ISSN 1977-0944

doi:10.3000/19770944.C_2012.068.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 68

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

55o anno
6 marzo 2012


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

477a sessione plenaria del 18 e 19 gennaio 2012

2012/C 068/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Rendere l'istruzione e la formazione professionale post secondaria un'alternativa attraente all'istruzione superiore (parere d'iniziativa)

1

2012/C 068/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Occupazione giovanile, qualifiche professionali e mobilità (parere d'iniziativa)

11

2012/C 068/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Coinvolgere la società civile nella creazione di una futura comunità europea dell'energia (parere d'iniziativa)

15

2012/C 068/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo dell'UE nella costruzione della pace nel contesto delle sue relazioni esterne: buone pratiche e prospettive

21

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

477a sessione plenaria del 18 e 19 gennaio 2012

2012/C 068/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un mercato unico dei diritti di proprietà intellettuale — Rafforzare la creatività e l'innovazione per permettere la creazione di crescita economica, di posti di lavoro e prodotti e servizi di prima qualità in Europa — COM(2011) 287 definitivo

28

2012/C 068/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Una visione strategica per le norme europee: compiere passi avanti per favorire e accelerare la crescita sostenibile dell'economia europea entro il 2020 — COM(2011) 311 definitivo

35

2012/C 068/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento — COM(2011) 452 definitivo — 2011/0202 (COD)

39

2012/C 068/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa in materia di accise — COM(2011) 730 definitivo — 2011/0330 (CNS)

45

2012/C 068/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per lo stock di salmone del Mar Baltico e le attività di pesca che sfruttano questo stock — COM(2011) 470 definitivo — 2011/0206 (COD)

47

2012/C 068/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente — Valutazione definitivaCOM(2011) 531 definitivo

52

2012/C 068/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Gli OGM nell'UE (supplemento di parere)

56

2012/C 068/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi fra gli Stati membri e i paesi terzi nel settore dell'energia — COM(2011) 540 definitivo — 2011/0238 (COD)

65

2012/C 068/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/32/CE relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimoCOM(2011) 439 definitivo — 2011/0190 (COD)

70

2012/C 068/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1300/2008 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che istituisce un piano pluriennale per lo stock di aringa presente ad ovest della Scozia e per le attività di pesca che sfruttano tale stock — COM(2011) 760 definitivo — 2011/0345 (COD)

74

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

477a sessione plenaria del 18 e 19 gennaio 2012

6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Rendere l'istruzione e la formazione professionale post secondaria un'alternativa attraente all'istruzione superiore» (parere d'iniziativa)

2012/C 68/01

Relatrice: DRBALOVÁ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Rendere l'istruzione e la formazione professionale post secondaria un'alternativa attraente all'istruzione superiore.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 19 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 208 voti favorevoli, 7 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e proposte

Raccomandazioni rivolte alla Commissione europea

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede alla Commissione europea di incoraggiare gli Stati membri a realizzare gli obiettivi a lungo e a breve termine definiti nel comunicato di Bruges e di migliorare la qualità e l'efficacia dell'istruzione e della formazione professionale in modo da promuoverne l'attrattiva e la pertinenza. Le parti sociali a tutti i livelli devono continuare a svolgere un ruolo attivo nel processo di Copenaghen e contribuire a raggiungere gli obiettivi di breve termine.

1.2   Il Comitato sollecita la Commissione a riunire i due processi (Bologna e Copenaghen) in un unico approccio integrato. Questa sinergia consentirà di dare ai cittadini le competenze necessarie per raggiungere le potenzialità in termini di sviluppo e di occupabilità.

1.3   Il Comitato ritiene che la Commissione debba fungere da piattaforma di conoscenze basate su dati statistici per il controllo della situazione nei vari Stati membri e che essa dovrebbe creare una piattaforma per permettere lo scambio di buone pratiche.

1.4   Il CESE approva l'impegno della Commissione ad attuare nuovi strumenti e a lanciare nuove iniziative. Tuttavia, occorre innanzi tutto valutare con urgenza quanto è stato fatto finora, al fine di evitare la duplicazione degli strumenti e far sì che i programmi e le politiche esistenti vengano pienamente ed adeguatamente applicati.

Raccomandazioni rivolte agli Stati membri

1.5   Stabilire il numero di giovani che si iscrivono all'università come unico indicatore è fuorviante all'atto di definire la politica dell'istruzione in quanto risulta solo parzialmente pertinente rispetto alle esigenze dei mercati del lavoro in termini di competenze professionali. È necessario trovare un equilibrio tra i sistemi d'istruzione e quelli di formazione.

1.6   Gli Stati membri devono applicare efficacemente il comunicato di Bruges e il processo di Copenaghen nonché contribuire al raggiungimento dell'obiettivo chiave dell'UE, che prevede il completamento, da parte del 40 % della popolazione, di un ciclo di istruzione superiore o equivalente, che comprende un livello superiore di istruzione e formazione professionale.

1.7   Gli Stati membri devono sviluppare incentivi finanziari e non finanziari destinati, da un lato, alle imprese, in particolare le PMI, le microimprese e le imprese artigiane, per accrescere l'attrattiva dell'istruzione e formazione professionale sia iniziale (IFPI) che continua (IFPC) e per mobilitare le imprese e, dall'altro, agli istituti d'istruzione affinché cooperino con il mondo imprenditoriale.

1.8   Occorre adottare misure esaustive di promozione, intese ad innalzare in modo sistematico il livello di riconoscimento sociale dell'istruzione professionale post secondaria.

1.9   Gli Stati membri devono infine fornire servizi di consulenza e orientamento, compresa la consulenza personalizzata per i disabili, che siano più efficaci e adeguati alle esigenze del mercato del lavoro e dei giovani. È urgente garantire una maggiore apertura mentale da parte dei giovani, delle loro famiglie e degli operatori dei servizi di consulenza e orientamento, i quali tendono a considerare che frequentare l'università sia la chiave per trovare un lavoro.

Raccomandazioni rivolte alle organizzazioni imprenditoriali

1.10   Le organizzazioni imprenditoriali, in collaborazione con altre parti sociali, dovrebbero partecipare attivamente ai sistemi di consulenza e di orientamento in quanto rappresentano le strutture informative sulle opportunità offerte dall'istruzione e dalla formazione professionale (IFP) e dal mercato del lavoro. Esse dovrebbero aiutare gli istituti di istruzione e di formazione a concepire forme di apprendimento integrate con l'attività professionale e a sviluppare nuovi metodi.

1.11   I settori industriali e le imprese devono prevedere un maggior numero di posti per i tirocinanti e più ampie possibilità per i praticanti; devono inoltre incoraggiare i loro lavoratori a trasmettere le loro conoscenze ed esperienze ai tirocinanti, ai praticanti o ai formatori temporanei nel campo dell'IFP.

Raccomandazioni rivolte agli istituti d'istruzione

1.12   Gli istituti d'istruzione devono incrementare la loro fiducia nei confronti della creazione di collegamenti con le imprese, riconoscendo l'esigenza di una cooperazione costruttiva e il valore dell'esperienza maturata in ambiti esterni.

1.13   Gli istituti d'istruzione dovrebbero cooperare più intensamente con i settori industriali e sviluppare ulteriormente una gamma più vasta di metodi di apprendimento integrati con l'attività professionale. È necessario un atteggiamento più flessibile nei confronti dell'istruzione e della formazione professionale.

1.14   È opportuno garantire la qualità degli insegnanti e dei formatori, i quali dovrebbero avere dimestichezza con le mutevoli esigenze del luogo di lavoro. Dovrebbero essere inoltre incoraggiati i tirocini presso le imprese per gli insegnanti e i formatori.

Raccomandazioni rivolte alle parti sociali

1.15   Il Comitato chiede alle organizzazioni delle parti sociali di assumersi le loro responsabilità e di essere proattive in questo processo, utilizzando tutti i metodi e tutti gli strumenti volti a migliorare l'attrattiva dell'istruzione e della formazione professionale post secondaria (impieghi settoriali, consigli per le competenze, ecc.).

1.16   Le parti sociali a tutti i livelli dovrebbero garantire un'adeguata attuazione degli impegni che risultano dai loro programmi di lavoro congiunti e contribuire al processo di definizione e di applicazione di tutti gli strumenti UE collegati all'IFP a livello nazionale.

Raccomandazioni rivolte ai singoli cittadini e alle organizzazioni della società civile

1.17   I cittadini devono rendersi conto che l'istruzione superiore non dà necessariamente la garanzia di trovare un lavoro e che devono essere prese in considerazione valide alternative. Essi devono pertanto riconoscere che spetta a loro fare delle scelte informate per quanto concerne gli studi e la formazione. In definitiva, essi dovrebbero essere abbastanza fiduciosi da impegnarsi a seguire un'istruzione professionale post secondaria.

1.18   Le preferenze degli studenti e le aspettative delle loro famiglie dovrebbero essere messe a confronto con le esigenze dei datori di lavoro. In futuro si potrebbe far uso della panoramica delle competenze recentemente sviluppata dall'UE, e delle sue previsioni riguardo all'offerta di competenze e alle esigenze del mercato del lavoro.

2.   Il quadro politico europeo

2.1   Nel giugno 2010, il Consiglio europeo di primavera ha adottato la nuova strategia per la crescita e l'occupazione intitolata Europa 2020 che si basa su sette iniziative faro e su un documento strategico a favore del mercato interno dell'UE (Atto per il mercato unico).

2.2   L'iniziativa faro Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione, il cui obiettivo è di dare ai cittadini le competenze adeguate per l'occupazione e di adattare l'offerta di competenze alle esigenze del mercato del lavoro crea una forte sinergia con altre iniziative (Politica industriale, Agenda digitale, Unione dell'innovazione, Gioventù in movimento, Piattaforma europea contro la povertà, ecc.).

2.3   Gli obiettivi della strategia Europa 2020 saranno sostenuti dal proposto quadro finanziario pluriennale (QFP)  (1). Il bilancio previsto per la strategia Europa 2020 sarà investito nell'eccellenza europea attraverso un aumento degli stanziamenti assegnati all'istruzione, alla formazione, alla ricerca e all'innovazione.

3.   L'istruzione e la formazione professionale - attuali sviluppi e sfide

3.1   Attualmente, lo sviluppo dei mercati europei del lavoro è determinato dalla crisi economica e finanziaria, dalla globalizzazione, dalle pressioni demografiche, dalle nuove tecnologie e da molti altri fattori.

3.2   Tra i cinque obiettivi orizzontali stabiliti dalla strategia Europa 2020 figurano:

un tasso di occupazione del 75 % per le persone di età compresa tra 20 e 64 anni;

un obiettivo in materia di livello d'istruzione, che affronti il problema dell'abbandono scolastico riducendone il tasso dall'attuale 15 % al 10 %;

la volontà di aumentare la quota della popolazione di età compresa tra 30 e 34 anni che ha completato gli studi superiori oppure ha ottenuto un diploma equivalente dal 31 % ad almeno il 40 % nel 2020.

3.3   La dichiarazione di Copenaghen, adottata il 29 e 30 novembre 2002, ha lanciato la strategia europea per il miglioramento della cooperazione nel campo dell'IFP, nota con il nome di processo di Copenaghen .

3.4   Il 12 maggio 2009, il Consiglio ha adottato un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e della formazione («ET 2020»).

3.5   La comunicazione della Commissione europea intitolata Un nuovo slancio per la cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale a sostegno della strategia Europa 2020  (2) definisce gli elementi chiave da considerare per rilanciare il processo di Copenaghen e sottolinea il ruolo fondamentale dell'IFP nell'ambito dell'apprendimento permanente e della mobilità.

3.6   Nel comunicato di Bruges, adottato nel dicembre 2010, i ministri dell'UE responsabili dell'Istruzione e della formazione professionale e le parti sociali a livello europeo hanno preso impegni precisi. Il comunicato analizza e definisce le seguenti priorità per la cooperazione UE in questo campo nel periodo fino al 2020:

sviluppo dell'IFP post secondaria e a livelli più elevati nell'ambito del quadro europeo delle qualifiche (EQF);

permeabilità e percorsi aperti tra l'IFP e l'istruzione superiore;

elaborazione di un documento politico sul ruolo dell'eccellenza professionale ai fini di una crescita intelligente e sostenibile.

3.7   Per rispettare gli impegni di Bruges, la Commissione europea sta elaborando un'agenda per l'eccellenza nell'ambito dell'IFP, che si concentri sull'istruzione e la formazione professionale tanto iniziale quanto permanente. Il processo dovrebbe essere portato a termine dal Consiglio attraverso le conclusioni che elaborerà alla fine del 2012.

4.   Una base di dati per il processo di rafforzamento della cooperazione in materia di IFP

4.1   Le previsioni del Cedefop sulle future esigenze in termini di competenze mostrano, fino al 2020, una maggiore richiesta di qualifiche medie e alte e una minore richiesta di lavoratori poco qualificati. Tuttavia, la popolazione europea in età da lavoro attualmente comprende ancora 78 milioni di persone scarsamente qualificate.

4.2   La quarta relazione del Cedefop sulla ricerca in materia di IFP in Europa, dal titolo Modernizzare l'istruzione e la formazione professionale fornisce una base di dati per il processo di rafforzamento della cooperazione in questo campo e definisce priorità per la riforma dell'IFP allo scopo di contribuire alla strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione.

4.3   Modernizzare l'istruzione e la formazione professionale è un compito urgente, se si considera l'accresciuta concorrenza mondiale, l'invecchiamento della popolazione, le pressioni sul mercato del lavoro e l'obiettivo di migliorare la coesione sociale in Europa.

4.4   Il Cedefop inoltre evoca la questione di come migliorare l'immagine e l'attrattiva dell'IFP. L'impressione generale che si evince dall'analisi degli indicatori relativi alla capacità di attrazione dell'istruzione e della formazione professionale nell'UE è negativa. Alcune ricerche hanno permesso di identificare i fattori principali che influenzano l'attrattiva dei percorsi educativi:

a)

il contenuto e il contesto dei programmi scolastici: la scelta dei percorsi, la reputazione degli istituti, dei percorsi o dei programmi;

b)

le prospettive degli studenti per quanto concerne l'istruzione e il mercato del lavoro: accesso ad un proseguimento degli studi (soprattutto a livello universitario), prospettive occupazionali;

c)

i fattori economici: l'esistenza di aiuti finanziari o incentivi fiscali o, invece, il pagamento di tasse di iscrizione o di rette.

4.5   Nel suo opuscolo intitolato Un ponte per il futuro, il Cedefop inoltre illustra i risultati raggiunti nello sviluppo e nell'attuazione dei principi europei comuni (orientamento e consulenza, identificazione e validazione dell'apprendimento non formale e informale) e dei relativi strumenti (3) (EQF, ECVET, EQAVET, Europass). L'obiettivo di tali principi e strumenti è di contribuire a promuovere la mobilità dei lavoratori, dei discenti e dei formatori nell'ambito dei vari sistemi d'istruzione e formazione e tra i diversi paesi. Il loro sviluppo e la loro attuazione favoriscono l'evoluzione dei risultati dell'apprendimento in tutti i tipi e in tutti i livelli d'istruzione e formazione al fine di sostenere l'apprendimento permanente.

4.6   Il nuovo documento di ricerca del Cedefop (4), che analizza l'istruzione e la formazione professionale ai più alti livelli di qualifica in 13 paesi e in 6 settori, mostra che i punti di vista e la concezione dell'IFP e dell'EQF dal livello 6 al livello 8 sono influenzati dal contesto nazionale.

4.7   La Fondazione europea per la formazione professionale (ETF) sottolinea la necessità impellente di fornire informazioni sui vari settori professionali e di elaborare politiche basate su fatti concreti, al fine di collegare il settore dell'istruzione con quello professionale. Per incrementare l'attrattiva dell'IFP post secondaria, la Fondazione raccomanda:

il riconoscimento dei diplomi attraverso uno stretto partenariato con il mondo delle imprese;

l'integrazione dell'IFP post secondaria (o della formazione professionale superiore) nel sistema d'istruzione terziario;

la creazione di opzioni educative o di tappe intermedie verso l'apprendimento permanente;

l'istituzione di partenariati internazionali per la formazione professionale superiore;

un mix composto da lezioni frontali (20 %), esercitazioni pratiche (40 %) e laboratori (40 %);

un corpo insegnante composto tanto da personale accademico quanto da esperti del mondo delle imprese.

4.8   In uno studio commissionato dalla Commissione europea, in cui vengono identificate e analizzate le future esigenze in materia di competenze nelle microimprese e nelle imprese artigiane (5), si raccomanda che i programmi di formazione tengano conto, in misura maggiore rispetto ad oggi, delle tendenze e degli sviluppi futuri in materia di fabbisogno di competenze. Occorre elaborare, anche a livello europeo, programmi di apprendimento maggiormente basati sulla realtà professionale e definire metodi per riconoscere le conoscenze pratiche acquisite a livello informale.

4.9   Nella riunione informale tenutasi a Copenaghen nel gennaio 2007, i ministri dell'OCSE responsabili dell'Istruzione e della formazione professionale hanno riconosciuto il fatto che l'IFP diventa sempre più importante e hanno lanciato un lavoro di analisi che ha portato, nel 2010, ad una relazione finale intitolata Learning for Jobs  (6). Alla fine del 2010 è stato avviato un riesame della politica in materia di istruzione e formazione professionale post secondaria, intitolato Skills beyond School («Le competenze al di là la scuola»).

5.   L'IFP dal punto di vista del mercato del lavoro

5.1   I cambiamenti demografici e un fabbisogno di lavoratori qualificati che si prevede sarà maggiore fanno sì che l'Europa, nonostante la crisi economica, debba affrontare una riduzione della forza lavoro e una carenza di lavoratori in alcuni settori.

5.2   Il deficit strutturale di lavoratori qualificati nell'UE è un dato di fatto e comporta, per le imprese europee, la perdita di opportunità in termini di crescita e di aumento della produttività. La mancanza di lavoratori qualificati sarà uno dei principali ostacoli alla crescita economica negli anni a venire.

5.3   I posti di lavoro «verdi» e lo sviluppo della «economia degli anziani», che comprende i servizi sociali e l'assistenza sanitaria, rendono possibile la creazione di nuovi posti di lavoro dignitosi per le categorie di lavoratori di tutte le età e il miglioramento della competitività e del potenziale di crescita dell'intera economia europea. Essi inoltre comportano un aumento della richiesta di nuove professioni e di competenze più aggiornate e più elevate.

5.4   L'istruzione e la formazione professionale possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi principali della strategia Europa 2020 precedentemente citati, in quattro modi: 1) fornendo la possibilità di passare da un'IFP ad una formazione specialistica e all'istruzione superiore, 2) sviluppando l'IFP ai livelli più elevati del quadro europeo delle qualifiche (EQF) sulla base di sistemi di IFP validi a livello secondario, 3) contribuendo alla creazione di strumenti adeguati per la validazione e l'accreditamento dei risultati dell'istruzione non formale a tutti i livelli e 4) sviluppando una formazione legata al lavoro nella quale gli adulti contribuiscono a garantire il successo dei giovani.

5.5   Per rafforzare la competitività delle imprese europee, è essenziale che l'Europa disponga di una forza lavoro mobile dotata di una serie di competenze e di capacità che siano adeguate alle attuali richieste del mercato del lavoro. Le imprese hanno bisogno di qualifiche trasparenti e comparabili, indipendentemente da come siano state acquisite le competenze.

5.6   La creazione di sistemi di crediti e di qualificazione basati sui risultati concreti dell'apprendimento renderà più facile valutare le capacità di cui dispone una singola persona, e questo contribuirà ad un maggiore coordinamento della domanda e dell'offerta sui mercati europei del lavoro. I datori di lavoro non premiano le qualifiche ma i risultati. Allo stesso modo, il sistema educativo dovrebbe tener conto sempre di più dei risultati concreti degli studi piuttosto che, ad esempio, del numero di settimane previste per un corso.

5.7   Le opportunità di passare dall'IFP all'istruzione superiore sono importanti e potrebbero essere agevolate da un miglioramento della trasparenza concernente i risultati. Il quadro europeo delle qualifiche potrebbe rivelarsi uno strumento utile per aumentare la permeabilità tra l'IFP e il sistema di crediti dell'istruzione superiore, in quanto trasforma i risultati dell'apprendimento in unità al livello corrispondente di qualifica.

5.8   L'IFP post secondaria non può essere inserita in una zona grigia tra l'IFP secondaria di secondo grado e l'istruzione superiore. L'IFP post secondaria è strategicamente importante nell'ambito della strategia Europa 2020 perché potrebbe rendere l'istruzione e la formazione professionale un'opzione di carriera più interessante agli occhi dei giovani e potrebbe fornire un sostegno al miglioramento delle qualifiche e al raggiungimento di livelli di istruzione più elevati. Dal punto di vista delle piccole e medie imprese in Europa, si riconosce che alcuni progressi sono stati raggiunti nel rendere più importante ed attraente l'IFP e l'IFP superiore. È tuttavia opportuno fare di più a tutti i livelli (europeo, nazionale, regionale, locale e settoriale) per diversificare l'offerta dei livelli più elevati di IFP, per migliorare la permeabilità, per riformare i sistemi di IFP e per definire incentivi finanziari, al fine di incoraggiare tanto le imprese quanto i singoli individui a organizzare e seguire corsi di IFP superiore.

5.9   La qualità e l'eccellenza sono essenziali per rendere l'IFP più attraente. Tuttavia un aumento della qualità costa caro e le PMI hanno sfide specifiche da affrontare: 1) le PMI sono i principali fornitori di IFPI, 2) esse devono aggiornare le competenze di tutti i loro lavoratori e non solo dei meglio qualificati. Per quanto concerne questa seconda sfida, la «formazione sul lavoro» è cruciale per migliorare le competenze nelle PMI.

5.10   La mobilità transfrontaliera per l'apprendimento è un settore chiave che le imprese sostengono da tempo, soprattutto per i giovani impegnati in corsi di IFP e in attività di apprendistato. L'Europa presenta tuttora, in questo campo, un livello insufficiente di mobilità per quanto concerne i lavoratori, i discenti e gli insegnanti. La loro mobilità può migliorare solo grazie alla buona conoscenza di almeno una lingua straniera.

6.   I motivi della mancanza di attrattiva dell'IFP, in particolare di quella post secondaria

6.1   Il termine istruzione superiore viene spesso impiegato come sinonimo di istruzione universitaria di orientamento accademico. Di frequente, all'istruzione superiore si oppone la formazione professionale, considerata di un livello più basso.

6.2   Le politiche volte a sviluppare e ad ampliare l'istruzione superiore non hanno prestato la dovuta attenzione all'IFP. L'istruzione e la formazione orientata alla professione (o al lavoro o al mercato occupazionale) sono già una parte importante anche se «invisibile» dell'istruzione superiore.

6.3   L'IFP è estremamente diversificata in Europa. La varietà di soluzioni istituzionali crea confusione. In alcuni paesi non ha molto senso riferirsi ad essa come a un sistema.

6.4   I sistemi nazionali d'istruzione e di formazione in quanto tali sono alquanto opachi e il livello di permeabilità tra i diversi percorsi di apprendimento è basso. L'istruzione e la formazione post secondaria vengono offerte da un gran quantità di fornitori: università, istituti terziari di IFP, scuole secondarie, centri d'istruzione per adulti, parti sociali, imprese private.

6.5   Le qualifiche nel campo dell'istruzione e della formazione professionale sono talvolta difficili da capire e non facilmente riconosciute in altri paesi. I programmi dell'IFP non si adattano ai modelli del processo di Bologna basati su tre cicli (laurea di primo livello, laurea magistrale, dottorato). Non c'è ancora una chiara visione di come e a quale livello classificare le qualifiche professionali nell'ambito del NQF e dell'EQF.

6.6   Non esiste alcun collegamento tra le qualifiche e competenze acquisite studiando e i sistemi nazionali di classificazione delle professioni.

6.7   L'immagine dell'industria stessa è compromessa a causa sia della visione che i mezzi di comunicazione spesso trasmettono sia della crisi attuale. Questo porta ad un aumento della sfiducia nelle imprese in Europa.

6.8   La stigmatizzazione e lo scarso riconoscimento sociale dei diplomati dei corsi di IFP dissuadono un numero nutrito di giovani dall'impegnarsi a seguire un percorso formativo del genere.

6.9   A un basso livello di conoscenze matematiche di base nella scuola primaria fa seguito la riluttanza da parte dei giovani a voler intraprendere una carriera in campo scientifico, tecnologico, ingegneristico o matematico, oppure a proseguire studi di tipo pratico.

6.10   C'è una scarsa capacità di rispondere alle necessità di competenze in costante evoluzione a causa dei rapidi cambiamenti determinati dalle TIC e dal passaggio graduale verso un'economia a basso consumo di carbonio.

6.11   Si percepisce anche una mancanza di prospettive in materia d'istruzione e di mercato del lavoro in ambiti quali l'accesso a studi supplementari, particolarmente a livello terziario, le prospettive occupazionali, il livello dei salari, la realizzazione professionale e l'adeguamento tra l'istruzione e l'occupazione.

6.12   I singoli individui e le loro famiglie inoltre non dispongono di informazioni e di assistenza adeguate quando si tratta di cominciare a discutere il futuro lavorativo dei giovani. Le esperienze dirette dei genitori e i loro percorsi professionali sono spesso i fattori principali che determinano la scelta finale della scuola o di un futuro mestiere. L'orientamento professionale è troppo spesso frammentato, non proattivo e lontano dalla pratica.

6.13   In numerosi Stati membri mancano incentivi finanziari e non finanziari da parte dei governi affinché i datori di lavoro possano investire e impegnarsi nell'istruzione e nella formazione professionale.

6.14   Il quadro di cooperazione tra i rappresentanti delle imprese e gli istituti d'istruzione non è adeguato a definire programmi capaci di bilanciare adeguatamente contenuti teorici e competenze professionali. Le scuole e le università mostrano tuttora una certa mancanza di fiducia quando si tratta di creare un collegamento con le imprese. Tra gli istituti d'istruzione, il valore dell'esperienza acquisita in ambienti esterni non è ancora abbastanza riconosciuto.

6.15   L'attuale popolazione attiva sta invecchiando. In molti paesi si è alle prese con la scarsità di insegnanti e di formatori negli istituti d'istruzione e di formazione professionale. Alcuni insegnanti e formatori inoltre non possono vantare esperienze recenti nell'ambito del mondo del lavoro.

6.16   Si sottovaluta il ruolo dell'istruzione e della formazione professionale nella lotta agli svantaggi sociali. Le persone svantaggiate hanno maggiormente tendenza ad abbandonare precocemente gli studi.

6.17   Nell'istruzione e nella formazione professionale, in particolare quella post secondaria, predominano gli stereotipi di genere che incidono negativamente sullo sviluppo delle carriere.

6.18   La mobilità transfrontaliera per l'apprendimento è un grosso problema nel campo dell'istruzione e formazione professionale e dell'apprendistato. In Europa il grado di mobilità è ancora scarso tra gli studenti e gli insegnanti dei corsi di IFP.

6.19   Risultano necessarie maggiori competenze linguistiche al fine di rendere la mobilità al tempo stesso possibile e proficua.

6.20   L'istruzione terziaria, e in particolare l'IFP post secondaria, non è vista come una sfida globale. È opportuno partecipare il più possibile alla diffusione delle conoscenze a livello mondiale.

7.   Come migliorare l'attrattiva dell'istruzione e della formazione professionale post secondaria

7.1   La percentuale di studenti universitari non può più essere considerata l'unico metro per misurare la modernità e il progresso. Le università da sole non possono assicurare la crescita economica e il progresso sociale. Tutti i percorsi alternativi devono essere identificati e promossi.

7.2   Il processo di Copenaghen, volto a garantire la trasparenza e la qualità delle qualifiche professionali, deve essere maggiormente collegato alla riforma dell'istruzione superiore. Unire entrambi i processi (Bologna e Copenaghen) in un unico approccio è fondamentale per assicurare un'integrazione efficace e sostenibile dei giovani nel mercato del lavoro.

7.3   È altresì necessario migliorare la reputazione dell'industria in Europa, conferendo un nuovo approccio alla politica industriale che tenga conto del suo importante contributo alla crescita, alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo dell'innovazione. Tale approccio sarebbe di sostegno all'industria in quanto metterebbe l'accento sulla sostenibilità, sull'innovazione e sulle competenze necessarie affinché l'industria europea continui ad essere competitiva sui mercati mondiali.

7.4   I servizi sono fondamentali per l'economia europea. Essi rappresentano il 70 % del PIL dell'UE e circa due terzi del totale dei posti di lavoro. Su dieci nuovi posti creati, nove riguardano i settori dei servizi. Questi ultimi forniscono nuove opportunità dal punto di vista dell'IFP post secondaria.

7.5   Un'Europa che deve far fronte ad una scarsità di manodopera in numerosi settori professionali deve concentrarsi maggiormente sull'equilibrio tra sistemi d'istruzione e di formazione e sulla ricerca del giusto mix tra istruzione generale, professionale e universitaria. L'istruzione e la formazione professionale post secondaria è la dimostrazione delle sfide esistenti in tale contesto. Il suo obiettivo è quello di sfruttare al massimo il posto di lavoro come un valido ambito di apprendimento.

7.6   I quadri delle qualifiche possono rivelarsi molto utili per i sistemi d'istruzione e di formazione professionale. Essi infatti offrono la possibilità di: unificare i sistemi di IFP; di incrementare la trasparenza, in modo che il valore delle diverse qualifiche possa essere più chiaramente riconosciuto dagli studenti, dai datori di lavoro e da altri soggetti interessati; di facilitare l'apprendimento permanente e di migliorare l'accesso all'istruzione superiore per tutti. Il lavoro svolto nell'ambito dei quadri delle qualifiche ha portato a rilanciare il dibattito sul profilo e sullo status dell'istruzione e della formazione professionale nonché sui modi per definirla e capirla.

7.7   Va sviluppato un autentico spirito di cooperazione tra gli istituti d'istruzione, i rappresentanti delle imprese e le PMI, basato sulla fiducia e sulla comprensione reciproche. Il CESE crede nella «Alleanza per la conoscenza» (7) recentemente proposta, vale a dire progetti comuni cui partecipano le imprese e il settore dell'istruzione e della formazione per lo sviluppo di nuovi programmi di studio destinati a far fronte al deficit di competenze innovative e a soddisfare le esigenze del mercato del lavoro. A tale proposito, la proposta della Commissione di organizzare nel 2012 il primo forum sull'istruzione e la formazione professionale e le imprese si rivela una novità promettente.

7.8   I settori industriali e le stesse imprese dovrebbero investire nella formazione al loro interno, offrire maggiori opportunità all'apprendistato e alla formazione sul luogo di lavoro, consentire ai loro lavoratori interessati e idonei di diventare educatori interni per gli apprendisti e per coloro che seguono una formazione sul luogo di lavoro, alimentare l'interesse dei loro lavoratori più adeguati a svolgere temporaneamente mansioni di educatore nell'ambito dell'istruzione e della formazione professionale, permettere l'organizzazione di corsi di IFP per i lavoratori durante le ore di lavoro e cooperare con i formatori nella progettazione di corsi corrispondenti alla domanda di mercato per determinate competenze.

7.9   Gli istituti di formazione dovrebbero continuare a sviluppare metodi di apprendimento integrati nel lavoro (questo significa che la maggior parte dell'apprendimento dovrebbe svolgersi sul luogo di lavoro ma non solo nell'ambito dell'apprendistato), avere un atteggiamento più flessibile verso l'IFP (grazie a metodi di apprendimento meno rigidi), introdurre l'uso delle TIC in tutti i tipi di IFP e cooperare intensamente con i settori industriali al fine di identificare nuovi bisogni in materia di apprendimento.

7.10   Dal momento che le carriere si diversificano, garantire un efficace orientamento professionale diventa sempre più difficile ma al tempo stesso sempre più essenziale e impegnativo. Le persone in generale e i giovani in particolare devono avere una chiara visione dei loro studi e delle loro prospettive. La vecchia idea secondo la quale la formazione professionale iniziale prepari gli studenti ad un'unica occupazione nel corso della loro intera vita professionale non è più sostenibile. L'orientamento professionale deve essere coerente, godere di risorse adeguate, avere un approccio proattivo e oggettivo e poggiare su dati di fatto concreti. Una particolare attenzione dovrebbe essere prestata alla consulenza rivolta ai disabili, che dev'essere fortemente personalizzata; al riguardo occorre tener conto dei diversi tipi di disabilità, e dunque delle limitazioni di mobilità che possono derivarne ma anche delle difficoltà che ne conseguono nell'acquisire determinate qualifiche.

7.11   Il ruolo della famiglia non deve essere sottovalutato. L'informazione, la consulenza e l'orientamento devono concentrarsi anche sulla famiglia in quanto i genitori e i familiari spesso svolgono un ruolo decisivo sulla scelta dell'indirizzo degli studi e della carriera professionale di una persona. Una più ampia informazione, una presa di coscienza e una politica basata su fatti concreti risultano necessarie per illustrare le opportunità che l'IFP superiore può offrire sul mercato del lavoro.

7.12   Tuttavia, l'offerta nel campo dell'IFP deve conciliare le preferenze degli studenti con le richieste dei datori di lavoro. Le preferenze degli studenti, pur essendo rilevanti, in genere da sole non bastano. Le esigenze dei datori di lavoro sono anch'esse importanti ma non sempre è facile determinarle. L'equilibrio tra le due componenti dipende anche dai finanziamenti forniti dai governi, dagli studenti e dai datori di lavoro.

7.13   Va garantita la parità di trattamento a tutti gli studenti e in tutti i percorsi educativi, così come occorre assicurare la parità di accesso alle sovvenzioni finanziarie a favore degli alloggi, dei trasporti, dell'assistenza sanitaria e dei regimi di previdenza sociale.

7.14   La qualità degli insegnanti e dei formatori è un fattore importante. Essi devono conoscere bene il luogo di lavoro. Per raggiungere questo obiettivo è opportuno favorire percorsi flessibili di assunzione, destinati a facilitare l'ingresso di coloro che sono dotati di competenze industriali nella forza lavoro degli istituti d'istruzione e formazione professionale. Occorre inoltre elaborare programmi per favorire la mobilità degli insegnanti.

7.15   Il ruolo delle parti sociali è essenziale per rendere l'istruzione e la formazione professionale maggiormente pertinente e flessibile. Per promuovere l'eccellenza in questo campo, le parti sociali dovrebbero partecipare maggiormente alla definizione e all'attuazione delle relative politiche, e in particolare alla elaborazione dei programmi educativi; questo permette di assicurare che le competenze insegnate siano rilevanti per il mercato del lavoro. I fatti dimostrano che i paesi che coordinano il collegamento tra le scuole e il mercato del lavoro e che inglobano i soggetti presenti sul mercato del lavoro nel monitoraggio, la supervisione e la certificazione delle competenze e delle qualifiche professionali sono generalmente considerati i paesi che hanno conseguito i migliori risultati in materia. Il CESE ha già illustrato diverse volte il ruolo dei consigli settoriali e trasversali per l'occupazione e le competenze (8) nell'analizzare le esigenze quantitative e qualitative del mercato del lavoro e ha accolto positivamente lo sforzo comune profuso dalle parti sociali europee al fine di concentrarsi sull'istruzione e la formazione nei loro programmi di lavoro congiunti (9).

7.16   In seguito alla crisi, diverse soluzioni intelligenti ed efficaci sono state elaborate dalle imprese per mantenere i posti di lavoro e lanciare diversi programmi d'istruzione e formazione. Il parere del CESE sulle strategie di uscita dalla crisi (10) illustra una serie di «buone pratiche» a tale proposito.

7.17   La mobilità per l'apprendimento contribuisce a favorire l'occupabilità, in particolare quella dei giovani, attraverso l'acquisizione di competenze chiave. Pertanto, il CESE accoglie favorevolmente il quadro di valutazione ambizioso ma politicamente necessario proposto dalla Commissione sulla mobilità per l'apprendimento, in base al quale per lo meno il 10 % di coloro che hanno concluso un ciclo iniziale di IFP devono aver effettuato un periodo di studio o di formazione all'estero. Questo dovrebbe migliorare la mobilità in materia di IFP in termini sia quantitativi sia qualitativi, mettendo su un piede di parità l'IFP e l'istruzione superiore.

7.18   Il recente Libro verde sul riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali (11) ha lanciato un pubblico dibattito su come ridurre e semplificare le norme restrittive che disciplinano le qualifiche professionali al fine di migliorare il funzionamento del mercato interno e incrementare la mobilità transfrontaliera e l'attività delle imprese. Il successo della Carta professionale europea, recentemente proposta, dipenderà innanzi tutto dalla fiducia reciproca e dalla cooperazione tra gli Stati membri.

7.19   Il CESE è convinto sia essenziale che tutti gli insegnanti e i formatori, particolarmente nell'ambito dell'IFP, abbiano le competenze linguistiche di alto livello che risultano necessarie per promuovere l'apprendimento integrato di lingua e contenuto (CLIL) (ET 2020). Il Comitato sostiene le attività svolte in questo settore dalla piattaforma delle imprese per il multilinguismo (12) e dalla piattaforma della società civile per il multilinguismo, destinate a garantire a tutti opportunità di apprendimento linguistico nell'intero arco della vita (13).

7.20   Nel ventunesimo secolo è indispensabile eliminare gli stereotipi che già esistono nelle scuole primarie e promuovere pari opportunità tra uomini e donne a tutti i livelli d'istruzione e formazione, sostenendo le misure culturali volte ad indirizzare maggiormente le giovani donne agli studi scientifici e tecnologici, come si afferma nel Patto europeo per la parità di genere (14).

7.21   Negli ultimi dieci anni, a livello nazionale sono stati elaborati e attuati diversi approcci basati sulla condivisione dei costi. Questo ha modificato il rapporto tra i contributi degli Stati, dei datori di lavoro e dei singoli cittadini. Tra le misure finanziarie figurano: fondi di formazione, incentivi fiscali, sovvenzioni, conti individuali d'apprendimento, prestiti e programmi di risparmio. Il loro obiettivo è di incrementare la partecipazione e gli investimenti privati al sistema europeo di crediti nel campo dell'istruzione e della formazione professionale (ECVET).

7.22   Per quanto concerne gli investimenti nelle risorse umane, il maggior contributo a titolo del bilancio UE proviene dal Fondo sociale europeo (FSE). Per elevare i livelli di competenze e per contribuire a ridurre gli alti tassi di disoccupazione giovanile in numerosi Stati membri, le azioni attualmente sostenute dal programma Leonardo saranno potenziate nel corso del prossimo quadro finanziario pluriennale (15).

8.   Un'adeguata attuazione degli strumenti e dei principi europei a livello nazionale

8.1   Grazie al lancio di strumenti destinati ad intensificare la cooperazione europea nel campo dell'istruzione e della formazione professionale, è emersa chiaramente la necessità di una maggiore cooperazione tra le diverse strutture al fine di migliorarne il funzionamento.

8.2   I processi di Copenaghen e Bologna non possono continuare a svilupparsi indipendentemente l'uno dall'altro, occorre anzi incrementare l'interoperabilità e la comparabilità tra i rispettivi strumenti. È opportuno riconoscere che il processo di Copenaghen è in una fase meno avanzata dato che mancano ancora alcuni anni prima di poter garantire il funzionamento ottimale dell'ECVET (16) e del quadro europeo delle qualifiche.

8.3   L'EQF (quadro europeo delle qualifiche), l'ECVET (sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale) e l'EQAVET (quadro europeo di riferimento per l'assicurazione della qualità dell'istruzione e della formazione professionale) dovrebbero contribuire a promuovere l'apprendimento a tutti i livelli e in tutti i tipi d'istruzione e di formazione. Il quadro europeo delle qualifiche dovrebbe essere valutato ai livelli 6-8 dei quadri nazionali, alla pari dell'istruzione superiore. Per quanto concerne l'ECVET, il sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale, è necessaria un'attuazione che sia in linea con l'ECTS (17), dato che l'ECVET non è ancora operativo.

8.4   Gli strumenti europei possono essere integrati da quelli nazionali (ad esempio il quadro nazionale delle qualifiche) o adottati nell'ambito degli ordinamenti nazionali (ad esempio i sistemi nazionali dei crediti) qualora se ne dimostri la necessità nell'ambito delle riforme nazionali. Risulta necessaria una maggiore interazione tra i vari livelli (UE, nazionale, regionale).

8.5   Occorre inoltre fare progressi nell'attuazione del cosiddetto «Erasmus per gli apprendisti». Questo programma consentirà all'istruzione e alla formazione professionale di essere considerata alla pari delle iniziative d'istruzione superiore e quindi contribuirà alla sua promozione, conferendole una dimensione internazionale, affrontando i problemi legati alla mancanza di mobilità e rafforzando la visibilità e l'attrattiva dell'IFP post secondaria.

8.6   Tuttavia, la Commissione non dovrebbe esagerare con la creazione di nuovi strumenti bensì aspettare che sia stato valutato il potenziale valore aggiunto di quelli già esistenti. La comunicazione e la cooperazione nell'ambito degli strumenti esistenti e tra gli strumenti stessi deve essere migliorata affinché i loro obiettivi si traducano in realtà concrete.

8.7   Il CESE ha elaborato una serie di pareri di qualità su tali strumenti, ad esempio sull'ECVET (18) e sull'EQAVET (19), nonché sulla comparabilità delle qualifiche di formazione professionale tra gli Stati membri (20).

Bruxelles, 19 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Un bilancio per la strategia Europa 2020, COM(2011) 500 definitivo, parte I e II, del 29 giugno 2011.

(2)  COM(2010) 296 definitivo.

(3)  EQF (quadro europeo delle qualifiche), ECVET (sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale), EQAVET (quadro europeo di riferimento per l'assicurazione della qualità dell'istruzione e della formazione professionale), Europass (un portfolio di documenti per facilitare la mobilità geografica e professionale).

(4)  Documento di ricerca del Cedefop n. 15 L'istruzione e la formazione professionale ai livelli più alti di qualifica.

(5)  Relazione finale dal titolo Identificazione delle future esigenze in materia di competenze nelle microimprese e nelle imprese artigiane di qui al 2020, FBH (Istituto di ricerca sulla formazione professionale nel settore artigianale dell'Università di Colonia, gennaio 2011).

(6)  Learning for Jobs («Apprendere per il mondo del lavoro»), valutazione OCSE incentrata sull'istruzione e la formazione professionale (http://www.oecd.org/dataoecd/41/63/43897561.pdf).

(7)  Iniziativa faro Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione.

(8)  Parere esplorativo del CESE, GU C 347 del 18.12.2010, pag. 1.

(9)  Quadro d'azione per lo sviluppo delle competenze e delle qualifiche lungo l'intero arco della vita (2002) e Accordo autonomo sui mercati del lavoro inclusivi (2010).

(10)  Parere d'iniziativa del CESE, GU C 318 del 29.10.2011, pag. 43.

(11)  COM(2011) 367 definitivo - Libro verde. Modernizzare la direttiva sulle qualifiche professionali, 22 giugno 2011.

(12)  http://ec.europa.eu/languages/pdf/business_en.pdf.

(13)  http://ec.europa.eu/languages/pdf/doc5080_en.pdf.

(14)  3073a riunione del Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori, 7 marzo 2011.

(15)  Un bilancio per la strategia Europa 2020, COM(2011) 500 definitivo del 29 giugno 2011.

(16)  Sistema europeo di crediti nel campo dell'istruzione e della formazione professionale (ECVET), che consente di convalidare, riconoscere e raccogliere le competenze e le conoscenze in campo professionale.

(17)  Sistema europeo per il trasferimento di crediti (ECTS).

(18)  Parere del CESE, GU C 100 del 30.4.2009, pag. 140.

(19)  Parere del CESE, GU C 100 del 30.4.2009, pag. 136.

(20)  Parere del CESE, GU C 162 del 25.6.2008, pag. 90.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Punto 1.10

Modificare come segue:

Le organizzazioni imprenditoriali dovrebbero partecipare attivamente ai sistemi di consulenza e di orientamento in quanto rappresentano sulle opportunità offerte dall'istruzione e dalla formazione professionale (IFP) e dal mercato del lavoro. Esse dovrebbero aiutare gli istituti di istruzione e di formazione a concepire forme di apprendimento integrate con l'attività professionale e a sviluppare nuovi metodi.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

81

Voti contrari

:

100

Astensioni

:

20

Punto 1.18

Modificare come segue:

Le preferenze degli studenti e le aspettative delle loro famiglie dovrebbero essere con le esigenze dei datori di lavoro. In futuro si potrebbe far uso della panoramica delle competenze recentemente sviluppata dall'UE, e delle sue previsioni riguardo all'offerta di competenze e alle esigenze del mercato del lavoro.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

75

Voti contrari

:

127

Astensioni

:

18


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Occupazione giovanile, qualifiche professionali e mobilità» (parere d'iniziativa)

2012/C 68/02

Relatrice: ANDERSEN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Occupazione giovanile, qualifiche professionali e mobilità.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 173 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Lo sviluppo demografico pone notevoli sfide al mercato del lavoro, e le conseguenze della crisi economica mostrano che i mercati del lavoro devono affrontare dei problemi strutturali. Sono soprattutto i giovani, anche quelli in possesso di valide qualifiche, a incontrare difficoltà nell'accesso al mercato del lavoro. Pertanto gli Stati membri dovrebbero attuare le riforme stabilite nella strategia Europa 2020 e nei programmi nazionali di riforma per rilanciare la crescita.

1.2   La disoccupazione giovanile comporta notevoli svantaggi economici e sociali per la società e per i giovani stessi, e limita le possibilità di crescita. La competitività europea dipenderà in larga misura dalla presenza di lavoratori qualificati, e vi è il rischio che l'Europa resti indietro nella competizione volta ad aggiudicarsi i lavoratori specializzati e altamente qualificati.

1.3   Nessuno sa veramente come saranno i posti di lavoro di domani, ma la formazione dovrebbe essere fondata sulle esigenze dei mercati del lavoro e sui problemi reali da risolvere. Il riconoscimento delle qualifiche ottenute al di fuori dei sistemi di formazione andrebbe rafforzato, e nei programmi scolastici si dovrebbe dare maggiore risalto alle competenze generali e innovative.

1.4   Occorre eliminare le barriere tra il sistema scolastico e il mercato del lavoro, evitando di attribuire un'importanza eccessiva alle considerazioni di carattere finanziario. Il partenariato tra imprese e sistema di istruzione dovrebbe essere approfondito per quanto riguarda la definizione dei programmi didattici e l'anticipazione delle esigenze future. La formazione dovrebbe portare all'occupazione.

1.5   Il sistema di formazione duale e i tirocini dovrebbero avere una maggiore diffusione nel campo dell'istruzione, anche nei relativi percorsi di insegnamento superiore e formazione professionale. Le sinergie tra, da un lato, attività pratica e apprendimento sul lavoro e, dall'altro, lezioni di carattere teorico rafforzano l'occupabilità dei giovani, garantiscono un migliore accesso al mondo del lavoro e favoriscono lo sviluppo della formazione.

1.6   Gli Stati che intendono introdurre un sistema di formazione duale dovrebbero ottenere dei finanziamenti dal Fondo sociale europeo per coprire i costi iniziali di tale iniziativa.

1.7   Un mercato del lavoro aperto e dinamico può favorire la mobilità e creare opportunità occupazionali specialmente per i giovani. Nel quadro della strategia Europa 2020 e dei programmi nazionali di riforma, gli Stati membri sono tenuti a modernizzare i loro mercati del lavoro per aumentarne la capacità di assorbimento e migliorarne il funzionamento.

1.8   Una politica attiva del mercato del lavoro, che motivi le persone che cercano un impiego e gli occupati a intraprendere una formazione permanente, contribuisce a rafforzare la mobilità professionale e geografica creando così maggiori opportunità di occupazione.

2.   Obiettivi e introduzione

2.1   La gioventù europea è il futuro dell'Europa: ciononostante, sono tanti i giovani che non hanno un impiego o non possiedono le qualifiche adatte. Inoltre molti giovani, anche in possesso di adeguate qualifiche, incontrano difficoltà nell'accedere al mercato del lavoro.

2.2   Il presente parere affronta il tema delle possibilità occupazionali per i giovani. In quest'ambito rientrano il fabbisogno futuro di tecnici e lavoratori specializzati, l'accesso dei giovani al mercato del lavoro e la mobilità professionale. Si tratta della forza lavoro «centrale», con una formazione tecnica o specializzata oppure con qualifiche di livello medio, che, stando ai dati del Cedefop, nel 2020 costituirà il 50 % degli occupati.

2.3   Il parere intende presentare proposte concrete per migliorare le possibilità occupazionali dei giovani e garantire alle imprese le competenze di cui hanno bisogno.

2.4   Nel concetto di «qualifiche» rientrano numerosi aspetti, come ad esempio le competenze sociali e generali e le competenze e le qualifiche di carattere tecnico e professionale, acquisite nel quadro di un sistema di formazione generale e professionale ma anche sul posto di lavoro e all'interno di relazioni e attività sociali e familiari.

2.5   Il parere si propone di rispondere a due domande strettamente collegate: (1) Quali saranno le qualifiche necessarie nel futuro mercato del lavoro? e (2) In che modo garantire l'inserimento dei giovani e le possibilità di mobilità professionale?

2.6   La Commissione europea ha lanciato diverse iniziative faro in questo campo: le più recenti sono Youth on the Move e Un'agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro. Queste iniziative, che rivestono un'importanza fondamentale e comprendono diversi progetti volti a migliorare le possibilità occupazionali dei giovani, vengono trattate nei pareri del Comitato in materia (1).

3.   La situazione attuale in Europa

3.1   A causa dell'andamento demografico, la popolazione attiva dell'UE sta diminuendo: la vecchia generazione del baby boom lascia il mercato del lavoro e viene sostituita dai più giovani, meno numerosi. Il mercato del lavoro si trova dunque a dover affrontare grandi sfide, poiché un'ampia offerta di manodopera qualificata è decisiva per la crescita europea.

3.2   Stando all'ultima edizione di EU Employment and Social Situation Quarterly Review della Commissione europea, il mercato del lavoro dell'UE si sta riprendendo solo lentamente e in modo disomogeneo. Anche se vengono creati nuovi posti di lavoro, essi non sono sufficienti, e specialmente il tasso di disoccupazione giovanile (20,3 %) impone di agire in modo rapido ed efficace.

3.3   La disoccupazione colpisce tutte le categorie di giovani, anche i più svantaggiati, indipendentemente dai livelli di istruzione e formazione. Tuttavia, il rischio di non trovare lavoro è più elevato per i giovani scarsamente qualificati o privi di esperienza professionale. Inoltre, anche la disoccupazione di lunga durata è aumentata, raggiungendo il 9,5 % nel marzo 2011, e molti giovani rischiano di esserne colpiti.

3.4   Tanto la disoccupazione quanto la sottoccupazione dei giovani comportano notevoli svantaggi economici e sociali per la società e per gli stessi giovani, e limitano le possibilità di crescita.

3.5   Nel periodo precedente la crisi è stato creato un numero relativamente elevato di posti di lavoro: secondo la Commissione europea, si è trattato di 20 milioni di nuovi posti di lavoro tra il 1995 e il 2006.

3.6   Successivamente, però, durante la crisi ne sono andati perduti circa 5 milioni. Secondo Eurofound, si tratta in particolare di posti scarsamente remunerati per persone non qualificate. Tuttavia, a tale riguardo si registrano notevoli differenze tra i vari Stati membri.

3.7   Il Cedefop calcola che saranno creati circa 7 milioni di posti di lavoro nel periodo 2010-2020, mentre altri 73 milioni circa si libereranno a seguito degli sviluppi demografici. La maggior parte dei nuovi posti sarà destinata a lavoratori altamente qualificati.

3.8   Paradossalmente, in taluni paesi e settori si registra, contemporaneamente ad un elevato tasso di disoccupazione, una carenza di manodopera, il che denota la persistenza di problemi strutturali nei mercati del lavoro europei. Ad esempio, alla fine del 2009 nei Paesi Bassi vi erano 118 000 posti vacanti, e in Germania e Polonia vi sono rispettivamente 87 800 e 18 300 posti di lavoro disponibili nel settore IT.

3.9   La competitività del settore privato dipende in larga misura dalla presenza di lavoratori altamente qualificati. Se le imprese private non trovano lavoratori adatti in Europa, possono vedersi costretti a rivolgersi ad altre regioni del mondo, dove ve ne è la disponibilità. L'andamento demografico comporterà anche la necessità di nuova manodopera nel settore dell'assistenza e della cura degli anziani, nonché in campo sanitario.

4.   Il futuro fabbisogno di manodopera

4.1   Il calo dell'occupazione e l'urgente necessità di rilanciare la crescita rendono ancora più necessario che le prossime generazioni di lavoratori dispongano di un livello elevato di istruzione e formazione, corrispondente al fabbisogno attuale e futuro. Ciò impone anche di ridurre il tasso di abbandono scolastico e aumentare il numero di giovani che portano a termine una formazione professionale. È altresì decisivo che il mercato del lavoro sia orientato in modo tale da consentire ai giovani di accedervi. Gli ultimi anni hanno dimostrato che è molto difficile passare dalla formazione al lavoro. Inoltre, le barriere legate alla formazione e al diritto del lavoro rendono più arduo cambiare impiego.

4.2   L'UE e gli Stati membri si sono già impegnati a effettuare una serie di riforme nel quadro della strategia Europa 2020, delle migliori pratiche e dei programmi nazionali di riforma. In tale contesto alcuni Stati membri hanno proposto delle riforme intese ad adeguare maggiormente il loro sistema di istruzione alle esigenze dei mercati del lavoro.

4.3   In materia di istruzione e formazione, la strategia Europa 2020 si prefigge due obiettivi essenziali, che sono però puramente quantitativi. Altrettanto interessante è la capacità dei sistemi di istruzione e formazione di fornire ai giovani le qualifiche adeguate - ossia quelle che sono richieste e che essi potranno utilizzare.

4.4   In base alle previsioni, il livello di istruzione e formazione degli europei crescerà ulteriormente, ma esiste il rischio di una polarizzazione. Secondo alcune previsioni, l'obiettivo di portare almeno al 40 % la percentuale di persone tra i 30 e i 34 anni in possesso di un diploma d'istruzione di livello universitario verrà probabilmente raggiunto nel 2017.

4.5   Sembra invece che, per l'obiettivo di portare il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10 % nel 2020, le prospettive siano meno rosee. Ad esempio, il Cedefop prevede che nel 2020 almeno l'83 % dei giovani tra i 22 e i 24 anni (contro il 78 % nel 2010) avrà completato il secondo ciclo dell'istruzione secondaria – nel quadro di istituti professionali o licei. Per assicurare un'offerta abbondante di manodopera qualificata, il fatto che molti giovani siano privi di qualifiche costituisce una notevole sfida, dato che per i posti di lavoro del futuro saranno richiesti principalmente lavoratori altamente qualificati o specializzati. Per questo motivo, bisogna innanzitutto far sì che un maggior numero di giovani porti a termine una formazione qualificata, comprendente anche competenze professionali.

4.6   La globalizzazione e le nuove tecnologie trasformeranno il mercato del lavoro, determinando, tra l'altro, un accorciamento costante del ciclo di vita dei prodotti. Gli spostamenti tra i vari settori e le nuove modalità di organizzazione del lavoro creeranno nuova occupazione, ma richiederanno anche nuove competenze.

4.7   Aumenteranno così le esigenze in termini di apprendimento permanente, formazione degli adulti e capacità di adattamento, tutti aspetti che appartengono ormai alla vita professionale. Esiste a tale riguardo una responsabilità comune delle parti sociali e degli istituti di istruzione, che insieme possono trovare soluzioni innovative.

4.8   Secondo il Cedefop, entro il 2020 la domanda di manodopera altamente qualificata aumenterà di circa 16 milioni di unità e la domanda di manodopera mediamente qualificata di circa 3,5 milioni. In compenso, si prevede un calo della domanda di personale scarsamente qualificato di circa 12 milioni di unità.

4.9   Per il periodo 2010-2020 si prevede un notevole calo dell'occupazione nelle industrie primarie, ma anche nel settore della produzione e trasformazione dei prodotti. La crescita maggiore sarà registrata nel settore dei servizi, in particolare dei servizi alle imprese, ma anche la distribuzione, la ristorazione, l'assistenza sanitaria e i trasporti sono settori in espansione. Vi sarà una crescita in settori ad alta intensità di conoscenze ma anche in settori a minore intensità di conoscenze, come ad esempio il commercio al dettaglio. È ancora in atto la transizione verso un'economia basata sulla conoscenza e un mondo orientato all'innovazione e in rapida trasformazione. È quindi importante che le nuove competenze specializzate si traducano in conoscenze, il che a sua volta darà luogo a innovazioni e a nuovi prodotti e servizi. La capacità di adattamento continua a essere un parametro essenziale tanto per i singoli quanto per il sistema di istruzione, al fine di rispondere alle esigenze del mercato del lavoro.

4.10   L'innovazione è un elemento chiave di ogni analisi dei modelli occupazionali e delle esigenze future in termini di competenze. Per innovazione si intende la capacità di migliorare i processi e metodi, ma un ruolo importante in tale contesto spetta anche alle competenze generali, come la creatività, la capacità di risolvere problemi, di collaborare e di dirigere, nonché allo spirito imprenditoriale. Ad esempio, nei settori industriali a più forte intensità di conoscenze lavorano molte persone che non sono di per sé altamente qualificate, ma contribuiscono all'innovazione tramite il miglioramento dei processi o dell'organizzazione del lavoro.

4.11   Alcuni studi dimostrano che l'innovazione, su cui si fonda la crescita, nasce innanzitutto dalle imprese, le quali si sviluppano sulla base degli input e delle richieste dei clienti, dei fornitori e dei dipendenti.

4.12   In ogni caso, l'innovazione non va considerata come una disciplina. La capacità di innovazione pone nuove esigenze ai sistemi di istruzione, tra cui la questione di come rafforzare le competenze innovative dei giovani, in modo che essi, nella loro vita professionale, possano contribuire direttamente alla creazione di ricchezza nella nostra società.

5.   La futura manodopera «centrale» e i sistemi di istruzione

5.1   Nessuno sa veramente come saranno i posti di lavoro di domani. L'UE lancerà tra breve una panoramica europea delle competenze, verranno istituiti dei consigli settoriali per le competenze (SSC = Sector Skills Council) e sarà possibile prevedere sempre meglio le esigenze future e le strozzature. A causa della concorrenza globale, dello sviluppo tecnologico e delle migrazioni dei lavoratori, fattori quali la flessibilità e la capacità di adattamento del sistema di istruzione diventeranno decisivi.

5.2   Inoltre occorrerà assicurare un'interazione e una cooperazione molto più stretta tra istituti d'istruzione, governi e datori di lavoro, ad esempio nella messa a punto dei programmi di studio. Le qualifiche vengono acquisite e perfezionate lungo tutto l'arco della vita, tramite la formazione e il lavoro. Tuttavia, esse possono essere acquisite anche al di fuori del mercato del lavoro, cosa che andrebbe maggiormente riconosciuta.

5.3   La formazione della futura manodopera «centrale» inizia già nella scuola elementare: è a tale livello, quindi, che occorre migliorare la qualità dell'istruzione impartita. A scuola i bambini e i ragazzi dovrebbero anche imparare ad imparare, e ad appropriarsi di nuove conoscenze. È importante, ad esempio, l'orientamento scolastico nella scuola elementare e media inferiore, così come l'orientamento professionale. A tal fine gli insegnanti devono avere le necessarie competenze.

5.4   Anche se il sistema di formazione professionale è oggetto di un altro parere del CESE (2), occorre sottolineare che questo tipo di formazione svolge un ruolo essenziale per garantire le qualifiche necessarie per il futuro.

5.5   La formazione professionale si trova però di fronte a importanti sfide, riguardanti ad esempio l'immagine e la qualità dei corsi, la capacità di coprire le competenze necessarie alla vita lavorativa e la promozione dell'occupabilità. In molti casi si riscontrano elevate percentuali di abbandono, dovute alle scarse conoscenze di base dei giovani, ad esempio la capacità di lettura. Inoltre è spesso difficile passare dal sistema di formazione professionale al sistema di istruzione superiore. Infine, i costi di formazione continuano a essere differenziati in base al sesso.

5.6   In materia di formazione professionale alcuni paesi hanno introdotto un sistema «duale». Ciò significa che la formazione viene articolata in lezioni scolastiche tradizionali, da un lato, e in attività di lavoro e formazione nelle imprese, dall'altro. Tramite lo stretto contatto con le imprese, si creano delle possibilità di accesso al mondo del lavoro e viene garantito che la maggior parte delle persone che completano la formazione professionale trovi rapidamente un impiego. Al contrario, sistemi di formazione professionale come quello svedese, belga e spagnolo sono caratterizzati da scarsi contatti con le imprese, poiché le formazioni si svolgono principalmente negli istituti scolastici. Allo stesso tempo, molti giovani di questi paesi incontrano difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro.

5.7   Poiché la combinazione di lavoro, esperienza pratica e formazione scolastica viene indicata da molti (Commissione, OCSE, Parlamento, ecc.) come una valida modalità di accesso al mercato del lavoro, il CESE proporrà iniziative concrete intese a diffondere ulteriormente il sistema di formazione duale nell'Unione europea.

6.   Ingresso nel mondo del lavoro e mobilità professionale

6.1   Il passaggio dalla formazione al lavoro, e quindi dal sistema di formazione al mercato del lavoro, comporta spesso tutta una serie di considerazioni finanziarie. Benché un più stretto collegamento tra il sistema di formazione e il mercato del lavoro così come la promozione dell'accesso dei giovani al mercato del lavoro siano priorità dell'UE, sono tante le sfide emerse in tale ambito negli scorsi anni.

6.2   La mobilità professionale e geografica in Europa continua ad essere limitata, e spesso si scontra con ostacoli legati ai sistemi delle qualifiche, a problemi nel riconoscimento delle qualifiche oppure a scarse opportunità di orientamento. A tale proposito i programmi di scambio e mobilità dell'UE rivestono un'importanza decisiva e vanno pertanto rafforzati. Mentre in passato si tendeva a privilegiare l'istruzione superiore, in futuro si dovranno mettere in risalto anche le possibilità di mobilità per le formazioni tecniche e professionali, ad esempio nel quadro di tirocini aziendali transfrontalieri. Questi dispositivi potrebbero ad esempio migliorare la situazione delle regioni di confine, se in un paese vi è carenza di posti di tirocinio mentre nel paese vicino sussiste un'ampia offerta.

6.3   A tale riguardo il sistema di formazione duale potrebbe fungere da trampolino per garantire ai giovani un avvio positivo e sicuro nel mercato del lavoro, assicurando al tempo stesso che le imprese dispongano di competenze adeguate. Ad esempio, un'indagine condotta da Eurobarometro ha dimostrato che l'87 % dei datori di lavoro, al momento di assumere personale, considera essenziali le esperienze pratiche di lavoro, maturate tra l'altro nel quadro di un tirocinio.

6.4   La combinazione di corsi teorici nella scuola e apprendimento sul posto di lavoro dovrebbe essere maggiormente diffusa. A tal fine, però, andrebbe previsto un quadro contrattuale, nel cui ambito venga chiesto alle imprese di partecipare alla formazione dei giovani e dei singoli tirocinanti. Ciò sarebbe vantaggioso per tutti gli interessati. Le imprese potrebbero, da un lato, scegliere da una più ampia offerta di manodopera, e dall'altro profittare di nuove conoscenze e ispirazioni. Gli istituti di istruzione, invece, avrebbero accesso a maggiori conoscenze e ad una collaborazione con le imprese. Il singolo studente, poi, trarrebbe profitto dall'esperienza pratica svolta nel mondo del lavoro.

6.5   Poiché, all'inizio, la creazione e la diffusione di un sistema di formazione duale comportano dei costi aggiuntivi, i fondi e i programmi UE, come il Fondo sociale, potrebbero fornire un capitale di avviamento agli Stati e alle regioni che intendono introdurre tale sistema.

6.6   In ogni caso, se si vuole assicurare un avvio promettente della vita lavorativa, garantire la mobilità professionale e l'evoluzione della carriera, bisogna che siano soddisfatte determinate condizioni. Si tratta, al tempo stesso, di promuovere la creazione di posti di lavoro e assicurare mercati del lavoro aperti e dinamici, che da un lato favoriscano la mobilità e dall'altro garantiscano ai giovani un ingresso sicuro nella vita professionale. Un mercato del lavoro che offra un'ampia gamma di possibilità e proponga la riqualificazione volontaria contribuisce ad agevolare l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

6.7   Nel quadro della strategia Europa 2020 molti paesi stanno riformando i loro mercati del lavoro per aumentarne la capacità di assorbimento e migliorarne il funzionamento. In particolare, per favorire l'occupabilità dei giovani occorre eliminare gli ostacoli che impediscono ai datori di lavoro di offrire loro un contratto di lavoro normale. Questo non dovrebbe costituire un vantaggio o uno svantaggio né per i datori di lavoro né per i lavoratori: soltanto il tipo di lavoro dovrebbe essere decisivo per scegliere la forma contrattuale da dare all'assunzione.

6.8   Bisogna quindi realizzare una politica attiva del mercato del lavoro, che offra sia a coloro che cercano un impiego sia agli occupati degli incentivi per l'apprendimento permanente, il perfezionamento professionale e lo sviluppo delle competenze. Occorre una politica attiva del mercato del lavoro che contribuisca a rafforzare la mobilità aprendo così delle prospettive di lavoro specialmente per i giovani.

6.9   Allo stesso tempo, possono contribuire alla mobilità sul mercato del lavoro anche tutti quei diritti individuali che non sono legati a una specifica impresa o impiego, ma che accompagnano i singoli in tutta la vita lavorativa, anche quando cambiano lavoro, come ad esempio i diritti pensionistici e le formazioni finanziate tramite fondi.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Pareri CESE sul tema Youth on the Move, GU C 132 del 3.5.2011, pag. 55, e sul tema Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione, GU C 318 del 29.10.2011, pag. 142.

(2)  Parere CESE sul tema Rendere l'istruzione e la formazione professionale post secondaria un'alternativa attraente all'istruzione superiore (Cfr. pagina 1 della presente Gazzetta ufficiale).


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Coinvolgere la società civile nella creazione di una futura comunità europea dell'energia» (parere d'iniziativa)

2012/C 68/03

Relatore: COULON

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 giugno 2011, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Coinvolgere la società civile nella creazione di una futura comunità europea dell'energia.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 dicembre 2011.

Alla sua …a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 183 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Risultati e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva le recenti iniziative della Commissione europea volte a proseguire le interconnessioni e a completare il mercato interno dell'energia. Sostiene inoltre gli sforzi - in particolare a livello del Consiglio - tesi a rafforzare la posizione dell'UE e dei suoi Stati membri sulla scena internazionale. In particolare, il CESE prende atto della tabella di marcia per l'energia 2050 pubblicata dalla Commissione europea il 15 dicembre 2011, soprattutto nella prospettiva di «definire un approccio europeo in cui tutti gli Stati membri condividano una visione comune» (trad. provv.).

1.2   Il CESE sostiene l'idea di creare una comunità europea dell'energia (CEE) e approva le tappe intermedie necessarie, in particolare la creazione di reti energetiche regionali, di un fondo per lo sviluppo delle energie rinnovabili e di un gruppo per l'acquisto del gas.

1.3   Raccomanda di andare oltre integrando i mercati europei al fine di far convergere e ridurre i prezzi dell'energia. Per quanto riguarda il mix energetico, consiglia inoltre di optare per le scelte più coerenti ed efficaci su scala europea. Una possibilità sarebbe quella di istituire una cooperazione rafforzata tra gruppi di Stati membri sulla base di progetti prioritari di infrastrutture, delle interconnessioni e della complementarità a livello della produzione e dell'approvvigionamento energetico.

1.4   Propone di concentrare gli investimenti, compresi quelli a livello nazionale, sulla ricerca nel campo delle tecnologie energetiche a basse emissioni di carbonio. Particolare attenzione dovrà essere rivolta alle energie rinnovabili e a progetti di vasta portata capaci di contribuire alla re-industrializzazione dell'Europa e all'occupazione.

1.5   Il CESE chiede che tra gli obiettivi della politica energetica comune dell'UE figuri l'accesso universale alle fonti di energia. Raccomanda alle autorità competenti e ai fornitori di energia di informare sistematicamente i consumatori finali dei loro diritti e, all'occorrenza, di rafforzare la protezione dei consumatori. Raccomanda inoltre di rispondere tempestivamente al problema della precarietà energetica, in particolare tramite un «patto europeo di solidarietà energetica».

1.6   Invoca la creazione di una struttura comune per l'approvvigionamento di energie fossili e invita a rafforzare le competenze dell'UE nella negoziazione e nel controllo degli accordi internazionali per la fornitura di energia.

1.7   Raccomanda di intensificare la cooperazione in materia energetica con i paesi in via di sviluppo e limitrofi dell'UE in un'ottica di sviluppo e partenariato.

1.8   Vista l'importanza delle questioni ambientali, l'entità degli investimenti da realizzare, le ripercussioni sociali delle decisioni politiche, le conseguenze sugli stili di vita e la necessità di godere del sostegno dell'opinione pubblica, è indispensabile che i cittadini siano informati e coinvolti nel dibattito sulle questioni energetiche. Il CESE chiede pertanto la creazione di un forum europeo della società civile con il compito di seguire le problematiche energetiche, che consenta alle organizzazioni che ne fanno parte di far sentire il loro punto di vista ai decisori.

1.9   Il CESE dovrà essere sede di un dialogo strutturato periodico con la società civile europea riguardo allo stato di avanzamento della comunità europea dell'energia.

1.10   Il CESE raccomanda di valutare entro il 2014 i progressi realizzati alla luce dell'articolo 194 del TFUE ed esaminare se siano necessari dei cambiamenti sulla base delle proposte contenute nel presente parere.

2.   La politica energetica dell'UE: sfide, progressi e limiti

2.1   La situazione energetica dell'UE si caratterizza per uno squilibrio crescente tra produzione e consumo interno e una dipendenza forte e persistente dalle fonti energetiche a elevate emissioni di carbonio. L'Unione europea deve quindi far fronte contemporaneamente a tre grandi sfide, a priori difficilmente conciliabili:

la lotta contro il cambiamento climatico e la transizione verso una società a basse emissioni di carbonio,

l'integrazione e l'efficienza del mercato interno dell'energia e l'accessibilità dei prezzi dell'energia,

la sicurezza degli approvvigionamenti.

2.2   L'obiettivo di creare un mercato interno dell'elettricità e del gas risale al 1996 (primo pacchetto di liberalizzazione), ma oggi, a 15 anni di distanza, esso resta essenzialmente una scatola vuota: solo il 10 % dell'elettricità transita infatti da un paese all'altro, non sempre i consumatori possono scegliere un fornitore che abbia sede in un altro Stato membro, lo sviluppo delle energie rinnovabili - destinate a divenire la principale fonte di produzione di elettricità - continua a basarsi su meccanismi di sostegno nazionale, la pianificazione delle reti resta in gran parte di competenza degli Stati membri (l'ACER è infatti responsabile delle sole capacità transfrontaliere, mentre per avere un vero e proprio mercato integrato è necessario agire in comune anche sulle reti nazionali), non sempre l'UE parla ai paesi fornitori con una sola voce, ecc. Le principali politiche che si applicano al settore del gas e dell'elettricità sono sempre, di base, decise a livello nazionale.

2.3   La portata di tali questioni e il livello elevato d'interdipendenza politica, economica e tecnica tra gli Stati membri dell'UE rendono necessaria un'azione comune che privilegi l'interesse collettivo dell'UE rispetto agli interessi nazionali.

2.4   L'obiettivo attuale è portare a termine il mercato interno dell'energia entro il 2014. La creazione di un sistema energetico europeo risponde alla volontà dei cittadini europei. Da recenti indagini Eurobarometro del Parlamento europeo (EB standard «Energia» 74.3 del 31 gennaio 2011 e EB speciale 75.1 del 19 aprile 2011) emerge che: (i) gli europei credono nel valore aggiunto europeo e privilegiano un approccio comunitario, e che (ii) le loro preoccupazioni coincidono con le grandi sfide sopra esposte: nell'ordine, la stabilità dei prezzi, le energie rinnovabili e la garanzia dell'approvvigionamento energetico. Il 60 % degli europei ritiene che per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti sia meglio adottare misure coordinate con gli altri paesi dell'UE. Infine, il 78 % degli europei è favorevole alla proposta di creare una comunità europea dell'energia.

2.5   Il CESE ritiene che rispondendo efficacemente a queste forti preoccupazioni dei cittadini, l'UE sarà in grado di ridare legittimità alla sua azione. La creazione progressiva della CEE è il modo migliore di attenuare le conseguenze economiche e sociali derivanti all'Europa dalle sfide energetiche. L'interdipendenza energetica tra gli Stati membri rappresenta un grande rischio per la coesione dell'UE qualora essa non sia accompagnata da sistemi democratici di governance che permettano di prendere decisioni comuni a favore del bene comune.

3.   Verso una comunità europea dell'energia (CEE)

3.1   In questo contesto, Jacques Delors ha proposto di creare una vera «comunità europea dell'energia» (CEE), progetto che ha riscosso il sostegno di Jerzy Buzek. Il CESE ritiene che questo progetto politico, su cui Notre Europe ha elaborato una dettagliata relazione (vedi: http://www.notre-europe.eu/uploads/tx_publication/Etud_Energie_fr.pdf), possa rispondere alle sfide energetiche e contemporaneamente rilanciare e rilegittimare la costruzione europea.

3.2   Sono state avanzate varie possibilità, che vanno dal mantenimento della situazione attuale (articolo 194 del TFUE) alla conclusione di un nuovo Trattato europeo dell'energia.

3.3   Sono state proposte anche delle tappe intermedie, in particolare:

una cooperazione rafforzata nell'ambito di reti energetiche regionali europee,

un fondo comune dell'energia per lo sviluppo di nuove tecnologie,

la formazione di un gruppo per l'acquisto del gas.

3.4   Il CESE, che ha già adottato dei pareri che prospettano l'idea di un servizio comune europeo dell'energia (1), ritiene che si debba sfruttare la dinamica messa in moto dalla relazione del laboratorio di idee Notre Europe e andare oltre, coinvolgendo la società civile nel dibattito e mettendo in atto delle misure per conseguire gli obiettivi di integrazione e cooperazione.

4.   L'Unione europea avanza verso una politica energetica più integrata

4.1   Il CESE prende atto con soddisfazione delle iniziative della Commissione europea per rispondere alle sfide energetiche, specialmente le recenti proposte in materia di prevenzione delle crisi, reti, infrastrutture e sicurezza degli approvvigionamenti forniti dai paesi terzi. Esse contribuiscono ad una maggiore solidarietà, cooperazione ed efficacia e convergono verso una visione comune.

4.2   Il CESE accoglie con favore la recente proposta di regolamento relativa agli orientamenti per le infrastrutture energetiche transeuropee (COM(2011) 658 definitivo) prevista nel Piano per una rete energetica europea integrata proposto nel 2010 (COM(2010) 677 definitivo). Esso prenderà posizione in merito in un parere distinto (parere TEN/470).

4.3   Il CESE sostiene le iniziative proposte dalla Commissione per dare alla politica energetica dell'UE una dimensione esterna integrata e coerente, atta a favorire la sicurezza degli approvvigionamenti provenienti da paesi terzi (COM(2011) 539 definitivo). Appoggia inoltre qualsiasi rafforzamento della posizione dell'UE nei confronti dei suoi partner esterni. Esso esamina la suddetta questione nel parere TEN/464.

4.4   Il CESE sostiene il meccanismo di scambio di informazioni in merito agli accordi intergovernativi fra gli Stati membri e i paesi terzi nel settore dell'energia (COM(2011) 540 definitivo). Questa proposta della Commissione europea è importante poiché afferma il primato dell'interesse collettivo europeo sugli interessi nazionali (parere TEN/464).

5.   Per affrontare le sfide future è necessaria una dinamica più ambiziosa e partecipativa

5.1   Malgrado questi notevoli progressi, il CESE ritiene che si debba far di più nell'ambito della governance comune delle questioni energetiche, in particolare in vista dell'obiettivo di un sistema energetico a basse emissioni di carbonio entro il 2050.

Verso un mercato dell'energia integrato a livello europeo

5.2   È inoltre necessaria una maggiore solidarietà nei casi di scarsa produzione a livello europeo. Ciò potrebbe richiedere un adeguamento della legislazione europea.

5.3   Il CESE ricorda perciò l'importanza di una pianificazione comune e dell'interconnessione delle reti, al fine di sbloccare gli ingorghi, in particolare alle frontiere. La Commissione europea dovrebbe ricoprire un ruolo trainante in questo senso. Bisogna anche dare agli operatori privati una visione a lungo termine della redditività degli investimenti. In questo contesto, potrebbero essere presi in considerazione dei partenariati pubblico-privato.

5.4   Sebbene la scelta del mix energetico sia una competenza nazionale, gli Stati membri devono mostrarsi responsabili nelle loro decisioni in materia di produzione di energia. Le decisioni unilaterali, come quelle prese da alcuni Stati membri dopo Fukushima, che hanno reso più difficile l'equilibrio tra domanda e produzione di energia a livello regionale, devono essere sostituite da decisioni su scala europea, dato il forte grado di interdipendenza. A lungo andare, data l'affermazione delle energie rinnovabili, sarà necessario garantire, di comune accordo, una riserva sufficiente di produzione di energia che faccia da «tampone» in caso di scarsa produzione a partire dalle fonti rinnovabili.

5.5   L'assenza di coordinamento nuoce all'affidabilità dell'approvvigionamento energetico degli Stati membri, vanificando gli sforzi intrapresi in parallelo per rafforzare le interconnessioni e la solidarietà nell'UE. Nello stesso tempo, la rinuncia al nucleare – fonte di energia a basse emissioni di carbonio – a breve termine non deve comportare un ricorso massiccio a fonti di energia inquinanti, in quanto ciò sarebbe in contrasto con gli obiettivi dell'UE. Deve invece avvenire nella massima trasparenza e di concerto con i rappresentanti della società civile organizzata.

5.6   Il CESE è dell'avviso che, data l'interdipendenza energetica tra gli Stati membri, soltanto una prospettiva europea - non una nazionale - possa offrire garanzie di indipendenza energetica.

5.7   Il CESE propone di riflettere alla possibilità di sviluppare approcci comuni tra sottogruppi di Stati membri od operatori sulla base dei loro rispettivi mix energetici e delle loro pratiche di scambio transfrontaliero di energia. Tale coordinamento a livello regionale assicurerebbe una maggiore coerenza tra le scelte energetiche degli Stati membri coinvolti e una maggiore sicurezza degli approvvigionamenti. Questi gruppi potrebbero inoltre sfruttare meglio le rispettive risorse energetiche per quanto riguarda sia le fonti rinnovabili che la produzione di elettricità di base a partire da altre fonti di energia.

5.8   Il CESE propone che questi gruppi siano responsabili della scelta del loro mix energetico e della loro rete di infrastrutture. In questo modo si potrebbero creare delle comunità energetiche regionali coerenti ed interconnesse, che offrirebbero il vantaggio di instaurare condizioni di mercato simili tra gli Stati membri aderenti (prezzo dell'energia, sovvenzioni alle energie rinnovabili, relazioni con i clienti ecc.).

5.9   Una delle politiche armonizzate con successo in alcune regioni d'Europa dimostra chiaramente che l'armonizzazione delle politiche incide nettamente sull'integrazione dei mercati: si tratta di un sistema di market coupling per l'allocazione della capacità di trasmissione. Il coupling in base ai prezzi tra i diversi paesi permette di creare una zona di scambio unica – e, di conseguenza, a tariffa unica – quando le capacità di interconnessione non limitano gli scambi transfrontalieri. Esso partecipa alla creazione del mercato unico europeo dell'elettricità. La Nord Pool Spot ha messo in atto il price splitting nel 1993, e nel 2006 un coupling dei prezzi è stato applicato per la prima volta tra la Francia, il Belgio e i Paesi Bassi. Col passare del tempo, queste condizioni di mercato sono destinate a offrire ai consumatori un ventaglio di scelte transeuropee.

5.10   Il CESE sottolinea le opportunità economiche che questi gruppi macroregionali possono offrire agli Stati membri, in particolare grazie alla possibilità di realizzare economie di scala e allo sviluppo industriale legato alle fonti di energia rinnovabile.

5.11   Ricorda di essersi espresso a favore di un mix energetico diversificato e sostenibile. Le scelte nazionali devono essere conformi alla legislazione e agli obiettivi dell'UE. Il Comitato insiste perché tali scelte non abbiano conseguenze negative e sproporzionate per l'economia, l'ambiente o la società. In quest'ottica, l'UE dovrà esaminare nuove fonti di energia, come ad esempio il gas di scisto, dopo aver ampiamente consultato, in maniera trasparente, i rappresentanti della società civile organizzata, al fine di evitare il rischio di divergenza degli approcci nazionali.

Promuovere la competitività dell'UE: mettere in comune le risorse finanziarie e potenziarle

5.12   Dovranno essere incoraggiate le azioni comuni di ricerca tra gli Stati membri e gli operatori e istituite opportune reti e comunità di ricerca, in particolare nel campo delle energie rinnovabili e delle tecnologie a basso livello di emissioni, per esempio attraverso piattaforme tecnologiche di ricerca.

5.13   Considerati i notevoli investimenti necessari e le attuali restrizioni di bilancio, i mezzi a disposizione devono essere concentrati sulle grandi sfide. È necessario rafforzare i collegamenti tra i finanziamenti nazionali e quelli europei. A questo fine, potrà essere necessario orientare il sostegno degli Stati membri alla ricerca verso progetti connessi agli obiettivi europei.

5.14   Bisogna valutare se un consolidamento delle risorse finanziarie disponibili per le infrastrutture e la ricerca possa aumentare l'efficacia dei finanziamenti. A questo fine, potrà essere necessario assegnare importi fissi ai progetti energetici nel quadro dei programmi di finanziamento europei e nazionali.

5.15   Se tale valutazione risultasse positiva, l'utilizzo di obbligazioni per il finanziamento di progetti potrebbe essere un mezzo efficace per aumentare le risorse per la promozione della ricerca e la diffusione delle fonti di energia rinnovabile e delle infrastrutture.

5.16   Occorre migliorare la prioritarizzazione dei prestiti concessi dalla BEI per la realizzazione dei progetti di infrastrutture prioritari dell'UE. Gli investimenti di gruppi macroregionali di Stati membri dovranno essere ammissibili ai prestiti della BEI.

5.17   Uno sforzo globale e coordinato a favore delle risorse rinnovabili potrebbe aiutare l'UE ad uscire dalla crisi economica attuale. La disponibilità di un'energia accessibile è un fattore essenziale della competitività economica. Gli effetti positivi sarebbero numerosi: creazione di posti di lavoro, know-how, reindustrializzazione dell'UE ecc. Progetti quali la Supergrid o lo sviluppo e la diffusione delle reti intelligenti potrebbero prestarsi ad una cooperazione rafforzata su scala europea nel campo dell'industria e dell'innovazione.

Una politica energetica per tutti

5.18   Al di là della semplice integrazione dei mercati, tra gli obiettivi della politica energetica comune dell'UE deve figurare l'accesso universale all'energia.

5.19   Un prezzo giusto e trasparente dell'energia permette alle imprese di crescere e d'investire. Per avere prezzi accessibili bisogna prima operare scelte efficaci, realizzare un mercato interno dell'energia integrato e trasparente e conferire poteri di controllo maggiori ai regolatori nazionali ed europei.

5.20   La legislazione europea concede dei diritti ai consumatori, ma questi ultimi non ne sono molto a conoscenza e ne beneficiano poco. Il CESE esorta le autorità competenti e i distributori di energia ad informare sistematicamente i consumatori finali dei loro diritti e chiede che vengano pubblicate relazioni periodiche sull'applicazione dei diritti dei consumatori a livello nazionale. All'occorrenza, potranno essere adottate misure supplementari per assicurarla.

5.21   Nell'inverno 2010-2011, la povertà energetica ha colpito tra i 50 e i 125 milioni di europei (a seconda della definizione utilizzata). Questa precarietà tocca i più poveri e coloro che vivono in alloggi inadeguati, che spesso occupano abitazioni male isolate e non sono in grado di pagare le tariffe sociali stabilite dagli Stati membri. Accanto al necessario sforzo europeo in materia d'efficienza energetica e di riduzione della domanda, il CESE suggerisce una nuova riflessione sul rafforzamento dei meccanismi di solidarietà a livello dei 27 Stati membri per lottare contro la precarietà energetica partendo da una definizione comune (2).

5.22   La dimensione strategica e vitale dell’energia (accessibilità, tariffe e prezzi accessibili, regolarità, affidabilità, provenienza) potrebbe ad esempio essere sancita da un «patto europeo di solidarietà energetica». Questo scudo sociale energetico su scala europea tradurrebbe la vicinanza dell'Europa alle preoccupazioni dei cittadini. Farebbe parte integrante degli sforzi in vista di una più forte armonizzazione sociale, auspicabile per rafforzare e ridare senso al progetto europeo. Esso dovrà tradursi in misure concrete al livello adeguato.

Rafforzare la dimensione esterna della politica energetica dell'UE

5.23   Il CESE sostiene la proposta del laboratorio di idee Notre Europe di creare un gruppo europeo per l'acquisto del gas così che gli Stati e le imprese partecipanti possono beneficiare di un maggiore potere contrattuale, rendere più sicuri i loro approvvigionamenti e ridurre la volatilità dei prezzi, nel rispetto delle regole della concorrenza. Un'ulteriore tappa potrebbe essere la creazione di una struttura comune per l'approvvigionamento del gas ed eventualmente di altre energie fossili.

5.24   Nei casi che interessano più Stati membri, il Consiglio dovrebbe affidare alla Commissione un mandato autorizzandola a negoziare, a nome dell'UE, accordi di fornitura di energia con paesi terzi. Il CESE prendo atto con soddisfazione della decisione del Consiglio di affidare alla Commissione il compito di negoziare, a nome degli Stati membri, degli accordi con l'Azerbaigian e il Turkmenistan per la fornitura di gas tramite il condotto gasdotto Trans-Caspio. In simili circostanze, il CESE invita il Consiglio e la Commissione a generalizzare questa pratica.

5.25   Il CESE raccomanda un controllo più rigoroso, da parte della Commissione, di tutti gli accordi nazionali conclusi con i paesi terzi per l'approvvigionamento di energia. La Commissione europea dovrebbe essere in grado di approvare questi accordi in funzione delle loro ripercussioni, positive o negative, sull'intera area UE (parere TEN/464).

5.26   Il CESE raccomanda che con i paesi Euromed e con i vicini orientali dell'UE venga utilizzato un approccio orientato allo sviluppo e al partenariato, che permetta di diversificare e garantire le forniture energetiche dell'UE (specialmente delle energie rinnovabili mediante Desertec, Mediterranean Ring, Mediterranean Solar Plan, Medgrid), e di aiutare i suoi partner a sfruttare il loro potenziale. L'UE potrebbe fornire un'assistenza tecnica, mettere a disposizione la sua esperienza e il suo know-how in materia di formazione e gestione di progetti (parere REX/329).

5.27   Il CESE ritiene che la CEE e i dispositivi intermedi dovranno essere dotati di una forte dimensione esterna volta a facilitare l'accesso all'energia da parte dei paesi in via di sviluppo. Questi devono essere aiutati a produrre l'energia di cui hanno bisogno, ma devono anche essere in grado di esportarla in Europa per finanziare i loro investimenti.

5.28   Il CESE prende atto delle conclusioni del Consiglio Trasporti, telecomunicazioni ed energia del 24 novembre 2011, che invocano un rafforzamento della dimensione esterna della politica energetica. Prende inoltre atto delle priorità del Consiglio e insiste nella sua richiesta di una migliore integrazione delle politiche energetiche e affinché si proceda quanto meno a concertazioni sistematiche a monte delle decisioni. Per quanto riguarda il metodo, caldeggia, in tutti i casi in cui ciò offra un valore aggiunto, un approccio comunitario in stretto collegamento con gli Stati membri.

Associare la società civile

5.29   Data l'importanza delle questioni ambientali, l'entità degli investimenti da realizzare, le ripercussioni sociali delle decisioni politiche, le conseguenze sugli stili di vita e la necessità del sostegno dell'opinione pubblica, è indispensabile che i cittadini siano coinvolti nel dibattito sulle questioni energetiche. I cittadini europei hanno diritto ad una informazione chiara e trasparente sulle scelte prese in materia di energia a livello europeo, nazionale e regionale (3). Al riguardo, svolgono un ruolo importante i CES nazionali. Sono necessarie campagne di informazione e di consultazione sulle grandi sfide energetiche dell'Europa. Occorre inoltre mettere l'accento anche sull'efficienza energetica.

5.30   Bisognerebbe inoltre che i cittadini fossero in grado di esprimere sistematicamente il loro punto di vista sulle scelte politiche. Potrebbero essere organizzate consultazioni al livello più appropriato. Il CESE conduce da molti anni consultazioni di questo tipo a livello dell'UE (specialmente sull'energia nucleare, la cattura e lo stoccaggio del CO2 – CSC). Le autorità nazionali, regionali e locali sono invitate a indire un'ampia consultazione della società civile.

5.31   Il CESE propone di creare un forum europeo della società civile con il compito di seguire le questioni energetiche. Questo forum dovrebbe operare in stretta collaborazione con le istituzioni dell'UE e riunirsi regolarmente per contribuire ad un programma pluriennale per l'integrazione del mercato dell'energia. Esso potrebbe essere consultato sulla progettazione della rete energetica dell'UE, la transizione, entro il 2050, verso un sistema energetico a bassa intensità di carbonio e le questioni economiche e sociali che ne derivano. I suoi membri dovrebbero inoltre beneficiare di un'informazione adeguata che potrebbero trasmettere alle organizzazioni affini negli Stati membri.

5.32   L'accettazione delle scelte energetiche da parte dell'opinione pubblica costituisce un'ulteriore sfida (energia nucleare, CSC, parchi eolici, linee ad alta tensione ecc.). Partecipazione e responsabilità vanno di pari passo. Il CESE, che presiede in particolare il gruppo di lavoro Trasparenza del Forum europeo sull’energia nucleare (ENEF) potrebbe contribuire a un'informazione trasparente dei cittadini e allo scambio con questi ultimi tramite il suo sito Internet (diffusione di buone pratiche, monitoraggio delle iniziative e dei progetti di cooperazione, sviluppi del settore, raccolta delle opinioni della società civile in vista dei dibattiti del forum della società civile sull'energia e diffusione tra i responsabili delle decisioni). Il CESE invita la Commissione europea e gli Stati membri a fornire ai cittadini un'informazione pertinente mediante canali di comunicazione neutri e obiettivi. Il ruolo delle organizzazioni della società civile e i forum di consultazione è, a tal proposito, essenziale.

Considerare le evoluzioni istituzionali possibili a lungo termine

5.33   La realizzazione della comunità europea dell'energia resta l'obiettivo finale. Tuttavia, dato che potrebbe rivelarsi difficile che i 27 Stati membri si orientino contemporaneamente nella stessa direzione, una cooperazione più intensa tra Stati membri, in particolare a livello regionale, potrebbe permettere di avanzare più velocemente. In ogni caso, tali azioni non dovrebbero essere in contraddizione con la legislazione o altre misure dell'UE, e ciò grazie ad una consultazione permanente e all'associazione delle istituzioni dell'UE al processo. Se necessario, potranno essere studiati meccanismi più strutturati.

5.34   Il CESE raccomanda di valutare entro il 2014 i progressi realizzati alla luce dell'articolo 194 del TFUE e di esaminare in quell'occasione se siano necessari dei correttivi alla luce delle proposte più ambiziose di questo documento. Un eventuale nuovo quadro istituzionale potrebbe ispirarsi al Trattato CECA. Dovrebbe essere possibile integrare qualsiasi nuovo dispositivo istituzionale, e il suo acquis, nella struttura dell'UE se gli Stati membri decidono in questo senso.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 43

GU C 306 del 16.12.2009, pag. 51.

(2)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La povertà energetica nel contesto della liberalizzazione e della crisi economica, GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 53.

(3)  Ad esempio in Francia, nel settore dell'energia nucleare, è stata istituita, con decreto del Consiglio di Stato, l’ANCCLI, Association nationale des comités et des commissions locales d'information («Associazione nazionale dei comitati e delle commissioni locali di informazione»).


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/21


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo dell'UE nella costruzione della pace nel contesto delle sue relazioni esterne: buone pratiche e prospettive»

2012/C 68/04

Relatrice: MORRICE

Il Comitato economico e sociale europeo, nella sessione plenaria del 19 e 20 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Il ruolo dell'UE nella costruzione della pace nel contesto delle sue relazioni esterne: buone pratiche e prospettive.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 19 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 190 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   La costruzione della pace è nel DNA dell'Unione europea. La sua stessa creazione, l'allargamento ad altri paesi e la sopravvivenza in tempi di crisi testimoniano il valore e il coraggio con cui essa si adopera per la costruzione della pace. In quanto comunità di nazioni che promuove la democrazia, i diritti umani, l'uguaglianza e la tolleranza, l'UE ha il dovere morale di appoggiare le azioni volte a costruire la pace nel mondo, in virtù del mandato conferitole ora dal Trattato. Poiché è il maggiore donatore al mondo, con anni di esperienza accumulata nelle aree di conflitto e un'ampia gamma di strumenti a sua disposizione, l'UE dovrebbe svolgere un ruolo di primo piano nelle iniziative internazionali per la costruzione della pace. Tuttavia essa non utilizza in misura sufficiente il suo potenziale nel processo di pace a livello mondiale, e l'impatto del suo contributo per un cambiamento concreto non è profondo come ci si dovrebbe o potrebbe aspettare. Nonostante l'impegno profuso per instaurare una maggiore coerenza, tramite la creazione del Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE), un «approccio» integrato «di tutta l'UE» rimane un obiettivo ancora da raggiungere. Senza una strategia per la costruzione della pace ben definita o uno scambio di esperienze più intenso tra tutte le proprie iniziative, e in assenza di una cooperazione autentica con gli Stati membri, i donatori internazionali, le ONG e le organizzazioni della società civile attive nella costruzione della pace sul terreno, l'UE non riuscirà a realizzare il proprio potenziale e a imprimere un cambiamento vero e duraturo nelle regioni più tormentate del mondo. Si tratta senz'altro di una grande sfida, ma la ricompensa è enorme. Un'Europa di pace trova una migliore collocazione in un mondo di pace.

1.2   Sulla base di tali conclusioni, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) raccomanda quanto segue:

Strategia e politiche

1.2.1   Il SEAE dovrebbe formulare una strategia per la costruzione della pace che contempli azioni civili, militari, diplomatiche, azioni di risposta rapida, umanitarie, assistenza allo sviluppo nel lungo periodo, aiuti di breve periodo, azioni in materia di cambiamenti climatici, politiche commerciali e di investimento, e ogni altra iniziativa dell'UE in grado di esercitare un impatto su zone sensibili.

1.2.2   Per elaborare tale strategia, il SEAE dovrebbe costituire una task force che includa rappresentanti del Parlamento europeo, della Commissione, del Comitato delle regioni, del CESE, della Banca europea per gli investimenti (BEI) e di ONG attive nella costruzione della pace.

1.2.3   Per essere in linea con le norme e i valori europei e poter garantire l'impiego economicamente efficiente dell'aiuto dell'UE, le politiche e i programmi dell'UE, in particolare quelli attuati nelle aree di conflitto, dovrebbero essere sottoposti a una valutazione d'impatto attenta ai conflitti.

Questioni operative

1.2.4   Si dovrebbe stabilire un codice di principi per tutte le operazioni condotte nelle aree di conflitto o in quelle più esposte.

1.2.5   Tutti i progetti relativi alla costruzione della pace dovrebbero includere la promozione della buona governance e dei principi democratici (diritti umani, libertà di espressione, pari opportunità, libertà politiche e sindacali), nonché delle norme di protezione ambientale.

1.2.6   Si dovrebbero, inoltre, stabilire dei parametri per seguire passo passo i progressi nel campo delle riforme, nonché potenziare i sistemi di monitoraggio, al fine di coinvolgere i rappresentanti della società civile, garantire un equilibrio di genere negli organi di monitoraggio e mantenere l'impegno a realizzare le riforme. Maggiore attenzione dovrebbe essere riservata alla prevenzione dei conflitti, ponendo l'accento sul ruolo dell'istruzione e dei mezzi di comunicazione, compresi quelli sociali, nelle zone sensibili; si dovrebbero inoltre incoraggiare e promuovere attivamente misure volte a favorire la riconciliazione, tra cui il dialogo interculturale e la mediazione.

1.2.7   Si dovrebbe rafforzare l'impegno dell'Unione europea con la società civile organizzata nelle zone sensibili, mediante un appoggio più risoluto alle organizzazioni che promuovono i valori europei della tolleranza, del pluralismo e altre azioni per la costruzione della pace, e si dovrebbe agevolare il lavoro del CESE in questo campo.

1.2.8   Si dovrebbe incoraggiare l'adesione alla risoluzione ONU 1325 sulla partecipazione delle donne alla pace, fornire un maggiore sostegno alle associazioni femminili che operano sul campo e promuovere la parità di genere.

1.2.9   Le vittime dei conflitti, in particolare i bambini, dovrebbero beneficiare di un'attenzione più mirata e attenta alle loro esigenze, e di un maggior riconoscimento e sostegno da parte dell'UE.

1.2.10   I programmi a favore dei giovani vulnerabili, in particolare dei ragazzi, dovrebbero essere incoraggiati, agevolati e sostenuti, per permettere loro di svolgere pienamente un ruolo costruttivo nella società.

1.2.11   Il reclutamento e la formazione del personale civile da inviare in missione dovrebbero essere ampliati e migliorati e il centro d'interesse delle missioni dovrebbe spostarsi dalla gestione delle crisi militari alla gestione delle crisi civili.

1.2.12   Si dovrebbe costituire una banca dati di esperti europei nella costruzione della pace e di candidati alle missioni civili provenienti dalle fila dei magistrati, degli avvocati, delle forze di polizia, delle ONG attive nel processo di pace, dei mediatori, degli amministratori e dei politici esperti nel settore.

Buone pratiche e scambio di esperienze

1.2.13   Sarebbe auspicabile una maggiore condivisione degli insegnamenti più significativi tratti dalle esperienze tra le istituzioni europee, gli Stati membri e gli organismi internazionali; essa andrebbe agevolata da una raccolta delle migliori pratiche in materia di costruzione della pace e da ricerche supplementari sull'utilizzo degli strumenti per la risoluzione dei conflitti proposti dal CESE (1).

1.2.14   Si dovrebbe rivolgere una maggiore attenzione allo scambio di esperienze tra le operazioni di pace condotte dall'UE al suo interno (ad es. il programma PEACE nell'Irlanda del Nord) e quelle al suo esterno.

1.2.15   Si dovrebbe prendere in seria considerazione l'idea di fondare un centro d'eccellenza/istituto europeo per la costruzione della pace, in grado di creare rapporti con le strutture esistenti, di avvalersi del loro contributo e di dare seguito a idee e raccomandazioni provenienti da altre istituzioni o da esperti.

1.2.16   Sarebbe inoltre opportuno convocare una grande conferenza che riunisca tutti i filoni di una nuova strategia per la costruzione della pace e consolidi le raccomandazioni su come condividere al meglio le conoscenze acquisite.

2.   Contesto

2.1   Il presente parere è il seguito del parere d'iniziativa sul ruolo svolto dall'UE nel processo di pace in Irlanda del Nord adottato dal CESE nell'ottobre del 2008 (2), il quale faceva appello all'UE affinché collocasse la costruzione della pace al centro dei suoi futuri orientamenti strategici. Questo parere amplia l'ambito della ricerca oltre le frontiere dell'UE, esamina gli strumenti per la costruzione della pace attualmente disponibili, specie a seguito dell'istituzione del SEAE, analizza la portata degli scambi di esperienze e formula raccomandazioni per azioni future.

3.   Introduzione

3.1   Spesso descritta come l'impresa sovranazionale di costruzione della pace di maggior impatto al mondo, l'Unione europea può essere considerata in questo settore un modello da seguire. La sua esperienza, consistente nel riunire, all'indomani della seconda guerra mondiale, paesi che fino ad allora erano stati nemici giurati, rimarrà il suo più grande successo. La capacità di tenerli insieme in un'unione di nazioni, aumentandone via via il numero e ampliandone l'influenza a livello mondiale, è un ulteriore successo sulla via della costruzione della pace. Mantenere lo stesso slancio in presenza della crisi finanziaria sarà un'altra sfida di rilievo.

3.2   Tuttavia l'UE non è stata adeguatamente dotata degli strumenti per sostenere il peso derivante dal suo dovere morale di fungere da modello o da leader nella costruzione della pace nel mondo. Nelle operazioni condotte in aree di conflitto, l'UE si serve di numerosi strumenti a sua disposizione, dalla gestione delle crisi, tramite gli aiuti umanitari, all'assistenza militare, agli aiuti allo sviluppo. Un simile approccio, tuttavia, ha mancato finora di coerenza, di coordinamento e di un legame credibile con la società civile a livello di base.

3.3   Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'UE ha acquisito un nuovo mandato per la costruzione della pace (articolo 21), una nuova struttura per coordinarla (il SEAE) e un nuovo leader per attuarla (l'Alta rappresentante dell'Unione Catherine Ashton). Nulla più impedirà dunque all'Unione di passare al posto di comando ed esercitare un vero impatto nella costruzione della pace nel mondo.

3.4   Mai come ora l'UE è chiamata a dare prova della sua leadership. I suoi vicini più prossimi attraversano sconvolgimenti politici, economici e sociali, e, in questo momento cruciale della loro storia, necessitano di un sostegno solido. Nell'inaugurare la sua «nuova e ambiziosa» politica di vicinato, l'Unione ha dimostrato di essere pronta e disponibile a dare il buon esempio. Ma anche qui, come nel processo di pace ovunque nel mondo, i fatti parlano più delle parole.

3.5   L'UE dispone di un «potenziale formidabile», in quanto è in grado di riunire tutti i diversi aspetti della sua influenza per generare un approccio globale e coerente alla costruzione della pace, e dispone anche delle risorse corrispondenti. In fin dei conti, però, il suo successo dipende dalla volontà politica degli Stati membri, dalla loro capacità di parlare con una sola voce e dal loro desiderio di appoggiare incondizionatamente un'ambiziosa strategia di pace comune, che non solo conferisca all'Unione maggior credibilità sulla scena internazionale, ma che contribuisca anche a promuovere un cambiamento positivo nel mondo.

4.   Contesto

4.1   L'espressione «costruzione della pace» è relativamente nuova nel vocabolario della diplomazia internazionale. Il concetto fu descritto per la prima volta nel 1992 dall'allora Segretario generale delle Nazioni Unite Boutros-Ghali, nella sua agenda per la pace, quale «azione per individuare e supportare le strutture tendenti a rafforzare e a consolidare la pace per evitare la ripresa dei conflitti». Nel 2006 l'ONU ha istituito una Commissione per il consolidamento della pace nei paesi in situazione postbellica e nel 2008 l'OCSE ha creato una rete internazionale sui conflitti e le situazioni di fragilità (INCAF).

4.2   In ambito europeo, il primo riferimento specifico alla costruzione della pace nelle relazioni esterne dell'UE fu nel programma di Göteborg per la prevenzione dei conflitti violenti, adottato nel 2001. Il riferimento più recente è l'articolo 21 del Trattato di Lisbona, che elenca come obiettivi chiave dell'azione esterna dell'UE i diritti umani e la democrazia, la prevenzione dei conflitti e la preservazione della pace.

4.3   Il Trattato di Lisbona istituisce inoltre un nuovo quadro per le relazioni esterne dell'UE. L'Alto rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza coniuga le competenze che in precedenza erano condivise dal Consiglio e dalla Commissione europea. L'Alta rappresentante Catherine Ashton è coadiuvata dal SEAE, le cui competenze coprono gli strumenti di diplomazia, sviluppo e difesa (le cosiddette «3 D»: Diplomacy, Development and Defence), tutti utilizzabili per la costruzione della pace.

4.4   All'interno del SEAE e delle direzioni della Commissione competenti in materia, l'UE ha a disposizione una vasta gamma di strumenti di cui avvalersi per la costruzione della pace, tra cui figurano:

le missioni civili o militari condotte nel quadro della politica di sicurezza e di difesa comune, incentrate sulle forze di polizia, lo Stato di diritto, l'amministrazione civile e la protezione civile, le cui azioni sono spesso limitate per carenza di personale addestrato. La dimensione della sicurezza e della logistica è considerata una condizione preliminare per un ambiente stabile e sicuro per la costruzione della pace;

lo strumento per la stabilità (IfS), la principale fonte di finanziamento UE per le operazioni di costruzione della pace. Oltre il 70 % dei fondi disponibili (2 miliardi di euro nel periodo 2007-2013) viene utilizzato in risposta alle crisi, al fine di «colmare il divario» tra l'assistenza umanitaria di breve periodo e gli aiuti allo sviluppo di più lungo periodo;

il partenariato per la costruzione della pace, istituito nel quadro dell'IfS allo scopo di migliorare la comunicazione con i partner principali nella risposta alle crisi. Esso favorisce le attività con le organizzazioni della società civile, offre assistenza nella diffusione delle migliori pratiche, nonché accesso ai supporti tecnici e logistici.

4.5   L'UE può inoltre avvalersi di altri strumenti non specifici alla costruzione della pace, ma che essa può utilizzare per questa sua funzione. Essi includono l'assistenza umanitaria (ECHO), lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR), gli aiuti allo sviluppo attraverso il Fondo europeo di sviluppo (ACP/paesi e territori oltremare) e lo strumento di cooperazione allo sviluppo (America Latina, Asia, Golfo e Sud Africa).

4.6   Le politiche dell'UE, come il commercio, gli investimenti della BEI, la politica per l'ambiente, l'energia o l'agricoltura, possono essere altresì utilizzate in un contesto di costruzione di pace. Anche la politica di allargamento dell'UE prevede un elemento connesso alla costruzione della pace, poiché esige che i paesi candidati sottoscrivano i valori fondamentali dell'UE (3). Inoltre, la politica europea di vicinato (PEV), che copre 16 dei paesi più prossimi all'Unione, è stata «rilanciata» all'indomani della «primavera araba» con l'aggiunta di una componente «costruzione della pace» per poter contribuire a una «democrazia consolidata e sostenibile»; il recente «programma di cambiamento» dell'UE propone infine di consolidare il ruolo dell'Unione nella costruzione della pace in una varietà di modi diversi.

4.7   Mentre gran parte delle operazioni di costruzione della pace viene effettuata dall'UE nel quadro della sua politica in materia di relazioni esterne, anche entro le proprie frontiere l'Unione conduce da tempo un'iniziativa di pace unica. Il Programma speciale di aiuto per la pace e la riconciliazione nell'Irlanda del Nord e nelle contee limitrofe dell'Irlanda, elaborato nel 1996, è attualmente alla sua terza tornata di finanziamenti (4).

5.   Costruzione della pace: le sfide

5.1   Ricerca di una definizione e di una strategia

5.1.1   Benché la costruzione della pace sia ora ampiamente accettata come nuovo e valido approccio da adottare per intervenire nelle aree di conflitto, il termine non ha ancora una definizione precisa. Secondo alcuni, esso si applicherebbe solo a situazioni postbelliche per favorire la stabilizzazione e la ricostruzione. Secondo altri colmerebbe il divario tra le politiche di difesa e di sviluppo. Altri ancora descrivono la costruzione della pace come «un processo catalitico che si realizza in un continuum che va dalla prevenzione dei conflitti alla stabilizzazione postbellica, passando per la gestione della crisi, l'opera di pacificazione e il mantenimento della pace».

5.1.2   Se si analizzano le varie componenti di questo processo, il mantenimento della pace riguarda la sicurezza e la difesa, l'opera di pacificazione implica il ricorso alla diplomazia per raggiungere accordi politici, mentre la costruzione della pace abbraccia entrambi i concetti e ne contiene altri ancora. Idealmente, si tratta di un'azione che comincia prima dell'arrivo degli attori incaricati del mantenimento o del ristabilimento della pace e che, se sostenuta e coronata da risultati positivi, potrebbe persino sostituirli. Onnicomprensiva, ad ampio spettro, dal carattere pienamente consultivo e a lungo termine, la costruzione della pace può essere probabilmente descritta come un processo aperto che contribuisce ad appianare le differenze spalancando porte e aprendo le menti.

5.2   Esigenza di una riflessione comune

5.2.1   A prescindere dalla definizione, gli esperti concordano nel considerare la costruzione della pace «un processo altamente complesso che coinvolge un'ampia gamma di soggetti attivi in campo militare e civile, la diplomazia e il sostegno tecnico e finanziario nel breve e nel lungo periodo a livello locale, nazionale e internazionale». La sfida principale è individuare un modo per garantire «coerenza, coordinamento e complementarità» tra la varietà di politiche, attori e strumenti che operano nello stesso settore, sia all'interno che all'esterno dell'UE. La difficoltà principale è che Stati membri e donatori esterni diversi hanno priorità distinte e possono quindi nascere tensioni allorché le esigenze e gli interessi di ogni parte spingono in direzioni contrastanti.

5.2.2   All'interno dell'Unione, la complessità delle strutture delle varie istituzioni e direzioni rende necessario un concreto coordinamento tra i vari responsabili, un'altra sfida, questa, non indifferente. Analogamente, esiste una forte esigenza di garantire coerenza tra le politiche destinate in modo specifico alle zone sensibili, come gli aiuti allo sviluppo, e le politiche, invece, che possono esercitare un impatto rilevante su tali zone, in particolare quelle in materia di scambi, investimenti, lotta ai cambiamenti climatici e energia. La creazione del SEAE è considerata da tutti come un'opportunità reale per «congiungere i punti» della politica e della pratica all'interno delle istituzioni UE e tra l'UE, i suoi Stati membri e altri donatori importanti, come le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, la Cina, ed altri soggetti interessati.

5.2.3   Mentre il «tanto agognato approccio onnicomprensivo» continua ad essere di difficile realizzazione, sono stati compiuti degli sforzi per un utilizzo più coerente degli strumenti a disposizione dell'UE. Un esempio recente è il Consiglio Affari esteri del giugno 2011; in tale occasione è stato infatti raggiunto un accordo per l'adozione di un approccio inclusivo nei confronti di Sudan e Sudan del Sud che abbracciasse, a un tempo, dialogo politico, sviluppo di capacità a livello civile, aiuti allo sviluppo e cooperazione commerciale. Altro esempio di un approccio nuovo e più strategico è il recente «programma di cambiamento» dell'UE, il cui scopo è rivedere le priorità in materia di politica di sviluppo. La proposte rivolgono un'attenzione particolare ai diritti umani, alla democrazia, all'uguaglianza, alla buona governance e ai rapporti con la società civile. Alcuni ritengono che si tratti di un nuovo e valido modo di pensare, mentre altri reputano che sia ancora insufficiente.

5.3   Promuovere il ruolo della società civile nella trasformazione dei conflitti

5.3.1   Il processo di trasformazione dei conflitti richiede cambiamenti fondamentali di atteggiamento e di comportamento. L'integrazione, l'impegno e il dialogo sono armi in grado di opporsi alla paura, all'odio, all'intolleranza e all'ingiustizia, e formano gli elementi costitutivi di un ambiente che favorisce la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace. Tale lavoro deve essere compiuto a livello di comunità locali e sul terreno, dove la costruzione della pace più conta. Qui la partecipazione delle organizzazioni della società civile che condividono i valori europei di uguaglianza, diritti umani, integrazione e tolleranza non può più essere lasciata al caso, e il sostegno alle persone vulnerabili, a rischio o che semplicemente non riescono a far sentire la propria voce deve diventare una priorità.

5.3.2   È opinione condivisa che le organizzazioni della società civile svolgano un ruolo cruciale nel garantire l'efficienza e la sostenibilità a lungo termine di qualsiasi strategia per la costruzione della pace. La cooperazione e la consultazione con i «soggetti non statali» locali contribuisce non solo ad aumentare la comprensione da parte dell'UE delle situazioni di conflitto con un approccio dal basso verso l'alto, ma garantisce anche un «senso di appropriazione» del processo da parte delle comunità locali. Aiuta inoltre a promuovere azioni di costruzione della pace «più attente alle situazioni di conflitto» e funge da rinforzo positivo del loro impegno a favore della pace.

5.3.3   Finora l'attenzione del processo di pace, a livello tanto politico quanto operativo, ha mostrato la tendenza a trascurare quei gruppi che potrebbero invece avere un'influenza cruciale sul processo. Le donne, che spesso riescono a tenere insieme il tessuto della società in tempi di conflitto, sono scarsamente rappresentate nel processo decisionale. Il rapido ritorno alle attività normali (back to business) da parte dei commercianti locali nelle aree di conflitto è un'importante dimostrazione di una capacità di resilienza che merita di essere appoggiata. Attività sindacali come le manifestazioni per la pace e la solidarietà che spesso popolano le strade dell'UE rappresentano un'altra risorsa efficace a sostegno della costruzione della pace. I giovani hanno bisogno di essere aiutati ad incanalare le proprie energie in attività costruttive, mentre i gruppi vulnerabili, specialmente le vittime dei conflitti, richiedono un'attenzione particolare da parte degli esperti.

5.3.3.1   È sempre più accettata l'idea che la prevenzione dei conflitti e la riconciliazione tra gruppi divisi siano questioni che meritano un'attenzione maggiore nell'ambito degli sforzi intesi a costruire la pace. L'istruzione gioca un ruolo di importanza cruciale in questo senso, poiché consente di insegnare ai giovani non solo ad accettare, ma anche a rispettare le differenze. Anche quello dei mezzi di comunicazione è un aspetto significativo da tenere in considerazione, in particolare per quanto riguarda il ruolo che i media sociali possono svolgere a favore dei cambiamenti positivi. Un'altra importante componente di questo lavoro è la promozione di strategie specifiche per l'avvicinamento di gruppi diversi, come ad esempio il dialogo e la mediazione interculturali.

5.3.4   Il «dialogo strutturato» tra l'UE e le organizzazioni della società civile nelle aree di conflitto può instaurare relazioni durature e favorire la comprensione tra le comunità locali. In virtù dei suoi stretti legami con la società civile organizzata, il CESE si trova in una posizione privilegiata per svolgere un ruolo più attivo nel lavoro dell'UE con le organizzazioni di cittadini in queste regioni. Il CESE sta infatti già lavorando con imprese, sindacati e altri soggetti in luoghi come la Cina, il Tibet, il Libano, il Nordafrica e i paesi ACP, ed è disposto ad accelerare questa condivisione di esperienze al fine di «sostenere e consolidare» le iniziative portate avanti dalle organizzazioni della società civile e lavorare con l'UE a progetti di pace.

5.4   Maggior consapevolezza del valore dello scambio di esperienze

5.4.1   In quanto comunità di 27 nazioni riunite per il perseguimento del bene comune, l'UE è in grado di condividere la propria esperienza specifica con altri soggetti. Dal suo processo decisionale alla strategia di allargamento, l'UE offre esempi di una pratica che potrebbe essere replicata dalle associazioni regionali di altre parti del mondo. L'Unione africana è una delle organizzazioni che emulano l'approccio adottato dall'UE, e altre sono inclini a fare altrettanto. Vi sono altri esempi felici di paesi e regioni che sono riusciti a realizzare cambiamenti senza conflitti, e che meritano di essere evidenziati nella politica e nella pratica della costruzione della pace.

5.4.2   Avendo lavorato alla costruzione della pace nell'ambito delle relazioni esterne sin dalla sua fondazione, l'UE ha una vasta esperienza da condividere, acquisita in aree come l'Asia sudorientale, il Medio Oriente, l'America centrale, i Balcani e l'Africa subsahariana. In alcuni casi il lavoro condotto in tali aree ha avuto risultati altamente positivi, al contrario di altri. Il bilancio del lavoro dell'UE in determinate aree di conflitto è stato oggetto di critiche severe, ma persino esperienze del genere possono contribuire ad indirizzare le politiche, sempreché le «lezioni apprese» vengano trasmesse in maniera adeguata.

5.4.3   C'è molto da imparare in termini di «condivisione positiva delle esperienze». Il processo di pace nella regione di Aceh, in Indonesia, il riallacciamento del sistema fognario nella città divisa di Nicosia (5) e il sostegno dell'UE al processo di pace in Irlanda del Nord sono tutti esempi che si potrebbero inserire nel complesso di strumenti europei in materia di costruzione della pace. Se non esiste un approccio «valido per tutti», vi sono però dei principi essenziali comuni a molte aree di conflitto che non possono essere ignorati.

5.4.4   La ricerca mostra, tuttavia, che tale condivisione di esperienze non è ben radicata nella politica dell'UE, specie se questa è trasversale all'azione sia interna che esterna. Nel caso del programma PEACE per l'Irlanda del Nord, si riscontra la mancanza di qualsiasi approccio sistematico alle conoscenze condivise con altre aree di conflitto. Dato che l'Unione ha il merito di aver contribuito all'instaurarsi della pace nella regione, che la task force di Barroso per l'Irlanda del Nord ha raccomandato di condividere le esperienze con altre aree di conflitto e che a tale scopo è stata creata un'apposita «rete per la pace», l'apparente mancanza di osmosi tra queste iniziative e l'azione esterna costituisce un'opportunità mancata e una lacuna significativa a livello politico.

5.5   Verso la creazione di un centro per la costruzione della pace

5.5.1   C'è dunque ancora molto da fare perche l'UE si affermi come leader mondiale nella strategia per la costruzione della pace e faccia in modo che il suo lavoro abbia una portata e un impatto maggiori. Una proposta attualmente in esame è la creazione di un Istituto europeo per la pace, avanzata dall'ex presidente finlandese e dal ministro degli Affari esteri svedese, al fine di garantire «coerenza, coordinamento e complementarità» nelle iniziative prese dall'UE a favore della pace. Da parte loro, i leader dell'Irlanda del Nord hanno proposto di creare, alla periferia di Belfast, un centro di eccellenza internazionale per la costruzione della pace, per il quale hanno richiesto i fondi del programma PEACE dell'UE. Il Parlamento europeo si è a sua volta inserito nel dibattito con un documento politico intitolato A Blueprint for an Institute for Peace («Piano per la creazione di un istituto della pace»).

5.5.2   La possibilità di creare un nuovo istituto/centro collegato con altri organi che lavorano sul campo, come l'Istituto dell'Unione europea per gli studi sulla sicurezza (IUESS) o l'Agenzia dell'UE per i diritti fondamentali (FRA) merita una riflessione scrupolosa. Se tale organizzazione servisse da forum per consulenze, dialogo, formazione, studi a cura di esperti indipendenti, nonché per condividere esperienze tra persone che operano nello stesso campo, essa potrebbe rivelarsi una risorsa preziosa a sostegno del lavoro del SEAE in questo settore chiave dell'azione dell'UE.

5.6   Un'opportunità da non mancare

5.6.1   Il presente parere illustra come l'Unione europea potrebbe organizzarsi per svolgere un ruolo più costruttivo in quella che è diventata la più grande sfida per il mondo d'oggi: la risoluzione dei conflitti. Il fatto che non vi sia una definizione chiara di costruzione della pace e che l'UE non abbia ancora formulato una strategia in materia indica che, idealmente, viene lasciata completa carta bianca. Nel campo delle relazioni internazionali, questa è una rara opportunità per l'UE, che potrebbe non ripetersi.

5.6.2   L'istituzione del SEAE dovrebbe permettere all'UE di cogliere questa opportunità e prendere il comando del processo di pace a livello internazionale. La sfida è ora quella di elaborare una strategia di costruzione della pace ben distinta, che garantisca la coerenza non solo tra i programmi e le politiche europee, ma anche tra i valori e gli interessi dell'Unione e dei suoi Stati membri. Ciò può rivelarsi difficile in mancanza di una politica esterna comune che stabilisca principi accettati in materia di intervento o di non intervento in zone di conflitto, ma c'è chi è convinto che un «approccio di tutta l'UE» sia l'unico modo per garantire che la costruzione della pace eserciti un vero impatto sul campo.

5.6.3   La storia ha insegnato all'UE il valore della democrazia in contrapposizione alla dittatura, il significato della giustizia, dell'uguaglianza e dei diritti umani e i pericoli legati all'intolleranza, alla xenofobia, alla discriminazione e ai pregiudizi. Dalle guerre mondiali sino alla caduta del muro di Berlino, l'Unione ha percorso con costanza la via della costruzione della pace, consolidando i propri traguardi e aprendo il cammino che altri possono seguire. Ha affrontato molti momenti difficili, non da ultimo l'attuale crisi finanziaria, ma i suoi valori fondamentali rappresentano per un'azione europea al suo interno e nel resto del mondo un saldo punto di riferimento, da cui non deve mai discostarsi.

5.6.4   In questi tempi di crisi interna e di introspezione, l'UE non deve perdere di vista il contesto generale, né le sue responsabilità globali. Non deve venire meno alle politiche esterne e agli impegni presi e deve ritagliarsi un ruolo autonomo, che nessuna nazione o gruppo di nazioni potrà mai assumere. In quanto costruttrice di pace, l'Unione porta la sua storia, i suoi principi morali e il suo marchio unico d'intervento «dal basso verso l'alto», in un contesto in cui la reputazione, la comprensione, l'esperienza, la generosità e la fiducia sono i fattori più apprezzati. In quanto leader mondiale nella costruzione della pace, l'UE ha ora bisogno di fiducia in sé stessa, convinzione e coraggio per andare avanti.

Bruxelles, 19 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. parere SC/029 sul tema Il ruolo dell'UE nel processo di pace nell'Irlanda del Nord (relatrice: MORRICE, 2009), GU C 100 del 30.4.2009, pagg. 100-108.

(2)  Ibid.

(3)  Cfr. paragrafo 2 delle conclusioni del 3132o Consiglio Affari generali sull'allargamento e il processo di stabilizzazione e di associazione del 5 dicembre 2011: «Il processo di allargamento continua a consolidare la pace, la democrazia e la stabilità in Europa e consente all'UE di trovarsi meglio posizionata per far fronte alle sfide mondiali. Il potere di trasformazione del processo di allargamento genera riforme politiche ed economiche di vasta portata nei paesi dell'allargamento, il che giova altresì all'UE nel suo insieme. Ne offre una solida testimonianza il completamento positivo dei negoziati di adesione con la Croazia, che invia un segnale positivo alla regione nel suo complesso».

(4)  Cfr. parere del Comitato economico e sociale in merito alla Nota all'attenzione degli Stati membri che fissa gli orientamenti per un'iniziativa nel quadro del programma speciale di aiuto per la pace e la riconciliazione nell'Irlanda del Nord e nelle limitrofe dell'Irlanda (SEC(95) 279 definitivo, GU C 236 dell'11.9.1995, pag. 29 e parere CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai contributi finanziari dell'Unione europea al Fondo internazionale per l'Irlanda (2007-2010) COM(2010) 12 definitivo – 2010/0004 (COD, GU C 18 del 19.1.2011, pag 114.

(5)  Cfr. parere CdR sul tema Diplomazia delle città del 12 febbraio 2009 (GU C 120 del 28.5.2009, pag. 1).


ALLEGATO

Persone consultate durante la preparazione del parere:

1.

Gerrard Quille, consigliere per la politica di sicurezza e di difesa, dipartimento di Politica, direzione generale per le Politiche esterne, Parlamento europeo

2.

Franziska Katharina Brantner, membro del Parlamento europeo, gruppo verde/Alleanza libera europea, membro della commissione Affari esteri, relatrice della relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1717/2006 che istituisce uno strumento per la stabilità, e membro della delegazione per le relazioni con Israele

3.

Marc Van Bellinghen, capo divisione f.f., e Andrew Byrne, amministratore, Comitato consultivo politico, Questioni globali e multilaterali, direzione C, Prevenzione dei conflitti e politica di sicurezza, divisione Costruzione della pace, prevenzione dei conflitti e mediazione, Servizio europeo per l'azione esterna

4.

Kyriacos Charalambous, responsabile di programma - Politiche dell'UE, DG REGIO D1, unità Coordinamento dei programmi, relazioni con le altre istituzioni e le ONG, semplificazione, fondo di solidarietà, e Tamara Pavlin, responsabile di programma – Politiche dell'UE, DG REGIO D4, unità Irlanda, Regno Unito

5.

Catherine Woollard, direttore esecutivo, Ufficio europeo di collegamento per la costruzione della pace (EPLO)

6.

Olga Baus Gibert, responsabile Relazioni internazionali – Costruzione della pace – Pianificazione delle risposte alle crisi, servizio Strumenti di politica estera, unità Modalità operative dello strumento di stabilità, Commissione europea

7.

David O'Sullivan, direttore generale amministrativo, Servizio europeo per l'azione esterna

8.

Prof. Joachim Koops, direttore accademico del programma European Peace and security Studies, Vesalius College, Bruxelles, e direttore del Global Governance Institute

9.

Danuta Hübner, membro del Parlamento europeo, gruppo del Partito popolare europeo - presidente della commissione Sviluppo regionale, membro della commissione speciale sulla crisi finanziaria, economica e sociale, membro della delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti e membro sostituto della commissione Problemi economici e monetari

10.

Van den Brande, presidente della commissione CIVEX, Comitato delle regioni

11.

Mireia Villar Forner, consulente politica, Prevenzione delle crisi e ripresa, Programma di sviluppo delle Nazioni Unite.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

477a sessione plenaria del 18 e 19 gennaio 2012

6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un mercato unico dei diritti di proprietà intellettuale — Rafforzare la creatività e l'innovazione per permettere la creazione di crescita economica, di posti di lavoro e prodotti e servizi di prima qualità in Europa»

COM(2011) 287 definitivo

2012/C 68/05

Relatore: MEYNENT

La Commissione europea, in data 24 maggio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Un mercato unico dei diritti di proprietà intellettuale - Rafforzare la creatività e l'innovazione per permettere la creazione di crescita economica, di posti di lavoro e prodotti e servizi di prima qualità in Europa

COM(2011) 287 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 3 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   I «diritti di proprietà intellettuale» (DPI) devono continuare a svolgere la loro funzione tradizionale di stimolo dell'innovazione e della crescita. Il sistema di protezione che la Commissione europea intende potenziare deve conservare questo aspetto classico senza deviare verso un approccio di natura puramente patrimoniale e finanziaria, benché non si possa ignorare il fatto che la capitalizzazione di borsa delle principali multinazionali sia ormai ampiamente fondata sul loro «portafoglio» di diritti immateriali e di licenze il cui valore va iscritto in bilancio, in applicazione delle norme contabili IFRS (International Financial Reporting Standards).

1.2   La strategia elaborata dalla Commissione per i DPI nel mercato unico costituisce un elemento tanto essenziale quanto complementare della strategia Europa 2020, dell'Atto per il mercato unico e dell'agenda digitale europea. Alla luce dell'aumento dei diritti immateriali e della finanziarizzazione dell'economia è indispensabile mettere a punto una strategia in questo settore, senza tuttavia dimenticare che gli sviluppi attuali si basano sulla formazione e sulle competenze sempre maggiori delle persone, nonché sulle loro conoscenze riguardo alla crescita della new economy. La dimensione umana e l'interesse pubblico devono formare parte integrante della strategia e, a giudizio del Comitato economico e sociale europeo (CESE), le proposte e le analisi formulate non mettono sufficientemente in luce questo aspetto.

1.3   D'altronde, come ha sempre sostenuto il CESE nei suoi precedenti pareri, la priorità dev'essere quella di permettere alle PMI di proteggere le loro invenzioni e creazioni e, allo stesso tempo, di accedere al potenziale di conoscenze rappresentato dal deposito di brevetti e dalle strategie commerciali e pubblicitarie che si vanno diversificando nella società della conoscenza e dell'informazione.

1.4   Il CESE attende da tempo l'introduzione del brevetto unico europeo e la possibilità di unificare la giurisprudenza dei tribunali nazionali sul piano del mercato unico, e auspica che tali progetti si concretizzino nell'interesse delle imprese e dell'economia europee che si trovano in una situazione di svantaggio rispetto alla concorrenza esterna. Il Comitato auspica inoltre che le iniziative della Commissione riducano sensibilmente i costi di transazione, in particolare per quanto riguarda i brevetti d'invenzione.

1.5   La Commissione presenterà, nel 2012, una proposta legislativa sulla riscossione dei diritti d'autore relativi alla distribuzione di musica on line. Il Comitato insiste sulla consultazione, in via preliminare e non formale, delle organizzazioni rappresentative dei diritti e degli interessi in questione, comprese quelle degli utenti e dei lavoratori dipendenti. Insiste inoltre sulla trasparenza e sul controllo degli organismi di gestione dei diritti d'autore e dei diritti connessi che devono prevalere nel sistema di riscossione proposto. Per quanto riguarda la «tassa per copia privata», il CESE la giudica iniqua poiché la copia costituisce parte integrante dell'uso corretto (fair use). In ogni caso, essa non andrebbe applicata ai dischi rigidi utilizzati dalle imprese nelle loro attività industriali e commerciali.

1.6   D'altronde non è sufficiente prevedere di trattare i DPI come dei titoli eventualmente negoziabili in una borsa europea specializzata visto che le possibilità di accesso non saranno le stesse per le PMI europee e i grandi gruppi transnazionali, e ciò potrebbe accelerare la «fuga delle innovazioni» europee verso altri continenti. Il CESE attende con interesse le proposte concrete della Commissione a questo proposito.

1.7   La futura politica armonizzata in materia di DPI deve anche tenere conto dell'interesse generale e dei diritti dei consumatori, nonché dell'effettiva partecipazione di tutte le componenti della società alla riflessione e al processo di elaborazione di una strategia globale ed equilibrata in materia. Occorre infatti introdurre l'innovazione e la creazione – così tutelate – nel patrimonio comune di conoscenze della società e permettere che contribuiscano alla promozione della cultura, dell'informazione, dell'istruzione, della formazione e, più in generale, dei diritti collettivi fondamentali negli Stati membri.

1.8   Nel mercato unico è indispensabile realizzare un ravvicinamento delle legislazioni nazionali in merito alla protezione dei diritti immateriali e promuovere la repressione della contraffazione se si intende facilitare la cooperazione amministrativa, doganale e, laddove possibile, di polizia e giudiziaria sul piano delle inchieste e della repressione delle violazioni più gravi dei diritti protetti, qualora si tratti di violazioni di natura commerciale e, in particolare, di minacce alla salute e alla sicurezza dei consumatori.

1.9   La contraffazione su vasta scala e le copie fraudolente per fini commerciali sono fenomeni spesso direttamente collegati alla criminalità organizzata, dal momento che le possibilità di essere arrestati e le pene inflitte per questo genere di reato non sono sufficientemente dissuasive.

1.10   Per tale motivo il CESE appoggia la strategia della Commissione, con l'obiettivo di promuovere politiche e azioni coordinate, nonché un'autentica cooperazione amministrativa, che assieme ne rappresentano un pilastro principale, nell'interesse tanto delle imprese quanto della collettività.

1.11   Attualmente, alcuni esempi di distribuzione on line a pagamento, messi a punto ad esempio da Apple, Amazon, Google o Deezer, dimostrano che la valorizzazione dei diritti d'autore non comporta necessariamente la criminalizzazione dei giovani. Se i prezzi sono ragionevoli e accessibili, le copie illecite fatte dai privati perderanno con il tempo una buona parte della loro attrattiva.

1.12   I tribunali civili sono competenti per gran parte dei casi di violazione dei diritti immateriali considerati; tuttavia, oltre all'abituale lentezza delle procedure, l'onere della prova che ricade sulle PMI è spesso eccessivo, soprattutto nel caso di violazioni commesse al di fuori del loro paese. Pertanto sarebbe opportuno prevedere, nel quadro del mercato unico, delle procedure specifiche in materia di indagini, sequestri, riconoscimento reciproco degli atti amministrativi e giudiziari e inversione dell’onere della prova.

1.13   Anche l’indennizzazione dei ricorrenti può risultare difficile in un contesto internazionale e dovrebbe formare oggetto di una cooperazione tra i paesi interessati per garantire un'indennizzazione dei titolari dei diritti che corrisponda - nella misura del possibile - al danno effettivamente subito, indipendentemente dalle sanzioni di ordine penale e di altro genere che possono essere comminate dai tribunali.

1.14   Occorre disporre di un quadro legislativo chiaro da applicare alle «soluzioni» private (codici, ecc.) e soprattutto, al posto di tali iniziative, occorre garantire un controllo giudiziale e il rispetto delle procedure e dei diritti individuali: il diritto all'informazione, al rispetto della vita privata, alla libertà di espressione e di comunicazione, nonché garanzie della neutralità di Internet.

1.15   Allo stesso tempo è indispensabile applicare efficacemente il principio generale di proporzionalità tra reati e sanzioni e – in questo senso – rivedere alcune legislazioni nazionali molto intrusive e repressive nei confronti delle copie illecite di prodotti audiovisivi prodotte su piccola scala e senza scopi commerciali da privati tramite Internet. Bisogna evitare di dare l'impressione che la legislazione risponda alle pressioni esercitate dalle lobby piuttosto che a un principio fondamentale del diritto penale.

1.16   Il CESE attende inoltre con interesse le proposte della Commissione in merito alla revisione della normativa sui marchi, nonché alla sua armonizzazione e revisione nel quadro del mercato unico. Ritiene infatti indispensabile questa revisione, unita a un miglioramento della protezione, data la loro importanza per la determinazione del valore delle società.

2.   Proposte della Commissione

2.1   Il concetto di bene immateriale viene solitamente associato alla ricerca, ai brevetti e, più in generale, all'innovazione tecnologica. Anche se questi costituiscono indubbiamente degli elementi essenziali per la competitività, esiste anche un'altra categoria di beni immateriali: l'insieme dei beni legati all'immaginario, che comprende una gamma di attività, concetti e settori, tra cui la creazione culturale e artistica, in senso lato, il design, la pubblicità, i marchi, ecc. Tutti questi elementi presentano una caratteristica comune: si fondano sui concetti di creazione e creatività.

2.2   La Commissione non ha potuto tenere conto, nelle proposte formulate nel 2009, delle recenti evoluzioni intervenute con la ratifica, da parte dell'Unione e degli Stati membri, dei «trattati Internet» dell'Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (OMPI, World Intellectual Property Organization - WIPO), ossia il Trattato OMPI sul diritto d'autore (WIPO Copyright Treaty - WCT) e il Trattato OMPI sulle interpretazioni ed esecuzioni e sui fonogrammi (WIPO Performances and Phonograms Treaty - WPPT). La comunicazione in esame tiene invece conto di questa nuova realtà, nonché dell'accordo commerciale anticontraffazione (Anti-Counterfeiting Trade Agreement - ACTA).

2.3   In questo contesto si possono distinguere due forme di proprietà immateriale (o «intellettuale»): la proprietà industriale e la proprietà letteraria e artistica.

2.4   La protezione degli inventori e dei creatori prevede due forme storiche di tutela: i brevetti per le invenzioni considerate suscettibili di applicazione industriale da un lato, e il diritto d'autore (oppure la versione più restrittiva del copyright prevista dalla common law, ovverosia il diritto anglosassone) per le pubblicazioni e altre creazioni letterarie, audiovisive o artistiche, in senso molto ampio.

2.5   La comunicazione in esame illustra la visione strategica globale concepita dalla Commissione per creare un vero mercato unico per la «proprietà intellettuale» (PI) che è attualmente assente in Europa - un regime europeo dei diritti di proprietà intellettuale (DPI) che sia adatto alla new economy di domani, ricompensi gli sforzi creativi e inventivi, generi incentivi per innovazioni basate nell'UE e promuova la diversità culturale offrendo più punti vendita per i contenuti in un mercato aperto e competitivo.

2.6   Nella comunicazione la Commissione presenta un pacchetto di proposte, alcune delle quali riprendono politiche già avviate da tempo, che tuttavia richiedono un'ulteriore armonizzazione e adeguamento, mentre altre sono nuove e promuovono l'incorporazione e l'integrazione dei DPI nel mercato unico europeo.

2.7   Dal momento che alcune proposte non vengono formulate in maniera concreta, sarà necessario attendere i prossimi mesi per disporre di suggerimenti più precisi in merito all'organizzazione di un mercato europeo dei DPI e agli interventi da effettuare in vista dell'armonizzazione della tutela dei marchi. La Commissione presenterà, nel 2012, una serie di proposte sulla gestione dei diritti relativi alla musica on line.

2.8   Le altre proposte - tra cui il brevetto unico, che dopo trent'anni di sforzi sembra giungere a buon fine, oppure l'armonizzazione delle legislazioni e delle misure concrete di lotta contro la contraffazione e la pirateria, o ancora il parassitismo dei marchi - sono già note da tempo, però vengono ora formulate all'interno di un quadro armonizzato e coerente per contribuire, assieme ad altre misure, all'efficacia della strategia proposta.

3.   Osservazioni generali

3.1   A giudizio del Comitato, un regime di diritti di proprietà intellettuale europeo integrato e moderno fornirà un importante contributo alla crescita, alla creazione di posti di lavoro sostenibili e alla competitività della nostra economia - gli obiettivi chiave della strategia Europa 2020. In passato il CESE ha regolarmente preso posizione sull'argomento e ha formulato proposte in merito alla proprietà industriale e alla proprietà letteraria ed artistica nel quadro del mercato unico (1).

3.2   I diritti di proprietà intellettuale comprendono i diritti di sfruttamento industriale e commerciale, come ad esempio i brevetti e modelli di utilità, i marchi, i diritti di tutela delle nuove varietà vegetali, i diritti sulle basi dati o i circuiti elettronici, i disegni e modelli, le denominazioni geografiche, i diritti d'autore e i diritti connessi, i segreti di fabbricazione, ecc.

3.3   L'industria della conoscenza rappresenta da sola 1,4 milioni di PMI in Europa e 8,5 milioni di posti di lavoro e, rispetto ad altri settori economici, registra una crescita rapida e costante, contribuendo in tal modo alla ripresa economica.

3.4   Secondo la Commissione «i diritti di proprietà intellettuale (DPI) sono diritti di proprietà […]». Essi sono quindi assimilati a un diritto di proprietà, pur essendo in realtà dei diritti su beni immateriali che tutelano i titolari dalla copia e dalla concorrenza. Tali diritti rappresentano eccezioni alla libera concorrenza, sotto forma di monopoli temporanei protetti da un titolo o certificato rilasciato da un'autorità statale competente (brevetti), o riconosciuto da una legislazione nazionale (diritti d'autore e diritti connessi).

3.5   I titolari di tali diritti possono cederli, oppure limitarsi a vendere il diritto di riproduzione sotto forma di licenza, cosa che li avvicina ai diritti di proprietà sui beni immateriali, benché sotto il profilo pratico la loro tutela sia più aleatoria rispetto a quella dei beni materiali dal momento che presentano un fondamento diverso. I monopoli temporanei sono infatti riconosciuti e protetti esclusivamente per motivi d'interesse generale, al fine di accrescere il potenziale delle conoscenze e delle tecnologie e promuovere lo sviluppo industriale o culturale.

3.6   La dimensione dell'interesse generale non figura più nel settore del software, in cui non vige l'obbligo della pubblicazione delle fonti laddove i brevetti siano rilasciati a fini di tutela. D'altro canto, il diritto europeo esclude la protezione dei software mediante brevetti (Convenzione di Monaco) e tutela, mediante un diritto derivato dal diritto d'autore, non le fonti bensì unicamente gli effetti prodotti dai software proprietari. Questo però costituisce un problema visto che è possibile ottenere gli stessi effetti con programmi diversi; inoltre, la tutela dei diritti d'autore sul software prevede degli obblighi specifici per assicurare l'interoperabilità dei diversi programmi, e ciò potrebbe autorizzare la decompilazione. La protezione, la cui durata, in principio, è fissata a 50 anni, appare tuttavia eccessiva per un settore in cui il rinnovo e l'innovazione sono segnati da una rapidità estrema e in cui chi vince prende tutto (winner takes all) in un mercato in cui tecnologie e programmi sono in costante evoluzione o trasformazione.

3.7   D'altro canto, alcuni movimenti si oppongono alle forme tradizionali di protezione che prevedono la creazione di licenze pubbliche libere, come ad esempio la General Public Licence (licenza pubblica generica) per il software e la licenza Creative Commons per le creazioni letterarie o artistiche, poiché sostengono che si tratti di una protezione classica che potrebbe intralciare lo sviluppo della società della conoscenza e dell'informazione. Queste licenze libere, rappresentando una parte cospicua del mercato globale, dovrebbero essere riconosciute e protette al pari delle altre licenze che rappresentano i diritti proprietari.

3.8   Nel caso delle protezioni temporanee, si possono applicare delle deroghe per motivi d'interesse generale (licenze obbligatorie qualora i titolari dei diritti si rifiutino di rilasciare licenze in determinati paesi, oppure nel caso di farmaci per far fronte a epidemie o malattie epizootiche). Prima che gli accordi TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights - Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale) e i recenti trattati dell'OMPI attribuissero ai diritti immateriali legati al commercio internazionale una dimensione più ampia se non addirittura universale, diversi paesi (tra cui il Giappone e alcuni paesi europei) non accordavano una protezione reale o sufficiente alla proprietà industriale e letteraria, oppure tolleravano violazioni in questo settore, allo scopo di costruire la loro base industriale e sviluppare le loro conoscenze. Pur trattandosi di pratiche sempre meno diffuse, è vero che il grado di tolleranza/repressione nei confronti delle contraffazioni varia da uno Stato all'altro (Cina, India, ecc.).

3.9   Lo sviluppo di attività immateriali (marchi) permette a un'impresa di distinguersi dai propri concorrenti, di commercializzare prodotti e concetti nuovi e, più in generale, di acquisire una competitività non di prezzo, conquistando in tal modo nuovi clienti e utili supplementari e creando nuovi posti di lavoro. La contraffazione e le pratiche parassitarie prendono sempre più piede e costituiscono una minaccia sia per i posti di lavoro che per gli investimenti. Esse mettono a repentaglio anche la salute e la sicurezza dei consumatori nonché la loro fiducia nei marchi contraffatti o copiati, riducendo così le possibilità di concessione di licenze, nonché il gettito e le imposte previsti.

3.10   Attualmente, nel determinare il valore di borsa delle grandi imprese all'interno di un'economia dell'immateriale (nel contesto della sua finanziarizzazione) si tiene sempre più conto del valore generato da tali attività. Le principali capitalizzazioni di borsa di imprese come Microsoft,Apple,IBM (con un portafoglio di 40 000 brevetti), Google o Facebook, sono costituite al 90 % dalle loro attività immateriali. Si tratta di una quota che, pur variando da un settore dell'economia all'altro, è significativa dal momento che oscilla tra il 90 % e il 40 % della capitalizzazione di borsa delle imprese di questo settore. I nuovi principi contabili prevedono l'iscrizione in bilancio dei valori immateriali, ma sollevano gravi problemi in materia di valutazione.

3.11   Un tale cambiamento di scala ha ripercussioni dirette sul concetto di «proprietà intellettuale», che in effetti ha subito una trasformazione sostanziale rispetto all'uso classico dei brevetti e del diritto d'autore, come risulta chiaro anche dalle più recenti convenzioni dell'OMPI. La Commissione ha chiesto all'OMPI di esaminare la questione della protezione delle basi dati in una conferenza da tenere prossimamente in vista di un trattato internazionale.

3.12   Queste considerazioni contribuiscono a chiarire anche l'accordo commerciale anticontraffazione ACTA e le condizioni della sua adozione (senza tuttavia giustificarle). L'accordo promuove l'attuazione - sul piano transfrontaliero - di misure di protezione della proprietà dei brevetti e dei diritti d'autore iscritti nell'accordo TRIPS dell'OMC. In realtà alcuni paesi, tra cui la Cina e l'India, si oppongono - nella sede dell'OMC a Ginevra - all'adozione delle misure di attuazione dell'accordo TRIPS, impedendo in tal modo un'effettiva tutela dei diritti immateriali nel commercio internazionale.

3.13   In principio l'ACTA non dovrebbe modificare l'acquis comunitario; tuttavia, con la sua tendenza a concentrarsi esclusivamente sul rafforzamento della protezione dei diritti dei titolari mediante l'adozione di misure doganali, di polizia e di cooperazione amministrativa, l'accordo continua a privilegiare una visione specifica della proprietà dei diritti e non tiene sufficientemente conto degli altri diritti umani, probabilmente più importanti, come ad esempio il diritto all'informazione, alla salute, a un'alimentazione sufficiente, alla selezione delle sementi da parte degli agricoltori e alla cultura. Ciò inciderà sulla futura normativa dell'UE che sarà adottata in vista dell'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri. La concezione proprietaria di tipo individualizzato ed esclusivo delle eccezioni temporanee alla libera concorrenza non può non avere ripercussioni sul futuro della società della conoscenza e dell'informazione, nonché sui diritti umani di terza generazione inclusi nella Carta dei diritti fondamentali dell'UE.

3.14   Va notato che le invenzioni considerate brevettabili variano sensibilmente da paese a paese, in particolar modo per quanto riguarda le nuove tecnologie. Il software presenta determinate specificità e in alcuni casi (Stati Uniti) è protetto da brevetti, mentre in altri (Europa) da un diritto d'autore particolare. Questi regimi contraddittori creano comunque rilevanti ostacoli all'innovazione e, ad esempio negli Stati Uniti, sono all'origine di spese legali sproporzionate. Inoltre, il rilascio di brevetti «banali», ovverosia di interesse minore, crea una marcata incertezza giuridica. Gli Stati Uniti hanno di recente riformato il proprio Ufficio dei brevetti e marchi (USPTO) e riveduto il loro sistema di protezione delle nuove tecnologie, in particolare del software, per rilasciare brevetti di qualità e favorire l'innovazione e la certezza giuridica.

3.15   La procedura di valutazione delle domande è fondamentale: essa deve essere di altissima qualità, nonché generalmente riconosciuta in vista del futuro brevetto unico, per garantirne il valore ed evitare quanto più possibile eventuali contestazioni e processi. L'Ufficio europeo dei brevetti (UEB) dispone di personale qualificato al quale bisognerà tuttavia accordare il tempo necessario per esaminare i singoli dossier in modo da garantire la qualità, che dovrebbe costituire il marchio distintivo dell'innovazione europea. Analogamente, occorre assicurare la qualità delle traduzioni dalle lingue dei diversi Stati nelle lingue veicolari stabilite dalla Convenzione di Londra, grazie all'ausilio di specialisti della traduzione tecnica. Il CESE ritiene infatti che l'attuale livello dei sistemi di traduzione automatica sia ancora troppo scadente per rendere adeguatamente il linguaggio tecnico-giuridico, specialistico e di alto livello utilizzato nei brevetti (2).

4.   Osservazioni particolari

4.1   Protezione delle invenzioni mediante i brevetti

4.1.1   In base alla Convenzione di Monaco, un'invenzione a carattere innovativo e suscettibile di applicazione industriale può formare oggetto di una domanda di protezione brevettuale, mentre non sono brevettabili i software, i metodi commerciali (business methods), gli algoritmi e le equazioni come pure le scoperte scientifiche. Il fatto di rimettere in discussione questi principi in relazione ai software (che sono degli algoritmi) e alle scoperte in campo genetico (genoma umano, funzione dei geni) ha suscitato un animato dibattito a causa di una forte opposizione. Gli Stati Uniti rilasciano di regola brevetti (regolamentati dalla giurisprudenza della Corte Suprema) in campi che l'Europa considera eccezioni, il che è attualmente all'origine di gravi problemi e genera spese legali sproporzionate in caso di controversie.

4.2   Sicurezza dei software

4.2.1   La direttiva 91/250/CEE del Consiglio tutela il diritto d'autore dei programmi per elaboratore, considerati opere d'arte ai sensi della convenzione di Berna sulla tutela delle opere letterarie e artistiche (Atto di Parigi del 1971). La determinazione dell'autore è lasciata in larga misura agli Stati membri. I datori di lavoro godono dell'esercizio dei diritti economici sui programmi creati dai loro dipendenti. I diritti morali sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva  (3). Questa direttiva non affronta quindi la questione dei diritti dei creatori dipendenti in termini sia di diritti d'autore che di brevetti.

4.2.2   Il Comitato suggerisce alla Commissione di valutare la possibilità di mettere a punto una protezione specifica, dalla durata molto ridotta, per i software; alla luce dei rapidi ritmi di innovazione e rinnovo dei programmi dei principali editori, si potrebbe procedere alla revisione della direttiva 91/250/CEE (4) per ridurre significativamente la durata della protezione (portandola ad esempio a cinque anni) e introdurre quindi l'obbligo di pubblicazione delle fonti.

4.3   Protezione delle basi dati

4.3.1   Si tratta in questo caso di una protezione sui generis che si rifà al modello della proprietà letteraria e artistica, ma che prevede una durata di quindici anni, mentre le opere menzionate o citate da alcune basi dati restano soggette al diritto d'autore. La legislazione europea è una delle rare ad accordare una tutela ai creatori di basi dati, i quali sono invece ampiamente ignorati nel resto del mondo.

4.4   Protezione dei circuiti elettronici

4.4.1   Le schede elettroniche e i processori sono soggetti a una tutela universale ad hoc dalle imitazioni, inserita negli Accordi di Marrakech (1994) che istituiscono l'OMC.

4.5   Protezione della proprietà letteraria e artistica

4.5.1   Il diritto d'autore (che si articola in copyright e diritto morale dell'autore) e il diritto dell'autore sulle successive vendite sono anch'essi soggetti, in Europa, a tutela universale.

4.5.2   La protezione delle opere, in particolare di libri e opere cinematografiche e musicali, deve tenere conto dei moderni mezzi di riproduzione digitale e di trasmissione via Internet che possono agevolare la realizzazione di copie di qualità pari a quella dell'originale e la relativa commercializzazione. Queste pratiche sono illegali in Europa, ma le legislazioni nazionali divergono, e il CESE sostiene un'effettiva armonizzazione delle legislazioni in un'ottica di proporzionalità ed equilibrio dei controlli e delle sanzioni.

4.5.3   Soprattutto in questo settore ha preso piede un diritto europeo che prevede una tutela particolare dei titolari del diritto d'autore e dei diritti connessi. Altrettanto è avvenuto negli Stati Uniti, e ciò contribuisce a spiegare l'ACTA, la sua procedura di elaborazione «segreta» limitata ad alcuni paesi, e soprattutto i suoi obiettivi in materia di applicazione a fronte dell'impossibilità di far approvare una serie di procedure pratiche e di obblighi in sede di OMC, a causa del requisito di unanimità e del blocco operato da alcuni paesi, tra cui la Cina o l'India.

4.5.4   Eppure il Comitato ritiene che, con questo approccio, l'ACTA persegua un costante rafforzamento della posizione dei titolari di diritti a fronte di un «pubblico» i cui diritti fondamentali (in materia di vita privata, libertà di informazione, segretezza della corrispondenza, presunzione d'innocenza) vengono sempre più indeboliti da legislazioni nettamente favorevoli ai distributori di contenuti.

4.5.5   I «professionisti» della frode sanno perfettamente come sottrarsi a ogni forma di controllo dei flussi di dati in rete e le sanzioni «esemplari» inflitte a qualche adolescente non riescono a far passare in secondo piano il fatto che i produttori di opere audiovisive sono indietro di dieci anni nella creazione di un business model adatto alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Per ridurre i costi della procedura e i tempi della conciliazione, sono stati definiti – in maniera non sistematica e talvolta su richiesta del governo interessato – dei codici di condotta in base ai quali i fornitori di accesso a Internet sono tenuti a presentare ai fornitori di contenuti audiovisivi e musicali (settore a elevato livello di concentrazione) i nominativi e gli indirizzi dei presunti «autori di copie» di contenuti acquisiti illegalmente su Internet. Il rischio di cadere in errore è tutt'altro che trascurabile. Questa forma di denuncia può essere aggravata dall'interruzione dell'accesso a Internet dei presunti contraffattori. Se da un lato ciò alleggerisce il lavoro di tribunali già sovraccarichi e permette al legislatore di non intervenire e di non proporre la creazione di istituzioni ufficiali di lotta alla contraffazione - in un contesto di restrizioni di bilancio - pratiche private di questo genere possono produrre una serie di derive, analogamente alle legislazioni approvate in diversi paesi a seguito delle pressioni esercitate dalle lobby dei distributori di film e musica che imperversano in determinati paesi con risultati generalmente molto poco convincenti e con il rischio di violare i diritti dei consumatori i quali, oltre ad essere in linea di massima completamente ignorati, sono considerati dei potenziali autori di frodi.

4.5.6   Se da un lato è vero che occorre far rispettare le legislazioni che combattono la contraffazione e che, nella maggior parte dei casi, proteggono i consumatori dai rischi in materia di salute e sicurezza nonché garantiscono posti di lavoro qualificati che rispettano i diritti dei lavoratori, dall'altro sarebbe tuttavia opportuno specificare il concetto generale di proprietà letteraria ed artistica per riequilibrare le legislazioni da armonizzare tenendo conto anche dei diritti di consumatori, utenti e lavoratori, e coinvolgendo le loro organizzazioni rappresentative nell'elaborazione della normativa afferente.

4.5.7   Oltre ad una direttiva (5) che disciplina la radiodiffusione via satellite e la ritrasmissione via cavo, vanno ricordate anche altre norme europee tra cui:

una direttiva sulle «opere orfane» (attualmente all'esame del legislatore) (6),

una direttiva sul diritto di noleggio e di prestito (7),

e alcune eccezioni al diritto d'autore (8).

Tali norme formano l'oggetto di rapporti periodici. Le «eccezioni» o «tolleranze» andrebbero rivedute alla luce di una affermazione esplicita dei diritti degli utenti da parte di una legislazione che ne tuteli i diritti fondamentali e imponga eccezioni, ad esempio nel caso dei portatori di handicap (9).

4.6   Proposta della Commissione sul mercato unico dei diritti di proprietà intellettuale e osservazioni del Comitato

4.6.1   Sta emergendo sempre più marcata una tendenza ad assimilare in permanenza i diritti temporanei alla protezione tramite brevetto, diritto d'autore e altri regimi sui generis (circuiti elettronici, disegni e modelli, ritrovati vegetali, ecc.) a diritti di proprietà simili a quelli che si applicano ai beni mobili e immobili. Questa tendenza, che non si sa quanto potrà durare, è stata ripresa dalla Commissione e ha segnato profondamente la strategia proposta.

4.6.2   Il fatto di confondere le eccezioni temporanee con un concetto di proprietà basato sul diritto romano non sempre presenta dei vantaggi, se non per i titolari. La sospensione del diritto della concorrenza, che viene assoggettato a un sistema di autorizzazione da parte dei titolari che concedono le licenze, non dà luogo a un vero e proprio diritto di proprietà completo di tutti i suoi attributi. Esistono effettivamente restrizioni nel pubblico interesse (licenze obbligatorie), e la territorialità dei brevetti costituisce un limite alla protezione, come pure le divergenze nelle normative nazionali, comprese quelle dei paesi europei, ecc.

4.6.3   Ciononostante, la tendenza attuale è di considerare i brevetti e le licenze come dei titoli e delle garanzie d'investimento, tanto che si assiste addirittura alla loro titolarizzazione a fini di speculazione finanziaria. Ciò porta alla finanziarizzazione dell'economia parallelamente allo sviluppo di un'economia immateriale legata alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione e alle nuove norme contabili IFRS. La Commissione dovrebbe concretizzare quanto prima la sua strategia nel settore del mercato dei brevetti mediante uno strumento di valorizzazione dei diritti di proprietà intellettuale (creazione di una borsa europea?). Il problema principale delle «nuove start-up innovatrici» in Europa è costituito dai collegamenti insufficienti tra ricerca di base, ricerca applicata e università-imprese, nonché dalla flagrante carenza di capitale di rischio nelle imprese innovatrici. Il CESE richiama inoltre l'attenzione sulle pratiche attuate dalle multinazionali dei settori ad alta tecnologia, le quali acquistano PMI ed ingegneri con il portafoglio brevetti delle imprese innovatrici, piuttosto che licenze che potrebbero essere concesse anche alla concorrenza. L'obiettivo di tali pratiche è utilizzare i brevetti e gli altri titoli di proprietà industriale per attuare strategie monopolistiche e anticoncorrenziali.

4.6.4   Un altro pilastro della strategia conferma l'importanza del brevetto unico europeo e di una giurisdizione europea superiore destinata a unificare la giurisprudenza, allo scopo di superare le gravi difficoltà che incontrano le imprese, tra cui in particolare la difficoltà di accesso delle PMI alla protezione della loro proprietà industriale, nonché di promuovere una più approfondita conoscenza dello stato della tecnologia nel mercato unico.

4.6.5   Il Comitato ha sempre sostenuto con forza le iniziative della Commissione volte a instaurare un brevetto unico, pur formulando delle riserve in merito ad alcune pratiche dell'UEB che non rispettano del tutto le clausole della Convenzione di Monaco con riguardo all'esplicita esclusione dei software, proprio ora che tutti i brevetti in materia di software o business methods sono stati annullati dai giudici nazionali competenti in materia di reclami. Tali pratiche pregiudicano la certezza del diritto che deve sempre accompagnare l'ottenimento di un brevetto - una procedura costosa, questa, per i richiedenti (spese di valutazione, spese di traduzione, diritti annuali, ricorso a intermediari del settore); simili derive non devono avere ripercussioni sul futuro brevetto.

4.6.6   Per quanto riguarda la proposta della Commissione di creare un codice europeo del diritto d'autore e di esaminare la possibilità di creare un titolo di diritto d'autore «unitario» opzionale, il CESE ritiene che si tratti di progetti molto ambiziosi che promuoverebbero l'armonizzazione e la realizzazione del mercato unico. Reputa, tuttavia, che sia ancora troppo presto per pronunciarsi su delle semplici ipotesi, e invita la Commissione ad approfondire gli studi in materia e a presentare delle proposte concrete che tengano conto dell'evoluzione del settore nei diversi Stati membri.

4.6.7   A giudizio del CESE, la tassa sui supporti elettronici e magnetici di ogni genere, destinata al finanziamento della copia privata, si fonda su una presunzione di reato. Il Comitato ritiene invece che la copia privata costituisca una pratica legittima che permette di cambiare supporto o materiale e che andrebbe riconosciuta come un diritto del legittimo titolare della licenza d'uso in quanto applicazione del principio dell'uso corretto (fair use) (10).

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 18 del 19.1.2011, pag. 105.

GU C 116 del 28.4.1999, pag. 35.

GU C 32 del 5.2.2004, pag. 15.

GU C 77 del 31.3.2009, pag. 63.

(2)  L'Ufficio europeo dei brevetti (UEB) dispone di una serie di strumenti di traduzione che, tuttavia, si limitano alle tre lingue ufficiali.

(3)  Cfr. COM(2000) 199 definitivo.

(4)  GU L 122 del 17.5.1991, pag. 42.

(5)  Direttiva 93/83/CEE (GU L 248 del 6.10.1993, pag. 15).

(6)  Parere CESE: GU C 376 del 22.12.2011, pag. 66.

(7)  Direttiva 2006/115/CE (GU L 376 del 27.12.2006, pag. 28).

(8)  Direttiva 2001/29/CE (GU L 167 del 22.6.2001, pag. 10).

(9)  Parere CESE: GU C 228 del 22.9.2009, pag. 52.

(10)  Tale analisi è condivisa dalla CGUE nella sentenza Padawan.


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Una visione strategica per le norme europee: compiere passi avanti per favorire e accelerare la crescita sostenibile dell'economia europea entro il 2020»

COM(2011) 311 definitivo

2012/C 68/06

Relatore: IOZIA

La Commissione europea, in data 1o giugno 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo – Una visione strategica per le norme europee: compiere passi avanti per favorire e accelerare la crescita sostenibile dell'economia europea entro il 2020

COM(2011) 311 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 19 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 158 voti favorevoli, 6 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è un convinto sostenitore della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e accoglie con favore l'iniziativa della Commissione. In particolare, l'adozione di norme europee comuni contribuisce allo sviluppo di un mercato unico competitivo con prodotti e servizi standardizzati interoperabili e innovativi.

1.2   Le norme possono essere considerate come il patrimonio della civiltà europea: esse rappresentano le conoscenze di oggi e di ieri; vanno introdotte in modo progressivo perché possano evolvere adeguatamente. Il tempo necessario per la loro elaborazione andrebbe ridotto in modo che esse siano sempre in grado di rispecchiare i bisogni della società. Il CESE appoggia gli sforzi intrapresi dalla Commissione per dimezzare questo periodo di tempo entro il 2020, senza però che tale processo debba essere uniforme e senza rimettere in discussione l'esigenza di consultare, anche su un lungo periodo di tempo, i soggetti interessati. Le consultazioni si realizzano in modo più efficiente a livello nazionale, con l'utile complemento dell'operato diretto delle organizzazioni europee specializzate.

1.3   La partecipazione all'opera di normalizzazione dovrebbe essere tanto importante quanto la partecipazione al processo legislativo. Occorre una maggiore partecipazione dei consumatori, delle PMI e delle altre parti interessate. Tale necessità può essere soddisfatta offrendo un sostegno finanziario. Una revisione inter pares delle norme nazionali ad opera delle parti interessate potrebbe garantire che gli interessi della società siano rappresentati a tutti i livelli.

1.4   Nel settore degli appalti pubblici, le norme sono fondamentali per una corretta attuazione del mercato unico.

1.5   Il CESE conferma quanto affermato nel suo precedente parere: «le specifiche adottate da forum e/o consorzi industriali internazionali nel settore TIC dovrebbero essere accettate solo dopo un processo di asseverazione compiuto dagli organismi di normalizzazione europei (OEN), con la partecipazione dei rappresentanti di PMI, consumatori, operatori dell'ambiente, lavoratori e organismi che esprimano forti interessi sociali (1)».

1.6   La Commissione propone diversi interventi in vari settori. Premesso che la normalizzazione è uno strumento molto importante per sostenere la politica industriale, l'innovazione e la competitività, il CESE appoggia le azioni proposte, specialmente quelle che riguardano il Centro comune di ricerca della Commissione europea, incaricato di verificare che le norme scientifiche siano compatibili con le esigenze dell'economia europea e delle economie nazionali, in termini di competitività, esigenze sociali, preoccupazioni in materia di sicurezza e impatto ambientale (azioni da 1 a 5 della comunicazione).

1.7   Per quanto riguarda gli interessi sociali, la Commissione prevede che venga rivolta una particolare attenzione ai temi della sicurezza e della protezione, e che gli Stati membri debbano garantire il coinvolgimento efficace dei consumatori, delle associazioni ambientaliste, dei disabili e degli anziani. A giudizio del CESE si tratta di proposte di estremo interesse (azioni 6-9).

1.8   Il CESE ha sempre sostenuto il coinvolgimento, con un ruolo incisivo, delle organizzazioni della società civile, e concorda pienamente con la Commissione e con la sua iniziativa di adottare processi di lavoro più ampi e inclusivi, sia a livello nazionale che europeo, basati su criteri riconosciuti, come i principi dell'accordo dell'OMC sugli ostacoli tecnici agli scambi. Dovrebbe essere fornito un sostegno finanziario alle organizzazioni di PMI, ai consumatori, ai sindacati e agli altri soggetti interessati (azioni 10-15).

1.9   Il capitolo 5 della comunicazione è dedicato allo sviluppo di norme nei servizi: il CESE condivide l'opinione espressa in tale capitolo e ritiene che l'idea di incaricare il gruppo ad alto livello sui servizi alle imprese, come proposto nella comunicazione della Commissione Verso un atto per il mercato unico, sia particolarmente utile per tutti i settori economici, compresi quelli diversi dal settore dei servizi (azioni 16-18).

1.10   Il CESE riconosce la particolarità del mercato delle TIC e la necessità di una rapida definizione delle norme, che verrebbero in pratica elaborate da forum e consorzi. Come già affermato, un processo veramente inclusivo dovrebbe convalidare queste norme. L'istituzione di una piattaforma multilaterale va certamente accolta con favore. Il CESE, che desidera essere associato a questo forum, raccomanda di convocarlo regolarmente e non solo per singole iniziative.

Le norme TIC sono indispensabili nel settore degli appalti elettronici e dell'e-government in generale. È essenziale garantire l'interoperabilità delle TIC (azioni 19-23).

1.11   Le proposte finali sottolineano il ruolo dell'Europa nella normalizzazione internazionale e l'iniziativa attiva annunciata dalla Commissione. Il CESE è favorevole alle azioni proposte e ritiene fondamentale per l'interesse dell'UE che quest'ultima svolga un ruolo particolarmente attivo nelle iniziative internazionali, appoggiando le decisioni della Commissione di sostenere l'attività degli OEN a livello bilaterale e multilaterale (azioni 24-28).

1.12   La revisione indipendente che sarà avviata al più tardi entro il 2013 si basa sull'interesse indipendente della Commissione per la valutazione dei progressi compiuti verso il raggiungimento e il rispetto degli obiettivi: politica industriale, innovazione e sviluppo tecnologico, dal punto di vista delle esigenze del mercato e in termini di inclusività e rappresentatività. Il CESE condivide pienamente questa proposta (azione 29).

2.   Osservazioni generali

2.1   Un efficiente sistema europeo di normalizzazione permetterà in sostanza di offrire prodotti e servizi interoperabili in modo costante e ottimale in tutta l'UE, non solo nei contesti transfrontalieri ma anche a livello locale, regionale o nazionale.

2.2   Il CESE concorda sul fatto che le norme sono strumenti strategici efficaci in grado di contribuire al corretto funzionamento del mercato unico, in particolar modo nei settori delle TIC e dei servizi, un ambito in cui si stanno definendo norme relative ai processi e alla produzione.

2.3   Il CESE appoggia fermamente l'uso di norme nel settore degli appalti pubblici poiché ciò incentiverà l'offerta di prodotti e servizi standardizzati. I committenti pubblici dell'UE dovrebbero utilizzare, laddove disponibili, norme internazionali o europee ogni qual volta richiedono prodotti o servizi, mentre l'utilizzo di norme proprietarie e di prodotti o servizi non interoperabili dovrebbe essere fortemente scoraggiato.

2.4   Il CESE sottolinea l'importanza di rimuovere in modo definitivo gli ostacoli agli scambi commerciali e apprezza l'impegno di tutti gli organismi nazionali di normalizzazione degli Stati membri ad applicare le norme europee come norme di valore equivalente a quelle nazionali e ad eliminare le norme nazionali in vigore che divergano rispetto a queste ultime, come pure l'impegno a non intraprendere in futuro azioni che potrebbero compromettere questa armonizzazione.

2.5   Il CESE concorda sulla necessità di rendere il processo di normalizzazione europea più rapido, più semplice, più moderno e più inclusivo. Nelle richieste di elaborazione di norme e di finanziamenti, la Commissione europea dovrebbe indicare tra i requisiti la fissazione di scadenze specifiche e rigorose, le risorse in termini di esperti e l'effettiva partecipazione di tutte le parti interessate (soprattutto le PMI, i consumatori e altri soggetti sociali interessati spesso sottorappresentati o assenti a livello nazionale).

2.5.1   Anche la partecipazione a livello nazionale svolge un ruolo molto importante. Le proposte degli organismi nazionali di normalizzazione sono infatti alla base di una norma europea. Per i consumatori e per le PMI è più facile fornire un contributo a livello nazionale.

2.6   Dal momento che la normalizzazione è un processo volontario orientato dal mercato, il cui successo dipende in primo luogo dall'accettazione del mercato stesso, il CESE sottolinea l'importanza di coinvolgere maggiormente le PMI, anche tramite le loro associazioni, in tutte le fasi del processo di normalizzazione: nelle consultazioni relative ai nuovi progetti, compresi i mandati, nello sviluppo delle norme e nell'approvazione definitiva, sia a livello nazionale che europeo.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Considerazioni riguardanti gli OEN  (2)

3.2   Il CESE riconosce che negli ultimi anni il tempo medio necessario per elaborare le norme europee è stato notevolmente ridotto. Occorre tuttavia ridurlo ulteriormente, senza che questo vada a scapito dell'inclusività o della qualità. Si esorta inoltre la Commissione a migliorare e ad accelerare le sue procedure per i mandati di normalizzazione e per i riferimenti alle «norme armonizzate» nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Il CESE accoglie con favore l'obiettivo dichiarato della Commissione di dimezzare la durata del processo entro il 2020.

3.2.1   La composizione dei gruppi di lavoro e dei comitati tecnici degli OEN deve essere più equilibrata e rappresentare tutti gli operatori del mercato interessati nella materia oggetto di normalizzazione. Si dovrebbero stanziare dei finanziamenti per consentire alle microimprese, ai consumatori e ad altri soggetti sociali interessati, comprese le loro associazioni, di partecipare ai seminari. Il CESE sostiene la decisione di rivedere e razionalizzare l'attuale sistema di incentivi e di aiuti finanziari, al fine di ampliare le opportunità di partecipazione per tutti i soggetti interessati. Una regolamentazione unificata di tutti gli strumenti esistenti sarebbe accolta con grande favore.

3.2.2   Per evitare che più gruppi di lavoro a livello europeo (finanziati dalla Commissione europea) svolgano lo stesso lavoro o pervengano agli stessi risultati, è necessaria un'adeguata vigilanza.

3.2.3   Gli organismi nazionali di normalizzazione sollecitano il pieno coinvolgimento degli Stati membri, soprattutto in termini di sostegno politico e di risorse tecniche e finanziarie, per consentire la partecipazione di tutti i soggetti interessati.

3.2.4   Sebbene uno dei principali vantaggi della normalizzazione sia la possibilità di offrire prodotti e servizi interoperabili, per garantire cicli di sviluppo dei prodotti più rapidi è necessario definire un meccanismo chiaro e mettere a punto degli strumenti per la verifica e la convalida delle norme europee.

3.2.5   Di fronte a un'Europa che invecchia, la normalizzazione europea ha anche un ruolo fondamentale da svolgere per garantire la fornitura di prodotti e servizi sicuri e accessibili a tutti i consumatori, indipendentemente dalla loro età e dalle loro capacità. Questo aspetto è di particolare rilievo se si considera l'importanza del contributo offerto dalle norme europee nel settore degli appalti pubblici.

3.3   Orientamenti generali per l'attuazione - Alcuni organismi internazionali di normalizzazione non forniscono orientamenti relativi all'attuazione delle norme elaborate. Gli OEN dovrebbero soddisfare questa esigenza e fornire orientamenti chiari e concisi che agevolino l'applicazione delle norme.

Le PMI avranno la possibilità di accedere ai mercati in cui si applicano norme comuni, il che ridurrà la complessità e i costi cui esse devono far fronte e rafforzerà la concorrenza.

In assenza di norme nazionali occorre promuovere l'uso di norme europee oppure garantire la convergenza delle norme nazionali con quelle europee, stabilendo precise tabelle di marcia.

3.4   Sensibilizzazione e rappresentanza delle PMI: poiché è più semplice entrare in contatto con le PMI tramite le associazioni industriali o le associazioni di PMI e le amministrazioni pubbliche locali, occorre organizzare seminari mirati, formazioni e attività di sensibilizzazione a livello regionale e nazionale.

3.4.1   Spesso le PMI non sono a conoscenza dei meccanismi relativi all'elaborazione di norme ed accettano semplicemente prodotti con norme predefinite. Le associazioni che rappresentano le PMI a livello nazionale ed europeo spesso non dispongono delle risorse necessarie per contribuire al processo di normalizzazione, il che riduce ulteriormente la loro influenza.

3.4.2   Il CESE concorda sulla necessità di rafforzare tanto la posizione delle associazioni europee che rappresentano le PMI quanto quella dei soggetti sociali interessati. Si dovrebbe esaminare seriamente la possibilità di dare alle associazioni europee che rappresentano le PMI e ai soggetti sociali interessati il diritto di voto in seno agli OEN. Il CESE è interessato a partecipare a questo dibattito, attualmente controverso poiché gli OEN sono organismi privati.

3.4.3   Il CESE apprezza il lavoro svolto, con il sostegno finanziario della Commissione europea, dal Normapme (l'Ufficio europeo dell'artigianato e delle piccole e medie imprese per la normazione) e dall'ANEC (l'Associazione europea per il coordinamento della rappresentanza dei consumatori in materia di normazione).

3.4.4   Per una maggiore sensibilizzazione e un più ampio utilizzo delle norme, il CESE raccomanda che gli organismi di normalizzazione, a livello europeo e nazionale, forniscano ai potenziali utenti un accesso semplificato alle norme, compresa una sintesi del loro contenuto. Qualora l'utilizzo delle norme venga reso obbligatorio nel quadro di un atto legislativo, il legislatore deve fare in modo che tali norme siano altrettanto accessibili dell'atto stesso.

3.5   Istruzione: nozioni in materia di normalizzazione dovrebbero entrare a far parte dei programmi scolastici delle scuole secondarie e delle università europee. Occorre promuovere specifici incentivi affinché studenti e ricercatori sviluppino soluzioni e applicazioni interoperabili standardizzate. Ad esempio, gli studenti e i ricercatori, sia come singoli soggetti che come gruppi transfrontalieri, dovrebbero poter accedere facilmente ai finanziamenti dell'UE.

3.5.1   La Commissione dovrebbe monitorare le tendenze nel campo dell'innovazione lavorando in stretta collaborazione con l'industria delle TIC, i centri di ricerca e le università per fare in modo che le norme siano elaborate tenendo conto dell'innovazione dei prodotti e dei servizi. Il programma di lavoro per la normalizzazione dovrebbe rispondere a questa esigenza privilegiando le azioni che si basano sui comportamenti e le richieste di adozione del mercato.

3.6   Le norme costituiscono un processo volontario di valutazione delle esigenze, dei requisiti e delle regole da rispettare per promuovere l'accettazione dei relativi prodotti e servizi. Tuttavia, queste regole diventano delle norme soltanto se gli utenti le adottano in modo generalizzato determinando così l'accettazione da parte del mercato. Qualsiasi opera di normalizzazione dovrebbe quindi essere basata su un rapporto equilibrato tra le diverse esigenze espresse dai soggetti interessati e sul consenso. Tuttavia, all'elaborazione delle norme partecipano soprattutto le grandi imprese pubbliche e private, determinando così uno squilibrio nella rappresentanza delle parti interessate.

3.7   La normalizzazione è uno strumento importante per la competitività. Il CESE invita gli Stati membri a mettere a punto un quadro di normalizzazione efficace a livello nazionale, che possa contribuire all'elaborazione di norme europee e internazionali e fornire delle soluzioni in materia di normalizzazione per soddisfare esigenze esclusivamente nazionali.

3.8   Occorre potenziare gli ONN (organismi nazionali di normalizzazione). Tuttavia, poiché ciò dipende in larga misura dalla politica industriale nazionale, il livello di impegno da parte dei governi nazionali varia da un paese all'altro. Sarebbe opportuno sviluppare degli incentivi specifici, associati ad una campagna di comunicazione sulle migliori pratiche adottate da quegli Stati membri che considerano le norme come un punto di forza strategico per la loro competitività.

3.9   Il CESE concorda sul ruolo centrale che riveste l'elaborazione di norme per i servizi. Tuttavia, è fondamentale garantire che le norme per i servizi siano orientate al mercato e fondate sul consenso.

3.9.1   Le norme nazionali possono essere di ostacolo al conseguimento del mercato unico. È essenziale elaborare norme a livello dell'UE prima che gli Stati membri inizino a mettere a punto norme specifiche per ciascun paese che spesso non sono interoperabili.

3.10   Il CESE sostiene con decisione le azioni della Commissione europea nel campo delle norme TIC e dell'interoperabilità. In particolare, sostiene la possibilità di utilizzare norme ampiamente accettate in materia di TIC nel settore degli appalti pubblici, in modo da creare una richiesta di servizi interoperabili indotta dal settore pubblico che costituirà un incentivo fondamentale per la normalizzazione.

3.10.1   Come già proposto, «il Comitato ritiene indispensabile che gli OEN e la Commissione assicurino un controllo preventivo, che asseveri che le specifiche adottate da forum e/o consorzi industriali internazionali, da utilizzare come riferimenti negli appalti pubblici, siano state elaborate in modo neutrale, equo e trasparente, con una appropriata partecipazione dei rappresentanti delle piccole e medie imprese, dei consumatori, degli ambientalisti, dei lavoratori e degli organismi che esprimono importanti interessi sociali».

3.11   Il CESE nutre inoltre scetticismo rispetto alla proposta volta a promuovere la competitività globale; è la legislazione che dovrebbe sostenere le politiche e le norme, e non il contrario. La normalizzazione non dovrebbe ostacolare l'innovazione e lo sviluppo.

3.12   I prodotti e/o i servizi standardizzati realizzati grazie ad iniziative finanziate dall'UE che hanno avuto risultati positivi dovrebbero essere integrati nelle successive iniziative dell'UE in materia, allo scopo di eliminare i doppioni e di promuovere un'ulteriore estensione/adozione delle medesime norme.

Bruxelles, 19 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 58.

(2)  OEN: organismi europei di normalizzazione. I tre organismi europei di normalizzazione ufficiali sono il Comitato europeo di normalizzazione (CEN), il Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica (Cenelec) e l'Istituto europeo per le norme di telecomunicazione (ETSI).


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento»

COM(2011) 452 definitivo — 2011/0202 (COD)

2012/C 68/07

Relatore: MORGAN

Il Consiglio, in data 30 novembre 2011, e il Parlamento europeo, in data 17 novembre 2011, hanno deciso, conformemente a quanto disposto dall'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento

COM(2011) 452 definitivo — 2011/0202 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 179 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l'impostazione essenziale della quarta direttiva sui requisiti patrimoniali (1) (CRD IV) e l'Accordo di Basilea III su cui essa si basa; tuttavia, la CRD IV comporterà un aumento dei costi bancari, e questo è un fattore fondamentale per le imprese dell'UE, specialmente per le PMI. Il quadro di Basilea è concepito per le banche attive a livello internazionale che dovrebbero aderire tutte al quadro senza eccezioni.

1.2   Le direttive UE sui requisiti patrimoniali si sono sempre applicate all'intero sistema bancario - e questo ha la sua importanza considerato il ruolo delle banche regionali e delle banche non costituite come società per azioni nel sostenere l'economia.

Le PMI dipendono in larga misura dal finanziamento bancario e, pertanto, si dovrebbero evitare penalizzazioni di costo per le PMI dell'UE rispetto ai loro concorrenti internazionali. È in questo contesto che il CESE esorta la Commissione a favorire l'ulteriore sviluppo dell'attività bancaria etica e partecipativa (2).

1.3   Dallo studio di impatto condotto dalla Commissione emerge che i nuovi requisiti patrimoniali non comporterebbero particolari svantaggi per le PMI; tuttavia il Comitato continua a nutrire una certa diffidenza e invita la Commissione a monitorare da vicino l'andamento dei prestiti bancari alle PMI e delle spese bancarie da esse sostenute. Inoltre, il CESE è favorevole alla revisione da parte della Commissione della valutazione del rischio per i prestiti alle PMI.

1.4   Il nuovo quadro unisce elementi sia microprudenziali che macroprudenziali. I primi comprendono un capitale più elevato e di migliore qualità, una migliore copertura dei rischi, l'introduzione di un coefficiente di leva finanziaria come scudo per il regime basato sul rischio e un nuovo approccio alla liquidità. Per quanto riguarda l'aspetto macroprudenziale, la CRD IV prevede la costituzione di una riserva di capitale nei periodi positivi a cui poter attingere nei periodi di stress, così come altre misure volte ad affrontare il rischio sistemico e l'interconnessione. Almeno da un punto di vista concettuale, le proposte affrontano tutti i problemi emersi con la crisi bancaria e indicati nel precedente parere del CESE sulla CRD III (3).

1.5   In ultima analisi, l'effetto della normativa dipenderà dalla sua attuazione e dai soggetti coinvolti. La crisi bancaria non è stata scatenata da un'unica causa; tutti gli attori hanno avuto colpe. È chiaro che i dirigenti responsabili della governance di molte banche hanno sbagliato, ma lo stesso vale anche per i revisori legali dei conti, le agenzie di rating, gli investitori e gli analisti istituzionali, le autorità di regolamentazione e di vigilanza degli Stati membri, i banchieri centrali, i ministri del tesoro e i politici - mentre anche gli economisti di estrazione accademica e i commentatori dei mezzi di comunicazione non sono riusciti a vedere cosa stesse accadendo. Il CESE vorrebbe poter credere che i soggetti interessati abbiano tratto degli insegnamenti dall'ultima crisi, ma il modo in cui è stata gestita la crisi del debito sovrano induce a pensare che non sia così. In alcuni casi, la ricapitalizzazione bancaria non è stata affrontata, le prove di stress si sono rivelate non convincenti (Dexia), i revisori non hanno imposto rigorosi accantonamenti contro le svalutazioni del debito sovrano mentre i politici, applicando rimedi di stampo politico a problemi di natura economica, hanno permesso che la crisi andasse fuori controllo.

1.6   Al nuovo regolamento deve fare da contrappeso l'attuazione di sistemi di risoluzione e di recupero basati su dispositivi come i «testamenti in vita» (living wills). Mentre lo Stato continuerà a fornire garanzie per i depositi di importo esiguo, occorre eliminare l'azzardo morale rappresentato dal sostegno statale illimitato alle banche fallite. Se la situazione sarà sufficientemente chiara, gli investitori, i creditori e i direttori dovranno assumersi la responsabilità diretta per la salute futura di ciascun ente creditizio.

1.7   Per ripristinare la stabilità e la fiducia nei mercati, nel loro piano di uscita dalla crisi del 26 ottobre 2011, i capi di Stato e di governo dell'UE hanno concordato di imporre a una serie di banche di detenere un coefficiente di capitale della massima qualità del 9 % entro giugno 2012, compresa una riserva eccezionale e temporanea contro le esposizioni sul debito sovrano. Ciò si è reso necessario perché, in base alla proposta di regolamento, la transizione ai nuovi requisiti di capitale dovrebbe avvenire nell'arco di alcuni anni. A causa di questa decisione, alcune banche incontreranno non poche difficoltà a reperire nuovi capitali, non da ultimo perché esse devono rinnovare il debito esistente - problema già in sé spinoso visto che i finanziamenti si erano già prosciugati nella seconda metà del 2011. Il Comitato riconosce che si tratta di misure eccezionali, il cui impatto è però immediato, a prescindere dal beneficio che apporteranno in ultima analisi.

1.7.1   Se applicati, questi requisiti patrimoniali potrebbero avere un effetto dirompente sulle banche minori e sulle banche locali, che sono normalmente più sensibili alle esigenze delle PMI e delle microimprese rispetto alle banche internazionali. Se le banche minori avranno difficoltà a reperire questi capitali, diventerà più complicato per le PMI ottenere accesso ai finanziamenti.

1.8   Se l'attuale crisi del finanziamento dovesse persistere, la suddetta decisione solleverebbe due problemi principali: per le banche che non possono o non vogliono reperire nuovo capitale azionario di classe 1 nel breve periodo, cosa che rischierebbe di diluire il loro azionariato attuale, l'alternativa consisterebbe nel ridurre i bilanci, diminuendo il portafoglio prestiti per allinearlo alle riserve patrimoniali. In un momento in cui tutti gli Stati membri stanno tentando di rivitalizzare le proprie economie, interrompere la concessione del credito bancario sarebbe un disastro. Per evitare questa situazione, le autorità degli Stati membri e dell'UE dovrebbero cercare di cooperare con il settore bancario, piuttosto che cercare il confronto continuo. Esse dovrebbero cercare di adottare misure globali per incoraggiare modalità alternative di finanziamento, quali l'attività bancaria partecipativa già proposta in un precedente parere del CESE (4).

1.9   La seconda questione riguarda le banche che reperiscono fondi propri aggiuntivi sui mercati. La maggior parte del capitale disponibile si trova nei fondi sovrani e nelle banche asiatiche e mediorientali, con il rischio reale che la proprietà del sistema bancario UE esca dal controllo degli Stati membri dell'UE.

1.10   Un problema particolare emerso durante la crisi del debito sovrano è il fatto assodato che, contrariamente agli orientamenti contenuti nell'Accordo e nelle diverse direttive sui requisiti patrimoniali, chiaramente il debito sovrano non è privo di rischi. Si tratta di un considerevole punto debole per le disposizioni in materia di qualità del capitale contenute nel regolamento, con profonde implicazioni per le banche cui il regolamento non ha praticamente lasciato altra scelta se non quella di sovraccaricarsi di debito sovrano. L'applicazione automatica della valutazione «esente da rischio» deve essere riconsiderata da parte delle autorità di regolamentazione mentre le banche dovranno rivedere le loro metodologie interne di valutazione dei rischi.

1.11   L'effetto cumulativo su patrimonio, liquidità e leva finanziaria delle CRD II, III e IV, i futuri sistemi di risoluzione, il crescente interesse nei confronti delle proposte Volcker per limitare le attività bancarie a nome proprio e separare le attività bancarie al dettaglio da quelle di investimento sono elementi che indurranno probabilmente a rivedere il modello operativo applicato in modo così redditizio dalle maggiori banche nell'ultimo decennio per adeguarlo al contesto caratterizzato dall'austerità e dalla penuria di capitale del nostro decennio. È nell'interesse di tutte le parti in causa (prestatori e contraenti di prestiti, lavoratori e investitori), nonché della società in generale, permettere alle banche di sviluppare un nuovo modello imprenditoriale, sicuramente meno redditizio ma, si spera, più sostenibile per gli anni a venire.

1.12   I nuovi modelli imprenditoriali devono essere, a parere del CESE, etici e sostenibili. Devono essere migliorati i rapporti con la clientela, l'attività deve essere caratterizzata da pratiche scrupolosamente etiche e le strutture di remunerazione vanno radicalmente riesaminate. Tutti gli attori hanno avuto colpe nell'evolversi della crisi. Essi devono ora unire i loro sforzi per costruire enti creditizi capaci di sostenere l'economia dell'UE nel difficile decennio che l'attende.

2.   Introduzione

2.1   Le direttive UE sui requisiti patrimoniali sono concepite con l'obiettivo di creare un quadro per il mercato interno bancario. Così facendo, esse recepiscono gli accordi di Basilea nel diritto UE. Il comitato di Basilea è stato istituito nel 1975; nel 1998, tale comitato ha deciso di introdurre un sistema di misura del capitale - comunemente noto come l'Accordo di Basilea sul Capitale - che prevedeva l'attuazione di un quadro per la misura del rischio di credito. Nel marzo 1993, l'UE ha recepito l'accordo nella sua prima direttiva sui requisiti patrimoniali (CRD) (5) relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi.

2.2   Nel 2004 è stato pubblicato un secondo Accordo di Basilea (Basilea II). L'UE ha recepito questo accordo in una nuova CRD adottata nel giugno 2006 ed entrata in vigore nel dicembre 2006. Il CESE ha adottato il suo parere (6) sulla CRD proposta nel corso della sessione plenaria di marzo 2005.

2.3   La Commissione ha adottato nell'ottobre 2008 la proposta relativa a una serie di modifiche essenziali da apportare alla CRD (CRD II). La revisione della CRD ha costituito in parte una risposta alle raccomandazioni formulate dal Forum sulla stabilità finanziaria del G7 e alla crisi di mercato. Il testo, pubblicato nel luglio 2009, è stato attuato nel dicembre 2010.

2.4   Conformemente al lavoro condotto in parallelo da Basilea, la Commissione ha tenuto delle consultazioni e ha elaborato delle proposte (luglio 2009) relative ad alcuni emendamenti per quanto riguarda i portafogli di negoziazione, le ricartolarizzazioni e le politiche retributive dei banchieri nell'ambito del pacchetto CRD III. Il CESE ha adottato il proprio parere (7) in materia nella sua plenaria del gennaio 2010.

2.5   Nel dicembre 2010, in risposta alla crisi finanziaria, è stato pubblicato il terzo Accordo di Basilea. Le riserve di capitale e di liquidità proposte sono molto più elevate rispetto al passato. Con Basilea III, le banche sono tenute a disporre di un capitale di base (common equity) pari al 4,5 % (rispetto al 2 % di Basilea II) e di un capitale di classe 1 (tier I) pari al 6 % (rispetto al 4 % di Basilea II) delle attività ponderate per il rischio. Basilea III introduce inoltre riserve di capitale aggiuntive: (i) una riserva di conservazione del capitale obbligatoria pari al 2,5 % e (ii) una riserva anticiclica discrezionale, che consente alle autorità di regolamentazione nazionali di richiedere sino a un ulteriore 2,5 % di capitale nei periodi di crescita elevata del credito. Inoltre, Basilea III introduce un coefficiente di leva finanziaria minimo del 3 % e due coefficienti di liquidità vincolanti. Con il coefficiente di copertura della liquidità, una banca è tenuta a disporre di sufficienti attività liquide di qualità elevata per coprire il totale dei flussi di cassa netti per un periodo di 30 giorni; con il coefficiente netto di finanziamento stabile, l'importo disponibile per un finanziamento stabile deve essere maggiore dell'importo richiesto per tale finanziamento stabile nel corso di un anno di stress durevole. Le proposte relative al recepimento di Basilea III nella CRD IV sono state pubblicate nel luglio 2011 e costituiscono la base del presente parere.

3.   Sintesi delle proposte

3.1   La Commissione europea ha presentato delle proposte volte a modificare il comportamento delle 8 000 banche che operano in Europa. L'obiettivo principale è rafforzare la solidità del settore bancario dell'UE, garantendo al contempo che le banche continuino a finanziare l'attività economica e la crescita. Le proposte della Commissione si basano su tre obiettivi concreti:

la proposta prevede che le banche siano tenute a detenere un livello di capitale quantitativamente e qualitativamente più elevato in modo da potere fare fronte autonomamente a shock imprevisti. Gli istituti finanziari hanno affrontato l'ultima crisi con fondi propri insufficienti in termini quantitativi e qualitativi, rendendo necessario un sostegno senza precedenti da parte delle autorità nazionali. Grazie a queste proposte la Commissione attuerà in Europa le norme internazionali sul capitale delle banche convenute a livello di G20 (comunemente note come Accordo di Basilea III). L'Europa assumerà un ruolo guida in materia, applicando tali norme a oltre 8 000 banche, che gestiscono il 53 % degli attivi a livello mondiale.

La Commissione intende inoltre istituire un nuovo quadro di governance, conferendo alle autorità di vigilanza nuove competenze per monitorare più attentamente le banche e per intervenire qualora rilevassero dei rischi, ad esempio per limitare l'erogazione di crediti in presenza di una bolla speculativa.

La Commissione mira a riunire tutta la legislazione in materia bancaria in un corpus unico di norme per la disciplina dell'attività bancaria con l'obiettivo di migliorare la trasparenza e l'effettiva applicazione delle misure adottate.

3.2   La proposta consiste di due parti: una direttiva in materia di accesso alle attività di raccolta di depositi ed un regolamento che stabilisce con quali modalità vadano svolte le attività degli enti creditizi e delle imprese di investimento. I due strumenti giuridici costituiscono un unico pacchetto e dovrebbero essere considerati congiuntamente. La proposta è accompagnata da una valutazione d'impatto secondo cui la riforma ridurrà notevolmente la probabilità di una crisi sistemica del settore bancario.

3.3   Il regolamento contiene i requisiti prudenziali dettagliati per gli enti creditizi e le imprese di investimento e disciplina i seguenti aspetti:

Capitale: la proposta della Commissione prevede l'aumento della quantità e qualità dei fondi propri che le banche devono detenere. Esso armonizza inoltre le deduzioni dai fondi propri al fine di determinare l'importo netto del patrimonio di vigilanza che è prudente riconoscere a fini regolamentari.

Liquidità: al fine di migliorare la resilienza a breve termine del profilo di rischio di liquidità degli istituti finanziari, la Commissione propone l'introduzione di un coefficiente di copertura della liquidità (Liquidity Coverage Ratio, LCR) - la cui esatta composizione e calibrazione verranno determinate dopo un periodo di osservazione e riesame nel 2015.

Coefficiente di leva finanziaria: al fine di limitare la formazione di una leva finanziaria eccessiva degli enti creditizi e delle imprese di investimento, la Commissione propone un coefficiente di leva finanziaria sottoposto al riesame dell'autorità di vigilanza. Le sue implicazioni saranno monitorate attentamente prima di trasformare eventualmente tale coefficiente in un requisito vincolante a partire dal 1o gennaio 2018.

Rischio di controparte: in linea con le politiche della Commissione nei confronti dei derivati OTC (over the counter), si introducono modifiche per incoraggiare le banche a compensare i derivati OTC tramite controparti centrali.

Corpus unico di norme: la crisi finanziaria ha evidenziato il rischio di norme nazionali divergenti. Un mercato unico necessita di un corpus unico di norme. Il regolamento è direttamente applicabile senza dover essere recepito a livello nazionale e di conseguenza elimina una fonte di divergenza. Esso stabilisce inoltre un corpus unico di norme patrimoniali.

3.4   La direttiva copre determinati settori dell'attuale direttiva sui requisiti patrimoniali per i quali le disposizioni UE devono essere recepite dagli Stati membri in maniera adeguata al loro contesto, come ad esempio le condizioni di accesso all'attività bancaria e di esercizio di tale attività, le condizioni in materia di libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, la definizione di autorità competenti e i principi relativi alla vigilanza prudenziale. La direttiva presenta i seguenti nuovi elementi:

Governance rafforzata: la proposta rafforza i requisiti in materia di dispositivi e processi di governance societaria e introduce nuove disposizioni volte ad aumentare l'efficacia della sorveglianza da parte dei consigli di amministrazione, a migliorare lo status della funzione di gestione dei rischi e a garantire un controllo effettivo della governance dei rischi da parte delle autorità di vigilanza.

Sanzioni: la proposta garantirà che le autorità di vigilanza possano comminare, nei confronti degli istituti che violano le disposizioni dell'UE, sanzioni realmente dissuasive, ma anche efficaci e proporzionate, come ad esempio sanzioni amministrative pecuniarie fino al 10 % del fatturato annuo di un istituto oppure interdizioni temporanee per i membri dell'organo di gestione dell'istituto.

Riserve di capitale: la direttiva, oltre ai requisiti patrimoniali minimi, introduce due riserve di capitale: una riserva di conservazione del capitale identica per tutte le banche nell'UE e una riserva di capitale anticiclica da definire a livello nazionale.

Vigilanza rafforzata: la Commissione propone di rafforzare il quadro di vigilanza richiedendo la preparazione di un programma di revisione prudenziale annuale per ciascun istituto soggetto a vigilanza sulla base di una valutazione del rischio, un uso più esteso e più sistematico delle ispezioni in loco, l'introduzione di norme più severe e valutazioni di vigilanza più approfondite, in grado di anticipare le evoluzioni future.

3.5   Infine, la proposta punta a ridurre nella misura del possibile l'affidamento, da parte degli enti creditizi ai rating esterni esigendo: a) che tutte le decisioni di investimento delle banche siano basate non solo sui rating ma anche su metodi interni di valutazione del credito e b) che le banche con esposizioni rilevanti in un dato portafoglio sviluppino rating interni per tale portafoglio, piuttosto che affidarsi a quelli esterni per il calcolo dei loro requisiti in materia di fondi propri.

3.6   La Commissione ritiene che:

la proposta aumenterà le attività ponderate per il rischio dei grandi enti creditizi del 24,5 % e quelle degli enti più piccoli del 4,1 %.

Si stima che i nuovi fondi propri da raccogliere a motivo del nuovo requisito e della riserva di conservazione del capitale ammonteranno a 84 miliardi di euro entro il 2015 e a 460 miliardi di euro entro il 2019.

4.   Posizione del CESE

4.1   Sulla direttiva non è stato richiesto il parere del CESE. Pertanto, salvo due eccezioni, il Comitato si limita a esprimere un parere sul regolamento.

4.2   La CRD IV rappresenta un notevole passo avanti nella normativa in materia patrimoniale. Essa consentirà di aumentare sostanzialmente i requisiti prudenziali, garantire che il patrimonio di vigilanza sia veramente capace di assorbire le perdite e permetterà di scoraggiare alcune delle attività rischiose per le quali il sistema esistente prima della crisi richiedeva un capitale ben troppo esiguo. In termini generali, sia la crisi attuale che quelle passate hanno dimostrato che dei livelli insufficienti di capitale di alta qualità e di liquidità generano cospicui costi economici per la società qualora le banche incorrano in problemi. È importante correggere questo aspetto. Il CESE, pur essendo favorevole all'impostazione generale del regolamento, nutre una serie di riserve che sono espresse in questo parere.

4.3   Le banche devono disporre di attività liquide sufficienti a fronteggiare i problemi di liquidità in cui potrebbero incorrere senza dover richiedere un sostegno pubblico. Soltanto in casi estremi la banca centrale dovrebbe contemplare la possibilità di agire come prestatore di ultima istanza. Il coefficiente di copertura della liquidità (LCR) assolve pertanto un compito utile. Inoltre, è necessario che le banche limitino i disallineamenti di durata nei loro bilanci. Finanziare attività a lunghissimo termine con passività a breve termine crea dei rischi non solo per la banca stessa, ma anche per l'economia in generale. Il CESE sostiene pertanto la proposta di sviluppare e introdurre a tempo debito il coefficiente netto di finanziamento stabile.

4.4   Anche in questo modo, i requisiti di liquidità dovranno essere calibrati molto attentamente per evitare gravi perturbazioni dell'attività bancaria. Il CESE si compiace del fatto che le proposte prevedano la flessibilità necessaria per apportare modifiche al coefficiente netto di finanziamento stabile e al coefficiente di copertura della liquidità man mano che le autorità di vigilanza raccolgono esperienze sul loro impatto. La tradizionale attività delle banche si basa sulla «trasformazione delle scadenze» (maturity transformation), vale a dire prendere a prestito a breve termine e concedere prestiti a lungo termine; se questa attività fosse soggetta a restrizioni eccessive, l'economia ne pagherebbe le conseguenze. Il CESE è cauto riguardo all'idea di bilanci bancari con scadenze allineate.

4.5   Il funzionamento del sistema finanziario è caratterizzato da un elemento intrinseco di prociclicità. I rischi tendono a essere sottovalutati nelle fasi di espansione economica e sovrastimati nei periodi di crisi; tuttavia, la crisi scoppiata a seguito del fallimento della Lehman ha dimostrato quanto estreme possano divenire le fluttuazioni. Oltre ai requisiti patrimoniali e di liquidità previsti dal regolamento, la direttiva introdurrà anche una riserva di conservazione del capitale e una riserva di capitale anticiclica, che il CESE accoglie con favore. La stabilità finanziaria a lungo termine dovrebbe uscirne rafforzata e, a sua volta, sostenere la crescita economica.

4.5.1   Anche così, l'applicazione delle regole di Basilea a tutte le banche, sistemiche o no, potrebbe sottoporre a una particolare pressione le piccole banche locali. Il Comitato invita la Commissione, l'Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea - EBA) e le autorità di vigilanza degli Stati membri a far sì che le riserve di capitale per le banche minori siano adeguate ai modelli imprenditoriali di tali banche.

4.6   Il calcolo dei requisiti patrimoniali dipende dalle norme contabili utilizzate. Nella sua analisi del ruolo dei revisori legali dei conti durante la crisi finanziaria, la Camera dei Lord britannica ha riscontrato che l'applicazione degli IFRS (International Financial Reporting Standards) rappresentava un impedimento materiale alla veridicità dei bilanci delle banche. Negli scorsi mesi è emerso chiaramente che le banche in uno o più Stati membri non hanno indicato il valore di mercato del debito sovrano nelle loro relazioni agli azionisti, determinando un'applicazione disomogenea degli IFRS. Il CESE invita la Commissione a cooperare con le autorità responsabili dei principi contabili, il revisore dei conti e le autorità di vigilanza degli Stati membri al fine di garantire che le normative armonizzate in materia di adeguatezza patrimoniale vengano sostenute da una pratica contabile altrettanto armonizzata e precisa. In questo processo, l'ESMA dovrebbe svolgere un importante ruolo di coordinamento. Si tratta di un prerequisito essenziale per l'attuazione omogenea del nuovo quadro prudenziale.

4.7   La Commissione si aspetta ovviamente che il successo della CRD IV venga giudicato in base a come i nuovi regimi patrimoniali e di liquidità reagiranno di fronte alle future crisi finanziarie. Il CESE, consapevole della portata delle crisi economica che avviluppa l'UE, è interessato a che niente nel nuovo regime limiti il credito all'economia o il flusso di crediti all'esportazione o di finanziamento degli scambi. Se le banche soddisferanno i coefficienti di capitale e liquidità prescritti mediante una riduzione dei loro bilanci e limitando il credito, allora il regolamento avrà fallito. Un tale fallimento sarebbe inaccettabile. I lavori di valutazione già condotti non convincono il Comitato che chiede una valutazione più dettagliata e propone un monitoraggio continuo della disponibilità di credito (forse da parte di un osservatorio, con il coinvolgimento del Comitato stesso) fino alla conclusione della tabella di marcia della CRD IV (2019) e al completamento della strategia Europa 2020 (che deve fare affidamento sul sostegno delle banche).

4.8   Di conseguenza, mentre la ratio della massima armonizzazione è ben chiara, la crisi economica e il flusso del credito potrebbero richiedere una delicata modulazione dei coefficienti e delle tabelle di marcia per ottimizzare la prestazione e la ripresa dell'economia di ciascun singolo Stato membro nei prossimi anni.

4.9   Il coefficiente di capitale totale obbligatorio proposto nel regolamento è dell'8 %. Rispetto a questa percentuale, il coefficiente obbligatorio del capitale di base è pari al 4,5 %, quello del capitale aggiuntivo di classe 1 è pari all'1,5 % e quello del capitale di classe 2 è pari al 2 %. Inoltre la riserva di conservazione del capitale costituita da capitale di base di classe 1 è fissata al 2,5 %. Entro il 2019, quando tutte le modifiche saranno state introdotte, il capitale totale obbligatorio più la riserva di conservazione saranno pari al 10,5 %. Il regolamento stabilisce che in tutta l'Unione europea la massima armonizzazione, vale a dire l'omogeneità dei requisiti patrimoniali prudenziali, venga conseguita tramite un corpus unico di norme. La logica sottesa è che dei requisiti più severi non coordinati e inappropriati in singoli Stati membri potrebbero tradursi in un trasferimento dei rischi e delle esposizioni sottostanti verso il settore bancario ombra, oppure da uno Stato membro dell'UE a un altro. È possibile che alcuni Stati membri che intendono proporre coefficienti più elevati decidano di contestare questa impostazione, prima della finalizzazione del regolamento. Il CESE sarebbe contrario a questa iniziativa se ciò dovesse avere un impatto negativo sulle piccole banche e sul credito per le PMI.

4.10   Il quadro di Basilea è concepito per le banche attive a livello internazionale. Le direttive UE sui requisiti patrimoniali sono applicabili a tutti gli enti creditizi dell'UE. Il quadro di Basilea circoscrive più o meno la definizione di capitale di base di classe 1 soltanto alle azioni e agli utili non distribuiti, e questo potrebbe rappresentare un problema per le imprese diverse dalle società per azioni, come le cooperative, le mutue e le casse di risparmio in Europa. L'articolo 25 della CRD III riconosce che questi enti richiedono un approccio diverso nei confronti del capitale di base. È fondamentale che le disposizioni finali del regolamento siano compatibili con i modelli imprenditoriali alternativi di tali enti.

4.11   Sebbene il presente parere non riguardi la direttiva, il CESE ritiene di dover commentare la proposta di ridurre l'affidamento che gli enti creditizi fanno sui rating del credito (punto 3.5 sopra). Nel suo parere (8) del maggio 2009 sul regolamento relativo alle agenzie di rating del credito, il CESE raccomanda alle autorità di regolamentazione dell'UE di non fare assegnamento in modo ingiustificato sui rating, soprattutto alla luce dell'esperienza con i titoli ipotecari, per i quali i rating si sono rivelati non avere alcun valore. Il CESE accoglie pertanto con favore l'attuale proposta poiché, nonostante continui a consentire il ricorso ad agenzie di rating del credito esterne, richiede agli Stati membri di garantire che le loro istituzioni regolamentate non si affidino unicamente o meccanicamente a tali rating esterni e che dispongano di metodologie interne per la valutazione del merito del credito. La proposta presuppone inoltre che, quando la metodologia interna di un ente implica un livello di capitale maggiore rispetto a quello implicato da un rating esterno, si applichi la metodologia interna.

4.12   Un problema particolare emerso durante la crisi del debito sovrano è il fatto assodato che, contrariamente agli orientamenti contenuti nell'Accordo e nelle diverse direttive sui requisiti patrimoniali, chiaramente il debito sovrano non è privo di rischi. Si tratta di un considerevole punto debole per le disposizioni in materia di qualità del capitale contenute nel regolamento, con profonde implicazioni per le banche cui il regolamento non ha praticamente lasciato altra scelta se non quella di sovraccaricarsi di debito sovrano. L'applicazione automatica della valutazione «esente da rischio» deve essere riconsiderata da parte delle autorità di regolamentazione mentre le banche dovranno rivedere le loro metodologie interne di valutazione dei rischi.

4.13   Il CESE accetta il fatto che il regolamento in esame manterrà i requisiti patrimoniali per i prestiti alle PMI al 75 % della norma, ma dubita che ciò sarà sufficiente nel clima economico attuale. Il Comitato ritiene che l'aspetto fondamentale per le PMI sia la propensione al rischio delle banche. Storicamente, le banche sono state pronte a cooperare con le PMI promettenti e sostenerne la crescita. I fallimenti dovuti alla crisi finanziaria e la debolezza generale dei bilanci delle banche hanno reso queste ultime sempre più avverse al rischio. Pertanto, per attenuare questa avversione al rischio, il CESE raccomanda che per le PMI tale coefficiente sia ridotto al 50 %. Il Comitato ritiene che la Commissione preveda di condurre un esame ulteriore di questo aspetto.

4.14   È in questo contesto che il CESE esorta la Commissione a favorire l'ulteriore sviluppo dell'attività bancaria etica e partecipativa. Questa forma di attività bancaria ha passato il test della crisi finanziaria e sebbene non si sia potuta sottrarre alle ripercussioni della crisi, ha sicuramente dimostrato la sua resilienza e il suo valore. Date le pressioni sul sistema bancario, essa può offrire una preziosa fonte addizionale di credito per le PMI. Il Comitato esorta pertanto la Commissione a presentare una direttiva sulla banca etica e partecipativa, come già proposto dal CESE in un precedente parere (9).

4.15   Globalmente, le CRD II, III e IV gravano pesantemente sulle operazioni bancarie, poiché aumentano il carico normativo e i costi di conformità, riducendo allo stesso tempo il rendimento del capitale e la redditività a lungo termine. Dato il ruolo dei banchieri nella recente crisi e considerate le loro incomprensibili strutture di remunerazione, la maggior parte dei cittadini europei ritiene che i banchieri stiano avendo ciò che si meritano; eppure il CESE si sente di lanciare un avvertimento: la prosperità dell'UE è legata a quella delle banche; per poter fornire credito le banche devono essere remunerative. Attualmente, purtroppo, le banche dell'UE non sono in buona forma: è difficile stimare quanti danni ancora la crisi del credito sovrano potrà arrecare ai loro bilanci e alla loro redditività a lungo termine.

4.16   In questo contesto, l'elaborazione finale e la successiva attuazione del pacchetto CRD IV sarà fondamentale per il buon esito del progetto e, in particolare, per la capacità delle banche di effettuare i cambiamenti necessari e di rimettersi in sesto. Con le ripercussioni della crisi del debito sovrano, le banche di diverse regioni dell'UE potrebbero non essere in grado di procedere alla stessa velocità. I legislatori e le autorità di vigilanza devono essere pronti a questa evenienza, anche se la tabella di marcia per l'attuazione si estende sino al 2019.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU L 329 del 14.12.2010, pagg. 3-35, parere CESE: GU C 339 del 14.12.2010, pagg. 24-28.

(2)  GU C 48 del 15.2.2011, pag 33.

(3)  GU C 228 del 22.9.2009, pagg. 62-65.

(4)  GU C 48 del 15.2.2011, pag 33.

(5)  GU L 141 dell'11.6.1993, pagg. 1-26.

(6)  GU C 234 del 22.9.2005, pagg. 8-13.

(7)  GU C 339 del 14.12.2010, pagg. 24-28.

(8)  GU C 54 del 19.2.2011, pagg. 37-41.

(9)  GU C 48 del 15.2.2011, pag 33.


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa in materia di accise»

COM(2011) 730 definitivo — 2011/0330 (CNS)

2012/C 68/08

Relatrice generale: LOUGHEED

Il Consiglio, in data 28 novembre 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa in materia di accise

COM(2011) 730 definitivo — 2011/0330 (CNS).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 6 dicembre 2011, ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 477a sessione plenaria dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), ha nominato relatrice generale LOUGHEED e ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, nessun voto contrario e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene e approva la proposta di un nuovo regolamento volto a disciplinare la cooperazione amministrativa in materia di accise in quanto si tratta di un aggiornamento utile e necessario della normativa vigente con l'obiettivo di favorire la cooperazione tra le amministrazioni nazionali per garantire un'efficace riscossione delle imposte e per combattere le frodi in materia di accise.

2.   Motivazione

2.1   Nell'Unione europea sono imposti tributi sotto forma di accise, su tre categorie di prodotti: alcol e bevande alcoliche, tabacco lavorato e prodotti energetici. Tali accise svolgono un ruolo rilevante nel cercare di influenzare il comportamento dei cittadini e nel contribuire alle finanze pubbliche degli Stati membri e dell'UE (1).

2.2   Per una serie di motivi, ivi compresa la possibilità di realizzare profitti cospicui a partire da livelli di attività relativamente bassi, nell'UE il livello di frode si è attestato a livelli molto elevati, in particolare nei settori del tabacco e dell'alcol, tanto da portare alla costituzione di un «Gruppo ad alto livello sulle frodi nel settore del tabacco e dell'alcol» (2), le cui raccomandazioni in materia di lotta alle frodi sono state adottate dal Consiglio Ecofin nel maggio 1998. Le raccomandazioni formulate sono state diverse, ma la necessità di istituire nell'UE un «sistema dei movimenti e dei controlli completamente informatizzato» è stata la raccomandazione più concreta e di lungo periodo.

2.3   Di conseguenza, l'Unione europea nel corso di vari anni ha sviluppato e messo in pratica progressivamente un sistema nuovo e moderno per il monitoraggio del movimento di prodotti in sospensione di accisa nel mercato interno – il cosiddetto «sistema di controllo informatico dei movimenti di prodotti soggetti ad accisa» (EMCS).

3.   Il sistema di controllo informatico dei movimenti di prodotti soggetti ad accisa

3.1   Il sistema di controllo informatico dei movimenti di prodotti soggetti ad accisa (EMCS) è stato istituito dalla decisione n. 1152/2003/CE. L'attuazione di tale sistema ha richiesto un lavoro non indifferente da parte della Commissione europea e delle autorità e degli operatori competenti in materia di accise negli Stati membri, che attraverso varie fasi di sviluppo hanno lavorato per rimpiazzare un sistema basato principalmente su documenti cartacei, alquanto oneroso per tutte le parti in causa, con un sistema informatico ed elettronico che sarà quasi interamente non cartaceo. Ancora più importante è il fatto che il nuovo sistema dovrebbe consentire alle autorità competenti di tracciare il movimento delle merci in «tempo reale» e permettere alle banche dati di raccogliere le informazioni immediatamente, il che renderà più agevole un'analisi approfondita e favorirà l'analisi automatica dei rischi.

3.1.1   Per gli operatori coinvolti, la nuova automazione accelera le procedure amministrative necessarie (tutti i movimenti sono già accompagnati da un documento amministrativo che sostituisce quelli su supporto cartaceo). Essa ha permesso di standardizzare molti dei documenti richiesti e prevede un servizio di assistenza elettronico per verificare le credenziali di potenziali partner commerciali.

3.1.2   Il CESE reputa che il sistema EMCS faciliti il commercio legale nel mercato interno, aumentando al contempo gli strumenti a disposizione degli Stati membri per contrastare le frodi in materia di accise.

4.   Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa in materia di accise

4.1   La proposta è una delle «tessere del puzzle» che mancano perché il sistema venga utilizzato a pieno regime. La proposta sostituisce l'attuale regolamento che disciplina la cooperazione amministrativa in materia di accise (regolamento n. 2073/2004), riconoscendo che l'ammodernamento è stato quasi completato e consentendo alle amministrazioni degli Stati membri di usufruirne nella loro reciproca cooperazione, fatto che potenzierà realmente la loro capacità di coordinarsi in modo ottimale.

4.2   Il CESE prende atto e approva l'ampliamento del campo di applicazione della proposta per includervi alla cooperazione per l'attuazione della normativa in materia di accise, e non soltanto la valutazione del livello dei tributi dovuti, ritenendolo un utile sviluppo nella lotta alle frodi e nel rafforzamento del mercato interno e della fiducia che i cittadini vi ripongono.

4.3   Necessariamente, la proposta si occupa principalmente di stabilire le norme giuridiche relative al modo in cui si dovrà svolgere la cooperazione amministrativa nel quadro del nuovo sistema. Il CESE ritiene che la proposta presenti un approccio equilibrato che consente agli Stati membri di beneficiare dei vantaggi connessi al nuovo sistema senza aumentare l'onere amministrativo che essi o gli operatori devono sostenere.

4.3.1   Il Comitato ritiene, inoltre, che la proposta presenti una descrizione chiara dei diritti e delle responsabilità di tutti gli attori, soprattutto delle amministrazioni nazionali, e che sia i processi che le scadenze proposti siano abbastanza ambiziosi da garantire, a un tempo, risposte tempestive e accessibilità da parte di tutti. A tale riguardo, il Comitato attende con interesse il contenuto dell'atto di esecuzione che è in corso di elaborazione, il quale deve indicare dettagliatamente le categorie di informazioni soggette rispettivamente a uno scambio obbligatorio o facoltativo nel quadro del sistema automatico.

4.4   Gran parte delle novità della proposta sono direttamente legate all'ammodernamento del sistema e alle nuove e concrete possibilità di migliorare la cooperazione tra le amministrazioni. Il CESE sostiene fortemente la Commissione europea e gli Stati membri affinché utilizzino al meglio il sistema potenziato per migliorare la valutazione e la riscossione efficiente dei tributi e per individuare e combattere le frodi, segnatamente favorendo la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri.

4.4.1   Il Comitato auspica che, in tal modo, il nuovo sistema migliorerà la qualità della comunicazione automatica, consentendo agli Stati membri di concentrare più rapidamente la loro attenzione sulle attività più problematiche. L'introduzione di un sistema di follow-up contenuta nella proposta è particolarmente utile e dovrebbe aiutare a rivedere e migliorare la qualità e l'utilità delle informazioni che vengono scambiate in maniera costante.

4.5   Pur concordando con la proposta della Commissione, che sostiene la necessità di una base giuridica per la raccolta di dati dalle registrazioni dei movimenti e per l'utilizzo di tali registrazioni nelle analisi degli Stati membri, il CESE consiglia di usare prudenza nel loro utilizzo e ricorda alle autorità di provvedere affinché tali informazioni vengano utilizzate in maniera adeguata e proporzionata.

4.6   Il CESE reputa che la proposta stabilisca un equilibrio delle responsabilità in materia di accise e di EMCS, dando alla Commissione europea la responsabilità del meccanismo e della manutenzione del sistema stesso, mentre dà agli Stati membri quella per le informazioni contenute nel sistema, per la loro condivisione e, ovviamente, per l'identificazione delle frodi e l'adozione di misure contro di esse.

4.7   Reputa inoltre utile l'armonizzazione nella proposta delle norme sulle accise con le modifiche introdotte nella normativa UE sulla cooperazione amministrativa in materia di IVA e di imposte dirette. Il CESE sostiene tutti gli sforzi compiuti dai servizi fiscali nazionali, dai servizi delle entrate, delle accise e dei servizi doganali per migliorare la comunicazione reciproca e la collaborazione, nella convinzione che tale modo di operare, in ultima istanza, contribuirà ad approfondire il mercato interno.

4.8   Il CESE appoggia in particolar modo la base giuridica prevista nella proposta per il servizio fornito sul portale Europa per il controllo della validità delle autorizzazioni degli operatori economici (SEED-su-Europa), considerando che questo sia uno strumento utile che consente agli operatori di determinare la credibilità dei soggetti con i quali intendono intrattenere scambi commerciali.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Si stima che annualmente (dati del 2010) nell'UE vengano riscossi 307 miliardi di euro in accise ed imposte analoghe, di cui 22 miliardi relativi ad alcol e bevande alcoliche, 207 miliardi a prodotti energetici e 77 miliardi a tabacco lavorato. I dati citati rappresentano i totali aggregati dei dati presentati nelle tabelle sulle accise della Commissione europea, separate per bevande alcoliche, prodotti energetici ed elettricità e tabacco lavorato, consultabili sul sito web della DG Fiscalità e unione doganale della Commissione (DG TAXUD) all'indirizzo: http://ec.europa.eu/taxation_customs/index_en.htm#.

(2)  All'epoca il Gruppo ad alto livello aveva stimato che nel 1996 le perdite per frode ammontavano a 3,3 miliardi di ECU nel settore del tabacco e a 1,5 miliardi di ECU in quello dell'alcol.


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per lo stock di salmone del Mar Baltico e le attività di pesca che sfruttano questo stock»

COM(2011) 470 definitivo — 2011/0206 (COD)

2012/C 68/09

Relatore: KALLIO

Il Parlamento europeo, in data 13 settembre 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per lo stock di salmone del Mar Baltico e le attività di pesca che sfruttano questo stock

COM(2011) 470 definitivo — 2011/0206 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 169 voti favorevoli, 4 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) apprezza e sostiene gli obiettivi del piano pluriennale: garantire lo sfruttamento sostenibile e salvaguardare l'integrità genetica e la biodiversità dell'intero stock di salmoni del Baltico. Tuttavia, data la debolezza degli stock di salmone nella zona meridionale, il calendario previsto risulta poco realistico alla luce delle attuali conoscenze.

1.2   Il CESE ritiene indispensabile che le limitazioni della pesca si applichino all'intero ciclo di vita del salmone e a tutte le modalità di cattura. Per ricostituire gli stock di salmone ormai indeboliti occorre non solo applicare limitazioni della pesca, ma anche ripristinare i siti di riproduzione. Il CESE non considera opportuno determinare un totale ammissibile di catture per le aree fluviali, perché sarebbe oneroso in termini amministrativi e la relativa sorveglianza comporterebbe cospicui costi aggiuntivi. La responsabilità di regolamentare e sorvegliare le attività di pesca nelle acque interne di uno Stato membro dovrebbe ricadere primariamente sullo stesso Stato membro. La Commissione europea sovrintenderebbe, sulla base delle relazioni degli Stati membri, all'attuazione dei programmi nazionali di sorveglianza.

1.3   Il CESE accoglie con favore l'inclusione delle imbarcazioni di servizio del campo di applicazione del regolamento. Tuttavia, la pesca ricreativa al di fuori del campo di applicazione del piano costituisce tuttora un'ampia quota del totale delle catture di salmone. Anche la pesca ricreativa dovrebbe essere regolamentata e sorvegliata a livello nazionale, e i relativi dati dovrebbero confluire nelle relazioni presentate dagli Stati membri alla Commissione.

1.4   Per quanto riguarda la praticabilità della pesca, il CESE ritiene importante che le quote e le limitazioni dell'attività siano gradualmente convertite in obiettivi riferiti al tasso di mortalità dei pesci. La regolamentazione delle catture di salmoni in mare dovrebbe in futuro basarsi non già sul totale ammissibile di catture per un certo numero di stock di salmoni, bensì su norme tecniche stabilite sulla base di particolari periodi e attrezzature per la pesca, al fine di proteggere gli stock indeboliti.

1.5   Il CESE non condivide il divieto di ripopolamento compensativo in assenza di elementi oggettivi che ne provino la nocività. Occorrerà tuttavia verificare la qualità degli esemplari giovanili da immettere nell'ambiente. Il CESE raccomanda di ridurre il rischio genetico utilizzando per il ripopolamento esemplari giovanili discendenti da salmoni catturati in natura ogni anno.

1.6   Il CESE ritiene indispensabile che venga eseguita una sorveglianza adeguata ed efficace della pesca al salmone e raccomanda di concentrare rapidamente le risorse su tale attività. Tuttavia, in luogo di introdurre in via permanente nuovi obblighi di sorveglianza, raccomanda, come prima misura, di applicare efficacemente in tutti gli Stati membri le norme in materia di sorveglianza sviluppate attivamente negli ultimi anni. Il CESE chiede che vengano chiarite meglio le affermazioni del Consiglio internazionale per l'esplorazione del mare (CIEM) riguardanti considerevoli errori nei resoconti delle catture di salmoni.

1.7   Il CESE sottolinea l'importanza di una ricerca aggiornata in materia di salmoni ai fini di una attuazione efficace del piano pluriennale. Solo grazie a informazioni abbastanza affidabili si possono adottare misure adeguate, che consentano di proteggere, ricostituire e sfruttare adeguatamente gli stock di salmoni. Accanto alle statistiche affidabili sulle catture, occorrono anche informazioni più esaurienti sulle cause della mortalità in mare.

1.8   Il CESE ritiene che la proposta di regolamento potrebbe comportare conseguenze occupazionali negative per i settori della pesca commerciale, della trasformazione, della commercializzazione, delle attrezzature, del turismo ittico e dell'acquacoltura. La portata di tali ripercussioni sarà differente nei diversi Stati membri e nelle diverse regioni al loro interno. Il CESE chiede che dette ripercussioni vengano ridotte al minimo allorché saranno attuate le misure previste dal regolamento in esame, e siano tenute nella debita considerazione quando verranno varate le misure di sostegno strutturale dell'Unione europea e la futura riforma della politica comune della pesca. Il CESE osserva che migliorare e razionalizzare l'accesso ai fondi strutturali servirebbe a fare crescere gli stock di salmoni in modo sostenibile e a creare nuovi posti di lavoro nell'industria della pesca del Baltico.

2.   Introduzione

2.1   Le precedenti regolamentazioni degli stock di salmoni del Baltico comprendevano limitazioni delle attività di pesca stabilite dai governi nazionali, disposizioni tecniche sulla pesca introdotte attraverso regolamenti del Consiglio e quote di pesca (totali ammissibili di catture) definite annualmente. Fino al 2006 le quote venivano fissate dalla Commissione internazionale per la pesca nel Mar Baltico (IBSFC), e fino al 2010 tutte le misure relative al salmone erano coordinate dalla suddetta Commissione attraverso il suo piano d'azione per il salmone.

2.2   A partire dal 2006 i contingenti di pesca nel Baltico utilizzabili dagli Stati membri dell'UE sono stati definiti annualmente attraverso regolamenti del Consiglio. La proposta di regolamento della Commissione europea è stata elaborata sulla base di una consulenza del Consiglio internazionale per l'esplorazione del mare e del comitato scientifico tecnico ed economico per la pesca.

2.3   L'Unione europea continua ad assegnare contingenti concordati ai propri Stati membri sulla base del concetto della «stabilità relativa». Vale a dire che il contingente di ogni Stato membro rispetto alla quota complessiva rimane invariato da un anno all'altro malgrado il fatto che la quota possa cambiare.

2.4   L'unico paese non appartenente all'UE che svolge attività di pesca nel Baltico è la Russia. L'UE e la Russia discutono lo stato degli stock di pesce del Baltico e le opportunità di pesca di salmoni in negoziati bilaterali separati. Attualmente non vi sono negoziati formali per la ripartizione delle quote di pesce tra l'UE e la Russia, del genere di quelli che si svolgono nel quadro della Commissione per la pesca nel Baltico.

2.5   La quota commerciale di salmone del Baltico è divisa in due parti: da un lato il Golfo di Botnia (ICES 22-31) e dall'altro il Golfo di Finlandia (ICES 32). In pratica la quota non ha comportato limitazioni della pesca di salmoni per vari anni. Rispetto alla quota complessiva del Baltico per il 2010, pari a 309 665 unità, ne sono state pescate solo 150 092, vale a dire il 48,5 %. La percentuale della quota effettivamente utilizzata dai vari paesi varia dal 2,8 all'84,9 %. La pesca commerciale e ricreativa di salmoni viene praticata in mare, negli estuari e nelle aree fluviali. La pesca ricreativa ammonta al 20-30 % del totale delle catture di salmone nella regione del Baltico e a circa la metà delle catture effettuate nelle aree costiere o fluviali. Le catture operate nel quadro della pesca ricreativa non sono conteggiate ai fini del calcolo della quota.

2.6   Lo stato dei principali fiumi salmoniferi della zona settentrionale del Baltico è molto migliorato intorno alla metà degli anni '90 grazie alle limitazioni nazionali della stagione di pesca nelle aree costiere imposte dalla Svezia e dalla Finlandia. Da allora la produzione di giovani esemplari di salmone nei suddetti fiumi si è mantenuta su un livello molto più elevato, prossimo al potenziale produttivo e al rendimento massimo sostenibile stabiliti come obiettivo dal piano pluriennale. La pesca al salmone nel Baltico si basa ampiamente sulla produzione di questi fiumi salmoniferi settentrionali in buone condizioni.

2.7   Malgrado le misure adottate finora, la produzione di giovani esemplari provenienti dai fiumi salmoniferi siti nelle aree centrali e meridionali del Baltico è rimasta modesta. La pesca agli stock misti di salmone nel bacino principale del Baltico si è sensibilmente ridotta a causa del divieto di utilizzare le reti da posta derivanti, introdotto nel 2008. L'aumento della pesca effettuata mediante palangari derivanti ha comportato un nuovo incremento delle catture nel bacino principale.

2.8   Malgrado un significativo aumento della produzione di esemplari giovani, lo stock di salmoni disponibile per la pesca non è cresciuto nella stessa misura. Occorrono dati scientifici più ampi in merito ai fattori che causano la mortalità di salmoni in mare.

2.9   Nel parere sulle opportunità di pesca per il 2012, il CIEM menziona frequenti errori nei resoconti, per cui catture di salmoni effettuate nel Baltico con palangari derivanti vengono riportate come catture di trote di mare.

2.10   Il CIEM ha espresso preoccupazione per la situazione degli stock di salmoni e della biodiversità nel Baltico. Anche la Commissione per la protezione dell'ambiente marino del Baltico ha richiamato l'attenzione sullo stato degli stock di salmone.

2.11   La pesca del salmone è importante in termini sia sociali che ambientali per le comunità costiere dedite alla pesca. L'ultimo censimento dei pescatori commerciali di salmone del Baltico risale al 2007, allorché la Commissione europea ha stimato che fossero circa 400 e che 340 di essi si dedicassero alla pesca in mare. Nel 2010 un gruppo di lavoro del CIEM sul salmone ha stimato che ci fossero 141 pescherecci attivi nella pesca del salmone in mare aperto, molti di più che nel 2007. Il salmone dà lavoro non solo agli addetti alla pesca commerciale, ma anche ad almeno altrettante persone nel turismo ittico. Si ritiene che le ricadute occupazionali della pesca commerciale e turistica di salmoni nel Golfo di Botnia siano altrettanto importanti. La pesca al salmone dà lavoro indirettamente a un gran numero di persone nei settori della lavorazione, della commercializzazione e della produzione di attrezzature da pesca. Anche la produzione di giovani salmoni, per alimentare la pesca e gli stock costituisce un'importante fonte di occupazione a livello locale.

3.   Proposta della Commissione

3.1   Il 12 agosto 2011 la Commissione europea ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio una proposta di regolamento (COM(2011) 470 definitivo) che prevede un piano pluriennale per lo stock di salmoni del Baltico e le attività di pesca che lo sfruttano.

3.2   Il piano di gestione per lo stock di salmoni del Baltico si applicherebbe alla pesca commerciale nel Baltico e nei fiumi che vi confluiscono, nonché alle imprese che organizzano battute di pesca guidate e ai loro servizi ricreativi nel Baltico. Il campo di applicazione della proposta include, a determinate condizioni, la regolamentazione della pesca fluviale mediante disposizioni dell'UE e l'immissione di salmoni nell'ambiente.

3.3   L'obiettivo principale della proposta è garantire che lo stock di salmoni del Baltico sia sfruttato in modo sostenibile, conformemente al principio del massimo rendimento sostenibile, e che vengano salvaguardate l'integrità e la diversità genetiche di tale stock.

3.4   Per ciascun fiume viene stabilito un obiettivo, pari al 75 % del suo potenziale stimato di produzione di giovani salmoni. Tale obiettivo dovrà essere raggiunto entro una scadenza variabile tra cinque e dieci anni dall'entrata in vigore del regolamento, in funzione delle attuali condizioni del fiume.

3.5   Per gli stock di salmone selvatico vengono proposti totali ammissibili di catture con carattere vincolante, che saranno stabiliti dagli Stati membri. In base ai dati scientifici, gli Stati membri dovranno stabilire la mortalità massima per pesca ammissibile, e i corrispondenti totali ammissibili di catture per ciascun fiume.

3.6   Ogni tre anni la Commissione esaminerà le suddette misure degli Stati membri e valuterà la loro compatibilità con il raggiungimento degli obiettivi. Qualora uno Stato membro non pubblichi i dati o consideri le misure inadeguate a realizzare gli obiettivi, la Commissione potrebbe modificare i livelli di mortalità dei fiumi di detto Stato membro e/o il totale ammissibile di catture, o vietare la pesca al salmone in tutti tali fiumi.

3.7   Per tutti gli stock di salmone del Baltico viene proposto il tasso unico di mortalità per pesca di 0,1, vale a dire che ogni anno potrebbe essere catturato circa il 10 % dei salmoni disponibili per la pesca. Nel definire il totale ammissibile di catture annue, l'autorità di regolamentazione dovrebbe garantire che non venga superato il tasso di mortalità per pesca di 0,1. Laddove l'evoluzione delle circostanze rischiasse di compromettere il raggiungimento di questi obiettivi, la Commissione potrà modificare i tassi di mortalità per pesca in mare.

3.8   I salmoni catturati dalle imbarcazioni di servizio saranno conteggiati nei contingenti dei rispettivi Stati membri.

3.9   Gli Stati membri dovranno elaborare regolamentazioni della pesca specifiche per ciascun fiume in cui stock indeboliti di salmone selvatico non raggiungono l'obiettivo del 50 % della capacità di produzione di giovani esemplari. Gli Stati membri avranno due anni di tempo dall'entrata in vigore del regolamento per emanare tali disposizioni. Gli stessi Stati membri potranno scegliere e deliberare disposizioni tecniche in materia di pesca (ad esempio limitazioni nell'uso di arnesi da pesca e divieto di pesca in particolari periodi o zone).

3.10   La Commissione valuterà ogni tre anni le disposizioni tecniche sulla pesca emanate dagli Stati membri. Qualora uno Stato membro non adotti tali misure entro il termine stabilito, o ometta di pubblicarle, o le misure stesse risultino inadatte a raggiungere gli obiettivi concernenti i fiumi abitati da salmoni selvatici, la Commissione potrà varare essa stessa disposizioni tecniche sulla pesca specifiche per ciascun fiume.

3.11   L'immissione di salmoni sarebbe limitata al ripopolamento indiretto e al ripopolamento diretto. Per ripopolamento indiretto si intende l'immissione di esemplari nei fiumi popolati da salmoni, mentre il ripopolamento diretto consiste nell'immissione di pesci in un fiume potenzialmente salmonifero, con l'obiettivo di creare popolazioni autonome di salmoni.

3.12   Per l'immissione di salmoni viene proposto un periodo transitorio di sette anni, al termine del quale sarebbero permesse solo le due misure di ripopolamento summenzionate.

3.13   La proposta indica nuove disposizioni in materia di sorveglianza, a integrazione di quelle già in vigore. I nuovi obblighi di sorveglianza si applicano alle imbarcazioni adibite alla pesca commerciale del salmone, indipendentemente dalla loro lunghezza, e alle imbarcazioni utilizzate per la pesca ricreativa.

3.14   Le catture vengono ispezionate al momento dello sbarco. Le ispezioni allo sbarco devono coprire almeno il 10 % degli sbarchi.

3.15   La Commissione propone di esercitare, se necessario, per un periodo indeterminato, delle competenze delegate ai fini della regolamentazione della pesca al salmone in mare e nei fiumi.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Il Comitato economico e sociale europeo apprezza e sostiene gli obiettivi del piano pluriennale. L'obiettivo del piano, raggiungere entro 10 anni una produzione di giovani salmoni selvatici pari ad almeno il 75 % del potenziale, è estremamente ambiziosa. Stando alla valutazione del CIEM, tale obiettivo è in corso di realizzazione nei principali fiumi salmoniferi del Baltico settentrionale, ma per le popolazioni indebolite della zona meridionale il calendario non è realistico, malgrado il livello delle limitazioni della pesca.

4.2   Il regolamento si applica alla pesca commerciale e alle imbarcazioni di servizio. L'importanza di queste ultime ai fini delle catture totali è modesta. Tuttavia la somma delle catture operate in mare e nei fiumi nel quadro della pesca ricreativa, che non rientrano nel campo di applicazione del regolamento, è paragonabile alle catture commerciali operate in un'area di dimensioni equivalenti. Il CESE non ritiene che stabilire un totale ammissibile di catture per la pesca commerciale in un'area fluviale costituisca un'opzione condivisibile, perché la maggior parte delle catture nei fiumi sono operate a scopo ricreativo. Il CESE ritiene che le limitazioni della pesca debbano coprire l'intero ciclo di vita dei salmoni e tutte le forme di pesca. La responsabilità di regolamentare le attività di pesca nelle acque interne di uno Stato membro dovrebbe ricadere primariamente sullo stesso Stato membro.

4.3   Nei piani di gestione e di recupero già adottati per gli stock nell'UE il tasso di mortalità per pesca stabilito per ciascuno stock è il più appropriato per pervenire a uno sfruttamento sostenibile di detto stock. Nel Baltico vengono pescati differenti stock di salmoni, con status biologici differenti. Il regolamento, e la relazione che lo precede, non chiariscono perché venga proposto un unico tasso di mortalità per pesca per tutti gli stock marini di salmone del Baltico, né spiegano come si sia pervenuti a tale tasso.

4.4   Gli stock di salmone del Baltico settentrionale sono già molto prossimi all'obiettivo della resa massima sostenibile. Ridurre la quota di salmoni nel bacino principale del Baltico e nel Golfo di Botnia a un livello al quale anche la mortalità per pesca delle popolazioni meridionali di salmoni sarebbe al massimo rendimento sostenibile comporterebbe restrizioni superflue dello sfruttamento degli stock settentrionali. Pertanto la regolamentazione della pesca di salmoni in mare dovrebbe basarsi in futuro non già sul totale ammissibile di catture per una serie di stock, bensì sulle regole tecniche relative ai periodi e alle attrezzature per la pesca, che possono essere mirate specificamente a proteggere gli stock deboli. Se la regolamentazione della pesca al salmone continua a basarsi sulla determinazione annua del totale ammissibile di catture, il calo progressivo della mortalità per pesca a livelli obiettivo vigenti nei piani di gestione di altri stock ittici dovrebbe applicarsi anche alle quote di catture di salmoni in mare. Il settore della pesca risente negativamente di cambiamenti improvvisi e radicali della regolamentazione, introdotti senza una reale esigenza.

4.5   Nel bacino principale del Baltico, la pesca di salmoni è interamente multispecifica, e comprende differenti stock di salmoni. Quanto più vicino a un fiume viene praticata, tanto meglio può mirare allo stock di salmoni di quel fiume. Le regole e la sorveglianza della pesca al salmone con arnesi derivanti nel Baltico saranno importanti in futuro per il recupero degli stock deboli nella zona meridionale. È stato constatato che in autunno la cattura di salmoni di dimensioni insufficienti è più frequente con i palangari derivanti che con altri arnesi da pesca. Pertanto si potrebbe ricorrere a limitazioni temporanee della pesca con tali strumenti, per ridurre il numero di pesci da scartare. Va tuttavia osservato che gli stock di salmone del Baltico meridionale non hanno ripreso consistenza, malgrado una drastica riduzione dell'attività di pesca nel bacino principale. Vale a dire che il recupero degli stock di salmone deboli richiede non soltanto delle limitazioni temporanee della pesca in mare, ma anche rigide limitazioni della pesca negli estuari e nelle aree fluviali, nonché misure di recupero delle aree di riproduzione, per assicurare la moltiplicazione naturale dei salmoni.

4.6   Il CESE esprime preoccupazione per le stime relative a resoconti erronei delle catture di salmoni, chiede che tale questione venga chiarita e considera importante che la pesca del salmone venga sorvegliata in maniera adeguata ed efficace. La proposta della Commissione comporterebbe un aumento permanente degli obblighi di sorveglianza del settore pubblico, e quindi dei costi. In particolare i costi sarebbero generati dall'adeguamento e dalla manutenzione dei sistemi informatici, e dall'esigenza di accrescere le risorse umane e di altro tipo al fine di sorvegliare e valutare il rispetto della regolamentazione. Il CESE chiede che le risorse destinate alla sorveglianza vengano aumentate il più possibile e che le risorse disponibili siano concentrate sulla sorveglianza della pesca di salmoni fino a quando sarà adottato il piano pluriennale per il salmone e siano stati risolti i problemi riscontrati nei resoconti. Per quanto riguarda le regole sulla sorveglianza della pesca di salmoni, il CESE considera prioritaria l'attuazione efficiente in tutti gli Stati membri delle disposizioni in materia, che sono state attivamente sviluppate negli ultimi anni. La Commissione europea dovrebbe sovrintendere, sulla base delle relazioni degli Stati membri, all'attuazione dei programmi nazionali di sorveglianza.

4.7   L'immissione di salmoni avviene sotto forma di ripopolamento indiretto e diretto, o di ripopolamento compensativo inteso a controbilanciare le riduzioni delle catture dovute alla costruzione di centrali idroelettriche. Sette anni dopo l'entrata in vigore del regolamento, cesserebbero tutti i tipi di immissioni di salmoni a parte il ripopolamento indiretto e diretto nei fiumi potenzialmente salmoniferi. La scadenza di sette anni per sostituire il ripopolamento compensativo con altre disposizioni è troppo breve, perché probabilmente occorrerà del tempo per pianificare e attuare disposizioni alternative, oltre al processo di transizione che implicherà procedimenti giudiziari a tutti e tre i livelli.

4.8   Il divieto di ripopolamento compensativo è giustificato dalla minaccia che tale ripopolamento comporterebbe per la biodiversità degli stock di salmone. Tuttavia non vi sono prove scientifiche a sostegno di tale valutazione. Le catture provenienti da ripopolamenti compensativi sono indubbiamente importanti per gli estuari e la pesca costiera nelle zone di ripopolamento di salmoni, e rappresentano anche un fattore di occupazione valutabile in varie decine di impieghi annuali nelle aziende di acquacoltura che operano sulla costa. Il ripopolamento compensativo non dovrebbe pertanto essere vietato, a meno che delle prove scientifiche ne dimostrino la nocività. Il CESE ritiene anche che occorra verificare la qualità dei giovani salmoni da immettere nell'ambiente e rimuovere le loro pinne adipose, in modo da distinguere, in fase di cattura, gli esemplari che si sono riprodotti in natura da quelli provenienti dal ripopolamento. Il rischio per la biodiversità derivante dal ripopolamento può essere limitato utilizzando quando è possibile nei vivai esemplari da riproduzione catturati in natura, che sono quindi passati per una selezione naturale, piuttosto che esemplari provenienti dagli stock che necessitano di essere conservati.

4.9   La situazione nel Golfo di Finlandia offre un'immagine adeguata dell'importanza del ripopolamento di salmoni. Se il ripopolamento fosse vietato nell'estuario edificato del fiume Kymi, per esempio, ciò significherebbe in pratica la fine della pesca di salmoni nel Golfo di Finlandia e dell'importante attività di pesca ricreativa che si svolge a valle della centrale elettrica del suddetto fiume. Quest'ultima attività è considerata importante ai fini del turismo ittico, e la situazione è la stessa per numerosi fiumi della regione del Baltico.

4.10   Riducendo per esempio la quota, la proposta avrebbe un impatto economico rilevante sui pescatori commerciali e sui settori che dipendono dalla produzione primaria, come quello della lavorazione e della commercializzazione, e quello della produzione di attrezzature da pesca. Le lunghe rotte migratorie dei salmoni, i differenti metodi di pesca e le diverse esigenze di regolazione in ogni stadio della migrazione comportano effetti economici differenti tra gli Stati membri e al loro interno. Data la brevità della stagione di pesca del salmone, la maggior parte dei pescatori cattura anche altri tipi di pesce. Tuttavia per la maggior parte di questi pescatori il salmone costituisce la specie più importante in termini economici, e anche modifiche minori della normativa possono comportare alterazioni considerevoli della sostenibilità dell'industria della pesca. Dalla prospettiva dei pescatori che rischiano di dover rinunciare all'attività, la proposta diminuirà la disponibilità di salmone e di altri pesci che vengono catturati in parallelo per il consumo, la lavorazione e la commercializzazione, aumentando di conseguenza la dipendenza dal pesce prodotto al di fuori dell'UE. Anche il turismo ittico nelle aree fluviali può soffrire in termini finanziari a causa delle normative più restrittive sulla pesca fluviale e della conformità al totale ammissibile di catture. Tuttavia, più a lungo termine, man mano che gli stock di salmone recuperano consistenza, la proposta potrebbe avere l'effetto di accrescere l'occupazione nel turismo ittico nelle aree fluviali.

4.11   La proposta comporta anche delle implicazioni finanziarie per l'acquacoltura. Le imprese di questo settore che producono giovani esemplari di salmone da utilizzare nel ripopolamento compensativo danno lavoro a varie decine di persone in aree caratterizzate da poche alternative occupazionali. Se le imprese di acquacoltura dovranno abbandonare l'attività a causa della fine del ripopolamento compensativo, la situazione occupazionale nelle aree interessate peggiorerà. La chiusura di tali attività comporterà anche la perdita di esperienza e di conoscenze in materia di acquacoltura.

4.12   Le conseguenze occupazionali negative della proposta di regolamento dovrebbero essere tenute presenti nell'applicazione delle attuali regole sul finanziamento strutturale dell'UE e nella riforma della politica comune della pesca. Tra le possibili opzioni di sostegno figurerebbero per esempio l'aiuto alla dismissione di attività o investimenti e programmi di formazione per il riorientamento delle attività di pesca. Tuttavia il CESE ritiene che tale assistenza dovrebbe costituire solo una misura complementare. Nella pianificazione delle misure pratiche occorre dare la priorità ai posti di lavoro nel settore della pesca al salmone e nelle industrie collegate, in maniera da ridurre al minimo le ripercussioni occupazionali negative.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente — Valutazione definitiva»

COM(2011) 531 definitivo

2012/C 68/10

Relatore: CHIRIACO

La Commissione europea, in data 31 agosto 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente - Valutazione definitiva

COM(2011) 531 definitivo.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 174 voti favorevoli, 4 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente l'iniziativa della Commissione che intende fornire una valutazione del Sesto programma comunitario in materia di ambiente (PAA). La Commissione, ritiene che il programma sia stato utile in quanto ha fornito un contesto globale per la politica ambientale europea. Tale conclusione è solo parzialmente condivisibile. Il Sesto PAA, pur rappresentando un importante contributo per lo sviluppo delle politiche, ha avuto un impatto limitato sull'adozione di strumenti specifici. Nonostante la difficoltà nel raccogliere informazioni per un'analisi relativa all'implementazione delle azioni contenute nel programma, è possibile riscontrare notevoli ritardi nell'adozione degli strumenti legislativi, una difficoltà nell'individuazione di obiettivi concreti e insufficienti meccanismi di controllo e monitoraggio.

1.2   Pertanto, il CESE invita la Commissione a migliorare gli strumenti a disposizione, compresi i meccanismi di monitoraggio e valutazione, al fine di assicurare un'efficace implementazione della legislazione esistente. Al tempo stesso, il CESE raccomanda una maggiore coerenza tra le varie iniziative legislative e programmatiche in materia di ambiente e una maggiore integrazione della dimensione ambientale nell'ambito di politiche settoriali interconnesse. Come già affermato in un recente parere (1), il CESE richiede alla Commissione maggiore chiarezza e concretezza nell'affrontare le sfide ambientali. In particolare, chiarendo cosa si intende per «uso efficiente delle risorse», «green economy» e specificando quali siano i cambiamenti in termini concreti richiesti tanto ai produttori quanto ai consumatori sia in termini quantitativi che qualitativi.

1.3   Inoltre, il CESE ritiene che maggiore attenzione dovrebbe essere prestata alla dimensione internazionale. Le sfide ambientali hanno infatti una portata globale che richiede un approccio basato sul rafforzamento della cooperazione multilaterale e migliori strumenti di governance mondiale.

1.4   Infine, nella comunicazione della Commissione manca una visione a lungo termine, non vi sono accenni su un nuovo possibile programma di azione e non si dice quale dovrebbe essere il valore aggiunto del Settimo PAA. Il CESE ritiene che tale programma dovrebbe essere coerente e complementare con la Strategia Europa 2020 e con le iniziative faro, contenere obiettivi e priorità individuati in modo realistico e sulla base di un ampio consenso politico, nonché prevedere strumenti in grado di assicurare l'efficacia delle misure proposte.

2.   Sintesi della comunicazione

2.1   Il contesto politico

2.1.1   Fin dall'inizio degli anni '70, i programmi di azione in materia di ambiente hanno stabilito l'indirizzo da dare alla politica ambientale dell'Unione europea ed il Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente (PAA) deve pertanto essere considerato parte di un processo ininterrotto ed in continua evoluzione.

2.1.2   Il Sesto PAA ribadisce l'importanza dei concetti di crescita verde e di economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio, come confermato anche dalla Strategia Europa 2020 (2), che rappresenta il contesto adeguato per garantire l'integrazione degli obiettivi ambientali nell'agenda socioeconomica generale dell'UE, nonché dalla nuova strategia per arrestare la perdita di biodiversità ed il degrado dei servizi ecosistemici nell'UE entro il 2020 (3), dai lavori preparatori della conferenza «Rio+ 20» (4), dalla tabella di marcia verso un'economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050 (5), dal Libro bianco sui trasporti (6), dalle comunicazioni Energia 2020 (7) e dal Piano di efficienza energetica 2011 (8).

2.2   Risultanze generali

2.2.1   La conclusione generale della Commissione è che il Sesto PAA è stato utile in quanto ha fornito un contesto globale per la politica ambientale, in quanto, gran parte delle azioni stabilite nel programma sono state o si stanno per completare.

2.2.2   Rispetto ai precedenti programmi, il Sesto PAA gode di maggiore legittimità agli occhi delle parti interessate, in quanto è stato adottato mediante la procedura di codecisione e tale fattore ha contribuito ad aumentare il sentimento di condivisione delle successive proposte politiche.

2.2.3   Le sette strategie tematiche (9) del sesto PAA - aria, pesticidi, prevenzione e riciclaggio dei rifiuti, risorse naturali, suolo, ambiente marino, ambiente urbano - sono state sviluppate al fine di aumentare l'integrazione delle politiche e migliorare le conoscenze di base. Nonostante nei settori diversi i progressi siano stati disomogenei, in alcuni casi, l'elaborazione delle strategie ha contribuito a rafforzare la volontà politica di adottare obiettivi e scadenzari efficaci e di attuarli. Tuttavia, non vi sono prove certe del fatto che il Sesto PAA abbia favorito l'adozione di strumenti ambientali specifici.

2.3   Settori prioritari

2.3.1   Natura e biodiversità: il Sesto PAA ha portato a sviluppare strategie tematiche in materia di protezione del suolo e di protezione e conservazione dell'ambiente marino, oltre che a mettere in evidenza la necessità di creare una base di conoscenze più solida, di migliorare i finanziamenti e di potenziare le attività in corso. Tuttavia, sarebbe stato possibile compiere ulteriori progressi se all'obiettivo, rimasto disatteso, di arrestare il deterioramento della diversità biologica entro il 2010, fossero corrisposti l'attenzione politica e gli impegni finanziari necessari da parte dell'UE e degli Stati membri.

2.3.2   Ambiente e salute: il Sesto PAA ha offerto l'opportunità di procedere ad un utile inventario degli impegni assunti e delle iniziative programmate nonché di prestare maggiore attenzione ai collegamenti tra i fattori ambientali e la salute umana. In particolare, il programma ha permesso di intraprendere iniziative che altrimenti forse non sarebbero state intraprese, ad esempio nel settore dell'ambiente urbano, o avrebbero richiesto più tempo o sarebbero state meno esaurienti senza l'impulso dato dal programma, come per i pesticidi. Esistono, d'altro canto, alcune lacune nella legislazione e occorre integrare i risultati delle ricerche e le informazioni riguardo agli effetti sulla salute della qualità ambientale nel più vasto obiettivo strategico di migliorare la salute pubblica.

2.3.3   Risorse naturali e rifiuti: il Sesto PAA ha rafforzato il legame tra la politica sui rifiuti e quella in materia di risorse e ha contribuito a migliorare la gestione dei rifiuti nonché a procedere verso una politica basata su consumo e produzione sostenibili. L'utilizzo delle risorse non ha più un tasso d'incremento pari a quello della crescita economica. Tuttavia, in termini assoluti, l'utilizzo delle risorse è ancora in crescita e ciò è incompatibile con l'obiettivo di rispettare la capacità portante dell'ambiente sul lungo termine. Inoltre, tra gli Stati membri vi sono ancora differenze sostanziali nella produttività delle risorse e, in generale, aumenta la dipendenza dalle importazioni.

2.3.4   Cambiamenti climatici: il Sesto PAA ha offerto un contributo significativo nel settore dei cambiamenti climatici. Nonostante le finalità stabilite per le iniziative della comunità internazionale non siano state raggiunte e, in particolare, gli obiettivi quantificabili avessero un carattere più utopico e fossero più difficili da raggiungere, il Sesto PAA ha permesso di conseguire obiettivi politici fondamentali.

2.3.5   Questioni internazionali: con il Sesto PAA sono stati ribaditi gli impegni europei riguardo all'integrazione degli aspetti ambientali in tutte le relazioni esterne dell'UE e alla dimensione esterna della strategia di sviluppo sostenibile dell'UE. Nonostante le iniziative che l'UE ha intrapreso per potenziare la cooperazione multilaterale e per dimostrare il proprio interesse riguardo a convenzioni e accordi internazionali, sono stati effettuati progressi limitati verso una migliore governance mondiale a livello ambientale. Le sfide ambientali, che in misura crescente stano acquistando una dimensione globale, richiedono un impegno più coerente e mirato da parte dell'UE, affinché questa possa svolgere con maggiore efficacia il suo ruolo nell'elaborazione della politica internazionale e possa impegnarsi per una migliore governance ambientale.

2.4   Efficacia delle impostazioni strategiche e degli strumenti

2.4.1   Il Sesto PAA ha fortemente incoraggiato e promosso principi e strumenti per migliorare il processo decisionale, in particolare le valutazioni d'impatto integrate e il maggiore impiego di strumenti basati sul mercato, e ha sottolineato l'importanza di solide basi scientifiche per lo sviluppo delle politiche. Nonostante i recenti sviluppi positivi, le informazioni in materia di ambiente, in particolare i dati e le statistiche ufficiali sono ancora incomplete e non sono sempre tempestivamente disponibili.

2.4.2   Il carattere mutevole delle sfide ambientali richiede una maggiore coerenza tra: i) la fase di formulazione e quella di attuazione delle politiche; ii) il livello europeo, nazionale e regionale; iii) i settori prioritari d'intervento.

2.4.3   L'inadeguata attuazione della legislazione ambientale compromette il conseguimento degli obiettivi e la credibilità della politica ambientale e non permette di fare in modo che altri settori si impegnino a migliorare le prestazioni. Inoltre, occorre dare priorità alle politiche che presentano un chiaro valore aggiunto per la creazione di un'economia verde e che possono essere formulate a breve/medio termine.

2.5   Sfide per il futuro

2.5.1   I punti fondamentali della politica e della legislazione ambientali sono ormai definiti (tranne per quanto concerne il suolo), ma a causa di carenze di attuazione non hanno ancora potuto dispiegare tutte le loro potenzialità di miglioramento. La politica ambientale tradizionale può ancora svolgere un ruolo fondamentale nella tutela dell'ambiente, tuttavia, i mutamenti nella situazione e la crescente interdipendenza delle sfide ambientali rendono necessarie capacità di flessibilità e di adattamento.

2.5.2   La sfida fondamentale della futura politica ambientale consiste nel passare, mediante l'adozione di una visione a più lungo termine, dal risanamento alla prevenzione del degrado ambientale e nell'ulteriore integrazione dell'ambiente in tutte le politiche che lo concernono.

2.5.3   Al fine di raggiungere l'obiettivo della Strategia Europa 2020 di un'economia verde, efficiente sotto il profilo delle risorse, competitiva e a bassa emissione di CO2, risulta indispensabile integrare considerazioni ambientali e a favore di basse emissioni di carbonio nei modelli aziendali di altri settori e garantire la coerenza nel processo che va dall'elaborazione delle politiche fino alla loro attuazione. Occorre, inoltre, affrontare gli ostacoli che si frappongono a una corretta applicazione della legislazione in vigore, in particolare i problemi di governance a tutti i livelli negli Stati membri, al fine di proteggere l'ambiente e di limitare le conseguenze negative sulla salute pubblica.

2.5.4   La pressione ambientale acquisisce sempre più un carattere mondiale e sistemico. A causa della complessità delle interconnessioni, è necessaria una base di conoscenze più estesa e occorre inoltre esaminare in modo approfondito le potenzialità di cambiamento a livello di comportamento dei consumatori.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il Sesto PAA rappresenta formalmente l'assunzione di un impegno politico da parte del Parlamento, del Consiglio e della Commissione e fornisce un importante indicatore per la valutazione dello sviluppo della politica ambientale europea. Successivamente all'adozione del Sesto PAA l'UE ha intrapreso con successo numerose iniziative, raggiunto ambiziosi risultati e sviluppato diverse strategie e piani multisettoriali. Tuttavia, è difficile stabilire fino a che punto il quadro generale costituito dal programma abbia inciso sullo sviluppo delle politiche. Sarebbe opportuno riflettere su questo aspetto, mediante un'analisi dell'implementazione delle azioni contenute nel programma e delle interazioni e reciproche influenze con la Strategia europea per lo sviluppo sostenibile e la Strategia di Lisbona (10).

3.2   Il dibattito che negli ultimi anni ha coinvolto le istituzioni europee e la società civile, circa la valutazione di ciò che è stato fatto e le possibilità che si prospettano per il futuro della politica ambientale europea (11), ha posto l'attenzione su due questioni chiave: individuare le nuove priorità e rafforzare gli strumenti a disposizione per assicurare l'efficacia delle misure proposte.

3.3   In particolare, non si può ridurre la questione soltanto all'opportunità o meno di dar luogo ad un nuovo programma, ma occorre concentrarsi sopratutto su quale forma questo dovrebbe avere, quale dovrebbe essere il suo scopo, il suo contenuto e quali le scadenze. Ciò che prima di tutto dovrebbe essere considerato è come fare perché le prossime azioni in materia di ambiente diventino uno strumento strategico più visibile, importante ed efficace, imparando dall'esperienza ed evitando le insidie che hanno compromesso l'efficienza del Sesto PAA.

3.4   Considerata l'esperienza sinora maturata in altri contesti (come ad esempio FESR, FSE e FEASR) sarebbe opportuno considerare la possibilità di sperimentare, anche per il programma in materia di ambiente, un crescente rafforzamento degli strumenti di monitoraggio e valutazione nelle diverse dimensioni ex ante, in itinere, ex post.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Le strategie tematiche

4.1.1   L'introduzione delle strategie tematiche ha fornito un approccio più strategico, consentendo di superare alcune carenze del Quinto PAA come, in particolare, la mancanza di competenza del programma in alcuni settori. Tuttavia, il processo di sviluppo delle strategie tematiche ha di fatto rallentato il processo decisionale nel suo complesso e l'adozione delle relative misure.

4.1.2   Molti degli strumenti legislativi che accompagnano le strategie tematiche sono ancora nelle prime fasi di attuazione. I ritardi nella loro adozione, la mancata individuazione di obiettivi concreti, la delega agli Stati membri della responsabilità, non solo per l'attuazione, ma anche per fornire ulteriori specificazioni rispetto a molte delle misure previste, e l'insufficiente meccanismo di controllo e monitoraggio, hanno in alcuni casi seriamente compromesso la possibilità di raggiungere gli obiettivi del programma prima della scadenza.

4.2   Coerenza e integrazione

4.2.1   È evidente che le sfide ambientali attualmente non possono essere fronteggiate unicamente con specifiche politiche ambientali, ma deve essere coinvolta l'intera economia e l'intera società. Occorre pertanto maggiore coerenza, sia tra le tematiche direttamente interconnesse (come i cambiamenti climatici, l'energia, la tutela della salute), sia tra le diverse politiche settoriali (l'alimentazione, i trasporti, le costruzioni, l'innovazione). In particolare, nel processo di riforma della PAC tutt'ora in corso, come sottolineato anche dal CESE (12), tale principio si è concretizzato nell'introduzione dello strumento del «greening» del pagamento unico.

4.2.2   Inoltre, è essenziale sostenere e sviluppare l'integrazione della politica ambientale nell'ambito delle «metastrategie» (Europa 2020), nonché nel quadro degli strumenti finanziari. In particolare, con riferimento alla Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse (13) nel corso di un recente workshop svoltosi a Bruxelles (14), è stata riconosciuta l'importanza cruciale del programma per favorire il passaggio alla «green economy» e della complementarità delle due iniziative, con particolare riguardo alla attuazione delle misure, alle risorse naturali e alla gestione degli ecosistemi.

4.3   Obiettivi prioritari

4.3.1   Gli obiettivi prioritari devono essere ricercati con specifico riferimento alle problematiche ambientali quali la scarsità delle risorse naturali, l'inquinamento atmosferico, la biodiversità e l'ambiente urbano.

4.3.2   In particolare, vanno ricercati e incoraggiati nuovi comportamenti per il consumo, il commercio e la produzione. I cambiamenti tecnologici, infatti, devono andare di pari passo con un cambiamento di abitudini.

4.4   Migliori strumenti

4.4.1   Migliori strumenti per la politica ambientale europea significa, innanzitutto, migliore regolamentazione mediante l'adozione di misure legislative e la scelta di regole univoche e non facoltative, anche per quanto riguarda gli aspetti economici. D'altra parte, come già affermato dal CESE in occasione del parere del 2001, assicurare un'efficace implementazione della legislazione esistente è un fattore essenziale per evitare distorsioni del mercato e salvaguardare la competitività delle imprese europee (15). In particolare, con riferimento al programma di assistenza per le PMI (Environmental Compliance Assistance Programme - ECAP) il CESE ha sottolineato l'importanza che la valutazione dell'impatto ambientale sia oggetto di una gestione integrata e trasversale da parte dell'azienda (16).

4.4.2   In secondo luogo, occorre migliorare gli strumenti di valutazione, sia dello stato dell'ambiente, sia dell'implementazione delle politiche e della loro efficacia (17), attraverso valutazioni d'impatto indipendenti, aperte e just in time.

4.4.3   Da ultimo, è essenziale migliorare la fase di attuazione mediante la predisposizione di meccanismi internazionali di assistenza, controllo e sanzione. Ciò in altre parole significa formulare, trasporre nei regolamenti, mettere in atto, controllare e sanzionare (18).

4.5   Il ruolo dei protagonisti

4.5.1   Il coinvolgimento delle collettività territoriali dovrebbe avvenire già in fase di elaborazione delle politiche. Il Comitato delle regioni (19), in un recente parere ha sostenuto la necessità di una partecipazione proattiva delle collettività territoriali e ha proposto lo sviluppo di metodi innovativi di governance«multilivello», comprensiva della mobilitazione delle piattaforme e delle reti esistenti.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 97.

(2)  COM(2010) 2020 definitivo del 3 marzo 2010.

(3)  COM(2011) 244 definitivo del 3 maggio 2011.

(4)  COM(2011) 363 definitivo del 20 giugno 2011.

(5)  COM(2011) definitivo 112 dell'8 marzo 2011.

(6)  COM(2011) 144 definitivo del 28 marzo 2011.

(7)  COM(2010) 639 definitivo.

(8)  COM(2011) 109 definitivo dell'8 marzo 2011.

(9)  COM(2005) 446 definitivo (inquinamento atmosferico); COM(2006) 372 definitivo (uso sostenibile dei pesticidi); COM(2005) 666 definitivo (prevenzione e riciclaggio dei rifiuti); COM(2005) 670 definitivo (uso sostenibile delle risorse naturali); COM(2006) 231 definitivo (protezione del suolo); COM(2005) 504 definitivo (protezione e conservazione dell'ambiente marino); COM(2055) 718 definitivo (ambiente urbano).

(10)  Strategic Orientations of EU Environmental Policy under the Sixth Environment Action Programme and Implications for the Future, relazione finale, Istituto per una politica europea dell'ambiente (IEEP), maggio 2010.

(11)  Tutti i contributi relativi agli eventi e agli studi preparatori sono disponibili su www.eapdebate.org.

(12)  GU C 132 del 3.5.2011, pagg. 63-70.

(13)  COM(2011) 571 definitivo.

(14)  Expert Workshop: The future of European Environmental Policy: what role for the Resource Efficiency Roadmap and what role for the Environment Action Programme?, Bruxelles, 13 settembre 2011.

(15)  GU C 221 del 7.8.2001 pagg. 80-85.

(16)  GU C 211 del 19.8.2008, pag. 37.

(17)  The issue of Evaluation in the Framework of European Environmental Policy, Brussels Environment, 11 giugno 2010.

(18)  Better instruments for European Environmental Policy Seminario ospitato dal ministero spagnolo dell'Ambiente e in collaborazione con Brussels Environment, Madrid, 20 maggio 2010.

(19)  Parere del Comitato delle regioni del 5-6 ottobre 2010.


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Gli OGM nell'UE» (supplemento di parere)

(2012/000/)

Relatore: SIECKER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 marzo 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A), delle Modalità d'applicazione del Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:

Gli OGM nell'UE.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 52 voti contrari e 25 astensioni.

1.   Gli organismi geneticamente modificati nell'UE: orientamenti per il futuro dibattito

1.1   Gli organismi geneticamente modificati (OGM) costituiscono un tema di discussione delicato: l'ingegneria genetica suscita infatti grande interesse ma anche profonda inquietudine. Il dibattito è spesso emotivo e polarizzato, e, quando è razionale, sia i fautori che gli oppositori tendono a interpretare la realtà in maniera selettiva, con scarsa attenzione per le sfumature. Inoltre, al di là delle divergenze di opinione sui vantaggi e gli svantaggi dell'ingegneria genetica, persino in seno al Comitato economico e sociale europeo (CESE) esistono numerose incertezze e supposizioni in merito, tra l'altro, alla natura e alla portata della disciplina giuridica degli OGM nell'UE. Tutto ciò è deplorevole, poiché un tema così importante e politicamente sensibile merita ed esige un dibattito di ben altra qualità.

1.2   Il quadro giuridico attuale dell'UE in materia di OGM è in fase di modifica. In tale contesto, nel prossimo futuro il CESE formulerà più spesso dei pareri sulla politica e la normativa in materia di OGM; e, per orientare e preparare tale futuro dibattito, il presente parere traccia, a grandi linee, un quadro della situazione attuale e del dibattito in corso sugli OGM e sulla loro disciplina all'interno dell'UE. In questa analisi entrano in gioco diversi aspetti, in particolare questioni etiche, ecologiche, tecnologiche, (socio)economiche, giuridiche e politiche. Tutti gli interrogativi che vengono sollevati dalle possibilità quasi illimitate offerte dall'ingegneria genetica e dalla rapida evoluzione delle applicazioni OGM devono essere esaminati in un contesto sociale ampio. Il presente parere mira in definitiva a offrire un sistema di orientamento per condurre una discussione politica equilibrata e pertinente in merito a queste importanti questioni.

1.3   Il presente parere si limita peraltro a mettere in luce solo i punti principali di tale dibattito e a menzionare soltanto alcuni dei dilemmi maggiori che circondano gli OGM e la loro disciplina nell'UE. Per molti di questi aspetti il CESE sarà chiamato a formulare ulteriori pareri (esplorativi), che esso si propone di elaborare nei mesi a venire. Al riguardo, meritano priorità in particolare la valutazione della normativa UE vigente in materia di OGM, la sua eventuale revisione e la correzione delle lacune esistenti nella disciplina in vigore, evidenziate nel presente parere. Il CESE si impegna ad adottare, nel prossimo futuro, supplementi di parere in merito a questi importanti dossier.

2.   Storia dell'ingegneria genetica

2.1   L'ingegneria genetica suscita opinioni divergenti persino in merito alla sua storia. Mentre gli oppositori parlano di una tecnologia fondamentalmente nuova che comporta rischi non certi e solleva riserve etiche, i fautori collocano l'ingegneria genetica in una continuità di tradizioni secolari in materia di selezione delle piante e di processi di trattamento biologico mediante lieviti, batteri e funghi. Tuttavia, sulla base di elementi obiettivi si può concludere che l'ingegneria genetica si discosta in maniera fondamentalmente nuova da queste applicazioni storiche. L'avvento della genetica segna infatti una cesura definitiva tra la biotecnologia di «vecchia» concezione e quella moderna. Con la scoperta, avvenuta nel 1953 ad opera di Watson e Crick, della struttura a doppia elica del DNA è stato rivelato il codice genetico degli esseri umani e di tutta la flora e la fauna attorno a noi, consentendo agli scienziati di compiere manipolazioni rivoluzionarie a livello dei geni, ossia degli «elementi di base» della vita.

2.2   L'ingegneria genetica fa la sua comparsa nel 1973, quando alcuni scienziati statunitensi portano a termine con successo i primi esperimenti su batteri utilizzando frammenti di DNA ricombinante. La possibilità di individuare, isolare, moltiplicare e trapiantare geni specifici in un altro organismo vivente ha consentito agli scienziati di modificare per la prima volta in maniera specifica le caratteristiche genetiche ereditarie di organismi viventi per giungere a risultati impossibili da ottenere in natura attraverso la riproduzione e/o la ricombinazione naturale. Prima di allora, con i metodi di ibridazione classici si combinavano interi genomi (di specie simili) per poi cercare di conservarne le caratteristiche positive attraverso la riselezione. Benché l'ingegneria genetica consenta di effettuare manipolazioni più precise, l'introduzione di geni in un altro organismo (o in un'altra specie) rimane un processo instabile e insicuro, con effetti secondari e conseguenze difficilmente prevedibili sul genoma ricevente e sulle interazioni con l'ambiente circostante. Gli effetti a lungo termine, in particolare, restano ancora largamente sconosciuti.

2.3   Dopo il 1975 lo sviluppo dell'ingegneria genetica fa registrare una forte accelerazione. I primi prodotti (farmacologici) geneticamente modificati vengono commercializzati già a partire dal 1982; all'inizio degli anni '90 seguono le piante e gli animali transgenici. Nel corso degli anni viene infranto anche il confine tra le specie: vengono introdotti, ad esempio, un gene di suino in una varietà di pomodoro, un gene di lucciola in una pianta di tabacco e un gene umano in un toro. L'abbattimento dei confini naturali tra le specie, l'imprevedibilità degli effetti a lungo termine e l'irreversibilità delle potenziali conseguenze (sull'ambiente) fanno dell'ingegneria genetica una tecnologia fondamentalmente nuova e potenzialmente rischiosa. È dunque importante che la normativa in materia di OGM nell'UE e nei suoi Stati membri, in molti paesi terzi e nei trattati internazionali si basi su questa realtà.

3.   Settori interessati dagli OGM e accettazione sociale di questi ultimi

3.1   I principali settori di applicazione degli OGM sono il settore agricolo e quello alimentare (soprattutto resistenza ai pesticidi), quello medico e farmaceutico (medicinali, diagnostica genetica e terapia genetica) e quello (petrol)chimico e degli armamenti. Questi diversi settori sono spesso definiti rispettivamente biotecnologie «verdi», «rosse» e «bianche».

3.2   Non in tutti questi settori l'ingegneria genetica è oggetto di acceso dibattito nella stessa misura. Le preoccupazioni e le riserve del mondo politico e dell'opinione pubblica sembrano essere riconducibili non tanto all'ingegneria genetica come tale, quanto piuttosto a determinate sue applicazioni: in genere, le applicazioni mediche sono accolte positivamente, mentre i toni del confronto si fanno più aspri soprattutto quando quest'ultimo verte sui settori agricolo e alimentare. Un elemento centrale del dibattito è costituito dalla ponderazione tra l'utilità e la necessità, da un lato, e i possibili rischi e le riserve, dall'altro. Molti cittadini ritengono, ad esempio, che l'ingegneria genetica fornisca un contributo importante e promettente al trattamento di malattie umane gravi, mentre nel settore agroalimentare i benefici apportati dagli OGM (della generazione attuale) ai consumatori sono molto meno evidenti (per il momento, infatti, essi consistono in caratteristiche meramente agronomiche, vantaggiose per i produttori). Del resto, le norme in materia di sicurezza e le sperimentazioni cliniche antecedenti al rilascio dell'autorizzazione per applicazioni mediche sono sempre state molto più rigorose ed estese delle procedure necessarie per l'introduzione di OGM nell'ambiente o negli alimenti.

3.3   Inoltre, da un punto di vista sia sociale che regolamentare, è importante operare una distinzione tra, da un lato, le applicazioni di ingegneria genetica che hanno luogo in ambienti chiusi e isolati, come laboratori, fabbriche e serre, in condizioni efficaci di contenimento e con adeguate misure di sicurezza atte a prevenire dispersioni accidentali di OGM, e, dall'altro, le applicazioni in cui vengono rilasciati nell'ambiente, senza possibilità di contenimento, piante o animali geneticamente modificati, in grado di riprodursi, diffondersi e propagarsi in maniera incontrollata e irreversibile nella biosfera, con effetti imprevedibili sulla biodiversità circostante e sulle interazioni con quest'ultima.

3.4   Tuttavia, nel caso di vegetali introdotti in uno spazio aperto, occorre fare una distinzione tra due situazioni: da un lato, la possibilità che la specie vegetale coltivata si incroci con una specie selvatica per la presenza di quest'ultima nelle vicinanze e, dall'altro, l'impossibilità che ciò accada per l'assenza, nell'ambiente, di specie selvatiche in prossimità della pianta geneticamente modificata. È importante tener conto di questa distinzione nell'elaborazione del quadro normativo concernente l'introduzione di piante geneticamente modificate in uno spazio agricolo aperto.

3.5   Qui non si tratta, per definizione, di distinguere tra biotecnologia «rossa» e biotecnologia «verde». Anche nel settore agroalimentare, infatti, la ricerca di base può essere svolta in modo sicuro e innovativo all'interno di laboratori isolati, in maniera analoga a quella accettata ormai da tempo nel caso della biotecnologia medica. Gli enzimi geneticamente modificati sono inoltre utilizzati su vasta scala nella produzione alimentare in ambienti isolati, senza rimanere presenti in forma di organismi viventi nel prodotto finale o finire nell'ambiente esterno. La distinzione tra utilizzo in ambiente confinato e immissione in campo aperto, come anche quella tra ricerca scientifica di base e applicazioni commerciali, rappresentano due importanti elementi del dibattito politico sugli OGM, della loro percezione da parte dell'opinione pubblica e della reazione dei consumatori verso queste sostanze.

3.6   Come emerge costantemente da numerosi sondaggi, in particolare di Eurobarometro (1), nonché dalla letteratura accademica, la maggioranza crescente della popolazione dell'UE si mostra assai scettica, se non addirittura contraria, agli OGM, in particolare negli alimenti, nei mangimi e nell'agricoltura. Anche nei governi degli Stati membri si osservano opinioni e politiche divergenti in merito agli OGM. Contro oppositori convinti come Austria, Ungheria, Italia, Grecia, Polonia e Lettonia, si schierano fautori dichiarati come i Paesi Bassi, il Regno Unito, la Svezia, la Spagna, il Portogallo e la Repubblica ceca, mentre molti altri Stati membri si astengono dal prendere una posizione.

3.7   Queste divisioni complicano e rallentano notevolmente il processo decisionale democratico in materia di OGM. Le autorizzazioni di nuovi OGM vengono di norma rilasciate in maniera unilaterale dalla Commissione, in seguito all'incapacità degli Stati membri di prendere in merito una decisione a maggioranza qualificata, secondo la procedura di comitato. Benché tra il 1999 e il 2004 vi sia di fatto stata una moratoria sulle autorizzazioni di nuovi OGM mentre si procedeva alla revisione della normativa in materia, non si è riusciti a cogliere tale opportunità per condurre un dibattito di fondo che portasse a un approccio più consensuale in materia di OGM nell'UE. Negli ultimi anni, il numero di Stati membri che vietano la coltivazione di OGM sul proprio territorio è aumentato, e la recente proposta della Commissione a favore di una maggiore libertà di decisione a livello (sub)nazionale per quanto concerne la possibilità di vietare la coltivazione di piante geneticamente modificate è stata accolta in maniera estremamente critica dagli Stati membri, dal Parlamento europeo, da diverse organizzazioni della società civile e dalle imprese, nonché in un recente parere del CESE (2). È comunque frustrante, da tutti i punti di vista, che su un tema così interessante come quello degli OGM l'UE rischi di entrare in un'impasse politica.

3.8   Diverse organizzazioni della società civile e parti interessate hanno sollevato riserve sull'ingegneria genetica in relazione all'ambiente, al benessere degli animali, alla tutela dei consumatori, all'agricoltura, all'apicoltura, allo sviluppo rurale e mondiale, all'etica, alla religione ecc. Anche il Parlamento europeo si è espresso più volte in maniera critica nei confronti degli OGM e della loro disciplina, come hanno fatto anche il CESE e varie autorità nazionali, regionali e locali nonché alcuni scienziati indipendenti. I principali fautori sono invece le grandi imprese titolari dei brevetti nel campo degli OGM e altri soggetti interessati, tra cui alcuni coltivatori di specie OGM e alcuni scienziati, nonché partner commerciali internazionali con forti interessi economici per una disciplina più flessibile di questa materia nell'UE. Per l'esame di alcuni dei principali vantaggi attribuiti agli OGM, si rimanda al punto 5.

3.9   Le resistenze (politiche e sociali) verso gli OGM negli alimenti e nell'ambiente si incontrano anche fuori dell'UE, in particolare in paesi come il Giappone, la Corea del Sud, la Nuova Zelanda, il Messico, le Filippine e diversi Stati africani. Esistono però anche paesi terzi in cui le specie OGM sono coltivate su vasta scala: nel 2010 le varietà geneticamente modificate (soprattutto di soia, mais e cotone) sono state seminate da oltre 15 milioni di agricoltori su una superficie di circa 150 milioni di ettari. Va tuttavia osservato che il 90 % di questi ettari erano concentrati in soltanto cinque paesi: Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile e India. Eppure, malgrado tale impiego su larga scala, neanche in questo secondo gruppo di paesi il tema degli OGM è esente da controversie: negli ultimi tempi sembrano infatti essere in aumento le critiche che si levano dalla società, soprattutto a causa di incidenti legati alla disseminazione involontaria di varietà geneticamente modificate di colture come mais e riso, e di decisioni giudiziarie in materia di coesistenza. Al riguardo va osservato che in questi paesi non esiste alcun obbligo di etichettatura, il che significa che i consumatori non sono informati della presenza di OGM nei prodotti e non possono quindi compiere una scelta consapevole.

4.   Interessi economici, proprietà intellettuale e concentrazione del mercato

4.1   Gli interessi economici potenziali in relazione agli OGM nel campo del miglioramento genetico delle piante sono considerevoli. Il fatturato mondiale annuo del mercato delle sementi ha ormai superato i 35 miliardi di euro e rappresenta la base di un mercato di prodotti ancora maggiore, con un giro d'affari di diverse centinaia di miliardi di euro.

4.2   L'ingegneria genetica e la commercializzazione di prodotti OGM hanno conosciuto uno sviluppo straordinario, il che ha notevolmente influenzato il contesto in cui operano le imprese di questo comparto. La tutela della proprietà intellettuale nel campo del miglioramento genetico delle piante è assicurata da oltre mezzo secolo dal diritto di «privativa per ritrovati vegetali», sanciti in diversi accordi internazionali. Alle norme che attribuiscono tale diritto esclusivo temporaneo ai selezionatori di nuove varietà deroga la cosiddetta «esenzione a favore dei costitutori», grazie alla quale altri selezionatori possono utilizzare liberamente le varietà protette senza bisogno di autorizzazione da parte del costitutore originario, al fine di sviluppare nuove varietà ancora migliori. Tale esenzione, che non esiste in nessun altro settore, è dettata dalla consapevolezza che le nuove varietà non possono essere create dal nulla.

4.3   Gli sviluppi nella biologia molecolare, che è nata al di fuori dell'agricoltura, hanno portato all'introduzione di diritti di brevetto nel campo della selezione dei vegetali. Il diritto di brevetto e il diritto di privativa per ritrovati vegetali sono, per diverse ragioni, in conflitto tra loro. Innanzitutto, perché il primo non prevede alcuna esenzione a favore dei costitutori: il titolare del brevetto può, infatti, rivendicare un diritto esclusivo sul materiale genetico e vietarne l'utilizzo ad altri o subordinarlo a costose licenze. A differenza del diritto di privativa, il diritto di brevetto non favorisce l'innovazione aperta né consente di combinare gli incentivi economici all'innovazione con la tutela di altri interessi pubblici.

4.4   La disputa per i diritti va però ancora più lontano. La direttiva europea sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche (3) adottata nel 1998 consente la protezione mediante brevetto delle invenzioni collegate alle piante. Diversamente dalle piante come tali, i geni o le sequenze di geni vegetali possono quindi essere brevettati, ma questa interpretazione non trova unanimità di consensi. Alcune multinazionali leader nel campo del miglioramento genetico dei vegetali ritengono che, se le caratteristiche genetiche sono brevettabili, allora anche le varietà rientrano indirettamente nel campo di applicazione del diritto di brevetto (4). In tal caso le varietà coperte da brevetto non possono più essere utilizzate da altri a scopo di ulteriore innovazione, il che ha effetti negativi sulla biodiversità agricola e impedisce che le piante con caratteristiche interessanti siano accessibili ad altri a scopo di ulteriore innovazione. Gli sviluppi nella biotecnologia medica mettono in evidenza le conseguenze negative che possono derivare da questa interpretazione: la rigida tutela garantita dai brevetti e i prezzi elevati fanno sì che i nuovi prodotti possano essere acquistati soltanto da persone che hanno i mezzi per farlo e non siano invece accessibili a quelle svantaggiate che ne hanno maggiore bisogno. Le medesime conseguenze indesiderabili potrebbero verificarsi nel campo del miglioramento genetico delle piante.

4.5   Negli ultimi decenni questo comparto ha fatto registrare un'enorme concentrazione del mercato, soprattutto per effetto della protezione mediante brevetto e di requisiti normativi. Mentre in passato in questo settore operavano centinaia di imprese, oggi il mercato mondiale è dominato soltanto da una manciata di grandi operatori. Nel 2009, quasi l'80 % del mercato mondiale delle sementi era controllato da appena dieci società, le prime tre delle quali si dividevano addirittura il 50 %. Le medesime multinazionali controllavano anche il 75 % circa del settore agrochimico mondiale. Non si tratta più di imprese specializzate esclusivamente nel miglioramento genetico delle piante, bensì di grandi multinazionali che operano nei settori alimentare, fitosanitario, chimico, energetico e farmaceutico. Esse, inoltre, producono spesso prodotti complementari come piante geneticamente modificate rese resistenti a un determinato pesticida commercializzato dalla stessa impresa. Tale concentrazione consente a un esiguo gruppo di multinazionali di esercitare un notevole controllo sull'intera filiera di produzione delle derrate alimentari e dei prodotti collegati, mettendo così a rischio la libertà di scelta, l'accessibilità dei prezzi, l'innovazione aperta e la diversità genetica. Un simile grado di concentrazione del mercato e di monopolio è in ogni caso indesiderabile, soprattutto in settori così fondamentali come l'agricoltura e l'approvvigionamento alimentare, e merita un'attenzione prioritaria da parte del CESE e dell'UE.

5.   Altre problematiche legate agli OGM

5.1   Attorno agli OGM ruotano molte questioni di varia natura. In merito ai vantaggi e agli svantaggi vi sono notevoli divergenze di opinione, e il dibattito è fortemente polarizzato e dominato dall'emotività. Il breve spazio di questo parere non consente di esporre in maniera esaustiva tutti gli aspetti del dibattito, ma solo di enucleare alcune questioni cruciali meritevoli di particolare attenzione. Tra le argomentazioni addotte più di frequente a sostegno dell'uso degli OGM vi è la necessità di combattere la fame, di garantire l'approvvigionamento alimentare a una popolazione mondiale in forte crescita e di lottare contro i cambiamenti climatici. In tutti questi campi vi è un grande bisogno di ricerca scientifica indipendente, e il CESE sottolinea l'importanza di garantire un finanziamento strutturale (costante) da parte dell'UE a queste attività, non solo per promuovere l'innovazione scientifica e commerciale ma anche per studiare le ricadute socioeconomiche, ambientali e di altra natura dei progressi tecnologici.

5.2   Le piante geneticamente modificate non potranno mai risolvere i problemi collegati alla fame nel mondo e alla povertà. Per giungere a una migliore distribuzione delle risorse alimentari non basta semplicemente aumentare la produttività. Purtroppo, per affrontare efficacemente il grave problema della sicurezza alimentare è prioritario migliorare l'accesso alla terra, promuovere una più equa distribuzione della ricchezza, rafforzare la sostenibilità degli accordi commerciali e ridurre la volatilità dei prezzi delle materie prime. La biotecnologia non è certamente la panacea, tuttavia nelle sue più recenti relazioni la FAO ha affermato che essa offre agli agricoltori dei paesi terzi, in particolare ai piccoli coltivatori, notevoli vantaggi agronomici ed economici. Fin dalla nascita dell'ingegneria genetica, però, i suoi fautori hanno sostenuto che le piante geneticamente modificate sono indispensabili per risolvere il problema della fame nel mondo e combattere la povertà. Secondo le loro previsioni, le piante con un tenore elevato di vitamine o altri elementi nutritivi contribuirebbero a lottare contro la fame e le malattie nel Terzo mondo. Inoltre, l'aggiunta di caratteristiche potenziali come la resistenza alla siccità, alla salinizzazione, al gelo o ad altri «agenti di stress» consentirebbe la coltivazione anche laddove prima non era possibile, con previsioni di un incremento della resa per ettaro. Tuttavia, nonostante decenni di ipotesi promettenti, a tutt'oggi non è stata sviluppata commercialmente nessuna di queste caratteristiche che aumenterebbero la resa. La motivazione economica alla base dello sviluppo di queste varietà è in effetti ridotta, dal momento che esse sarebbero destinate alle fasce più sfavorite e indigenti della popolazione mondiale. Anche se la futura generazione di OGM realizzasse la promessa di aumentare la resa dei raccolti e la resistenza agli agenti di stress, ciò non basterebbe a debellare la fame nel mondo: la maggior parte dei suoli agricoli nei paesi in via di sviluppo viene utilizzata per produrre prodotti di alta gamma da esportare in Occidente. Inoltre, la stragrande maggioranza delle varietà geneticamente modificate attualmente sul mercato è coltivata per produrre foraggio e mangimi per bestiame da carne e da latte da consumare nel mondo occidentale (è il caso, ad esempio, del 90 % delle importazioni europee di soia), oppure per produrre biocarburante o materie plastiche. L'aumento dell'uso non alimentare di prodotti agricoli commestibili ha fatto salire i prezzi delle materie prime e delle derrate alimentari sul mercato mondiale, il che non ha fatto altro che aggravare ulteriormente l'insicurezza alimentare e la povertà nel mondo (5).

5.3   I problemi dell'approvvigionamento alimentare mondiale derivano da difficoltà non tanto di produzione quanto di distribuzione (la produzione globale equivale a oltre il 150 % del consumo mondiale) e richiedono quindi una soluzione politico-economica piuttosto che sul piano dell'innovazione agricola. Il CESE riconosce che il problema della sicurezza alimentare mondiale sarà reso ancora più acuto dal rapido aumento della popolazione mondiale. Anche organizzazioni internazionali come l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), grandi ONG come Oxfam, e la recente relazione di un autorevole gruppo di esperti agroalimentari dell'ONU nel quadro della Valutazione internazionale delle scienze e tecnologie agricole al servizio dello sviluppo (International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development - IAASTD), sottolineano tutte l'importanza dell'agricoltura sostenibile come soluzione per garantire la sicurezza e l'autonomia alimentare. Queste autorevoli analisi mettono in evidenza la necessità di pratiche e tecniche agricole sostenibili ed ecologiche, ma non prevedono necessariamente un ruolo per gli OGM quanto piuttosto per altre tecniche alternative. Tra queste ultime, l'esempio più importante citato dalla relazione IAASTD e da altri è quello della selezione assistita da marcatori (marker assisted selection), che consiste nell'impiego di marcatori genetici per selezionare in maniera mirata ed efficace determinate caratteristiche senza però ricorrere a manipolazioni genetiche o transgeniche rischiose o dagli effetti imprevedibili. Questa tecnica di selezione, di comprovata efficacia e meno costosa rispetto all'ingegneria genetica, potrebbe rappresentare un'alternativa non controversa agli OGM, e i suoi minori costi potrebbero creare meno problemi in termini di concentrazione di brevetti e di quote di mercato. Benché non sia affatto da escludere che in futuro gli OGM possano offrire soluzioni interessanti, la scelta deliberata di sviluppare le tecniche non OGM e le pratiche agricole sostenibili potrebbe offrire all'UE considerevoli vantaggi concorrenziali, che sono invece andati perduti nel contesto degli OGM. Investendo intensamente nell'agricoltura sostenibile, l'UE può conquistare una posizione di primo piano a livello mondiale unica e innovatrice, con ricadute positive per l'economia e l'occupazione, l'innovazione e la competitività dell'Unione stessa. Inoltre, questo approccio sarebbe maggiormente in linea con il modello di agricoltura europea, benefico per la biodiversità, prospettato nel quadro della futura PAC.

5.4   Gli OGM sono inoltre considerati dai loro fautori un potenziale strumento atto a favorire sia l'adattamento ai cambiamenti climatici che la mitigazione dei loro effetti. Tuttavia, anche in questo ambito l'attuale generazione di varietà geneticamente modificate in commercio non offre alcuna delle caratteristiche necessarie a tal fine. Infatti, una delle applicazioni di maggior rilievo, ossia la produzione di biocarburanti a partire da piante (alimentari) geneticamente modificate, influisce già in maniera negativa sui prezzi mondiali delle materie prime e dei generi alimentari e sull'approvvigionamento di questi, continuando peraltro a comportare una forte dipendenza dai combustibili fossili.

5.5   Se non si può escludere con certezza che gli OGM possano contribuire a lottare contro minacce di portata mondiale come la fame, la povertà, i cambiamenti climatici e i problemi ambientali, non si può fare a meno di constatare che l'attuale generazione di OGM non è né adatta né destinata a questi scopi. Le caratteristiche che essa possiede sono ancora troppo limitate ai vantaggi per i produttori in termini di resa, come la resistenza ai pesticidi. Se le colture OGM abbiano portato a un minore o, al contrario, maggiore impiego di pesticidi è (scientificamente) opinabile; certo è invece che il loro contributo non sembra del tutto positivo. Sempre più ricerche mettono in evidenza le conseguenze da esse prodotte a lungo termine, tra cui l'aumento di monocolture intensive, lo sviluppo di resistenza ai pesticidi, l'infiltrazione nelle falde freatiche e i danni gravi alla biodiversità circostante nonché i rischi per la salute umana derivanti dall'esposizione a lungo termine a determinati pesticidi impiegati insieme agli OGM. Alcuni di questi effetti possono essere riconducibili a cattive pratiche agricole; tuttavia, considerato che l'attuale generazione di OGM viene commercializzata in combinazione con i pesticidi corrispondenti, occorre che tali prodotti e il loro impatto sull'ambiente e sulla società siano valutati congiuntamente (6).

5.6   Un'altra problematica importante legata agli OGM, che si pone sia all'interno dell'Unione che al di fuori di essa, è rappresentata dalla libertà di scelta dei consumatori e degli agricoltori. Nei paesi in via di sviluppo, i prezzi elevati delle sementi brevettate, associati all'obbligo di acquisto e al divieto della pratica tradizionale consistente nel conservare le sementi delle stagioni precedenti, creano notevoli dilemmi socioeconomici e culturali tra gli agricoltori, e in particolare tra i piccoli agricoltori poveri. Nei paesi nei quali la coltivazione di OGM è prevalente, come Stati Uniti, Canada, Argentina e Brasile, la diversità delle colture ha subito una drastica riduzione. A livello mondiale, circa l'80 % di tutta la soia prodotta è geneticamente modificata, cui si aggiungono il 50 % del cotone, oltre il 25 % del mais e oltre il 20 % della colza. Nell'UE si presume che la libertà di scelta dei consumatori e degli agricoltori sia tutelata dai requisiti in materia di etichettatura, ma, affinché i consumatori e gli agricoltori possano continuare a esercitare tale libertà, è necessario garantire una separazione completa e affidabile tra le filiere produttive OGM e quelle non OGM. Un aspetto importante di questa separazione è rappresentato dall'introduzione di una normativa rigorosa in materia di coesistenza, comprendente disposizioni efficaci in merito alla responsabilità e all'indennizzo in caso di danni ambientali e/o economici conseguenti a una contaminazione accidentale, sistemi di certificazione della filiera e di separazione nonché requisiti in materia di purezza e di etichettatura per la presenza di materiale OGM in sementi non geneticamente modificate e nei prodotti derivati.

6.   Legislazione e revisione della politica in materia

6.1   Fin dal 1990 l'UE si è dotata di un ampio quadro normativo in materia di OGM che, come la tecnologia stessa, è in costante evoluzione, avendo formato oggetto di numerose modifiche. Nel corso di questi 20 anni, quindi, è andato sviluppandosi un complesso mosaico normativo composto da diversi regolamenti e direttive, i cui elementi principali sono i seguenti:

la direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio (7),

il regolamento (CE) n. 1829/2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (8),

il regolamento (CE) n. 1830/2003 concernente la tracciabilità e l'etichettatura di organismi geneticamente modificati e la tracciabilità di alimenti e mangimi ottenuti da organismi geneticamente modificati (9),

il regolamento (CE) n. 1946/2003 sui movimenti transfrontalieri degli organismi geneticamente modificati (che dà attuazione al protocollo di Cartagena sulla biosicurezza della convenzione sulla diversità biologica) (10), e

la direttiva 2009/41/CE sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati (11).

6.2   Le disposizioni vigenti in materia di autorizzazione e utilizzo di OGM si basano su una serie di principi (giuridici) fondamentali, e in particolare:

l'indipendenza e la fondatezza scientifica delle valutazioni alla base dell'autorizzazione all'introduzione di OGM,

un elevato livello di tutela della salute e del benessere delle persone e degli animali, nonché di protezione dell'ambiente, conformemente ai principi di precauzione e «chi inquina paga»,

la libertà di scelta e la trasparenza lungo l'intera filiera alimentare, nonché la tutela degli altri interessi dei consumatori in particolare attraverso l'informazione e la partecipazione del pubblico,

il rispetto del mercato interno e degli obblighi internazionali,

la certezza del diritto, e

la sussidiarietà e la proporzionalità.

6.3   Permangono tuttavia delle lacune, poiché manca ancora una legislazione o una politica unionale specifica in merito ad alcuni aspetti importanti collegati all'introduzione degli OGM, in particolare per quanto riguarda:

la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, biologica e convenzionale,

le norme in materia di responsabilità e indennizzo in caso di danni ambientali e/o economici conseguenti all'introduzione di OGM o a una contaminazione accidentale dei prodotti dell'agricoltura biologica o di quella convenzionale, e sistemi di compensazione dei costi sostenuti in relazione alla coesistenza e alla certificazione della filiera allo scopo di prevenire la contaminazione,

i requisiti in materia di purezza e di etichettatura per la presenza di materiale OGM in sementi e materiali di moltiplicazione vegetativa non geneticamente modificati,

i requisiti in materia di etichettatura, in particolare delle carni e dei latticini provenienti da animali nutriti con mangimi geneticamente modificati, e norme armonizzate per l'etichettatura di prodotti esenti da OGM,

un rafforzamento generale dei requisiti in materia di etichettatura dei prodotti OGM, allo scopo di garantire al consumatore la libertà di scelta, in particolare in relazione alla chiarificazione giuridica del concetto di «presenza accidentale» e all'eventuale abbassamento dei valori limite,

la disciplina in materia di animali transgenici o clonati e di prodotti (alimentari) derivati, in particolare in relazione alla loro autorizzazione ed etichettatura,

una base giuridica solida che consenta agli Stati membri e/o alle regioni autonome di emanare divieti parziali o totali alla coltivazione di OGM per svariate ragioni legate a preoccupazioni di ordine ambientale, socioeconomico, etico o di altra natura.

6.4   Sebbene, nel luglio 2010, la Commissione abbia presentato una proposta legislativa volta a consentire limitazioni o divieti a livello (infra)nazionale alla coltivazione di OGM, il testo di tale proposta sembra aver sollevato più questioni di quante ne abbia risolte, soprattutto a causa delle ambiguità e delle contraddizioni giuridiche in esso contenute, e dell'esclusione di giustificazioni, in particolare di ordine ambientale, all'imposizione di restrizioni. Se l'idea di base di aumentare la sovranità (sub)nazionale in materia di coltivazioni OGM ha incontrato un largo sostegno, l'attuale versione della proposta, con le carenze sopra accennate, ha dato luogo a una prima lettura critica da parte del Parlamento europeo, accompagnata da emendamenti sostanziali, dopo essere stata oggetto di un parere critico del CESE (12). La proposta è adesso all'esame del Consiglio, il quale però non è ancora riuscito a raggiungere una posizione comune. Ora, il CESE ritiene che si tratti di un dossier molto importante, che merita priorità e che deve essere in ogni caso tenuto in considerazione in una futura revisione del quadro giuridico globale che disciplina gli OGM. Esso invita pertanto la Commissione a cooperare attivamente, attraverso un dialogo costruttivo, con il Parlamento europeo e il Consiglio onde pervenire a una base giuridica solida che garantisca l'autonomia (infra)nazionale in materia di coltivazioni OGM fondata su motivazioni legittime, di ordine ambientale, socioeconomico, etico e culturale in senso ampio, e associata all'obbligo giuridico per gli Stati membri e/o le regioni di stabilire norme vincolanti in materia di coesistenza volte a evitare la contaminazione accidentale tra le zone coltivate con varietà OGM e quelle con colture convenzionali.

6.5   Negli ultimi anni, il Comitato si è espresso ripetutamente a favore dell'adozione di una normativa UE in materia di coesistenza, di responsabilità e di un'etichettatura più completa dei prodotti OGM (13). Inoltre, l'importanza di colmare le restanti lacune legislative con una politica europea armonizzata è stata recentemente ribadita dalla Corte di giustizia dell'UE in una sentenza del 6 settembre 2011 in merito alla questione della coesistenza. In essa la Corte ha confermato che, in caso di presenza non autorizzata di OGM - nella fattispecie, si trattava di contaminazione accidentale di miele da parte di polline di mais transgenico -, il diritto dell'UE prescrive la tolleranza zero (14). Questa sentenza sottolinea l'importanza di una politica efficace, coerente e stringente in materia di coesistenza e di separazione delle filiere volta a prevenire la contaminazione tra prodotti non geneticamente modificati e prodotti OGM, in combinazione con norme adeguate in materia di responsabilità e di indennizzo in caso di danni nonché di rifusione dei costi connessi alle misure in materia di coesistenza e alla certificazione della filiera. La sentenza menziona inoltre la possibilità di vietare la coltivazione di OGM in campo aperto in determinate regioni (ad esempio quelle in cui si produce miele) per mezzo della zonizzazione.

6.6   Benché la raccomandazione della Commissione in materia di coesistenza pubblicata nel luglio 2010 rappresenti un'attenuazione rispetto alla precedente raccomandazione del 2003, il CESE sottolinea espressamente che né l'una né l'altra ha carattere vincolante e quindi può imporre alcun limite inderogabile all'ampia competenza di cui dispongono gli Stati membri in questo ambito, ma anche che né l'una né l'altra pone gli obblighi giuridici necessari in materia di coesistenza. La prevista introduzione di varietà vegetali non alimentari (ad esempio per applicazioni farmaceutiche, industriali o per la produzione di carburanti) accanto alle colture alimentari rafforzerà ulteriormente la necessità di una normativa efficace in materia di coesistenza e di responsabilità, e il CESE ritiene che sia importante prepararsi e affrontare fin d'ora tali questioni, in uno stadio precoce.

6.7   Nel dicembre 2008, il Consiglio Ambiente ha esortato a rafforzare il quadro giuridico attuale in materia di OGM e a migliorarne l'applicazione. In particolare ha reputato necessario apportare dei miglioramenti in relazione alla valutazione dei rischi ambientali da parte dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), al controllo successivo all'introduzione degli OGM e ai protocolli di monitoraggio, accrescendo l'importanza della consultazione di esperti esterni provenienti dagli Stati membri e di scienziati indipendenti; alla valutazione degli effetti socioeconomici dell'introduzione e della coltivazione di OGM; ai valori soglia per l'etichettatura delle tracce di OGM nelle sementi; e a una migliore protezione delle zone sensibili e/o protette e la possibilità di creare delle zone senza OGM a livello locale, regionale o nazionale.

6.8   Sebbene la Commissione abbia intrapreso azioni in alcuni di questi campi, le richieste del Consiglio non sono ancora state sufficientemente tradotte in risultati concreti. Il Comitato mette in risalto l'importanza di compiere, a breve termine, passi concreti e sostanziali per definire una legislazione e una politica adeguate in relazione a ciascuno dei punti e a ciascuna delle lacune legislative di cui sopra. Per quanto riguarda la revisione delle procedure in materia di valutazione e di gestione dei rischi nonché di autorizzazione di OGM, il CESE, come anche il Consiglio e il Parlamento europeo, raccomanda di consultare, oltre agli esperti in scienze naturali, anche quelli in scienze sociali, diritto ed etica, nonché i rappresentanti delle organizzazioni della società civile, in modo da tenere conto, nel processo decisionale, non solo della valutazione scientifica dei rischi per l'uomo e l'ambiente ma anche di «altri fattori legittimi», come ad esempio considerazioni di ordine socioeconomico, culturale ed etico e valori sociali. In questo modo si potrebbe anche contribuire a superare sia le divergenze presenti nella società in relazione agli OGM sia lo stallo politico che impedisce di prendere decisioni al riguardo.

6.9   Un'attività importante che va però a rilento è quella della valutazione del quadro giuridico vigente in materia di OGM e prodotti geneticamente modificati destinati all'alimentazione umana e animale, valutazione avviata nel 2008 dalla Commissione su incarico del Consiglio e i cui risultati dovevano essere presentati all'inizio del 2011. La Commissione ha promesso al Consiglio che entro il 2012 si sarebbero prese iniziative tese a rivedere la normativa in materia, e il Comitato ha sottolineato quanto sia importante che tale scadenza venga rispettata. Nel quadro di questa revisione, occorrerà assolutamente colmare le lacune giuridiche di cui si è detto. La Commissione dovrà anzitutto organizzare un'ampia consultazione pubblica sulla base della relazione di valutazione pubblicata (15) affinché la società possa dare il suo contributo alla revisione del quadro normativo. Ciò contribuirà certamente a rispondere alle preoccupazioni dell'opinione pubblica e potrebbe migliorare la fiducia dei cittadini verso i legislatori.

6.10   Uno degli aspetti che dovrebbero essere in ogni caso affrontati in futuro è quello della definizione stessa del termine OGM. Sebbene la scienza e le applicazioni dell'ingegneria genetica abbiano conosciuto uno sviluppo rapidissimo nel corso degli ultimi decenni, la definizione giuridica del termine OGM è rimasta invariata rispetto alla prima normativa UE in materia, adottata nel 1990. Secondo la definizione in vigore, un organismo geneticamente modificato (OGM) è «un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale» (16). Da tale definizione vengono però espressamente escluse determinate tecniche di ingegneria genetica, che vengono così svincolate dall'applicazione della normativa in materia di OGM.

6.11   Tuttavia, nel corso degli anni sono state sviluppate numerose nuove tecniche di miglioramento genetico delle piante che non erano state previste all'epoca in cui è stato definito il quadro normativo attualmente in vigore. Si tratta tra l'altro di tecniche come la cisgenesi, che consiste nell'impiantare in un organismo geni della stessa specie mediante la tecnica del DNA ricombinante. Queste tecniche di nuovo tipo inducono a chiedersi in che misura esse rientrino nell'attuale definizione di ingegneria genetica e se gli organismi ottenuti mediante tali tecniche siano disciplinati o meno dal quadro normativo in vigore in materia di OGM. Considerati gli oneri amministrativi, ma anche la stigmatizzazione degli OGM da parte del mondo politico e dell'opinione pubblica, la deroga a tale normativa è di notevole importanza economica per il settore del miglioramento genetico delle piante. In questo modo, tali innovazioni potrebbero essere commercializzate più rapidamente senza che l'obbligo di etichettatura possa indurre i consumatori a reazioni negative. Tuttavia, queste tecniche suscitano le medesime riserve di ordine etico, ecologico, socioeconomico e politico della generazione attuale di OGM, poiché in sostanza utilizzano le stesse tecnologie di ingegneria genetica, per le quali si dispone di esperienze ancora limitate e avvolte da notevoli incertezze.

6.12   Per garantire un approccio regolamentare uniforme in tutti gli Stati membri nei confronti di queste nuove tecniche di miglioramento genetico delle piante e dei prodotti derivati, nel 2008 la Commissione ha istituito un gruppo di lavoro scientifico, che sarà seguito da un gruppo di lavoro politico, allo scopo di fornire raccomandazioni in merito all'approccio giuridico da adottare. Le relazioni dei due gruppi, previste per l'estate 2011, dovranno essere prese in considerazione nella revisione del quadro giuridico in programma per il 2012. Il Comitato ritiene essenziale mantenere l'attuale approccio normativo dell'UE, basato sulle procedure utilizzate, e assoggettare quindi, in linea di principio, queste nuove tecniche di miglioramento genetico delle piante al quadro giuridico dell'UE in materia di OGM. Ciò a causa della tecnica di ingegneria genetica impiegata (DNA ricombinante), e anche nel caso in cui le piante così ottenute o i prodotti finiti derivati non presentino in quanto tali differenze dimostrabili rispetto ai loro equivalenti convenzionali.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. il recente sondaggio Europeans and Biotechnology in 2010 («I cittadini europei e le biotecnologie nel 2010»), disponibile in inglese sul sito http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_341_winds_en.pdf.

(2)  CESE, GU C 54 del 19.2.2011, pag. 51.

(3)  Direttiva 98/44/CE del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, GU L 213 del 30.7.1998, pag. 13.

(4)  Cfr. la causa C-428/08, Monsanto Technology.

(5)  Come emerso in occasione di un'audizione sul tema Le biotecnologie agroalimentari: dettate alimentari e mangimi geneticamente modificati nell'UE, CESE, Bruxelles, 20 ottobre 2011.

(6)  Cfr. la nota 5.

(7)  GU L 106 del 17.4.2001, pag. 1.

(8)  GU L 268 del 18.10.2003, pag. 1.

(9)  GU L 268 del 18.10.2003, pag. 24.

(10)  GU L 287 del 5.11.2003, pag. 1.

(11)  GU L 125 del 21.5.2009, pag. 75.

(12)  Cfr. nota 2.

(13)  Cfr., tra gli altri, i pareri: CESE, GU C 54 del 19.2.2011, pag. 51; CESE, GU C 157 del 28.6.2005, pag. 155; CES, GU C 125 del 27.5.2002, pag. 69; CES, GU C 221 del 17.9.2002, pag. 114-120 ecc.

(14)  Causa C-442/09, Karl Heinz Bablok e a. contro Land Baviera e Monsanto.

(15)  http://ec.europa.eu/food/food/biotechnology/index_en.htm.

(16)  Cfr. ad esempio l'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2001/18/CE e l'articolo 2, lettera b), della direttiva 2009/41/CE, nei quali per «organismo» si intende un «ente biologico capace di riprodursi o di trasferire materiale genetico».


ALLEGATO I

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni:

Point 3.8

Sostituire il testo del punto:

 (1) ,

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

91

Voti contrari

:

122

Astensioni

:

19

Punto 5.3

Sostituire il testo del punto:

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

83

Voti contrari

:

139

Astensioni

:

13


(1)  


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi fra gli Stati membri e i paesi terzi nel settore dell'energia»

COM(2011) 540 definitivo — 2011/0238 (COD)

2012/C 68/12

Relatore: PEEL

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 27 settembre 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 194, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi fra gli Stati membri e i paesi terzi nel settore dell'energia

COM(2011) 540 definitivo — 2011/0238 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 20 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 177 voti favorevoli, 1 voto contrario e 10 astensioni.

1.   Raccomandazioni e conclusioni

1.1   L'energia è essenziale per il nostro tenore di vita e per la qualità della vita (1). Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di decisione pubblicata dalla Commissione che istituisce un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi fra gli Stati membri e i paesi terzi nel settore dell'energia. Riteniamo che sia un buon passo avanti verso l'attuazione efficace di una politica esterna comune dell'UE in materia energetica, in linea con il Trattato di Lisbona (art. 194 del TFUE (2)), con la strategia Energia 2020 (3) e con le conclusioni in materia di energia del Consiglio europeo del 4 febbraio 2011. Si attende da tempo l'elaborazione di un sistema obbligatorio ed efficiente per lo scambio di informazioni come quello proposto, in cui la Commissione svolga un ruolo attivo laddove gli Stati membri negoziano accordi energetici con i paesi partner.

1.2   A tal fine, il Comitato accoglie con favore anche l'idea di includere nella proposta di decisione uno scambio di informazioni su tutti gli accordi bilaterali esistenti in materia di energia. La Commissione anticipa che potrebbe trattarsi di una trentina di accordi intergovernativi tra Stati membri e paesi terzi per quanto riguarda il petrolio, di una sessantina per il gas, ma di un numero inferiore nel settore dell'elettricità.

1.2.1   Il CESE si stupisce che tra la Commissione e gli Stati membri, o tra gli stessi Stati membri, non esista ancora un tale meccanismo di informazione, pur nel pieno rispetto della riservatezza. Riteniamo opportuno osservare che, mentre né la Commissione né i singoli Stati membri possono avere oggi un quadro generale di fronte a un dato partner commerciale, i partner più importanti ce l'hanno senz'altro! È essenziale che l'Europa agisca con una sola voce nel garantire forniture di energia adeguate, stabili e sicure nel prossimo futuro, e che continui a costruire un mercato unico dell'energia efficace. Si stima che la domanda globale di energia - che interessa riserve limitate - potrebbe subire un aumento del 40 % circa nei prossimi 20 anni, dovuto soprattutto a una concorrenza più pressante da parte delle economie emergenti. La situazione potrebbe tuttavia essere complicata ulteriormente dall'adozione di misure non ancora previste intese a contrastare gli effetti del cambiamento climatico.

1.3   Il Comitato si rallegra che all'articolo 5 della proposta sia prevista la possibilità, per la Commissione, di emettere una dichiarazione ufficiale durante la fase di negoziazione di un accordo che confermi che il progetto non viola le norme del mercato interno, a condizione che tale dichiarazione venga elaborata senza inutili ritardi ed entro la scadenza prevista. Come già evidenziato dal Comitato nel parere su una politica globale dell'UE in materia di investimenti internazionali (4), documento in cui molti dei temi qui sollevati trovano prontamente eco, per gli investitori la certezza giuridica è essenziale.

1.3.1   Il CESE esprime tuttavia preoccupazione per il fatto che, in base alla proposta, l'assenza di un parere della Commissione entro quattro mesi indicherebbe il suo consenso. Ci rendiamo conto che, da un punto di vista procedurale, per la Commissione non sarebbe né pratico né semplice emettere un consenso formale in ogni singolo caso. Tuttavia, sia perché si tratterebbe di richieste specifiche di valutazione della compatibilità dell'accordo, sia per amor di chiarezza, chiederemmo, ove possibile, di fornire un'indicazione positiva, seppure informale, o un preavviso sufficiente qualora si individui un problema potenziale che richiede indagini più approfondite.

1.4   Gli accordi sull'energia devono essere guidati da considerazioni strategiche e commerciali. Tenendo conto che è necessario mantenere i principi sia di proporzionalità che di trasparenza, il Comitato si rammarica tuttavia che nella proposta non siano stati inclusi accordi operativi che coinvolgano gli operatori commerciali, specie alla luce del rischio, sottolineato nella relazione (sezione 1) che determinati trasportatori assumano un monopolio, o quasi monopolio, nel settore, che sarebbe contrario alla normativa UE. Il Comitato invita la Commissione ad adottare perlomeno misure attive che le consentano di avere facilmente un pieno accesso a quelle parti degli accordi commerciali che si ritiene abbiano implicazioni normative a livello dell'UE, specialmente laddove si presentino come allegati di accordi intergovernativi. Rileviamo con particolare preoccupazione le potenziali minacce che potrebbero concretizzarsi qualora i partenariati strategici portassero all'adozione forzata di pratiche imposte da paesi terzi, i cui interessi potrebbero rivelarsi pregiudizievoli per l'UE.

1.4.1   Inoltre, il Comitato sottolinea che i consumatori europei avranno difficoltà a cogliere la differenza, negli accordi di tipo esterno, tra quelli di tipo intergovernativo e quelli di tipo privato, in quanto le conseguenze saranno identiche a livello di tariffe, scelta dei fornitori, mix energetico e altri criteri pertinenti.

1.4.2   Il Comitato chiede che qualora, come è inevitabile, alcuni fornitori di paesi terzi abbiano interessi strategici e commerciali diversi da quelli dell'UE, si agisca in modo equo ma risoluto. Ci domandiamo quanto sia realizzabile l'intento della Commissione di migliorare l'osservanza delle norme in materia di mercato interno dell'UE da parte di tali fornitori. Nonostante questo, il Comitato ritiene che i negoziati dovrebbero svolgersi, ove possibile, in uno spirito di partenariato, franchezza e fiducia reciproca.

1.5   Il CESE si rammarica in modo particolare della mancanza di una valutazione d'impatto completa, che avrebbe permesso una migliore e più ampia anticipazione e comprensione delle probabili reazioni degli Stati membri. L'energia è chiaramente una competenza condivisa dalla Commissione e dagli Stati membri, e per molti è strettamente legata alla concezione della sovranità e interpretabile in entrambi i sensi: alcuni vi troveranno un sostegno in più mentre altri vi potrebbero scorgere un'interferenza indebita, e in particolare la perdita del controllo del proprio mandato negoziale e della propria autonomia, percependo il nuovo meccanismo come un tentativo celato di trasferire all'UE le competenze loro spettanti in materia di politica energetica. In quest'ambito la Commissione non esercita le medesime competenze che per gli investimenti, settore in cui si stanno avanzando proposte per un'azione analoga per i trattati bilaterali in materia di investimenti (TBI), ma in cui la cautela sarebbe forse la soluzione migliore nell'interesse di tutti.

1.5.1   La Commissione dovrebbe dimostrarsi attenta alle riserve degli Stati membri che potrebbero sentirsi minacciati da questo tipo di misure, e affrontare ogni tipo di transizione con cautela, consolidando la consapevolezza che una delle finalità chiave dello scambio di informazioni proposto è rafforzare la posizione negoziale degli Stati membri nei confronti dei paesi terzi. A tale riguardo, sarà essenziale una piena cooperazione con le autorità nazionali di regolamentazione. Il CESE accoglie con favore l'accento posto sul sostegno agli Stati membri durante i negoziati, ritiene tuttavia essenziale che nei primi casi in cui la Commissione si impegnerà attivamente nel corso dei negoziati il suo intervento sia palesemente efficace e dia risultati sufficienti a superare le inevitabili preoccupazioni del caso.

1.5.2   Il Comitato esorta a chiarire come verrà messo in pratica l'articolo 7 (riservatezza), dato che tutti gli elementi essenziali di un contratto (ivi compresi tariffe e condizioni) sono, in quanto segreti commerciali, di natura riservata. Tale aspetto si rivelerà fondamentale per l'accettazione della decisione. In mancanza di una politica dell'UE per l'energia pienamente consolidata, gli Stati membri e la Commissione devono proseguire l'impegno per costruire un clima di fiducia reciproca tra tutte le parti interessate: la presente proposta può fungere solo da punto di partenza.

1.6   Il Comitato esprime dubbi circa il fatto che la proposta non abbia, come viene affermato, alcuna incidenza sul bilancio dell'UE. Dato che la politica europea per l'energia diventa sempre più onerosa, non riteniamo plausibile che il frequente monitoraggio e le consultazioni previste possano essere svolti senza ulteriori risorse.

1.7   Il Comitato raccomanda di eseguire la prima valutazione intermedia non dopo quattro anni, ma dopo due, un periodo già abbastanza lungo da permettere un accumulo di esperienza e di dati sufficienti a valutare l'efficacia del meccanismo.

1.8   Per quanto riguarda le implicazioni più generali della proposta, affrontate più diffusamente nella comunicazione, il Comitato accoglie con favore l'obiettivo fondamentale della Commissione di rafforzare la dimensione esterna della politica globale dell'UE in materia di energia. L'efficienza energetica, la sicurezza e la stabilità sono chiaramente interdipendenti. Ci rammarichiamo, tuttavia, che il collegamento con i tre obiettivi più consolidati (energia competitiva, sostenibile e sicura) non sia stato invece chiarito del tutto, anche perché energia competitiva e energia sostenibile sono due concetti non sempre compatibili.

1.8.1   Il Comitato si rammarica inoltre che la proposta affronti soprattutto gli aspetti tecnici e procedurali, senza affrontare invece altri aspetti strettamente collegati (trattati solo in parte nella comunicazione), tra cui le relazioni diplomatiche e i rapporti socioeconomici con i paesi fornitori e di transito.

1.8.2   Non è chiaro, peraltro, se la proposta in esame sia pienamente collegata e reciprocamente integrata con gli aspetti dell'energia connessi al commercio in senso lato. I negoziati commerciali sono ovviamente appannaggio dell'UE da decenni; risulta che l'energia svolga un ruolo centrale nei negoziati per il primo, pionieristico accordo di libero scambio globale e approfondito, ora prossimo alla conclusione, con l'Ucraina, paese di transito fondamentale per l'UE. Si sta inoltre prendendo in seria considerazione l'avvio di negoziati per accordi simili con i paesi confinanti con l'Unione, tanto nel partenariato orientale, quanto nella regione euromediterranea. Anche in tali accordi l'energia dovrebbe ricoprire un ruolo essenziale.

1.8.3   Il Comitato raccomanda in modo specifico alla Commissione che, durante i negoziati sugli aspetti globali più importanti per quanto riguarda l'energia del proposto nuovo accordo UE-Russia, un'attenzione particolare venga riservata alla posizione unica dei tre Stati baltici, dato che le loro reti energetiche sono sincronizzate con il sistema russo, non con quelle di un qualsiasi altro sistema dell'UE.

1.9   Infine, il Comitato esprime un profondo rammarico per la mancanza, sia nella proposta che nella comunicazione, di qualsiasi riferimento a meccanismi di coinvolgimento della società civile. Tale situazione deve essere rettificata. Inoltre, sono in corso di creazione o saranno presto istituiti meccanismi formali per il monitoraggio dell'attuazione degli accordi di libero scambio recentemente conclusi dall'UE, in particolare con la Corea del Sud, mentre è operativo anche un forum della società civile per il partenariato orientale.

1.9.1   Tuttavia, si accoglie favorevolmente il fatto che il Comitato venga finalmente coinvolto nei lavori della piattaforma tematica del partenariato orientale sull'energia, tanto più che la partecipazione della società civile è già ben consolidata nelle riunioni delle altre tre piattaforme tematiche.

2.   Contesto

2.1   Il Consiglio europeo del 4 febbraio 2011 ha convenuto sulla necessità di migliorare il coordinamento delle attività esterne dell'Unione e degli Stati membri nel settore energetico e ha invitato gli Stati membri a informare la Commissione, a decorrere da gennaio 2012, di tutti i loro accordi bilaterali in materia di energia, nuovi ed esistenti, conclusi con i paesi terzi.

2.2   Nel settembre 2011, la Commissione europea ha pertanto pubblicato due documenti sull'istituzione di una politica energetica esterna dell'UE: la Proposta di decisione che istituisce un meccanismo per lo scambio di informazioni riguardo ad accordi intergovernativi fra gli Stati membri e i paesi terzi nel settore dell'energia  (5) e la comunicazione La politica energetica dell'UE: un impegno con i partner al di là delle nostre frontiere  (6).

2.3   Il Comitato è stato consultato esclusivamente in merito al documento legislativo, con cui si istituisce il meccanismo per l'attuazione delle conclusioni del Consiglio europeo del febbraio 2011. La comunicazione copre un ambito ben più ampio e si occupa soltanto brevemente della proposta connessa. Il Comitato si rammarica di questa limitazione, poiché la comunicazione tratta numerosi aspetti chiave sui quali avrebbe auspicato formulare delle osservazioni, come ad esempio le energie rinnovabili, l'efficienza energetica e altri elementi attinenti allo sviluppo sostenibile, fino alle relazioni dell'UE con la Russia, la Cina, altre economie in rapida crescita e i paesi in via di sviluppo in generale.

2.3.1   La Commissione ha precisato che la comunicazione sfocerà in una serie di proposte, di cui la proposta di decisione in oggetto è la prima, e una delle più importanti.

2.4   Tanto la domanda di energia a livello mondiale quanto la dipendenza dell'UE dalle importazioni di combustibile fossile sono in aumento. Come indicato nella comunicazione, l'UE nel suo complesso importa il 60 % del gas e oltre l'80 % del petrolio che consuma, ed è confrontata a una concorrenza crescente proveniente da altri paesi, in particolare dalle economie emergenti. La domanda di energia a livello mondiale potrebbe aumentare del 40 % nei prossimi 20 anni e il quadro generale potrebbe complicarsi ulteriormente in conseguenza dell'adozione di misure di lotta al cambiamento climatico di cui le attuali previsioni non tengono conto. Molti Stati membri possono fare affidamento soltanto su un numero limitato di fornitori energetici e sono pertanto vulnerabili alle strozzature e alla volatilità dei prezzi, in particolare del gas e del petrolio. Per tali motivi, è assolutamente necessario intervenire quanto prima ponendo la politica energetica esterna dell'UE su basi molto più solide. È essenziale che l'Europa agisca con una sola voce per garantire un approvvigionamento energetico adeguato, stabile e sicuro nel prossimo futuro e al tempo stesso prosegua nella creazione di un mercato unico dell'energia efficiente.

2.5   Attualmente, sono pochi gli strumenti efficaci disponibili a tal fine. Si prevede che l'energia costituirà un capitolo chiave dell'accordo di libero scambio globale e approfondito che sta per essere concluso tra l'UE e l'Ucraina; inoltre, la Comunità dell'energia disciplina le relazioni dell'UE in materia energetica con nove paesi partner (7) dell'Europa orientale e sudorientale. Per un approccio internazionale strategico di lungo periodo saranno necessarie disposizioni istituzionali molto più strutturate e coerenti. La strategia Energia 2020 dell'UE colloca a giusto titolo il rafforzamento della dimensione esterna della politica energetica dell'UE in cima alla lista delle priorità che la proposta di decisione intende affrontare.

2.6   La proposta di decisione fa obbligo agli Stati membri di intrattenere uno scambio di informazioni con la Commissione europea sulle loro intenzioni di concludere accordi intergovernativi in campo energetico con paesi terzi. Attraverso un meccanismo di controllo della compatibilità (art. 5), la Commissione desidera assicurare che tali accordi siano in linea con le norme del mercato interno. Un vantaggio importante che ne deriverebbe sarebbe quello di garantire la certezza giuridica per gli investimenti (8). La Commissione sottolinea che il nuovo meccanismo rappresenta una misura di coordinamento volta a sostenere gli Stati membri e ad aumentarne il potere negoziale, non a sostituirsi ad esso o a limitare la possibilità per gli Stati membri di concludere accordi di questo tipo. L'articolo 7 pone in risalto l'esistenza di disposizioni volte a garantire la riservatezza delle informazioni, aspetto estremamente delicato.

2.7   Il Comitato si rammarica tuttavia del fatto che siano esclusi dal campo d'applicazione della decisione gli accordi tra gli operatori commerciali, in particolare visto il chiaro avvertimento lanciato dalla Commissione a proposito del monopolio o quasi monopolio che otterrebbero determinati trasportatori, e che sarebbe contrario al diritto dell'UE (9). Il Comitato invita la Commissione ad adottare perlomeno delle misure attive che le consentano di avere pieno accesso a quelle parti degli accordi commerciali che si ritiene possano avere implicazioni normative a livello UE, specialmente laddove si presentino come allegati agli accordi intergovernativi.

3.   Il CESE: un forte appoggio per una politica esterna europea in materia di energia basata sulla sicurezza dell'approvvigionamento

3.1   Nel marzo del 2011, il Comitato ha lanciato un chiaro appello (10) ad un rapido e progressivo rafforzamento della politica esterna comune dell'Unione europea in materia energetica. In risposta a una richiesta della presidenza ungherese del Consiglio, ha invitato ad adottare misure concrete per un migliore allineamento delle politiche interne ed esterne e per l'applicazione di un approccio integrato e coerente. Allo stesso modo, ha invitato a conferire un ancoraggio istituzionale nuovo al tema dell'energia, a imprimere un indirizzo politico multilaterale e strategico alla politica in materia e a dare attuazione concreta ai partenariati energetici privilegiati con i paesi limitrofi dell'UE.

3.2   Precedentemente, nel 2009, il Comitato (11) aveva già sollecitato l'elaborazione di una strategia energetica esterna globale per l'UE e di strumenti per una sua efficace attuazione. Con una logica di lungo periodo, aveva identificato nella sicurezza energetica e nella politica sul clima i due pilastri fondamentali delle relazioni internazionali dell'UE in ambito energetico. Aveva messo in risalto l'importanza del terzo pacchetto sull'energia per la diminuzione della dipendenza dell'Unione dai fornitori esterni, sottolineando nel contempo la necessità di incoraggiare una produzione e un utilizzo sostenibili dell'energia nei paesi terzi. Il Comitato aveva inoltre ribadito il solido legame esistente tra energia e politiche commerciali pertinenti e l'obbligo per i paesi partner di applicare le norme di mercato, come la reciprocità, la parità di trattamento, la trasparenza, la tutela degli investimenti e il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti umani. In un contesto in cui l'energia è destinata a svolgere un ruolo sempre maggiore nelle controversie internazionali, il CESE sottolinea ancora una volta l'urgente necessità di trovare un equilibrio tra gli interessi nazionali degli Stati membri e la voce comune europea.

3.3   Il Comitato (12) sottolinea inoltre che la promozione delle energie rinnovabili e la diversificazione delle fonti energetiche non possono prescindere da un'azione esterna a livello europeo, soprattutto per la regione euromediterranea; per rispettare la politica dell'Unione sul clima, occorre procedere all'eliminazione graduale delle sovvenzioni dannose per le fonti fossili di energia nei paesi partner, aumentare i finanziamenti per le attività di R&S nei progetti per le energie rinnovabili e promuovere il commercio di beni e servizi a basso consumo energetico.

4.   Il ruolo della società civile

4.1   I fallimenti politici che hanno portato alle diffuse rivolte del mondo arabo nel 2011 hanno dimostrato ancora una volta il ruolo centrale della società civile nella transizione democratica, nella riforma costituzionale e nel potenziamento delle istituzioni. Il contributo della società civile e, segnatamente, delle parti sociali sia in questa zona che nei paesi del partenariato orientale (13) deve essere tenuto in debita considerazione al fine di garantire processi decisionali trasparenti e inclusivi, sostenuti dal consenso dell'opinione pubblica. Il Comitato si rammarica profondamente del fatto che né la proposta né la comunicazione in esame fanno riferimento ad alcun meccanismo che copra la partecipazione della società civile, benché le parti sociali siano chiamate a un impegno non indifferente e debbano fornire un feedback essenziale qualora sorgano problemi, e nonostante il riferimento a «progetti industriali congiunti» (14) contenuto nella comunicazione. Tuttavia, si accoglie favorevolmente il fatto che il Comitato venga finalmente coinvolto nei lavori della piattaforma tematica del partenariato orientale sull'energia, tanto più che la partecipazione della società civile è già ben consolidata nelle riunioni delle quattro altre tre piattaforme tematiche.

4.2   Inoltre, sono in corso di creazione o saranno presto istituiti meccanismi formali per il monitoraggio dell'attuazione degli accordi di libero scambio recentemente conclusi dall'UE, in particolare con la Corea del Sud, mentre è operativo anche un forum della società civile per il partenariato orientale. La voce della società civile è altrettanto importante anche per le questioni energetiche. La voce della società civile deve comprendere quella degli stessi consumatori, i quali spesso subiscono in modo sproporzionato le conseguenze di un cattivo funzionamento del mercato. Questo serve, non da ultimo, a garantire una maggiore trasparenza e influenza nonché una migliore educazione dei cittadini.

5.   Considerazioni strategiche generali

5.1   Il Comitato condivide pienamente l'intento della Commissione di svolgere un ruolo guida nell'istituzione di una strategia energetica esterna globale e coordinata dell'UE e si appella agli Stati membri affinché sostengano questo suo impegno, in uno spirito di solidarietà e di reciproca fiducia.

5.2   Il CESE ritiene che la solidarietà sia la pietra angolare di una politica energetica comune dell'UE, specie per assistere gli Stati membri che non detengono il potere contrattuale sufficiente per garantire forniture di energia a prezzi equi e sostenibili.

5.3   Come noto, oltre a essere un importante consumatore di energia l'UE è anche un importante fornitore di tecnologie e vanta alcuni dei più elevati standard al mondo in materia di trasparenza e regolamentazione dei mercati, ivi compresa la sicurezza nucleare e di altre fonti energetiche.

5.4   Il Comitato prende atto dei dati indicati nella comunicazione (15), secondo cui la Russia, la Norvegia e l'Algeria forniscono l'85 % delle importazioni di gas naturale e quasi il 50 % delle importazioni di greggio dell'UE (i paesi dell'OPEC forniscono circa il 36 % di queste ultime). La Russia svolge inoltre un ruolo di primo piano nella fornitura all'UE di carbone e uranio.

5.5   Sullo sfondo di un aumento vertiginoso della domanda di energia nei prossimi 20 anni, tanto l'accesso alle materie prime quanto quello alle risorse energetiche assumono per l'UE un'importanza strategica fondamentale. Il CESE raccomanda l'istituzione di partenariati strategici con i principali soggetti globali che operano in campo energetico (fornitori, paesi di transito, consumatori), i quali dovrebbero prevedere una cooperazione per il miglioramento della redditività e l'adozione di tecnologie a basse emissioni di carbonio, nonché la promozione dell'efficienza e del rinnovo energetici, con un maggiore accento (16) sulla sicurezza dell'approvvigionamento. In particolare, il CESE attende con interesse l'imminente stipula dell'accordo con l'Ucraina, che dovrebbe coprire la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti, la tariffazione e altre questioni chiave.

5.6   Premesso che ciò si rivelerà particolarmente rilevante per il futuro della politica commerciale dell'UE, il CESE accoglie con favore anche il riferimento che la comunicazione fa a un più stretto collegamento tra la politica energetica e le politiche riguardanti lo sviluppo dell'Unione, l'allargamento, gli investimenti e le relazioni internazionali in generale. Uno degli obiettivi principali del Trattato di Lisbona è quello di rendere più coesa la gestione di questi diversi settori della politica europea; ora è essenziale che anche la politica energetica dell'UE sia perfettamente coordinata con queste politiche, non da ultimo per quanto riguarda lo sviluppo economico e sociale sostenibile dei paesi in via di sviluppo.

5.7   Il CESE auspica che tutti i partner della Comunità dell'energia si adoperino per soddisfare e rispettare le regolamentazioni del mercato interno dell'energia. Esprime preoccupazione riguardo all'analisi critica pubblicata dalla Commissione nel marzo scorso sui risultati conseguiti da tale Comunità (17). Sussiste ancora un divario considerevole tra l'impegno politico e l'effettiva attuazione dell'acquis energetico da parte dei membri della Comunità dell'energia, criticati dalla Commissione per aver mantenuto architetture di mercato obsolete, che ostacolano gli investimenti e distorcono la concorrenza, continuando ad avvantaggiare i fornitori pubblici attraverso prezzi regolamentati. Il CESE si interroga dunque su quali siano gli strumenti più indicati per consentire all'UE di gestire meglio le sue relazioni con i partner più distanti e se occorra discostarsi dal sistema di relazioni fornitore-acquirente per passare piuttosto a una maggiore convergenza dei mercati dell'energia.

5.8   Poiché la Russia è attualmente il primo fornitore di energia dell'UE, il Comitato esorta la Commissione a proseguire alacremente i lavori per pervenire a un nuovo accordo UE-Russia, che dovrà includere un accordo globale per l'energia. La Russia, a sua volta, dipende allo stesso modo dalle dimensioni del mercato offerto dall'UE. Un tale accordo costituirebbe un notevole passo avanti e una tappa essenziale verso un'azione comune dell'Unione nelle relazioni esterne in materia di energia.

5.8.1   Nel negoziare tale accordo, occorre prestare particolare attenzione alla situazione specifica degli Stati baltici, dove le reti elettriche sono sincronizzate con il sistema russo ma non con quello dell'UE, con il risultato che la stabilità a la regolazione della frequenza dei sistemi elettrici di questi tre paesi dipende esclusivamente dalla Russia.

5.9   Anche l'Algeria, la Libia e la regione euromediterranea nel complesso continuano a rappresentare una zona vitale per la cooperazione esterna nel settore energetico.

5.10   Infine, il Comitato riconosce che l'Asia centrale (18) dispone di «cospicue risorse energetiche, che offrono all'Europa fonti di approvvigionamento aggiuntive e complementari (ma non alternative)», sottolinea che il ricorso a tale canale dovrebbe basarsi su considerazioni pratiche ed economiche e raccomanda «un'interazione ravvicinata e reciproca tra lo sviluppo dei rapporti UE-Asia centrale da un lato e il coinvolgimento dell'UE con la Russia, la Cina e la Turchia dall'altro». La Cina, altro grande consumatore di energia, riveste una particolare importanza; anche con questo paese è pertanto essenziale porre l'accento su una più serrata cooperazione in materia di energia, tecnologie e cambiamento climatico.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Giles Chichester, deputato europeo, ex presidente di commissione al Parlamento europeo, ottobre 2011.

(2)  Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

(3)  COM(2010) 639 definitivo.

(4)  GU C 318 del 29.10.11, pagg. 150-154.

(5)  COM(2011) 540 definitivo.

(6)  COM(2011) 539 definitivo.

(7)  Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Moldova, Serbia Montenegro, Ucraina e Kosovo.

(8)  Ovviamente, questo deve essere in accordo con le nuove e vaste competenze e politiche in materia di investimenti stabilite dal Trattato di Lisbona – si veda il parere del Comitato GU C 318 del 29.10.2011, pag. 150.

(9)  Relazione (capitolo 1) del documento COM(2011) 540 definitivo.

(10)  GU C 132 del 3.5.2011, pagg. 15-21.

(11)  GU C 182 del 4.8.2009, pag. 8.

(12)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 1.

(13)  Ucraina, Moldova, Georgia, Armenia, Azerbaigian e Bielorussia.

(14)  Capitolo 1.3, pag. 7.

(15)  COM(2011) 539 definitivo, pag. 9 (nota a piè di pagina n. 20).

(16)  GU C 318 del 29.10.2011, pag. 150.

(17)  COM(2011) 105 definitivo.

(18)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 49.


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/32/CE relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo»

COM(2011) 439 definitivo — 2011/0190 (COD)

2012/C 68/13

Relatore: SIMONS

Il Consiglio e il Parlamento europeo, rispettivamente in data 1o e 13 settembre 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 192, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/32/CE relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo

COM(2011) 439 final — 2011/0190 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 dicembre 2011.

Alla sua 477a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli, 46 voti contrari e 31 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), mirando all'obiettivo ultimo dell'eliminazione quasi totale dello zolfo nei combustibili per uso marittimo, ribadisce la sua approvazione della decisione presa nel 2008 dall'Organizzazione marittima internazionale delle Nazioni Unite (IMO) di ridurre drasticamente il tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo entro il 2020. Il Comitato esorta tutti gli Stati membri dell'IMO a ratificare al più presto la corrispondente convenzione IMO, allo scopo di garantirne l'applicazione a livello mondiale.

1.2   Il Comitato appoggia pertanto la proposta della Commissione volta ad adeguare la direttiva 1999/32/CE all'allegato VI in merito alla prevenzione dell'inquinamento atmosferico prodotto dalle navi della convenzione Marpol 73/78, ossia la convenzione internazionale dell'IMO per la prevenzione dell'inquinamento marino da idrocarburi. Tuttavia ritiene che alcune proposte e conseguenze necessitino un'analisi più approfondita.

1.3   Il CESE chiede che nella direttiva vengano introdotte delle disposizioni che corrispondano perfettamente alla regola 18 dell'IMO sulla qualità dell'olio combustibile, nonché alla relativa clausola di disponibilità (richiesta di commercializzazione), all'obbligo di comunicazione nel caso in cui una nave si avvalga di tale regola e alla clausola di «non disponibilità».

1.4   Il CESE esprime perplessità in merito alla proposta di introdurre, a partire dal 2020, un limite dello 0,1 % del tenore di zolfo per le navi passeggeri che operano al di fuori delle zone di controllo delle emissioni di zolfo (SECA). Benché la proposta non sia ancora stata sufficientemente analizzata, il Comitato la accoglie tenuto conto della necessità di proteggere la salute dei passeggeri e dell'equipaggio di tali navi. La preoccupazione per la salute dei cittadini deve essere identica in tutti gli Stati dell'UE.

1.5   Il Comitato ritiene che il divieto di commercializzare combustibili per uso marittimo con un tenore di zolfo superiore al 3,5 % per massa limiti l'attrattiva e l'impiego dei metodi di riduzione delle emissioni a bordo delle navi (scrubber navali per il lavaggio dei gas di scarico). Tale punto necessita un chiarimento.

1.6   Il CESE esprime preoccupazione per gli eventuali problemi che possono sorgere a partire dal 2015, quando entrerà in vigore il limite del tenore di zolfo dello 0,1 % nelle SECA, ma in merito agli effetti che ciò potrebbe produrre l'IMO non ha elaborato una relazione appropriata. Il Comitato raccomanda che in futuro tali effetti siano oggetto di valutazioni preventive da parte dell'IMO.

1.7   Il Comitato è dell'avviso che i metodi alternativi di riduzione delle emissioni o il possibile ricorso a combustibili alternativi debbano essere oggetto di ulteriori ricerche e miglioramenti. Tenuto conto delle numerose incertezze, per esempio in merito alla disponibilità di combustibili a basso tenore di zolfo nel 2015 o al rischio di uno spostamento modale «inverso», nella sua comunicazione che accompagna la proposta di direttiva, la Commissione propone di modificare la data di introduzione, qualora queste incertezze rischino di concretizzarsi. Il Comitato raccomanda che, all'occorrenza, ciò sia fatto intervenendo per tempo in modo che si continuino a promuovere gli investimenti necessari. Visto che il 2015 si avvicina a grandi passi, occorre rinviare al 2020 il termine per l'applicazione del limite dello 0,1 % del tenore di zolfo.

2.   Introduzione

2.1   I combustibili per uso marittimo sono i combustibili meno cari e meno raffinati. Spesso sono sottoprodotti di un processo più elevato di raffinazione del petrolio. Essi costituiscono attualmente una notevole fonte di inquinamento atmosferico, in particolare da biossido di carbonio (il 4 % delle emissioni totali mondiali di origine antropica) e ossidi di zolfo (il 9 %).

2.2   Prima dell'entrata in vigore delle convenzioni e dei protocolli dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) delle Nazioni Unite, e in particolare la convenzione per la prevenzione dell'inquinamento causato dalle navi (convenzione Marpol) del 1973 e del 1978, e successivamente del protocollo del 2008, il tenore di zolfo ammesso nei combustibili era del 4,5 %.

2.3   La revisione del 2008 dell'allegato VI della convenzione Marpol prevede una riduzione drastica graduale fino allo 0,5 % in linea generale entro il 2020 e, in caso di difficoltà, entro il 2025.

2.4   I particolati sulfurei, che sono stati praticamente eliminati dalle fonti terrestri (emissioni dovute alla produzione di energia e ai trasporti stradali), causano notoriamente problemi respiratori e cardiaci, e vi è un consenso generalizzato sulla necessità di ridurre il contenuto di zolfo dei combustibili per uso marittimo.

3.   La proposta della Commissione

3.1   La direttiva 1999/32/CE (modificata dalla direttiva 2005/33/CE) disciplina il tenore di zolfo dei combustibili utilizzati nel trasporto marittimo e introduce una serie di norme, decise nell'ambito dell'IMO, nel diritto dell'UE.

3.2   In particolare, la direttiva, nella sua forma attuale, prevede norme più rigide sul tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo da utilizzare nelle zone che richiedono una protezione ambientale speciale, ossia le zone di controllo delle emissioni di zolfo (SECA).

3.3   Il 14 maggio 2003, il CESE ha adottato un parere in merito alla proposta di direttiva 1999/32/CE (1).

3.4   Con il sostegno degli Stati membri dell'UE, nell'ottobre 2008 le norme internazionali dell'IMO sono state rivedute e rese più rigorose mediante un adeguamento dell'allegato VI della convenzione Marpol (2).

3.5   Le modifiche più significative all'allegato VI della convenzione Marpol riguardanti l'inquinamento da SO2 possono essere così riassunte:

una riduzione dall'1,50 % in peso del tenore di zolfo di tutti i combustibili per uso marittimo utilizzati nelle SECA, all'1,00 % entro il 1o luglio 2010 e allo 0,10 % entro il 1o gennaio 2015,

una riduzione dal 4,50 % in peso del tenore di zolfo di tutti i combustibili per uso marittimo utilizzati globalmente (fuori delle SECA) al 3,50 % entro il gennaio 2012 e allo 0,50 % entro il gennaio 2020, fatta salva una revisione nel 2018, con un eventuale rinvio al 2025,

l'autorizzazione a ricorrere a un ampio ventaglio di metodi di riduzione delle emissioni («metodi equivalenti»), quali dispositivi, metodi, procedure o combustibili alternativi.

3.6   Al fine di assicurare la coerenza con il diritto internazionale, nonché l'appropriata applicazione nell'Unione dei nuovi standard sul tenore di zolfo stabiliti a livello internazionale, la Commissione propone di allineare le disposizioni della direttiva 1999/32/CE all'allegato VI riveduto della convenzione Marpol (3), segnatamente:

introdurre nella direttiva la modifica del 2008 dell'allegato VI della convenzione Marpol in merito al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo,

allineare la direttiva alle disposizioni dell'IMO che autorizzano un ampio ventaglio di metodi di riduzione equivalenti delle emissioni, e integrare tali disposizioni con misure di salvaguardia supplementari, al fine di evitare che i metodi di riduzione equivalenti abbiano conseguenze negative inaccettabili per l'ambiente,

adottare la procedura di controllo dell'IMO per i combustibili.

3.7   La Commissione propone quindi le seguenti misure supplementari:

introdurre, a partire dal 2020, il limite dello 0,1 % del tenore di zolfo per le navi passeggeri che operano al di fuori delle SECA,

elaborare linee guida non vincolanti in materia di campionamento e rendicontazione. Qualora ciò non produca alcun effetto, si dovrà considerare l'adozione di norme vincolanti.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il Comitato, come del resto la Commissione europea e numerosi altri soggetti interessati, ritiene che l'obiettivo ultimo, in particolare al fine di tutelare la salute, sia quello di far sì che la navigazione avvenga con combustibili quasi privi di zolfo. Inoltre, l'esistenza di una regolamentazione valida in tutto il mondo è nell'interesse delle popolazioni e di questo settore del trasporto operante a livello mondiale.

4.2   Il Comitato giudica quindi favorevolmente la decisione dell'IMO di ridurre drasticamente le emissioni di zolfo prodotte dal trasporto marittimo. Secondo il Comitato non deve essere fatta pertanto alcuna distinzione tra la regolamentazione valida a livello mondiale e quella vigente nell'Unione europea.

4.3   Il Comitato esorta tutti gli Stati membri dell'IMO a ratificare l'allegato VI della convenzione Marpol 73/78, allo scopo di garantirne l'applicazione a livello mondiale.

4.4   A norma della regola 18 dell'allegato VI, ciascuno Stato firmatario è tenuto a fare in modo che i combustibili in questione siano disponibili e a notificarne all'IMO la disponibilità nei porti e nei terminal. Ciononostante, l'IMO ha comunque introdotto, realisticamente, una clausola di non disponibilità.

4.5   Il Comitato rileva che tale clausola di «non disponibilità» del combustibile in questione, così come sancito nell'allegato VI della convenzione Marpol, non è stata inclusa nella proposta di modifica della direttiva. Il CESE chiede che nella direttiva vengano introdotte delle disposizioni che corrispondano perfettamente alla regola 18 dell'IMO sulla qualità dell'olio combustibile, nonché alla relativa clausola di disponibilità (richiesta di commercializzazione), all'obbligo di comunicazione nel caso in cui una nave si avvalga di tale regola e alla clausola di «non disponibilità».

4.6   Il CESE esprime perplessità in merito alla nuova proposta della Commissione di introdurre, nel 2020, un limite dello 0,1 % del tenore di zolfo per i combustibili delle navi passeggeri che operano al di fuori delle SECA. Benché questa proposta non sia ancora stata sufficientemente analizzata, il Comitato la accoglie tenuto conto della necessità di proteggere la salute dei passeggeri e dell'equipaggio di tali navi. La preoccupazione per la salute dei cittadini deve essere identica in tutti gli Stati dell'UE.

4.7   La creazione di nuove SECA deve avvenire sulla base della procedura dell'IMO, tenendo conto degli standard scientifici, ambientali ed economici. Il nuovo articolo 4 bis, paragrafo 2, non è chiaro in proposito. Ci si chiede, infatti, se le nuove SECA approvate nel quadro dell'IMO rientreranno automaticamente nella direttiva o se una procedura strettamente a livello UE consenta alla Commissione di designare nuove SECA, le quali saranno poi direttamente sottoposte all'IMO. Si rende necessario un chiarimento in proposito.

4.8   All'articolo 1, paragrafo 4 (nuovo articolo 3 bis), la Commissione propone che gli Stati membri provvedano affinché non siano utilizzati o commercializzati nel loro territorio combustibili per uso marittimo con un tenore di zolfo superiore al 3,5 % in massa, in modo da evitare rischi derivanti dal loro utilizzo, che potrebbe causare in particolare concentrazioni elevate di questa sostanza nelle acque di scarico. Tuttavia, occorre tenere conto dei metodi di riduzione delle emissioni (lavaggio mediante scrubber) che consentono di utilizzare combustibili con un tenore di zolfo più elevato, senza superare le norme dell'IMO.

4.9   Sebbene le regole dell'IMO non lo contemplino, la Commissione propone che, qualora si utilizzino metodi di riduzione delle emissioni, si debbano continuare a ottenere riduzioni delle emissioni che siano almeno equivalenti alle riduzioni che si sarebbero ottenute utilizzando combustibili per uso marittimo che soddisfano i requisiti di cui agli articoli 4 bis e 4 ter. Ciò è difficilmente realizzabile, considerato che si possono verificare interruzioni temporanee dei dispositivi di riduzione delle emissioni e/o che il rendimento di tali strumenti può ridursi a causa della forte pressione alla quale sono soggetti i motori, situazione che può comportare un temporaneo aumento delle emissioni di zolfo. Occorre pertanto eliminare tale requisito.

4.10   In linea con l'osservazione formulata al paragrafo 4.8, il Comitato fa presente che una nave, in pratica, non può soddisfare il requisito di cui all'allegato 2 della proposta relativa all'articolo 4 quater, comma 3, vale a dire: «documentare in modo esauriente che qualunque flusso di rifiuti scaricato in mare, tra cui le baie, i porti e gli estuari non abbia alcun impatto negativo importante e non ponga rischi per la salute e l'ambiente». Anche in questo caso, secondo il Comitato è opportuno fare riferimento ai requisiti contenuti nella risoluzione dell'IMO MEPC184(59), che vietano appunto gli scarichi nei porti marittimi, nei bacini portuali e presso gli estuari.

4.11   Laddove la drastica riduzione del tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo, secondo quanto stabilito nell'allegato VI del 2008 della convenzione Marpol dell'IMO, sia stata complessivamente accolta con favore e debba quindi essere inserita nella direttiva 1999/32/CE, la decisione di applicare un limite dello 0,1 % a partire dal 2015 nelle zone di controllo delle emissioni di SOx (SECA) (4) ha generato preoccupazione.

4.12   In risposta alla decisione dell'IMO su questo specifico punto e in occasione della consultazione pubblica della Commissione per il riesame della direttiva 1999/32/CE, diversi soggetti interessati hanno fatto osservare che i costi aumenteranno significativamente nel momento in cui il tenore di zolfo dei combustibili per trasporto marittimo non potrà superare il limite dello 0,1 %. Benché alcuni studi abbiano stimato che l'utilizzo di tali combustibili (distillati) comporterà un notevole aumento dei costi, quantificato diversamente a seconda dei parametri impiegati, nonché una perdita di competitività, una serie di altri studi non ha confermato la possibilità che insorga un rischio così elevato.

4.13   Comunque sia, la verità è che l'IMO non ha effettuato alcuna valutazione di impatto adeguata prima di prendere tale decisione. Il CESE raccomanda agli Stati membri che aderiscono all'IMO e alla Commissione europea di esercitare pressione sull'IMO affinché provveda a effettuare in via preliminare le valutazioni di impatto del caso.

4.14   Uno spostamento modale verso il trasporto su gomma è in contrasto con la strategia proposta nel Libro bianco dal titolo Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti - Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile (Transport Strategy 2050) del marzo 2011 (5). Tale spostamento modale, infatti, darà luogo a un forte aumento delle esternalità, segnatamente l'impatto sull'ambiente e in particolare l'innalzamento del CO2, la congestione del traffico, l'inquinamento acustico, gli incidenti ecc. Per tale ragione, il Comitato raccomanda di non correre il rischio che si verifichi uno spostamento modale «inverso».

4.15   I soggetti interessati situati nelle tre zone di controllo delle SECA temono che la loro competitività si riduca drasticamente a causa dell'aumento dei costi di trasporto, con il conseguente rischio di una dislocazione della produzione e dei relativi posti di lavoro verso altre zone non SECA in Europa e nel resto del mondo.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Si sta lavorando attivamente all'elaborazione di un insieme di strumenti (toolbox) per poter attuare la decisione dell'IMO, a norma della quale, a partire dal 2015, il tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo nelle SECA non dovrà superare lo 0,1 %. A tal proposito, insieme a diversi esperti è stata effettuata un'approfondita analisi in merito alla disponibilità di combustibile per uso marittimo con un tenore di zolfo pari allo 0,1 %, all'impiego di metodi di riduzione delle emissioni (scrubber navali per il lavaggio dei gas di scarico) e all'utilizzo di GNL come combustibile per uso marittimo. Circa la disponibilità non è però emerso alcun elemento conclusivo.

5.2   L'impiego dei metodi di riduzione delle emissioni (scrubber) è oggetto di sperimentazione in diversi progetti pilota. Con gli scrubber già in funzione a bordo delle navi sono stati compiuti progressi significativi. Grazie all'eliminazione simultanea di NO2 e CO2, questi impianti potrebbero dimostrarsi convenienti dal punto di vista economico già in un prossimo futuro e devono essere tenuti in considerazione. Visto che il 2015 si avvicina a grandi passi, occorre rinviare al 2020 il termine per l'applicazione del limite dello 0,1 % del tenore di zolfo.

5.3   L'impiego di GNL come combustibile alternativo per uso marittimo – da solo o combinato con olio combustibile (doppio sistema) – viene giudicato positivamente dal settore del trasporto marittimo, soprattutto per le tratte a corto raggio, e al riguardo sono stati avviati diversi progetti pilota, soprattutto nell'Europa settentrionale. Le questioni che rimangono in sospeso sono oggetto di analisi con le parti interessate, in particolare per quanto riguarda la fuga di gas metano e il conseguente aumento delle emissioni di gas a effetto serra, la possibilità di fare rifornimento nei diversi porti europei e le norme di sicurezza relative al rifornimento. Tali analisi sono condotte dall'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) in collaborazione con l'Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA). Anche in merito a questi aspetti è evidente che la soluzione delle questioni in sospeso richiederà ancora molto tempo.

5.4   Il settore del trasporto marittimo continua a lavorare ai tre strumenti del toolbox, ma poiché questi non saranno pronti prima nel 2015, molti concordano sulla necessità di posticipare l'introduzione facendo ricorso a una deroga in seno all'IMO.

5.5   Nella sua comunicazione che accompagna la proposta di direttiva, la Commissione propone di modificare la data di introduzione, qualora le incertezze rilevate rischino di concretizzarsi. Il Comitato raccomanda che, all'occorrenza, ciò sia fatto intervenendo per tempo in modo che si continuino a promuovere gli investimenti necessari.

5.6   La Commissione è consapevole del fatto che l'osservanza della decisione dell'IMO di cui all'allegato VI della convenzione Marpol, che consiste nel ridurre il limite del tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo nelle SECA allo 0,1 % a partire dal 2015, comporterà un notevole aumento dei costi. Tale aspetto viene affrontato in modo approfondito nella comunicazione della Commissione sull'esame dell'attuazione della direttiva 1999/32/CE (6).

5.7   La Commissione sostiene che procedere all'adeguamento alle norme basandosi sugli standard tecnologici, come metodi per la riduzione delle emissioni (scrubber/sistemi di lavaggio), combustibili alternativi (GNL) e rete elettrica terrestre – così come previsto dall'allegato VI della convenzione Marpol e successivamente dalla proposta di modifica della direttiva 1999/32/CE - richieda notevoli investimenti di capitali da parte del settore privato e di quello pubblico.

5.7.1   A tal fine, la Commissione ha elaborato una serie di misure di accompagnamento a breve termine a sostegno del settore attraverso gli strumenti esistenti di finanziamento dell'UE quali le reti transeuropee dei trasporti (TEN-T), il programma Marco Polo II, il meccanismo europeo per i trasporti puliti (ECTF), la Banca europea per gli investimenti (BEI) e la possibilità di utilizzare i finanziamenti degli Stati membri per sostenere l'adozione di sistemi a bordo delle navi e lo sviluppo di infrastrutture a terra.

5.7.2   Per quanto riguarda il medio termine, la Commissione sta definendo un approccio globale, ad esempio lo «strumento per trasporti per via d'acqua sostenibili».

5.7.3   Il CESE valuta positivamente tutte queste intenzioni della Commissione, sottolineando tuttavia che i costi per l'adeguamento ai metodi alternativi sono piuttosto elevati. Le tecnologie di riduzione delle emissioni, soprattutto se utilizzate per contenere le emissioni di NO2 e CO2, potrebbero consentire un migliore rapporto costi-benefici. I programmi di aiuti proposti dalla Commissione sono utili, ma ci si interroga se le risorse e le scadenze attuali possano contribuire a ridurre i costi di esecuzione entro il 2015.

5.8   Per quanto riguarda la definizione della procedura di controllo dell'IMO in materia di combustibili, il Comitato rileva che tale procedura diverge dalla norma dell'Organizzazione internazionale per la standardizzazione. Tale aspetto necessita un chiarimento.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  CESE 580/2003, GU C 208 del 3.9.2003, pagg. 27-29.

(2)  Risoluzione MEPC.176(58) del 10 ottobre 2008 (allegato VI riveduto della convenzione Marpol).

(3)  COM(2011) 439 final.

(4)  Le zone SECA nell'UE sono il Mar Baltico, il Mare del Nord e il Canale della Manica.

(5)  COM(2011) 144 final.

(6)  COM(2011) 441 final del 17 luglio 2011.


6.3.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 68/74


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1300/2008 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che istituisce un piano pluriennale per lo stock di aringa presente ad ovest della Scozia e per le attività di pesca che sfruttano tale stock»

COM(2011) 760 definitivo — 2011/0345 (COD)

2012/C 68/14

Il Parlamento europeo, in data 30 novembre 2011, e il Consiglio, in data 13 dicembre 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1300/2008 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che istituisce un piano pluriennale per lo stock di aringa presente ad ovest della Scozia e per le attività di pesca che sfruttano tale stock

COM(2011) 760 definitivo — 2011/0343 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 477a sessione plenaria dei giorni 18 e 19 gennaio 2012 (seduta del 18 gennaio 2012), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 171 voti favorevoli e 14 astensioni.

Bruxelles, 18 gennaio 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON