti per le reti transeuropee di telecomunicazioni e che abroga la decisione n. 1336/97/CE

COM(2013) 329 final — 2011/0299 (COD)

2014/C 67/27

Relatore: LEMERCIER

Il Parlamento europeo, in data 10 giugno 2013, e il Consiglio, in data 14 giugno 2013, hanno deciso, conformemente all'articolo 172 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti per le reti transeuropee di telecomunicazioni e che abroga la decisione n. 1336/97/CE

COM(2013) 329 final — 2011/0299 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 121 voti favorevoli e 2 astensioni.

Il presente parere fa parte di un pacchetto di 6 pareri elaborati del CESE in merito al Meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe Facility - CEF) e ai relativi orientamenti, pubblicati dalla Commissione europea nell'ottobre 2011. Gli altri pareri del pacchetto sono il TEN/468  (1) sul CEF (relatore Hencks), il TEN/469  (2) sugli orientamenti per le reti di telecomunicazioni (relatore Longo), il TEN/470  (3) sugli orientamenti per le infrastrutture energetiche (relatore Biermann), il TEN/471  (4) sulle infrastrutture di trasporto (relatore Back) e il TEN/472  (5) sull'iniziativa prestiti obbligazionari (relatore Duttine).

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Come già ricordato in diversi pareri, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che l'accesso alla banda larga per tutti sia un fattore cruciale per lo sviluppo dell'economia europea ed abbia assunto un rilievo essenziale per la creazione di nuovi posti di lavoro.

1.2

Inoltre, secondo il CESE la realizzazione del mercato unico digitale, che è uno degli obiettivi prioritari dell'UE, presuppone l'interconnessione e l'interoperabilità delle reti nazionali. Si tratta inoltre di un elemento essenziale per rompere l'isolamento di numerosi territori economicamente e culturalmente svantaggiati.

1.3

L'8 febbraio 2013, tuttavia, con il nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) il Consiglio ha riportato la dotazione di bilancio per il CEF digitale a 1 miliardo di euro; e la proposta modificata della Commissione tiene conto delle posizioni più recenti adottate in seno al Consiglio e alla commissione competente del Parlamento europeo.

1.4

Il CESE deplora dunque che la proposta in esame preveda una drastica riduzione del bilancio inizialmente previsto (9,2 miliardi di euro), riportando la dotazione ad un solo miliardo, nonché il fatto che la Commissione sia costretta a modificare in profondità i progetti d'interesse comune per lo sviluppo di reti a banda larga e di infrastrutture di servizi digitali. Secondo il CESE, l'inevitabile blocco di numerosi progetti provocato da questa decisione rischia di far perdere all'UE il vantaggio tecnologico che essa aveva acquisito in numerosi settori strategici.

1.5

Il CESE sottolinea l'enorme difficoltà per la Commissione di allocare efficacemente ed equamente i fondi previsti dal regolamento, tenuto conto della drastica riduzione della dotazione iniziale.

1.6

Nondimeno, il CESE si rallegra del fatto che venga riaffermato il principio della neutralità tecnologica, di fondamentale importanza per una reale apertura di Internet. Il CESE rammenta che le risorse devono essere utilizzate per soluzioni di rete che siano aperte e accessibili su basi non discriminatorie e a costo abbordabile per i cittadini e le imprese.

1.7

Il CESE ribadisce l'auspicio che venga elaborata una cartografia europea, nazionale e regionale che consenta di individuare le cosiddette "zone bianche" (del tutto prive di copertura a banda larga) e favorisca l'emergere di nuove iniziative pubbliche o private. La Commissione prende atto che nessuno Stato membro o investitore è disposto a finanziare servizi transfrontalieri.

1.8

L'apertura alla cooperazione con paesi terzi e organizzazioni internazionali è invece importante per rafforzare l'interoperabilità fra le rispettive reti di telecomunicazioni.

1.9

Secondo il CESE, il moltiplicarsi degli operatori alternativi, se da un lato ha incoraggiato l'innovazione e fatto calare i prezzi per gli utenti, dall'altro ha fortemente ridotto i margini di profitto degli operatori storici pubblici e privati e ne ha quindi ridotto, o in certi casi addirittura annullato, la capacità di investimento. Il CESE reputa necessaria una nuova politica europea in materia di regolazione delle reti - una politica di "concorrenza virtuosa" -, e ritiene che essa debba sfociare in un coinvolgimento forte e concertato dei grandi operatori europei al fine di colmare, una volta usciti dalla crisi, il ritardo accumulato nello sviluppo della banda ad alta ed altissima velocità, nonché porre fine ai "deserti digitali".

1.10

Il CESE deplora che, su una questione di tale importanza, il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione non riescano a esprimere una posizione unanime. Considerata l'entità della nuova dotazione di bilancio, il CESE reputa che l'accesso di tutti i cittadini ad Internet e lo sviluppo della banda larga e delle piattaforme di servizi paneuropee continuino ad essere altrettante priorità.

1.11

Il CESE constata con costernazione che la Commissione – su richiesta del Consiglio, a detta del suo rappresentante – ha espunto dal testo riveduto (e precisamente dall'articolo 8) il riferimento al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Il Comitato, infatti, desidera vivamente che la relazione in questione gli sia trasmessa.

1.12

Infine, il CESE ribadisce che è ormai assolutamente indispensabile includere nel servizio universale anche la connessione ad Internet.

2.   Contenuto essenziale della proposta riveduta della Commissione

2.1

L'Agenda digitale dell'UE mira in particolare a diffondere servizi pubblici transfrontalieri online al fine di favorire la mobilità delle imprese e dei cittadini. La realizzazione del mercato unico presuppone dunque l'interoperabilità di questi servizi digitali emergenti.

2.2

L'UE si è posta traguardi ambiziosi in termini di diffusione ed uso della banda larga da qui al 2020. Il 29 giugno 2011 la comunicazione A budget for Europe 2020, relativa al prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) (2014-2020), proponeva in particolare di creare un meccanismo per l'interconnessione delle reti in Europa (Connecting Europe Facility - CEF) e di destinare 9,2 miliardi di euro alle reti e ai servizi digitali.

2.3

L'8 febbraio 2013, tuttavia, con il nuovo QFP il Consiglio ha riportato la dotazione di bilancio per il CEF digitale a 1 miliardo di euro. Su questa nuova base, la proposta modificata in oggetto tiene conto, per quanto possibile, delle più recenti posizioni del Consiglio e della commissione competente del Parlamento europeo. Essa mira a ricentrare l'intervento del CEF su un numero più ridotto di infrastrutture di servizi digitali, sulla base di una ristretta serie di criteri di priorità e di un limitato contributo alla diffusione della banda larga, fornito mediante strumenti finanziari, allo scopo di mobilitare sia gli investimenti privati che quelli provenienti da fonti pubbliche diverse dal CEF.

2.4

Malgrado il suo limitato contributo alla diffusione della banda larga, la proposta stabilisce un quadro di riferimento che consente alle imprese e ad attori istituzionali come la Banca europea per gli investimenti di apportare contributi più sostanziosi.

2.5

L'obiettivo fondamentale del regolamento proposto è quello di rendere fluide le trasmissioni digitali e di eliminare le strozzature. Agli orientamenti è allegato un elenco di progetti di interesse comune per la diffusione delle infrastrutture di servizi digitali e di reti a banda larga. Tali progetti contribuiranno ad accrescere la competitività dell'economia europea, e segnatamente delle piccole e medie imprese (PMI), a promuovere l'interconnessione e l'interoperabilità delle reti nazionali, regionali e locali nonché l'accesso alle stesse, e a favorire lo sviluppo di un mercato unico digitale.

2.6

Di fronte a una difficile situazione di mercato, l'interesse economico ad investire nelle reti a banda larga e a fornire servizi essenziali d'interesse generale appare limitato, malgrado il fatto che il mercato unico digitale racchiuda un potenziale di crescita considerevole.

2.7

Per le infrastrutture di servizi digitali, i problemi di strozzatura dovuti al diffondersi di servizi forniti in contesti interoperabili vengono affrontati tramite sovvenzioni dirette. Nella maggioranza dei casi, anzi, queste piattaforme sono interamente finanziate dall'UE, dato che non esistono proprietari naturali di infrastrutture europee interoperabili di servizi.

2.8

È ormai chiaro che nessuno Stato membro o investitore è disposto a finanziare dei servizi transfrontalieri. L'azione dell'Unione europea in questo campo assume pertanto un elevato valore aggiunto.

2.9

Tutto ciò nonostante, ogni anno verranno realizzate delle infrastrutture di servizi digitali, secondo i fondi disponibili e le priorità fissate. Considerato l'attuale contesto di bilancio europeo, gli aiuti pubblici proverranno da fonti diverse dal CEF, in particolare da fonti nazionali e dai fondi strutturali e d'investimento europei (fondi SIE). Il CEF in sé potrà finanziare solo un numero limitato di progetti di banda larga, ma in compenso renderà più semplice allocare in modo efficiente le risorse dei fondi SIE, segnatamente utilizzando i fondi destinati ai programmi operativi. Questi contributi, tuttavia, potranno essere impiegati soltanto nello Stato membro interessato. Nel campo della banda larga, la proposta in oggetto si limita a prevedere i meccanismi che permettono di allocare in particolare le risorse dei fondi strutturali.

2.10

Il principio di neutralità tecnologica è comunque stato mantenuto.

3.   Osservazioni generali del CESE

3.1

Il CESE osserva che sono stati esclusi dalla nuova proposta i progetti di "connessioni portanti transeuropee ad alta velocità per le amministrazioni pubbliche" e le "soluzioni di tecnologia dell'informazione e delle comunicazioni per le reti intelligenti di energia e per la fornitura di servizi intelligenti di energia".

3.2

Parimenti, non vi è più menzione dello sviluppo di nuove infrastrutture di servizi digitali che facilitino il "trasferimento da un paese europeo all'altro", la "piattaforma europea per l'interconnessione dell'occupazione e dei servizi di previdenza sociale" e le "piattaforme per la collaborazione amministrativa online".

3.3

Per contro, la commissione Industria, ricerca e energia del Parlamento europeo ha aggiunto ulteriori infrastrutture di servizi digitali relative alla "diffusione di infrastrutture nei trasporti pubblici che consentono l'uso di servizi mobili di prossimità sicuri e interoperabili", alla "piattaforma europea di risoluzione delle controversie online", alla "piattaforma europea per l'accesso alle risorse educative" e ai "servizi transfrontalieri elettronici interoperabili per la fatturazione".

3.4

Il Parlamento europeo, da parte sua, ha introdotto obiettivi di velocità di trasmissione estremamente ambiziosi ("1 Gbps, ove possibile, e oltre").

3.5

L'obiettivo della strategia digitale per l'Europa consistente nel mettere a disposizione di tutti un'infrastruttura digitale a banda larga e ad alta velocità, ricorrendo a tecnologie fisse così come a tecnologie senza fili, impone del resto di adottare misure che eliminino le "strozzature digitali". Considerato il fortissimo taglio della dotazione di bilancio inizialmente prevista (9,2 miliardi di euro), riportata ad un solo miliardo, la Commissione è stata costretta a modificare in profondità i progetti di interesse comune per lo sviluppo di reti a banda larga e di infrastrutture di servizi digitali.

3.6

Come già ricordato in diversi pareri, il CESE è convinto che l'accesso generalizzato alla banda larga, oltre ad essere un fattore cruciale per lo sviluppo delle economie moderne, abbia anche assunto un rilievo essenziale ai fini della creazione di nuovi posti di lavoro e di una maggiore coesione nonché del benessere e dell'inclusione digitale di soggetti e di intere aree in condizioni economicamente e culturalmente svantaggiate.

3.7

La definizione degli obiettivi e delle priorità dei progetti d'interesse comune sviluppati per conseguirli risponde a un'esigenza fondamentale: utilizzare le procedure finanziarie in modo ottimale e raggiungere degli scopi precisi evitando la dispersione di risorse.

3.8

Il CESE si rallegra del fatto che venga riaffermato il principio della neutralità tecnologica, di fondamentale importanza per una reale apertura di Internet.

3.9

Il CESE rammenta che le risorse devono essere utilizzate per soluzioni di rete che siano aperte e accessibili su basi non discriminatorie e a costo abbordabile per i cittadini e le imprese. Nondimeno, il CESE sottolinea l'enorme difficoltà per la Commissione di allocare in modo equo i fondi previsti dal regolamento proposto, tenuto conto della drastica riduzione della dotazione iniziale.

3.10

È ormai chiaro che nessuno Stato membro o investitore è disposto a finanziare dei servizi transfrontalieri, ragion per cui l'azione dell'Unione europea in questo campo riveste un elevato valore aggiunto. Il CESE ribadisce l'auspicio che venga elaborata una cartografia europea, nazionale e regionale che consenta di individuare le cosiddette "zone bianche" (ossia del tutto prive di copertura a banda larga) e favorisca l'emergere di nuove iniziative pubbliche o private. È importante anche l'apertura alla cooperazione con paesi terzi e organizzazioni internazionali, in modo da rafforzare l'interoperabilità fra le rispettive reti di telecomunicazione.

3.11

Secondo il CESE, il moltiplicarsi degli operatori alternativi, se da un lato ha reso più dinamica la concorrenza e fatto calare i prezzi per gli utenti, dall'altro ha fortemente ridotto i margini di profitto degli operatori storici, riducendone così la capacità di investimento. È dunque importante pensare a una nuova politica europea in materia di regolazione delle reti che consenta un coinvolgimento forte e concertato di tutti gli attori europei del settore, al fine di colmare, una volta usciti dalla crisi, il ritardo accumulato nello sviluppo della banda ad alta ed altissima velocità.

4.   Osservazioni specifiche del CESE

4.1

Il CESE deplora che, su un tema di questa importanza, si riscontri una tale contrapposizione tra il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione.

4.2

La posta in gioco era davvero significativa quando la dotazione di bilancio per le telecomunicazioni era ancora di 9 miliardi di euro, da destinare alla banda larga e alle piattaforme di servizio. Considerata la ridotta entità della nuova dotazione finanziaria, sembra opportuno destinare quest'ultima al finanziamento di progetti che costituiscano, per così dire, le fondamenta di quelli futuri, oggi differiti per motivi di bilancio.

4.3

La realizzazione del mercato unico digitale presuppone l'interconnessione e l'interoperabilità delle reti nazionali. In questo nuovo contesto di bilancio recessivo, la Commissione deve dar prova del massimo rigore riguardo ai criteri di selezione dei progetti da finanziare, procedendo al monitoraggio e alla valutazione costanti dei progetti stessi.

4.4

Il CESE rammenta inoltre che questi progetti possono aiutare le PMI ad accedere all'economia digitale e creare a termine nuovi posti di lavoro stabili. Il CESE chiede pertanto che sia pubblicata una relazione periodica sull'utilizzo dei fondi in questione.

4.5

Infine, il CESE ribadisce che è ormai assolutamente indispensabile far rientrare nel servizio universale anche la connessione ad Internet.

4.6

Sul piano dei rapporti interistituzionali, il CESE tiene a sottolineare la sua sorpresa - presto mutatasi in costernazione - nel constatare che, nel testo riveduto dalla proposta, la Commissione ha espunto dall'articolo 8 il riferimento al CESE e al CdR. Nelle relative delibere e dinanzi al CESE, la Commissione si è giustificata spiegando, per bocca del suo rappresentante, di aver aderito a una richiesta in tal senso da parte del Consiglio.

Forse è stato l'impiego del termine "presentata" ad aver posto dei problemi. Come che sia, il Comitato ribadisce nondimeno il suo vivo desiderio di ricevere la relazione prevista nel regolamento proposto.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 116-119.

(2)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 120-124.

(3)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 125-129.

(4)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 130-133.

(5)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 134-138.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/141


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della commissione «La cintura blu: uno spazio unico del trasporto marittimo»

COM(2013) 510 final

2014/C 67/28

Relatore: SIMONS

La Commissione europea, in data 8 luglio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — La cintura blu: uno spazio unico del trasporto marittimo

COM(2013) 510 final.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 30 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore le proposte della Commissione, contenute nella comunicazione in esame, volte a migliorare il funzionamento del mercato del trasporto marittimo e a ridurre gli oneri amministrativi a carico di questo settore, rafforzandone in tal modo la posizione concorrenziale. Il Comitato avrebbe in realtà auspicato che queste proposte fossero state presentate già tempo fa.

1.2

Il CESE ritiene che la loro fattibilità dipenda fortemente dall'approccio delle autorità doganali, che rappresentano una delle principali parti interessate in questo contesto, e sollecita la Commissione a sottoporre al più presto tali proposte all'esame del comitato doganale.

1.3

Una delle condizioni per il successo delle proposte della Commissione, per quanto riguarda sia il regime dei servizi di linea che il manifesto elettronico, è che i sistemi informatici degli Stati membri devono essere totalmente interoperabili per questo strumento elettronico. Il Comitato fa presente che, come insegna l'esperienza, non si tratta di un compito facile, anche se si procede partendo da sistemi già esistenti.

1.4

Occorre precisare esplicitamente che il manifesto elettronico si applica a tutti i servizi di trasporto marittimo.

1.5

Il termine del giugno 2015, entro il quale la Commissione prevede che il manifesto elettronico entri in vigore, è certamente ottimistico ma ben scelto. Si tratta infatti del termine, scelto dagli stessi Stati membri, entro il quale essi si sono impegnati a istituire il loro servizio di interfaccia unica nazionale. Tale servizio è indispensabile per il buon funzionamento del manifesto elettronico, per i cui preparativi tecnici non si può peraltro far passare un altro anno ancora.

1.6

Il Comitato sottolinea anche la necessità di informare adeguatamente tutti gli attori interessati e in particolare le autorità doganali. Si sono infatti verificati casi in cui queste ultime ignoravano il fatto che alcuni operatori utilizzano il manifesto cartaceo, pratica questa ammessa dalla legge, e hanno rifiutato di convalidarlo o di accettarlo.

1.7

Oltre al lato "duro" rappresentato dai sistemi informatici, la Commissione e gli Stati membri devono prestare attenzione anche all'elemento più "morbido" costituito dalla formazione e dall'aggiornamento del personale doganale. Tale elemento risulta purtroppo mancare dalle proposte presentate dalla Commissione.

1.8

È tuttavia apprezzabile che la Commissione riconosca l'importanza di adeguati sistemi di informazione e di controllo, i quali sono infatti indispensabili per un valido processo decisionale. Il Comitato fa presente che l'Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) può continuare a svolgere un ruolo importante a questo riguardo.

1.9

Il Comitato conviene con l'avviso della Commissione secondo cui in sede di revisione della direttiva relativa ai sistemi di monitoraggio del traffico navale occorrerà tenere conto dei requisiti connessi con il manifesto elettronico.

1.10

Infine, il Comitato reputa estremamente importante che dopo l'adozione delle proposte della Commissione si tengano degli incontri periodici con le autorità doganali, i rappresentanti del settore del trasporto marittimo, dei caricatori e dei lavoratori, per consultare e informare questi soggetti in merito agli ostacoli legati all'attuazione delle proposte stesse.

2.   Introduzione

2.1

Nel settore del trasporto marittimo non esiste ancora un mercato interno, sebbene l'articolo 28 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) parli chiaramente della libera circolazione delle merci unionali all'interno dell'UE.

2.2

Questa carenza è aggravata dall'elevato grado di dipendenza dell'UE dal trasporto marittimo per gli scambi commerciali sia con il resto del mondo che nel suo mercato interno: il 74 % delle merci importate o esportate dall'Unione e il 37 % di quelle scambiate al suo interno transitano per i porti marittimi.

2.3

Rispetto ad altri modi di trasporto, quello marittimo, come peraltro anche quello fluviale, può operare a costi unitari inferiori e presenta un impatto ambientale minore per unità di merce trasportata. Questo settore del trasporto è tuttora gravato da oneri amministrativi inutili, che ne impediscono un funzionamento ottimale.

2.4

Ne è un esempio il caso frequente in cui una nave, a meno che non rientri nel regime previsto per i servizi di linea, debba espletare le formalità doganali due volte quando transita da un porto di un paese dell'UE a un porto di un altro Stato membro perché esce dalle 12 miglia delle acque territoriali nazionali. Tutte le merci che si trovano a bordo sono considerate merci non unionali e sono soggette ai controlli doganali.

2.5

Tali procedure sono dettate da considerazioni che attengono alla sicurezza e agli aspetti finanziari, ma comportano pur sempre dei costi supplementari e creano ritardi nella consegna delle merci.

2.6

Distinguere, tra le merci a bordo della nave, quelle unionali, che possono essere introdotte nel mercato interno senza ulteriori formalità, da quelle extraunionali, le quali devono invece essere soggette alle normali procedure doganali, potrebbe rappresentare un primo passo verso una soluzione.

2.7

Con il sostegno del Consiglio, nel 2010 la Commissione ha pertanto suggerito l'idea di creare una "cintura blu" (dall'inglese Blue Belt) al fine di rafforzare la competitività del settore del trasporto marittimo consentendo alle navi di operare liberamente nel mercato interno dell'UE con formalità amministrative ridotte al minimo, grazie in particolare a misure di semplificazione e di armonizzazione delle regole applicate al trasporto marittimo in provenienza da porti di paesi terzi.

2.8

Il concetto di cintura blu ha assunto una dimensione più concreta grazie anche al progetto pilota che la Commissione ha avviato nel 2011 in stretta cooperazione con l'EMSA, nel quale è stato utilizzato il sistema SafeSeaNet di monitoraggio e di informazione gestito da tale agenzia.

2.9

Sebbene il progetto pilota abbia fornito numerose informazioni utili, le autorità doganali hanno segnalato che questi dati devono essere integrati con le informazioni relative alle merci trasportate, in particolare per quanto riguarda il loro status di merci originarie dell'UE o di paesi terzi.

2.10

È sulla base di questa ultima distinzione che potranno essere semplificate le procedure per le merci provenienti dall'UE.

3.   Contenuto della comunicazione

3.1

L'8 luglio 2013 la Commissione ha pubblicato la comunicazione intitolata La cintura blu: uno spazio unico del trasporto marittimo.

3.2

Le proposte in essa contenute, scaturite dal progetto pilota sulla cintura blu condotto dall'EMSA nel 2011, mirano a:

migliorare la competitività del settore marittimo mediante la riduzione degli oneri amministrativi,

stimolare l'occupazione in questo settore,

ridurre l'impatto ambientale del trasporto marittimo.

3.3

La comunicazione in esame punta a creare un quadro strategico atto a realizzare i suddetti obiettivi. A tal fine la Commissione presenta due misure giuridiche che reputa necessarie per modificare le disposizioni di applicazione del codice doganale: una già presentata al comitato competente nel giugno 2013 e l'altra destinata a essere proposta entro il 2013.

3.4

La prima di queste misure consiste nell'ulteriore semplificazione della procedura per l'esercizio di un servizio di linea di trasporto marittimo intraunionale. Si tratta di un regime di agevolazione doganale per le navi che fanno regolarmente scalo negli stessi porti dell'UE trasportando principalmente merci unionali.

3.5

La semplificazione prevede la riduzione del periodo di consultazione per gli Stati membri, che passerà da 45 a 15 giorni. L'operatore può inoltre chiedere preventivamente un'autorizzazione per gli Stati membri nei quali fa frequente scalo, in modo da risparmiare tempo quando si presenta l'occasione di un trasporto verso uno di questi paesi.

3.6

Un impatto molto maggiore proverrà dalla seconda misura che prevede la semplificazione delle formalità doganali per le navi che fanno scalo in porti di paesi terzi. La Commissione intende introdurre un sistema atto a snellire sensibilmente le procedure doganali distinguendo le merci unionali a bordo della nave da quelle extraunionali, le quali sono invece soggette alle normali procedure doganali.

3.7

La Commissione propone di istituire una dichiarazione elettronica armonizzata delle merci, definita "manifesto elettronico", che consenta agli operatori di mettere a disposizione delle autorità doganali tutte le informazioni relative allo status delle merci, siano esse intraunionali o extraunionali. La Commissione prevede che il manifesto elettronico possa essere pienamente operativo a partire dal giugno 2015.

3.8

Come si legge nella comunicazione, le proposte della Commissione sono direttamente connesse al riesame della politica portuale adottato il 23 maggio 2013, in merito al quale il Comitato si è pronunciato positivamente nel suo parere dell'11 luglio 2013.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato sostiene con forza la soppressione degli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno, soprattutto anche quando riguardano il trasporto marittimo che, come riconosce la Commissione nella comunicazione in esame, è fondamentale per l'Unione. Come osservato in precedenti pareri (1), il Comitato avrebbe in realtà auspicato che queste proposte fossero state presentate già in precedenza.

4.2

Nel suo impegno a realizzare al più presto il mercato interno del trasporto marittimo, la Commissione lascia intendere che negli altri modi di trasporto esso è già stato completato. Il Comitato deve purtroppo constatare che la Commissione è eccessivamente ottimistica al riguardo. Il mercato interno non è ancora completato né sul fronte del trasporto di merci su strada (restrizioni sul cabotaggio) né su quello del trasporto su rotaia (traffico nazionale passeggeri).

4.3

Per il Comitato è evidente che per rendere interessante il trasporto marittimo rispetto ad altri modi di trasporto, occorre intervenire riducendo le formalità doganali e alleggerendo gli oneri amministrativi, senza però che ciò vada a scapito della sicurezza.

4.4

Il Comitato ritiene importante l'obiettivo di rendere il trasporto marittimo più efficiente e meno costoso, e appoggia le proposte della Commissione intese a snellire le formalità doganali e a ridurre gli oneri amministrativi.

4.4.1

Il Comitato fa presente che è fondamentale che queste misure siano condivise anche dalle principali parti interessate, ossia le autorità doganali degli Stati membri. Sarebbe, inoltre, opportuno che una determinata categoria di trasportatori, in particolare quelli con status di operatore economico autorizzato, svolgesse, in via sperimentale, un ruolo di precursore nell'introduzione di tali misure.

4.5

Per quanto riguarda la procedura prevista per i servizi di linea di trasporto marittimo intraunionale, il Comitato accoglie positivamente la riduzione del periodo di consultazione da 45 a 15 giorni e l'introduzione della possibilità di richiedere le autorizzazioni preventivamente.

4.6

Poiché la Commissione europea non intende penalizzare il trasporto marittimo esclusivamente intraunionale rispetto a quello diretto in paesi terzi, il manifesto elettronico è applicabile a tutti i tipi di navigazione marittima.

4.6.1

Anche i servizi di linea e quelli non di linea che operano esclusivamente tra porti unionali, se lo desiderano, devono infatti poter utilizzare il manifesto elettronico, oltre alla regolamentazione in vigore, come avviene per la navigazione tra i porti dell'UE e i porti extraunionali.

4.6.2

Il Comitato reputa tuttavia utile che il campo di applicazione del manifesto elettronico sia menzionato esplicitamente anche nelle future proposte in materia.

4.6.3

Considerando l'impatto delle proposte della Commissione, il Comitato ritiene in particolare che l'introduzione del manifesto elettronico, ossia la dichiarazione elettronica armonizzata che fornisce informazioni sullo status delle merci a bordo, debba essere realizzata al più presto dopo aver consultato il comitato doganale competente.

4.6.4

Il Comitato chiede pertanto anche che, al termine del processo decisionale sull'introduzione delle misure proposte, la Commissione dia la priorità all'armonizzazione all'interno dell'UE: i sistemi informatici degli Stati membri dovranno essere resi pienamente interoperabili per funzionare con il manifesto elettronico.

4.6.5

In quest'ottica, anche il Comitato ritiene che il termine del giugno 2015 stabilito dalla Commissione per la piena operatività del manifesto elettronico, pur apparendo ottimistico, debba essere mantenuto.

4.6.6

Il fatto che gli Stati membri siano già tenuti a istituire, ai sensi della direttiva 2010/65/UE, entro il 1o giugno 2015 servizi di interfaccia unica nazionale rappresenta infatti un importante passo verso il manifesto elettronico. Il Comitato chiede pertanto a tutti gli Stati membri, in particolare quelli che dispongono di porti marittimi, di attenersi alla data da essi stessi approvata, altrimenti è certo fin da ora che il sistema non funzionerà.

4.6.7

Del resto, i preparativi tecnici per giungere al manifesto elettronico dovrebbero iniziare al più tardi entro sei mesi.

4.6.8

Il Comitato sottolinea che le informazioni memorizzate nel manifesto elettronico dovranno essere consultabili da tutte le parti interessate, ossia le autorità pubbliche, gli armatori e i caricatori.

4.7

Il Comitato fa presente che, sebbene non armonizzato e non utilizzato in tutti gli Stati membri, esiste già un manifesto cartaceo, basato sulle raccomandazioni dell'Organizzazione marittima internazionale, ma che, a quanto si è visto nella pratica, diverse autorità doganali non ne sono a conoscenza e/o non intendono collaborare convalidandolo o accettandolo. Il Comitato sottolinea pertanto la necessità che tutte le autorità doganali siano informate adeguatamente.

4.8

Il Comitato rammenta che nell'estendere le procedure semplificate ai viaggi verso porti di paesi terzi sarà necessario garantire la rapidità e affidabilità dei sistemi di controllo e comunicazione delle informazioni.

4.8.1

A questo proposito è una fortuna che il settore della navigazione disponga dell'EMSA, la quale ha ormai dimostrato di apportare un valore aggiunto nella sezione del manifesto elettronico relativa al traffico marittimo; ora spetta ai servizi doganali europei e degli Stati membri adottare misure per quanto riguarda il trattamento rapido della sezione relativa allo status delle merci.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Secondo le informazioni dell'associazione degli armatori europei ECSA, la semplificazione delle procedure amministrative consentirebbe di economizzare 25 euro a container, senza considerare il risparmio di tempo che ne deriverebbe e che avrebbe un impatto ancora maggiore.

5.2

In ogni caso, ciò sottolinea a giudizio del Comitato la necessità urgente che siano presentate delle proposte equilibrate, condivisibili anche dalle principali parti interessate, ossia le autorità doganali europee e degli Stati membri, gli armatori e i caricatori.

5.3

Uno degli aspetti che il Comitato tiene a sottolineare è che la situazione non deve in ogni caso peggiorare. Ciò potrebbe accadere, ad esempio, se il rimborso dell'IVA sulle merci esportate dovesse essere subordinato alla certezza che tali merci abbiano effettivamente lasciato il territorio dell'Unione.

5.3.1

Poiché in questo caso si applica attualmente l'IVA ad aliquota zero, con l'introduzione della condizionalità si verrebbe ad avere un prelievo IVA più elevato, il cui recupero comporterebbe costi notevoli e perdite di tempo. Il Comitato si compiace tuttavia di aver appreso dalla Commissione che nella situazione descritta l'IVA rimarrà com'è ora, ossia ad aliquota zero.

5.4

La Commissione afferma che l'intenzione non è quella di sviluppare un sistema informatico completamente nuovo, che comporterebbe com'è ovvio notevoli costi, bensì di basarsi su sistemi esistenti o attualmente in via di definizione, come quello dei servizi di interfaccia unica nazionale. Il Comitato accoglie con favore l'approccio adottato dalla Commissione al riguardo.

5.5

Come indicato in un precedente parere (2), il Comitato sottolinea tuttavia l'importanza che gli addetti dei servizi doganali siano adeguatamente qualificati e aggiornati e che vengano create le condizioni a tal fine.

5.6

Il Comitato concorda con la Commissione sul fatto che in sede di revisione della direttiva relativa ai sistemi di monitoraggio del traffico navale occorrerà tenere conto dei requisiti connessi con il manifesto elettronico.

5.7

Se il processo decisionale in merito alle proposte della Commissione, contenute nella comunicazione in esame, avrà un esito positivo, il Comitato sottolinea che è particolarmente importante che i principali soggetti interessati, come le autorità doganali, il settore dei trasporti marittimi, i caricatori e i lavoratori, siano consultati e informati regolarmente sugli avanzamenti e sugli ostacoli che verranno incontrati nella fase di attuazione.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Parere CESE sul tema Autostrade del mare nel contesto della catena logistica, GU C 151 del 16.6.2008, pag. 20.

Parere CESE sul tema Una politica marittima integrata per l'Unione europea, GU C 211 del 19.8.2008, pag. 31.

Parere CESE sul tema Spazio europeo del trasporto marittimo/Formalità di dichiarazione delle navi, GU C 128 del 18.5.2010, pag. 131.

Parere CESE sul tema Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti (Libro bianco), GU C 24 del 28.1.2012, pag. 146.

Parere CESE sul tema Crescita blu: opportunità per una crescita sostenibile dei settori marino e marittimo, GU C 161 del 6.6.2013, pag. 87.

Parere CESE sul tema Quadro per la futura politica portuale dell'UE, non ancora pubblicato in GU.

(2)  Parere CESE sul tema Stato dell'unione doganale, GU C 271 del 19.9.2013, pag. 66.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/145


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «L’accordo internazionale del 2015 sui cambiamenti climatici: definizione della politica internazionale in materia di clima dopo il 2020»

COM(2013) 167 final

2014/C 67/29

Relatore: ZBOŘIL

La Commissione europea, in data 8 maggio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - L'accordo internazionale del 2015 sui cambiamenti climatici: definizione della politica internazionale in materia di clima dopo il 2020

COM(2013) 167 final.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli, 3 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene che l'impegno europeo - alla luce del parere CESE sul tema Una tabella di marcia verso un'economia a basse emissioni di carbonio nel 2050  (1) - dovrebbe essere proattivo, ambizioso e realistico in merito a ciò che si può realizzare, e in grado di adattarsi ai cambiamenti nell'ambiente globale. Qualsiasi futuro accordo climatico di successo dovrà necessariamente comprendere i tre pilastri della sostenibilità, nonché la trasparenza e la responsabilità. Un'UE capace di far fronte alle sfide esterne sarà anche in grado di fornire ai suoi cittadini nuovi riferimenti.

1.2

Il documento della Commissione costituisce una base esaustiva per la discussione e la preparazione dei futuri negoziati sui cambiamenti climatici volti a raggiungere un accordo globale plausibile entro il 2015.

1.3

Il CESE apprezza l'attenzione rivolta agli importanti principi del previsto accordo globale e sostiene la Commissione nel lavoro di preparazione aggiuntivo richiesto per elaborare un quadro di riferimento universale, ambizioso, efficace, equo, equilibrato, trasparente e giuridicamente vincolante per il summenzionato accordo. I negoziati internazionali sui cambiamenti climatici dovrebbero essere la sede in cui gli Stati si incoraggiano, piuttosto che ostacolarsi, a vicenda.

1.4

Il lavoro futuro dovrà essere rivolto al consenso generale sull'accordo globale del 2015, dato che il panorama geopolitico ed economico mondiale è cambiato notevolmente nell'arco di un breve periodo. Occorre tenere conto di tali profondi cambiamenti e analizzare con attenzione il ruolo delle politiche dell'Unione europea in materia di clima ed energia durante la recessione economica e negli anni a venire. Il CESE ribadisce la posizione espressa nel parere in merito al Settimo programma quadro in materia di ambiente (2), e cioè che le cause tanto della crisi finanziaria ed economica quanto di quella ecologica, che comporta tra l'altro problemi climatici, risiedono nello sfruttamento eccessivo delle risorse finanziarie e naturali, e che il superamento di queste crisi richiede concezioni del tutto nuove, come quelle esposte della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile. L'economia del futuro dovrà basarsi in larga misura su risorse energetiche diverse da quelle fossili. Sebbene le politiche dell'UE rimangano ambiziose, gli obiettivi dovrebbero essere definiti in maniera graduale, coordinandosi con il contesto globale e definendo chiaramente le condizionalità.

1.5

Gli elementi determinanti delle ulteriori discussioni in merito a un futuro trattato globale sul clima saranno in ultima analisi il contesto economico internazionale e un processo di governance generalmente accettato. Il processo sarà guidato dalle principali potenze economiche. L'Unione europea dovrà essere pronta a svolgere adeguatamente a livello mondiale il proprio ruolo guida basato sull'esempio. L'UE deve tuttavia aver cura di non perdere l'indiscusso ruolo guida che esercita attualmente in materia di prevenzione dei cambiamenti climatici e di sviluppo tecnologico. Occorre un'ulteriore analisi (imparziale) per la valutazione globale del protocollo di Kyoto, con tutti i pro e contro e gli insegnamenti da trarre in vista della definizione dell'accordo del 2015. Anche il quinto rapporto di valutazione del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, di prossima pubblicazione (2014), preparerà il terreno in questo senso.

1.6

Sussiste un generale consenso scientifico sul fatto che sarebbe del tutto insostenibile consentire un aumento delle temperature globali superiore a 2 gradi centigradi oltre i valori del 1990, e che bisogna stabilizzare a livelli prossimi a quelli attuali le concentrazioni atmosferiche di gas a effetto serra. A tal fine è necessario ridurre fortemente le emissioni di tali gas. Tuttavia le loro concentrazioni sono in costante crescita. Gli sforzi di contenere le emissioni si intensificano, per fortuna, ma sono ampiamente insufficienti per realizzare una stabilizzazione. L'obiettivo generale della nuova tornata negoziale dev'essere quindi quello di imprimere una nuova urgenza al processo e di garantire impegni e interventi molto più ambiziosi da parte di tutti i paesi e di tutte le componenti sociali.

1.7

Occorre analizzare con attenzione gli interessi delle parti negoziali e individuare le sinergie nella fase di preparazione, onde evitare possibili conflitti di interessi e creare un clima di cooperazione. Provvedimenti e obiettivi ambiziosi e realistici dovrebbero essere individuati attraverso il consenso e l'interazione con quanti saranno chiamati ad attuare in pratica tali azioni. Nel momento in cui si raccomandano misure e obiettivi, si potrebbe favorire la loro accettazione e garantire la loro attuazione grazie a incentivi.

1.8

Ciò può essere conseguito unicamente attraverso una valutazione accurata e trasparente dell'efficacia, dei costi e degli effetti positivi delle politiche in materia di clima per l'economia e la società in generale. Il CESE condivide l'affermazione della Commissione secondo cui l'accordo del 2015 deve essere inclusivo e comprendere impegni che siano applicabili a tutti i paesi, sia industrializzati sia in via di sviluppo.

1.9

Le attività e le azioni intraprese a livello di base (comunità, settori) senza il nuovo accordo globale sul clima sono un esempio perfetto dell'approccio proattivo della società civile in generale. La società civile deve infatti essere un soggetto importante, tra l'altro nell'attuazione delle politiche e degli obiettivi dell'accordo del 2015. Essa deve anche chiedere alla politica un impegno maggiore, e vigilare che le promesse politiche di una più decisa prevenzione dei cambiamenti climatici (ad esempio, l'impegno a mettere fine al sovvenzionamento delle energie fossili) siano effettivamente mantenute. È per questo che le politiche adottate devono rispettare i requisiti di trasparenza e di responsabilità richiesti dalla società civile, evitando disuguaglianze sociali ed economiche. L'accordo del 2015 costituirebbe il primo passo della transizione energetica globale.

1.10

Per svolgere un ruolo guida e avere maggiore influenza sui negoziati internazionali, l'UE deve impegnarsi fortemente a favore di obiettivi più ambiziosi per il 2020 e il 2030 e dimostrare come l'attuazione di tali obiettivi sia parte integrante dei propri piani per la ripresa economica e il passaggio a un futuro più sostenibile. Il CESE ribadisce pertanto la propria posizione e chiede che vengano attuati pienamente tutti gli obiettivi attuali in materia di carbonio per il 2020, e che venga riesaminata la possibilità di innalzare al 25 % l'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per il 2020, in vista della riduzione dell'80-95 % concordata per il 2050. Il Comitato continua ad esortare l'UE ad adottare obiettivi indicativi di riduzione dei gas serra del 40 % entro il 2030 e del 60 % entro il 2040, e di dare loro seguito con politiche giuridicamente vincolanti in grado di realizzare tali riduzioni. Simili obiettivi indicativi di lungo termine sono necessari in quanto criteri di riferimento per garantire prevedibilità e stabilità agli investitori e ai responsabili decisionali europei. Essi inoltre rappresenterebbero un parametro ad alto livello di ambizione per i negoziati internazionali.

1.11

È difficile ipotizzare come i diversi interessi dei soli attori principali possano conciliarsi con l'attuale formato negoziale basato sul sistema cap-and-trade (che prevede la definizione di livelli massimi di emissioni e la possibilità di vendere e acquistare quote). Molte parti interessate esprimono riserve e suggeriscono alternative per i negoziati futuri. Andrebbero studiate opzioni alternative per una nuova definizione dell'accordo, sulla base di progetti quali il carbon budgeting (che fissa un limite massimo per il bilancio del carbonio) o una tassa globale sul carbonio, o la proposta avanzata dall'India, di riconoscere un determinato diritto di emissione a ogni essere umano, o una combinazione di questi approcci.

1.12

Il CESE concorda appieno con la posizione espressa nella comunicazione secondo cui non è possibile attendere fino all'entrata in vigore nel 2020 dell'accordo del 2015: le azioni intraprese tra oggi e il 2020 saranno determinanti per la definizione corretta delle politiche. Tali azioni devono essere ben ponderate e fondate su obiettivi reali e tangibili in termini scientifici, tecnologici e di sviluppo, come è stato esposto dal CESE nel parere sulla tabella di marcia verso un'economia a basse emissioni di carbonio nel 2050 (3).

2.   Il documento della Commissione

2.1

Nel 2011, la comunità internazionale ha avviato dei negoziati per un nuovo accordo mondiale al fine di agire collettivamente per proteggere il sistema climatico del pianeta. Questo accordo, che deve essere concluso entro la fine del 2015 e applicato a partire dal 2020, è attualmente in fase di negoziazione nell'ambito di un processo denominato Piattaforma di Durban per un'azione rafforzata.

2.2

L'accordo del 2015 dovrà riunire, entro il 2020, l'attuale mosaico di accordi vincolanti e non vincolanti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Convenzione) in un unico sistema generale.

2.3

Il carattere unilaterale o ascendente (bottom-up) del processo di impegno di Copenaghen-Cancun ha reso possibile una strategia internazionale più inclusiva.

2.4

Nell'elaborazione dell'accordo del 2015 si dovranno trarre insegnamenti dai successi e dalle carenze della Convenzione, del protocollo di Kyoto e del processo Copenaghen-Cancun. Ci si dovrà allontanare dal paradigma Nord-Sud che caratterizzava il mondo negli anni '90 per andare verso un paradigma fondato sull'interdipendenza e la condivisione delle responsabilità.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE ha già sottolineato, nel parere in merito al Settimo programma di azione in materia di ambiente (4), che vi sono parallelismi tra la crisi finanziaria e quella ecologica; entrambe sono state innescate da un uso non sostenibile delle risorse economiche e delle risorse naturali. Il CESE in tale documento esprime il giudizio che alla "crisi ambientale si debba reagire in maniera analoga a quella che ha portato ad adottare le misure del patto di bilancio volte a contrastare la crisi finanziaria, ossia con regole precise, indicatori chiari, controlli e sanzioni". Lo stesso vale per i futuri negoziati sul clima, dai quali devono emergere chiari segnali per la realizzazione di un'economia globale a basso tenore di carbonio, rispettosa delle risorse.

3.2

Nella preparazione della strategia negoziale occorre tenere conto degli importanti mutamenti geopolitici che si sono prodotti. In un breve arco di tempo la mappa geopolitica ed economica ha subito profondi cambiamenti, causati in parte dalla crisi finanziaria, cui si accompagna nell'UE una crisi economica, con una riduzione del tasso di investimento delle imprese dal 23 % del 2008 al 18,3 % della prima metà del 2013 (Eurostat). Nel predisporre i futuri negoziati occorre valutare attentamente il ruolo delle politiche dell'UE in materia di clima ed energia durante la recessione economica.

3.3

Questi sforzi non sono ancora sufficienti. Il panorama economico internazionale determinerà in definitiva le discussioni in merito al futuro trattato sul clima e il processo sarà guidato dalle principali potenze economiche: Cina e Stati Uniti, seguiti dall'India e dagli altri paesi BRICS (responsabili congiuntamente del 61,8 % delle emissioni globali nel 2012). Entro il 2020, in effetti, saranno costruite nuove centrali a carbone per 400-600 GW. L'UE è nel mezzo di una recessione economica che ha causato la perdita di 3,8 milioni di posti di lavoro e una diminuzione della produzione industriale di quasi il 20 %, mentre il numero di lavoratori nel settore delle energie rinnovabili e delle misure di risparmio energetico è aumentato.

3.4

Vi sono, comunque, segnali estremamente positivi nel campo della protezione climatica:

nel 2011, gli impianti a energia rinnovabile rappresentavano nell'UE il 71,3 % dei nuovi impianti (32,0 GW di capacità di nuova produzione su un totale di 44,9 GW). Nel 2012, gli impianti a energia rinnovabile rappresentavano il 69 % dei nuovi impianti (31 GW di capacità di nuova produzione su un totale di 44,6 GW). Nel 2011 sono state messe in funzione nuove centrali a carbone con una capacità di 21 GW ma sono stati messe fuori servizio centrali a carbone per una capacità di 840 MW. Nel 2012, la capacità delle centrali a carbone messe fuori servizio (5,4 GW) è stata addirittura quasi il doppio rispetto alla capacità delle nuove centrali a carbone messe in funzione (3,0 GW).

Le emissioni totali della Cina (26,7 %), pur essendo elevate, devono essere viste in relazione alla proporzione del numero di abitanti rispetto alla popolazione mondiale (19 %). Se paragonate a quelle dell'UE (7 % della popolazione mondiale e 11,5 % delle emissioni di gas a effetto serra) o a quelle degli Stati Uniti (4,4 % della popolazione mondiale e 16,8 % delle emissioni di gas a effetto serra), le emissioni pro capite in Cina sono ancora relativamente limitate. Va riconosciuto che la Cina si è impegnata a promuovere l'uso dell'energia eolica e di altre energie rinnovabili incrementando la quota di combustibili non fossili nel suo mix energetico globale. La Cina intende infatti ridurre del 40-50 % l'intensità delle sue emissioni di CO2 per unità di PIL entro il 2020.

Negli Stati Uniti, si assiste ad un rapido sviluppo delle energie rinnovabili. Nel 2012, per la prima volta, l'energia eolica è diventata la fonte di energia numero uno della nuova capacità di produzione di energia elettrica e rappresenta circa il 43 % dei nuovi impianti, con più di 13 GW aggiunti alla rete.

3.5

Il mondo non sembra avviato a rispettare l'obiettivo concordato dai governi, di limitare l'aumento a lungo termine della temperatura media globale a 2 gradi Celsius (°C). Le emissioni globali di gas a effetto serra stanno aumentando rapidamente, e nel maggio 2013 il tenore di CO2 nell'atmosfera ha superato le 400 parti per milione.

3.6

Gli interventi attuati o in fase di adozione porteranno probabilmente a un aumento della temperatura media globale a lungo termine compreso tra 3,6 °C e 5,3 °C (rispetto ai livelli preindustriali), aumento che si concentrerà nel secolo in corso (secondo la modellazione climatica).

3.7

Per avere una possibilità realistica di conseguire l'obiettivo dei 2 °C, occorre intraprendere azioni concrete prima del 2020, quando è previsto che entri in vigore il nuovo accordo internazionale sul clima. L'energia sarà un fattore cruciale in questa sfida: il settore energetico produce quasi i due terzi delle emissioni di gas a effetto serra, dato che oltre l'80 % del consumo energetico mondiale è basato su combustibili fossili.

3.8

Malgrado gli sviluppi positivi in alcuni paesi, le emissioni globali di CO2 legate all'energia sono aumentate dell'1,4 %, raggiungendo il record storico di 31,6 miliardi di tonnellate nel 2012. I paesi non OCSE sono attualmente responsabili del 60 % delle emissioni globali, contro il 45 % del 2000. Nel 2012, la Cina ha dato il contributo maggiore all'aumento delle emissioni globali di CO2, ma l'incremento è stato comunque uno dei più bassi in dieci anni, grazie soprattutto all'uso delle energie rinnovabili e a un significativo miglioramento dell'intensità energetica dell'economia cinese.

3.9

Negli Stati Uniti, il passaggio dal carbone al gas per la produzione energetica ha consentito di ridurre le emissioni di 200 milioni di tonnellate riportandole ai livelli della metà degli anni '90. Nonostante l'aumento nell'impiego di carbone, le emissioni in Europa sono diminuite di 50 milioni di tonnellate a causa della contrazione economica, della crescita delle energie rinnovabili e della limitazione delle emissioni nel settore industriale ed energetico. Le emissioni del Giappone sono aumentate di 70 milioni di tonnellate, dato che gli sforzi compiuti per migliorare l'efficienza energetica non hanno completamente bilanciato l'uso di combustibili fossili per compensare la riduzione nell'impiego di energia nucleare. Anche considerando le politiche applicate attualmente, si prevede che nel 2020 le emissioni globali di gas a effetto serra legate all'energia supereranno di quasi 4 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente il livello che consentirebbe di limitare a 2 °C il riscaldamento globale. Ciò illustra l'entità della sfida da affrontare nel solo decennio in corso.

3.10

I negoziati internazionali sul clima hanno condotto all'impegno a stipulare entro il 2015 un nuovo accordo globale, che entrerà in vigore nel 2020. La crisi economica ha tuttavia avuto ripercussioni negative sull'adozione di energie pulite e sui mercati del carbone. Attualmente, l'8 % delle emissioni globali di CO2è soggetto a un prezzo del carbonio, mentre il 15 % riceve un incentivo di 110 dollari per tonnellata sotto forma di sovvenzioni ai combustibili fossili (al di fuori dell'Unione europea). Il CESE invita la comunità internazionale a rendere vincolante, con i negoziati del 2015, l'impegno, già assunto nel 2012 nella dichiarazione finale della Conferenza Rio + 20 delle Nazioni Unite, a mettere fine al sovvenzionamento delle fonti energetiche dannose per l'ambiente, che ammonta, secondo stime della Banca mondiale, a 780 miliardi di dollari all'anno.

3.11

Le dinamiche legate ai prezzi di gas e carbone favoriscono la riduzione delle emissioni in alcune regioni, ma la rallentano in altre, mentre il settore nucleare sta vivendo un momento di difficoltà e le prospettive riguardanti la cattura e lo stoccaggio del carbonio su larga scala rimangono remote. Nonostante la spinta crescente a migliorare l'efficienza energetica, vi è un enorme potenziale economico ancora da sfruttare. Le capacità installate di fonti rinnovabili a parte l'idroelettrico, sostenute da interventi mirati dei governi, crescono di percentuali a due cifre. Gli investimenti in energie rinnovabili richiederebbero un ambiente economico stabile in termini di prezzi delle emissioni e, nei paesi che vi fanno ricorso, di tassazione del carbonio.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Come si può strutturare l'accordo del 2015 per fare in modo che gli Stati possano perseguire uno sviluppo economico sostenibile, incoraggiandoli nel contempo a partecipare in modo equo e leale alla riduzione delle emissioni mondiali di gas serra al fine di rispettare l'obiettivo dei 2 °C? Innanzi tutto, è difficile ipotizzare come i diversi interessi dei principali attori possano conciliarsi con l'attuale formato negoziale basato sul sistema cap-and-trade, eppure contributi equi da parte di tutti sono il presupposto essenziale per qualsiasi accordo futuro. Di conseguenza, occorre studiare una diversa idea di accordo, almeno come opzione alternativa, e riconoscere che sussistono delle questioni da risolvere in materia di gestione. Occorre far sì che le azioni intraprese a fronte dei cambiamenti climatici promuovano la crescita e lo sviluppo in campo socioculturale, economico e ambientale. A tal fine è indispensabile una valutazione accurata e trasparente dell'efficacia, dei costi e degli effetti positivi delle politiche in materia di clima per l'economia e la società in generale. Occorre far tesoro dell'esperienza di Kyoto, con tutta la sua complessità e le sue scappatoie, facendone un utile punto di partenza per lavorare seriamente a un nuovo progetto. Il secondo periodo degli impegni di Kyoto, con le disposizioni relative alle quote di emissioni, rappresenta un forte segnale, che richiede un cambiamento concettuale.

4.2

Come può l'accordo del 2015 garantire in modo ottimale il contributo di tutte le grandi economie e di tutti i settori e ridurre al minimo il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio tra economie estremamente concorrenziali? La rilocalizzazione delle emissioni di carbonio è un fenomeno che riguarda non soltanto le industrie ad alta intensità energetica, potenzialmente in declino, ma è legato alle condizioni generali dell'attività economica nelle singole zone. Lo squilibrio relativo al carbonio, soprattutto tra le regioni più competitive, ha condotto alla contrazione degli investimenti nell'UE. Attraverso il consenso e il dialogo con quanti saranno chiamati a realizzare le azioni, si dovrebbero definire misure e obiettivi ambiziosi e realistici. Un accordo del 2015 semplice, equo ed equilibrato è pertanto un requisito essenziale per creare un ambiente economico equo in tutte le regioni dell'economia globale.

4.3

Come può l'accordo del 2015 incoraggiare nel modo più efficace l'integrazione della questione dei cambiamenti climatici in tutti gli ambiti politici pertinenti? Come può promuovere processi e iniziative complementari, compresi quelli realizzati da operatori privati? Ovviamente, il modo più efficace di favorire l'integrazione dell'accordo del 2015 in tutti gli ambiti d'intervento pertinenti è garantirne la semplicità. Eventuali disposizioni eccessive riguardo all'organizzazione del processo renderebbero più difficile l'attuazione dell'accordo. È altresì importante che l'integrazione dei cambiamenti climatici negli altri ambiti di intervento sia oggetto di una valutazione d'impatto trasparente. Integrando i cambiamenti climatici in altri ambiti d'intervento occorre agire in modo prevedibile e quanto più possibile efficace in termini di costi, senza imporre inutili oneri amministrativi alle parti interessate. La preferenza andrebbe data ad approcci basati sul mercato.

4.4

Su quali criteri e principi dovrebbe basarsi una ripartizione equa degli impegni in materia di mitigazione tra le parti contraenti dell'accordo del 2015, parallelamente all'assunzione di una serie di impegni che tengano conto delle circostanze nazionali, siano considerati equi e giusti e, assunti collettivamente, siano sufficienti rispetto alle ambizioni dichiarate? Il mantenimento del sistema cap-and-trade richiederebbe criteri e principi e ci sarebbe sempre una sensazione di ingiustizia e trattamento iniquo. Andrebbero in ogni caso considerate le dinamiche di mercato che si ripercuotono su un determinato settore, le norme esistenti e proposte in materia di cambiamenti climatici che influiscono su detto settore e la maturità del settore per quanto riguarda gli sforzi compiuti per limitare le emissioni dei gas a effetto serra e utilizzare le tecnologie a elevata efficienza energetica. Per garantire il successo e la sostenibilità, occorre prevedere degli incentivi per i partecipanti, affinché agiscano in modo da raggiungere gli obiettivi, quali la limitazione delle emissioni, il miglioramento dell'efficienza, la cooperazione per la ricerca, la condivisione delle pratiche migliori ecc. Una tassa sul carbonio può contribuire alla riduzione delle emissioni e ad aumentare i fondi destinati alla ricerca e allo sviluppo e all'adattamento nel modo più coordinato ed efficiente.

4.5

Quale dovrebbe essere il ruolo dell'accordo 2015 nell'affrontare la sfida dell'adattamento e in che modo si dovrebbe basare sul lavoro in corso nell'ambito della Convenzione? Come può l'accordo 2015 incentivare ulteriormente l'integrazione dell'adattamento in tutti gli ambiti d'azione pertinenti? L'adattamento è in effetti ben definito e basato in larga misura sugli attuali programmi di gestione dei rischi. Anche se l'adattamento non eliminerà tutti i rischi dell'impatto dei cambiamenti climatici, esso contribuirà in modo significativo a limitare i rischi in diversi ambiti. Il miglioramento delle capacità di adattamento richiederà un'ulteriore analisi, la definizione di priorità, la pianificazione e l'azione a tutti i livelli di governo e la partecipazione delle comunità locali e delle aziende. L'adattamento è giustamente considerato uno dei quattro pilastri dell'accordo del 2015. In particolare, le aziende dovranno svolgere un ruolo importante attraverso il trasferimento tecnologico e la condivisione delle pratiche migliori.

4.6

Quale dovrebbe essere il ruolo futuro della Convenzione e specificamente dell'accordo 2015 nel decennio che si conclude nel 2030 per quanto riguarda i finanziamenti, i meccanismi basati sul mercato e la tecnologia? Come avvalersi dell'esperienza già acquisita e migliorare ulteriormente i quadri esistenti? La Convenzione dovrebbe diventare un organo di coordinamento per le misure in materia di clima, verificando i risultati dei paesi e i principali flussi finanziari e scambi tecnologici. Le aziende sono in larga misura responsabili della tecnologia e del suo uso. Attraverso il comitato direttivo sulle tecnologie (TEC) e il centro e la rete di tecnologie per il clima (CTCN), la Convenzione può fornire un'analisi competente delle tecnologie e offrire alle nazioni il pieno accesso alle informazioni, consentendo loro di scegliere le tecnologie più appropriate.

4.7

Come può l'accordo del 2015 migliorare ulteriormente la trasparenza e la responsabilità dei paesi a livello internazionale? In che misura occorre standardizzare a livello internazionale un sistema di contabilizzazione? In che misura sono ritenuti responsabili i paesi che non rispettano i loro impegni? In ogni caso, occorre standardizzare il sistema di contabilizzazione a livello mondiale, indipendentemente dal modo in cui ciò verrà fatto, poiché la correttezza delle informazioni è fondamentale quando sono in gioco aspetti economici. È altresì fondamentale in relazione all'obbligo di rendicontazione dell'accordo del 2015.

4.8

Come si può migliorare il processo negoziale in materia di clima delle Nazioni Unite per conseguire più agevolmente un accordo inclusivo, ambizioso, efficace ed equo nel 2015 e garantirne l'attuazione? Un'ampia partecipazione delle parti interessate e un processo trasparente sono necessari per assicurare che l'accordo sia raggiunto e attuato in modo soddisfacente. Il settore economico può contribuire ai negoziati sul clima con la propria esperienza su come ridurre le emissioni e reperire soluzioni per lo sviluppo sostenibile. La partecipazione della società civile e delle imprese in generale può anche garantire la comparabilità degli sforzi e la parità di condizioni. Il nuovo accordo globale del 2015 è solo il primo passo, e la società civile in generale contribuirà alla sua attuazione. I risultati del processo e dell'attuazione devono quindi essere trasparenti e convincenti, e riscuotere fiducia da parte dei cittadini in tutto il mondo.

4.9

In che modo l'UE può investire in modo ottimale e sostenere iniziative e processi al di fuori della Convenzione per preparare l'adozione di un accordo ambizioso ed efficace nel 2015? Il CESE accoglie con favore il dibattito avviato dal documento della Commissione. Occorre un'analisi di esperti indipendenti su tutti gli aspetti della politica in materia di clima, soprattutto alla luce della mutata situazione geopolitica mondiale, ancora in fase di evoluzione. Alcune analisi sono già disponibili e non è quindi necessario partire da zero. Un primo punto di partenza è la lettera inviata al Presidente degli Stati Uniti dal consiglio di consulenti scientifici statunitense in cui veniva presentato un quadro sintetico delle problematiche legate al cambiamento climatico. L'insegnamento di Kyoto e il protrarsi dei negoziati delle Nazioni Unite evidenziano inoltre la necessità di cambiare prima che sia troppo tardi. Inoltre si possono e si devono attuare, senza eccessivi ritardi, le raccomandazioni e le conclusioni presentate da organizzazioni di esperti, come l'Agenzia internazionale per l'energia. La relazione dell'IEA "Ridisegnare la mappa energetico-climatica" offre un approccio pragmatico e attuabile. Le quattro politiche essenziali e realizzabili che vi sono indicate sono: migliorare l'efficienza energetica degli edifici, dell'industria e dei trasporti; ridurre la costruzione e l'utilizzazione delle centrali e carbone meno efficienti; ridurre al minimo le emissioni di metano derivanti dall'estrazione di petrolio e di gas naturale; accelerare l'eliminazione di alcuni sussidi del consumo di combustibili fossili.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 376, del 22.12.2011, pag. 110.

(2)  GU C 161, del 6.6.2013, pag. 77.

(3)  GU C 376, del 22.12.2011, pag. 110.

(4)  GU C 161, del 6.6.2013, pag. 77.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/150


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Orientamenti strategici per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura nell’UE»

COM(2013) 229 final

2014/C 67/30

Relatore: ESPUNY MOYANO

La Commissione europea, in data 29 aprile 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Orientamenti strategici per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura nell'UE

COM(2013) 229 final.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli, 3 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che il settore dell'acquacultura dell'Unione possa e debba contribuire in modo efficace a ridurre la crescente dipendenza europea dalle importazioni di prodotti acquicoli.

1.2

Il CESE raccomanda alla Commissione europea ed agli Stati membri di promuovere misure di ampia portata per restituire competitività alle imprese europee di acquacultura.

1.3

Il Comitato considera inammissibili gli attuali tempi, superiori a due e tre anni in molti Stati membri, necessari per la concessione delle autorizzazioni amministrative alle imprese di acquacultura. Nell'ottica della sostenibilità dell'acquacultura europea il CESE reputa essenziale snellire le procedure amministrative e ridurne i costi.

1.4

La stima secondo cui ogni punto percentuale di incremento del consumo di prodotti acquicoli prodotti internamente dall'acquacultura dell'UE significherebbe creare tra 3000 e 4000 posti di lavoro a tempo pieno, ha un valore particolare per il CESE dal momento che tali posti sarebbero, da un lato, qualificati e, dall'altro, offerti in luoghi con pochissime alternative occupazionali.

1.5

L'applicazione non sufficiente delle norme di etichettatura dei prodotti acquicoli, specie per quelli non imballati, con l'informazione per i consumatori disponibile nei punti vendita, preoccupa il CESE, non solo per l'aspetto relativo alla frode, ma anche per l'aspetto inerente alla concorrenza sleale nei confronti dei produttori europei. Per tale motivo, esorta la Commissione europea e gli Stati membri affinché i piani strategici includano misure efficaci che rimedino a questa carenza persistente.

1.6

Il CESE considera opportuno realizzare campagne di comunicazione per far conoscere ai consumatori europei gli elevati standard di produzione e qualità dell'acquacultura praticata nell'Unione. Tali campagne dovrebbero poter essere finanziate con il nuovo Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP).

1.7

Il CESE insiste con forza ancora una volta perché si potenzino i controlli all'importazione di prodotti acquicoli nell'UE al fine di assicurare la loro perfetta tracciabilità e il loro rispetto delle norme.

1.8

Il CESE considera prioritario rafforzare il finanziamento dei progetti di R+S+ nel settore dell'acquacultura e l'orientamento, da parte sia degli Stati membri che della Commissione, dei programmi e dei piani di investimento in ricerca e innovazione nell'acquacultura verso il conseguimento degli obiettivi stabiliti nel documento sul futuro di tale settore, pubblicato nel 20132 dalla European Aquaculture Technology and Innovation Platform – EATiP (Piattaforma tecnologica e d'innovazione dell'acquacultura europea) pubblicato nel 2012.

1.9

La diversificazione economica dell'acquacultura (per esempio, offrendo servizi al turismo) va promossa e resa più agevole in quanto opportunità per i produttori del settore dell'acquacultura, sia continentali che marini, e in special modo per le PMI.

1.10

Il CESE sottolinea l'importanza di riconoscere il carattere europeo del Consiglio consultivo per l'acquacultura (CCA) rispetto all'ambito regionale dei restanti consigli consultivi. In tal senso, è dell'avviso che gli enti parte di tale consiglio (la cui relazione con l'acquacultura deve essere diretta) debbano avere portata europea o, ad ogni modo, sovranazionale. Ciò deve rispecchiarsi nella struttura e nel finanziamento di detto Consiglio.

1.11

Il Comitato fa notare che, dato il carattere pluridisciplinare dell'acquacultura, la Commissione europea deve garantire che il CCA mantenga una relazione diretta e prioritaria con le diverse direzioni generali della Commissione stessa.

1.12

Considerando che i primi compiti affidati al CCA negli orientamenti strategici della Commissione europea devono essere realizzati nei primi mesi del 2014, il CESE insiste con la Commissione e gli Stati membri perché non si verifichino ritardi nella sua istituzione e nel suo avvio.

2.   Contesto

2.1

La riforma in corso della politica comune della pesca attribuisce un posto preminente all'acquacultura e fa dello sviluppo di tale attività una delle sue priorità.

2.2

Nella sua proposta di politica comune della pesca, la Commissione europea propone di istituire un metodo di coordinamento aperto con gli Stati membri in materia di acquacultura. Questo meccanismo consisterà in un processo volontario di cooperazione basato su orientamenti strategici e su piani strategici nazionali pluriennali che rispetteranno il principio di sussidiarietà.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1

Gli Orientamenti strategici per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura nell'UE sono stati pubblicati dalla Commissione europea il 29 aprile 2013 (COM(2013) 229 final). Pur non essendo vincolanti, essi costituiranno la base dei piani strategici nazionali pluriennali. Scopo degli orientamenti strategici è aiutare gli Stati membri a definire i propri obiettivi tenendo conto della situazione di partenza, del contesto nazionale e delle strutture istituzionali di ciascun paese

3.2

Gli orientamenti strategici si occupano di quattro ambiti prioritari:

procedure amministrative,

pianificazione coordinata dello spazio,

competitività e

condizioni di concorrenza eque.

3.3

I piani strategici nazionali che ogni Stato membro con interessi nel settore dell'acquacultura è tenuto ad elaborare, devono fissare obiettivi comuni e indicatori per misurare i progressi compiuti. I piani strategici dovranno essere presentati dagli Stati membri alla Commissione entro la fine del 2013.

3.4

I piani strategici nazionali pluriennali devono servire a promuovere la competitività del settore dell'acquacultura, sostenerne lo sviluppo e l'innovazione, incentivare l'attività economica, incoraggiare la diversificazione, migliorare la qualità di vita nelle regioni costiere e rurali e garantire condizioni eque agli operatori del settore per quanto riguarda l'accesso alle acque e ai territori.

3.5

La proposta di riforma della politica comune della pesca prevede la creazione di un Consiglio consultivo per l'acquacultura che avrà il compito di presentare alle istituzioni europee raccomandazioni e suggerimenti su questioni relative alla gestione dell'acquacultura, nonché di fornire informazioni sui problemi del settore.

4.   Osservazioni generali

4.1

Sul mercato dell'UE vengono ogni anno consumati circa 13,2 milioni di tonnellate di prodotti ittici, dei quali il 65 % sono importazioni, il 25 % provengono dalla pesca estrattiva dell'UE e solo il 10 % dall'acquacoltura europea. Anche il Comitato ritiene che tale squilibrio non sia sostenibile né da un punto di vista economico (per il disavanzo commerciale che comporta) né da un punto di vista sociale (in quanto non vengono sfruttate le opportunità occupazionali).

4.2

Il CESE valuta positivamente l'affermazione della Commissione secondo cui ogni punto percentuale in più rispetto al consumo attuale di prodotti ittici ottenuti internamente con l'acquacoltura contribuirebbe a creare tra 3000 e 4000 posti di lavoro a tempo pieno.

4.3

Per tale motivo, è d'accordo con il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione europea, quando sostengono che l'acquacoltura deve essere uno dei pilastri della strategia dell'UE a favore della crescita blu e che il suo sviluppo può contribuire alla strategia Europa 2020. L'acquacoltura offre possibilità di sviluppo e di creazione di posti di lavoro nelle zone costiere e fluviali dell'UE in cui esistono scarse alternative economiche.

4.4

Il consumatore europeo chiede sempre più spesso prodotti ittici. L'acquacoltura europea offre prodotti di buona qualità che inoltre rispettano le norme più severe in materia di sostenibilità ambientale, salute animale e protezione della salute dei consumatori. Per il CESE, l'approvvigionamento di prodotti alimentari sicuri, sani e sostenibili nell'Unione europea deve essere considerato una delle sfide principali dei prossimi decenni.

4.5

Nonostante questi vantaggi evidenti, la produzione di acquacoltura nell'UE è ferma dal 2000, mentre lo stesso settore registra parallelamente un notevole incremento in altre regioni del mondo che esportano parte dei loro prodotti in Europa.

4.6

Il CESE riconosce che la legislazione europea in materia di salute pubblica, di protezione del consumatore e di tutela dell'ambiente fa parte dei valori fondamentali dell'Unione europea. Tuttavia, tale legislazione ha profonde ripercussioni sui costi di produzione dei produttori acquicoli europei e raramente è possibile trasferire questo aumento dei costi sul prezzo di prodotti obbligati a competere sul mercato con importazioni che non devono rispondere agli stessi requisiti.

4.7

Il CESE ritiene che la proposta della Commissione europea non sia sufficiente per ristabilire condizioni di concorrenza eque tra gli operatori economici dell'UE e quelli dei paesi terzi. Riequilibrare la situazione solo attraverso azioni volte a certificare il livello di sicurezza e di sostenibilità dei prodotti dell'acquacoltura europea facendo opera di comunicazione nei confronti dei cittadini è chiaramente troppo poco; questo inoltre non esime le autorità pubbliche dal pretendere per i prodotti importati la stessa sicurezza sanitaria richiesta alla produzione europea, con una tracciabilità totale "dal produttore al consumatore".

4.8

Lo squilibrio sul mercato dell'Unione europea tra le condizioni di produzione dei prodotti dell'acquacoltura allevati in Europa e i prodotti dei paesi terzi che vengono poi esportati nell'UE è, secondo il CESE, un problema la cui complessità va ben al di là della semplice informazione e decisione dei consumatori. È necessario tener conto di altre questioni, ad esempio la riduzione dei costi amministrativi superflui, l'accesso allo spazio costiero o le lacune dei sistemi di tracciabilità.

4.9

Nella pratica, le informazioni obbligatorie che dovrebbero essere sempre a disposizione dei consumatori nei punti vendita spesso sono incomplete o danno luogo ad equivoci, il che porta ad esempio i consumatori a sostituire prodotti europei freschi con altri prodotti importati congelati senza che chi li acquista se ne renda conto. Questa situazione limita la capacità dei consumatori di comprare in modo responsabile e costituisce, al tempo stesso, una forma di concorrenza sleale nei confronti dei produttori dell'UE.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il CESE è d'accordo con la Commissione quando afferma che una stretta cooperazione tra l'acquacoltura e l'industria della trasformazione dei prodotti ittici può ulteriormente potenziare la creazione di posti di lavoro e la competitività in entrambi i settori.

5.2

Il CESE è inoltre d'accordo con la Commissione quando fa presente la necessità di migliorare le informazioni disponibili sulla situazione delle procedure amministrative per quanto concerne tempi e costi necessari per ottenere licenze per nuovi impianti di acquacoltura negli Stati membri.

5.3

Al pari della Commissione, il CESE ritiene che il fatto di disporre di piani regolatori possa contribuire, nell'ambito dell'acquacoltura, a ridurre l'incertezza, a facilitare gli investimenti, ad accelerare lo sviluppo imprenditoriale e a promuovere la creazione di posti di lavoro.

5.4

Secondo il CESE, la comunicazione della Commissione non attribuisce sufficiente attenzione all'acquacoltura continentale, specie per quanto concerne l'assetto territoriale.

5.4.1

Il CESE propone alla Commissione europea di estendere l'oggetto del seminario sulle migliori pratiche, che si terrà nell'estate del 2014, per introdurre la pianificazione coordinata dello spazio fluviale (oltre che marittimo) in modo da aiutare gli Stati membri a portare avanti detta pianificazione.

5.5

Il CESE riconosce l'importanza di definire e controllare in modo opportuno l'attività produttiva nell'ambito dell'acquacoltura, onde prevenire ripercussioni inappropriate sull'ambiente. Al tempo stesso, ritiene che la gestione settoriale dell'acquacoltura debba seguire un approccio ecosistemico.

5.6

Per il CESE è importante che lo sviluppo dell'acquacoltura si basi su uno stretto collegamento con la ricerca e la scienza.

5.7

Il CESE condivide l'opinione della Commissione circa il riconoscimento dei servizi ambientali forniti dall'acquacoltura estensiva in stagni, come esempio di un'attività economica conciliabile con le esigenze di conservazione degli habitat e delle specie.

5.8

Il CESE giudica adeguata l'iniziativa della Commissione di voler aiutare, mediante apposite indicazioni, le amministrazioni nazionali e regionali ad applicare in modo migliore e più uniforme la legislazione unionale (ad esempio in campo ambientale).

5.9

Il CESE approva il ruolo del Consiglio consultivo per l'acquacoltura e ritiene che possa contribuire a raggiungere gli obiettivi dei piani strategici nazionali verificandone l'adeguata applicazione. Tuttavia, desidera mettere in risalto alcune caratteristiche di detto consiglio che lo rendono diverso dagli altri consigli consultivi: innanzi tutto il suo ambito di attività è formato da risorse private che appartengono alle imprese dell'acquacoltura e non, come per la pesca, da risorse naturali pubbliche come gli stock; in secondo luogo, il suo raggio d'azione non è regionale ma si estende su tutta l'Unione europea.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/153


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Infrastrutture verdi — Rafforzare il capitale naturale in Europa»

COM(2013) 249 final

2014/C 67/31

Relatore: KIENLE

La Commissione europea, in data 3 luglio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Infrastrutture verdi - Rafforzare il capitale naturale in Europa

COM(2013) 249 final.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione sulle infrastrutture verdi e il suo obiettivo di promuovere progetti relativi a tali infrastrutture attraverso una serie di misure.

1.2

Il Comitato raccomanda di avvalersi delle esperienze conseguite nell'attuazione di questo pacchetto di misure al fine di portarne avanti lo sviluppo, trasformandolo nella strategia per le infrastrutture verdi annunciata nella strategia per la biodiversità 2020.

1.3

Il CESE approva l'obiettivo di collegare, attraverso progetti nel campo delle infrastrutture verdi, i benefici ambientali con quelli economici e sociali. La finalità è quella di creare un'infrastruttura con strutture paesaggistiche naturali, seminaturali, utilizzate o urbane che contribuisca al mantenimento della biodiversità e di altri aspetti dell'ambiente, garantendo al tempo stesso prestazioni sostenibili e a buon mercato per la società. A differenza di Natura 2000, la promozione di infrastrutture verdi non costituisce uno strumento giuridico; l'iniziativa in materia di infrastrutture verdi non mira a creare una rete di protezione dell'ambiente naturale che vada ad aggiungersi a quella di Natura 2000.

1.4

Il CESE osserva che i progetti in materia di infrastrutture verdi rientrano essenzialmente nella competenza degli Stati membri e in particolare dei responsabili della pianificazione regionale e locale. Nell'ambito della promozione delle infrastrutture verdi, all'UE spetta in primo luogo un ruolo di sostegno. Occorre in particolare integrare senza indugi e in modo efficace la nozione di infrastrutture verdi in settori di intervento quali l'agricoltura, la silvicoltura, la conservazione della natura, le risorse idriche, la politica marittima, la pesca, la politica regionale, la politica di coesione, la pianificazione urbana, il clima, i trasporti, la politica energetica, la protezione civile e l'uso del suolo, nonché nei relativi strumenti finanziari dell'UE.

1.5

L'UE deve assumere una responsabilità diretta nei progetti di infrastrutture verdi di portata europea. Analogamente a quanto avviene per le reti transeuropee dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni, il CESE raccomanda di introdurre una rete transeuropea TEN per il finanziamento delle infrastrutture verdi, dotata di un elenco di progetti specifici di importanza europea rappresentati cartograficamente.

1.6

I protagonisti dei progetti locali e regionali in materia di infrastrutture verdi sono i responsabili della pianificazione regionale e locale, la città e i comuni, i responsabili dei progetti d'infrastruttura in settori come la costruzione di strade, ferrovie, opere idrauliche e opere di prevenzione delle inondazioni, gli agricoltori e i silvicoltori, le imprese e i costruttori, le organizzazioni ambientaliste della società civile e i sindacati. È importante dare sostegno a questi soggetti poiché il successo dei progetti di infrastrutture verdi dipende essenzialmente dalla misura in cui sono da essi avviati, approvati e portati avanti.

1.7

Il CESE giudica indispensabile dedicare alla partecipazione della società civile ai progetti di infrastrutture verdi sin dalle prime fasi un'attenzione di gran lunga maggiore di quanto si evince dalla comunicazione della Commissione. I processi di pianificazione partecipativa con il coinvolgimento sin dall'inizio dei cittadini e delle organizzazioni della società civile rivestono un'importanza decisiva.

1.8

In tale contesto occorre tener presente che i progetti nel campo delle infrastrutture verdi possono provocare anche conflitti tra i legittimi interessi delle diverse parti coinvolte, il che rende pertanto necessario prevedere meccanismi adeguati per garantire la soluzione di conflitti, l'equilibrio tra i vari interessi e l'ottimizzazione dei progetti. Se adeguatamente gestite, le infrastrutture verdi possono contribuire ad attenuare o a superare i tradizionali conflitti tra uso e protezione, nell'ambito della conservazione delle risorse naturali. Il CESE sottolinea l'esigenza di creare adeguati incentivi per mobilitare i necessari investimenti privati.

2.   Introduzione

2.1

La conservazione e il ripristino della biodiversità sono importantissimi per garantire il benessere umano, la prosperità economica e condizioni di vita accettabili, e questo non solo per il valore della biodiversità in quanto tale ma anche per le prestazioni che essa offre in termini di capitale naturale. Nella sua strategia sulla biodiversità per il 2020 (1), la Commissione europea ha fissato il seguente obiettivo: arrestare entro il 2020 la perdita della diversità biologica e il deterioramento dei servizi ecosistemici nell'UE, cercando di ristabilirli nel più breve tempo possibile. In particolare occorre promuovere le infrastrutture verdi mediante un'apposita strategia europea.

2.2

La comunicazione della Commissione del 6 maggio 2013 intitolata Infrastrutture verdi - Rafforzare il capitale naturale in Europa mira a:

promuovere le infrastrutture verdi nelle aree politiche fondamentali, ad esempio l'agricoltura e la silvicoltura, la conservazione delle risorse naturali, le acque, il mare, la pesca, la politica regionale e di coesione, la mitigazione dei cambiamenti climatici e l'adeguamento a essi, i trasporti e l'energia, la prevenzione dalle catastrofi e l'uso del suolo, attraverso la pubblicazione di orientamenti volti ad integrare la nozione di infrastrutture verdi nell'attuazione di dette politiche nel periodo 2014-2020;

potenziare la ricerca sulle infrastrutture verdi, migliorare le informazioni, consolidare la base di conoscenze e promuovere le innovazioni tecnologiche;

migliorare l'accesso ai finanziamenti a favore dei progetti di infrastrutture verdi - istituire, entro il 2014, uno speciale strumento di finanziamento dell'UE che sostenga tali progetti in collaborazione con la BEI;

promuovere progetti di infrastrutture verdi a livello UE, entro la fine del 2015 la Commissione valuterà lo sviluppo di una rete di progetti di infrastrutture verdi di portata europea nel quadro di un'iniziativa TEN specifica.

2.3

Nel parere del 26 ottobre 2011 (2) in merito alla strategia sulla biodiversità, il CESE aveva approvato in linea di massima tale strategia, ma aveva al tempo stesso deplorato l'assenza di un'analisi delle cause del mancato raggiungimento degli obiettivi in questo campo e osservato che la mancanza di volontà politica da parte degli Stati membri rappresentava in particolare un ostacolo alla loro effettiva realizzazione.

3.   Osservazioni generali

3.1

Nel suo saggio Green Infrastructure. A Landscape Approach, David Rose fornisce una definizione particolarmente chiara delle infrastrutture verdi: per infrastrutture verdi si intendono elementi che collegano l'ambiente naturale con quello edificato e che rendono le città più vivibili, ad esempio i parchi, le vie pedonali, i giardini pensili, le strade alberate e le zone verdi di città. A livello regionale le infrastrutture verdi comprendono la rete di aree naturali, spazi ed itinerari verdi, zone utilizzabili per scopi agricoli e forestali e altri elementi che offrono molteplici vantaggi per la salute e il benessere delle persone e degli ecosistemi.

3.2

Esempi di infrastrutture verdi sono:

La creazione o la manutenzione di zone inondabili naturali: se una diga si limita a prevenire le inondazioni, le zone inondabili filtrano anche l'acqua, stabilizzano le falde freatiche, offrono possibili spazi di ricreazione, fungono da deposito di CO2, forniscono legname e contribuiscono all'interconnessione degli habitat naturali.

I boschi che rappresentano una sintesi equilibrata in termini di specie, età e struttura, assorbono grandi quantità di acqua e proteggono il suolo, impediscono le inondazioni e gli smottamenti o ne limitano le conseguenze.

Le infrastrutture verdi in quanto elementi integranti dello sviluppo delle zone abitate: se adeguatamente configurati, i parchi, i viali, i sentieri, i giardini pensili e i muri verdi migliorano, in maniera efficiente sul piano dei costi, il clima urbano e fanno aumentare in generale la qualità della vita nei centri urbani. Questi elementi contribuiscono inoltre alla diversità biologica e alla lotta contro i cambiamenti climatici.

3.3

L'82 % delle superfici dell'UE si trova al di fuori della rete Natura 2000. È pertanto evidente che il mantenimento e la ricostituzione della diversità biologica mediante la promozione di infrastrutture verdi è indispensabile anche al di fuori di Natura 2000 e questo sia per garantire la funzionalità della rete di zone protette sia per disporre di servizi ecosistemici in generale. A differenza di Natura 2000, la promozione di infrastrutture verdi non costituisce uno strumento giuridico e non può quindi sostituire l'attuazione di tale programma ma lo completa apportando un ulteriore elemento. D'altra parte, l'obiettivo dell'iniziativa Infrastrutture verdi non è quello di creare una rete di protezione dell'ambiente naturale che vada ad aggiungersi a quella di Natura 2000. Il CESE raccomanda di servirsi dell'iniziativa Infrastrutture verdi in particolare anche per favorire la cooperazione nell'ambito della protezione della natura e dell'ambiente e per dare un chiaro impulso a tale cooperazione in tutti gli Stati membri.

3.4

Il CESE sottolinea che è urgente far partecipare la società civile in modo attivo e sin dalle prime fasi ai progetti di infrastrutture verdi, come prevede anche la convenzione di Aarhus sulla partecipazione del pubblico alle questioni in materia ambientale. Numerosi esempi illustrano quanto il successo di progetti dipenda dall'accettazione o dal rifiuto da parte della società civile. Per tale motivo, la strategia della Commissione europea dovrebbe tener conto maggiormente dell'approccio dal basso verso l'alto, e basarsi di più sulla creazione di partenariati con gli esponenti degli enti locali, i responsabili dei progetti d'infrastruttura, gli operatori economici, i rappresentanti sindacali, i responsabili delle politiche agricole, forestali, in materia di acque e di protezione delle zone costiere nonché delle ONG attive in campo ambientale.

3.5

Il CESE osserva con rammarico che la comunicazione della Commissione sulle infrastrutture verdi non rappresenta la strategia europea in tale ambito annunciata nella strategia per la biodiversità 2020. Ciononostante, accoglie favorevolmente le azioni annunciate nella comunicazione in quanto passi nella giusta direzione. Il Comitato raccomanda di avvalersi delle esperienze conseguite nell'attuazione di queste misure al fine di svilupparle ulteriormente e trasformarle in una strategia per le infrastrutture verdi.

3.6

Per il CESE è necessario che, nell'ambito dell'attuazione di tali infrastrutture, venga fissato un numero di priorità superiore a quello previsto nella comunicazione. Come nella strategia per la biodiversità, anche nella comunicazione manca un'analisi chiara delle ragioni per le quali l'infrastruttura verde non si afferma in misura sufficiente. La mancanza, in singoli Stati membri, della volontà politica di attuare tale concetto, non potrà essere compensata dagli orientamenti tecnici previsti e dal miglioramento della base d'informazione e di conoscenze. Una strategia efficace in materia di infrastrutture verdi presuppone, per il CESE, un attento monitoraggio, un'analisi critica delle misure adottate negli Stati membri e, se necessario, un seguito mirato di misure intese a sostenere gli Stati membri o le regioni che presentano evidenti carenze in materia.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Il ruolo dell'UE nella promozione di progetti in materia di infrastrutture verdi

4.1.1

I progetti in materia di infrastrutture verdi rientrano essenzialmente nella competenza degli Stati membri, e in particolare dei responsabili della pianificazione regionale e locale. In questo ambito, l'UE deve svolgere in primo luogo un ruolo di sostegno attraverso la diffusione della nozione di infrastrutture verdi e, come previsto nella comunicazione, mediante la divulgazione di informazioni e di conoscenze adeguate e facilmente accessibili. Inoltre, gli strumenti di finanziamento dell'UE influiscono in misura considerevole sulla pianificazione regionale e locale, per cui deve essere accordata un'elevata priorità all'integrazione della nozione di infrastrutture verdi in tali strumenti.

4.1.2

L'UE deve assumere una responsabilità diretta in determinati progetti di infrastrutture verdi di portata europea. Tali progetti si basano in genere su elementi paesaggistici transfrontalieri come le catene montuose, i fiumi o le foreste. Come esempio riuscito di questo tipo di progetti, nella comunicazione viene menzionata la cintura verde europea. Un'attenzione particolare andrebbe riservata anche alle valli fluviali transfrontaliere come base di una infrastruttura verde europea. Proprio per fiumi come il Danubio o l'Elba, che quest'anno hanno fatto registrare di nuovo gravi danni a causa delle inondazioni, i progetti in materia di infrastrutture verdi possono contribuire a coniugare concetti come il miglioramento della protezione dalle inondazioni, la conservazione delle zone acquatiche sensibili e importanti per la biodiversità su scala europea e lo sviluppo economico e turistico.

4.1.3

Il CESE sostiene la promozione di una rete europea di progetti di infrastrutture verdi, concepita in maniera strategica, dotata di un elenco di progetti specifici di importanza europea rappresentati cartograficamente. A questa idea deve essere assegnata, nel quadro di un'iniziativa TEN specifica, la stessa importanza attribuita alle iniziative europee in materia di infrastrutture di trasporto, di energia e di telecomunicazione.

4.2   Diffusione della nozione di Infrastrutture verdi

Una ragione essenziale che spiega l'insufficiente diffusione e promozione delle infrastrutture verdi è, secondo il CESE, l'inadeguata conoscenza di questa nozione, dei suoi vantaggi pratici e dei possibili benefici in termini di costo. Giustamente, la Commissione si è posta pertanto l'obiettivo di sensibilizzare maggiormente le principali parti interessate alle infrastrutture verdi, di promuovere lo scambio di informazioni sulle buone pratiche e di migliorare la base di conoscenze in materia. In tale contesto, i mezzi sociali di comunicazione offrono una piattaforma particolarmente valida. Il CESE ritiene che l'utilizzo di una definizione di infrastrutture verdi chiara e comprensibile per il grande pubblico rappresenti una condizione essenziale per questa opera di sensibilizzazione. La definizione impiegata dalla Commissione non risponde a questo criterio (3).

4.3   Tener conto della situazione specifica nei singoli Stati membri

4.3.1

Nei diversi Stati membri e regioni, la situazione riguardante la disponibilità di superfici naturali, seminaturali o urbane varia notevolmente. Se in alcune regioni e città ad alta densità d'insediamento, le cosiddette infrastrutture grigie concorrono ad un estremo sfruttamento delle superfici, in altre regioni invece esistono grandi superfici naturali. Nell'adottare misure europee per promuovere le infrastrutture verdi, occorre fare una distinzione tra le regioni in cui si creano nuove infrastrutture di questo tipo e le altre zone in cui la priorità è rappresentata dal mantenimento o dalla cura dei paesaggi.

4.4   Integrazione delle infrastrutture verdi in settori di intervento fondamentali e nei relativi strumenti di finanziamento

4.4.1

Nella comunicazione si assegna giustamente la massima priorità all'effettiva integrazione degli aspetti delle infrastrutture verdi in una vasta gamma di settori di intervento.

4.4.2

Il CESE accoglie favorevolmente l'elaborazione di orientamenti tecnici corredati da principi e condizioni quadro per l'inclusione degli aspetti delle infrastrutture verdi nella politica regionale e di coesione, nella politica sul clima e in quella ambientale, nella politica sanitaria e dei consumatori, nonché nella politica agricola comune, compresi i relativi meccanismi di finanziamento. Tali orientamenti dovrebbero essere pubblicati quanto prima affinché gli Stati membri, che già lavorano ai piani operativi, li possano utilizzare per il periodo di programmazione 2014-2020.

4.4.3

Le infrastrutture verdi dipendono non soltanto dagli investimenti pubblici ma anche da quelli privati. Il CESE sottolinea che gli investimenti privati in questo tipo di infrastrutture hanno bisogno di adeguati incentivi. Il CESE accoglie favorevolmente il progetto di creare, insieme alla BEI, uno strumento europeo specifico di finanziamento.

4.5   Coinvolgimento effettivo della società civile nella pianificazione regionale e locale

4.5.1

Nella comunicazione si riconosce la necessità di integrare le infrastrutture verdi nella pianificazione regionale del territorio e nella pianificazione locale, ma il CESE osserva che il piano d'azione non prevede misure concrete a questo riguardo. È proprio la pianificazione territoriale, paesaggistica e architettonica sul terreno ad avere un notevole impatto sull'attuazione delle infrastrutture verdi, tuttavia, in base al principio di sussidiarietà, il livello europeo può esercitare solo un'influenza limitata.

4.5.2

Il CESE chiede in particolare di garantire la partecipazione sin dalle prime fasi degli attori della società civile a livello regionale e locale. L'assenza di tali soggetti o la loro mancata accettazione impedirebbe la realizzazione dei progetti di infrastrutture verdi oppure ne determinerebbe il fallimento. Risultano necessari processi di pianificazione partecipativa che assegnino a tali soggetti un ruolo attivo e determinante. In tale contesto bisogna tener presente che le decisioni relative alle infrastrutture verdi non danno luogo unicamente a scenari vincenti su tutti i fronti, anzi in alcuni casi le singole parti interessate possono dover fare i conti con eventuali svantaggi (il mantenimento di un'infrastruttura verde sulle rive dei fiumi o dei mari potrebbe comportare il divieto di costruire). Occorre affrontare in maniera chiara i conflitti di destinazioni d'uso in concorrenza tra loro (ad esempio produzione di generi alimentari, alloggi e infrastrutture, collegamento di biotopi, biodiversità) e individuare le possibili soluzioni.

4.6   Le infrastrutture verdi nelle zone urbane

4.6.1

Il CESE ritiene che le zone urbane offrano un potenziale enorme per le misure di infrastrutture verdi. Le infrastrutture verdi apportano infatti benefici sul piano della salute, migliorano il clima delle città, creano posti di lavoro e aumentano l'attrattiva dei luoghi urbani. In particolare nelle città è importante migliorare la comprensione delle soluzioni basate sulle infrastrutture verdi, cominciando dalle scuole, e potenziare la collaborazione attiva della società civile. Il CESE ritiene che il grande interesse attualmente rivolto all'orticoltura e all'agricoltura urbane rappresenti un segnale forte della disponibilità di numerosi cittadini a contribuire in prima persona alla creazione di ecosistemi intatti e a sperimentare nuove forme di comunità e di solidarietà.

4.7   L'integrazione delle infrastrutture verdi in agricoltura e nello sviluppo rurale

4.7.1

La natura e la portata dell'integrazione delle infrastrutture verdi dipendono essenzialmente dai risultati della politica agricola comune (PAC) e del quadro finanziario pluriennale dell'UE 2014-2020. In entrambi i settori sono stati raggiunti accordi politici. Il CESE si è espresso a più riprese a favore di un'agricoltura multifunzionale e di pagamenti diretti orientati alla funzione. Nell'ottica di una maggiore ecologizzazione dell'agricoltura europea, la riforma che entrerà presto in vigore collega in particolare la concessione dei pagamenti diretti al soddisfacimento di standard ambientali più elevati e all'individuazione di aree a priorità ecologica. Il CESE valuterà in profondità le decisioni relative alla riforma della PAC mettendole a confronto con le sue posizioni.

4.7.2

Il CESE auspica che il Fondo europeo per lo sviluppo rurale, e in particolare le misure agroambientali apportino ulteriori risultati in termini di connettività ecologica. Il CESE ha più volte sottolineato che la maggioranza degli agricoltori e dei silvicoltori è favorevole alla protezione della natura e dei biotopi. Numerosi progetti pilota mostrano in maniera efficace che un clima di collaborazione rende possibile il conseguimento di risultati positivi. Il CESE propone di inserire nei progetti di infrastrutture verdi sia le superfici ad agricoltura estensiva sia quelle ad agricoltura intensiva coltivate in maniera efficiente sul piano delle risorse. In tale contesto è necessario privilegiare misure volontarie di produzione integrata. È inoltre opportuno sfruttare le potenzialità delle infrastrutture verdi per lo sviluppo rurale da un punto di vista sociale e demografico.

4.8   Collegamento tra infrastrutture verdi e altri ambiti di intervento

4.8.1

La gestione integrata delle acque e delle coste deve sfruttare nel modo più efficace possibile le potenzialità delle infrastrutture verdi (4).

4.8.2

Il deterioramento degli ecosistemi nell'UE è innanzi tutto conseguenza di un aumento dell'uso del suolo, della frammentazione delle superfici e di un loro sfruttamento più intensivo. Le infrastrutture verdi possono contrastare questa tendenza. A tal fine è necessario adottare, a livello europeo, misure più rigorose di protezione del suolo volte a ridurne l'utilizzo, incluse iniziative legislative (5).

4.8.3

Le infrastrutture verdi svolgono una funzione di assorbimento dell'anidride carbonica, in particolare attraverso la protezione dei suoli naturali. In considerazione dell'obiettivo generale della politica per il clima, di orientare l'Europa in direzione di un'economia a basso tenore di carbonio e a base biologica, è ancora più importante disporre di ecosistemi ben funzionanti. I molteplici benefici delle infrastrutture verdi dovrebbero godere di particolare attenzione nelle strategie di adeguamento ai cambiamenti climatici elaborate dagli Stati membri.

Bruxelles, 16 ottobre 2013.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2011) 244 final.

(2)  Parere CESE sul tema Strategia dell'UE sulla biodiversità fino al 2020, GU C 24 del 28.1.2012, pag. 111.

(3)  COM(2013) 249 final, pag. 3.

(4)  Parere CESE sul tema Pianificazione dello spazio marittimo e gestione integrata delle zone costiere (non ancora pubblicato in GU).

(5)  Parere CESE sul tema Settimo programma di azione in materia di ambiente (punto 4.2.2) GU C 161 del 6.6.2013, pag. 77.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/157


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 302/2009 del Consiglio concernente un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo

COM(2013) 250 final — 2013/0133 (COD)

2014/C 67/32

Relatore: SARRÓ IPARRAGUIRRE

Il Parlamento europeo e la Commissione europea, rispettivamente in data 12 maggio 2013 e 28 maggio 2013, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 43, paragrafo 2, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 302/2009 del Consiglio concernente un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo

COM(2013) 250 final - 2013/0133 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con soddisfazione questa modifica del regolamento (CE) n. 302/2009 poiché essa dimostra che si stanno ottenendo risultati concreti in termini di ricostituzione del tonno rosso nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo.

1.2

Il Comitato invita nuovamente la Commissione europea ad applicare con il massimo rigore il regolamento a tutti gli Stati membri e a tutte le parti contraenti dell'ICCAT.

1.3

Il CESE riconosce, ancora una volta, lo sforzo condotto negli ultimi anni dalla Commissione europea, dagli Stati membri e dai pescatori per realizzare l'ambizioso piano di ricostituzione pluriennale, con le relative conseguenze sociali ed economiche che questo comporta e che dovrebbero essere prese in considerazione.

1.4

Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a incrementare le attività di informazione destinate a sensibilizzare i cittadini circa l'effettiva situazione del tonno rosso e i risultati dell'attuazione del piano di ricostituzione.

1.5

Al fine di salvaguardare la ricostituzione del tonno rosso, il CESE considera particolarmente necessario definire concretamente, dopo l'articolo 7, paragrafo 6, quali siano per l'Unione europea gli attrezzi da pesca che è consentito utilizzare tutto l'anno.

2.   Introduzione

2.1

Con il presente parere, il CESE esamina la proposta di regolamento COM(2013) 250 final, recante ulteriore modifica del regolamento (CE) n. 302/2009 del Consiglio concernente un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo.

2.2

Il tonno rosso è una delle specie più importanti tra quelle disciplinate dalla Commissione Internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico (ICCAT), della cui convenzione l'Unione è parte contraente.

2.3

Nel 2006, la Commissione internazionale ha avviato un piano di ricostituzione del tonno rosso che ha dato origine al regolamento (CE) n. 1559/2007, il quale stabiliva inizialmente un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo.

2.4

Il regolamento (CE) n. 1559/2007 è stato modificato dal regolamento (CE) n. 302/2009 a sua volta conseguenza della raccomandazione 08-05, adottata dalla Commissione internazionale nella sua 16a riunione straordinaria del 2008, in cui veniva definito un nuovo piano di ricostituzione del tonno rosso.

2.5

Nella sua 17a riunione straordinaria del 2010, la Commissione internazionale ha adottato la raccomandazione 10-04 che modifica il piano di ricostituzione precedente stabilendo una nuova riduzione del totale di catture ammissibile e potenziando le misure volte a diminuire la capacità di pesca e ad aumentare il controllo delle zone peschiere. Il regolamento (CE) n. 302/2009 è stato successivamente modificato dal regolamento (UE) n. 500/2012 al fine di applicare le suddette misure di conservazione internazionali a livello dell'Unione.

2.6

Su entrambi i regolamenti, così come su quest'ultima modifica, il Comitato economico e sociale europeo ha formulato pareri favorevoli alle proposte della Commissione europea, nei quali riconosceva lo sforzo che gli Stati membri e i pescatori stanno effettuando per realizzare l'ambizioso piano di ricostituzione del tonno rosso stabilito dall'ICCAT e la invitava a proseguire le ricerche scientifiche.

3.   Posizione scientifica

3.1

Dalla 16a riunione straordinaria dell'ICCAT del 2008, si osserva una ricostituzione della biomassa del tonno rosso nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo.

3.2

Nella sua relazione esecutiva del 2012, il Comitato permanente della ricerca e delle statistiche (SCRS) che fornisce pareri scientifici all'ICCAT afferma, tra l'altro, quanto segue (1):

3.2.1

Dal 1998 erano in vigore limiti di cattura per l'unità di gestione dell'Atlantico orientale e del Mediterraneo. Nel 2002, la Commissione ha fissato il totale ammissibile di catture (TAC) per il tonno rosso dell'Atlantico orientale e del Mediterraneo a 32 000 tonnellate per il periodo 2003-2006- e a 29 500 e 28 500 tonnellate rispettivamente per il 2007 e il 2008. Ha poi fissato il TAC per il 2009, 2010 e 2011 rispettivamente a 22 000, 19 950 e 18 500 tonnellate. Tuttavia, il TAC per il 2010 è stato riveduto e fissato a 13 500 tonnellate. È stato inoltre stabilito un quadro per i futuri TAC (dal 2011 in poi) fissandoli a livelli sufficienti a consentire la ricostituzione dello stock fino alla biomassa del reddito massimo sostenibile (RMS) dal 2010 al 2022 con una probabilità di almeno il 60 %. Il TAC per il 2011 e 2012 è stato fissato a 12 900 tonnellate.

3.2.2

La raccomandazione 10-04 dell'ICCAT del 2010 ha sostanzialmente favorito la ricostituzione del tonno rosso poiché, mentre stabiliva una nuova riduzione del TAC a 12 900 tonnellate per il 2011 e il 2012, ha contribuito notevolmente a diminuire la capacità di pesca e ha influito sulle misure di controllo, determinando una riduzione assai sensibile del numero di pescherecci e un controllo efficace delle loro catture.

3.2.3

Nonostante la necessità di essere prudenti nel valutare le stime di catture realizzate avvalendosi della misurazione della capacità, per il Comitato permanente (SCRS) c'è stata una considerevole riduzione delle catture nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo a causa dell'attuazione del piano di ricostituzione, del monitoraggio e dei controlli in sede di esecuzione.

3.2.4

Inoltre, la maggior presenza o concentrazione di tonni rossi piccoli nel Mediterraneo nord-occidentale, individuate mediante prospezioni aeree, potrebbero essere anche un effetto dei risultati positivi della regolamentazione sull'incremento delle dimensioni minime. La raccomandazione 06-05 ha portato a migliori livelli di rendimento per reclutamento rispetto all'inizio degli anni 2000 e a un più elevato reclutamento alla biomassa riproduttiva degli stock grazie ad una maggiore sopravvivenza del novellame.

3.2.5

L'applicazione delle norme recenti e delle raccomandazioni precedenti ha avuto chiaramente come effetto una riduzione dei tassi di cattura e di mortalità per specie pescata. Tutti gli indici di catture per unità di sforzo hanno mostrato, negli anni più recenti, una tendenza alla crescita. Il Comitato permanente sottolinea che mantenere le catture al livello del TAC attuale (12 900 tonnellate) o del TAC del 2010 (13 500 tonnellate) conformemente al programma attuale di assetto, farà probabilmente in modo che gli stock aumentino in questo periodo. La cosa è in linea con l'obiettivo di raggiungere di qui al 2022, con una probabilità di almeno il 60 %, un tasso di mortalità e una biomassa corrispondenti al rendimento massimo sostenibile.

3.3

Il CESE accoglie favorevolmente la relazione del Comitato scientifico dell'ICCAT, che mostra la chiara tendenza del tonno rosso a ricostituirsi. Il CESE ha infatti appoggiato fermamente tutte le proposte legislative presentate dalla Commissione europea concernenti il piano di ricostituzione pluriennale del tonno rosso nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo.

4.   Modifiche nella raccomandazione dell'ICCAT

4.1

Nel 2012, l'ICCAT ha adottato una nuova raccomandazione (12-03) concernente il proprio piano di ricostituzione della durata di 15 anni (2007-2022).

4.2

La nuova raccomandazione fissa il TAC a 13 500 tonnellate annuali a partire dal 2013 e per gli anni successivi fino al momento in cui verrà stabilito un nuovo TAC secondo il parere del Comitato scientifico (SCRS). Di queste 13 500 tonnellate, 7 548,06 sono assegnate all'Unione europea. Questo significa che dopo diversi anni in cui il TAC è stato ridotto e sono stati condotti numerosi sforzi per conseguire la ricostituzione del tonno rosso, quest'anno c'è stata un'inversione di tendenza e, in base alle raccomandazioni scientifiche, il TAC è stato aumentato di 600 tonnellate.

4.3

Ai fini di un migliore adeguamento delle campagne di pesca all'attività delle flotte, la raccomandazione 12-03 prevede una modifica delle campagne di pesca, che sono ora definite come periodi di autorizzazione della pesca in contrapposizione ai periodi di divieto della pesca indicati nelle precedenti raccomandazioni dell'ICCAT.

4.4

È stata inoltre apportata una modifica delle date in cui è autorizzata la pesca mediante pescherecci con reti a circuizione, tonniere con lenze a canna e imbarcazioni con lenze trainate.

4.5

Infine, per evitare ogni incertezza riguardo agli attrezzi non soggetti a norme specifiche sulle campagne di pesca, è stato necessario includere una disposizione che autorizzasse esplicitamente tutti gli altri attrezzi a pescare tutto l'anno.

4.6

Per quanto concerne la ripartizione delle quote assegnate all'Unione europea nelle acque di responsabilità dell'ICCAT per il 2013, il Consiglio ha già definito, nel regolamento relativo al TAC e alle quote (2), quelle che corrispondono a ciascuno Stato membro. Il Consiglio ha altresì stabilito che la campagna di pesca per i pescherecci con reti a circuizione si tenga dal 26 maggio al 24 giugno 2013 affinché gli Stati membri abbiano il tempo sufficiente per pianificarla.

4.7

Il CESE giudica logiche tutte le modifiche proposte nella raccomandazione 12-03 dell'ICCAT, si compiace con la Commissione europea, gli Stati membri e i pescatori per l'impegno mostrato nella realizzazione di questo piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso e invita la Commissione europea a proseguire gli sforzi già intrapresi.

5.   Modifica del regolamento (CE) n. 302/2009

5.1   Tenendo conto di quanto precede, la nuova proposta di regolamento modifica l'articolo 7 del regolamento (CE) n. 302/2009 fissando i periodi di pesca per ciascun tipo di peschereccio autorizzato a pescare il tonno rosso.

5.2   L'articolo 7 è così modificato:

"Campagne di pesca

1)

La pesca del tonno rosso è autorizzata nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo per le grandi navi da cattura con palangari pelagici di lunghezza superiore a 24 m nel periodo dal 1° gennaio al 31 maggio, ad eccezione della zona delimitata ad ovest dal meridiano 10° O e a nord dal parallelo 42° N, nella quale tale pesca è autorizzata dal 1° agosto al 31 gennaio.

2)

La pesca del tonno rosso con reti a circuizione è autorizzata nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo nel periodo dal 26 maggio al 24 giugno.

3)

La pesca del tonno rosso praticata da tonniere con lenze a canna e imbarcazioni con lenze trainate è autorizzata nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo nel periodo dal 1° luglio al 31 ottobre.

4)

La pesca del tonno rosso praticata da pescherecci da traino pelagici è autorizzata nell'Atlantico orientale nel periodo dal 16 giugno al 14 ottobre.

5)

La pesca sportiva e ricreativa del tonno rosso è autorizzata nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo nel periodo dal 16 giugno al 14 ottobre.

6)

La pesca del tonno rosso con attrezzi diversi da quelli menzionati nei paragrafi da 1 a 5 è autorizzata tutto l'anno.".

5.3   Il CESE considera logica, e quindi approva, questa modifica del regolamento (CE) n. 302/2009. Il nuovo articolo 7 indica infatti più chiaramente i "periodi di autorizzazione della pesca" rispetto al concetto di "divieto della pesca" contenuto alla precedente versione dello stesso articolo. Al tempo stesso, adegua le date effettive in cui è autorizzata la pesca con imbarcazioni con reti a circuizione, con lenze a canna e con lenze trainate e specifica gli attrezzi che, non essendo soggetti a norme specifiche in relazione alla campagna di pesca, possono essere utilizzati tutto l'anno. In questo senso, il Comitato ritiene opportuno aggiungere al testo dell'articolo 7, paragrafo 6, la seguente frase: "conformemente con le misure di conservazione e di assetto di cui alla raccomandazione 12-03".

5.4   A proposito di quest'ultima autorizzazione, e al fine di salvaguardare la ricostituzione del tonno rosso, il CESE considera particolarmente necessario definire concretamente, a norma dell'articolo 7, paragrafo 6, quali siano per l'Unione europea gli attrezzi da pesca che è consentito utilizzare tutto l'anno.

6.   Osservazioni generali

6.1

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di modifica del regolamento (CE) n. 302/2009. Essa infatti dimostra che, grazie alle applicazioni e alle modifiche introdotte annualmente, nei primi sei anni del piano pluriennale previsto per quindici anni si sono ottenuti risultati concreti in termini di ricostituzione del tonno rosso nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo.

6.2

Il Comitato invita nuovamente la Commissione europea ad applicare con il massimo rigore il regolamento a tutti gli Stati membri e a tutte le parti contraenti dell'ICCAT.

6.3

Il CESE riconosce, ancora una volta, lo sforzo condotto negli ultimi anni dalla Commissione europea, dagli Stati membri e dai pescatori per realizzare l'ambizioso piano di ricostituzione pluriennale, con le relative conseguenze sociali ed economiche che questo comporta e che dovrebbero essere prese in considerazione.

6.4

Il Comitato desidera esprimere il proprio riconoscimento per il lavoro svolto attualmente da tutti gli istituti scientifici sia degli Stati membri sia delle parti contraenti, della Commissione europea e della stessa ICCAT al fine di fare passi avanti nella realizzazione del piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso. Il CESE esprime tale riconoscimento anche nei confronti dell'Agenzia europea di controllo della pesca.

6.5

Infine, il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a incrementare le attività di informazione destinate a sensibilizzare i cittadini circa l'effettiva situazione del tonno rosso e i risultati dell'attuazione del piano di ricostituzione.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  http://www.iccat.es/Documents/SCRS/ExecSum/BFT_EN.pdf.

(2)  Regolamento (UE) n. 40/2013 (GU L 23 del 25.1.2013).


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/160


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Strategia dell’UE di adattamento ai cambiamenti climatici»

COM(2013) 216 final

2014/C 67/33

Relatrice: CAÑO AGUILAR

Amministratrice: Annika KORZINEK

La Commissione, in data 16 aprile 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia dell'UE di adattamento ai cambiamenti climatici

COM(2013) 216 final.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici proposta dalla Commissione, sottolineando allo stesso tempo il carattere prioritario e fondamentale delle politiche di mitigazione, in considerazione degli effetti negativi che si sono già prodotti in Europa.

1.2

Nell'attuazione del nuovo piano di adattamento occorre tener conto del fatto che l'aumento della temperatura in Europa e la possibilità di un'accelerazione dei fenomeni estremi possono produrre danni alle persone, all'economia e all'ambiente maggiori rispetto a quelli inizialmente previsti.

1.3

La strategia di adattamento deve contenere misure specifiche per le aree urbane, nelle quali vivono i tre quarti della popolazione europea, nonché per le aree rurali particolarmente sensibili ai mutamenti del clima.

1.4

In un quadro in cui le azioni degli Stati membri rivestono un'importanza cruciale, va constatata l'insufficienza dei progressi registrati in alcuni settori nel periodo seguito alla pubblicazione del Libro bianco nel 2009. La Commissione deve considerare la necessità di svolgere un ruolo più attivo, facendo uso delle competenze conferitele dal TFUE.

1.5

Il CESE considera molto importante che nel prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) si dedichi il 20 % del totale del bilancio ad azioni connesse con il clima. La somma di 192 miliardi di euro stanziati a tal fine rappresenta un aumento considerevole.

1.6

Tanto la nuova strategia di adattamento quanto il QFP costituiscono progressi importanti nell'integrazione delle diverse politiche e dei diversi strumenti finanziari dell'Unione.

1.7

La proposta della Commissione dovrebbe presentare una prospettiva finanziaria più ampia, includendo anche i contributi imprescindibili che dovranno apportare gli Stati membri, il mondo imprenditoriale e le famiglie.

1.8

Il Comitato esorta gli Stati membri che ancora non abbiano provveduto in questo senso ad agire rapidamente per redigere e applicare in modo rigoroso le proprie strategie nazionali di adattamento.

1.9

Accanto alle osservazioni contenute nel presente parere, il CESE si dice d'accordo, in linea generale, con le azioni proposte dalla Commissione.

1.10

Il Comitato suggerisce di studiare specificamente i cambiamenti strutturali che saranno richiesti dalla strategia di adattamento in alcune politiche e nella produzione di beni e servizi, tenendo conto fra l'altro dell'incidenza sull'occupazione, sull'industria, sulle costruzioni e su ricerca, sviluppo e innovazione.

2.   Contenuto della comunicazione

2.1

Il Libro bianco sull'adattamento ai cambiamenti climatici del 2009 (1) ha proposto un quadro di attuazione in due fasi, la prima delle quali (2009-2012) è consistita in una strategia di adattamento basata su 33 misure.

2.2

La comunicazione in esame si riferisce alla seconda fase, incentrata su tre obiettivi:

promuovere l'azione degli Stati membri;

prendere decisioni più consapevoli;

realizzare azioni dell'UE per ridurre l'impatto dei cambiamenti climatici, promuovendo l'adattamento nelle aree vulnerabili fondamentali.

In funzione di questi obiettivi si propongono otto linee d'azione.

2.3

Secondo la Commissione, se si optasse per progetti coerenti, flessibili e partecipativi risulterebbe più economico programmare misure di adattamento con sufficiente anticipo piuttosto che pagare il prezzo dell'inazione. Secondo diverse stime, viste le tendenze attuali dei cambiamenti climatici, l'UE dovrà affrontare costi economici elevatissimi, soprattutto nei casi più sfavorevoli, se non si adotteranno misure adeguate (2).

2.4

Le misure di adattamento dovranno essere adottate a livello locale, regionale e nazionale.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE sostiene la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici proposta dalla Commissione e concorda con l'affermazione secondo cui non si può addurre a pretesto l'incertezza per l'inazione. Allo stesso tempo, sottolinea il carattere prioritario e fondamentale delle politiche di mitigazione, visto che i dati disponibili sono abbastanza eloquenti circa gli effetti negativi che si sono già prodotti in Europa e alle previsioni di aggravamento della situazione in futuro.

3.2

A metà degli anni Novanta del secolo scorso, l'UE ha avviato una campagna per limitare l'aumento del riscaldamento globale a 2 °C rispetto al livello precedente l'era industriale, obiettivo definitivamente sancito dalla Conferenza di Cancún (2010). Per raggiungerlo, occorre una riduzione sostanziale delle emissioni di gas a effetto serra, ma la tendenza che si registra va nella direzione opposta. Nell'attuazione del nuovo piano di adattamento occorre tener conto del fatto che l'aumento della temperatura in Europa è mediamente più rapido che nel resto del pianeta, con la possibilità di un'accelerazione dei fenomeni estremi e con danni alle persone, all'economia e all'ambiente superiori a quelli inizialmente previsti.

3.3

Il CESE sottolinea che nelle aree urbane, dove vivono i tre quarti della popolazione europea, la sostituzione della vegetazione naturale con edifici e costruzioni di ogni tipo potenzia i danni dovuti a determinati fenomeni naturali. Gli effetti del caldo e delle inondazioni, fra l'altro, si abbatteranno sulle famiglie (e in particolare sulle persone vulnerabili, come bambini e anziani), sulla vita economica, sul turismo e sulle infrastrutture, con effetti negativi sull'occupazione e sul livello di vita della popolazione. Da parte loro, le aree rurali sono particolarmente sensibili alla variabilità del clima in ragione dell'impatto che quest'ultima ha sull'agricoltura, l'allevamento e la silvicoltura, con i rischi di spopolamento e aumento della povertà che ciò comporta.

3.4

Un fattore importante in materia di adattamento ai cambiamenti climatici è che la variabilità degli indicatori climatici muta sia in termini di tempo che di microregione. È soprattutto una questione di temperature, di neve e di pioggia, vento e umidità. Le norme urbanistiche e edilizie dovranno adattarsi ai futuri valori massimi e minimi. I boschi ad esempio dovranno avere la resilienza sufficiente per far fronte all'uragano più forte del suo ciclo, che solitamente ha la durata di un secolo.

3.5

L'adattamento ai cambiamenti climatici comporterà inevitabilmente dei costi, i quali hanno la caratteristica di un debito implicito secondo la definizione dei principi fondamentali che presiedono al metodo di calcolo del debito pubblico. Qualora si produca un deficit aggiuntivo di questo tipo nelle finanze pubbliche, il debito implicito diventerà esplicito. Si possono però evitare danni ingenti, ad esempio, mediante misure di protezione contro le inondazioni. I risultati degli investimenti nell'adattamento differiscono molto a seconda della fonte di finanziamento, che si tratti del livello europeo o nazionale, delle imprese o delle famiglie. La proposta della Commissione si limita a quantificare in modo abbastanza dettagliato le fonti dell'Unione. Sarà però necessario ricorrere a tutti i tipi di fonti, e farlo con strutture e volumi che risultino efficaci.

3.6

Finora, 15 Stati membri dell'UE hanno adottato strategie nazionali di adattamento, ma solo 13 si sono dotati di piani d'azione specifici. Quattro anni dopo la pubblicazione del Libro bianco e nonostante l'urgenza della materia, secondo la Commissione "nella maggior parte dei casi l'adattamento è ancora in una fase iniziale, con poche misure concrete effettivamente attuate". Per questo, il Comitato esorta gli Stati membri che ancora non abbiano provveduto in questo senso ad agire rapidamente per redigere e applicare in modo rigoroso le proprie strategie nazionali di adattamento.

3.7

Nella strategia di adattamento dell'UE, la Commissione ha svolto finora un'imprescindibile funzione di sostegno, promozione e coordinamento delle decisioni degli Stati membri, sui quali ricade la responsabilità principale dell'adozione di misure efficaci e coordinate per prevenire i rischi dei cambiamenti climatici. L'azione degli Stati membri è fondamentale, però in questo senso dobbiamo sottolineare l'insufficienza dei progressi in materia di adattamento registrati in alcuni settori successivamente alla pubblicazione del Libro bianco. Pertanto, la Commissione deve considerare la necessità di svolgere un ruolo molto più attivo in materia di cambiamenti climatici, facendo uso delle competenze conferitele dal TFUE.

3.8

Nella proposta di quadro finanziario pluriennale (QFP) 2014-2020 (3), la Commissione suggerisce di dedicare almeno il 20 % del totale del bilancio ad azioni connesse con il clima. Il CESE giudica molto importante che il Consiglio e il Parlamento europeo abbiano accettato questo criterio. Nel nuovo QFP, le azioni connesse col clima rappresentano in totale (mitigazione e adattamento) circa 192 miliardi di euro. Si tratta di un aumento considerevole, se si tiene conto che nel QFP 2007-2013 alle misure di adattamento si sono destinati solo 6 miliardi di euro.

3.9

Il CESE ritiene fondamentale che le azioni sul clima nelle diverse politiche e nei diversi strumenti finanziari dell'Unione (Fondo di coesione, fondi strutturali, ricerca e sviluppo, PAC, reti transeuropee, ecc.) abbiano carattere orizzontale. Sia la nuova strategia che il QFP 2014-2020 rappresentano un progresso in questa direzione.

3.10

Dato che l'aggravamento degli effetti dei cambiamenti climatici e le politiche dell'UE in materia di mitigazione e adattamento comportano un aumento dei compiti dell'Agenzia europea dell'ambiente (AEA), il CESE suggerisce di considerare un aumento delle sue risorse umane e finanziarie.

3.11

Il Comitato segnala che una strategia di adattamento deve tener presenti gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute delle persone, aspetto sul quale esistono già degli studi (cfr. Impacts of climate change in human health in Europe. PESETA-Human health study, 2009), e la necessità di poter contare su servizi di emergenza adeguati in caso di fenomeni estremi.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Azione 1: incoraggiare tutti gli Stati membri ad adottare strategie di adattamento globali

4.1.1

La Commissione fa riferimento alla creazione, nel 2014, di un quadro comparativo sulla capacità di adattamento. Nel 2017, sulla base delle informazioni che riceverà in merito al regolamento per un meccanismo di monitoraggio (attualmente in corso di elaborazione) e del citato quadro comparativo, la Commissione valuterà se le misure siano sufficienti e potrà proporre, se necessario, uno strumento giuridicamente vincolante.

4.1.2

Il CESE appoggia la possibilità di applicare l'articolo 192 del TFUE sul procedimento legislativo in materia ambientale. Un'eventuale normativa europea dovrebbe contemplare misure specifiche, termini di applicazione, meccanismi di controllo ed eventuali sanzioni in caso di non ottemperanza. L'urgenza della materia suggerisce di riconsiderare i termini per la decisione.

4.2   Azione 2: sostenere il consolidamento delle capacità e rafforzare le azioni di adattamento in Europa con i fondi LIFE (2013-2020)

4.2.1

Il Comitato si è già pronunciato a favore della proposta di regolamento LIFE, considerando un segnale positivo l'aumento del bilancio a 3,2 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 (4). Il sottoprogramma Azione per il clima (904,5 milioni di euro, nella proposta iniziale della Commissione) è formato da tre settori prioritari che, in linea di principio, rimarranno immutati: mitigazione dei cambiamenti climatici (45 %), adattamento ai cambiamenti climatici (45 %) nonché governance e informazione (10 %).

4.2.2

La Commissione ha individuato cinque aree particolarmente vulnerabili fra cui si dovranno ripartire i fondi in modo equo:

gestione transfrontaliera delle alluvioni;

gestione costiera transfrontaliera;

integrazione delle azioni di adattamento nella pianificazione territoriale urbana;

aree montane e insulari;

gestione sostenibile delle acque (desertificazione e incendi boschivi in aree a rischio di siccità).

4.3   Azione 3: includere l'adattamento nel quadro del Patto dei sindaci (2013/2014)

4.3.1

Il Patto dei sindaci, istituito su iniziativa della Commissione, si propone di superare l'obiettivo di una riduzione delle emissioni pari al 20 % stabilito dall'UE per il 2020, e questo proposito merita indiscutibilmente pieno appoggio.

4.3.2

La Commissione si limita a osservare che "sosterrà" le iniziative di adattamento nelle città, senza però fornire ulteriori dettagli. Dato il carattere volontario del Patto, può risultare opportuno che i suoi firmatari, con il sostegno della Commissione, stabiliscano obiettivi quantificabili e meccanismi di seguito delle misure da porre in atto in materia di adattamento. Secondo il CESE, la Commissione dovrebbe concretizzare tali aspetti affinché ci sia una vera politica dell'UE relativa all'adattamento nelle aree urbane: di questo settore si è già fatta esperienza in alcuni Stati membri (cfr. ad es. il Performance Indicator for Climate Change Adaptation - NI188 - nel Regno Unito).

4.4   Azione 4: colmare le lacune nelle competenze

4.4.1

La Commissione indica quattro principali lacune, segnalando che "continuerà a collaborare" con gli Stati membri e con i soggetti interessati per colmarle:

informazioni sui danni e sui costi e i vantaggi dell'adattamento;

analisi e valutazioni del rischio a livello regionale e locale;

quadri di riferimento, modelli e strumenti a sostegno del processo decisionale e della valutazione dell'efficacia delle varie misure di adattamento;

strumenti di monitoraggio e valutazione delle iniziative di adattamento già realizzate.

4.4.2

Nel programma Orizzonte 2020 (periodo 2014-2020) si assegnano 1 962 milioni di euro al Centro comune di ricerca; a questi vanno aggiunti 656 milioni di euro provenienti da Euratom. Si tratta di un aumento considerevole (17 000 milioni di euro circa) rispetto al 7o programma quadro.

4.4.3

Il CESE sottolinea che la mancanza di dati specifici su alcuni aspetti non può servire da pretesto per rinviare le decisioni, dal momento che vi sono già molteplici prove degli effetti negativi dei cambiamenti climatici.

4.5   Azione 5: trasformare Climate-ADAPT nel punto unico di riferimento per le informazioni sull'adattamento in Europa e inclusione (nel 2014) dei futuri servizi climatici di Copernicus

4.5.1

Il Comitato appoggia la decisione di centralizzare in Climate-ADAPT la raccolta e la diffusione di informazioni sui cambiamenti climatici. L'interazione fra Climate-ADAPT e le piattaforme nazionali richiederà uno sforzo aggiuntivo da parte degli Stati membri se si tiene conto del fatto che, attualmente, solo sei paesi dell'UE dispongono di portali completi in materia. Le informazioni attualmente fornite dalle autorità regionali e dal settore privato sono insufficienti.

4.5.2

Il CESE ritiene che i servizi climatici di Copernicus (raccolta di informazioni attraverso la rete europea di satelliti e di sistemi terrestri) siano di vitale importanza per l'adozione di misure. Insieme alle rilevazioni di altri servizi, in particolare quelli della NASA, l'Europa contribuisce alla lotta mondiale contro i cambiamenti climatici.

4.6   Azione 6: favorire una politica agricola comune (PAC), una politica di coesione e una politica comune della pesca (PCP) a prova di clima

4.6.1.1

PAC: A livello mondiale l'agricoltura è responsabile, direttamente o indirettamente, del 30 % circa delle emissioni di gas a effetto serra, e presenta quindi un grande potenziale di riduzione grazie a metodi di coltivazione più efficienti. In questo settore, a differenza di altri, le emissioni dirette sono dovute al modo di produzione, per cui occorre riconoscerne le caratteristiche specifiche.

4.6.1.2

Nel parere sul tema I rapporti tra il cambiamento climatico e l'agricoltura in Europa  (5), il Comitato ha sottolineato i gravi problemi che saranno causati dalla siccità nelle regioni dell'Europa meridionale e ha segnalato fra l'altro che "L'agricoltura non è solo vittima del cambiamento climatico, ma contribuisce anch'essa all'emissione di gas a effetto serra". Per questo, il CESE "esorta la Commissione ad analizzare con maggiore precisione quali siano le differenze tra le diverse forme di attività agricola in termini di incidenza climatica, per poterne ricavare delle opzioni di intervento, ad esempio nel quadro della politica di sostegno".

4.6.1.3

Il CESE prende nota del fatto che, nell'accordo politico sulla PAC del 26 giugno 2013, si prevede che, fra il 2014 e il 2020, si investiranno oltre 100 miliardi di euro per aiutare l'agricoltura a far fronte alle sfide rappresentate dalla qualità dei terreni, dall'acqua, dalla biodiversità e dai cambiamenti climatici. A tal fine, il 30 % dei versamenti diretti sarà vincolato all'applicazione di pratiche agricole favorevoli all'ambiente e almeno il 30 % del bilancio dei programmi di sviluppo rurale dovrà essere dedicato all'"agricoltura verde".

4.6.1.4

Coesione: Non agire o ritardare l'azione può avere degli effetti negativi sulla coesione dell'UE. Si prevede, fra le altre cose, che gli effetti dei cambiamenti climatici accentueranno le differenze sociali nell'UE. Per questo, è necessario prestare un'attenzione particolare alle categorie sociali e alle regioni più esposte e che si trovano fin d'ora in una posizione svantaggiata per diversi motivi, come ad esempio la salute precaria, le scarse entrate, abitazioni inadeguate o una scarsa mobilità.

4.6.1.5

Per il periodo di programmazione 2014-2020, la Commissione deve lanciare un forte messaggio, indicando che tutte le politiche europee devono essere legate alla mitigazione e all'adattamento ai cambiamenti climatici. L'adattamento deve figurare esplicitamente in ciascun quadro nazionale di riferimento strategico, nonché nei programmi operativi. Su questa linea, il CESE suggerisce che l'approvazione dei progetti sia condizionata alla realizzazione degli obiettivi ambientali. I progetti con un'incidenza negativa dal punto di vista dei cambiamenti climatici dovrebbero essere ridotti al minimo o anche completamente esclusi. Le proposte legislative della Commissione circa la politica di coesione, che entreranno in vigore nel 2014, parlano dell'adattamento ai cambiamenti climatici ma, a giudizio del CESE, è opportuno rafforzarne le prescrizioni.

4.6.1.6

PCP: La Commissione non segnala misure specifiche al riguardo. Secondo la FAO, le politiche di adattamento devono avere come obiettivo fondamentale la sostenibilità degli ecosistemi acquatici dai cui dipende la pesca.

4.6.1.7

Uno dei settori che saranno duramente colpiti dai cambiamenti climatici è la silvicoltura, che rappresenta un deposito naturale di CO2 di fondamentale importanza. Venti molto forti con caratteristiche da uragano distruggeranno le zone boschive, per cui occorrerà sostituirle prematuramente. Il numero di incendi boschivi distruttivi aumenterà nei periodi di tempo secco e caldo. Questi fattori esercitano un'influenza importante sull'economia del settore e sui diversi ruoli esercitati dalla campagna.

4.7   Azione 7: garantire un'infrastruttura più resiliente

4.7.1

Si tratta probabilmente della sfida principale che attende i responsabili politici nel quadro di una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici. Le minacce principali per le infrastrutture comprendono i danni e la distruzione causati dai fenomeni meteorologici estremi che i cambiamenti climatici possono acutizzare, inondazioni costiere sulle rive dei fiumi e inondazioni per l'aumento del livello del mare, difficoltà nella fornitura di energia elettrica ed acqua potabile ed effetti dell'aumento della temperatura ripercossi sui costi operativi delle imprese. Alcune infrastrutture possono non essere interessate direttamente, ma non possono funzionare in mancanza di un accesso fisico ai servizi (come nel caso delle TIC).

4.7.2

Gli investitori pubblici e privati devono tener conto degli effetti prevedibili del riscaldamento globale nei piani finanziari dei progetti di infrastrutture. Alcuni lavori richiederanno sforzi di investimento agli Stati membri, che in molti casi sono soggetti a restrizioni di bilancio causate dalla crisi economica.

4.7.3

In base all'incarico ricevuto di valutare le implicazioni dei cambiamenti climatici per gli Eurocodici, la Commissione si propone di lavorare con le istituzioni europee di normalizzazione (CEN, Cenelec ed ETSI), gli enti finanziari e le organizzazioni scientifiche per stabilire le modifiche necessarie ai programmi di standardizzazione degli edifici e delle opere pubbliche. Al riguardo il CESE segnala che, nei modelli di standardizzazione, la solidità e l'affidabilità delle infrastrutture devono avere la priorità sui criteri puramente economici di redditività per gli investitori. Considerando che in Europa esistono esempi del fatto che il restringimento del letto dei fiumi e l'eliminazione degli acquitrini hanno aggravato gli effetti delle inondazioni, occorre stabilire modelli di razionalità urbanistica. Inoltre si potranno consigliare, ad esempio, misure come coperture o facciate verdi per gli edifici, ove possibile.

4.7.4

La strategia di adattamento deve tener conto dell'invecchiamento della popolazione, dal momento che le persone anziane, in particolare quelle di età più avanzata, sono assai vulnerabili nei giorni di temperature e umidità estreme. Ad esempio, occorre pensare all'installazione di impianti di aria condizionata che siano abbastanza potenti, a basse emissioni e affidabili presso i servizi di assistenza sanitaria e nei centri di cure residenziali.

4.7.5

In precedenti pareri (ces1607-2011 e ces492-2012), il Comitato ha sostenuto l'introduzione di un approccio alle reti transeuropee dei trasporti (TEN-T) caratterizzato da una doppia articolazione e la creazione di corridoi europei di trasporto designati, motivando tale sostegno col desiderio di realizzare una rete di trasporto coerente per i flussi di trasporto più importanti di merci e passeggeri. Il CESE ritiene che si tratti di un obiettivo utile, oltre che giustificato dalla necessità di stabilire priorità per l'utilizzo di risorse finanziarie scarse. Tuttavia, la concentrazione degli investimenti infrastrutturali su tali corridoi aumenta anche la vulnerabilità del sistema europeo dei trasporti in caso di interruzioni del servizio. Il CESE sottolinea l'esigenza di tener conto di questo al momento di pianificare e finanziare gli investimenti nei suddetti corridoi. Oltre alla buona resilienza delle strutture edilizie, ciò significa anche che occorre prevedere deviazioni e percorsi alternativi per i corridoi europei di trasporto.

4.8   Azione 8: promuovere prodotti assicurativi e altri prodotti finanziari

4.8.1

La relazione sulle assicurazioni contro le catastrofi naturali nell'Unione (Centro comune di ricerca della Commissione europea, Natural Catastrophes: Risk Relevance and Insurance Coverage in the EU, ossia "Catastrofi naturali: incidenza di rischio e copertura assicurativa nell'UE", 2012) mette in risalto la necessità di migliori informazioni statistiche. Dalle informazioni disponibili risulta però che il tasso di penetrazione (copertura da parte di assicurazioni private e interventi ex ante o ex post del governo in percentuale del PIL) è generalmente basso. Ad esempio, in materia di inondazioni i tassi di penetrazione nella maggior parte degli Stati membri non sono molto alti, tranne nei casi in cui si aggiunge alle altre coperture un'assicurazione contro le inondazioni. I tassi sono limitati anche in relazione ai rischi di tempesta e di siccità, per quanto quest'ultima sembra avere un impatto moderato negli Stati membri.

4.8.2

Il CESE plaude alla decisione della Commissione di presentare un Libro verde sull'assicurazione contro le calamità naturali e antropogeniche (6), allo scopo di potenziare il mercato assicurativo e di ridurre l'eccessivo onere di rischio gravante sul bilancio pubblico, e formula le seguenti osservazioni in proposito:

l'adozione di misure di adattamento adeguate consente di ridurre il costo delle assicurazioni;

una politica di assicurazione adeguata che tenga conto della situazione dei produttori riveste un'importanza particolare per il settore agricolo;

data la rilevanza dei rischi, lo Stato dovrà sempre agire in qualità di assicuratore finale;

sono necessarie politiche sociali volte a coprire le persone più vulnerabili e prive di risorse sufficienti per poter sottoscrivere una polizza assicurativa.

5.   Il CESE suggerisce di studiare specificamente i cambiamenti strutturali resi necessari dall'adattamento in alcune politiche e nella produzione di beni e servizi. Anche se gli effetti dei cambiamenti climatici riguardano principalmente agricoltura, silvicoltura, costruzioni e infrastrutture, molti altri settori dell'economia possono richiedere misure di adattamento. Alcuni aspetti da considerare sono:

L'occupazione. Finora mancano studi analitici dettagliati circa l'impatto delle misure di adattamento sulla formazione professionale dei lavoratori e l'effetto sull'occupazione.

L'industria. In conseguenza della grande diversità dei settori industriali, l'incidenza dei cambiamenti climatici non sarà uniforme. L'adattamento, laddove sarà necessario, richiederà investimenti e, in industrie come la siderurgia, la riduzione delle emissioni impone già uno sforzo considerevole sotto il profilo tecnologico e finanziario. Nelle previsioni finanziarie si dovrà tener conto degli investimenti necessari e si dovranno fornire agli investitori le informazioni adeguate.

Le costruzioni. La costruzione di alloggi e le opere infrastrutturali saranno toccate in modo profondo dalle misure di adattamento, il che causerà prevedibilmente un aumento dei costi. Gli "Eurocodici" finora non hanno introdotto alcun requisito in questa materia: si tratta di una lacuna che dovrà essere sicuramente sanata (7).

Ricerca, sviluppo e innovazione. I cambiamenti climatici hanno già influenzato nei decenni scorsi l'assegnazione delle risorse (il nuovo piano finanziario dell'Unione ne è la dimostrazione) e i programmi di ricerca delle università e dei centri specializzati: si sono creati nuovi piani di studio e nuovi profili professionali e si tratta di una tendenza che con tutta probabilità si amplierà ancora nel futuro.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2009) 147 final.

(2)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione, SWD(2013) 132 final.

(3)  COM(2011) 500 final.

(4)  GU C 191 del 29.6.2012, pagg. 111-116.

(5)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 59.

(6)  COM(2013) 213 final.

(7)  GU C 198 del 10.7.2013, pagg. 45-50.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/166


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante, sul materiale riproduttivo vegetale, sui prodotti fitosanitari e recante modifica dei regolamenti (CE) n. 999/2001, (CE) n. 1829/2003, (CE) n. 1831/2003, (CE) n. 1/2005, (CE) n. 396/2005, (CE) n. 834/2007, (CE) n. 1099/2009, (CE) n. 1069/2009, (CE) n. 1107/2009, dei regolamenti (UE) 1151/2012, […]/2013, e delle direttive 98/58/CE, 1999/74/CE, 2007/43/CE, 2008/119/CE, 2008/120/CE e 2009/128/CE (regolamento sui controlli ufficiali)

COM(2013) 265 final — 2013/0140 (COD)

e alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale, che modifica le direttive 98/56/CE, 2000/29/CE e 2008/90/CE del Consiglio, i regolamenti (CE) n. 178/2002, (CE) n. 882/2004 e (CE) n. 396/2005, la direttiva 2009/128/CE, nonché il regolamento (CE) n. 1107/2009, e che abroga le decisioni 66/399/CEE, 76/894/CEE e 2009/470/CE del Consiglio

COM(2013) 327 final — 2013/0169 (COD)

2014/C 67/34

Relatore: ESPUNY MOYANO

Il Parlamento europeo, in data 23 maggio e 13 giugno 2013, e il Consiglio, in data 7 e 21 giugno 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, dell'articolo 114, dell'articolo 168, paragrafo 4, lettera b), e dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alle seguenti proposte:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l'applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante, sul materiale riproduttivo vegetale, sui prodotti fitosanitari e recante modifica dei regolamenti (CE) n. 999/2001, 1829/2003, 1831/2003, 1/2005, 396/2005, 834/2007, 1099/2009, 1069/2009, 1107/2009, dei regolamenti (UE) 1151/2012, […/2013, e delle direttive 98/58/CE, 1999/74/CE, 2007/43/CE, 2008/119/CE, 2008/120/CE e 2009/128/CE (regolamento sui controlli ufficiali)

COM(2013) 265 final - 2013/0140 (COD)

e Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale, che modifica le direttive 98/56/CE, 2000/29/CE e 2008/90/CE del Consiglio, i regolamenti (CE) n. 178/2002, (CE) n. 882/2004 e (CE) n. 396/2005, la direttiva 2009/128/CE, nonché il regolamento (CE) n. 1107/2009, e che abroga le decisioni 66/399/CEE, 76/894/CEE e 2009/470/CE del Consiglio

COM(2013) 327 final - 2013/0169 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni

Controlli

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene in linea di massima la proposta in materia di controlli ufficiali presentata, volta a garantire un elevato livello di salute umana, animale e delle piante e a garantire il funzionamento del mercato interno dell'UE.

1.2

Il Comitato valuta positivamente sia l'istituzione di un sistema comune di analisi sia la presenza di laboratori di riferimento in ciascuno degli Stati membri.

1.3

Il CESE considera problematica l'imposizione di tariffe per i controlli fissate in forma discrezionale da ciascuno Stato membro, dal momento che la loro introduzione può realizzarsi in modo eterogeneo, e appoggia quindi un'armonizzazione di tali tariffe per quanto riguarda i criteri e la metodologia della loro gestione ma non per quel che concerne il loro ammontare, che dovrà rispondere alle circostanze di ciascun paese.

1.4

Il Comitato si oppone al finanziamento del 100 % dei controlli ufficiali in ciascuno Stato membro per l'unico tramite di tali tariffe, dal momento che si corre il rischio che le autorità competenti non diano priorità a una maggiore efficienza dei loro controlli.

1.5

Per quanto riguarda le esenzioni dal pagamento delle tariffe da parte delle microimprese, il CESE mette in guardia contro il rischio di distorsioni del mercato, data la possibilità che vi siano differenze di applicazione di tali esenzioni a seconda degli Stati membri; tale rischio di distorsione si ridurrebbe con la fissazione nella proposta normativa, o nel suo ulteriore sviluppo, di criteri di riconoscimento per le esenzioni al pagamento che risultassero omogenei in tutta l'UE e che fossero più precisi e sufficientemente ampi da tener conto della realtà plurale del settore, nonché da prestare una attenzione speciale alle PMI e alle microimprese.

1.6

D'altro lato, si considera necessario prevedere, in modo complementare a quanto sopra esposto, il riconoscimento dell'esistenza nelle imprese di controlli interni efficaci portati avanti da personale interno qualificato. Ciò può comportare una riduzione delle "tariffe pubbliche per i controlli" nelle imprese interessate, dal momento che si potrebbe ridurre in modo sostanziale in tali imprese il lavoro dei funzionari pubblici, i quali potranno così adempiere ai propri compiti di controllo nelle imprese sprovviste delle risorse umane sufficienti per procedere a controlli interni.

1.7

Il CESE considera importante che, per il futuro sviluppo dell'applicazione della normativa, si tenga conto della mancanza di omogeneità nell'applicazione dei controlli nei diversi Stati membri, tenendo inoltre conto del fatto che la differenza di risorse umane ed economiche impegnate nei lavori di ispezione di ciascuno dei paesi può causare distorsioni nei controlli dei rispettivi mercati agricoli e del bestiame, con conseguenze negative per tutti.

Spese

1.8

Il CESE appoggia in via generale la proposta di progetto presentata in materia di gestione delle spese, volta a garantire un elevato livello di sicurezza degli alimenti e dei sistemi adibiti alla loro produzione, a migliorare la situazione della salute e del benessere degli animali, a individuare ed eradicare gli organismi nocivi e a garantire una realizzazione efficace dei controlli ufficiali.

1.9

Il Comitato considera positivo sostituire le disposizioni finanziarie in vigore, fondate su basi giuridiche diverse, con un quadro finanziario unico, chiaro e moderno, che ottimizzi l'attuazione e il funzionamento della gestione finanziaria delle spese in materia di alimenti e mangimi.

1.10

Il CESE si compiace del fatto che la proposta promuova il miglioramento della formazione "per rendere più sicuri gli alimenti" in base a un approccio armonizzato volto a un miglior funzionamento dei sistemi di controllo, nazionali e dell'Unione europea.

1.11

Rispetto alla fissazione di un importo massimo determinato in un quadro in cui esso sembra non ammettere variazioni al rialzo essendo inserito in un piano pluriennale prestabilito, il Comitato ritiene che la proposta di regolamento sia imprecisa circa molti aspetti della gestione delle spese, per cui risulta impossibile valutare se l'importo in questione sia sufficiente oppure no.

1.12

Riguardo alla riserva di crisi nel settore agricolo cui ricorrere in determinate circostanze, il CESE ritiene necessario chiarire come gli Stati membri potranno disporne in caso di emergenza. Inoltre, anche perché questa riserva si concede in situazioni di emergenza connesse con la salute degli animali e delle piante, il Comitato considera opportuno modificare il termine "crisi nel settore agricolo" con il termine "crisi nel settore agroindustriale".

1.13

Infine, per quanto riguarda i programmi di studio per individuare la presenza di organismi nocivi e le misure sanitarie di sostegno per i territori ultraperiferici degli Stati membri, il CESE esorta la Commissione a considerare allo stesso modo i possibili organismi nocivi provenienti dai paesi terzi che rappresentano per l'Unione europea una percentuale considerevole dell'approvvigionamento di materie prime e prodotti trasformati utilizzati dal settore alimentare, includendo voci di spesa riguardanti l'armonizzazione delle norme fitosanitarie o di produzione con tali paesi.

2.   Sintesi della proposta sui controlli

2.1

La proposta della Commissione riguarda la revisione della legislazione sui controlli ufficiali al fine di superare le carenze riscontrate nella sua formulazione e nella sua applicazione. Essa mira a porre in essere un solido quadro normativo, trasparente e sostenibile, maggiormente adeguato agli scopi perseguiti. La ratio legis della proposta non è estranea alle inadeguatezze nei sistemi di controllo di alcuni Stati membri rilevate dall'Ufficio alimentare e veterinario.

2.2

Il documento comprende tre revisioni di ampia portata volte ad aggiornare l'acquis in tema di salute animale e vegetale e di materiale riproduttivo vegetale, al fine di aggiornare e integrare il sistema dei controlli ufficiali in modo coerente con il potenziamento delle politiche dell'UE in questi settori.

2.3

Per quanto riguarda i controlli ufficiali effettuati sulle merci in arrivo da paesi terzi, attualmente le disposizioni regolamentari si applicano unitamente alle disposizioni settoriali che disciplinano le importazioni di animali e prodotti di origine animale, le importazioni di piante e prodotti vegetali, nonché i controlli su alimenti e mangimi.

2.4

La Commissione afferma che il vasto corpus legislativo attualmente in vigore permette all'UE di far fronte a rischi emergenti o a situazioni di emergenza senza causare distorsioni del commercio, ma ha altresì rilevato che il sistema dei controlli dell'Unione sulle importazioni potrebbe essere reso più coerente mediante la revisione e il consolidamento delle disposizioni settoriali esistenti.

2.5

In merito al finanziamento dei controlli ufficiali, il regolamento conferma il principio generale in base al quale ciascuno degli Stati membri dovrebbe destinare ai controlli ufficiali risorse finanziarie adeguate, ribadendo anche l'obbligo per gli Stati membri di riscuotere, in specifici ambiti, le relative tariffe.

2.6

La proposta mantiene l'obbligo per gli Stati membri di designare laboratori nazionali di riferimento per ciascun laboratorio di riferimento dell'UE designato dalla Commissione.

2.7

Infine, è prevista una nuova disposizione relativa alle sanzioni da comminare in caso di inadempienza, che impone agli Stati membri di garantire che le sanzioni pecuniarie applicabili ad un'infrazione intenzionale controbilancino il vantaggio economico perseguito dall'autore dell'infrazione.

3.   Sintesi della proposta sulle spese

3.1

La proposta di regolamento della Commissione si pone l'obiettivo di contribuire ad un livello elevato di salute delle persone, degli animali e delle piante nell'intera filiera alimentare, nonché ad un livello elevato di protezione e di informazione dei consumatori e di tutela dell'ambiente, favorendo al contempo la competitività e la creazione di posti di lavoro.

3.2

Per realizzare tali obiettivi occorrono risorse finanziarie adeguate: ai fini di un uso più mirato delle spese, devono essere fissati obiettivi specifici e definiti indicatori per valutare il loro raggiungimento.

3.3

Il finanziamento dell'Unione europea si concretizza sotto forma di sovvenzioni, di contratti e di versamenti a favore di organizzazioni internazionali operanti nel settore. Il regolamento stabilisce l'elenco delle misure che possono fruire di un finanziamento dell'Unione, nonché dei costi ammissibili e dei tassi applicabili.

3.4

Come previsto dalla proposta di quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020, la Commissione propone un importo massimo di 1 891 936 000 euro per le spese connesse con gli alimenti e i mangimi. Inoltre, la proposta suggerisce di creare un meccanismo di emergenza per reagire alle situazioni di crisi.

3.5

In relazione alla percentuale finale da stabilire per il rimborso dei costi ammissibili e vista l'importanza degli obiettivi stabiliti dalla normativa in parola, la proposta di regolamento prevede un finanziamento del 100 % dei costi ammissibili stessi, purché l'esecuzione comporti anche costi non ammissibili.

3.6

Per quanto riguarda i programmi nazionali destinati all'eradicazione, al controllo e alla sorveglianza delle malattie animali e delle zoonosi, al fine di ridurre il numero di focolai di malattie animali e zoonosi che presentano un rischio per la salute umana e animale, la proposta di regolamento stabilisce che i programmi nazionali devono beneficiare del sostegno finanziario dell'Unione.

3.7

A proposito delle misure di emergenza per l'eradicazione di organismi nocivi per le piante o i prodotti vegetali ("organismi nocivi"), la proposta di regolamento stabilisce che l'UE deve concedere un contributo finanziario ai fini dell'eradicazione di tali organismi e partecipare al finanziamento delle misure di emergenza destinate ad arginare la loro diffusione. Inoltre, al fine di individuare tempestivamente la presenza di determinati organismi nocivi, si stabilisce che l'UE finanzi le opportune indagini.

3.8

Circa il finanziamento dei controlli ufficiali, il regolamento conferma il sostegno in questo senso da parte dell'UE. In particolare sono finanziati i laboratori di riferimento dell'UE, per aiutarli a sostenere i costi derivanti dall'attuazione dei programmi di lavoro della Commissione. Inoltre, si darà un aiuto finanziario alla creazione e al funzionamento di banche dati e sistemi informatici di trattamento dei dati.

3.9

Infine, per garantire un utilizzo responsabile ed efficiente delle risorse finanziarie dell'UE, il regolamento autorizza la Commissione a verificare che i finanziamenti siano effettivamente utilizzati per l'esecuzione di misure ammissibili.

4.   Osservazioni generali

Controlli

4.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta presentata e l'intenzione della Commissione di proteggere il mercato unico e di garantire un elevato livello di tutela della salute che risulti omogeneo in tutta l'UE e contribuisca ad evitare i vuoti giuridici.

4.2

Il CESE appoggia l'obiettivo di aggiornare e rafforzare gli strumenti di controllo e i controlli ufficiali, in modo che ne aumentino l'impiego e l'efficacia.

4.3

Esprime però preoccupazione per l'imposizione di tariffe per i controlli da parte di ciascuno Stato membro senza che sia stabilito un importo predeterminato, col rischio di dare luogo a differenze da un paese all'altro che diminuirebbero la competitività di alcuni operatori rispetto ad altri.

4.4

Il Comitato accoglie con favore le disposizioni sul campionamento e l'analisi secondo cui le analisi stesse vanno realizzate in laboratori ufficiali, creando un sistema comune per l'effettuazione di analisi in contraddittorio.

4.5

Il CESE considera molto positivo il coordinamento fra paesi e fra laboratori, per cui sostiene l'esistenza di un laboratorio di riferimento in ciascuno Stato membro.

Spese

4.6

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento e l'intenzione della Commissione di arrivare a un elevato livello di sicurezza degli alimenti e dei sistemi adibiti alla loro produzione, migliorare la situazione della salute e del benessere degli animali, individuare ed eradicare gli organismi nocivi e garantire una realizzazione efficace dei controlli ufficiali.

4.7

Il Comitato sostiene l'obiettivo di definire le misure e i costi ammissibili.

4.8

Esso inoltre accoglie con favore l'introduzione da parte del regolamento di una razionalizzazione delle percentuali di finanziamento, con un finanziamento normale del 50 % dei costi ammissibili, percentuale che potrebbe essere aumentata, a talune condizioni, fino al 75 o al 100 %.

4.9

Il CESE giudica favorevolmente il fatto che il regolamento definisca un importo minimo per le sovvenzioni pari a 50 000 euro, al fine di evitare oneri amministrativi.

4.10

Il CESE ritiene molto positivamente l'accesso a una riserva di finanziamento in caso di crisi nel settore agroindustriale, nonché l'appoggio finanziario alla ricerca sugli organismi nocivi e alla loro individuazione.

4.11

Infine, e in relazione ai controlli ufficiali, il CESE considera con favore la possibilità prevista dal regolamento di fornire un sostegno finanziario ai laboratori di riferimento dell'UE e ai progetti destinati a migliorarli.

5.   Osservazioni particolari

Controlli

5.1

La proposta della Commissione lascia margini troppo ampi in tema di determinazione dell'importo delle tariffe o di scelta di un modello con importo variabile o per moduli (a seconda dei criteri nazionali o europei), oppure forfetario. A livello operativo, la mancanza di una cultura amministrativa omogenea per quanto riguarda l'imposizione di tariffe per i servizi nei diversi Stati membri dell'UE può far sì che, nella pratica, sorgano svantaggi comparativi a seconda che i diversi paesi applichino o meno le tariffe, o perché lo fanno seguendo un calendario diverso.

5.2

La proposta della Commissione circa i motivi delle esenzioni dalle tariffe potrebbe non rispecchiare la pluralità degli operatori europei del settore: appare auspicabile una maggiore precisione o, anche, l'istituzione di diverse categorie di riduzione per evitare svantaggi comparativi ingiustificati fra imprese, a seconda delle loro dimensioni, che causerebbero distorsioni del mercato unico.

5.3

Si sente la mancanza, nella proposta, di una maggiore concretezza o di maggiori informazioni sui compiti che dovranno essere svolti dai veterinari o dai responsabili dei controlli in situ.

Spese

5.4

La proposta contenuta nel regolamento di ridurre il numero di decisioni della Commissione, come nel caso del rimborso dei finanziamenti, non risulta sufficientemente chiara, dal momento che il documento in parola non indica quale sarà l'organismo che darà attuazione a questa iniziativa.

5.5

La proposta della Commissione stabilisce che l'Unione europea deve apportare un contributo finanziario nel caso di misure di emergenza dovute all'apparizione o allo sviluppo di determinate malattie animali o zoonosi, ma non stabilisce quali siano le misure specifiche di finanziamento.

5.6

A proposito delle misure di emergenza nel campo della salute delle piante, il Comitato ritiene importante che la proposta della Commissione contempli la possibilità di concedere un contributo finanziario dell'Unione per la creazione e gestione di programmi di studio finalizzati a individuare la presenza di organismi nocivi e per le misure fitosanitarie di sostegno ai paesi terzi, disponibili in tutta l'UE a tutti gli utenti interessati.

5.7

Il CESE valuta con favore l'intenzione della Commissione di migliorare la formazione dei funzionari pubblici degli Stati membri, ma ritiene imprescindibile procedere preliminarmente all'armonizzazione delle normative riguardanti l'ambito di applicazione del regolamento, in modo da garantire un miglior funzionamento dei sistemi di controllo nella pratica.

5.8

Infine, relativamente ai paesi terzi che rappresentano per l'Unione europea una percentuale considerevole dell'approvvigionamento di materie prime e prodotti trasformati utilizzati nel settore alimentare, il CESE si rammarica della mancanza di un riferimento a una possibile armonizzazione delle norme fitosanitarie e di salute animale con tali paesi.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/170


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di anidride carbonica generate dal trasporto marittimo e che modifica il regolamento (UE) n. 525/2013

COM(2013) 480 final — 2013/0224 (COD)

2014/C 67/35

Relatore: BACK

Il Consiglio, in data 16 luglio 2013, e il Parlamento europeo, in data 4 luglio 2013, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 192, paragrafo 1, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di anidride carbonica generate dal trasporto marittimo e che modifica il regolamento (UE) n. 525/2013

COM(2013) 480 final — 2013/0224 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli, 1 voto contrario e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento concernente il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di anidride carbonica generate dal trasporto marittimo nell'UE, come primo passo verso l'applicazione delle misure di riduzione delle emissioni di CO2 generate dal trasporto marittimo di cui al Libro bianco del 2011 sulla politica dei trasporti (1).

1.2

Il CESE apprezza il sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica, come prima fase di un approccio graduale inteso a raggiungere un accordo nel quadro dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) su misure obbligatorie per ridurre le emissioni di CO2 prodotte dai trasporti marittimi, e si compiace delle stime secondo cui l'applicazione di tale sistema dovrebbe accrescere l'efficienza energetica e ridurre le emissioni (2).

1.3

Il CESE constata che, sebbene la proposta sia in sé insufficiente per realizzare gli obiettivi di cui sopra, essa prevede ogni ragionevole sforzo in relazione alle misure che possono essere adottate a livello nazionale o regionale per quanto riguarda i paesi terzi. Ritiene che sotto questo aspetto la proposta pervenga al giusto equilibrio.

1.4

Il CESE si compiace della valutazione favorevole degli effetti della proposta, in termini di costi e benefici, anche per le compagnie di navigazione interessate. Si attende che la Commissione proceda a un monitoraggio dei risultati prodotti dall'attuazione della proposta in questo contesto e adotti le iniziative del caso se, per esempio, gli effetti in termini di costi e benefici dovessero ripercuotersi negativamente sulla competitività.

1.5

Il CESE si chiede se sia realmente necessario, e se abbia un valore aggiunto, raccogliere informazioni operative, che vadano al di là del consumo di carburante e delle emissioni, e monitorare e comunicare tali informazioni a norma della proposta in esame, come previsto dagli articoli 9, paragrafi d) e) f) e g), e 10, paragrafi g), h), i) e j), e dall'allegato II, in particolare perché almeno una parte di tali informazioni è considerata dal settore della navigazione come sensibile sotto il profilo commerciale, e sembra che sussistano divergenze di opinioni in merito all'utilità di tali informazioni una volta aggregate.

1.6

Il CESE richiama l'attenzione sull'iniziativa Cintura blu della Commissione, rivolta ad alleggerire gli oneri amministrativi per il settore della navigazione marittima a corto raggio, e osserva che lo stesso approccio dovrebbe valere per la proposta qui in esame (3).

1.7

Il CESE osserva che sono necessarie ulteriori misure per realizzare gli obiettivi indicati nel Libro bianco, e ritiene particolarmente importante che tali misure vengano adottate nel quadro dell'IMO, per evitare rischi di controversia con paesi terzi e/o effetti negativi sulla competitività del settore marittimo dell'UE.

2.   Introduzione

2.1

Le emissioni generate dai trasporti marittimi internazionali costituiscono attualmente il 3 % delle emissioni di gas a effetto serra globali e il 4 % di quelle dell'UE. È previsto che entro il 2050 tale quota di emissioni salga a livello globale al 5 % e subisca a livello UE un considerevole aumento, in misura che varia dal 51 all'86 % a seconda dell'anno preso a riferimento (rispettivamente il 2005 e il 1990) (4).

2.2

Il pacchetto sull'energia e il clima del 2008, la strategia Europa 2020 (5) e il Libro bianco del 2011 sulla politica dei trasporti indicano obiettivi ambiziosi in termini di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Gli obiettivi generali dell'UE consistono in una riduzione del 20 % delle emissioni rispetto ai valori del 1990, riduzione che potrebbe essere del 30 % in caso di accordo globale (6). Per quanto riguarda i trasporti marittimi internazionali, il Libro bianco sulla politica dei trasporti prevede per il 2050 una riduzione del 40 %, rispetto ai valori del 2005.

2.3

Il settore della navigazione commerciale non è tuttavia assoggettato a obblighi giuridici di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, ad eccezione della regolamentazione dell'IMO sullo zolfo, recepita nella legislazione dell'UE attraverso la direttiva 2012/33/UE. I trasporti internazionali marittimi sono gli unici a non essere inclusi negli impegni dell'UE in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

2.4

Tuttavia il Consiglio europeo e il Parlamento europeo hanno dichiarato che tutti i settori devono contribuire alla riduzione delle emissioni.

2.5

Nel settore dei trasporti sono stati definiti obiettivi per l'aviazione civile, che è entrata a far parte del sistema di scambio dei diritti di emissione dell'UE, anche per i voli in entrata e in uscita dagli aeroporti dell'UE. Tuttavia l'attuazione di tali misure è stata temporaneamente rinviata per i voli all'esterno dell'UE, per facilitare il raggiungimento di un accordo globale nell'ambito dell'Organizzazione per l'aviazione civile internazionale (ICAO) (7).

2.6

Per quanto riguarda la navigazione, non sono stati definiti obiettivi vincolanti a livello dell'UE perché si è ritenuto opportuno attendere misure globali coordinate nel quadro dell'IMO.

2.7

Tuttavia, in base a una dichiarazione del 2009 del Consiglio e del Parlamento europeo, la mancata adozione da parte dell'UE o dei suoi Stai membri, nel quadro dell’IMO, entro il 31 dicembre 2011, di un accordo internazionale, fa sì che la Commissione debba formulare una proposta volta ad includere le emissioni del trasporto marittimo internazionale nell'obiettivo di riduzione dell'UE. Tale proposta dovrebbe entrare in vigore entro il 2013 e limitare al massimo eventuali incidenze negative sulla competitività dell'UE (8). Una dichiarazione della Commissione dell'ottobre 2012 ha fatto seguito alle dichiarazioni di cui sopra.

2.8

Sebbene l'IMO non abbia realizzato un accordo internazionale in risposta alla dichiarazione del 2009, sono state adottate decisioni volte a migliorare l'efficienza energetica delle nuove navi e sono state avanzate ulteriori proposte rivolte a migliorare tale efficienza energetica, che potrebbero prevedere, come prime misure, attività di monitoraggio, comunicazione e controllo delle emissioni. In tale contesto, la Commissione ha osservato che il lavoro in corso nel quadro dell'IMO potrebbe condurre a decisioni concernenti misure basate sul mercato volte a ridurre le emissioni. Pertanto, l'impegno ad agire su scala regionale a livello dell'UE dovrebbe essere attuato in modo da sostenere la prosecuzione dei lavori nel quadro dell'IMO. La Commissione ha espresso una netta preferenza per un approccio globale guidato dall'IMO, e continuerà ad agire di conseguenza, malgrado il fatto che il lavoro dell'IMO su questo argomento proceda con lentezza. La Commissione intende seguire costantemente gli sviluppi e sta considerando ulteriori azioni nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e dell'IMO.

2.9

Un primo passo in questa direzione dovrebbe consistere nell'introduzione di un sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni, che consentirà di tenere sotto controllo gli sviluppi, favorirà un aumento dell'efficienza energetica a livello di compagnie di navigazione e potrebbe pertanto comportare una riduzione dei costi di entità superiore ai costi derivanti dalla sua applicazione. Si potrebbe fare riferimento alle esperienze maturate con i sistemi attualmente in uso a livello di compagnie navigazione. Un sistema regionale di monitoraggio, comunicazione e verifica dell'UE dovrebbe essere attuato in concertazione con l'IMO ed essere adeguato alle possibili misure future dell'IMO nel settore. Tale sistema potrebbe anche costituire un primo passo di un approccio graduale volto a includere le emissioni di gas a effetto serra generate dai trasporti marittimi negli impegni di riduzione delle emissioni assunti a livello dell'UE o a livello internazionale, mediante requisiti di efficienza energetica e/o misure basate sul mercato.

3.   La proposta della Commissione europea

3.1

La Commissione ha proposto un regolamento volto a fornire il quadro per un sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni di anidride carbonica generate da navi di stazza lorda superiore alle 5 000 tonnellate. Tale sistema si applica a tutti i trasporti effettuati nei porti dell'UE o tra essi, nonché tra un porto dell'UE e il primo porto di destinazione o l'ultimo porto di partenza non appartenente all'UE. Esso si applica a tutte le navi, indipendentemente dalla loro bandiera, a eccezione delle navi da guerra, di quelle di Stato e di quelle da diporto. Nella proposta viene valutato che la soglia riferita alla stazza escluda circa il 40 % delle navi, ma solo il 10 % delle emissioni di anidride carbonica.

3.2

Per i motivi indicati nel capitolo 2 più in alto, tale sistema dev'essere attuato in stretta concertazione con l'IMO e altre organizzazioni internazionali, ed essere adattabile a possibili futuri programmi dell'IMO.

3.3

Il sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica proposto dalla Commissione crea un quadro volto a garantire la raccolta di dati pertinenti da parte degli armatori o degli operatori, per ogni nave e per ogni viaggio che rientrano nell'ambito di applicazione del regolamento, compresi i movimenti effettuati nelle aree portuali. È inoltre prevista la presentazione di comunicazioni annuali, soggette all'approvazione di verificatori accreditati, e presentate, in caso di approvazione, alla Commissione e allo Stato di bandiera. Le comunicazioni annuali saranno pubblicate e la documentazione di conformità emessa dai verificatori dovrà essere tenuta a bordo delle navi che rientrano nel campo di applicazione del sistema. La conformità sarà verificata dallo Stato di bandiera nonché attraverso il sistema di controllo dello Stato di approdo. Le inadempienze saranno sanzionate, in alcuni casi mediante l'espulsione della nave, vale a dire il divieto di approdo nei porti dell'UE finché non sia stato risolto il problema di conformità.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE prende atto degli obiettivi strategici della proposta, che sono ambiziosi e vanno ben al di là del contenuto della proposta stessa, mirando a definire una base oggettiva per ulteriori negoziati e progressi verso misure che ridurranno sensibilmente le emissioni di anidride carbonica generate dalla navigazione. Il CESE accoglie con favore questi obiettivi strategici ed esprime apprezzamento per l'approccio adottato dalla Commissione rivolto ad acquisire un miglior controllo della situazione delle emissioni di anidride carbonica e della loro evoluzione, secondo modalità trasparenti e credibili, attraverso il sistema di comunicazione e verifica che sarà istituito con il regolamento in oggetto. Condivide inoltre la convinzione che tali conoscenze potrebbero far progredire il lavoro in corso nell'ambito dell'IMO, inteso a pervenire a un accordo su misure obbligatorie per ridurre le emissioni di anidride carbonica generate dai trasporti marittimi. In tale contesto, il CESE fa riferimento al proprio parere (9) sulla proposta di regolamento concernente un meccanismo di monitoraggio e comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra e di comunicazione di altre informazioni in materia di cambiamenti climatici a livello nazionale e dell’Unione europea e che abroga la direttiva 280/2004/CE, adottata nel frattempo con regolamento 525/2013.

4.2

Il CESE constata inoltre con soddisfazione che la proposta in esame segue in parte un approccio dal basso, poiché è previsto che le informazioni che saranno raccolte a livello di società di navigazione incoraggeranno l'adozione di misure in grado di migliorare l'efficienza energetica a tale livello, cosa che condurrebbe a riduzioni del consumo di carburante e delle emissioni pari al 2 % all'anno per unità trasportata e a riduzioni dei costi netti pari a 1,2 miliardi di euro all'anno all'orizzonte del 2030, conformemente alla valutazione di impatto che accompagna la proposta, tenendo conto dei costi derivanti dall'applicazione del sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica, che saranno in gran parte sostenuti dal settore della navigazione.

4.3

Il CESE sottolinea tuttavia l'importanza di monitorare costantemente l'accuratezza della valutazione del rapporto costi benefici derivante dalla proposta per il settore della navigazione e la società, e chiede che la Commissione presenti immediatamente misure correttive se dovesse risultare che i compiti imposti al settore della navigazione nel quadro del futuro sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica, costituiscono per il settore un onere in grado di pregiudicarne la competitività.

4.4

Il CESE esprime dubbi riguardo l'estensione degli obblighi di monitoraggio e di comunicazione agli aspetti commerciali e operativi. Ritiene inoltre discutibile la proporzionalità di tali requisiti aggiuntivi di informazione, poiché essi vanno al di là dell'obiettivo primario della proposta, che è quello di raccogliere informazioni sulle emissioni di anidride carbonica, e poiché la loro utilità è stata messa in discussione dal settore della navigazione e le informazioni potrebbero essere sensibili in termini commerciali. In tale contesto, l'imposizione di ulteriori obblighi amministrativi sembrerebbe anche contrastare con la spinta verso la semplificazione, che costituisce un elemento essenziale dell'iniziativa Cintura blu della Commissione per facilitare il trasporto marittimo nell'UE. A questo proposito, il CESE osserva anche che un eventuale obbligo di fornire informazioni di questo tipo risulterebbe particolarmente oneroso per la navigazione marittima a corto raggio, che consiste di viaggi brevi verso destinazioni multiple.

4.5

Il CESE condivide inoltre la valutazione secondo cui il livello di riduzione delle emissioni che si attende dalla proposta è del tutto insufficiente per raggiungere gli obiettivi previsti per il settore dei trasporti marittimi dal Libro bianco del 2011 sulla politica dei trasporti, e che è necessario adottare con urgenza ulteriori, efficaci misure.

4.6

In tale contesto, il CESE ricorda inoltre i suoi precedenti pareri (10) riguardanti la politica in materia di trasporti marittimi e i requisiti ambientali, nei quali ha costantemente espresso apprezzamento per le iniziative rivolte a migliorare la situazione dell'ambiente, ma anche osservato che tali misure, in considerazione del carattere globale dei trasporti marittimi, dovrebbero essere adottate a livello mondiale, nel quadro dell'IMO.

4.7

Il CESE, a questo proposito, ricorda che la proposta riguarderà anche le navi che battono bandiere di paesi terzi. Laddove ciò non comporta problemi per le operazioni di trasporto all'interno dell'UE, potrebbero presentarsi difficoltà nel caso dei trasporti effettuati tra porti dell'UE e porti di paesi terzi. Il CESE ritiene che il problema, in questo caso, possa essere di natura piuttosto pratica e politica che giuridica, in considerazione del possibile rischio di ritorsioni o di complicazioni dovute alla coesistenza di sistemi paralleli di questo tipo. Il CESE esprime l'auspicio che il sistema previsto risulti abbastanza attraente per coloro che rientrano nel suo campo di applicazione da far sì che, a differenza di quanto è avvenuto per il sistema di scambio dei diritti di emissione nel settore dell'aviazione civile, non sorgano difficoltà per quanto riguarda gli operatori di paesi terzi.

4.8

Il CESE condivide il giudizio secondo cui al fine di ottimizzare le possibilità di attuazione efficace occorrerebbe concordare, nell'ambito dell'IMO, misure obbligatorie di riduzione delle emissioni di anidride carbonica che vadano al di là di quanto prevede la proposta. Ritiene inoltre che un regolamento regionale dell'UE abbia più possibilità di superare varie difficoltà di attuazione, in particolare per quanto riguarda i paesi terzi.

4.9

Il CESE constata che la valutazione di impatto della proposta giunge alla conclusione secondo cui le misure basate sul mercato sono le più adatte per realizzare riduzioni delle emissioni di anidride carbonica sufficienti a rispettare gli obiettivi del Libro bianco del 2011 sulla politica dei trasporti in materia di emissioni generate dai trasporti marittimi.

4.10

Richiama inoltre l'attenzione sul rischio che misure obbligatorie regionali volte a ridurre le emissioni, in particolare se basate sul mercato, possano avere un impatto negativo sulla competitività dei trasporti marittimi europei.

4.11

Accoglie pertanto con favore anche l'obbligo, imposto alla Commissione dalla proposta, di mantenere stretti contatti con l'IMO e con altre organizzazioni internazionali pertinenti nel quadro dell'attuazione del sistema di monitoraggio, comunicazione verifica dell'UE relativo alle emissioni di anidride carbonica originate dai trasporti marittimi, ed esprime apprezzamento per la disponibilità della Commissione ad adeguare il sistema dell'UE a un futuro sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica concordato nel quadro dell'IMO.

4.12

Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a mantenere la pressione sull'IMO affinché adotti al più presto misure adeguate, preferibilmente basate sul mercato, per ridurre le emissioni di anidride carbonica generate dai trasporti marittimi.

4.13

Il CESE constata che la Commissione, pur attribuendo grande importanza a una soluzione nel quadro dell'IMO, non sembra escludere misure regionali adottate a livello di UE, nel caso in cui gli sviluppi in corso nel contesto dell'IMO non dovessero condurre a alcun risultato. Apprezza il fatto che non sembra che siano stati stabiliti i limiti di tempo per tali misure regionali, e desidera mettere in guardia dall'adottare, almeno per quanto riguarda la navigazione in acque esterne al territorio dell'UE, misure che potrebbero avere pochi risultati in termini di riduzione delle emissioni ma comporterebbero un costo elevato in termini di perdita di competitività e problemi con paesi terzi, applicandosi a navi che battono bandiere non UE.

4.14

Il CESE approva inoltre il legame stabilito tra le misure settoriali di monitoraggio, comunicazione e verifica e il sistema generale di monitoraggio delle emissioni di gas a effetto serra predisposto dal regolamento 525/2013 (11).

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il CESE constata che il sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica è stato predisposto in modo da far gravare la maggior parte degli oneri di attuazione sugli armatori o sui gestori delle navi e sui verificatori accreditati, mentre gli Stati membri, la Commissione e l'Agenzia europea per la sicurezza marittima avranno per lo più funzioni di supervisione e saranno i destinatari delle comunicazioni. L'obiettivo è approfittare delle esperienze maturate a livello di impresa e ridurre gli oneri amministrativi a carico delle istituzioni dell'UE.

5.2

Il CESE ritiene che per migliorare la qualità delle notifiche delle emissioni occorrerebbe che le relative comunicazioni menzionassero specifiche informazioni pertinenti, come la classificazione in base alla resistenza al ghiaccio o la presenza di determinate condizioni di navigazione, come la navigazione invernale.

5.3

Il CESE ritiene che alcuni aspetti del previsto sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica siano inutilmente complessi e comportino uno spreco di risorse. Ad esempio, è difficile capire perché si debba redigere un resoconto formale di verifica in merito alle comunicazioni annuali, quando occorre comunque emettere un certificato di conformità concernente i resoconti annuali approvati, e pubblicarne i principali elementi. Il CESE ritiene che un certificato di conformità dovrebbe essere sufficiente, possibilmente con un resoconto motivato di verifica nel caso in cui il certificato di conformità venga negato.

5.4

Sebbene sia certamente utile trasmettere i resoconti elaborati nel quadro della proposta in oggetto anche agli organi della Commissione responsabili dell'attuazione del regolamento 525/2013 sul monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra, è difficile comprendere perché gli Stati membri dovrebbero inviare resoconti separati alla Commissione, conformi alle specifiche di quest'ultimo regolamento, nel momento in cui sembra che tutte le informazioni pertinenti potrebbero essere incluse in un'unica relazione che potrebbe quindi essere trasmessa a tutte le parti interessate.

5.5

Il CESE si chiede inoltre se il provvedimento di espulsione, previsto dall'articolo 20, paragrafo 3, della proposta sia ragionevole, dal momento che sembra che tale sanzione impedirebbe a una determinata nave di accedere a qualsiasi porto dell'UE, compresi quelli del suo Stato di bandiera. Sembrerebbe ragionevole prevedere una forma di porto di rifugio, per offrire la possibilità di risolvere problemi di conformità.

5.6

Il CESE si chiede se i limiti temporali previsti per l'applicazione non siano eccessivamente lunghi e se non sarebbe possibile ridurli di un anno. Ad esempio mentre è previsto che la proposta entri in vigore il 1o luglio 2015, non occorre che i piani di monitoraggio siano comunicati alla Commissione prima del 30 agosto 2017 e il monitoraggio inizierebbe poi il 1o gennaio 2018. Questo calendario comporta un periodo di transizione di circa due anni e mezzo che il Comitato considera alquanto lungo, in considerazione del fatto che occorre adottare una serie di atti delegati e di atti di applicazione.

5.7

Il CESE si chiede inoltre se il previsto forum europeo della navigazione sostenibile non possa essere una sede adeguata per varie questioni di applicazione.

5.8

Il CESE ha inoltre notato una serie di dettagli tecnici nella proposta. Nell'articolo 14, paragrafo 1, vengono menzionate sia le "società" che gli "esercenti" della nave, laddove secondo le definizioni di cui all'articolo 3, il termine "società" comprende sia l'armatore che il gestore. Gli articoli 15, paragrafo 5, e 16, paragrafo 3, conferiscono alla Commissione la facoltà di adottare atti delegati riguardanti tra l'altro le modalità di accreditamento dei verificatori. Il CESE propone di espungere il riferimento alle modalità di accreditamento dal paragrafo 5 dell'articolo 15, che riguarda le procedure di verifica, e di mantenerlo nell'articolo 16, che riguarda l'accreditamento dei verificatori.

5.9

L'articolo 23 conferisce poteri molto ampi di integrare e modificare le disposizioni degli allegati I e II mediante atti delegati, onde tenere conto di una serie di elementi, tra cui le prove scientifiche, i dati pertinenti disponibili a bordo delle navi, le norme internazionali e le norme accettate a livello internazionale, "di individuare i metodi più accurati ed efficienti per il monitoraggio delle emissioni, nonché di migliorare l'accuratezza delle informazioni richieste". Il CESE ritiene che tale delega vada ben al di là degli adeguamenti allo sviluppo tecnico, e sembri autorizzare modifiche, come l'individuazione dei metodi di monitoraggio, che costituiscono elementi essenziali della proposta. Il CESE ritiene pertanto che una delega di tale portata sia in conflitto con l'articolo 290 del TFUE. Un simile interrogativo si pone in relazione all'articolo 15, paragrafo 3, per quanto riguarda le procedure di verifica.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2011) 144 final, parere CESE Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti, GU C 24 del 28.1.2012, pag. 146, specialmente i punti 1.2, 3.7, 3.8 e 3.11.

(2)  COM(2013) 480 final.

(3)  COM(2013) 510 final - La cintura blu: uno spazio unico del trasporto marittimo.

(4)  COM(2013) 479.

(5)  COM(2010) 2020.

(6)  COM(2013) 479.

(7)  Direttiva 2008/101/CE e decisione 377/2013/UE.

(8)  Considerando 2 della decisione 406/2009/CE e considerando 3 della direttiva 2009/29/CE.

(9)  Parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva che modifica la direttiva 1999/32/CE relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo, GU C 68 del 6.3.2012, pag. 70.

(10)  Tenore di zolfo dei combustibili per uso marino, GU C 68 del 6.3.2012, pag. 70; Crescita blu, opportunità per una crescita sostenibile dei settori marino e marittimo, GU C 161 del 6.6.2013, pag. 87; La politica UE dei trasporti marittimi fino al 2018, GU C 255 del 22.9.2010, pag. 103; Sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra, GU C 133 del 9.5.2013, pag. 30; Monitoraggio e comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra, GU C 181 del 21.6.2012, pag. 169; Una politica marittima integrata per l'UE, GU C 211 del 19.8.2008, pag. 31; Rendere più ecologici i trasporti marittimi e i trasporti su vie navigabili interne, GU C 277 del 17.11.2009, pag. 20.

(11)  Regolamento 525/2013, concernente un meccanismo di monitoraggio e comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra e di comunicazione di altre informazioni in materia di cambiamenti climatici a livello nazionale e dell’Unione europea.


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/175


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Una strategia europea per i componenti e i sistemi micro e nanoelettronici»

COM(2013) 298 final

2014/C 67/36

Relatrice: BATUT

La Commissione europea, in data 3 luglio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Una strategia europea per i componenti e i sistemi micro e nanoelettronici

COM(2013) 298 final.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 settembre 2013.

Alla sua 493a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 112 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene la volontà della Commissione europea di creare una leadership europea nel settore dei componenti e dei sistemi micro e nanoelettronici, e di associare al più presto a questo progetto, secondo una logica transfrontaliera, gli Stati membri, la ricerca, gli investimenti e le energie per convertire la sua eccellenza in produzione e occupazione.

1.2

Il CESE ritiene che i componenti e i sistemi micro e nanoelettronici possano essere alla base di una nuova rivoluzione industriale e che, in tal senso, questo campo abbia bisogno, non tanto di una "strategia" industriale europea, quanto piuttosto di un'autentica "politica industriale comune" di interesse pubblico il cui coordinamento dovrebbe essere garantito dalla Commissione in modo tale che le imprese europee siano in grado di assumere la leadership della produzione e dei mercati. La proposta della Commissione manca di questo elemento.

1.3

Il CESE è dell'avviso che i pochi poli d'eccellenza esistenti, indispensabili per incentivare gli sforzi compiuti dall'Europa, debbano essere ingranditi e sviluppati ulteriormente. Permettere alle strutture meno avanzate sull'intero territorio dell'UE di beneficiare dell'ampio programma finanziario pubblico e privato proposto nella comunicazione rafforzerebbe i potenziali esistenti. In questo contesto, il regime degli aiuti di Stato e delle sovvenzioni va modificato, in quanto il problema a cui devono far fronte le industrie europee ad alta tecnologia non è la concorrenza tra imprese europee, ma piuttosto l'assenza, in numerosi settori ad alta tecnologia, di imprese competitive e leader sul piano mondiale. La politica prevista dovrebbe essere più flessibile nei confronti di questo settore di punta non soltanto per favorire l'iniziativa tecnologica congiunta proposta, ma anche per aiutare le imprese a raggiungere una portata mondiale, come avviene in Asia e negli Stati Uniti.

1.4

Il CESE auspica che la strategia oggetto della comunicazione in esame punti a recuperare il ritardo europeo e a coprire tutta la catena del valore (capofila per determinati prodotti e mercati, appaltatori, piattaforme, produttori di tecnologie di base e società di progettazione) riscoprendo le competenze che l'Europa già possiede, ed appoggia l'Unione europea nella difesa degli interessi delle imprese nel quadro di ciascun trattato di libero scambio attualmente in fase di negoziazione (Giappone, Stati Uniti). Il Comitato sottoscrive l'approccio eurocentrico della Commissione, pur esprimendo preoccupazione circa la sua fattibilità nell'ambito della catena del valore globale. I veri punti deboli dell'Europa sono infatti l'assenza di prodotti e di presenza sul mercato, oltre alla scarsità di aziende dotate di prodotti leader. Tuttavia, il CESE raccomanda alla Commissione di non trascurare neppure lo sviluppo di Stati membri forti, poiché questi ultimi sono gli elementi di base per le sinergie transfrontaliere.

1.5

Il CESE accoglie con grande favore la nuova strategia in materia di componenti e sistemi micro e nanoelettronici, che però non può sottrarsi all'applicazione dell'articolo 3, paragrafo 3, del Trattato sull'UE (TUE) e degli articoli 9 e 11 del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE). Dal momento che la tabella di marcia non è stata ancora fissata (prevista per fine 2013), il CESE raccomanda di tenere in considerazione le conseguenze socio-economiche sugli esseri viventi e in particolare sullo sviluppo sostenibile, data la crescente importanza, nella vita quotidiana, dei componenti micro e nanoelettronici e dei materiali da questi impiegati, per la ricerca, l'occupazione, la formazione, l'essenziale sviluppo delle qualifiche e delle competenze, nonché la salute dei cittadini e dei lavoratori del settore.

1.6

Il CESE raccomanda di introdurre, accanto al gruppo di leader nell’elettronica, nuove forme di governance cittadina, di fronte all'entità degli investimenti pubblici necessari, dell'ordine di 5 miliardi di euro su 7 anni, e all'importanza strategica del settore.

1.7

Il CESE raccomanda una valutazione della strategia a metà percorso.

2.   Introduzione

2.1

Nel quadro della sua politica di rilancio degli investimenti per un'industria europea più forte che deve contribuire alla ripresa dell'economia e della crescita (COM(2012) 582 final), la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione sui componenti e i sistemi micro e nanoelettronici che ha già definito una delle tecnologie "abilitanti" in una precedente comunicazione (COM(2012) 341 final) e che corrispondono all'iniziativa chiave n. 6 della strategia Europa 2020, incarnata nel programma Orizzonte 2020.

2.2

I componenti e i sistemi micro e nanoelettronici, in quanto tecnologie abilitanti, sono alla base di un'ampia gamma di categorie di prodotti, che ormai sono indispensabili per qualunque attività e contribuiscono all'innovazione e alla competitività. Le nove principali categorie di prodotti sono (1) i computer, (2) le unità periferiche per computer e le apparecchiature per ufficio, (3) l'elettronica di consumo, (4) i server e i dispositivi di memorizzazione, (5) le apparecchiature di rete, (6) l'elettronica automobilistica, (7) l'elettronica medica, (8) l'elettronica industriale e (9) l'elettronica militare e aerospaziale.

2.3

Il CESE nota con piacere che la Commissione accoglie con questa nuova comunicazione alcune delle raccomandazioni formulate dal Comitato in alcuni pareri precedenti (1) e che manifesta una chiara volontà di agire per riconquistare dei mercati. Le condizioni di riuscita saranno un miglior utilizzo dei risultati della ricerca e una maggiore attenzione per i prodotti e le compagnie leader.

2.4

Come afferma la stessa Commissione, nel 2012 il fatturato mondiale di questo settore soltanto ammontava a circa 230 miliardi di euro. Inoltre, il valore dei prodotti dotati di componenti e sistemi micro e nanoelettronici si attesterebbe nel mondo a circa 1 600 miliardi di euro. Partendo dalla constatazione che, da un lato, il sostegno dell’UE a R&S&I (innovazione) ha attraversato per 10 anni una fase di stagnazione (cfr. punto 5.2 della comunicazione) e che, dall'altro, si è assistito, negli ultimi 15 anni, a uno spostamento massiccio del volume di produzione verso l’Asia che possiede brevetti e manodopera qualificata (cfr. punto 3.3), la Commissione propone di sviluppare una nuova strategia industriale europea per l'elettronica, auspicando investimenti pubblici coordinati e partenariati pubblico-privati al fine di mobilitare 10 miliardi di euro di nuovi investimenti pubblici e privati nelle "tecnologie avanzate".

3.   Sintesi della comunicazione

3.1

Per recuperare il ritardo e sostenere il confronto con gli Stati Uniti e l'Asia in termini di produzione di componenti e sistemi micro e nanoelettronici, la Commissione propone di:

incrementare e coordinare gli investimenti nella R&S&I e di combinare gli sforzi degli Stati membri e dell'UE tramite una collaborazione transfrontaliera;

rafforzare i poli europei d'eccellenza esistenti per rimanere all'avanguardia;

impegnarsi per incrementare le prestazioni dei supporti numerici europei (chip a base di silicio), riducendone il costo (andando verso le generazioni di piastre da 450 mm - secondo il percorso More Moore) e rendendoli ancor più intelligenti (More than Moore);

mobilizzare 10 miliardi di euro su 7 anni provenienti per metà da fonti pubbliche regionali, nazionali ed europee, e per metà da partenariati pubblico-privati allo scopo di coprire la catena del valore e dell'innovazione, provenienti anche da Orizzonte 2020 (2).

La Commissione nutre pertanto le seguenti ambizioni:

fornire alle principali industrie europee un maggior volume di componenti e sistemi micro e nanoelettronici europei;

potenziare la catena di approvvigionamento e gli ecosistemi di queste tecnologie offrendo maggiori opportunità alle PMI;

accrescere gli investimenti nelle tecniche di fabbricazione avanzata;

stimolare l'innovazione ovunque, anche a livello di progettazione, per incentivare la competitività industriale dell'Europa.

4.   Osservazioni generali

4.1

Le nanotecnologie trovano tutte origine nell'elettronica e nell'optoelettronica. Esse costituiscono tecnologie top-down (dall'alto verso il basso), che utilizzano materiali più finemente strutturati (micro) per creare elementi di componenti, come transistori, condensatori e interconnessioni elettriche. Le ricerche più recenti vanno invece in senso inverso, bottom-up, dal basso verso l'alto, verso cioè l'assemblaggio in strutture integrate di nanoparticelle (da 1 a 100 nm) come le molecole, i cosiddetti nanotubi, che già dispongono di funzionalità elettriche intrinseche, le quali aumenteranno il livello delle prestazioni e potenzieranno ulteriormente la capacità del silicio.

Come segnalato al punto 2.2, vari sono i settori in cui vengono impiegati i componenti e i sistemi elettronici, in quasi ogni dimensione delle attività industriali e commerciali nonché in quasi tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana - l'elenco potrebbe continuare all'infinito.

4.2

Il CESE si compiace del rilievo attribuito a un'autentica strategia industriale in materia elettronica che condizioni la capacità d'innovazione di tutti i settori di attività, la competitività e il futuro del continente europeo, nonché della volontà espressa dalla Commissione di farne un catalizzatore comune per gli Stati membri al fine di costruire una leadership europea. Sul mercato mondiale delle tecnologie abilitanti fondamentali la concorrenza è spietata e i capitali vanno al di fuori dell'Europa. Per ristabilire la sua posizione nel mondo, l'UE dovrebbe offrire agli Stati membri condizioni adeguate alle industrie interessate.

4.3

La comunicazione in esame propone una strategia estremamente eurocentrica che consiste nel colmare le lacune presenti nella catena del valore dell'industria elettronica europea. Le catene del valore dell'industria elettronica non sono però regionali, ma internazionali. Tre sono i soggetti principali in questo ambito: aziende leader, produttori in appalto e leader della piattaforma. Decine di altre entità svolgono poi ruoli importanti nell'industria in senso lato, come i rivenditori di software, i fabbricanti di attrezzature di produzione, i distributori e i produttori di componenti e di sottosistemi più generici.

Il valore conquistato dalle aziende dominanti nelle catene del valore globali - aziende leader con marche di portata mondiale e fornitori di componenti con posizioni forti di "leader della piattaforma" - può essere estremamente elevato. La comunicazione non precisa su quali punti della catena del valore globale la Commissione intenda concentrare i suoi sforzi e se le sue ambizioni vadano oltre i componenti e i sottosistemi generici.

4.4

Per attrarre verso questo settore le notevoli risorse finanziarie necessarie, la Commissione vuole favorire partenariati, alleanze ed azioni incrociate, e si attende un aiuto da ricercatori e leader dell'industria elettronica (AENEAS & CATRENE Board members, "Nanoelectronics beyond 2020") per la definizione a fine 2013 della tabella di marcia che scandirà la strategia.

4.5

Il CESE plaude a questa forte volontà di progresso e ritiene che la strategia debba ottenere un ampio consenso. Ancor più di una strategia industriale europea, questo settore meriterebbe una vera "politica industriale comune", che offra ai ricercatori una visione politica globale a breve e lungo termine. Si tratta di un settore di importanza vitale per la sopravvivenza dell'Europa. L'obiettivo è quello di beneficiare di un effetto di massa per trasformare la ricerca in prodotti, e questi in prodotti da poter commercializzare. Di qui la necessità assoluta, da un lato, di stabilire previsioni industriali di almeno 5 anni, come fanno le imprese commerciali concorrenti dei paesi terzi e, dall'altro, di creare dei ponti con la società civile.

L'eccellenza che mostrano gli specialisti riguarda delle nicchie e, tra la progettazione e la vendita del prodotto finale, le PMI di punta mancano di mezzi, competenze e visibilità. L'UE ha bisogno di strategie, prodotti e leader, un elemento, questo, che la comunicazione non tiene sufficientemente in conto.

4.6

Nelle prime quattro categorie di prodotti elencate al punto 2.2 l'Europa conta un'unica azienda leader mondiale. La presenza europea è più marcata negli altri settori, anche se in nessuno di questi l'Europa detiene una posizione dominante. Il CESE si rammarica che la strategia della Commissione non sia maggiormente esplicita riguardo a queste barriere che si frappongono all'ingresso nella catena del valore globale. Un primo passo essenziale consisterebbe nel rimpatriare la produzione in appalto.

4.7

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione ritenga urgente intensificare e soprattutto coordinare tutti gli sforzi profusi in questo settore dai poteri pubblici perché queste tecnologie restino di proprietà dell'UE anche quando sono vendute in tutto il mondo.

4.8

Il CESE ritiene fondamentale favorire le sinergie a livello transfrontaliero e altrettanto essenziale stimolare le energie degli Stati membri come base di tale interazione sinergica. L'Europa non può risultare superiore alla somma delle sue parti. Sono gli stessi paesi UE a disporre delle risorse intellettuali necessarie per esercitare un'influenza a livello globale. La questione non riguarda solo le sinergie transfrontaliere, bensì anche l'energia, la visione e l'ambizione all'interno delle frontiere.

4.9

Il coordinamento dovrebbe essere molto strutturato perché la frammentazione rilevata a livello di Stati membri non sia ulteriormente accresciuta a livello regionale o universitario (poli d'eccellenza). Occorre garantire che la strategia sia adatta alle risorse intrinseche del settore della micro e nanoelettronica.

4.10

Il CESE ritiene che vi debba essere un equilibrio tra una strategia fondata sulla domanda del mercato e una indispensabile politica industriale comune. Il mercato non può essere l'unico riferimento (cfr. punto 5.3, secondo comma, della comunicazione e punto 4 del relativo allegato). Detto questo, però, l'UE non deve ignorare le scoperte basate sul mercato.

4.11

Un'industria europea più forte e una nuova strategia in materia di componenti e sistemi elettronici, che il CESE accoglie senza riserve, non possono però sottrarsi all'applicazione dell'articolo 3 del Trattato sull'UE (TUE) e degli articoli 9 e 11 del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE). Nonostante la complessità di tutti questi fattori, occorre considerare le conseguenze socioeconomiche dello sviluppo delle nanotecnologie e tramite le nanotecnologie.

4.11.1

Il CESE ritiene che bisognerebbe analizzare e quantificare i dati relativi al numero di posti di lavoro nel settore, alla formazione, alle qualifiche e alle competenze richieste. I posti di lavoro sono attualmente in crescita, ma mancano le competenze. Occorre altresì considerare che le competenze offerte non risultano adeguate alla domanda. Questo squilibrio richiede investimenti di lungo termine quantificabili. L'obiettivo finale è che tutti contribuiscano a rafforzare la posizione dell'UE nel mondo dei componenti e dei sistemi elettronici. Il CESE deplora che nella comunicazione in esame la Commissione abbia tralasciato alcuni aspetti, che invece aveva ampiamente considerato nel suo precedente testo del 2012 (COM(2012) 582 final) e che non abbia citato gli importi da stanziare.

4.11.2

Gli apparecchi elettronici figurano tra i prodotti contenenti nanoparticelle che sono ora e saranno in futuro messi a disposizione dei consumatori. Le nanoparticelle sono infatti presenti nei componenti dell'elettronica ibrida molecolare, i semiconduttori, i nanotubi e i nanofili, nonché l'elettronica molecolare avanzata. La nanoelettronica a bassa tensione e quella a bassissima tensione sono temi importanti per le attività di R&S, che puntano verso nuovi circuiti con un'alimentazione vicina al limite teorico di consumo energetico per bit. L'UE deve tener conto dell'impatto dell'usura, della degradazione o della fine del ciclo di vita dei nanomateriali contenuti negli apparecchi elettronici attuali, in corso di progettazione o futuri in un'ottica di sviluppo sostenibile, per salvaguardare l'ambiente e gli esseri viventi, pur se la definizione adottata attualmente dalla Commissione per i nanomateriali non fa della salute una delle questioni importanti da tener conto nella micro e nanoelettronica. Deve in questo caso applicarsi il principio di precauzione.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Una vera strategia industriale

5.1.1

Il CESE trova appropriata la strategia della Commissione volta a colmare le lacune della catena di valore nella produzione e ad invertire la tendenza attuale, rilocalizzando in Europa gli anelli mancanti della catena di valore delle tecnologie micro e nanoelettroniche. Si chiede tuttavia quali siano le ragioni dei 10 anni di stagnazione (riconosciuti esplicitamente al punto 5.2 della comunicazione) registrati dalle dotazioni per la R&S&I europea (3), pur essendo questa reputata di livello mondiale, che hanno impedito all'UE di occupare la posizione che le spettava sui mercati mondiali nel momento cruciale del risveglio della Cina. Un'analisi di queste ragioni, come pure dei meccanismi della catena del valore globale esaminati nella sezione 4 del presente parere, consentirebbe di evitare gli errori futuri e forse per questo bisognerebbe trarre ispirazione dalle strategie delle altre regioni del globo e trovare gli incentivi utili per il ritorno in Europa di alcune produzioni.

5.1.2

Il CESE ritiene che la competitività basata sul costo del lavoro abbia ridotto ai minimi termini interi settori (tessile, scarpe, pneumatici, metallurgia, ecc.). La produzione in appalto ha avuto un effetto analogo nel settore dell'elettronica. La strategia elettronica dovrebbe tener conto di questi dati ed accettare di categorizzare le nuove forme di competitività in base a parametri come le competenze, l'eccellenza e la creazione di un maggior numero di poli, la diffusione delle conoscenze verso uno spettro più ampio di imprese, la flessibilità interna, ecc.

5.1.3

Il CESE ritiene che l'UE potrebbe sostenere le sue PMI e le loro marche, oltre che con l'aiuto finanziario, anche con una protezione coordinata. I brevetti, la protezione del segreto commerciale, la lotta alla cibercriminalità e al furto dei brevetti dovrebbero tutti figurare nella strategia in esame.

Il libero scambio multilaterale apre tutte le frontiere al di là della regolamentazione coordinata che potrebbe fornire l'OMC. Il CESE ritiene auspicabile tener conto della strategia in esame nel quadro di ciascun trattato di libero scambio attualmente in fase di negoziazione (Giappone, Stati Uniti). I trattati di libero scambio, a differenza di quanto voluto dai padri fondatori per l'Unione europea, aprono le porte a dei mercati di partner commerciali che a priori non adottano le medesime regole.

5.2   Finanziamento

5.2.1

Per poter partecipare alla corsa ai mercati occorrono investimenti che gli Stati membri, essendo in crisi o soggetti a restrizioni di bilancio voluti dall'UE, non possono fornire. La Commissione invita quindi il settore privato ad impegnarsi. La crisi ha però accresciuto le difficoltà di accesso al credito per le PMI - soprattutto quelle innovatrici - che giungono al punto di essere strangolate dalle loro banche.

5.2.2

Il CESE si compiace dell'accento posto dalla Commissione sul loro finanziamento, che contribuisce ad allentare la morsa.

5.2.3

La capacità dei contributori pubblici è a sua volta limitata a causa dei loro deficit e debiti pubblici, sistemi sociali inclusi. Gli strumenti di controllo a loro disposizione per verificare l'impegno delle imprese a mantenere e ampliare le attività di progettazione e di produzione in Europa (cfr. punto 7.1 della comunicazione, ultimo comma) non sembrano sufficientemente sviluppati.

Il CESE reputa che il regime degli aiuti di Stato e delle sovvenzioni potrebbe essere reso più flessibile allo scopo di:

1.

garantire alle imprese del settore una maggiore capacità di reazione su questo mercato mondiale futuro;

2.

consentire lo scambio di buone prassi tra tutti i ricercatori;

3.

consentire la comparsa di nuovi centri d'eccellenza nelle città pronte ad accoglierli;

4.

fare in modo che le regole di solidarietà impediscano il dumping all'interno dell'UE;

5.

fare in modo che le procedure e i criteri di accesso ai fondi siano semplificati e le banche informate.

5.2.3.1

Il CESE auspicherebbe un chiarimento dell'articolazione con i fondi strutturali e con la BEI, soprattutto per i paesi dell'UE agonizzanti a causa della grave crisi finanziaria, nei quali la forte contrazione delle spese pubbliche sommata al congelamento degli investimenti privati ha reso illusorio qualunque aiuto e i fondi strutturali non sono già più il rimedio miracoloso. Il CESE suggerisce che l'UE crei in tali paesi la possibilità per i ricercatori interessati di entrare nei migliori centri europei di ricerca.

5.2.3.2

Quanto ai fondi privati, il CESE ritiene che essi possano fornire un contributo, ma che sia aleatorio fondare una strategia a lungo termine su questa ipotesi.

5.3   Coordinamento

5.3.1

Il CESE approva il ruolo che l'UE intende svolgere di coordinamento delle forze, al pari della scelta della Commissione di ricorrere all'articolo 187 del TFUE e di creare un'impresa congiunta (nuova iniziativa tecnologica congiunta, ITC). Infatti il mercato, da solo, non svolge un "ruolo", né dispone di una volontà politica che possa dar vita a degli orientamenti.

5.3.2

Il livello UE è adatto per organizzare la trasversalità, evitare le ridondanze nella ricerca, mobilitare le catene di valore e commercializzare i loro risultati nelle migliori condizioni. Il CESE ricorda che è opportuno tener conto dei livelli di sviluppo della ricerca, diversi da uno Stato membro all'altro, al fine non soltanto di valorizzare i poli d'eccellenza, ma anche di rendere i nuovi fondi accessibili a tutti. Quando lo stesso "modello aziendale" non è applicabile in modo generalizzato, anche le piccole start-up devono poter essere aiutate.

5.3.3

L'iniziativa dovrà tener conto del fatto che puntare all'integrazione verticale dei sistemi informatici (ex programma Artemis) e della nanoelettronica (ex ITC ENIAC) facendo collaborare in senso orizzontale imprese ed università, e per giunta a livello transnazionale, costituisce un obiettivo ambizioso. Ora che il crogiolo delle scoperte rende necessaria una sempre maggiore multidisciplinarietà per poter comprendere le nanoproprietà, il CESE riterrebbe utili delle precisazioni sulle specificità delle regioni e dei poli d'eccellenza, nonché sulla protezione dell'informazione che dovrà circolare e su quella dei brevetti depositati.

5.4   Impatto socioeconomico

5.4.1   Nella comunicazione non si affronta l'aspetto dell'impatto socioeconomico. Il documento punta all'efficacia, ma nulla si può fare, soprattutto in questo campo, se non si tiene conto del capitale umano (cfr. articoli 3.3 TUE, 9 e 11 TFUE).

5.4.1.1   Occupazione

Secondo la Commissione, 200 000 persone sarebbero direttamente impiegate dalle imprese di micro e nanoelettronica, mentre un milione troverebbe un lavoro collegato indirettamente a questo settore. La richiesta di competenze è in continuo aumento.

Al termine della catena di valore le imprese devono riuscire a trasformare i loro investimenti in prestazioni (qualità, finanziaria, commerciale). L'UE è all'avanguardia della ricerca mondiale, e deve riuscire a convertirla in occupazione.

È ora che l'UE generalizzi l'elevato livello di competenze raggiunto in alcune nicchie, sviluppando informazione, formazione, qualifiche, ecc.

Il CESE auspica che il finanziamento dei progetti non si faccia a scapito della promozione dell'inclusione sociale e della lotta alla povertà; esso ricorda che una manodopera formata, qualificata e retribuita in modo appropriato garantisce la qualità del prodotto finito.

5.4.1.2   Formazione

Il CESE auspica che la Commissione ricordi in questa sede il tenore della sua comunicazione COM(2012) 582 final (capitolo III-D). Il capitale umano e le competenze, nonché l'anticipazione dei bisogni sono più che mai indispensabili per la riuscita di qualunque azione nel settore dei componenti delle micro e nanotecnologie, che è per sua stessa natura in continua evoluzione. La Commissione ha già previsto una tabella di equivalenze che deve favorire la mobilità intraeuropea.

Le situazioni degli Stati membri in termini di imposizione, istruzione, accesso ai capitali e costo del lavoro sono tutte diverse per mancanza d'armonizzazione. Il CESE sostiene la Commissione quando questa pone l'accento sulle competenze e la invita a fare il possibile per agevolare all'interno dell'UE la convergenza in fatto di formazione, qualifiche, competenze, diplomi, tutti necessari a coprire la catena di valore dell'industria europea della micro e nanoelettronica.

5.4.1.3   Salute

5.4.1.3.1

L'OCSE definisce le nanotecnologie come le tecnologie che permettono di manipolare, studiare o sfruttare le strutture e i sistemi di piccolissime dimensioni (2009). Naturali o manufatti, questi materiali sono indispensabili per le nanotecnologie e sono manipolati e utilizzati dall'uomo come cittadino e come lavoratore.

5.4.1.3.2

Il CESE ritiene necessario che, in una comunicazione che vuol far assurgere l'UE a vette mondiali nel settore, figurino gli avvertimenti utili, si evochino i rischi per la salute umana e si ribadisca il principio di precauzione, affinché i benefici siano generalizzati, i rischi siano per quanto possibile ridotti al minimo e non si riproduca più il modello "amianto". Alcuni dei componenti attuali e futuri dei sistemi nanoelettronici non si fermano di fronte alle barriere poste dai polmoni, dal sangue e dal cervello o dalla placenta. Essi dispongono di una notevole superficie d'interazione.

5.4.1.3.3

Lo stesso settore della sanità utilizza i sistemi nanoelettronici e contribuisce anche allo sviluppo della ricerca: va ricordato che, allo stato attuale, è proprio grazie ai sistemi sociali che essi rappresentano un mercato di sbocco per la ricerca, fintanto che la crisi, la disoccupazione e i deficit consentiranno loro di farlo.

5.4.1.4   Sviluppo sostenibile

5.4.1.4.1

Il CESE ricorda la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, auspicata dalla Commissione (COM(2010) 2020 final): a suo avviso la strategia europea in materia di componenti e di sistemi micro e nanoelettronici è al centro di questa tematica.

5.4.1.4.2

La strategia dovrebbe sin dal principio considerare che l'industria che si vuole sviluppare produce già rifiuti speciali, e ne produrrà ancora di più in futuro; occorre quindi, fin dallo stadio della ricerca, gestire e finanziare il ciclo di vita dei micro e nanomateriali, soprattutto se manufatti, e dei sistemi che li impiegano (cfr. l'approccio dal basso verso l'alto), tanto più che i rischi non sono ancora tutti noti. Potrebbe forse essere opportuno completare in questo senso la direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità (4).

5.4.1.4.3

Il CESE ritiene che la strategia industriale proposta sia assimilabile a una politica per i lavori pubblici e che debba quindi soddisfare le esigenze in materia di sviluppo sostenibile.

5.4.1.5   Governance

Alcuni Stati membri hanno organizzato dei dibattiti tra cittadini su questa rivoluzione industriale. Alla fine della catena di valore, l'importante è ottenere la fiducia dei cittadini-consumatori perché questi acquistino un prodotto europeo.

A tal fine il CESE raccomanda di coinvolgere le parti direttamente interessate e di discutere sulla gestione dei rischi e su una definizione di innovazione responsabile. Prendendo in considerazione l'interesse della collettività e le responsabilità degli attori, e individuando le questioni e i conflitti d'interesse, non si può non contribuire ad individuare soluzioni socialmente accettabili per i cittadini coscienti degli investimenti richiesti e dell'importanza strategica del settore.

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 44 del 15.2.2013, pag. 88; GU C 54 del 19.2.2011, pag. 58.

(2)  Programma quadro di ricerca e innovazione Orizzonte 2020, COM(2011) 808 final.

(3)  Obiettivo: 3 % del PIL per la R&S&I.

(4)  COM(2011) 169 final


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/181


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio che modifica le direttive 2006/112/CE e 2008/118/CE in relazione alle regioni ultraperiferiche, in particolare Mayotte

COM(2013) 577 final — 2013/0280 (CNS)

2014/C 67/37

Il Consiglio, in data 12 settembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio che modifica le direttive 2006/112/CE e 2008/118/CE in relazione alle regioni ultraperiferiche, in particolare Mayotte

COM(2013) 577 final — 2013/0280 (CNS).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 493a sessione plenaria dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 17 ottobre 2013), ha deciso di esprimere parere favorevole sul testo proposto con 149 voti favorevoli, 3 voti contrari e 6 astensioni.

 

Bruxelles, 16 ottobre 2013.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/182


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio per quanto riguarda la dotazione finanziaria del Fondo sociale europeo per alcuni Stati membri

COM(2013) 560 final — 2013/0271 (COD)

2014/C 67/38

Il Parlamento europeo, in data 10 settembre 2013 e il Consiglio, in data 6 settembre 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 177 e dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio per quanto riguarda la dotazione finanziaria del Fondo sociale europeo per alcuni Stati membri

COM(2013) 560 final — 2013/0271 (COD).

Il Comitato, nel corso della 493a sessione plenaria dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), ha deciso di esprimere parere favorevole sul testo proposto con 149 voti favorevoli, 3 voti contrari e 6 astensioni.

 

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/183


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al progetto di proposta di regolamento del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva. Progetto presentato, per parere, al Comitato economico e sociale europeo ai sensi dell’articolo 31 del trattato Euratom

COM(2013) 576 progetto

2014/C 67/39

La Commissione europea, in data 6 agosto 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 31 del Trattato Euratom, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Progetto di proposta di regolamento del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva

COM(2013) 576 DRAFT.

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 493a sessione plenaria dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), ha deciso di esprimere parere favorevole sul testo proposto con 149 voti favorevoli, 3 voti contrari e 6 astensioni.

 

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


6.3.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 67/184


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio recante apertura e modalità di gestione di contingenti tariffari autonomi dell’Unione sulle importazioni di alcuni prodotti della pesca nelle Isole Canarie dal 2014 al 2020

COM(2013) 552 final — 2013/0266 (CNS)

2014/C 67/40

Il Consiglio, in data 16 settembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 349 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio recante apertura e modalità di gestione di contingenti tariffari autonomi dell'Unione sulle importazioni di alcuni prodotti della pesca nelle Isole Canarie dal 2014 al 2020

COM(2013) 552 final — 2013/0266 (CNS).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 493a sessione plenaria dei giorni 16 e 17 ottobre 2013 (seduta del 16 ottobre), ha deciso di esprimere parere favorevole sul testo proposto con 149 voti favorevoli, 3 voti contrari e 6 astensioni.

 

Bruxelles, 16 ottobre 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE